STAMPA 3D Una rivoluzione che cambierà il mondo? a

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STAMPA 3D Una rivoluzione che cambierà il mondo? a
CONFRONTI
STAMPA 3D
Una rivoluzione che cambierà il mondo?
a cura di
Cesare Galli e Antonio Zama
Questa pubblicazione è stata realizzata con il significativo contributo del “Consorzio
ecoR’it, sistema collettivo per la gestione dei RAEE di utenti domestici e professionali”
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ISBN 978-88-95922-56-0
Prima edizione novembre 2014
© Copyright 2014 Filodiritto Editore
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Stampato da Rabbi S.r.l., Via del Chiù, 74, Bologna
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e Autorizzazione per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana, 108 - 20122 Milano.
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SOMMARIO
PREFAZIONE
Cesare Galli e Antonio Zama
9
PRECISAZIONI REDAZIONALI
11
INTRODUZIONE
Francesco Pignatelli
12
PARTE PRIMA
TEMI
Distruzione creativa? Stampanti 3D, nuovi metodi di
produzione e vecchie paure
Alberto Mingardi
20
Le società attive nella stampa in 3D: quotazione sui mercati,
andamento e prospettive
Francesco Carlà
33
Sommario
L’avvento della manifattura additiva: sviluppi tecnologici e
modelli di business
Maurizio Sobrero
6
39
stampanti 3D e proprietà intellettuale: opportunità e problemi
di una possibile rivoluzione tecnologica
Cesare Galli e Alberto Contini
47
Le stampanti in 3D, scenari futuri anche di tutela IP
Daniela Mainini
84
IT: misure di sicurezza per la tutela del patrimonio
e per evitare le frodi aziendali
Gabriele Amato e Michele Amato
90
Accordi di riservatezza e contrattualistica
Antonio Zama
107
I profili ambientali di una tecnologia rivoluzionaria
Mara Chilosi e Andrea Martelli
119
PARTE SECONDA
SCENARI
La stampa 3D nei Fab Lab: presente e futuro
Andrea Danielli
128
Nuove tecnologie 3D nello studio e nel trattamento delle
patologie Maxillo-Facciali
Claudio Marchetti, Alberto Bianchi, Luigi Piersanti
e Giovanni Badiali
137
Sommario
3D: dalla fictio alla fusion
Gian Luca Tusini
7
151
La tomografia tridimensionale a supporto della conservazione e
valorizzazione dei nostri Beni Culturali
Franco Casali, Matteo Bettuzzi, Rosa Brancaccio, Maria Pia Morigi
e Eva Peccenini
165
Restaurare il cielo e rifare la terra. I globi di Vincenzo Coronelli
alla Biblioteca Comunale di Faenza
Nicolangelo Scianna
185
PARTE TERZA
ESPERIENZE
Le stampanti 3D italiane.
L’esperienza di Digital Wax Systems (DWS S.r.l.)
Maurizio Costabeber
202
L’esperienza di MakeTank S.r.l.
Laura De Benedetto
209
L’esperienza di Eliofossolo S.r.l.
Enrico De Guglielmo
218
3dmakers@School.
L’esperienza del Liceo Malpighi di Bologna
Andrea Zanellati
223
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Cesare Galli e Antonio Zama
232
“3D printing has the potential to
revolutionize the way we make
almost everything. The next industrial
revolution in manufacturing will happen
in America. We can get that done”
Barack Obama
PREFAZIONE
Se ogni lavoro sulle nuove tecnologie nasce necessariamente con il
peccato originale della obsolescenza istantanea, anche se programmato
per essere in costante divenire (e in questo la pubblicazione on line
è insostituibile strumento di aggiornamento), allora ciò è ancora più
vero per quest’opera, che nasce con la vocazione quasi provocatoria
di trattare da diversi punti di vista il tema della stampa 3D, sul quale
ormai più che quotidianamente si leggono novità davvero straordinarie
(anche nel senso strettamente etimologico del termine!), in relazione
ad utilizzi immaginati qualche tempo fa solo dalla narrativa giudicata
di fantascienza.
La nostra non è una variazione sul tema abusato della captatio benevolentiae, piuttosto una costatazione e, meglio, la spiegazione della natura dell’opera. Archiviate ansie di esaustività analitica abbiamo
pensato di coltivare il terreno della interdisciplinarietà sintetica, che
ci è parso essere ancora sperimentale con riferimento alla stampa 3D,
innovazione suscettibile di costituire la summa delle opportunità e insieme delle criticità delle nuove tecnologie.
Abbiamo, così, coinvolto studiosi, appassionati ed esperti di diversa
estrazione e competenza e chiesto loro non tanto di spiegare la realtà,
quanto di proporre temi e scenari in grado di aiutare il lettore a com-
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prendere il fenomeno, facendo leva sulla complementarietà dei punti
di vista differenti e sulla curiosità stimolata dal disporre di molteplici
chiavi di lettura. Il tentativo di fotografare la realtà proviene invece dai
contributi della sezione esperienze, nella quale abbiamo dato la parola
alle imprese, con l’obiettivo di descrivere la propria storia e di suggerire
alcune fra le infinite applicazioni della tecnologia della stampa 3D.
Quello che si dice per le enciclopedie si può dire, mutatis mutandis
e ben più modestamente (e, prima ancora, diversamente), anche per
quest’opera, il cui piano ambizioso contempla un lavoro in divenire
con l’aggiornamento costante dei contributi esistenti e l’inserimento di
nuovi, con l’obiettivo di ampliare lo spettro della ricerca ad altri ambiti
(ad esempio, tra i tanti, la filosofia del diritto, il diritto del lavoro, la
sociologia, sia economica che del lavoro, la chimica dei materiali).
Non deve stupire che l’idea dell’opera provenga da giuristi; ci pare
anzi che la curiosità di conoscere fenomeni e di individuarne le implicazioni sulla persona, sulla società e sui relativi rapporti, sia un indispensabile spunto non tanto per discutere sul governo dei medesimi
(come il giurista normalmente pretende di fare), quanto per cercare
di scoprirli nella realtà (come ci ha insegnato e raccomandato Bruno
Leoni), per quanto assurdo questo verbo possa suonare se associato alle
nuove tecnologie.
A maggior ragione non possiamo concludere questa breve prefazione senza ringraziare con convinzione gli autori degli interventi, che
hanno aderito all’iniziativa lasciando i lidi della ricerca più sicura e
tranquilla per addentrarsi in terreni parzialmente inesplorati, e ai quali
abbiamo lasciato ampia libertà di utilizzare forme e strumenti di indagine ritenuti più appropriati o comunque più conformi al proprio
spirito.
Milano-Bologna, 7 ottobre 2014
Cesare Galli e Antonio Zama
Precisazioni redazionali
Trattandosi di una collettanea di contributi, provenienti da Autori che operano in settori disciplinari differenti, si è ritenuto di non
svolgere l’usuale editing che tende a uniformare e omologare il più
possibile i testi, ma di lasciare libertà redazionale agli Autori medesimi,
con la conseguenza che certe espressioni vengono utilizzate da taluni
in maniera difforme (si veda, per tutti, la sigla relativa alla stampa, da
qualcuno indicata con 3d, da altri con 3D, da altri ancora anteponendo alla sigla la preposizione “in”).
Stesso dicasi per le citazioni, da alcuni indicate col corsivo, da altri
con le virgolette alte o caporali, da altri ancora con un uso difforme dei
margini (in questo caso ridotti).
Si è anche scelto di non utilizzare il corsivo per le parole straniere,
tenuto conto della grande quantità di termini presenti nel testo in lingue differenti dall’italiano, al fine di non appesantire la forma e rendere
il tutto più fruibile. In corsivo si sono lasciati, pertanto, solo termini
in latino e parole in italiano che, per significato e pregnanza, gli Autori
hanno deciso di sottolineare con tale forma.
I siti Internet si è scelto di indicarli omettendo http://www, lasciando la sola sigla www per indirizzi lunghi, articolati e complessi.
Il tutto, si rimarca ancora, non nasce da incuria o disattenzione
dei redattori, ma prende vita da una discussione di redazione, che ha
pensato di privilegiare l’autenticità e l’originalità dei contributi, al fine
di esaltare l’individualità e l’interdisciplinarietà di questo volume, che
vorrebbe essere, anche per questi motivi, un unicum in Italia.
INTRODUZIONE
di Francesco Pignatelli
Vivere una rivoluzione
Non capita tanto spesso di essere immersi in una rivoluzione dei
processi produttivi e di potersene rendere conto con i propri occhi.
Nei decenni recenti qualcosa del genere è accaduto solo con la diffusione progressiva dei personal computer, che a cavallo tra gli anni
Ottanta e Novanta hanno profondamente mutato il modo di lavorare
e poi di vivere – specie ora che di fatto il computer davvero personal è
lo smartphone che portiamo in tasca – per milioni di persone. Gli anni
Dieci di questo secolo sono segnati da una profonda rivoluzione nella
distribuzione della capacità produttiva, che progressivamente si sposta
dalla fabbrica tradizionale con le sue linee di montaggio a strutture più
piccole ed elastiche, delocalizzate e addirittura talvolta virtuali, grazie
alla potenza delle connessioni digitali.
Il fattore scatenante di tutto questo è la diffusione delle tecniche di
produzione additiva: è il cosiddetto Additive Manufacturing, che quasi
sempre viene identificato con la stampa 3D. Questa diffusione, unita
alla nascita di software di progettazione e design sempre più semplici
da usare e persino gratuiti, sta già permettendo a piccole aziende e a
singoli imprenditori di avviare processi produttivi estremamente elastici proprio perché slegati dai vincoli tradizionali della catena di montaggio e della produzione di massa. È già possibile oggi gestire produzioni
Francesco Pignatelli
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di piccoli lotti di oggetti, al limite anche singoli pezzi realizzati on
demand, a costi contenuti e una volta impensabili, usando stampanti
3D proprie o, più efficacemente per ora, servizi di stampa 3D conto
terzi che producono gli oggetti in pochi giorni e li consegnano in tutto
il mondo altrettanto velocemente.
Anche negli ambiti più tradizionali l’Additive Manufacturing sta
trovando largo impiego uscendo da quello che negli ultimi anni è stato
il suo uso più tipico, ossia la prototipazione rapida. La stampa 3D permette infatti di realizzare oggetti con forme che sarebbero impossibili
da ottenere mediante il classico stampaggio a pressione di plastiche
o metalli fusi, come anche consente di costruire come blocchi unici
oggetti che di norma nascono dall’assemblaggio di più componenti,
con implicazioni ovvie e importanti per quanto riguarda la robustezza
complessiva degli oggetti stessi. Per capire meglio tutte queste implicazioni, però, conviene esaminare la stampa 3D da un punto di vista
più tecnico.
Strato per strato
La stampa 3D è una tecnica di tipo additivo perché gli oggetti vengono realizzati progressivamente strato per strato, a differenza di altre
tecniche cosiddette sottrattive perché arrivano al prodotto finale eliminando materiale da un blocco di partenza, come accade ad esempio per
il tornio. Sintetizzando e semplificando molto, l’oggetto da stampare
viene progettato con un software di CAD o modellazione tridimensionale, poi viene suddiviso virtualmente in “fette” orizzontali di spessore
ben inferiore al millimetro. Questa scomposizione in strati sottilissimi
viene opportunamente convertita in un file di dati comprensibili per
una stampante 3D, che provvede a realizzare i singoli strati uno per
uno. Dato che ognuno di essi è generato usando materiale plastico o
metallico portato ad alta temperatura, ogni singolo strato si fonde au-
Francesco Pignatelli
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tomaticamente con quelli sottostanti man mano che viene completato.
Oggi questo modello generico di lavoro si declina essenzialmente
in due tecniche: il SLS (Selective Laser Sintering) e il FDM (Fused
Deposition Modeling). Nel primo sistema un raggio laser opportunamente pilotato colpisce uno strato di polvere, plastica o metallica,
finissima: nel punto colpito dal raggio la polvere si fonde e costituisce
un punto (solido) corrispondente al punto virtuale del singolo strato
dell’oggetto progettato. Completato uno strato dell’oggetto si depone
un nuovo strato di polvere e il raggio laser “disegna” lo strato successivo
dell’oggetto, e così via fino all’ultimo. Liberato della polvere in eccesso,
a questo punto il nostro oggetto è pronto.
Il FDM è una tecnica molto più economica che ricorda il funzionamento di una classica stampante a getto d’inchiostro per documenti
cartacei. Stavolta a tracciare i punti degli strati di un oggetto è una
testina di stampa – in gergo tecnico un estrusore – che deposita piccolissime gocce di materiale plastico fuso (che entra nell’estrusore sotto
forma di filamento proveniente da una vera e propria bobina). Anche
in questo caso ogni goccia si fonde con le sue vicine per l’alta temperatura a cui è depositata.
Da queste descrizioni un (bel) pò riduttive – i dettagli tecnici sottostanti sono molti di più ma vanno oltre l’ambito di queste pagine
– si cominciano a intuire le principali differenze tra i due sistemi. Il
laser sintering, o sinterizzazione, garantisce un’alta precisione di tracciamento e permette di utilizzare qualsiasi materiale che possa essere
in qualche modo ridotto in polveri “laserabili”. Con la sinterizzazione
si producono oggetti tanto in materiali plastici quanto in leghe metalliche, con una precisione e un’efficacia tali che lo stesso ente spaziale
americano, la NASA, usa questa forma di manufacturing additivo per
alcuni componenti dei propulsori dei vettori spaziali di nuova generazione. In campo medicale, per fare un altro esempio immediato, si usa
già da tempo la sinterizzazione di polimeri plastici sensibili fotosensibili, usando un raggio ultravioletto invece di un laser, per la produzione
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di protesi dentarie.
Dal canto loro le stampanti a deposizione di materiale plastico fuso
pagano il fatto che un estrusore non sarà mai veloce e preciso quanto
un raggio laser: sono quindi molto più lente e assai meno precise. Anche la scelta dei materiali da usare è più limitata, perché quasi sempre
è ridotta all’ABS, una plastica molto diffusa e di derivazione petrolio,
e al PLA, una plastica di derivazione vegetale e per questo biodegradabile. L’asso nella manica – vincente quando si tratta di applicazioni
di fascia (relativamente) bassa – delle stampanti a deposizione è il costo: se una unità in sintering ha un cartellino del prezzo nell’ordine
dei 100-150mila euro – e da qui a salire – una stampante FDM è un
oggetto volendo anche “personal”, da 1.500-2.000 euro per i prodotti
commerciali più noti a 500-600 per chi ha le competenze e la passione
di assemblarne una a mano partendo dai componenti di un progetto
open source.
Basteranno questi prezzi a portare una stampante 3D su ogni scrivania? Probabilmente no, perché nella gran parte dei casi non ce ne
sarà bisogno. Da un lato i principali servizi di stampa 3D (ad esempio, tra gli altri, Shapeways, i.Materialise, Ponoko) stanno abbassando
i loro costi e semplificando le loro procedure, in modo che utenti mediamente tecnici possano stampare ad alta qualità i loro oggetti senza
investire in macchinari. Dall’altro lato cresce costantemente il numero
dei Fablab presenti sul territorio: sono centri aperti al pubblico che
possono acquistare stampanti di fascia anche media e metterle a disposizione dei visitatori, in una logica di condivisione delle risorse che ben
si adatta alle nuove logiche di produzione decentrata e che permette
di ammortizzare i costi d’acquisto delle stampanti “distribuendoli” nel
tempo e su un gran numero di utenti.
Per un verso o per un altro, quindi, man mano che il concetto stesso
di stampa 3D e gli strumenti software a essa necessari raggiungeranno
un pubblico più ampio, saranno anche già disponibili i centri stampa,
fisicamente vicini o lontani poco importa, per produrre oggetti. Acqui-
Francesco Pignatelli
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stare una stampante 3D “personal” sarà sempre più economico e semplice per gli appassionati, ma mai obbligatorio per il grande pubblico,
così come oggi non è obbligatorio ad esempio portarsi in casa una
stampante in grado di stampare le nostre fotografie in grande formato
a elevata qualità: chi vuole può certamente farlo per passione, gli altri
hanno a disposizione vari servizi di stampa fotografica ad hoc.
Guardando al futuro
La stampa 3D è un comparto tecnologico che in questa fase ha
una evoluzione tecnica molto veloce e che segue strade molto diverse,
a volte difficilmente immaginabili, e per questo non è semplice fare
previsioni azzeccate su dove ci porterà anche solo tra uno o due anni.
Solo qualche tempo fa molti pensavano che la sua applicazione di massa più evidente sarebbe stata la produzione autonoma di piccoli pezzi
di ricambio per gli elettrodomestici di casa; oggi, invece, vediamo sfilare sulle passerelle delle Fashion Week di Parigi e New York abiti e
accessori completamente realizzati con la stampa 3D. Nessun tecnico
l’avrebbe mai immaginato. Oggi è chiaro che la stampa 3D è una tecnologia abilitante e non fine a se stessa, quindi c’è sempre la possibilità
che qualcuno ne inventi una nuova applicazione fino a quel punto
imprevista. Ciò premesso, alcune direttive di sviluppo più evidenti di
altre ci sono.
In primo luogo si sta lavorando assiduamente ad ampliare la gamma di materiali utilizzabili per la stampa, andando oltre le plastiche e
i metalli di base. È un passo indispensabile per rendere la stampa 3D,
specie quella a deposizione, più versatile e immediatamente percepibile
come “utile” da parte del pubblico di massa. Nel segmento delle stampanti a sinterizzazione, che sono già in grado di stampare con materiali
plastici diversi e in modalità multicolore, la sfida è quella dei metalli
e delle leghe. Oltre ai classici acciaio, ottone e bronzo oggi è possibile
Francesco Pignatelli
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stampare con titanio, platino e argento, il che permette di spingere la
stampa 3D in un settore fondamentale come quello dell’oreficeria. Le
stampanti a deposizione hanno una modalità di funzionamento più
limitante ma si stanno anch’esse evolvendo velocemente: in primis si
progettano unità con più estrusori per usare plastiche o colori diversi
durante lo stesso processo di stampa, ma soprattutto si punta su nuovi
materiali da rendere disponibili sempre sotto forma di filamento.
Si può ad esempio “stampare in legno” usando un filamento nato
dalla combinazione di un materiale plastico con un particolato legnoso
e anche colmare – molto parzialmente – il divario con le stampanti a sinterizzazione stampando in metallo, più precisamente usando
un filamento in cui la plastica è combinata con una polvere metallica,
di solito bronzo. Si stanno anche sviluppando nuovi polimeri plastici,
studiati da zero per la stampa 3D e non, come per ABS e PLA, nati per
usi diversi e “riciclati” all’Additive Manufacturing. Trasversalmente a
qualsiasi evoluzione tecnologica c’è poi quella economica: man mano
che la stampa 3D interessa sempre più le aziende, i professionisti e il
grande pubblico, cresce il suo mercato potenziale e si abbassano i costi
dell’hardware e dei servizi collegati. Ancora una volta, il paragone con
la diffusione del personal computing ci pare azzeccato, anche perché
potenzialmente nessun settore applicativo è escluso a priori.
Più avanti di tutto questo c’è ciò che viene sperimentato nei laboratori e che talvolta si guadagna gli onori della cronaca. Ci sono
stampanti additive che depositano cellule invece di polimeri plastici e
permettono quindi di costruire componenti organici che potrebbero
sostituire parti malfunzionanti del nostro corpo. Ci sono stampanti
3D capaci di operare a livello subatomico e creare in questo modo
micro-componenti altrimenti inimmaginabili, tanto da far ipotizzare
nano-robot con amplissimi raggi d’azione in qualsiasi settore. I frutti
di queste sperimentazioni, che peraltro in vari casi sono già parecchio
avanzate, toccheranno il grande pubblico solo tra diverso tempo, ma le
loro radici si stanno formando in questi anni, o anche mesi. Ecco per-
Francesco Pignatelli
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ché affermare che stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione non
è eccessivo o sensazionalistico. Anzi, a volte rischia persino di essere
riduttivo.
Note biografiche dell’autore
Francesco Pignatelli è un giornalista professionista milanese, che si occupa di digital manufacturing da alcuni anni. In precedenza ha collaborato con
le principali testate italiane del settore informatico, dal 1995 in poi.
PARTE PRIMA
TEMI
Distruzione creativa? Stampanti 3D, nuovi metodi di produzione
e vecchie paure
di Alberto Mingardi
Come “succede” l’innovazione? Siamo talmente abituati a vivere in
una società nella quale nuovi prodotti appaiono a getto continuo, da
considerarlo “normale”. Prima della rivoluzione industriale, però, le
cose andavano assai diversamente.
Per secoli, ad esempio, nulla è cambiato nella velocità con cui ci
spostavamo nel mondo. Nel corso di neanche cento anni, invece, la
gran parte dell’umanità ha conosciuto il treno, le navi a vapore, l’aereo.
“Il capitalismo moderno non soltanto non era progettabile: non era
immaginabile”, ha osservato Sergio Ricossa1.
Mettetevi nei panni di un giovane povero di mezzi, e ricco di fantasia, che desiderasse vedere l’Europa. Nel primo Ottocento, non l’avreste potuto fare che a piedi, sperando nell’occasionale aiuto di qualche
calesse di passaggio. Cent’anni dopo, avreste potuto acquistare un biglietto di terza classe e viaggiare in treno. Oggi, non c’è grande capitale
europea che non sia a pochi euro di distanza, con un volo low cost.
Oppure pensiamo alla scienza medica. Il modo in cui l’“industria”
della salute è diventata tale ci ha consentito di imparare a “fare conto”, come fosse una certezza rassicurante, su cure sempre migliori. Nel
1 Voce “Capitalismo” dell’Enciclopedia delle scienze sociali Treccani, 1991.
Alberto Mingardi
21
nostro Paese, nel 1861 ogni 1000 bambini ne morivano 250 nel primo
anno di vita. Negli anni Sessanta, 47. Ancora a inizio anni Cinquanta
malattie infettive, dell’apparato respiratorio e gastroenteriche erano fra
le principali cause di morte2.
L’innovazione, il continuo miglioramento delle tecnologie – ma
anche delle tecniche di gestione e dei modi di organizzazione del lavoro – è quindi una costante del mondo moderno. Ogni innovazione,
è il caso di dirlo, fa storia a sé. È senz’altro vero che gli investimenti
in ricerca e sviluppo contano – ma se bastasse spendere tanti soldi,
per raccogliere idee innovative, lo Stato sarebbe sempre l’innovatore
di maggior successo (tesi cara a Mariana Mazzucato3). Ma non basta
accumulare quattrini per realizzare prodotti sempre diversi e migliori.
È il capitale umano a fare la differenza? Certamente non c’è innovazione che possa prescindere dalla presenza di persone creative, e
tuttavia, come ha osservato in un libro recente Edmund Phelps4, la
macchina a vapore è arrivata prima della termodinamica.
Le ricerche sul tema occupano intere biblioteche. Joel Mokyr ha
sostenuto che la rivoluzione industriale ha inizio in conseguenza di
un autentico “illuminismo industriale”5. Per la prima volta, cioè, tutta
una serie di competenze tecnico-scientifiche viene attivata a vantaggio
della produzione. Il mondo degli scienziati e quello degli artigiani non
restano radicalmente separati, come era stato fino ad allora, quando
Cfr. Vincenzo Atella, Silvia Francisci e Giovanni Vecchi, “Salute”, in Giovanni Vecchi (a cura di), In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità
a oggi, Bologna, Il Mulino, 2011, 73-130.
3 Cfr, Mariana Mazzucato, Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il
privato, Bari, Laterza, 2014 (2013).
4 Edmund Phelps, Mass Flourishing. How Grassroots Innovation Created Jobs, Challenge, and Change, Princeton, Princeton University Press, 2013, 11.
5 Cfr. Joel Mokyr, I doni di Atena. Le origini storiche dell’economia della conoscenza,
Bologna, Il Mulino, 2004 (2003) e Id, The Enlightened Economy. An Economic History
of Britain 1700-1850, New Haven, Yale University Press, 2010.
2 Alberto Mingardi
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conoscenze teoriche e sapere “utile” non avevano nulla da dirsi. Gli
abitanti della repubblica delle lettere cominciano a parlarsi con i cittadini del Paese del fare. Ciò è possibile anche in virtù del fatto che
proprio il progresso tecnico è un formidabile vettore di diffusione della
conoscenza: il costo dell’accesso al sapere si riduce notevolmente. Lo
dimostrano talune riviste che cominciano ad avere diffusione nell’Inghilterra di inizio Ottocento: giornali rivolti alla parte produttiva della
popolazione, che raccontano nuovi prodotti e nuove tecniche produttive in un linguaggio semplice, perfettamente comprensibile da chi
vorrebbe poterli imitare.
Deirdre McCloskey ritiene che a fare la differenza è il nuovo apprezzamento sociale di certe figure e di certe professioni. Perché si possa discutere delle conoscenze rilevanti per “fare cose nuove”, è necessario che quanti sono impegnati, quotidianamente, nello svilupparle,
possano guardarsi allo specchio e sapere che stanno facendo qualcosa
d’importante. Per McCloskey, a segnare la nascita del capitalismo è
una rivoluzione del vocabolario sociale: essa precede e non segue l’epoca delle prime grandi innovazioni. L’abbassamento dei costi delle
transazioni grazie ai nuovi mezzi di trasporto e comunicazione, l’affinamento delle conoscenze tecniche, l’ampia disponibilità di carbone,
gli scambi internazionali, la stabilità politica e la tutela dei diritti di
proprietà, le enclosures e la formazione di classi sociali in grado di
finanziare lo sviluppo: nulla di tutto ciò basta, secondo McCloskey, a
spiegare la grande discontinuità della rivoluzione industriale.
Servono tutte queste cose assieme, e un discorso pubblico che comincia a riconoscere dignità alla figura dell’imprenditore e ai bisogni
del consumatore6. Nella prospettiva della storica americana, “Hume
e Smith, Locke e Montesquieu”, ovvero i padri fondatori del liberalismo, sono coloro che hanno “articolato un vocabolario etico e politico
Cfr. Deirdre McCloskey, Bourgeois Dignity. Why Economics Can’t Explain the Modern World, Chicago, University of Chicago Press, 2011.
6 Alberto Mingardi
23
per la società commerciale”7.
Se capitale e capitale umano non bastano per spiegare la rivoluzione
industriale, nemmeno sono sufficienti per spiegare il modo in cui, ai
nostri giorni, l’innovazione continua ad “accadere”.
Risorse economiche e persone di qualità erano abbondantemente presenti nei Paesi dell’ex blocco di Varsavia, che dirigeva le une e
le altre verso quelle tecnologie che la leadership politica riteneva più
promettenti, ai fini di conseguire scopi “socialmente utili”. E ciononostante, per quanto brillanti siano stati i grandi scienziati sovietici, la capacità d’innovare non è fra le caratteristiche più comunemente ascritte
alle economie di piano. Tutt’oggi, la Cina sembra avere un problema
proprio sotto quel profilo. Secondo Ronald Coase e Ning Wang, la
“mancanza di innovazione nella scienza e nella tecnologia” è “il tallone
d’Achille del settore manifatturiero della Cina”.
La scarsità di innovazione e i rimanenti monopoli di Stato riducono
gravemente la gamma di opportunità d’investimento che gli imprenditori cinesi ritengono proficue. Prendere commesse manifatturiere
da altri piuttosto che inventare i propri prodotti diviene la strategia
dominante degli imprenditori della Cina. Senza un libero e aperto mercato delle idee, la Cina non può sostenere la propria crescita
economica, né riuscire a essere un centro globale dell’innovazione
tecnologica e della scoperta scientifica8.
Coase e Wang sottolineano come un libero mercato delle idee (flussi di informazione non controllati, una discussione pubblica aperta)
sia necessario per una ricerca scientifica davvero fruttuosa, che può
combinarsi con l’attività imprenditoriale. Istituzioni che consentono
7 Deirdre McCloskey, “Bourgeois Virtue and the History of P and S”, Journal of
Economic History, vol. 58, n. 2 (giugno 1998), 301.
8 Ronald Coase, Ning Wang, Come la Cina è diventata un Paese capitalista, Torino,
IBL Libri, 2014 (2012), 342.
Alberto Mingardi
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di provare ad essere diversi dagli altri rivestono grande importanza per
l’imprenditore stesso Vale la pena ricordare il ritratto dell’innovatore
che fece Joseph Schumpeter:
Nel cuore di colui che vuole introdurre il nuovo si sollevano gli elementi dell’abitudine a testimoniare contro il progetto ancora in embrione. Diventa così necessaria una nuova e diversa applicazione della volontà, oltre a quella che c’è già nel lottare all’interno del lavoro e
della cura delle cose di ogni giorno, per conquistare tempo e spazio al
fine di concepire ed elaborare le nuove combinazioni, e nel pervenire
a vedere in esse una possibilità reale e non semplicemente un sogno
o un passatempo. Questa libertà intellettuale presuppone una grande
eccedenza di energia al di là delle esigenze di tutti i giorni, è per sua
natura qualcosa di peculiare e di raro9.
L’innovazione è un “prodotto” dell’economia di mercato. Non è
un piatto cucinato dai decisori politici: non appare, ad esempio, in
corrispondenza con un certo mix di istituzioni politiche. E sarebbe
parimenti sbagliato considerarla esclusivamente come il risultato della
fame di conoscenza di scienziati e ricercatori.
Essa dipende dall’iniziativa degli imprenditori, e ambisce a rispondere ai bisogni dei consumatori: parola, questa, che con la sua comparsa segna il trionfo della società di mercato. Le domande degli individui, in quanto consumatori, acquistano un’importanza che mai avevano
avuto in un mondo dominato da élites per cui le attività commerciali
erano occupazioni volgari. Una società innovativa non potrebbe esistere, e di fatto non esiste, finché il consumatore non occupa il centro
della scena, finché cioè non sono i suoi bisogni, le sue necessità, il suo
stile di vita a diventare il termine ultimo di paragone.
In una società basata sulla libera impresa esistono figure (gli
Joseph Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, Firenze, Sansoni, 1977
(1911), 96.
9 Alberto Mingardi
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imprenditori) il cui mestiere è andare alla ricerca di opportunità di
profitto, che coincidono con la soddisfazione di talune esigenze dei
consumatori. La ricerca per la ricerca può essere un’avventura esaltante, ma quando discutiamo di innovazione discutiamo di strumenti,
di prodotti, di tecniche che provano a rispondere a bisogni di esseri
umani in carne ed ossa.
Questo non significa che non vi siano grandi innovazioni alle quali,
più o meno incidentalmente, attività finanziate dalla spesa pubblica
hanno fornito un grande contributo. Ma il coinvolgimento dei quattrini del contribuente non è condizione né necessaria né tantomeno
sufficiente per l’innovazione – mentre, viceversa, lo è il fatto che prodotti pensati a vantaggio delle esigenze concrete dei consumatori vengano immessi sul mercato da imprese orientate al profitto. Nel suo Lo
Stato innovatore, Mariana Mazzucato considera d’importanza relativa
questo “ultimo miglio” dell’innovazione. Aziende come la Apple, a suo
dire, farebbero poco più che mettere insieme “tecnologie esistenti”.
Il contributo degli imprenditori che pensano a vendere si limiterebbe
grosso modo al design dei prodotti. Al contrario, comprendere e in
alcuni casi anticipare cosa vuole il consumatore è il fatto cruciale delle
economie moderne, nelle quali nuovi prodotti e nuove tecniche vengono costantemente scremati dal giudizio di imprenditori (che decidono
su quali puntare), investitori (che decidono in che misura finanziarli)
e soprattutto consumatori (che premiano taluni prodotti, in un certo
contesto, accordandovi la loro preferenza).
Se questa è, abbozzata con una sintesi quasi greve, la grande trama
delle società innovative, come vi si inserisce la “manifattura additiva”?
Come verrà accolta questa ennesima innovazione? Ha davvero il potenziale per sovvertire l’esistente, scompaginando abitudini e rapporti
economici? Verrà sorretta o ostacolata dai governi?
Il boom delle stampanti 3D pare essere, di per sé, una grande storia
di innovazione imprenditoriale. Si tratta di un settore “dominato dal
settore privato”, nonostante vi sia stato anche l’investimento diretto di
Alberto Mingardi
26
alcune agenzie pubbliche statunitensi10.
Proprio perché ogni innovazione fa storia a sé, vale la pena notare
che il loro successo si fonda su diversi ingredienti. Da una parte, c’è il
progressivo affinamento di un metodo, la stereolitografia, brevettato
nel 1984 da Charles Hull, che aveva come fine essenzialmente la realizzazione rapida di prototipi. Il fatto che la stampa 3D oggi trovi così
ampia applicazione, apparentemente ha sorpreso lo stesso Hull11. E
non c’è da stupirsene: il passaggio dalla realizzazione di prototipi alla
produzione artigianale di oggetti non era per nulla scontato. Quando
si ricostruisce, a posteriori, il percorso di una nuova tecnologia, la tentazione è spesso quella di dare per scontato che apparisse logico e razionale farne un certo uso. Non è così. Matt Ridley, nel suo Un ottimista
razionale12, spiega il progresso con una metafora efficace: esso avviene,
scrive, quando le idee fanno sesso. È quando si accoppiano idee diverse, che nascono cose nuove. L’ampliamento dei campi d’applicazione
delle stampanti 3D ne è una testimonianza.
L’effetto delle stampanti a basso prezzo di “MakerBot” è stato dirompente: ha moltiplicato esponenzialmente il numero di persone le
cui idee possono fare sesso, le une con le altre. Oggi basta un’occhiata a
un sito come “Thingverse” per capire l’entusiasmo suscitato dalla possibilità di una diffusione capillare della stampa 3D, per quanto per ora
Cfr. Christopher L. Weber, Vanessa Peña, Maxwell K. Micall, Elmer Yglesias, Sally A. Rood, Justin A. Scott e Bhavya Lal, The Role of the National Science
Foundation in the Origin and Evolution of Additive Manufacturing in the United States,
IDA Paper P-5091, November 2013, iv.
11 Cfr. Allison Diana, 3D Printing Inventor ‘Amazed’ At Healthcare Applications,
InformationWeek Healthcare, June 10 2014, http://www.informationweek.com/
healthcare/leadership/3d-printing-inventor-amazed-at-healthcare-applications/d/did/1269565.
12 Cfr. Matt Ridley, Un ottimista razionale. Come evolve la prosperità, Torino, Codice
Edizioni, 2013 (2011).
10 Alberto Mingardi
27
il maggiore campo d’applicazione sembri essere il modellismo13.
Questo metodo produttivo sta incontrando, soprattutto nel nostro
Paese, mestieri e persone che avevano bisogno di una nuova prospettiva. Per realtà che pensavano di essere state messe alle corde dai Paesi
emergenti, in virtù di un costo del lavoro nettamente inferiore, si è
spalancato un nuovo “futuro artigiano”, per citare il titolo di un libro
di Stefano Micelli14. Il basso costo della manodopera smette di essere il fattore dirimente, e appare all’orizzonte la concreta possibilità di
mantenere vivo e prospero il proprio business, occupandosi di ciò che
ne è, in effetti, l’elemento qualificante (il design, la progettazione) e
invece arrivando a una delocalizzazione estrema della produzione. Non
a fabbriche in Paesi lontani, ma a “stampanti” che saranno ospitate in
appositi punti vendita.
All’affinamento di una tecnica produttiva, dunque, si affianca un
nuovo modo di lavorare e una rivoluzione nella distribuzione, che abbatte i costi di trasporto e, presumibilmente, anche quelli di formazione della manodopera.
Va da sé che è probabile che, a un certo punto, lo Stato si metta
di mezzo. Lo scorso anno, Cody Wilson ha allarmato le autorità statunitensi, rendendo disponibile un modello di suo disegno di pistola
tranquillamente “stampabile” in 3D. A Philadelphia, è stata rapidamente approvata una norma che sanziona l’autoproduzione di armi
Non sarebbe prudente, però, sminuire l’importanza del modellismo e dei giochi di
costruzioni: se il capitalismo moderno è anche un discorso, come suggerisce Deirdre
McCloskey, poche cose hanno aiutato tre generazioni di individui a familiarizzare con
la sua grammatica come questo passatempo. L’idea che con le proprie mani si possa
costruire qualcosa di utile e di funzionante, nutrita sin dalla più tenera età, appartiene
alle convinzioni diffuse della nostra società.
14 In quello stesso lavoro, tuttavia, Micelli esprime qualche perplessità circa la capacità
delle stampanti 3D di realizzare modelli paragonabili a quelli prodotti da artigiani.
Stefano Micelli, Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, Venezia,
Marsilio, 2011, 109.
13 Alberto Mingardi
28
con multe fino a duemila dollari. Il caso può apparire estremo e molto
“americano”, ma che senso avranno le norme che regolamentano e vietano la vendita e il possesso di armi da fuoco, se la loro autoproduzione
è alla portata di tutti?
Sono diverse le ipotesi circa il perché la fabbrica ad un certo punto
emerge come luogo della produzione capitalistica, soppiantando forme
di produzione decentrata. Fu una innovazione straordinaria, che cambiò in profondità la divisione del lavoro così come pure ritmi e modi
della vita delle persone. Si dice spesso che essa corrispose a un bisogno
di controllo degli operai da parte dei padroni. Impose la precisione degli orari e delle scadenze, andando a divellere le presunte piacevolezze
dell’agricoltura tradizionale, che seguiva il metronomo delle giornate
e delle stagioni. La fabbrica, però, era anche un “oggetto” controllabile e ispezionabile, con relativa facilità, dalle autorità pubbliche. Una
società segnata da grandi concentrazioni di manodopera è una società
a cui è più facile dire cosa produrre e cosa no, di quanto non lo sarebbe un’economia caratterizzata da strutture produttive disperse. Anche
per questo, l’opificio troneggiava nei progetti di quanti volevano porre
ordine nell’anarchia del mercato: era un tassello necessario, in ogni
tentativo di “progettazione” della società.
Fabbriche e uffici, luoghi nei quali l’imprenditore “ordina” anche
in senso spaziale i fattori produttivi, sono sopravvissuti sin qui ai loro
frettolosi necrologi. Ma se le stampanti 3D dessero la spallata finale, è
tutto da vedere quale sarebbe la reazione dei governi. Le pretese più o
meno blande di controllare la produzione (sancendo la differenza fra
attività lecite e meno, ma anche più banalmente pianificando, tramite
i piani regolatori, gli spazi in cui è possibile realizzare o meno una certa
attività15) ne verrebbero inevitabilmente ridimensionate. Non si tratta
Sull’attività di pianificazione urbanistica come pianificazione economica, cfr. Stefano Moroni, La città del liberalismo attivo. Diritto, piano, mercato, Novara, Città
Studi, 2007.
15 Alberto Mingardi
29
soltanto di oggetti “sovversivi” come le rivoltelle, ma potenzialmente di tutti quei prodotti che, per le ragioni più diverse (in apparenza
sempre commendevoli, per esempio la tutela della salute, talora legate
alla difesa di interessi di determinati produttori), sono regolamentati
al millimetro. È ipotizzabile che gli Stati non se ne accorgano, o non
cerchino di reagire?
La stampa tridimensionale comincia appena ad entrare nel cono
d’attenzione dei governi.
Gli Stati Uniti, dove il governo federale dal 2012 sostiene il National Additive Manufacturing Innovation Institute (frutto di una
partnership pubblico-privata), appaiono entusiasti della manifattura
additiva, che parrebbe essere uno dei tasselli fondamentali per il remanufacturing americano, il rientro in patria di produzioni che erano
state totalmente esportate negli scorsi anni. Ma giova ricordare che i
decisori politici tendono a prendere le parti degli interessi costituiti, i
quali a loro volta non amano l’innovazione (“non è, in generale, il padrone delle diligenze a introdurre le ferrovie”)16. Anche Uber sta rivoluzionando il trasporto di passeggeri a pagamento, spiazzando le forme
tradizionali di organizzazione di quel servizio. I tassisti sono sul piede
di guerra e venderanno cara la pelle. Essi rappresentano un interesse
concentrato, che ha molto da perdere a causa dell’innovazione: il beneficio diffuso per i consumatori è invece modesto. È naturale dunque
che i tassisti si facciano sentire con più forza e determinazione degli
utenti. Politici e amministratori locali tenderanno per quanto possibile
ad ascoltarli, anche perché avranno l’impressione (corretta) che in un
caso ci sia in gioco il supporto, sicuro e facilmente “pesabile”, di una
certa categoria di persone, mentre dall’altra hanno a che fare con consumatori volubili, i quali è abbastanza improbabile abbiano per prima
preoccupazione, la mattina, il costo o le modalità di prenotazione del
servizio taxi.
16 Joseph Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, 76.
Alberto Mingardi
30
A maggior ragione governi nazionali e locali potrebbero scoprirsi
fieramente conservatori, quando in ballo ci sono reddito e posti di lavoro degli impiegati del settore manifatturiero. La stampa 3D potrebbe diventare, dopo l’articolo 18, il nuovo drappo rosso sventolato sotto
gli occhi del sindacato.
Un futuro senza fabbriche, in una società capitalistica, non sembra
annunciare la fine del lavoro alienato. In realtà, noi dovremmo avere
imparato che se una tecnologia ne soppianta un’altra, non scompare
il lavoro ma invece quelle stesse risorse vanno a cercare impieghi più
produttivi. È stato un processo non piacevole, per i postiglioni di diligenza che hanno dovuto cedere il passo ai macchinisti di ferrovia.
Ma tutto sommato è difficile sostenere che, sulla strada del progresso,
siano diminuite le opportunità per le fasce più umili della popolazione.
Al contrario, proprio dal momento che essi come consumatori hanno
via via acquisito centralità, il loro tenore di vita è andato crescendo.
La loro libertà di scegliere fra beni e servizi sempre nuovi, ha nutrito la
loro libertà di farsi scegliere, come fattori della produzione di quei beni
e servizi.
Nemmeno appare ben calibrata la replica per cui questa volta, con
la stampa 3D, la “distruzione creativa” del capitalismo sarebbe più distruttiva di quanto non sia mai stata. È a dir poco improbabile che, se
la manifattura additiva spingerà fuori dalla storia quella tradizionale,
lo faccia nello stesso tempo per tutti i settori: la produzione di navi
da crociera e quella di salvagenti, la produzione di mobili e quella di
cacciaviti. A fronte dell’entusiasmo iniziale, è invece più probabile che
man mano si metta a fuoco una visione per la quale alcune cose verranno realizzate in larga misura con la stampa 3D, e altre invece no.
Perché questa “distruzione creativa” travolga tutti i settori industriali,
ci vorrà tempo, e una lungo braccio di ferro non solo coi sindacati, ma
soprattutto col concetto di costo opportunità. Non è detto che tutto
quello che si può stampare in 3D, si debba stampare in 3D.
Non troppo diversamente, su siti e blog (non sempre le più affidabili
Alberto Mingardi
31
fonti d’informazione), c’è una certa tendenza ad immaginare che le
stampanti 3D possano consegnarci un mondo più autarchico. Grazie
alla manifattura additiva, diminuirebbe la necessità di spostare merci
da un capo all’altro del globo. È il caso di esultarsi per la riduzione
dell’inquinamento che ne verrebbe, o di preoccuparsi per il destino
di quei Paesi che cominciano solo oggi ad entrare nel circuito degli
scambi e a trovare mercati di sbocco nella parte più ricca del pianeta?
Giocando allo scrittore di fantascienza, è possibile sognare che una
diffusione capillare delle stampanti 3D ci renderebbe tutti “produttori”: ciò che viene acquistato non sarebbe che il disegno o il progetto di
un determinato oggetto, poi autoprodotto con la stampante di casa.
Prudenza suggerirebbe di limitarsi a fare previsioni sul passato, ma
nondimeno vale la pena notare che questo scenario è forse meno probabile di quanto appaia anche al più entusiasta pasdaran della stampa
3D. Una visione siffatta sembra basarsi sull’idea che le nostre decisioni
d’acquisto si basino sul fatto che non siamo in grado di autoprodurre
un certo bene: perché non disponiamo della materia prima, del tempo
o della conoscenza necessaria.
Ma in realtà noi decidiamo di comprare o meno qualche cosa perché riteniamo che ci conviene: e per alcuni può essere conveniente anche acquistare qualcosa che sarebbero in grado di produrre da sé. La
completa congruenza di qualsiasi oggetto realizzato da una stampante
3D, con qualsiasi prodotto frutto di modalità di produzione “tradizionali”, è una condizione, ad oggi, difficile da ipotizzare.
Questo non significa che non sia ragionevole immaginare un cambiamento profondo, rispetto alla manifattura per come noi la conosciamo oggi. Gli analisti ipotizzano che il mercato delle stampanti 3D
passerà dalle 38.000 unità vendute nel 2012, a un milione di unità nel
2017. Se effettivamente i tre quarti di quelle stampanti saranno apparecchi low cost, destinati al mercato consumer, un cambiamento profondo delle nostre abitudini sarà nell’ordine delle cose. Ma attenzione
a profetizzare, come si fa spesso, una nuova “rivoluzione industriale”
Alberto Mingardi
32
destinata a fare strame della precedente. Il test cui andranno incontro
i prodotti realizzati con le stampanti 3D è lo stesso di sempre: si tratta
del giudizio dei consumatori.
