Quadri clinici particolari - Neurochirurgia. La prima neurochirurgia

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Quadri clinici particolari - Neurochirurgia. La prima neurochirurgia
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Quadri clinici particolari
SINDROME DI KORSAKOFF POST-TRAUMATICA
Si presenta nel 2-3% dei soggetti con protratta perdita di coscienza dopo
trauma cranico. Alla scomparsa degli elementi confusionali si manifesta la triade
tipica della sindrome: amnesia di fissazione, confabulazioni (invenzioni su situazioni che non vengono ricordate) e falsi riconoscimenti. I disturbi mnesici con le
conseguenze tipiche assieme al disorientamento temporo-spaziale, costituiscono
per il paziente "una inquietante sensazione di perdita di unità e continuità della
propria vita psichica"(183).
Si differenzia dalla sindrome di Korsakoff ad etiologia alcolica per l'assenza
di segni di polinevrite e per la prognosi migliore, scompare, infatti, in un tempo
variabile da pochi giorni ad alcune settimane. Rari casi evolvono in deterioramento
mentale; in genere una prognosi meno favorevole è data da un terreno premorboso
già suscettibile.
SINDROME SOGGETTIVA DEL CRANIOLESO
Si tratta di una sindrome a prevalenza neurastenica che compare durante la
convalescenza da un trauma cranico. Ha nel tempo subito varie denominazioni,
come sindrome post-traumatica semplice, sindrome neurasteniforme fisiogena,
sindrome post-commotiva. Per il suo determinismo non risulta rilevante il tipo e la
gravità del trauma. Si ritiene che sia dovuta a turbe organiche, probabilmente alterazioni della neurodinamica del mesencefalo e del diencefalo. Fondamentali nel
mantenerla risultano i fattori psicogeni legati alla preoccupazione per il danno
subito, nonché i fattori legati al problema dell'eventuale indennizzo.
Il quadro sintomatologico è estremamente vario e polimorfo, emergono sin-
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
tomi quali: cefalea, che di solito si riesacerba con sforzi fisici e/o intellettivi, vertigini soggettive, disturbi visivi, acustici (acufeni) ed olfattivi. Concomitano spesso
segni vegetativi come sudorazione e tachicardia, ascrivibili a probabile eziologia
ansiosa. Sono presenti anche disturbi del sonno, con ipo- od ipersonnia, e disturbi
sessuali. Il quadro psichico è connotato da: labilità attentiva, disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione, apatia, abulia, astenia e deficit prestazionali.
L'obiettività neurologica è in genere negativa, come pure l'esito degli esami strumentali.
L'evoluzione prognostica è strettamente correlata alla personalità premorbosa.
Se si tratta di soggetti con precedenti strutture nevrotiche o personalità abnormi,
l'evoluzione è peggiore perché più facilmente residuano i sintomi d'esordio o si
verificano evoluzioni patologiche della personalità.
SINDROME DI KLÜVER-BUCY
Nel 1937 Klüver e Bucy descrissero in modelli sperimentali animali (scimmie
Rhesus), dopo asportazione bilaterale del lobo temporale, la seguente associazione
di sintomi: spiccate tendenze orali; agnosia visiva (e probabilmente anche tattile e
uditiva); ipermetamorfosi (labilità dell'attenzione); cambiamenti comportamentali;
incremento dell'attività sessuale, sia omo- che eterosessuale, e cambiamenti del
regime dietetico.
Questa sindrome è rarissima in patologia umana.
Sono stati riportati casi di pazienti con lesioni bitemporali conseguenti a
trauma cranico, con un quadro clinico caratterizzato da: incremento dell'attività
orale, perdita del riconoscimento degli oggetti e delle persone note; ipermetamorfosi; tranquillità; ipersessualità; bulimia e disturbi mnesici(77). Diversi di questi
sintomi hanno risposto alla carbamazepina, che è stata quindi proposta come presidio farmacologico utilizzabile nella cura di questa inusuale sindrome.
La principale manifestazione clinica risulta la tendenza a mettere in bocca
tutti i tipi di materiale trovato, incluse cose immangiabili e pericolose come sigarette accese o oggetti con bordi taglienti e perfino escrementi. Si osserva un irresistibile impulso a toccare ogni oggetto e a metterlo in bocca, per poi frequentemente sputarlo. In generale il riflesso dell'afferrare riflette una lesione della corteccia frontale, in particolare nella sindrome di Klüver e Bucy sono interrotte le
connessioni temporo-frontali. L'afferrare con la bocca è invece considerato specifico delle lesioni temporali(164).
