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La resource-based theory: un programma di ricerca per gli studi di strategia ANDREA LANZA* GIUSEPPINA SIMONE** Abstract Gli ultimi due decenni hanno registrato l’emergere di un nuovo approccio nell’analisi delle differenze di performance tra le imprese, comunemente noto come resource-based view. L’orientamento cumulativo degli studi condotti negli ultimi venti anni nella prospettiva resource-based consente di identificare in essa un programma di ricerca per la disciplina dello strategic management (Lakatos, 1976). La definizione di un programma di ricerca parte dal riconoscimento del nucleo centrale, cioè dell’insieme di teorie successive che condividono alcune ipotesi fondamentali e della cintura protettiva, cioè insieme di ipotesi ausiliarie su cui gli studiosi si concentrano per l’avanzamento del programma di ricerca stesso. Per tale ragione, questo articolo ha quale obiettivo seguire un percorso metodologico scandito: l’identificazione dei filoni di studio che hanno contribuito allo sviluppo della teoria delle risorse (paragrafo 1); la definizione del core concettuale di tale teoria (paragrafo 2); l’analisi degli aspetti su cui vi è sostanziale accordo tra studiosi, unitamente all’esame dei temi su cui, invece, il dibattito è ancora aperto (paragrafo 3); l’identificazione degli elementi su cui occorre proseguire in uno sforzo di avanzamento del programma di ricerca (paragrafo 4). Parole chiave: RBV, programmi di ricerca, risorse A new approach in the analysis of performance differences among firms has emerged in the last twenty years: the Resource-based view. In order to analyze the RBV as a research programme, we need to specify the hard core, defined as the succession of slightly different theories and experimental techniques developed over time, that share some common ideas, and the protective belt of auxiliary hypotheses on which authors should focus to advance the research programme (Lakatos, 1976). This article is organized as follows: Identification of different areas of research within the Resource-based theory (section 1); the hard core of the theory (section 2); analysis of both shared and non-shared points among researchers (section 3); identification of dimensions to be analyzed in order to further advance the research programme (section 4). Key words: RBV, research programme, resource * ** Straordinario di Strategie d’Impresa - Università degli Studi della Calabria e-mail: [email protected] Dottore di ricerca - Università degli Studi della Calabria e-mail: [email protected] sinergie n. 87/12 ISNN 0393-5108 172 LA RESOURCE-BASED THEORY 1. La prospettiva resource-based: da ‘view’ a ‘theory’ Con la pubblicazione dell’articolo di Wernerfelt su Strategic Management Journal, nel 1984, si è venuto a codificare il concetto più diffuso nell’ambito degli studi di strategia negli ultimi venti anni, quello concernente il ruolo delle risorse d’impresa come unità d’analisi nella dinamica di creazione del vantaggio competitivo. Wernerfelt (1984), infatti, evidenziava come prodotti e risorse siano due facce della stessa medaglia e che ciò che può portare vantaggio ad un’impresa rispetto alla concorrenza è la sua capacità di creare una barriera basata sulla resource position. Pur introducendo un concetto innovativo, la prospettiva adottata da Wernerfelt non rappresentava al momento della pubblicazione dell’articolo una sostanziale discontinuità rispetto al mainstream delle Strategie d’Impresa (Andrews, 1971), e ciò veniva peraltro ribadito a distanza di qualche anno (Wernerfelt, 1995). In altri termini, il concetto di barriera creata sulla resource position richiamava da vicino l’idea delle strengths contenuta nel modello SWOT (Strengths, Weaknessess, Opportunities, Treats). Dal contributo di Wernerfelt ha preso il via un ampio lavoro di ricerca, sfociato in diversi filoni di studio e prospettive d’analisi. Attraverso una rilettura critica dei più importanti contributi della resource-based view ampiamente intesa, si cercherà di definire alcuni elementi centrali, comuni e trasversali alle diverse prospettive di studio ed essa riconducibili, al fine di stabilire il core concettuale della teoria e le research questions rilevanti. Per RBV ampiamente intesa si fa riferimento alla prospettiva di studio che comprende non solo i contributi ad essa più direttamente ascrivibili, bensì anche gli studi e le ricerche afferenti al filone delle competenze: architectural-component (Henderson e Clark, 1990); core (Prahalad e Hamel, 1990); e delle capacità: dynamic (Teece et al., 1997), core (Leonard-Barton, 1992); oltre che i lavori classificabili nella knowledge-based view (Kogut e Zander, 1992; Spender, 1996; Grant, 1996b). Nell’analizzare il percorso di sviluppo della prospettiva resource-based da view a theory (Conner, 1991; Mahoney e Pandian, 1992; Barney, 2001; Hoopes et al., 2003), e per meglio comprendere la rilevanza della Resource-based view occorre, tuttavia, fare riferimento alle due questioni fondamentali che ogni teoria dell’impresa deve affrontare (Coase, 1937; Holmstrom e Tirole, 1989): perché esiste l’impresa, ossia qual è la sua funzione principale; e cosa ne determina la dimensione e il raggio d’azione (scale and scope). Nello specifico, si tratta di affrontare quale sia la raison d’être di un’impresa nella prospettiva resource-based, e cosa ne determini le traiettorie di crescita. Con riferimento alla prima questione, identificando i punti di contatto e di differenza tra la microeconomia neoclassica, e le scuole ad essa riconducibili (IO e SCP), e la RBV, alcuni contributi (Barney, 1986b; 2001; Conner, 1991; Mahoney e Pandian, 1992) hanno evidenziato come la questione dirimente fosse rappresentata dalla anelasticità dell’offerta di risorse, dovuta al lungo, costoso e contestuale processo di accumulazione delle stesse (Dierickx e Cool, 1989). Le imprese, infatti, finiscono con l’essere eterogenee in seguito al processo di utilizzo della dotazione ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 173 originaria di risorse. L’impresa basata sulle risorse, pertanto, si differenzia dall’impresa neoclassica poiché