La manifattura additiva ci darà oggetti di qualità migliore di quelli
che oggi abbiamo a disposizione? Protesi dentarie e plantari, per stare
ad applicazioni già ora in voga, avranno le caratteristiche necessarie
per imporsi sui loro predecessori? La stampa tridimensionale si rivelerà
economicamente conveniente per chi deve farne uso?
Convinzioni ed ipotesi sulle base delle quali è possibile rispondere a
queste domande orienteranno il comportamento degli investitori, che
a sua volta influenzerà tempi e velocità dei progressi tecnici.
Fra gli esperti, è normale che la discussione sia intensa, circa quali
siano le tecniche e le applicazioni più promettenti. Dal punto di vista
della società nel suo complesso ciò che più conta è che vengano garantite condizioni di mercato. Il verdetto collettivo dei consumatori tende
a setacciare le novità, selezionando quelle utili. Lo Stato, al contrario,
oscilla sempre fra il proibirle e il sussidiarle.
Note biografiche dell’autore
Alberto Mingardi è Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni (brunoleoni.it), fondazione che promuove “idee per il libero mercato”. Ha scritto
L’intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto
(Marsilio, 2013).
Le società attive nella stampa in 3D: quotazione sui mercati,
andamento e prospettive1
di Francesco Carlà
La stampa 3D è uno dei grandi trend che ha attirato l’interesse degli
investitori, e dei traders, a Wall Street negli anni scorsi. Le azioni di
alcune aziende del settore sono cresciute parecchio, di conseguenza. In
qualche caso in modo davvero esponenziale.
Di che aziende si tratta? Quali sono i loro prodotti e servizi? È solo
l’inizio di un grosso movimento e di una crescita durevole, oppure
stiamo parlando di un’altra bolla finanziaria come tante ne abbiamo
viste gonfiarsi e poi esplodere nell’ultimo ventennio?
Proverò a dare una risposta a queste domande analizzando tre
aziende quotate alla Borsa Usa (Nyse e Nasdaq) che hanno visto i loro
prezzi fluttuare in modo esplosivo negli ultimi anni. In qualche caso
partendo addirittura dal 2000.
Le tre aziende in questione sono: 3D systems (nyse-ddd), Stratasys
(nasd-ssys) e ExOne (nasd-xone).
La più nota fra le “pure play”, cioè tra le compagnie che si dedicano solo al 3D printing, è forse 3D Systems: (Nyse-DDD). Fondata
nel 1986 in South Carolina, impiega quasi 1400 dipendenti e i suoi
prodotti e servizi sono distribuiti in tutto il mondo. Le sue stampanti
1 I dati di questo contributo sono aggiornati a giugno 2014.
Francesco Carlà
34
3D convertono dati provenienti da files CAD o dal 3D scanning. I
servizi sono molti: stereolithography, selective laser sintering, direct
metal sintering, multi-jet modeling, color jet printing e film transfer
imaging printers, nonchè plastic jet printing. I suoi marchi più noti
sono: Accura, DuraForm, CastForm, LaserForm, and VisiJet. Inoltre
Geomagic software e design tools per il reverse engineering, inspection
e haptic design packages. Infine: Cubify Invent e Cubify Design CAD
software e un assortimento di 3D scanners.
Con questo catalogo, 3D Systems ha fatturato, negli ultimi 12
mesi, 560 milioni di dollari (+44%) con un ottimo margine lordo (267
milioni di $) e un utile netto di 44 milioni. La società è in ottima salute finanziaria: 306 milioni di $ in cassa e meno di 19 di debito, e ha
una capitalizzazione di mercato (market capital) di quasi 6 miliardi di
dollari (dati aggiornati a fine giugno 2014).
Ma l’andamento del titolo 3D Systems in Borsa a Wall Street non
è dei più tranquilli, in quanto la volatilità è forte.
Pensate che a dicembre 2013 un’azione costava più di 90 dollari per
poi tornare violentemente sotto i 60 alla fine di giugno 2014. Perché?
La risposta è semplice ed è comune anche alle altre compagnie che
vedremo insieme fra poco: quando ci sono molte attese sugli sviluppi
e i risultati finanziari ed economici di un nuovo settore, ogni battuta
d’arresto, anche momentanea e non specifica, comporta una perdita di
prezzo sui titoli spesso molto violenta. Nelle 52 settimane tra il luglio
2013 e il giugno 2014, giusto per darvene un’idea più precisa, i titoli
di 3D Systems sono andati da 41 dollari a 97, per toccare i 56 dollari
alla fine di giugno 2014.
Se qualcuno si sta chiedendo se 3D Systems sia sopra o sottovalutata a 56 dollari per azione, la risposta non può che essere una sola:
se non riesce a far crescere ricavi e profitti ad un ritmo molto veloce,
40/50% all’anno nei prossimi 5 anni circa, il prezzo e la capitalizzazione attuale non si giustificano. Una considerazione che spiega la volatilità del titolo e l’attenzione dei traders.
Francesco Carlà
35
Le dimensioni di 3D Systems non sono uniche, al momento, a
Wall Street tra le “pure play”. Tra le altre due aziende quotate di cui
sto per parlarvi, Stratasys (nasd-ssys), e ExOne (nasd-xone), la prima è
quasi grande come DDD, mentre la seconda è decisamente più piccola: 5,3 miliardi di dollari di market capital nel primo caso; 515 milioni
di dollari nel secondo.
Stratasys è stata fondata nel 1989 nel Minnesota e impiega 1900
persone. L’azienda fornisce quelle che definiscono “soluzioni per l’additive manufacturing” (AM). I suoi sistemi AM systems inkjet-based
PolyJet realizzano prototipi e tools direttamente dai (3D) CAD files o
da altri contenuti 3D. Offrono desktop 3D printers e una serie di altri
prodotti e servizi con i marchi: MakerBot, Mojo, uPrint, Dimension,
Objet, Fortus, e SolidScape. Molte similitudini con 3D Systems dunque.
Vediamo i numeri economici e finanziari di Stratasys. Anche questi somigliano parecchio a quelli di DDD: ricavi che superano negli
ultimi 12 mesi il mezzo miliardo di dollari, margine lordo attorno al
40/45% rispetto ai ricavi (226 milioni di $), utili lordi di circa 84
milioni. La condizione finanziaria è buonissima: 607 milioni in cassa e
zero debito. L’azione alla fine di giugno 2014 quotava circa 108 dollari, 12 di questi l’azienda li ha in cassa.
Anche qui la volatilità del titolo è sensibile. Il Beta, indice della
volatilità appunto, indica 1.96 alla fine di giugno. Vuol dire che SSYS
fluttua il doppio dell’indice S&P 500 di New York. Nelle ultime 52
settimane il titolo ha oscillato tra un massimo di 138 dollari per azione
il 3 gennaio 2014, a un minimo di 78 dollari sempre per azione alla
fine di giugno del 2013. A maggio del 2000 un’azione SSYS costava
circa 2 dollari. (Dati aggiornati alla fine di giugno 2014).
A patto di sopportarne le oscillazioni (molto difficile), un capitale
di 100.000 euro investito su SSYS oggi varrebbe circa 5 milioni di
euro. Ripeto: se foste riusciti a sopportare le fluttuazioni del titolo davvero violente.
Francesco Carlà
36
Ma vale davvero quello che oggi costa Stratasys? Ripeto esattamente
le cose che avete letto prima a proposito dell’altro leader del settore 3D
Systems: “Se SSYS non riesce a far crescere ricavi e profitti ad un ritmo
molto veloce, 40/50% all’anno nei prossimi 5 anni circa, il prezzo e
la capitalizzazione attuale non si giustificano. Una considerazione che
spiega la volatilità del titolo e l’attenzione dei traders”.
Una cosa che vedo piuttosto positiva sia nel caso di DDD che
nel caso di SSYS (uso i simboli perché ormai avete capito che a Wall
Street ogni società si riconosce con la sua sigla) è la stretta correlazione tra gli stipendi del top management e l’andamento degli affari. A
giudicare dai compensi fissi piuttosto cauti per le abitudini americane
(400/500.000 dollari all’anno in media), è molto probabile che una
parte elevata della compensation sia rimandata a stock options, o ad altri strumenti collegati ai risultati. Una cosa che spesso allinea i manager
e i tecnici chiave agli azionisti.
Rimane il fatto che si tratta di valutazioni, quelle delle due aziende
che ho fin qui preso in esame, piuttosto ottimistiche e generose. Destinate quindi a restare volatili.
Ma veniamo all’ultima company quotata a Wall Street di cui vi
sottopongo un’analisi: The ExOne Company (Nasdaq-xone). Come vi
dicevo prima, si tratta di un’azienda grande circa un decimo delle altre
due in quanto a market capital, cioè a valutazione di mercato: mezzo
miliardo di dollari alla fine di giugno 2014.
ExOne ha sede in Pennsylvania e impiega circa 190 persone, è stata
fondata nel 2005. Produce e vende stampanti 3D distribuite in Usa,
Europa e Asia. Fornisce e mantiene macchine Max, Print, Flex, e Lab
che consentono ai designers e agli engineers di creare prototipi e parti.
Realizza anche una macchina laser chiamata ExMicro Orion destinata
a microproduzioni con materiali convenzionali e non-convenzionali.
Ovviamente, anche i numeri economici e finanziari di XONE sono
molto più ridotti rispetto a quelli dei due leader DDD e SSYS. XONE
ha fatturato negli ultimi 12 mesi 40 milioni di dollari circa, con un
Francesco Carlà
37
margine attorno al 40% e un utile negativo per via di una serie di costi
straordinari. Posizione finanziaria ottima anche in questo caso: 77 milioni di dollari in cassa (più di 5 dollari per azione, il titolo alla fine di
giugno 2014 quotava attorno ai 36 dollari) e solo 3 milioni di debito.
Le oscillazioni del titolo qui sono ancora più violente di quelle di
DDD e SSYS. Non c’è da meravigliarsene considerando le dimensioni e la gioventù della company. Nelle ultime 52 settimane le azioni
XONE sono andate da un massimo di 79 dollari alla fine di agosto del
2013, ad un minimo di 24 a metà aprile 2014.
La domanda finale è sempre la solita e non a caso, visto che è paradigmatica di tutte queste aziende circondate da speranze e paure. Ecco
la domanda: quanto vale XONE? Ancora più difficile rispondere perfino rispetto alle già molto volatili DDD e SSYS. Tutto dipende dalla
capacità del management, anche in questo caso per nulla esoso (stipendi per il top management tra i 100.000 e i 200.000 dollari all’anno)
di far crescere profitti e ricavi, oppure di guidare l’azienda verso una
vendita ad una company più grande con cui integrarsi.
A proposito di aziende più grandi che possono entrare in questo
settore: l’annuncio più sostanzioso in questo senso l’ha fatto Meg
Whitman, la Ceo di HP, una company da 64 miliardi di dollari di
market capital con una particolare enfasi e storia sulla stampa digitale.
La Whitman ha annunciato l’arrivo di HP nel 3D printing già a partire
dalla fine di ottobre 2014. Questa mossa porterà probabilmente molti
cambiamenti nel mercato della stampa 3D.
Finora i grossi calibri erano soprattutto gli attori del software, Autodesk (nasdaq-adsk) e Dassault Systemes in primis, oppure dipartimenti di potenze globali del calibro di General Electric e Siemens.
In sintesi e per concludere: è piuttosto evidente che i tempi della
grande euforia a Wall Street per i pochi operatori del 3D printing, possano essere ormai andati in archivio. La volatilità dei prezzi e l’arrivo
sul mercato di altri attori, grandi e meno grandi, produrrà senz’altro un
effetto positivo dal punto di vista dei prezzi dei prodotti e dei servizi.
Francesco Carlà
38
La concorrenza si farà sentire. Un vantaggio per gli utenti e i clienti,
uno svantaggio per chi non riesce a stare al passo con i cambiamenti.
Lo scenario finanziario vedrà probabilmente operazioni di fusione
o acquisizione, specie se l’adozione del 3D printing e le dimensioni del
mercato manterranno rapidamente le promesse degli anni passati. Se
le aspettative si tradurranno, quindi, in fatturati e profitti in crescita
costante.
Note biografiche dell’autore
Francesco Carlà, già docente all’Università la Sapienza di Roma e all’Università IULM di Milano, da oltre 25 anni si occupa di investimenti, Borsa
e comunicazione. Segue la finanza innovativa dal 1995. È autore di articoli,
libri e di programmi radio-televisivi. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo i
bestsellers “Trading online. La guida” (2000), “Simulmondo. Vivere Internet”
(2001), “Trading online. Seconda Edizione” (2003), Italia-Google (2006) e Finanza Democratica (2009). Per tre anni ogni settimana è stato protagonista su
RaiNews24 RAI3 di «Netstocks», il primo magazine tv dedicato all’economia
e alla finanza innovative, consulente di molte trasmissioni TV e Radio in RAI
e su altri canali (Costanzo show, Invasioni Barbariche, Sky TG 24, Radio
Vaticana, Radio Radicale, Radio Capital etc), per quattro anni ha condotto il
forum di Borsa sul sito del Corriere della Sera, editorialista di Vanity Fair (Soldi & Felicità) e della Gazzetta dello Sport (Il Risparmiatore). È il presidente e
fondatore di FinanzaWorld.
L’avvento della manifattura additiva: sviluppi tecnologici
e modelli di business
di Maurizio Sobrero
Nel febbraio 2011 la copertina dell’Economist riportava un provocatorio titolo legato alle nuove tecnologie di stampa additiva: “Stampami uno Stradivari”. Poco più di un anno dopo, nell’aprile del 2012,
un’altra era dedicata in modo inusuale al mondo della manifattura ed
annunciava una terza rivoluzione industriale guidata dall’avvento delle
tecnologie digitali trainate dalla manifattura additiva.
Oggi questi temi occupano settimanalmente uno spazio nella stampa generalista, sono giornalmente oggetto di approfondimento in blog
tecnologici specializzati, così come in portali più generalisti, l’hasthag
#3dprinting su Twitter riporta in media una notizia ogni due ore e la
Maker Faire da un evento locale della Bay Area è diventata un circuito
mondiale che attrae ogni anno decine di migliaia di visitatori e appassionati in tutte le aree del pianeta. Usando un’espressione televisiva
potremmo dire che il 3D printing ha conquistato la prima serata.
Ma cosa vuol dire l’avvento di queste tecnologie dal punto di vista
economico? In che modo stanno favorendo la nascita di nuove attività,
piuttosto che cambiando la catena del valore di imprese già operanti
sul mercato? Quali impatti possiamo aspettarci sul fronte del delica-
Maurizio Sobrero
40
to equilibrio tra volumi e personalizzazione? Proviamo a considerare
qualche elemento utile a guidarci nel trovare alcune risposte a queste
domande.
La tecnologia e la sua evoluzione
Semplificando fortemente un’analisi che meriterebbe certamente
un maggiore livello di dettaglio, le tecnologie relative alla stampa additiva sono essenzialmente di due tipi.
La prima, più comunemente nota come sinterizzazione, prevede la
solidificazione di polveri attraverso l’esposizione ad un raggio laser che
si muove in 3 dimensioni. È una tecnologia sviluppata nei primi anni
ottanta e molto diffusa nel mondo della prototipazione rapida e della
progettazione. I maggiori sviluppi in questo ambito sono relativi al
tipo di polveri utilizzabili, con una forte accelerazione sul fronte delle
polveri metalliche, e dei tempi di realizzazione di parti complesse. Il
risultato più evidente è la realizzazione di parti di serie in titanio per la
produzione di motori aeronautici.
La seconda, maggiormente diffusa nelle macchine di tipo consumer, si basa su filamenti che vengono riscaldati e fusi attraverso un
ugello e depositati su una superficie piana. La tridimensionalità è ottenuta attraverso un movimento dell’ugello in profondità, larghezza
ed altezza. La conclusione della validità di alcuni brevetti collegati a
questa tecnologia, la diffusione di componenti hardware a basso costo
e di facile programmabilità come le piattaforme Arduino e RaspberryP, il costo contenuto e la diffusione di filamenti di PLA ed ABS e la
presenza di una comunità legata al mondo dell’open source già molto
sviluppata, hanno consentito la partenza nel 2005 del progetto RepRap e lo sviluppo di macchine ad uso non professionale.
In un contesto tecnologico in continuo fermento che presenta
sempre con maggiore frequenza diverse novità, le principali aree di
Maurizio Sobrero
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sviluppo sono legate al tipo di materiali utilizzabili, alla dimensione
degli oggetti “stampabili”, all’automazione del ciclo di produzione, alla
semplificazione del passaggio dal disegno all’oggetto finito.
Le fasi del ciclo di 3dprinting
Sostituire il blocco della batteria nella vostra macchina fotografica oramai uscita di produzione con un pezzo nuovo stampato da voi
sembra essere la cosa più semplice del mondo oramai. Basta acquistare
una macchina da scrivania con un prezzo che varia tra i 300 e i 1.500€,
collegarla al vostro PC o tablet, utilizzare dei software gratuiti per disegnare il pezzo o cercarlo on-line, trasformare il disegno in istruzioni
di stampa per la macchina, rifinire il manufatto per eliminare qualche
abrasione di troppo e montarlo per ricominciare a scattare come un
tempo.
Se, seguendo i vari passaggi, vi è venuto qualche dubbio di riuscirci
avete colto nel segno. Come in ogni processo produttivo, infatti, anche
in questo caso sono assolutamente rilevanti la fase di progettazione/
disegno, la fase di trasferimento delle specifiche alla macchina, la messa
a punto della macchina e la finitura del pezzo. Anche se, soprattutto
per le tecnologie presenti nelle macchine di tipo consumer, gli strumenti necessari a queste fasi sono in molti casi gratuiti e di facile uso,
la conoscenza degli stessi non è un elemento irrilevante. Il programma
di disegno tridimensionale Sketch-up è potente e versatile e sempre
più scaricato dalla rete, ma imparare ad usarlo richiede tempo, pratica e conoscenze non banali. Trasformare il disegno in un file STL,
il formato utilizzato per la stampa, è intuitivo grazie ai molti software disponibili, ma la regolazione dei molti parametri è tutt’altro che
scontata. La calibrazione della macchina e la definizione della quantità
di materiale necessario sono simili alla scelta del livello di definizione
con cui vogliamo stampare un’immagine, ma con maggiori difficoltà
Maurizio Sobrero
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nell’anticipare il livello di finitura e la precisione che otterremo.
Non stupisce, quindi, che lo sforzo maggiore sulle stampanti per
uso personale sia tutto indirizzato a proporre modelli cosiddetti plugand-play, che consentano ad utenti non sofisticati di non doversi dotare delle tante conoscenze altrimenti necessarie. Ciò si accompagna
anche alla creazione di un ecosistema di prodotti e servizi più ampio
sviluppato con lo stesso approccio. Proviamo a vedere di cosa si tratta
e che implicazioni comporta.
Il sistema del valore della manifattura additiva
Alcuni elementi fondamentali che abbiamo in parte già descritto
e che fanno parte dei diversi elementi che caratterizzano tutto ciò che
ruota attorno a queste tecnologie sono comuni a molti ambiti: i materiali, i macchinari e i beni complementari. Sui materiali, come accennato in precedenza, il fermento è maggiore e spazia dai metalli al biologico. Sotto il profilo della catena del valore, tuttavia, non si presenta
come un ambito particolarmente differente da un qualsiasi servizio di
fornitura di materia prima. In molti casi è già ad oggi occupato da realtà impegnate in questi ambiti e, per gli approcci più innovativi, sembra
destinato a seguire i tipici effetti di scala, con la riduzione dell’autoproduzione legata alla crescita dei volumi.
Sul fronte dei macchinari è interessante notare la riduzione di oltre
il 40% a valori nominali nel costo di acquisto di apparecchiature professionali nell’arco degli ultimi dieci anni (quindi ancora più marcato
se calcolato in termini reali), la conseguente quadruplicazione delle
vendite di questo tipo di apparecchi ed una stima di oltre 56 mila
pezzi venduti nel 2014. Un fenomeno analogo si rileva nell’ambito dei
prodotti consumer, con un fatturato che si attesta attorno ai 40 milioni
di dollari e oltre 100 modelli sotto i 1000 dollari. In termini di volumi il mercato professionale è fortemente polarizzato attorno ai marchi
Maurizio Sobrero
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storici Stratasys e 3DSystems, che sono anche già entrati nel mondo
consumer: la prima, acquisendo Makerbot e facendo leva sul portale
collegato Thinginverse dove scaricare e condividere progetti; la seconda
con il prodotto Cube direttamente interfacciabile con Apple iOS ed
Android, per un uso intuitivo e semplificato indipendente dal PC.
Anche in questo caso, come già accaduto nel mondo del software
e dei servizi Internet-based, il presidio della tecnologia produttiva da
parte di pochi grandi player nelle applicazioni più sofisticate, richiede comunque di allargare l’attenzione ai mercati di massa, costruendo
proposizione di valore dove la macchina risulta interessante solo in
quanto parte di un ecosistema di prodotto più ampio e facilmente accessibile. Questo significa occuparsi direttamente dell’integrazione di
beni e servizi complementari, che, a loro volta, rappresentano opportunità concrete di sviluppo di modelli di business alternativi.
Tra i diversi attualmente presenti, due sono particolarmente interessanti da analizzare per le ricadute che potrebbero avere anche sulle
filiere produttive più tradizionali.
Il primo è legato all’offerta di progetti già pronti per la stampa.
Seguendo quanto già avvenuto per esempio sul fronte delle immagini fotografiche con portali come Shutterstock dove chiunque può
caricare le proprie immagini e ricevere royalties in caso di loro utilizzo
a fini commerciali, diversi sono i portali che consentono di caricare
progetti e oggetti e renderli disponibili per essere realizzati da terzi.
Uno dei più famosi è il portale Shapeways, che consente di accedere ad
una vasta community di designer e chiedere anche di realizzare oggetti
progettati secondo le specifiche definite dagli interessati.
Il secondo è legato alla messa a disposizione di capacità produttiva,
sia da parte di soggetti che fanno un investimento ad hoc in stampanti
additive professionali, sia da parte di soggetti che hanno macchine più
o meno sofisticate per usi propri, ma che non saturano come potrebbero. Qui gli esempi spaziano dalle piccole fotocopisterie che cominciano
a dotarsi anche di macchine di bassa gamma, ai grandi portali come
Maurizio Sobrero
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Ponoko e al più recente 3dHubs che consente di comprare e vendere
servizi di stampa vicino a dove vi trovate.
In entrambi i casi si tratta di servizi di intermediazione che richiedono una forte riconoscibilità del marchio con la conseguente rilevanza di un effetto reputazione, ma possono essere reinterpretati in modo
originale grazie alla presenza di piattaforme on line e social. Accanto
ad aumentare le opportunità di diffusione dei macchinari, essi rappresentano un’occasione di forte sviluppo di oggetti realizzati con queste
tecnologie e aprono ampi spazi per produzioni personalizzate e in piccole serie. In questo modo favoriscono l’attività di imprese di piccole e
medie dimensioni che vedono ulteriormente abbattuti i costi di ingresso, potendo trasformare i costi relativi alle dotazioni di apparecchiature
da fissi a variabili, aumentando la flessibilità e la possibilità di ridefinire
la propria gamma di prodotto. Ciò, ovviamente, si accompagna alla
maggiore facilità di ingresso di altri concorrenti e alla necessità di investimenti rilevanti per poter emergere tra le molte offerte che rappresentano l’obiettivo di tutte le principali piattaforme.
Alcune conclusioni più speculative
Gli studiosi di innovazione tecnologica prestano molta attenzione
all’evoluzione del rapporto tra innovazione e mercato, perché questo
consente non solo di analizzare al meglio il posizionamento in un dato
istante di tempo, ma, soprattutto, di disegnare con più facilità gli scenari futuri. Il difetto di questi modelli, tuttavia, è la loro focalizzazione
su un singolo insieme di tecnologie, piuttosto che su un intero sistema
del valore. Come ho cercato di descrivere in questo contributo, concentrarsi sui singoli aspetti della manifattura additiva rischia di essere
fuorviante. Guardando alle tecnologie, infatti, stiamo entrando in una
fase di relativa maturità, dove lo sforzo è principalmente indirizzato
alla riduzione del costo unitario delle apparecchiature. Guardando ai
Maurizio Sobrero
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beni complementari, tra i quali abbiamo tralasciato gli scanner 3D che
pure meriterebbero un approfondimento, siamo di fronte a una fase di
crescita delle opportunità, soprattutto sul fronte dei servizi, con alcuni
modelli che si stanno consolidando, ma che hanno ancora molto spazio per nuove iniziative. Guardando, infine, ai servizi collegati, come
spesso succede, le opportunità crescono ulteriormente.
L’aspetto più affascinante e al tempo stesso più difficile da affrontare, riguarda, però, non tanto il nuovo che emerge da queste opportunità tecnologiche, ma in che modo i business già esistenti possono
esserne toccati. Alcuni casi concreti già presenti vicino a noi possono
aiutarci a intuire la rilevanza economica e sociale di queste riflessioni.
Nel mondo aeronautico, General Electric ha da tempo avviato un
progetto ambizioso di trasferimento in produzione di macchine a sinterizzazione dei metalli per la realizzazione di parti del propri motori.
La sua controllata italiana Avio Aero è al centro di questo ambizioso progetto. Il settore della produzione di gioielli e, in particolare, di
gioielli in oro, ha già cominciato a fare un uso industriale di queste
apparecchiature, modificando significativamente i propri processi produttivi. Una visita alla fiera annuale che si tiene a Vicenza può offrire un interessante approfondimento. Stampa 3D Bologna lanciata da
Eliofossolo, le copie digitali offerte dalla Copisteria Legnaia di Firenze
o il negozio 3DItaly a Roma sono solo alcune delle realtà che offrono
servizi diretti ad ogni tipo di utente.
Ma cosa potrebbe significare per il mondo della meccanica potersi
appoggiare a queste tecnologie per realizzare i propri prodotti? Come
cambierebbe, per esempio, la catena del valore di un produttore di
sistemi sofisticati come i riduttori se, invece di doversi appoggiare a
magazzini di componenti molto assortiti e ampi per garantire alti livelli
di servizio nella fornitura dei propri prodotti, potesse realizzare quando
necessario internamente in tempi rapidi? O come cambierebbe il modello di servizio di un produttore di macchine automatiche se potesse
strutturare la distribuzione dei disegni delle parti di ricambio da realiz-
Maurizio Sobrero
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zare in loco presso il cliente in giro per il mondo?
La manifattura additiva può rappresentare davvero una terza rivoluzione industriale per la sua capacità di toccare questi ed altri problemi. La sfida per tutti è quella di saper guardare con occhi nuovi a
queste opportunità per anticipare il cambiamento, invece di subirlo.
Note biografiche dell’autore
Maurizio Sobrero, PhD in Management of Technology and Innovation
al MIT (Massachusetts, USA), Laurea in Economia all’Università di Bologna,
è Professore Ordinario di Gestione dell’Innovazione presso l’Università di Bologna. Ha pubblicato 5 libri e oltre 20 articoli internazionali sull’economia e
la gestione dell’innovazione, con particolare riferimento alle collaborazioni
tra organizzazioni, alle relazioni tra mondo universitario ed industriale, alla
governance societaria e agli investimenti in ricerca e sviluppo. Su queste tematiche ha prestato la propria opera quale esperto indipendente nei comitati
direttivi di diversi enti privati, pubblici e governativi. Ha insegnato in corsi
universitari e manageriali in Europa, Asia e Sud America, lavorando con diverse società in numerosi progetti di consulenza.
stampanti 3D e proprietà intellettuale: opportunità e problemi di
una possibile rivoluzione tecnologica
di Cesare Galli e Alberto Contini
1. In linea di principio l’introduzione di una nuova tecnologia è un
evento “neutro” rispetto al diritto della proprietà intellettuale: questo
infatti detta regole che, con poche eccezioni, si applicano a tutti i settori della tecnica, secondo il principio espressamente enunciato dall’art.
27 del TRIPs Agreement1, che la revisione del 2010 del Codice della Proprietà Industriale ha trasfuso anche nel nostro diritto interno,
all’art 45 C.P.I.. Può quindi accadere che questa tecnologia formi oggetto di un’esclusiva brevettuale, sia in sé, sia per suoi specifici sviluppi,
e magari che essa rappresenti un’alternativa rispetto ad altre modalità
realizzative di prodotti già esistenti; in quest’ultimo caso, naturalmente, se tali prodotti sono ancora tutelati da esclusive di prodotto (in
particolare, brevetti per invenzione), essi non possono essere fabbricati
industrialmente e commercializzati neppure con la nuova tecnica successivamente divenuta disponibile senza con ciò ledere queste esclusive.
La peculiarità che la tecnologia della stampa tridimensionale pre1 Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, adottato a
Marrakech nel 1994 contestualmente all’istituzione del World Trade Organisation, e
nel quale è contenuta una disciplina essenziale dell’ambito di protezione e dei presupposti di tutela di segni distintivi, brevetti e diritti d’autore, nonché quella dei rimedi di
ordine processuale contro la violazione di essi.
Cesare Galli - Alberto Contini
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senta rispetto ad altre innovazioni produttive anche recenti (e che la
rende almeno in parte “deviante” rispetto a questo schema “normale”
di inquadramento giuridico dell’evoluzione della tecnica) è quella di
poter essere attuata a basso costo e con mezzi relativamente semplici
e quindi di prestarsi ad un’ampia diffusione, potenzialmente (ma in
parte già attualmente) anche presso i privati, consentendo loro di fabbricare non più industrialmente, ma “in proprio” un gran numero di
prodotti, con una sorta di capillarizzazione della produzione, che offre
straordinarie opportunità per gli innovatori, ma anche per gli imitatori, e quindi, quando i prodotti realizzati o comunque le modalità di
realizzazione di essi interferiscono con diritti di esclusiva altrui, si può
tradurre in una polverizzazione della contraffazione, rendendola difficilmente perseguibile e addirittura aprendo spazi di liceità per condotte
che sarebbero normalmente vietate. Sotto questo profilo la stampa in
3D presenta quindi molti punti di contatto con un’altra (e ancor più
radicale) rivoluzione tecnologica e culturale, e cioè con le infinite possibilità di riproduzione virtuale delle opere dell’ingegno offerte dalle
nuove tecnologie digitali ed in particolare, oggi, dalla rete Internet,
di cui costituisce in qualche misura il corrispettivo nel mondo delle
cose materiali, rendendo così sempre più attuale il profetico saggio del
1936 di Walter Benjamin sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica2. In particolare la combinazione di queste tecnologie
– stampa in 3D, digitalizzazione e rete Internet – crea una miscela
potenzialmente esplosiva, consentendo la circolazione su larghissima
scala dei files contenenti le informazioni idonee alla riproduzione, appunto mediante le stampanti 3D, di una gamma vastissima di oggetti
delle più disparate tipologie, facendo fare un altro passo avanti alla
società dell’informazione, ma, inevitabilmente, creando anche nuove
possibilità di conflitti con i diritti altrui.
Benjamin, L’oeuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisée, in Zeitschrift für
Sozialforschung, V, 1, 1936.
2 Cesare Galli - Alberto Contini
49
Ciò comporta evidentemente una grande sfida anche per i giuristi,
per comprendere e per governare le criticità ed i problemi, ma anche le
straordinarie opportunità (anzitutto per le produzioni on demand e su
piccole serie) che questo sviluppo tecnologico comporta e sempre più
comporterà in avvenire, col progressivo affinamento di questa modalità
produttiva.
2. Poiché la stampa in 3D è un’applicazione tecnica, a venire in
considerazione è anzitutto la protezione brevettuale. Rispetto a questa
protezione non vi sono evidentemente problemi particolari, quando si
tratta di proteggere le stampanti in sé considerate e i relativi processi
produttivi, ed in particolare i perfezionamenti relativi, che possono
ovviamente essere o meno brevettabili, a seconda che possiedano o no
i requisiti previsti dalla legge, senza alcuna differenza rispetto alle innovazioni di altri settori. Il discorso si fa invece inevitabilmente più
complesso quanto ai prodotti che possono essere realizzati attraverso
queste stampanti, nel caso in cui gli stessi rientrino nella protezione di
brevetti di terzi.
A questo riguardo va anzitutto ricordato che la protezione offerta
da un brevetto di prodotto a norma dell’art. 67, comma 2° del Codice
della Proprietà Industriale italiano (la cui disciplina è peraltro armonizzata rispetto alle principali convenzioni internazionali in materia,
ed in particolare al già ricordato TRIPs Agreement e alla Convenzione
sul Brevetto Europeo) consente di «vietare ai terzi, salvo consenso del
titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione». Più in generale, al titolare di un
brevetto è riservata ogni forma di attuazione dell’insegnamento oggetto del brevetto e ogni atto che da esso tragga profitto nel territorio dello
Stato, come recita testualmente il primo comma della stessa norma.
Anche la circostanza che la stampante 3D possa realizzare un prodotto qualitativamente più scadente (come frequentemente avviene
con le stampanti più economiche) non vale di per sé ad escludere la
contraffazione: le regole appena ricordate non patiscono infatti ecce-
Cesare Galli - Alberto Contini
50
zioni neppure per il caso in cui il prodotto realizzato da un soggetto
terzo senza il consenso del titolare presenti una qualità inferiore rispetto all’originale, e per il vero neppure se la qualità sia migliore, quando
venga comunque attuato l’insegnamento oggetto delle rivendicazioni
del brevetto. Sia in dottrina, sia in giurisprudenza è anzi sostanzialmente pacifica l’opinione secondo cui la sussistenza della contraffazione non è esclusa neppure dall’aggiunta di caratteristiche (e a fortiori
dall’ovvia sostituzione di caratteristiche brevettate, che dà luogo alla
c.d. contraffazione per equivalenti) che porti ad ottenere risultati migliori o peggiori nella soluzione del problema tecnico rispetto a quelli
ottenuti con l’attuazione del trovato così come letteralmente rivendicato: anche in questo caso la contraffazione andrà riconosciuta in quanto
il miglioramento o il peggioramento conseguiti comportino comunque l’attuazione del brevetto – e quindi appunto una realizzazione che
riproduca, direttamente o per equivalenti, le caratteristiche rivendicate
come soluzione del problema tecnico oggetto del brevetto –, pur aggiungendo ad essa elementi ulteriori, migliorativi o peggiorativi.
Quel che invece può assumere rilievo scriminante è la circostanza
che la stampante 3D venga utilizzata per una produzione di carattere
domestico e quindi al di fuori di una destinazione commerciale, il che,
come abbiamo visto, è già oggi una tipica applicazione di questa tecnologia e lo sarà verosimilmente sempre di più in avvenire. Dall’ambito
di protezione dei brevetti sono infatti espressamente esclusi gli «atti
compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali» (art. 68 C.P.I.).
La norma non fa distinzioni di sorta e quindi si applica ad ogni uso
di carattere privato, in buona o mala fede, fermo restando che anche
le attività economiche che difettino del requisito della professionalità
(e quindi non siano imprenditoriali nel senso di cui all’art. 2082 c.c.)
andranno comunque escluse dall’esenzione.
Anche se con questi limiti, è quindi evidente che la realizzazione
di prodotti brevettati effettuati mediante stampanti 3D “personali”,
che vengano utilizzate per l’autoconsumo, in ambito non professionale
Cesare Galli - Alberto Contini
51
o imprenditoriale, di questi prodotti, sfugge alla relativa protezione.
Sotto questo profilo, infatti, l’eccezione di uso privato operante nel diritto dei brevetti non incontra neppure la limitazione generale prevista
invece per le eccezioni al diritto d’autore, che possono venire «applicate
esclusivamente in determinati casi speciali che non siano in contrasto
con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non
arrechino ingiustificato pregiudizio agli interessi del titolare», come dispone l’art. 5, comma 5° della Direttiva n. 2001/29/C.E. sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella
società dell’informazione, recependo il cosiddetto three-step test codificato anche dall’art. 13 del TRIPs Agreement e prima ancora dall’art.
9.2 del testo attualmente vigente della Convenzione di Berna del 1886
per la protezione delle opere letterarie ed artistiche.
Ci si può dunque domandare se non si debba ripensare l’interpretazione di quest’eccezione in materia brevettuale, anche in considerazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che impone
di trattare in modo corrispondente situazioni equivalenti3. A favore
di una lettura dell’art. 68 C.P.I. che limiti la portata della disposizione sull’uso privato ai casi in cui esso sia privo di rilevanza economica
sostanziale, o almeno a quelli in cui il privato non si avvalga di mezzi
specifici forniti da terzi proprio per la violazione del brevetto – come
avviene quando, come oggi è la regola, la stampa in 3D ad opera del
privato viene effettuata servendosi di files predisposti da terzi proprio
allo scopo di consentire la riproduzione del prodotto brevettato –, milita in effetti anche la considerazione dell’analoga interpretazione rePer un richiamo ad una lettura costituzionalmente orientata di queste eccezioni, cfr.
Galli, Le utilizzazioni libere: ricerca, cit., 144, ove a questo proposito si sottolineava
che anche la prescrizione della Direttiva che impone che le esenzioni in materia di diritto d’autore si applichino solo a «casi speciali» non implica un’assoluta discrezionalità
dei singoli legislatori nazionali, ma, tutto all’opposto, esige che l’inclusione o l’esclusione di una determinata attività dall’ambito delle esenzioni che si vogliono prevedere
siano giustificate dalle peculiari caratteristiche di questa attività.
3 Cesare Galli - Alberto Contini
52
strittiva che è stata data della c.d. “eccezione galenica”, ossia di quella
che considera la protezione brevettuale inopponibile alla «preparazione
estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati»: l’ambito di applicazione di questa
eccezione, parimenti contemplata dall’art. 68 C.P.I. è stato infatti limitato all’ipotesi in cui «non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente», con una precisazione che è stata introdotta nel 2005
in occasione del varo del Codice della Proprietà Industriale, ma che
non ha fatto che codificare la soluzione cui erano già pervenute sia la
giurisprudenza, sia la dottrina prevalente. Questo, mutatis mutandis,
potrebbe voler dire che l’attuazione del brevetto in ambito privato e
non commerciale attraverso le stampanti 3D può ritenersi lecita solo in
quanto non si utilizzino a tale scopo progetti e files prodotti serialmente proprio allo scopo di consentire questa riproduzione “domestica” di
prodotti brevettati.
Un ripensamento – ma in questo caso a termini invertiti, e cioè
estendendo al diritto d’autore la soluzione prevista in materia brevettuale – potrebbe essere auspicabile anche in relazione all’ipotesi in cui
la riproduzione effettuata mediante la stampa in 3D persegua una finalità di ricerca. In questo caso la experimental use exception, prevista
dal medesimo art. 68 C.P.I. di cui si è ampiamente parlato, consente
questa riproduzione benché il prodotto realizzato costituisca contraffazione di un brevetto, in quanto la ricerca sia diretta ad andare oltre
l’invenzione brevettata, e ciò anche quando questa ricerca sia – come
normalmente accade – compiuta a scopi commerciali, scopi che sono
impliciti nell’attività di impresa e quindi anche nelle ricerche condotte
nell’ambito di essa, e che d’altra parte, lungi dall’essere incompatibili
con il progresso tecnico, ne rappresentano il principale movente in un
sistema basato sull’economia di mercato quale è – o, almeno, dovrebbe
essere – anche il nostro. Viceversa, come risulta già dal considerando
Cesare Galli - Alberto Contini
53
42 della Direttiva n. 2001/29/C.E.4 e come è detto ancora più esplicitamente nell’art. 5.3, lett. a della Direttiva stessa, in materia di diritto
d’autore l’esenzione per la ricerca scientifica, come quella per uso didattico, può essere concessa solo «nei limiti di quanto giustificato dallo
scopo non commerciale perseguito»: espressione quest’ultima del tutto
corrispondente a quella usata nell’art. 6.2, lett. b e nell’art. 9, lett. b
della Direttiva n. 96/9/C.E. sulle banche di dati, che a loro volta consentivano agli Stati membri di prevedere limitazioni del diritto d’autore e del diritto sui generis relativi ad una banca dati, quando l’impiego
o l’estrazione, rispettivamente, avessero «finalità didattiche o di ricerca
scientifica, … nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito»5. In materia di diritti d’autore non basta quindi
che l’utilizzazione compiuta sia oggettivamente un’attività di ricerca
scientifica, ma occorre altresì che questa attività non abbia scopi commerciali; si può dire, cioè, che in questo caso per poter godere dell’eccezione si debbano cumulare, almeno in parte, i requisiti che, in materia di invenzioni, sono invece alternativi, essendo prevista dall’art. 68
C.P.I. sia l’esenzione degli usi sperimentali (ossia di ricerca), sia quella
degli usi effettuati «in ambito privato ed a fini non commerciali».
E se questa disparità di trattamento poteva giustificarsi a partire
dalla considerazione della diversa portata dell’esclusiva brevettuale (che
In base al quale «Nell’applicare l’eccezione o la limitazione per finalità didattiche non
commerciali e di ricerca scientifica, compreso l’apprendimento a distanza, la natura
non commerciale dell’attività in questione dovrebbe essere determinata dall’attività in
quanto tale»; e si precisa anzi che «La struttura organizzativa e i mezzi di finanziamento
dell’organismo di cui trattasi non costituiscono i fattori decisivi a tal fine». In realtà il
legislatore italiano si è avvalso molto limitatamente della facoltà offertagli al riguardo
dalla Direttiva, agli art. 69 e 71 ter della legge sul diritto d’autore.
5 Più precisamente, l’art. 6.2, lett. b (ma non l’art. 9.b) della Direttiva n. 96/9/C.E. richiede che queste finalità siano esclusive. Sempre in materia di diritto d’autore un ambito di liceità per ricerche aventi finalità commerciali è invece previsto dalla Direttiva
n. 91/250/C.E.E. in materia di programmi per elaboratore.
4 Cesare Galli - Alberto Contini
54
ha ad oggetto l’attuazione della soluzione tecnica rivendicata) rispetto
a quella di diritto d’autore (che riguarda solo il contenuto espressivo
dell’opera protetta), essa appare anacronistica nell’attuale stadio della
tecnologia – e in particolare proprio nel campo di cui qui più direttamente ci stiamo occupando –, nel quale la riproduzione dell’opera
protetta (attività che, come meglio vedremo più avanti, rientra nell’esclusiva di diritto d’autore) spesso è necessaria per procedere a ricerche
dirette al superamento di essa.
3. Se questi sono i criteri in base ai quali si può stabilire se la stampa
in 3D di un oggetto coperto da brevetto vada considerata o meno lecita, occorre però andare oltre e domandarsi se questa liceità riguardi in
ogni caso anche la fornitura dei mezzi che consentono questa attività,
ed in particolare quella dei files o di progetti realizzati da terzi proprio
allo scopo di consentire la riproduzione del prodotto brevettato.
La risposta è in questo caso negativa e dipende dal fatto che la predisposizione di mezzi univocamente destinati all’attuazione del brevetto
viene ritenuta illecita almeno come contraffazione indiretta o contributory infringement, fattispecie delineata da dottrina e giurisprudenza
appunto al fine di colpire condotte in sé lecite (quali ad esempio la
fornitura di prodotti o strumenti in sé non coperti da brevetto), che
si colorano tuttavia di illiceità in forza della consapevolezza dell’autore
delle medesime della loro destinazione al compimento di una fattispecie vietata (e cioè, ad esempio, l’impiego di quanto fornito nell’ambito
di un procedimento brevettato), o comunque dell’obiettiva ed univoca
destinazione dei mezzi forniti all’attuazione del brevetto.
Questa figura, espressamente disciplinata in alcuni ordinamenti
stranieri, come quello americano, e prevista anche dall’art. 26 della
Convenzione di Lussemburgo sul brevetto comunitario, peraltro mai
entrata in vigore, ed ora anche nell’Accordo sull’istituzione di una
Cesare Galli - Alberto Contini
55
Corte Unificata dei Brevetti6, è in realtà già da tempo riconosciuta
anche nel nostro ordinamento, benché non sia esplicitamente contemplata dal Codice della Proprietà Industriale, così come non lo era dalla
legge invenzioni. Essa sembra infatti essere presupposta dalle disposizioni in materia di sanzioni per la contraffazione, che possono riguardare non solo i prodotti contraffattori, ma anche i «mezzi specifici che
servono univocamente a produrli o ad attuare il metodo o processo
tutelato» (art. 124, comma 4° Codice della Proprietà Industriale, con
un’espressione che riprende quella contenuta nell’art. 85 legge invenzioni), e può del resto venire argomentata dalla stessa norma generale
in materia di ambito di protezione del brevetto (art. 66 Codice della
Proprietà Industriale, corrispondente all’art. 1 legge invenzioni), che
attribuisce al titolare di esso non solo il diritto di attuare l’invenzione,
ma, come si diceva, quello di trarne profitto nel territorio dello Stato:
disposizioni dalle quali sembra di poter inferire che l’esclusiva brevettuale comprende (e riserva quindi al titolare della privativa) anche la
predisposizione e la fornitura di mezzi che all’attuazione dell’invenzione siano univocamente destinati.