Il paziente esterna un incremento libidico. La scelta di partner sia omo- che
eterosessuali e la masturbazione sfrenata sono le forme più frequenti di abnormi
comportamenti sessuali. Manifestazioni mai correlate ai vissuti emotivi del pa-
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ziente. Inoltre, è facilmente attratto da qualsiasi stimolo visivo (ipermetamorfismo)
ed appare generalmente calmo, trattabile e docile, con umore indifferente e con
reazioni emotive appiattite. La presenza di questi segni può essere ricollegata alla
distruzione del circuito di Papez, struttura anatomica substrato dei meccanismi di
espressione e creazione di affetti e di umore associato ad attività istintive.
Si sviluppano frequentemente anche disturbi della fame, maggiormente in
forma di bulimia.
I controlli a distanza di diversi anni dal trauma cranico evidenziano la persistenza dei disturbi psichiatrici.
Gli studi di localizzazione anatomica e biochimica indicano che l'involuzione
della regione mediana del lobo temporale e lesioni bilaterali del corno di Ammone
sono una conditio sine qua non per la produzione della sindrome. Il meccanismo
del danno, in questi casi, a parte la lesione diretta sul tessuto del lobo temporale,
include anche la compressione di entrambi gli ippocampi.
SIMULAZIONE DEI DISTURBI PSICHICI
Esistono condizioni nelle quali il soggetto tende a fornire un'immagine distorta di Sé‚ o del proprio quadro sintomatologico, in maniera tale da renderlo più
severo. Questo costituisce la cosiddetta simulazione o fake-bad, che frequentemente si riscontra in ambito pensionistico o assicurativo. L'identificazione della
simulazione è antica e a tutt'oggi la sua presenza è contemplata all'interno di strumenti di classificazione nosografica come l'ICD 10(234) o il DSM IV(8). Come indicato in quest'ultimo, per simulazione s'intende "la produzione intenzionale di sintomi fisici o psicologici falsi o grossolanamente esagerati, motivata da incentivi
esterni. [...] La simulazione dovrebbe essere fortemente sospettata quando si rileva
una combinazione dei seguenti:
1. contesto medico-legale di presentazione dei sintomi;
2. marcata discrepanza tra lo stress o la compromissione lamentata dal soggetto e i
reperti obiettivi;
3. mancanza di collaborazione durante la valutazione diagnostica e nell'accettazione del regime terapeutico prescritto. [...] La simulazione differisce dal disturbo fittizio in quanto la motivazione del sintomo è, nella simulazione, un incentivo esterno, mentre nel disturbo fittizio gli incentivi esterni sono assenti.
L'evidenza di un bisogno intrapsichico di mantenere il ruolo di malato depone
per un disturbo fittizio".
L'incidenza effettiva della simulazione non è nota con precisione ed i dati in
tale senso non sono univoci.
Un problema reale per la sua valutazione è dato dalla mancanza di strumenti
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
obiettivi, utilizzabili in ambito medico-legale. Spesso, quindi, l'intera valutazione è
lasciata all'esperienza clinica ed alle impressioni del periziando, che non sempre
risultano prive di errori. Esistono però delle metodiche strumentali, di uso comune,
che hanno, nel tempo, ottenuto una loro validazione. Esse si basano sull'utilizzo di
test d'intelligenza e di personalità e sui tempi di reazione ai test di personalità.
I primi a descrivere una strategia di tipo empirico per l'identificazione dei simulatori ai test d'intelligenza furono Hunt e Older nel 1943(96). Secondo loro il
simulatore non ha familiarità con il quadro completo del disturbo che sta simulando e, di conseguenza, non è in grado di riprodurlo completamente ed in maniera
corretta. Questi autori utilizzarono la batteria Kent EGY ed ipotizzarono che i simulatori avrebbero eseguito correttamente più item difficili rispetto ai soggetti con
deficit reale, mentre avrebbero eseguito in modo non corretto più item di facile
soluzione. Questa strategia non si è però rilevata utile nell'utilizzo di altri test,
come ad esempio la WAIS, che non contengono un numero adeguato di item facili
e che risultano in un ordine gerarchico evidente.