non è solo una funzione di produzione avente l’obiettivo dell’efficienza dati i vincoli ambientali e la tecnologia (Conner, 1991), bensì è un’istituzione orientata alla creazione di conoscenza attraverso l’integrazione di fattori di diversa natura, tra cui un ruolo primario lo rivestono le stesse risorse di conoscenza (Vicari, 1991; Grant, 1991; 1996a), individuali e collettive, sviluppate dall’impresa nel tempo e socialmente contestuali al luogo di creazione (Spender, 1996; Kogut e Zander, 1992; Di Bernardo e Rullani, 1990; Conner e Prahalad, 1996). Per quanto riguarda la dimensione e la direzione di crescita delle imprese (scale e scope), la prospettiva resource-based enfatizza il leverage delle risorse possedute e/o controllate (Mahoney e Pandian, 1992; Wernerfelt, 1995). Con riferimento alla crescita dimensionale (scale), il fattore critico è rappresentato dalla creazione del mix più appropriato di risorse (Rumelt, 1984) e dal trasferimento interno delle best practice (Szulanski, 1996), dall’integrazione tra le nuove conoscenze individuali e quelle collettive preesistenti nell’impresa avviata alla crescita (Nelson e Winter, 1982; Kogut e Zander, 1992), oltre che alle diseconomie di tempo che la replica delle risorse può comportare (Dierickx e Cool, 1989). Per quanto attiene, invece, allo spettro delle direzioni di crescita (scope), la RBV suggerisce che alcune direzioni possano dare migliori performance di altre, soprattutto se i settori di nuovo ingresso sono correlati a quelli in cui l’impresa in crescita già compete (Montgomery e Hariharan, 1991; Markides e Williamson, 1994). Una volta definito che la RBV può effettivamente considerarsi una nuova teoria dell’impresa (Conner e Prahalad, 1996; Hoopes et al., 2003), poiché: a) la stessa impresa viene concepita come istituzione finalizzata all’integrazione e al dispiegamento di conoscenza negli scenari competitivi in cui è impegnata e che la sua dotazione di conoscenza ne costituisce il tratto di unicità e eterogeneità (Penrose, 1959; Knott, 2003b); b) le scelte di dimensione e raggio d’azione sono definite dalle specificità delle risorse di conoscenza (Rumelt, 1984; Conner e Prahalad, 1996), si può procedere alla disamina del dialogo tra filoni di studio che ha consentito la formulazione ‘ampliata’ della RBV e quindi alla chiarificazione del suo core concettuale (Makadok, 2001; Barney, 2001). In sostanza, occorre identificare i temi che costituiscono il nucleo del programma di ricerca, in quanto condivise tra le diverse teorie successive che affrontano il tema delle Risorse. Successivamente, si passa ad individuare le ipotesi che rappresentano la cintura protettiva del programma di ricerca, su cui gli studiosi dirigono la loro attenzione per risolvere i problemi del programma stesso, senza abbandonare i temi core del nucleo (Lakatos, 1976). Il seguente paragrafo sintetizza il core centrale della teoria. 174 LA RESOURCE-BASED THEORY 2. Il core concettuale della Resource-based theory (RBT) Nell’analizzare la rilevanza della RBT, questo studio adotta la metodologia dei programmi di ricerca scientifici avanzata da Lakatos (1976). Secondo lo studioso, l’unità di analisi per l’avanzamento scientifico non è una singola teoria ma un programma di ricerca. All’interno di un programma di ricerca è possibile identificare un nucleo di ipotesi fondamentali, condivise tra le teorie successive che compongono il programma di ricerca stesso, ed una cintura protettiva, in cui rientrano le ipotesi aggiuntive su cui gli studiosi lavorano per risolvere i problemi del programma di ricerca, senza abbandonare le ipotesi del nucleo. Alcune delle ipotesi che fanno parte della “cintura protettiva” possono essere sostituite nelle diverse formulazioni del programma di ricerca, senza togliere robustezza allo stesso. Infine, secondo Lakatos, un programma di ricerca è dotato di un’euristica, un insieme di regole, indicazioni, strategie e tecniche che guidano i suoi esponenti nell’elaborazione di nuove versioni in base a un piano di lavoro coerente. Affinchè un programma di ricerca progredisca occorre che ci siano fatti nuovi predetti con successo dalle sue successive versioni (in accordo con l’euristica). Come osservato, il processo di definizione della RBV ha interessato numerosi studiosi, i cui contributi e le cui ricerche hanno aiutato sia la definizione del core concettuale della teoria in questione, così come la formulazione delle research questions più appropriate. In questa sede il riferimento alla teoria delle risorse comprende, come evidenziato precedentemente, oltre ai contributi sulla RBV strettamente intesi (Rumelt, 1984; Dierickx e Cool, 1989; Barney, 1991; Peteraf, 1993) anche gli studi sulle competenze (Henderson e Clark, 1990; Prahalad e Hamel, 1990), sulle capacità (Teece et al., 1997; Leonard-Barton, 1992); oltre che i lavori classificabili nella knowledge-based view (Kogut e Zander, 1992; Spender, 1996; Grant, 1996b). Le prime formulazioni della teoria evidenziano come una data impresa possa creare una barriera verso la concorrenza attraverso le risorse possedute e/o controllate (Wernerfelt, 1984) e sviluppare meccanismi di protezione e isolamento (Rumelt, 1984) dovuti alla non conoscibilità del nesso causale tra risorse e vantaggio competitivo (Reed e DeFillippi, 1990). Il fulcro di tali studi è l’esistenza di un bundle di risorse presidiate dall’impresa (Barney, 1991), la cui peculiarità è data dal fatto che tali risorse (strategic asset) non si possono trasferire sul mercato dei fattori strategici, poiché esse non sono separabili dall’impresa in quanto frutto di un processo di accumulo protratto nel tempo (Dierickx e Cool, 1989). I contributi afferenti alla prima formulazione della prospettiva resource-based pongono enfasi sull’insieme olistico1 delle risorse come fonte di vantaggio competitivo e come meccanismo di generazione di rendite e/o di performance superiori alla media del settore in cui le imprese detentrici di tali risorse competono. L’approccio è, in altri termini, descrittivo delle dinamiche di conquista del successo sui mercati a scapito 1 Per una disamina degli studi di matrice olistico/sistemica si veda: Golinelli, 2005. ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 175 di concorrenti che, invece, si basino su interpretazioni industry-based delle dinamiche del proprio settore. L’analisi delle risorse ha ricevuto, poi, una nuova serie di contributi il cui obiettivo era essenzialmente separare i differenti tipi di risorse e, in qualche, misura proporne una sorta di gerarchia ai fini della conquista del vantaggio competitivo. In tale senso, Prahalad e Hamel (1990) hanno evidenziato il ruolo sovraordinato delle core competence nell’attività di coordinamento di altre risorse, subordinate, quali le skill individuali e le competenze tecnico-operative che confluiscono nella composizione dei core product. In modo non dissimile, Henderson e Clark (1990) hanno rilevato il ruolo distinto di due tipi di competenze nei processi innovativi: architerctural e component. Con un approccio più analitico si pongono poi altri contributi, tesi a evidenziare le capacità di programmazione strategica e di coordinamento rispetto allo svolgimento di attività più focalizzate. In tale prospettiva sono rinvenibili gli studi di Lado, Boyd e Wright (1992), i quali, pongono in evidenza le competenze distintive di tipo manageriale-strategico, subordinando invece le competenze basate sul possesso delle risorse, quelle di trasformazione e quelle relative alla produzione di output tangibili e intangibili. La logica di gerarchie tra le competenze è presente anche nel lavoro di Black e Boal (1994), i quali separano le risorse tra contained (o traits) e system (o configuration). Simili distinzioni sono effettuate da Hall (1992), riguardo alla distinzione tra risorse basate sul possesso di asset (having) e quelle basate sullo svolgimento di processi (doing); Brumagin (1994) per quanto riguarda la gerarchia tra risorse elementari e risorse superiori; da Miller e Shamshie (1996) con riferimento alla distinzione tra risorse discrete e risorse sistemiche; e da Makadok (2001) per quanto riguarda la subordinazione delle risorse alle capability. Questo filone di studi si è, in estrema sintesi, posto quale obiettivo il superamento della prospettiva olistica e classificatoria all’analisi delle risorse, al fine di prevedere quali possano essere le risorse che più di altre contribuiscono al successo delle imprese ampiamente inteso. La definizione del core concettuale della RBT si è poi arricchita di un altro aspetto saliente che, sebbene connesso ai precedenti, presenta la seguente peculiarità: la componente dinamica ed evolutiva del processo di creazione e sviluppo delle risorse, ampiamente intese. Tale aspetto viene enfatizzato in particolare dal filone delle capability, da considerarsi complementare in tal senso, alla resource-based view e alla competence-viev appena esaminate. Mentre la RBV in senso stretto analizza le risorse in quanto singoli asset in prospettiva olistica (il bundle delle risorse quale fonte di vantaggio competitivo) e classificatoria al tempo stesso (quali sono gli asset da considerare fonte di vantaggio competitivo all’interno di tale bundle); e la competence-view enfatizza la gerarchia tra le risorse di livello superiore/sistemico e quelle di tipo inferiore/elementare, il filone delle capacità focalizza l’attenzione sull’interazione dinamica e socialmente complessa di tutti i diversi tipi di risorsa rinvenibili all’interno dell’impresa (Teece et al., 1997). Tale approccio ha le sue radici nella prospettiva evoluzionista al cambiamento e in particolare si basa sul concetto di routine quale conoscenza tacita e collettiva operante con modalità ripetitiva nello svolgimento delle attività di business (Nelson 176 LA RESOURCE-BASED THEORY e Winter, 1982). Ulteriori contributi hanno evidenziato in seguito il ruolo dell’interazione e dell’integrazione dinamica fra risorse di diverso tipo (LeonardBarton, 1992; Kogut e Zander, 1992; Grant, 1991; 1996a). In particolare, LeonardBarton (1992) identifica nelle core capability il luogo di convergenza dinamica di quattro tipi di risorse: valori guida, competenze manageriali, sistemi tecnici e skill individuali; mentre per Kogut e Zander (1992) definiscono combinative le capacità dell’impresa di generare nuove conoscenze, a partire dal know-how già presidiato, nell’ambito dei processi innovativi e di cambiamento tecnologico; analogamente, i contributi di Grant (1991; 1996a) pongono enfasi sulla capacità di integrare le diverse risorse immateriali presidiate dall’impresa, siano esse tacite o esplicite, individuali o collettive. Il core concettuale della RBT sembra, infine, trovare compiutezza attraverso una serie di contributi tesi a evidenziare le dinamiche di generazione, dispiegamento e rigenerazione delle risorse, interpretando la stessa esistenza di tali dinamiche quale funzione principale dell’impresa (Winter, 1987; Di Bernardo e Rullani, 1990; Vicari, 1991; Conner e Prahalad, 1996; Kogut e Zander, 1996; Grant, 1996b; Spender, 1996; Nahapiet e Ghoshal, 1998; Knott, 2003a). Tale approccio, per certi aspetti, è anche quello maggiormente vicino all’intuizione originaria di Penrose (1959), cui viene attribuita da molti studiosi l’effettiva origine della prospettiva resource-based. In sostanza, se il contesto è competitivo, ai fini della sostenibilità della crescita di un’impresa, non conta la proprietà delle risorse ma il loro efficace utilizzo. E, quanto a efficacia dell’utilizzo delle risorse, Winter (1987) evidenzia come le competenze di carattere manageriale (variabili di stato o routine) rappresentino risorse di conoscenza in grado di utilizzare altre risorse, fisiche e finanziarie, nonché i comportamenti e le scelte soggetti a variazioni nel breve termine (variabili di controllo). Dalla qualità delle routine, in sostanza, deriva la qualità delle performance di un’impresa. L’enfasi, pertanto, è sulla rilevanza delle risorse di conoscenza e, nello specifico, a quelle tacite/contestuali rispetto e a quelle codificate/astratte (Di Bernardo e Rullani, 1990; Arora e Gambardella, 1990). Al riguardo, gli ambiti di interesse ai fini dell’identificazione del core della teoria possono essere ripartiti in due temi principali: i meccanismi di generazione