L’elemento decisivo per stabilire se la fornitura di un prodotto suscettibile di più usi sia o meno lecita sta nella consapevolezza, reale
6 Accordo su un Tribunale Unificato dei Brevetti, art. 26, comma 1° e 2°: «1. Un
brevetto attribuisce al suo titolare il diritto di impedire a qualsiasi terzo che non abbia
il consenso del titolare di fornire o offrire di fornire, nel territorio degli Stati membri contraenti in cui il brevetto ha effetto, a persone diverse dalle parti aventi diritto
all’utilizzazione dell’invenzione brevettata dei mezzi relativi a un elemento essenziale
di tale invenzione necessari per la sua attuazione in tale territorio, laddove il terzo
sappia, o avrebbe dovuto sapere, che detti mezzi sono idonei e destinati ad attuare tale
invenzione. 2. Il paragrafo 1 non si applica quando i mezzi sono prodotti che si trovano correntemente in commercio, a meno che il terzo non inciti la persona a cui sono
forniti a commettere gli atti vietati dall’articolo 25» (che definisce gli atti di attuazione
del brevetto che il titolare ha diritto di vietare). L’accordo, cui anche l’Italia ha aderito,
è attualmente in corso di ratifica.
Cesare Galli - Alberto Contini
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o presunta (in ragione dell’obiettiva univoca destinazione) in capo a
colui che effettua la fornitura circa il fatto che l’elemento in sé non
contraffattorio potrà poi effettivamente venire usato per un’attività che
rientri nell’esclusiva brevettuale altrui, e per la quale tale prodotto costituisca un elemento essenziale. Alla stessa conclusione è pervenuta
anche la giurisprudenza, nei casi in cui si è occupata della questione:
particolarmente significativa nella prospettiva che qui più direttamente
ci interessa è una pronuncia della Corte di Cassazione resa in un caso
in cui gli elementi univocamente destinati alla contraffazione erano
costituiti dalla licenza di un brevetto (in realtà nullo per difetto di
novità perché anticipato da quello oggetto di contraffazione: ma la
conclusione non sarebbe stata diversa neppure se il brevetto fosse stato
valido, ove la sua attuazione fosse stata comunque contraffattoria7) e
il relativo know how attuativo, e segnatamente i progetti realizzativi
dell’impianto contraffattorio8: il che sembra valere allo stesso modo per
i files o i disegni che permettono la riproduzione del prodotto coperto
dal brevetto ad opera di una stampante 3D9.
Naturalmente nell’ipotesi in cui l’elemento fornito si presti sia ad
È questa l’ipotesi del brevetto dipendente, la cui attuazione senza il consenso del
titolare della privativa anteriore (il c.d. brevetto dominante) ne costituisce contraffazione; solo a determinate condizioni e a seguito di una particolare procedura l’art. 71
C.P.I. consente in questo caso al titolare della seconda privativa di ottenere una licenza
obbligatoria, per caso in cui il titolare del primo brevetto non sia disposto a concedere
una licenza su base volontaria.
8 Cass., Sez. Un., 1° novembre 1994, n. 9410, in Giur. ann. dir. ind., 1994, 119 ss.,
che ha confermato App. Milano, 15 luglio 1992, inedita.
9 Nel caso deciso dalle sentenze appena richiamate venivano in considerazione anche
profili transfrontalieri, che possono tipicamente porsi anche nel caso delle stampanti
3D, in cui i files necessari per la stampa vengono offerti tramite la rete Internet: in
tema si veda anche Corte Giust. U.E., 12 luglio 2011, nel procedimento C-324/09,
L’Oréal v. Ebay., resa in materia di contraffazione di marchi, ma le cui enunciazioni di
principio sembrano assumere una portata generale e possono quindi servire da guida
anche per la soluzione del caso qui in esame.
7 Cesare Galli - Alberto Contini
57
usi leciti, sia ad uno che invece non lo sia, e la sua fornitura non sia
dunque necessariamente destinata all’attuazione del trovato oggetto
dell’esclusiva (situazione quest’ultima in cui la sussistenza dell’illecito
non può sostanzialmente essere negata), si può tendenzialmente ritenere che ad escludere il ricorrere della fattispecie della contributory
infringement possa valere l’adozione di appositi disclaimers, in base ai
quali il prodotto viene fornito esclusivamente per utilizzazioni non coperte da brevetto, ovvero clausole all’interno del contratto di fornitura
con le quali l’acquirente si impegni a non impiegare il prodotto per usi
coperti da brevetto e a limitarsi all’impiego per usi leciti specificamente
indicati. Naturalmente la valutazione dovrà comunque avvenire caso
per caso, dal momento che le circostanze della fattispecie concreta potrebbero inequivocabilmente indicare che tali accorgimenti rappresentino esclusivamente delle clausole di stile prive di reale valore.
4. Sempre in giurisprudenza, un’altra recente decisione ha ravvisato
un’ipotesi di contributory infringement di un brevetto avente ad oggetto una stampante nella «produzione e commercializzazione di cartucce
per l’inchiostro che appaiono presentare univoca destinazione ad essere
utilizzate dalla stampante rivendicata»10: affermazione la cui esattezza
presuppone che, da un lato, le rivendicazioni del brevetto riguardassero
una macchina la cui configurazione richiedesse delle cartucce realizzate
in un certo modo e che, dall’altro lato, la forma delle cartucce non fosse
compatibile con stampanti diverse da quella brevettata (o il fornitore
delle stesse fosse consapevole – o si dovesse presumere consapevole,
sulla base delle circostanze del caso – della destinazione della fornitura
alla realizzazione di un prodotto contraffattorio).
Anche questo è un profilo che può presentare particolare interesse
in relazione alle stampanti 3D, una delle cui applicazioni più diffuse
è tipicamente proprio quella di realizzare pezzi di ricambio, in parti10 Trib. Torino, 6 maggio 2004, in Giur. ann. dir. ind., 2005, 326 e ss.
Cesare Galli - Alberto Contini
58
colare di piccole dimensioni, per prodotti preesistenti; ed in effetti si
potrebbe ritenere che la circostanza che l’oggetto che viene realizzato
mediante la stampa in 3D costituisca un mero componente di un prodotto più complesso debba di per sé determinarne la liceità (anche
quando essa avvenga in ambito non meramente privato, per il quale
valgono invece considerazioni analoghe a quelle svolte sopra in relazione ai brevetti), in ragione della c.d. “clausola di riparazione”, prevista
all’art. 241 C.P.I., a norma del quale «i diritti esclusivi sui componenti
di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire
la fabbricazione e la vendita dei componenti stessi per la riparazione
del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l’aspetto originario».
Anche il significato di questa norma, tuttavia, dev’essere opportunamente chiarito, in modo da comprendere quale sia la sua effettiva portata in relazione al caso in cui il prodotto che viene replicato con la
stampante 3D possa ritenersi appunto il «componente di un prodotto
complesso».
Anzitutto si deve precisare che l’art. 241 C.P.I. opera come una
limitazione all’azionabilità dei soli diritti di esclusiva derivanti da una
registrazione come disegno o modello, cosicché la clausola di riparazione non costituisce un limite alla possibilità di far valere diritti di
esclusiva discendenti da altri titoli, ove la fabbricazione o la commercializzazione del componente del prodotto complesso da parte di un
terzo costituisca contraffazione di dette privative. Tanto discende inequivocabilmente dal testo dell’art. 14 della Direttiva n. 98/71/C.E.,
di cui la norma del Codice (e quella di cui al previgente art. 27 del
D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 95) costituisce attuazione, e che prevede
che «fino all’adozione delle modifiche alla presente direttiva … gli stati
membri mantengono in vigore le loro attuali disposizioni riguardanti
l’uso del disegno o modello protetto di un componente utilizzato per la
riparazione di un prodotto complesso al fine di ripristinarne l’aspetto
originario e introducono modifiche alle loro attuali disposizioni solo
qualora l’obiettivo sia la liberalizzazione del mercato di tali componen-
Cesare Galli - Alberto Contini
59
ti»: disposizione che indica chiaramente che la modifica delle norme
interne imposta in via di armonizzazione ai legislatori nazionali ha per
oggetto unicamente la limitazione dei diritti di esclusiva (eventualmente) riconosciuti dall’ordinamento in relazione alla disciplina della
registrazione come disegno o modello del componente, e non ad altro
titolo.
Dunque, ove un brevetto (per invenzione o per modello di utilità)
abbia come oggetto esclusivamente il componente e/o le caratteristiche
di questo, la contraffazione potrà senz’altro essere fatta valere ove il
terzo riproduca letteralmente o per equivalenti (e cioè, come si diceva, con sostituzioni a priori ovvie per l’esperto del ramo) i medesimi,
senza che la clausola di riparazione possa costituire in alcun modo un
ostacolo alla tutela dei diritti del titolare, nemmeno ove il componente
stesso sia visibile e si possa quindi giustificare la sua realizzazione con
l’esigenza di ripristinare l’aspetto originario del bene. Alla stessa conclusione, come già si è accennato, si deve giungere nel caso di diritti
derivanti da un brevetto avente un oggetto più ampio, ove il componente costituisca uno degli elementi rivendicati di un apparato (e quindi
non sia tutelato autonomamente) o comunque un elemento necessario
a realizzarlo, in quanto vi siano comunque l’obiettiva ed univoca destinazione dei mezzi forniti all’attuazione del brevetto o almeno la consapevolezza di tale destinazione in capo all’agente: come abbiamo visto,
infatti, queste situazioni consentono di configurare una contributory
infringement e quindi la sussistenza di un illecito.
Anche se correttamente messa in relazione alle sole registrazioni per
disegno o modello, la norma dell’art. 241 C.P.I. assume comunque
una considerevole importanza in relazione alla stampa in 3D, perché
in effetti la liceità della realizzazione di componenti di prodotti complessi coperti da queste privative rappresenta già di per sé un campo
estremamente ampio per l’impiego di questa tecnologia. Va tuttavia
precisato che non basta qualificare un oggetto come «componente di
un prodotto complesso» per determinare ipso facto la liceità della ripro-
Cesare Galli - Alberto Contini
60
duzione di esso.
Ratio della norma dell’art. 241 C.P.I., come esplicitato dall’art. 14
della Direttiva n. 98/71/C.E., in attuazione della quale essa è stata
introdotta anche nel nostro ordinamento, è quella della “liberalizzazione” del mercato dei componenti, finalizzata ad evitare che il produttore del prodotto complesso possa vantare un monopolio anche sul
mercato “a valle” dei ricambi: il che tuttavia significa che la clausola
non può operare, e dunque si ha contraffazione, anche quando si tratta effettivamente di un ricambio, ma, sulla base delle circostanze del
caso concreto, risulta che lo stesso è destinato non già alla riparazione
di beni originali per ripristinarne l’aspetto estetico complessivo, ma
alla costruzione ex novo di prodotti copia, ovvero alla realizzazione di
prodotti contenenti (anche) componenti originali, ma che vengono
“riassemblati”, in quanto in tutti questi casi non viene in considerazione la riparazione del prodotto complesso ma un’operazione di carattere
diverso; ed egualmente non opera la clausola di riparazione quando il
“ricambio” non è chiamato ad integrarsi col prodotto in modo tale da
contribuire al ripristino del prodotto complesso. E poiché l’onere di
dimostrare l’effettiva destinazione del ricambio alla riparazione grava
evidentemente su chi invoca la clausola di riparazione, sembra ragionevole ritenere che di essa non possa avvalersi chi abbia fornito i pezzi in
questione (o i files o i progetti per realizzarli mediante una stampante
3D) senza specificare nel contratto la limitazione nella destinazione dei
pezzi al solo scopo di riparazione di prodotti originali. Non è dunque
possibile prendere a “pretesto” la scomponibilità del prodotto coperto
da modello in una pluralità di componenti per consentire di realizzare
e poi assemblare queste singole componenti in un nuovo esemplare del
prodotto stesso.
Neppure può operare la clausola di riparazione per scriminare la
realizzazione mediante la stampa in 3D degli accessori, ossia per gli
elementi “variabili” dell’aspetto del bene, che non vengono imposti
dal costruttore, ma sono suscettibili di scelta da parte del consumatore
Cesare Galli - Alberto Contini
61
al momento dell’acquisto, fra una serie di modelli con caratteristiche
diverse: proprio tale elemento di scelta da parte del consumatore, che
impedisce rispetto agli accessori di parlare di un aspetto “originario”
del prodotto che il ricambio non originale sarebbe destinato a ripristinare, sembra infatti precludere la possibilità di invocare la clausola
di riparazione, importando come conseguenza l’illiceità della condotta
di chi realizzi accessori che interferiscano con l’ambito di tutela derivante da disegni e modelli di tali componenti. Un distinguo sembra
dover essere operato solo con riferimento all’ipotesi in cui gli accessori,
pur non essendo “di serie” e venendo quindi lasciati alla libera scelta
dell’acquirente (cosicché non esista un aspetto “standard” del prodotto
che il ricambio vada a ricomporre), una volta scelti, diano comunque
luogo a uno specifico aspetto “originario” che è possibile ripristinare esclusivamente con un componente del tutto identico: solo in tal
caso si può ritenere che sussistano i presupposti per l’applicazione della
clausola di riparazione, anche qui solo nelle ipotesi in cui il “ricambioaccessorio” deve avere necessariamente forma corrispondente a quello
originale al fine di ricostituire l’aspetto con cui il prodotto complesso
è concretamente “uscito dalla fabbrica”, indipendentemente dal fatto
che il cliente avrebbe potuto scegliere al momento dell’acquisto una
“versione originale” diversa: e ciò in quanto anche qui ricorre la ratio
della disciplina introdotta in attuazione della Direttiva, ossia quella di
evitare che l’utilizzatore sia costretto ad acquistare il ricambio originale
ogni qualvolta debba operare una riparazione. Tale ratio segna però
anche il limite di questo distinguo: esso cioè ha un senso in relazione
ai soli casi in cui il prodotto prevede la presenza di una pluralità di
elementi eguali fra loro, che nel loro insieme contribuiscono all’aspetto
estetico complessivo del prodotto complesso, come tipicamente avviene ad esempio per i cerchioni di automobile, montati in numero
corrispondente alle ruote del veicolo, cosicché non è immaginabile che
questa circoli con cerchi di foggia differente, dovendo invece escludersi
in ogni altro caso che in rapporto a un accessorio si ponga un’esigenza
Cesare Galli - Alberto Contini
62
di riparazione idonea a rendere operante la clausola di cui all’art. 241
C.P.I..
Naturalmente poi esula da ogni considerazione riconducibile alla
clausola di riparazione la situazione in cui l’accessorio, pur essendo tutelato (autonomamente) come disegno o modello, non rappresenti una
variante di tipo estetico comunque legata all’aspetto estetico complessivo del prodotto complesso, ma sia apprezzabile in sé considerato. È
infatti difficile richiamare le tesi sopra richiamate ove le opzioni proposte dal produttore riguardino accessori non solo diversi esteticamente,
ma aventi funzioni diverse: in quest’ultimo caso non si potrebbe infatti
parlare del medesimo prodotto proposto in diverse declinazioni (la cui
scelta sarebbe rimessa al consumatore sulla base di considerazioni di
carattere estetico), ma di prodotti dalla caratteristiche sostanziali diverse, ciascuno dotato di un proprio aspetto (e rispetto al cui ripristino,
quindi, la clausola di riparazione potrebbe operare)11.
Per quanto riguarda infine i cosiddetti “consumabili”, e cioè per gli
elementi del prodotto che vengono sostituiti non (solo) nell’ipotesi di
rottura, ma periodicamente, il problema normalmente non si pone in
quanto gli stessi siano interni al macchinario e non possiedano dunque la caratteristica della «visib(ilità) durante la normale utilizzazione»,
necessaria al fine della registrazione della loro forma come disegno e
modello: a meno che essi non diventino visibili nel momento della
loro sostituzione o dell’alimentazione del macchinario cui ineriscono,
nel qual caso uno spazio per la registrazione potrebbe aprirsi. Anche in
questi casi è però improbabile (ma una valutazione andrebbe compiuta
Una zona grigia potrebbe forse prospettarsi ove la diversa forma del componente
sia associata ad una funzionalità solo “quantitativamente” differente (come potrebbe
ad esempio avvenire nel caso di una diversa potenza o simili), anche se, pure in questa
ipotesi, la fattispecie sembrerebbe difficilmente avvicinabile a quella degli accessori
come delineata dalla giurisprudenza e dalla dottrina e varrebbero quindi egualmente le
considerazioni svolte da ultimo.
11 Cesare Galli - Alberto Contini
63
caso per caso) che in relazione ai consumabili possa porsi una reale esigenza di ripristino dell’aspetto originario del prodotto, quanto meno
nel senso in cui la disposizione sembra correttamente da interpretare,
secondo quanto abbiamo indicato sopra, a meno che non emerga che
tale elemento, oltre ad essere in sé tutelabile (in quanto visibile durante
la normale utilizzazione, come sopra specificato, nuovo e dotato di
carattere individuale12), “influisca” anche sull’aspetto estetico del prodotto nel suo complesso.
La linea di ragionamento sopra prospettata trova un limite nella
previsione di cui all’art. 36 C.P.I., a mente del quale «non possono formare oggetto di registrazione per disegno o modello le caratteristiche
dell’aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte
nelle loro esatte forme e dimensioni per poter consentire al prodotto in
cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato di essere
unito o connesso meccanicamente ad altro prodotto, ovvero di essere
incorporato in esso oppure intorno o a contatto con esso, in poco che
ciascun prodotto possa svolgere la sua funzione». Ove ricorresse questa
ipotesi, la liceità della “copiatura” effettuata mediante una stampante
3D deriverebbe tuttavia non già dal disposto dell’art. 241 C.P.I., bensì
dalla nullità della registrazione per disegno o modello, ove la stessa
avesse ad oggetto esclusivamente caratteristiche del componente necessarie per realizzare l’interconnessione; mentre, se la registrazione avesse
un oggetto più ampio e cioè, oltre a tali caratteristiche, comprendesse
anche altri elementi di forma del componente estranei a questa funzione, la contraffazione dovrebbe essere esclusa se la riproduzione riguardasse solo gli elementi destinati a realizzare l’interconnessione, potendosi affermare, al contrario, se estesa anche alle altre caratteristiche
formali di esso.
Tanto sembra del resto compatibile, da un lato, con il quadro delineato dall’art. 35
del Codice, che prevede che il componente, per essere validamente registrato, debba
possedere “di per sé i requisiti di novità ed invididualità”, e non in relazione all’aspetto
complessivo del bene cui afferisce.
12 Cesare Galli - Alberto Contini
64
5. L’art. 241 C.P.I. non costituisce altresì una limitazione all’azionabilità dei diritti sui marchi (registrati e di fatto), cosicché la stessa
disposizione non può a rigore essere invocata al fine di sostenere la
legittimità della realizzazione mediante la stampa in 3D di componenti
per la riparazione del prodotto originario che incorporano il marchio
del produttore: condotta questa la cui illiceità pare difficilmente contestabile, sia perché la presenza del marchio sul componente è normalmente idonea a generare un pericolo di confusione (e quindi ad integrare la fattispecie di illecito di cui all’art. 20, 1° comma, lett. b C.P.I.,
nonché del corrispondente art. 9, 1° comma, lett. b del Regolamento
C.E. n. 207/2009 sul marchio comunitario), giacché il pezzo potrebbe
essere ritenuto “originale”, sia perché, anche se la diversità di origine
fosse chiara, l’apposizione del segno imitante determinerebbe in ogni
caso quanto meno un agganciamento alla fama dell’impresa titolare del
marchio e dei suoi prodotti, che si riverbererebbe vantaggiosamente sul
prodotto non originale, venendo così in considerazione la violazione
dell’art. 20, 1° comma lett. c del Codice (ed il corrispondente art. 9, 1°
comma, lett. c del Regolamento), che protegge i marchi che godono di
rinomanza oltre il limite del pericolo di confusione contro ogni forma
di agganciamento parassitario13. A questo riguardo, anche se non sono
mancate (specie in sede penale) alcune pronunce di segno contrario, la
giurisprudenza, anzitutto comunitaria, ha chiarito che il rilievo “estetico” che la presenza del marchio sul prodotto può presentare non scrimina la sua riproduzione non autorizzata, in quanto «La circostanza
che un segno sia percepito dal pubblico interessato come decorazione
Si veda in particolare Cass. Pen., 20 dicembre 2011, n. 47081, in materia di ricambi
per automobili, e in sede civile un (isolato) precedente del Tribunale di Torino, con
un’ordinanza che è stata tuttavia riformata in sede di reclamo, appunto sulla base
dell’esatta considerazione che la disposizione, di stretta interpretazione, impone una
limitazione all’esercizio dei soli diritti derivanti appunto dalla registrazione del disegno
o modello, e non in generale dei diritti di proprietà industriale, primo fra tutti quello
sul marchio (cfr. Trib. Torino, ord. 21 febbraio 2008, in Giur. it., 2008, 11).
13 Cesare Galli - Alberto Contini
65
non osta, di per sé, alla tutela conferita dall’art. 5.2 della direttiva (e
cioè della norma che prevede la protezione del marchio che gode di
rinomanza, vigente nel nostro ordinamento con il disposto dell’art.
20, 1° comma, lett. b C.P.I., n.d.r.), laddove il grado di somiglianza
sia nondimeno tale da indurre il pubblico interessato a stabilire un
nesso tra il segno ed il marchio d’impresa»; ed ha precisato altresì che
la protezione va esclusa solo «qualora … il pubblico interessato percepisca il segno esclusivamente come decorazione, esso non stabilisce,
per ipotesi, alcun nesso con un marchio d’impresa registrato», poiché
«ciò implica … che il grado di somiglianza tra il segno ed il marchio
d’impresa non è sufficiente affinché si stabilisca un tale nesso»14.
Né d’altro canto l’esigenza di riprodurre fedelmente l’aspetto del
componente originale, ovvero l’esigenza di informare il pubblico della
destinazione del componente a fungere da ricambio al pezzo originale,
potrebbe essere valorizzata in senso scriminante in relazione a quanto
è disposto dall’art. 21, 1° comma, lett. c) C.P.I. (e dell’art. 12, n. 1
lett. c del Regolamento ed all’art. 6, n. 1, lett. c della Direttiva n.
89/104/C.E.E., ora Direttiva n. 2008/95/C.E.), relativo agli usi del
segno altrui giustificati da esigenze descrittive. Questa norma prevede
infatti che «i diritti sul marchio di impresa registrato non permettono
al titolare l’uso di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica: … del
marchio di impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di
un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio», ma subordina la liceità di tale condotta alla circostanza che «l’uso
sia conforme ai principi della correttezza professionale»: e sempre la
Corte di Giustizia europea, pronunciandosi in un caso che aveva ad
oggetto la riproduzione di marchi di case automobilistiche su modellini che riproducevano le vetture di queste ultime, ha chiarito che anche
l’(eventuale) uso non distintivo del segno imitante può interferire con
Corte Giust. C.E., 23 ottobre 2003, nel procedimento C-408/01, Adidas vs
Fitnessworld.
14 Cesare Galli - Alberto Contini
66
le funzioni giuridicamente tutelate del marchio registrato (in relazione
alla protezione oltre il pericolo di confusione) ed ha quindi affermato che l’apposizione del marchio a fini della riproduzione dell’aspetto
originale del prodotto non sarebbe riconducibile alla previsione di cui
all’art. 6, n. 1 lett. b della Direttiva 89/104/C.E. (e quindi alla disposizione dell’art. 21, 1° comma, lett. b C.P.I.), in quanto tale condotta
«non configur(a) un uso di un’indicazione relativa ad una caratteristica
dei modellini stessi» (integrando così l’ipotesi specificamente prevista
dalle disposizioni richiamate), ma solo «un elemento della riproduzione fedele dei veicoli originali», di per sé non scriminato15. Sempre la
Corte europea ha inoltre chiarito, in una vicenda che vedeva la BMW
opposta a un soggetto indipendente che commercializzava automobili
della casa tedesca e prestava attività di assistenza, che non è “coperto”
dal richiamato art. 6 della Direttiva l’uso del segno altrui, pur in funzione della destinazione del prodotto o del servizio, ove questo «compromette il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal
suo carattere distintivo e dalla sua notorietà»16.
Sul punto si deve ancora aggiungere che l’art. 20 C.P.I. vieta ogni
uso non autorizzato del marchio altrui interferente con le funzioni giuridicamente tutelate del segno, che sia effettuato «nell’attività economica», con un’espressione più ampia di quella usata dalla Direttiva n.
89/104/C.E.E.; del resto, anche la nozione di «uso in commercio» di
cui alla Direttiva (e al Regolamento sul marchio comunitario) è stata interpretata estensivamente, essendo stata ritenuta idonea a ricomprendere, ad esempio, anche l’uso del marchio altrui in siti web che,
pur appartenendo a soggetti non imprenditori, fossero però portatori
di pubblicità commerciale, così come l’attività di trasformazione posta
in essere in proprio dall’acquirente del prodotto originale o dal suo
Corte Giust. C.E., 25 gennaio 2007, nel procedimento C-48/05.
Corte Giust. C.E., 23 febbraio 1999, C-63/97, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 1505
e ss., punti 52-63.
15 16 Cesare Galli - Alberto Contini
67
avente causa …, anche a prescindere dall’ulteriore commercializzazione del bene trasformato: cosicché ci si deve domandare se non possano
ritenersi tali anche le utilizzazioni del marchio altrui effettuate in ambito “privato”, che si pongano però «in contrasto con lo sfruttamento
normale dell’opera o degli altri materiali e … arrechino ingiustificato
pregiudizio agli interessi del titolare», secondo la formula già ricordata
dell’art. 13 usata dal TRIPs Agreement in materia di limitazioni del
diritto d’autore, che sembra in realtà espressione di un principio di
portata più generale. Non va del resto dimenticato che, almeno per i
marchi “ostensivi”, ossia per quelli usati per prodotti della moda e del
lusso che vengono acquistati appunto per essere sfoggiati da chi li acquista, tenendo bene in vista il marchio, si è messo in luce che l’acquirente che li esibisce coopera attivamente alla contraffazione, cosicché in
questi casi l’acquirente, più che non il venditore, a spacciare per originale il segno contraffattorio (di regola, in questi casi, identico a quello
imitato, così come molto spesso è apparentemente identico anche il
prodotto), e quindi è quanto meno discutibile che questa sua condotta
“ostensiva” possa ritenersi estranea all’uso nell’attività economica.
In ogni caso, poi, anche per marchio e altri segni distintivi e per
disegni e modelli è possibile qualificare come illecita la contributory
infringement, sostanzialmente sulla base dei medesimi presupposti che
valgono per la contraffazione brevettuale, valendo anche a questo riguardo la medesima ratio: dunque, chi fornisca i files o i progetti che
permettono la riproduzione mediante stampante 3D di un prodotto la
cui forma sia tutelata come modello o come segno distintivo, ovvero
che comporti la riproduzione di un marchio o di un altro segno distintivo, non potrà andare esente da responsabilità17.
La configurabilità della contributory infringement anche in relazione a diritti di
proprietà intellettuale diversi dal brevetto deve ritenersi sostanzialmente pacifica: in
particolare in materia di diritto d’autore si può ricordare la decisione di Cass. Pen., 23
dicembre 2009, n. 1055, in Dir. aut., 2010, 198, relativa ad un noto caso di down-
17 Cesare Galli - Alberto Contini
68
6. Alle stesse conclusioni si deve pervenire anche in riferimento
all’ipotesi dell’utilizzo delle stampanti 3D per realizzare oggetti tridimensionali coperti dal diritto d’autore, tali essendo anzitutto le opere
dell’arte figurativa, quali sculture, incisioni o altre forme d’arte a tre
dimensioni e quelle del design industriale, queste ultime, con riferimento alla normativa nazionale, in quanto presentino, oltre al carattere
creativo, anche valore artistico, secondo l’infelice formulazione dell’art.
2, n. 10 della legge sul diritto d’autore.
Al riguardo va anzi sottolineato che il diritto d’autore non prevede eccezioni al diritto esclusivo di riproduzione riconosciuto in capo
all’autore (o ai suoi aventi causa) nemmeno per le attività effettuate in
ambito privato ed a fini non commerciali, dato che la disciplina della
c.d. “copia privata” è prevista dall’art. 71 sexies legge sul diritto d’autore solo per la riproduzione di fonogrammi e videogrammi e non è
quindi applicabile alla tecnologia qui in esame, e così pure il diritto alla
c.d. copia di back-up di cui all’art. 64 ter della medesima legge sussiste
solo per i programmi per elaboratore (e quindi solo per l’eventuale
load illegale di opere protette dal diritto d’autore per mezzo di un sistema c.d. peer
to peer, che ha ritenuto sussistere la responsabilità del gestore di un sito internet già
per il semplice fatto di aver organizzato «per mezzo di un motore di ricerca o con
delle liste indicizzate» le informazioni (fornitegli da alcuni utenti) essenziali perché gli
(altri) utenti potessero «orientarsi chiedendo il downloading di quell’opera piuttosto
che un’altra». La norma del Codice della Proprietà Industriale, che, come abbiamo
visto supra, sembra presupporre l’illiceità della contraffazione indiretta, e cioè l’art.
124, comma 4° (che assoggetta alle sanzioni per la contraffazione non solo i prodotti
contraffattori, ma anche i «mezzi specifici che servono univocamente a produrli o ad
attuare il metodo o processo tutelato»), riguarda del resto oggi tutti i diritti di proprietà
industriale; ed ancor più specificamente l’art. 89, comma 1°, lett. c) del Regolamento
C.E. n. 6/2002 sui modelli comunitari prevede che le sanzioni irrogate possano riguardare anche i «materiali ed attrezzi prevalentemente utilizzati per fabbricare i prodotti
in contraffazione, qualora il loro proprietario fosse a conoscenza dei fini cui mirava il
loro impiego ovvero tali fini risultassero ovvi date le circostanze», con una formula che
richiama appunto i presupposti di illiceità della contributory infringement.
Cesare Galli - Alberto Contini
69
file originale per la stampa, ove sia autonomamente tutelabile come
software, di cui subito diremo). Certamente il fenomeno della stampa
in 3D presenta, almeno potenzialmente, profili che potrebbero portare
ad assimilarla alle copie private dei fonogrammi e dei videogrammi,
dal momento che anche in questo caso si pongono (e più ancora si potranno porre in futuro) problemi di enforceability del diritto esclusivo
contro i privati analoghi a quelli che, nel caso appunto di videogrammi
e fonogrammi, hanno indotto il legislatore a ritenere preferibile attribuire ad autori, produttori ed artisti interpreti ed esecutori di queste
opere un diritto a compenso certo (essendo calcolato sui devices che
consentono la duplicazione18), in luogo del consueto diritto esclusivo
loro spettante; il carattere eccezionale di tale disciplina non consente
peraltro di estenderla alle stampanti 3D senza un intervento espresso
del diritto comunitario, che almeno allo stato appare prematuro.
Non va infatti dimenticato che le stampanti 3D non sono, almeno allo stato, assimilabili ai videoregistratori o alle macchine fotocopiatrici: per funzionare (ossia per realizzare una qualunque tipologia
di oggetto), esse hanno infatti bisogno di un progetto di stampa che
dovrà essere espresso in un linguaggio software (dal classico CAD ai
files .STL propri delle attuali stampanti 3D). Ciò significa che non
basta possedere un’esemplare dell’opera da copiare per procedere alla
sua riproduzione tridimensionale mediante la stampa in 3D, ma occorrerà alternativamente procurarsi questo progetto di stampa in forma di
software, che di regola nessun privato è in grado di realizzare autonomamente, a meno che non possieda conoscenze tecniche specialistiche
e comunque non comunemente diffuse.
Ci si può anzi domandare se questo software che “codifica” la produzione da parte della stampante 3D del singolo tipo di prodotto non
Nel nostro ordinamento l’ammontare dei compensi dovuti dai produttori e distributori dei diversi tipi di apparecchi di riproduzione è stabilito dal D.M. 30 dicembre
2009, emesso in forza dell’art. 71 septies legge sul diritto d’autore.
18 Cesare Galli - Alberto Contini
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costituisca a sua volta un’opera creativa protetta dal diritto d’autore, e
dunque non riproducibile senza l’autorizzazione del suo autore, il che
è discusso. Quel che conta al riguardo non pare la circostanza che sia
o meno protetto anche l’oggetto fisico cui il file si riferisce, circostanza
che non è in alcun modo collegata, dal punto di vista giuridico, alla
sussistenza o meno di un diritto d’autore sul software che consente la
riproduzione di tale oggetto; il punto rilevante è piuttosto un altro: la
compilazione di questi files in linguaggio software viene infatti normalmente svolta in forma automatizzata da interfacce software (in particolare, programmi di grafica e/o disegno 3D), che, dietro input grafico
dell’autore, restituiscono “automaticamente” il relativo file, senza che
una sola stringa di codice debba essere compilata, in modo non dissimile da quanto avviene per un file di testo, che viene automaticamente generato dal programma di videoscrittura adottato semplicemente
digitando il testo sulla tastiera di un computer; dunque, per quanto
basso possa essere ritenuto il livello di creatività richiesto per la tutela
del software19, è quanto meno dubbio che files siffatti possano ricevere
tutela, e ciò a prescindere dalla circostanza (in sé neutra a questo fine)
che i prodotti corrispondenti siano o meno oggetto di altre esclusive.
Se ci trovassimo di fronte ad un software proteggibile, la sua riproduzione non autorizzata (compresa quella necessaria per far produrre
l’oggetto corrispondente dalla stampante 3D) ne costituirebbe contraffazione, anche in questo caso senza che sia possibile distinguere tra riproduzione effettuata a livello commerciale e riproduzione “privata”; e
parimenti costituirebbe contraffazione l’eventuale elaborazione di tale
software: non però l’autonoma realizzazione di un software che pure
19 Sul punto cfr. ad esempio Cass., 12 gennaio 2007, n. 581, secondo cui «La creatività
e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici,
comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, con la sola condizione che esse siano formulate e organizzate in
modo personale e autonomo rispetto alle precedenti».
Cesare Galli - Alberto Contini
71
fosse in grado di svolgere la medesima funzione, ad esempio perché
realizzato direttamente da un terzo rilevando, tramite scanner digitali
o strumenti simili, le caratteristiche di un esemplare del prodotto originale acquistato legittimamente. In questo caso, l’illiceità del software
potrebbe semmai dipendere dal fatto che il prodotto originale costituisce oggetto di un’opera protetta dal diritto d’autore o di un disegno o
modello, i cui diritti esclusivi vietano anche la riproduzione di esso (e,
nel caso del diritto d’autore, anche la messa a disposizione del pubblico, pure oggetto di un’esclusiva).
Inoltre, anche se il software fosse in sé privo di carattere creativo, il progetto relativo sarebbe comunque in sé tutelabile contro la
riproduzione e la messa a disposizione del pubblico, nonché contro
le elaborazioni non autorizzate di esso, ma, anche in questo caso, non
contro la realizzazione autonoma di un progetto relativo a un prodotto pur identico, fatta salva l’ipotesi in cui sussistano autonomi diritti sull’opera riprodotta. Nel solo caso in cui il progetto «costituisc(a)
soluzion(e) original(e) di problemi tecnici», potrebbe venire invocato
(da parte dell’autore originario del progetto sul prodotto o dei suoi
aventi causa) il diritto connesso sui «progetti dei lavori di ingegneria o
di altri lavori analoghi» di cui all’art. 99 legge sul diritto d’autore, che,
in quanto siano stati soddisfatti anche i requisiti formali previsti dalla
norma20, attribuisce al titolare, oltre al «diritto esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi» normalmente sussistente
su ogni opera protetta, anche il «diritto ad un equo compenso a carico
di coloro che realizzano il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo
consenso».
Quando poi l’uso della stampante 3D dovesse essere posto in essere da un imprenditore concorrente di quello che realizza il prodotto
In particolare, il diritto a compenso sorge solo in presenza di una dichiarazione di
riserva e del deposito del progetto presso il MIBAC e ha comunque durata di soli 20
anni dal giorno di tale deposito.
20 Cesare Galli - Alberto Contini
72
originale (anche a livelli diversi, cosicchè il rapporto di concorrenza
dovrebbe venire riconosciuto anche nei confronti di coloro che forniscano servizi professionali di stampa in 3D agli utenti finali, ovvero
che cedano loro i relativi files o li realizzino su commissione)21, anche
se nessun diverso diritto di proprietà intellettuale o industriale possa
essere invocato, dovranno essere comunque rispettate le regole della
correttezza professionale. In particolare possono qui venire in rilevo la
fattispecie della concorrenza sleale per ripresa diretta della prestazione
altrui, che sanziona la copiatura pedissequa in sé considerata, in quanto
venga realizzata proprio a partire da un esemplare del prodotto altrui e
considerata sleale appunto in quanto «consente una economia di tempo, di lavoro, di studio e di spesa ed offre la possibilità di immettere sul
mercato la pubblicazione in tempi assai più brevi di quelli che avrebbero richiesto l’autonoma elaborazione, composizione e stampa»22; e, nel
caso in cui i prodotti imitati siano molteplici, (o comunque ricorrano
anche ulteriori profili di scorrettezza), la concorrenza sleale parassitaria,
ravvisata tra l’altro nella «imitazione non confusoria, ma pedissequa e
di ampio raggio di prodotti altrui, consente di appropriarsi parassitariamente degli investimenti che altri abbiano fatto per l’immissione
sul mercato di beni dotati di originalità e coerenza stilistica e di inflazionare il mercato dei prodotti (…) che di fatto privano i prodotti
di qualsiasi appetibilità concorrenziale: si tratta perciò di una condotta in radicale contrasto con il canone generale di correttezza imposto
dall’art. 41 Cost. e sanzionato dall’art. 2598 n. 3 c.c.»23.
Per un esempio di servizi di stampa 3D resi ai privati da parte di operatori commerciali cfr. (.makerscafe.com).
22 Così Cass., 2 dicembre 1993, n. 11953, in Giur. ann. dir. ind., 1993, n. 2891; e in
senso analogo Pret. Legnano, ord. 4 maggio 1988, ivi, 1988, n. 2314; App. Bologna,
20 gennaio 1981, ivi, 1981, n. 1488, che riguardava proprio una copia a pantografo;
App. Firenze, 11 marzo 1975, ivi, Rep sist. 1972-1987, p. 964; Trib. Milano, 28 aprile
1975, ivi, 1975, n. 719.
23 In tal senso Trib. Milano, ord. 10 luglio 2006, in Giur. ann. dir. ind., 2006, 856
21 Cesare Galli - Alberto Contini
73
Naturalmente il rilievo concorrenziale di queste condotte (e quindi
anche la qualificazione di esse come atti di concorrenza sleale) presuppone che le stesse siano poste in essere da un operatore economico, e
dunque esso non può venire in considerazione per le riproduzioni in
3D realizzate da un privato a scopo di mera “autoproduzione”. Anche
in questo caso, tuttavia, la concorrenza sleale potrà essere contestata
al soggetto che fornisce le componenti univocamente destinate a questa attività, ed in particolare i files o i progetti che consentono questa
stampa: la possibilità di rivolgersi contro chi svolga (a titolo oneroso
o traendone comunque un beneficio economico, ad esempio mediante i banners pubblicitari inseriti sul sito da cui viene reso possibile il
download dei files24) un’attività diretta a fornire i mezzi univocamente
destinati alla realizzazione di copie interferenti con i diritti altrui rappresenta perciò, anche sotto questo profilo, la linea di difesa più significativa che, almeno in linea teorica, può consentire di arginare l’utilizzazione di questa tecnologia per scopi idonei a privare gli operatori
economici, ed in particolare i creatori di nuovi prodotti, delle utilità
(naturalmente diverse a seconda della natura della loro creazione) che
competono loro.
7. La vera sfida lanciata dalla tecnologia delle stampanti 3D, come
noto, risiede però nella c.d. “polverizzazione produttiva” ossia nel fatto
e ss., capostipite di un filone di altre decisioni consimili, tra cui si possono segnalare
Trib. Milano, ord. 29 gennaio 2009; Trib. Milano, ord. 12 maggio 2010; Trib. Milano, ord. 2 luglio 2012; Trib. Milano, ord. 8 novembre 2012; e Trib. Milano, ord.
27 maggio 2013.
24 Si può del resto dubitare che anche un’attività di questo tipo che sia completamente
“disinteressata” possa sfuggire alla sanzione, trattandosi comunque di un’attività economica rilevante, che si pone «in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o
degli altri materiali» e arreca «ingiustificato pregiudizio agli interessi del titolare», per
riprendere la formula del già ricordato three-step test applicato in materia di limitazioni del diritto d’autore.
Cesare Galli - Alberto Contini
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che per la prima volta (almeno potenzialmente) i consumatori finali
potranno essere anche produttori, ricreando cioè nel mondo “fisico”
una situazione analoga a quella che in questi anni si è venuta a creare
per i settori della musica e della cinematografia, in cui i singoli contenuti vengono riprodotti e diffusi non (o meglio: non solo) da soggetti
operanti in modo professionale, ma anche dai singoli utenti: anche se,
nel filone delle riflessioni già più volte accennate nel corso della trattazione, s’impone un ripensamento della nozione di utilizzazione non
commerciale, che tenga conto della natura di comportamento economico che anche l’autoproduzione necessariamente assume25.
L’onere della prova gravante sul titolare dei diritti e comunque i
costi proibitivi che azioni su vasta scala contro una miriade di “autoproduttori” comporterebbero rendono infatti evidente che dalla possibilità di un enforcement efficace passano sia le prospettive di difesa dei
diritti preesistenti contro le riproduzioni non autorizzate altrui, sia la
possibilità che la stampa in 3D rappresenti realmente un motore per la
creazione di nuove iniziative economiche, che vadano oltre la semplice
produzione di stampanti sempre più avanzate tecnicamente, e invece
colgano le opportunità insite in questa tecnologia, di permettere a chi
abbia “idee” innovative di attuarle senza necessità di grandi investimenti infrastrutturali.
Certamente le possibilità che si sono esaminate di sanzionare, anche sotto il profilo della contributory infringement, le attività propedeutiche alla produzione vera e propria (che per altro verso significano
possibilità per gli innovatori di trovare una remunerazione per la loro
creatività) offrono una prima risposta a questa esigenza, anche se ovviamente sarà necessario valutare caso per caso le singole condotte. In
particolare i servizi prestati da terzi all’utente finale (come i già richiaRestano poi da valutare ulteriori forme di utilizzazione economica indiretta, quali
la raccolta pubblicitaria di un determinato sito web utilizzata per la diffusione di files
destinati alle stampanti 3D dei soggetti privati.
25 Cesare Galli - Alberto Contini
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mati print cafè o le piattaforme di condivisione web dei singoli files)
si prestano, com’è ovvio, sia ad usi leciti, sia ad usi illeciti, ed anche i
prestatori di attività astrattamente “neutre”, come la mera commercializzazione della stampante 3D e/o dei componenti per il suo funzionamento e/o la fornitura di servizi vari per la stampa in 3D in generale,
potrebbero risultare poi in concreto attivamente coinvolti nell’illecito,
ad esempio perché forniscono all’utente finale una serie di informazioni e/o supporti univocamente destinati ad attività illegittime sulle quali
vengano a lucrare. È però lecito ipotizzare che per affrontare le attuali
sfide che l’introduzione di questa nuova tecnologia comporta e sempre
più comporterà alla tutela “classica” della proprietà industriale e intellettuale, sempre più spazio troveranno forme di tutela “alternative”.
La più immediata forma di tutela alternativa che si può immaginare, è ovviamente la tutela “fisica” dell’originale mediante l’introduzione nei propri prodotti di mezzi tecnici finalizzati ad impedire o quanto
meno ostacolare (anche solo rendendo manifesta la natura di copia del
prodotto imitato, al fine di renderne più difficoltosa la circolazione sul
mercato) il processo di copiatura posto in essere partendo dall’esemplare originale del prodotto. Simili processi (che comportano già di per
sé costi non alla portata di tutti), tuttavia, per essere realmente efficaci
dovranno necessariamente essere affiancati a importanti (e ugualmente
costose) campagne di sensibilizzazione e informazione del consumatore, anche al fine di consentirgli di distinguere il prodotto originale dalla
copia e, pertanto, assai probabilmente resteranno ad esclusivo appannaggio dei produttori industriali.
La protezione contrattuale, invece, potrebbe rappresentare sempre
di più un’alternativa valida, economica ed egualmente efficace rispetto alle esclusive della proprietà intellettuale, consentendo di muovere
un ulteriore passo verso un diritto della proprietà intellettuale basato
non su diritti di esclusiva illimitatamente opponibili nei confronti dei
terzi, secondo il modello proprietario, bensì su relazioni contrattuali,
su strategie di marketing e su strumenti tecnici, che consentano di li-
Cesare Galli - Alberto Contini
76
mitare, se non di escludere, l’attività di free riding. In questo senso, è
quindi auspicabile che i soggetti che a vario titolo saranno chiamati
ad operare in un mercato influenzato dalla tecnologia della stampa in
3D, introducano nei contratti di vendita/fornitura dei propri prodotti
e servizi clausole volte a disciplinare i diritti ed obblighi dell’acquirente
di questi prodotti e servizi26, in particolare in modo da impedire o limitare contrattualmente a tali acquirenti (siano essi privati o concorrenti)
l’effettuazione di scansioni digitali o comunque copie del prodotto,
così da poter eventualmente opporre, più facilmente, in presenza di
copie non autorizzate, la violazione dell’obbligazione contrattuale (direttamente all’obbligato) o comunque la lesione del proprio credito27
(agli altri soggetti coinvolti).