Da un'analisi quantitativa dei protocolli di persone sospettate di simulazione
sono stati rilevati tre aspetti particolari: risposte illogiche o assurde; risposte approssimate ed incongruenza delle prestazioni ai vari subtest(228). Ai test di intelligenza i simulatori forniscono prestazioni contraddittorie, sia all'intero test sia alle
varie prove che lo compongono. I non simulatori, invece, forniscono prestazioni
coerenti.
Per la valutazione di patologie psicosomatiche, dei disturbi nevrotici o di
quelli su base organica, i test più utilizzati sono quelli di personalità, tra i quali è
possibile una distinzione in test di tipo proiettivo, come il Bender Gestalt ed il
Rorschach, e test di tipo strutturato, come l'MMPI. Ai test proiettivi i simulatori
producono risposte che ricalcano una concezione stereotipa e vaga della malattia,
non conoscendo nei dettagli il quadro psicopatologico. Mentre i non simulatori
forniscono un quadro coerente col disturbo reale, vivendo nei particolari la patologia. Un altro metodo di verifica della simulazione, ai test di personalità, è basato
sui tempi di reazione. Esistono numerosi studi che confermano l'utilità dei tempi di
reazione per evidenziare delle simulazioni. La psicolinguistica mette a confronto i
tempi di reazione con i diversi aspetti del processamento cognitivo delle informazioni.
Il processo cognitivo può essere infatti suddiviso in più stadi(178,179):
• codifica dello stimolo, ossia traduzione dello stimolo dalla forma fisica in forma da elaborare negli stadi seguenti attraverso un'attività che, ad esempio, può
essere leggere l'item. Come fattore sperimentale può essere usata la lunghezza
dello stimolo;
• comprensione dello stimolo, ossia la traduzione dell'item in modo da essere
comprensibile al soggetto stesso che deve fornire la risposta. La variabile indi-
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pendente è, in questo caso, legata all'ambiguità dello stimolo;
decisione autoreferente, ossia processo tramite il quale il soggetto, alla comprensione dello stimolo, lo mette a confronto con un suo magazzino di memoria
nel quale è presente la visione del Sé del soggetto stesso;
• selezione della risposta: in questa fase il soggetto decide quale risposta fornirà.
Il tempo di reazione, in questo caso, dipende dal numero di probabilità di risposte che il soggetto ha per quell'item. Il tempo di reazione è più alto per item in
cui la probabilità di risposta è uguale per ognuna delle due alternative fornite,
mentre si registrano tempi inferiori per quelle probabilità che sono più facilmente orientabili verso una delle due alternative. Inoltre, i tempi di reazione
lunghi si ottengono agli item considerati più difficili dal soggetto.
La risposta simulata riguarda, inoltre, un processamento esclusivamente semantico, mentre la risposta onesta richiede un'elaborazione che faccia riferimento
al Sé necessitando di un'interpretazione autoriferita che richiede tempi di reazione
più lunghi, andando oltre la mera elaborazione strutturale, semantica o fonemica(179). In uno studio(95), che si rifà allo schema di Rumelhart(186), si è evidenziato
che i tempi di risposta sono correlabili allo schema delle conoscenze integrate sul
Sé e su come queste conoscenze sono integrate, ossia, si ritiene che una persona
che ottiene un punteggio alto ad una misura di ansia possegga lo schema dell'ansia.
Si pensa che lo schema svolga un ruolo determinante nella produzione della risposta da fornire, in quanto, essa è il risultato di un confronto tra il contenuto dell'item
e lo schema appropriato(94). Quando una risposta è congruente con lo schema del
Sé il tempo di risposta è inferiore rispetto a una risposta simulata che prevede un
tempo maggiore, necessario per processare un'immagine stereotipa costruita dal
soggetto.
È anche stato elaborato un compito, denominato Symptom Validity Testing,
basato sulla scelta forzata tra due alternative, i cui stimoli sono scelti in base al
tipo di deficit, sempre di ordine cognitivo, lamentato dal soggetto(157). Il criterio su
cui è basato il test è quello di fornire una probabilità di risposta esatta del 50%,
usando la strategia delle risposte casuali. Il soggetto che tende a simulare troverà
tale percentuale troppo alta e quindi fornirà prestazioni ben al di sotto del caso.
Chi invece ha reali problemi risponderà con una strategia casuale e otterrà prestazioni in accordo col reale deficit.
Una puntualizzazione merita ancora la simulazione nel trauma cranico lieve.
