L`Italia l`Uomo l`Ambiente Anno I N° 2 Aprile 2014

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L`Italia l`Uomo l`Ambiente Anno I N° 2 Aprile 2014
 Anno I – n° 2 Periodico d’informazione
e formazione ambientale e artistico
01/04/2014 ★
I 40 anni di Pro Natura Firenze ★
Giganti addormentati oppure…
★ Dio creò il Mugello, la TAV lo distrusse ★ Nel tempio del Tempo a Su Mannau 1 Il giardino della Bella Addormentata Ma la Bella Addormentata non si trovava in un bosco?, si chiederà il lettore più avvertito. Sì, certo, nella favola. Purtroppo, però, qui ci troviamo nella realtà, e della real-­‐
tà parliamo, anche se il titolo di questo editoriale è meta-­‐
forico. Il “giardino” è q uello per antonomasia, cioè l’Italia, così definita dai tanti viaggiatori-­‐scrittori che la percor-­‐
sero nel XVIII e XIX secolo, restandone affascinati. La Bel-­‐
la Addormentata è il popolo italiano, arresosi a un sonno profondo ormai da molti lustri, un sonno che gli impedi-­‐
sce di prendere coscienza che quel giardino è ormai di-­‐
venuto un orrido pantano avvelenato. Da Taranto alla campana “Terra dei Fuochi”, dalla Trieste inquinata dalle sue industrie alla Liguria dove i magistrati impongono la chiusura di grandi fabbriche perché responsabili di ma-­‐
lattie e morti, dall’Abruzzo dove è stata ora acclarata la presenza della più grande discarica abusiva di materiali perniciosi in Europa, alle aree, diffuse qua e là nella peni-­‐
sola, dove sono stati interrati senza alcun permesso mi-­‐
gliaia (milioni?) di fusti contenenti veleni e/o sostanze radioattive, sembra proprio che ogni angolo di questo nostro povero paese sia stato devastato, infettato, depre-­‐
dato, stuprato: è nostra opinione che ogni nazione di an-­‐
tica e raffinata cultura e civiltà di fronte a questo scem-­‐
pio, ben visibile o parzialmente occultato nei gelidi (e raggelanti) dati contenuti nei report delle ASL e delle ARPA, si dovrebbe levare, se non in armi, almeno in tu-­‐
multuanti cortei che invochino e pretendano la fine dello sterminio degli innocenti (signori benpensanti, fatevi un giro negli ospedali pediatrici!), la fine della guerra contro gli inermi (uomini, animali e piante: tutti esseri viventi) scatenata in nome dell’unica vera fede che sopravvive a ogni religione: la logica del profitto, con mezzi legali ma amorali o semplicemente criminali, ad ogni costo. Invece niente, salvo qualche grillo (s)parlante e petulante e qualche bebè politico dalla vista corta e dall’ambizione smisurata, convinto che l’Italia si possa trattare come un comunello disorganizzato. N oi, magari un tantino aneste-­‐
tizzati dal troppo chiacchiericcio senza costrutto, ma an-­‐
cora energicamente vigili, leviamo da queste colonne la nostra piccola voce, a mo’ di puntura di zanzara, e a ogni numero metteremo, per citare il Giusti, qualche “birba alla berlina”. Partendo da casa nostra, dal disastro provo-­‐
cato in Mugello dai lavori per la costruzione della linea ferroviaria TAV. Buona lettura. Gianni Marucelli I 40 anni di Pro Natura Firenze 3 Il non inverno 2013/2014, quali le cause 5 Giganti addormentati oppure 8 Dio creò il Mugello, la TAV lo di-­‐
strusse 11 La grotta di Su Mannau 13 Canale Monterano 16 La città che muore 17 Le fonti del Clitumno 19 Un pane antico nella Maremma contemporanea 20 Recensione de “I centri minori della Toscana nel Medioevo” 22 Recensione di “Una notte su Monte Ceceri 22 La tua gatta sta bene 23 Curiosità: la festa del Grillo 24 Buon appetito 25 Il gatto del mese 26 Hanno collaborato in questo numero Gianni Marucelli, Alberto Pestelli, Maria Iorillo, Iole Troccoli, Alessio Genovese, Massimilla Manetti Ricci Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione -­‐ Non commerciale -­‐ Non opere derivate 4 .0 In-­‐
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o I 40 anni di Pro Natura Firenze Di Gianni Marucelli Nel marzo 1974, esattamente quaranta anni fa, nasceva nel capoluogo della To-­‐
scana l’Associazione Pro Natura Firen-­‐
ze, per opera di un gruppo di studenti universitari, di neolaureati e di profes-­‐
sionisti che si richiamavano alla espe-­‐
rienza della Federazione nazionale Pro Natura, il più antico sodalizio ambienta-­‐
lista italiano (1948). Chi scrive faceva parte di quel gruppo, cui è rimasto fede-­‐
le per un quarantennio ricoprendo via via le cariche di Consigliere, di Segreta-­‐
rio e di Presidente: può perciò, a giusto titolo, ripercorrere con la memoria il lungo percorso di Pro Natura, che all’epoca della sua fondazione rappre-­‐
sentava la prima associazione ambien-­‐
talista fiorentina, quindi una novità as-­‐
soluta per la città. Affrontammo, per primi, assieme agli amici pescatori del-­‐ l’A.R.C.I., il problema dell’inquinamento del fiume Arno in provincia di Firenze, realizzando un documentario di diapo-­‐
sitive, ricco di immagini “forti” e di dati scientifici, che, commentato direttamen-­‐
te a voce (come sono cambiati i tempi!) fu portato in tournée nelle Case del Po-­‐
polo, nelle scuole, nei vari circoli, susci-­‐
tando interesse e preoccupazione per un fenomeno fino a quel momento quasi ignorato. Ci rendemmo così conto come fosse prioritaria l’informazione e la formazione “ambientale”, e a questo scopo indirizzammo le nostre scarse ri-­‐
sorse di “volontari” nel senso più puro del termine. A tale “mission”, come la chiameremmo adesso, restammo fedeli per lunghi decenni, privilegiando, nel combattere le nostre battaglie in difesa della natura e dei suoi equilibri, la forza 3 Una foto di qualche anno fa: Filippo Gatti, attuale Segretario di Pro Natura Firenze, impegnato, nella consegna del Premio “Foglia d’Argento, una vita per la Natura. Si riconoscono in secondo piano il prof. Orazio Ciancio, Presidente dell’Accademia di Scienze Forestali e il Prof. Valdo Spini ex Ministro dell’Ambiente e socio di Pro Natura. della ragione e della scienza alle “paro-­‐
le” demagogicamente urlate. Senza mai chiedere né percepire un centesimo da-­‐
gli Enti pubblici di qualsiasi genere e ca-­‐
tegoria, e quindi senza mai neppure corrispondere adeguati rimborsi spese ai propri volontari, ma reggendosi uni-­‐
camente sulle risorse provenienti dai propri Soci, Pro Natura Firenze ha svol-­‐
to un’attività continua, anche se non appariscente; certamente apprezzata da coloro che si occupano professional-­‐
mente e scientificamente di tutela am-­‐
