IDC 20 - Dic-Gen 07

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IDC 20 - Dic-Gen 07
Maggio 2007
Periodico di informazione del Consiglio Direttivo dell’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione
unicom
Anno V - N°22
IN QUESTO NUMERO:
Guardando avanti...
Piccolo è bello?
Riflessioni sul futuro
Come sarà l’agenzia del futuro? I vecchi
e consolidati modelli sono sempre attuali o rischiano di non riuscire ad interfacciarsi con un mercato in cambiamento?
Di Renato Sarli
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Sped. in Abb. postale 45% - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 - FilialeI Padova dcB - A 2,00
In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio Postale di Padova Cmp detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa
EDITORIALE
Manager d’agenzia.
Tra ragione ed emozione
Lavorare in team per migliorare la performance dell’impresa. Le regole da seguire e le abilità necessarie per ottenere
risultati concreti secondo
Guido Nanni.
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Comunicazione interna.
L’impresa che punta all’eccellenza deve
saper innovare il rapporto e la relazione con le risorse umane se vuole operare nell’ottica dell’economia della conoscenza. In questo contesto la comunicazione interna diventa un fattore strategico di successo.
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Collaborare per vincere insieme
Enrico Finzi, Presidente TP, dopo una
lucida disamina del momento di difficoltà che la professione sta vivendo,
lancia un accorato appello alle Associazioni del comparto a collaborare per
affrontare insieme i comuni problemi.
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Una generazione di
bravi ragazzi
Daniela Brancati, Coordinatrice dell’Osservatorio sull’immagine dei minori in
tv e in pubblicità, presenta i risultati di
una ricerca che ci consegnano l’immagine di una generazione consapevole
ed attenta.
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L
a nostra Associazione, il cui nucleo originario ha visto la luce nel 1977, festeggia i suoi primi
trent’anni di vita. Trent’anni durante i quali la nostra professione si è profondamente modificata sull’onda di un processo di cambiamento che ha coinvolto il mercato, il mondo degli
utenti, quello dei consumatori e la Società nel suo complesso. E’ cambiato il modo di rapportarsi con la clientela, si sono profondamente innovate le tecniche, l’agenzia di pubblicità è diventata impresa di comunicazione. Il mondo dei mezzi si è arricchito di nuove opzioni: basti pensare alla rete, all’avvento dei canali tematici, al digitale. Termini come one-to-one, interattività,
marketing relazionale sono entrati prepotentemente a far parte del lessico quotidiano di chi
opera in questo comparto.
L’indice di fedeltà alla marca, per molti anni obiettivo prioritario o subordinato, ma comunque
sempre fondamentale, di ogni seria campagna di comunicazione, si ritrova in questi anni a fare
i conti con una crisi senza precedenti - se è vero quanto afferma il sempre attento e documentato Enrico Finzi - si è attestato su valori intorno al 16%, mentre aumenta considerevolmente la
fedeltà alle insegne della Distibuzione, sempre più padrona del mercato, i cui punti vendita vanno assumendo - come sostiene Giampaolo Fabris - il ruolo di “macchine per comunicare e di piattaforme per l’attività di marketing relazionale”. Il ROI dell’investimento pubblicitario sulla TV
generalista negli ultimi tre anni si è ridotto del 50%, mentre cresce in modo esponenziale il ruolo
di internet, con il suo corredo di modalità e tecniche di comunicazione innovative.
Tutto questo a conferma del fatto che avevano ragione coloro - Renzo Rullani ed altri - che, sin
dalla fine degli anni novanta, ci parlavano di un consumatore sempre più attento e responsabile e di un’evoluzione del consumo orientato ad assumenre i connotati dell’esperienza cognitiva.
Ma, a questo punto, non mi pare fuori luogo domandarsi se tutto quello che sta succedendo, se
questo vorticoso processo di cambiamento, rappresenti un’opportunità - e quindi un momento
di reale progresso - o se non costituisca piuttosto una fase di involuzione di una Società che si
trova alle prese con fenomeni che a fatica tenta di decodificare e in larga misura non riesce a
comprendere. In altre parole abbiamo consapevolezza di quale sia il punto di arrivo? Siamo certi
che la nostra civiltà stia veramente progredendo? Stiamo utilizzando correttamente ed eticamente i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione? O non ci ritroviamo piuttosto alle prese con
una di quelle fasi - che puntualmente hanno segnato la storia dell’umanità - in cui, per timore
di ottenere risposte inquietanti, preferiamo tutti quanti lasciarci trasportare dalla corrente e
nascondere il capo sotto la sabbia in attesa della fine dell’uragano?
Riusciremo ad uniformare i nostri comportamenti e la nostra vita a quei principi non negoziabili che abbiamo posto a fondamento della nostra civiltà o saremo irrimediabilmente travolti dall’ormai imperante relativismo? Certo, qualcuno potrebbe obiettare che quello che avviene nel
nostro comparto è ben piccola cosa in rapporto ai gravi problemi che affliggono il pianeta, ma
siamo sicuri che il nostro “piccolo mondo” non possa essere considerato lo specchio che ci rimanda, magari con qualche piccola distorsione, ma in modo sostanzialmente fedele, l’immagine di
una società che pervicacemente si rifiuta di fermarsi un istante a riflettere ed a fare i conti con
se stessa?
(segue in seconda pagina)
UNICOM
SOMMARIO
(segue dalla prima pagina)
EDITORIALE
• Guardando avanti...
di Lorenzo Strona
UNICOM
• Paolo Romoli lascia la Direzione
Grazie Paolo...
di Lorenzo Strona
• Congedo. Il saluto del Direttore
• Claudio Breno è il nuovo
Direttore Unicom
• Vita associativa, brevi di cronaca,
convegni
a cura di Paolo Romoli
IMPRESA
• Piccolo è bello? Riflessioni sul futuro
di Renato Sarli
• Manager d’agenzia.
Ragione ed emozione di Guido Nanni
IL MESTIERE DI COMUNICARE
• Pubblici esercizi. E’ ora di comunicare
di Alessandro Colesanti
• Comunicazione interna
di Claudio Avallone
ATTUALITA’
• Fuorisalone.
Un’iniziativa che rinnova la città
di Angela D’Amelio
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Paolo Romoli
lascia la Direzione di Unicom
Il 31 maggio, dopo quindici anni di collaborazione, Paolo Romoli lascia la Direzione Generale di Unicom. E’ un addio concordato da
tempo, ma non per questo meno sofferto.
Riportiamo qui di seguito il messaggio che il
Presidente ha voluto indirizzare a Romoli per
testimoniargli la gratitudine sua personale e
quella di tutti gli associati, che a Paolo hanno
sempre riconosciuto capacità, impegno, competenza e soprattutto uno straordinario tratto di umanità.
Grazie Paolo...
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RESPONSABILITA’ SOCIALE
• Una convivenza responsabile
è possibile di Paola Gennari Santori
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RELAZIONI PUBBLICHE
• Più cooperazione tra comunicatori
e giornalisti di Franco Guzzi
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ONLINE
• Internet cresce.
Video e web 2.0 più di tutti
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OPINIONI
• Comunicazione olistica
di Angela D’Amelio e Gargamella
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ASSOCIAZIONI
• Collaborare per vincere insieme
di Enrico Finzi
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COMUNICAZIONE E SOCIATA’
• Una generazione di “bravi ragazzi”
di Daniela Brancati
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LETTURE
• Giovanni Sartori - Democrazia. Cosa è. 31
2 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
anche solo cedendo alla tentazione dell’indifferenza o dell’abulia, sarebbe un imperdonabile errore. Viceversa, se sapremo fare fino in
fondo il nostro dovere, sia nel quotidiano
impegno professionale, sia nel nostro ruolo di
cittadini e di uomini, potremo ancora cogliere
frutti copiosi e l’impagabile soddisfazione di
sentirci in pace con noi noi stessi e con la
nostra coscienza.
Lorenzo Strona
Presidente Unicom
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DIRITTO E COMUNICAZIONE
• Tra birra e champagne
di Fiammetta Malagoli
INCONTRI
• La poesia di Emily Dickynson
Se in qualche modo - per sensibilità, per cultura, per tensione etica - abbiamo il privilegio di poterci considerare classe dirigente, se
abbiamo la possibilità, attraverso il nostro
lavoro, di inviare segnali che in qualche misura possono incidere sull’opinione pubblica e
quindi sulla coscienza collettiva, abbiamo noi per primi - il dovere di riflettere e di agire
di conseguenza. Sottrarci a questa responsabilità, assecondando la deriva generale,
Era il 2 gennaio dell’ormai lontano 1991.
Gianni Muccini presiedeva l’Associazione,
Roberto Bonsaglio, Renzo Prino ed il sottoscritto, eravamo Vicepresidenti, e tu varcavi
per la prima volta, nelle vesti di Direttore
Generale, la soglia della nostra sede.
Bastarono pochi minuti perchè ci conquistassi
tutti con i tuoi modi garbati, il tuo sorriso cordiale, il tuo eloquio fluente e quella tua aria
un po’ sfrontata da “tombeur de femmes”.
Da allora sono passati - o, meglio, sono volati - quindici anni. Di strada, insieme, ne abbiamo fatta molta. L’Associazione è cresciuta
(allora eravamo a malapena un centinaio di
imprese), ci siamo conquistati visibilità e credibilità, siamo diventati “adulti”. E tu hai dato un grande contributo, sia quando filava
tutto liscio, sia nei momenti in cui piccole turbolenze - peraltro fisiologiche nel mondo
associativo - agitavano le nostre giornate.
Senza schierarti mai, se non dalla parte dell’Associazione.
Da quando ho assunto la Presidenza e, quindi, dal ‘97 ad oggi, ho trovato in te un collaboratore prezioso. Con te mi sono confrontato quasi ogni giorno, trovandoci il più delle
volte perfettamente d’accordo e, altre volte,
impegnati a sostenere opinioni diverse. Tu
hai sempre difeso le tue convinzioni con passione e grande determinazione, ma sempre
con grande lealtà e, sempre, nell’esclusivo
interesse dell’Associazione.
Ci hai brillantemente rappresentati negli
organismi interassociativi, promuovendo o
difendendo le nostre ragioni. Ma soprattutto e qui sono certo di cogliere nel segno - hai
saputo instaurare uno straordinario rapporto
con i nostri associati che non potranno, come
me e come tutti coloro che in questi anni
hanno ricoperto ruoli direttivi nell’Associazione, non rimpiangerti.
Ma, purtroppo, il tempo è tiranno ed è venuto
il giorno, peraltro concordato da tempo, di
accomiatarci. Tu per godere di un po’ di meritato riposo e di tempo libero da dedicare ai
tuoi molti interessi, a Carla, ai nipotini, io per
continuare - ancora per qualche tempo - questa avventura, alla guida di questa Associazione.
Ma, non ti illudere, non riuscirai a dimenticarci, così come noi non dimenticheremo te. Io
continuerò a ricevere le tue telefonate mattutine, e - te lo dico sin d’ora - mi farà piacere
sentirti ed ascoltare i tuoi rimbrotti o i tuoi
complimenti, cosi come hai fatto, puntualmente, in questi quindici anni.
Lorenzo
Congedo.
Il saluto del Direttore Generale Paolo Romoli
Cari Amici,
dopo aver ormai compiuto 71 anni, ma soprattutto dopo le tre operazioni subite negli
ultimi dieci mesi (ed in particolare quella del
marzo scorso particolarmente impegnativa e
che comporta tuttora seguiti non molto piacevoli) il vostro Direttore ritiene opportuno
non rimandare ulteriormente il suo definitivo pensionamento, nonostante i caldi (e graditissimi) inviti del Presidente Strona di proseguire la collaborazione almeno sino alla
fine del mandato del Direttivo attualmente
in carica (2009).
Col 31 Maggio, cioè dopo l’Assemblea di Otranto, lascio quindi la Direzione di Unicom
e conseguentemente tutti i ruoli rappresentativi ricoperti negli Istituti Interassociativi,
nonché quello di Direttore de “L’Impresa di
Comunicazione”.
Nonostante le ragioni che l’hanno motivata,
è stato per me tutt’altro che facile prendere
la decisione di lasciare la nostra Associazione alla quale ho dedicato con grande passione gli ultimi sedici anni della mia vita non
soltanto professionale.
Quando nel lontano 1990 gli amici Usellini e
Prino mi invitarono a mettere a disposizione
di Otep le precedenti esperienze da me maturate nell’arco di 30 anni non solo in diversi settori della Comunicazione (giornalismo,
agenzie, utenza, consulenza), ma anche nell’area associativa (ero già stato Direttore
Generale dell’Istituto Italiano del Colore)
l’Associazione contava allora poco più di un
centinaio di Associate.
Adesso Unicom, grazie anche all’apporto
degli amici di Aipas, è l’Associazione che rappresenta il più alto numero di Imprese di
Comunicazione (ricordo che siamo stati i primi anche a superare il limite di “Agenzia di
Pubblicità”, aprendo appunto a tutte le
Imprese che fanno comunque Comunicazione), ma soprattutto ha saputo conquistarsi
crescenti visibilità, prestigio ed apprezzamento non inferiori a nessuna altra Associazione all’interno del comparto nonchè presso gli organi di informazione e le Istituzioni
pubbliche ad esso interessate.
Merito innanzitutto dei due Presidenti a
stretto contatto dei quali ho avuto il piacere
e la fortuna di lavorare: Gianni Muccini e Lorenzo Strona che, pur diversissimi per personalità, caratteristiche caratteriali e visioni
politiche, strategiche ed operative, hanno
portato l’Associazione a conseguire risultati
veramente notevoli.
E’ stata per me un’esperienza altamente stimolante, di continuo arricchimento professionale ed umano collaborare con loro, così
come con i componenti i Consigli Direttivi,
gli altri Organi Istituzionali, e i vari Gruppi di
Lavoro che si sono succeduti in questi 16
anni, ed ai quali va ugualmente riconosciuto
il merito della costante crescita della nostra
Associazione. Uguale apprezzamento va da
parte mia alle altre Associazioni, agli Istituti
Interassociativi, ai Mezzi, alle Concessionarie, a tutti gli operatori e le organizzazioni
attive nel comparto.
Ma non solo.
A parte i rapporti di natura e di contenuto
più strettamente lavorativo nell’ambito associativo, è stato per me altrettanto importante avere conosciuto personalmente i Titolari
ed alcuni Collaboratori delle nostre Associate: con non pochi di loro, oltre ad un rapporto penso di poter dire di reciproca stima e
simpatia, è nata infatti una vera e propria
amicizia personale che sono certo non si
interromperà con la mia uscita dalla scena
operativa.
Desidero pertanto rivolgere il mio grazie più
sentito e sincero per quanto dall’Associazione nel suo complesso ma soprattutto da ciascuno di voi ho ricevuto in tutti questi anni.
Un grazie particolare a Cristina, Elisa, Isabella e Monica che - spesso supplendo a certi
miei limiti operativi - hanno gestito e gestiscono egregiamente l’attività veramente
complessa della Segreteria, alla quale - sono
lieto di ricordare - le nostre Associate riconoscono esplicitamente da sempre altissimo
apprezzamento nell’annuale rilevazione della Customer Satisfaction.
Un particolare augurio di buon lavoro a
Claudio Breno al quale lascio il testimone,
con la certezza che darà all’Associazione il
prezioso contributo delle capacità professionali ed umane che ho avuto modo di apprezzare in lui fin dai nostri primi incontri.
Ad Unicom, ed a tutte le attuali e future
Associate, l’augurio finale di ulteriori crescenti successi, nonostante le innegabili difficoltà del momento.
Ad majora !
Paolo Romoli
P.zza Napoli, 32 - 20146 Milano
Tel. 338/175479 - 02/42.22.013
[email protected]
Claudio Breno
è il nuovo Direttore
Unicom
Claudio Breno, nato a
Bergamo nel 1950, sposato, con tre figli, laureato in ingegneria elettrotecnica presso il
Politecnico di Milano,
dal 1/06/07 sarà il nuovo Direttore dell’Associazione.
Claudio Breno ha alle spalle una brillante
carriera manageriale iniziata nel ‘78 - dopo
brevi esperienze post laurea alla ICT di Zingonia ed alla Ercole Marelli di Sesto San
Giovanni - presso la società Magrini Galileo di Bergamo.
Nel 1983 diventa responsabile commerciale presso la O.T.E. di Bergamo.
Nel 1988 acquisisce il ruolo di Direttore
Marketing presso la AVE di Rezzato (Bg).
Nel 1990/91 è Direttore marketing presso
la filiale italiana del gruppo svizzero Sprecher+Schuh.
Alla fine del ‘91 assume il ruolo di Direttore Commerciale della filiale italiana del
Gruppo franco-tedesco Hager, leader europeo nel settore delle apparecchiature elettriche di bassa tensione. Nel giugno 1995
acquisisce la posizione di Amministratore
Delegato - Direttore Generale.
Dal 1999 al 2001 è Direttore Generale di
Trucco S.p.a., leader nel settore della componentistica per reti di Telecomunicazioni,
facente parte del Gruppo tedesco Quante,
di rilevanza mondiale, che nel 2001 è entrato a far parte del Gruppo “3M”.
Claudio Breno possiede un’ottima conoscenza delle lingue francese e inglese e dei
principali programmi per PC.
Ha seguito corsi di formazione specialistica tra i quali: “Public speaking and presentation skills” (Hill & Knowlton), “GRID per
managers” (Scientific Methods Inc.), “Tecnica e analisi di bilancio” (IPSOA), “Problem solving and decision making” (Kepner & Tregoe), “Tecniche di negoziazione”
(CFMT), “Motivation quality management” (Krauthammer ).
3 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
UNICOM
Vita associativa
Brevi di cronaca, convegni e incontri
Gli incontri locali delle Associate
Nel programma presentato dal Consiglio
Direttivo nel corso dell’ultima Assemblea
delle Associate Unicom, uno dei punti maggiore rilevanza e che non a caso riscosse l’unanime approvazione delle Associate, fu
quello di programmare una serie di incontri
locali tra le Associate con l’obiettivo di facilitare un rapporto sempre più diretto e coinvolgente tra Associazione ed Associate sul
territorio, nonché di favorire un’opportuna
maggiore conoscenza personale anche tra le
Associate stesse.
Le Associate Romane si sono incontrate il 7
febbraio in una serata guidata dal Vicepresidente Francesco Miscioscia e dal Consigliere Claudio Avallone e che ha visto proprio nell’approfondimento dei contenuti del
programma presentato in Assemblea, oltre
all’avvio di un rapporto di dialogo e di confronto utile a migliorare il rapporto tra gli
associati del territorio.