Spesso dopo un trauma lieve, infatti, non è possibile riscontrare un danno di tipo
focale e gli esami diagnostici non rilevano segni di lesione. La maggior parte dei
disturbi ricalca sintomi soggettivi esperiti dal paziente. Questi sono quindi i casi in
cui, in ambito medico-legale, si pone maggiormente la necessità di verifica della
simulazione. Per molti anni si è parlato di sinistrosi o di sindrome da indennizzo,
mettendo in dubbio la reale natura dei sintomi. La neuropsicologia ha, nel tempo,
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dimostrato che questi sintomi possono essere reali, non escludendo la possibilità di
una simulazione. Il problema maggiore è sorto dalla necessità di stabilire un tempo
accettabile durante il quale la sintomatologia persiste. Gli studi effettuati hanno
ottenuto risultati non univoci. È emerso, in diversi lavori, che la durata della sintomatologia varia in relazione al contesto in cui l'incidente è avvenuto e al fatto
che il paziente abbia in corso una causa per rimborso danni(235). Indagando l'andamento a lungo termine dei cambiamenti emotivi e cognitivi nei traumatizzati cranici è stato rilevato che si ha una remissione nel tempo della sintomatologia soggettiva e che la patologia residua è maggiormente a carico dell'area cognitiva, con
danni evidenti(53).
DISTURBI FITTIZI
Una condizione clinica differente dalla simulazione è costituita dai disturbi
fittizi. Anche la loro incidenza, così come per la simulazione, non è nota e non ci
sono studi attendibili di rilevazione di tali dati. Esistono però delle condizioni che
possono soddisfare, in molti pazienti traumatizzati, i criteri diagnostici per una tale
condizione clinica. Come nella simulazione l'individuo produce intenzionalmente i
sintomi, ma ha uno scopo che non prevede un vantaggio esterno. La motivazione è,
infatti, di natura psicologica; il soggetto ha bisogno di assumere il ruolo di malato,
ma è un incentivo interno che lo spinge a fingere un tale comportamento.
I criteri del DSM IV(8) per la diagnosi di disturbi fittizi sono i seguenti:
• produzione intenzionale di segni o sintomi fisici o psichici;
• comportamenti la cui motivazione è di assumere il ruolo di malato;
• assenza di incentivi esterni (per esempio, vantaggi economici o evitamento di
responsabilità legali o il miglioramento del proprio benessere come nella simulazione).
In questi casi il vantaggio psicologico è determinato, molto spesso, dalle modifiche che sono subentrate nella vita quotidiana, dopo che il paziente ha mantenuto un tale comportamento, in seguito all'evento traumatico. In genere questi sono
pazienti ai quali la condizione di malattia ha favorito un vissuto emotivorelazionale di tipo più gratificante, da parte dell'ambiente socio-familiare circostante. I soggetti con disturbi fittizi, e maggiormente quelli con segni e sintomi
fisici predominanti, possono presentare abuso di alcool e/o di sostanze.
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DISTURBI IN SOGGETTI CHE ABUSANO DI ALCOOL E
DI SOSTANZE STUPEFACENTI
Frequentemente i soggetti che fanno uso o che abusano di alcool o di sostanze
stupefacenti possono, per la mancata integrità del sensorio, andare incontro ad
incidenti tali da procurare loro un trauma cranico, talora anche severo. In pazienti
che abusavano di sostanze già prima dell'incidente è facile ritrovare tale comportamento anche dopo, considerato che, spesso, il trauma cranico peggiora taluni
tratti caratteriali.
Ma se è vero che sovente l'abuso precede il trauma, è pur vero che, altrettanto
frequentemente, si ravvisano casi clinici nei quali la dipendenza è subentrata all'evento lesivo. Per le modifiche personologiche è facile, infatti, che il paziente
possa essere persuaso a seguire l'esempio, positivo o negativo, di chi lo circonda. È
comune ritrovare soggetti che, a causa del trauma cranico, presentino un notevole
decremento della propria autostima. In queste condizioni il paziente tende a ricercare negli altri approvazione, adottandone i comportamenti convinto di potere
essere accettato, e aumentando l'autostima.
L'abuso di alcool e/o di sostanze stupefacenti, nei traumatizzati cranici, determina un notevole peggioramento dei disturbi cognitivi. In questa evenienza il
lavoro riabilitativo è notevolmente inefficace.