bientale (in particolare il Corpo Fore-­‐
stale), ma spesso ignorata dai media e dal grande pubblico, l’Associazione ha rappresentato un esempio di correttez-­‐
za e di autonomia da qualsiasi potere politico, molto difficile da replicare nell’attuale mondo del volontariato, in Cui gli interessi economici giocano un ruolo di consistenza ben diversa. Que-­‐
sto è stato, insieme, il merito e il limite di Pro Natura Firenze. Chi ne ha fatto parte, come me, ne è comunque orgo-­‐
glioso. BUON COMPLEANNO, PRO NATURA! Il gruppo trekking di Pro N atura sulla vetta più alta del Parco dei Monti Simbruini 4 Il non inverno 2013/2014 quali le cause? Di Alessio Genovese Surriscaldamento climatico o altro ancora Fatta eccezione per una modesta irru-­‐
zione di aria fredda artica ed in parte continentale che si è avuta durante gli ultimi giorni del mese di novembre 2013 (quindi ancora in pieno periodo autunnale e che ha coinvolto in termini di fenomenologia nevosa per lo più re-­‐
gioni orientali centro-­‐meridionali) e due brevissime incursioni di aria polare marittima avvenute verso la fine del mese di gennaio 2014, l’inverno meteo-­‐
rologico (che contrariamente a quello astronomico va dal 1 dicembre al 28 febbraio) 2013/2014 ha alquanto delu-­‐
so gli amanti del freddo e della neve, ed in questi tempi di crisi sono sicuramen-­‐
te tanti, che apprezzano il fatto di poter spendere di meno per il riscaldamento domestico. Dal punto di vista puramen-­‐
te statistico, per ritrovare un inverno con caratteristiche simili in termini di temperature e scarse precipitazioni ne-­‐
vose occorre risalire al non troppo lon-­‐
tano 2007. Discorso a parte andrebbe fatto per il versante alpino il quale du-­‐
rante l’inverno appena concluso ha bat-­‐ tuto diversi record in fatto di neve. Dal momento che anche in meteorologia la coperta molto spesso è troppo corta, la felicità dei gestori degli impianti sciisti-­‐
ci del versante alpino è avvenuta a di-­‐
scapito dei colleghi dei versanti appen-­‐
ninici. Si ricorda comunque che solo due anni fa, quando dalla Romagna in giù molte regioni furono sommerse di neve, la situazione fu completamente opposta. Ma allora le temperature, spesso sopra la media, registrate nell’ultimo inverno in buona parte d’Italia sono da imputare al tanto famo-­‐
so surriscaldamento globale di cui sem-­‐
pre più spesso si sente parlare nei mass-­‐media? Quindi con sempre mag-­‐
giore facilità nei prossimi anni non ve-­‐
dremo più la neve nelle nostre pianure? Dal punto di vista meteorologico, da semplice appassionato senza alcuna pretesa di conoscere la verità, mi sento di poter mettere quanto meno in di-­‐
scussione tali ipotesi. Chi volesse utiliz-­‐
zare l’esempio dell’inverno appena tra-­‐
scorso per rafforzare le proprie tesi sul 5 Riscaldamento a cui starebbe andando incontro il pianeta Terra, forse non è ca-­‐
pace di mettere l’occhio al di fuori del proprio orticello. Negli Stati Uniti, che si trovano alle stesse nostre latitudini e nello stesso emisfero, si è avuto un in-­‐
verno gelido e nevoso come non accade-­‐
va da molti anni e questo fatto di per sé potrebbe al contrario rinforzare le tesi opposte di qualche esperto americano che invece potrebbe sostenere l’arrivo di un’imminente PEG (piccola era glaciale). Anche in questo caso il probabile esperto dovrebbe portare ulteriori elementi per avvalorare la sua tesi. Senza volersi ad-­‐
dentrare, in questa sede, in argomenti alquanto complessi sul clima futuro del nostro pianeta, la differenza tra quanto è avvenuto negli Stati Uniti e quanto inve-­‐
ce in Italia ed in buona parte dell’Europa, Russia compresa, può essere spiegata senza scomodare le inevitabili e com-­‐
plesse trasformazioni climatiche che uti-­‐
lizzano i meteorologi per effettuare le lo-­‐
ro previsioni stagionali e che, a dirla molto semplificata, possono condiziona-­‐
re la direzione e la collocazione delle masse d’aria fredde e calde sul nostro emisfero e quindi anche le alte e basse pressioni che poi determinano il bel tempo o le precipitazioni atmosferiche. Per prima cosa va considerato l’indice NAM (north annular mode) che fra gli ul-­‐
timi giorni di novembre e i primi di di-­‐
cembre 2013 ha superato la soglia di 1,5, cosa che quando avviene, secondo studi scientifici, comporta, per un periodo che può oscillare dai 45 ai 60 giorni, un raf-­‐
forzamento del vortice polare che con-­‐
tiene al suo interno il freddo o gelo che in questo modo tende a rimanere confi-­‐
nato nelle sue zone di origine (artico) e a non consentire irruzioni di aria fredda lungo i meridiani e quindi in zone meno settentrionali, come quelle del mediter-­‐
raneo. Terminato tale periodo di condi-­‐
zionamento, ovvero dalla metà-­‐fine del mese di gennaio 2014, ciò che ha mag-­‐
giormente impedito al vero inverno di decollare anche nel Mediterraneo è sta-­‐
to l’indice relativo alla QBO (quasi biennal oscillation) che quando risulta positiva, come è accaduto in questo in-­‐
verno, molto spesso, correlata anche ad altri fattori fra i quali un sole in forma non troppo smagliante, comporta un flusso zonale molto teso. Il flusso zona-­‐
le, in parole semplici, è caratterizzato da forti correnti che provengono dall’Atlantico le quali, quando si man-­‐
tengono a latitudini più alte, possono portare all’affermarsi sul nostro territo-­‐
rio dell’alta pressione delle Azzorre, mentre quando il getto è più basso por-­‐
tano neve sulle Alpi (vedi quanto acca-­‐
duto quest’anno) e umidità e pioggia sulla maggior parte del resto d’Italia. Di fatto è il lungo attraversamento dell’oceano Atlantico che va inevitabil-­‐
mente a smorzare tutto quel gelo che invece a più riprese si è abbattuto sugli Stati Uniti. Perché in Italia arrivi il vero freddo è necessario che la massa d’aria giunga da nord-­‐est o meglio ancora da 6 est. Ciò avviene con più facilità durante gli inverni in cui vi è una QBO negativa, che consente l’arrivo sull’Italia di orrenti proprio da tali direzioni e può favorire gli scambi meridiani di calore che con-­‐
sentono all’alta pressione delle Azzorre di distendersi proprio verso nord sugli stessi meridiani e non sui paralleli, nelle cui occasioni invade il nostro territorio ed impedisce l’arrivo del freddo e della neve. La NAM e la QBO rappresentano solo una piccola parte di tutta una serie di indici predittivi meteorologici, il cui incastro a ogni modo non permette qua-­‐ si mai a nessun previsore di potere es-­‐
