Vi è un filo rosso che lega gli assurdi attentati di Parigi, la guerra dell

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Vi è un filo rosso che lega gli assurdi attentati di Parigi, la guerra dell
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DICEMBRE 2015 ANNO 12 N 11
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
Vi è un filo rosso
che lega gli assurdi attentati di Parigi,
la guerra dell'Isis,
il pensiero economico e la finanza.
Ugo Biggeri, presidente della Banca Popolare Etica
lotta e contemplazione
Con i libri della Genesi, dell’Esodo e del Levitico, presentati i mesi scorsi, abbiamo cominciato a
dare uno sguardo veloce, ma non superficiale, ai 73 libri che compongono la bibbia.
il virus della lamentazione
Rosalba Manes
Mosè disse al Signore: «L’ho forse concepito
io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al
mondo io perché tu mi dica: “Portalo in grembo”,
come la nutrice porta il lattante, fino al suolo che tu
hai promesso con giuramento ai suoi padri? Da
dove prenderò la carne da dare a
tutto questo popolo? Essi infatti si
lamentano dietro a me…» (Nm
11,11-13).
Il libro dei Numeri
tratta del problema dell’ identità e dell’organizzazione della
comunità degli Israeliti che si
trova a vivere nel deserto. L’
estrema essenzialità e l’ assenza di strutture la porta a vivere
tensioni e conflitti relativi alla
leadership e all’ autorità. Nel
libro viene narrata la fine del
soggiorno al Sinai, la marcia
nel deserto e la preparazione alla conquista
della Transgiordania. Questo percorso si
mescola a istruzioni che fungono da complementi e attualizzazioni della legislazione
precedente o che preparano l’istallazione in
Canaan. Il Libro inoltre oscilla tra il particolarismo e l’apertura agli stranieri ed è fortemente marcato dal motivo delle lamentazioni
contro Mosè, Aronne e Dio.
La nostalgia dei cibi dell’Egitto e il
disprezzo verso la manna che oramai li ha
nauseati provoca nel popolo pianto e lamento. Mosè ascolta questo grido che non viene
più dal sentirsi oppressi ma dal bisogno di
una dieta più variata e lo condivide con Dio.
Egli interviene concretamente alleggerendo il
carico di responsabilità del suo servo attraver-
so la creazione di ben settanta anziani e concedendo le quaglie per tutto il popolo. A
lamentarsi poi contro Mosè sono il fratello
Aronne e la sorella Maria, infastiditi dalle sue
nozze con una donna etiope. Una nuova
mormorazione lo colpisce a
causa del discredito che alcuni
uomini inviati a esplorare la
terra di Canaan vogliono gettare
su di lui. Segue poi la rivolta di
Core, Datan e Abiràm contro
Mosè e Aronne e la lite del
popolo con Dio a causa della
mancanza di acqua.
Questi lamenti del popolo gettano Mosè in una profonda prostrazione: egli sperimenta una
notevole sproporzione tra le sue
reali possibilità di guidare il
popolo e le attese che sente poste su di lui.
Avverte su di sé un peso eccessivo, simile a
quello che solo una madre può assumere per
amore del bambino che ha tenuto nel suo
grembo e che è disposta a nutrire costi quel
che costi. Questa maternità spirituale è per lui
un impegno troppo grande! Tuttavia impara a
viverla cercando di abbattere i muri che il
popolo innalza verso Dio e intercedendo
presso Dio perché egli costruisca con loro
ponti di comunione.
Spesso il popolo di Dio è litigioso,
impaziente e ribelle verso Dio e verso gli altri
perché fa fatica a dare fiducia. Andando oltre
le proprie miserie e le altrui fragilità è possibile immettere con forza nella storia il lievito
di una fiducia che ci rende artigiani di alleanza con gli uomini e con Dio.
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In copertina: presepe realizzato nella
chiesa di Bonefro nel 2014
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Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
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Quaderno n. 123
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Chiuso in tipografia il
26/08/12
22/11/15
Stampato da
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Larino n. 6/2004
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quale giubileo?
Lettera aperta agli artigiani di un mondo altro
Antonio Di Lalla
Papa Francesco indicendo a sorpresa il giubileo, che inizierà l’8 dicembre, ha
compiuto ancora una volta un gesto veramente rivoluzionario, perciò non possiamo
non occuparcene. Se detrattori e benpensanti
chiedono, paradossalmente accomunati dallo
stesso obiettivo, perlomeno di rimandare
l’anno santo, col pretesto della carneficina di
Parigi e la paura di possibili attentati, è perché
o non ne hanno compreso
la portata oppure ne temono il potenziale sovversivo
sotteso. Nelle intenzioni
del papa vi è la contestazione più radicale che si
potesse mettere in atto
contro il capitalismo, la
finanza e le disuguaglianze sociali. Idealmente lo
vedo come il prosieguo
dell’intuizione del nostro
conterraneo papa Celestino V che è stato il vero
inventore del giubileo nel
1294, universalizzato poi
nel 1300 da Bonifacio
VIII, con altre derive.
Pietro da Morrone viveva povero
tra la gente, non essendo prelato di corte, e
quando fu eletto papa, col nome appunto di
Celestino, volle che fossero i poveri anzitutto
a partecipare alla sua festa e si sentissero
accolti e amati da Dio. Mentre i ricchi e i
nobili avevano l’opportunità di fare pellegrinaggi ed elemosine, penitenze tariffate ed
elargizioni alla chiesa, la gran massa poteva
condividere solo fame e disgrazie. Lancia un
proclama geniale: chiunque entra il 29 agosto, festa di s. Giovanni Battista, nella basilica
di Collemaggio a L’Aquila assetato di Dio e
di riconciliazione ne esce rinnovato e risollevato perché l’Onnipotente ama tutti e a tutti
dona speranza. Si annullano le differenze tra
ricchi e poveri, nobili e plebei. Era una risposta meravigliosa alle istanze del tempo da
parte di una chiesa che spesso non aveva il
vangelo come unico punto di riferimento.
Francesco, con il giubileo della
misericordia, fa un’operazione identica
nell’obiettivo: porre gli scarti umani al centro
dell’attenzione e farli sentire amati da Dio,
ma, giocandola tutta sulla prossimità, la incarna e storicizza in una realtà che molti non
sanno o non vogliono leggere. Il rapporto
Oxfam asserisce: “Il divario tra ricchi e poveri è oggi più grande che mai, e continua ad
aumentare, mentre il potere si trova, sempre
più, nelle mani di una
piccola èlite”, tradotto in
questi termini da Pedro
Casaldaliga: “85 persone
possiedono una ricchezza
che equivale al patrimonio della metà povera
dell’umanità. E l’1% più
ricco della popolazione,
nel 2016, supererà il proprio record patrimoniale
oltrepassando la barriera
ideale del 50% della ricchezza mondiale: si è
appropriato di mezzo
mondo; al resto degli
esseri umani, il 99% della
popolazione mondiale, rimane da spartirsi
l’altra metà” (adista n. 35).
Papa Francesco nella bolla di indizione dell’anno santo (Misericordiae Vultus),
che suggerisco di leggere per comprendere la
svolta che sta dando alla chiesa, parte
dall’invito biblico ad essere “misericordiosi
come il Padre” e chiede che il pellegrinaggio,
segno peculiare dell’anno santo sia “icona del
cammino che ogni persona compie nella sua
esistenza” e porti ad “aprire il cuore a quanti
vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica”. Vengono riproposte le
cosiddette opere di misericordia corporale e
spirituale come paradigma dei bisogni umani
perché si presti attenzione alle miserie del
mondo e così ci si senta provocati ad ascoltare il grido di aiuto che giunge da tantissime
realtà. Denuncia “la violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue” e la
corruzione che “impedisce di guardare al
futuro con speranza” arrivando ad affermare
che “la misericordia non è contraria alla giustizia”
Il vescovo di Termoli-Larino,
Gianfranco De Luca, nel tracciare le linee
pastorali attuative del giubileo per la diocesi
traduce efficacemente in questo modo le
intenzioni del papa: “La nostra chiesa locale
sceglie di celebrare la Divina Misericordia
nei luoghi dove si vive la sofferenza, la malattia, l’esclusione e dove si attivano, in modo
stabile, le molteplici forme delle opere di
misericordia corporali e spirituali”. E perché
non ci fossero fraintendimenti e false spiritualizzazioni mette a fuoco mese dopo mese
degli obiettivi concreti: dagli immigrati agli
ospedali, dalla mensa dei poveri al carcere,
dalle case di riposo alle famiglie dove vi sono
malati, fino ai centri di salute mentale.
L’anno santo serve per dire ad ogni altro: mi
stai a cuore e di conseguenza il pellegrinaggio è uscire da sé per andare incontro alle
persone, varcare la porta santa è creare relazioni, lucrare indulgenze è prendere in carico
il prossimo. E non si pensi che così si umanizza la divinità, semmai si divinizza
l’umanità secondo il progetto per cui si è
speso duemila anni fa un certo Gesù che,
nella migliore tradizione biblica, proclamava
“siate misericordiosi come il Padre vostro è
misericordioso”.
Molti, magari per fuggire da se
stessi, andranno a Roma o per santuari e
finiranno per essere funzionali al mercato e al
commercio; i governi occidentali continueranno a soffocare l’anelito di giustizia dei
popoli oppressi e sfruttati sotto una pioggia di
bombe e proiettili; le nazioni alzeranno ancora muri e fili spinati alle frontiere per impedire la libera circolazione dei popoli; le persone,
anziché accogliere, continueranno a guardare
con diffidenza l’altro perché attenta alla propria egoistica brama di possesso e di sicurezza. Perché la rivoluzione innescata da Francesco non finisca banalizzata in vuoti ritualismi
e le persone non restino prigioniere delle
proprie paure occorrono necessariamente
artigiani di un mondo altro.☺
caro lettore la fonte vive di abbonamenti. sostienici e allarga la rete degli amici
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spiritualità
anno di grazia
Michele Tartaglia
Scrivo la mia consueta riflessione la
mattina dopo gli atti terroristici di Parigi, che
ci fanno ripiombare nelle stesse sensazioni
dell’11 settembre 2001 e non so se quando
questo pezzo uscirà sarà accaduto altro. È in
questo clima che devo parlare del giubileo
della misericordia che inizierà a dicembre, un
anno che dovrà essere, per i cattolici, di riflessione ma soprattutto di gesti concreti
all’insegna proprio della misericordia di Dio.
Riflettere su questo significa tornare al cuore
del vangelo e quindi del cristianesimo. Proprio all’inizio della vita pubblica Gesù stesso
ha presentato il suo programma di vita
all’insegna dell’anno di grazia del Signore,
leggendo alcune parole di Isaia, come ci racconta Lc 4,16-30, affermando che quelle
parole si sono compiute proprio grazie alla
sua presenza e alla sua azione in favore dei
poveri, degli stranieri, delle donne, degli ultimi.
È importante, tuttavia, non solo
sottolineare ciò che ha letto: “Lo spirito del
Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad
evangelizzare i poveri, a proclamare la liberazione dei prigionieri e la vista ai ciechi; per
liberare gli oppressi e proclamare un anno di
grazia per il Signore” (Is 61,1-2). È altrettanto
importante, infatti, sottolineare ciò che non ha
letto, interrompendo la lettura del profeta Isaia
quando dice: “un giorno di vendetta per il
nostro Dio” (Is 61,2). Non fecero la stessa
cosa i conterranei contemporanei di Gesù e
della prima comunità cristiana, poiché nacque
il movimento di ribellione degli zeloti che
portò a due rivolte armate contro i romani,
causa diretta della distruzione del tempio e di
Gerusalemme e in seguito dell’esclusione
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degli ebrei dalla stessa città, dai tempi
dell’imperatore Adriano in poi; la Palestina
da allora perse l’identità ebraica fino al XX
secolo, quando
è stato creato lo
stato moderno
di Israele.
Gesù
e i primi cristiani hanno scelto
di non leggere,
di non fare
proprio tutto il
passo di Isaia,
ma di accogliere solo ciò che parlava di liberazione e di
misericordia, bandendo così la violenza come strumento per affermare le proprie idee.
Alla violenza altrui i cristiani dei primi secoli
hanno risposto con l’accoglienza, con il servizio, con il prendersi cura di chi aveva bisogno, anche se non era appartenente al proprio
gruppo. I cristiani riscuotevano la simpatia di
chi li osservava perché avevano costituito
delle comunità la cui regola era il sostegno
reciproco e la missione era il superamento di
ogni barriera sociale, civile, sessuale: “Non
c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo
né libero; non c’è più uomo né donna, poiché
tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).
L’abbandono della violenza e il
rispetto inclusivo di ogni vita umana è la vera
forza insita nella fede cristiana, il suo dna, il
tesoro originario che neppure la corruzione
delle chiese potrà mai scalfire. Col tempo,
infatti, anche il cristianesimo e le chiese sono
diventati sistemi di potere e di oppressione,
come il tempio di Gerusalemme contro cui
Gesù predicava; l’opulenza denunciata che
ancora oggi produce
scandalo, infatti, non è
che la riedizione di
quel sistema fondato
sul tempio dell’epoca
di Gesù che spremeva
i poveri e attirava i
ricchi con la promessa
delle benedizioni divine elargite a suon di
monete e di doni ai
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detentori del sacro; un tempio di cui Gesù
aveva detto che non sarebbe rimasta pietra su
pietra: se ciò valeva per quel tempio, vale per
ogni sacro palazzo che ancora specula su Dio
e su Gesù Cristo.
Se guardiamo invece a ciò su cui si
fonda il messaggio cristiano, vediamo che
non si tratta di un libro che può chiedere anche di uccidere in nome di Dio (quante volte
la bibbia è stata usata per condannare a morte le persone!), ma di
una persona, Gesù, che ha rivelato
il volto di Dio nel prendersi cura;
assumendo il suo stile, facendo
camminare sulle proprie gambe la
sua idea di regno di Dio, i cristiani
hanno cambiato il mondo e continuano a farlo ovunque assumono
e mantengono questo stile, non la
difesa ipocrita di valori astratti
fatta da un occidente ormai povero di spiritualità e coerenza, dove giovani
anche “educati” ai suoi valori ritrovano un
motivo per vivere solo abbracciando il fondamentalismo islamico, perché forse schifati da
un cristianesimo di facciata e dal bon ton di
una laicità ideologica che emargina socialmente chi vuole libertà e giustizia sociale.
Non si pensi, quindi, alla riedizione delle
crociate, che porta solo ad aumentare il male
e la violenza (bisogna guardarsi bene dagli
ideologi della difesa ad oltranza dei valori
occidentali e giudeocristiani); si tratta piuttosto di tornare a vivere il vangelo come facevano i cristiani prima di “convertirsi”
all’impero e al fascino del potere, quando
nonostante le persecuzioni aumentavano
esponenzialmente, tanto che un “radicale”
come Tertulliano arrivò a dire che il sangue
dei martiri è seme di nuovi cristiani; martiri
che non tolgono la vita, ma si mettono totalmente al servizio dell’uomo fino al dono
della propria vita.
Proprio per questo è necessario
continuare a predicare non tanto un giubileo,
quanto quell’anno di grazia inaugurato da
Gesù e incarnato dai suoi discepoli lungo la
storia, per sconfiggere col fascino dello stile
di Gesù, ogni forma di terrorismo, sia quello
del fondamentalismo, sia quello del cinismo e
della voracità dei sistemi finanziari iniqui
(che hanno casa anche nel nostro occidente),
che amoreggiano con i fondamentalisti e li
foraggiano di armi, per usarli nelle loro maldestre strategie geopolitiche. ☺
[email protected]
glossario
la redazione partecipa al dolore
che ha colpito la nostra collaboratrice Ester Tanasso per la
morte del padre
senza spiegazioni
Dario Carlone
sud - specifichiamolo - non siamo così … La
nostra vita sociale ha per base altri elementi,
dettati dalla cultura, dal nostro essere disponibili e capaci di relazionarci con gli altri. Ma
sarà poi vero?
I cambiamenti nelle abitudini sono
purtroppo contagiosi. Da semplice osservatore quale sono, attraverso il contatto con le
giovani generazioni che si susseguono sui
“banchi” di scuola, posso affermare che i
costumi negativi attecchiscono maggiormente. Sta diventando frequente anche tra noi
interrompere relazioni, senza neanche inviare
un sms o cercare un congedo chiarificatore. È
molto più facile “sparire”, sottrarsi al confronto piuttosto che affrontare a viso aperto
una situazione, sostenere un proprio punto di
vista, motivare le ragioni del proprio comportamento.
E tale atteggiamento sta diventando comune alle diverse fasce di età. Quando,
ad esempio, accade qualche evento eclatante,
ed i giovani e gli adolescenti ne sono spesso
protagonisti, siamo portati a pensare che si è
perso ogni senso della misura. Secondo la
sociologa Chiara Saraceno, infatti “manca la
consapevolezza del rapporto tra azione e
conseguenza”: ci si preoccupa di ciò che può
provare l’altra persona, di quali potrebbero
essere i problemi che la scelta di “sparire”
comporta? “Oggi l’intera comunicazione è
incerta: non è più chiaro ciò che è legittimato”: quando ci si limita ad un “mi piace” o
“condividi” su un social network, si resta al di
fuori, si evita il coinvolgimento. E così quando si decide di eclissarsi come un fantasma:
troppo comodo stare alla finestra a guardare,
tanto sono gli altri i veri attori, quelli che poi
ne pagheranno le conseguenze!
Ghosting equivale a superficialità,
una condizione sempre più pervasiva di tutte
le relazioni. Nella società dell’informazione
in tempo reale ci si interessa di tutto quanto
avviene intorno a noi con lo stesso atteggiamento che si ha di fronte alle merci esposte
sulle bancarelle di un mercato o nei reparti
dei grandi magazzini: un’occhiata, un rapido
giudizio e poi via, lo sguardo altrove … La
pratica “usa e getta” si trasferisce anche ai
problemi, alle vicende drammatiche del nostro tempo. Ci commuoviamo per un momento, pensiamo o diciamo una parola di
commento, poi tutto come prima.
È il nostro ghosting, sparire senza
spiegare il motivo. ☺
[email protected]
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Vi è mai capitato di sentire la parola ghosting? Tranquilli, non ho intenzione di
spaventarvi, né sono in ritardo sui festeggiamenti della notte di Halloween!
Questa espressione è di importazione anglofona e deriva dal sostantivo
ghost, fantasma; resa nella forma verbale ing (gerundio o participio presente secondo
la grammatica inglese), è entrata nell’uso per
indicare l’interruzione improvvisa e senza
apparente motivo di una relazione sentimentale.
Da un punto di vista sociologico
l’espressione veicola quindi un modus tipicamente anglosassone: incontri fuggevoli,
relazioni che non durano, stili di vita condizionati da impegni di lavoro o affari, viaggi e
trasferte continue che non fanno bene ad una
relazione - quello che vediamo nei film americani, per intenderci! Se pensiamo alle metropoli popolate da migliaia di persone, con
la vita quotidiana scandita dai ritmi tipici
della settimana lavorativa che volge al venerdì per avere la meritata pausa, non ci stupirebbe che un rapporto di coppia o semplicemente una amicizia possa dissolversi come
un “fantasma”, senza dover ricorrere a spiegazioni o chiarimenti.