SINDROME DI GANSER
Questo disturbo dissociativo descritto per la prima volta da Ganser nel 1898
come caratteristico dei carcerati, può comparire anche nei traumatizzati cranici.
Consiste in uno stato crepuscolare con frequenti componenti oniroidi (allucinazioni visive o rappresentazioni fantastiche), durante il quale il paziente mima quello
che per lui è il concetto "pazzia". Tipicamente fornisce le cosiddette risposte di
traverso, cioè risposte assurde ed illogiche anche a semplicissime domande. Si
ravvisa in tali soggetti una forte connotazione affettiva che arricchisce il quadro.
Questa condizione clinica è spesso determinata da eventi stressanti, come l'attesa
di un indennizzo.
La sindrome di Ganser può essere posta in una posizione intermedia fra gli
stati di simulazione cosciente e quelli a motivazione inconscia(183).
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
Lo sviluppo di tale disturbo è conseguente ad un avvenimento in cui:
la persona ha vissuto, assistito o si è confrontata con un evento che ha implicato
morte, minacce di morte o gravi lesioni alla propria o all'altrui persona;
• la risposta all'evento è stata di paura intensa con sentimenti di orrore o d'impotenza.
L'avvenimento viene rivissuto persistentemente sotto forma di ricordi spiacevoli, a carattere intrusivo, che comprendono immagini, pensieri o percezioni e
l'individuo agisce come se l'evento traumatico stesse ripresentandosi. Sono presenti sogni ricorrenti dell'accaduto e reattività o disagio psicologico, a fattori scatenanti, che simbolizzano o assomigliano all'evento traumatico. Il soggetto mette in
atto una serie di strategie al fine di evitare gli stimoli associati al trauma.
La reale incidenza di questo quadro clinico nei traumatizzati cranici non sembra essere, per quanto riportato dalle indagini epidemiologiche più recenti, molto
significativa.
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IDROCEFALO POST-TRAUMATICO
Un idrocefalo acuto, che si manifesta clinicamente con sopore, postura in decerebrazione, dilatazione pupillare ed arresto respiratorio, può rappresentare una
temibile complicanza nelle prime ore dopo un trauma cranico che comporti uno
spandimento ematico nelle cisterne basali. In questi casi l'intervento di derivazione
liquorale si impone.
Chi ha riportato un trauma cranico moderato o grave con un danno cerebrale
diffuso può presentare, a distanza di settimane o mesi dall'evento, un idrocefalo
cronico con una sintomatologia caratterizzata da disturbi cognitivi di tipo demenziale con rallentamento ideo-motorio e turbe della memoria, associati a disturbi
della deambulazione ed incontinenza urinaria. Spesso però i sintomi non sono così
tipici.
Gli esami neuroradiologici, TC e RM, possono documentare una dilatazione
ventricolare, ma si pone la necessità di una diagnosi differenziale fra idrocefalo
cronico e dilatazione ventricolare ex vacuo da atrofia sottocorticale. La conclusione non sempre è certa ed agevole in quanto una dilatazione ventricolare si ritrova
nel 29-72% dei pazienti che hanno subito un grave trauma cranico. Tale variazione
di incidenza dipende dal tipo di trauma e dai criteri di valutazione adottati. Questo
pone molte ipoteche sulla riuscita del trattamento di derivazione liquorale. Dubbi
che neppure la misurazione della pressione intracranica ed il ricorso agli esami
RM per lo studio della dinamica liquorale riescono sempre a dirimere(20).
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EPILESSIA POST-TRAUMATICA
Le crisi epilettiche post-traumatiche rappresentano un'importante complicazione dei traumi cranio-encefalici. Osservazioni su reduci di guerra che avevano
subito traumi cranici penetranti hanno messo chiaramente in relazione l'evento
traumatico con l'insorgere delle crisi epilettiche. Anche fra i civili, dove i traumi
cranici sono prevalentemente chiusi, si è comunque rilevata una correlazione significativa fra insulto cerebrale e crisi comiziali. Queste, sono definite immediate se
compaiono nei primi minuti dopo il trauma cranico, precoci se si manifestano entro la prima settimana. Dopo la prima settimana dal trauma si parla invece di crisi
epilettiche tardive. Ricorrenti episodi critici, di tipo comiziale, che si manifestino
ad una certa distanza da un trauma cranico, non attribuibili ad altre cause, caratterizzano l'epilessia cronica post-traumatica.