e rigenerazione delle risorse; e la scelta per l’impresa tra integrare conoscenza al suo interno ovvero servirsi del mercato per acquistare le prestazioni derivanti dalla medesima conoscenza. Con riferimento al primo aspetto, alcuni contributi hanno evidenziato la dinamica autogenerativa della conoscenza (Vicari, 1991; Spender, 1996). In sostanza la conoscenza è sia input che ouput dei processi d’impresa, o all’interno di un sistema chiuso fatto di apprendimento idiosincratico, meccanismi sociali interni, codici e significati condivisi (Vicari, 1991; Kogut e Zander, 1992; Grant, 1996b, Nahapiet e Ghoshal, 1998) oppure in un sistema aperto dove la conoscenza si genera e si rigenera su base interorganizzativa (Kogut e Zander, 1996; Spender, 1996) attraverso meccanismi di divisione del lavoro cognitivo e di creazione di conoscenza distribuita (Rullani, 2004). Per quanto attiene, invece, al secondo punto, ossia se le risorse di conoscenza si creino in modo più efficace attraverso l’integrazione interna anziché mediante ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 177 relazioni contrattuali di mercato, i contributi al riguardo evidenziano come la prevalenza della prima soluzione porti a una rivisitazione del concetto di costi di transazione (Demsetz, 1998; Langlois, 1991). 3. Gli elementi del programma di ricerca La definizione dell’oggetto di una teoria rappresenta l’aspetto di maggiore interesse da punto di vista dei processi di theorizing dato che, definito l’oggetto, si stabilisce in modo più o meno netto cosa si possa ‘chiedere’ alla teoria in termini esplicativi, prescrittivi e predittivi e cosa, invece, debba essere demandato ad altre concettualizzazioni (Kuhn, 1962). Tale aspetto merita attenzione poiché la definizione di una teoria che racchiuda numerosi contributi e diversi filoni porta in sé le premesse di un paradigma (Kuhn, 1962) per la disciplina a cui fa riferimento e/o per un dato fenomeno nell’ambito di tale disciplina. Tuttavia, come enfatizzato da Lakatos (1976), l’unità elementare di valutazione non è una singola teoria, ma un corpus di prospettive convergenti su un dato programma di ricerca. In tale prospettiva, occorre, quindi, individuare il nucleo di ipotesi centrali del programma di ricerca e le ipotesi ausiliarie soggette a controllo. Per tale motivo, il presente studio è volto all’identificazione degli aspetti di convergenza e di divergenza presenti nella RBT. In tal modo, l’avanzamento del programma di ricerca sulle risorse passa attraverso la verifica e il controllo delle ipotesi ausiliarie sui punti di divergenza, senza abbandonare le ipotesi nel nucleo. La robustezza teorica della Resource-based view risulta minacciata dall’assenza di validi tentativi di falsificazione empirica (Newbert, 2007) e dalla tautologia insita nella assunzioni di base (Priem e Butler 2001, Lado et al., 2006), attribuibili all’individuazione ex-post delle risorse e delle capacità rilevanti per il vantaggio competitivo e alla mancanza di condivisione circa le modalità di misurazione di variabili chiave per l’avanzamento teorico (Armstrong e Shimizu, 2007). Infatti, diverse sono le variabili prevalentemente adottate negli studi empirici per la misurazione delle risorse, creando una potenziale confusione su quali siano gli aspetti rilevanti da valorizzare all’interno delle imprese. L’individuazione delle potenziali fonti di vantaggio competitivo rischia, quindi, di essere un mero esercizio di analisi ex-post, indebolendo così la natura prescrittiva della teoria. Le risorse superiori evidenziate negli studi esistenti, infatti, si mostrano dipendenti, in larga parte, dal contesto in cui sono analizzate, determinando in tal modo un’analisi parziale non adatta a fornire valutazioni globali sui fenomeni oggetto d’analisi. Al fine di un avanzamento della teoria sembra, quindi, opportuno procedere verso una reale comprensione dei contributi al fine di evidenziare le risorse fonte di vantaggio competitivo nei diversi contesti d’analisi. Solo in un secondo momento si potrà, quindi, continuare la ricerca al fine di irrobustire le analisi fino ad ora svolte. Per quanto concerne la misurazione di costrutti posti alla base della teoria, ulteriori criticità emergono in base all’impostazione filosofica adottata negli 178 LA RESOURCE-BASED THEORY avanzamenti scientifici delle teorie (Durand, 2002, Powell, 2003). Il problema dell’interpretazione si presenta con maggiore intensità per quei costrutti non osservabili di cui la Teoria delle Risorse è ricca. Essendo la RBV una teoria basata su assunzioni e concetti di non chiara interpretazione e misurazione occorre, infatti, ristabilire una certa unità nelle prospettive adottate, al fine di consentire l’accumulazione della conoscenza indispensabile per un progresso scientifico della Teoria stessa. La presenza di paradossi e criticità nella Resource-based view, infatti, non deve essere vista solo come un limite per l’utilità scientifica e per il riscontro nella pratica manageriale che essa può fornire. Considerando, infatti, la naturale presenza di paradossi all’interno di numerose teorie, appare rilevante saper riconoscere tali aspetti critici, per poi proseguire con il loro superamento (Lado et al., 2006). Ai fini di questo articolo, pare importante rilevare gli elementi di convergenza e quelli di divergenza tra i filoni di studio della RBT nell’ambito delle spiegazioni concernenti la conquista di un vantaggio competitivo sostenibile posto che - quale che sia la prospettiva adottata: settoriale (Porter, 1980) o aziendale (Wernerfelt, 1984; Barney, 1991) - tale aspetto è unanimemente riconosciuto come centrale agli studi di strategia. I punti di convergenza riscontrabili sono: L’eterogeneità L’origine della prospettiva resource-based viene ritenuta da molti riconducibile al concetto di eterogeneità per come formulato da Penrose (1959), secondo cui non è il mero possesso delle risorse, bensì il loro miglior utilizzo a determinare il successo delle imprese. La rilevanza di tale contributo è stata, peraltro, costantemente ribadita negli studi e nelle ricerche condotti nella prospettiva delle risorse (Rumelt, 1984; Barney, 1991; Peteraf, 