La letteratura francese e provenzale nell`Italia medievale

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La letteratura francese e provenzale nell`Italia medievale
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
L’Italia letteraria di espressione volgare, in origine, fu in
buona parte una provincia della cultura transalpina. A dimostrarlo sono la capillarità della diffusione nella nostra penisola delle due letterature medievali d’oltralpe – in lingua d’oc
(provenzale) e d’oïl (antico-francese), entrambe fiorite e già
mature nel xii secolo – e il loro consistente e per molti versi
decisivo influsso sulla nascente letteratura italiana (cfr. fig.1).
Il fenomeno, nel suo complesso, toccò gran parte delle regioni italiane (cfr. fig. 2) e interessò tutti i generi letterari: l’epica delle gesta di Carlo Magno e dei paladini di Francia; il
romanzo, con le storie dei cavalieri della Tavola Rotonda e
con la materia antica, in particolare troiana; la lirica dei trovatori provenzali e, sia pure in misura nettamente minore, dei
trovieri francesi; il racconto, la storiografia, la letteratura religiosa, la trattatistica didattica e persino i volgarizzamenti dal
latino, talora usati come intermediari per il passaggio in italiano ma in certi casi composti direttamente in francese da italiani, così come avvenne anche per gli altri generi. La singolarità del fenomeno, rispetto ad altre aree pure soggette all’irradiazione delle due letterature di Francia, sta proprio nel
fatto che in Italia esso non si ridusse al mero consumo dei materiali letterari provenienti d’oltralpe, ma comportò la loro rielaborazione. Questa assunse talvolta le forme della produzione originale mantenendo a lungo il mezzo linguistico tradi-
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Attività e produzione
letteraria provenzale
Tradizione manoscritta
provenzale
Tracce indirette
francesi
Attività e produzione
letteraria francese
Tradizione manoscritta
francese
Figura 1. Cronologia della letteratura francese e provenzale in Italia.
zionale, considerato come una risorsa espressiva inscindibilmente legata ai diversi generi letterari: in particolare, il provenzale per la lirica e il francese per la narrativa e la letteratura didattica.
Le prime testimonianze, sia pure indirette, della diffusione della letteratura francese in Italia risalgono già al xii secolo, durante il quale cominciò ad affermarsi la moda di imporre ai figli i nomi dei principali eroi del ciclo carolingio (a questo proposito sono particolarmente significativi i casi di fratelli chiamati Orlando e Olivieri) e di quello arturiano (cfr. fig.
3). Un’altra prova della precoce conoscenza delle leggende epiche e romanzesche francesi al di qua delle Alpi è fornita da alcuni reperti epigrafici e soprattutto iconografici, disseminati
lungo tutta la penisola – spesso non lontano dal percorso della via Francigena – e progressivamente più frequenti nei secoli successivi (cfr. fig. 4).
La lirica trobadorica si diffuse in Italia a partire dalla seconda metà e soprattutto dagli ultimi decenni del xii secolo,
cui risalgono le prime attestazioni tanto della presenza in Italia di trovatori provenzali – in particolare di due tra i più celebri, Raimbaut de Vaqueiras e Peire Vidal, il primo alla corte di Malaspina (1185-90) e di Monferrato (1197-1201), il secondo tra quest’ultima e quella di Saluzzo (1195 circa) – quanto dell’attività poetica in lingua d’oc da parte di autori italiani,
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Savoia
Aquileia
Treviso
Verona
Milano
Padova
Biandrate
Venezia
Pavia
Mantova
Este
Monferrato
Oramala
Saluzzo
Calaone
Ferrara
Genova
Bologna
Carretto
Lunigiana
Pistoia
Lucca
Firenze
Pisa
Arezzo
Siena
Napoli
Messina
Principali centri della letteratura francese provenzale in Italia.
Dimensioni proporzionali all’importanza
Figura 2. I principali centri della letteratura francese e provenzale in Italia.
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
fig. 7). La poesia trobadorica in Italia non attecchì comunque
soltanto nelle corti, ma anche in alcuni centri urbani. Il più
duraturo e fecondo cenacolo trobadorico italiano fu infatti
quello di Genova: i trovatori italiani furono per la gran parte
genovesi (tra i maggiori Lanfranco Cigala, Bonifacio Calvo,
Simone Doria, Luchetto Gattilusio, Percivalle Doria), quasi
tutti uomini di legge. A Genova inoltre, e in particolare nelle
carceri cittadine, tra il 1266 e il 1273 si svolse una parte dell’attività letteraria di uno dei principali trovatori italiani, il veneziano Bartolomeo Zorzi: l’unico a cimentarsi, e con successo, nell’ardua prova poetica della canzone sestina (cfr. fig. 8).
Tra le corti e le città dell’Italia settentrionale si istituirono per giunta, sin dagli inizi del Duecento, scambi proficui
per la diffusione e la tradizione della poesia in lingua d’oc, come dimostrano le vicende biografiche del trovatore bolognese Rambertino Buvalelli, che celebrò Beatrice d’Este e fu podestà a Brescia, Milano, Parma, Mantova, Modena e Genova
nei primi due decenni del Duecento. Ma si dovrà ricordare anche l’intensa e ricercata attività di ordinamento e compilazio-
quali il veilletz lombardtz («vecchietto lombardo») di nome
Cossezen deriso nella satira letteraria di Peire d’Alvernhe
(1161) e Peire de la Cavarana (o Caravana), autore di un sirventese d’intonazione patriottica antitedesca (1194 o forse già
1157; cfr. figg. 5 e 6). Un ulteriore indizio della precoce conoscenza della poesia trobadorica in Italia sembra provenire,
per via indiretta, dai recenti affioramenti di una tradizione lirica di area italiano-settentrionale antecedente alla fioritura
della Scuola siciliana.