sere in grado di stabilire con esattezza quanto avverrà in un’intera stagione, e questo forse continua a rendere affa-­‐
scinante la scienza della meteo. Per la prossima stagione invernale (2014-­‐
2015) si prevede che alcuni indici, a in-­‐
cominciare dalla QBO, possano essere maggiormente favorevoli a incursioni di aria fredda nel nostro territorio ri-­‐
spetto a quanto avvenuto di recente e allora, magari, senza per forza di cose andare a scomodare l’attuale inverno degli Stati Uniti, gli amanti della neve potranno essere maggiormente soddi-­‐
sfatti e i sostenitori del G.W. (Global Warming – riscaldamento globale) meno convinti. Durante i prossimi inverni poi, secondo alcuni studiosi astrofisici, un aiuto per vedere qualche nevicata in più potrebbe giungere da un minimo solare che si preannuncia lungo e profondo, proprio a partire da questa primavera. Sarà veramente così? Di certo per i più curiosi, oltre che i più esperti, sarà in-­‐ teressante attendere il verdetto che ci ri-­‐
serveranno la natura e il nostro pianeta nel prossimo futuro, pur con la consape-­‐
volezza che i cambiamenti, che siano in un senso piuttosto che nell’altro, di solito si avvertono sul lungo/lunghissimo pe-­‐
riodo. Alessio Genovese Appassionato di Meteorologia 7 Giganti addormentati, oppure… Il Vesuvio e Campi Flegrei Di Maria Iorillo Da bambina mi recai in gita sul Vesuvio, l’unica volta. Con la macchina arrivammo fino a quota 1000, accompagnati dalle ombre dei castagni, degli aceri, dei vigne-­‐
ti e degli ulivi. Proseguimmo, poi, a piedi sino al cratere con una guida autorizzata. Ricordo il percorso, per niente facile e si-­‐
curo, sulla parte terminale del “cono”: un sentiero stretto e polveroso e senza transenne a ripararci da eventuali messe in fallo dei piedi. I battiti del cuore acce-­‐
lerarono ancora di più una volta arrivati su, proprio sull’orlo del cratere: una grande bocca che a me bambina apparve come la fauce di un mostro pronto a in-­‐
ghiottirmi. Ero spaventata e affascinata allo stesso tempo. Ricordo le fumarole sulfuree, l’atmosfera surreale, i pensieri immaginifici, il panorama mozzafiato e il soffio del vento sul viso. Forse fu proprio quell’istante che, facendosi rumorosa-­‐
mente largo nell’anima, ne ha segnato l’amore e il rispetto per la natura. Il Ve-­‐
suvio, “il gigante addormentato”, domina e caratterizza il golfo di Napoli con la sua spaventosa bellezza. I Napoletani sono talmente abituati alla sua presenza che quasi se ne dimenticano, come se fosse un suppellettile adagiato lì a completa-­‐
re l’arredo della città; ma di tanto in tanto il pensiero e lo sguardo vanno a quell’amico nemico. Perché lo sanno, i Napoletani, che quel gigante prima o poi erutterà come sanno anche che non è possibile prevedere quando ciò acca-­‐
drà! Affascinati dalla sua maestosità, lo hanno vissuto e raccontato in tanti tra pittori, poeti e scrittori. Anche Leopar-­‐
di, che trascorse gli ultimi anni della sua vita nella città partenopea, fu ispirato nel 1836 dal gigante cono per la com-­‐
posizione de “La ginestra o fiore del de-­‐
serto”. Descrisse un paesaggio di deso-­‐
lazione, sul quale incombe l’ombra an-­‐
gosciante e opprimente del Vesuvio. E proprio da questa consapevolezza del doloroso vivere dell’uomo deve nasce-­‐
re, secondo Leopardi, una coscienza collettiva, un’azione consapevole di so-­‐
lidarietà e di soccorso reciproco. L’attività vulcanica nell’area vesuviana è iniziata circa 300.000 anni fa e ha formato nel tempo il complesso costi-­‐
tuito dal Monte Somma e dal più recen-­‐
te Vesuvio. Il Somma crebbe per l’accumulo di colate laviche e di deposi-­‐ 8 ti di eruzioni esplosive di bassa energia. L’apice del monte, che potrebbe aver raggiunto un’altezza di circa 2.000 metri, sprofondò dopo una violenta eruzione esplosiva di tipo pliniano, circa 18.000 anni fa. In seguito a questo evento si creò una caldera, all’interno della quale è, poi, cresciuto il Vesuvio. Ben note in tutto il mondo sono le sue eruzioni: quella del 62 d.C. e, soprattutto, quella del 79 d.C., durante la quale Pompei ed Ercolano fu-­‐
rono completamente distrutte e molte al-­‐
tre cittadine furono gravemente danneg-­‐
giate. Dopo l’eruzione del 1139 seguì un lungo periodo di stasi fino al 1631; in quest’ultima catastrofe morirono oltre 3.000 persone. Altre eruzioni, di minore entità, avvennero nel 1694, 1767, 1794, 1872, 1906, 1944. Il Vesuvio è, quindi, in silenzio da circa 70 anni e conserva energia dal 1631. Il Vesuvio, fra i vulcani del mondo, viene considerato a rischio molto alto, dal momento che le eruzioni passate sono state sia di tipo effusivo, con colate lavi-­‐
che, che esplosivo, molto più pericolose. La Protezione Civile ha pronto un piano nazionale d’emergenza fornito dalla Co-­‐
munità Scientifica, che ha individuato tre aree, a diversa pericolosità, definite: zo-­‐
ne rossa, gialla e blu. La zona rossa rac-­‐
chiude una superficie di 200 km2, con 18 Comuni e 600.000 abitanti. La zona gial-­‐
la, di pericolosità più bassa, comprende un’area di 1.100 km2, 96 comuni e 1.000.000 di abitanti, soggetta alla rica-­‐ duta di ceneri e lapilli, dove gli abitanti potrebbero avere problemi alle vie re-­‐
spiratorie e gli edifici crollare sotto il peso eccessivo del sovraccarico di cene-­‐
re sui tetti. La zona blu, dentro la stessa zona gialla, soggetta anche a inondazio-­‐
ni e alluvioni, ha 14 comuni con circa 180.000 abitanti. Ma forse non tutti sanno che, a meno di 15 chilometri dalle falde del Vesuvio, la zona costituita da una serie di rilievi collinari, con una massima elevazione di 460 metri sul livello del mare, nasconde un pericolo ben più grave. Si tratta dell’area vulcanica dei Campi Flegrei, luoghi pieni di storia, misteri e miti, de-­‐
scritti da Omero e da Virgilio, frequen-­‐
tati dall’aristocrazia romana che vi eresse dimore lussuose. L’origine del suo nome è greca (phlegreios – ardenti) “campi ardenti” così chiamata per la presenza di una miriade di vulcani grandi e piccoli, ora assopiti. L’ultima eruzione storica risale, infatti, all’anno 9 1538 quando, in una settimana o poco più, dal fondo del mare, in una piccola baia vicino a Pozzuoli, spuntò un vulcano (Monte Nuovo – vedi fotografia a pagina 9) alto 130 metri che distrusse ogni cosa nel raggio di qualche chilometro. I Campi Flegrei, attualmente , sono come un uni-­‐
