piccolo viaggio negli antichi mestieri verticale

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piccolo viaggio negli antichi mestieri verticale
Provincia di Imperia - Settore Centri per l’Impiego/OML
piccolo viaggio negli antichi mestieri
Corrado, fabbro, Imperia
Oggi andiamo a scomodare Omero (non uno qualunque): “…Qui stavano i tesori del re:
bronzo, oro e faticosissimo ferro…” E il che la dice già lunga sul mestiere oggetto della
nostra intervista odierna, il fabbro: fatica, fatica e fatica, nei millenni…
Intanto, appena entriamo, una (piacevole, anche per noi) sorpresa: si respira benissimo!
E andando incontro al signor Corrado, colui che
oggi avrà la gioia di stare con noi, mi scappa un “e
la fuliggine dov’è?” “Usiamo il carbone minerale
(che arriva da Cairo Montenotte), pulitissimo ed
eccezionale per la resa. Quello di cui parli tu è il
carbon fossile, che faceva un fumo incredibile e che
non si usa più da cinquant’anni”… E ci crolla subito
un mito, quello di Vulcano e della sua forgia
infernale. Dopo dieci minuti che siamo in officina
capiamo che la prima domanda del nostro
questionario possiamo anche non farla. Ma la
facciamo. “Qui c’è da faticare, e c’è troppo da
imparare; sono troppi i trucchi del mestiere, e non
si usano strumenti, si fa tutto a occhio”. Infatti le
tecniche sono sempre le stesse, ma è un lavoro che
richiede grandissima esperienza e concentrazione:
distrarsi un attimo potrebbe costare molto caro… Il
signor Corrado scende nei particolari: “per essere
minimamente indipendente devi stare qua almeno
8-10 anni”. E rimaniamo senza parole…“Ma perché
si sceglie un lavoro così?” “Per passione, solo per
passione. Mio padre mi ha messo in officina giovane, ma senza impormi nulla. E non ne
sono più uscito”. Con ordine: il nonno Giovanni (recentemente scomparso all’età di 97 anni)
era garzone di bottega nell’officina Barroero a Ceva (famosa per la qualità dei propri
prodotti, interamente dedicati all’attrezzatura agricola). “Chiariamo bene: garzone non
stipendiato, ma che, essendo un giovane volenteroso, viveva in quella famiglia come se
fosse uno di loro”; quindi tanti anni di gavetta,
poi “incominciò a venire in bicicletta da queste
parti per cercare un posto adatto per aprirsi
un’officina in proprio”. E nel 1932 la apre
davvero, e con tanta bravura e con prodotti di
nuova concezione (“è stato il primo a fare aratri
in ferro, prima erano in legno”) le cose vanno
subito bene. Primo lavoro una serie di attrezzi
agricoli per la casa del fascio di Ventimiglia, poi
la voce si espande a macchia d’olio (per la
cronaca il primo aratro fatto è attualmente
esposto al museo dell’olivo Carli); e via con le
storie del tempo che fu, come quelli “che
venivano con i carri da Castelvittorio a far
riparare la punta dell’aratro…” Il lavoro prosegue anche durante la guerra, con la
popolazione che fa di necessità virtù e “riscopre” l’agricoltura (“la gente doveva mangiare”),
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con la produzione di zappe, piccozze, piccozzini (“ne abbiamo ancora, perfettamente
funzionanti”). Negli anni ’50 tocca al figlio, il signor Sergio (che oggi abbiamo avuto il
piacere di conoscere), entrare giovanissimo in officina, e con un bellissimo aneddoto ci
racconta i suoi primi passi “tra le fiamme”: “…Ero così piccolo che papà mi aveva fatto un
bastone per arrivare agli interruttori, non ci arrivavo”... In quel momento l’officina si
specializza nella produzione di ganci per motozappe e attrezzi per trattori. L’ingresso della
terza generazione avviene venti anni fa con il giovane Corrado, che alla strada delle
attrezzature agricole preferisce quella del ferro battuto e dei componenti per cinte. “Per
iniziare cosa serve?” “In teoria tre cose: la forgia, l’incudine e il martello. Poi l’uomo durante
la storia si è ingegnato, cercando aiuto nella forza della natura per migliorare la propria
condizione lavorativa: ecco allora il maglio,
prima ad acqua, poi meccanico, quindi
oleopneumatico: insomma strumenti pochi,
passione e sacrificio tanti”. Intanto scopriamo
che un vecchio maglio, “a testa d’asino o a
bascula” costruito dal nonno utilizzando anche
delle ruote del treno, adesso è in un museo a
Ginevra, un pezzo di storia che “volevamo
regalare ad un Comune della provincia, ma non
volevano venirselo a prendere”. Complimenti
sentitissimi al Comune in questione, che
evitiamo di nominare…Comunque, come è
facile immaginare, il signor Corrado aveva già
tutto pronto, e solo recentemente è stato
comprato un maglio. “Ma come si impara?” “Il
nonno diceva che il miglior insegnamento è
guardare… ma per me se una cosa la spieghi è