1993; Henderson e Cockburn, 1994; Miller e Shamshie, 1996). L’ampliamento della prospettiva resource-based nella più ampia concettualizzazione della RBT (Conner e Prahalad, 1996) - impianto, questo, in cui sono presenti anche le influenze della prospettiva evoluzionista e knowledge-based (Winter, 1987; Kogut e Zander, 1992; Teece, et al., 1997) - consente di accogliere la rilevanza del ruolo dell’eterogeneità superandone l’assunzione quale antecedente di matrice neoclassica e, suggerendone, invece, la sua generazione in seguito al processo di utilizzo delle risorse presidiate da un’impresa. L’intangibilità Il secondo aspetto ampiamente condiviso dagli studiosi di strategia è rappresentato dall’intangibilità delle risorse. Tale posizione, in realtà, è andata progressivamente affinandosi, dato che nella prima formulazione (Wernerfelt, 1984) richiamandosi agli studi di Business Policy (Andrews, 1971) riconosceva lo status di risorsa a qualsiasi elemento del patrimonio (materiale o immateriale) purché contribuisse alla creazione di una barriera alla concorrenza. I contributi successivi hanno, invece, progressivamente riconosciuto come elemento qualificante della ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 179 prospettiva resource-based non la fisicità degli asset presidiati, bensì l’immaterialità delle risorse di conoscenza intese sia come know-how, sia come capacità e competenze. Sebbene sussistano elementi di ulteriore puntualizzazione al riguardo (Makadok, 2001), pare tuttavia ampiamente riconosciuto (Barney, 2001), come il ruolo del bundle di risorse, capacità e conoscenza nella conquista del vantaggio competitivo sia più rilevante rispetto al semplice possesso di asset materiali e fisici, soprattutto in condizioni di elevata concorrenza, velocità delle dinamiche innovative e di rapido cambiamento tecnologico. L’approccio dinamico. Il terzo aspetto di convergenza registrato tra gli studiosi di strategia è rappresentato dall’approccio dinamico alla lettura della dotazione di risorse (Dierickx e Cool, 1989; Teece et al., 1997; Helfat e Peteraf, 2003). Questa, infatti, rappresenta uno stock soggetto a continua evoluzione poiché continuamente alimentato da flussi di nuove risorse. In tal senso, questo aspetto deve considerarsi con estrema attenzione poiché rappresenta l’elemento concettuale grazie al quale vengono superati gli elementi ‘residui’ dell’impostazione neoclassica identificabili nell’omogeneità delle imprese con concorrenza a profitti zero e nella tecnologia data fuori dal contesto competitivo. Il cambiamento dinamico cui, invece, le imprese danno vita attraverso l’impiego del portafoglio di risorse e capacità genera un processo di continua evoluzione, anche se non devono essere sottovalutate le implicazioni negative che da una cattiva gestione del dinamismo possono scaturire, quali le inerzie (Rumelt, 1995) o le rigidità (Leonard-Barton, 1992). I punti di divergenza individuabili nella Teoria delle Risorse sono i seguenti: Misurare il vantaggio competitivo: il concetto di rendita Un problema ancora aperto per la prospettiva resource-based è rappresentato proprio dalla variabile dipendente della proposizione centrale, ossia dal concetto di vantaggio competitivo, dalla sua definizione e dalla sua operazionalizzazione. Lippman e Rumelt (2003) hanno recentemente proposto una rilettura del concetto di rendita2 (quale misurazione del vantaggio competitivo) per gli studi di strategia rinnovando un dibattito che in realtà - stando alle critiche meno velate (Priem e Butler, 2001; Hoopes et al., 2003) - evidenzia la maggiore criticità per la robustezza, ossia la difficile falsificabilità delle sue proposizioni. Come osservato da Hoopes, Madsen e Walker, la RBT assume ciò che dovrebbe, invece, ipotizzare. In particolare, per quanto concerne le osservazioni direttamente riconducibili al punto di divergenza in esame, pare possibile rilevare che negli studi di strategia sono rinvenibili differenti concetti di rendita e diversi approcci alla definizione del concetto di rendita (per una disamina al riguardo si vedano Lippman e Rumelt, 2003, pp. 903-906). L’impatto delle risorse sulla sostenibilità del vantaggio competitivo potrebbe giovare da un utilizzo di variabili con una maggiore capacità 2 Per un approfondimento al riguardo si veda Mahoney, 2001. 180 LA RESOURCE-BASED THEORY di evidenziare le performance di lungo termine delle imprese (Armstrong e Shumizu, 2007). Proprietarie o non-proprietarie La questione dell’appropriabilità delle risorse fa riferimento alla natura delle stesse e, in maggiore dettaglio, sofferma l’attenzione sulla separabilità e/o cedibilità di queste. La questione è posta originariamente da Barney (1986a) relativamente all’esistenza di un mercato per i fattori strategici e alla possibilità, o meno, che i fattori strategici in questione siano cedibili (tradable) sul mercato o meno. Dierickx e Cool (1989) hanno successivamente rilevato che la questione riguarda la natura dei fattori strategici, vale a dire le risorse, composte di stock e di flussi compositi di competenze e conoscenze eterogenee. Nel dibattito sono poi confluiti ulteriori contributi (Black e Boal, 1994; Miller e Shamshie, 1996) attraverso i quali la questione dell’appropriabilità delle risorse è stata ulteriormente analizzata. In estrema sintesi, secondo Black e Boal (1994) il maggior contributo alla conquista del vantaggio competitivo può scaturire dalle risorse stock e non appropriabili (non tradable) quali le competenze diffuse nell’impresa su una data area manageriale, in quanto non imitabili e non osservabili. Miller e Shamshie (1996), invece, pongono un distinguo alternativo tra le risorse immateriali appropriabili attraverso forme contrattuali e le risorse immateriali non appropriabili in quanto knowledge-based. Ex-ante o ex-post Un altro aspetto critico nella RBT concerne il processo di creazione di rendite. Secondo Makadok (2001) è possibile identificare al riguardo la contrapposizione tra due scuole di pensiero. La prima fa riferimento alla prospettiva ricardiana delle rendite e ipotizza l’acquisizione preventiva delle risorse in grado di generare rendite e la