La prossimità all’Occitania fece sì che il canto dei trovatori e dei giullari risuonasse in Italia inizialmente nella regione ligure-piemontese, fra le corti già nominate e quelle di Savoia, di Biandrate e del Carretto; ben presto però l’itineranza costitutiva della loro professione, la fama da essi raggiunta o più semplicemente agognata, e la reciproca concorrenza,
favorirono il loro spostamento anche verso est: in particolare
nel Veneto, presso le accoglienti dimore dei marchesi d’Este
e poi dei signori da Romano, celebrati in modo particolare rispettivamente da Aimeric de Peguilhan e Uc de Saint Circ (cfr.
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la coppia Orlando-Olivieri
Treviso
(1138)
Biandrate
(1167)
Artù
Vicenza
(1181)
Novara
(1161)
Padova
Este (1182)
Monselice
Vercelli (1157)
Pavia
Venezia
1127, 1178, 1183, 1192
Cremona
Rovero
(1122)
Tortona
Genova
1183
Ferrara
(1176)
Parma
(1174)
1145 (?)
1167
Ravenna
(1183)
1136, 1151, 1157,
1178, 1187
Lucca
1181
Pisa
1170, 1197
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(Liber Maiorichinus)
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Capua
(1131)
Figura 3. Onomastica carolingia e arturiana in Italia. Le attestazioni più antiche e significative (xii sec.): la coppia Orlando-Olivieri (O); Artù (A).
Architrave della collegiata dei
Santi Gervasio e Protasio.
Bassorilievi con episodi tratti dalla
Chanson de Roland, fine del xii sec.
Ciclo di affreschi di materia arturiana, 1388
Palazzo Nero. Ciclo di affreschi di materia carolingia, xv sec.
Ciclo di affreschi con scene dall’Iwein
di Hartmann von Aue, inizi del xiii sec.
Palazzo Ricchieri. Ciclo di affreschi con storie
di Tristano e Isotta, e altri temi di soggetto
cavalleresco e allegorico, inizio del xv sec.
Loggia comunale. Ciclo di affreschi con scene
dal Roman de Troie, 1360 circa
Castel
Roncolo
Castel Rodengo
Coredo
Pordenone
Domodossola
Bassano del
Grappa
Verona
Udine
Sesto al Reghena
Abbazia di Santa Maria in Sylvis. Ciclo di affreschi
con scene dalla Chanson d’Otinel, inizio del xiv sec.
Treviso
Dimora ezzeliniana. Affresco cortese di soggetto
trobadorico, 1240-60
Mantova
Frugarolo
Loggia dei Cavalieri. Ciclo di affreschi con episodi dal Roman
de Troie e scene di vita cortese, 1276-77.
Palazzo Collalto (ora Museo civico). Ciclo di affreschi con
scene dalla Chanson d’Otinel, ultimo quarto del xiv sec.
Fidenza
Manta
Modena
Portale di San Zeno. Bassorilievi di Orlando e Ferraguto, 1138
Portale del Duomo. Bassorilievi di Orlando e Olivieri, 1139
Palazzo dei Gonzaga. Pisanello, ciclo di affreschi di materia
arturiana, 1447-55
Duomo. Portale della Pescheria: arco e architrave.
Bassorilievi con Artù e Galvano e con episodi dal Roman
de Renart, 1130 circa
Torre Ghirlandina. Bassorilievo di Orlando, 1169-79.
Torre di destra della facciata della
Cattedrale. Bassorilievi con storie di
Berta, Milone e Rolandino, 1230-40
Atrio della Cattedrale. Iscrizione lapidea che
riporta il giuramento civico del 1131: per i
trasgressori si prevede la pena comminata a
Gano di Maganza, il traditore di Orlando
Nepi
Torre di Pio V. Ciclo di affreschi
con scene dal Lancelot du Lac,
fine del xiv sec.
Roma
Mosaico pavimentale della Cattedrale.
Scene della battaglia di Roncisvalle, 1178
Castello. Ciclo di affreschi con la Fontana della giovinezza,
tema ripreso dalla narrativa francese medievale, e personaggi
ispirati dallo Chevalier Errant di Tommaso III di Saluzzo,
tra i quali Carlo Magno e re Artù, post 1420
Casaluce
Brindisi
Abbazia di San Paolo alle Tre Fontane.
Ciclo di affreschi di Carlo Magno, 1152-61 circa
Otranto
Castello. Affreschi con imprese di
Guillaume d’Orange, xiv sec.
Palazzo Chiaramonte. Affreschi con episodi
di materia carolingia e arturiana, 1377-80
Palermo
Mosaico pavimentale della Cattedrale.
Scena con re Artù a cavallo di un ariete, 1163
I modelli di queste testimonianze sono costituiti
dalle versioni medio-altotedesche degli originali francesi
Figura 4. Iconografia ed epigrafia cortese e cavalleresca in Italia.
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
ne dei testi trobadorici in una serie di manoscritti antologici
(canzonieri), svolta soprattutto da alcuni professionisti della
parola scritta – magistri, giuristi, notai – al servizio dei più vari committenti: signori feudali, ottimati cittadini, ricchi mercanti. Tra questi intellettuali urbani figura Ferrarino da Ferrara, l’ultimo trovatore italiano, che compilò un florilegio di
estratti lirici di contenuto didattico-morale.