co immenso vulcano con diverse bocche che ne hanno impedito la più tipica for-­‐
mazione a cono centrale, sul modello del Monte Somma-­‐Vesuvio, favorendo quella di crateri e coni di piccole dimensioni. L’area dei Campi Flegrei, anch’essa ad al-­‐
ta densità di popolazione, è molto vasta, infatti comprende: i quartieri occidentali di Napoli, Fuorigrotta e Bagnoli; i crateri di Agnano, del Gauro, degli Astroni, del Monte Nuovo; il territorio su cui sorgono alcuni Comuni tra cui Quarto, Pozzuoli, Baia, Bacoli, Miseno, Monte di Procida, Cuma; inoltre i laghi Lucrino, Averno e Fusaro. Sono conosciuti i fenomeni di bradisismo che affliggono da sempre il comune di Pozzuoli. Il bradisismo è lette-­‐
ralmente un movimento lento del suolo, in contrapposizione con il movimento veloce che si realizza nel corso di un ter-­‐
remoto. La curva del bradisismo, dal II secolo avanti Cristo fino ai nostri giorni, riporta un’alternanza di movimenti di-­‐
scendenti e ascendenti. Dal 2005 a oggi è in corso una fase di sollevamento. Ed è solo di recente che la comunità scientifi-­‐
ca ha cominciato a preoccuparsi per i pe-­‐
ricoli collegati a una eventuale eruzione dei Campi Flegrei che, avendo la camera magmatica posta a una profondità di cir-­‐
ca 7 km, potrebbe dar luogo a diversi fe-­‐
nomeni comprendenti lancio di bombe e blocchi di notevoli dimensioni intorno al-­‐
la bocca eruttiva, flussi piroclastici nei luoghi adiacenti, ricaduta di ceneri e la-­‐
pilli nelle zone distanti anche parecchi km di distanza. Non solo, in uno studio recente pubblicato nella sezione Scienti-­‐
fic Reports di Nature, due vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano, Lucia Pappa lardo e Giuseppe Mastrolorenzo, so-­‐
stengono che ci sarebbe un’unica, este-­‐
sa camera magmatica a 8-­‐10 km di pro-­‐
fondità nel distretto vulcanico napole-­‐
tano. Un bacino, comune alla caldera dei Campi Flegrei e al Vesuvio, colmo di magma che potrebbe fuoriuscire in qualsiasi momento e risalire in tempi brevi verso la superficie. Questo studio prende in considerazione lo scenario peggiore. Intanto per la zona del Vesu-­‐
vio è stato progettato un piano di emergenza anche se con molte riserve sulla sua affidabilità, mentre per i Cam-­‐
pi Flegrei il piano non esiste nemmeno. Eppure qui le eruzioni, potenzialmente più violente di quelle scatenate dal Ve-­‐
suvio, possono verificarsi in un qualsia-­‐
si punto della caldera e alcune zone di Napoli, che si trovano al suo interno, potrebbero ritrovarsi sotto grandi spessori di cenere. Oggi, soffermandomi a immaginare i possibili scenari di una eventuale eruzione, mi sembra di rive-­‐
dere quella figura paurosa, costruita da bambina, del mostro che con le sue fau-­‐
ci ingoia tutto e tutti. Ma allontano subi-­‐
to i cattivi pensieri, e, fiduciando nel destino ma ancora più nell’azione pre-­‐
ventiva e pianificatrice dell’uomo, sor-­‐
seggio un calice di buon Lacryma Chri-­‐
sti. Maria Iorillo Laureata in sociologia, insegnante e poetessa. 10 Dio creò il Mugello, la TAV lo distrusse Di Gianni Marucelli In un suo articolo apparso sul suo sito, l’amico Alberto Pestelli ha fatto cenno a come le acque del torrente Carza, in prossimità di Vaglia (FI) siano scompar-­‐
se per un certo periodo, lasciando un al-­‐
veo secco e desolato, e ipotizzava che l’evento potesse connettersi ai lavori per la realizzazione della linea ferrovia-­‐
ria Alta Velocità (TAV) Firenze-­‐ Bolo-­‐
gna. Alberto mi ha detto… adesso nel torrente Carza l’acqua ha ripreso a scor-­‐
rere da Fontebuona fino allo sbocco nella Sieve a San Piero, però non so dire se questo lieto ritorno sia dovuto al grande periodo di pioggia o a qualche intervento “umano”. Io sono più propenso a credere alla prima ipotesi. Qualche giorno (metà marzo) Alberto ha avuto la conferma da un signore da lui intervistato… Sulla Carza non è stato compiuto nessun inter-­‐
vento umano… l’acqua è tornata a causa delle forti piogge… Il caro amico colla-­‐
boratore e il signore intervistato hanno perfettamente ragione: e purtroppo non soltanto il torrente Carza, ma altri 50 km di corsi d’acqua sono scomparsi nella zo-­‐
na a causa delle dissennate traforazioni per la costruzione delle gallerie TAV e il conseguente profondo dissesto del-­‐
l’equilibrio idrogeologico. Un territorio che era, a giusto motivo, considerato il “giardino” di Firenze, fin dai tempi dei Medici, ricco di acque, di sorgenti, di bo-­‐
schi, di campagne ben curate, di castelli e di borghi che hanno dato i natali a sommi artisti come Giotto, ha subito danni irri-­‐
mediabili: si pensi che una quarantina di sorgenti sono state disseccate, le pendici dell’Appennino rese irriconoscibili per le frane e le morie dei boschi conseguenti allo sprofondamento delle falde acquife-­‐
re, gli acquedotti a servizio delle comuni-­‐
tà disseccati… E ciò per creare una linea ferroviaria che, in questa tratta, fa ri-­‐
sparmiare mezz’ora di viaggio ai treni passeggeri… e sottolineo “passeggeri”, si 11 Legga bene, poiché nessun vagone mer-­‐
ci ha percorso, né mai percorrerà, que-­‐
sto itinerario, per ragioni tecniche che economiche (la TAV è troppo cara per il trasporto merci!). Qualcuno dirà: inci-­‐
denti che capitano, per il progresso… Non è vero. I progettisti sapevano, i di-­‐
rigenti delle imprese costruttrici non ignoravano, i politici che hanno consen-­‐
tito questo scempio conoscevano per-­‐
fettamente la situazione: la fascia delle sorgenti appenniniche era nota nella sua ubicazione già in epoca granducale, le associazioni ambientaliste avevano più volte richiamato l’attenzione sui gravi rischi che si correvano, molto prima che i lavori avessero inizio! Io lo posso dire, perché c’ero e, quale diri-­‐
gente di una di quelle associazioni, ho personalmente firmato e spedito ai vari Enti il documento redatto dal coordinamento dei sodalizi ambien-­‐
talisti a questo proposito. Ne ho co-­‐
pia, che ho già pubblicato in altra oc-­‐
casione. Quindi, un delitto compiuto scientemen-­‐
te, un “assassinio” a freddo delle risorse idriche di un territorio e di tutto ciò che da esse dipende. Un “delitto” rimasto im-­‐
punito, ancorché i responsabili (solo tec-­‐
nici – non i politici) siano stati processati e assolti non perché innocenti, ma perché i fatti erano caduti in prescrizione! Invito tutti i nostri lettori a recarsi in Mugello, a percorrere i sentieri lungo i corsi d’acqua divenuti ormai solo tristi fossi disseccati, ad assistere all’agonia degli alberi uccisi dalla mancanza di ac-­‐