Tutto ciò è molto lontano dalla
nostra realtà italiana: perché soffermarsi,
allora, su questo termine? Noi italiani, del
la politica regionale non riuscirà ad offuscare la bellezza del molise
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politica
salviamo i molisani!
Giovanni Di Stasi
Su richiesta di Libertà & Giustizia
e la fonte, ho coordinato di recente un dibattito pubblico sul tema “Il Molise tra autonomia e macroregioni”. Le relazioni sono state
svolte da Luigi Picardi, esperto di regionalismo, e da Marco Olivetti, ordinario di diritto
costituzionale, che ho avuto il piacere di
avere come alunno del liceo classico di Termoli.
Il tema viene da tempo dibattuto
dai rappresentanti delle istituzioni molisane
con l’obiettivo di organizzare la difesa di
un’autonomia regionale che, bisogna riconoscerlo, è stata conquistata con impegno e
fatica e non ha mancato di dare nel passato
significativi risultati. Per spirito di verità
bisogna aggiungere che associazioni, come
Majella Madre, e singoli cittadini manifestano da qualche tempo opinioni diverse sul
tema, arrivando a dire che l’autonomia per
questa regione è diventata un onere eccessivo per la comunità nazionale e uno svantaggio insopportabile per i cittadini molisani. Mi
ha intrigato l’idea di stimolare e moderare il
confronto tra cittadini e politici, sulla base di
considerazioni di natura prevalentemente
tecnica e all’interno di un quadro generale
profondamente mutato negli ultimi anni.
La passione regionalista di molti
di noi e la bandiera federalista della Lega
Nord sono diventate, nel corso di un lustro,
pagine sbiadite di una storia ormai superata,
in un paese che non riesce più a tenere il
conto degli scandali e delle inefficienze di
intere classi politiche regionali. Diventa così
comprensibile la frattura tra i rappresentanti
istituzionali, che tendono a difendere lo status quo, e i cittadini, propensi a disfarsi di
quello che sembra essere un inutile fardello.
Le cose vanno così, qui e altrove. Da noi la
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vicenda è più complessa e più preoccupante
perché alla sfiducia nei governanti regionali,
che accomuna quasi tutti gli italiani, si è aggiunta una scarsa capacità programmatoria e
operativa in materia di sviluppo, occupazione,
infrastrutture, trasporti e sanità. Se, per risolvere questi problemi, bastasse eliminare
l’autonomia regionale, non avremmo dubbi
sul da farsi, ma non è così ed è
bene confrontarsi per ricercare
soluzioni inedite, efficaci e di
lungo respiro. Anche alla luce
del fatto che mentre nelle regioni italiane imperversavano i
diavoli, le istituzioni nazionali e
locali non erano affollate di
aureole.
Dal convegno, che si
è tenuto nell’aula consiliare del
Comune di Termoli lo scorso 20
novembre, sono venute considerazioni e proposte di qualche interesse che
provo a riassumere di seguito:
- l’autonomia del Molise non è più percepita
come un patrimonio prezioso dai molisani e,
tuttavia, essa può essere messa in discussione
solo all’interno di una riforma complessiva ed
organica del sistema delle regioni;
- l’eventuale nuova geografia regionale non
può comportare la “spartizione” del Molise tra
le future macroregioni limitrofe;
- il Molise ha legami e affinità con l’Abruzzo
tali da rendere naturale, fin da subito, una
collaborazione ed una convergenza tra le due
regioni, da estendere alle Marche;
- sono state attivate iniziative di unificazione
delle organizzazioni sindacali abruzzesi e
molisane, mentre l’avvocatura ha dato vita
all’unione della Marca Adriatica tra i distretti
di Molise, Abruzzo, Marche e Umbria;
- l’ipotesi di una macroregione
dell’Adriatico, composta da Molise, Abruzzo
e Marche, non può
essere concretizzata
attraverso la cancellazione dell’identità del
Molise e il suo dissolvimento in una realtà
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istituzionale più grande;
- se la macroregione s’ha da fare, il Molise
deve essere partner alla pari con le altre due
regioni contraenti.
Le considerazioni sopra esposte
dovrebbero esser oggetto di confronto tra le
istituzioni e i cittadini molisani non solo perché riferite ad uno scenario possibile, ma
anche perché esse possono essere di grande
aiuto in una fase in cui scelte importanti devono essere fatte. La progressiva cancellazione
di uffici e funzioni statali sul territorio molisano rischia di produrre disastri per la nostra
realtà territoriale, ma in uno scenario macroregionale qualcosa può essere
salvato. Bisogna provarci,
partendo dalla richiesta di
congelare ogni provvedimento relativo alla Corte
d’Appello di Campobasso.
Tuttavia il reale valore aggiunto di una scelta chiara in
favore di un raccordo stabile
con l’Abruzzo e le Marche sta
nella possibilità di attivare una
fattiva collaborazione in materia di sviluppo, sanità, viabilità
e trasporto. Funzioni che, più di altre, possono
essere svolte efficacemente soltanto se si
supera un’ottica di autosufficienza e isolamento.
Dare risposte più efficaci ai cittadini deve essere l’obiettivo principale della
collaborazione tra Molise, Abruzzo e Marche, ma può servire anche a salvare l’ autonomia di ciascuna delle tre regioni. Di certo, se i
cittadini continueranno a percepirla come un
fardello, prima o poi l’autonomia regionale
sarà cancellata. Indipendentemente dal destino delle macroregioni. ☺
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viaggio di solo ritorno
Conosco certe zone di confine
ove tace la parola.
Le attraversano ciechi viandanti
anelanti al mare.
Il corpo battuto dal vento.
Uno l’ho visto gioire un giorno.
Sul viso arso dalla salsedine
la sola lacrima -perla del desertoannunciava vicina la meta.
È la vita
un viaggio di solo ritorno.
Da In salita controvento
di Anna Maria Gargiulo
guerra in corso
Famiano Crucianelli
Parigi è una tragica lezione. Il
grande rischio, quasi la certezza, è che resti
solo la tragedia delle tante vittime e, rapidamente, si dimentichi la lezione. Le risposte
dei tanti commentatori di casa nostra sono
già sul tavolo. I lestofanti di professione dicono: “bisogna bombardare e rigettare i migranti”; gli uomini di buona volontà: “non
dobbiamo farci spingere verso la barbarie”; i
prudenti: “ci vorranno anni per battere il
terrorismo”. Partirei dall’ultima considerazione che rivela una certa lungimiranza, anche
se nulla dice sul perché della “guerra in corso” e su cosa andrebbe fatto per uscire da
questa drammatica situazione.
Indicherei tre ragioni fondamentali
che fanno da sfondo, sono all’origine di queste vicende e con la loro ferocia stanno segnando questi nostri tempi.
a) La madre di tutte le ragioni è il
mutamento radicale avvenuto nel mondo in
questi ultimi trenta anni, una vera rivoluzione
che ha cambiato la natura del sistema mondiale. Ovvero: la fine dell’equilibrio e del
controllo bipolare del mondo, il crollo
dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti come
potenza unica alla guida del mondo. Sempre
in quegli anni ha preso il volo la globalizzazione economica, finanziaria e tecnologica
del sistema internazionale. Questa rivoluzione nei primi anni, ha consegnato le chiavi del
Pianeta agli Stati Uniti, poi le cose sono cambiate ed è emersa sempre più l’altra faccia del
nuovo mondo globale: un mutamento profondo dei “rapporti di forza” fra l’Occidente
e il resto del mondo, il protagonismo nello
scenario mondiale di nuovi grandi paesi dalla
Cina al Brasile e infine è iniziato l’esodo di
milioni di donne e uomini dal Sud verso il
Nord. Insomma in questi ultimi anni vi è
stata una vera rivoluzione che ha mutato tutto
dagli equilibri geopolitici alle relazione economiche e finanziarie, dal ruolo della tecnologia alla cultura e ai costumi di miliardi di
cittadini del mondo.
b) La seconda e decisiva ragione
che permette di comprendere lo stato di cose
attuali va ricercata nella risposta miope ed
egoista che Stati Uniti e Occidente hanno
dato ai grandi cambiamenti di questi anni. Di
fronte alla globalizzazione, di fronte al disordine in aree fondamentali del mondo la potenza americana e la Nato hanno utilizzato la
guerra, le menzogne e la violenza per affermare i loro interessi neocoloniali e il loro
primato. La prima guerra in Iraq, la seconda
guerra in Iraq, i bombardamenti francesi
sulla Libia, il vaneggiamento interessato
sulle Primavere arabe e sulla democrazia
sino arrivare a una pericolosa collisione Statunitense e Giapponese con la nascente potenza cinese che potrebbe aprire, questa sì, le
porte alla terza guerra mondiale. Intervenendo militarmente in Iraq il presidente americano ebbe a dichiarare:
“Dobbiamo intervenire per tutelare lo stile
di vita, il tenore di vita
del popolo americano”. Bush con il suo
candore e la sua arroganza diceva una elementare verità: il mondo sta cambiando, ma
gli Stati Uniti e
l’Occidente avrebbero
usato la forza per difendere i loro interessi
e i loro privilegi. Il
cancro col quale abbiamo a che fare è un
Giano bifronte, ha due
teste: una è il terrorismo e l’altro è l’ arroganza cieca del potere e dei privilegi. Un’altra
via era e continua ad essere possibile. La fine
dell’URSS e i processi di globalizzazione
hanno dato all’Occidente la grande opportunità di socializzare e globalizzare la democrazia, i diritti sociali e dei lavoratori, l’idea
di libertà e la cultura laica, insomma la parte
migliore della nostra storia. La civiltà occidentale - quello dello Stato sociale, dello
Stato di diritto e dello statuto dei diritti dei
lavoratori - se si fosse messa a disposizione
del nuovo sistema globale avrebbe realmente
aperto le porte ad un mondo migliore e avrebbe fecondato virtuosamente “il nuovo”
che si stava affermando. Si è fatto esattamente l’opposto e le conseguenze di questa scelta
scellerata sono sotto gli occhi di tutti. Se non
ripartiamo da qui, se non piantiamo, insieme
alla lotta al terrorismo, la pianta della giustizia sociale e di un nuovo equilibrio democratico fra i paesi e i popoli del mondo, noi potremo anche vincere oggi con le armi la lotta
contro lo stato del terrore del califfo, ma
domani la metastasi del terrorismo tirerà
nuovamente fuori la testa.
c) Una terza ed ultima questione
riguarda più direttamente noi e il nostro as-
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politica
setto sociale e democratico. In tanti, non solo
i Salvini, i Meloni, i Le Pen, i Kacynski, gli
Orbàn chiedono di tirare su i muri contro
l’onda degli immigrati. È un illusione, i muri
e i fili spinati, senza quella barbarie nazista e
fascista che l’Europa ha conosciuto nella
prima metà del novecento, nulla potranno
contro questa biblica migrazione. Se non
vogliamo iscriverci nel lungo elenco dei
nuovi barbari di fronte a un problema reale
che crea difficoltà, conflitti e paure in primo
luogo nella parte più popolare e povera della
nostra società, dobbiamo cogliere la questione alle radici e provare una risposta su due
terreni. La prima scelta, ripetuta come una
giaculatoria da tutti per poi essere non a caso
sistematicamente ignorata, è
quella di sostenere uno
sviluppo economico e sociale degno nei paesi di
provenienza dei migranti.
Non a caso ignorata, perché
questa scelta, almeno per
diversi anni, comporta una
redistribuzione di ricchezza
fra noi e i popoli del sud e ci
obbligherebbe a un mutamento del “nostro tenore di
vita”. Anche Renzi dopo il
vertice del G 20 in Turchia
si è posto questo problema,
francamente non sa di cosa
parla. La questione non è
quella di un risibile incremento dei fondi della cooperazione, si tratta
di immaginare un nuovo piano Marshall per
queste aree povere del Sud del mondo, di
mobilitare risorse straordinarie e di piegare a
questa filosofia le grandi istituzioni internazionali dal F.M.I. alla Banca mondiale. La
seconda questione riguarda il nostro vivere
sociale, il senso e la qualità della nostra democrazia. I migranti hanno la loro storia, la
loro cultura, spesso una vita piena di disperazione e di sofferenza. Se questi nuovi dannati
della terra approdano in un territorio degradato e senza identità sociale, in una società
deresponsabilizzata, se arrivano in un paese
dove la vita democratica è inesistente e
l’etica pubblica profondamente inquinata,
allora è facile che essi vadano ad ingrossare
le file della marginalità e della decadenza
sociale. Il problema, se vogliamo essere seri,
non è il migrante, ma la miseria della nostra
democrazia e della politica, l’opportunismo e
il trasformismo delle classi dirigenti, la povertà del nostro vivere sociale e l’inciviltà dei
nostri comportamenti. Il re è nudo, prima ce
ne renderemo conto, prima potremo affrontare i veri problemi. ☺
[email protected]
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molise sicuro
Giulia Di Paola
La sicurezza è quando tutto è risolto, quando nulla ti può accadere;
la sicurezza è la negazione della vita (Germaine Greer)
Parlare di sicurezza dopo i fatti di
Parigi potrebbe sembrare un’utopia, anche
perché la certezza di essere al sicuro è praticamente impossibile. Soprattutto perché la
domanda inevitabile è: al sicuro da chi, che
cosa? Le istituzioni cercano di fare quello che
possono per colmare questo bisogno ancestrale dell’uomo, un bisogno al quale si cerca
sempre più spesso di dare risposte dall’ esterno, piuttosto che irrobustire l’animo. Così
anche in Molise è stato messo in piedi il
“Patto della Sicurezza - sistema regionale di
videosorveglianza” che ha recepito anche le
indicazioni del coordinamento delle forze di
Polizia delle Province di Campobasso e Isernia. Pertanto sistemi di videosorveglianza
verranno realizzati nei comuni di Campobasso, Isernia, Bojano, Campomarino, Larino,
Montenero di Bisaccia, Riccia, Termoli,
Agnone e Venafro.
Diversi anni fa i bambini venivano
terrorizzati da un ammonimento ricorrente:
“Ricordati che Dio ti vede!” oggi è l’occhio
del Grande Fratello che osserva le nostre vite,
o meglio alcune delle nostre azioni. Ma non
credo che sia mai riuscito a fermare la malva-
8
gità, la cattiveria, la criminalità. Al bambino
che muove i primi passi nel mondo la presenza di Dio dovrebbe essere quella che lo sostiene nei momenti difficili e di insicurezza,
così come ben descritto nel Salmo 23:
“Anche se vado per una valle oscura, non
temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo
bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.
Un tempo c’
erano la famiglia, i vicini,
i paesani che erano presenti nella vita di tutti,
adulti e bambini e fungevano contemporaneamente da deterrente e da
elemento di sicurezza
perché non ci si sentisse
soli, specialmente nei momenti più delicati
della vita. Presenze che sicuramente potevano costituire un limite per le libertà individuali, ma erano persone sulle quali si poteva
contare. Un padre pensatore dell’anarchia,
William Godwin, affermò che: “La democrazia restituisce all’uomo la coscienza del proprio valore, gli insegna, con l’eliminazione
dell’autorità e dell’
oppressione, ad ascoltare soli i dettami
della ragione, gli dà la
sicurezza che gli consente di trattare gli
altri uomini come
suoi simili, e lo porta
a considerarli non più
nemici contro i quali
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deve stare in guardia ma fratelli che ha il
dovere morale di aiutare”. Possiamo considerare una democrazia quella che viviamo oggi? In realtà il potere legislativo e quello giudiziario sono in lotta costante pur fingendo di
fidarsi l’uno dell’altro. La politica lascia spesso che sia la magistratura a dirimere le proprie lotte di potere. Così, invece di affrontarsi
a viso aperto in discussioni risolutive e facendosi carico delle proprie azioni e decisioni, si
riempiono i faldoni delle aule di Tribunale,
senza contare che nel frattempo sono intervenute depenalizzazioni, prescrizione breve,
legittimo impedimento, riduzioni di tribunali
e personale. Praticamente l’impunità.
Il giudizio da parte dell’altro è
talmente difficile da
accettare che spesso
le famiglie non si
fidano neanche della
scuola, l’istituzione
per eccellenza quando si parla di educazione e formazione,
e capita spesso di
vedere denunciati
presidi ed insegnanti
anche per voti, giudizi e note che riguardano i
figli studenti.
Un sistema di videosorveglianza
riuscirà effettivamente a farci sentire più
sicuri? La paura dell’ignoto è solo una componente delle nostre insicurezze. Spesso le
peggiori violenze sono perpetrate proprio da
chi conosciamo bene. La mancanza di fiducia
nel futuro, invece, è alimentata da una politica miope, legata alla poltrona e da
un’economia folle che corre solo in favore
del più forte.
Un’occasione per cambiare rotta ci
viene offerta dall’anno giubilare, il tempo
“del ritorno all’essenziale per farci carico
delle debolezze e delle difficoltà dei nostri
fratelli”. ☺
[email protected]
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Il 65% del territorio regionale sarà
interessato dalle trivellazioni per la ricerca,
estrazione e stoccaggio di idrocarburi. Basterebbe solo questo dato per provocare allarme
in tutti noi, purtroppo l’analisi del progetto ci
porta a considerazioni ancor più angosciose.
Neanche il nostro mare sarà risparmiato poiché una lunga striscia di Adriatico che va
dall’Emilia fino al Molise subirà lo stesso
trattamento. Abbiamo parlato del nefando
decreto Sblocca Italia ma era teoria, ora ne
subiamo le conseguenze pratiche. Lo scempio della nostra terra e del nostro mare, la
nostra incolumità e la nostra salute saranno
determinati da questi brevi disposti dell’art.
38 del PoveraItalia: “le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e
quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono
pertanto la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza dell’opera e
l’apposizione del vincolo preordinato all’
esproprio dei beni in essa compresi…”. Come dire abbiamo deciso che qualcuno si arricchirà sfruttando le vostre risorse, producendo a voi e al vostro territorio il maggior danno
possibile e voi non potrete recriminare alcunché, zitti e buoni. Ma lasciamo perdere la
democrazia, valore dismesso, in disuso, obsoleto e di intralcio, parliamo di prassi.
L’Olanda ha il più grande giacimento di metano d’Europa attivo dal 1959,
per molti decenni non ha dato problemi ma
dal 2008 sono iniziati terremoti sempre più
frequenti e di sempre maggiore intensità.
Sono terremoti indotti dall’attività di estrazione e stoccaggio del gas, superficiali e quindi
percepiti in maniera sensibile dalla popolazione e deleteri per le abitazioni - si calcolano
centinaia di migliaia di case danneggiate -. Il
sisma più significativo è stato del 3,6 della
scala Richter, i danni stimati intorno ai 30
miliardi di euro. Il governo olandese, nel
corso degli anni, ha riconosciuto la gravità
della situazione e ha ridotto quasi ad un terzo
l’attività di estrazione. Ma queste misure,
sempre secondo il governo, non hanno allontanato la possibilità di altri eventi, perché?