Gli stessi canzonieri testimoniano, probabilmente meglio
di ogni altro dato, la profondità del legame tra l’Italia e la lirica trobadorica, perché la tradizione manoscritta di quest’ultima è in larga parte italiana, e in particolare veneta: si tratta
di una ventina di manoscritti risalenti ai secoli xiii-xiv (il più
antico è del 1254), alcuni dei quali decorati da preziose miniature che spesso ritraggono i trovatori (cfr. figg. 9 e 10). Per
comprendere l’importanza di questi codici per la cultura italiana, basti dire che alcuni di essi e altri, perduti, sono stati
letti da Dante e Petrarca, e poi studiati – prima che dagli specialisti moderni – da Pietro Bembo e da altri letterati tra Cinque e Settecento: Colocci, Equicola, Varchi, Barbieri, Castelvetro, Tassoni, Crescimbeni, Tiraboschi.
La diffusione della poesia trobadorica nelle città italiane
comportò un suo parziale adeguamento ai valori della nascente
società borghese comunale, valori ben diversi e per certi aspetti antitetici alla morale cortese di cui tale poesia nel corso del
xii secolo era stata la più raffinata espressione letteraria; si verificò pertanto un processo di mediazione tra queste due polarità ideologiche e culturali, un compromesso sintetizzabile
nella definizione – solo apparentemente paradossale – di «cortesia borghese» coniata da Aurelio Roncaglia. Le complessità
filosofiche dell’amore trobadorico – un amore impossibile,
ostacolato dalla distanza (sentimentale, sociale o geografica)
tra l’amata e l’amante, ma al contempo un amore della distanza, un amore dell’amore, cioè di quella tensione spirituale che garantisce l’affinamento interiore, tanto etico quanto
teoretico, e fa sorgere la stessa poesia – si attenuarono e si
stinsero così in una poesia convenzionale, in un’etichetta più
cortigiana che cortese, appannaggio delle ambizioni letterarie
e delle aspirazioni sociali di borghesi e nobili di basso rango.
Tra questi ultimi spicca il mantovano Sordello, il più celebre
fra i trovatori italiani: capace di elevarsi, in virtù di una grande abilità retorica e di un notevole fiuto politico, dagli irrequieti esordi giullareschi sino alla singolare affermazione poetica e diplomatica nelle corti provenzali, che gli fruttò feudi
in Piemonte e in Abruzzo per concessione di Carlo I d’Angiò
(cfr. fig. 11).
La poesia trobadorica in Italia non si limitò comunque al
tema amoroso e al corrispondente genere lirico della canzone,
spesso declinato in elogi di maniera delle dame delle corti. Come e forse più che in Provenza, si trattò anche di poesia politica: quindi di sirventesi caratterizzati da violente invettive e
polemiche prese di posizione sull’attualità, mediante le quali
i trovatori furono artefici e strumento di propaganda della volontà dei loro signori. La comune funzione encomiastica permise peraltro l’intreccio dei due temi anche all’interno dello
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Poesie trobadoriche
composte in Italia o
facenti comunque riferimento
a vicende italiane
15%
Totale della
produzione
trobadorica
conservata
Figura 5. La poesia trobadorica e l’Italia.
Poesie di trovatori italiani
6,7%
Totale della
produzione
trobadorica
conservata
Figura 6. I trovatori italiani.
stesso componimento, talora anche in forma metaforica e ludica; così nel Carros («Carroccio», 1200-201) di Raimbaut de
Vaqueiras, che mette in scena una battaglia giocosa tra le dame eminenti delle corti dell’Italia settentrionale secondo le
forme delle guerre comunali dell’epoca, o nella Treva di Guilhem de la Tor (1213-15), che rappresenta invece la «Tregua»
successiva a un’analoga disputa descritta da Aimeric de Peguilhan in un testo andato perduto.
La dimensione ludica costituisce un aspetto significativo
della produzione trobadorica d’Italia, che comprende inoltre
varie tenzoni e scambi di coblas («strofe») caratterizzati da
accenti giocosi, polemici e satirici, riconducibili in particolare alla corte dei marchesi d’Este: là dove Aimeric de Peguilhan, Guilhem Figueira, Sordello e altri poeti diedero vita – secondo l’interpretazione di Gianfranco Folena – a una sorta di
«accademia tabernaria» parallela all’«accademia cortese». Ancora, entro l’ambito del filone dialogico della poesia trobadorica composta in Italia, va segnalata l’occasionale partecipazione in prima persona di alcuni signori: il marchese Lancia
di Saluzzo, Alberto Malaspina, Oberto di Biandrate, Alberico da Romano, Tommaso di Savoia.
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L’età di Padova
Tommaso II
di Savoia
Alberico
da Romano
Uberto
di Biandrate
Bonifacio I
di Monferrato
Albert0, Gugliemo
e Corrado Malaspina
Manfredi I e
Manfredi II
Lancia di Saluzzo
Azzo VI e
Azzo VII d’Este
Ottone IV
del Carretto
Figura 7. I protettori italiani dei trovatori. Le dimensioni dei quadrati sono proporzionali al numero dei testi che menzionano i relativi signori
o che sono stati verosimilmente composti nelle rispettive corti.
L’espansione dell’Occitania oltre i suoi effettivi confini
comportò nella sua periferia italiana anche altre, necessarie,
forme di mediazione, consistenti in una serie di strumenti di
supporto alla lettura e alla composizione della poesia trobadorica: per esempio il Donatz proensals (1243), una grammatica della lingua d’oc a uso degli italiani composta da Uc Faidit (forse Uc de Saint Circ), e la Doctrina d’acort (1282-96),
un manuale di poetica in versi ricalcato su un modello d’oltralpe da Terramagnino da Pisa. In Italia, inoltre, alla poesia
si affiancò la prosa delle vidas e delle razos, brevi biografie degli autori e commenti dei loro testi lirici caratterizzati da tracce germinali di storiografia letteraria sul modello degli accessus ad auctores mediolatini; all’invenzione lirica si sostituì così l’esposizione narrativa, e all’io lirico la terza persona dell’autore come personaggio (spesso di vicende inventate, o ricavate ad arte dalle sue stesse poesie).