Le Associate di Torino, che già si erano riunite già nel corso del 2006, in due occasioni
organizzate del Vicepresidente Alessandro
Colesanti, sono tornate a incontrarsi il 6 febbraio.
Infine il 23 febbraio e successivamente il 4
maggio, su invito del nostro Consigliere Nazionale Renato Sarli, titolari e dirigenti delle
Agenzie Associate del Triveneto si sono
incontrati a Padova.
Le riunioni, partecipate e animate, si sono
rivelate un vero successo aprendo un dialogo a più voci che continuerà con un’agenda
in via di definizione per affrontare i numerosi temi sui quali i colleghi hanno verificato
l’opportunità di un confronto.
Tra i prossimi appuntamenti nel Triveneto
uno sarà dedicato alla presentazione di
Unicom ad agenzie non associate, per il quale è prevista la partecipazione del Presidente
Lorenzo Strona.
La Ricerca Unicom sulla Comunicazione
dei Prodotti Tipici
Dopo le presentazioni di Milano, Pescara,
Cuneo, Latina, Rimini, Frosinone, Treviso,
Modena, Imperia e Catania, la ricerca “La
comunicazione dei prodotti tipici in Italia”,
commissionata dalla nostra Associazione con
la collaborazione di Unioncamere, è stata
presentata Il 10 Febbraio, nel corso del Convegno “Le tipicità gastronomiche: opportunità e sviluppo del territorio” tenuto a
Paestum (Sa) nell’ambito del 2° Salone della
Mozzarella di Bufala Campana, dal nostro
4 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
Vice Presidente Biagio Vanacore. La relazione di Vanacore è stata vivamente apprezzata
anche nel successivo dibattito cui sono intervenuti tra gli altri il sottosegretario alle politiche agricole Tampieri, il prof. Zicarelli,
Presidente mondiale dell’ANASB, il dr. Oliviero Direttore Generale del Consorzio della
Mozzarella di Bufala e l’Assessore all’Agricoltura della provincia di Salerno Martinangelo, presenti anche i consiglieri
Agricoli delle ambasciate di Austria, Albania,
Belgio, Danimarca, Israele, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Svizzera,
Thailandia, Ucraina, Ungheria.
Un’altra presentazione della ricerca è stata
effettuata il 19/04 a Bertinoro (FC) dal nostro
consigliere Francesco Ferro nell’ambito di un
importante Convegno Nazionale sui Prodotti
Tipici (“Basta la Ricetta? Contributo della
Ricerca alla caratterizzazione dei Prodotti
Tipici) organizzato dal Centro di Alta Formazione per la Qualità e la Sicurezza Alimentare. Nel corso del Convegno eminenti Rappresentanti di Enti Pubblici, Consorzi, Produttori e Studiosi del settore hanno messo a
fuoco specifiche esigenze, priorità e strategie
per la valorizzazione dei prodotti tipici nostrani. Particolarmente apprezzato l’intervento di Ferro che, illustrati i dati più significativi della ricerca, il cui alto interesse è stato
confermato dalle molte richieste di acquisto
del volume che (ricordiamolo) è disponibile
presso la nostra Segreteria al prezzo di 35
euro IVA inclusa (25 euro per le Associate
Unicom). Una ulteriore presentazione è prevista a Foggia il 16/05 presso la locale Camera
di Commercio.
Strona al Convegno “Il Sistema
della Comunicazione in Piemonte”
Venerdì 9 Marzo presso la sede del Consiglio
Regionale a Palazzo Lascaris a Torino, per iniziativa del gruppo consiliare DS/Ulivo, si è
discusso sulla nuova Legge Regionale a sostegno del sistema mediatico piemontese.
Il Presidente di Unicom Lorenzo Strona, invitato quale relatore ufficiale, ha espresso l’augurio che le risorse stanziate non costituiscano l’ennesimo episodio di assistenzialismo,
ma vadano a sostenere solo le iniziative editoriali meritevoli, stimate su parametri di
qualità e di efficienza.
Strona ha inoltre stigmatizzato per l’ennesima volta il criterio di riparto sulla base di
quote predeterminate per legge delle risorse
destinate alla comunicazione pubblica ed
istituzionale. Apprezzamento per le parole
di Strona è stato espresso da parte dei professionisti della comunicazione presenti.
Molto meno soddisfatti i rappresentanti
degli editori della stampa locale, delle tv e
delle radio private.
Strona al Convegno Unindustria
di Bergamo
Il giorno 29 marzo il Presidente Strona ha
partecipato al Convegno organizzato da
Confindustria Bergamo sul tema: “La Comunicazione, un fattore di competitività per
le PMI”. Oltre al nostro Presidente, hanno
partecipato all’interessante manifestazione
il Prof. Andrea Fontana (Università di Pavia e
Milano Bicocca), Matteo Verdoni (Responsabile Comunicazione del Gruppo Schneider
Electric) e Giuseppe Cattaneo (Titolare dell’Ufficio Stampa della CCIAA di Bergamo).
Le relazioni presentate hanno sucitato vivo
interesse da parte del folto uditorio costituito da piccoli e medi imprenditori e da studenti della Facoltà di Scienza della Comunicazione della locale Università.
La presentazione del “Rapporto
Bambini e Pubblicità”
Il Consulente legale della nostra Associazione Avv. Fiammetta Malagoli ha partecipato, il giorno 27 marzo, alla presentazione del Terzo Rapporto “Bambini e Pubblicità”, svoltasi a Roma, presso la sede del
Comitato Italiano per l’Unicef, a cura dell’Osservatorio sull’immagine dei minori.
L’indagine ha rilevato l’opinione di 700 preadolescenti tra i 10 ed i 12 anni in relazione
ad alcuni spot pubblicitari trasmessi in prima
serata.
I piccoli ascoltatori hanno dimostrato di percepire “realisticamente” gli spot, sapendo
distinguere tra storie reali e vicende impossibili e rivelando una sorprendente capacità
analitica.
A Otranto dal 24 al 27 maggio
l’Assemblea Generale Unicom
Avrà luogo Venerdi 25 Maggio presso il Club
Med di Otranto l’Assemblea Generale della
nostra Associazione nell’ambito della ormai
tradizionale “3 giorni” che vede riunite le
nostre Associate per assolvere gli adempimenti statutari: un’ottima occasione anche per godere di qualche ora di relax e
avere l’opportunità per conoscersi personalmente sempre meglio. Sul prossimo numero
de “L’Impresa di Comunicazione” daremo
ampio spazio alla cronaca dettagliata dell’evento.
IMPRESA
Piccolo è bello?
Riflessioni
sul futuro
Come sarà l’agenzia del futuro? I vecchi e consolidati modelli
sono sempre attuali o rischiano di non riuscire
ad interfacciarsi con un mercato in tumultuoso cambiamento?
A queste ed ad altre domande che ci poniamo, o che dovremmo
porci ogni giorno, cerca di rispondere Renato Sarli
proponendoci alcune riflessioni frutto della conoscenza
diretta del problema e di molto buon senso.
In oltre venticinque anni di attività, ho militato in Agenzie grandi e piccole, Associate
Assap e Otep, prima che Assocomunicazione
e Unicom. Spesso, vista la mia propensione
strategica e i miei studi, sono stato richiesto
di consulenze da parte di agenzie e aziende
non solo in termini di creatività, ma in senso
più lato nell’individuare il posizionamento
dell’azienda, il suo ruolo nel mercato in relazione a una competizione sempre più agguerrita e a schemi di gioco sempre più fragili. Riflessioni di questa natura sono forse
più semplici se l’oggetto dell’indagine è una
azienda che realizza prodotti tangibili, dotati di un valore materiale, prima che simbolico.
I problemi si incontrano quando si deve lavorare su una società di servizi. Se pensiamo poi
a una società di comunicazione le cose si
complicano all’ennesima potenza.
Quanti di noi possono dire di aver stilato un
piano di marketing per se stessi? Quanti collocano la propria azienda al centro di un progetto di medio o lungo termine?
Su questi argomenti, con riconosciuta e lucida competenza, ha iniziato a stimolarci Guido Nanni con l’articolo apparso sull’ultimo
numero de “L’ Impresa di Comunicazione”.
Ma il dibattito a mio avviso e come sottolinea anche Nanni, non deve e non può essere
circoscritto agli aspetti organizzativi.
Più di una volta ho assistito alla tentazione di
titolari d’agenzia che violentano la propria
agenzia sottomettendola a metodi di gestione da ferriera anni cinquanta. Scoprono i diagrammi di Gant, il controllo della redditività,
scoprono che una attenta gestione dei flussi
di lavoro, dell’analisi dei tempi dedicati produce reddito…
Generalmente, questi imprenditori hanno
più di cinquant’anni e un’agenzia ben avvia6 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
ta. Tutto va bene per alcuni anni, va meglio
che in passato. Finchè poco alla volta, i curricula che arrivano sono sempre meno, i clienti che chiamano spontaneamente calano,
il turnover del personale e dei clienti aumenta. La riflessione che si fa è che si tratti di un
problema generale, che il mercato si è imbastardito, che i giovani non hanno più voglia
di lavorare e misurarsi con le sfide, che manca la cultura della comunicazione, che…
Io per abitudine quando incontro un problema mi chiedo “e se fosse colpa mia?” Non è
un moto autolesionista, ma un esercizio doveroso di verifica.
A proposito delle agenzie gestite come aziende e “solo” come aziende c’è da fare una
considerazione. Le imprese che adottano
questi modelli sono ben avviate, hanno un
portafoglio clienti consolidato e tutti sappiamo che così come è difficile acquisire un
cliente, dopo anni è anche difficile perderlo,
soprattutto se entrano in gioco le relazioni
personali. Quindi se dal punto di vista puramente finanziario i risultati migliorano, è
perché il quadro è drogato da questo fattore. Non sto certo dicendo che le agenzie
sono e devono restare botteghe d’artista.
Lungi da me. Se un’agenzia viene gestita
così, con miopia, è destinata a sopravvivere,
ma non certo a crescere con successo.
Piccola, media o grande?
Parliamo dell’aspetto dimensionale. La domanda non deve essere “che dimensione deve avere l’agenzia che voglio?”, ma “che dimensione deve avere l’agenzia che vuole il
mercato?”
In passato abbiamo assistito a due fenomeni
distinti e paralleli. Le agenzie di grande dimensione, quelle internazionali hanno proceduto a progressive fusioni, razionalizzazioni, dovute a controllo dei costi, migliora-
mento delle performances, riallineamento
dei servizi. Le agenzie piccole e medie hanno
tentato più volte di creare dei consorzi, dei
raggruppamenti per integrare i servizi e
affrontare clienti di maggiore dimensione.
Il secondo caso è quello più vicino alle agenzie che aderiscono a Unicom. So che alcuni
consorzi sono perfettamente attivi e addirittura da poco costituiti.
Il mio parere - mal non me ne incolga! - è che
questo modello non possa essere facilmente
compreso dal mercato. Probabilmente i titolari di queste agenzie riescono a raggiungere
i propri obiettivi, ma a fronte di costi non
indifferenti. E’ infatti inevitabile la duplicazione di alcune funzioni, a tutti i livelli.
Inoltre non si crea quel meccanismo di scambio informale che è uno degli aspetti più
divertenti e stimolanti delle agenzie: la riunione in corridoio. Certo ci si incontra su
Skype, al telefono, via e-mail, ma non è la
stessa cosa.
Ognuno resta titolare della propria agenzia,
non vuole rinunciare ai privilegi derivanti
dall’essere imprenditore e questo non fa certo crescere l’azienda. E’ un metodo più che
legittimo di guadagnare di più, ma con una
visione molto italiana dell’impresa.
Mi interrogo su questi argomenti e non ho
certo la risposta in tasca. Sollecito piuttosto
la riflessione dei colleghi, che potrebbe essere affrontata in una tavola rotonda sicuramente ricca di interessanti spunti.
Sta di fatto che autorevoli ricercatori ci indicano da tempo che le aziende italiane devono trasformarsi valorizzando le peculiarità
che consentono loro di competere, facendo
molta attenzione a distaccarsi dall’azienda
family managed.
Certo le nostre agenzie spesso hanno dimensioni che non consentono l’immissione di
dirigenti e se i soci sono troppi, i guadagni si
vanificano. Tuttavia, sono più che convinto
che sia necessario crescere rinunciando a
privilegi personali e a favore di un valore che
non è solo per i titolari d’azienda, ma per i
nostri figli, per i soci, i collaboratori, per il
territorio, il tessuto sociale ed economico in
cui operiamo. Basta scorrere i bandi di gara
per rendersi conto che i termini necessari per
accedere a quelle più significative sono
penalizzanti per chi non ha un fatturato consolidato, esperienze, struttura, collegamenti
internazionali, comprovata esperienza nei
settori oggetto di gara.
E’ anche abbastanza normale che sia così, ma
se le nostre agenzie non crescono, non
potranno assicurarsi di partecipare a queste
gare che resteranno appannaggio delle
internazionali. Inoltre crescere vuol dire
poter investire in ricerca, essere attrattivi per
i laureati e per i talenti migliori (non ci dimentichiamo certo che le agenzie sono fatte
di persone), per i clienti più attenti.
E non parliamo degli investimenti in comunicazione, del tempo necessario per dedicarsi
Renato Sarli - [email protected]
alla crescita culturale, alla creazione di reti
tra persone, aziende, consulenti, all’internazionalizzazione, alle relazioni. In un momento in cui il vero lusso è diventato il tempo.
Altra riflessione di non poco conto che so essere comune a molti. Pasquale Diaferia recentemente si è espresso in tal senso in uno
dei suoi corsivi.
Quante agenzie italiane superano la prima
generazione? Si contano. Alcuni sono casi di
eccellenza, indubbiamente.
Come si vede il quadro è complesso e articolato. E non abbiamo ancora sfiorato il tema
delle specificità della nostra professione, che
è in turbinoso divenire.
Immagino che in futuro
avranno successo agenzie fortemente innovative per realizzare le
quali occorre mettersi
seriamente in discussione. La comunicazione è
e sarà sempre di più uno
strumento necessario. Le
aziende anche in Italia
(sarà vero?) faticosamente e spesso a tentoni stanno cercando di
assumerlo come uno
strumento cardine. Ma
non sanno come orientarsi. Tutte, dalla piccola
alla più grande (è noto
che alcune multinazionali conosciute come vere università del marketing cambiano spesso
rotta esse stesse perché
non hanno le idee chiare). E noi che in tutto
questo dovremmo avere
il ruolo di consulenti che
risposte offriamo?
Nella gran parte dei casi
siamo imbrigliati da
schemi che hanno almeno quarant’anni. L’account, la coppia creativa,
a volte, ma non sempre,
uno strategic planner.
Recentemente sono stato invitato da un amico a fare un intervento in una quinta elementare per spiegare cosa è la pubblicità.
Diligentemente e anche un po’ divertito,
sono andato a parlare ai frugoli di questa
classe di provincia. Non mi hanno certo meravigliato quando, intervistati da me hanno
ammesso di trascorrere la maggior parte del
loro tempo non davanti alla televisione, ma
al computer. Quali siti navighino è meglio
non indagare…
E noi facciamo spot, pagine pubblicitarie, azioni di direct marketing, siti, comunicati
radio. Secondo me c’è qualcosa che non va.
Il web ad esempio non ha molto senso se è
privo di contenuti dinamici e non è costante-
mente monitorato, se i dati che è in grado
di fornire non sono analizzati e impiegati.
Sempre cattivo come sono mi chiedo
“quanti dei nostri siti sono up-to-date?”
Alla faccia del terziario avanzato.
I clienti confusi e furbetti fanno gare a sproposito, incontrano decine di agenzie o
pseudo-tali e non sempre hanno gli strumenti per scegliere. I più “pelo-sullo-stomaco-dotati” rubacchiano qua e là, promettono, non fanno contratti, sfruttano giovani di belle speranze che vanno ad alimentare un sottobosco che non può investire in qualità e cultura e che esaurite le
capacità date dalla freschezza perde la spinta propulsiva e l’appeal. E’ una guerra insana. Essendo ovviamente inutile e masochista confrontarsi con i troppo piccoli e con le
multinazionali, dobbiamo cercare una via
nuova per le nostre agenzie.
Credo fermamente che la strada da seguire
sia quella della conoscenza. Sempre più società di consulenza e sempre meno agenzie
a servizio completo. Che senso ha oggi offrire ai clienti un “prodotto” quando basta
un click sul web per avere sulla scrivania le
migliori offerte di specialisti più competitivi
e attrezzati?
Come per le aziende, anche per le società di
servizio come le nostre è in via di afferma-
zione una distinzione netta tra società molto grandi e organizzate (treno che l’Italia ha
abbondantemente perso) e strutture specializzate e capaci di fornire valore.
Per acquistare servizi di comunicazione, le
aziende hanno scoperto che conviene assumere (sottopagandole) delle giovani laureate in scienze della comunicazione, da usare
come segretarie di produzione tout-court.
Non so voi, ma io non ho nessuna intenzione
di mettermi in discussione sul prezzo di un
flyer. Unicom in questa battaglia ci sta
dando notevoli ausili, a mio avviso. Essere
crocevia di informazioni, ascoltare Rullani,
confrontarci su questi
temi, incontrarci come
sta avvenendo, è il modo migliore che si possa
avere per cercare soluzioni innovative per le
nostre aziende.
L’agenzia come
laboratorio di ricerca
L’agenzia che immagino nel mio futuro è un
laboratorio di ricerca
creativa. Un luogo aperto e frequentato
non solo da fornitori,
ma da clienti, intellettuali, docenti universitari, giovani, artisti, tecnologi. Quelli che si
chiamano oggi knowledge workers e che
sempre di più animeranno il panorama non
solo delle agenzie, ma
delle aziende.
E se non siamo i primi a
cercare di rinnovarci,
presto il mercato si
stancherà di noi e cercherà soluzioni alternative, come ad esempio
le tanto vituperate inhouse agency o l’Estero. Non dimentico certo
che alla fine del mese
bisogna emettere fatture e far quadrare i
conti e se penso che sia doveroso rimettersi
in discussione cambiando completamente
approccio, lo faccio con apprensione, perché
si tratta di sperimentare e faticare alla ricerca di una soluzione con rischi o forse certezze
di compiere degli errori di percorso e affrontando costi non indifferenti.
Il futuro non è certo in discesa, ma a mio parere è estremamente stimolante. A questo
punto i più maligni penseranno che ho deciso di convertirmi e aprire un bar. A questi
rispondo che solo ciò che si trasforma sopravvive e poi, un po’ di vino fa allegria,
dilata i vasi e fa fluire le idee, quindi, forse
un bar no, ma un frigobar fornito sì!