qua, a sostare di fronte a quelle che, solo venti anni fa, erano meravigliose cascate e adesso solo pareti di roccia grigia… Riflettete allora a ciò che sta accadendo in Val di Susa e al motivo per cui quelle popolazioni si stanno battendo da anni contro la TAV (ad esclusione, è ovvio, dei gruppuscoli violenti che hanno strumen-­‐
talizzato l’occasione… Vale la pena di distruggere la propria casa per farci passare un treno? Gianni Marucelli Le fotografie riprendono il torrente Carza (tranne la foto in basso a sini-­‐
stra, che è un altro torrente vicino) nel periodo in cui l’acqua era completa-­‐
mente sparita. 12 Nel Tempio del Tempo La grotta di Su Mannau Di Alberto Pestelli La grotta di Su Mannau è un complesso carsico che si sviluppa per quasi nove chilome-­‐
tri. La parte che è aperta al turismo è di soli cinquecento metri. Questo spazio viene percorso su delle comode e sicure passerelle sospese sui laghetti che hanno il colore de-­‐
gli smeraldi. Lo scrittore inglese David Herbert Law-­‐
rence scrisse: La Sardegna, questa terra non assomiglia ad alcun altro luogo. Mai furono più appropriate tali parole. L’isola dell’antico e misterioso popolo del mare, gli Shardana, è un gioiello uni-­‐
co, incastonato nel mare che ha visto gli albori delle grandi civiltà mediterranee. Conoscendola bene quanto le mie ta-­‐
sche, posso affermare che la frase del Lawrence può essere applicata anche ai singoli luoghi dell’isola… Ogni luogo del-­‐
la Sardegna non assomiglia ad altri suoi luoghi. Basta percorrere pochi chilome-­‐
tri e ci troviamo immersi in un’altra realtà sia culturale, sia linguistica, sia geologica. Soffermiamoci, quindi a que-­‐
sto ultimo aspetto per parlare della uni-­‐
cità del suo sottosuolo. L’isola è ricca di grotte più o meno esplorate e aperte al turismo. Ero bambino quando entrai per la prima volta in una grotta. Erava-­‐ mo lontani da Cagliari, dove risiedono i miei parenti. Nei pressi di Alghero ci sono le famose grotte di Nettuno, fino a qualche decennio fa le più frequentate. In seguito ci sono tornato più volte ri-­‐
cordandomi che, quando avevo dieci anni, non avevo provato tanto affanno a risalire quei 656 gradini. Non soffer-­‐
miamoci qui. Nei pressi di Dorgali ci so-­‐
no altre due grotte. La grotta di Ispini-­‐
goli (detta anche abisso delle vergini), nell’entroterra, è ormai un antro fossile (non essendoci più acqua, non c’è più attività) ed ha una meravigliosa caratte-­‐
ristica. Oltre a far provare qualche bri-­‐
vido (si arriva alla sua base tramite dei ponti sospesi nel vuoto), fa impressione un’alta colonna – una stalattite si è fusa con una stalagmite – di circa 30 metri sembra sorreggere l’immensa volta. La grotta del Bue Marino, è invece tra la famosa Cala Luna e Cala Gonone. Questa 13 Invece è attiva come lo sono altre due grotte situate una nei pressi di Ulassai (Ogliastra, Sardegna orientale) e chia-­‐
mata Su Marmuri, l’altra nel sud dell’isola, nei pressi di Capo Teulada: la grotta di Is Zuddas. Dopo aver fatto un veloce giro di questi “antri” non pos-­‐
siamo far aspettare, a questo punto, la Grotta di Su Mannau. Questa è meno co-­‐
nosciuta ma, a mio avviso, è la più spet-­‐
tacolare e soprattutto la più viva. Ma se-­‐
guiamo la guida. Ascoltare le sue parole è d’obbligo per capire tanti aspetti della vita dei popoli della Sardegna che hanno scelto il luogo per i loro riti religiosi. Un signore del nostro gruppo si rivolge alla giovane guida: “Perché Su Mannau?”. Io sorrido. So il perché date le mie origini sarde. Questa parola l’ho sentita tante volte. Conosco non tanto il suo significa-­‐
to, ma quello della tradizione popolare. Ma leggete ciò che la guida ha risposto: “Su Mannau è la forma arcaica della pa-­‐
rola mannu che significa grande. Ma in questo caso assume un significato di-­‐
verso… Nero, scuro. In parole povere è l’uomo nero. Qualcosa che incute paura. Le nonne, fino a poco tempo fa, per far addormentare i bambini dicevano… Drommi pippìu miu, asinunca beniri su mannau e tindi pigara… (dormi, bambi-­‐
no mio, altrimenti viene su Mannau e ti porta via…). Quindi su Mannu o Mannau sta per qualcosa di pauroso, di scono-­‐
sciuto…” Ma continuiamo la visita. Questa grotta non era adibita ad abita-­‐
zione. Era un luogo di culto della dea Madre, la Terra. Una specie di tempio che poi, in seguito è stato santuario an-­‐
che per i fenici e infine i romani. La gui-­‐
da spiega… “ovviamente gli antichi non andavano oltre la grande sala, qui all’ingresso della grotta. Si portavano fin dove arrivava la luce del sole. Oltre c’era il grande buio… su mannu! Non si az-­‐
zardavano a proseguire perché dalle profondità della grotta provenivano dei suoni sinistri tali da spaventare gli uo-­‐
mini. La zona del buio era interdetta da-­‐
gli dei agli uomini. Questo “tremendo” suono non è altro che lo scorrere dell’acqua nei tanti laghetti che la grotta nasconde”. La guida ci fa strada. Attraversiamo de-­‐
gli stretti cunicoli fino ad arrivare ad una grande sala. C’è acqua, tanta acqua che scorre formando una spettacolare cascata. Le luci artificiali donano all’ambiente una particolare magia di colori e di effetti che fanno rabbrividire di meraviglia. Almeno per me è così, ma credo che anche gli altri visitatori si sentano delle piccole briciole animate nei confronti dell’immensità della natu-­‐
ra. Poco più su c’è un laghetto dove si specchiano miriadi di stalattiti che pen-­‐
dono dalla volta. Lungo il percorso fac-­‐
ciamo brevi soste. La guida si sofferma sui particolari. La sua voce suona lenta 14 E pacata, quasi avesse timore di distur-­‐
bare la maestosità della grotta. Scatto foto su foto. Senza flash, naturalmente. So che molte non saranno un gran che a causa della luce non perfetta. Ma qual-­‐
cuna, sicuramente, sarà bellissima. Andiamo avanti. Le sale si succedono una dopo l’altra. Si continua a scendere nel cuore della montagna. È tutto un luccicare di cristalli. Sembra di essere sotto una volta stellata, in un altro mondo, in un’altra dimensione, dove il tempo si è fermato. Solo quando, una volta finita la visita, usciamo al sole, ci rendiamo conto che siamo stati dentro il ventre della Sardegna, dentro il Tem-­‐
pio del Tempo per almeno un’ora e mezza. Mi rivolgo alla mia compagna… “Ogni volta che visito questa grotta ri-­‐