Qualche decennio dopo Bartolomeo Zorzi, nelle carceri genovesi fu detenuto un altro e ancor più celebre veneziano, Marco Polo. Proprio lì egli incontrò Rustichello da Pisa, con il quale compose in un francese ricco di italianismi il Devisement dou
monde, meglio noto come Milione (1298), straordinario libro
di viaggi e di meraviglie in cui realtà e fantasia, descrizione e
racconto, esperienza di vita e carica visionaria si fondono come in un caleidoscopio: un’opera caratterizzata da un fascino suggestivo e da una fortuna capace – attraverso numero-
se traduzioni e rielaborazioni – di travalicare l’epoca medievale. La collaborazione di un veneziano e di un pisano a un
testo francese così significativo permette di fotografare con
buona approssimazione lo stato della diffusione della lingua
d’oïl in Italia fra Due e Trecento, una diffusione di cui Venezia e l’entroterra veneto da un lato, Pisa e la Toscana nordoccidentale dall’altro, sono stati i principali centri propulsivi.
A Venezia già intorno al 1205 circolava il Roman de Troie
di Benoît de Sainte-Maure che, assieme ad altri romanzi francesi di materia greca (il Roman d’Alexandre, il Florimont di Aimon de Varennes, il Partenopeus de Blois), ha catalizzato per
tutto il xiii secolo l’interesse di una classe dirigente naturalmente proiettata verso l’Adriatico e l’oltremare, a maggior ragione dopo la quarta crociata e la spartizione dell’Impero bizantino. Questa prospettiva politico-culturale si riflesse anche
nelle Estoires de Venise (1267-75), una cronaca scritta in francese – essendo ormai questa la lingua di comunicazione internazionale, in particolare nell’Oriente latino – dal veneziano
Martin da Canal a esaltazione della sua città, probabilmente
per incarico del doge Ranieri Zeno. Nella propria esigenza di
autocelebrazione Venezia non trascurò l’entroterra, contrapponendovisi come in uno specchio rovesciato nelle stesse Estoires del Canal e ancor più nelle Prophéties de Merlin (1272-79):
una sorta di romanzo propagandistico composto da un guelfo
veneziano il quale, celandosi sotto il nome fittizio di Maistre
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
Richart d’Irlande, intreccia alla tradizionale materia arturiana – nota nel Veneto anche attraverso gli altri romanzi del
Graal e di Tristano – una ricca messe di allusioni alla recente
tirannide di Ezzelino III da Romano nella Marca VeroneseTrevigiana.
L’acclimatazione alla realtà locale contemporanea appare
ancora più sensibile nel campo dell’epica carolingia, che in area
veneta e più in generale padana andò incontro a una progressiva metamorfosi ideologica, inquadrabile nel fenomeno della «cortesia borghese» cui si è già accennato a proposito della
lirica trobadorica. La chanson de geste francese rifletteva infatti il modello cristallizzato della società feudale transalpina,
culminante nella figura sacrale e taumaturgica del re, Carlo
Magno; ma la sua diffusione in un contesto socio-politico ormai profondamente diverso, quale quello della nuova civiltà
borghese comunale dell’Italia settentrionale due-trecentesca,
comportò il riuso di modelli alternativi e soprattutto la parziale decostruzione e risignificazione di quello principale.
Si spiegano così, da un lato, la fortuna italiana del ciclo dei
vassalli ribelli (Chevalerie Ogier, Aye d’Avignon, Gui de Nanteuil,
Renaut de Montauban) e di quello di Guglielmo d’Orange (Aliscans,
Fouque de Candie, Prise de Narbonne), in cui il re appare in torto o in difficoltà; dall’altro, l’ampia gamma di scarti e novità
rispetto ai modelli francesi che contraddistingue in maniera
progressivamente crescente le relative trascrizioni e le rielaborazioni e le produzioni originali effettuate in area padano-veneta. Tutte queste opere sono caratterizzate da un grado variabile di interferenza dei volgari alto-italiani sulla base linguistica francese, oscillante – secondo la minore o maggiore rilevanza e consapevolezza stilistica di tale fenomeno – tra le due
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polarità ideali del cosiddetto francese di Lombardia (nel senso
medievale del toponimo, equivalente cioè all’Italia padana) e
del cosiddetto franco-veneto o franco-lombardo (cfr. fig. 12).
In base a quanto è possibile ricostruire, queste tre tipologie testuali dovettero susseguirsi nel tempo: le trascrizioni e
le rielaborazioni si collocano tra la seconda metà del xiii e l’inizio del xiv secolo, mentre le produzioni originali appartengono decisamente a quest’ultimo (cfr. fig. 13). Esse, non a caso, corrispondono a tre diverse fasi di un processo di evoluzione storico-letteraria e sociale: la prima, consistente nelle
copie di alcune chansons de geste francesi (Roland, Aliscans,
Anseïs de Carthage, Aspremont, ecc.), rivela ancora una sostanziale adesione all’ideologia feudale; la seconda contrappone invece alla concezione nobiliare una visione del mondo
prevalentemente borghese e popolare, che emerge con una forza anche ludica e parodica nella Geste Francor, ampia e suggestiva compilazione di poemetti ordinati secondo la cronologia
della dinastia carolingia (Bovo d’Antona, Berta da li pè grandi,
Karleto, Berta e Milon, Enfances Ogier, Rolandin, Chevalerie
Ogier, Macaire), rimaneggiati con grande libertà e forse, nel
quarto e nel sesto caso, composti anche ex novo; mentre la terza riflette la progressiva trasformazione della parte più potente della borghesia in una nuova aristocrazia, basata sul
censo anziché sul sangue. Quest’ultima tipologia comprende:
l’indiscusso capolavoro di tale produzione, l’Entrée d’Espagne
(1330-40), in cui un anonimo padovano dotato di una cultura
per certi versi preumanistica racconta l’antefatto della Chanson de Roland provando a gareggiare con il modello; la continuazione della stessa Entrée (nota anche come Prise de Pampelune) da parte di Niccolò da Verona, autore anche della Phar-
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Alb
Lu
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Alb
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Figura 8. Numero dei componimenti conservati dei principali trovatori italiani.