7 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
IMPRESA
Manager d’agenzia.
Tra ragione
ed emozione
Lavorare in team per migliorare la performance dell’impresa.
Le regole da seguire e le abilità necessarie
per ottenere risultati concreti.
“In una fredda giornata d’inverno un gruppo
di porcospini si rifugia in una grotta e per
proteggersi dal freddo i porcospini si stringono vicini. Ben presto però sentono le spine
reciproche e il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno
di scaldarsi li porta di nuovo ad avvicinarsi si
pungono di nuovo. Ripetono più volte questi
tentativi, sballottati avanti e indietro tra due
mali, finchè non trovano quella moderata
distanza reciproca che rappresenta la migliore posizione, quella giusta distanza che consente loro di scaldarsi e nello stesso tempo di
non farsi male reciprocamente”
(Schopenhauer)
Il dibattito sui modelli d’agenzia del futuro e
su nuove formule organizzative è avviato e
lo testimonia anche lo stimolante e appassionato articolo di Sarli in questo stesso numero
della rivista. La ricerca è verso agenzie che
siano aziende innovative, imprese attraenti,
capaci di leggere il contesto di mercato, di
fissare nuove rotte e di riscrivere con coerenza le regole di funzionamento.
L’aspirazione è verso agenzie non imprigionate in asfittici stili da “bottega” e da bottino, ma aperte a visioni originali, energiche,
ben consapevoli di doversi organizzare con
autonomia il proprio futuro e le proprie
responsabilità. Queste prospettive e le risposte organizzative e culturali che ne deriveranno non sono, tra l’altro, in contraddizione
con dimensioni piccole o con modelli artigianali d’agenzia, come rileva anche Sarli.
Qualunque sia il modello organizzativo
d’Agenzia che si vuole costruire, il “lavoro in
squadra” è una delle dinamiche senz’altro da
valorizzare. Perché?
Non solo perché è una necessità operativa,
ma perché può creare valore nell’accelerare i
processi, nell’output qualitativo finale, nella
motivazione delle persone, nell’apprendimento, nel favorire senso di appartenenza.
Quanto viene considerata e sfruttata nelle
agenzie la potenzialità del team, il valore
che può generare? Il mio pensiero va a riunioni un po’ rissose o castigate nella sincerità
8 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
delle opinioni, dove si esprimono individualismi spinti, dove prevale forte competizione,
dove le emozioni hanno il sopravvento.
Oppure penso alla costruzione di piccole roccaforti da espugnare (quella degli account,
dei creativi, degli specialisti del web …) che
rendono poi difficile il lavoro dei team integrati su specifiche campagne e progetti di
comunicazione. E così il talento e l’energia
delle persone, le informazioni e i saperi specifici, si disperdono, si rifugiano in rancore o,
peggio, si esprimono in pigrizia se non addirittura in dispetti tra persone e reparti.
E il lavoro di team diventa quello della staffetta quando va bene o del tennis, dove l’avversario da battere è però il proprio collega.
A quali regole e modelli
è opportuno ispirarsi?
La letteratura si è sprecata attingendo a metafore e riferimenti dal mondo sportivo (e il
calcio è diverso dal basket che è diverso dalla
pallavolo …), dalle orchestre sinfoniche o di
musica jazz, dalle cucine dei ristoranti di fama, dalla barca a vela o dalle squadre dei
pompieri e del pronto soccorso …
Mantenere alto il “gioco di squadra” è uno
degli esercizi più difficili dei manager d’agenzia, perché il campo da gioco è tra i più
complessi ed esigenti, il campionato esterno
cui si partecipa è molto competitivo, lo spogliatoio difficile da gestire soprattutto quando ci sono dei talenti.
Essere un buon “team leader” richiede sensibilità e capacità manageriali piuttosto avanzate. Senza pretendere di individuare soluzioni o riferimenti assoluti, riporto alcune
considerazioni sul teamworking per consentire un confronto con le pratiche operative
adottate.
La prima regola da osservare è avere consapevolezza del ruolo che si intende ricoprire
nei diversi progetti: “dentro la squadra”, come partecipante del team di lavoro, o “fuori
dalla squadra”, come coach o, addirittura presidente, che guida, sostiene, dà indicazioni?
Spesso, la non consapevolezza della propria
posizione nei vari progetti, fa giocare brutti
tiri e crea ambiguità, genera insofferenza di
fronte a indicazioni e suggerimenti che non
si sa se interpretare come direttivi o come
contributi al dialogo. Spesso, l’ambiguità dei
ruoli genera dissidio interno, non favorisce l’
armonia, e porta a situazioni come quella
descritta da Giampaolo Montali, mitico allenatore del nostro Volley: “Ho visto squadre
vincere contro l’allenatore, contro la Società,
contro la stampa. Non ho mai visto squadre
vincere quando i giocatori sono l’uno contro
l’altro”.
Qualche appunto di base su tre aspetti del
funzionamento del lavoro di squadra possono servire per prendere le misure dei
momenti delicati di gestione del proprio
gruppo di lavoro.
“Ragione ed emozione”
La dinamica dei team è articolata costantemente attorno a due dimensioni. La prima
riguarda la coesione “affettiva”, ovvero l’attrazione degli aspetti emotivi, di relazione
ed è quella che regola i giochi di differenziazione, di dipendenza, di fuga, di attacco, di
distacco… E’ la dimensione sociale, continuamente in bilico tra la difesa della identità
personale (e la paura di perdere la propria
soggettività) e la ricerca della protezione e
del sostegno del gruppo. E’ la realtà più
implicita delle squadre, quella più difficile da
conoscere e da alimentare, ma è quella che,
alla fine, fa la differenza fra un team di lavoro ed una altro.
La seconda dimensione riguarda l’integrazione “operativa”, ovvero la sfera più razionale
degli scopi comuni, dei processi e delle regole, dei ruoli, della gestione delle risorse e
delle informazioni.
Ciascuno di noi ha provato sulla propria pelle
quanto la dimensione “emotiva” e quella
“razionale” siano interconnesse e quanto si
influenzino reciprocamente: lo sperimentiamo durante le fasi di progettazione di una
campagna, scoprendo che a volte le incomprensioni e gli scontri si possono risolvere
agendo sull’una o sull’altra dimensione,
secondo i momenti, i team, le fasi di raccordo. Un buon team leader è colui che sa presidiare ed attingere ad entrambe le dimensioni, dosando gli ingredienti processuali e
quelli relazionali con sensibilità e rassicurazione.
“Le fasi del team”
Chi è parte di un team (o deve guidarlo) deve
anche avere la sensibilità di capire in quale
fase di “maturità” e di coesione si trova la
squadra, per poter intervenire e agire nei
modi più opportuni e per guidarla alla fase
di crescita successiva.
Sono quattro le fasi di costituzione di una
squadra:
“Forming”. E’ il primo momento di formazione in cui avviene lo scambio delle prime
impressioni e delle aspettative di ruolo. La
domanda di base è: “perché sono qui, chi
condurrà la squadra, come e dove saremo
Guido Nanni - [email protected]
portati?” Di conseguenza, le principali manifestazioni sono collegate, ad esempio, al
desiderio di partecipare ma con passi cauti,
alla prudente esplorazione dei comportamenti, alla tendenza ad isolarsi, all’ ansia e
al sospetto riguardo i compiti che saranno
assegnati.
“Storming”. E’ il momento in cui ci si confronta su obiettivi, comportamenti, responsabilità, ruoli. Sorge già l’ impazienza verso i
risultati. L’attitudine prevalente è a pensare
a se stessi e a focalizzarsi sui propri compiti.
Ne deriva competizione e confronto, banalizzazione e resistenza agli obiettivi assegnati. E’ la fase in cui si formano le diverse leadership, con la legittimazione o l’imposizione di uno o più membri sugli altri.
“Norming”. Adesso si condividono informazioni e regole, si trova l’ accordo su processi
e standard da raggiungere. Dalla competizione si passa alla cooperazione, con fiducia
nel superamento dei problemi. La comunicazione è aperta e trasparente, la coesione
forte, esiste negoziazione e armonia di
gruppo.
“Performing”. Se si è arrivati in questa fase,
il team opera con efficacia ed efficienza, verso un problem solving congiunto, con una
leadership condivisa. C’è convergenza sugli
obiettivi, chiarezza e condivisione nella missione, negli obiettivi, nelle regole e nelle
aspettative di prestazione. Il clima è collaborativo e produttivo, la comunicazione fondata sulle priorità e i risultati, c’è attenzione
ai punti di forza e di debolezza dei compagni di squadra.
Pensando ad alcune esperienze personali,
posso dire che la fretta e il desiderio di agire
come se si fosse già nella quarta fase di lavoro, mi hanno a volte fatto saltare passaggi e
fasi di teamworking che non si possono evitare e mi hanno impedito di considerare che
le persone non arrivano contemporaneamente alla stessa “maturità” e coesione di
squadra.
“La polarizzazione”
Un altro fenomeno tipico del lavoro in squadra è la polarizzazione verso le posizioni dominanti, verso le abitudini consolidate, verso
le procedure e i comportamenti che in altre
situazioni si sono dimostrati efficaci.
Questa dinamica rischia di consolidare la
“conservazione” e, a volte, la chiusura totale del team con la propria autocelebrazione
(“groupthink”).
Che fare in questi casi? Occorre bilanciare stimolando comportamenti opposti: ad esempio, aumentare o diminuire le discussioni, pretendere più informazioni o ridurle,
stringere scadenze o dare più tempo, ridurre
risorse o aumentarle, dare maggior sostegno
emotivo o essere più rigidi nel processo …
A volte ciò si può ottenere modificando la
struttura del team, cambiando le coppie
creative, inserendo persone giovani in team
“senior” (o viceversa) ecc.
Quattro punti cardinali
Ed ora, un sintetico elenco di 4 punti cardinali di riferimento dei team, in base ai quali
i gruppi si formano e si consolidano: consideratelo come veloce “cruscotto” per valutare cosa controllare e cosa regolare durante i processi del teamworking.
• Obiettivo.
Deve essere chiaro e condiviso il risultato da
raggiungere, in tutte le sue dimensioni e
sfumature: in quali tempi, con quali standard qualitativi, le priorità e i dettagli, con
quale carica e attribuzione emotiva, quali
forme di misurazione. In molti progetti d’agenzia mi è capitato di scoprire a metà del
percorso che le varie persone coinvolte avevano in mente obiettivi diversi. E ognuno,combatteva con energia e buona fede
per raggiungere il proprio. Ma dell’obiettivo
comune del team di lavoro, ahimè, se ne
parla spesso alla fine, quando ormai il livello
di tensione e conflitto è superato. A voi non
è mai capitato?
• Regole.
Riguardano i processi, i comportamenti, le
funzioni interne. Devono essere il più esplicite possibile, condivise e rispettate. Regolamentano il buon funzionamento del team
e tutti vi si devono adeguare. Evitano il parassitismo, i “portoghesi” del gruppo, i ricorso a facili autorità esterne e aiutano il team
ad autoregolamentarsi.
• Cultura.
E’ fondamentale aiutare il team a individuare e dichiarare i valori di base attorno a cui
aggregarsi come riferimento di ogni decisione e iniziativa del progetto di lavoro. Sono
quattro le culture di base cui possono orientarsi i team, tutte valide e funzionali secondo i progetti da affrontare: la cultura del
“potere”, del “risultato”, della “burocrazia”, delle “persone”.
I problemi nascono quando i membri di uno
stesso team si muovono con culture diverse:
chi orientato alle norme, chi alla risultato a
tutti costi, chi valorizza lo star bene assieme,
che preferisci prevaricare e ottenere consenso personale…
• Ruoli e processi.
In un team vanno dichiarate aspettative e
responsabilità individuali, modalità della
presa di decisione, metodi e scadenze, risorse a disposizione, processi di lavoro, scelte
tattiche e strategiche. Pensate ad una squadra sportiva (calcio, pallavolo, basket): come
funzionerebbe in campo senza questi chiarimenti? Pensate alla vostra agenzia: come
funzionerebbe senza brief, strategie, timing,
meeting report, progress ecc.?
Ma nelle giornate caotiche e nella pressione
costante del lavoro d’agenzia, nei timing
che saltano, negli imprevisti e nelle sollecitazioni costanti, nella preparazione diversa
delle persone, come è possibile mantenere
alto lo “spirito” di squadra, l’appartenenza,
l’energia e la convinzione?
Sei abilità fondamentali
La “chimica” dei team non ha ricette algebriche, ma in ogni gruppo è importante calibrare e sollecitare almeno queste sei abilità:
• La coscienza. E’ la dimensione dell’identità
e della consapevolezza di essere “squadra”
• La coesione. Ovvero il senso dell’appartenenza, la capacità di essere “leali” in ogni
situazione.
• La comunicazione. La complessa capacità
di condividere informazioni, esprimere opinioni, costruire relazioni.
• L’ innovazione. Per mantenere alta la tensione verso la ricerca di soluzioni originali.
• La competenza. Che impone aggiornamento costante e lo sforzo di essere i migliori.
• Il clima. Positivo, aperto, con la certezza
della fiducia reciproca.
L’osservazione iniziale di Schopenhauer sui
porcospini che si avvicinano e si allontanano
tra loro è compatibile con tante situazioni
d’Agenzia.
Una affermazione di Eric Berne è altrettanto d’aiuto per capire la ricchezza di un team,
la complessità e la varietà delle situazioni, il
movimento e i cambiamenti continui all’interno dei team, la difficoltà di dominare e
guidare una squadra, le paure di accettare
diversità e contrasti: “Per capire ciò che accade nei gruppi occorre pensarli come una
unica persona”.
E adesso, in campo!
Guido Nanni
[email protected]
Guido Nanni ha lavorato in aziende
(Henkel, ABB) e in agenzie di pubblicità
nazionali e internazionali (Grey, BBDO, BGS
D’Arcy) in ruoli direttivi. Da cinque anni è
consulente (Newton, Gramma). Oggi, con la
società Platypus, di cui è partner, conduce
progetti di sviluppo organizzativo e di formazione alle persone e ai team. E’ responsabile di un corso sul Branding presso il
CFMT (Centro Formazione Terziario avanzato).
Collabora con l’Università di Bergamo.
9 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
IL MESTIERE DI COMUNICARE
Pubblici esercizi.
E’ ora di comunicare
Con la crescente liberalizzazione del commercio
chiunque abbia un locale o un negozio
non può più sottrarsi all’esigenza di comunicare.
Ma prima ancora è necessario un continuo e approfondito
“esame di coscienza” di marketing
al fine di mettere in campo strategie corrette
e coerenti con i reali obiettivi dell’impresa.
Alessandro Colesanti
Qualche anno fa, un noto e storico ristorante
contattò la mia agenzia per fare della pubblicità. Il titolare mi disse di essersi orientato in
tal senso dovendo recuperare coperti e giro
d’affari diminuiti di oltre un terzo a seguito
del ridimensionamento degli inviti di rappresentanza di una grande azienda che era stata
per lungo tempo abituale cliente del suo locale.
Quasi subito tuttavia ebbi a scontrarmi con la
convinzione di questo titolare che per ottenere i risultati desiderati fossero sufficienti un
avviso graficamente piacevole ed elegante e
poche uscite di piccolo formato sul quotidiano
cittadino.
Tentai invano di insinuargli il dubbio che prima di pensare alla pubblicità avrebbe dovuto
riflettere sul posizionamento e sull’offerta del
suo locale e valutare come eventualmente adattarli/modificarli alla luce della nuova situazione venutasi a creare, delle tendenze del
mercato della ristorazione e della necessità di
attrarre nuova clientela.
Gli feci anche presente che per vedere dei
risultati sarebbe poi servita una pressione
pubblicitaria ben maggiore di quella che lui
aveva in mente.
Finimmo presto ai ferri corti, il rapporto si interruppe dopo un paio di incontri e la pubbli-
10 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
cità di quel prestigioso ristorante non ha visto
mai la luce.
Mi sono ricordato di questa mia esperienza
professionale - tutto sommato di poco conto e
che avevo quasi dimenticato - perché è esemplare delle problematiche che accomunano
oggi qualsiasi tipo di “commercio”, locale,
negozio o punto vendita che non appartenga
a grandi catene o alla GDO che rappresentano
un caso a parte.
A ritornare sull’argomento me lo hanno suggerito anche le tante pubblicità prive di spessore che vedo sui giornali e i cambiamenti
sempre più frequenti e talvolta radicali negli
atteggiamenti e nei comportamenti dei consumatori che impattano sul commercio cui la
crescente liberalizzazione toglie difese e rendite di posizione. Inoltre, dovendo misurarsi
con una realtà così complessa e in continuo
movimento, diventa più che mai difficile avvalersi in modo efficace di qualsiasi forma o strumento di comunicazione o promozione senza
aver prima analizzato la domanda di mercato
e individuato come soddisfarla.
Per poter far questo occorre guardare alle
cose da un punto di vista di marketing, il che
significa:
• documentarsi sulle tendenze di mercato nel
settore specifico in cui si opera in termini di
esigenze, gusti e format di offerta ed estetico;
• individuare la propria vocazione ottimale in
base all’insieme delle caratteristiche possedute (storia, tipologia, ubicazione, giro d’affari, know how, immagine, clientela, concorrenza sia diretta che indiretta e, non ultimi,
obiettivi di sviluppo);
• definire sulla scorta di quanto sopra posizionamento, identità e offerta;
• effettuare un accurato benchmarking prendendo a riferimento operatori similari;
• applicare infine le scelte strategiche fatte a
tutte le proprie azioni con il massimo di coerenza.
Solo dopo aver provveduto con acume e almeno un pizzico di creatività a queste scelte di
fondo risulterà possibile stabilire l’uso da fare
della comunicazione e deciderne immagine,
messaggi, mezzi e, naturalmente, investimenti. Può sembrare teorico ma non lo è affatto.
Se restiamo all’esempio della ristorazione, negli ultimi anni abbiamo assistito a molti cambiamenti nelle abitudini del pubblico e alla
nascita di nuovi modelli e format di locali.
Sono realtà con le quali è giocoforza per tutti
confrontarsi perché ne va della sopravvivenza.
Ma si tratta anche di opportunità che si aprono e che gli operatori più attenti e intraprendenti possono sfruttare per consolidare o rilanciare la loro attività indirizzandola meglio.