La contrattualizzazione delle relazioni tra i diversi operatori è ancor
più importante nella prospettiva, parimenti segnalata, di far sì che questa nuova tecnologia rappresenti in futuro anche un valido strumento
di sviluppo di nuove creazioni, consentendo l’accesso diretto al mercato a tutti gli innovatori, senza che questi debbano necessariamente “passare” (com’è avvenuto sino ad oggi) per il giudizio di soggetti
terzi che finanzino il progetto e/o ne valutino la fattibilità economica
del processo di industrializzazione, con la rivoluzionaria conseguenza
che anche il mercato degli “oggetti” (come sta già avvenendo oggi per
quello del food e dei contenuti digitali), potrebbe un domani diventare
un mercato costituito da una molteplicità di nicchie dove cioè ognuno potrà avere esattamente quello che desidera e non sarà vincolato
ad un’offerta più o meno ampia di prodotti standard28. Un’adeguata
Per un primo esempio di clausole contrattuali specificamente legate alla gestione
dei diritti di proprietà intellettuale con riferimento allo sfruttamento dei medesimi nel
settore delle stampanti 3D si vedano le “Terms&Conditions” del sito shapeways.com.
27 In questa prospettiva si veda da ultimo la pronuncia di Cass., 28 febbraio 2012, n.
3003.
28 Risulta peraltro evidente che anche per i prodotti standard (ed anche per i ricambisti
indipendenti) la stampa in 3D, riducendo nei settori in cui potrà trovare applicazione
26 Cesare Galli - Alberto Contini
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contrattualizzazione (naturalmente accompagnata dall’utilizzazione
appropriata dei diritti della proprietà intellettuale, che tenga conto delle criticità delineate nelle pagine precedenti29) potrà infatti consentire
al singolo designer e al singolo autore30 di generare reddito mettendo
le proprie creazioni a disposizione dei terzi che intendano riprodurle
attraverso la loro stampante 3D, semplicemente valendosi del proprio
sito internet (o di siti internet “intermediari” come già oggi avviene per
le c.d. “app”), senza dover compiere particolari investimenti in macchinari e/o impianti industriali, dato che il prodotto finito potrà essere
stampato direttamente nelle case dei consumatori finali31.
il rilievo delle economie di scala, renderà meno impellente la necessità di disporre di
stocks rilevanti di singoli prodotti o di parti di essi, consentendo un più largo ricorso
alla produzione on demand.
29 È peraltro facile ipotizzare che almeno in fase di start-up questa micro-imprenditorialità farà maggiormente ricorso ai diritti di proprietà intellettuale che richiedono
minori costi per la costituzione dell’esclusiva, e quindi ai diritti non registrati, quali
marchi di fatto, design non registrato (ma anche registrato, in virtù dei costi non
elevati che comporta, e della possibilità di procedere alla registrazione in un secondo
momento, valendosi dell’anno di grazia), know-how e diritto d’autore, ossia di diritti
che sorgono semplicemente con la creazione o con l’uso, il che però porterà inevitabilmente con sé problemi connessi non solo alla prova circa la sussistenza del diritto, ma,
specie a livello internazionale, alle diversità di applicazione e tutela dei singoli diritti
nei vari ordinamenti.
30 Più complesso, invece, è il discorso per i brevetti, la cui tutela richiede il ricorso a procedure di brevettazione complesse e costose (anche perché l’efficacia di esse,
soprattutto in questo campo, postula necessariamente l’estensione a più Paesi, che
moltiplica costi e procedure), posto che, come è noto, la ricerca brevettuale (quanto
meno a un certo livello) richiede oggi costi e competenze non affrontabili o comunque
materialmente non gestibili dal singolo e soprattutto in considerazione dell’effetto di
incontrollata disclosure che la brevettazione comporta rispetto agli insegnamenti tecnici oggetto di esclusiva.
31 Anche l’importanza delle attività di marketing (con i relativi costi), oggi così importanti per il successo e la diffusione di un prodotto, potrebbe venire ridimensionata a
vantaggio del “passaparola telematico” tra singoli utilizzatori finali, mediante recensio-
Cesare Galli - Alberto Contini
78
L’importanza di una corretta contrattualizzazione sarà del resto accresciuta anche dalla circostanza che la probabile proliferazione di progetti “home-made”32 renderà più incerto anche il giudizio di validità
dei diritti di proprietà industriale esistenti, posto che si verrà a creare
una galassia sterminata di prodotti diffusi sul mercato e tra gli operatori del settore (proprio perché in molti casi si potrà aggirare la fase di valutazione industriale con conseguente scrematura di progetti poco appetibili sotto il profilo economico e/o tecnico-industriale) e quindi costituenti un immenso bacino (difficilmente monitorabile) di potenziali
anteriorità invalidanti di brevetti e design successivi. In questi nuovi
scenari, dunque, una sfida fondamentale sarà rappresentata, ancor più
di oggi, dalla titolarità e dalla gestione dei singoli diritti: la facilissima
condivisione via internet e l’acquisita interattività del web (Tizio pubblica il primo file, Caio lo aggiorna, Mevio lo modifica, ecc.) in un ambiente anche solo parzialmente “open”, potrebbe infatti creare non pochi problemi in merito alla stessa titolarità del singolo diritto, problemi
che potrebbero aumentare esponenzialmente ove il singolo progetto
venga eventualmente finanziato mediante il c.d. “crowdsourcing”. Per
tutelarsi almeno nei limiti del possibile, gli ideatori di files di stampa in
3D dovranno quindi essere sempre attenti a chiarire contrattualmente
(eventualmente anche facendo ricorso alle licenze Creative Commons
che hanno sin qui mostrato una discreta funzionalità) le possibilità
di utilizzo e soprattutto elaborazione dei propri lavori, e a loro volta
gli “sviluppatori di secondo livello” dovranno prestare sempre molta
attenzione alla liceità della loro condotta ottenendo eventualmente auni e/o consigli scambiati sulla rete, come del resto già oggi avviene in misura crescente
per il mercato della ristorazione e delle app software.
32 Il fatto che alcuni degli innovatori scelgano di non proteggere le loro creazioni e che
da esse possa essere tratta ulteriore innovazione derivata a sua volta non tutelata, non
esclude però il rilievo di tali creazioni, una volta divulgate (e su questo ovviamente potranno aversi seri problemi di prova, anche riguardo alla datazione), come anteriorità
invalidanti rispetto ad autonome creazioni successive altrui.
Cesare Galli - Alberto Contini
79
torizzazioni espresse per le loro integrazioni e/o migliorie. Allo stesso
modo, chi dovesse accedere a forme di finanziamento condiviso, dovrà
prestare attenzione a disciplinare (in un senso o nell’altro) la titolarità
degli eventuali diritti nascenti dal progetto, escludendo o riconoscedo
espressamente che il finanziamento erogato comporta una cessione totale o parziale della relativa titolarità sui diritti stessi.
Le piattaforme di (lecita) condivisione dei vari files dovranno sicuramente accertarsi (o comunque farsi garantire sul punto) che il soggetto che procede all’uploading del singolo file sulla piattaforma stessa
sia l’effettivo autore del progetto e l’esclusivo titolare di ogni diritto ad
esso connesso, facendosi manlevare da ogni possibile responsabilità nei
confronti di terzi ove il progetto dovesse successivamente risultare di
titolarità di soggetti diversi o comunque costituisse violazione di diritti
di terzi. Particolare attenzione, ove si voglia acquisire una valida esclusiva brevettuale su una soluzione tecnica nuova ed originale relativa a
uno specifico progetto, andrà poi prestata ad evitare divulgazioni non
volute del progetto stesso a soggetti terzi (ove questi non siano vincolati da accordi scritti di riservatezza). Analogamente occorrerà accertare
(cosa non sempre facilissima specie in rete, ove è prassi identificarsi
con nicknames privi di corrispondenza con i nomi del mondo reale)
che il soggetto astrattamente intenzionato a cedere il diritto al brevetto non abbia già depositato in proprio altri diritti registrati anteriori
incompatibili, anche qui facendosi rilasciare idonee garanzie: fermo
restando che l’efficacia di tali manleve è sempre subordinata all’effettiva
solvibilità del soggetto che le presta. E dunque gli strumenti assicurativi potranno costituire una importante componente di questa attività.
Come la rete Internet, anche il mondo della stampa in 3D apre
dunque prospettive nuove e in buona parte ancora difficilmente prevedibili, che il giurista dovrà abituarsi a gestire con flessibilità, avvalendosi non soltanto delle previsioni “specialistiche” del diritto della
proprietà intellettuale, ma prima di tutto degli istituti fondamentali
del diritto civile e commerciale, adattandoli dinamicamente alle nuove
Cesare Galli - Alberto Contini
80
realtà. Più che di nuove norme, abbiamo tutti bisogno di un pensiero
non meno aperto dei nuovi mercati in cui queste tecnologie innovative
ci stanno introducendo.
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Note biografiche degli autori
Cesare Galli, titolare della cattedra di Diritto industriale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Parma, avvocato (Studio IP Law
Galli, Milano-Brescia-Parma-Verona, iplawgalli.it) e Senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, collabora sui temi della protezione dell’Intellectual Property con la Commissione Europea, il Ministero dello Sviluppo Economico,
INDICAM, Confindustria, AIPPI e AmCham. È membro dell’ EU Observatory on Infringements of IP Rights dell’UAMI ed Esperto Giuridico del
CNAC-Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione. Per Filodiritto Editore, nel
2011 ha curato il volume “Guida alle garanzie sui diritti di proprietà industriale e intellettuale”.
Alberto Contini, dottore di ricerca in Diritto industriale e Avvocato in
Milano, specializzato in proprietà intellettuale e industriale. Da sempre la sua
attività professionale si focalizza sulle problematiche, giudiziali e stragiudiziali, legate ai settori dell’elettronica, del software e del web, sia a livello nazionale
che internazionale. Relatore a numerosi convegni nazionali e autore di svariate pubblicazioni in tema di proprietà intellettuale e industriale.
Le stampanti in 3D, scenari futuri anche di tutela IP
di Daniela Mainini
Secondo le più recenti analisi di mercato, a partire dalla seconda
metà di questo decennio saranno profonde le innovazioni nel modo di
produrre con la creazione di nuovi sistemi di domanda-offerta e nuovi modelli di commercio e distribuzione. Sarà la stampa 3D – Rapid
Prototyping or Additive Manufacturing – lo strumento sempre più
utilizzato dalle imprese, nell’ambito della manifattura e del design.
Negli Usa è recente la stampa in 3D di componenti per la realizzazione in serie di un’utilitaria elettrica, Adidas e Nike hanno già elaborato prototipi di scarpe sportive utilizzando la tecnologia di stampa 3D
e in Galles, con l’utilizzo di una stampante 3D, è avvenuta la prima
ricostruzione facciale del volto di un uomo che aveva subito un grave
incidente.
In Texas i servizi segreti americani hanno scoperto una truffa realizzata attraverso l’utilizzo di una stampante 3D con cui sono stati
clonati dispositivi bancomat, fattispecie quest’ultima particolarmente
adatta a una trattazione per chi si occupa esclusivamente di tutela penale industriale.
La stampa 3D consente la rapida realizzazione di oggetti con diverse caratteristiche fisiche e meccaniche, mediante una produzione/
modellazione di strati sovrapposti o attraverso l’utilizzo di materiali
Daniela Mainini
85
liquidi induriti successivamente, il tutto gestito da software di modellazione 3D.
Negli ultimi anni, grazie allo scadere di alcuni brevetti che sino a
questo momento ne impedivano la realizzazione, numerose aziende
in tutto il mondo, tra cui diverse anche italiane, sono impegnate nella
produzione di diverse tipologie di stampanti 3D.
Ciò ha contribuito a una concreta riduzione dei relativi costi, consentendone un maggior utilizzo non solo da parte delle imprese, ma
anche di privati, sebbene ad oggi in modo limitato.
Attualmente, a livello mondiale, si contano circa 40 produttori di
stampanti 3D destinate alle imprese, e più di 200 startup in tutto il
mondo stanno progettando e commercializzando stampanti 3D consumer-oriented.
L’annuale International CES di Las Vegas (The International Consumer Electronics Show), una delle più grandi manifestazioni fieristiche mondiali nel settore dell’elettronica, ha salutato il 2013 come
l’anno dell’arrivo delle stampanti 3D, a cui per la prima volta è stato
dedicato un intero spazio espositivo che ha suscitato notevole interesse
nei visitatori.
Solo nell’ultimo decennio presso l’Ufficio Brevetti e Marchi Americano sono state depositate ben più di 6.800 domande di brevetto
relative alle stampanti 3D e dal 2007 sono stati circa 680 i brevetti
depositati annualmente, ovvero il 39,6 % in più rispetto al quinquennio precedente. Da allora sino ad oggi 3.500 sono i brevetti rilasciati.
Indubbi sono i vantaggi che la tecnologia di stampa 3D potrà arrecare al sistema produttivo: ciò che precedentemente veniva realizzato nei paesi asiatici potrà essere interamente prodotto localmente con
una notevole riduzione di costi trasporto, di gestione e di distribuzione
in modo certamente differente da quanto prevede una attuale supply
chains.
La tecnologia di stampa 3D può essere quindi un importante strumento per il Sistema Italia e in particolar modo per le imprese mani-
Daniela Mainini
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fatturiere italiane, da anni in crisi, che potrebbero dunque rilanciare la
produzione Made in Italy.
La stampa 3D si potrà adattare infatti perfettamente al tessuto industriale del nostro Paese, costituito per la maggioranza da PMI specializzate nella produzione di prodotti complessi dal valore medio alto ed
in comparti come prodotti di design, artigianato, industria meccanica,
industria motociclistica, automobilistica, aerospaziale, moda, medicale, di progettazione e prototipazione. In tutti questi settori esistono,
al momento in cui si scrive, metodologie di stampa 3D che offrono
soluzioni altamente concorrenziali.
Accanto ai vantaggi e alle opportunità offerte dalla stampa 3D ci
sono nuovi rischi e nuove sfide relativamente alla tutela dell’IP che
l’industria, il mercato e le Istituzioni dovranno affrontare.
Il poter realizzare prodotti in modo pressoché immediato attraverso una stampante 3D, oltre a rappresentare una grande opportunità,
costituisce senza dubbio una potenziale minaccia per i titolari di IPR e
sebbene si sia solo all’inizio di quella che potrebbe definirsi una nuova
rivoluzione industriale è possibile prevedere che certamente ed inevitabilmente il mercato della contraffazione si interesserà notevolmente
a tale nuova tecnologia, con conseguenti risvolti di tipo legale da non
sottovalutare.
Come facilmente intuibile, i contraffattori avranno uno strumento
che permetterà loro di sostenere minori costi di realizzazione del prodotto tutelato da un titolo di proprietà industriale con la conseguenza
di poter vendere beni contraffatti a prezzi ancora più bassi.
La diffusione non regolamentata della stampa 3D non è dunque
certamente lo scenario più conveniente per le aziende, specialmente
per quelle italiane che diffondono il Made in Italy nel mondo, i cui intangible assets ovvero design, marchi e brevetti costituiscono i maggiori vantaggi competitivi dell’impresa che dovrà trovare nuovi strumenti
di difesa legale a fronte di una tecnologia che permette la produzione e
dunque la contraffazione di beni in modo veloce, facile, meno costoso
Daniela Mainini
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e alla portata di tutti.
Si pensi che, specialmente nel mondo dei giocattoli, già esistono siti
internet di modelli 3D da cui è possibile effettuare il download di un
disegno o un modello in violazione, in alcuni casi, di diritti di proprietà intellettuale e stamparlo in 3D.
La (fondata) preoccupazione è dunque che la stampa 3D consenta
di facilitare in modo estremamente “pericoloso” l’imitazione di oggetti, o parti di oggetti, protetti da diritti di proprietà intellettuale, esattamente come è avvenuto con Napster, che ha cambiato per sempre il
modo di “scaricare” la musica.
Si teme che questa nuova rivoluzione industriale avvenga ai danni
dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale su quei prodotti che la
stampa 3D renderà riproducibili da chiunque, in qualunque luogo e a
costi decisamente inferiori.
La conseguenza per i consumatori è il rischio che sul mercato aumentino considerevolmente le contraffazioni di una serie quasi infinita
di prodotti che potranno però celare gravi difetti di produzione, con
inevitabili ripercussioni sulla salute e sulla sicurezza.
Secondo l’autorevole opinione di Gartner Inc., multinazionale leader mondiale nella consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo
dell’Information Technology, l’uso delle stampanti 3D contribuirà, a
livello mondiale, a portare a il valore delle violazioni di IPR a 15 miliardi di dollari nel 2016 a 100 miliardi annui nel 2018.
Come già appare chiaro, la diffusione di questa nuova tecnologia
sembra destinata ad essere inarrestabile e tanti proveranno ad ostacolarla, soprattutto in nome della tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
Fermarla però appare impossibile, come è stato impossibile impedire il diffondersi dell’era digitale con tutte le problematiche connesse
alla tutela del diritto d’autore, che semplicemente determinarono l’integrazione dei vari provvedimenti normativi con nuovi e più incisivi
strumenti.
La stampante 3D rappresenta la medesima occasione per i creatori
Daniela Mainini
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di oggetti di ciò che l’avvento di Internet ha rappresentato per i pirati
digitali.
Inevitabilmente sorgono al giurista che si occupa di lotta alla contraffazione una serie di dovute riflessioni: per quanto riguarda l’oggetto
coperto da brevetto non pare dubbia l’interpretazione secondo cui la
riproduzione tramite una stampante 3D (che non sia ad uso personale)
possa costituire un illecito civile e penale.
Diversa conclusione potrebbe aversi a voler considerare la violazione
del diritto d’autore: può detta legittima tutela sull’oggetto estendersi al
file digitale di riproduzione virtuale? È evidente che questa estensione
potrà essere presa in considerazione solo se l’oggetto riprodotto sia già
coperto da diritto d’autore. In caso contrario non potrebbe esserci una
indebita estensione al file digitale di un diritto inesistente sull’oggetto.
La storia ci ha insegnato che non è possibile fermare il progresso
tecnologico dell’uomo e le nuove tecnologie al loro nascere sono state
spesso viste con sospetto e cautela e i relativi benefici sono stati sempre
valutati a posteriori.
Allo stato, nel nostro ordinamento non vi sono norme né divieti
per gli utilizzatori di stampanti 3D se non quelle penali e civili già
esistenti connesse alle tipiche violazioni di marchi, brevetti, modelli e
disegni ed opere dell’ingegno.
Non bisognerebbe attendere il dilagare del fenomeno prima di valutarne l’impatto, al contrario è necessario regolamentare al più presto
la stampa 3D in termini di tutela della Proprietà Intellettuale, combinando un’effettiva lotta alla contraffazione con un’offerta parallela di
modelli non illeciti di progetti 3D o comunque contrattualizzando i
diritti connessi all’utilizzo delle stampanti in questione.
Siamo spettatori di un’autentica rivoluzione produttiva e in fondo,
come insegnava Friedman già nel 1977, in ogni crescita c’è il gusto
della rivoluzione. Tuttavia rari, anzi rarissimi, sono gli uomini che per
prepararla se ne vogliono rendere degni. Mi piace pensare che il confronto sollecitato da Filodiritto sulla stampa 3D possa partire da rifles-
Daniela Mainini
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sioni di alcuni per diventare patrimonio di tutti.
Note biografiche dell’autore
Daniela Mainini, avvocato, è titolare dello studio legale Mainini e Associati con sede a Milano e Roma e specializzazione in Diritto Penale Industriale. Si occupa di lotta alla contraffazione da oltre venticinque anni.
Dal 1990 Segretario Generale del COLC Italia (Comitato Lotta alla Contraffazione) nel 2002 è Presidente del Centro Studi Grande Milano e Presidente
del Centro Studi Anticontraffazione.
Nel gennaio 2011 è stata nominata Presidente del Consiglio Nazionale Anticontraffazione (CNAC) con delega del Ministro dello Sviluppo Economico.
In tale veste ha coordinato il lavoro di undici ministeri coordinando le tredici
commissioni tematiche costituite e curato personalmente la redazione del Piano Nazionale Anticontraffazione.
In data 5 febbraio 2014 è stata nominata membro effettivo in rappresentanza
del Ministero dello Sviluppo Economico nel Consiglio Nazionale Anticontraffazione per gli anni 2014/2015.
IT: misure di sicurezza per la tutela del patrimonio e per evitare le
frodi aziendali
di Gabriele Amato e Michele Amato
In modo del tutto analogo ad una stampante da ufficio, che converte file digitali di elaborazione testo, in pagine stampate, la stampante
3D legge i file di disegno derivanti da un sistema CAD (Computer
Aided Design) creando modelli di prodotti tridimensionali.
Questi file indicano precisamente alla stampante come applicare
in successione i vari strati di materiale (plastiche, polimeri, metalli,
etc.) in modo da trasformare un disegno in un prodotto tangibile, ed è
per questo che si definisce produzione additiva, in contrapposizione a
quella di tipo sottrattivo comunemente utilizzata.
Il Software di progettazione crea modelli che sono dettagliati a livello di micron. I progettisti costruendo oggetti con geometrie sempre più complesse, dovranno descriverli digitalmente con un dettaglio
sempre più preciso. Più dettagliato è il modello, e più dati di conseguenza sono necessari.
Via via che le aziende inizieranno a impegnarsi in una produzione
di tipo additivo, tipico della stampa 3D, vi saranno conseguentemente
sempre più avanzate tecnologie di progettazione, strumenti di calcolo
per eseguire simulazioni, per testare e monitorare la qualità e la durata
dei prodotti.
Gabriele Amato - Michele Amato
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L’impatto dovuto all’introduzione della stampa 3D nei processi industriali sarà molto importante. Questa evoluzione produrrà enormi
quantità di dati detti “Big Data”, che per essere gestiti avranno bisogno
di opportuni strumenti per il loro supporto.
I Chief Information Officer (CIO), ovverosia i manager responsabili della funzione aziendale “tecnologie dell’informazione e della
comunicazione”, dovranno effettuare rilevanti investimenti nei MES
(Manufacturing Execution Systems), i sistemi di gestione della funzione produttiva, nella gestione dei loro dati, e nelle altre tecnologie
necessarie per supportare ambienti di produzione additiva.
In un recente articolo sul Wall Street Journal sono riportati i pareri
di due esperti, Cotteleer e Brinker, entrambi appartenenti al settore
tecnologie digitali di Deloitte.
“I CIO e i loro team di gestione dati saranno chiamati a gestire insiemi
di dati sempre più grandi, che dovranno essere facilmente immagazzinati,
reperiti e manipolati”.
“In questo momento, nessuno ingegnerizza un prodotto senza un CAD
ed un sistema di controllo di versione. Con la stampa 3D, i sistemi di
“versioning” dovranno migliorare, perché la gestione di tutti questi dati
diventerà sempre più complessa”.
Oggi vi è una grande fiducia nella funzionalità e durata dei prodotti che correntemente utilizziamo, questo è stato ottenuto tramite
gli sforzi degli specialisti che hanno nel tempo dedicato centinaia di
anni a studiare le proprietà dei materiali utilizzati e la messa a punto
dei processi qualitativi di generazione dei prodotti quali ad esempio
fusione, colata e fucinatura, etc.
Anche le aziende impegnate nella produzione additiva dovranno
convalidare in modo analogo i loro prodotti. Questo può comportare
un uso estensivo di simulazioni per dimostrare che i prodotti fabbricati
con i nuovi processi additivi siano sicuri, durevoli e affidabili almeno
come quelli creati utilizzando tecniche e materiali più tradizionali.
“I software di simulazione rendono possibile alle aziende il test di
Gabriele Amato - Michele Amato
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nuovi prodotti in un ambiente computer-generated, sottoponendoli virtualmente, alle sollecitazioni che incontreranno nel mondo reale. Questo
processo può aiutare le aziende a capire i punti di forza e di debolezza dei
loro progetti e dei materiali che si utilizzano”.
Poiché la produzione additiva crea tipicamente gli oggetti strato
dopo strato, i produttori sentiranno il bisogno, e avranno anche l’opportunità, di monitorare la produzione in un modo completamente
nuovo.
Il monitoraggio dei prodotti mentre si formano potrebbe ragionevolmente produrre Terabyte di dati (1 Terabyte=1012 byte = mille
miliardi di byte).
Il CIO dovrà determinare quale parte dei dati sia utile e debba
essere mantenuta, e quale invece eliminata e con quale frequenza. La
capacità di gestire e analizzare dati diventerà sempre più importante
quando le tecnologie di stampa 3D saranno impiegate nella produzione di dispositivi medici, componenti per motori, e altri elementi da cui
dipende la sicurezza umana.
È ipotizzabile che la tecnologia di archiviazione dati della seconda metà del 21° secolo sarà sempre più basata su materiali biologici
e tecnologia organica, come il DNA/RNA. I meta-materiali biologici
saranno sempre più utilizzati al posto dell’attuale tecnologia basata sul
petrolio, metalli, ed elettronica. Prendendo spunto da processi esistenti
in natura si riescono ad ottenere migliori prestazioni a un costo inferiore.
Le aziende, producendo i propri prodotti in un modo completamente diverso, dipenderanno sempre di più dalle tecnologie e dalla capacità di monitoraggio che l’IT (Information Technology) potrà loro
fornire, oltre agli strumenti e ai dati necessari per eseguire le simulazioni, il monitoraggio e i processi di collaudo.
Forse la più grande lezione che abbiamo imparato nel 21° secolo,
per quanto riguarda l’effetto della tecnologia sulla società, è che le infrastrutture diventano sempre più fragili all’aumentare della propria
Gabriele Amato - Michele Amato
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dipendenza tecnologica. Questa purtroppo è una tendenza irreversibile.
I dati, come tutte le informazioni memorizzate in forma digitale,
sono particolarmente vulnerabili allo spionaggio industriale, al cybercrime hacking e a cyber-war tra i vari poteri nei differenti scenari geopolitici.
La competizione economica tra le potenze mondiali, e le battaglie
sulla proprietà intellettuale tra le gigantesche corporation del libero
mercato globalizzato indurranno certamente al furto di progetti stampabili in 3D, molto prima di quanto si possa pensare.
In un futuro, in presenza di processi produttivi additivi, l’attenzione dello spionaggio si sposterà sull’attacco ai file 3D memorizzati
digitalmente.
Si immagini che una società abbia creato un disegno rivoluzionario
di un nuovo oggetto utilizzando un software di modellazione 3D. Per
produrlo, utilizzando metodi tradizionali, l’azienda dovrebbe investire
molto denaro in stampi per la fusione e attrezzature delle macchine
per forgiare, forare e lucidare il prodotto e avrebbe bisogno di tecnici
molto qualificati per sorvegliare l’intero processo produttivo.
Nel mondo della produzione additiva, i criminali informatici industriali possono impadronirsi del file CAD con il disegno dell’oggetto,
e prima che qualcuno si accorga che sono state violate le difese informatiche della società, tramite una stampante 3D da 50.000 Euro, potrebbero iniziare a produrre questo nuovo oggetto di cui è stato rubato
il disegno.
Con la stampa 3D, i requisiti patrimoniali per la contraffazione di
un oggetto tendono a calare considerevolmente.
Una sfida che le aziende dovranno affrontare e risolvere è quella di
trovare un nuovo modo di identificare i propri prodotti.
Ciò può essere realizzato utilizzando una marchiatura o un altro
identificativo, o progettando prodotti in modo che possano essere
facilmente identificabili, se contraffatti. Per esempio questa seconda
Gabriele Amato - Michele Amato
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strategia sembra quella perseguita dalla LEGO per i suoi mattoncini.
Molte delle sfide riguardanti la proprietà intellettuale e la sicurezza
che si presentano con la stampa 3D suonano già familiari agli addetti
ai lavori. In questo momento c’è molto fermento intorno alla fabbricazione additiva e il suo potenziale effetto sulla proprietà intellettuale,
ma questo tipo di preoccupazioni non sono nuove.
Quando i masterizzatori DVD furono facilmente disponibili, divenne evidente che potevano essere utilizzati per copiare e trasferire
grandi quantità di dati riservati, e quindi le organizzazioni hanno affrontato le stesse sfide sulla sicurezza di base che si trovano ad affrontare oggi con la stampa 3D.
La protezione dei dati per i file stampabili in 3D sta per diventare
più importante della protezione delle informazioni personali, delle comunicazioni aziendali e, eventualmente, anche dei database militari.
Vi sarà una maggiore vulnerabilità ai furti di tipo informatico nei
file 3D, in presenza delle inevitabili applicazioni militari che utilizzeranno questo genere di fabbricazione.
In un articolo “on line” del giugno 2013, denominato “Guerre Future – Sicurezza nei File 3D” l’autore Shane Taylor delinea degli interessanti scenari in campo bellico.
La protezione dei file digitali è diventata altrettanto importante
quanto lo era in precedenza la protezione dei principali impianti produttivi militari industriali.
Distruggendo la capacità produttiva di tecnologia militare del nemico, la battaglia sarà facilmente vinta.
Questo è in qualche modo analogo a quanto è successo durante la
Seconda guerra mondiale, la “guerra totale”, la quale era orientata alla
distruzione della capacità industriale di una Nazione, come ad esempio
i “blitzkrieg” (guerra lampo) della Germania nazista e il bombardamento a tappeto sulla valle del Reno.
La guerra lampo è una tattica militare basata su una o più manovre
rapide e travolgenti volte a sfondare le linee nemiche nei loro punti
Gabriele Amato - Michele Amato
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più deboli per poi procedere all’accerchiamento e alla distruzione delle
unità isolate, senza dar loro la possibilità di reagire, dato il costante
stato di movimento delle unità attaccanti.
Einstein ironicamente affermò, al termine della seconda guerra
mondiale: «Non so con quali armi verrà combattuta la Terza guerra
mondiale ma la Quarta sarà combattuta con clave e pietre».
Se non si possono produrre armi, diventa complicato fare la guerra
con poco di più che bastoni e pietre.
In un futuro non troppo remoto si potrebbero ipotizzare scenari di
questo tipo: un drone UAV (acronimo di Unmanned Aerial Vehicle
comunemente chiamato drone, cioè un aeromobile senza pilota a bordo) è stato prodotto all’interno di una portaerei utilizzando la sinterizzazione laser e altre metodologie additive.
Tutto sembra andare per il meglio, le parti dell’aeromobile sono
stampate, assemblate, testate. Il drone si prepara per il decollo. Il file
3D è stato però in precedenza violato e leggermente modificato dal
rivale geopolitico e sostituito con un file che è quasi completamente
identico, salvo alcune modifiche minori che però ne minano l’integrità
e la sua capacità di resistere al decollo.
Il drone subisce una lieve frattura strutturale in un settore vitale.
Ritornando sul ponte di lancio esplode togliendo la vita a un notevole
numero di persone.
La protezione dei copyright, una delle questioni più delicate in
assoluto per l’industria della stampa 3D. Quali i possibili rimedi?
Il formato STL (Stereolitoghraphy) utilizzato prevalentemente nella stampa può essere paragonato, dal punto di vista della tutela del
patrimonio aziendale, al formato MP3 che tutti conosciamo e che ha
portato nel mondo della musica una bufera che ha travolto l’industria
musicale e in seguito anche quella cinematografica. La diffusione del
Gabriele Amato - Michele Amato
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formato MP3 ha facilitato la copia elettronica e l’ascolto delle canzoni
scavalcando, in modo spesso illegale, il modello di distribuzione dei
contenuti in vigore.
La stampa 3D essenzialmente potrebbe portare a un fenomeno analogo, un disegno in formato STL utilizzabile teoricamente da chiunque
possieda la stampante adatta, permette la duplicazione di un oggetto
“reale” in modo difficilmente controllabile.
Ci sono aziende che già adesso stanno utilizzando la stampa 3D e
che, probabilmente, si apriranno al commercio del formato digitale.
La già citata LEGO, ad esempio, afferma che monitorerà tutti i
modi in cui la stampa 3D sarà utilizzata commercialmente e adotterà
le azioni necessarie per tutelare i suoi diritti – anche per assicurarsi che
i consumatori siano sempre in grado di distinguere chiaramente quando stanno acquistando un prodotto LEGO di alta qualità – e quando,
invece, stanno acquistando un’imitazione.
Il punto di vista di quest’azienda è quindi essenzialmente quello di
tutelarsi confidando nella notorietà del marchio e del prodotto.
Che cosa succede in un mondo dove qualcuno cerca di creare qualcosa di nuovo e vuole tutelarsi dall’utilizzo improprio di quello che è
il frutto del suo duro lavoro? Ora questo è dematerializzato e spesso
rappresentato solamente da una manciata di bit messi assieme.
La stampa 3D richiede diversi passaggi e, potenzialmente, ognuno
di questi può essere oggetto di attacchi volti a danneggiare e/o copiare
il lavoro svolto.
Il primo passaggio, quello del disegno, normalmente è preparato
in azienda e il risultato deve essere protetto, e monitorato l’accesso in
modo analogo a tutti i documenti aziendali importanti. Il principale
valore aziendale è quindi il disegno ed essendo realizzato in formato
elettronico è facilmente duplicabile e modificabile.
I passi successivi, trasformazioni in formato STL stampabile e, soprattutto, lo “slicing” e la stampa vera e propria devono essere oggetto
di una cautela particolare, perché spesso questi passaggi possono essere
Gabriele Amato - Michele Amato
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eseguiti anche da aziende che offrono servizi di stampa 3D all’esterno
in “outsourcing”.
Che cosa può essere attaccato da malintenzionati?
I dispositivi fisici, i dati e il software, i servizi online, e i risultati
della stampa.
Come può avvenire?
Modificando il software o la configurazione, i dati del disegno, il
firmware dei dispositivi.
Quando può verificarsi l’attacco?
Bisogna considerare il beneficio per l’attaccante, il costo dell’attacco, la percentuale di successo dello stesso. Non dimentichiamo che
l’attacco potrebbe avere come scopo il solo danneggiamento con eventuale perdita d’immagine del proprietario e non il furto dell’oggetto.
Ad esempio si potrebbe modificare mediante il software il comportamento della stampante in modo da produrre un oggetto difettoso o
danneggiare la stampante stessa forzando movimenti fuori dai limiti o
lavorando a temperature eccessive.
La scelta di affidarsi ad aziende esterne è spesso obbligata, giacché
dotarsi preventivamente delle stampanti in grado di trattare diversi tipi
di materiali può essere oneroso e la velocità con cui procede lo sviluppo
rende un modello obsoleto dopo pochi mesi; inoltre, la stampa 3D sta
cominciando anche a produrre “catene di montaggio” che permettono la realizzazione di prototipi multicolore e multi materiale in modo
rapido.
Quali sono i rischi che si corrono? Affidarsi a un fornitore esterno
può dare garanzie?
Si trovano nel web aziende che offrono il servizio di stampa 3D, ma
spesso non si ha la percezione che offrano garanzie sul trattamento dei
nostri disegni.
Cominciano così a nascere compagnie di stampa 3D che hanno
come focus la sicurezza e il controllo.
Un possibile approccio potrebbe, ad esempio, essere quello di per-
Gabriele Amato - Michele Amato
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mettere l’accesso remoto a tutte le fasi da parte del cliente.
Si parte da una connessione protetta al “cloud” dove sono parcheggiati i disegni.
Quando i disegni sono disponibili, si può controllare ogni fase del
processo e monitorare la stampante fisica per verificarne il funzionamento e controllare che il processo avvenga senza manomissioni da
parte di qualcuno non autorizzato.
Si potrebbe ipotizzare il monitoraggio ambientale della stanza e della macchina utilizzata per la stampa (tramite telecamera/microfoni) e la
relativa registrazione per evitare operazioni non autorizzate.
Questo tipo di approccio offre una sicurezza percepita in maniera
molto alta poiché la visione reale del processo è estremamente rassicurante ed evita intrusioni e/o manomissioni grossolane.
Siamo del tutto sicuri che non ci possano essere manipolazioni e/o
copie non autorizzate?
In ambito informatico, come anche in altri, la sicurezza assoluta
non esiste, occorre considerare con attenzione tutti gli aspetti e adottare, caso per caso, tutti gli accorgimenti possibili per evitare un utilizzo
fraudolento del proprio patrimonio.
Gabriele Amato - Michele Amato
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Occorre:
a) selezionare e verificare accuratamente i nostri partner e cautelarsi dal
punto di vista legale;
b) monitorare con cura i nostri sistemi alla ricerca di virus e accessi non
autorizzati;
c) controllare con cura tutto il sistema di lavoro delle stampe 3D sia dal
punto di vista ambientale che hardware e software;
d) affidarsi a professionisti di fiducia e di comprovata esperienza in
materia;
e) …probabilmente incrociare le dita.
Esaminiamo ora le criticità riguardanti la stampa di oggetti 3D utilizzando un servizio di stampa interno o in outsourcing.
I punti principali nei quali vi potrebbero essere furti del disegno
sono:
1) Trasmissione dei file
Problema: la trasmissione può essere intercettata (mail, upload di file),
un malintenzionato potrebbe utilizzare a suo piacimento il disegno.
Soluzione: crittazione del file mediante chiavi asimmetriche. La cifratura del file con la chiave “pubblica” del ricevente, permette solo a
quest’ultimo la decrittazione.
2) Conservazione del file
Problema: accesso da parte di persone non autorizzate.
Soluzioni: politiche rigorose sugli accessi solamente a un insieme prefissato di macchine/utenti, blocco dell’uso di chiavette USB, utilizzo di
nomenclature che non permettano di ricondurre facilmente il disegno
al Cliente/Oggetto, in modo che gli operatori non conoscano la provenienza degli stessi, monitoraggio degli accessi ai singoli file tramite
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un sistema di audit.
3) Elaborazione delle immagini e preparazione alla stampa
Problema: la persona che ha accesso al disegno in questa fase potrebbe
eseguirne delle copie.
Soluzione: monitoraggio e verifica puntuale dell’operato dell’addetto,
e utilizzo di macchine virtuali per l’interfacciamento della stampante
che non possano accedere alla rete esterna o a dispositivi non autorizzati e che al termine del lavoro facciano “rollback” automatico eliminando tutte le tracce del lavoro eseguito.
4) Stampa
Problema: stampa di copie non autorizzate.
Soluzione: dispositivi Hardware che “contino” le copie stampate.
5) Logistica
Problema: sottrazione del prototipo o del prodotto finito.
Soluzione: imballaggio degli oggetti finiti in contenitori sigillati con
segnalatori di posizione GPS e allarmi per evitarne l’apertura non autorizzata. Controllo degli oggetti in attesa di spedizione. Spedizione
con corrieri sicuri.
Un altro articolo che vale la pena segnalare riguarda la “Crittografazione di file 3D: il prossimo Step nella sicurezza della stampa?” di
Alexey Churchwell.
Qualsiasi file 3D, essendo un’informazione di tipo digitale, può
essere facilmente condiviso, il che significa che tutto ciò che serve è un
luogo dove scaricarlo, una stampante e si può produrre l’oggetto.
Questo è un bellissimo aspetto della stampa 3D ma nello stesso
tempo la sua maledizione.
Essendo possibile condividere qualsiasi cosa, è verosimile che vi si-
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101
ano compresi anche i progetti di oggetti pericolosi.
Quando i file della prima pistola stampata in 3D sono stati rilasciati, sono stati subito sequestrati dal governo degli Stati Uniti. Purtroppo
però, i file erano già stati diffusi su Internet, e sono ancora disponibili
in alcuni siti in formato “torrent”, un tipo di file utilizzato per condividere contenuti personali.
Siti come Thingiverse, che permettono di caricare i modelli 3D
creati dagli utenti, combattono questo fenomeno filtrando il materiale
pericoloso o protetto da copyright. Forse una nuova applicazione di
crittografia dei file 3D potrebbe cambiare la situazione.
Un appassionato di stampa 3D, Matthew Plummer-Fernandez, ha
recentemente progettato un’applicazione che consente di crittografare – e decifrare – i file 3D, solamente con un codice di protezione
opportuno.
La crittografia in realtà cambia il modo in cui il file appare; anziché
l’oggetto che il file dovrebbe effettivamente stampare, se ne vedrebbe
una forma distorta.
Fig.1: file di una pistola, prima e dopo la crittografia. Image credit Forbes
Gabriele Amato - Michele Amato
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Questo tipo di applicazione è importante per motivi di sicurezza.
Se è necessario eseguire un progetto per un’ultima invenzione, o si
vuole fabbricare un modello esclusivo di un prodotto, la crittografia
consente di trasferire i dati in modo sicuro.
A differenza del passato, non è più possibile ammanettarsi la cartella con i documenti al polso, se questi sono digitali, ma è possibile fare
in modo che nessun altro possa accedervi.
D’altra parte, quest’applicazione permette ai file pericolosi di essere
inseriti nei database dei progetti 3D. Con immagini deformate e dati
illeggibili, censurare questi tipi di file diventerà pressoché impossibile.
Ovviamente sarà necessario un codice per aprirlo, ma tale informazione potrebbe essere fornita in un sito separato senza alcuna difficoltà.
Dal punto di vista della sicurezza, quest’applicazione crittografica
presenta sia vantaggi che svantaggi.
I siti di stampa 3D dovranno trovare una soluzione per evitare che
file illegali vi siano depositati, ma la soluzione descritta potrebbe vanificare le caratteristiche di sicurezza del software.
Indipendentemente dal fatto che si pensi che ciò sia positivo o negativo, è sicuramente qualcosa su cui vale la pena riflettere.
Un’altra soluzione per condividere i file di progettazione 3D mediante l’invio di messaggi di posta elettronica, o sui siti di file sharing,
o tramite lo scambio di schede SD, è stata presentata al Mobile World
Congress nel febbraio 2013, dove una startup Estone chiamata Fabulonia ha effettuato una dimostrazione di streaming di progetti 3D dalla
Germania a una stampante 3D a Barcellona, Spagna. Questa società
propone una tecnologia sicura di streaming 3D che codifica e memorizza i dati con un metodo che rende i file inaccessibili agli estranei.
Solo le persone autorizzate sono in grado di accedere a tali file.
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Il dispositivo è stato progettato per essere collegato con specifiche
stampanti 3D, di tipo Makerbot 2 o 2X, e deve essere collegato tra la
rete e la stampante 3D.
È possibile creare un account e iniziare caricare i file, che saranno
criptati rendendoli pronti per essere condivisi e stampati in modo sicuro, in locale o in remoto.
Un altro interessante articolo che vale la pena citare è “Come gli
hacker possono infiltrarsi in una stampante 3D” di John Paul Titlow.
Un ricercatore cinese sostiene che, essendoci sempre più stampanti
3D di tipo consumer, presenti sul mercato, dovremmo essere preoccupati per la loro sicurezza. Che ci si creda o no, una stampante 3D può
essere violata.
Per ogni balzo in avanti della tecnologia, vi sono i conseguenti rischi e insidie.
Quest’argomento è stato al centro di una recente presentazione
proposta da un ricercatore cinese sulla sicurezza Claud Xiao alla XCon
2013 Security Conference a Pechino. Xiao, che fa ricerca sulla sicurezza per una società di antivirus cinese, ha illustrato i modi in cui gli
hacker possono sfruttare le vulnerabilità all’interno di una stampante
3D o della rete a cui è collegata.
È tutto abbastanza teorico, ma i dettagli sono specifici e abbastanza
plausibili da fare venire a un qualsiasi amministratore IT un piccolo
attacco cardiaco.
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Perché qualcuno dovrebbe attaccare una stampante 3D? Che cosa
ne potrebbero ottenere? Come ogni forma di pirateria informatica, la
motivazione può variare da qualcosa di poco più di un’innocua birichinata a una vera e propria guerra cibernetica. Qualunque sia l’obiettivo
finale, ottenerne l’accesso per fare danni non è una cosa di poco conto.
Naturalmente i danni variano a seconda del tipo di apparecchiatura. Una RepRap, un sistema open source di prototipazione rapida, è
ovviamente un bersaglio più facile dell’ultimo modello industriale di
3D Systems.
Dopo avere analizzato l’intero flusso di elaborazione del modello,
dati 3D e del relativo metodo di controllo della stampante, ha riscontrato che quasi tutti i software correlati, il firmware, e i servizi di download on-line non salvaguardano la sicurezza, quando si utilizzano le
stampanti “consumer” di tipo RepRap. Nella maggior parte dei casi,
quando i dati del modello o di configurazione sono trasferiti o memorizzati, o il comando di controllo è trasferito o eseguito, non c’è alcuna
autenticazione o verifica, il che significa che il potenziale aggressore
può facilmente compiere delle modifiche.
Per trovare un punto debole in questo flusso di elaborazione dati,
si potrebbe iniettare del codice malevolo “malware”, il quale potrebbe
influenzare l’output della stampante, carpire file CAD sensibili, o addirittura modificare il firmware della stampante e prenderne il controllo.