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L’età di Padova
Testimoni di
origine catalana
10%
Testimoni di
origine francese
15%
Testimoni di
origine italiana
55%
Testimoni di
origine provenzale
20%
Figura 9. Il ruolo dell’Italia nella tradizione manoscritta trobadorica.
sale (1343) e di una Passion; l’Huon d’Auvergne (ante 1341),
chanson de geste arricchita da elementi della letteratura di viaggi e visioni oltremondani, e in particolare dal modello dantesco; la Guerra d’Attila (1358-68) di Niccolò da Casola, prolisso collettore di leggende attilane diffuse nell’Italia nord-orientale; infine l’Aquilon de Bavière (1379-1407) di Raffaele da
Verona, in cui la materia carolingia è rifusa nella forma di un
romanzo cavalleresco in prosa e intrecciata a tutti i temi caratteristici di tale genere.
Uno degli aspetti più significativi di tutte queste opere consiste nella progressiva trasformazione del personaggio di Carlo Magno, che da eroe epico divenne una figura romanzesca:
passibile pertanto di denigrazione o parodia, ma anche di critica e opposizione politica in quanto immaginario alter ego dell’imperatore tedesco, avversario per antonomasia delle città
del Nord Italia. Proprio in contrapposizione alla figura di Car-
Veneto
xiii-xiv sec.
Mantova
xiv sec.
Firenze
xv sec.
Gubbio
xiv sec.
Napoli
xiii-xiv sec.
Figura 10. La geografia dei canzonieri trobadorici di origine italiana.
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
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Mauléon
Verona Vicenza
Brescia
Goito
Mantova Este
Oramala (?)
Novara
Rodez
Provenza
León
Tolosa
Posquières Baus
Reiz
Aups
Montpellier
Montlaur
A
Aix
Pignans
Narbona Saint-Rémy
Marsiglia Brignoles
Foix
Galizia
Civitaquana
Abruzzo
Saragozza
Goito: n. 1200 circa
Mantova: nel 1215-16 vi è podestà il trovatore
bolognese Rambertino Buvalelli
Este: 1220 circa
Brescia: (?) 1220-21
Verona: 1222-26 (nel 1226 rapisce Cunizza,
moglie di Rizzardo di San Bonifacio)
Treviso: 1227 (matrimonio con Otta di Strasso)
Vicenza: 1227-28
Provenza: 1228-29
Saragozza: 1230 circa
León: 1230 circa
Galizia: (?) 1230 circa. È comunque certa la fama di
Sordello presso alcuni trobadores galego-portoghesi
León: 1230 circa
Mauléon: 1231
Palena
Provenza: 1231-66
Aix: sede della corte di Raimondo Berengario IV di Provenza
(m. 1245) e poi di Carlo d’Angiò (fino al 1266),
dove Sordello visse per molti anni
Rodez: sede della corte di una dama (Guida) celebrata da Sordello
Aups: sede della corte di Blacatz, signore compianto da Sordello
in una celebre poesia
Baus: 1252-57
Montpellier: 1241
Marsiglia: 1252
Riez: 1257
Saint-Rémy: 1257
Brignoles: 1259
Pignans: 1259
Novara: 1266 (dove fu anche in prigione)
Abruzzo: m. 1269
Figura 11. L’itinerario di Sordello da Goito, l’unico trovatore italiano ad avere avuto successo oltralpe.
lo Magno, rappresentativa dell’antica nobiltà ereditaria, si riscontra poi l’emergere di altri personaggi – a partire da un Orlando sensibilmente diverso rispetto a quello della tradizione
francese – eletti invece a campioni della nobiltà d’animo e
quindi di una nuova cavalleria, fondata borghesemente sul merito anziché sulla nascita.
Si deve inoltre osservare l’introduzione di personaggi, luoghi (cfr. fig. 14), leggende, temi e motivi specificamente italiani, antecedenti o successivi alla vicenda carolingia e capaci
di sostituirsi in parte o anche interamente a essa, come per
esempio la lotta contro gli unni di Attila o quella tra Impero
e Papato; quindi la graduale riabilitazione dei lombardi (gli
italiani in genere e più in particolare quelli del Nord) dallo stereotipo tradizionale di vigliaccheria e scarsa combattività, al
punto che essi divennero anzi una sorta di élite cavalleresca;
infine la comparsa della funzione encomiastica in alcune tra
le opere più tarde, scritte o comunque lette nelle corti delle
nascenti signorie padane (Estensi, Gonzaga, Visconti-Sforza),
nelle cui ricche biblioteche si è raccolta la gran parte dei manoscritti e testi francesi – epici e romanzeschi ma anche didattici e religiosi – copiati e composti tra Veneto, Lombardia
ed Emilia fra xiii e xiv secolo (cfr. figg. 15 e 16).