mango sempre sbalordito. Come se avessi subìto un incantesimo che mi do-­‐
na serenità. Mi mette in pace con la na-­‐
tura. Per questo motivo, tutte le volte che vengo in Sardegna, devo passare da queste parti, a farmi scaldare dal cuore dell’antica madre…” Alberto Pestelli L’articolo è una rielaborazione di un precedente articolo scritto da Alberto Pestelli nel 2005 e pubblicato nel sito http://web.tiscali.it/io.pe/ di Alberto Pestelli e Maria Iorillo. Le fotografie in-­‐
serite nell’articolo sono state scattate da Alberto Pestelli nel 2005 15 Canale Monterano Una gita fuori dall’insolito Di Maria Iorillo Appena fuori Roma, vicinissimo al lago di Bracciano e alla nuova città di Canale Monterano, si estende la Riserva Natu-­‐
rale di Monterano, un parco naturale a cavallo tra i Monti Sabatini e i Monti del-­‐
la Tolfa. E proprio nel cuore della riser-­‐
va sorge l’antica città di Monterano, o meglio ciò che di essa rimane. La visita inizia con una suggestiva e rilassante passeggiata tra i sentieri del bosco, tra aceri, pioppi, salici, castagni, noccioli, felci, pungitopo, ciclamini e orchidee. Si è accompagnati dallo scrosciare dell’acqua del fiume Mignone e delle sue cascate e dai piccoli passi di amici ani-­‐
mali. Ecco che si apre all’improvviso uno scenario che lascia incantati… so-­‐
spesi tra il reale e l’irreale. Un tour nel passato e contemporaneamente in epo-­‐
che diverse. In ampi spazi si ergono le rovine dell’antico borgo: dai rinasci-­‐
mentali Palazzo Baronale e Chiesa e Convento di San Bonaventura (proget-­‐
tati dal Bernini) alle costruzioni del pe-­‐ riodo romano (come l’acquedotto), al ca-­‐
stello medievale, alle costruzioni risalenti al periodo etrusco. Un connubio insolito ma, vi assicuro, davvero affascinante. E qui si intensifica l’attività della vostra macchina fotografica, talmente sono tanti e incantevoli gli scorci da immortalare. La città fantasma è stata utilizzata come set cinematografico di famosi film come “Il Marchese del Grillo”, “Ben Hur” e “Brancaleone alle crociate”. Dedicate una domenica a questa gita davvero fuori dall’insolito per vivere un viaggio multie-­‐
pocale e assaporare, così, un po’ di sto-­‐
ria… condita con tanto verde. 16 La città che muore Civita di Bagnoregio Di Alberto Pestelli Civita di Bagnoregio è l’antica Balneum Regis. Fu fondata dagli Etruschi in corri-­‐
spondenza di una delle vie più antiche della penisola italiana che congiunge il biondo Tevere e il lago vulcanico di Bol-­‐
sena. I fondatori della città cercarono da subito di far fronte ai problemi sismici e franosi dell’area circostante. Opere ri-­‐
prese poi dai romani con la canalizzazio-­‐
ne delle acque piovane. Ciò non impedì il graduale e lento abbandono di Civita di Bagnoregio da parte dei suoi abitanti che si trasferirono nella dirimpettaia Bagno-­‐
regio. In questo meraviglioso borgo Medievale ha avuto i natali San Bonaventura che fu uno dei maggiori filosofi e teologi cri-­‐
stiani del XIII secolo. Inoltre vi è nato an-­‐
che Francesco Monaldeschi che fu vesco-­‐
vo di Orvieto e poi di Firenze. La chiamano la città che muore. Ad esse-­‐
re sinceri, io non ho notato, ogni volta che mi sono “arrampicato” sul ponte che La collega con Bagnoregio, che fosse una città moribonda. D’accordo, “l’isola di tufo” su cui poggia la sua anima si sta sgretolando lentamente. Tuttavia, rive-­‐
drei questo sinistro appellativo. Si po-­‐
trebbe mutare in “La città che stava per morire”. L’iniziale tendenza dei suoi cit-­‐
tadini di abbandonare questo antichis-­‐
simo borgo, ritenuto uno dei più belli e caratteristici d’Italia, si è sostituita con un graduale ritorno alla vita. A far da 17 Compagnia a quelle pochissime persone che mai l’hanno lasciata, sono arrivate alcune famiglie che hanno preso residen-­‐
za in alcune case ristrutturate. Questo è dovuto alle opere di conservazione e consolidamento del roccione di tufo della città. Quindi è un borgo che vive e la sua voglia di vivere si nota eccome… Lo si avverte sin dai primi passi sul lungo e stretto ponte che la collega con l’altra parte di mondo. Come ho già detto poco sopra, sembra un’isola questa roccia do-­‐
ve le case hanno radici profonde. Una sensazione strana e di disagio (per chi soffre di vertigini…) si ha attraversando il ponte. Sembra di galleggiare in un ma-­‐
re di emozioni che, varcata la soglia dell’antico portale, ci proiettano indietro nel tempo. In un attimo. E con la mente vaghi per le strade dove, prima in lieve bisbiglio, poi in assordante coro, le voci della storia ti prendono per mano. Una storia di semplicità, di antichi valori per-­‐
duti. Ma non le tradizioni, come il Palio Della Tonna (della tonda) dove le con-­‐
trade di Civita si contendono il premio gareggiando sulla schiena di un asino (prima domenica di giugno e seconda domenica di settembre). Quando ripercorro il ponte per tornare sulla “terraferma”, con ancora nelle orecchie le urla degli incitamenti del popolo ai beniamini del Palio, porto con me il sorriso del tempo e dei versi da scrivere in un libro di poesie… Alberto Pestelli 18 Le fonti del Clitumno Di Maria Iorillo & Alberto Pestelli Da qui il cavallo da guerra va in campo spavaldo a testa alta, da qui, o Cli-­‐
tunno, le bianche greggi e il toro, vittima massima, bagnati spesso nelle tue sacre acque, hanno condotto i trionfi romani fino ai templi degli dei… (Virgilio, Georgiche, dal II canto, versi 137-­‐176) In Umbria, sulla via consolare Flaminia, tra Spoleto e Foligno, si trovano le Fonti del Clitumno, un angolo di straordinaria bellezza, celebrato nei secoli da Plinio il Giovane, Properzio, Virgilio nelle Geor-­‐
giche (canto II, versi 136-­‐176) e da scrittori più contemporanei quali Byron e Carducci. Il fiume Clitumno (o Clitun-­‐
no) era un luogo sacro per i Romani. Vi furono eretti, nei pressi della sorgente, ville, terme e templi in onore del dio Cli-­‐
tumnus, che qui proferiva i suoi oracoli. I terremoti del 446 d.C. (ricordiamoci che questa zona dell’Umbria è sismica) causarono la dispersione di gran parte delle vene d’acqua e il luogo fu lenta-­‐
mente abbandonato. Di tutti i templi e ville romane è rimasta fino a oggi una sola costruzione, il Tempietto del Cli-­‐
tumno. Il verde, nelle sue svariate sfuma ture, si specchia nelle limpide acque del fiume, proprio là dove sgorgano noncu-­‐