Non molto tempo fa uno studioso ha annunciato la nascita di un nuovo gruppo di consumatori che, più che possedere o donare cose,
desiderano collezionare o regalare esperienze
che soddisfano l’istinto di ricerca della varietà.
Persone siffatte sicuramente scelgono i locali
dove andare non a caso bensì sulla scorta
della percezione che ne hanno.
E qui sta il punto. Svanito il mito del target
con comportamento predeterminabile, lo
stesso cliente può orientare le proprie scelte in
momenti diversi in direzioni assolutamente
differenti.
Ne consegue che, anche senza tirare in ballo i
soliti trendsetter spesso autoreferenziali, oggi
e ancora di più in futuro qualsiasi esercizio
aperto al pubblico difficilmente potrà rinunciare ad avere una fisionomia ed una personalità ben precise.
Questo non vuol dire - si badi bene - che c’è
posto solo per i ristoranti accreditati dalle 3-4
guide più affermate, per pochi caffè storici o
per quei locali che si ispirano alle mode del
momento. Significa che un locale deve avere
sempre un ruolo nella sua categoria e una
serie di attributi che i potenziali clienti possano riconoscergli e giudicare come positivi.
Ne è dimostrazione, nel caso della ristorazione, il proliferare di articoli, rubriche e pubblicazioni che selezionano ristoranti, trattorie,
pizzerie, wine bar, osterie per tutte le esigenze e per tutti i gusti.
I fattori presi in considerazione sono tantissimi, ma proprio per questo consentono ai diversi tipi di consumatori di trovare i locali più
vicini ai loro desideri.
Nella città dove vivo, ad esempio, da un paio
di anni sono nate delle pizzerie che con una
formula astuta fatta di prezzi contenuti, qualità e valori aggiunti hanno sottratto il business del pranzo a molti dei bar circostanti.
Grande o piccolo, elegante o semplice, costoso od economico, di città o di provincia, per
giovani o per meno giovani (le categorie possono essere infinite), l’importante è che il locale abbia una sua funzione e una sua identità.
Pare ovvio ma non lo è dal momento che,
andando in giro per l’Italia, è frequente im-
battersi in tante attività commerciali dei più
vari generi che non hanno, almeno apparentemente, ragioni per esistere.
Il titolare di un locale farebbe bene a chiedersi periodicamente “perché i clienti vengono o
dovrebbero venire da me?”. Una domanda a
cui dovrebbe augurarsi di poter rispondere
sempre positivamente o almeno ancora in
tempo per correre ai ripari.
Certamente affrontare e cercare di risolvere le
problematiche di marketing di un locale può
essere un impegno anche molto gravoso per il
titolare. Ma merita farsene carico, magari an-
che ricorrendo all’aiuto di consulenti, perché
ripaga almeno due volte.
Una prima volta perché permette di capire e
decidere come può ottimizzare la propria presenza sul mercato mettendo a confronto le
tendenze in atto di quest’ultimo con le caratteristiche e le potenzialità del locale.
Una seconda volta perché gli consente di rendersi conto quanto e come la comunicazione
può essergli di aiuto e, conseguentemente, di
orientarne le eventuali attività in modo finalizzato e corretto per il suo business. In molti
casi non si potrà parlare di vere e proprie campagne pubblicitarie ma le strade percorribili
nel comunicare sono comunque così tante da
mettere chiunque nella possibilità di trovare
la propria.
A condizione, naturalmente, di usare buon
senso e di farsi consigliare bene. E questo vale
per i locali della ristorazione, ma anche per esercizi, negozi e punti vendita retail di ogni
tipo. Perché oggi ogni imprenditore del commercio non può fare a meno di essere, anche
se “in miniatura”, lo strategic planner del proprio business.
Alessandro Colesanti
[email protected]
11 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
IL MESTIERE DI COMUNICARE
Comunicazione
interna.
Per gestire
il cambiamento
L’impresa che punta all’eccellenza deve saper innovare
il rapporto e la relazione con le risorse umane se vuole operare
nell’ottica dell’economia della conoscenza.
In questo contesto la comunicazione interna
diventa un fattore strategico di successo.
I profondi mutamenti avvenuti a livello globale a partire dai primi anni novanta hanno
influito drasticamente nella vita quotidiana
delle imprese. Crisi geopolitiche internazionali, instabilità economica, sviluppo di nuove
tecnologie hanno costretto le aziende a rivedere il proprio modello di business e a ripensare processi e strumenti organizzativi.
Il paradigma della società post-industriale –
fondato sulla centralità dell’immateriale, sull’allungamento della vita media, sulla destrutturazione del tempo e dello spazio, sull’emergere di nuovi valori e nuovi soggetti
sociali, sull’ibridazione tra studio, lavoro e
tempo libero – ha trovato piena realizzazione con l’inizio del nuovo millennio.
Le conseguenze di tali ingenti cambiamenti
si manifestano non solo nella relazione tra
l’impresa e i suoi interlocutori, ma anche
nella stessa identità delle organizzazioni,
divenute vere e proprie comunità in continuo mutamento, luoghi della pluralità e
della complessità. E insieme alle organizzazioni sono cambiati gli individui, chiamati a
giocare contemporaneamente più ruoli, a
convivere con una continua ridefinizione dei
punti di riferimento, a vivere un nuovo rapporto con l’impresa, in cui vita privata e lavoro vanno mescolandosi sempre più.
In questo clima d’incertezza e ambiguità cresce il bisogno di riconoscersi nelle organizzazioni, aumenta la domanda di “umanità”,
benessere ed appartenenza a un sistema di
valori condiviso e riconoscibile. È in questo
scenario che la comunicazione interna è chiamata ad intervenire, per interpretare e gestire il nuovo rapporto individuo-organizzazione.
L’analisi e la comprensione del contesto stori-
12 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
co e sociale consentono di superare una concezione datata di comunicazione interna.
Ai tempi di Ford e Taylor, la principale finalità della comunicazione era quella di trasferire informazioni tecniche e di rinforzare il
sistema gerarchico all’interno dell’organizzazione. Da allora, la comunicazione interna si
è evoluta, diventando uno strumento di crescita tecnica e professionale, oltre che sociale
e privata dell’individuo ma anche un importante veicolo di soddisfazione di specifici
bisogni interni e di integrazione tra funzioni
organizzative.
Oggi la comunicazione interna riveste sempre più un ruolo strategico di orientamento,
di integrazione culturale, di condivisione di
un’identità comune fondata su valori dichiarati e agiti, su una missione ispirata da una
visione del mercato e della società. In questa
sua nuova accezione, la comunicazione interna aspira ad avere un preciso mandato e a
operare entro confini delimitati e con una
specifica collocazione all’interno nell’organizzazione.
I fattori di eccellenza
Nella pratica delle organizzazioni, la comunicazione interna trova applicazioni molto differenti le une dalle altre, in funzione delle
dimensioni dell’impresa, del settore d’appartenenza, della cultura aziendale. Ciò nonostante, l’evoluzione degli studi teorici e il
consolidamento delle esperienze sul campo,
consentono di identificare una serie di elementi che dovrebbe contraddistinguere la
comunicazione interna di ogni organizzazione.
1. La dimensione strategica
Il ruolo della comunicazione interna è anzi-
tutto strategico ed è legato alla necessità di
dare il senso della rotta, di garantire un
orientamento comune delle risorse, di mantenere salda l’identità aziendale. In questo
senso, la comunicazione partecipa alla definizione della strategia, contribuendo a definire e diffondere gli orientamenti profondi
d’impresa (Filosofia, Valori, Cultura).
2. L’intervento su specifiche aree d’impatto
Oltre alla dimensione strategica e d’indirizzo, la comunicazione interna presidia diverse
altre aree d’impatto: raccoglie e diffonde le
informazioni sull’andamento generale dell’organizzazione (“la Cronaca”); supporta i
processi produttivi, diffonde i contenuti indispensabili allo svolgimento del lavoro, promuove la crescita professionale (“la Conoscenza”); svolge una funzione socio-relazionale, motivazionale e di ascolto, supporta il
senso di appartenenza, analizza il clima,
favorisce l’integrazione tra culture all’interno dell’organizzazione (“la Comunità”).
3. La segmentazione dei destinatari
Come accade per la comunicazione esterna, è
indispensabile effettuare un’attenta segmentazione dei destinatari, ovvero individuare le diverse esigenze di comunicazione
interna e predisporre dei contenuti ad esse
adeguati. L’attenzione dedicata alle diverse
tipologie di destinatari (manager, impiegati,
operai, ecc.) è un indicatore molto efficace
del modello di comunicazione sposato dall’organizzazione e del grado di coinvolgimento richiesto ai dipendenti.
4. La differenziazione degli strumenti
La selezione degli strumenti di comunicazione interna dovrebbe essere la logica conseguenza degli obiettivi che l’azienda si dà e
dei destinatari che vuole raggiungere. Ai più
tradizionali strumenti cartacei (House Organ,
monografie), si affiancano strumenti face-toface (rapporto one-to-one, seminari, eventi,
ecc.) – che costituiscono la parte più “viva”
della relazione all’interno dell’azienda – e
strumenti elettronici (e-mail, forum di discussione, intranet) – divenuti importanti luoghi
di scambio e confronto, intorno ai quali si
costruisce la “comunità”.
Un ruolo importante è giocato dalla capacità
dell’azienda d’inventare strumenti originali,
costruiti ad hoc sulle esigenze dei propri interlocutori.
In questa direzione vanno i network relazionali e gli esperimenti di storytelling che bene
si adattano alle specificità di ogni organizzazione.
5. L’ascolto e il monitoraggio dei risultati
Il buon andamento delle politiche di comunicazione interna deve essere monitorato, predisponendo ricerche sulle esigenze e i bisogni di comunicazione e verificando periodicamente il livello di utilizzo – sia quantitativo
che qualitativo – degli strumenti e il livello di
Claudio Avallone - [email protected]
gradimento/soddisfazione delle azioni intraprese. Per questo è indispensabile realizzare
un sistema di auditing, che consenta di
costruire “uno storico” del successo raggiunto e di intervenire per migliorare l’impatto e
l’efficacia delle attività organizzate.
Verso una struttura organizzativa a rete
L’ampio spettro di funzionalità rivestite dalla
comunicazione interna rende spesso difficile
la collocazione formale di quest’ultima all’interno dell’architettura organizzativa. In
molte aziende questa funzione dipende dalla Direzione del Personale o dalla Direzione
Marketing; in altre è inserita all’interno delle
Relazioni Esterne, della Comunicazione Istituzionale o della Direzione Generale. Qualunque essa sia, la collocazione è un indicatore dell’importanza attribuita alla comunicazione, del ruolo concreto che essa svolge e
della cultura tipica dell’organizzazione in cui
opera.
La comunicazione interna ha acquisito negli
ultimi anni un’importanza strategica che va
oltre la gestione delle risorse umane e interessa, più in generale, il funzionamento dell’intera organizzazione. Essa, infatti, è divenuta una funzione trasversale con una propria identità specifica, al servizio di tutte le
componenti aziendali, dalle risorse umane al
marketing, dall’information technology al
controllo qualità ecc.
In quest’ottica, sarebbe auspicabile ripensare
il modello organizzativo di tipo funzionale,
fondato su una ripartizione rigida delle funzioni, a favore di una struttura di governan-
ce più flessibile, decentrata e di tipo reticolare. Infatti, pur riconoscendo alla comunicazione interna una collocazione formale specifica, sarebbe opportuno pensare a un sistema di gestione di questa leva organizzato
per livelli: un comitato di manager di tutte le
funzioni che definisca le linee guida strategiche, espliciti gli obiettivi e verifichi i risultati
raggiunti; uno staff coordinato da un
responsabile di funzione che programmi e
coordini a livello globale le attività, gestisca i
contenuti e gli strumenti; una linea manageriale protagonista dello sviluppo e della
gestione sul campo delle attività previste;
una rete di referenti locali con il compito di
analizzare i bisogni, coordinare localmente
le attività, verificare il rispetto dei processi.
L’approccio integrato e aperto
Parlando di comunicazione interna non possiamo non fare riferimento al rapporto che
questa ha o dovrebbe avere con la comunicazione esterna. Da molti anni si parla di
“comunicazione integrata”, facendo riferimento alla necessità che tutte le organizzazioni hanno di gestire i propri interventi di
comunicazione secondo una prospettiva di
lungo periodo, con una strategia concreta
che “tenga insieme” tutte le attività, le coordini, eliminando incoerenze e sovrapposizioni. In questo senso, l’impegno di molte aziende e pubbliche amministrazioni è forte. E,
con stupore di molti, proprio nelle amministrazioni locali, negli ultimi anni, abbiamo
assistito a una forte propulsione alla sperimentazione e all’innovazione nei sistemi di
gestione e sviluppo della comunicazione (si
veda il “Programma Cantieri” del Dipartimento della Funzione Pubblica).
Fino a poco tempo fa, e in buona misura ancora oggi, le diverse espressioni della comunicazione interna sono rimaste nascoste nei
meandri delle organizzazioni, preoccupate
di non mostrare i propri “esperimenti” all’esterno o semplicemente inconsapevoli del
potenziale che questi avrebbero potuto avere all’esterno. In un’ottica di comunicazione
integrata o, come dice qualcuno, di Total
Business Communication, la comunicazione
interna diventa elemento di comunicazione
esterna e viceversa.
In un contesto pieno di contaminazioni e
“liquido” come quello attuale, mostrare i
propri successi interni costituisce un’ulteriore
occasione di visibilità.
In un futuro che speriamo non troppo lontano, le organizzazioni costruiranno dei veri e
propri laboratori della comunicazione, integrando le risorse umane, le attività, gli strumenti utilizzati per comunicare ai propri dipendenti piuttosto che ai consumatori, agli
azionisti, ai fornitori, ai concorrenti, alla
stampa, alle istituzioni, all’intera opinione
pubblica.
È quanto sta accadendo nelle aziende che
credono nell’innovazione e che concepiscono
la comunicazione come un prezioso strumento per gestire la complessità e governare il
cambiamento.
Claudio Avallone
[email protected]
13 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
ATTUALITA’
Fuorisalone.
Un’iniziativa
che rinnova la città
terali, fenomeni che vanno ben oltre la presentazione delle collezioni in spazi alternativi, ma assumono l’aspetto di veri e propri
party all’insegna dell’originalità e della
provocazione.
A contribuire alla nascita del Fuori Salone
sono alcune delle grandi case del settore,
come Driade, Cappellini e De Padova, poiché
sono le prime a scegliere i grandi showroom
o gli spazi alternativi per presentare le loro
collezioni in modo più libero e prestigioso.
Nei giorni dedicati al Salone del Mobile,
Milano si è trasformata in un grande palcoscenico del design
che ha coinvolto e trasformato interi quartieri.
Vecchi cortili e spazi talvolta degradati
sono tornati a nuova vita, trasformandosi in atelier
dove giovani talenti hanno potuto mettersi in mostra
e presentare le loro idee.
Ua grande occasione
per i giovani talenti
Un altro importante contributo viene, all’inizio degli anni ’90, dai giovani designerimprenditori, che apportano non solo novità
nei prodotti ma anche nel modo di comunicarli. Grazie al prestigio che la Fiera milanese
aveva assunto, infatti, sono sempre più giovani designer provenienti da tutto il mondo
(in particolare dal nord Europa) pronti a
tentare il difficile mercato italiano.
Ma arrivati a Milano, in molti si rendono
conto di quanto sia costoso e competitivo
poter usufruire di uno spazio in Fiera: è così
che una buona parte di loro decide di occupare luoghi alternativi nel centro di Milano,
approfittando della libertà creativa che
questo avrebbe necessariamente favorito.
La rivista “Interni”, come già abbiamo anticipato, si è accorta fin dai primi tempi delle
potenzialità del fenomeno, assumendo da
subito il ruolo attivo di coordinatrice del
fenomeno.
Dal 1992, Interni crea un allegato speciale al
numero di Aprile, una guida agli avvenimenti esterni: eventi, vernissage, feste in programmo per tutta la settimana del design.
La prima guida comprendeva circa 50 eventi,
Dal 18 al 23 aprile, la città di Milano si è trasformata, è diventata qualcosa di diverso dal
solito: cosmopolita, giovane, rinnovata. Una
nuova linfa scorreva per le strade intasate da
un traffico nuovo, che ha paralizzato alcune
zone nevralgiche della città (in particolare la
zona Tortona). In questa settimana si è tenuto infatti il Salone del Mobile, uno degli
appuntamenti più importanti della Fiera di
Milano. Ma contemporaneamente si è tenuto anche un altro evento, che negli ultimi
anni ha iniziato a ottenere un’importanza
sempre maggiore fino a raggiungere oggi
dimensioni considerevoli: il Fuorisalone. Di
cosa si tratta? Per capirlo, proviamo a tracciarne un breve profilo storico.
14 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
Una “vecchia” idea che si rinnova
e rivitalizza la città
Il termine Fuori Salone viene coniato dalla
rivista di design “Interni”, che all’inizio degli
anni ’90 edita una guida allegata al numero
di Aprile intitolata, appunto, Guida al Fuori
Salone.
Da questo momento, questo termine verrà
usato per definire l’insieme di eventi che durante la settimana del Salone del Mobile animano l’intera città, un fenomeno al di fuori
degli spazi espositivi canonici della Fiera di
Milano (ecco perché “Fuori”) che nasce già
nei primi anni ’80.
E’ infatti proprio in questo decennio che si
iniziano a svolgere le prime iniziative colla-
Angela d’Amelio - [email protected]
disposti in ordine alfabetico, con una mappa
della città. Da allora, la guida non ha subito
cambiamenti sostanziali, nonostante eventi
ed appuntamenti siano aumentati sensibilmente di numero.
Il fenomeno del Fuori Salone, spontaneo e
autoprodotto, è diventato sempre più forte,
comunicativo e interessante di anno in anno,
portando i discepoli del design a cambiar
rotta e a girare le diverse realtà urbane oltre,
o in alternativa alla Fiera. Dalla seconda
metà degli anni ‘90, nessuna rivista del settore può ormai rinunciare a parlare del Fuori
Salone.
Oggi, la divisione fra gli avvenimenti cosiddetti In e Off Salone è talmente sottile che i
visitatori da ogni parte del mondo non parlano più di Salone del Mobile di Milano, ma
di Settimana del Design.
Una settimana finalmente diversa dalla solita
logica a cui ci hanno abituati le settimane
della moda, che tanto danno e tanto tolgono
a questa città.
Una settimana dedicata ai giovani creativi,
che hanno dato nuova vita a tutti gli angoli
di questa città così seria e l’hanno resa un po’
meno grigia, mostrandoci finalmente come
potrebbe essere sempre, se solo lo volessimo.