A tal proposito, se risulta spesso difficile precisare in termini puntuali l’origine di diversi manoscritti e testi francesi
d’Italia, che per necessità devono quindi essere attribuiti genericamente all’area padana, è comunque possibile riconoscere il ruolo importante svolto da Bologna nella storia dell’espansione del francese nella nostra penisola. Al capoluogo emiliano rimandano infatti vari dati relativi alla copia e alla circolazione di codici francesi tra xiii e xiv secolo: circolazione
situabile lungo un asse che lega appunto Bologna a Padova, e
probabilmente connessa alla presenza negli studia di entrambe le città di nationes universitarie transalpine. Durante la prigionia bolognese di re Enzo (1249-72), inoltre, il cremonese Daniele Deloc volgarizzò per lui in francese le versioni latine del
Moamin e del Ghaatrif, due trattati sulla caccia con cani e falconi, di origine rispettivamente araba e persiana. Allo stesso
arco di tempo risale poi la testimonianza di canti de domino
Rolando et Oliverio nel cortile del comune di Bologna, mentre di poco più tardi sono alcuni testi lirici d’oïl conservati nei
Memoriali bolognesi. Né va dimenticato, al di là del confine
nord-orientale della Marca Trevigiana, il Friuli, interessato
anch’esso dalla circolazione di codici francesi (di materia arturiana) e probabilmente anche provenzali: una circolazione
36
L’età di Padova
Realizzazioni
intermedie
Interferenza
linguistica
Lingua mista
anticoitaliano
settentrionale
anticofrancese
anticoitaliano
settentrionale
anticofrancese
francese di Lombardia
franco-veneto o franco-lombardo
Figura 12. Due polarità linguistiche ideali: francese di Lombardia e franco-veneto o franco-lombardo.
favorita dal mecenatismo della corte patriarcale plurilingue di
Aquileia, dove agli inizi del Duecento, sotto il patriarcato di
Wolfger von Erla (1204-18), Tommasino da Cerclaria compose in medio-altotedesco il Wälscher Gast (1215-16), in cui
rielaborò un suo precedente poema didattico-morale scritto in
provenzale, purtroppo non conservato.
Il già citato Rustichello da Pisa, prima di redigere il Devisement dou monde con Marco Polo, aveva già scritto in francese una compilazione romanzesca in prosa, nota correntemente con il titolo di Meliadus (1270-74), in cui rielaborò mediante un abile uso dell’entrelacement la materia e l’ideologia
arturiana desunte dai tre grandi cicli in cui queste avevano
preso forma nella narrativa francese primo-duecentesca: il Tristan en prose, il Lancelot-Graal e il Guiron le Courtois. Questi
tre cicli si diffusero ampiamente in Italia, in particolare nella
Liguria e nella Toscana nord-occidentale, attraverso un asse
tra Genova e Pisa. La compilazione di Rustichello svolse un
ruolo importante nella fortuna di tale letteratura, contribuendo a fornire agli autori dei successivi volgarizzamenti e dei rifacimenti italiani – non solo toscani – una modalità di rielaborazione dell’universo arturiano consistente nella selezione
e nel montaggio di episodi particolarmente significativi svincolati dal contesto narrativo originario e spesso dotati di nuove forme e funzioni, a seconda anche del diverso pubblico:
aristocratico, borghese o popolare.
1250
1260
1270
1280
1290
1300
1310
1320
Allo stesso Rustichello risale inoltre un nucleo tematicoideologico peculiare della tradizione italiana: la distinzione e
la contrapposizione tra la «Tavola Rotonda» dei cavalieri di
re Artù e la «Tavola Vecchia» dei loro antenati.
Parallela ai volgarizzamenti e ai rifacimenti, riguardanti
soprattutto la materia tristaniana, è la ricca tradizione manoscritta di questi cicli romanzeschi, spesso particolarmente attiva e quindi dovuta a copisti dotati di una discreta padronanza del francese: tale è, in particolare, il caso di alcuni testimoni del Guiron le Courtois, il romanzo arturiano probabilmente più diffuso nelle corti italiane fra xiv e xv secolo. La
tradizione manoscritta francese d’Italia non si limitò comunque ai romanzi in prosa o – per dirla con Dante – alle prose di
romanzi: comprese tanto i testi in versi, soprattutto quelli di
materia greca già citati per la loro fortuna veneziana (il Roman de Troie si diffuse comunque anche nelle versioni prosificate), quanto prose di altro argomento, storiografico, religioso e in senso lato didattico, ovvero le alie ystorie ac dotrine
con cui Dante conclude l’esposizione degli usi letterari della
lingua d’oïl nel De vulgari eloquentia.
Le conoscenze francesi e provenzali di Dante dovettero essere buone, ma i luoghi di tale apprendimento non possono
essere individuati con precisione, dati i numerosi spostamenti del poeta. L’autore della Commedia scrisse in lingua d’oc i
versi 140-47 del canto XXVI del Purgatorio e si servì del fran1330
Trascrizioni
Rielaborazioni
Produzioni
originali
Figura 13. L’epica carolingia nel Veneto: un’evoluzione storico-letteraria.