È anche possibile che questo “malware” possa annidarsi nei file CAD
utilizzati per stampare i modelli 3D, che sono liberamente distribuiti
on-line.
A seconda della natura dell’attacco, i risultati possono variare ampiamente. In primo luogo, c’è il rischio che la proprietà intellettuale di
un’azienda o altre informazioni sensibili possano essere carpite.
Come già è stato visto con l’hacking di stampanti su carta a getto
d’inchiostro, infiltrarsi in quelle 3D può consentire di intercettare i
file STL o altri dati del modello 3D ancora prima di essere inviati alla
stampante.
Gabriele Amato - Michele Amato
105
Se si sta stampando una cover per iPhone appena scaricata da Thingiverse, ciò probabilmente non avrebbe alcuna importanza, ma se un’azienda sta lavorando su prototipi per un nuovo prodotto top secret, un
ambizioso concorrente potrebbe carpire informazioni non autorizzate.
Se si considerano i tipi d’industrie che saranno inclini a utilizzare
la stampa 3D, ad esempio medico, industriale e militare è possibile
immaginare il motivo per cui varrebbe certamente la pena fare hacking
del disegno 3D presente all’interno di una stampante.
Con la tattica giusta, si potrebbe anche modificare il comportamento della stampante. Questa modifica potrebbe causare qualcosa
d’innocuo come interrompere il processo finale di stampa del progetto
del proprio compagno di Università, o modificare l’oggetto in modo
da produrre qualcosa di goliardicamente osceno. Un attacco potrebbe
fornire agli hacker un modo per danneggiare fisicamente la stampante
stessa. Iniettando un codice “malvagio”, questo potrebbe alterare la
logica del firmware della stampante, provocando la stampa di oggetti
danneggiati o, peggio, che la macchina danneggi se stessa.
Ad esempio provocandone deliberatamente il surriscaldamento, si
potrebbe rendere inutilizzabile una macchina molto costosa.
Un fatto del tutto analogo è avvenuto con il “worm” Stuxnet, un
virus informatico creato e appositamente diffuso dal governo USA
(nell’ambito dell’operazione iniziata da Bush nel 2006 che consisteva
in una “ondata di attacchi digitali” contro l’Iran) in collaborazione col
governo Israeliano. Nella centrale nucleare iraniana di Natanz, è stato
inserito questo “worm” allo scopo di sabotarne le centrifughe, per interrompere l’arricchimento dell’uranio tramite l’esecuzione di specifici
comandi inviati all’hardware di controllo della velocità di rotazione
delle turbine, al solo scopo di danneggiarle.
Questa ricerca serve ad avvisare le aziende che utilizzano le stampanti 3D a livello industriale che vi sono questioni di sicurezza non
ancora esplorate su queste macchine sempre più diffuse.
È ragionevole pensare che tutte le stampanti probabilmente siano
Gabriele Amato - Michele Amato
106
sotto tiro, in particolar modo quelle utilizzate per i lavori più importanti, o quelle stampanti di dimensioni desktop, utilizzate da hobbisti
e designer.
Note biografiche degli autori
Gabriele Amato, Ingegnere in Bologna, Webbo S.r.l. e 4ensicSkill S.r.l.,
Consulente Tecnico Tribunale di Bologna, Professore a contratto di Informatica – Università degli Studi di Bologna.
Michele Amato, Ingegnere in Bologna, Webbo S.r.l. e 4ensicSkill S.r.l.,
High Tech Specialist.
Accordi di riservatezza e contrattualistica
di Antonio Zama
Il tema che mi sono riservato fa un po’ tremare e, ora che lo devo
affrontare, maledico la mia scanzonata sfrontatezza. La chiave la trovo,
parassitariamente, da altri contributi dell’opera e consiste nella seguente domanda: gli strumenti contrattuali che imprenditore, consumatore, giurista e, come vedremo, consulente IT si troveranno a maneggiare
in relazione all’utilizzo della tecnologia in stampa 3D sono qualitativamente diversi da quelli già ampiamente elaborati e conosciuti da
dottrina e giurisprudenza o si distinguono dai medesimi solo quantitativamente ragionando? In altre parole, si perdoni l’espressione, il
tacchino va farcito con ingredienti nuovi, ma resta appropriato per le
attese dei commensali, oppure va sostituito con altra portata per palati
più raffinati? A naso propendo per la prima, ma siccome il mio non è
un contributo a tesi, vedrò alla fine se concordo.
Parto dallo strumento più ampiamente trascurato dalla prassi commerciale degli imprenditori (escludendo le ipotesi di due diligence e,
in generale, le operazioni societarie), vale a dire l’accordo di riservatezza (Confidentiality agreement o Non-disclosure agreement), sia
che costituisca documento a sé stante, sia che, sotto forma di clausola
specifica, sia collocato nell’ambito di altre tipologie contrattuali, quali,
ad esempio, il trasferimento di know how, la licenza per l’utilizzo di
marchi e l’appalto di beni e servizi. Più in particolare, ragionando cro-
Antonio Zama
108
nologicamente, vale la pena di menzionare la lettera di intenti (Letter
of intent o Memorandum of understanding o Statement of principles
o Head of agreement) che, di norma, oltre ad avviare un periodo di
studio tra le parti, stabilendo la durata e le modalità di svolgimento
nonché l’oggetto e lo scopo del futuro ed eventuale contratto, prevede,
appunto, una clausola di riservatezza con riferimento alle informazioni
contenute nei documenti scambiati tra le parti in via cartacea e oggi
molto più su supporto informatico. In questo contesto è ben possibile
che, ad esempio, le parti di un futuro contratto di appalto di servizi
per la stampa in 3D di componenti di un macchinario industriale,
ovvero, addirittura, di prototipi, si possano trovare nella necessità, al
fine di definire nel periodo di durata della lettera di intenti le future
obbligazioni contrattuali, di scambiare file recanti immagini elaborate
dall’ufficio tecnico o dall’ufficio ricerca e sviluppo, destinati ad essere
stampati in 3D dall’appaltatore.
Quali potrebbero essere i contenuti della clausola di riservatezza
inserita nella lettera di intenti?
Innanzitutto la precisazione dell’oggetto della medesima: in questi casi la genericità e l’indeterminatezza, prima ancora che inefficacia,
producono inutilità, fatto salvo un vago e spesso sovrastimato effetto deterrente per la parte ricevente, destinataria del file riservato (nel
nostro esempio, l’appaltatore). In altre parole, nella clausola non si
dovrebbe avere alcuna parsimonia nello stabilire:
a. la tipologia di file trasmessi e le relative caratteristiche, ivi
compresi i sistemi di protezione dei medesimi. Dovrebbe essere circoscritto l’utilizzo di strumenti che agevolano l’imputazione della paternità del file (quali watermark), nonché di tecniche di protezione
(dirette ad assicurare la riservatezza e l’integrità del file), quali la crittografia (descritta dal contributo degli Ingegneri Amato), precisandone
lo scopo e il funzionamento;
b. le modalità di consegna e/o di trasmissione dei file (sistemi
e protocolli utilizzati) e di conservazione (su cui torno di seguito). In
Antonio Zama
109
caso di utilizzo di un sistema cloud (nel quale non si tratta più di consegna o trasmissione ma più semplicemente di disponibilità), dovranno
comunque prevedersi le modalità di accesso e l’operatività consentita
alle parti. Gli Ingegneri Amato si soffermano sull’utilizzo del cloud per
la stampa in 3D, evidentemente le soluzioni che prospettano dovrebbero essere esposte nell’accordo di riservatezza;
c. l’identificazione dei file, facendo eventualmente riferimento
a comunicazioni via PEC che potrebbero accompagnare la consegna,
la trasmissione o la messa a disposizione del file secondo le modalità
prescelte. Al termine della lettera di intenti si potrà così avere a disposizione un riferimento ulteriore in ordine ai file che sono stati scambiati
nel corso della validità della medesima;
d. il bene riprodotto nei file (ad esempio, componenti, prototipi, dispositivi), individuato anche in relazione all’oggetto della
collaborazione prevista nella lettera di intenti e del futuro eventuale
contratto. È pure vero che la parte che invia il file (il nostro ipotetico
committente) potrebbe avere interesse ad evitare di fornire informazioni dettagliate alla parte ricevente in merito a destinazione e funzionalità dell’oggetto che sarà prodotto con la stampa in 3D. Si può anzi
ipotizzare che, al fine di tutelare i propri diritti, eventualmente oggetto
di privativa, il committente decida di avvalersi di più appaltatori per
la stampa in 3D (mutatis mutandis, soluzione già invalsa da parte delle
imprese che si avvalgono di più subfornitori). Rinviando per approfondimenti sul punto al contributo del Professor Galli e dell’Avvocato
Contino, mi limito a ricordare in questa sede una banalità: posto che
il contemperamento delle diverse esigenze del committente dovrebbe
essere effettuato prima della sottoscrizione del contratto, il periodo di
collaborazione durante la vigenza della lettera di intenti potrebbe risultare proficuo in tal senso, offrendo spunti di analisi per valutare l’affidabilità della controparte e per elaborare una efficace strategia di tutela
dei propri diritti, assistita da idonee clausole contrattuali e soprattutto,
come vedremo e nei limiti del possibile, da misure IT;
Antonio Zama
110
e. le misure di sicurezza e di controllo adottate dal ricevente
(o che si impegna ad implementare entro il termine concordato), per
proteggere i file ricevuti, circoscrivendo, in particolare, la cerchia dei
soggetti a cui è consentito l’accesso, che operano a qualsiasi titolo per
il ricevente (lavoro dipendente e/o collaborazione). Questa parte della
clausola di riservatezza potrebbe costituisce l’embrione della clausola o,
meglio, dell’allegato del futuro contratto di appalto, con il quale le parti stabiliranno le rispettive obbligazioni dirette ad assicurare l’adozione
di misure adeguate per la protezione dei file;
f. il tempo di conservazione dei file, con l’impegno alla eliminazione/cancellazione e comunque all’utilizzo di sistemi di protezione. In quest’ottica, a titolo esemplificativo, la conservazione dei file
dovrebbe essere effettuata, se utilizzati i server del ricevente, in aree
esclusivamente riservate alla suddetta cerchia di soggetti e comunque
per le quali siano studiate specifiche soluzioni di back up temporali;
g. le operazioni funzionali allo scopo della lettera di intenti
che la parte ricevente avrà facoltà di compiere, quali, ad esempio, la verifica della conformità dei file alle specifiche previste e della compatibilità con le stampanti in 3D di cui dispone il ricevente. Su questo punto
la lettera di intenti, anticipando il contenuto dell’eventuale contratto,
potrebbe prevedere ulteriori attività, a seconda che all’appaltatore siano affidati servizi ulteriori e più impegnativi rispetto alla semplice
stampa, quali, ad esempio, la lavorazione dei file ricevuti e la stampa in
3D di alcuni modelli, sui quali le parti possono confrontarsi per la determinazione delle specifiche/standard di qualità della stampa in 3D,
eventualmente da inserire quale allegato del futuro contratto;
h. gli obblighi di informazione in capo al ricevente qualora
si verifichino minacce e violazioni all’infrastruttura IT, indipendentemente dalla provenienza (interna e/o esterna), che possano in qualsiasi
modo pregiudicare le misure di protezione dei file oggetto del rapporto.
All’esito di questa breve disamina, non mi sembra fuori luogo un
Antonio Zama
111
cenno al documento programmatico sulla sicurezza (o al documento analogo con nome diverso), precipitato nel dimenticatoio a seguito
delle riforme succedutesi in materia di privacy. Non mi sembra trascurabile l’utilità per le aziende che operano nel settore della stampa
in 3D, posto che, nella versione integrale o, meglio, in estratto nella parte di rilievo, potrebbe essere allegato alla lettera di intenti e al
contratto che succede alla medesima. È chiaro che il documento, per
essere davvero efficace, dovrebbe disciplinare nel dettaglio l’operatività aziendale con riferimento alle funzioni di stampa in 3D. Il
documento assumerebbe centralità sul piano della stampa in 3D non
tanto in relazione ai potenziali dati trattati (ipotesi residuale almeno
come frequenza), quanto, appunto, alle misure di sicurezza applicate,
alle modalità di trattamento e agli incaricati. In sostanza, si tratterebbe
di rivedere il contenuto del documento, adattandolo all’ottica e alle
esigenze della stampa in 3D.
Giova forse un esempio: per le aziende che fanno della stampa in
3D il proprio core business potrebbe essere opportuno designare uno
specifico responsabile del trattamento dei dati e, in generale, dei
file ricevuti in funzione della stampa in 3D. Non credo che si tratti
di adempimento da escludere in radice, valutate naturalmente tutte
le circostanze del caso. Se si pensa poi che la stampa in 3D potrebbe
contemplare la preventiva acquisizione di dati personali o comunque
il trattamento dei medesimi, ad esempio, sotto forma di caratteristiche
fisiognomiche (oltre alla stampa di protesi e/o di materiale destinato
ad essere impiantato nel corpo umano come descritto nel contributo dell’equipe del Professor Marchetti, ricordo che si va diffondendo
la moda di ottenere un “avatar” di diverse dimensioni che riproduce l’immagine in 3D dell’individuo), la soluzione a mio avviso deve
essere presa seriamente in considerazione. Vale la pena di aggiungere un’ultima annotazione sul punto: al responsabile del trattamento
dei dati (con ogni probabilità lo stesso responsabile della produzione)
potrebbe essere consegnata la chiave di competenza del ricevente, ai
Antonio Zama
112
fini della decrittazione del file che sia stato crittato con chiavi asimmetriche dal committente, come ipotizzato dagli Ingegneri Amato nel
loro intervento. Sia detto per inciso: il tema del trattamento dei dati e
della relativa disciplina è suscettibile di diventare centrale allorquando
il rapporto che contempla la stampa in 3D intercorra tra azienda e consumatore. Secondo inciso: sempre in tema di trattamento dei dati, nei
prossimi aggiornamenti del regolamento per l’utilizzo degli strumenti
IT aziendali, le aziende che operano con la stampa in 3D dovrebbero
prevedere un paragrafo dedicato all’argomento.
Uscendo dalla materia del trattamento dei dati ed entrando in quella della sicurezza informatica – per ampi tratti intersecante e infatti già
anticipata, che dovrebbe trovare collocazione nei contratti tra aziende
committenti ed aziende appaltatrici nel settore della stampa in 3D, occorre citare gli standard ISO/IEC 27001-2005 (“Information technology – Security techniques – Information security management systems
– requirements”) e 27002-2005 (“Information technology – Security
techniques – Code of practice for information security management”),
la cui implementazione potrebbe costituire requisito indispensabile per
l’avvio dei rapporti. Le parti potrebbero altresì concordare specifiche
misure integrative rispetto a quelle già previste dall’appaltatore e dal
committente (non lo si deve trascurare), che abbiano ad oggetto la
stampa in 3D dei file inviati dal committente. È pur vero che, in concreto, nei casi più delicati, occorre verificare cosa prevedono i sistemi
IT aziendali in conformità ai suddetti standard. In particolare, con
riferimento allo standard 27002, mi sembrano meritevoli di citazione
le parti dedicate a: assessing security risks, confidentiality agreements,
roles and responsibilities, audit logging, cryptographic controls, control of technical vulnerabilities, regulation of cryptographic controls.
Va da sé che le aziende interessate (penso alle piccole e medie meno
dotate sul piano IT) potrebbero almeno dimostrare la conformità ad
alcune delle misure previste, eventualmente con specifico riferimento
alle attività di stampa in 3D.
Antonio Zama
113
Tornando ai contenuti della nostra lettera di intenti che si riferisca anche alla tecnologia della stampa in 3D, occorre menzionare le
sanzioni in caso di violazione. In questo caso, la mia fantasia non riesce ad immaginare soluzioni che si discostino da quelle utilizzate nella
prassi commerciale, che conosce la previsione di penali, di importo
più o meno ingente e più o meno ragionevoli in rapporto alla gravità
della violazione e all’entità del pregiudizio causato, dirette soprattutto
ad ottenere il già menzionato effetto deterrente, sul quale sono molto
scettico. Al di là del quantum della penale, è infatti sull’assolvimento dell’onere probatorio che naufragano anche i più bellicosi istinti e
propositi. Per questa ragione, ritengo che l’effetto deterrente possa
essere ottenuto dalla più agevole riconducibilità alla parte ricevente della violazione ai vincoli di riservatezza previsti dalla lettera di
intenti (e, in seguito, dal contratto). Il maggior livello di sofisticatezza
e di complessità della disciplina degli elementi sopra esposti in merito all’oggetto dell’accordo di riservatezza dovrebbe allora avere anche
l’obiettivo di ridurre il margine di dubbio in ordine al responsabile
della violazione, potendo ad esempio individuarsi con certezza la fase
in cui detta violazione è avvenuta. Le misure adottate potrebbero tra
l’altro consentire l’acquisizione di evidenze probatorie in conformità
ad altri standard internazionali (in particolare, ISO/IEC 27037:2012
– Information technology – Security techniques – Guidelines for identification, collection, acquisition, and preservation of digital evidence).
Cercando di riassumere i temi trattamento dei dati e sicurezza, potrei dire che entrambi costituiscono elementi indispensabili della lettera di intenti (e del successivo contratto) avente ad oggetto la stampa in
3D (in via diretta o mediata). Non mi nascondo che in Italia, a parte
realtà di grandi dimensioni e soprattutto di matura consapevolezza su
minacce e rischi in materia IT, piccole e medie imprese sono raramente dotate di sistemi IT in linea con le misure minime di prevenzione.
D’altro canto non è utopico pensare che proprio l’avvento della stampa in 3D contribuisca ad incentivare investimenti nel settore, ad
Antonio Zama
114
opera di tutte le imprese interessate, a qualsiasi titolo; fermo restando,
naturalmente, che l’investimento più significativo è quello nella crescita della sensibilità in materia da parte dell’imprenditore e di tutto
il personale. In definitiva, l’approfondire questi temi non costituisce
mero onanismo intellettuale, ma consente di reperire soluzioni operative tali da rendere inutili o comunque pleonastiche le più invasive
misure contrattuali.
Per rispondere all’interrogativo che ha aperto questo contributo, mi
sembra di poter concludere (per ora) che lo strumento della lettera di
intenti è senz’altro idoneo a disciplinare la fase precontrattuale di un
rapporto relativo alla stampa in 3D. Mi spingo oltre, con specifico riferimento alla clausola di riservatezza (meglio, accordo di riservatezza):
ritengo che da cenerentola possa ambire a divenire insostituibile (e
indimenticabile) principessa proprio avendo riguardo alla natura e
alle funzioni della stampa in 3D. Tanto più mi sembra che ciò possa
dirsi con riferimento al contratto successivo alla lettera di intenti, nel
quale l’esperienza maturata nel corso del rapporto nato con quest’ultima potrebbe condurre alla codificazione, in uno specifico allegato,
delle regole già previste e delle prassi elaborate.
Semmai, volendo spingersi oltre con riferimento a casi delicati (ad
esempio la stampa in 3D di prototipi), nel contratto che ha ad oggetto
la stampa in 3D, che sia successivo o meno alla lettera di intenti, potranno trovare spazio disposizioni relative a misure e strumenti ulteriori diretti a consentire al committente di effettuare verifiche sull’operato dell’appaltatore, mediante sopralluoghi o controlli da remoto.
Resta il fatto che risultati più efficienti ed efficaci – tenendo sempre
conto della realtà interessata – potrebbero essere assicurati dalle misure indicate dagli Ingegneri Amato, quali, nella fattispecie, i controlli
sull’hardware circa le stampe effettuate. Ciò richiede l’identificazione
della stampante o delle stampanti utilizzate nel corso del rapporto contrattuale (anche per mezzo di comunicazioni successive al contratto) e
l’installazione di dispositivi di controllo.
Antonio Zama
115
Innanzi mi sono sempre riferito al contratto d’appalto come alla
tipologia principale che abbia ad oggetto la stampa in 3D, in realtà
la scelta, già oggi (e ancor più in futuro), può apparire riduttiva. A
parte i casi in cui la tecnologia di stampa in 3D costituisce il cuore del
contratto e dei rapporti tra le parti, vale a dire – ad esempio – nei quali
l’appaltatore dispone di stampanti di alto livello e di uno staff in grado
di assistere le società clienti nella realizzazione di stampe in 3D idonee
per le diverse esigenze, possiamo ipotizzare che la stampa in 3D entri
in modo prepotente nei contratti che, in linea teorica, la prevedono
solo in via accessoria.
Cerco di esercitare la mia immaginazione (restando sul piano contrattuale, senza entrare nel merito dell’utilizzo della stampa in 3D per
casi limite ormai all’ordine della cronaca quotidiana):
- penso ai contratti di distribuzione con affidamento di tutti o
parte dei servizi di assistenza post vendita in capo al distributore, nei
quali potrà essere previsto l’utilizzo della stampa in 3D in casi di particolare urgenza o addirittura come prassi per determinate operazioni
(ad esempio, sostituzione di determinati componenti difettosi non più
prodotti o comunque non presenti in magazzino). Si può anzi pensare
che tra i requisiti di scelta del distributore più affidabile possa essere
previsto in futuro anche la dotazione di stampanti in 3D di qualità
idonea rispetto agli standard richiesti. Medesima ipotesi, con altre implicazioni, si può pensare nei casi in cui i rapporti intercorrano tra la
società madre e le controllate nei diversi territori, italiani e, più probabilmente, esteri;
- penso altresì a tutti i casi, riconducibili alla figura del consignment
stock, nei quali l’esportatore si avvale di magazzini all’estero per lo
stoccaggio della merce, con autorizzazione al prelievo da parte dei propri rivenditori sul territorio. Nulla vieta che l’eventuale soggetto terzo
titolare del magazzino possa assumere obbligazioni ulteriori distinte da
quelle tradizionalmente svolte (semplice custodia e movimentazione),
quali, appunto, la stampa in 3D di determinati beni, da consegnare al
Antonio Zama
116
rivenditore, insieme ad altra merce di cui invece il magazzino abbia la
disponibilità;
- penso anche ai contratti di logistica integrata, nei quali l’operatore logistico più evoluto spesso fornisce servizi che vanno ben oltre le
attività di stoccaggio, movimentazione e spedizione. La stampa in 3D
potrebbe figurare tra questi ulteriori servizi, tra l’altro, neppure marginali. In queste ipotesi, l’operatore di logistica si potrebbe presentare
come soggetto a cui esternalizzare servizi che l’impresa non effettua.
Un’ulteriore giustificazione all’accezione integrata.
Per tutte queste ipotesi, in realtà, potrebbe tornare utile il gruppo di
clausole in merito alla riservatezza, alle misure di sicurezza e ai controlli (se e in che misura si rendano indispensabili) sopra succintamente
esposte.
Questo breve studio panoramico non può dimenticare tipologie
contrattuali distanti da quelle sopra considerate, che rientrano nella
categoria dei contratti di manutenzione e assistenza del settore IT.
Ai computer e alle stampanti (tradizionali) oggi coperte da contratti di
assistenza continuativa o spot, potrebbero aggiungersi anche le stampanti in 3D. La questione merita due parole in più, posto che non è
raro riscontrare nei contratti di questo tipo lacune, contraddizioni e
ambiguità, in particolare, sul piano delle attività che il manutentore è
chiamato a prestare e delle relative responsabilità. Per i primi tempi si
può prevedere che la manutenzione e l’assistenza costituiscano servizi
post vendita di competenza appunto del rivenditore e/o del produttore; tuttavia, in futuro si diffonderanno servizi di manutenzione e assistenza forniti da soggetti terzi. È facile prevedere che le citate criticità
permarranno anche con riferimento ai contratti relativi alle stampanti
in 3D, sommando ulteriori potenziali rischi, pregiudizi, danni e, in
ultima analisi, contenziosi. Auspico che la previsione o l’estensione dei
servizi di manutenzione e assistenza sulle stampanti in 3D proceda parallela alla revisione dei contratti, affinché, perlomeno, le attività a
carico dei fornitori, i tempi di risposta, gli oneri, le ipotesi di richiesta
Antonio Zama
117
dell’intervento del produttore siano esplicitati con chiarezza ed esaustivamente.
Ricordo inoltre i contratti di leasing e di locazione, che possono
essere connessi ai precedenti in quanto di norma contemplano anche
servizi di manutenzione e assistenza pur tutta la durata dei medesimi,
configurando soluzioni “full service”.
Cito infine i contratti che consentono l’accesso, gratuito o a pagamento, ad archivi on line dai quali è possibile accedere in modalità
streaming e/o scaricare immagini in 3D pronte per la stampa, come
già avviene per musica e film. A differenza di questi ultimi contenuti,
non credo che per la stampa in 3D i consumatori, se si escludono i
più accaniti fruitori e sperimentatori, possano essere interessati ad avvalersi della formula dell’abbonamento, nonostante l’eventuale facoltà
di recesso in qualsiasi momento. Viceversa, potrebbero avvalersi della
citata formula le imprese che forniscono principalmente beni, non servizi. Penso ad esempio alla fornitura di poche unità di oggetti: in questo caso sarebbe vantaggioso utilizzare archivi on line di file destinati
alla stampa in 3D sui quali effettuare poche lavorazioni funzionali alle
personalizzazioni richieste, prima di procedere alla stampa. Il tema si
riconnette a quello dei diritti e delle licenze e, da ultimo, delle creative
commons. La costante integrazione degli archivi, normalmente, è resa
possibile da soggetti terzi, spesso semplici appassionati, che forniscono
materiale, in forza di specifici accordi “a monte” con il titolare dell’archivio, relativi anche alla remunerazione.
In definitiva, all’esito della mia analisi sintetica, condotta sul piano degli spunti operativi senza alcuna velleità di esaustività, concludo
affermando che gli ingredienti di farcitura (modelli e strumenti contrattuali) già conosciuti dalla prassi industriale e commerciale dovrebbero in parte evolvere (con particolare riferimento, come visto, agli
accordi di riservatezza). Parimenti dovrebbe crescere la consapevolezza
delle criticità già riscontrate nella prassi in analoghi rapporti, al fine di
non duplicarle, e, se possibile, di risolverle. Anche per questa ragione
Antonio Zama
118
sono sempre più convinto che i cuochi (vale a dire i consulenti che
assistono le imprese) dovrebbero essere almeno due: per la stesura di
un contratto che abbia ad oggetto diretto o mediato la stampa in 3D
(uno qualsiasi tra quelli sopra menzionati), mi sembra che s’imponga la
collaborazione tra il legale e l’informatico, sempre che si voglia far
nascere una creatura di sana e robusta costituzione. Lo si sostiene
da ormai vent’anni, ma noto con rammarico che questa collaborazione
stenta a decollare, generando incomprensioni, alimentando conflitti e
producendo contenziosi.
Note biografiche dell’autore
Antonio Zama (antoniozama.it), avvocato titolare dello studio legale
Iusgate in Bologna (iusgate.com), direttore responsabile di Filodiritto (filodiritto.com).
I profili ambientali di una tecnologia rivoluzionaria
di Mara Chilosi e Andrea Martelli
La diffusione della stampa 3D apre, soprattutto in ambito industriale, scenari innovativi destinati ad avere ricadute positive anche sotto il profilo della tutela dell’ambiente.
Pur in assenza, a quanto ci consta, di riferimenti espressi a questa
nuova tecnologia nella vigente legislazione ambientale, è del resto indubbio che il suo utilizzo sia soggetto all’applicazione di talune normative appartenenti a quella branca del diritto comunemente denominata
«diritto dell’ambiente».
Prima di segnalare quali aspetti del processo di stampa 3D siano
destinati ad assumere un qualche rilievo anche in relazione agli obiettivi e allo strumentario di natura sia generale sia particolare del diritto dell’ambiente, è opportuno ricordare alcuni dei principî di matrice internazionale ed europea sui quali esso si fonda. In primo luogo,
il principio di prevenzione (richiamato dall’art. 191 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea), il quale impone di privilegiare
misure a carattere preventivo per evitare – o, quanto meno, mantenere
al di sotto di una soglia di accettabilità – la compromissione dell’ambiente da parte dell’uomo prima che essa sia posta in essere. In secondo luogo, il principio «chi inquina paga» (anch’esso menzionato dal
citato art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea),
che, a propria volta, si propone l’obiettivo, economico ancor prima che
Mara Chilosi - Andrea Martelli
120
giuridico, di “internalizzare” i costi dell’inquinamento, ossia di addossarli al soggetto che, con la propria attività, lo ha provocato.
Entrambi i principî trovano specifica attuazione nella disciplina
dedicata alla gestione dei rifiuti (oggi contenuta nella Parte Quarta
del decreto legislativo n. 152 del 2006, noto anche come “Codice” o
“Testo unico” ambientale), la quale, da un lato, indica come criterio
prioritario da seguire quello della prevenzione o comunque della riduzione della produzione di rifiuti, e, dall’altro, addossa al produttore del
“rifiuto” i costi di gestione dello stesso.
L’art. 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in particolare,
demanda alle pubbliche amministrazioni il compito di promuovere lo
sviluppo di tecnologie pulite, «che permettano un uso più razionale e
un maggiore risparmio di risorse naturali» o la messa a punto tecnica e
l’immissione sul mercato di prodotti «concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il
loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività
dei rifiuti e i rischi di inquinamento» o, ancora, di determinare condizioni di appalto che prevedano «l’impiego dei materiali recuperati
dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con
materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali
medesimi».
Ciò considerato, è evidente come la stampa 3D rappresenti una
tecnologia in grado di favorire il perseguimento dei suddetti obiettivi.
Molti processi produttivi che ormai possono essere definiti “tradizionali”, infatti, comportano la produzione (non voluta, ma inevitabile)
di scarti di vario genere (es. sfridi, scaglie, trucioli, ecc.). La stampa 3D,
invece, come è noto, ha “rivoluzionato” le modalità stesse con cui un
prodotto viene creato: e così, sfruttando la tecnica additiva in luogo
di quella “a riduzione”, il processo di produzione genera, anche grazie
alla peculiare precisione della macchina, una ridottissima quantità di
residui di lavorazione e, dunque, in ultima analisi, di rifiuti.
Non solo. La minore produzione di rifiuti correlata all’impiego di
Mara Chilosi - Andrea Martelli
121
questa tecnologia innovativa dipende inoltre dalla possibilità offerta
dalla stessa di riutilizzare, per creare dei nuovi prodotti, dei materiali
derivanti da precedenti cicli di utilizzo o di consumo.
L’idea di ridurre la produzione di rifiuti destinando taluni materiali, per così dire, ad una “seconda vita” è, del resto, alla base dello
stesso concetto giuridico di «sottoprodotto», introdotto a livello europeo dapprima dalla giurisprudenza della Corte di giustizia CE e poi
dalla direttiva 2008/98/CE e, nella legislazione italiana, dalla già menzionata disciplina in materia di gestione dei rifiuti di cui alla Parte
Quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Pur non trattandosi,
dunque, di un’idea del tutto nuova, essa – complice anche la congiuntura economica negativa degli ultimi anni – è tornata in auge negli
ultimi tempi grazie al rapporto di McKinsey intitolato «Towards the
circular economy» e consegnato ai leader dei grandi Paesi industrializzati (rapporto che era stato commissionato dalla Ellen MacArthur
Foundation). All’“economia circolare” è dedicata anche la recente Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio,
al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni
del 2 luglio 2014 intitolata – appunto – «Verso un’economia circolare:
programma per un’Europa a zero rifiuti», COM(2014) 398 final.
Se si considera che in un sistema di economia circolare – concetto
che si contrappone a quello di «economia lineare» (ossia, l’economia
“tradizionale”, che si basa sulla sequenza estrazione-produzione-consumo-rifiuto e comporta uno spreco di risorse oggi ritenuto non più
accettabile e sostenibile, né sotto il profilo ambientale né sotto quello economico) – deve essere minimizzata la produzione di rifiuti e,
conseguentemente, favorito il riutilizzo delle risorse, è evidente che la
stampa 3D si rivela uno strumento-chiave anche per far convergere
molti settori industriali verso modalità produttive in linea con questo modello di economia. Si pensi, ad esempio, alle tecnologie, già
disponibili sul mercato (es. il progetto “Filabot” o “RecycleBot” per il
riciclo della plastica) che permettono di tramutare materiali altrimenti
Mara Chilosi - Andrea Martelli
122
destinati a divenire rifiuti in filamenti in grado di alimentare le stampanti 3D (ad esempio, un giocattolo rotto può essere trasformato in
filamento per stampanti 3D ed essere così riutilizzato per creare un
nuovo giocattolo).
A questo si aggiunga che molte stampanti 3D utilizzano come “materia prima” delle sostanze naturali. Un esempio assai noto è quello
delle abitazioni “stampate” ricorrendo all’argilla, ma merita di essere
segnalato che tra i materiali più utilizzati dalle stampanti 3D in grado
di costruire oggetti mediante deposito di materiale fuso vi è anche il cosiddetto “PLA” (poli acido lattico), ossia una sostanza ricavata da amidi
rinnovabili come il mais o la canna da zucchero, la quale rappresenta
dunque un composto, oltre che riutilizzabile, anche biodegradabile.
Se si considera, poi, che produrre (più) rifiuti implica anche maggiori costi a carico delle imprese – in ragione degli strumenti che la
legislazione ambientale prevede in ossequio al citato principio «chi inquina paga» –, l’utilizzo di una tecnologia, quale è la stampa 3D, che
consente di ridurre la produzione di rifiuti, determina evidenti vantaggi anche di carattere economico; in una frase, si potrebbe dire, infatti,
«chi meno inquina, meno paga».
I benefici in termini di salvaguardia dell’ambiente connessi alla
stampa 3D non si limitano, però, alla minore produzione di rifiuti. Occorre infatti considerare che la tecnologia in esame permette,
o quantomeno promette, di realizzare singoli prodotti finiti, anche
di elevata complessità, senza sfruttare le economie di scala e prescindendo, dunque, dai grandi impianti di produzione. Questo implica,
evidentemente, una drastica riduzione degli impatti ambientali che –
come tutti sanno – sono connessi ai cicli produttivi “tradizionali”; si
pensi all’inquinamento (atmosferico, idrico, acustico, ecc.) dagli stessi
generato e legato anche alla fase di trasporto di grandi quantitativi di
prodotti e di rifiuti, o, ancora, allo spreco di risorse (es. consumi idrici ed energetici) ad essi correlato. La necessità di trasportare le merci
verrà addirittura eliminata totalmente nella prospettiva, resa concreta
Mara Chilosi - Andrea Martelli
123
dalla stampa 3D, di “autoprodurre” determinati oggetti direttamente
in casa propria, con gli ulteriori vantaggi, ancora una volta, in termini
di minore produzione di rifiuti, derivanti dall’assenza di scarti d’imballaggio (e, fra questi, in particolare, dei rifiuti degli imballaggi secondari
e terziari, così come definiti sempre dalla Parte Quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Da questo punto di vista, la tecnologia in parola si pone perfettamente in linea anche con gli obiettivi sottesi al principio dello sviluppo sostenibile (introdotto dal c.d. Rapporto Brundtland della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo del 1987, al centro
della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e richiamato dall’art. 11
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dall’art. 37 della
Carta di Nizza e dall’art. 3-quater del decreto legislativo n. 152 del
2006).
Dopo avere illustrato i vantaggi di tipo ambientale derivanti dalla diffusione della stampa 3D, occorre soffermarsi su alcuni possibili
profili problematici, i quali meritano perciò attenta considerazione da
parte delle imprese, tanto quelle produttive (utilizzatrici delle stampanti 3D), quanto quelle appartenenti al settore del recupero di rifiuti
da apparecchiature elettriche ed elettroniche (i cosiddetti «RAEE»)1.
Le prime, infatti, dovranno attentamente selezionare le sostanze da
utilizzare nella stampa 3D e valutare preventivamente le conseguenze
che la riconversione dei cicli produttivi comportano sotto il profilo
autorizzatorio; si pensi, in particolare, all’eventuale utilizzo di materiali giuridicamente qualificati come “rifiuti” quali materie prime per
la stampa 3D. In quest’ottica, sarà opportuno considerare il nuovo
regime agevolato introdotto dalla legge n. 116 del 2014 (legge di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014), in forza del quale i gestori
di installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA),
Sul tema sia consentito rinviare a M. Chilosi, La gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008.
1 Mara Chilosi - Andrea Martelli
124
a patto che siano rispettate le cosiddette “BAT” (best available techniques, cioè le migliori tecniche disponibili), possono “utilizzare” i rifiuti
appartenenti alla “lista verde” del regolamento (CE) n. 1013/20062
presentando soltanto una semplice comunicazione (v. nuovo comma
8-septies del più volte menzionato art. 216 del decreto legislativo n.
152 del 2006)3.
Le imprese del settore del recupero dei RAEE dovranno riferirsi,
anche rispetto alle stampanti 3D, al decreto legislativo n. 49 del 2014,
recante «Attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)» (cosiddetto «decreto
RAEE»), oltre che alla citata Parte Quarta del decreto legislativo n. 152
del 2006 per i rifiuti speciali derivanti da apparecchiature elettriche ed
elettroniche che non ricadono nel campo di applicazione della normativa speciale (ad es. componenti e materiali di consumo rimossi ed
avviati a recupero/smaltimento separatamente o apparecchiature non
rientranti nella sfera di applicazione del suddetto decreto legislativo n.
49 del 2014).
Le stampanti 3D paiono ricadere, in linea generale, nel campo di
applicazione del decreto legislativo n. 49 del 2014, in forza del combinato disposto dell’art. 2 e degli allegati I, II, III e IV. Che, dal punto
di vista giuridico, le stampanti 3D debbano essere considerate apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), lo si ricava infatti dalla circostanza che esse rientrano – in assenza di deroghe espresse nella normativa di settore – nella più generale categoria delle «stampanti», la quale
figura in vari punti degli allegati del decreto RAEE, e, precisamente:
– nei punti 3.1.3 («stampanti») e 3.2.5 («stampanti») dell’allegato II
Si tratta della normativa europea in materia di trasporto transfrontaliero di rifiuti.
3 Per un primo commento, ci permettiamo di rinviare a A. Martelli, I rifiuti
appartenenti alla “lista verde” utilizzabili in impianti soggetti ad AIA, in Ambiente
& Sicurezza, n. 18, 30 settembre 2014, 24.
2 Mara Chilosi - Andrea Martelli
125
(entrambi relativi alla categoria delle «apparecchiature informatiche e
per telecomunicazioni»);
– nei punti 4.6 («grandi stampanti») e 6.6 («stampanti»), appartenenti,
rispettivamente, al novero delle «apparecchiature di grandi dimensioni» e delle «piccole apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni (con nessuna dimensione esterna superiore a 50 cm)».
È opportuno domandarsi, però, se, in taluni casi, queste apparecchiature possano essere annoverate fra le esclusioni stabilite dall’art. 3
del decreto RAEE, ad esempio in quanto riconducibili alla categoria
degli «utensili industriali fissi di grandi dimensioni». L’ipotizzata possibile esclusione dal campo di applicazione del decreto RAEE non comporta peraltro una completa esenzione dal compendio di norme ambientali associate a questo settore, posto che, come detto, le stampanti
3D, i loro componenti e materiali di consumo dovranno comunque
essere gestiti, in ossequio all’ordinario regime giuridico dei rifiuti speciali, nei medesimi impianti di trattamento, in modo probabilmente
“promiscuo” con i RAEE in senso stretto.
In termini conclusivi, si può osservare come queste innovative apparecchiature possano sicuramente far sorgere nuove problematiche,
associate ad esempio alla classificazione dei rifiuti in relazione alle sostanze impiegate per questo particolarissimo tipo di “stampa”; cionondimeno, esse potranno al contempo rappresentare una nuova sfida per
quello che può indubbiamente definirsi il più “tecnologico” dei settori
del recupero dei rifiuti, aprendo nuove prospettive di business non solo
dal punto di vista dei rifiuti da trattare (le stampanti 3D dismesse, per
l’appunto), ma anche delle applicazioni e dei canali delle frazioni decadenti dalle operazioni di recupero dei RAEE, che potranno, secondo
le ricerche effettuate, trovare nella stampa 3D un nuovo e stimolante
mercato.
Mara Chilosi - Andrea Martelli
126
Note biografiche degli autori
Mara Chilosi è avvocato in Milano. Si occupa da molti anni di responsabilità da reato degli enti (decreto legislativo n. 231 del 2001), in particolare
per quanto riguarda le fattispecie relative al diritto dell’ambiente e della salute e sicurezza sul lavoro, materia di specializzazione del proprio Studio legale.
Siede in alcuni organismi di vigilanza di società multinazionali.
Andrea Martelli è avvocato in Milano. Si occupa da molti anni di diritto
dell’ambiente, materia che ha insegnato presso l’Università di Udine, come
professore a contratto, dal 2004 al 2010. È autore di numerose pubblicazioni
in materia di diritto dell’ambiente e costituzionale. Con Mara Chilosi ha
fondato lo Studio legale associato Chilosi Martelli, specializzato in diritto
dell’ambiente, diritto dell’energia, sicurezza sul lavoro, servizi pubblici locali
e responsabilità da reato degli enti.
PARTE seconda
scenari
La stampa 3D nei Fab Lab: presente e futuro
di Andrea Danielli
Il modo migliore per introdurre il tema della personal fabrication
è rapportarlo a ciò che conosciamo: ha punti di contatto con l’industria, da cui ha preso la precisione e la riproducibilità dei prodotti, con
l’artigianato, per la progettazione su misura, e ha ricevuto influssi dal
mondo open source, con cui condivide la filosofia di scambiarsi progetti liberamente.
Il concetto di Fab Lab, luogo per eccellenza di diffusione della personal fabrication, nasce al MIT, dove il professor Neil Gerschenfeld
tenne nel 1998 un corso dal titolo: How to make (almost) anything.
Nei Fab Lab, laboratori dotati di strumenti di fabbricazione digitale
(stampa 3D, taglio laser, frese CNC) animati da una comunità che
aspira all’auto-formazione, si osservano le infinite possibilità di interazione tra bit e atomi. I Fab Lab sono descritti da uno statuto che prevede, in sintesi, la loro funzione educativa, l’importanza della comunità e
del networking internazionale, l’uso responsabile e autonomo dei macchinari e il sostegno a iniziative di business purché non siano attività
preponderante.
Andrea Danielli
129
Fab Lab e 3D
Come anticipato, la stampa 3D è una delle tecnologie disponibili
all’interno di un Fab Lab, insieme, solitamente, a un taglio laser e una
fresa a controllo numerico, oltre a una vasta strumentistica da bricolage. Attualmente in Italia ci sono più di sessanta iniziative che ambiscono allo statuto di Fab Lab; una stima ragionevole ci porta a pensare che
quelle attive siano circa la metà: un numero comunque ragguardevole,
se confrontato a livello mondiale.
Le iniziative di stampa 3D più interessanti all’interno di Fab Lab
sono raggruppabili in cinque categorie:
1) medicina;
2) archeologia;
3) complementi di design;
4) robotica;
5) educazione e ricerca.
Nella prima categoria, ci sono almeno due esempi da citare; il primo è Open BioMedical Foundation (openbiomedical.org), che si appoggia, tra gli altri, su On/Off Fab Lab di Parma. Scopo della neonata
Fondazione è la realizzazione e la distribuzione di tecnologie biomedicali low-cost, open source e stampabili in 3D. Per farlo, sta costruendo
una rete sul territorio capace di assicurare sostegno tecnico alla riproduzione dei suoi progetti ovunque sia necessario. Al momento è concentrata a sviluppare due protesi per gli arti superiori. La prima è una
protesi meccanica, con cui la persona può eseguire compiti in seguito a
movimenti meccanici (piegando il polso per esempio).
Si tratta del progetto base e più economico, ed è pertanto indirizzata soprattutto ai paesi emergenti. La seconda protesi è invece di tipo
mioelettrico, può svolgere movimenti più complessi grazie a stimoli
elettrici muscolari registrati da appositi sensori, perciò maggiormente
Andrea Danielli
130
modulabili dall’individuo. Quest’ultimo progetto è rivolto principalmente ai paesi industrializzati a causa della maggiore reperibilità della
componentistica elettronica rispetto ai paesi in via di sviluppo.
Il secondo esempio è il Fab Calab di Cosenza, dove avviene la creazione e la vendita di protesi low-cost (appoggiandosi al network internazionale e-NABLE). Le protesi, per mani e braccia, sono realizzate in
plastica, viti di acciaio e nylon, sono meno resistenti di quelle in titanio
ma costano molto meno, sui 300 euro. Per i bambini risultano più
efficaci, perché possono essere sostituite e adattate seguendo la crescita.
In ambito archeologico, il caso di Archeolab è particolarmente interessante (3d-archeolab.it). Si appoggia al citato Fab Lab di Parma,
la tecnologia 3D viene utilizzata con finalità di restauro, oppure per
rendere accessibili opere a non vedenti.
Passando al design, la stampa 3D è sovente un complemento ad
altre forme di lavorazione disponibili nei Fab Lab. Di esempi è pieno il
territorio italiano, quelli che presento mi hanno colpito per il modello
di business e per l’ispirazione alla natura. Presso il Fab Lab Spqwork
(Roma) è possibile incontrare IFU: (instructionforuse.com); il modello di business è semplice: alcuni designer vendono le istruzioni per
riprodurre le proprie opere, per lo più mobili, e chiunque, con materiali facilmente reperibili nei bricolage, può auto-produrseli. Nel 2013
hanno realizzato una collezione, presentata al Macef di Milano, in cui
i mobili sono stati arricchiti da dettagli stampati in 3D.