ranti della durezza della roccia; anzi, proprio quella durezza così levigata rende i loro piccoli salti ancora più gioiosi. Pioppi neri e salici penduli of-­‐
frono ombra ai pensieri di chi, seduto sulla panchina, sbircia nei movimenti della natura alla ricerca di nessi logici tra l’uomo e la vita e i suoi misteri. A rendere più vivo il luogo contribuisce la presenza di vari volatili, come i cigni e i germani. Il suo essere così suggestivo lo rende ideale per trascorrere qualche ora in pace con se stessi e con la natura. Maria Iorillo & Alberto Pestelli 19 Alla riscoperta dei sapori antichi Di Massimilla Manetti Ricci Un pane antico nella Maremma contemporanea Nello scorcio di paesaggio toscano, pro-­‐
prio nello spicchio di pineta che accom-­‐
pagna la risacca del Tirreno, la Marem-­‐
ma grossetana si apre ai suoi ammirato-­‐
ri, come per riscattarsi da un passato rude, aspro e paludoso, sinonimo di morte e malattie per la malaria; terra al-­‐
la quale una canzone le ha valso l’aggettivo amara e terra dove si perdo-­‐
no le persone amate; terra delle vacche dalle lunghe corna, libere di pascolare per il parco naturale e terra dei butteri che con i loro bivacchi sono il retaggio di un passato da Buffalo Bill e da cow-­‐
boy; terra di leggende saracene e di sto-­‐
ria etrusca; terra di mare, di scoglio e di borghi medievali che come cammei si appuntano sulle colline dell’entroterra. Una terra antica che ogni giorno scopre il suo passato glorioso e lo riporta in vi-­‐
ta ad insegnarci che si può vivere e nu-­‐
trirsi meglio. Sì, perché la spinta neces-­‐
saria a scovare gli ingredienti di cibi an-­‐ tichi è arrivata dalla constatazione che il grano attualmente usato è una new entry geneticamente modificata negli anni ’70, quando via via si è andata a incrementare la frazione di gliadina, un componente del glutine che sembra rendere più ma-­‐
neggevole l’impasto per i fornai, ma che modifica però le proprietà organolettiche e nutrizionali della farina stessa. Ecco al-­‐
lora che si guarda indietro, ai cosiddetti “grani antichi”. Con questo termine si indicano quei semi che non hanno subìto la mano modifica-­‐
trice dell’uomo, restando di fatto nella modalità con la quale sono nati. E proprio nella Maremma essi hanno ri-­‐
trovato lo spazio che la modernità e la globalizzazione avevano relegato nell’an-­‐
golo delle dimenticanze, grazie alla intui-­‐
zione di un’associazione, la Piazzottella, che ha intrapreso questo progetto dal ti-­‐
tolo evocativo, “La Memoria dei Semi”. “L’idea nasce dalla consapevolezza di po-­‐ 20 ter creare opportunità concrete di svi-­‐
luppo per la comunità locale, puntando sul recupero e la valorizzazione delle tradizioni, intese non in senso nostalgico, ma come ricerca della tipicità e dei valori del mondo rurale sui quali costruire una esperienza concreta, capace di superare le difficoltà competitive del mondo glo-­‐
balizzato. Nella riscoperta dei grani an-­‐
tichi e della loro possibilità di coltivazio-­‐
ne naturale, c’è la conferma che la biodi-­‐
versità può trovare un’applicazione con-­‐
creta e assicurare la salvaguardia delle attività agricole locali. È la grande spinta a un’agricoltura rispettosa dell’ambien-­‐ te, capace di essere valore aggiunto per la comunità”. Così nel 2012 Fulvio Pon-­‐
zuoli, presidente dell’associazione, pre-­‐
sentava il neonato progetto. I primi semi antichi utilizzati dal progetto sono sei grani teneri (Autonomia, Abbon-­‐
danza, Frassineto, Rieti, Sieve e Gentil Rosso), un grano duro adatto alla pasta (Senatore Cappelli) e un cereale molto an-­‐
tico: il farro Monococco, ricostruito nel sud Italia dopo duemila anni di assenza. Al progetto partecipano oltre ai Comuni di Semproniano e Roccalbenga, tre aziende agricole locali che hanno riprodotto con tecniche di coltivazione naturale senza uso di concimi e a rotazione i primi semi antichi recuperati. Un particolare curioso è l’altezza raggiun-­‐
ta dalla spiga, alta fino a 1,5-­‐1,80 metri, una cariatide munita di cariosside che guarda dall’alto in basso le nanospighe dei grani attuali. Una volta mietuto, il grano viene macinato a pietra e la farina ottenuta va ad impa-­‐
stare il pane rigorosamente ottenuto dalla pasta madre. È così che la Maremma da amara e palu-­‐
dosa diventa una terra capace di far ger-­‐
mogliare il pane della salute e un nuovo quanto antico settore della coltivazione cerealicola con il vanto di essere buono, di essere bio e di essere benevolmente ac-­‐
colto da tutti. Massimilla Manetti Ricci 21 AV.VV., I centri minori della Toscana nel Medioevo, Atti del Convegno internazionale di studi (Figline Valdarno, 23-­‐24 Ottobre 2009), Firenze, Olschki ed. 2013. E. 34. Una recensione di Gianni Marucelli A distanza di quattro anni dallo svolgi-­‐
mento del Convegno omonimo (purtrop-­‐
po i tempi sono davvero dilatati) escono gli Atti del Convegno di studi sui “Centri minori della Toscana nel Medioevo”, te-­‐
nutosi a Figline Valdarno, ora raccolti in un bel libro edito da Olschki e curato da Giuliano Pinto e Paolo Pirillo. Il periodo preso in esame va dai decenni a cavallo tra il Duecento e il Trecento al 1430 cir-­‐
ca, la lente degli storici mette a fuoco quelle realtà, non più borghi rurali ma neppure città, che si vanno evolvendo grazie alla consistente presenza di una nascente “borghesia” di mercanti, di arti-­‐
giani proprietari di bottega, di figure professionali quali, ad esempio, i notai, intorno a un piccolo nucleo di signori. La Toscana del tempo era tra le regioni più urbanizzate in Europa, motivo per il qua-­‐ Le l’attenzione degli specialisti si è, per un lungo periodo, concentrata sulle cit-­‐
tà, grandi come Firenze e Siena, o più piccole come Prato e San Gimignano, la-­‐
sciando “scoperte” realtà in via di rapi-­‐
da urbanizzazione nelle aree più mar-­‐
ginali quali il Casentino (Poppi, Bibbie-­‐
na), la Val di Chiana (Cortona), la Val Tiberina (Sansepolcro) e così via. Il presente volume cerca di ovviare a queste lacune con tutti i mezzi che la storiografia può oggi utilizzare: ne na-­‐
sce un affresco inedito della Toscana “minore”, che può essere apprezzato anche dal profano. Una notte su monte Ceceri Un romanzo in vernacolo fiorentino Scritto da Alberto Pestelli Una recensione di Iole Troccoli “Una notte su Monte Ceceri è una bella storia familiare – la riscoperta di un rap-­‐