meglio” ci dice ridendo Corrado. E per farci
capire cos’era la bottega di un tempo, ed il
rispetto con il quale ci si
avvicinava al mestiere del faber
ferrarius, ci racconta che
“nell’officina dove lavorava il
nonno il più oscuro dei segreti
del fabbro, la tempera, non
veniva svelato agli allievi. Al
punto che il padrone, il signor
Barroero, temperava di notte, a
officina chiusa, a lume di
candela”. “Ma papà” aggiunge
con un bel sorriso il signor
Sergio “guardava dai vetri, di
nascosto…” “Ma cos’è questa
famosa tempera?” “E’ mettere il
ferro incandescente nell’acqua, e quindi batterlo”. Semplice, vero? E’ la cosa più segreta che
esista, il mistero dei misteri del fabbro. Per farvi capire meglio di cosa parliamo, guardate
questo articolo comparso recentemente su una rivista scientifica: …Svelato il millenario
segreto del fabbro. Decifrato il procedimento della cosiddetta 'tempera' con la
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quale si migliorano le caratteristiche di durezza di ferro e acciaio: l'antico segreto del fabbro,
secondo il quale l'acciaio più resistente si ottiene mediante un rapido raffreddamento, è stato
confermato scientificamente da un gruppo di ricercatori olandesi, danesi e francesi
partecipanti ad un progetto congiunto... In pratica bisogna conoscere il materiale, avere la
temperatura giusta sia della forgia che dell’acqua e conoscere i tempi di cottura e di
raffreddamento.
E
non
si
può
sbagliare…“La tempera è un arte!”, ci urla il
signor Sergio in mezzo ad un baccano
terribile. “Se l’acciaio è troppo crudo si
spezza come vetro! Solo se il lavoro è a
regola d’arte non si deve né piegare né
scheggiare!”. Come era facile immaginare
qui l’orologio non esiste. “I tempi te li da la
storia, punto e basta”. Per essere chiari ci
dicono che “adesso a volte il sabato non si
lavora. Ma sono capitati momenti da 10 ore
al giorno per 7 giorni…comunque quando
l’agricoltura la faceva da padrona era un lavoro per lo più stagionale (da gennaio a luglio),
ora si lavora a tempo pieno. Le cose vanno bene, e c’è una sensazione di generale riscoperta
del ferro battuto e del bello in generale”, come per fortuna ci hanno detto anche altri
artigiani intervistati. Comunque per informazione l’officina chiude giusto per 15 giorni ad
agosto. “La cosa più bella del vostro mestiere?” All’unisono: “Ogni lavoro finito, perché
creare, inventare, sono sensazioni che non si possono raccontare. Il cliente porta il disegno
(che è sempre gradito, almeno non ci sono problemi, visto che a volte il cliente stesso non sa
bene quello che vuole), ma poi comunque c’è sempre qualcosa di nostro”.
E non può che essere così. Ci segnalano due lavori molto grossi fatti di recente: la cinta a
villa Ormond a Sanremo (che poi hanno assemblato altri fabbri) ed un altro da 7.000 pezzi,
sempre per una struttura pubblica. Il signor Corrado preferisce “i lavori per me, senza ordini
e progetti, seguendo solo il mio istinto e i miei gusti”. E ci mostra un bellissimo candelabro
per casa sua (vi possiamo giurare che non si vedono le saldature) e terminali per tende,
davvero fini. Ok, basta con l’allegria: “Di brutto cosa c’è? E ha mai pensato di smettere?”
“Si, più di una volta”, e questo onestamente non ce lo aspettavamo. “Il problema è che ci
sono tanti clienti che poi non pagano, e pesa il sacrificio del tempo impiegato”. Ancora più
antipatici: “Ma lo consiglieresti davvero un lavoro così?” “Onestamente non lo so, è un
mestiere troppo particolare. In famiglia abbiamo sempre seguito una strada: nessuno ha
mai imposto l’officina ai propri figli”. “E’ cambiato il lavoro negli anni?” “E’ migliorato il modo
di lavorare, grazie a macchinari sempre più evoluti, pur rimanendo un lavoro di fatica; per
esempio ora fanno le forgie a gas, ma non vanno bene per il ferro a martello”: a quanto
pare scaldano poco e si raffredda subito, questa volta ci fidiamo…
Mentre gironzoliamo per l’officina impariamo alcuni principi: la fondamentale differenza tra
ferro battuto (quello del fabbro) e ferro piegato (quello diffusissimo in giro e spacciato da
parecchi negozi per battuto), un lavoro lo inizia e lo finisce lo stesso fabbro, si segue un
lavoro alla volta (due rarissimo). “Ma in altri posti c’è la cultura del ferro battuto?” La scuola
milanese tra tutti, ma la memoria corre anche in Austria, dove “in alcuni paesi è
obbligatorio usare cartelli in ferro battuto”, quindi in Germania in Francia, “ma abbiamo
visto cose molto belle anche nel bresciano, e in Trentino”; e quando gli chiediamo di
segnalarci le scuole (intese come filoni), ecco Italia, Francia e Germania.