Altro progetto interessante proviene da MakeInBo, che ha aiutato
lo sviluppo di Diatom Helmet, un caschetto ispirato alle alghe diatomee per offrire maggiore resistenza e leggerezza a chi lo indossa.
Nell’ambito della robotica, penso a Officine robotiche presso
Spqwork, a Roma (2014.officinerobotiche.it) oppure alle innumerevoli stampanti 3D sviluppate all’interno di Fab Lab, una su tutte Falla3D
nata al Fab Lab Contea (falla3d.com). È un progetto particolarmente rilevante per alcune soluzioni tecniche innovative e per l’approccio
completamente open source.
Andrea Danielli
131
Il lato educativo è presente in tanti Fab Lab ed è difficile scegliere
quali storie raccontare: mi limito agli oblobots realizzati al MUSE Fab
Lab e a citare brevemente le attività svolte a Reggio Emilia. Qui il
Fab Lab locale ha assistito due corsi universitari di industrial design,
costruendo prototipi di una ventina di prodotti attraverso stampa 3D,
e ha seguito la tesi di uno studente che ha realizzato un tutore in 3D.
La diffusione dei Fab Lab in ambito universitario è testimoniata anche
dalle iniziative intraprese dal Politecnico di Milano, dove è nato + Lab,
un laboratorio di stampa 3D molto attento anche all’innovazione nei
materiali.
Dopo questa introduzione basata sullo stato dell’arte, mi propongo
in questo capitolo di presentare tre ricette per sviluppare le tendenze
descritte inserendo la stampa 3D all’interno di un ecosistema di mezzi
di produzione più ampio:
1) la produzione distribuita, ossia l’assemblaggio nei Fab Lab di prodotti rilasciati sul web;
2) la personalizzazione in situ;
3) la prototipazione aperta, ossia lo sviluppo di nuovi prodotti da parte
di comunità di innovatori in collaborazione con le imprese.
La produzione distribuita
Disporre di strumenti di fabbricazione digitale consente di produrre con elevati livelli di precisione, vicini a quelli ottenuti industrialmente. La differenza rispetto alla produzione di massa sta nei costi,
non potendo usufruire di economie di scala, ed è pertanto importante
domandarsi prima di tutto se nei Fab Lab sia possibile raggiungere la
sostenibilità economica.
A mio avviso la risposta è positiva: è possibile realizzare prodotti nei
Fab Lab che possono essere venduti a prezzi comparabili a quelli dei
Andrea Danielli
132
propri concorrenti industriali. Vediamo perché.
È importante prima di tutto analizzare che cosa costituisce oggi il
costo di un prodotto: distribuzione, logistica, tasse, manifattura, manodopera, componenti, materie prime, ricerca, promozione, valore del
marchio. La produzione in un Fab Lab potrebbe essere on-time, diminuendo un po’ i costi di deposito, e basarsi su prodotti rilasciati con
licenze open1, quindi aventi costi di ricerca bassi, visto che è l’intera
comunità che si incarica di migliorare i prodotti.
Oggi i prezzi dei prodotti dipendono molto dal valore del brand
e, nel caso dei cellulari, questo fenomeno è particolarmente evidente:
per fare un esempio, alla Apple va la fetta più consistente del valore
dell’iPhone, circa il 58,5%, contro l’1,8% del costo del lavoro in Cina.
Il costo di produzione dell’Iphone 5S si aggira sui 213 dollari (secondo la fonte2). Allo stesso modo, il valore delle azioni di una società
è sempre più legato ai cosiddetti “intangibili”: il marchio, la sua diffusione, il suo appeal3.
C’è pertanto un’ampia fetta del prezzo che può essere aggredita,
adottando un modello di produzione per cui:
1. Ricerca e sviluppo sono condivise, secondo modelli open in
cui esistono migliaia di innovatori e betatester.
2. Il marketing non interessa. I prodotti sono scelti dai clienti
in base alle reali esigenze.
3. L’assistenza è svolta dai Fab Lab sparsi sul territorio, e spesso
Per un approfondimento sulla materia delle licenze rimando al sito dell’Open Source
Hardware Association, o al mio L’impresa open source: la contaminazione maker nella manifattura, scaricabile gratuitamente da questo link: www.lospaziodellapolitica.
com/2014/06/impresa-open-source-un-nuovo-ebook-made-in-lsdp/.
2 http://blogs.wsj.com/tech-europe/2013/09/30/how-much-does-it-cost-to-make-aniphone/.
3 Almeno il 70% del valore di borsa delle aziende nel Fortune top 500 dipende da
intangibili. Si veda B. Lev, Intangibles: Management, Measurement, and Reporting.
Washington DC, Brookings Institution, 2001.
1 Andrea Danielli
133
diventa superflua, grazie alle competenze acquisite dagli stessi utenti.
Occorre che nascano siti di condivisione di progetti, basati su rating
pubblico. Non avrà senso per tutti i prodotti, ma per alcuni la strada
è interessante, perché l’opportunità di nuovi design e nuove soluzioni
tecniche è davvero straordinaria: immaginate che un talentuoso autoproduttore di impianti stereo metta on-line i disegni dei propri oggetti.
A lui costa poco, sicuramente meno di costruirsi un’impresa. Ma attraverso royalties del 10-15% può ricavarne un reddito, su buoni volumi,
e specializzarsi. Fantaeconomia? Non direi, alla luce delle centinaia di
prodotti high-tech comparsi sui siti di crowdfunding come Kickstarter e Indiegogo, che testimoniano la grande creatività presente. Ci
sono, nel momento in cui sto scrivendo, 720 progetti di tecnologia su
Kickstarter aperti – la metà non centra gli obiettivi di finanziamento,
alcuni vincitori non soddisfano i propri clienti per le difficoltà tecniche
o finanziare incontrate4.
Pochi ancora hanno immaginato di innovare prodotti tradizionali,
ma è un passo che verrà da sé abbastanza presto, se le tecnologie di
produzione calano ancora di costo, e si diffondono capillarmente, la
creatività potrà emergere senza essere costretta nei vincoli burocratici
ed economici di una propria impresa.
Naturalmente l’architettura dei prodotti non sarà più la stessa: dovremo adottare soluzioni modulari, più semplici da riprodurre, a costo
di subire qualche inefficienza. Più progettisti adotteranno soluzioni
comuni per accelerare lo sviluppo dei propri prodotti. Non è un caso,
in tal senso, la nascita del progetto Ara, in cui Google e 3D System
stanno progettando uno smartphone modulare da comporre in base
alle esigenze.
Da un punto di vista operativo, mi immagino che nei Fab Lab
arrivino i kit di assemblaggio, e che sia possibile che gli stessi vengano
Ne parlo in un mio articolo su CheFuturo: www.chefuturo.it/2014/02/i-5-ostacolimaggiori-per-una-campagna-di-crowdfunding-di-successo/.
4 Andrea Danielli
134
montati dal consumatore formato sul posto. In effetti, a oggi, è l’unico
modo per vendere dei prodotti che non sono dotati di marchio di qualità e di garanzia obbligatoria.
Personalmente, non me la sentirei di rischiare nel costruirmi un
phon (tecnologia minima, bassa soddisfazione intellettuale), mentre
potrei essere interessato a una bici elettrica.
Oggi il mercato è ricco di proposte di mobili, macchinari industriali e, addirittura, automobili. Vediamo più in dettaglio. La rete si è arricchita rapidamente di proposte di “open forniture”: www.shareable.
net/blog/20-open-source-furniture-designs.
L’associazione francese Entropie (asso-entropie.fr/fr) ha sviluppato
un ecosistema coerente di innovazione libera nel design: oltre a rilasciare file di prodotti riproducibili, organizzano eventi di divulgazione
e corsi di formazione nelle scuole.
Il progetto a mio avviso più maturo è Open Desk (opendesk.cc).
Il suo obiettivo è la produzione locale, tutti i file dei mobili sono
disponibili per essere scaricati gratis, lavorati da macchine a controllo
numerico e rifiniti a mano. I pezzi finiti possono essere assemblati in
loco e la qualità del design è buona. Per quanto riguarda i macchinari
industriali, Open Tech Collaborative (opentechco.co) è al momento
più un manifesto che un vero e proprio progetto, mentre Open Source
Ecology (opensourceecology.org) è una realtà che ha già generato alcuni prototipi funzionanti.
Infine, anche le automobili potrebbero essere colpite da questa innovazione dirompente, se avrà successo il modello di OSVehicle, che
ha costruito una piattaforma automobilistica open source che si monta
in un’ora (osvehicle.com/company).
Personalizzazione “on site”
Concepisco due tipi di personalizzazione possibile grazie alla stam-
Andrea Danielli
135
pa 3D: anatomica ed estetica. È possibile inserirsi nel ciclo produttivo
della manifattura distribuita di cui sopra, sfruttando a fondo progetti
di tipo modulare.
Nel primo caso, immagino sia presto possibile avere scansioni 3D
di parti del corpo (mani, piedi) e adattare manopole, scarpe, punti di
appoggio, costruendo alcuni dettagli del prodotto in base al fisico del
cliente5.
Nel secondo, prodotti in cui il design è un elemento molto rilevante,
come l’elettronica di consumo, possono vedere un tocco di forte personalizzazione stampando al momento alcune componenti dell’involucro, in base al gusto del cliente, che sceglie colore e forma.
Prototipazione aperta
La presenza di macchinari di prototipazione rapida a basso costo
rende i Fab Lab interlocutori naturali per le imprese, con un paio di
assi nella manica rispetto a chi fa prototipi di professione.
Il primo è la forza dell’intelligenza collettiva: nei Fab Lab la comunità è la ricchezza principale. Un gruppo di giovani appassionati può
portare idee innovative in settori che non conoscono ancora approfonditamente: livelli troppo elevati di expertise finiscono per rendere più
conformisti dopo anni di pratica.
Il secondo è la contaminazione: un Fab Lab è sovente costruito
all’interno delle città, laddove è più facile percepire le nuove tendenze.
L’architettura di rete può estendersi grazie a Internet, di modo da consentire ai Fab Lab di collaborare anche a distanza, per rispondere alle
sfide lanciate dalle imprese, o per sviluppare le proprie idee.
I primi prototipi stanno facendo la loro comparsa, presso il Fab Lab Reggio Emilia
due progetti sono stati sviluppati in questa direzione: Handpad (una custodia per Ipad
costruita sulla mano del proprietario), e l’impugnatura personalizzata di un cacciavite..
5 Andrea Danielli
136
Una sorta di Quirky (quirky.com) costruita sul territorio e arricchita da strumenti di prototipazione, che consentono sperimentazioni
rapide delle nuove idee. Nel design, l’apertura delle imprese all’open
innovation è già cominciata, attraverso diverse piattaforme come Design Mood (designmood.it), You Tool (youtool.it) e Formabilio (it.
formabilio.com).
Il concetto stesso di open innovation non è infatti nuovo, ma occorre probabilmente cambiare le modalità di coinvolgimento delle
comunità più innovative: servono meno contest, dove il vincitore si
prende tutto, e più co-progettazione tra le imprese e gli innovatori.
Note biografiche dell’autore
Andrea Danielli è nato a Vimercate e cresciuto a Milano. I suoi interessi
sono oggi soprattutto di natura macroeconomica: ha immaginato una policy
ecologica, Eco Card, e oggi contribuisce al dibattito sui temi della sharing
economy e dei makers su blog di rilevanza nazionale. Partecipa a iniziative
di coordinamento del mondo maker italiano, e ha co-fondato l’associazione
culturale Make in Italy. Lavora attualmente al MIUR, presso la Segreteria
Tecnica del Ministro.
Nuove tecnologie 3D nello studio e nel trattamento delle
patologie Maxillo-Facciali
di Claudio Marchetti, Alberto Bianchi, Luigi Piersanti
e Giovanni Badiali
Il mondo della medicina diagnostica e terapeutica in questi ultimi
anni si è dovuto confrontare con un cambio generazionale che ha rivoluzionato tutti i sistemi e i processi decisionali acquisiti e consolidati
fino a questo momento.
Il progressivo passaggio dall’analogico al digitale ha investito la nostra vita quotidiana agevolando il lavoro dei nativi digitali e costringendo le altre generazioni ad adeguarsi a questi nuovi flussi di pensiero e di
azione più rapidi e produttivi.
L’invasione sul mercato di smartphone e tablet a un prezzo accessibile, ha reso questa tecnologia fruibile a molti e ha indotto la nascita
di una serie di applicazioni e di programmi che hanno contribuito a
tracciare il solco di separazione tra l’era del 2D e quella del 3D.
La Medicina e la Chirurgia fanno parte di tutte quelle arti che si
sono ritrovate nel centro di questo tornado tecnologico ed ora si muovono verso questa corrente spinte da un desiderio di innovazione.
Nella fase diagnostica, l’attività medica quotidiana sta progressivamente sostituendo i grandi negativoscopi dove venivano visualizzate
lastre bidimensionali stampate su fogli di acetato con schermi di nor-
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
138
mali computer che, con programmi spesso “open source”, possono visualizzare, ma soprattutto elaborare, tutti i dati provenienti dai vari apparecchi diagnostici radiologici; contemporaneamente tali macchinari
hanno ridotto di molto le loro emissioni e sono diventati più accessibili
e sicuri per il Paziente e più maneggevoli per il Radiologo.
Il legame di cura tra Medico Chirurgo e Paziente è basato sul rapporto umano. Ascoltare il Paziente è fondamentale per capire i suoi
disturbi e le sue necessità; poi, per tracciare il piano di trattamento e
per metterlo in atto, è necessario avvalersi di tutti i mezzi che le nuove
tecnologie ci mettono a disposizione.
Il lungo percorso che contraddistingue la fase di diagnosi e cura
parte dall’acquisizione di un’immagine radiologica, una Tomografia
Assiale Computerizzata (TAC), dove è possibile a basso dosaggio di
emissione. Questo esame ci consente di aver accesso ad una enorme
mole di informazioni grezze che possono essere convertite in immagini
tridimensionali sempre più precise, favorendo un atteggiamento più
consapevole nell’approccio diagnostico.
Successivamente si passa alla pianificazione chirurgica: il professionista ha l’opportunità di eseguire simulazioni dell’intervento sempre
più realistiche per poter scegliere con attenzione la soluzione più adeguata, personalizzata per il singolo Paziente e per la patologia da cui è
affetto. Per finire alla pratica chirurgica dove, con l’ausilio dei sistemi
di navigazione intraoperatoria, il Chirurgo ha l’opportunità di essere
guidato nell’esecuzione dell’intervento risultando più preciso, più sicuro e più conservativo.
Così facendo, è nato il concetto di “Chirurgia Guidata”: un grande
macrocosmo diagnostico-chirurgico, che fa della terza dimensione il
suo habitat naturale.
In ambito Maxillo-Facciale la Chirurgia Guidata può essere declinata sotto diverse forme che partono dal concetto di utilizzare strumenti che agevolino il Chirurgo nel suo atto operatorio, rendendo tale
atto il più aderente possibile alla sua pianificazione.
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
139
Nel Policlinico S. Orsola-Malpighi presso l’Unità Operativa di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale, la Chirurgia Guidata viene eseguita
attraverso lo studio del paziente con sistemi tridimensionali e con l’ausilio di un sistema di navigazione intraoperatoria.
Tale tecnica fonde le conoscenze informatiche con la documentazione radiologica ed è diventata uno degli ambiti di maggior sviluppo
e fascino degli ultimi anni.
I Pazienti vengono studiati aggiungendo alla consueta e indispensabile visita clinica una Tac a basso dosaggio di emissioni (CBCT);
successivamente, in casi selezionati, si esegue una fotografia 3D (stereofotogrammetria) e la scansione tridimensionale delle arcate dentali.
Questo ci consente di essere non solo più precisi nella valutazione
dell’occlusione del paziente, ma potendo sovraimporre le ricostruzioni
CBCT con la stereofotogrammetria e i modelli, saremo in grado di
ricostruire un esatto modello virtuale del volto del paziente dal punto
di vista della sua struttura ossea, delle arcate dentali e dei tessuti molli.
Ora potremo simulare l’intervento e valutare con precisione tutte
le modificazioni funzionali ed estetiche che l’intervento sarà in grado
di generare.
Una volta raggiunto l’obiettivo di studio diagnostico/terapeutico
potremo eseguire l’intervento avvalendoci di sistemi di controllo e di
guida intraoperatori come il navigatore chirurgico.
La navigazione intraoperatoria è paragonabile ai sistemi di navigazione utilizzati nelle automobili.
Mentre la posizione di un’automobile è determinata da ricevitori satellitari che rintracciano le onde emesse dal veicolo, il sistema di
navigazione chirurgica su base infrarossa, utilizza camere a infrarossi
per rilevare le onde emesse da appositi ripetitori montati su strumenti
chirurgici.
Le “road map” sono analoghe ai set di dati della Tac acquisiti dal
paziente prima dell’operazione. Per calibrare il sistema, è necessario
definire una posizione di partenza, così che il paziente virtuale sul mo-
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
140
nitor corrisponda anatomicamente al paziente reale in sala operatoria.
Il sistema di navigazione ha l’obiettivo di migliorare la precisione e
la sicurezza dell’atto chirurgico mediante la pianificazione preoperatoria, la navigazione intraoperatoria e la valutazione postoperatoria.
Le fasi della diagnosi e del trattamento sono state standardizzate
delineando una procedura sulla base di 4 punti cardinali:
1. imaging: acquisizione dei dati del Paziente attraverso la tomografia computerizzata cone-beam (CBCT), la stereofotogrammetria e
la scansione quando necessaria delle arcate dentali;
2. pianificazione: simulazione virtuale della procedura chirurgica
e confezionamento di ausili spesso stampati in 3D per favorire l’intervento chirurgico;
3. navigazione intraoperatoria: preregistrazione e registrazione
intraoperatoria, eseguite mediante i metodi di registrazione di superficie e punto-punto;
4. validazione: dopo la CBCT post-operatoria, esecuzione di una
validazione per accertare la riproducibilità.
1. Imaging
Prima della chirurgia, viene eseguita una Tac a basso dosaggio di
emissioni (CBCT) del paziente.
a. CBCT: questo dispositivo è indicato in modo specifico per l’area
maxillofacciale. La caratteristica principale è la sua capacità di ottenere
un’acquisizione completa del paziente in una sola rotazione. Inoltre,
questo strumento permette di eseguire la scansione con il paziente in
posizione supina, paragonabile alla posizione operatoria e particolarmente utile per la disposizione dei tessuti molli.
Le altre caratteristiche sono:
- dose di radiazioni somministrata estremamente bassa rispetto alla
tomografia convenzionale di tipo multislice;
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
141
- la massa sottoposta a scansione può essere virtualmente sezionata
in tutte le dimensioni grazie alla possibilità di lavorare in modo attivo
sull’intero volume;
- il raggio sicuro utilizzato regola automaticamente la dose di radiazioni emesse sulla base della massa e delle dimensioni corporee.
b. Stereofotogrammetria: acquisizione di una stereofotogrammetria del paziente, una fotografia digitale eseguita mediante utilizzo di 8
fotocamere che scattano contemporaneamente ed elaborano una immagine tridimensionabile visibile su tutti i piani dello spazio, a piacimento del chirurgo che ne può variare l’angolo di visuale in qualsiasi
momento, per poter studiare tutti i particolari del volto del paziente.
c. Scansione delle arcate dentali: attraverso uno scanner portatile
è possibile acquisire i dati delle arcate dentali e rielaborali in modo tridimensionale, così da sostituire i vecchi modelli in gesso con immagini
a colori esplorabili a 360 gradi. Lo scanner è in grado di rilevare oltre
all’anatomia dei denti anche il loro colore naturale ed ha la possibilità
di mettere le arcate in relazione tra loro generando l’occlusione del
paziente.
2. Pianificazione
I vari dati generati durante l’acquisizione della CBCT, della stereofotogrammetria e della scansione delle arcate dentali, vengono fusi
tra loro per generare un modello virtuale del paziente il più possibile
aderente al reale.
A questo punto il modello virtuale viene caricato su un programma
specifico di elaborazione chirurgica, che permette al chirurgo di pianificare e realizzare virtualmente l’intervento che andrà eseguito in sala
operatoria.
Tale software permette al chirurgo di vedere il risultato virtuale
dell’atto chirurgico. Inoltre, il software elabora l’aspetto del tessuto
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
142
molle facciale dopo il riposizionamento dei segmenti ossei grazie a un
algoritmo pubblicato dal nostro gruppo nel 2006. Dopo aver creato
la pianificazione virtuale dell’osteotomia, il programma fornisce una
conversione dal file work-on a un oggetto virtuale tridimensionale in
un formato di file (STL) accettato a livello internazionale.
L’obiettivo della pianificazione preoperatoria è quello di creare un
modello virtuale che corrisponda al risultato desiderato dell’operazione. In questo modo si vuole migliorare la predicibilità dell’operazione
in termini di risultato desiderato, soprattutto per le ricostruzioni complesse, e aumentare la sicurezza intraoperatoria.
3. Navigazione intraoperatoria
La preregistrazione e la registrazione rappresentano una procedura
importante e sono una fase preliminare fondamentale per la tecnica di
navigazione, che consiste nel rendere visibile il paziente reale e il suo
orientamento nello spazio del teatro operatorio decifrabile dal software
di navigazione nello stesso sistema di coordinate della scansione TC
preoperatoria.
Questa tecnica orienta il paziente in base alle scansioni TC, indicando punti ben identificabili sul viso e relazionandoli all’immagine
del paziente virtuale visualizzata sullo schermo di navigazione. Il processo di preregistrazione consiste nell’identificare questi punti sul modello virtuale del viso del paziente. Il processo di registrazione consiste
nell’identificare gli stessi punti sul viso reale del paziente (registrazione
punto-punto). Questa procedura viene completata dalla registrazione
di superficie, che consiste nella raccolta di punti casuali sul viso del paziente e nella definizione di un modello virtuale della superficie facciale. Successivamente, il sistema identifica i rapporti tra questo modello e
la superficie della ricostruzione tridimensionale della TC del paziente.
Prima della preregistrazione, vengono caricati il file STL della pia-
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
143
nificazione chirurgica. Il sistema è in grado di sovrapporre perfettamente lo status del paziente con il programma chirurgico, mostrando
la discrepanza spaziale tra i segmenti ossei prima e dopo l’intervento.
Una volta verificata la precisione della procedura di registrazione
identificando i punti anatomici di riferimento sul viso del paziente con
l’apposito strumento puntatore (solitamente scegliamo i denti dell’arcata superiore e i canti dell’apertura palpebrale), se si osserva una sovrapposizione corretta tra i punti di riferimento reali del paziente e
quelli virtuali, si conferma la procedura e si procede con l’atto chirurgico.
Con il sistema di navigazione, è possibile controllare sullo schermo
LCD ogni fase chirurgica, valutando la mobilizzazione dei segmenti
ossei e la precisione della sovrapposizione tra la posizione pianificata e
la posizione ottenuta.
Qualora le posizioni non fossero coordinate, è possibile procedere
ad un ulteriore spostamento dei segmenti con successivo controllo col
navigatore fino a ottenere la posizione necessaria.
Questa procedura di verifica viene eseguita con l’ausilio di un puntatore come un sistema di mobile tracking. La punta del puntatore
è stata utilizzata per toccare i punti di riferimento sulle parti ossee
mobilizzate, visualizzando sul monitor del sistema di navigazione se il
corrispondente puntatore virtuale toccava l’analogo confine virtuale,
inizialmente sull’osso nativo (scansione TC nativa) e poi (dopo l’osteotomia e il riposizionamento) sull’osso mobilizzato (oggetto della
simulazione sovrapposto alla scansione TC nativa).
4. Validazione
Abbiamo focalizzato questa valutazione sulla riproducibilità che
è la capacità delle procedura di ottenere nel corso dell’intervento le
posizioni dei segmenti ossei virtualmente pianificate. È stata esegui-
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
144
ta una CBCT postoperatoria da 1 a 6 mesi dopo la chirurgia con lo
stesso protocollo di acquisizione. La CBCT è stata confrontata con
il file STL dell’oggetto virtuale tridimensionale per calcolare l’errore
di sovrapposizione tra le immagini. Questa procedura è stata eseguita
con un software specifico che combina le 2 superfici e calcola la differenza nella sovrapposizione. Il programma ha creato un’immagine
di sovrapposizione per ciascun paziente, in cui l’operatore visualizza
la superficie della simulazione preoperatoria evidenziata da una scala
colori specifica.
Questo percorso standardizzato viene utilizzato in diversi ambiti
della Chirurgia Maxillofacciale per il trattamento di patologie oncologiche, patologie malformative, di malocclusioni dentoscheletriche e di
atrofie ossee in casi di chirurgia preprotesica.
Le patologie oncologiche del distretto cervico-facciale possono
coinvolgere parti molli come il pavimento della bocca, il labbro o la
gengiva o strutture ossee come i mascellari; in entrambi i casi la necessità di una pulizia oncologica nella resezione dei margini comporta il
ricorso a grandi demolizioni che implicano complicate ricostruzioni.
Tali progetti devono tenere in considerazione primariamente l’asportazione della malattia, poi il ripristino della funzione masticatoria e
successivamente il raggiungimento di un buon risultato estetico.
Il metodo di approccio tridimensionale a tale patologie si avvale non solo dei sistemi appena descritti, ma in casi dove è necessario
ricostruire parti scheletriche dei mascellari, lo studio 3D ci consente
di personalizzare per ogni singolo paziente la terapia chirurgica, studiando al computer nella fase preoperatoria la corretta demolizione,
la “personalizzazione” della ricostruzione ossea e la sua fissazione con
placche in titanio.
È indispensabile infatti in questi pazienti sostituire l’osso affetto
da patologia con un innesto libero rivascolarizzato che spesso viene
prelevato dall’osso peroneale o dalla cresta iliaca del paziente stesso.
Questo innesto, prelevato coi tessuti molli e col fascio vascolare che ne
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
145
garantisce il nutrimento e la vitalità, viene posizionato nella regione del
difetto e viene anastomizzato ai vasi della regione ricevente in modo da
garantire una ri-vascolarizzazione di tutto il complesso osteo-muscolocutaneo.
Tale innesto tuttavia deve essere modellato sulla base del difetto e
fissato con una placca rigida in titanio, tale ricostruzione deve prevedere una riabilitazione masticatoria del paziente oltre che un mantenimento della simmetrizzazione del profilo estetico.
Nella nostra unità operativa, grazie allo studio 3D, siamo in grado
di programmare la ricostruzione ossea in tutti i suoi steps ricorrendo
quindi alla stampa 3D di ausili chirurgici (dime chirurgiche di taglio
e placca ricostruttiva) che ci permettono di riprodurre fedelmente il
piano preoperatorio asportando la neoplasia nel punto osseo prefissato,
sezionando l’osso del prelievo nella dimensione necessaria ed eseguendo la modellazione del prelievo osseo in vagoncini che possono essere
esattamente alloggiati nella regione del difetto. Tali segmenti ossei verranno fissati con una placca in titanio “custom made” stampata in laser
sintering premodellata sulla base della demolizione ossea e del profilo
estetico del paziente.
Nel postoperatorio il Paziente eseguirà una nuova CBCT per verificare, mediante una sovrapposizione, il rispetto del piano di trattamento programmato.
La chirurgia ortognatica è quella branca della chirurgia MaxilloFacciale che studia e tratta tutti i casi di malocclusione dentale dove il
non corretto allineamento dentale è indotto da una alterata anatomia
ossea dei mascellari. La cura e il trattamento di questi pazienti passa
non solo attraverso una terapia ortodontica di spostamento degli elementi dentali, ma necessita sempre anche di un intervento chirurgico
di riposizionamento delle strutture ossee dei mascellari.
Anche nella diagnosi e nel trattamento di tali dismorfie dentoscheletrice l’avvento del 3D ha contribuito al miglioramento della gestione
globale del Paziente.
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
146
Nella nostra unità operativa questi Pazienti, dopo aver eseguito il
percorso di preparazione ortodontico all’intervento, vengono studiati
con una CBCT, con la stereofotogrammetria e con la scansione delle
emiarcate dentali; questo ci permette di ricostruire i tessuti molli, i
tessuti duri e l’occlusione.
A questo punto, terminata la fase diagnostica, è possibile con l’aiuto di un software di progettazione tridimensionale, integrare le varie
acquisizioni e simulare l’intervento per decidere gli spostamenti ossei
più corretti, con lo scopo di ripristinare una buona occlusione creando
inoltre una buona armonia nelle proporzioni del volto.
La fase chirurgica
Pianificato il trattamento, si passa alla fase chirurgica.
Prima di tutto vengono stampati in 3D gli splint “custom made”;
questi sono piccoli apparecchi in resina che ricalcano l’impronta dei
denti superiori e di quelli inferiori sulla base degli spostamenti ossei
programmati; questi sono necessari per guidare il chirurgo nell’esecuzione delle osteotomie e nella loro fissazione con le placche rigide.
In casi selezionati lo studio degli spostamenti ossei ci permette di
stampare, con una stampante FDM, dime di taglio in pvc e con una
macchina laser sintering, le placche di osteosintesi premodellate.
Le dime di taglio ci consentiranno di eseguire correttamente le linee
osteotomiche e saranno i punti di riferimento per fissare il mascellare
utilizzando le placche premodellate.
Questo processo, oltre che velocizzare la fase chirurgica, permette
anche una maggior aderenza tra la programmazione preoperatoria e il
trattamento chirurgico.
Il controllo di sovrapposizione tra il piano di trattamento programmato e quello chirurgico realmente effettuato verrà fatto in sala operatoria con l’utilizzo del sistema di navigazione e a 6 mesi dall’intervento
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
147
con l’esecuzione di una nuova CBCT. La Tac a basso dosaggio postopearotia sarà ricostruita in 3D e il risultato verrà sovraimposto con
quello ottenuto dalla pianificazione per una nuova valutazione delle
eventuali differenze.
La chirurgia preprotesica
La perdita prematura degli elementi dentali senza una loro pronta
sostituzione, può velocizzare il fisiologico processo di riassorbimento
osseo. L’atrofia ossea indotta da questo meccanismo di riassorbimento
può impedire il posizionamento di impianti dentali. In particolari distretti anatomici quali la mandibola posteriore e il mascellare, questa
situazione di severa atrofia va corretta necessariamente ricorrendo ad
un intervento di chirurgia rigenerativa.
Sono diverse le tecniche di chirurgia preprotesica che contemplano
la ricostruzione ossea a scopo preimplantare, tutte queste devono tenere in considerazione gli ostacoli anatomici quali la ridotta quantità
ossea mandibolare rispetto al nervo alveolare, la vicinanza a strutture nobili quali il pavimento delle fosse nasali o dei seni mascellari e
soprattutto la frequente atrofia dei tessuti molli, così importanti per
preservare l’innesto osseo.
Anche in questi casi la possibilità di ricostruire i mascellari tridimensionalmente ci offre l’opportunità di studiare al meglio queste problematiche al fine di preservare tali strutture.
Nel reparto di Chirurgia Orale questi casi di atrofia vengono corretti mediante l’utilizzo di tecniche di rigenerazione ossea guidata, con
l’utilizzo di una griglia “custom made”.
La ricostruzione tridimensionale del difetto eseguita dopo CBCT,
ci consente infatti, con l’ausilio di software dedicati, di programmare
il corretto posizionamento dei futuri impianti e la loro giusta dimensione. Tale piano di trattamento implantare viene eseguito in stretta
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
148
collaborazione coi Colleghi Odontoiatri Protesisti che devono primariamente prevedere il tipo di protesi necessaria per riabilitare la regione
edentula del Paziente.
Una volta quindi deciso virtualmente il numero e la posizione degli
impianti, sarà possibile programmare la rigenerazione ossea in modo
da colmare il difetto osseo con un innesto e concepire al di sopra di tale
innesto osseo una griglia “custom made” che possa contenere l’innesto
di osso particolato e guidare la rigenerazione.
La progettazione di tale griglia dovrà tenere in considerazione le
varie strutture anatomiche e la capacità dei tessuti molli di poterla ricoprire senza comportare rischi di esposizione a breve e a lungo termine.
Una volta validato il progetto di programmazione chirurgica, con
l’ausilio di una stampante laser sintering, sarà possibile produrre la griglia “custom made” che verrà successivamente utilizzata in sala operatoria per eseguire l’intervento chirurgico. La presenza di una griglia
già premodellata esattamente corrispondente ai margini ossei sui quali
verrà fissata, garantisce un sensibile risparmio di tempo chirurgico, riducendo anche i possibili rischi legati alle infezioni preoperatorie.
Dopo la fase di guarigione e di osteointegrazione dell’innesto, ripetendo una CBCT sarà possibile programmare il posizionamento degli
impianti endossei e controllare se la rigenerazione ossea programmata
e attesa si sia effettivamente verificata.
Prospettive future
La Medicina e la Chirurgia sono in continua evoluzione e lo stato
dell’arte delle tecniche diagnostiche chirurgiche è senza dubbio destinato a evolvere giorno per giorno.
Gli obiettivi futuri si pongono il fine di amplificare le conoscenze e
le opportunità di trattamento e in questa direzione la realtà aumentata
è uno dei terreni più fertili.
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
149
Perfezionare dispositivi indossabili come degli occhiali che amplifichino le 3 dimensioni dando vita a strumenti che ci permettano di
sovrapporre immagini ricostruite ad immagini reali in movimento o a
visualizzare immagini radiologiche live con strumenti portatili come i
tablet, sono uno dei traguardi già raggiunti a livello sperimentale ma
che nei prossimi tempi dovranno essere necessariamente migliorati e
resi più fruibili in modo da diventare presto oggetti di uso comune in
Medicina.
Allo stesso modo, le stampanti 3D andranno migliorate con l’ottica
di aumentare il range dei materiali in grado di essere stampati, riducendo sempre più i costi per singola stampa.
Bibliografia essenziale
Marchetti C, Bianchi A, Bassi M, Gori R, Lamberti C, Sarti A.,
Mathematical modeling and numerical simulation in maxillo-facial
virtual surgery (VISU). J Craniofac Surg., 2006 Jul;17(4):661-7;
Mazzoni S, Badiali G, Lancellotti L, Babbi L, Bianchi A, Marchetti C., Simulation-guided navigation: a new approach to improve
intraoperative three-dimensional reproducibility during orthognathic
surgery. J Craniofac Surg. 2010 Nov;21(6):1698-705;
Ciocca L, Mazzoni S, Fantini M, Marchetti C, Scotti R., The design and rapid prototyping of surgical guides and bone plates to support
iliac free flaps for mandible reconstruction. Plast Reconstr Surg. 2012
May;129(5):859e-61e.
Note biografiche degli autori
Claudio Marchetti è Medico Chirurgo, Odontoiatra, Specialista in Chirurgia Maxillo-Facciale. è Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Orale
C. Marchetti - A. Bianchi - L. Piersanti - G. Badiali
150
e Maxillo-Facciale, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Azienda Ospedaliera-Universitaria, Bologna. è responsabile del Reparto di Chirurgia Orale e MaxilloFacciale, Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna.
Alberto Bianchi è Medico Chirurgo, Odontoiatra, Specialista in Chirurgia Maxillo-Facciale, Dirigente Medico, Unità Operativa di Chirurgia Orale
e Maxillo-Facciale, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Azienda OspedalieraUniversitaria, Bologna. Dottore di Ricerca in Scienze Mediche e Chirurgiche
Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna.
Luigi Piersanti è Medico Chirurgo, Specialista in Chirurgia Maxillo-Facciale, Dottorando di Ricerca in Scienze Mediche e Chirurgiche Alma Mater
Studiorum, Università degli Studi di Bologna.
Giovanni Badiali è Medico Chirurgo, Specialista in Chirurgia MaxilloFacciale, dottorando di Ricerca in Scienze Mediche e Chirurgiche Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna.
3D: dalla fictio alla fusion
di Gian Luca Tusini
Le novità tecnologiche non nascono dal nulla. Un lungo lavoro di
prove, controprove, risultati soddisfacenti o fallimentari è una filigrana
che deve rimanere per forza nell’ombra poiché poco interessa all’utente
finale, abbagliato dalle possibilità inusitate di qualsiasi nuovo ordigno
l’ingegno umano metta a disposizione, magari a prezzi accessibili, per
rendergli migliore (o in qualche caso peggiore) la vita quotidiana.
Ma come la natura, téchne non facit saltus. E la tecnologia è peculiare della razza umana poiché il progresso tecnologico in altro non
consiste se non nell’immaginare qui ed ora soluzioni più efficaci alternative alla situazione presente. Poiché propria dell’uomo (e forse,
ma in modi piuttosto ridotti, anche dei nostri cugini all’interno del
comune ordine dei Primati, o anche di altri mammiferi più evoluti)
è la capacità simbolica, cioè di pensare in modo progettuale e astratto
rispetto alla cogenza materiale, proprio per immaginare scenari futuri
diversi dall’hic et nunc.
Sulle mirabolanti applicazioni della stampa in 3D non saremo certo
noi a dover disquisire. L’argomento è cool, come si usa dire e tra il web
e la carta stampata innumerevoli sono le notizie, le riflessioni e il dibattito è acceso come non mai. Non tocca a noi discernere tra argomentazioni scientifiche, applicabilità tecnologico-industriale o forse eccessive
ridondanze mediatiche. Preferiamo lasciare dunque ad altri l’agone
della più stretta attualità o evenemenzialità, salvo poi qualche conside-
Gian Luca Tusini
152
razione sul mondo dell’arte nella contemporaneità stretta. Scegliamo
di iniziare però con uno sguardo retrospettivo in cui cercare qualche fil
rouge, di specie squisitamente teorica, dunque senza considerazioni di
carattere storico-industriale che non ci competono punto, al di là del
fatto che siamo pur sempre nell’onda lunga della meccanizzazione assistita e della produzione in serie, anche se la stampa in 3D, occorre dirlo
subito, “democratizza”, delocalizza e rende alla portata di molti quei
procedimenti che, su altre scale, necessitavano di copiosi investimenti.
Cominciamo dal nome: “stampa in 3D”. Conviene subito notare,
per chi abbia un’idea ancorché elementare dell’evoluzione tecnologica
degli ultimi secoli, come si tratti di una locuzione, non diremo ossimorica ma per lo meno apparentemente incongrua. L’idea di stampa va
subito al procedimento messo a punto da Giovanni Gutenberg e non
possiamo fare a meno di pensarlo per una superficie bidimensionale,
cioè quella pagina stampata ancora dura a morire nonostante la sua
stessa dematerializzazione imposta dalla tecnologia mediatico-digitale:
anche sul web, sul tablet, o sullo smartphone capita spesso l’occasione
di “sfogliare”, addirittura con un gesto mimetico che dà quasi lo stesso feedback di manipolare un libro cartaceo (ma senza la necessità di
umettare il polpastrello…), le pagine di e-books o di giornali on line.
Tutto, oggi più che ieri, nel segno della flatness, della piattezza, della
imperiosa bidimensionalità dello schermo sensibile al tatto, che è cosa
ben diversa dai prodotti tridimensionali che sortiscono dalle nuove
stampanti in 3D.
Occorre però procedere con ordine. Poche invenzioni come la
stampa a caratteri mobili possono vantare una quantità e varietà di
conseguenze a cascata, talune veramente inaspettate, che non saremo
noi a dover ricordare nei particolari: aumento dell’alfabetizzazione, o
forse più precisamente, come nota Elizabeth Eisenstein, mutamento
della comunicazione scritta all’interno della repubblica delle lettere1,
1 Cfr. E.L. Eisenstein, Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita
Gian Luca Tusini
153
diffusione del sapere, sviluppo identitario delle lingue nazionali e di
quelle delle minoranze, creazione della pubblica opinione.
Oltre a questo è innegabile che, specialmente nei secoli dell’automazione, il profluvio delle pubblicazioni a stampa, una certa stabilità
di formati e composizioni, pur nella varietà, abbiano indotto nella nostra percezione processi o mutazioni a livello subliminale che hanno
instaurato nuove abitudini e convenzioni. La stessa studiosa riconosce
come fondate, pur se meno verificabili da quel punto di vista storiografico-filologico che informa viceversa le proprie ricerche, le opinioni del
canadese Marshall McLuhan, cui si devono invece fulminanti intuizioni, ad ampio spettro2.
Conseguenze su vasta scala, abbiamo detto, tanto che il massmediologo canadese non esita a parlare di Gutenberg galaxy, di Galassia
Gutenberg3, che è poi il titolo della sua opera forse più celebre, pubblicata nel 1962, a indicare proprio l’estensione epocale di eredità, atteggiamenti, abitudini, eventi che orbitano intorno all’invenzione del
tipografo di Magonza, artefice della celebre Bibbia a quarantadue linee.
Ed è bene venire subito al dunque proprio con le intuizioni di
McLuhan che vedono l’importanza epocale della tecnologia meccanica e in particolare tipografica lungo tutta l’Età moderna. Non solo,
ma lo studioso canadese instaura una relazione pregnante tra la prassi
tipografica e un procedimento che a tutta prima non sembrerebbe avere con essa alcuna relazione: «lungi dall’essere, per l’uomo, un modo
normale di vedere, la prospettiva tridimensionale è un modo di vedere
acquisito convenzionalmente, al pari della capacità di riconoscere le
lettere dell’alfabeto […]»4.
dell’età moderna, trad. it., Mulino, Bologna, 1995.
2 Ibidem, 70.
3 M. McLuhan, La Galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, trad. it., Armando, Roma, 1976.
4 Ibidem, 40.
Gian Luca Tusini
154
Ecco evocato dunque il metodo della perspectiva artificialis – tecnica
connaturata in arte e scienza che ebbe la sua fondazione scientifica
nel secolo XV e il suo massimo sviluppo dottrinale lungo tutta l’Età
moderna – che consente di rappresentare ma, ancor prima, di vedere il
mondo sub speciae geometriae, secondo un sistema organico di relazioni
dimensionali isotrope, razionalizzando (e in buona parte tradendo),
la fisiologia della visione per una fictio tridimensionale, teoricamente
verosimile.
Si deve forse a Leon Battista Alberti la più matura ed esemplare –
ma al contempo facile e speditiva – formulazione della perspectiva artificialis, codificata nel suo celebre trattato Della pittura redatto nel 1435
e dedicato proprio all’amico Filippo Brunelleschi, che già aveva studiato “sul campo” i fenomeni prospettici naturali nel celebre esperimento
tenuto di fronte al Battistero di San Giovanni circa vent’anni prima.
L’Alberti definisce dunque un agevole modo per disegnare le prospettive, un «modo optimo» geometricamente ineccepibile ma assai
agevole, tale da essere messo in pratica dai pittori senza difficoltà. Basterà qui riassumerne i concetti fondamentali iniziando con le stesse
parole di Leon Battista: «dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una
finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto»5. Già
un punto essenziale: la libertà del pittore di poter individuare una posizione ad libitum per configurare uno spazio virtuale che funziona come
una finestra a cui affacciarsi, istituendo così uno spazio fittizio perfettamente congruo allo spazio reale, addirittura una sua verosimile prosecuzione. A tale scopo occorrerà lanciare le ortogonali che costituiscono
la piramide visiva e che si congiungeranno «quasi persino in infinito»6
(temeraria intuizione in un cosmo ancora tolemaico), distanziate sul
L. B. Alberti, Della pittura, 19, 7-10. Citiamo da L. B. Alberti, Opere volgari, a
cura di C. Grayson, vol. III, Laterza, Bari, 1973.
6 Ibidem, 19, 26-27.
5 Gian Luca Tusini
155
minimo comun denominatore della lunghezza di un braccio, dunque
una misura umana per uno spazio a misura d’uomo, sottoposto al suo
controllo e costruito su una indefettibile ragione geometrica.
Ogni epoca e ogni civiltà hanno esercitato un proprio modo di rappresentare la terza dimensione, dunque, come ha dimostrato Erwin Panofsky sulla scorta della speculazione di Ernst Cassirer, i procedimenti
prospettici sono da ascrivere a quella natura di “forma simbolica” nel
quale l’uomo concepisce, vede e organizza il proprio essere nell’universo7. La scienza prospettica maturata nell’età dell’Umanesimo rimarrà
un imprescindibile know how degli addetti ai lavori, interpretata in
modi pedissequi, digressivi e trasgressivi, dimostrata con apparecchiature varie, prima fra tutte la camera obscura, largamente utilizzata dagli
artisti della piena Modernità e che sarà poi essa stessa la matrice della
fotografia che, per parte sua, invera il procedimento della perspectiva
naturalis.