1340
1350
1360
1370
1380
1390
1400
1410
1420
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
Vi passano Berta e Milone,
Uggeri il Danese, Orlando
Teatro di molti episodi, in quasi
tutte le branches dell’opera
37
Nel testo è chiamata Marmora e suo signore è Maximo Çude (Massimo Giudeo),
epiteto dietro cui si cela probabilmente Ezzelino III da Romano il Tiranno
Nel testo è chiamata Besgora e vi passa Uggeri il Danese
Luogo d’imbarco per l’Oriente, prima per gli ambasciatori di
Carlo Magno, poi per il boscaiolo Varocher e la regina Biancofiore
Vi passano Berta e Milone; vi nasce Orlando, loro figlio
ed eroe principale delle gesta francesi
Gran San Bernardo
Lombardia
(Italia padana)
Susa
Sacra di
San
Michele
Monginevro
Ivrea
Vercelli
Torino
Vi passano Berta e Milone
Verona
Vi passano Berta e Milone
Venezia
Pavia
Mantova
Piacenza
Fidenza
Genova
Santiago
de Compostela
Imola
Ravenna
Imperia
Romagna
Lucca
Ventimiglia
Toscana
San Gimignano
Siena
Luogo di passaggio tra la Lombardia
e Roma in diversi punti dell’opera
Luogo di nascita di Aleris, portatore
dell’orifiamma dei francesi
Viterbo
Sutri
Valle di Baccano
Roma
Vi passano Berta, Milone e Orlando,
poi Carlo Magno con il suo esercito, infine
vi si celebrano le nozze tra Berta e Milone
Puglia
Gerusalemme
Vi passa Carlo Magno con il suo esercito
Principale teatro dell’azione in terra italiana.
Nella chiesa di Santa Sofia si rifugia il giovane
Carlo per difendersi dall’assalto dei soldati del papa
Percorso della via Francigena
Figura 14. I paladini di Francia in Italia. La geografia italiana della Geste Francor.
cese, alternandolo al latino e al volgare materno, nella canzone Aï faux ris, che ormai la critica tende ad attribuirgli con
meno dubbi rispetto al passato. In ogni caso, le due letterature d’oltralpe raggiunsero certamente anche Firenze, destinata a succedere a Pisa come centro economico e culturale della Toscana, e innervarono di temi, motivi e forme la produzione nel volgare autoctono, ormai assurto a piena legittimità
letteraria, anche grazie al fondamentale contributo di numerosi gallicismi.
In lingua d’oc poetarono eccezionalmente anche Dante da
Maiano e il pistoiese Paolo Lanfranchi, impiegando però la
forma tutta italiana del sonetto; mentre l’uso della lingua d’oïl
da parte del fiorentino Brunetto Latini per il suo enciclopedico Tresor (1260-66) va almeno in parte visto sotto un’altra
luce: quella del suo esilio in Francia, che rese il francese non
soltanto lingua di cultura internazionale ma anche lingua dell’emigrazione; e non solo per Brunetto, come testimoniano i
casi all’incirca coevi di Aldobrandino da Siena, medico in Fran-
38
L’età di Padova
Libri latini
Libri francesi
Libri italiani
Libri greci
Gonzaga
(1407)
Estensi
(1436)
Visconti-Sforza
(1459)
0
20
40
60
80
100
Figura 15. La parte dei libri francesi nelle biblioteche signorili dell’Italia settentrionale del Quattrocento.
Epica
Letteratura didattica
Romanzo:
Letteratura religiosa
di materia arturiana
Storia
Lirica
di materia antica
Altra narrativa
Gonzaga
(1407)
Estensi
(1436)
Visconti-Sforza
(1459)
0
20
40
60
80
100
Figura 16. I generi letterari dei libri francesi conservati nelle biblioteche signorili nell’Italia settentrionale del Quattrocento.
cia e autore del Régime du corps, e di Filippo da Novara, autore di storia, diritto e morale in lingua d’oïl vissuto sin da
giovane negli stati crociati al servizio delle dinastie francesi
ivi regnanti. A questi si può inoltre aggiungere il caso molto
più tardo di Tommaso III di Saluzzo, che scrisse Le chevalier
errant (1394-96 o 1401-405) – un vasto romanzo allegorico-didattico che mescola versi e prosa, storia e finzione, eroi antichi e cavalieri medievali con un gusto enciclopedico e nostalgico tipicamente tardo-gotico da autunno del Medioevo – durante il suo lungo soggiorno parigino: ciò che limita l’effettiva produzione francese in Piemonte alla sola Bataille de Gamenario, un poemetto anonimo che narra in stile epico-storico
lo scontro militare del 1345 tra i guelfi e i ghibellini locali.
Tornando a Rustichello, andrà notato che egli rivela di aver
scritto il Meliadus su commissione di Edoardo I d’Inghilterra.
Il presunto incontro tra i due avvenne probabilmente in Sicilia, o forse in Terra Santa; se invece si trattasse soltanto di un
artificio retorico volto a conferire autorità all’opera, comunque esso rientrerebbe idealmente in quella grande direttrice
che, nell’età delle crociate, congiunse l’Inghilterra e la Francia all’Italia e quindi all’Oriente latino. Tale linea è stata fondamentale per la stessa espansione del francese nella penisola
italiana, che riguardò – non a caso – soprattutto le aree più attive nelle imprese militari-commerciali d’Oriente. Tra queste,
per ragioni non solo logistiche, fu anche la Sicilia normanna,
dove nell’ultimo quarto del xii secolo i legami con la madrepatria e l’Inghilterra s’intensificarono grazie alle nozze di Giovanna, figlia di Enrico II Plantageneto ed Eleonora d’Aquitania, con Guglielmo II d’Altavilla (1177), e grazie al soggiorno di Riccardo Cuor di Leone, fratello di Giovanna, a Messina prima della terza crociata (1190-91).
Se pure la Sicilia normanna non fu, verosimilmente, un centro di effettiva produzione letteraria francese, assieme alla Calabria e alla Puglia – soggette alla stessa corona – essa divenne comunque lo scenario di alcuni testi d’oïl coevi: tra questi
la Bataille Loquifer, l’Ipomedon e soprattutto la Chanson d’Aspremont, che ebbe grande fortuna in Italia, oltre al più tardo
Floriant et Florete, che narra della sopravvivenza di Artù sull’Etna riprendendo la leggenda divulgata per la prima volta in
latino da Gervasio di Tilbury, di cui è documentata la presenza alla corte di Guglielmo II (cfr. fig. 17).