Angela D’Amelio
15 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
DIRITTO E COMUNICAZIONE
Tra birra
e champagne
E’ lecita la comparazione tra un prodotto
a denominazione d’origine con uno che ne è privo?
La Corte di Giustizia Europea si pronuncia
in modo articolato con un’interessante sentenza
che potrebbe risultare utile per contrastare i molti abusi
di cui sono oggetto i prodotti a denominazione d’origine.
La direttiva europea 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE, si occupa di
pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa ed è stata recepita in Italia prima
con il D.Lgs. n. 74/92 e poi trasfusa nel Codice
del consumo.
In particolare, l’art. 3 bis della direttiva dichiara lecita, tra le altre ipotesi, la pubblicità
comparativa che confronti beni o servizi che
soddisfino gli stessi bisogni o si propongano
gli stessi obiettivi e quella che, per prodotti
recanti denominazioni d’origine, si riferisca
in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione.
In questo panorama normativo, la Corte di
Giustizia UE si è trovata a decidere la vertenza nata a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo sopra citato nella causa che vede opporsi il Comité Interprofessionel du Vin de
Champagne (CIVC) e la società francese
Veuve Cliquot Ponsardin alla società belga
De Landtsheer Emmanuel, a proposito delle
pratiche pubblicitarie utilizzate da quest’ultima nel promuovere la birra “Malheur Brut
Réserve”.
Nel 2001 la società belga aveva lanciato sul
mercato la birra Malheur, la Brut Réserve,
appunto, prodotta con un metodo che si ispi-
Riferimenti legislativi
- Direttiva del Consiglio 10 settembre 1984,
84/450/CEE, concernente la pubblicità
ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio del 6 ottobre 1997,
97/55/CE
- Sentenza della Corte di Giustizia, Prima
Sezione, 19 aprile 2007, nel procedimento
C-381/05
18 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
ra a quello di produzione dello champagne,
pubblicizzandola (sulle bottiglie, su dépliant
appesi al collo delle bottiglie, sugli imballaggi) con le seguenti diciture: “Brut Réserve”,
“La prima birra brut al mondo”, “Birra bionda secondo il metodo tradizionale”. Veniva
anche indicato il riferimento a “ReimsFrance” e un richiamo ai vignaioli di Reims e
di Epernay.
Nella presentazione del prodotto veniva utilizzata anche l’espressione “Champagnebier”, al fine di far capire che si trattava di
una birra fabbricata con il metodo champenois. L’originalità della birra veniva vantata
evocando le caratteristiche dello champagne.
Il CIVC e la Veuve Cliquot citavano De Landstsheer dinanzi al Tribunale commerciale di
Nivelles per far cessare l’uso delle diciture ed
il Tribunale ordinava l’interruzione dell’utilizzo delle indicazioni “Methode traditionelle”, della denominazione d’origine
“Champagne”, dell’indicazione d’origine
“Reims-France”, di ogni riferimento ai vignaioli di Reims e di Epernay, al metodo di fabbricazione dello champagne, mentre consentiva l’ uso di diciture quali “Brut”, “Réserve”,
“Brut Réserve”, “La première brut au monde”.
CIVC e Veuve Cliquot interponevano appello
avverso la sentenza, chiedendo la condanna
della società belga anche in relazione all’utilizzo di tali ultimi termini e la Corte di appello di Bruxelles sospendeva il giudizio per sottoporre alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali, relative ad alcuni aspetti
della pubblicità comparativa.
In particolare, la Corte di appello domandava se integrasse una fattispecie di pubblicità
comparativa il messaggio pubblicitario, che
facesse riferimento ad un tipo di prodotto
(come, nel caso di specie, lo champagne), nel
senso che, in tale ipotesi, si alluderebbe a
tutte le imprese che offrono quel tipo di prodotto e che, pertanto, potrebbero sentirsi
identificate.
Anche senza la citazione della marca
la pubblicità può essere comparativa
La Corte di Giustizia precisa che può essere
considerato pubblicità comparativa il riferimento, in un messaggio pubblicitario, a un
tipo di prodotto e non ad un’impresa o a un
prodotto ben determinati, se permette di
identificare concretamente tale impresa o i
beni che essa produce ed è irrilevante, ai fini
del riconoscimento della pubblicità comparativa, che nel messaggio possano identificarsi
un numero più ampio di concorrenti.
Quindi, siamo nell’ambito della pubblicità
comparativa quando una birra si paragoni
genericamente allo champagne.
Perché si abbia comparazione, occorre, però,
che tra gli operatori comparati vi sia un rapporto di concorrenza. Infatti, l’art. 2 della
direttiva 84/450 dice che è comparativa ogni
pubblicità che identifichi, implicitamente o
esplicitamente, un concorrente o i beni o servizi offerti da un concorrente.
Per definizione, le imprese sono concorrenti
quando offrano sul mercato beni o servizi
intercambiabili, cioè beni che soddisfino gli
stessi bisogni o si propongano i medesimi
obiettivi.
Quindi, per valutare il rapporto di concorrenza, occorre considerare i beni o servizi offerti
dall’operatore pubblicitario e, per capire se
essi si trovino in una condizione di sostituibilità reciproca, i giudici nazionali devono
prendere in considerazione lo stato attuale
del mercato, le sue possibili evoluzioni future
nel contesto della libera circolazione delle
merci su scala comunitaria e le nuove potenzialità di sostituzione fra prodotti, che l’intensificazione degli scambi può mettere in
luce.
Secondo la Corte di Giustizia, non ci si può limitare alle abitudini di consumo presenti in
uno Stato membro o in una regione determinata, per misurare il grado di sostituibilità
possibile, perché le abitudini variano nel
tempo e nello spazio e non possono essere
considerate un dato immutabile.
Poiché il territorio comunitario in cui le imprese hanno sede è significativo per l’impresa che cerca di influenzare le scelte di acquisto, mettendo in evidenza i pregi dei propri
prodotti, deve essere esaminato proprio quel
territorio, ai fini di capire il grado di intercambiabilità con i prodotti oggetto di con-
a cura di Fiammetta Malagoli - Consulente legale Unicom
fronto, tenendo comunque conto che le abitudini di consumo variano e le modifiche di
tali abitudini, constatate in uno Stato membro, possono spiegare i loro effetti anche in
altri Stati membri.
La Corte, quindi, ha stabilito che, per valutare l’intercambiabilità dei prodotti e comprendere se tra due imprese sussista un rapporto di concorrenza, si debbano considerare
alcuni elementi: lo stato attuale dei mercati e
delle abitudini di consumo e la loro possibilità di evoluzione; la parte di territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa, ma anche, se è necessario, gli effetti che sul mercato considerato può avere l’evoluzione delle
abitudini di consumo constatate negli altri
Stati membri; le caratteristiche del prodotto
che si intende promuovere e l’immagine che
si intende imprimere a tale prodotto.
L’art. 3 bis della direttiva 84/450, enuncia i
criteri di liceità della pubblicità comparativa
e, tra gli altri, dice che essa è lecita se confronti beni o servizi che soddisfino gli stessi
bisogni o si propongano gli stessi obiettivi.
essere verificata sulla base delle disposizioni
del diritto nazionale o eventualmente comunitario.
In linea di principio, è, quindi, lecita la comparazione tra una birra e lo champagne, purché non contravvenga la normativa nazionale o comunitaria.
L’importanza delle
denominazioni d’origine
L’ultima questione esaminata dalla Corte di
Giustizia è quella che riguarda la liceità o
meno del confronto tra prodotti privi della
denominazione d’origine e prodotti che, invece, ne sono provvisti.
La questione non è di poco conto, dal momento che lo stesso art. 3 bis della direttiva
stabilisce che è lecita la pubblicità comparativa per prodotti recanti denominazione d’origine, alla condizione che si riferisca in ogni
caso a prodotti aventi la stessa denominazione.
Tale disciplina affonda le radici nella necessità di tutelare le denominazioni registrate
contro le pratiche abusive (usurpazione, imitazione o evocazione).
Nel caso in esame, il messaggio rapportava
un prodotto privo di denominazione d’origine (la birra) ad un prodotto che ne è provvisto (lo champagne).
La Corte di Giustizia, ricordando che è
giurisprudenza costante che le condizioni imposte alla pubblicità comparativa devono
interpretarsi nel senso ad essa più favorevole, ha affermato che non ogni raffronto tra
prodotti privi di denominazione d’origine e
prodotti che ne sono provvisti è illecito. Lo è
solo quando tragga indebitamente vantaggio dalla denominazione di origine dei prodotti concorrenti.
Se tutte le altre condizioni di liceità della
pubblicità comparativa sono soddisfatte, una
tutela delle denominazioni di origine che
vietasse categoricamente tale tipo di confronto, sarebbe ingiustificata e non troverebbe fondamento nelle disposizioni della
direttiva.
Fiammetta Malagoli
Questa definizione, però, non è completamente sovrapponibile a quella più sopra riferita, contenuta nell’art. 2 della Direttiva,
che stabilisce essere comparativa la pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da
un concorrente.
Le due definizioni sono certamente molto
simili, ma non si riferiscono esattamente alla
stessa cosa. L’art. 2, infatti, presuppone un
rapporto di concorrenza tra gli operatori, per
verificare il quale è sufficiente capire se i beni
prodotti si trovino, in linea generale, in una
situazione di una certa intercambiabilità,
mentre l’art. 3 bis richiede una valutazione
individuale e concreta dei beni oggetto specifico del confronto, al fine di concludere
eventualmente per una loro effettiva sostituibilità.
In ogni caso, lo stato attuale del mercato, le
sue possibilità di evoluzione futura, le nuove
potenzialità di sostituzione tra prodotti
dovranno essere tenute in considerazione,
così come andranno valutate nella loro evoluzione le abitudini di consumo in un determinato momento ed in un determinato
luogo.
La Corte di Giustizia affronta, poi, un’ulteriore questione, ossia se la pubblicità che faccia
riferimento ad un tipo di prodotto, senza
identificare, come termine di paragone, un
concorrente o un prodotto determinati, sia
lecita e risponde affermativamente.
La liceità di tale pubblicità nel concreto deve
19 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
RESPONSABILITA’ SOCIALE
Una convivenza
responsabile
è possibile.
La pacifica coesistenza non può che realizzarsi all’interno
di una società accogliente ed aperta, fondata sulla fiducia
degli uni verso gli altri e sul rispetto delle norme,
ma non dimentichiamo che la profonda incomprensione
che oggi crea abissali distanze tra gli individui,
ha la sua radice nelle disuguaglianze, nelle privazioni,
nella miseria e nell’oppressione.
Il tempo presente è segnato da una nuova
percezione del concetto di identità: oggi,
nella nostra società, una società complessa,
articolata e in continuo movimento, identità
tradizionale e nuove identità non ancora delineate si confrontano mostrando la fragilità
dei tradizionali sistemi di lettura della realtà
e del contesto sociale.
Non vi è dubbio che la globalizzazione porti
ad affrontare, oltre alle sfide di carattere
economico, le problematiche legate al concetto di identità e, a caduta, le problematiche connesse alla paura di perdere la propria
cultura e la propria identità.
Ciò che chiamiamo globalizzazione - vale a
dire il processo che ha visto realizzarsi la convergenza tra l’ingresso dell’economia di mercato in nuovi paesi, la liberalizzazione dei
commerci internazionali, le tecnologie di trasporto e comunicazione che accorciano le
distanze - ha consentito a livello mondiale
uno sviluppo inaudito e rappresenta il più
grande progresso materiale nella storia dell’umanità.
Metà del pianeta, nell’emisfero Sud dove
ancora è diffusa la povertà, guarda con speranza e ammirazione al decollo di Cina e
India, i due giganti asiatici che hanno conquistato un nuovo benessere per centinaia di
milioni di persone. Un’altra parte del mondo
– soprattutto il vecchio mondo del continente europeo – è percorso invece da paure e
catastrofismi.
Nel pessimismo che pervade l’Europa continentale giocano diversi fattori, veri o immaginari. Cito Federico Rampini che li ha sapientemente messi in luce: c’è una sindrome
del sorpasso che confonde le classifiche rela-
20 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
tive con gli indicatori di ricchezza reale e
genera l’impressione di essere diventati più
poveri; c’è l’effetto della competizione all’interno delle singole comunità nazionali nelle
quali l’urto della concorrenza asiatica si concentra su alcuni settori e su alcune categorie
sociali ed altera i rapporti di forza in favore
dei detentori di capitali e dei consumatori, a
svantaggio della forza lavoro meno qualificata; c’è l’intuizione che il fenomeno della
globalizzazione possa avere un impatto insostenibile sulle risorse naturali e sugli equilibri
ambientali del pianeta; c’è l’interrogativo se
le superpotenze emergenti siano portatrici di
valori di democrazia e diritti umani, o al contrario di un arretramento delle libertà.
E poi c’è la paura, il timore che ci coglie ogni
qualvolta non riconosciamo più ciò che ci era
abituale, ed è una paura strettamente connessa alla percezione della nostra identità e
dei nostri valori di riferimento.
La società della paura
Il sociologo Aldo Bonomi, nel saggio di presentazione del mensile Communitas, illustra
questa nuova società delle paure e ci racconta di come un tempo fossimo abituati al lavoro normato e salariato, ed ora ci dicono che
dobbiamo essere flessibili imprenditori di noi
stessi, fuori e dentro le mura delle organizzazioni produttive; di come fossimo abituati
ad essere accompagnati nella nostra vita da
uno stato-provvidenza: asili, scuole, ospedali
e pensioni erano le parole chiave dei nostri
diritti ed oggi, invece, la forma stato è sempre meno sociale; di come fossimo abituati a
maneggiare il denaro, a risparmiare nei Bot
garantiti dallo Stato e a dialogare con le ban-
che che accompagnavano le economie territoriali, e in pochi anni siamo diventati parco
delle Borse globali.
Ma, soprattutto, il nostro presente, oggi, ci
propone nuove forme di relazioni caratterizzate dalla dimensione della simultaneità.
Nuove relazioni in cui migliaia di persone
condividono il linguaggio della tecnica, della
creatività, delle reti di conoscenze, e competenze che li collegano ad un altrove, ad un
contesto sociale che non possiamo più definire come tradizionale.
Ci troviamo dunque all’interno di uno scenario che ha visto, nel giro di pochi anni, dipanarsi un racconto che va dalla cascina della
famiglia patriarcale al quartiere della città
fordista, sino alla città infinita e alle comunità territoriali delle nuove relazioni, e, nel
lavorare, nel vivere quotidiano, attraversando l’economia, il sociale, la politica, viviamo
in un generale stato di incertezza che minaccia la nostra identità e che, tuttavia, ci stimola a leggere le diversità, a non vedere la cultura ma le culture, conservando la virtù illuministica della critica e dell’autocritica.
La globalizzazione porta sì, infatti, alla nascita di ibridi, di sottoculture, le quali tuttavia,
accanto alle inevitabili criticità, portano alle
società grandi benefici: insieme alle persone
migrano idee e capacità, e i flussi di persone,
merci, finanza, informazioni, culture, nell’atterrare dentro di noi ci collegano a luoghi e
persone una volta irraggiungibili e straniere.
La sfida dei nuovi scenari
Come affrontare questa nuova sfida? A questo punto mi sembra opportuno affrontare i
possibili scenari futuri che sociologi, economisti ed illustri studiosi ci presentano.
Il primo scenario si delinea sullo sfondo della
globalizzazione, nel senso di compressione
spazio/temporale e maggiore intensità degli
scambi culturali. Negli ultimi anni la cultura e
lo stile di vita occidentali hanno innegabilmente mostrato una forte capacità nel
demolire modi di vivere e costumi sociali tradizionali e, rispetto a ciò, alcuni sociologi si
spingono sino a parlare di un generalizzato
fenomeno di omogeneizzazione culturale.
Verso una cultura globale
Siamo in presenza di una sempre maggiore
uniformità ed è sotto gli occhi di tutti come
l’ascesa di una cultura sempre più globale
abbia poi un prezzo in termini di perdita di
identità e di riferimento alla realtà locale.
E’ a questo proposito che Amartya Sen ci ricorda come sull’impero della Coca Cola e di
MTV non tramonti mai il sole.
Paola Gennari Santori - [email protected]
Il secondo scenario si contrappone al primo,
e vede l’affermarsi di forze di resistenza all’intrusione delle forme di cultura globali.
All’interno di questo scenario, paradossalmente, la globalizzazione, vista come processo dell’occidentalizzazione del modo di
vivere, ha attivato un riflesso condizionato
di salvaguardia dell’identità e della specificità culturale. Se, infatti, nel mondo globalizzato di oggi, si versano poche lacrime per
i metodi di produzione soppiantati e le tecnologie superate, nel caso della cultura, invece, la mancanza delle tradizioni perdute
può farsi sentire moltissimo e la scomparsa
di un antico modo di vivere può causare
angoscia e un profondo senso di perdita
legato alla nostra identità.
All’interno di questo scenario, quel che
conta è l’accento posto sulla cultura o sull’identità locali, e se a volte ciò assume la
forma di recupero di lingue pressoché
morte, o conduce al boicottaggio delle multinazionali, dal lato delle minoranze questa
tendenza si traduce nel rifiutare completa-
mente i valori della cultura che li circonda:
alcune persone cercano di continuare a vivere come se si trovassero ancora nel loro paese
natale, sia esso il Punjab, la Turchia piuttosto
che Birmingham o Berlino, come fecero gli
Inglesi in India al tempo dell’impero coloniale.
Globalizzazione e tribalizzazione
L’intellettuale francese Regis Debray sostiene
che, all’interno del processo di mondializzazione gli oggetti si globalizzano e i soggetti
si tribalizzano: così, nella generale incertezza
nei confronti del presente, e ancor più, del
futuro, resta il ritorno alle verità del passato,
e a ciò che il progresso aveva soppiantato, le
radici religiose, etniche, nazionali, e la deriva
di tutto ciò è purtroppo sotto gli occhi d tutti
noi.
L’idea che una qualsiasi parte del mondo sia
autosufficiente dal punto di vista culturale è
profondamente fuorviante, e la tesi secondo
cui le tradizioni vadano conservate pure e
incontaminate è pressoché insostenibile. In
realtà, nel mondo esistono più interrelazioni
e influenze reciproche fra culture di quante
ne riconoscano in genere coloro che vivono
temendo la sovversione culturale.
Spesso coloro che hanno questo timore vedono tutte le culture come formazioni molto
fragili e tendono a sottovalutare la nostra
capacità di imparare dagli stranieri, da chi è
diverso da noi, senza farci travolgere da questa esperienza.