porto tra un nipote e l’anziano nonno – ambientata su una collina vicino Fiesole, Monte Ceceri, appunto. Scritta a metà tra il vernacolo fiorentino e l’italiano, inter-­‐
vallata da poesie che cantano la bellezza del paesaggio e dei ricordi, il racconto si dipana tra passaggi di memorie e rivela-­‐
zioni, il tutto permeato da una sottile quanto efficace vena umoristica. Alla fine, non ci si può che commuovere di fronte alla figura così ben tratteggiata del non-­‐
no, vecchio cavatore o “scalpellino” come ama definirsi nel racconto, e al bene del nipote verso di lui. Lo consiglio vivamen-­‐
te. 22 La tua gatta sta bene Un racconto di Iole Troccoli La tua gatta sta bene. A volte mi appare insofferente o triste, quando miagola perdutamente e io non riesco a capire se è per fame o noia, o chissà cos’altro. Le do da mangiare con regolarità e puli-­‐
sco la sua cassetta, che ho messo fuori, in terrazza. Dorme moltissimo, come tutti i gatti, e ogni tanto mi fa anche le fusa, quando mi siedo sul divano, la se-­‐
ra. Ho l’impressione di non giocarci spesso come dovrei ma quando si di-­‐
verte a farmi gli agguati la rincorro ri-­‐
dendo, oppure la stuzzico lanciandole qualche pallina di gomma o quel topino di pezza che ho ritrovato in giardino qualche mese fa. Sai che mi capita di non ricordare se l’avevi chiamata Ma-­‐
rilù o Merilù? Credo che il primo nome, ma quante volte mi avvicino al telefono per chiedertelo, quante volte… Ultimamente ho cominciato a comprar-­‐
le la carne a pezzettini, i bocconcini, e sembra gradirli quasi sempre anche se spesso mi fa dannare perché d’improvviso rifiuta tutto e inizia un miagolio lamentoso che mi inquieta. Non vuole essere presa in braccio e ca-­‐
rezzarla. La gatta era tua, è logico. chis-­‐
sà cosa pensa di me, forse un po’ le sembro te, ma solo un po’ , sono sicura. Io non sono così paziente e non la faccio dormire ai piedi del letto come facevi tu. E non la riempio di attenzioni, que-­‐
sto è bene che tu lo sappia. A volte mi infastidisce il suo vagare, il suo essere qui per forza, il suo essere orfana. Mi in-­‐
fastidisce la sua vita senza la tua, il suo aggirarsi tra queste mura con la stessa disinvoltura di quando abitava con te. Poi mi dispiace e allora cerco di amarla perché tu l’amavi, anche se ci riesco so-­‐ Lo a metà. Così come cerco di amare i tuoi quadri e tutti gli amici che hai lascia-­‐
to, e mamma, e papà. Ma è così difficile quando la strada si è rotta e le pietre ro-­‐
tolano ovunque con quel rumore inferna-­‐
le. E cerco di amare anche te come quan-­‐
do eri viva, ma questo dolore è assordan-­‐
te, credimi, e rimbomba come un martel-­‐
lo pneumatico e fa tremare i vetri dei miei sentimenti. Dopo capisco che tu sei proprio quel dolore, quel groppo in gola, quel fardello che mi pesa giorno dopo giorno e capisco che non posso fare a meno di amarlo, quel dolore, in silenzio, con fastidio o con disperazione. A volte dolcemente, quando ricordo io e te bam-­‐
bine, o ragazze, sulla soglia ventosa dell’adolescenza. Allora gioco con te a fa-­‐
re il bagno alle bambole nella vasca az-­‐
zurra come una piscina, gioco con te e mi quieto, per qualche ora, sul dondolio del-­‐
la nostra acqua immaginata. Ma la tua gatta, Marilù, sta bene, non preoccuparti, e l’accudirla mi rende meno acuto il do-­‐
lore, almeno ogni tanto, almeno ogni tan-­‐
to. 23 Curiosità La festa del Grillo Di Alberto Pestelli Un tempo non era considerata una curio-­‐
sità per tante generazioni di bambini e ragazzini di Firenze. Tutti quanti sape-­‐
vano che cos’era la Festa del grillo. Sfido chiunque abbia meno anni di me (25-­‐30 anni di meno) a ricordare uno dei più no-­‐
ti eventi del folklore fiorentino le cui ori-­‐
gini sono antichissime. Si celebra ogni anno il giorno dell’Ascensione e il luogo da sempre prescelto per la festa è il Par-­‐
co delle Cascine. Ci sono due scuole di pensiero per quanto riguarda l’origine della festa. La prima, considerata “buoni-­‐
sta”, considera il grillo come simbolo del-­‐
la primavera. Quindi la festa sarebbe na-­‐
ta in suo onore. La seconda, più “cattiva”, È dovuta al fatto che l’insetto è nocivo per le coltivazioni e quindi andava elimi-­‐
nato. Quindi la festa è nei confronti dei grilli, ovvero fargli la festa per diminuire il loro numero. Durante la festa i genitori acquistano piccole gabbiette dove viene imprigionato un grillo trovato nei prati delle Cascine. In origine era così, ma alla fine venivano vendute la gabbiette con l’animale già “incarcerato”. Dal 1999 il Comune di Firenze ha vietato la vendita dei grilli. Adesso vengono commercializ-­‐
zate gabbiette con grilli finti che riprodu-­‐
cono il suo caratteristico dell’animale. Negli ultimi anni questa festa ha perduto il suo fascino e piano piano abbandonata. 24 Buon appetito Ovvero, la tavola delle ricette regionali Saltimbocca alla romana Di Maria Iorillo I saltimbocca alla romana sono un piatto forte della cucina romana, semplice da pre-­‐
parare ma molto gustoso. Le origini sono però incerte. Infatti oltre all’origine roma-­‐
na, gli è stata attribuita anche una provenienza bresciana. Ma i saltimbocca sono or-­‐
mai conosciuti in tutto il mondo come piatto tipico di Roma. Nel tempo la ricetta ori-­‐
ginale ha subito delle varianti: qualcuno infarina i saltimbocca probabilmente per aumentare la capacità di assorbire i condimenti. Qualcun altro usa lo speck invece del prosciutto oppure l’olio d’oliva invece del burro. Altri arrotolano i saltimbocca dopo averli preparati con tutti gli ingredienti. • 4 fettine di vitello grandi; • 8 fette di prosciutto crudo; • 8 foglie di salvia; • ½ bicchiere di vino bianco; • 50 grammi di burro; • sale e pepe quanto basta. Preparazione – Stendete le fettine su un tagliere a metà (le fettine dovranno pesare circa 60 grammi l’una). Proteggete le fettine con un foglio di carta da forno poi ap-­‐
piattitele leggermente con un batticarne. Stendete su ogni fettina il prosciutto e una foglia di salvia fermando tutto con uno stuzzicadenti. In una capiente padella fate scaldare il burro, aggiungete le fettine e fate cuocere per due minuti per lato, bagnate con il vino, lasciate sfumare e poi aggiungete sale e pepe. Togliete la carne dalla pa-­‐
della e lasciate ridurre il fondo di cottura (salsa). Servite i saltimbocca alla romana con la salsa di cottura e accompagnati da piselli, o insalata mista o patate arrosto. 25 Il Gatto del Mese Marilù Fotografia di Iole Troccoli 26