Al seguito dei loro signori diretti verso la Terra Santa, nel
1190-91 passarono per la Sicilia alcuni trovatori provenzali,
tra cui Giraut de Borneil: un testo del quale è trasmesso anche da un testimone siciliano extravagante che costituisce l’unica reliquia della circolazione della lirica trobadorica nell’isola. Essa è documentata indirettamente anche dalle numerose riprese tematiche e formali da parte dei rimatori della
Scuola poetica sorta attorno all’imperatore svevo Federico II.
La corte itinerante di quest’ultimo conobbe sicuramente testi
provenzali e anche francesi, come il Guiron le Courtois cui fa
riferimento una lettera imperiale del 1240. Tuttavia nessun
trovatore, nemmeno il più ghibellino, fu mai accolto presso la
curia federiciana: e ciò nonostante le molte lusinghe e i ripetuti tentativi di avvicinamento (cfr. fig. 18), respinti con fastidio e imperiale distacco da Federico, il cui progetto politico-culturale consisteva nella promozione del volgare locale.
Dopo la fine dell’esperienza sveva, l’insediamento della dinastia angioina sul trono di Napoli e di Sicilia (1266) rese il francese la lingua ufficiale della corte e dell’amministrazione regia,
a fianco del latino; sul piano dell’espressione letteraria, inoltre,
esso sostituì ogni possibile opzione a favore del volgare locale,
aulico e curiale o meno, proprio perché quest’ultimo era stato
il veicolo privilegiato del progetto federiciano, di cui furono rimosse completamente le tracce. Al seguito di Carlo I d’Angiò,
che in precedenza era stato conte di Provenza e che fu anche
autore di versi, giunsero a Napoli e nel Mezzogiorno trovatori
provenzali e trovieri francesi: tra questi uno dei maggiori poeti in lingua d’oïl, Adam de la Halle, che morì proprio a Napo-
La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale
Regno
normanno
d’Inghilterra
39
Impero
degli
Hohenstaufen
Ducato di
Normandia
1130-94
1194-1250
I paladini di Carlo Magno protettori dei pellegrini lungo
un tratto difficoltoso della strada fra Palermo e Messina
Toponimo ricollegato dalla leggenda
al francese monjoie, orifiamma e
grido di guerra di Carlo Magno
Principali luoghi dell’azione
della Chanson d’Aspremont
Capo
Olivieri
Palermo
Mongioia
Capo d’Orlando
Messina
Monte
Gioiosa Montalbano
Etna
Bagnara
Calabra
Aspromonte
Teatro leggendario di un
incantesimo della Fata Morgana,
sorellastra di re Artù
xii-xiii
sec.
Stati crociati
Gerusalemme
Toponimo ricollegato dalla leggenda
a Gioiosa, nome della spada di
Carlo Magno
Dimora leggendaria di re Artù
Toponimo ricollegato dalla leggenda
al paladino Rinaldo di Montalbano
Figura 17. La Sicilia, al centro di una direttrice politico-militare tra il Nord Europa e la Terra Santa, è con la Calabria teatro di leggende carolinge e arturiane.
40
L’età di Padova
1212
Incoronazione reale
1220
Incoronazione imperiale
1212-20
Permanenza in Germania
e lotta contro Ottone IV
1210
1215
1220-26
Permanenza in Sicilia
1220
Esortazioni alla crociata
1226-27
Prima fase della lotta
contro i comuni lombardi
1225
1228-29
Crociata
1230
1250
Morte
1229-41
Seconda fase della lotta
contro i comuni lombardi
1235
1241-50
Scontro con la Chiesa
e il papa Innocenzo IV
1240
1245
1250
1255
Consigli, elogi e critiche in relazione alle vicende italiane
Attese, speranze, consigli, elogi,
nuove esortazioni alla crociata
Riferimenti generici a vicende italiane
Figura 18. Le principali vicende della storia di Federico II e i relativi echi nella poesia dei trovatori.
li nel 1288, dove fra l’altro curò la rappresentazione scenica del
suo Jeu de Robin et Marion e compose la Chanson du roi de Sicile, celebrazione poetica della vittoria angioina contro gli Svevi.
Nella prima età angioina, Napoli fu soprattutto un importante e fecondo centro di copia di codici francesi e in misura minore anche provenzali, oltre che uno spazio privilegiato di produzione letteraria per gli autori ospiti della corte
provenienti dalla Francia. Più tardi, nel corso del Trecento,
l’uso del francese si estese ad autori del luogo, riconoscibili
come tali, nonostante l’anonimato, su base linguistica: la loro
produzione è costituita per lo più da volgarizzamenti di opere latine – morali (le Lettere di Seneca) e storiografiche, tra cui
l’Historia Normannorum di Amato da Montecassino e l’anonima Historia sicula – commissionate da un’aristocrazia locale ormai adeguatasi ai gusti culturali di quella transalpina.
Al termine di questa panoramica, si può insomma condividere il giudizio di Benedetto Croce il quale, a quanti sottolineavano l’estraneità della letteratura d’oltralpe rispetto alla cultura italiana, faceva notare che «già la sua stessa divulgazione
e penetrazione in ogni angolo d’Italia testimonia del contrario»;
e inoltre che essa «era bene indigena e nazionale in quanto gl’italiani, appartenenti al mondo romano-germanico, vi ritrovavano i loro ideali o uno dei loro ideali, e se la appropriavano».
luca morlino
b. croce, Poesia popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana dal
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