Senza negare l’importanza o l’unicità di ogni
cultura, desidero sottolineare che, di fronte
al problema degli influssi interculturali e
della nostra fondamentale capacità di fruire
dei prodotti di altre civiltà, abbiamo bisogno
di molta onestà intellettuale. La difesa a
oltranza della conservazione e della purezza
dell’identità non deve farci perdere la capacità di intenderci gli uni con gli altri e di utilizzare ciò che è stato creato da culture diverse dalla nostra.
E qui mi ricollego al terzo scenario che è
quello della coesistenza, e alle possibili implicazioni in termini di cultura e di identità.
In merito a ciò, come ho detto, dobbiamo
21 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
RESPONSABILITA’ SOCIALE
conservare la virtù illuministica della critica e
dell’autocritica, e, come ci invita a fare Edgar
Morin, avviare un dialogo permanente tra
passione e ragione, facendo tesoro dell’insegnamento di Rousseau e del Romanticismo
ottocentesco che hanno messo in rilievo le
virtù dell’anima, del cuore, del sentimento.
In ogni cultura, infatti, si incontrano da un
lato conoscenza, sapere e saggezza, dall’altro illusione ed errore: basta saperle individuare e scindere.
Fortunatamente non è raro osservare persone migrate in Europa che passano da una
cultura all’altra, e da un’identità all’altra,
fruendo di ciò che trovano più appropriato
al contesto in cui si trovano, ed è provato che
il passaggio degli individui rappresenti da
sempre un mezzo di diffusione delle innovazioni molto più efficace dell’esportazione di
libri o di altri oggetti: basti pensare al contributo apportato, negli anni Trenta, dalla
diaspora degli ebrei dell’Europa centrale alla
cultura dei paesi ospitanti.
I conflitti sui valori
E’ pur tuttavia vero che, analizzando i problemi di compatibilità culturale, esistono
forse alcune forme di migrazione con cui è
più difficile dialogare rispetto a quelle che
non pongono alcun problema di integrazione né di coesistenza.
Sono quelle che non si integrano nel modo
di concepire il rapporto tra individuo e società e sono quelle che esplicitano il conflitto, il contrasto, non tra due religioni, e mi
riferisco all’Islam e al Cristianesimo, quanto
piuttosto il contrasto tra una visione laica e
una visione teocratica, tra una civiltà laica e
una civiltà teocratica. E’ un conflitto di cui
siamo tutti testimoni e che si innesta su valori e principi che sono imprescindibili per una
società laica.
Affrontando questo problema è importante
non cedere ad una certa emotività di fondo
che ci deriva dall’aver assistito alla tragedia
dell’11 settembre e che porta molti di noi a
chiedersi se la visione di Samuel Huntington
che ci vede attori di un “scontro di civiltà”
non sia realmente in atto.
Le nuove diversità etnico-culturali sono
infatti importanti elementi di sviluppo civile,
ma che possono, al contempo, tradursi in
una fonte di crisi della pacifica convivenza
delle comunità se le Istituzioni nazionali e
locali non pongono in essere, preventivamente, le azioni più opportune nella direzione dei principi di uguaglianza, solidarietà,
sussidiarietà e reciprocità realizzati nella cornice della nostra democrazia costituzionale.
22 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
Le contaminazioni, le convivenze possono e
devono accadere in un quadro che, nel rispetto e nel riconoscimento delle reciproche
differenze, contempli una forma di integrazione etico-politica, una condivisione di quei
valori che sono alla base della società comune in cui viviamo, una società pluralista, laica
e democratica. Tra questi valori, la legalità, la
sicurezza, il rispetto delle regole, la dignità
delle persone, sono quei i valori che vanno
difesi e condivisi all’interno del nuovo contesto sociale.
Guardando al futuro
Se fra vent’anni in Italia la popolazione nata
all’estero sarà di oltre il 10%, e quella occupata sarà nata all’estero per il 25%, ciò che
possiamo fare, per concepire la coesistenza
come possibile, è inserire costoro in uno
schema di diritti e di doveri, e più precisamente, citando Edmondo Berselli, in uno
schema politico in fondo al quale c’è l’inclusione e la concessione del voto, non soltanto
amministrativo, bensì del voto politico sullo
sfondo istituzionale della cittadinanza.
Per fare questo è indispensabile che ai nuovi
giunti sia assicurata l’informazione sulle
regole basilari della democrazia nazionale e
che essi si impegnino a prenderne conoscenza.
Nello stesso tempo è necessario che le nostre
comunità mantengano fermi i valori di accoglienza e solidarietà che da sempre le hanno
caratterizzate e si impegnino ad agevolare
l’inserimento dei nuovi venuti affinché i
medesimi possano in prospettiva divenire
membri a pieno titolo del nuovo contesto
sociale.
La pacifica coesistenza non può che realizzarsi all’interno di una società accogliente ed
aperta, fondata sulla fiducia degli uni verso
gli altri, e sul rispetto della norma, ma non
dimentichiamo che la profonda incomprensione che oggi crea abissali distanze tra gli
individui, e che porta ad accettare con difficoltà regole e valori a noi familiari, ha la sua
radice nelle disuguaglianze, nelle privazioni,
nella miseria e nell’oppressione.
Il superamento di questi problemi è al centro
dello sviluppo di un nuovo contesto sociale, e
potrà avere luogo quando gli individui, i protagonisti della coesistenza, saranno tutti in
grado di partecipare, di leggere e di scrivere,
di essere informati e aggiornati, e saranno in
grado di partecipare alla vita politica.
Paola Gennari Santori
[email protected]
Paola Gennari Santori
Nata a Roma, esperta di Sistemi di Responsabilità sociale, è “ethical consultant” e svolge la sua attività professionale con l’obiettivo di far emergere le organizzazioni che danno valore a comportamenti responsabili e sostenibili.
Ha iniziato ad occuparsi di comunicazione
sociale, con una propria struttura, all’inizio
degli anni ’90.
Oggi è Presidente di Officina Etica, struttura
fondata nel 2001 con l’obiettivo di diffondere la cultura della Responsabilità sociale ed
i principali strumenti ad essa connessi: Bilancio etico-sociale e di sostenibilità, Carta
dei Valori e Codice Etico, Certificazione Etica
(www.officinaetica.org).
E’ membro del Corporate Social Responsibility / CSR Manager Network promosso da
ALTIS Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica.
Collabora dal 2002 con il Master Lavorare nel
Non Profit, Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Urbino, con il Master in
Management Etico e Governance delle Organizzazioni, Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Urbino, con il
Master SLES Sviluppo Locale ed Economia Solidale, Università La Sapienza di Roma, come
docente in materia di Bilancio sociale e rendicontazione etico-sociale.
E’ inoltre consulente di relazioni pubbliche e
comunicazione organizzativa - la disciplina
che definisce la missione, la cultura, i valori di
una organizzazione e ne favorisce la visibilità
- svolgendo la propria attività professionale
per conto di organismi pubblici e privati, e di
enti non profit.
Dal 1987 è socia professionista della Federazione Italiana Relazioni Pubbliche FeRPI
e dal 1998 fa parte degli elenchi di professionisti che svolgono attività di consulenza
per la Commissione europea nel settore
Corporate image et relations publiques.
Si è laureata in Islamistica presso l’Università
La Sapienza di Roma, e ha approfondito durante gli anni dell’università gli studi sull’evoluzione socio-economica dei paesi dell’area mediorientale nel passaggio dalla società tradizionale alla società contemporanea.
Oggi è membro dell’AIWF - Arab International Women’s Forum (ONG internazionale
impegnata nel promuovere il ruolo delle donne arabe e la loro piena inclusione nella società). Profondamente motivata nel diffondere ed ampliare il dibattito sulla diffusione
della Responsabilità sociale affinché possano
essere conciliati valori democratici, legami
sociali ed efficacia economica, la sua visione
si basa su una profonda conoscenza e rispetto delle culture che compongono il variegato
mosaico del bacino mediterraneo così come
di quelle che fanno parte della comunità
globale.
RELAZIONI PUBBLICHE
Più cooperazione
tra comunicatori
e giornalisti
E’ un rapporto storicamente difficile quello che lega
giornalisti e comunicatori, spesso impegnati
ad invadere i reciproci campi di attività.
E’ un vero rapporto di amore e odio che spesso
sconfina in diatribe violente.
Franco Guzzi avanza una proposta interessante:
perchè le due categorie non ricominciano,
come si faceva tempo fa, ad incontrasi ed a dialogare?
Potrebbero scaturire vantaggi e convenienze
per entrambe le categorie.
Un rapporto di “amore-odio”
Entrambe le professioni potrebbero certamente citare episodi (migliori o peggiori) che
le hanno portate ad avere un rapporto di
“amore-odio” con l’altra.
In molte circostanze i giornalisti dipendono
dalla mediazione dei responsabili delle Relazioni Pubbliche / Relazioni Esterne per svolgere il loro lavoro, quando “danno la caccia”
a informazioni o persone; così come (se non
di più) i comunicatori dipendono dai giornalisti per ottenere i risultati auspicati di comunicazione tramite i media, che resta una parte fondamentale di questa disciplina.
Giornalisti e comunicatori sono professionisti
che operano in aree comuni, se non sovrapposte, ma che hanno origini e scopi estremamente diversi essendo comandate / “pagate”
da entità ben distinte.
Il comunicatore (sia che operi in azienda o in
agenzia) è compensato dall’impresa e fa gli
interessi di quell’impresa; il giornalista è “pagato” dal lettore/ascoltatore e dovrebbe fare
gli interessi di quest’ultimo.
Questa “banale” distinzione non deve essere
vissuta come un ovvio dettaglio, perché comporta approcci, accuratezze professionali, atteggiamenti mentali completamente diversi
tra loro.
E se ricominciassimo a dialogare?
Nel lontano passato, tra le organizzazioni di
rappresentanza dei giornalisti e dei comunicatori venne sottoscritto un protocollo d’intesa che, oltre a formalizzare proprio aspetti
collegati alle relazioni tra le due professioni,
prevedeva periodici incontri di aggiornamento reciproco.
Purtroppo, a parte le fasi iniziali, questi incontri non si tennero più. Perché non riproporli per verificare quanto di ciò che venne
sottoscritto allora è rimasto valido e cosa
richiede revisione, magari anche all’interno
dei reciproci Codici di comportamento.
Franco Guzzi
Amministratore Delegato Cohn & Wolfe
Past President ASSOREL
Uno scambio di ruoli
Se può avere senso che un giornalista diventi comunicatore ed un comunicatore diventi
giornalista (per evidenti contiguità professionali), ciò che è improprio – sino a diventare scorretto – è che nello stesso momento
la stessa persona operi sia come giornalista,
sia come comunicatore.
Comunicare significa “mettere in comune” e
questo avviene attraverso un’attenta opera
di mediazione tra gli interessi dell’impresa e
gli interessi dei suoi pubblici. Una mediazione che deve avere al “centro del tavolo”: correttezza, serietà professionale, comprensione e rispetto per i reciproci interessi...che
possono anche essere diversi.
Ebbene, fermo restando quanto detto, è proprio per queste ragioni che non si può essere
Franco Guzzi - A.D. Cohn & Wolfe
Le complessità nei rapporti tra giornalisti e
comunicatori non è certamente un tema
nuovo e non riguarda solo il nostro Paese.
Però, può essere utile riproporlo periodicamente, almeno per verificare se e cosa è cambiato.
Ebbene, in un mondo dove la comunicazione
in generale e l’informazione in particolare
stanno costantemente evolvendo e si trasformano con modalità travolgenti, la mia sensazione è che poco di realmente significativo
sia veramente cambiato nella relazione tra
giornalisti e relatori pubblici.
Certamente, rispetto al passato, c’è un
migliore riconoscimento reciproco e un maggiore rispetto dei differenti ruoli e compiti,
ma è ancora poco rispetto a quella che potrebbe essere una “relazione ideale”; ovvero,
quella che temo mai si raggiungerà.
nello stesso momento seduti dai due lati del
“tavolo”: come giornalista e come comunicatore.
È da queste considerazioni che prende spunto la raccomandazione di mantenere separatezza tra scelte professionali che possono
essere contigue.
Vi sono le condizioni per sviluppare un dibattito comune tra le due professioni dove affrontare questo tema e, più in generale,
quello di come promuovere migliori relazioni
tra entità che sono (e devono essere) in costante dialogo?
Sarebbe interessante verificarlo e potrebbe
anche essere un’occasione per conoscere e
riconoscere di più quanto e cosa è cambiato
nei reciproci campi d’azione.
23 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
ONLINE
Internet cresce.
Video e web 2.0
più di tutti.
za di navigazione, più dinamica e appagante,
capace di coniugare la fruizione televisiva
dell’immagine e dei suoni con l’interattività
della rete”.
Nielsen/Net Ratings comunica i dati Internet
relativi a marzo 2007: l’utenza è in forte crescita,
in particolare sui siti di video
e del Web 2.0 in genere.
A marzo crescono in Italia i navigatori attivi:
18,8 milioni gli utenti che si sono connessi al
Web almeno una volta nel mese da casa o dal
luogo di lavoro (+2% rispetto a febbraio
2007, +5% rispetto a marzo 2006), che diventano 20,7 milioni prendendo in considerazione anche chi ha utilizzato applicazioni
quali l’instant messenger o i programmi per
scaricare musica e film.
Lo comunica Nielsen//NetRatings, leader
globale nelle analisi e ricerche su Internet,
che ha fornito i dati ufficiali relativi allo scenario Internet in Italia nel mese di marzo
2007 - utenza casa+ufficio.
Il dato giornaliero
La navigazione da parte di questi utenti ha
ormai frequenza quasi giornaliera (29 sessioni nel mese) e il tempo dedicato al Web da
ciascuno, ossia 18 ore e 25 minuti, cresce di 1
ora e 20 minuti rispetto a febbraio e di quasi
4 ore rispetto a un anno fa. Intorno a
Internet ruota quindi un’audience sempre
più numerosa e interattiva che dedica maggiore attenzione al mezzo, stimolata in tal
senso dalla penetrazione della banda larga
sempre più diffusa.
A marzo sono stati 14 milioni i navigatori che
si sono collegati dalle loro abitazioni con
connessioni veloci, il 77% di tutti i navigatori
da casa. Con tempi davvero significativi: 29
ore nel mese per il navigatore broadband
contro le 14 ore di chi è
dotato del vecchio modem.
Più banda più Internet
“Il mondo del Web 2.0, e in particolare dei
contenuti digitali audiovisivi, è il beneficiario
privilegiato dell’alta velocità”
commenta Ombretta Capodaglio, Marketing
Manager Nielsen/NetRatings “L’ampliamento della banda consente una nuova esperien-
La nuova offerta
L’offerta di video online e di altri contenuti
in streaming sta proficuamente cavalcando
la nuova tecnologia. Segni di
questa innovazione sono i successi dei siti del
Web 2.0, non solo dei siti di video online
come YouTube, i canali video di
Libero, Alice, Google e le Web TV (come le
sezioni TV e Multimedia di Repubblica e i
Mediacenter di Corriere e Gazzetta), ma
anche dei motori di ricerca “umani” come
Wikipedia (6,6 milioni di utenti, più che raddoppiati nell’ultimo anno) e Yahoo! Answers
(che in 10 mesi ha raggiunto un’utenza di 2,2
milioni) e dei siti dove costruirsi una vita virtuale come Second Life (vedi n. 21 di Impresa
di Comunicazione), ancora poco visitato in
Italia, ma che solo nell’ultimo mese ha visto
triplicare la propria utenza, passata dai 70
mila utenti di febbraio ai 230 mila utenti di
marzo).
Le applicazioni più usate
Accanto a questi siti continua a crescere
anche l’utilizzo delle applicazioni Internet
(14,8 milioni a marzo, +12% rispetto al 2006),
dagli instant messenger (7,2 milioni di utenti
solo per MSN Messenger, +48% nell’ultimo
anno) al peer-to-peer e al “for free”. eMule
ha avuto 6,4 milioni di utenti a marzo (+49%
rispetto a un anno fa), Skype 2,5 milioni
(+54% nell’ultimo anno) e iTunes 2,1 milioni
(+94% rispetto a marzo 2006).
La tradizione tiene...
Per quanto riguarda le categorie più tradi-
Classifica delle top 15 Internet Application nel mese di marzo 2007
Internet Application
TOTALE:
Windows Media Player (App)
MSN Messenger Servic (App)
eMule (App)
Skype (App)
iTunes (App)
WinAmp (App)
RealPlayer (App)
VideoLAN Client (App)
Apple QuickTime (App)
Google Earth (App)
DivX Player (App)
Yahoo! Messenger (App)
MSN Zone (App)
MusicMatch Jukebox (App)
BearShare (App)
Utenti Unici (000)
14,799
10,032
7,242
6,370
2,473
2,141
2,100
1,956
1,821
1,684
1,575
541
449
408
311
274
Penetrazione
sui navigatori attivi
71.3%
48.4%
34.9%
30.7%
11.9%
10.3%
10.1%
9.4%
8.8%
8.1%
7.6%
2.6%
2.2%
2.0%
1.5%
1.3%
Fonte: Nielsen/Net Ratings, NetView, Report Internet Applications, accessi da casa e da ufficio, marzo 2007
24 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
Sessioni per Persona
20
7
16
19
12
6
12
5
9
2
2
4
9
4
4
8
Tempo per Persona
5.01.59
1.09.16
4.16.06
2.06.13
1.18.36
0.56.25
1.38.59
0.40.54
1.14.48
0.03.40
0.30.49
0.30.30
0.39.29
1.34.00
0.24.43
0.48.38
zionali a marzo gli internauti hanno intensificato la presenza sui siti governativi
e della pubblica amministrazione (10,8 milioni di visitatori, +8% rispetto a febbraio), sui
siti di ricerca di lavoro (+23% rispetto a febbraio) e sui siti di travel.
L’avvicinarsi delle vacanze pasquali e dei
ponti del 25 aprile e 1 maggio ha infatti stimolato la voglia di viaggi: 9,5 milioni di persone (il 47% dei navigatori italiani) hanno
visitato un sito di travel nel mese di marzo.
Durante il mese il traffico si è intensificato in
particolare sui siti delle agenzie viaggi virtuali (Expedia +16%, Edreams +19%, Lastminute +27%) e delle compagnie aeree (+7%)
ma anche su siti collegati ai viaggi, come i siti
di meteo (+15%).