Ebbene, quando si estrae il gas o il petrolio, la
sacca di roccia che lo conteneva si compatta
provocando, col tempo, un abbassamento del
“tetto” del suolo sovrastante e quindi i terremoti superficiali. Solo per dare un’idea di ciò
che è avvenuto in quel Paese: nel 2013, anno
i danni delle trivellazioni
Cristina Muccilli
di maggior estrazione del metano, i terremoti
boschi più fitti saranno adoperate cariche
sono stati 119, il maggior numero mai ragesplosive. Quale effetto produrranno
giunto fino ad allora. L’Olanda è un paese a
l’irraggiamento di onde nel sottosuolo e le
rischio terremoti naturali pari a 0, l’Italia un
vibrazioni derivanti dagli strumenti usati?
paese ad alto rischio, e noi molisani lo sappiaUltima considerazione. Guardanmo molto bene. Mi sono dilungata sui terredo sulla cartina il posizionamento geografico
moti perché è una delle conseguenze più
di alcune concessioni mi accorgo che segue
visibili, immediatamente avvertibili, ma che
più o meno il tracciato del nuovo elettrodotdire del pericolo di contaminazione delle
to che passerà anche in Molise, i signori
falde acquifere, e del rischio contaminazione
delle energie ci hanno voluto gratificare
da radiazioni? Per la ricerca nel sottosuolo,
davvero molto.
infatti, si adoperano sonde con un terminale
Ringrazio Augusto De Sanctis del
radioattivo, e per ammissione delle stesse
comitato abruzzese NO-OMBRINA per
società di ricerca mineraria, durante l’anno
averci edotto su di una materia così particolavorativo avviene un certo numero di questi
lare e invito tutti i molisani a rendersi cittadi“incidenti”. Alla stessa stregua e con la stessa
ni partecipi, non è più tempo di tacere. ☺
[email protected]
leggerezza vengono trattati gli sversamenti di
petrolio in mare, “episodi”. Ebbene sono casi,
imprevisti, avvenimenti fortuiti che una volta
in atto saranno davvero incidenti sulle nostre
vite, sulla nostra salute, decideranno del
nostro destino.
Guardare i binari dall'ultimo vagone in corsa
incrociare i volti dei nostri giovani
Continuiamo con la prassi, con il
che
migrano con la speranza nel cuore
progetto di ricerca idrocarburi “Santa Crosoffermarsi
sullo
sguardo innocente di un bambino
ce”, il perimetro interessato è di 87 Kmq,
e allora riscopro che la vita è vera
grosso modo un quadrato disarmonico
quando quel volto diventa il centro
intorno a Campobasso, paesi coinvolti Fer- quando diventa spazio e tempo della nostra esistenza.
razzano, Mirabello, Gildone, Vinchiaturo,
Via le polemiche, l'inutile stillicidio di ipocrisie.
Cerce, Sepino, Riccia, Ripalimosani ecc. Ma dal finestrino del treno un mare nero e schiumoso,
Nella Sintesi non tecnica presentata dalla sinistro presagio di morte che quelle petroliere, potenti
società Irminio srl è scritto che le operazioall'orizzonte, sembrano imporre.
Abbiamo costruito la morte dentro i nostri calcoli.
ni di ricerca non saranno svolte all’interno
Il nostro sogno di progresso ha ingoiato la vita.
di siti SIC/ZPS, sui tratturi, in prossimità di
E allora per quel volto bambino
vincoli architettonici o archeologici, in
e
per
quello
sguardo innocente immolo
prossimità di centri abitati o di ponti e galleil
mio
corpo
e destino le mie energie,
rie, all’interno di oasi ed aree connesse, in
anche insieme a chi ha il passo ansimante,
prossimità di corsi d’acqua, laghi o sorgenti,
ma il cuore libero.
in aree a rischio idrogeologico. ConsideranAntonio De Lellis
do l’area in oggetto la domanda viene da sé,
dove mai potranno avviare queste ricerche? E
allora, rispetteranno
mai questi vincoli?
Altrove non lo hanno
fatto. Una nota sulle
tecniche di indagine:
verranno adoperati i
vibroseis, grossi camion con piattaforme
incorporate le quali
emanano onde elastiche nel sottosuolo, e nei
mare nero
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domande al sindaco di s. giuliano
rimborsi non rimborsati
Orbene, un altro anniversario è passato! A noi, ancora una volta,
l’occasione di stringerci assieme, accanto ai genitori, per condividere il dolente
ricordo.
Per triste coincidenza, il 31 Ottobre di quest’anno, tredicesimo anniversario di quell’evento così doloroso per la nostra comunità, ha visto la tragica fine, nel
deserto del Sinai, tra gli altri, di altri ventisette bambini, nell’esplosione in aria
dell'Airbus 321 della compagnia Kogalymavia, decollato dall'aeroporto egiziano
di Sharm el-Sheikh.
Il tragico evento di tredici anni fa è stato ricordato con
servizi televisivi e con un minuto di silenzio, nelle altre scuole
della regione.
Nemmeno ai più disattenti è potuta sfuggire l'immagine, stridente, della faccia giuliva e briosa dell'imperituro sindaco quando, sorridente, constatava la tristezza che pervade tutti
noi come tredici anni fa, invitandoci a non dimenticare. Eccitato, sicuramente, per il suo ruolo, di tricolore vestito, e non perché convinto che non tutti i mali vengono per nuocere.
Pazientemente, continuiamo ad aspettare, dal sindaco,
qualche risposta ad alcune domande su questioni inquietanti
che lo riguardano:
1.Vorremmo sapere se è vero, o no, l’insinuazione comparsa in un’intercettazione
telefonica che ha preso una prima mazzetta di 20 mila euro per ospitare gli sfrattati da oltre Europa.
2.Questi extracomunitari, verranno ospitati o sviati da qualche altra parte?
3.Vorremmo sapere le ragioni per cui è indagato circa 1'imbarazzante storia della
Circumlacuale, se ha truffato, se ha imbrogliato carte, o corrotto qualcuno.
4.Vorremmo sapere cosa significa “combattere silenziosamente”. Per essere più
espliciti: che strada avrebbe intrapreso se qualche mascalzoncello avesse voluto,
a tutti i costi, piantare pale eoliche?
5.Come verrà restituita la cospicua somma delle provvisionali.
6.Quale merce di scambio sta barattando con il ministero dell’Economia per avere
la possibilità che lo Stato finanzi il risarcimento? Forse l’istituzione del tanto
sperato centro HUB?
7.Come affronterà la questione dei risarcimenti civili. Risulta praticamente inutile
la conferenza stampa messa in scena appena due giorni prima dell’anniversario.
Tutti sanno che quando c'è una sentenza penale che ci condanna, ce ne sarà una
civile che ci bastonerà finanziariamente. Perché non dirlo prima? Questo, noi
poveri cittadini sprovveduti, lo avevamo già detto attraverso questo giornale.
8.Cosa ne farà di tutte quelle opere faraoniche che ancora vengono costruite a San
Giuliano, a cominciare dalla ipotetica Università risultata, fino ad oggi, solo sede
di una fugace apparizione di call-center.
9.Quando, finalmente, comincerà la tanto pubblicizzata raccolta differenziata.
10.Ci rendiamo conto che è meglio una comparsata televisiva a Quarto grado che
rispondere a un interrogatorio di terzo grado, ma siamo fiduciosi!
“Sarà la politica che gira intorno - quella che
non ha futuro - saremo noi che nella testa abbiamo un
maledetto muro …”
A tredici anni dal terribile terremoto del 2002 la
cosiddetta ricostruzione procede con la regolarità del moto
lento impresso, anzi imposto, dalla politica. Neppure i terremoti successivi [2009 - 2013] hanno scosso minimamente
o pungolato il politico deputato a
risolvere tutte le problematiche
connesse. Questa situazione, grave e
logorante per chiunque, perfino per
chi ci guadagna, è - per gli sfollati ulteriormente esasperata e trasformata in un vero e proprio calvario
dalle tirannie [crudeltà] politiche
perpetrate nei loro confronti! I malcapitati, oltre a subire questo ritardo
insopportabile, patiscono anche la
presa in giro dei nostri governanti.
Nel 2010 il consiglio regionale
all’unanimità istituisce con legge regionale il rimborso della
spesa dei consumi elettrici [50%] a favore di chi abita nei
vari villaggi provvisori del cratere. Sono trascorsi 5 anni e
dei rimborsi nemmeno l’ombra!
Sarà forse l’atavica incapacità di spesa che caratterizza la nostra classe dirigente, ovvero il risultato di una
ferma e precisa volontà a non voler concedere quanto dovuto, che guida questo agire politico. Non è rinvenibile
alcuna differenza di risultato tra destra e sinistra
[cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia!]:
entrambi si limitano a concedere “a parole”. Ad onor del
vero, va detto che l’attuale amministrazione regionale fa un
passo avanti: lo riporta scritto nei bilanci di previsione
[2014-2015] e si “sbilancia” fino all’impegno di spesa, ma
non liquida. I 50.000 euro previsti, il 31 dicembre 2014,
giungono e si fermano all’impegno; nel 2015 ritornano in
bilancio quali residui passivi “presunti” ad ingrossare la
relativa “voce di spesa” [100.000 euro]. È piaciuto tanto il
“giochetto” che quest’anno si replica.
Convinti che prima o poi questi rimborsi arriveranno a destinazione, con le proprie gambe senza
l’intervento umano, prendiamo atto della fermata del freccia rossa quale risultato della incontenibile tipica attitudine
politica molisana alla “limitazione”. ☺
anonimus
Rosario Eremita
[email protected]
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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convivialità delle differenze
Nella vicina città di Montesilvano,
situata in provincia di Pescara, ha fatto parecchio discutere la proposta dell’Associazione
“Carrozzine determinate” di destinare al
sociale ed in particolare alle politiche per le
persone con disabilità, i fondi destinati alle
luminarie natalizie. Una scelta di sobrietà, in
puro stile spending review, dettata dalla necessità di indirizzare verso bisogni più concreti le risorse economiche del comune.
La città di Montesilvano, situata a
poco più di 100 Km da Termoli, è da sempre
molto attiva sul fronte politiche sociali. È
stato uno dei primi comuni italiani ad adottare
nel 2011 i principi e le indicazioni della Convenzione ONU per i
diritti sulla disabilità,
allo scopo di diffondere territorialmente
la cultura dell'integrazione, dei diritti e del
riconoscimento della
dignità di ogni persona. È uno dei pochi
comuni in Italia ad
avere un assessore
con delega specifica
per la disabilità. Il Comune dispone di un
ufficio disabili, nato per favorire l'integrazione delle persone disabili attraverso l'informazione, l'orientamento e la consulenza per un
miglior utilizzo dei servizi pubblici e privati
presenti sul territorio provinciale, regionale e
nazionale. Il servizio, premiato dal Ministero
della Pubblica Amministrazione come buon
esempio di servizio pubblico, si prefigge di
offrire ai cittadini con disabilità, alle loro
famiglie, agli operatori sociali e sanitari, insegnanti, studenti e volontari, informazioni utili
per migliorare la qualità della vita, rafforzare i
legami con la rete di associazioni, servizi e
iniziative locali e diffondere notizie su tematiche legate al mondo della disabilità.
Sono andata a fare un giro sul sito
internet dell’ufficio disabili di Montesilvano
io mi abbono,
tu ti abboni,
egli si abbona e
la fonte
sgorga rigogliosa
luci di natale
Tina De Michele
(http://www.ufficiodisabili.it/index.php) e mi
ti? Non vedete che ormai i giovani fuggono
sono sentita un po’ come quando per la prima
tutti via perché non hanno credibili prospettivolta ho visto 2001 Odissea nello Spazio,
ve? E sappiate, non si tratta solo della crisi,
ossia sono precipitata in un mondo che non
perché quella c’è ovunque …. manca totalcredevo potesse esistere! Mentre in terra di
mente una visione sul futuro della nostra
Molise un giorno sì e l’altro pure ci viene la
terra. Pensateci bene, perché tra qualche
gastrite per la frustrazione di avere una pubbliannetto rischiate di governare sul nulla assoca amministrazione che se ne frega altamente
luto, su una regione conosciuta solo per farci
dei diritti dei più deboli, a 100 km da casa
le barzellette sull’Isis, come mi capita di
nostra si vede un
leggere in questi tristi giorni.
esempio di buona
Perciò prendetevi cura di questa
amministrazione
terra e delle sue anime, perché il Molise e i
da fare invidia a
suoi abitanti lo meritano. Il suo cuore pulsantutta Italia!
te è fatto di acque pulite e colline dai dolci
Dalle nostre parti,
profili; è fatto di sapori inaspettati e tradiziocome ben sappiani accattivanti, di paesi in cui l’aria è pura e
mo, non esiste
di montagne accoglienti. Noi siamo questo,
alcun ufficio per la
non altro. Non ci servono trivelle nella nostra
disabilità e passiaterra, non ci servono opere inutili. Ci serve
mo il tempo a
prima di tutto sapere chi siamo e puntare su
parlare di tunnel, di
quello che siamo. Ci serve lottare per i nostri
case al mare, di
tesori, tra i quali certamente annovero l’ex
barriere architettoniche che somigliano a vere
centro di riabilitazione Padre Pio, che ha
e proprie barricate, mentre sul sito dell’ufficio
aiutato in 30 anni molti bambini con disabilidisabili di Montesilvano può capitare addirittà gravi e meno gravi. Lasciare andare via
tura di leggere un articolo che fornisce ai geniuno solo di questi tesori significa caricare un
tori consigli per spiegare ai bambini autistici i
colpo per uccidere questa terra.
fatti di Parigi… ed allora capisco che il divario
Perciò, con o senza luminarie, mi
tra noi e Montesilvano non è solo chilometriauguro che questo sia un Natale di riflessioco, ma soprattutto culturale, e questa distanza
ne …perché il tempo sta per scadere ed il
somiglia ad un vero e proprio abisso.
nostro appuntamento con il futuro non può
La cruda verità è che dalle nostre
cogliere impreparato nessuno di noi. Buon
parti c’è una vera e totale assenza di progettaNatale a tutti i Molisani che lottano. ☺
[email protected]
zione. Per i più deboli prima di tutto, ma per
tutti i cittadini. Perciò, quando sento il mio
sindaco affermare con
sfrenato ottimismo, che
il famoso tunnel che
dovrebbe collegare il
lungomare al porto sarà
foriero di sviluppo per
la nostra terra, io mi
chiedo …. ma tra 20
anni chi percorrerà
questo tunnel?
Cari politicanti, non vi accorgete
che questa regione ormai è in grado di offrire
ben poco ai suoi abitanwww.su-mi.org: ignoti nulla cupido
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vincitori e vinti
qualità dei servizi
responsabilità, ruoli, obiettivi della
terapia di comunità. L’etica della
cura in contesto istituzionale si inIn questo mio breve intervento mi
treccia potentemente con le dimenpiacerebbe partire dall’articolo pubblicato su
sioni organizzative ed economiche,
la fonte del mese di novembre, in cui Gioessendo queste le necessarie prevanni Di Stasi analizza con precisione la
messe perché i professionisti della
questione che tanto da vicino ci coinvolge salute mentale e i pazienti siano
quella della salute mentale - considerandone
tutelati e non vengano presi dalla
gli aspetti più squisitamente tecnici, ma anderiva del pensiero aziendalistico
che quelli politici, economici e culturali.
che vorrebbe contabilizzare le sogL’importanza di questo contributo
gettività in nome della efficienza,
è rappresentata dall’indirizzo programmatico
dimenticando che nel nostro settore bambino filippino svolge i suoi compiti in ginocchio su un
che l’analisi assume; è facile intuire come gli
questa non può esistere senza la marciapiede di fronte a uno sgabello, sotto la luce di un
aspetti di pianificazione economica incidano
considerazione della natura unica e lampione stradale, perché a casa non ha la corrente elettrica.
sulla qualità del servizio offerto e, in maniera
complessa di ciascun individuo
più sottile, sul ruolo che le comunità terapeupresenti nel numero precedente della rivista;
coinvolto nel processo di cura. Allo stesso
tiche assumono nell’ambito della società
in particolare alla dottoressa Ruberto, per
modo i professionisti della salute mentale
civile contemporanea. La comunità non è
l’articolo “Il mio terremoto” - da molisano
dovranno proteggere il sistema dai rischi rapinfatti terapeutica per il solo fatto di accogliericordo bene l’esperienza, anche a distanza di
presentati dalle richieste pressanti della ideolore pazienti psichiatrici che necessitano di
anni; ancora complimenti a Carolina Magica egemone, la quale
cure: il punto davvero
strangelo per il suo bellissimo articolo
dirimente consiste invece Lunedì 14 dicembre alle ore indirizza il processo tera“Atmosfere Crepuscolari” e a Giovanni Di
nella natura di quelle cure 17.00 il centro sociale il Melogra- peutico verso la riabilitaStasi, autore di “La buona salute mentale”, un
e, come detto, dalla qualità no di Larino nella sala della co- zione, cioè l’adeguamento
argomento a cui sono molto interessato. Un
dell’intervento. Le difficol- munità presenta il libro Comunità del soggetto alle richieste
affettuoso abbraccio ai miei operatori di rifetà in cui versa l’economia Terapeutiche Per La Salute Men- economiche del sistema:
rimento e a Patrizia che con i suoi sorrisi
con forza diciamo che il
regionale e il comparto tale. Partecipano i curatori.
riesce a emanare molta simpatia; voglio fare i
rispetto per i pazienti e gli
sanità costringono strutture
miei auguri e salutare il mio amico e compaeoperatori passa per il giusto riconoscimento di
come la nostra a non pianificare su periodi
sano Benito e tutti i lettori de la fonte.
livelli di lavoro qualitativamente elevati, ma
medio-lunghi gli interventi e la necessaria
Ariano Greco
anche attraverso la consapevolezza della imformazione del personale, a tutto svantaggio
Inganno Lavoro
possibilità di assimilare un processo di cura ad
della qualità (e, perché no, della quantità) del
Oggi
sentiamo
molto spesso parlare del
una operazione di contabilità.
servizio.
disagio giovanile nel trovare lavoro. Io mi
Alessandro Prezioso
Fornire gli strumenti necessari per
chiamo Nicola e sono iscritto all’ufficio di
un lavoro “veramente” terapeutico significa
Il Casone di Casacalenda
collocamento nelle liste speciali. Mentre
affrontare direttamente il problema del manVoglio comunicare a tutti i lettori de la fonte,
andavo all’ufficio di collocamento ho scoperdato sociale e degli obiettivi, che troppo
che ritengo sia una rivista di notevole rilievo e
to che nella stanza n. 5 dovevo presentare il
spesso rischiano di essere modulati intorno
importanza, ciò che accade riguardo alla salumio curriculum e così mi sono iscritto alla
alla necessità del controllo e della segmentate mentale nel territorio molisano che fa capo
garanzia Giovani nella speranza di un tirocizione sociale, così come è già successo con
all’ambito territoriale di Termoli. Il CSM e la
nio formativo a livello lavorativo. Io ho pregli ospedali psichiatrici.