simultanea eliminazione delle risorse di basso valore (Wernerfelt, 1984; Barney, 1986a; 1991; Peteraf, 1993). La seconda, di matrice schumpeteriana, identifica invece nella capacità di costruire un bundle di risorse il meccanismo di produzione di rendite (Amit e Schoemaker, 1993; Teece et al., 1997; Helfat, 2000; Winter, 2003; Mahoney, 1995, 2001). Dalla contrapposizione tra le prospettive esaminate scaturiscono ambiti di dibattito sia sul piano teorico che su quello della pratica manageriale. Se si adotta la prima, infatti, la logica della rent generation è ex-ante, vale a dire le imprese scelgono le risorse in ragione delle aspettative maturate e delle migliori informazioni circa l’andamento futuro della concorrenza, né più, né meno come opera il gestore di un fondo di investimenti dovendo scegliere i titoli da acquisire per il proprio portafoglio. Makadok (2001) definisce questo meccanismo resource-picking. Nella prospettiva schumpeteriana, invece, l’impresa genera rendite solo dopo (logica ex-post) che le risorse siano state sviluppate e trasformate in superiori capacità di coordinamento e sviluppo di capacità e competenze. Se tale processo non si completa efficacemente, non ci saranno rendite. Tale meccanismo è definito capability-building (Makadok, 2001). Rimangono aperti tuttavia i problemi di natura predittiva e prescrittiva: quali risorse genereranno rendite e in quale ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 181 contesto? Quali competenze dovranno sviluppare i manager, quelle di tipo resourcepicking ex-ante ovvero quelle di carattere ex-post, capability-building? Misurazioni delle risorse La Resource based view è stata recentemente soggetta a critiche riguardanti la carenza di validazioni empiriche di alcuni concetti posti alla base della Teoria stessa. La mancanza di conferme empiriche risulta determinata principalmente dalla stessa definizione di alcuni costrutti secondo un approccio che non consente una loro misurazione in quanto incentrato sulla natura intangibile, tacita e non osservabile delle risorse e competenze aziendali (Godfrey e Hill, 1995; Newbert, 2007; Armstrong e Shimizu, 2007). Inoltre, occorre rilevare che le caratteristiche delle risorse ritenute essenziali per il raggiungimento e il mantenimento di un vantaggio competitivo sostenibile rappresentano, a loro volta, dei costrutti complessi di non facile definizione. Per tale motivo, alcuni studi in ambito Resource-based hanno iniziato a rivalutare l’importanza di una chiara specificazione del dominio dei concetti utilizzati per superare le difficoltà di misurazione riscontrabili. Un esempio è rappresentato dai recenti tentativi di specificazione dell’ambiguità causale. Il concetto di ambiguità causale è fondamentale per la Teoria sulla risorse in quanto sottolinea il mantenimento di posizioni superiori inimitabili dovuto alla difficoltà di comprensione del legame tra risorse possedute e risultati raggiunti (Lippman e Rumelt, 1982; Peteraf 1993; Reed e DeFillippi, 1990). Nella sua definizione, tuttavia, la causal ambiguity genera un paradosso concettuale in quanto limita la possibilità di definizione di relazioni causali interne alle imprese, diminuendo il potere normativo della Teoria stessa e restringendo l’ambito di manovra lasciato alle decisioni manageriali sullo sfruttamento e sull’impiego delle risorse. Test empirici Il problema della misurazione empirica viene posto anche sul piano dell’inadeguatezza delle tecniche finora utilizzate a tal fine. Gli studi empirici esistenti in ambito resource-based hanno privilegiato l’utilizzo di singole variabili per misurare costrutti complessi, prevalentemente utilizzando dati secondari e focalizzandosi su singoli settori. Tali aspetti indeboliscono la validità esterna di tali studi, non consentendo una chiara definizione di implicazioni, teoriche e manageriali, derivanti dai risultati ottenuti (Armstrong e Shimizu, 2007). Si intravede, quindi, la possibilità di rafforzare l’impostazione metodologica attraverso una più attenta definizione delle fasi svolte nelle ricerche empiriche. Nel dettaglio, un miglioramento della metodologia seguita nei lavori empirici potrebbe essere raggiunto con l’utilizzo preliminare di analisi qualitative dettagliate con cui immergersi nel funzionamento delle imprese per comprenderne meglio le criticità e le complessità (Rouse e Daellenbach, 1999). Un ulteriore aspetto che necessita maggiore chiarezza riguarda l’utilizzo di variabili e costrutti nelle misurazioni empiriche. Infatti, mentre alcuni lavori empirici si basano sulla misurazione diretta di variabili di “primo ordine”, cioè facilmente osservabili e misurabili, altri studi sono incentrati sull’utilizzo di costrutti di LA RESOURCE-BASED THEORY 182 “secondo ordine”, di non immediata definizione e, quindi, misurazione (Priem e Butler, 2001; Armstrong e Shimizu, 2007). Tali divergenze creano difficoltà nell’interpretazione dei risultati raggiunti dagli studiosi in quanto danno vita a implicazioni di non facile comparazione che limitano il progredire e l’accumulo di conoscenza sulla Teoria delle Risorse (Popper, 1956). Tab. 1: Aspetti di convergenza e divergenza negli studi sulla Teoria delle Risorse Aspetti di convergenza Eterogeneità Penrose, 1959 Rumelt, 1984 Barney, 1991 Peteraf, 1993 Henderson and Cockburn, 1994 Intangibilità Barney, 1991 Grant, 1991 Peteraf,1993 Hall, 1992 Teece et al., 1997 Helfat, 2000 Eisenhardt and Martin, 2000 Helfat e Peteraf, 2003 Approccio Dinamico Open Issues Vantaggio Competitivo Appropriabilità delle risorse Ex-ante o ex-post Misurazione delle risorse Test empirici Lippman and Rumelt, 2003 Priem and Butler, 2001 Hoopes et al., 2003 Barney e Peteraf, 2003 Barney, 1986a Dierickx and Coll, 1989 Coff, 1999 Makadok, 2001 Priem e Butler, 2001 Godfrey e Hill, 1995 Newbert, 2007 Armstrong e Shimizu, 2007 Armstrong e Shimizu, 2007 Rouse e Daellenbach, 1999 Priem e Butler, 2001 Fonte: elaborazione propria La tabella 1 sintetizza i principali aspetti di convergenza e divergenza sulla Teoria delle Risorse, riportando, per ognuno, i principali contributi che hanno evidenziato le criticità dei diversi elementi. In particolare, per quanto concerne le open issues, i contributi degli studiosi riportati in tabella segnalano la necessità di avanzamento teorico attraverso l’approfondimento delle questioni irrisolte. ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 183 4. Discussione In questo saggio è stata esaminata la RBV quale programma di ricerca per gli studi di Strategia. In questo paragrafo, pertanto, l’analisi verrà approfondita relativamente alle questioni ancora insolute e che necessitano si ulteriori riflessioni. La disamina di tali aspetti rappresenta un utile contributo per l’avanzamento e la corroborazione della Teoria in esame (Popper, 1956) in quanto consente la definizione di domande di ricerca puntuali. Nell’analisi di un programma di ricerca, infatti, le questioni ormai condivise dalle teorie rappresentano il nucleo, non soggetto a falsificazione. Al contrario, la ricerca dovrebbe proseguire con la verifica delle ipotesi ausiliarie, idealmente inserite in una cintura protettiva del programma di ricerca, poiché possono essere fra loro sostituite senza intaccare il nucleo (Lakatos, 1976). Gli elementi della teoria su cui si è creata convergenza, già evidenziati in precedenza, segnalano come la teoria delle risorse ponga in luce la capacità interna alla imprese di creare valore attraverso l’utilizzo e il dispiegamento delle risorse (Sirmon et al., 2007). L’eterogeneità delle risorse identifica, infatti, nell’unicità del differente utilizzo di queste, oltre che al mero possesso di bundle di risorse diverse, il principale elemento di creazione di superiorità e di valore, accogliendo pertanto la tesi penrosiana (1959). L’unicità delle imprese va ricercata, inoltre, nella natura intangibile di alcune risorse, caratteristica che impedisce la trasmissibilità di conoscenze e capacità, contribuendo così alla sostenibilità di un vantaggio competitivo basato su elementi non codificabili presenti all’interno dell’impresa. In ottica di accoglimento globale della teoria, rilevanti sono i contributi volti ad evidenziarne la natura dinamica piuttosto che statica, al fine di fornire una visione più realistica ed utile a descrivere meccanismi di generazione di rendite in situazioni di continuo cambiamento ambientale. Affinché la teoria delle risorse possa contribuire pienamente alla comprensione dei fenomeni di persistente superiorità nelle performance, tuttavia, appare rilevante esaminare anche, o soprattutto, gli aspetti su cui non si registra piena convergenza. Un elemento rilevante e ancora trascurato riguarda l’individuazione della variabile dipendente da usare nelle misurazioni empiriche. Rilevanti sono i recenti contributi che hanno accolto ed ampliato le concettualizzazioni ormai consolidate, evidenziando nuove dimensioni, quali il valore per il cliente (Hoopes et al., 2003). Tuttavia, permane un aspetto di criticità nell’individuazione della variabile dipendente legato alla proliferazione e alla difformità delle misure utilizzate in diversi contesti d’analisi (Barney e Peteraf, 2003; Newbert, 2007). Se è vero che alcune risorse presenti all’interno delle imprese permettono il raggiungimento di performance superiori, quali dimensioni permettono di comprendere se tale risultato è stato conseguito? Inoltre, se in alcuni contesti può essere opportuno utilizzare misure finanziarie per dedurre una superiorità di performance, in altri potrebbe essere più opportuno adottare misure di mercato o di innovazione. 184 LA RESOURCE-BASED THEORY Tale elemento critico appare fortemente correlato alla mancanza di convergenze circa l’individuazione ex-ante o ex-post delle fonti di vantaggio competitivo. La ricerca empirica tradizionale, infatti, mostra tale criticità in quanto le risorse ritenute fonte di vantaggio competitivo sono prevalentemente individuate secondo una logica ex-post (Priem e Butler, 2001). Il limite della teoria in tale prospettiva può essere superato solo attraverso la prescrizione ex-ante dei fattori maggiormente utili per il raggiungimento e la sostenibilità di performance superiori. Il superamento di tale limite si dimostra, inoltre, indispensabile, per fornire un legame tra teoria e pratica da molte parti richiesto e ancora poco realizzato. Un aspetto su cui la teoria dovrebbe intervenire, inoltre, riguarda la questione dell’appropriabilità delle risorse. La presenza di risorse cedibili su un mercato dei fattori strategici (Barney, 1986a) pone in evidenza la criticità circa il ruolo dei meccanismi di protezione. Appare importante indagare la presenza di eventuali strumenti che garantiscano un migliore sfruttamento di risorse senza perdere il vantaggio per via di una scarsa protezione interna delle risorse stesse. Infatti, il raggiungimento di un vantaggio competitivo non implica la creazione di valore per i proprietari (Coff, 1999). Alla luce di tali considerazioni, emerge la necessità di continuare le ricerche nel campo delle risorse al fine di risolvere alcuni punti centrali che non hanno ancora trovato piena convergenza tra diversi studiosi. In particolare, la RBT è stata recentemente soggetta a critiche riguardanti la carenza di validazioni empiriche di alcuni concetti posti alla base della Teoria stessa. La mancanza di conferme empiriche risulta determinata principalmente dalla stessa definizione di alcuni costrutti secondo un approccio che non consente una loro misurazione in quanto incentrato sulla natura intangibile, tacita e non osservabile delle risorse e competenze aziendali (Godfrey e Hill, 1995). Inoltre, occorre rilevare che le caratteristiche delle risorse ritenute essenziali per il raggiungimento e il mantenimento di un vantaggio competitivo sostenibile rappresentano, a loro volta, dei costrutti complessi di non facile definizione. Per tale motivo, alcuni studi in ambito Resource-based hanno iniziato a rivalutare l’importanza di una chiara specificazione del core dei concetti utilizzati per superare le difficoltà di misurazione riscontrabili. Un esempio è rappresentato dai recenti tentativi di specificazione dell’ambiguità causale. Il concetto di ambiguità causale è fondamentale per la Teoria sulla risorse in quanto sottolinea il mantenimento di posizioni superiori