Si segnalano in particolare nel mese gli incrementi di audience di MSN / Windows Live e
Microsoft (entrambi con un +7%), Alice
(+5%), Yahoo! (+9%) Wikipedia (+10%),
SeatPG Directories Online (+12%) e Leonardo.it +9%).
Crescono i siti degli operatori di telefonia,
fissa e mobile: Vodafone Omnitel (2,9 milioni, +5%), Telecom Italia (2,4 milioni, + 14%)
e TIM (2 milioni, +29%).
Da Spot & Web
per gentile concessione
Classifica dei top 30 brand nel mese di marzo 2007
Brand
Visitatori
unici (000)
Google
Libero
MSN/Windows Live
Alice
Yahoo!
Microsoft
Wikipedia
eBay
Tiscali
SeatPG Directories Online
La Repubblica
YouTube
Leonardo.it
alterVISTA
Corriere della Sera
Vodafone Omnitel
Mediaset.it
Rai
Tuttogratis
Kataweb
Ciao!
DADA
Telecom Italia
Trenitalia
Poste Italiane
Blogger
Lycos Europe
Adobe
Splinder
TIM
15,256
9,499
9,481
9,090
8,232
7,664
6,616
6,442
4,010
3,992
3,899
3,767
3,545
3,511
2,968
2,940
2,837
2,828
2,770
2,721
2,523
2,432
2,416
2,412
2,307
2,194
2,168
2,133
2,079
2,001
Penetrazione
Visite
Tempo
sui navigatori per Persona per Persona
attivi
73.5%
45.8%
45.7%
43.8%
39.7%
36.9%
31.9%
31.0%
19.3%
19.2%
18.8%
18.2%
17.1%
16.9%
14.3%
14.2%
13.7%
13.6%
13.4%
13.1%
12.2%
11.7%
11.7%
11.6%
11.1%
10.6%
10.5%
10.3%
10.0%
9.6%
14
9
10
8
6
3
3
8
5
3
7
3
3
3
8
4
6
2
2
3
2
2
2
2
4
2
2
1
3
2
0.38.26
0.46.40
0.28.53
0.32.38
0.32.51
0.07.05
0.10.19
1.26.42
0.14.59
0.15.58
0.26.39
0.25.51
0.08.43
0.09.02
0.24.20
0.27.39
0.25.01
0.11.43
0.03.37
0.07.06
0.04.10
0.09.01
0.16.27
0.12.05
0.13.54
0.05.43
0.06.21
0.02.38
0.06.46
0.14.45
Fonte: Nielsen/Net Ratings, NetView, Internet Applications escluse, accessi da casa / ufficio, marzo 2007
Net economy
e marketing innovativo
La costante evoluzione dei profili dei consumatori, il vorticoso rinnovo dei linguaggi e lo
sviluppo delle nuove tecnologie richiedono
alle aziende ed ai consulenti la capacità di
modificare gli approcci al mercato, le strategie di marketing e le modalità di comunicazione al fine di conseguire una maggiore
interattività con il proprio target.
Per questo - con il patrocinio del Forum della
Net Economy (istituito dal Comune, dalla
Provincia e dalla Camera di Commercio di
Milano) - è stato indetta il 19 e 20 Giugno la
monifestazione denominata “Everything But
Advertising Forum” (www.ebaforum.it),
presso il Palazzo dei Giureconsulti, organizzata da WIRELESS.
L’evento è dedicato ai responsabili marketing
che vogliono ottimizzare le proprie strategie
di comunicazione, approfondendo la conoscenza di strumenti innovativi, per poter uti-
lizzare concretamente nella propria area di
business le potenzialità offerte dalle nuove
tecnologie. Il Forum è orientato alle aziende,
in una logica volta ad aumentare l’efficienza
e generare nuove opportunità commerciali,
dando vita a strategie di business per poter
incrementare la propria competitività, grazie
alla conoscenza e all’utilizzo di strumenti di
comunicazione innovativi, con un approccio
multicanale e integrato.
L’evento, che lo scorso anno ha visto la partecipazione di oltre 400 manager, costituisce
un’occasione di incontro fra domanda e offerta dove i principali player del settore, affiancati da aziende emergenti e innovative,
avranno la possibilità di far conoscere strumenti, quali Interactive Marketing, Mobile
Marketing, One-to-One Marketing, Marketing non convenzionale, Community Marketing, volti a rispondere alle reali esigenze
commerciali delle aziende di alcuni settori
merceologici particolarmente dinamici. EBA
Forum 2007 presenta infatti una focalizzazione verso specifici mercati che, basandosi
su logiche di servizio, necessitano di cogliere
in tempi brevi gli stimoli e le nuove opportunità di interazione con il pubblico di riferimento. Superando la tradizionale presentazione basata sui singoli strumenti di comunicazione, verrà posto il focus sul mercato e
le sue esigenze di business, evidenziando,
inoltre, gli elementi distintivi che permettono la replicabilità di questi modelli di
applicazione a diversi settori merceologici.
In particolare saranno sviluppati temi inerenti alcuni importanti mercati quali il turismo
ed il tempo libero, il sistema fieristico e l’organizzazione di manifestazioni ed eventi,
oltre ai comparti del commercio e della distribuzione.
25 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
OPINIONI
Comunicazione
olistica
o integrata riciclata?
Si fa un gran parlare di nuove modalità di comunicare
e della comunicazione olistica in particolare.
Qualcuno annuncia con toni roboanti di avere scoperto
la pietra filosofale. Ma siamo certi che non si tratti
della classica scoperta dell’acqua calda?
Da qualche tempo a questa parte, fra i professionisti della pubblicità si parla in maniera insistita della cosiddetta “comunicazione
olistica”.
L’aggettivo olistico è stato preso in prestito
dall’ambito scientifico, dove sta a indicare un
approccio filosofico interdisciplinare o multidisciplinare, in contrasto con la tradizione
puramente analitica, che interpreta i sistemi
complessi dividendoli nelle loro componenti
e studiandone separatamente le proprietà.
Seppure in molti utilizzino l’etichetta come
sinonimo di “comunicazione integrata” o
“comunicazione a 360°”, per alcuni la comunicazione olistica è in realtà un fenomeno
del tutto nuovo, o perlomeno differente nell’impostazione e negli esiti.
Per usare le parole del ceo di Publicis, Maurice Lévy , oggi la comunicazione integrata
non è più sufficiente: “Nel nostro gruppo
riteniamo di dover compiere un passo più
avanti, intendendo con questo la comunicazione olistica. La differenza sta non solo in
come chiamiamo una cosa, ma in come la
facciamo. La comunicazione integrata è tutto per quanto concerne l’out-put, il lay-out.
Quella olistica è tutto per quanto riguarda il
consumatore, il brand e il messaggio. Sì, la
comunicazione olistica sta guadagnando
terreno. Gli inserzionisti la vogliono e ancora troppo poche agenzie sono in grado di
realizzarla, due o tre classiche organizzazioni. Il nostro gruppo può farla e la fa perché
non abbiamo compartimenti stagni né individualisti”.
Senza entrare nel dettaglio di queste posizioni, che in fondo differiscono poco fra loro,
utilizzeremo da ora in avanti il termine olisti-
26 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
co come sinonimo di integrato, includendo
tutte quelle strategie di comunicazione che
prevedano l’utilizzo sinergico e complementare di tutti gli strumenti di comunicazione,
in modo che si supportino fra loro costituendo il cosiddetto “effetto moltiplica”.
I vantaggi dell’approccio olistico
Un approccio olistico consente il raggiungimento degli obiettivi di comunicazione in
modo più efficace, coinvolgendo il target
con diverse modalità di contatto e garantendo la coerenza del messaggio aziendale.
E’ necessario, infatti, assemblare e calibrare i
messaggi in funzione dei destinatari, differenziandoli nella declinazione, ma salvaguardandone l'univocità e la coerenza degli obiettivi di fondo e della strategia.
Nel giro di pochi anni, si prevede che questo
nuovo approccio sarà adottato globalmente
da tutti gli attori della comunicazione, dalle
aziende alle stesse agenzie, poiché solo così
sarà possibile continuare a parlare efficacemente al consumatore. Nella comunicazione
per così dire tradizionale, il target era considerato un’entità tutto sommato abbastanza
indefinita, con comportamenti classificati in
modo estremamente semplicistico.
Questo, con il passare del tempo, ha portato
ad una frattura sempre più vasta fra azienda
e destinatari della comunicazione, fino ad
arrivare a oggi, l’era del consumatore “liquido”, sfuggente, imprevedibile.
Ecco perché il marketing della vecchia scuola
non è più la risposta, e la comunicazione tradizionale risulta ugualmente inadeguata.
La comunicazione olistica non si limita a utilizzare in modo efficace i mezzi di comunicazione tradizionali (televisione, stampa, radio,
esterna, cinema) ma mette finalmente in
moto strategie nuove, in grado di catturare
l’attenzione e la fiducia di quel target sfuggente di cui abbiamo parlato.
Ecco quindi emergere, in modo sempre più
prepotente, una pianificazione che tenga
conto di promozioni, sponsorizzazioni, relazioni pubbliche e direct response, senza
dimenticare le iniziative di viral marketing e
marketing non convenzionale che stanno
conquistando una fetta sempre più importante degli investimenti pubblicitari delle
aziende.
Da quanto abbiamo sin qui accennato, ben si
comprende come oggi sia sempre più importante, per le aziende, porre attenzione a non
banalizzare i propri investimenti con strategie ormai vecchie e di scarso risultato, esclusivamente concentrate su media tradizionali,
orientandosi piuttosto su scelte che prediligano la complessità e la sollecitazioni di aree
finora ancora poco testate, ma che empiricamente si sono dimostrate in grado di portare
grandi risultati. Una comunicazione che sia
davvero a 360 gradi e applicabile a tutti i
media disponibili.
Angela D’Amelio
IL COMMENTO
DI GARGAMELLA...
Cara Angela,
ho letto con interesse il tuo pezzo sulla
cosiddetta comunicazione olistica e ti confesso che a me suscita la sensazione di trovarmi in presenza della classica scoperta
dell’acqua calda.
La comunicazione è - non da oggi - una faccenda complessa, e i problemi complessi,
intesi in senso epistemologico, da sempre
hanno richiesto un approccio di carattere
multidisciplinare.
Ora che qualcuno, al fine di promuovere la
propria impresa di comunicazione, si definisca depositario di una nuova competenza, che, in buona sostanza, altro non è che
una versione aggiornata del buon vecchio
communication mix declinato a 360°, mi
pare di fatto una non notizia.
Che il consumatore sia cambiato è evidente
a tutti, oltre che dimostrato dalle risultanze
delle più accurate ricerche sociologiche, e
quindi la scelta di dedicargli più attenzione,
più che una ”scoperta”, mi pare un dovere,
se nel nostro mestiere mettiamo in campo
un po’ di razionalità, un filo di intelligenza
ed una giusta dose di sano buon senso.
ASSOCIAZIONI
di Enrico Finzi - Presidente TP - [email protected]
Collaborare
per vincere insieme
Enrico Finzi, Presidente TP, dopo una lucida disamina
della situazione di difficoltà cle la professione sta vivendo,
lancia un accorato appello alle Associazioni del comparto
a collaborare per affrontare insieme i comuni problemi.
Sono assai lieto che l’amico Strona mi abbia
chiesto un contributo per la rivista dell’Unicom. E lo sono per tre motivi. Il primo è che
tutti noi – intendo i responsabili delle Associazioni che operano nel mondo della
comunicazione – abbiamo sempre la necessità di far conoscere meglio le nostre “parrocchie”, che spesso sono carenti proprio nell’informare e nel sedurre, secondo l’antico
detto latino “nemo propheta in patria”, che
vuole che i medici siano i peggiori terapeuti
di se stessi, i pubblicitari i meno capaci di farsi pubblicità, ecc..
Il secondo motivo ha a che fare con la particolare vicinanza di TP e Unicom, proprio da
un punto di vista socio-professionale: in
sostanza, TP è più diffusa tra i professionisti
della comunicazione al di fuori delle maggiori agenzie internazionali, che hanno come
riferimento prevalente è (siamo sinceri) Assocomunicazione.
TP, in effetti, è più forte nelle agenzie, nelle
imprese, negli studi grafici medi e piccoli, i
quali costituiscono il nerbo pure di Unicom,
con l’aggiunta che entrambe queste organizzazioni hanno dimostrato nel tempo una
particolare capacità di rappresentare l’Italia
extra-milanese ed extra-romana, compresa
quella grande Italia minore della provincia
che costituisce una realtà straordinaria, spesso misconosciuta dagli investitori e dagli stessi “media” di settore.
Ma c’è un altro motivo – il terzo – per cui
sono grato a Lorenzo di avermi chiesto questo pezzullo: esso si connette ad una convinzione che già avevo netta prima di essere
nominato presidente TP all’inizio del 2006 e
che ora è diventata fortissima dopo la prima
fase quale “boss” (spero non mafioso…)
della “mia” Associazione.
La convinzione è la seguente: è indispensabile e urgente un impegno comune per ridare
valore, effettivo e percepito, alle nostre professioni. Diciamolo chiaramente: dopo gli
anni “da bere” – tutti gli ’80 e una parte dei
‘90 – il valore riconosciuto ai nostri job &
business è assai calato. Qualche esempio: non
presso i giovani, che affluiscono anche troppo numerosi alle dilaganti Facoltà di Scienza
della Comunicazione e ai tanti Master (alcuni qualificati e molti no), ma presso le aziende, molta parte della pubblica amministrazione e degli enti locali e regionali, ecc., il
mestiere di comunicatore è meno apprezzato, spesso misconosciuto, troppo frequentemente identificato con singoli suoi segmenti
(la grafica è un esempio tra tutti).
Di più: i prezzi a parità di prodotto/servizio
sono calati o addirittura crollati negli ultimi
dodici anni, ossia dopo la recessione del
1992-1994. Certo, gli investitori devono fare i
conti con budget sempre più “faticati” ma è
vero anche che l’accresciuta competizione in
un mercato più difficile ha portato troppi
colleghi a “svaccare” sui prezzi, a svendere se
stessi, il loro lavoro e – quel che è peggio – il
lavoro di tutti noi, sino a determinare un tracollo del saggio medio di profitto, col risultato che tutti quanti offriamo molto di più allo
stesso prezzo di prima, oppure offriamo lo
stesso a prezzo molto ridotto, per non parlare di quando offriamo contemporaneamente
molto di più a tariffe assai “tagliate”.
Insomma, si pone un problema di immagine
e un problema di soldi, di adeguata remunerazione delle nostre competenze, esperienze, fatica. Ecco perché la tendenza va invertita e in fretta il che non può che avvenire sulla
scorta di una vera e propria alleanza tra i
professionisti e le loro organizzazioni.
Questa convergenza è fortemente sollecitata
da TP, che si rende disponibile a costituire,
anzitutto insieme ad Unicom, il nucleo forte
di un consorzio informale che miri a ridare
vigore e profittabilità al nostro lavoro.
Con un’aggiunta: le nuove tecnologie, a partire da Internet, ci possono dare una grande
mano, solo che impariamo ad usarle adeguatamente. Esse, infatti, costano poco, riducono l’importanza della vicinanza fisica (ridando chanches a chi non opera nei grandi centri del potere comunicazionale), consentono
veloci e convenienti integrazioni professionali tra soggetti non vicini, in definitiva possono consentire di mettere il turbo a molti
motori di piccola o media cilindrata.
Qualche lettore, mi immagino, si chiederà:
“ma non è che rischiamo la competizione tra
noi?” oppure – peggio – “non sarà che la TP
si propone disegni egemonici, magari sotto
la guida di quel personaggio grasso e incontenibile come il suo presidente?”.
Desidero rispondere con chiarezza a tali eventuali interrogativi. La TP non ha né avrà
in futuro alcuna spinta competitiva nei confronti di Unicom, di Assocomunicazione, di
Assorel, di Ferpi, ecc., ecc..
Il motivo è uno e assai semplice: la nostra
Associazione è nata quasi 62 anni fa (ci vantiamo di essere la più vecchia, ma non rincretinita…) scegliendo di occuparsi prevalentemente di cultura professionale, formazione e
aggiornamento (non, dunque, di rappresentanza di interessi economici); ed è sorta e
continua ad esistere come associazione di
persone e non di aziende o agenzie, per di
più mirando a rappresentare non solo i pubblicitari ma anche gli altri comunicatori (dalle
relazioni pubbliche al marketing diretto, dall’organizzazione di eventi alle promozioni,
dalle sponsorizzazioni alla recente web communication).
Quelli appena citati sono stati, sono e resteranno i caratteri fondativi, il DNA della TP: la
TP non cercherà mai di rappresentare le
agenzie anzi favorisce il rafforzamento delle
organizzazioni che rappresentano tali particolari tipi di imprese.
D’altra parte, a conferma, la “mia” Associazione ha come soci imprenditori (in quanto
individui), lavoratori dipendenti, collaboratori regolari o precari, lavoratori autonomi
(da noi sono tantissimi): il che, per definizione, non ci consente di stare dalla parte di
qualcuno contro qualcun altro, il nostro
unico interesse essendo quello dell’incremento – anzitutto tra i nostri soci e poi più in
generale nel nostro mondo – della cultura e
dell’etica professionali (tra l’altro siamo stati
tra i fondatori dell’Istituto di Autodisciplina
Pubblicitaria e di Pubblicità Progresso).
Qualcuno potrebbe obiettare: “ok, ma ciò
non risolve il possibile scontro competitivo
con Ferpi, con AISM, ecc.” ma tale eventuale
obiezione risulterebbe inesatta, stante il
fatto che TP mira a raccogliere esperti di
tutte le discipline senza alcun imperialismo
(una conferma si ha nel gran numero di associati sia a TP sia a Ferpi o ad AISM, i quali sono i primi, ottimi testimoni della non sovrapposizione o peggio concorrenza tra le organizzazioni). Certo, abbiamo il nostro orgoglio associativo ma non abbiamo alcuna
intenzione di trasformarlo in egemonismo:
in ogni caso, sin che sarò presidente, eviterò
in ogni modo che qualcuno si monti la testa
e creda scioccamente che una singola associazione professionale in Italia possa dedicarsi al “faso tuto mì”.
Insomma, ragazze e ragazzi, niente polemiche e tanti sforzi insieme: uniti si vince, disuniti rischiamo di pagar dazio ancora di più
che nel recente passato.
27 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
COMUNICAZIONE E SOCIETA’
Una generazione
di “bravi ragazzi”
Una ricerca promossa dall’Osservatorio
sull’immagine dei minori in tv e pubblicità,
ci consegna il profilo di una generazione
consapevole che guarda alla pubblicità
con interesse ed attenzione, ma distingue
con chiarezza tra realtà e finzione
e non ha perso di vista i valori più autentici.