Ma cosa accomuna la prassi della prospettiva alla tecnologia tipografica? Anzi, cosa li fa funzionare in modo omologo? McLuhan argomenta che «l’abitudine a una posizione fissa o a un “punto di vista”,
così naturale per il lettore di scrittura a stampa, fornì una estensione di
massa al gusto prospettico d’avanguardia del secolo XV»8. Dunque il
punto di vista che accomuna il riguardante dell’opera grafica o pittorica costruita sulla piramide prospettica, è praticamente lo stesso che tutti noi deteniamo scorrendo le righe di un libro stampato, squadernato
davanti ai nostri occhi a una distanza ottimale. Non solo, ma, pur nella
loro bidimensionalità, i caratteri tipografici, prodotti in serie e stereotipati che costruiscono e misurano il rigo, e dunque la pagina, secondo
opportuna giustezza tipografica, trovano una congrua corrispondenza
nella costruzione misurata e virtuale dello spazio prospettico, anch’esso
Cfr. E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2001.
8 Ibidem, 176.
7 Gian Luca Tusini
156
costruito su immateriali punti geometrici (ma non si misura in punti
anche il carattere tipografico?), linee e superfici. Da ultimo un altro
elemento che nel corso dei secoli ha subliminalmente “massaggiato”
il nostro sensorio, tanto da abituarci a un certo tipo di atteggiamento
visivo: il formato quadrangolare del libro e dunque della pagina stampata trova la sua corrispondenza nel formato generalmente quadrangolare appunto del “quadro”, o per meglio dire del quadro-finestra
come abbiamo compreso dalle parole dell’Alberti, quale si è sviluppato
dall’Età moderna fino a oggi.
Stando a quanto fino ad ora esposto, però, siamo ancora nel campo
delle due dimensioni reali, e la terza dimensione rimane una illusione
ottica, un’esca per il nostro sistema percettivo, insomma un ammaliante ma mistificatorio trompe-l’oeil.
Per avvicinarci di un altro passo, perlomeno concettualmente,
alla stampa in 3D dobbiamo sempre ricorrere a Leon Battista Alberti
che affrontò il problema della terza dimensione non solo nella fictio
prospettica ma anche nella concretezza spaziale e struttiva delle altre
discipline del “sistema moderno delle arti”, vale a dire architettura e
scultura. Ci interessa proprio quest’ultima, cui il Nostro dedicò un
breve trattato, collocabile nella fase finale della sua vita, verso gli anni
Sessanta del Quattrocento: in De Statua9 infatti Leon Battista disquisisce sulla varie tecniche della statuaria, distinguendo bene – e lo si
tenga presente per considerazioni successive – tre prassi e quindi tre
categorie di artefici, lungo i secoli: «alcuni, infatti portarono a termine
l’opera progettata aggiungendo e togliendo, come fanno con la cera
e la creta quelli che i Greci chiamano πλαστικούς [plastici, ndr] ed i
nostri modellatori. Altri solo togliendo, come quelli che, togliendo il
di più, portano alla luce la figura umana che cercano, calata e nascosta
nel blocco di marmo. Questi li chiamiamo scultori […]. Il terzo genere
Citeremo, in traduzione italiana, dall’edizione a cura di M. Collareta, Sillabe,
Livorno, 1998.
9 Gian Luca Tusini
157
è di coloro che operano solo aggiungendo, come gli argentieri, i quali
battendo e tirando il metallo col martello, aggiungono sempre qualcosa all’ampiezza della forma […]»10. Quello che ci interessa è però il
metodo suggerito dall’Alberti per riprodurre una statua, per ricavarne
una copia da un originale, attraverso il procedimento della «presa sei
punti», con cui si rilevano «con metodo sicuro, indubitabile e ben chiaro le distanze e le curve delle linee e la misura e i limiti e la collocazione
e posizione di tutti gli angoli e di tutte le sporgenze e rientranze»11;
sostanzialmente si tratta di costruire un calco totalmente virtuale, tutto tradotto in numeri, su cui poi costruire il nuovo esemplare, di cui
riassumiamo qui in estrema sintesi il funzionamento: l’Alberti suggerisce di disporre di un «orizzonte» cioè un disco la cui circonferenza sia
graduata. Al centro del disco è imperniato un «raggio» cioè un’alidada,
anch’essa graduata, che gira a trecentosessanta gradi superando non
poco in lunghezza, con una delle due estremità, il diametro del disco.
Al raggio sono legati fili a piombo liberi di scorrere avanti e indietro
lungo la porzione eccedente il disco del raggio stesso. Lo strumento
così costruito, che si chiama finitorium, viene posizionato sulla testa
della statua da riprodurre, avendo l’accortezza di disporre l’orizzonte
parallelo al terreno conficcandolo con un chiodo centrale sulla testa
stessa. Si fa all’uopo girare il raggio, grado per grado, e tramite il posizionamento del filo a piombo si vede e si misura ove questo è tangente
alle varie emergenze della statua (braccia, petto, ginocchia, gambe ecc.)
tenendo conto delle distanze dall’asse verticale e delle distanze angolari12. A questo punto, anche con l’ausilio di altri strumenti su cui sorvoliamo, tutta la statua è tradotta in valori numerici, appunto un calco
virtuale da cui partire, con lo stesso procedimento, per realizzarne una
copia. È ben chiaro come anche questo procedimento, pur nella realtà
L. B. Alberti, De statua, 2.
Ibidem, 8.
12 Ibidem, 8-11.
10 11 Gian Luca Tusini
158
della terza dimensione, sia figlio di quell’habitus di precisione e misura
proprio della scienza prospettica.
Naturalmente non dobbiamo considerare il metodo albertiano ciò
che non poteva essere, cioè un metodo per la produzione in serie, ma
quello che colpisce è quella sorta di software ante litteram, il fatto di
tradurre la concretezza materica di un manufatto in scale di valori numerici, per poi iniziare un nuovo processo.
Abbiamo indugiato anche troppo su argomenti “classici” della storia dell’arte ed è tempo di venire a tempi a noi più vicini.
A questo punto però dobbiamo ridare la parola ancora una volta
a Marshall McLuhan il quale ha ben dimostrato come quel mondo
fondato su misura, meccanica e visione appartenga, per molti versi,
ormai al passato. Altre sono le caratteristiche dell’Età contemporanea
e se dovessimo, in nome di un materialismo storico-culturale13, individuarne i tratti fondanti non ci sarebbero dubbi nell’ascriverli alle varie
tecnologie che si basano sull’elettromagnetismo. McLuhan afferma che
«oggi, con l’elettricità che crea condizioni di estrema interdipendenza
su scala planetaria, ci muoviamo rapidamente di nuovo in un mondo
uditivo di eventi simultanei e di consapevolezza complessiva»14. Se il
riferimento al senso dell’udito ci parla appunto di una destituzione
del senso della vista a vantaggio di una più estesa e collettiva partecipazione sensoriale, quello che interessa in questa sede è proprio la
natura ubiqua e policentrica del campo elettrico e delle sue applicazioni che ogni giorno sperimentiamo, l’abolizione teorica delle distanze,
l’istantaneità, il definitivo superamento di quella piramide prospettica
lanciata, per citare ancora una volta Leon Battista, «quasi persino in
infinito». Una questione di “stato” e di “campo”, di qualità ubique,
non più di spazio euclideo quantitativo e di digradazione dei corpi in
Cfr. R. Barilli, Il materialismo storico culturale di fronte all’arte moderna e contemporanea, in «Studi di Estetica», 26, 2002, 67-85.
14 M. McLuhan, La Galassia Gutenberg, cit., 55.
13 Gian Luca Tusini
159
base alla distanza.
È ormai tempo di tirare le fila del nostro discorso, o meglio delle
nostre digressioni tra prospettiva, stampa a caratteri mobili, duplicazione. Non possiamo dire che tutto questo sia deterministicamente
legato alla stampa in 3D, ma certo ne costituisce, da un punto di vista
teorico, il background variegato e complesso.
La stampa in 3D comporta un progresso di tipo qualitativo e quantitativo, o meglio ancora, come già suggerito, una “democratizzazione”
del processo. In realtà l’arte contemporanea, almeno dal secondo Novecento, ha abbandonato per molti versi il principio dell’autografia,
talché molti artisti fanno realizzare praticamente ad altri i loro progetti,
talvolta con uno studiato margine di aleatorietà, senza che per questo
la figura dell’artefice stesso ne risulti diminuita. Ciò che conta è l’idea,
il progetto, il concetto, la cui realizzazione viene sovente delegata, o si
vale di materiali già confezionati che l’industria ammannisce.
La produzione meccanizzata in serie, di cui abbiamo ricordato
l’antecedente dalla stampa gutenberghiana, è cosa ben familiare nel
mondo dell’arte e degli oggetti, se solo si pensa alle varie tecniche di
moltiplicazione grafica e al campo dell’industrial design (o comunque
della produzione industriale anche al di fuori dell’orizzonte esteticoartistico) i cui processi a basso costo hanno aperto il mercato alle arti
applicate, potendo contare sull’abbassamento dei prezzi a fronte però
di una produzione su grandi numeri, con investimenti adeguati, pensata per un mercato ricettivo e da “plasmare”.
Da questo punti di vista la stampa in 3D di oggetti vari amplia le
possibilità poiché riconduce la produzione sia alla serie che all’esemplare unico e personalizzato, sottraendosi in tal modo, per certi versi,
alle leggi del mercato.
Il procedimento stesso, nella sua ratio generale va dalla progettazione e definizione virtuale dell’oggetto ancora in potentia, tramite gli
algoritmi del programma computerizzato, per giungere all’atto nella
terza dimensione grazie a una tecnologia additiva – l’additive mani-
Gian Luca Tusini
160
facturing, quando la materia fusa si deposita via via per confezionare
il prodotto, attraverso il layering – o sottrattiva, nel caso un blocco di
materia grezza venga opportunamente scavato e modellato, eliminando le parti in eccesso.
Eccoci giunti a dipanare il filo rosso di quella differenza di procedimenti nell’ambito della scultura che l’Alberti aveva definito nel suo
De statua. Per via “di porre” e per via “di levare” sono le fondamentali
funzioni che allacciano la stampa in 3D a una tradizione che rimane
riconoscibile anche nella stretta contemporaneità. Non più dunque
la necessità di contare su un archetipo da trasformare in numeri per
ottenerne un duplicato ma un oggetto “in potenza”, in algoritmi, da
veder crescere all’interno della stampante, un ambiente chiuso ma trasparente, una “camera chiara” e non più obscura ove non si formano
immagini ma cose nella loro concreta e plastica realtà. Non solo, ma a
proposito del procedimento sottrattivo e della sua relazione parentale
con la scultura propriamente detta – che consiste, sappiamo, nel togliere le parti in eccesso del marmo o della pietra per far emergere una
forma – è fin troppo facile, visto che siamo in vena di arditi (e anche un
po’ disinvolti) salti concettuali tra nuove tecnologie e dottrina storicoartistica, il riferimento a Michelangelo Buonarroti e alla sua teoria della
scultura, che voleva che l’artefice dovesse “liberare”, a forza di levare,
quella forma già definita, imprigionata nel marmo, così ben descritta
dall’artista medesimo in questi celebri versi:
Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.
[…]15
15 M. Buonarroti, Rime, Laterza, Bari 1967, n. 151.
Gian Luca Tusini
161
La rivoluzione portata dall’età elettronica fa sì che il “concetto” non
sia più racchiuso entro la materia ma ormai affidato precisamente agli
algoritmi nella memoria informatica (ma ciò accade naturalmente anche per le procedure additive), presente in un non-spazio di circuiti
integrati ed espansa attraverso reti logiche, da cui prenderà finalmente
forma la realtà dell’oggetto tridimensionale.
Sembra poi che questa nuova tecnologia, spesso open source e notevolmente flessibile, porti appunto a una sorta di “artigianato di ritorno”, tecnologicamente avanzato16. E l’immagazzinamento informatico
del progetto, la sua condivisione attraverso le reti, ci riconduce a un
policentrismo produttivo che è altra cosa rispetto al sistema della grande industria, proprio in virtù di quella estensione globale che solo le
tecnologie su base elettromagnetica possono realizzare.
Si rileva così la compresenza di due vettori contrastanti, almeno in
apparenza: da una parte il massimo di dematerializzazione, che perdura
e si estende a tutte le fasi del progetto, al limite evitando anche il prototipo, lo “stampo”, per concretizzarsi solo all’ultimo, nella produzione
stricto sensu. D’altra parte ciò che sortisce è in buona sostanza il “precipitato” oggettuale di tutto il processo cui, in linea di principio, non
fa differenza l’essere prodotto in serie numerosa oppure limitata, e su
cui si può intervenire estemporaneamente, anche poco prima della sua
realizzazione. Addirittura, l’oggetto, artistico (o no) che sortisce dalla
stampante in 3D può anche essere un esemplare unico.
Pertanto mantiene intatta una sua “autenticità” proprio perché paradossalmente può sottrarsi, pur essendo esso stesso (ri)producibile,
Anche nell’ambito della pratica fotografica, l’immagine digitale e la possibilità di
postproduzione “casalinga” con programmi informatici semplici e accessibili a tutti,
quali Photoshop ecc., consente una sorta di intervento dell’operatore, anche inesperto,
di tipo pittorialistico, ampliando a dismisura le caratteristiche del classico fotomontaggio. Cfr. C. Marra, L’immagine infedele. La falsa rivoluzione della fotografia digitale,
Bruno Mondadori, Milano, 2006.
16 Gian Luca Tusini
162
alle ragioni, o meglio ai limiti della technischen Reproduzierbarkeit,
vale a dire alla “riproducibilità tecnica” su cui luminosamente ragionò
Walter Benjamin nel celebre saggio del 193617. Benjamin argomentava
che «le circostanze in mezzo alle quali il prodotto della riproduzione
tecnica può venirsi a trovare possono lasciare intatta la consistenza intrinseca dell’opera d’arte – ma in ogni modo determinano la svalutazione del suo hic et nunc», inficiando quindi l’autenticità della stessa: «ciò
che viene meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione
di <aura>; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’<aura> dell’opera d’arte»18. Il filosofo tedesco però scrive
a proposito di originale e di riproduzione tecnica, sostenendo che l’«hic
et nunc dell’originale costituisce il concetto della sua autenticità»19, ma
i suoi ragionamenti riflettono piuttosto sulla riproduzione per immagini attraverso cinema e fotografia, dunque non sembrano essere troppo
pertinenti per l’argomento de quo. Rimane però quella nozione di hic
et nunc che, ad onta del suo significato sembra mutare di segno, e diventare reiterabile all’infinito, poiché la stampa in 3D è qualche cosa di
diverso da una catena di montaggio e pur nella possibilità seriale della
produzione, permette ogni volta una sorta di creazione. Ma, abbiamo
ricordato, al tempo stesso il procedimento è perfettamente calibrato
sulla possibilità dell’esemplare unico, del “fuoriserie”, troppo costoso
per la logica industriale dei grandi numeri, che appunto cerca di uniformare il prodotto, di improntarlo alla Typisierung massificata e massificante invocata un secolo fa da Hermann Muthesius. Ecco perché
abbiamo parlato di “artigianato di ritorno”, ove naturalmente non ci si
sporca più le mani e tutte le operazioni sono mediate dalle componenti
elettroniche ed elettromeccaniche.
Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e
società di massa, trad. it., Einaudi, Torino, 1966.
18 Ibidem, 23.
19 Ibidem, 22.
17 Gian Luca Tusini
163
Per concludere, occorre ricordare come per il mondo dell’arte propriamente detto, come già avevamo accennato, la stampa in 3D non
possa considerarsi, in sede epistemologica, una vera e propria rivoluzione. Dal punto di vista tecnico ed economico, sia ben chiaro, apporta
quei notevoli vantaggi di cui qui abbiamo rapidamente delineato solo
qualche tratto. Ma si peccherebbe di essenzialismo vedendo in tale processo, per ciò che attiene al mondo dell’arte, un fattore rivoluzionario;
si tratta, piuttosto, e certo non è poco, di un notevole aiuto che in qualche modo ridona all’artista una tecnologica “neomanualità”, consentendogli di ricorre in minor misura ad operatori esterni. La stampante
in 3D è una ulteriore, aggiornata, facile, versatile, economica, flessibile
protesi, o, se vogliamo chiamarla in modo più culturally correct, un
medium.
Ci sembra che ciò sia dimostrato anche da quanto emerge da una
rapida ricerca sul web. Questa tecnologia pare far notizia, per ciò che
attiene all’ambito estetico, più che altro quando viene usata per creare
gadget di sapore “artistico”: infatti l’uso di materiali plastici, vivacemente colorati, sembra essere assai in linea con un certo gusto neopop
banalmente involgarito, laddove ci si limita a riprodurre in colori fluo
la Fontana di Duchamp o le lattine wahroliane in terza dimensione,
come dimostra, ad esempio, Rob Myers che si autodefinisce artista,
scrittore e, forse non a caso, hacker.
Note biografiche dell’autore
Gian Luca Tusini (Modena, 1961) è ricercatore di Storia dell’arte contemporanea presso Alma Mater Studiorum – Università di Bologna presso la
Scuola di Lettere e Beni Culturali.
Si interessa di vari aspetti della civiltà delle immagini tra Età moderna e contemporanea. Tra le sue pubblicazioni: “La pelle dell’ornamento. Dinamiche e
dialettiche della decorazione tra Otto e Novecento”, BUP, Bologna 2008; “Per
una raccolta (estetica) differenziata”, in G. Garzia, E. Marchetti, G.L.Tusini,
Gian Luca Tusini
164
“Rifiuti e società contemporanea. Arte, storia e regole giuridiche”, Aracne, Roma
2012; “Metamorfosi di Edipo nell’arte figurativa tra Otto e Novecento”, in F.
Citti, A. Iannucci (a cura di) “Edipo classico e contemporaneo”, Georg Olms
Verlag, Hildesheim, Zürich, New York 2012.
La tomografia tridimensionale a supporto della conservazione e
valorizzazione dei nostri Beni Culturali1
di Franco Casali, Matteo Bettuzzi, Rosa Brancaccio,
Maria Pia Morigi e Eva Peccenini
Introduzione
Come già avviene nel campo medico, anche per i Beni Culturali
analisi diagnostiche sofisticate sono sempre più richieste da scienziati,
restauratori, studiosi di storia dell’arte e, recentemente, dalla Polizia
scientifica per scoprire falsi o verificare l’autenticità di reperti antichi.
Tra le varie tecniche derivate dalla Medicina, un ruolo molto importante è giocato dalla tomografia computerizzata a raggi X, più nota
come TAC. Mentre un corpo umano non differisce molto da un altro,
per quanto riguarda i Beni Culturali si va dal gioiello antico o da un
frammento d’osso preistorico – per cui è necessario avere sistemi tomografici di elevata risoluzione spaziale (microtomografie) – fino alla
statua di bronzo o la colonna di marmo, per tomografare le quali è nePer non interrompere troppo la lettura e disturbare, così, la comprensione del
testo, si è scelto di inserire tutte le foto indicate con l’abbreviazione numerata Fig.
in calce all’articolo, dopo le note biografiche degli autori.
1 F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 166
cessario possedere sistemi con raggi X di elevata energia e potenza. Per
l’acquisizione di un’immagine tomografica l’oggetto deve essere radiografato da più angolazioni (vedere schema in Fig. 1). Tanto maggiore
è il numero delle immagini acquisite (non meno di 400-500 che salgono a 1000-1.200 per risoluzioni molto spinte) tanto più fedele sarà la
riproduzione tridimensionale dell’oggetto. Quest’ultimo è ricostruito
“virtualmente”, per mezzo di modelli di calcolo sofisticati, come composto di tanti voxel (volume element), tanto più piccoli quanto maggiori sono le proiezioni (come avviene per le costruzioni in Lego per
le quali tanto più piccoli e numerosi sono i cubetti tanto migliore è la
riproduzione del giocattolo). Da quanto affermato risulta chiaro che la
diagnostica con raggi X può svilupparsi correttamente se collaborano
fisici (per la realizzazione dei sistemi tomografici), ingegneri elettronici
(per lo sviluppo delle sorgenti dei raggi X), matematici e informatici
(per lo sviluppo del software necessario all’elaborazione veloce e corretta delle immagini 3D).
Presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia (DIFA) dell’Università di Bologna – nell’ambito di progetti finanziati dal MIUR,
dall’INFN e dalla Commissione Europea – negli ultimi dieci anni sono
stati sviluppati, da parte di un gruppo di giovani ricercatori (fisici e
informatici), sistemi tomografici di ottimo livello. In particolare sono
stati realizzati: sistemi ad alta risoluzione spaziale per micro-tomografia
di oggetti di dimensioni ridotte, sistemi adatti allo studio di opere metalliche (ad esempio, statue di bronzo), fino a sistemi in grado di tomografare oggetti di elevate dimensioni (ad esempio, globi fino a due
metri di diametro o statue lignee di grandi dimensioni).
Alcuni dei citati sistemi possono essere trasportati e utilizzati in
pinacoteche e musei, anche fuori d’Italia.
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 167
Schema di un sistema tomografico
Un sistema tomografico può essere schematizzato come composto
da:
a) una sorgente di radiazione (raggi X o gamma)2;
b) un rivelatore, che acquisisca le radiografie digitali dell’oggetto;
c) un sistema di movimentazione dell’oggetto (rotazione e traslazione)
o del sistema sorgente-rivelatore;
d) un computer, che gestisca le varie operazioni (movimentazione e
acquisizione delle immagini);
e) un sistema di calcolo, che tratti le immagini digitali acquisite e ricostruisca, in modo “virtuale”, l’oggetto ispezionato.
Nella Fig. 1 è riportato lo schema di un tale sistema adatto per un
grande oggetto.
Microtomografia
Per oggetti molto piccoli sono realizzati sistemi tomografici a elevata risoluzione spaziale (voxel dell’ordine di qualche micron o anche
submicron) che assumono il nome di microtomografi.
Per questo tipo di tomografia si richiede:
- una sorgente a macchia focale3 con dimensioni del micrometro
(microfocus) o, ancora meglio, con dimensioni dell’ordine del nanometro (nanofocus). Per i tubi microfocus più avanzati l’energia massima
Tomografie possono essere realizzate anche utilizzando sorgenti di neutroni.
La macchia focale è la zona dell’anodo dalla quale partono i raggi-X generati dall’urto
degli elettroni. Più è piccola la macchia focale, migliore è la definizione dell’immagine
radiografica, per via del fenomeno dell’unsharpness.
2 3 F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 168
dei fotoni si attesta sui 250 keV e, per i nanofocus, sui 180 keV;
- un rivelatore a elevatissima risoluzione spaziale, ottenuto solitamente dall’accoppiamento di uno scintillatore e di un taper di fibre
ottiche con un opportuno sistema di lettura;
- un sistema di movimentazione con precisione meccanica submicrometrica.
Nella Fig. 2 è mostrato un sistema microtomografico e in Fig. 3
l’immagine di una tomografia di un materiale plastico poroso utilizzato nell’isolamento dei veicoli e in aeronautica. La microtomografia
è utilizzata anche per studiare, in modo non distruttivo, frammenti di
ossa umane preistoriche.
TAC con raggi X di bassa e media energia
Tomografie di oggetti di metallo
Questo tipo di strumentazione è usata per l’analisi di moltissime
tipologie di oggetti, dai manufatti di legno (tavole dipinte, statue lignee), alle statue antiche di bronzo4. Ora anche molte industrie sono
interessate a ispezionare, mediante tomografia, pezzi importanti della
loro produzione che, spesso, nulla hanno da invidiare ai tesori dei Beni
Culturali. Solitamente questo tipo di analisi è fatta utilizzando tubi a
raggi X – con voltaggi fino a 450 kV – per le parti metalliche in alluminio o in bronzo. Le macchie focali sono più grandi di quelle dei
microfocus o nanofocus.
Il rivelatore può essere costituito da uno schermo scintillante, a base
di cristalli di CsI, visto da una telecamera digitale tramite uno specchio
Con questo tipo di sistema si riescono a tomografare statue di bronzo greche, romane ed etrusche ma non statue rinascimentali in quanto hanno spessori troppo elevati;
durante il Medio Evo, infatti, la tecnologia nella fusione dei metalli era molto scaduta.
4 F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 169
a 45° (Fig. 4) oppure da un flat-panel. Entrambi i sistemi forniscono
direttamente l’immagine in forma digitale.
Per correnti e voltaggi abbastanza bassi (fino a 250-300 kV), il sistema può essere contenuto in un armadio schermato (cabinet). Per
correnti e voltaggi superiori è necessario utilizzare l’apparecchiatura in
appropriati locali schermati (bunker).
Di seguito sono riportati alcuni esempi di TAC effettuate a oggetti
nel settore dei beni culturali e in quello industriale.
La Fig. 5 mostra un elmo giapponese del XVII secolo (materiali:
legno, metallo e cartapesta), conservato presso il Museo Stibbert di
Firenze. La Fig. 6 mostra l’immagine tomografica di alcuni dettagli
interessanti, ottenuta con un tubo da 200 kV utilizzando una tensione
tra i 90 kV (per la parte in legno e cartapesta) ed i 160 kV (per la parte
in metallo). Con un tubo da 450 kV è stata ottenuta la TAC di un
vaso di terracotta (vedi Fig. 7) contenente alcune monete di bronzo.
Esso servì come uno dei “test” per caratterizzare il sistema tomografico
sviluppato nel progetto europeo DETECT.
Utilizzo di macchine con voltaggio superiore al MV
Per studiare oggetti costituiti da materiali a elevata densità e grandi
dimensioni, è necessario utilizzare sorgenti di raggi X ad alta energia
(linac o betatroni). Per alcune applicazioni (soprattutto radiografie industriali o di statue di bronzo) sono ancora utilizzate sorgenti di radioisotopi (ad es. iridio e cobalto). Tuttavia, data la difficoltà della
manipolazione, lo scarso tasso di emissione e le elevate dimensioni,
queste sorgenti sono poco adatte alla tomografia. In Italia ci sarebbero
le competenze per costruire un linac trasportabile per tomografie “in
campo”. Si spera che, prima o poi, si trovino i fondi per la realizzazione
di tale macchina d’avanguardia.
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 170
Tipologia delle attività di diagnostica con TAC
L’attività di diagnostica tomografica dei Beni Culturali può essere
inquadrata in tre categorie. La prima fa riferimento all’aiuto fornito
ai restauratori (che, a volte, sono costretti a lavorare su oggetti molto
preziosi dal punto di vista artistico o pecuniario, senza le opportune
informazioni), la seconda riguarda la ricostruzione fedele di oggetti deteriorati o distrutti dal tempo (o da eventi bellici) e la terza categoria
riguarda lo sviluppo delle conoscenze scientifiche per la comprensione
approfondita dell’oggetto (tecnologica, storica, artistica).
Prima categoria
Per quanto riguarda l’aiuto dato ai restauratori possiamo citare la
TAC del quadro di Raffaello “La Madonna del Cardellino” attualmente alla Galleria degli Uffizi a Firenze, e quella di una statua lignea giapponese del XIII secolo.
Il restauro della Madonna del Cardellino di Raffaello
La celebre tavola, dipinta da Raffaello nel 1548, a causa del crollo
del palazzo in cui era custodita si ruppe in 17 pezzi. Come testimoniato
dal Vasari, i frammenti furono recuperati “fra i calcinacci della rovina”
e fatti rimettere insieme dal figlio di Lorenzo “in quel miglior modo
che si potette5”. Una dozzina d’anni fa, all’Opificio delle Pietre Dure
(OPD) di Firenze fu affidato il restauro del capolavoro. La Fig. 8 mostra la tavola prima e dopo il restauro. Poiché il dipinto ha dimensioni
tali da non poter essere inserito in una TAC ospedaliera, l’OPD chiese
Si veda: www.opificiodellepietredure.it/index.php?it/102/raffaello-madonna-delcardellino.
5 F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 171
al DIFA di fare una TAC presso i propri laboratori per verificare la
condizione delle tavole di legno (chiodi, crepe, gallerie dei tarli, ecc.)
che costituiscono il supporto. Portammo le nostre apparecchiature nel
bunker dell’OPD dove eseguimmo le misure che risultarono di grande
interesse per i restauratori (vedi Fig. 9). Il dipinto, dal quale furono
rimossi i materiali non originali applicati nei precedenti restauri e in
cui le parti di pittura mancante furono rifatte in modo “reversibile”, è
ora tornato alla Galleria degli Uffizi (stanza 26).
Statua lignea giapponese del XIII secolo
Presso la Reggia di Venaria (Torino) nel 2005 fu creato un Centro
di ricerca e formazione per il restauro delle opere d’arte (Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”). La tomografia 3D con raggi
X fu una delle nuove attività di ricerca del Centro. Per una più rapida
acquisizione di conoscenze in questa difficile area della diagnostica,
s’instaurò una collaborazione con il DIFA. In particolare, quando si
trattò di restaurare una grande statua giapponese di legno (Fig. 10),
alta 213 cm, ci fu chiesto di effettuarne la TAC, insieme con giovani
ricercatori del Centro, in modo tale che il restauratore potesse procedere con sicurezza, soprattutto nello smontaggio delle varie parti e i
giovani apprendere la tecnica su un oggetto di eccezionale valore artistico. L’analisi tomografica, condotta in collaborazione con il personale del CCR, la Sezione INFN e il Dipartimento di Fisica di Torino, fu
effettuata nelle scuderie della Reggia. Come illustrato dallo schizzo in
Fig. 11, la statua fu posizionata su una piattaforma rotante e irraggiata
con un tubo da 200 kV che era traslato su un asse verticale. Per quanto
riguarda il rivelatore dei raggi X fu utilizzato un sistema simile a quello
in Fig. 4, la cui movimentazione fu effettuata mediante due assi di
traslazione perpendicolari. Alcune immagini tomografiche della statua
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 172
sono riportate in Figg. 12 e 136. Oltre alla statua giapponese furono
tomografati altri oggetti di interesse artistico, tra i quali un prezioso
“doppio corpo” attribuito al Piffetti7.
Seconda categoria
A questa categoria appartiene il rifacimento di un “globo terrestre”
distrutto dalla seconda guerra mondiale e, in origine, collocato nella
Biblioteca di Faenza insieme col gemello “globo celeste”. Si trattava di
un globo eseguito dal Coronelli, famoso cartografo veneziano del XVII
secolo. Sulla base della TAC fatta al globo celeste si fu in grado di ricostruire il globo terrestre. Per approfondimenti su questa realizzazione si
rimanda al successivo contributo – del presente volume – curato da N.
Scianna, il restauratore che ne ha curato la ricostruzione.
Terza categoria
Questa categoria, che riguarda le TAC a scopo di conoscenza (tecnologica, storica, artistica), è quella più consona a un Dipartimento
universitario. Molto spesso sono gli esperti dei singoli settori (storici
dell’arte, paleoantropologi, medici radiologi e altri ancora) che chiedono di avere immagini più dettagliate di un oggetto al fine, ad esempio,
di sapere con quale tecnologia gli antichi sono riusciti a costruirlo,
oppure di avere un rivelatore con prestazioni migliori di quelli in commercio e così via. Questa continua – e sempre crescente – richiesta
esterna stimola la creatività dei ricercatori e l’indirizza verso argomenti ancora non esplorati. Sulla base di questa continua collaborazione
6 7 Attualmente la statua si trova al Museo di Arte Orientale di Torino.
Il mobile, tutto intarsiato in avorio, fu assicurato per un milione di euro.
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 173
tra scienza e conoscenza abbiamo raggiunto una posizione di grande
prestigio – collocandoci ai primi posti nel mondo – nel campo della
tomografia tridimensionale con raggi X.
Tra le varie ricerche eseguite possiamo citare – oltre all’elmo giapponese già mostrato in Figg. 5 e 6 – la TAC tridimensionale di una
statua romana di bronzo, attualmente al J. Paul Getty Museum di Los
Angeles.
Statua romana di Cupido in bronzo
Questa statua, del I sec. d. C., alta 67 cm, rappresenta Cupido
(vedere Fig. 14). Gli occhi sono d’argento e le labbra di rame. La TAC
3D fu richiesta dagli esperti di arte antica per indagare sulle modalità
con le quali i Romani saldavano tra loro le varie parti delle statue (testa,
braccia, collo, ecc). L’analisi, tra le poche effettuate al mondo su statue
di queste dimensioni, fu il risultato di una collaborazione tra il DIFA
e il Getty Conservation Institute (GCI). Il sistema tomografico fu progettato dal DIFA e, in parte, realizzato in Italia. Come sorgente di raggi
X fu utilizzato un tubo Philips da 450 kV. L’immagine era prodotta
dal fascio di raggi X su uno schermo di CsI e ripresa da una camera
digitale di elevate prestazioni. Le misure furono eseguite nel bunker del
GCI. Nella Fig. 15 è possibile vedere l’immagine 3D (ricostruita dal
software VG StudioMax) con un dettaglio della saldatura del braccio al
tronco (figura a destra). Nella Fig. 16 è possibile vedere la ricostruzione
della testa della statua e il suo interno. I risultati completi dell’analisi
tomografica saranno pubblicati tra breve in Applied Physics A.
Conclusioni
La tecnica tomografica sta acquisendo sempre più importanza nella
diagnostica non medica (industria, beni culturali, mineralogia e così
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 174
via). Data la varietà degli oggetti da investigare è necessario fare uso di
strumentazione adeguata e, molto spesso, realizzata ad hoc. Per quanto
riguarda la microtomografia, ad esempio, è necessaria un’alta risoluzione spaziale del rivelatore e una piccola macchia focale del tubo. Per
tomografie di oggetti di elevata densità e dimensione è necessario un
linac di elevata energia (3-6 MV). Per questo tipo di analisi, che si richiede per statue bronzee rinascimentali o colonne di marmo, l’ideale
sarebbe disporre di una macchina che abbia le fattezze di un piccolo
dinosauro, con corpo rigido e “testa” mobile in grado di girare attorno
all’oggetto da irraggiare. Tale macchina, non disponibile sul mercato
ma che l’industria italiana sarebbe in grado di costruire, potrebbe essere di grande utilità anche per controlli su edifici, su fusti contenenti
rifiuti radioattivi e su impianti industriali a elevato rischio, quali gli
impianti chimici.
Bibliografia essenziale
F. Casali, X-ray and Neutron Digital Radiography and Computed Tomography for Cultural Heritage, Chapter 2 of: Physical Techniques in
the Study of Art, Archaeology and Cultural Heritage, Elsevier, 2006;
F. Casali, M. Bettuzzi, R. Brancaccio, S. Cornacchia, M.
Giordano, M.P. Morigi, A. Pasini, D. Romani, F. Talarico,
Development of high resolution X–ray DR and CT systems for non
medical applications, Proceedings of International Symposium on
Computed Tomography and Image Processing for Industrial Radiology, Berlin, 23–25 June 2003, 329–336, BB 84–CD. ISSN: 14354934;
M.P. Morigi, F. Casali, M. Bettuzzi, R. Brancaccio,V. D’Errico,
Application of X-ray Computed Tomography to Cultural Heritage diagnostics, Applied Physics A: Materials Science & Processing, Springer Berlin, Heidelberg, Volume 100, Issue 3, 653-661, September
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 175
2010, ISSN 0947-8396 (Print) 1432-0630;
M.P. Morigi, F. Casali, M. Bettuzzi, R. Brancaccio, La Tomografia Computerizzata tridimensionale con raggi X: un nuovo strumento
diagnostico per il patrimonio artistico e culturale, in DISEGNARE
CON..., 2010, 3(5), 27-42, ISSN 1828 5961;
A. Flisch, R. Thierry, A. Miceli, J. Hofmann, C. Sauerwein, M.
Simon, F. Casali, M. Bettuzzi, M.P. Morigi, New developments
in 3D-CT at high X-ray energy (in tedesco), in Atti del Convegno
Industrielle Computertomografie Tagung, 26-28 Feb 2008, Wels,
Austria.
Note biografiche degli autori
Franco Casali, laureatosi in Fisica nel 1959, negli anni ’60 e ’70 diresse
il Centro Nucleare del CNEN Montecuccolino e, negli anni ’80, la Divisione di Fisica e Calcolo Scientifico dell’ENEA. Dal ’85 al 2007 ha insegnato,
presso l’UNIBO, “Metodi nucleari di analisi tecnologiche”. Accademico delle
Scienze di Bologna, è responsabile del Progetto “Indagine di Beni Artistici e
Culturali mediante TAC con raggi-X” del Centro Fermi di Roma.
Matteo Bettuzzi, PhD in Fisica (2003), lavora attualmente al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna nel gruppo di ricerca
del Prof. Franco Casali e della Dott.ssa Mariapia Morigi, la cui attività di
ricerca è orientata allo sviluppo di sistemi di imaging digitale con raggi X per
radiografia e tomografia computerizzata, prevalentemente utilizzati per analisi
su beni culturali sia in laboratorio che in situ. In questo senso ha svolto nel
corso degli ultimi 10 anni importanti campagne di misura su opere di notevole valore sia in Italia che all’estero.
Rosa Brancaccio, Ph.D in Fisica (Bologna, 2004), collabora a diverse
ricerche: studi di sistemi innovativi per la dosimetria in medicina, progetti per
la tomografia nei Beni Culturali, algoritmi di high performance computing.
Nel 2008 le è stato assegnato il Premio Improta e dal 2004 al 2011 è stata
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 176
docente di Fisica per il Restauro presso Accademia delle Belle Arti Bologna.
Maria Pia Morigi, Ph.D in Fisica nel 1992, è ricercatrice confermata
presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna.
Docente di “Archeometria” e di “Fisica per i Beni Culturali”, si occupa dello
sviluppo di sistemi di acquisizione innovativi per radiografia digitale e tomografia computerizzata con raggi X, per applicazioni in campo medico, industriale e dei Beni Culturali.
Eva Peccenini, Laureata in Conservazione e Diagnostica di Opere d’Arte
nel 2007, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Fisica presso l’Università
di Ferrara nel 2012. Attualmente è assegnista di ricerca del Centro Fermi di
Roma e collabora con il gruppo che si occupa di tomografia con raggi X presso
il Dipartimento di Fisica e Astronomia di Bologna.
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 177
Immagini e figure
Fig. 1: schema di sistema tomografico
Sulla sinistra: il tubo a raggi-X. Nel centro: il globo sulla tavola rotante
Sulla destra: il rivelatore e gli assi di traslazione (31000 radiografie)
Fig. 2: schema del sistema per microCT
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 178
Fig. 3: immagine microCT di materiale spugnoso di interesse industriale
Fig. 4: sistema di acquisizione con schermo, specchio e fotocamera digitale
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 179
Fig. 5: elmo giapponese del XVII sec. del Museo Stibbert di Firenze
Fig. 6: TAC dell’elmo giapponese. Dettaglio della parte superiore dell’elmo
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 180
Fig. 7: immagine TAC 3D di un vaso di terracotta con monete
Fig. 8: la “Madonna del Cardellino” dopo la rimozione delle ridipinture
applicate nei precedenti restauri e come appare ora (foto per gentile concessione
dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 181
Fig. 9: la TAC della “Madonna del Cardellino” è stata realizzata suddividendo
virtualmente l’opera in sezioni orizzontali, ricostruite separatamente e poi
sovrapposte, in modo da ottenere l’intero volume della tavola (a destra), nel quale
risultano chiaramente visibili i danni subiti dall’opera nel crollo di Palazzo Nasi
Fig. 10: statua giapponese in legno
del XIII sec. (Kongo Rikisci)
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 182
Fig. 11: schema del sistema tomografico di acquisizione a Venaria Reale
Fig. 12: immagine tomografica 3D della testa del Kongo
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 183
Fig. 13: immagine 2D (sezione) del torace con, in evidenza, gli anelli di
accrescimento del legno
Fig. 14: statua di bronzo di epoca romana al J. Paul Getty Muesum (Los Angeles).
Gli occhi di Cupido sono d’argento e le labbra di rame
F. Casali - M. Bettuzzi - R. Brancaccio - M.P. Morigi - E. Peccenini 184
Fig. 15: immagine tomografica 3D della statua di Cupido con dettaglio della
saldatura del braccio al tronco (figura a destra)
Fig. 16: immagine tomografica della struttura della testa di Cupido (a) e del suo
interno (b)
Restaurare il cielo e rifare la terra.
I globi di Vincenzo Coronelli alla Biblioteca Comunale di Faenza1
di Nicolangelo Scianna
La biblioteca Comunale di Faenza, al pari di altre e più famose
biblioteche, possedeva fino al novembre 1944, una coppia di globi da
tre piedi e mezzo di diametro di Vincenzo Coronelli (Venezia 1650 –
1718). Tali strumenti fin dal XVI secolo erano costruiti a coppia: una
sfera a rappresentare le costellazioni celesti, l’altra a raffigurare la Terra.
Purtroppo, alla data indicata, a seguito dei pesanti bombardamenti a
cui fu sottoposta Faenza, anche la biblioteca fu gravemente danneggiata e, dei due globi, il terrestre andò distrutto, mentre il celeste, pur con
gravi danni risultò recuperabile.
Del terrestre si salvò solamente la base lignea ottagonale, pur priva dell’orizzonte cartaceo a seguito dell’esposizione alla pioggia e alla
neve.
In tempi più recenti, a seguito di studi sui globi del Coronelli e del
restauro del globo terrestre Enriques2 eseguito nel 1992, avevo avviato
Per non interrompere troppo la lettura e disturbare, così, la comprensione del testo,
si è scelto di inserire tutte le foto indicate con l’abbreviazione numerata Fig. in calce
all’articolo, dopo le note biografiche degli autori.
2 Il globo è così chiamato perché donato dalla famiglia Enriques all’Università di Bologna, dove si trova presso i musei del Rettorato.
1 Nicolangelo Scianna
186
una serie di studi e ricerche sui grandi globi a stampa, del diametro di
cm 106, del cosmografo veneziano. Durante tale studio mi imbattei a
Faenza, nei locali del Museo Torricelliano, nell’esemplare celeste. Dal
momento che dalla bibliografia3 risultava la presenza del solo globo
terrestre, mentre si dichiarava che il globo celeste era andato distrutto
per eventi bellici, rimasi sorpreso nel ritrovare solo l’esemplare celeste.
Questo, in stato di abbandono, era poco leggibile per i pesanti rifacimenti subiti nel restauro del dopoguerra.
Con difficoltà riuscii comunque a schedare il globo, accorgendomi
che si trattava di un esemplare della seconda edizione dei globi concavi4. Chi osservando il globo vede una palla convessa rimarrebbe stupito
da questa mia precisazione; dò allora una breve descrizione dell’accorgimento usato dal cosmografo.
Il Coronelli, per l’esecuzione del globo celeste, seguì l’esempio di
tutti coloro che l’avevano preceduto nella raffigurazione della volta celeste, cioè non si limitò al disegno delle singole stelle che compongono
le costellazioni, ma completò queste con figure piene, rappresentando
le costellazioni secondo il sistema tolemaico come se la Terra fosse al
centro dell’universo e chi osserva le stelle fosse all’esterno della sfera
delle stelle fisse5. Di conseguenza le costellazioni dello Zodiaco sono
rappresentate da destra verso sinistra. Nella realtà, dalla Terra noi vediamo le costellazioni come se fossero su una sfera che ci circonda,
mentre quelle dello Zodiaco hanno un andamento da sinistra a destra.
Questo problema fu evidenziato il 7 dicembre 1692 da Carlo Malavista, durante una riunione presso l’Accademia Fisico-matematica
diretta da Monsignor Ciampini, il quale fece notare che i globi del
M. Luisa Bonelli, Catalogo dei globi antichi conservati in Italia, Firenze, 1950, 71.
N. Scianna, Indagine sui grandi globi a stampa di Vincenzo Coronelli, seconda parte:
il globo celeste, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», XV, 2000, fasc.1, 235-257.
5 M. Milanesi, Vincenzo Coronelli cosmografo, in Vincenzo Coronelli e l’Imago Mundi,
a cura di D. Domini e M. Milanesi, Ravenna, 1998, 32-45.
3 4 Nicolangelo Scianna
187
Coronelli “non sono così utili per gli occhi della mente, cioè per l’intelligenza; poiché l’esprimere la Terra sopra un Globo, ciò è benissimo
fatto, mentre essa Terra è in forma di Palla, sopra la quale noi camminiamo. Il Cielo però è al contrario; poiché stando noi sopra la Terra,
vediamo il Cielo sopra di noi, e per conseguenza osserviamo la di lui
superficie concava, e non convessa [...] si che volendo considerare le
Stelle, conviene, che la persona si porti con l’immaginazione nel Cielo
Empireo sopra le Stelle, ed ivi le consideri. Onde per facilitare questa
intelligenza, con ingegnosissima invenzione Monsig. Illustris. Giovanni Ciampini, Direttore di questa Accademia, ha stimato bene di far
dividere il Globo Celeste del P. Cosmografo Coronelli in due mezze
Palle in questa forma concava, dove si vedono le stelle ne’ propri siti,
col figurarsi di stare nel centro della Palla, ed essa Palla sia diafana”6.
Presumibilmente il Coronelli tentò di imitare l’esperimento del
Ciampini, ma si rese conto non solo che la realizzazione di due mezze
sfere concave è più complessa, ma soprattutto, che era difficile collocarle a fianco dell’esemplare terrestre all’interno delle sale degli acquirenti.
Egli decise, quindi, di lasciare i fusi sulla superficie esterna della sfera e
di incidere le costellazioni in maniera speculare rispetto alle precedenti.