Il 20% delle epilessie sintomatiche osservate nella popolazione generale sono
secondarie a traumi cranio-encefalici, mentre rappresentano il 5% se rapportate a
tutte le epilessie.
L'insorgenza o meno di crisi comiziali è influenzata sia dal tipo di trauma sia
dalle caratteristiche dei pazienti.
L'incidenza di crisi precoci è approssimativamente del 5% fra tutti i traumi
cranici chiusi, mentre sale al 10% se vengono considerati solo i bambini. Questi
ultimi, se colpiti da severi traumi cranici, presentano crisi immediate nel 50-80%
dei casi. Crisi comiziali precoci sono invece osservate occasionalmente in bambini
con traumi cranici lievi, mentre sono rare negli adulti. Nei traumi cranici chiusi,
ma con emorragia intracranica, sono di più facile riscontro le crisi epilettiche precoci.
L'incidenza complessiva di epilessia tardiva in pazienti ospedalizzati per
traumi cranici chiusi varia dal 4% al 7%. L'epilessia tardiva è di riscontro meno
frequente nei bambini. Va segnalato che se il trauma cranico chiuso è di lieve entità, l'incidenza di crisi comiziali immediate e precoci o di epilessia cronica non si
discosta significativamente rispetto a quanto osservato nel resto della popolazione.
Se invece il trauma cranico è penetrante, l'epilessia post-traumatica si osserva dal
35% al 50% dei casi.
Nel primo anno dal trauma il rischio di sviluppare epilessia è 13 volte maggiore che nella popolazione generale. Nei successivi 4 anni è circa 4 volte maggiore, mentre oltre il quinto anno non è dimostrabile un evidente aumento del rischio.
In sostanza, dal 50% al 75% dei pazienti che soffrono di epilessia post-traumatica
hanno manifestato la prima crisi entro i primi 12 mesi ed il 75-80% entro la fine
del secondo anno dal trauma cranio-encefalico. A rischio per l'insorgenza di queste
sequele sono considerati i pazienti che hanno già presentato un'epilessia precoce o
quelli con fratture depresse della volta cranica, con ematomi intracranici evacuati
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
chirurgicamente e con focolai lacero-contusivi parenchimali.
Le crisi sono solitamente di tipo parziale, semplice o complesse, ma sono segnalate anche crisi generalizzate tipo grande male. È presumibile che la stragrande
maggioranza delle crisi descritte come grande male siano in realtà forme parziali
secondariamente generalizzate.
Solo in un terzo dei casi di epilessia post-traumatica si assiste, dopo alcuni
anni, alla scomparsa degli eventi critici.
Considerata la rilevanza del fenomeno, si pone il problema della terapia.
Le crisi comiziali immediate ben difficilmente sono trattate in quanto, nell'immediatezza dell'evento, quasi sempre non è possibile somministrare, per via
endovenosa o rettale, delle benzodiazepine.
Le crisi epilettiche precoci sono controllate da benzodiazepinici e, in caso di
stato di male epilettico, cioè di crisi subentranti, si utilizza fenitoina in infusione
venosa.
Il farmaco di prima scelta nell'epilessia cronica post-traumatica è la carbamazepina.
È invalso ancora l'uso di instaurare una terapia profilattica con barbiturici o
altri farmaci anticomiziali in tutti i pazienti che hanno subito un trauma cranioencefalico, anche senza l'evidenza di crisi comiziali. L'efficacia di questo atteggiamento per prevenire l'insorgenza di un'epilessia cronica non è stata ancora dimostrata, neppure dove vi sia un coinvolgimento lesivo meningo-cerebrale o nei
casi che necessitano di interventi di craniotomia. Noti invece gli effetti collaterali
associati al trattamento farmacologico e per questo, in considerazione del rapporto
costo/beneficio, tale pratica va scoraggiata.
Al di là della severità del trauma cranico, è indubbio che lo svilupparsi di
un'epilessia cronica post-traumatica può compromettere non poco lo stato funzionale e cognitivo dei pazienti. Le funzioni cognitive possono essere inoltre influenzate negativamente dalla cronica assunzione di antiepilettici. Spesso questi farmaci
condizionano le fasi dell'apprendimento, specie nei più giovani. Va comunque
segnalato che la carbamazepina, rispetto ad altri antiepilettici, mostra minori effetti
collaterali negativi sulle funzioni cognitive(91,98,107,195,213,236).