È il quarto anno di vita dell’Osservatorio sull’immagine dei minori in tv e pubblicità promosso dai Pincopallino e da me coordinato.
Grazie alla lungimiranza di un’imprenditrice
illuminata quale Imelde Bronzieri, abbiamo
prodotto indagini, dibattiti, libri. Ma soprattutto, ci auguriamo di aver prodotto senso
comune fra i comunicatori.
Il nostro punto di partenza infatti è che le
sanzioni, pecuniarie o morali, spettano ad
altri, e lasciano spesso il tempo che trovano.
Ci sia perdonato l’eccesso di sintesi che rischia di apparire un giudizio ingiusto e poco
rispettoso, ma riteniamo che perfino le decisioni del Giurì di autodisciplina – velocissime
in relazione alla giustizia ordinaria che in
Italia ha i tempi della storia – siano a volte
tardive e possano addirittura produrre effetti opposti a quelli desiderati, quando arrivano a campagne già concluse e, grazie alle notizie di stampa, aggiungono notorietà a delle
campagne già di per se scioccanti.
Comunque noi siamo un’iniziativa privata,
nata dalla sensibilità sociale di un’azienda I
Pincopallino, che lavorando con i bambini e
per i bambini, ha voluto così distinguersi da
quanti lavorano con i bambini per i bambini
ma senza attenzione e cura ai bambini stessi.
Non siamo un’istituzione, non abbiamo poteri sanzionatori e neanche li vorremmo.
La strada che abbiamo scelto è quella di sottoporre analisi (scientificamente realizzate)
ai comunicatori nelle aziende e nelle agenzie
di pubblicità. Metterli in altre parole di fronte alle loro responsabilità, affinché acquisiscano la consapevolezza dei danni potenziali
– se ci sono – che la pubblicità può arrecare
ai minori. Sapendo che tanto più la pubblicità è efficace, tanto maggiore potenzialmente è il danno che può apportare a coscienze non ancora formate.
Concludiamo le premesse con un’ultima avvertenza: non siamo e non saremo mai fra
coloro che demonizzano la pubblicità, anzi,
28 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
la troviamo nei casi migliori, una forma espressiva incredibilmente interessante. La
sintesi con la quale si esprime, la concettualità, la capacità di attrarre l’attenzione, sono
tutte qualità che molti vorrebbero avere e
non riescono ad ottenere. Perciò il nostro
intento è aiutare la pubblicità a migliorare se
stessa e non assumere il ruolo del censore.
Parto proprio da quest’ultimo punto. La professoressa Anna Maria Ajello, docente di psicologia dell’educazione, proprio questo ha
notato, commentando i dati della nostra ultima ricerca, condotta su 700 ragazzi e ragazze, tra i 10 ed i 12 anni: la riuscita di un aggancio.
La nostra ricerca evidenzia un dato: in un’epoca in cui si sostiene la difficoltà di rapporto intergenerazionale, i pubblicitari riescono
a catturare l’attenzione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze. “Varrebbe la pena –
ha notato Ajello - che ne analizzassero le
strategie, anche coloro che rivestono responsabilità educative (il mondo della scuola, ma
non solo).
Un’affermazione interessante, visto che l’autrice proviene proprio da quel mondo dell’università e dell’insegnamento che al contrario sembra avere sempre minor presa sui giovani. D’altronde sono anni che in Italia si
parla della necessità di comunicazione con
funzione sociale ed educativa, senza che lo
stato nelle sue articolazioni ne prenda davvero atto.
Qui si afferma qualcosa in più: che gli educatori potrebbero trarre insegnamento dai
metodi della pubblicità per aggiornare il loro
modo di comunicare, perché la pubblicità riesce a coinvolgere su diversi piani: cognitivo,
emotivo, relazionale.
La ricerca
Venendo alla ricerca, il questionario strutturato è stato somministrato da docenti delle
scuole elementari e medie del nord-centro-
sud Italia, e lo studio ha rilevato i giudizi e le
reazioni dei ragazzi cui venivano mostrati alcuni spot, trasmessi nelle fasce di maggior
ascolto dalle principali emittenti nazionali
nell’ultimo trimestre dello scorso anno.
La nostra attenzione era particolarmente
volta a cogliere l’influenza dei modelli sugli
stili di vita e le aspirazioni del campione di
preadolescenti. Ebbene, se è vero che la pubblicità risponde a bisogni, o li induce, il bisogno più evidente di giovani e meno giovani
oggi è quello di identità.
Premesso infatti che ai nostri giorni il bisogno di strutturazione/consolidamento di identità è largamente presente anche negli
adulti, poiché status e ruoli a cui in passato
contribuivano fortemente le professioni e i
mestieri, non esercitano più questo potere (si
noti, per inciso, quante pubblicità fanno riferimento al tempo libero, come potenziale
luogo interclassista e target unificante), per
coloro che sono in età evolutiva, la pubblicità
costituisce una fonte potente di identificazione, proprio in un’epoca in cui i modelli
proiettivi a cui sono esposti non sono così
forti e autorevoli.
Una generazione in bilico
Ebbene, visti i risultati, abbiamo intitolato la
ricerca “Una generazione in bilico” per sottolineare come sia stata duplice la reazione
del target.
Il primo elemento che emerge infatti è che le
storie raccontate dagli spot vengono percepite “realisticamente”: i ragazzi sanno distinguere chiaramente che si tratta di finzione, guardano agli spot come a dei film, e
hanno ben presente che il contenuto non ha
nulla a che vedere con la realtà in generale e
con la loro realtà in particolare.
Insomma, i ragazzi sanno distinguere con
estrema lucidità tra “storie” reali e sfide impossibili e hanno chiaro il divario fra quello
che vedono nella pubblicità e la realtà che
vivono quotidianamente.
Alla domanda “quanto potresti essere il personaggio dello spot”, la maggior parte ha
risposto con la coscienza di non poter essere
come i protagonisti, o dovremmo dire le protagoniste, visto che sono quasi sempre
donne.
Emerge quindi una straordinaria capacità
analitica del messaggio se si considera che si
tratta di ragazzi tra i 10 ed i 12 anni.
Messaggio valoriale
e propensione al consumo
Altrettanto interessanti appaiono le risposte
che contrappongono il possesso dell’oggetto
al messaggio morale-valoriale dello spot.
Anche in questo caso, si vede che i ragazzi
distinguono con grande lucidità tra le due
diverse percezioni ed entrambe suscitano
una propensione al consumo. Si pensa al possesso dell’oggetto promosso o al sistema valoriale che il bene pubblicizzato richiama.
Fin qui sembrerebbe che nessun massmediologo adulto possa spiegare meglio i messaggi pubblicitari e quindi la capacità di analisi
metta i giovani al riparo dal danno.
Ma alla domanda “quanto vorresti essere il
protagonista”, la stragrande maggioranza
risponde che si, quello è il modello a cui tendere.
Dunque la percezione del nostro target appare doppia. Da un lato i preadolescenti
consapevolmente dichiarano che il personaggio proposto è per loro nella maggior
parte dei casi irraggiungibile. Ma dall’altro
aderiscono completamente al modello proposto: è così che vorrebbero essere o diventare nella vita. Il divario fra essere e voler
essere appare enorme.
Accettano acriticamente come un modello la
figura del protagonista dello spot. Dunque,
se da una parte questi preadolescenti sembrano avere i piedi ben piantati a terra, dall’altra sognano di essere aggressivi, belli,
vincenti, senza problemi come i protagonisti
della pubblicità.
Nello spazio esistente fra la propria realtà e
le proprie aspirazioni si può collocare di
tutto: dalla frustrazione alla fuga dalla realtà. La generazione è in bilico perché secondo l’influenza che altri fattori avranno, mescolandosi con quelli appena descritti, si potrà restare ben saldi in sella o scivolare giù.
Una generazione di “bravi ragazzi”
Qualche considerazione finale sotto l’aspetto sociologico: emergono comportamenti ed
atteggiamenti noti. Amici, sport e musica
rappresentano, in quest’ordine, gli interessi
primari. Ancora internet non è stata pienamente scoperta (e non stupisce che solo il
4% la usi), ma ci sono tutti i presupposti perché presto questa percentuale salga.
Colpisce comunque un dato: i giudizi e la lettura che i ragazzi sanno dare degli spot mostra un’eccellente consapevolezza dei linguaggi della comunicazione di massa.
La conferma della maturità e della competenza dimostrata dai ragazzi viene dalle
perentorie risposte alla domanda sui luoghi
dell’apprendimento.
Verrebbe da pensare che abbiano letto
Popper (“Cattiva maestra televisione”), ma
anche che prendano tutto con molta filosofia e realismo. La scuola e la famiglia, infatti, sono percepite come le due vere agenzie
educative, i veri ambienti dell’apprendimento, mentre dalla pubblicità si tira fuori molto
poco consapevolmente, moltissimo a livello
inconscio. In definitiva emerge lo spaccato di
una generazione di “bravi ragazzi” attratti
dal mondo colorato, divertente ed effervescente della pubblicità, ma consapevoli del
ruolo della famiglia e della scuola, con genitori meno sottoposti che in passato alla loro
pressione verso gli acquisti suggeriti dagli
spot. E capaci altresì di valutare i limiti della
fiction pubblicitaria.
Quanto alle loro aspirazioni invece, quelle
sono tutte verso i modelli “senza limiti”,
senza ritegno ed egoriferiti delle star della
pubblicità. La mediazione fra realtà e modelli è ancora tutta da costruire, vista l’età
presa in considerazione.
Se prevarrà il modello avremo generazioni
simili ai personaggi che da mesi riempiono le
cronache mondane e giudiziarie.
Se prevarrà la realtà la situazione andrà a
migliorare.
Daniela Brancati
Coordinatrice dell’Osservatorio
sull’immagine dei minori in tv e pubblicità
Daniela Brancati, è giornalista professionista, imprenditrice e dirigente d’azienda nel
settore della comunicazione. Prima donna
direttore di un telegiornale nazionale, nel
1994 ha diretto il Tg3, e ancora prima il tg di
Videomusic. Attualmente è free lance. Presidente della Videocomsrl, azienda di comunicazione basata a Roma, coordina fra l'altro l’Osservatorio sull’immagine dei bambini
in televisione e pubblicità, promosso da I
Pincopallino.
Autrice del romanzo “Tutta una vita, mille
avventure e un solo amore”, edito da
Marsilio con questa pubblicazione ha vinto il
Premio Frignano opera prima nel
2006. La sua biografia figura nell’Enciclopedia Garzanti della televisione, nel Who’s
who in Italy. Il 2 giugno del 2006 è stata insignita dell’onorificenza di Commendatore
della Repubblica Italiana.
Ha avuto numerosi i premi, fra gli altri:
Penne Pulite, Giornalista del Mese (Premiolino), Mela d’Oro della Fondazione Bellisario, Donna leader della EWMD (donne
manager europee).
29 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
INCONTRI
Emily Dickinson
Emily Dickinson
Se io potrò impedire
Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano.
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido.
Per un istante d’estasi
Per un istante d'estasi
noi paghiamo in angoscia
una misura esatta e trepidante,
proporzionata all'estasi.
Per un'ora diletta
compensi amari d'anni,
centesimi strappati con dolore,
scrigni pieni di lacrime.
La speranza è un essere piumato
La speranza è un essere piumato
che si posa sull'anima,
canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l'armonia,
e solo una tempesta violentissima
potrebbe sconcertare l'uccellino
che ha consolato tanti.
L'ho ascoltato nella terra più fredda
e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità
ha chiesto mai una briciola - a me.
Lessi la mia sentenza
Lessi la mia sentenza con fermezza la controllai per essere sicura
di non aver frainteso
nella clausola finale
la data e la forma della vergogna e poi la frase
"Dio abbia misericordia" dell'anima i giurati si espressero così.
Cercai di abituare la mia anima
alla sua fine, perchè in quel momento
non le sembrasse estranea l'agonia ma lei e la morte, fatta conoscenza,
s'incontrassero tranquille, come amiche salutandosi e passando senza un cenno e lì si concludesse la faccenda.
Piangere
Piangere è una cosa tanto piccola sospirare una cosa tanto breve ma è di occupazioni di tal genere
che noi uomini e donne moriamo.
30 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 22 / 07
Il passato
E' una curiosa creatura il passato
ed a guardarlo in viso
si può approdare all'estasi
o alla disperazione.
Se qualcuno l'incontra disarmato,
presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
possono ancora uccidere!
Palpai la mia vita con entrambe le mani
Palpai la mia vita con entrambe le mani
per vedere se ci fosse trattenni il mio spirito allo Specchio,
per metterlo alla prova il più possibile.
Rigirai la mia Esistenza da tutte le parti
e sostai ad ogni recinto
per chiedere il nome del Proprietario nel dubbio, che ne conoscessi il Suono.
Esaminai le mie fattezze - mi scompigliai i capelli tirai le mie fossette, e aspettai se quelle - guizzando indietro potessero convincermi, di me.
Dissi a me stessa, "Fatti coraggio, Amica quello - era un tempo passato ma noi possiamo imparare ad amare il Cielo,
tanto quanto la nostra Vecchia Casa!"
Fuori dal bozzolo una farfalla
Fuori dal bozzolo una Farfalla
come una signora dalla sua porta
emerse - un pomeriggio d'estate rassettando dappertutto
senza un Intento - che io potessi scorgere
tranne di andarsene in giro
per eterogenee imprese
che i trifogli - conoscevano bene.
Il suo grazioso parasole far vedere
che si richiude in un campo
dove uomini avevano sistemato il fieno poi lottare accanitamente
con una nuvola che le si contrappone
dove altri - fantasmi come Lei in nessun posto - sembravano andare
in circonferenza senza scopo come fosse un'esibizione intorno al mondo.
E nonostante l'ape - si industriasse e il fiore - sbocciasse zelante questo pubblico di oziosi
non li degnava di uno sguardo, dal cielo finche non si insinuò il tramonto - una marea costante
gli uomini che avevano sistemato il fieno e il pomeriggio - e la farfalla si estinsero - in quel mare.
Emily Dickinson visse la maggior
parte della propria vita nella casa
dove era nata, ebbe modo di fare
solo rare visite ai parenti di Cambridge, di Boston, e nel Connecticut.
Gran parte della sua produzione
poetica riflette e coglie non solo i
piccoli momenti di vita quotidiana,
ma anche i temi e le battaglie più
importanti che coinvolgevano il
resto della società. Più della metà
delle sue poesie furono scritte
durante gli anni della Guerra di
secessione americana.
Al momento della sua morte non
erano state pubblicate che dieci
sue poesie, ma il suo lascito di circa
1800 componimenti poetici fu prova evidente della vastità del suo
lavoro, in seguito riconosciuta dal
mondo intero.
Oggi, Emily Dickinson viene considerata non solo una dei poeti più
sensibili di tutti i tempi, ma anche
una dei più rappresentativi.
Alcune caratteristiche delle sue
opere, all'epoca ritenute “stranezze”, sono considerate adesso
aspetti particolari e inconfondibili
del suo stile.
Emily Dickinson morì di nefrite
nello stesso posto dove era nata,
ad Amherst, nel Massachusetts
(da Wikipedia)
LETTURE
a cura di Paolo Romoli
Periodico di informazione
del Consiglio Direttivo
dell'Unione Nazionale Imprese
di Comunicazione - UNICOM
Democrazia.
Cosa è
Giovanni Sartori
Rizzoli - Euro 19,00
La democrazia è oggi uno dei pochi valori su cui l'occidente intero sembra disposto a giurare,
compatto. Cardine della civiltà, migliore delle forme di governo possibili, conquista da difendere. Ma questa adesione, a volte acritica, porta a derive controverse, come l'idea che la civiltà
occidentale sia superiore alle altre, o che "esportare la democrazia" sia non solo possibile ma
doveroso.
Il saggio di Giovanni Sartori, uscito per la prima volta quindici anni fa, si è imposto nel tempo
come testo di riferimento fondamentale tradotto in tutto il mondo.
In questa nuova edizione si arricchisce di capitoli inediti per trattare temi divenuti cruciali dopo
l'11 settembre 2001: i rapporti tra occidente e mondo musulmano, la possibilità di "democratizzare l'Islam", lo scontro di civiltà provocato dai fondamentalismi. Argomenti scottanti ma
affrontati con uno stringente rigore logico, che intende portare chiarezza in un dibattito inquinato dal relativismo e dagli schematismi del "pensiero debole".
Sartori sottopone la sua riflessione teorica alla prova dei fatti e delle circostanze, sostanziandola
con esempi tratti dalla storia e dall'attualità che costituiscono un incalzante richiamo alla concretezza e all'assunzione di responsabilità. Perché la convivenza ha bisogno di significati condivisi: dissipare l'equivoco mortale su parole come libertà, uguaglianza, valori, diritti, pluralismo
e democrazia è la chiave del buon sopravvivere della nostra civiltà.
Laureato in Scienze Politiche e Sociali, Giovanni Sartori è professore emerito alla Columbia University di New York e all'Università di Firenze. Ha ricoperto incarichi di prestigio nelle università
di Harvard, Yale e Stanford. Ha ricevuto nove lauree honoris causa ed è accademico dei Lincei.
Tra i suoi ultimi libri ricordiamo: Pluralismo, multiculturalismo e estranei (2000), Homo videns
(2002), Mala costituzione ed altri malanni (2006). E’ editorialista del Corriere della Sera.
Giovanni Sartori può essere oggi considerato uno dei principali autori nel campo della Teoria
della Democrazia, sistemi di partito e ingegneria costituzionale nel mondo accademico internazionale.
Anno V - n. 22 - Maggio 2007
Direttore Responsabile
Paolo Romoli
Comitato di Redazione
Antonio Acampora
Claudio Avallone
Nicola Bovoli
Renato Camposano
Alessandro Colesanti
Donatella Consolandi
Federico Crespi
Angela D’Amelio
Francesco Ferro
Juma Jannelli
Fiammetta Malagoli
Francesco Miscioscia
Renato Sarli
Lorenzo Strona
Rossella Tosto
Giorgio Tramontini
Biagio Vanacore
Hanno collaborato
a questo numero:
Claudio Avallone
Daniela Brancati
Alessandro Colesanti
Angela D’Amelio
Enrico Finzi
Paola Gennari Santori
Franco Guzzi
Fiammetta Malagoli
Guido Nanni
Renato Sarli
Lorenzo Strona
Immagini:
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