Noi vogliamo i nomi: “l’opera più bella vista finora?” “Sicuramente il Duomo di Como, un
capolavoro, ma anche alcune cancellate a Milano”.
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“E di corsi se ne fanno?” “Corsi non ce n’è. E l’unica forma di autoaggiornamento è la
pratica”; per il signor Corrado i libri (che gelosamente raccoglie qua e la) possono essere un
valido aiuto (“i migliori sono quelli del secolo scorso”), ma ecco che “piuttosto il difficile è
capire come hanno fatto gli antichi a fare certe cose, come ad esempio dei rastrelli fatti da
un pezzo unico, un capolavoro di ingegneria”.
“Ma è un lavoro redditizio?” “A ll’inizio sicuramente no, visto quanto ci vuole per potersi
definire realmente un fabbro, poi con il tempo e la pratica si”. Tra l’altro in un settore di
nicchia come questo i nostri amici ci confortano almeno su un aspetto, molto sentito e
patito da altri settori: “non temiamo assolutamente il lavoro nero, non ce n’è ad un livello
come il nostro”…
Ci giochiamo il tutto per tutto con una domandaccia: “Perché bisogna comprare da voi?”
Come per altri artigiani ascoltati anche i nostri amici fabbri ci invitano a ragionare su cos’è
la qualità, cos’è un investimento a lungo periodo, e cosa sono le cose belle e che durano,
fatte su misura…Ok, ok, abbiamo capito, “ma chi sono i clienti?” “Tantissimi sono fabbri,
che si rivolgono a noi per avere i pezzi pronti e comunque sono solo persone selezionate
(per i motivi su riportati). Non vedendoci ancora soddisfatti ecco che “sicuramente in Costa
Azzurra abbiamo i clienti più esigenti, ma anche nel sanremese non scherzano”. Va bene.
“Ma c’è bisogno del fabbro oggigiorno? E domani?” “Sicuramente, oggi va sempre di più il
ferro battuto, non è detto che domani non ritornino i tempi degli aratri (sperando che non
facesse riferimento alla metafora di Einstein sulla quarta guerra mondiale!); comunque il
futuro è sicuramente diversificare il prodotto offerto. Quindi con curiosità si sperimentano
sempre nuove forme e stili, ma sempre nel rispetto della tradizione”. Tra l’altro facciamo
una felice scoperta: in questa officina sono nati gli attrezzi per la potatura delle palme, che
“sono nati qua e ogni tentativo di imitazione è stato inutile”. Ed in effetti scopriamo che
arrivano richieste da tutta Italia, le ultime da Roma (che stanno preparando davanti ai
nostri occhi) e dalla Sicilia.
Terza parte del nostro questionario: “No, non ho bisogno di altre persone, e comunque
negli ultimi anni solo una persona è entrata a proporsi. Ed è sparito dopo cinque minuti. Qui
non resiste nessuno”…fine della terza parte del nostro questionario.
Non possiamo fare a meno di notare che ogni tre
colpi sul ferro l’amico Corrado ne da uno
sull’incudine (il padre uno ogni quattro, per la
cronaca), e la tentazione è troppo forte: “perché?”
“Ogni tanti colpi si gira il ferro, e il peso del
martello non deve gravare sul braccio, e quindi si
da un colpo che si fa rimbalzare sull’incudine. Per
quanto riguarda il numero dei colpi ognuno ha il
suo stile, il suo braccio, il suo martello”. “Ok, ma
quanto pesa il martello?” e qui abbiamo proprio finito le domande…Invece no, è un
argomento importante! “Dal chilo ai due chili, di ogni forma e misura, tutti con il loro
significato e la loro storia”.
Come sempre quando l’intervista finisce siamo dispiaciuti: tante sono le cose che vorremmo
ancora chiedere e vedere, ma non possiamo approfittare ancora della pazienza e della
cortesia dei nostri ospiti. Oggi pomeriggio hanno lavorato “poco”, per colpa nostra…
Prima di andarcene ci danno una buona notizia... “L’anno scorso si è tentato di fare un
corso da apprendista fabbro, a Taggia. Risultato: con 14 posti disponibili (e con il lavoro
garantito a fine corso), si sono presentati in quattro, che a quanto pare sono subito
scappati appena hanno capito di cosa si trattava…”. “Corrado, aveva ragione Omero?”
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