Comunità “Il Casone” lavorano con pazienti
sentato tutti i miei documenti, e l’ufficio di
La qualità elevata degli strumenti
che risiedono per un determinato periodo di
collocamento mi ha indirizzato a una grande
di intervento (teorici e pratici) favorisce un
tempo nella struttura per le problematiche
azienda agricola sulla trasformazione del
lavoro in un regime di trasparenza rispetto a
riguardanti la salute psichica, seguiti da psiraccolto con nuove tecniche. Questa formaquelle zone grigie in cui non sono chiare
chiatri del CSM, attraverso terapie farmacolozione doveva essere retribuita per sei mesi
giche efficaci alla loro
dalla Regione Molise. Mentre attendevo la
cura. Ci tengo a dire
chiamata per iniziare il lavoro al proprietario
che dal mio arrivo in
dell’azienda è arrivata una email che bloccaComunità mi sento
va il tirocinio formativo. Questa notizia mi ha
meglio e svolgo diverreso triste, perché per me e quelli come me il
se attività, tra cui sedulavoro significa uscire da una situazione di
te di sostegno psicoloemarginazione. Scrivo perché questo non
gico. Faccio i compliaccada più a nessuno, anzi spero che tutti i
menti ad alcuni degli
giovani trovino lavoro per realizzarsi.
autori degli articoli
Nicola Spadaccini
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il calabrone
spose bambine
“Vis grata puellae” (la violenza è
gradita alla fanciulla), è un detto latino derivato da un verso dell'Ars amatoria di Ovidio. Il detto viene usato per indicare
un atteggiamento, in base al quale la donna
Loredana Alberti
non potrebbe prendere iniziativa sessuale né
Kader, a soli tredici anni, pochi giorni dopo
negare la possibilità di studiare e di lavorare:
tanto meno cedere subito alle avance di un
aver partorito il secondo figlio, in due anni di
continuano così ad alimentare il ciclo di pouomo, in modo da non apparire spudorata. In
matrimonio, morto prematuro.
vertà da cui provengono. Non possono lasciaaltri termini, secondo questa discutibile interÈ uno schiaffo, terribile, alla civiltà
re il marito perché non hanno i soldi per restipretazione, la violenza eventualmente esercidei diritti umani e, soprattutto, dei diritti
tuire la dote, e il divorzio è spesso considerato
tata dal maschio per vincere la resistenza
dell’infanzia, il dramma delle spose bambiinaccettabile. Il problema non è solo il matridella donna, risulterebbe così a lei gradita,
ne. Nonostante numerose Convenzioni e
monio precoce, ma anche il parto precoce. La
perché altrimenti non le sarebbe permesso di
Carte internazionali, insieme a leggi naziomorte di parto è 5 volte più probabile per le
godere sessualmente. Questo detto, retaggio
nali, proibiscano il matrimonio di minori di
bambine al di sotto dei 15 anni che per le
ancora oggi di violenza con un sotteso “tanto
diciotto anni senza il libero consenso, risulta
ventenni, secondo l’agenzia per la popolazioa lei piace”, diventa ancora più mostruoso se
che le nozze in età adolescenziale e addirittune dell’Onu (Unfpa). Il rischio di morte del
pensiamo alle spose bambine: scrivo spose
ra puberale sono
feto è del 73% maggiore che per le ventenni.
ma intendo stupro legalizzato.
molto frequenti in
Non essendo le bambine fisicamente pronte
“Ogni volta che cala
alcuni Paesi, non
alla gravidanza, le complicazioni sono freil sole, ti chiedi se sopravvivrai
soltanto musulmani.
quenti: due milioni di donne sono affette da
all’ennesima notte di violenza”
In Etiopia e in altri
fistole vescico-vaginali o retto-vaginali, in
racconta Khadjia, la più giovaPaesi dell’Africa ocseguito a lacerazioni prodotte dalla pressione
ne divorziata di cui si abbia
cidentale, come andella testa del feto.
notizia, all’età di dieci anni, nel
che in India, non sono
Quasi tutti i Paesi della Top 20
2008, due anni dopo le nozze
infrequenti le nozze
hanno fissato un’età minima per il matrimocon il marito aguzzino quaranobbligate per piccole
nio, molti a 18 anni. Ma la legge non viene
tenne. La scrittrice yemenita
di età inferiore agli
rispettata. A volte mancano le risorse, altre
Khadija Al-Salami, fu costretta
otto anni. In Pakistan,
volte la volontà politica. Spesso vi sono spindalla famiglia al matrimonio
all’età di cinque anni,
te al cambiamento dall’interno, ma anche
forzato con un uomo di
La violenza è gradita alla fanciulla.
esse sono considerate
resistenza. Alcuni leader religiosi e tribali
vent’anni più grande, violento, opera a tecnica mista di Loredana Alberti pronte al matrimonio e
criticano la pratica delle spose bambine, ma
che la massacrava di botte.
educate a un atteggiamento servile nei conaltri la appoggiano. Secondo il Times di LonSulla sua storia, ha scritto e diretto un film, I
fronti dei maschi. In Rajasthan, l’età nuziale
dra, nonostante la Chiesa ortodossa si dica
am Nojoom, Age 10 and Divorced, un film
scende addirittura ai tre anni.
contraria, alcuni preti continuano a celebrarli.
soprattutto autobiografico, un film-specchio.
Nel mondo, ogni anno, sono oltre
“Sposiamo le ragazze così giovani per assicuRacconta la regista in un’intervista:
14 milioni, le bambine costrette a sposarsi.
rarci che siano vergini - ha detto uno di loro al
“Sono dovuta arrivare sull’orlo del suicidio. E
I Paesi della Top 20 sono i più poveri del
giornale -. Se fossero più grandi, qualcuno
mi sarei ammazzata di certo, se mio marito,
mondo. In Niger e Mali, rispettivamente il
potrebbe averle stuprate”.
stanco di quello che riteneva un comporta75% e il 91% della popolazione vive con
La soluzione? Per l’Icrw (Internamento inaccettabile, non mi avesse riportata
meno di 2 dollari al giorno. Le spose bambitional Center for Research on Women)
alla mia famiglia. Li ha praticamente accusati
ne vengono dalle famiglie più povere in
l’unica via è alleviare la povertà, istruire le
di averlo imbrogliato sulla qualità della merquesti Paesi. Spesso i genitori ritengono di
bambine e collaborare con i leader locali per
ce, come si fa con un elettrodomestico difetnon avere altra scelta. Sono viste come un
cambiare le norme sociali.☺
toso”. Così, dopo tre settimane di vita [email protected]
peso, nutrirle, vestirle e istruirle costa troppo.
gale da incubo, Khadija si è salvata. Dodici
E c’è un forte incentivo economico a darle in
anni, era l’età di Rubina, la bimba pakistana,
spose presto. I mariti
sposata da un mese e mezzo con un uomo
hanno almeno undici
molto più anziano, quando si è impiccata nel
anni più di loro. In tutti
bagno dei genitori, proprio un anno fa, ed è
i Paesi della Top 20 ci
diventata il simbolo della campagna
sono poi casi in cui la
“Indifesa” di Terres des Hommes. Rawan, la
differenza d’età è di
piccola connazionale, sposa anche lei a otto
decenni: anche 70
anni, proprio un anno fa, moriva dissanguata
anni.
per le ferite interne riportate durante la prima
Le spose
notte di nozze. Qualche mese prima, a Siirt,
bambine si vedono
nell’Anatolia sud-orientale, si toglieva la vita
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cultura
chi viaggia impara
Christiane Barckhausen-Canale
Sono reduce (mi piace questa espressione italiana) da un convegno internazionale su Tina Modotti, organizzato
dall’università di Udine. Volevo scrivere su
questo tema, ma il viaggio di ritorno da Udine a Bonefro mi ha fatto cambiare idea. La
giornata del 21 novembre 2015, passata quasi
totalmente su treni e in stazioni ferroviarie, mi
ha regalato diverse esperienze che mi hanno fatto pensare molto. Mi ha aiutato
anche il fatto che facevo il
viaggio insieme al mio
compagno Giorgio, che è
molto più comunicativo e
socievole di me, e forse,
senza di lui, non avrei fatto
queste esperienze.
1. Sul treno da Udine a
Venezia-Mestre. Accanto a
me, di fronte a Giorgio, sta
seduto un uomo di circa 30
anni, e quando ci chiede se
il treno ferma a Treviso, è chiaro che non è
italiano. Arriva il controllore e vede che il
biglietto di quel passeggero non è stato convalidato. Ma, invece di fargli una multa, si
prende 5 minuti di tempo per spiegare e rispiegare come, perché e dove si deve convalidare un biglietto per non avere problemi sul
treno. È bello cominciare la giornata incontrando una persona cosi amabile e paziente
con uno straniero.
2. A Mestre abbiamo il tempo per uscire dalla
stazione e fumare una sigaretta. Ci si avvicina
un uomo che, per il colore della sua pelle,
mostra di essere un “extracomunitario”. Ci
chiede una sigaretta, Giorgio gliene offre due
e comincia a fargli delle domande. L’uomo
viene dal Bangladesh, un suo “amico” che
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“lavora” a Mosca gli ha pagato il viaggio fino
in Italia, e dopo essere arrivato sano e salvo
nel paese dei suoi sogni, lui ha dovuto restituire all’amico 3.000 dollari. Ha legalizzato il
suo soggiorno in Italia e spera di prendere la
cittadinanza italiana l’anno prossimo. Ma non
ha lavoro. Ma non ha perso la speranza. Giorgio segnala il cielo con il dito e dice che
“quello lassù” sicuramente lo
aiuterà a trovare un lavoro, e
dopo gli chiede quale è il suo
Dio. “Allah”, dice l’uomo, e
si vede come lo stupisce il
fatto che non vede sulle nostre facce né timore, né stupore, e che non facciamo
qualche passo per allontanarci da lui. Dopo, con un grande sorriso sul viso, dice che
c’è un solo Dio e che non
importa come lo chiamiamo
noi.
3. Dopo che l’uomo del
Bangladesh si è allontanato, ci si avvicina una
ragazzina piccola, timida, sui 20 anni, e ci
chiede qualche spicciolo per comprarsi da
mangiare. Naturalmente Giorgio chiede subito da dove viene, e con nostra grande sorpresa è spagnola, di Saragozza. Con due euro
che vanno di mano in mano si apre un dialogo, perche vogliamo sapere come mai ha
pensato che può trovare lavoro in Italia. Non
è in grado di darci una risposta convincente, e
si vede, nel corso della conversazione, che lei
stessa si stupisce della sua scelta. Ma neanche
in Spagna ha trovato lavoro, e forse è stata
spinta della stessa speranza che provava
l’uomo del Bangladesh. Si allontana lentamente, nelle orecchie i nostri auguri di
“buena suerte”, buona fortuna.
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4. Dopo questi incontri con stranieri residenti
in Italia che ci hanno fatto toccare con mano i
loro problemi esistenziali, mi aspetta, a Bologna, l’incontro con una giovane italiana che è
cosi onesta, cosi priva di ogni furbizia, che mi
domando dove sia cresciuta e dove vive.
Voglio andare al bagno, ma l’accesso è bloccato con una catena, il bagno è “chiuso per
pulizia”. Il mio organismo non conosce ragioni e trovo il modo di entrare, lo stesso. C’è
una ragazza giovane, anche lei sui 20 anni,
che pulisce il pavimento. Dietro di me viene
un italiano sui 40, anche lui dice che “gli
scappa”, e la ragazza ci spiega che ci deve
dare un scontrino, sotto, al piede della scala, e
che dobbiamo aspettare che finisce il lavoro.
Ma ci dà il permesso di entrare. Io non capisco niente: uno scontrino per l’utilizzo del
bagno? In vita mia non ho visto una cosa del
genere. Quando voglio scendere la scala per
pagare e prendere lo scontrino, la ragazza mi
dice che l’uomo che stava dietro di me aveva
già pagato per noi due, e che lei ancora gli
deve dare 40 centesimi. Mi dà le due monete
da 20 e mi chiede di cercare quell’uomo e di
aspettarla giù per lo scontrino. Scendo e per
fortuna trovo quell’uomo italiano, gli voglio
dare gli 80 centesimi che spettano a me, ma
lui non li vuole e non vuole neanche i 40 che
la ragazza doveva restituire. Aspettando la
ragazza cominciamo a parlare e dico che mi
stupisce che quella ragazza, che fa uno dei
lavori meno rispettati e meno pagati, abbia
insistito per darci gli scontrini. Facilmente
avrebbe potuto prendersi il denaro e metterlo
in tasca sua, non c’era nessuno che osservava
la scena che si era svolta nel bagno. “Questa
ragazza mi ha regalato una bella giornata”, mi
dice l’italiano. “Mi ha restituito la fiducia
nell’essere umano. C’è ancora gente onesta”.
Mi augura buon viaggio e si allontana velocemente. Nella mia mano rimangono i suoi 40
centesimi e lo scontrino che conservo e che
chiamo “lo scontrino dell’onestà”.☺
[email protected]
cultura
Quando avverto come uno scarto tra
la realtà esterna e la mia interiore, in questo periodo dell’anno specialmente mi vengono in mente il sole “chiaro” e l’odorino “amaro” del prunalbo di Pascoli, destinati a divenire nel giro
magistrale di pochi versi un “secco” pruno, un
cielo “vuoto”.
Principio d’autunno apparentemente
normale quanto a ritmi ed eventi, normalmente
costellato da paesaggi ed atmosfere conosciuti;
l’anima, però, una serie caotica di frammenti
insensibili. Fino all’incastro di senso.
Incastro. Mi suggerisce già nel suono
l’idea di una collisione dal risultato perfetto: va
così e diversamente non potrebbe, perché le
componenti dell’incastro, le tessere del mosaico,
combaciano lungo tutti i margini, così e solo così
formano un’unità nuova e significativa.
Incastro è l’amicizia, sempre; incastro
magicamente tenace è quell’amicizia che si fondi
tra l’altro sullo scambio di libri e suggerimenti di
lettura, su discussioni e confronti a proposito di
libri. Forse perché il libro ci attraversa nell’anima
e condividerne la passione è di per sé un incontro
tra anima e anima.
“Avresti un libro coinvolgente, forte
magari, che mi tiri un po’su”? L’ho chiesto ad un
amico di libro, lettore instancabile e per me termine di riferimento culturale e spirituale; lui mi
ha guardato di sottecchi, l’aria sorniona e pensosa solita, quindi mi ha promesso una “cosa preziosa”, una “cosa importante”. Il giorno dopo
avevo tra le mani il Diario di Etty Hillesum.
L’ho amato immediatamente e dapprima ne ho
divorato le pagine; di seguito, approssimandomi
alla conclusione, per non dovermene separare,
ho cominciato a centellinarle lentamente.
Da Etty Hillesum in ogni caso non mi
separerò: la lettura del suo diario mi ha segnato,
magari perché ho riconosciuto in lei un po’di me,
di certo perché è uno straordinario sprone alla
vita il cammino che Etty percorre a prima vista
in modo informe e caotico ma in sostanza con
decisa consapevolezza verso la conquista di
un’esistenza piena di significato, pur
nell’imminenza della tragedia. Quello di Etty
Hillesum è, infatti, uno dei tanti diari scritti da
giovani ebrei olandesi durante il periodo della
Shoa, diverso da quello di Anna Franck, ma che
allo stesso modo meriterebbe di essere diffusamente noto.
Etty, nata nel 1914 da una famiglia
della borghesia intellettuale ebraica olandese e
morta nel 1943 ad Auschwitz, dove insieme a lei
persero la vita i genitori ed il fratello, cominciò il
suo diario all’età di 27 anni, nel 1941, probabilmente dietro consiglio del suo terapista, lo psicochirologo Julius Spier, del quale Etty era paziente e con il quale, benché al tempo fosse legata ad
un altro uomo, intraprese una relazione sentimentale che le cambiò la vita, secondo quanto lei
amore per la vita
Luciana Zingaro
stessa afferma; la redazione del diario proseguì
fino al 1943, mentre Etty si trovava nel campo di
transito di Westerbrok, meta che Etty aveva
scelto scansando le possibilità di una fuga e di un
“nascondiglio” offertele dai numerosi conoscenti, in quanto desiderosa di ritrovare in quel campo gli amici ebrei ed assistere le persone che
erano in attesa della deportazione in Polonia,
bimbi, anziani, malati. Anche così ama la vita
Etty, che proprio a Westerbork scrive: “A volte
mi si impone la visione di campi di battaglia
color verde veleno, ma sto anche vicina al gelsomino e al pezzo di cielo dietro la mia finestra. In
una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e
per una misera morte.”
L’amore per la vita, pur nel bel mezzo
dell’infuriare della guerra, il costante impegno
nel descrivere un circolo virtuoso di senso tra sé,
Dio, gli altri, finanche i nazisti tedeschi, è quanto
meglio caratterizza il diario di Etty, un diario di
eventi quotidiani e di pensieri che scopre ai lettori la forza e la versatilità speculativa dell’autrice,
stupefacenti tanto più se si considera la sua giovane età.
Etty vive i mesi più drammatici della
comunità ebraica in Olanda e si rende conto della
gravità della situazione, tuttavia definisce il 1941
un anno “ricco e fruttuoso”, “il più felice” della
sua vita e chiama “bella” la vita anche dopo,
quando ormai è certa che i nazisti stanno mettendo in atto uno sterminio contro gli ebrei. Ama la
vita Etty, sebbene ne colga le infinite contraddizioni e sul piano strettamente personale e su
quello universale della storia umana: anziché
lasciarsi frantumare da tali contraddizioni, persegue una condotta che ricomponga i conflitti della
vita e riunisca dolore, preoccupazione, piccole e
grandi gioie, come chi - scrive citando Rilke “riconcilia i molti controsensi della propria vita e
li riassume con gratitudine in un unico simbolo”.
Etty Hillesum è una ragazza sui generis, ed anche per questo mi è piaciuta. Difficile
etichettarla: ebrea per nascita e per educazione,
ma attratta dal cristianesimo, risulta scomoda,
per nulla esemplare quanto a pratica di vita e dal
punto di vista dell’etica ebraica e da quello
dell’etica cristiana; d’altro canto è uno spirito
troppo intrinsecamente religioso per poter essere
eretto a paradigma di un umanesimo laico. Formata alla scuola di Rilke, Dostoevskij,
Sant’Agostino, si appassiona alla Bibbia, Antico
e Nuovo Testamento; dell’Antico Testamento
ammira la forza “primordiale”, la radice
“popolare”, le figure “magnifiche, forti e poetiche”; parimenti si entusiasma per San Paolo, in
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particolare per l’inno all’amore della Prima
lettera ai Corinzi e, ricordando San Matteo, spesso ripete come monito a se stessa: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà
già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la
sua pena.”
La ricerca di Dio è uno dei motori del
pensiero di Etty: lei Dio lo disseppellisce, lo
scava dal suo intimo e lo cerca nel cuore di tutti
gli uomini che incontra: “in fondo - scrive - la
mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me
stessa, gli altri, Dio”; e si propone di aiutarlo Dio,
perché non venga distrutto nella sua anima: “se
mi ritrovassi chiusa in una cella e vedessi passare
una nuvola davanti alla piccola inferriata - continua -, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio,
sempre che ne abbia ancora le forze”.
Filo d’oro dell’esperienza di vita e
della meditazione di Etty Hellisum e conseguenza della sua instancabile ricerca di Dio è il legame, l’afflato vitale che ella riconosce in tutto e
tutti: “La vita e la morte, il dolore e la gioia, le
vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il
gelsomino dietro casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un
unico, potente insieme, e come tale lo accetto e
comincio a capirlo sempre meglio, così, per me
stessa, senza riuscire a spiegarlo agli altri. Mi
piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo
fare, e se questo non mi sarà concesso, bene,
allora qualcun altro lo farà al mio posto, continuerà la mia vita dove essa è rimasta interrotta.
Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la
massima convinzione, sino all’ultimo respiro:
allora il mio successore non dovrà ricominciare
tutto da capo e con tanta fatica”.
Io vorrei saperla accogliere l’eredità
di Etty, come ho accolto, grata, la genuina, profonda poesia della sua vita e della sua scrittura.
A presto. ☺
[email protected]
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arte
la bottega dei brunetti
Gaetano Jacobucci
Ciriaco nasce a Oratino (CB) nel
1723 da una famiglia che da più generazioni
annoverava pittori e doratori: Matteo Brunetti
morto nel 1541; Benedetto Brunetti morto nel
1698, autore di una serie di tele per le chiese
molisane; Pietro Brunetti morto nel 1568,
autore di affreschi. Il padre Agostino, doratore, lo forma al mestiere preoccupandosi di
allargare le sue competenze figurative e tecniche presso lo studio napoletano di Sulmona,
il migliore atelier dell'epoca (Francesco Solimena e Francesco De Mura hanno un'accademia privata di pittura). Riceve protezione
dal duca di Larino Gennaro Vitaliano Moccia, che favorisce il collegamento con Napoli
da parte di artisti oratinesi (chiamati da lui ad
abbellire la sua residenza ad Oratino). Nel
1752 sposa Rachele Brunetti, figlia di Pietro;
nel 1754 riceve la carica di "maestro di cerimonia e sacrestano" nella confraternita del
SS. Sacramento. Intanto lavora sia come
decoratore che come pittore di affreschi, da
solo o insieme al fratello Stanislao e ad altri
artisti oratinesi. Nel 1788 viene nominato
priore della confraternita. La sua attività si
svolge prevalentemente nel Molise. Muore
ad Oratino.
Tutta la produzione dei Brunetti, si
inserisce nel grande movimento barocco
settecentesco che trasformerà l’area molisana
dentro le sue chiese. Due furono le spinte che
accelerarono questa metamorfosi: la trasformazione della nobiltà di stampo feudale in
aristocrazia di corte e l’arrivo dei venti della
Controriforma.
La nascita di nuovi ordini religiosi
incentivò lo sviluppo delle Compagnie, delle
Confraternite e delle Congregazioni dando
loro rinnovato vigore. Nel anni ’70 del Sei-
Tel. 0874 1953354
16
cento la decorazione povera di molti oratori
non soddisfaceva più i confrati delle Congregazioni. I capitali accumulati grazie ai lasciti
dei membri più facoltosi permisero così alle
compagnie di poter rifare ed abbellire le proprie sedi o commissionarne delle nuove con
la costruzione di oratori, chiesette e cappelle,
di carattere quasi privato e devozionale. Fu
questa rinascita delle Confraternite a determinare la fioritura della decorazione a stucco.
Ciriaco Brunetti si inserì in questo
fermento e nell’arte decorativa molisana non
ebbe rivali: il suo ornato fortemente espressivo ed elegante, le sue architetture caratterizzate da compostezza classica unita ad una
forma armoniosamente barocca conquistarono facilmente i favori di questi nuovi committenti che lo elessero “Magister”.
I lavori commissionati per le Opere
ecclesiastiche mostrano un intento più o
meno velato di esprimere un credo, una idea
religiosa e teologica , tanto da chiedersi quale
sia l’influsso dell’artista
nel veicolare queste
idee. È riconoscibile
una tendenza personale
dell’artista: il contatto
con l’arte partenopea, e
in particolare con la
bottega di Francesco
Solimena, hanno avuto
un influsso dominante
sulla sua formazione
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pittorica. Certamente nella realizzazione dei
propri lavori, gli artisti dovevano dare conto
alla committenza e in questo caso agli architetti ai quali era riservata la pianificazione
dell’insieme, ma è pur vero che la genialità
non può essere schiacciata dagli obblighi
progettuali. Per questo, all’interno dell’opera
generale, l’intuizione e la sensibilità
dell’artista (quando è vera arte!) emergono
insieme alla sua peculiarità.
Angeli-bambini
Riporto un esempio: la rappresentazione degli angioletti, che popolano tutta
l’opera di questo periodo, assume in Ciriaco
una espressività tutta particolare. La prima
cosa che emerge è che i puttini prima di essere angeli del cielo sono dei bambini. Puttini bambini, come tutti gli altri, compresi gli
attributi sessuali. E non solo: pur essendo
collocati o svolazzanti tra nuvole e santi, essi
vengono rappresentati nel loro esercizio più
comune: il gioco. Nelle sue creazioni i puttini
sono bambini che giocano, che si divertono,
che ridono quasi a proclamare la loro freschezza e innocenza in un mondo che era
tutt’altro, in una società povera dove essi non
contavano se non nel microcosmo popolare.
La presenza massiccia e purificatrice di questi
puttini sembra voglia creare una sorta di continuità tra il sacro dentro le chiese e
l’innocenza dei bambini che giocano al di
fuori.
Gioco e riservatezza
La rappresentazione innocente di
bambini non è fine a se stessa, un capriccio
artistico: ognuno di questi piccoli esprime
una sorta di lettura dell’intimo di ogni uomo.
A ben guardare in ogni bambino rappresentato c’è un uomo e in ogni uomo un bambino.
E non solo il gioco domina nel
turbinio di questi putti svolazzanti, ma ogni
gamma possibile di sentimenti. Sono bambini è vero, ma essi vengono rappresentati nelle
diverse manifestazioni della vita: il gioco e la
riservatezza, il dolore e la passione, la gioia e
la sofferenza. Tutto è leggero, etereo, smagliante nel suo biancore ma all’interno c’è
l’uomo coi suoi drammi e le difficoltà quotidiane. Il tutto inserito in uno spazio vitale
concepito come movimento continuo
all’interno del quale sono racchiusi dei racconti, come uno spettacolo drammatico ed
intimo, vicino e lontano, reale e fantastico,
come un sogno al cui interno lo spettatore si
trova immerso. ☺
[email protected]
mondoscuola
parigi: gli alunni interrogano
Gabriella de Lisio
Sono troppo spaventata, stavolta.
Non dal terrorismo. Ma dall’ondata impetuosa
di intolleranza che dilaga contro lo straniero e
che, oltre ad aggiungere odio all’odio, impedisce di comprendere le cause di quanto succede, e di riflettere su possibili strade da intraprendere: esigenza primaria di fronte al male.
Ai miei alunni dedico questa breve,
immaginaria intervista ad una “prof”, chiamata
a rispondere su cosa sta succedendo. Ho cercato di guardare Parigi coi loro occhi, con le loro
domande, la loro freschezza, le loro paure.
Prof, perché hanno ucciso tante persone a
Parigi la sera di venerdì 13 novembre scorso?
A Parigi, ragazzi, è stata organizzata una serie
di attentati in vari punti della città, che avevano lo scopo di colpire alcuni luoghi molto
amati dai parigini, simbolici. È stato un po’
come dare tante pugnalate ad una persona,
tutte insieme.
Ma chi è stato?
Gli attentati sono stati rivendicati dall’ISIS,
che significa “Stato islamico”: è un’ organizzazione terroristica che è nata in Siria qualche
anno fa per protestare contro il presidente
siriano Bashar El Assad (eletto nel 2011).
Diciamo che Assad all’ISIS non piace perché
è uno sciita, ma non è certo l’unico motivo.
Sciiti e sunniti sono i due gruppi in cui, da
secoli e secoli, sono divisi i credenti musulmani. La frattura nacque, pensate, quando morì
Maometto, nel VII secolo e si dovette scegliere
un nuovo capo della comunità musulmana: i
“sunniti” volevano eleggere un “califfo”, un
successore. Mentre gli “sciiti” volevano che il
successore fosse Alì, genero del profeta, perché secondo loro doveva appartenere alla
famiglia. Vinsero i sunniti e, tutt’ora, sono
rimasti la maggioranza dei musulmani, anche
se l’odio tra i due gruppi ormai non c’entra più
nulla con la storia della vecchia successione.
Detto questo, dovete sapere che i membri
dell’ISIS si considerano “musulmani sunniti” (ma in realtà non sono musulmani).
Perché ci avete detto “si considerano” musulmani? Lo sono o non lo sono?
No, in realtà non lo sono. In nome di Allah
uccidono, dicono che ad Allah piace la guerra
e che è scritto nel Corano (il libro sacro
dell’Islam), ma tanti musulmani dicono che
ciò è falso e che i terroristi non c’entrano niente col vero Islam. Nel Corano c’è scritto che
“chi uccide una vita, uccide il mondo intero”.
E allora perché si definiscono musulmani se è
una grossa bugia? Noi spesso sentiamo dire
che i musulmani sono pericolosi perché, se si
infiltrano nella nostra società, possono farci
del male.
Beh, questo accade perché purtroppo non tutti
conoscono bene l’Islam, e i terroristi ne approfittano per diffondere notizie false su questa
religione, che invece è una religione di pace e
di amore verso il prossimo. I terroristi interpretano il Corano in un modo che, ormai, la maggioranza dei musulmani rifiuta, perché dice
che è sbagliata e superata.
Ci potete fare qualche esempio tratto dal Corano? Però ancora non abbiamo capito che ci
azzecca la Francia…
Partiamo dal fatto che i combattenti dell’ISIS
si definiscono “jihadisti”. La parola deriva da
“jihad”, un termine molto importante per gli
islamici, che viene usato spesso nel Corano.
Compare con due significati diversi: la
“grande jihad” è lo sforzo interiore, la lotta con
se stesso, che il fedele musulmano deve combattere per essere migliore e vincere i propri
difetti, la tendenza al male. La “piccola jihad”,
invece, è la lotta armata che il fedele musulmano deve portare avanti contro i nemici non
musulmani. Dovete pensare che, nel VII secolo, quando il Corano viene scritto, gli Arabi si
stanno espandendo intorno al Mediterraneo e
dunque hanno dei nemici. Insomma, vivono
un momento storico particolare, che oggi è del
tutto finito!
Ma, se “jihad” significa due cose diverse, i
terroristi la intendono come lotta armata?
Esatto. Ed è un errore, ma a loro fa comodo
così. Uccidere in nome di Dio è un atto vergognoso. Il significato più vero e profondo di
quella parola è “sforzo”, guerra” sì, ma contro
il male che c’è dentro di noi. Lo dicono i teologi dell’Islam, lo dice la maggioranza dei musulmani.
Mmm… dunque questi terroristi usano il Corano per i loro comodi, per giustificare la
guerra. E odiano Assad. Ma adesso ci dite che
c’entra, insomma, la Francia con l’ISIS?
Beh, l’ISIS ha un programma molto pericoloso ed esteso, e in realtà la sua non è solo una
lotta politica/religiosa contro un presidente, ma
è anche una lotta per il controllo economico
del territorio siriano.
Anzitutto, per capire come mai i terroristi
siriani colpiscono anche noi, dovete conoscere
un po’ il passato, la storia. La Siria ha sempre
avuto molti “pretendenti”, proprio come una
bella ragazza corteggiata da tanti giovanotti:
l’America, la Russia… e la nostra Europa
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(anzi, la Francia in particolare). E sapete perché? Perché è un passaggio obbligato tra il
Mediterraneo e il Golfo Persico, che è una
zona ricchissima di petrolio e di gas, due fonti
di energia con le quali oggi facciamo di tutto:
riscaldiamo le case, facciamo camminare le
macchine e le industrie, accendiamo le lampadine e tutto ciò che ha bisogno di elettricità…
Finché non ci decideremo ad utilizzare le energie alternative, pulite, saremo schiavi del petrolio e del gas, e combineremo pasticci per
procuraceli ad ogni costo.
Che strano. Sembra un film. Prof, comunque
noi sappiamo che l’ISIS ha tanti “fans”. A noi
sembra assurdo essere affascinati dai terroristi e invece dai tg sentiamo che molti islamici
lasciano tutto e vanno a combattere con loro.
Com’è possibile?
Sì, il progetto dell’ISIS è ambizioso, probabilmente irrealizzabile, e fa uso della violenza,
ma attira molti musulmani un po’ fanatici, che
credono di potersi riscattare così da tante ingiustizie passate. Inoltre molti giovani si infiammano all’idea di rischiare la pelle, specialmente quelli che non trovano valori e ideali
intorno a sé, hanno un disperato bisogno di
dare un senso alla loro vita perché la sentono
vuota e così cercano di impegnarsi in qualcosa
di grande: rischiare di morire non fa paura,
anzi fa sentire eroi.
Molti di questi giovani, come gli attentatori di
Parigi, sono nati e cresciuti in Europa, e sono
perfettamente integrati nei nostri paesi.
Ma come possiamo proteggerci da queste
persone? Abbiamo sentito dire che è meglio
chiudere le frontiere, non fare entrare più
nessun musulmano, perché così si bloccano
anche i terroristi.
Queste idee mi lasciano perplessa, vorrei far
riflettere anche voi su alcune cose, per confrontarci. Anzitutto, penso che chiudere le
frontiere, promettere vendetta, scatenare bombardamenti, siano reazioni istintive, dovute
alle paura e alla rabbia, ma non siano una vera
soluzione del problema. Beh, la Francia e
l’Europa hanno delle responsabilità, forse nel
Medio Oriente non si sono comportate sempre
“benissimo” e i rapporti sbagliati con queste
zone hanno favorito la nascita dell’odio e di un
sentimento di vendetta.
Prof… abbiamo capito che ne sappiamo
poco, e che c’è tanto da capire e studiare,
tanto da informarsi. Siamo ancora confusi,
la paura c’è, ma almeno sono nate in noi
delle domande. Non possiamo dare un giudizio affrettato su certe cose. Reagire al male
col male, non porta da nessuna parte. Prometteteci che continuiamo a parlarne, vogliamo saperne di più. ☺
[email protected]
17
letti per voi
vedere il sud
Andrea de Lisio
Per farmi perdonare di aver suggerito nei mesi scorsi due libri che insieme
contavano quasi ottocento pagine, propongo
questa volta un libretto smilzo, ma succosissimo. È Tre modi di vedere il Sud, di Franco
Cassano (Il Mulino, 10 €). Cassano è un
sociologo (deputato per il Pd)
nato ad Ancona, docente a Bari,
noto soprattutto per il suo Il
pensiero meridiano (tradotto in
inglese, francese, tedesco e giapponese), il cui nucleo concettuale si ritrova nel volume qui presentato.
La lettura di questo
saggio mi sembra tanto più utile
- e forse urgente - perché il Governo italiano, notoriamente
malato di “annuncite”, ha avuto
una ricaduta: un Piano per il
Sud, sbandierato - proprio mentre sto scrivendo - dal premier twittatore. Pagine e
pagine, parole su parole, senza uno straccio
di visione strategica, senza un’assunzione di
responsabilità né per i “vincoli” che bloccano le caviglie del Mezzogiorno (criminalità,
infrastrutture, trasporti ecc.) né per le potenzialità annidate nelle sue risorse. Cassano
invece procede pacatamente, quasi con pazienza didascalica, e gli lascio volentieri la
parola: “La confusione nella discussione sul
Sud italiano in questi anni è stata sicuramente grande”, tanto da giungere a dichiarare la
scomparsa della questione meridionale
(come avvenne durante il Ventennio).
Il fatto è che “ci sono più modi di
leggere il Sud e ... le differenze non sono
sfumature ... perché il conflitto tra prospettive è un confronto ... tra interessi spesso a-
18
spramente contrapposti”. Ma c’è di più: chi
sta nella stanza dei bottoni riesce meglio a
nascondere i limiti del proprio paradigma e a
imporlo, tramite il generoso concorso di un
sistema informativo addomesticato.
Dunque, tre modi. Il primo è la
dipendenza/sfruttamento.
Il
secondo la modernizzazione/
ritardo. Il terzo l’autonomia/
risorsa critica.
Sintetizzando al massimo: il
primo spiega lo stato del sud
come destino ineluttabile dello
sfruttamento capitalistico, che
“necessita” della dipendenza di
aree costrette alla perifericità. Di
qui una strategia di scontro radicale. Teoria “sterile”, perché
incapace di articolare il giudizio
sul capitalismo e di riconoscere
che aree un tempo periferiche oggi sono
protagoniste (Cina, India), ma teoria utile a
capire che “la strada dello sviluppo non solo
non è libera ma è presidiata dai più forti”.
Il secondo modo, il più diffuso,
vede il sud in ritardo sulla modernizzazione.
L’assunto è che la modernizzazione (come si
è realizzata) è il bene e chi non l’ha raggiunta
sta ancora nel “male”. Due terapie furono (e
sono) suggerite: a) intervento massiccio dello
Stato (alias Cassa per il Mezzogiorno et similia); b) eliminazione dello Stato e affidamento del sud alle sue risorse, perché entri nella
“competizione” (neo liberismo). Alla base
dei problemi del sud ci sarebbe, secondo gli
estremisti di questa terapia molto “padana”, il
ritardo culturale-antropologico dei meridionali, che difettano del necessario “volontarismo morale”. Insomma “il mondo non è di
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tutti, ma di chi è capace di guadagnarselo:
agli altri è giusto che spetti solo ciò che rimane”. Siamo nel gorgo del “fondamentalismo
del mercato”: sfruttato non sarebbe il sud,
costretto alla dipendenza, ma il nord, costretto
alla sovvenzione perpetua. Questo non sarebbe vero solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per le grandi istituzioni internazionali. Insomma un internazionalismo liberistastalinista.
Il terzo modo, che è insieme una
teoria, una suggestione e un auspicio, temendo di non saperlo ben sintetizzare, lo lascio
spiegare a Cassano stesso: Dopo “l’eclisse
della questione meridionale” essa potrebbe
riemergere “con nuove caratteristiche, al di là
della cornice nazionale, come un problema di
lungo periodo dell’intero paese e di
un’Europa capace di guardare oltre il suo
cuore settentrionale ... Può sembrare paradossale ma ... l’unità del paese può essere salvata
solo dal rilancio in grande dell’autonomia del
Mezzogiorno e la questione meridionale può
rinascere solo come il fulcro della questione
mediterranea [...] Non sono pochi quelli che
ritengono la prospettiva mediterranea un’
utopia [e] sarebbe irragionevole nascondersi
le difficoltà” ma quando Spinelli lanciò da
Ventotene il Manifesto per un’Europa libera
e unita, quasi tutti scossero il capo pessimisticamente”.
Ma, per esempio, chi ha preso in
considerazione il libro proposto il mese scorso, Mediterraneo di F. Braudel, non pensa sia
poi tutta un’utopia la proposta di Cassano.
Ancora una volta, la storia può essere, in
modo nuovo, “magistra vitae”.
Un sud italiano quindi che trovi la
sua dimensione originale, ma non del tutto
nuova, nel dialogo culturale-economico con il
“mare nostrum” e i paesi che vi si affacciano,
per un’Europa non solo carolingia e teutonica.
Come dicevano i ragazzi del ’68?
Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.☺
[email protected]
libera molise
Nella parte conclusiva dell’ intervento del mese di novembre scorso su la
fonte abbiamo sostenuto che sia necessario
“educare” (in senso etico e civile) la società a
quei principi solidi (democrazia partecipata e
responsabile, solidarietà con le fasce più povere, integrazione degli immigrati nel tessuto
nazionale, difesa e valorizzazione dei beni
comuni, etc.), che debbono scandire il ritmo
della vita di ciascuno di noi. Ci chiediamo se
sia giusto fare da “guida”, in particolare ai
“giovani”, in questa stagione di confusione e
di disgregazione delle classi sociali nonché di
decadimento delle istanze etiche, democratiche, civili. Infatti, in Italia, possiamo dire fin
dal momento in cui è nato il regno d’Italia
nella metà dell’Ottocento (e ciò ci viene confortato dalla documentazione parlamentare di
quelle stagioni) spadroneggiano la corruzione, l’illegalità alimentata dalla mollezza etica
e dal malcostume, il nepotismo con la prassi
della raccomandazione, l’abbattimento di
ogni distinzione fra il lecito e l’illecito,
l’esaltazione idolatrica delle libertà individuali che sconfinano nel non dare credito alle
leggi e nel considerarsi ad esse superiori.
Queste idee fortemente provocatorie - collegate al principio liberistico del laissez faire sono state espresse (può sembrare strano ma
è così!) già a partire dal XVIII secolo, quello
della rivoluzione industriale e della stagione
illuministica.
Torniamo, però, ad una visione
comunemente più ricorrente della vita quotidiana. Nella vita di ciascuno di noi c’è stata e c’è ancora! - sicuramente la figura di un
maestro, di un “prof.” o di una “prof.ssa”,
come punto di riferimento in particolare nelle
stagioni della iniziale formazione culturale,
persone alle quali siamo stati sempre legati e
che permangono vive nelle nostre menti. La
stessa vita dei partiti e le loro attività nella
realtà quotidiana sono state contrassegnate
dalla presenza e dall’attiva frequentazione di
scuole di formazione politica da parte di intere generazioni di giovani e non. Si accedeva
alla politica, facendo per prima cosa un percorso di studio teorico e avvicinandosi solo
successivamente al circuito della rappresentanza amministrativa.
La “gavetta” era lunga, spesso
difficile, osteggiata anche da antagonisti alimentati da questioni apertamente surrettizie,
non sostanziali, quasi sempre accompagnata
da invidie, gelosie, tormentate rivalità (del
tipo “se non ci riesco io a fare questa cosa,
serve educare i giovani?
Franco Novelli
neppure tu la devi fare”!). Alla fine questo
percorso di formazione si concludeva con la
partecipazione alle elezioni e con l’impegno
istituzionale. Oggi tutto questo sostanzialmente manca, perché non ci sono più i partiti
politici così come sono stati rappresentativi
nel corso del Novecento; come pure non ci
sono più militanti, umili e utili, che si accollino la ponderosità talvolta sfibrante della costante vigilanza civile, apprezzando
l’onorabilità che derivava dalla rappresentanza politica. Oggi è subentrata la guerra per
bande, il contrasto di tutti contro tutto e tutti,
l’annientamento dell’avversario non con le
armi anche sofisticate della cultura ma con
quelle del gossip (il discredito etico che si
lascia scivolare sulle persone, distruggendole), del tradimento improvviso, dei salti della
“quaglia” che vedono parlamentari di dx
passare al centro sx e quelli di quest’area
sbarcare sui lidi del centro dx.
Il disgusto è predominante e si
porta dietro l’astensione di centinaia di migliaia, diremmo di milioni di cittadini dalla
politica e dagli appuntamenti elettorali e amministrativi. Col risultato di cedere nelle assisi
parlamentari la res publica ai corrotti, ai nullafacenti, ai perdigiorno, ai voltabandiera che
dovrebbero essere aspramente criticati e osteggiati anche attraverso una diversa applicazione dell’articolo 67 della Costituzione Ogni membro del Parlamento rappresenta la
Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato -. Questo articolo della
Costituzione, anche attraverso una seria riflessione relativa alla effettiva valenza oggi di
quanto esso reciti e di quanto possa ancora
allo stato attuale delle cose essere valido, non
dovrebbe più prevedere e regolamentare la
prassi dello svincolo del parlamentare eletto
dal proprio partito o movimento, ma o imporre le dimissioni da parlamentare o prevedere
una drastica e anche “dolorosa” (per questi
voltagabbana) riduzione dello stipendio parlamentare. Inoltre, già per costoro dovrebbe
essere prevista l’eliminazione di ogni privilegio relativo all’elezione stessa, prerogativa
che è oggi anche provocatoria nei confronti di
quanti soffrono la crisi economica e sono
ristretti in povertà o relativa o assoluta.
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Come si potrebbero limitare i danni
o dell’astensionismo o della fuga, tout court,
dalla politica? Non è affatto facile dare una
risposta certa, assoluta e valida per tutte le
stagioni. Come si fa a coinvolgere un giovane
alla pratica della presenza attiva nella società
a difesa o dei beni comuni o di una proposta
alternativa di “politica”, di “far politica”? Con
le chiacchiere non si va da nessuna parte; e
allora, sono sufficienti le buone prassi o gli
esempi, pur dignitosi dell’assidua presenza
che vigila sulle malefatte della classe politica,
o cosa ancora più grave, della classe dirigente? Sicuramente queste indicazioni non bastano a convincere chicchessia; e allora? Accanto all’esemplare e costante presenza sul territorio servono nuovamente scuole di formazione civile e politica, che formino una diversa - e più disinteressata ai profitti personali nuova classe politica, fatta essenzialmente di
giovani. Poi è necessario anche prendere
esempio da quanti sono stati capaci e costanti
a fustigare il Potere - il Palazzo - e le abitudini
di ampi segmenti della società civile, addormentatasi sul nichilismo, sul fatalismo, sul
collaborazionismo paramafioso della cosiddetta “zona grigia”, sul concetto che il cammino della Storia si sia concluso con la vittoria del neoliberismo e del capitalismo finanziario. Di qui, l’importanza dei maestri, dei
fustigatori del malcostume e della corruzione
dilagante, dei pirati, dei corsari, degli iconoclasti che con le loro acri e pungenti analisi
illuminino il cammino dei più, indichino con
chiarezza magistrale la strada da percorrere
per quanti ne avvertano l’urgente inevitabilità
e rilevanza. ☺
[email protected]
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parole dal... di dentro
la scelta
basta un
Francesco Luigi Frasca
Guardo la TV, varie immagini di reportage che documentano storie di immigrazione, guerre civili, sobborghi di città in cui vige povertà e abbandono. E poi, ancora,
uomini e donne delusi dal loro modo di vivere, giovani che nei propri occhi hanno
smarrito la vivacità e l’ebbrezza della scommessa. Faccio due passi tra le vie della vita e
noto, sul viso di molta gente che incontro, un filo di malinconia e frustrazione. Mi chiedo: “Perché tutta questa insoddisfazione?”. La risposta me la concede un ragazzo extracomunitario fuggito dalla guerra in Somalia dicendo: “Sono infelice perché faccio quello che non voglio fare, ma devo farlo anche se non l’ho scelto io”. Ecco la radice del
problema, la causa petendi: “scelta”. Molte persone sono infelici perché non hanno
potuto o non voluto scegliere. Le conseguenze di ogni cosa sono gli effetti delle nostre
scelte ma ancor di più delle nostre non scelte. Cosa significa scegliere? Scelta è una
parola formata da sei lettere, priva di contrari, ma che nella sua semplicità cela un substrato di molteplici significati ed espressioni. Scelta come facoltà che si nutre di libertà,
intesa in un’accezione più intensa, empatica. Sì, libertà, quella di guardare oltre
l’orizzonte che gli altri hanno posto per noi come confine alle idee e volontà.
Ogni giorno ci troviamo di fronte a infinite situazioni in cui dobbiamo scegliere e molte volte, inconsciamente, non comprendiamo l’importanza di questa azione.
Spesso, invece la comprendiamo ma lasciamo che le situazioni, gli altri e i loro giudizi
scelgano per noi. Quante persone vivono una vita che non li soddisfa e che logora i
loro cuori e l’anima, l’estremo opposto dei loro desideri! Gli immigrati, costretti a fuggire dalle guerre e carestie; i giovani che partono dal nostro paese in cerca del
“miraggio-lavoro”. Coloro che intraprendono la strada della delinquenza senza volerlo,
altri che fanno un lavoro imposto dai propri genitori, sopprimendo il sogno, e infine
tutte quelle persone che subiscono il giudizio altrui e rifuggono da se stessi perché hanno paura di essere esclusi dalla società. Quanti di noi dicono cose che non pensano ma
che ci permettono di non prendere posizione e responsabilità. Ogni volta che non scegliamo o, peggio, lasciamo farlo ad altri, abdichiamo in favore della rinuncia, ci conformiamo a tutto ciò che è esterno a noi diventando vigliacchi, chiudiamo la porta e ci rifugiamo
nella stanza dell’indifferenza lasciando scorrere
la nostra vita nelle mani degli altri.
A questo punto mi si dirà che a volte è il caso a
determinare la scelta: è vero che ci sono momenti in cui quello che ci accade non riusciamo
a controllarlo, in cui il caso appare padrone
della nostra esistenza e ci sentiamo impotenti,
ma anche in queste circostanze, invece, possiamo decidere e scegliere come agire di contro al
torpido e crudele “fato” ed alla tracotanza di
coloro che vorrebbero decidere per noi. Insomma si deve scegliere in ogni caso. In soccorso
alla mia tesi vi sono esempi come leggende immortali di persone che hanno sacrificato
la vita pur di essere liberi nella scelta, vedi Catone nel 46 a.C. che scelse la morte per la
libertà, e che Dante Alighieri celebrò nella Divina Commedia con questi versi “Libertà
va cercando ch’è si cara/come sa chi per lei vita rifiuta”, oppure nei versi del poeta
William Ernest Henley che a 12 anni, malato di tubercolosi, si vide amputare la gamba
sinistra e scrisse “Invictus”: “Non importa quanto sia stretta la porta/ quanto pieno di
castighi il destino./ Io sono il padrone della mia sorte/ Io sono il capitano della mia
anima”.Versi che ci fanno capire perfettamente quanto sia meraviglioso vivere la propria libertà di scelta. Perché in fondo la “scelta” è un atto di coraggio e di allegria, di
rispetto per noi stessi e della nostra volontà. Liberarsi dalle catene che la società, gli altri
e molte volte noi stessi ci mettiamo. Quindi un atto audace, portatore di novità personali
e volano per la costruzione dell’umanità. Vivere, aspirare al meglio, seguire i sogni,
rispettare le norme, amare chi vuoi, essere parte attiva della società… tutto, ma farlo
sempre “Ad Libitum”.☺
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Mara
Ieri, 13 novembre 2015, a Parigi ci sono
stati tre attentanti. Ieri a Parigi e gli altri giorni nel
resto del mondo. Tra le righe dei giornali se ne trovano tanti. Di attentati, di omicidi, di morti.
“Certo che è assurdo... basta un attimo e
non ci sei più” (Ghost-Fantasma). O forse non è
assurdo, ma è la vita. Che è strana e incomprensibile. Dicono che la vita viene e va. Come, non lo dicono. Come, non si sa. Allora tu non ci sarai più o non
ci sarà più una persona che ami. E non si sa se è meglio restare o andarsene. Ci aveva visto bene chi insegnava il carpe diem. Vivere ogni attimo come fosse
l'ultimo perché basta un attimo per non esserci più.
Per lasciare tutto in sospeso.
La notte dello scorso 25 ottobre, alle due ho
ricevuto un messaggio: “tra un'ora sarà di nuovo
quest'ora”. Io ero a letto. In quell'ora avrei voluto fare
tutto ciò che poi avrei potuto annullare.
Ti ho pensato. A volte, ti riesco persino a
sognare. Tra poco arriva dicembre. Dicembre è il
mese dell'ascolto. È il mese delle alternative, delle
ambizioni. Dicembre è il mese dell'istinto, delle azioni. Il mese della frenesia e della malinconia. “Adesso
mi alzo e ti chiamo”. Dicono di quanto sia importante, quando si sta con una persona, chiudere gli occhi e
ascoltarla. Far attenzione anche ai pensieri, quello non
lo dicono. A me piace la tua voce. Ti chiamerei per
dirti ciò che non sai, ciò che non ti ho detto mai.
Dicembre è il mese dei regali, delle sorprese. È il mese delle novità e delle richieste. È il mese in
cui l'orgoglio viene sostituito dalla vicinanza. Forse ti
ho dato troppa importanza. “Mi raggiungi?” Dicono
che i treni passano una volta sola e che se ci si trova
su due binari diversi, ci si raggiunge in base allo scorrere del tempo. Anche in base alla velocità del treno,
ma non lo dicono. Nelle attese e nelle sofferenze il
vincitori e vinti
attimo
Mancini
valga la vita
Gian Mario Fazzini
tempo passa lentamente.
Dicembre è il mese del divino, ma
gli uomini sono fatti di carne. E la carne è
debole. Gli uomini hanno paura. Si fermano a
osservare. Dicembre è il mese dell'accoglienza e delle accettazioni. Gli uomini decidono di
andare. “Mi arrendo.” Dicono che quando
perdi la speranza inizi un po' a morire. Che
significa, quello non lo spiegano. E già sperare è sopravvivere perché non equivale a credere.
Dicembre è il mese delle riflessioni,
dei turbamenti. Dicembre è il mese della neve.
Che cade ed eguaglia tutto. È il mese dell'uniformità che non è equilibrio. Quando è tutto
uguale ci si confonde. Come quando pensi
troppo. “Adesso mi addormento e ti perdo.”
Dicono che se pensi troppo non arrivi mai. A
cosa, non lo spiegano. Dicono che la bellezza
degli ospedali sta nel sentirsi tutti uguali. Vorrei vederti in pigiama. Vorrei vederti dormire.
Dicembre è il mese più adatto per
soffrire. Dicono che capita spesso di piangere
quando si è felici. Per cosa, non lo svelano.
Per paura che la felicità finisca, forse. Se stesse arrivando la fine del mondo, vorrei aspettarla tra le tue braccia, che è il posto più accogliente del mondo. La brutta notizia sta nella
certezza di non poter tornare indietro e nell'incertezza di poter andare avanti. Basta un attimo per non esserci più. Basta un attimo perché il mondo finisca. Riesci a capire cosa
vorrei che tu capisca?
Dicembre è il mese delle domande
e l'unico in cui ci si dà anche risposte. Dicono
che si fa un uso sbagliato delle tabelline che
insegnano a scuola. Moltiplichiamo l'indifferenza, dividiamo i sogni, addizioniamo gli
sbagli, sottraiamo le persone. Il totale, quello
non lo svelano.
Tra poco arriva dicembre. Dicembre è il mese delle conclusioni. Ma tu non
aspettare dicembre. Basta un attimo per non
esserci più. E l'attimo non è raro. Tu non aspettare dicembre per prendermi la mano.
Basta un errore, un rumore, un’esplosione. Tu
non aspettare dicembre per un'emozione. A
dicembre potrebbe essere tardi per l'amore.☺
[email protected]
Si è formata una abitudine, nella composizione della critica, della saggistica ed anche
della letteratura italiana - anzi direi un atteggiamento - secondo il quale l’analisi e la potenziale
forza innovativa del ‘passato’ si polverizzano in
pochi, ineludibili, inutili istanti.
Il passato - nelle analisi e nei dibattiti
incentrati sullo studio dei fenomeni politici, sociali
ed economici - diventa immediatamente fastidio e
retorica, utile solo alla compilazione di inutili
aneddoti e perversioni semantiche ad uso di sistematiche revisioni della storia. Altro sarebbe - e
sostengo questa ginnastica dell’intelletto - ricordarsi e sostenere che finché siamo in vita il passato è
esattamente la costruzione del presente!
Così sarà sempre un punto di forza,
per la definizione e per la giusta collocazione del
nostro presente, ricordare e sostenere - ad esempio
- che la Strage di Stato rappresenta per la storia
della nazione italiana il primo atto di una strategia
politico-militare (detta ‘della tensione’) messa in
atto da poteri finanziari e politici ‘forti’ che, nati
dalla decomposizione delle antiche logge massoniche nazionaliste e poi fasciste, posero le basi per
una ricomposizione sociale messa in pericolo dalle
emergenti forze popolari che nelle fabbriche, nelle
scuole e nelle campagne gridavano con forza il
desiderio di formare uno stato sociale comunitario,
onesto e produttivo.
Dirottare le analisi del ‘passato’ e liquidarle in breve, sostenendo invece l’invadenza di
una frenetica decomposizione dell’informazione
che corre veloce sulle dinamiche del presente,
schiacciando la potenza del passato, è il rischio al
quale siamo indotti e dal quale siamo inevitabilmente schiacciati.
Dimentichiamo con troppa facilità e
peccaminosa leggerezza i fantasmi del passato…
E forse, come per le dinamiche familiari e private,
crediamo che questo sia - in fondo in fondo - un
bene per la salvaguardia dell’equilibrio comportamentale… e però, dimentichiamo anche, così
pensando, che la forza del nostro presente - se
mai riuscissimo a non perderne le tracce - si basa
esattamente sui risultati delle dinamiche nate dal
passato: memoria e melanconia fanno parte del
bagaglio intellettivo e materiale dei nostri atteggiamenti privati. Così, dunque, è nella pratica e
nella gestione della ‘cosa pubblica’. Così, allora,
dovrà essere quando ci ricorderemo che tutti, in
Italia, siamo eredi dei danni causati dalle perversioni politiche e guerrafondaie dei Craxi, dei
Fanfani, Andreotti, degli ‘apparati deviati’ dei
servizi segreti e della leggerezza, complice e
sinuosa, di una Sinistra bigotta, ottusa e volgare,
che osservava, a distanza, senza sporcarsi troppo
le mani, l’offesa e il delitto…
Tentiamo allora di ricomporre l’ approccio al nostro passato. Ai giovani figli potremmo dire: amate ciò che siete e quello che fate. Il
ricordo delle vostre azioni sarà il punto di forza
del vostro futuro. Non dimenticatelo mai. Anche
se a volte, questo esercizio di stile, vi farà un po’
soffrire.
Valga un esempio per tutti: Pier Paolo
Pasolini non sarà morto finché noi saremo in
vita.☺
[email protected]
notte di natale!
Veglia dell’Annuncio
festa del creato.
Esulta la Liturgia
nella voce dei Profeti.
Vibra l’aria di canti.
Il cielo ha stupore di stelle.
Il Presepe, un affresco
dell’antico mondo di pastori,
ha nell’immaginario
suggestioni, ricordi fanciulleschi.
Nella Grotta di Betlemme
un Bimbo rinasce
fragile, ricolmo di Grazia.
In Lui s’innesta
la Potenza divina
per la Salvezza del mondo.
E l’animo immerso nel Mistero
umilmente s’affida al suo Signore
dono di vita e di pace.
Lina D’Incecco
Lo scampanio festoso
nel quartiere
scuote il freddo della notte.
L’animo s’accende d’allegrezza.
Notte di Natale!
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terzo settore
parole bugiarde
Leo Leone
“Sembra passato un secolo, e non
15 mesi, da quando Matteo Renzi annunciò
al Festival del Volontariato di Lucca una
legge Delega per la Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile.