inimitabili dovuto alla difficoltà di comprensione del legame tra risorse possedute e risultati raggiunti (Lippman e Rumelt, 1982; Peteraf 1993; Reed e DeFillippi, 1990). Nella sua definizione, tuttavia, la causal ambiguity genera un paradosso concettuale in quanto limita la possibilità di definizione di relazioni causali interne alle imprese, diminuendo il potere normativo della Teoria stessa e restringendo l’ambito di manovra lasciato alle decisioni manageriali sullo sfruttamento e sull’impiego delle risorse. Il problema della misurazione empirica viene posto anche sul piano dell’inadeguatezza delle tecniche finora utilizzate a tal fine. Gli studi empirici esistenti in ambito Resource-based hanno privilegiato l’utilizzo di singole variabili ANDREA LANZA - GIUSEPPINA SIMONE 185 per misurare costrutti complessi, prevalentemente utilizzando dati secondari e focalizzandosi su singoli settori. Tali aspetti indeboliscono la validità esterna di tali studi, non consentendo una chiara definizione di implicazioni, teoriche e manageriali, derivanti dai risultati ottenuti (Armstrong e Shimizu, 2007). Si intravede, quindi, la possibilità di rafforzare l’impostazione metodologica attraverso una più attenta definizione delle fasi svolte nelle ricerche empiriche. Nel dettaglio, un miglioramento della metodologia seguita nei lavori empirici potrebbe essere raggiunto con l’utilizzo preliminare di analisi qualitative dettagliate con cui calarsi nel funzionamento delle imprese per comprenderne meglio la criticità e la complessità (Rouse e Daellenbach, 1999). Un ulteriore aspetto che necessita maggiore chiarezza riguarda l’utilizzo di variabili e costrutti nelle misurazioni empiriche. Infatti, mentre alcuni lavori empirici si basano sulla misurazione diretta di variabili di “primo ordine”, cioè facilmente osservabili e misurabili, altri studi sono incentrati sull’utilizzo di costrutti di “secondo ordine”, di non immediata definizione e, quindi, misurazione (Priem e Butler 2001; Armstrong e Shimizu, 2007). Tali divergenze creano difficoltà nell’interpretazione dei risultati raggiunti dagli studiosi in quanto danno vita a implicazioni di non facile comparazione che limitano il progredire e l’accumulo di conoscenza sulla Teoria delle Risorse (Popper 1956). L’analisi dei punti di convergenza o divergenza nella teoria delle risorse può, inoltre, beneficiare di tecniche e strumenti adatti ad individuare in modo scientifico le basi su cui partire per un reale avanzamento della ricerca. Tale obiettivo può essere raggiunto, ad esempio, utilizzando tecniche bibliometriche che riescono a stabilire gli elementi di condivisione presenti all’interno della teoria, come recenti articoli hanno proposto su varie prospettive (Acedo et al., 2006; Di Stefano et al., 2010). Attraverso l’analisi di cocitazione, ad esempio, sarà possibile pervenire a mappe concettuali su temi di rilevanza al fine di comprendere la struttura scientifica sviluppata su specifiche aree di interesse. In particolare, le analisi di cocitazione consentono l’individuazione degli invisible colleges che si sviluppano intorno ad un particolare programma di ricerca. Tali scuole di pensiero si presentano come dei network di studiosi che aderiscono ad un programma di ricerca senza essere legati tra loro da legami o relazioni formali (Crane, 1972). Le analisi di cocitazione sono, quindi, un valido strumento al fine di approfondire la struttura scientifica di determinati programmi di ricerca, e si basano sull’assunzione che gli indicatori più validi sullo stato dell’arte di una scuola di ricerca siano le pubblicazioni su di essa esistenti (Small, 1978). 5. Conclusioni La Teoria delle risorse, emersa agli inizi degli anni ’90 come spiegazione delle performance superiori ottenute da alcune imprese nel settore, si è nel tempo arricchita di numerosi contributi. Come evidenziato nei precedenti paragrafi, da una teoria essenzialmente statica che attribuiva la fonte di superiorità delle imprese alla 186 LA RESOURCE-BASED THEORY loro dotazione unica di risorse, si è evoluta in teoria dinamica, capace di fornire una spiegazione in uno scenario di cambiamento continuo. Oltre agli avanzamenti in chiave dinamica, la Resource-based view ha anche fruito dell’estensione in altri ambiti disciplinari, quali il marketing, le risorse umane o le relazioni inter-impresa. Nonostante siano molti i passi in avanti realizzati dalla Teoria rispetto ai preliminari studi dalla lettura più o meno statica, permangono ancora oggi numerose criticità che ne limitano il potere predittivo e normativo. In particolare, l’analisi delle divergenze riscontrate negli studi sulle risorse e il focus sulle questioni ancora insolute pongono al centro del dibattito la necessità di ulteriori sviluppi concettuali. La ricerca in tale campo dovrebbe, quindi, anzitutto risolvere i problemi di misurazione empirica delle risorse; inoltre occorrerebbe superare le divergenze ancora in essere nella teoria, affinché si raggiunga una condivisione circa le reali fonti di vantaggi superiori, conferendo così capacità non solo esplicativa, ma anche predittiva alla RBT. Come recenti contributi hanno evidenziato (Rouse e Daellenbach, 1999), è necessario iniziare un percorso di maggiore approfondimento metodologico, incrementando il ricorso ad analisi qualitative e quantitative più rigorose, consentendo così, in primis, la reale accumulazione della conoscenza, nonché il raggiungimento di una maggiore chiarezza tra la molteplicità di concetti e risultati che caratterizzano, ad oggi, la Resource-based view. Bibliografia ACEDO F.J., BARROSO C., GALAN J.L. (2006), “The resource-based theory: dissemination and main trends”, Strategic Management Journal, vol. 27, pp. 621-636. AMIT R., SCHOEMAKER P. (1993), “Strategic assets and organizational rent”, Strategic Management Journal, vol. 14, pp. 193-213. ANDREWS K.R. (1971), The concept of corporate strategy, IL: DowJones Irwin, Honewood. ARMSTRONG C.E., SHIMIZU K. (2007), “A review of approaches to empirical research on the resource-based view of the firm”, Journal of Management, vol. 33, n. 6, pp. 959986. 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