Un annuncio fatto con l’entusiasmo di chi
da mesi e ben prima di diventare premier,
diceva che il Terzo Settore in realtà è il primo”. Di qui l’annuncio che occorreva adoperarsi immediatamente per attivare il rilancio di questo settore del mondo cittadino
perché l’iniziativa dell’associazionismo
assumesse un ruolo primario nel rilancio
dell’attivismo delle iniziative intraprese dai
cittadini. Non a caso il nostro primario politico sosteneva che in Italia il Terzo Settore
doveva assumere un posto centrale
nell’attività sociale del Paese. È passato
quasi un anno da allora e le promesse di
Matteo Renzi di stendere la Legge delega
che desse spazio al Terzo Settore è stata …
dimenticata e il 22 agosto dello scorso anno
il documento reso oggetto di elaborazione da
parte della Camera. In quella sede il primario
politico assicurava che a fine dello scorso
anno la legislatura sul problema avrebbe
trovato il giusto esito. Ad un anno trascorso
il risultato del dibattito che aveva attivato
tutta la cittadinanza si è esaurito e da molti si
attende la ripresa del lavoro ormai occultato
nel Consiglio dei Ministri. La democrazia
soffre il tuttofare di una politica che opera al
suo Interesse e ignora le istanze di alto rilievo sollevate dal popolo.
Ci governa una politica ripiegata
su se stessa? Le parole che giorno per giorno
ci giungono dai nostri governatori costitui-
22
scono ventate di poca durata e di palese presa
in giro delle attese lanciate dal popolo. Nella
rivista Vita, numero di agosto, il direttore
Riccardo Bonacina, in prima pagina non ha
scrupolo nel denunciare che “Sono passati 15
mesi da che Renzi annunciò la Riforma del
Terzo Settore, quasi un anno che ha cominciato il suo cammino in Parlamento. Difficile
che veda la luce nel 2016. Una sconfitta per
tutti”. In Italia le più vivaci delle iniziative che
danno vita e speranza appaiono a partire dai giovani impegnati in imprese che vanno
ben oltre le parole volatili dei
nostri politici, molti di essi
intenti a convincere che in
politica tutto ricade a porte
chiuse nelle sedi del potere.
Altro si coglie nelle
associazioni che operano con
fatti e testimonianze concrete,
per promuovere tra i giovani
impegni anche senza attesa di interesse. Ad
Arezzo nel 2014 sono stati oltre quattromila
gli studenti italiani che hanno frequentato la
“Cittadella della pace”e con loro duemila
docenti di vari ordini scolastici. L’ associazione toscana che sviluppa azioni da tempi lontani tende anche a raggiungere il premio Nobel
per la pace. Per spostarci su altre regioni e ad
altri modelli di azione senza speranza di interessi privati scendiamo più nel sud Italia e
scopriamo un gemellaggio tra Messina e Boston. A promuovere la comunità di Messina è
la “Fondazione con il Sud”. Si lavora per
servizio ai più deboli per attivare lavori per la
costruzione di appartamenti nel quartiere
Maregrosso di Messina,
ancora alle prese con i danni
procurati dal terremoto del
1908.
Andiamo oltre confini per
mettere gli occhi su un paese
che in questi tempi si colloca
tra i più benestanti dell’ Europa, ma anche qui non ci si
può fermare a chiacchiere e
comunicazioni statali. Pensiamo ad Angela Merkel che
ci appare spesso legata a
programmi e legislazione di
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intesa con il nostro presidente Matteo Renzi.
Ad osservare attentamente l’aria che si respira, anche la Germania ripropone atteggiamenti e Leggi che somigliano alle nostre. La
Merkel si è decisamente schierata a sostegno
della legge Hartz IV che appariva come
l’apertura di una nuova era economica per il
popolo tedesco. L’esperienza non dà conferma a questa spirale. Seducenti e solide le
spese per il lavoro in Germania che dal 2005
ad oggi ha speso 400 miliardi per dare più
sostegno al popolo. Purtroppo la gestione si
rivela inadatta se non idonea al sostegno dei
cittadini. Il fatto è che il contratto tra i cittadini
e lo stato prevede serie sanzioni e vincoli per
chi usufruiva dei sussidi. Nella ricerca del
lavoro chi non cerca o
non accetta le proposte
viene sanzionato con un
taglio del sussidio che
può partire da una riduzione dell’assegno per il
10 al 60%, fino ad arrivare all’annullamento totale,
un quadro scabroso che si
registra anche in Italia.
Far decollare la riforma
del Terzo settore significa
dare spazio di azione ai cittadini e alle associazione che li raccolgono in un clima di
intraprendenza che si registra in zone geografiche che non escludono neppure l’Italia. La
presentazione della riforma del Terzo Settore
è stata presentata ai deputati ad agosto 2014.
Il senato ha approvato a metà aprile 2015 la
proposta; se non che, a seguire, vengono
presentati 700 emendamenti. Molte le reazioni: Luigi Bolla, ex presidente delle ACLI,
sollecita a lasciare all’associazionismo civile
un perimetro ampio di rispetto. Ci si adoperi,
anche in Molise, a darsi da fare per aprire le
porte ad una stagione di iniziative provenienti
dal basso, ad una cittadinanza attiva che si
adopera anche per fare approdare lo stato e i
suoi enti periferici ad una stagione che promuova il lavoro evitando di passare tempi in
reciproci scontri o tempeste di parole e ritardi
di un regime che può solo creare divisione e
calo di iniziative sul territorio e porre a noi
tutti il triste pensiero che i giovani, anche da
noi, si adopereranno per lasciare la nostra
terra con i suoi ricordi storici, le sue meravigliose zone di natura affascinante e, soprattutto, si rassegnano a dissipare l’unione e vivere
da soli… ☺
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ambiente
presepe vivente
i paesaggi del tartufo
Carolina Mastrangelo
Angelo Sanzò
Ci vai e ci ritorni perché ti senti accolto,
quasi di casa in quell’ambiente che è tuo, tra quei
personaggi che conosci e che ti coinvolgono al punto
che non sai più se sei attore o spettatore. Stradine
strette, tortuose, presenze, oggetti, sapori, odori…
quasi brandelli di memoria che sanno di un passato
remoto, ancestrale. Figure più o meno in luce o appena intraviste, stemperate in un chiarore fioco e antico
che le rende irreali, ma che reali sono con il loro carico di fatica, di sofferenza, di stupore, di speranza e
alla fine del buio cammino, come l’emblema di una
proiezione metaforica - dalle tenebre alla luce, dal
peccato alla redenzione - la Capanna, una povera
stanza con gli umili utensili di ogni giorno, un Giuseppe con il viso e le mani da operaio, una Maria di
null’altro adorna che della sua naturale bellezza di
donna, un Bambinello senza riccioli e senza aureola
che piange, forse per freddo, forse per fame, ninnato
non da un coro di angioletti osannanti, ma dal tin tin
del martello del fabbro.
Un presepe senza enfasi e senza retorica,
che pur riproponendo l’incantesimo di un sogno da
sempre sognato, indossa tutta la tragedia della nostra
umanità con le croci che pendono da ogni scena (e
che dovrebbero pendere sulle nostre scelte), con i
cartelli le cui scritte “rompono le paci” perché ricordano la povertà, il consumismo, le illecite ricchezze…
Se hai raccolto la provocazione, finito il
percorso, te ne esci non con l’amarezza di una festa
guastata ma con il bisogno di cercare comunione, con
l’esigenza della “porta aperta” che permetta di realizzare quello stile di incarnazione che rende possibile la
condivisione, il “farsi prossimo”, comunità, Chiesa.
È una delle edizioni del Presepe Vivente a
Bonefro, quando gli eventi non avevano ancora dolorosamente rivoluzionato paese e anime e vi era una
partecipazione più affettuosa e corale alla vita e alle
tradizioni locali. ☺
I tartufi sono funghi ipogei, organismi, cioè, che svolgono tutto il proprio ciclo vitale sottoterra. Crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici
di alcuni alberi, in particolare querce, lecci, pioppi, noccioli, salici, faggi, con le
quali stabiliscono una simbiosi mutualistica, da cui entrambi traggono vantaggio. Il
tipico profumo penetrante e persistente a maturazione avvenuta ha lo scopo di attirare gli animali selvatici per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.
Gli studi geologici hanno evidenziato che i terreni preferiti dai tartufi
contengono correntemente una frazione più o meno importante di materiale calcareo. In particolare, quelli calcareo limosi, pare siano i suoli preferiti dal tartufo bianco
pregiato.
È noto da anni, e non solo agli addetti ai lavori, che alcune aree del territorio molisano sono tra le più vocate, a livello nazionale, per la produzione dei tartufi, in particolare per quello bianco pregiato. È altrettanto vero che, in un contesto in
cui il tartufo è una rilevante fonte di reddito per le popolazioni locali, il numero dei
soggetti coinvolti in quella che può essere ritenuta la filiera dell’intero ciclo produttivo sia costantemente cresciuto nel tempo. È, perciò, quanto mai urgente e inderogabile che a tutti gli addetti ai lavori dell’intero ciclo produttivo (tartufai, associazioni e
raccoglitori, imprenditori agricoli, tecnici e liberi professionisti, amministratori pubblici) venga reso disponibile, per quanto possibile e nella giusta quantità, il patrimonio di conoscenze, teorico e operativo, che riguarda l’importante risorsa. D'altronde,
molto c’è ancora da fare per la giusta valorizzazione del prodotto, affinché l’ eccellenza del raccolto possa fornire il proprio contributo allo sviluppo dell’economia di
vaste aree interne del nostro Appennino.
È altresì auspicabile che si sviluppino adeguate attività di ricerca scientifica, al fine di trasferire, convenientemente, i risultati ottenuti alle esigenze di conservazione e miglioramento ambientale, nonché di sviluppo di tecniche colturali
consone all’incremento di produzioni spontanee.
Il Centro di Ricerca e Sperimentazione per la produzione di piante tartufigene, realizzato nel 2010, presso il vivaio forestale di Campochiaro (CB), testimonia l’attenzione riservata alla tutela e alla valorizzazione del pregiato tubero.
Un riconoscibile marchio di qualità potrebbe far assumere all’insieme
delle attività relative alla tartufocultura un ruolo ancor più importante, se non preminente, alla crescente multifunzionalità delle moderne aziende agricole, sempre più
numerose sul territorio.
Il più delle volte è proprio il tartufo l’elemento al centro di manifestazioni
fieristiche riguardanti l’offerta di produzioni locali, delle quali diventa l’elemento
trainante. La sua presenza, infatti, in un determinato territorio, essendo ormai considerata dai più un indicatore positivo di qualità ambientale, è anche elemento di richiamo
per percorsi turistici alla scoperta di luoghi e tradizioni autentici. ☺
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società
senza mai arrendersi
Vincenzo Li Volsi
Vista e sentita sulla tribuna di un
campo di periferia di una grande città italiana: “Papà, mi piace... da grande voglio fare
l'arbitro!!!” dice un ragazzino di circa 12
anni al signore che gli è seduto a fianco.
L'uomo serio, dopo avergli dato uno schiaffone gli risponde secco: “Piuttosto ti rompo
le gambe!!!”
Parlare di sport non è mai molto
semplice, conosco gente che afferma di
essere sportiva: va a vedere allo stadio tutte
le domeniche la partita! Altri
che possono recitare i giocatori delle squadre a memoria
ma che non hanno mai messo
le scarpette ai piedi, persone
per le quali leggere la cronaca
della partita sul giornale significa fare sport. Quanti conoscete che vanno allo stadio a
tifare contro l'altra squadra,
non per incitare la propria;
quante, per le quali andare a
vedere la partita, convinte che
l'arbitro sia prevenuto e quindi se perdiamo è
colpa sua, sia la prassi. Alzi la mano chi non
ha mai detto “Abbiamo perso per colpa
dell'arbitro”.
Lo sport significa lottare fino alla
fine senza arrendersi, ma anche mantenere
un comportamento corretto in campo prima
e dopo la partita. In questi 50 anni ho calpestato i campi da gioco facendo l'arbitro e
parafrasando una celebre frase “ho visto
cose che voi umani non potete neanche immaginare”. Ho visto genitori litigare al traguardo di una gara ciclistica per bambini di
12 anni, accusandosi l'un l'altro di aver sbagliato il “beverone” del figlio mentre lui
povero innocente dava di stomaco un qual-
cosa di verde. Eppure insieme a tante cose
come queste ho anche visto la sportività in
gesti che dovrebbero essere normali ma che
noi genitori abbiamo fatto dimenticare ai nostri figli.
I ragazzi, se lasciati a se stessi, sono
molto più sportivi l'un l'altro di quanto possiamo immaginare. Siamo noi genitori, con l'esasperazione del desiderio della vittoria a ogni
costo, che distruggiamo la sportività che esiste
nei loro cuori. In questi 50 anni ho dedicato il
mio tempo libero all'arbitraggio, ad andare week end dopo
week end ad arbitrare sui
campi di tutta l'Italia dalla
Sicilia alla Sardegna, dal
Trentino all'Abruzzo macinando chilometri su chilometri e ovunque, in Italia, ho
trovato la stessa esasperazione, lo stesso desiderio comune di considerare l'arbitro il
Nemico. Ho calpestato campi in Italia e all'estero, nazioni
considerate fredde come la Svizzera o l'Austria o nazioni “calienti” come la Spagna e vi
ho trovato rispetto verso la figura arbitrale,
quel rispetto che non esiste in Italia e che noi
genitori dovremmo insegnare ai nostri figli.
Perché difendo la figura arbitrale in
questo modo? Perché sono convinto che sia
importante istillare nei ragazzi, nei giovani la
convinzione che la
vittoria in una partita
non è la cosa più importante, ma che lo sia
aver lottato fino in
fondo senza mai arrendersi, senza mai venir
meno alla correttezza e
alla sportività. E facendo ciò educheremo i
nostri figli ad affrontare la vita nei suoi alti e
bassi, senza arrendersi ma a lottare a viso
aperto contro le avversità.
Avete presente quelle notizie che
ogni tanto si leggono sui giornali? Quelle in
cui c'è scritto che il giocatore della “Pinco
Palla” lanciato a rete, avendo notato un avversario a terra infortunato ha scaraventato la
palla fuori campo per dare modo all'arbitro di
fermare il gioco e curare l'infortunato? Secondo voi è una notizia da giornale? Da cronaca?
O dovrebbe essere la normalità e sui giornali
dovrebbe andare la notizia che: “il giocatore
della “Pinco palla” pur avendo visto un giocatore avversario a terra ha continuato a correre verso la porta avversaria mentre tutto il
pubblico lo fischiava”.
Termino con un episodio visto con
i miei occhi su un campo italiano, di uno
sport minore come il “Football Americano”,
sì quello con i giocatori tutti bardati con maschere e protezioni varie che quando si scontrano ricordano le lotte dei gladiatori. In una
azione della partita un giocatore della squadra
in attacco, dopo un contrasto “maschio” con
l'avversario cadendo perde il casco di protezione e rimane a terra, infortunato a una gamba, mentre il gioco si avvicinava pericolosamente a lui. In quei pochi istanti un difensore,
vedendo il rischio che correva l'avversario, si
lanciava su di lui e gli difendeva la testa, rimasta scoperta, da possibili calci involontari
con il proprio corpo. Finita l'azione il difensore si è rialzato e si è allontanato. Tutto normale per lui. ☺
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le nostre erbe
un’alternativa alle lenticchie
Gildo Giannotti
La cicerchia (Làthyrus sativus) è
una delle leguminose da granella più antiche
e più consumate dai nostri progenitori: reperti
risalenti a 8.000 anni a.C. sono stati ritrovati
infatti in Mesopotamia, mentre la sua coltivazione ebbe inizio intorno al 6.000 a.C.
nell’area della Penisola balcanica. Gli antichi
Greci la conoscevano come lathyro, mentre
tra i Romani era nota come cicercula; anche
Egiziani ed Ebrei se ne cibavano.
È una specie molto rustica, che si
adatta a condizioni colturali estreme, quali
terreni poveri e siccitosi, e che non abbisogna
di concimi speciali o antiparassitari; è dotata
anche di una buona resistenza alle basse temperature. Si semina all’inizio di aprile e si
raccoglie in piena estate, estirpando dal suolo
la pianta intera, carica di baccelli ormai maturi. Le piccole mennèlle, una volta formate,
vengono battute e ventilate per separare la
pula dalla granella. Un tempo, stipare fagioli,
ceci e cicerchie era una garanzia per l’inverno
che presto sarebbe arrivato.
La cicerchia trova le condizioni
migliori per la sua coltivazione nelle regioni
di Lazio, Marche, Molise, Puglia e Umbria,
che hanno ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano. In particolare la regione Molise
ha presentato all’EXPO di Milano proprio la cicerchia: quasi
scomparsa dalle tavole almeno
da cinquant’anni, oggi è stata
riscoperta, valorizzata per la
biodiversità vegetale e ambientale, e tutelata come alimento
tipico della dieta contadina del
passato. I piatti tipici che con
essa si confezionano sono i
protagonisti di diverse feste e sagre che hanno luogo nelle zone di produzione. Ricordiamo per esempio quella di Serra de’ Conti,
vicino a Jesi, che si svolge alla fine di novembre, nei giorni 27, 28 e 29.
Dal sapore delicato, unico, che
ricorda un po’ quello dei ceci e dei fagioli con i quali mostra una certa affinità alimentare -, il seme della cicerchia è unico anche per
la sua forma quadrangolare e molto irregolare, tanto che non se ne trovano mai due uguali.
Ma questi semi, come quelli delle
altre leguminose ad alto apporto di proteine,
contengono in quantità variabile anche una
microtossina, sotto forma di un
acido indicato sinteticamente
con la sigla ODAP e considerato la causa della malattia
detta latirismo, una patologia
neurodegenerativa che può
portare anche alla paralisi degli
arti inferiori. Nei casi più gravi
(ma estremamente rari) possono comparire perfino disturbi psichici. Anche
alcuni animali, sia equini e suini, sia polli e
ruminanti, che vengono alimentati con abbondanti pastoni a base di farine di cicerchia,
possono essere colpiti da forme di intossicazione. Non bisogna tuttavia drammatizzare: è
stato infatti dimostrato che il latirismo si verifica quando l’assunzione di cicerchie supera
il 30% di tutti gli alimenti che costituiscono la
dieta. Questa malattia era presente quindi
solo in passato e in occasione di ricorrenti
carestie, quando la cicerchia rappresentava il
principale se non l’unico nutrimento per lunghi periodi. Inoltre, l’incidenza reale del latirismo nell’uomo è molto bassa, perché il metabolismo umano detossifica la molecola ODAP in un metabolita non tossico. Ed ancora, una attenta cottura, una coltivazione più razionale, la selezione di varietà meno
ricche di neurotossina, una dieta
varia ricca di alimenti diversi,
com’è quella europea e italiana
in particolare, riducono enormemente il pericolo di latirismo
indotto da cicerchie. Perciò
gustiamo pure le saporite cicerchie in ogni
stagione, avendo cura di consumarle solo di
tanto in tanto, in proporzioni normali e non
per molti giorni di seguito.
Agli appassionati coltivatori di
questa pianta si consiglia inoltre di fare atten-
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zione alla conservazione dei semi in magazzino. Infatti, come i fagioli e le fave, possono
essere attaccati da un insetto, un coleottero
bruchide, il tonchio, conosciuto nel nostro
dialetto col nome di ’a ar’gagghie, le cui
larve, dopo essersi nutrite della parte interna
del seme, lasciano evidenti fori di uscita e un
cattivo gusto che li rende non commestibili.
Per quanto riguarda la preparazione, suggeriamo una lunga
macerazione (24 ore o più)
in acqua tiepida e salata, da
rinnovare due o tre volte, da
gettare via al momento della
cottura e sostituire con acqua pulita non salata. Infine
è indispensabile una lunga
cottura con pentola a pressione per rendere le cicerchie più digeribili.
Con questo nobilissimo e antichissimo legume, contenente vitamine del gruppo B e fibre alimentari, povero di grassi, ma
ricco in calcio e fosforo (elemento che lo
rende ideale in caso di disturbi della memoria
e di affaticamento cerebrale degli studenti e
degli anziani), si possono preparare tante
ricette. Per esempio squisiti maltagliati, pappardelle, lagane, baccalà, insalata e perfino un
dolce. Servita fumante, d’inverno, dentro una
calda pagnotta, con un filo d’olio e i profumi
dell’orto, la cicerchia non può che favorire la
convivialità. Anche per il cenone di San Silvestro, con il suo gusto inconfondibile, può
sostituire tranquillamente la “cugina” lenticchia come contorno del classico zampone,
per il quale si veda la seguente ricetta.
Ingredienti: zampone; 400 g di cicerchia; una
cipolla; una costa di sedano; una carota; due
cucchiai di olio extravergine di oliva; una
foglia di alloro; 60 g di grasso di prosciutto.
Cuocere lo zampone per il tempo necessario.
In una casseruola rosolare un trito finissimo
di cipolla, sedano, carota e grasso di prosciutto battuto al coltello. Aggiungere la cicerchia
precedentemente lessata, alloro, sale e pepe;
coprire con acqua calda e cuocere a fuoco
moderato per circa 40 minuti. Tagliare a fette
lo zampone, adagiarlo su un letto di cicerchie
e servire subito.☺
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etica
Quel che la crisi ha dimostrato
ampiamente è che il capitalismo finanziario,
subentrato all’età dell’oro, ha avuto vita breve, aprendo una età dei torbidi. Tutti affermano oggi che il sistema ha bisogno di nuove
regole. Ma non si dice se le nuove regole
debbano limitarsi a una ripulitura e a una
rinfrescata degli appartamenti o investire le
fondamenta del palazzo. Ora, è improbabile
L’epoca moderna e post-moderna,
prima con l’illuminismo e adesso con il biotecnologismo, hanno privato il nostro tempo
di una filosofia del cuore. L’assenza di una
teologia della tenerezza - come teologia del
“cuore di carne” in opposizione al “cuore di
pietra” - è all’origine di quel principio di
necrofilia che domina lo scenario odierno.
Come vincere il principio di morte se non
con la ricerca di una cultura centrata sul
“vangelo della tenerezza”, facendo prevalere
la potenza dell’umile amore sulla brutalità
della forza? Questo è quanto cerca di mostrare il testo La tenerezza grembo di Dio amore
edito dalle Edizioni Dehoniane di Bologna e
scritto a quattro mani dal teologo Carlo Rocchetta, fondatore della Casa della Tenerezza,
e la nostra collaboratrice Rosalba Manes.
Esso si presenta come un saggio che, sondando le ricchezze del vocabolario biblico con la
reciprocità dello sguardo maschile e femminile, individua nella tenerezza l’espressione
del pathos di Dio, del suo afflato sensibile e
del suo pieno coinvolgimento nell’amore con
la vicenda umana e inoltre la propone come
fondamento di quella cultura della convivialità di cui la nostra società, tormentata da
egoismo, rifiuto e intolleranza, ha profondamente bisogno.☺
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derive del capitalismo
Silvio Malic
che si verifichino crolli imminenti del sistema
capitalistico, però questo capitalismo finanziario non sembra essere tecnicamente emendabile, in quanto socialmente e politicamente
insostenibile. Queste ragioni riguardano la
stabilità del sistema, la sua governabilità,
l’allocazione delle risorse, la distribuzione e,
soprattutto, la base di legittimazione etica.
Instabilità
La liberalizzazione dei movimenti
di capitale fu salutata da M. Friedman come
l’alba di una nuova era di stabilità. Ebbene,
nei due decenni seguenti si sono avute decine
di crisi monetarie e valutarie di portata internazionale, culminate nella più recente e più
devastante. Mentre l’inflazione “normale”
può essere fronteggiata con misure di restrizione monetaria, non vi sono meccanismi di
controllo dell’inflazione finanziaria. La deregolazione del sistema ha portato lo stesso alla
sregolatezza: come quel cannone del romanzo di Victor Hugo che, strappato ai suoi ormeggi, spazza la tolda della nave in tempesta.
La globalizzazione ha determinato
un forte aumento del grado di interdipendenza dell’economia mondiale. L’ interdipendenza richiede di essere governata. La tesi di
chi sostiene l’autogoverno è smentita da
quanto sta accadendo: c’è un vuoto di governo dell’economia globalizzata. Fino a ieri un
certo grado di governo dell’economia mondiale era assicurato dai paesi economicamente egemoni. Le egemonie si sono succedute
nella storia, da quella romana a quella britannica, assicurata, come si è detto, dalla combinazione tra le cannoniere e il cricket, tra la
forza e il consenso. Anche l’egemonia americana, succeduta a quella britannica, poggia su
quella combinazione. Certo, ci sono ancora le
cannoniere e c’è anche il cricket, ma il modello americano sembra essere in declino.
Sono venute alla ribalta nuove grandi potenze, come la Cina e l’India. Altre si preparano
ad entrare, come il Brasile, o a rientrare, come la Russia. E poi c’è una novità: i poteri
apolitici, i governi privati delle corporation
multinazionali, che hanno redditi comparabili
a quelli degli Stati (dei cento primi percettori
di reddito del mondo cinquanta sono Stati e
cinquanta corporation), e i poteri occulti dei
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paradisi fiscali.
Dietro la globalizzazione dei mercati finanziari c’è una grande controffensiva
del capitalismo contro lo Stato, e del capitale
contro il lavoro organizzato. Sul piano mondiale si manifesta con la fine della sovranità
nazionale. Sul piano nazionale assume le
forme della privatizzazione della vita sociale
e della degradazione della qualità politica.
Assistiamo a un processo di mercatizzazione
della politica. La corruzione politica cessa di
essere una trasgressione per diventare una
prassi universalmente accettata attraverso
l’acquisto in massa di partiti e di imprese
elettorali. È un processo circolare: degrada la
politica ad affare, screditandola, e promuove
la domanda di privatizzazione e di mercatizzazione.
Qui emerge il nesso tra privatismo
e populismo che costituisce una minaccia
mortale per la democrazia. La società polverizzata in massa indifferenziata di consumatori, non più di cittadini, si espone al vento delle
suggestioni collettive. Da istituzione che filtra
una classe dirigente attraverso la pubblica
discussione, la democrazia si trasforma in
un’impresa che produce maggioranze attraverso possenti mezzi di suggestione emotiva
e pubblicitaria.
Allocazione delle risorse
La sempre maggiore importanza
della finanza rispetto all’economia reale determina conseguenze rilevanti e socialmente
perverse nell’allocazione delle risorse. Gli
impieghi di risorse che producono alti profitti
nel periodo breve, fino a quelli speculativi
che si chiudono nel giro di giorni o di ore,
sono preferiti agli investimenti di lungo periodo che si traducono in un aumento della capacità produttiva, ma in un periodo più lungo
e con tassi di profitto più moderati. Si accelera il ritorno dei capitali, ma a scapito della
loro produttività nel tempo. La spinta impressa alla profittività immediata degli investimenti accentua fortemente, nell’allocazione
delle risorse, lo svantaggio degli investimenti
e della spesa pubblica e frena quindi la produzione di beni collettivi, mentre quella dei beni
privati è promossa dalla competizione consumistica, attivata da una poderosa spinta pub-
etica
blicitaria: 500 miliardi di dollari all’anno (cifra da confrontare con i 70
miliardi di dollari destinati alla ricerca sanitaria o con i 60 destinati agli
aiuti ai paesi poveri). Si accompagna l’effetto dell’aumento dei costi
degli investimenti pubblici, che solo in piccola parte può essere compensato da un aumento della produttività. Il risultato è una sproporzione allocativa tra le risorse destinate ai beni collettivi (infrastrutture,
servizi pubblici, welfare State), sempre più necessari al benessere di
società complesse, e i beni privati, anche quelli più futili.
Distribuzione e diseguaglianza
Molti si incartano nella disputa se, come sembra, la diseguaglianza si sia ridotta, ma non di molto, tra i paesi più ricchi e quelli
emergenti, e non certo tra i più ricchi e i più poveri; se invece, come
sembra, sia sostanzialmente aumentata all’interno dei paesi più ricchi,
e drammaticamente all’interno di quelli più poveri. Un fatto è incontrovertibile: in una cultura di esaltazione della ricchezza e dei consumi
privati, l’obiettivo dell’eguaglianza (meglio, della diminuzione delle
diseguaglianze) è sparito dall’agenda delle priorità economiche e
politiche.
Più che di diseguaglianza si dovrebbe parlare di secessione:
della formazione di una nuova plutocrazia al di sopra della società, in
una condizione di separatezza non solo dei redditi ma dei modi di vita,
talvolta dei luoghi, isolati e protetti da polizie private in quartieri recintati; degli spostamenti, effettuati in aerei privati tra aeroporti riservati;
dei convegni organizzati in zone esclusive. L’indice più significativo
di questa secessione è costituita dai guadagni faraonici assicurati ai
dirigenti supremi, totalmente sganciata da qualunque criterio meritocratico, per assumere un carattere di prelievo arbitrario, di rendita
posizionale. Segno più evidente della separazione tra il guadagno e il
lavoro, la cui identificazione costituiva, all’origine del capitalismo, la
fonte del suo orgoglio e della sua legittimazione morale. Platone diceva che una società ineguale sono due società. Questo sdoppiamento
significa in sostanza che la società non c’è più.
Legittimazione etica
L’aspetto che sembra in ultima analisi più grave è la sua
delegittimazione morale. Il dominio della finanza è l’espressione
estrema dell’autoreferenza e dell’alienazione: di un’accumulazione
rivolta a nessun altro fine che non sia l’accumulazione stessa. Viene
in mente l’invettiva dell’italiano Bernardo Davanzati, nel Cinquecento, alla fiera di Besançon “dove non vi vanno i popoli a comprar
mercanzie ma solamente cinquanta o sessanta cambiatori con un
quaderno di fogli (…) Quelli di Bisenzone non sono debiti o crediti
effettivi ma arbitri rivolture e girandole che non servono al comodo
della mercanzia ma solamente all’utile del denaro”. Il capitalismo
ha sempre avuto bisogno di una legittimazione “esterna”, che fosse
la grazia weberiana o la felicità degli utilitaristi. L’autolegittimazione
dell’avidità è, come l’autoregolazione dei mercati, un autoinganno.
E qui si innesta l’altra formidabile questione esistenziale che
si è volutamente tralasciata a causa della sua ampiezza. La riduzione
della società a mercato spinge l’esistenza umana verso un altro processo
autodistruttivo: la degradazione della sua base ecologica naturale.
L’identificazione dell’economia con l’accumulazione genera una crescita letteralmente sterminata, che può segnare la fine non solo del capitalismo, ma dell’avventura umana. Lasciato a se stesso il capitalismo rischia queste due derive fatali: la distruzione della società umana e delle
sue basi naturali di sopravvivenza. Mai un sistema storico di organizzazione sociale è stato così prossimo all’onnipotenza e alla rovina.☺
frammenti di saggezza
un libro sotto il vischio
Tra le consuetudini non cristiane, che ancora resistono nelle nostre celebrazioni natalizie, vi è quella, di origine
celtica, di regalare un ramo di vischio, da appendere alla porta di casa e sotto cui scambiarsi un bacio di buon auspicio. In
un brano della sua Naturalis historia, Plinio il Vecchio ne
descrive il rito della raccolta, affidata ad un sacerdote, che,
vestito di bianco, scalzo e digiuno, saliva sull'albero a tagliarlo con un falcetto d'oro. Plinio aggiunge che i Celti indicavano il vischio come “la pianta che guarisce tutto” e gli attribuivano un grande potere: essendo una pianta aerea, che non ha
radici ma vive attaccata al tronco di altri alberi, era considerata una manifestazione degli dei che vivono in cielo e dunque un simbolo di vigore, di rigenerazione e di rinnovata
speranza per iniziare il nuovo ciclo dell'anno.
Ma, oltre al ramo di vischio, c'è un altro dono “che guarisce
tutto”, ed è il libro, il migliore dei regali. Per esempio un
libro di poesia, dato che se ne legge sempre meno. Per esempio il libro delle poesie di Giovanni Giudici, pubblicato nei
“Meridiani” Mondadori nel 2000, con il titolo I versi della
vita, e poi, in versione economica, negli “Oscar” Mondadori
nel 2014, con il titolo Tutte le poesie. Sostiene infatti il critico Alfonso Berardinelli che la poesia di Giudici possiede
“una dote abbastanza rara. Sta in piedi da sé, non ha bisogno
di puntelli e di giustificazioni. Non richiede particolari istruzioni per l'uso né allude a sofisticati presupposti di poetica”.
Scomparso nel 2011, Giudici è una delle voci più interessanti
della poesia del secondo Novecento. Come suggerisce il titolo della raccolta a mio avviso più bella, La vita in versi, ha
cantato in versi la vita quotidiana, con il lavoro, la famiglia,
le conversazioni, le faccende familiari, i problemi comuni.
Ha trasformato così in poesia la prosa di ogni giorno, con uno
stile ironico e brillante nella sua semplicità. Nei suoi testi la
lingua del poeta si incontra con quella del lettore, il quale può
facilmente rispecchiarsi nelle forme realistiche che assumono
i gesti sempre uguali di ogni giorno, la routine delle occupazioni domestiche. Per esempio in questi versi tratti da Una
sera come tante, una delle poesie più originali ed efficaci:
“Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura / che
dice: domani, domani... pur sapendo / che il nostro domani
era ieri già da sempre”. Un invito indiretto, tra i ripiegamenti
delle nostre disillusioni e le viltà dei nostri autoinganni, a non
rinviare al domani i momenti di ritrovata energia - come
quella che può regalare un ramo di vischio.
Filomena Giannotti
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sisma
dal cavallo al coniglio
Domenico D’Adamo
Sottoscritto il programma di
“Viabilità” al ministero delle infrastrutture.
Complimenti al presidente Frattura e
all’assessore ai trasporti, Nagni. Questa
volta i due si sono veramente superati, sono
riusciti a portare a casa la considerevole
somma di 100 milioni di euro, provenienti
della riprogrammazione dei fondi già destinati alla realizzazione del primo lotto
dell’autostrada Termoli/San Vittore. In questi casi dalle parti mie si dice: “hanno venduto cavalli per acquistare conigli”. È ormai
una costante nell’azione del governo Frattura fare operazioni a perdere. Non siamo mai
stati favorevoli all’autostrada di Iorio, opera
costosa per i cittadini e oltretutto di grande
impatto ambientale, ma, per uscire dall’
isolamento in cui ci troviamo, sarebbe utile
collegare queste terre, belle e pulite, con il
resto del paese. Per farlo abbiamo bisogno
di collegamenti stradali e ferroviari non di
metropolitane, né leggere, né pesanti; soprattutto non abbiamo bisogno di buchi
“tunnel” che risultano essere già numerosissimi oltre che sul territorio anche nei bilanci
della Regione.
A questo punto la domanda sorge
spontanea: se questi finanziamenti non de-
vono rispondere a nessun disegno strategico
legato allo sviluppo e neanche alla risoluzione di problemi che hanno a che fare con la
viabilità - il programma in questione ha
destinato circa la metà dei fondi alla realizzazione di un tunnel a Termoli che collegherà il porto con il lungomare, passando per
un parcheggio multipiano interrato e alla
realizzazione della metropolitana leggera
che collegherà Campobasso con Bojano e
Matrice - perché non li abbiamo destinati
alla realizzazione di una strada che porti da
Riccia a Termoli senza passare per Campobasso? Avremmo quanto meno risolto il
problema della Segretaria regionale del PD
che ogni volta che deve recarsi a Termoli
per far fronte ai molteplici impegni politici,
impiega oltre tre ore.
Non ce ne vorranno le centinaia di
migliaia di persone di Matrice e di Bojano
se gli chiediamo di continuare a raggiungere
Campobasso a dorso di asino, ma qui un’
altra domanda ci pervade: cari corregionali,
cosa ci andate a fare tutte le mattine a Campobasso? A lavorare? E dove? In Ospedale?
Alla Regione? In Tribunale? In Prefettura?
All’INPS? Nelle fabbriche? La metropolitana di Frattura che è una bella trovata ma che
non vi porterà in nessuno
di quei luoghi prossimi a
scomparire, assomiglia
tanto al treno del sig. Rayl,
un vecchio signore che per
stimolare la fantasia dei
suoi concittadini fa trasportare sulla piazza grande della loro città un treno
vero con la promessa che
un giorno quel treno partirà. Per Termoli la questione è diversa: il sindaco,
insieme al presidente della
Regione, ha fatto credere a
una parte dei sui concittadini che il futuro della loro
città è in fondo al tunnel.
In fondo al tunnel, senza
metafore, da una parte c’è il porto e da una
parte c’è il lungomare, due potenzialità che
senza un progetto resteranno quelle che
sono con o senza buco. È superfluo raccontare che il porto è già sufficientemente collegato con la città e che i milioni di passeggeri
che si imbarcano verso le Tremiti sono già
soddisfatti dell’attuale viabilità. L’altra metà
dei fondi relativi al programma sottoscritto
da Frattura è stata destinata al completamento di opere già vecchie o addirittura inutili,
vedi il sottopasso di Campomarino e tuttavia non si comprende il motivo per cui, utilizzando comunque gli stessi criteri, non sia
stata inclusa nell’elenco delle opere da completare, la strada SS 87, mai completata,
ancorché inaugurata dal precedente governatore.
Non vorremmo essere maliziosi,
ma abbiamo notato che in questa legislatura
non è seduto, nell’assise regionale, nessun
politico proveniente dall’area sismica. È
questa la ragione per la quale neanche un
centesimo di quei cento milioni è stato destinato ai problemi irrisolti del cratere sismico?
Il governatore in questi trenta mesi di governo regionale si è rivolto ai terremotati solamente per sottrarre e mai per addizionare.
Lo ha fatto rimodulando i progetti di ricostruzione, lo ha fatto omettendo di restituire
le somme relative alle spese energetiche
sostenute dai baraccati, lo ha fatto eliminando un ospedale, lo ha fatto ignorando la
drammatica situazione economica dell’area
colpita dal sisma.
Non ci sono più soldi, ci dicono,
bisogna fare sacrifici, rinunciare a qualche
comodità. Chi ci dice queste cose non parla
mai per se stesso; sono quelli che non si
riducono mai i lauti stipendi e non rinunciano mai a nulla, sono quelli che stanno sempre dall’altra parte del tavolo, sempre sulla
cattedra. Che spettacolo vederli alcuni giorni
fa tutti uniti, senza distinzioni di casta, dietro
gli scranni: avvocati, giudici, politici, dirigenti pubblici, giornalisti tutti dalla stessa
parte a difendere l’autonomia regionale e
con essa la permanenza degli Uffici Giudiziari nel Capoluogo. Ma come: non dovevamo fare sacrifici? È finita l’austerità? ☺
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