In conclusione, i globi “concavi” sono ottenuti con l’utilizzo degli
stessi disegni realizzati per i globi convessi e con l’incisione di nuove
lastre raffiguranti le costellazioni rovesciate. Inoltre i disegni delle figure, contrariamente a quelli delle edizioni convesse, sono solo delineati,
senza tratteggio di chiaroscuro. I fusi sono tutti ricavati da quattro
lastre.
Del globo concavo esistono due edizioni: la prima del 1693 e la
seconda edita fra il 1699 e il 1700. Le differenze, come per le edizioni
convesse, consistono nella modifica dei cartigli (Fig. 1); nella seconda
edizione, infatti, vi fu l’aggiunta di un piccolo cartiglio circolare con le
V. Coronelli, Epitome Cosmografica, Colonia, ad istanza di Andrea Poletti in Venezia, 1693.
6 Nicolangelo Scianna
188
foglie di alloro sotto il cartiglio ovale (collocato sotto la costellazione
della Colomba) ottenuto da una corona delle stesse foglie (Fig. 2).
Anche se ero riuscito a individuare i cartigli restava comunque la
scarsa leggibilità degli stessi e di altre parti; decisi pertanto di offrire
alla mia città natale il restauro dell’intero globo. Sentito il parere della
Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici, la Direzione della Biblioteca
e l’Amministrazione Comunale di Faenza sono state ben liete della mia
offerta e il globo fu trasportato nel mio laboratorio a Forlì.
Ad un primo esame visivo risultavano evidenti due successivi interventi di restauro, uno sicuramente avvenuto dopo la fine del conflitto
mondiale nel 19507, che aveva interessato anche l’orizzonte cartaceo
sulla base lignea, un altro meno invasivo avvenuto probabilmente alla
fine del XIX secolo come si deduce dall’analisi storica della direttrice
Anna Rosa Gentilini8. Sempre alla stessa epoca si può far risalire la base
lignea che risente degli stili propri di quel tempo, con l’aggiunta più
recente di elementi metallici forse risalenti al primo restauro.
Le analisi, preventive alla scelta delle metodologie di intervento,
sono state condotte sulla struttura, sulle vernici e sui colori. La prima
analisi, condotta personalmente, si è limitata alla verifica dell’innesto
e della stabilità dei perni, dopo un attento esame della superficie e dei
danni presenti. Si era, inoltre, deciso con il Prof. Franco Casali del Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna, di sottoporre a TAC la
sfera per verificare la struttura interna sia dal punto di vista costruttivo
sia per evidenziare eventuali danni. Questo esame, già condotto su globi anche di maggiori dimensioni, richiede la creazione e messa a punto
di una strumentazione dedicata che ha tempi lunghi, pertanto la TAC
è stata eseguita a restauro ultimato. Le analisi sulle vernici e sui colori
sono state eseguite in collaborazione con il Prof. Rocco Mazzeo ed il
A. Rosa Gentilini, Il globo di Faenza, tiologia e storia, in Restaurare il cielo - Il restauro del globo celeste faentino di Vincenzo Coronelli, Clueb, 2007, 38.
8 A. Rosa Gentilini, cit., 36.
7 Nicolangelo Scianna
189
Prof. Giuseppe Chiavari dell’Università di Bologna.
L’esame dei perni e del loro innesto, sia nella sfera sia nel meridiano, è stato condotto con l’ausilio di un endoscopio a fibre ottiche,
che mi ha permesso di verificare che il perno al polo Nord era uscito
dalla boccola inserita nel meridiano, mentre la vite, che sostiene il perno a Sud, risultava troppo avvitata nel tubo innestato nel meridiano.
Questa situazione aveva creato un disassamento della sfera con conseguente sfregamento della palla sull’orizzonte con abrasione dei fusi di
carta. Inoltre la verifica delle condizioni della superficie ha permesso
di evidenziare numerose piccole lacune e graffi, prodotti da corpi contundenti presumibilmente dopo l’intervento di restauro occorso dopo
il bombardamento, alcuni dei quali risultavano piuttosto profondi, interessando tutto lo strato di gesso e carta fino alla superficie di legno
che è così stato possibile verificare. Questa rottura, oltre a permettere la verifica della struttura esterna della sfera, ha dimostrato, all’esame microscopico, l’esistenza di tre strati di vernice, come era emerso
dall’esame microscopico delle zone dove, a seguito dello sfregamento
contro il meridiano e l’orizzonte, vi era stata l’asportazione dello strato
superficiale (Fig. 3). In queste zone ho potuto prelevare una microscopica quantità delle varie vernici che sono state sottoposte ad analisi.
Contemporaneamente si constatava la diversità di colore fra le zone
restaurate e quelle originali che apparivano più chiare, anche se tutte
nella stessa tonalità di azzurro.
I risultati delle analisi hanno dimostrato la presenza della gomma
lacca utilizzata dal Coronelli e sopra si sono notati composti che fanno
pensare alla trementina veneta, usata dal restauratore.
Per evitare ulteriori sfregamenti la prima operazione è stata quella
della sistemazione dei perni, non solo per la rotazione indispensabile ai
fini del restauro, ma per evitare sfregamenti futuri. Anche se il globo, a
restauro ultimato, è stato collocato all’interno di una vetrina protettiva, non bisogna dimenticare che prima di essere oggetto da museo esso
è uno strumento e, nel rispetto della storia scientifica, va mantenuta
Nicolangelo Scianna
190
integra la funzionalità in tutte le sue parti, compresa quella della rotazione sul proprio asse all’interno del meridiano e del tutto all’interno
della base.
La sfera è stata poi collocata su uno speciale supporto che la accogliesse, permettendo di effettuare una rotazione sul meridiano di 360°,
oltre a quello normale sull’asse da polo a polo. In tale modo potevo
meglio accedere a tutta la superficie e anche la base, senza la sfera, poteva essere meglio sottoposta a restauro.
Secondo la tecnica di pulitura che ho messo a punto ho iniziato a
rimuovere la polvere e lo sporco accumulatosi sulla superficie, poi con
l’uso di alcol etilico puro ho effettuato l’eliminazione parziale o totale
delle vernici. Questa tecnica consente il massimo rispetto per l’originalità dell’opera e consiste di due fasi: nella prima, lavorando sotto
lente con cotton fioc inumidito nell’alcol, elimino lo strato più esterno
di vernice aggiunta nel restauro precedente. Dopo questa prima fase
di pulitura sulla superficie restava il colore originario protetto dalla
vernice originaria. La seconda fase è consistita nella leggera pulitura di
questa al fine di togliere la parte più esterna, sporca e ossidata. L’operazione per la delicatezza e lo spessore ridottissimo, di alcuni micron, è
stata eseguita al microscopio.
Nella prima fase il colore, aggiunto dopo i vecchi restauri, viene solubilizzato dall’alcol perché si trova fra due strati di vernice, consentendo di verificare la successione dei restauri. Il restauro più antico è stato
quello che ha interessato le grandi lacune, che sono state ricomposte
con carta a mano ricoperta di vernice, come tutta la superficie del globo. Il secondo restauratore, intervenuto dopo il bombardamento, ha
effettuato le stuccature delle nuove lacune con gesso e poi ha applicato
il colore sia su queste che sulle grandi lacune bianche; infine ha steso
un’altra mano di vernice a gomma lacca. Per questo motivo il colore
non originario si trovava fra due strati di vernice, eliminando i quali,
si eliminava anche quello, mettendo a nudo la carta del risarcimento.
Indubbiamente la mia tecnica in due fasi è molto lunga e poco
Nicolangelo Scianna
191
economica, ma è l’unica che dà la totale garanzia di rispetto dell’opera
nell’integrità di tutti i suoi componenti. Certamente molto più veloce
e semplice è l’uso di solventi più aggressivi che in un’unica passata
eliminano tutte le vernici, magari intaccando anche i colori, per poi
stendere sul globo una vernice moderna di cui non si conosce la durata
e l’esito nel tempo.
Terminata la pulitura, ho effettuato il risarcimento delle piccole lacune. Ho poi rimosso parzialmente le stuccature con gesso, eliminando
lo strato più superficiale e scoprendo le parti originali che erano state
occultate dalla stuccatura debordante. Ho lasciato solamente la parte
di gesso necessaria a colmare il danno della sfera, sulla quale poi, ho
incollato frammenti di carta giapponese per risarcire la carta dei fusi.
Il ritocco a matita con completamento delle figure, nelle grandi e
piccole lacune, ha concluso il lavoro. Ho preferito l’uso delle matite
per due motivi: perché sono totalmente reversibili9: anche a distanza di
tempo, le tracce si eliminano con una semplice gomma e sono nettamente distinguibili dall’inchiostro della stampa. Infine, per uniformare
queste parti con l’originale, che è rimasto coperto da un lieve strato di
vernice, anche le parti risarcite ex novo e quelle su carta vecchia sono
state protette da uno strato molto leggero di gomma lacca.
Nel frattempo il prof. Casali e il suo gruppo avevano messo a punto
il sistema per eseguire la TAC sul globo, pertanto, prima di ritornare a
Faenza in Biblioteca, sua sede originaria, e non nel Museo Torricelliano, la sfera è stata trasportata a Bologna per essere sottoposta a questo
esame (Fig. 4).
Di tale importante tecnologia ha già parlato, in maniera più competente, il Prof. Casali (vedi contributo precedente); io mi limito ad
evidenziare l’aspetto conoscitivo dell’opera scaturito dall’esame e, come
La reversibilità è uno dei requisiti principali del restauro. Questa deve essere possibile
anche a distanza di tempo con solventi che non interferiscano minimamente con i
materiali originali dell’opera.
9 Nicolangelo Scianna
192
vedremo, le sue successive applicazioni. La ricostruzione con la tecniche di “rendering” 3D10 ha permesso di constatare che la costruzione
interna corrisponde perfettamente a quanto lo stesso Coronelli spiega
nel suo testo Epitome Cosmografica. Si può pertanto ipotizzare che la
sfera sia stata fabbricata nel laboratorio veneziano del cosmografo o
sotto la sua diretta direzione come avvenuto per i globi conservati presso la Biblioteca Classense di Ravenna. Altri aspetti interessanti sono il
buono stato di conservazione della struttura lignea e l’evidenza di un
vecchio restauro nella sfera di legno e gesso, proprio in corrispondenza
della vasta lacuna, visibile nella Fig. 4, circa all’altezza dell’equatore.
Dal momento che dalle radiografie non è scaturita la presenza del contrappeso in piombo, che il Coronelli inseriva normalmente all’interno,
come constatato in altri globi dello stesso autore, si può ipotizzare che
lo stesso fosse posto in corrispondenza della vasta lacuna e che non sia
stato ricollocato dal precedente restauratore.
Nei cinque anni, dal 2002 al 2007, in cui mi sono occupato del
restauro del globo celeste, alcune ricerche condotte nei depositi della
biblioteca di Faenza, hanno portato alla scoperta della base originale
del globo terrestre. Come detto all’inizio, si riteneva che questo globo fosse andato completamente distrutto durante il bombardamento.
Devo precisare che con il termine globo si intende l’intero strumento,
costituito da una base e dalla sfera postavi al centro, pertanto il danno
bellico aveva comportato la distruzione della sola sfera: la base, rimasta
sotto le macerie della biblioteca, si era salvata pur con i danni dovuti
all’esposizione alla pioggia e alla neve, fra i quali la perdita dell’orizzonte cartaceo.
L’esame della base, in tutto identica a quella del celeste, anche nelle
10 M.P. Morigi, F. Casali, A. Berdondini, M. Bettuzzi, R. Brancaccio, A. Castellani, F. D’Amico, V. D’Errico, M. Montanari, C. Labanti, N. Scianna, Indagini radiografiche e tomografiche, in Restaurare il cielo - Il restauro del globo celeste
faentino di Vincenzo Coronelli, Clueb, 2007, 75-83.
Nicolangelo Scianna
193
aggiunte recenti, confermava l’ipotesi che queste siano da far risalire
all’epoca del primo restauro.
Il ritorno in biblioteca del globo celeste restaurato è coinciso con la
riapertura delle sale dopo la moderna sistemazione. La compianta direttrice Anna Rosa Gentilini, ammirando l’opera nella sua ricollocazione originale, notò subito l’evidente mancanza dell’esemplare terrestre.
Parlandomi di tale stonatura e del ritrovamento della base originale,
nacque in lei l’idea del rifacimento della sfera che rappresentava la Terra. Anzi, a seguito dei nostri colloqui, durante i quali spiegavo che dai
miei studi e dalle ricerche sui globi del Coronelli derivava la possibilità
di ristampare i fusi che rappresentavano la Terra, la sua idea ne uscì rafforzata. Anni addietro avevo curato la riproduzione anastatica del Libro
dei Globi di Vincenzo Coronelli. In tale libro egli aveva stampato, dalle
lastre autentiche in rame, i fusi di tutti i suoi globi. Per cui si aveva la
possibilità di una riproduzione simile all’originale. Inoltre, per la prima
volta, si aveva la possibilità di ricostruire esattamente anche l’interno
della sfera. Dalla TAC, eseguita per verificare la conservazione della
struttura interna, era possibile ricavare la forma e le esatte dimensioni
dell’intera ossatura lignea.
Purtroppo la prematura scomparsa della dottoressa Gentilini bloccava il progetto sul nascere.
I suoi colleghi dopo circa un anno hanno ripreso il progetto, trovando in me un collaboratore entusiasta. Non solo mettevo a disposizione l’anastatica dei fusi, ma tutta la mia conoscenza e competenza sui
globi coronelliani.
La prima e più importante scelta era quella di stabilire il tipo di
edizione della sfera andata distrutta. Vincenzo Coronelli realizzò la
prima coppia di grandi globi a stampa, del diametro di circa cm 107,
nel 1688, data che stampa nel fuso terrestre con la dedicatoria. La
produzione di questi globi, a cui si affiancheranno altri di dimensioni
sempre più ridotte, continua praticamente fino alla sua morte, ma egli
non cambierà mai la data. Nonostante ciò è possibile risalire a quattro
Nicolangelo Scianna
194
tirature diverse che si rifanno ad anni ben definiti11. La scelta dell’edizione è fatta sulla base delle variazioni apportate attorno al ritratto del
Coronelli (Fig. 5) situato sotto il grande cartiglio con la dedica al Doge
Morosini.
Dell’esemplare faentino non esistono descrizioni particolareggiate
da cui poter risalire all’edizione corrispondente, neppure dalla foto12
è possibile leggere qualcosa di utile a tale scopo. Gli unici elementi
certi sono quelli del globo celeste che, come detto, appartiene alla serie
dei globi concavi seconda edizione. Fortunatamente per noi esistono
solamente altre quattro coppie di globi in cui è presente il globo celeste concavo della seconda edizione; queste sono conservate rispettivamente nell’abbazia di Melk in Austria, nei depositi del Bayerisches
Nationalmuseum di Monaco, nella biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia, nella Prunksaal della Biblioteca Nazionale di Vienna.
Di queste quattro coppie, tre sono formate in coppia con un terrestre
della terza edizione. Secondo il calcolo statistico e delle probabilità, è
ragionevole pensare che anche il globo faentino distrutto fosse di tale
edizione. Un altro colpo di fortuna ha voluto che i fusi stampati dal
Coronelli nel libro di cui ho curato l’anastatica fossero proprio della
terza edizione.
Per la prima volta si poteva fare una sorta di anastatica tridimensionale, riproducendo fedelmente sia nei materiali che nell’immagine
l’originale.
Il Dott. Matteo Bettuzzi, del gruppo del Prof. Casali, che si era
occupato della TAC alla sfera celeste, partendo da quei risultati ha
realizzato i disegni costruttivi dell’ossatura interna con le misure delle
11 N. Scianna, Indagine sui grandi globi a stama di Vincenzo Coronelli, rima arte: il
globo terrestre, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», anno XIII, 1998, 151-168.
12 N. Scianna, Restaurare il cielo - Il restauro del globo celeste faentino di Vincenzo
Coronelli, Clueb, 2007, a pag. 34 è riprodotta la foto con i globi in biblioteca rima del
bombardamento.
Nicolangelo Scianna
195
singole parti. Un altro importante tassello per la ricostruzione è stato
reso possibile dall’indagine radiografica computerizzata.
I disegni sono stati dati a un falegname faentino che ha realizzato
l’ossatura in legno della sfera.
Oggi sarebbe possibile effettuare tale ricostruzione con le stampanti
in 3D, non utilizzando però del legno, pertanto verrebbe a mancare
un elemento essenziale della copia. D’altra parte anche il lavoro del
falegname non ha rispecchiato fedelmente l’operato del Coronelli che
utilizzava assi di legno grezze, non piallate e per la copertura legno
sottile da scatola e non già compensato pluristratificato. Inoltre Coronelli, come evidenziato dalla TAC aveva fatto un largo uso di chiodi
di diverse misure, oggi sostituiti da collanti. Un altro particolare che
ha contraddistinto il lavoro attuale rispetto a quello del Coronelli è
stato l’aver sottoposto l’ossatura di legno, una volta terminata, a disinfestazione per evitare che in futuro nascessero larve di insetti xilofagi
da uova casualmente presenti. Eventualità temuta dal cosmografo che
riteneva sufficiente la copertura con gesso impastato con pelo di bue
per evitare i tarli13, mentre, come constatato in diversi esemplari, i tarli
dal legno dell’ossatura interna sono usciti all’esterno, attraversando lo
strato di gesso cibandosi del pelo di bue presente nell’impasto.
Prima di procedere con il ricoprimento con tela di iuta, è stato
fissato all’interno un contrappeso ottenuto da un cilindro di acciaio
inox. Per la realizzazione del guscio si è utilizzato gesso alabastrino,
cioè emidrato di calcio in polvere ricavato dalla macinazione di pietra,
opportunamente miscelato con acqua fino ad ottenere un impasto cremoso. Questo è stato applicato sulla tela, mentre la sfera veniva fatta
ruotare all’interno di una dima in ferro; in tal modo si è ottenuta una
palla liscia ed omogenea (Fig. 6).
La costruzione del guscio in gesso è stata ripresa e trasmessa in inV. Coronelli, Epitome cosmografica, Colonia, ad istanza di Andrea Poletti in Venezia, 1693, cit., libro terzo, cap. XXIX.
13 Nicolangelo Scianna
196
ternet visibile al seguente indirizzo:
www.youtube.com/watch?v=A-09fn8N2eE&feature=relmfu
La fase successiva è stata l’incollaggio dei fusi di carta. Dovendo
modellare la carta su una superficie curva era necessario l’utilizzo di
carta a mano, che meglio si adatta a questa bisogna senza fare raggrinzimenti, dovuti al senso della fibra presente nelle carte prodotte a
macchina. Le Cartiere Miliani Fabriano hanno partecipato al progetto
offrendo gratuitamente i fogli di carta a mano indispensabili14.
Una necessaria differenza rispetto all’originale è dovuta al fatto che
il Coronelli, per problemi di dimensioni, non ha stampato nel Libro
dei Globi i fusi interi che usava per costruirli, ma li ha stampati in due
metà. Pertanto i fusi sono stati composti da quattro parti, due per l’emisfero Nord e due per l’emisfero Sud, anziché da due singole.
Al termine dell’incollaggio le figure e i confini sono stati colorati,
prendendo a modello i colori usati dal Coronelli per il primo globo.
Anche l’incollaggio dei fusi e la successiva coloritura sono stati trasmessi in internet ai seguenti indirizzi:
www.youtube.com/watch?v=xI0Kykn-SKk
www.youtube.com/watch?v=21_W-hc48lE
La collocazione della sfera nella base originaria, restaurata, sulla
quale è stato applicato l’orizzonte, sempre proveniente dall’anastatica
del Libro dei Globi, ha concluso il rifacimento del globo che è poi
stato collocato nella sala di lettura della biblioteca Comunale a fianco
di quello celeste (Fig. 7).
14 Carta Roma di colore avorio.
Nicolangelo Scianna
197
Note biografiche dell’autore
Nicolangelo Scianna è un libero professionista, operante dal 1974 nel
settore del restauro e conservazione di libri e manufatti di carta. Dal 1994
Professore a contratto presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali
dell’Università di Bologna per l’insegnamento di: Restauro del libro e Restauro
dei manufatti cartacei. Nel 2008, per CLUEB, ha pubblicato il volume “Restaurare il cielo. Il restauro del globo celeste faentino di Vincenzo Coronelli”.
Immagini e figure
Fig. 1: Ravenna, Biblioteca Classense, globo celeste concavo, I edizione,
particolare del cartiglio sotto la costellazione della Colomba
Nicolangelo Scianna
Fig. 2: Faenza, Biblioteca Comunale, globo celeste concavo II edizione, particolare
del cartiglio sotto la costellazione della Colomba, dopo il restauro
Fig. 3: Globo celeste di V. Coronelli, Biblioteca Comunale, Faenza, particolare
danno da sfregamento prima del restauro
198
Nicolangelo Scianna
Fig. 4: Sfera celeste di V. Coronelli, dopo il restauro, sottoposta alla TAC
Fig. 5: Vincenzo Coronelli, globo terrestre, particolare del cartiglio, edizione terza
199
Nicolangelo Scianna
200
Fig. 6: Sfera in legno e gesso per la copia del globo terrestre di V. Coronelli a Faenza
Fig. 7: Biblioteca Comunale di Faenza, globi nella sala di lettura
PARTE TERZA
eSPERIENZE
Le stampanti 3D italiane.
L’esperienza di Digital Wax Systems (DWS S.r.l.)
Intervista a Maurizio Costabeber
General Manager di DWS S.r.l.
Parliamo con Maurizio Costabeber di DWS, Digital Wax Systems,
che, ad oggi, è l’unica azienda italiana in grado di sviluppare sistemi
per la prototipazione e produzione rapida implementando la tecnologia della stereolitografia producendo internamente anche tutte le resine
e i materiali necessari. DWS S.r.l. esporta il 95% dei propri prodotti
in oltre 60 paesi del mondo ed è divisa in quattro business unit: gioielleria, dentale, applicazioni generali e design, e da oggi opera anche nel
mercato consumer. L’ambiziosa mission dell’azienda è portare la stampa 3D ai più alti livelli di precisione e definizione, aiutando le aziende
ad abbassare notevolmente i costi rendendole più snelle e competitive
e lasciando massima libertà alla creatività in ogni settore.
Come nasce l’esperienza di DWS?
Abbiamo iniziato ad operare nel settore della stampa 3D già dagli
inizi degli anni 90 in mercati europei e medio orientali.
Parallelamente è maturata la volontà di impostare un progetto
completamente Made in Italy che ha portato alla realizzazione della
prima macchina Digital Wax da cui deriva il nome dell’azienda: DWS
Maurizio Costabeber
203
– Digital Wax Systems.
Per scelta e, soprattutto per mantenere la focalizzazione, abbiamo
deciso di affrontare per primo il settore della gioielleria e oreficeria
fino a che, raggiunta una determinata dimensione aziendale, sono stati
abbracciati altri settori, tipo medicale e industrial design.
DWS nasce a Vicenza nel 2007, da una lunga e consolidata esperienza nella prototipazione e oggi è arrivata a sviluppare soluzioni hitech per la prototipazione e per la produzione rapida, con il fine ultimo
di ridurre i tempi di sviluppo di nuovi prodotti e per diminuire, di
conseguenza, il time to market. Questi sistemi sono ormai diventati
irrinunciabili e una risorsa strategica per la competitività delle aziende.
L’obiettivo dell’azienda è innovare i processi per rendere più rapida e
flessibile la produzione.
In quali settori operate principalmente?
DWS è leader nel settore dell’oreficeria ed è anche un player importante, con soluzioni molto interessanti nel settore dentale e delle applicazioni industriali in generale. Grazie alla semplicità di funzionamento
ed al ridotto numero di parti in movimento, i sistemi DigitalWax® si
contraddistinguono per l’alta affidabilità e per la ridottissima manutenzione.
Lavoriamo su quattro differenti Business Units:
Digitalwax® J – settore orafo. La gamma comprende 7 sistemi di
prototipazione e produzione rapida dedicati alla gioielleria che consentono di realizzare da un minimo di 10 ad un massimo di 3.200 modelli
al giorno. Tutti i materiali sono realizzati internamente da DWS: materiali fondibili, per il moulding, nanoceramiche biocompatibili tra le
quali anche Irix® Digital Stone®;
Maurizio Costabeber
204
Digitalwax® D – settore dentale. La gamma comprende 6 sistemi
di produzione rapida nella linea dentale che consentono di realizzare
da un minimo di 15 ad un massimo di 4.100 corone al giorno. Tutti
i materiali sono realizzati internamente da DWS: resine per la realizzazione delle impronte, materiali per scheletrati, biocompatibili per le
guide chirurgiche e l’innovativo materiale Temporis® per la realizzazione dei temporanei;
Digitalwax® X – settore industriale e design. La gamma comprende 3 sistemi di prototipazione e produzione rapida. Sono producibili prototipi per qualsiasi tipologia di prodotto e settore industriale
e beni di consumo utilizzando un’area di lavoro di 150 x 150 x 200
mm. Anche in questo caso i materiali necessari per la realizzazione dei
prototipi sono prodotti da DWS ed emulano la maggior parte delle
materie plastiche come l’ABS, il polipropilene, gli elastomeri e le nanoceramiche resistenti alle alte temperature adatte al moulding;
DWSLAB – XFAB® – settore prosumer. È un progetto orientato
al mondo prosumer, una macchina rivoluzionaria in grado di portare
la tecnologia della stereolitografia alla portata del mondo dei makers:
un prodotto in grado di realizzare oggetti di medie dimensioni con un
volume di lavoro cilindrico di 180x180 mm e la possibilità di lavorare
con 9 differenti materiali.
Maurizio Costabeber
205
Mi può raccontare qualcosa a proposito della tecnologia che
utilizzate?
La tecnologia applicata è la stereolitografia: una tecnologia fondata
su un processo fotochimico di polimerizzazione UV. Si parte da un
materiale liquido, attraverso l’utilizzo di un laser ad alta precisione,
si solidifica istantaneamente il materiale fotosensibile alla gamma UV
solo nei punti dove viene irradiato.
Il processo stereolitografico DWS è caratterizzato da precisioni e
prestazioni non raggiungibili da convenzionali tecniche di stampa 3D.
I sistemi DigitalWax® sono gestiti da software di controllo dedicati,
perfettamente compatibili con i programmi CAD/CAM disponibili
sul mercato: partendo da un file STL, i sistemi DWS sono in grado di
realizzare i migliori prototipi e prodotti finiti in termini di alta definizione e risoluzione.
BluEdge®, una sorgente laser di classe 3B realizzata dal centro ricerca e sviluppo DWS, produce raggi ultravioletti che solidificano la resina fotosensibile strato su strato. Attraverso un posizionatore verticale,
la piattaforma di modellazione sale della misura corrispondente allo
spessore dello strato solidificato. Questo movimento, sincronizzato
con quello del laser, produce modelli tridimensionali solidi di eccezionale complessità e precisione.
Qualità e innovazione continua sono le parole chiave. I prodotti
DWS stanno riscontrando un grande successo laddove siano necessari
risultati eccellenti in termini di qualità del prodotto finito e di affidabilità dei macchinari. Un alto tasso d’innovazione richiede grande
attenzione e protezione della proprietà intellettuale. DWS ha depositato, in pochi anni, decine di brevetti per proteggere le sue innovazioni
tecnologiche e di design.
Maurizio Costabeber
206
Quali sono i vantaggi che fanno della DWS un’eccellenza?
Possiamo riassumerli come segue:
- l’utilizzo di una nuova generazione di resine e materiali fotosensibili
sviluppati dal centro R&S dell’azienda;
- l’innovativo sistema laser BluEdge®;
- un software dedicato;
- l’assenza della fase dell’immersione nelle resine;
- velocità, accuratezza e qualità elevata delle superfici.
Avete depositato brevetti in questi anni?
Un’importante voce nel bilancio di DWS è rappresentata dagli investimenti in proprietà intellettuale.
Come ho già anticipato, abbiamo numerosi brevetti estesi a livello
internazionale nella maggior parte dei paesi industrializzati e nei paesi
a maggior potenzialità di sviluppo industriale.
Proteggiamo processi, prodotti, materiali, ma anche design e marchi.
La nostra grande attenzione alla proprietà intellettuale ci permette
di proteggere gli investimenti in R&S e ci permette di misurarci con i
più significativi competitors a livello mondiale.
Una bella soddisfazione, devo dire. Com’è lo stato dell’arte attuale
e che progetti avete per il futuro?
L’azienda ha pianificato uno sviluppo costante e veloce anche nei
settori biomedicale e industriale.
Inoltre, è stata avviata una nuova business unit, DWS Lab, che ha
Maurizio Costabeber
207
presentato al CES di Las Vegas 2014 una linea di prodotti “consumer”
per portare tutte le potenzialità dei prodotti DWS a livello di tutti.
È stata presentata la XFAB, stampante rivoluzionaria con prestazioni tipiche delle macchine tradizionali, ma accessibile a un pubblico più
vasto. Ci interessa molto il mercato di maker e startup, che hanno budget più contenuti di un’azienda già avviata ma anche le stesse esigenze.
Lo slogan delle nuova linea è: liberate l’inventore che risiede in voi.
Un altro dei progetti di sviluppo per il 2014/2015 è rafforzare le
sinergie con le Università e i Centri di Ricerca – attraverso un piano “educational” di ampio respiro, sviluppando prodotti, soluzioni,
eventi e collaborazioni mirate alla divulgazione tecnologica e alla formazione professionale nel 3D printing. DWS presta molta attenzione
all’eccellenza italiana e internazionale: un’azienda è parte integrante
del territorio sociale, culturale, economico che la ospita e può decidere
se sottovalutarlo o valorizzarlo. Le sinergie tra pubblico e privato, tra
l’Università e l’azienda, tra l’azienda e il territorio, giocano un ruolo
fondamentale nell’innalzamento del tasso di crescita culturale dell’intero Paese: azienda non vuol dire solo lavoro e profitto, ma anche crescita e sviluppo culturale e sociale. E oggi il 3D printing rappresenta
una nuova realtà per l’economia internazionale.
DWS è una azienda soltanto italiana o partecipata da altre ditte
estere?
Siamo al cento per cento italiani e siamo fieri di occupare più della
metà delle nostre risorse e dei nostri dipendenti in ricerca.
Come sono stati gli inizi della vostra attività?
La fase di incubazione è stata lunga, è durata fino al 2007. Poi abbiamo
Maurizio Costabeber
208
iniziato a commercializzare le nostre macchine di stampa 3D professionali per le Pmi e per l’artigianato. Il nostro modello di business è
sempre stato lo stesso: proporre strumenti di altissimo livello qualitativo e innovativo ma facendosi pagare in anticipo, sempre. Non è stato
facile, soprattutto all’inizio. Ma ce l’abbiamo fatta e in questo modo
abbiamo evitato di affidarci alle banche o cedere parte dell’azienda a
fondi di investimento, creando una struttura finanziaria solida. Oggi
DWS esporta in 60 Paesi e nel 2013 ha fatturato 7 milioni e mezzo di
euro, con una crescita del 40% rispetto all’anno precedente.
Qual è la vostra attuale struttura aziendale?
Oggi abbiamo 27 dipendenti e produciamo circa 250 macchine professionali all’anno, con quattro persone addette. Altre dieci, fisici, chimici, ingegneri informatici, ingegneri elettronici, sono impegnate in
ricerca, per noi campo preponderante. È in previsione a breve lo spostamento in uno stabilimento più grande, con l’intenzione di assumere
nuove persone. Un punto di forza della DWS sono proprio le risorse
umane: abbiamo un team internazionale. Andiamo in controtendenza,
generando un ingresso di cervelli in Italia. Vogliamo un’azienda multietnica e multiculturale, requisito necessario per un’impresa globale.
L’esperienza di MakeTank S.r.l.
Intervista a Laura De Benedetto
co-fondatrice e amministratore unico di MakeTank S.r.l.
Per capire lo stato attuale e cercare di tracciare gli sviluppi futuri
della Terza Rivoluzione Industriale di cui le tecniche di Digital Fabrication e l’Open Source Hardware fanno parte.
MakeTank è una startup innovativa fiorentina nata come piattaforma web di riferimento per i Maker italiani, su cui è possibile
trovare oggetti stampati 3D, tagliati al laser, digitalizzati con Open
Hardware e personalizzabili dal cliente finale.
Dottoressa De Benedetto, com’è nata l’idea di MakeTank? Qual è
la sua mission fondante?
Da tempo maturavo l’intenzione di mettermi in proprio ed ero alla
ricerca dell’idea e, soprattutto, dei soci giusti, che ho trovato nei cofondatori di MakeTank; l’idea di business è nata durante una vacanza
tra amici. Noi soci fondatori di MakeTank abbiamo esperienze profes-
Laura De Benedetto
210
sionali importanti, sete di novità e una grande curiosità nei confronti
delle tendenze nate all’interno dell’ecosistema della Terza Rivoluzione
Industriale e del mondo digitale. Abbiamo deciso di creare la prima
piattaforma online attraverso la quale i Maker potessero promuoversi e
vendere in tutto il mondo le loro creazioni, offrendo opportunità d’incontro e occasioni di contaminazione reciproca sia online sia nella vita
reale. Un luogo in cui la tradizione artigianale e di design Made in Italy
si abbinassero alle nuove tecniche di Digital Fabrication e all’Open
Source Hardware. La mission di MakeTank è ambiziosa: trasformare i
Maker in imprenditori per far sì che l’abilità nel fare e la spiccata creatività si affianchino alla giusta capacità commerciale e comunicativa.
Com’è composto il team di MakeTank?
Siamo quattro startupper non convenzionali perché non siamo giovani neo-laureati, ma abbiamo maturato decenni di esperienza ognuno
in ambiti diversi. Io ho lavorato per oltre 16 anni nella consulenza
strategica, nell’organizzazione di convegni per manager, nelle divisioni
marketing e comunicazione (che spesso ho creato da zero) presso società di nicchia e multinazionali americane. Tra gli altri soci ci sono
un esperto in Ricerca & Sviluppo e prototipazione in ambito Oil &
Gas, un professionista che lavora da anni sui temi legali all’avanguardia
(startup, proprietà intellettuale, reti d’impresa e internazionalizzazione) e, infine, un giornalista informatico e consulente nella formazione
di qualità. A noi soci si sono aggiunti degli imprenditori che hanno
creduto nel progetto MakeTank e ci stanno dando una mano per realizzare il salto di qualità a cui aspiriamo.
Laura De Benedetto
211
Perché unire design Made in Italy e tecniche di Digital Fabrication?
Ci siamo resi conto che l’artigianato e la piccola e media impresa
tradizionale conoscono poco le nuove tecniche di Digital Fabrication
(stampa 3D, taglio laser) o l’Open Hardware. Sono considerati due
universi paralleli, mentre sono tante le opportunità che possono nascere combinando tradizione e digitale. Con la stampa 3D, per esempio, un artigiano tradizionale può realizzare piccole serie di oggetti di
design autoprodotto e, a costi molti inferiori e in tempi ridottissimi,
creare lo stampo di oggetti da produrre a mano e in altri materiali.
Sfruttando un service di taglio laser, invece, è possibile realizzare oggetti personalizzati, persino un unico prodotto (in plexiglas, metallo,
cartone, feltro), semplicemente inviando un file dalla propria scrivania
e riceverlo poi a casa. Oggi la tecnologia digitale offre all’artigiano e alla
piccola industria tradizionale strumenti economici e veloci per continuare a evolvere e innovare concentrandosi sulla creatività.
Com’è avvenuto l’incontro tra MakeTank e la tecnologia di stampa
3D?
Nell’immaginario comune la stampa 3D è alla base, insieme ad
Arduino, della Terza Rivoluzione Industriale. Una tecnica che si utilizza da decenni nel B2C (business-to-consumer) ma che adesso, dato il
costo ridotto di stampanti con una discreta definizione, sta diventando
alla portata di tutti, persino del singolo consumatore. Oggi il prezzo delle stampanti RepRap da assemblare si aggira intorno a qualche
centinaia di euro, ma si tratta di modelli che richiedono un mix di
competenze software, hardware e di materiali che ancora per qualche
anno non renderà la stampante 3D un oggetto di ampia diffusione
domestica (come descrive l’analisi Gartner). La tecnica non è tutto,
ovviamente, perché la qualità di un prodotto coerente sta nel design,
Laura De Benedetto
212
quindi nella perizia e nell’estetica del modello di partenza (un concetto
chiave nella filosofia di MakeTank). Ed è qui che vediamo il vantaggio
competitivo dei Maker italiani, noti nel mondo per l’eccellenza di un
design che sposa la conoscenza dei materiali e che oggi non può fare a
meno delle moderne tecniche di produzione. La stampa 3D rende più
economici e veloci processi di prototipazione, produzione, personalizzazione che, con MakeTank, vengono messi a disposizione del cliente
finale. Quest’ultimo, infatti, può ordinare un oggetto personalizzabile
a suo piacimento partendo da una base fornita dal Maker.
Quali sono le collaborazioni e le iniziative avviate da MakeTank
in questo ambito?
Continueremo la nostra opera di divulgazione delle tecniche di Digital Fabrication con tutti i mezzi a nostra disposizione. Tra questi il
contest DesignWinMake (designwinmake.it), che abbiamo dedicato
al taglio laser (edizione 2013) e poi alla stampa 3D (edizione 2014);
un’iniziativa che ci ha consentito di scoprire nuovi talenti e organizzare
workshop ed eventi per mostrare come service professionali, startup
innovative e medie aziende possano sfruttare a proprio vantaggio tali
tecniche per creare, innovare, sperimentare. A questo primo contest
si sono affiancati il concorso MakeMore (make-more.it) promosso
da Veneta Cucine e basato sull’elemento legno (sono stati oltre 80 i
progetti arrivati e 5 i finalisti selezionati e coinvolti nella fase di prenotazioni online da parte dei consumatori attraverso la quale sarà scelto
il vincitore); e quello 3DprintforAID il cui obiettivo è realizzare un
oggetto stampato 3D in grado di risolvere un problema con un impatto sociale, magari in un paese del terzo mondo. Il vincitore sarà premiato alla seconda edizione della Maker Faire europea, in programma
a Roma dal 2 al 5 ottobre 2014, alla quale saremo presenti con alcuni
Maker selezionati che animeranno il nostro stand.
Laura De Benedetto
213
Fig 1: bracciale prodotto con la tecnologia stampa 3D
Storie di Vendor MakeTank che usano la stampa 3D
Oltre agli oggetti, MakeTank racconta le storie legate al percorso
creativo dei Maker che li realizzano. Nessuno oggi ha davvero bisogno
di un nuovo gioiello o di una lampada, ma tutti desiderano circondarsi
o regalare un oggetto esclusivo ed emozionante. Ecco perché abbiamo affiancato, sin dall’inizio, al marketplace un blog bilingue (blog.
maketank.it) coordinato da una redazione professionale che racconta
le storie dei Maker e le tendenze della Terza Rivoluzione Industriale.
E sono storie avvincenti che raccontano di una curiosità geniale, come
nel caso di Troy Nachtigall, guru della wearable technology, che ha
realizzato un gancio stampato 3D che permette di staccare il chip dagli indumenti per consentirne il lavaggio in lavatrice; oppure Stefano
Giovacchini, artigiano lucchese, le cui creazioni esprimono passione
ed etica con un design minimalista e una texture imperfetta che rende
ogni oggetto unico. Ci sono storie di artisti che creano sculture indossabili come quelle di Dario Scapitta, che in Olanda realizza gioielli
in impalpabile nylon, raffiguranti farfalle, serpenti e coralli; ci sono
Giorgia e Nicola che realizzano divertenti bijoux hipster low cost con
forme improbabili e impossibili (dai gemelli teschio agli anelli con le
Laura De Benedetto
214
corna). Mescola storia dell’arte (il mazzocchio di Paolo Uccello esposto
agli Uffizi) e algoritmi matematici (a seconda del numero di nodi, ogni
oggetto è diverso dall’altro), il bracciale Nest, proposto in esclusiva su
MakeTank e acquistato persino dal direttore del Museo di Chicago.
C’è la linea business to consumer di un’azienda trentina che usa da un
ventennio la stampa 3D e realizza coloratissimi gioielli con dettagli nitidi e una definizione altissima, partendo da polveri sinterizzate. Ma la
stampa 3D è anche da uomo, come dimostrano i fermacravatte social
e i papillon a frullino, e può riservare sorprese persino per i gourmet,
basta dare un’occhiata alle facciate delle chiese siciliane realizzate in
cioccolato di Modica da un Maker con una storia ancora tutta da raccontare.
Quando si parla di stampanti 3D e di commercio online si pensa
ad un nuovo tipo di consumo: a tuo avviso, quali sono le traiettorie
che ne potranno scaturire? Siamo davvero di fronte ad una Terza
Rivoluzione industriale?
La Terza Rivoluzione Industriale è già arrivata: oggi i designer, e
non solo loro, sono in grado di realizzare piccole serie di oggetti autoprodotti grazie a una stampante 3D low cost o inviando un file a
un service di lasercut, senza dover passare dalle grandi aziende. Grazie
agli e-commerce e ai marketplace (tra cui MakeTank), chi realizza un
oggetto può gestirne anche la distribuzione e la vendita, bypassando
i canali distributivi tradizionali che impongono ricarichi esagerati e
vendere on demand. Su MakeTank, per esempio, ogni Maker può inserire i tempi di produzione e definire il prezzo finale del suo oggetto
rendendo possibili personalizzazioni (dimensioni, materiali, scritte,
ecc.) impensabili sino a ieri. Le imprese di medio-piccole dimensioni,
invece, possono usare le tecniche di Digital Fabrication per realizzare
prototipi o piccole serie di complementi in tempi rapidi, senza passare
Laura De Benedetto
215
dalla catena di montaggio e con la libertà di sperimentare a basso costo.
Le aziende multinazionali (p.e. di telefonia) stanno già sperimentando
la possibilità di usare la stampa 3D per realizzare ricambi o elementi
usurati on demand, risparmiando su magazzino e spedizioni. Io definisco questa nuova generazione di creativi “autoproduttori nativi”: oggi
ognuno di noi può realizzare un oggetto personalizzato a basso costo
e senza muoversi da casa. Personalmente per i miei acquisti frequento
molto i vari outlet online e quando devo fare un regalo cerco qualcosa
di esclusivo e magari personalizzato. Qualcosa che renda speciale il mio
look o la mia casa, oppure dia un’emozione al destinatario del regalo.
Come vede il futuro della stampa 3D?
Uso l’ultima analisi condotta da Gartner sul tema: nei prossimi due
anni la stampa 3D sarà una tecnica affermata in ambito industriale
e sanitario (ricambistica, prototipazione, protesica, ecc.). Fra cinque
anni, invece, quando gli aspetti legati al software e all’hardware saranno
semplificati, diventerà un tool a disposizione del comune consumatore. Rimane il delicato tema della proprietà intellettuale che deve essere
protetta, pur consentendo la produzione nel luogo in cui il bene verrà
fruito (si può parlare di industria diffusa). Nel mondo Maker, basato
sull’apertura e sulla condivisione, questo tema non è ancora abbastanza
dibattuto, ma quando la produzione diventerà una commodity la vera
differenza la farà la qualità del modello, che dovrà essere tutelato e protetto in modo che diventi remunerativo. Sono spunti e ipotesi che solo
la realtà potrà confermare e la nostra curiosità intellettuale ci fa tenere
le antenne drizzate per cogliere i segnali del futuro.
Laura De Benedetto
216
Quali sono le sfide presenti e gli step futuri che MakeTank ha di
fronte?
MakeTank è in un momento di svolta: abbiamo raggiunto una
massa critica di Maker e oggetti in vendita e, soprattutto, siamo riconosciuti come punto di riferimento nel movimento Maker italiano
ed europeo. Abbiamo ricevuto tanti riconoscimenti: alla prima Maker
Faire Rome (ottobre 2013) abbiamo vinto il TechGarage come migliore startup raccogliendo il favore dei Maker presenti; siamo stati inseriti
da Wired Italia tra le startup più promettenti del 2013; e nel marzo
2014 abbiamo partecipato all’Italian Innovation Day, organizzato a
Mountain View dalla Fondazione Mind The Bridge, insieme ad altre 7
startup italiane. In questo momento MakeTank sta per entrare in una
nuova fase: sulla nostra piattaforma Maker i designer saranno sempre
più protagonisti e i clienti potranno acquistare un oggetto personalizzato al 100% e creato esclusivamente sulle loro esigenze. Col nuovo
modello di business, inoltre, abbiamo raccolto le istanze dei Maker che
hanno bisogno di concentrarsi sulla creatività e sullo sviluppo di nuove
linee lasciando a noi le incombenze relative a pagamenti, fatturazione
e logistica. Le parole chiave di MakeTank oggi sono: design Made in
Italy e personalizzazione immediata; una caratteristica, quest’ultima,
consentita proprio dal fatto che ogni oggetto nasce da un file vettoriale
ed è quindi modificabile con un click. Noi di MakeTank ci crediamo davvero e ci stiamo impegnando perché la stampa 3D rappresenti
davvero un’opportunità per trasformare i Maker in imprenditori col
supporto del cliente finale che, acquistando su MakeTank, non ricerca
lo sconto improbabile o l’oggetto di massa, ma con il suo acquisto
contribuisce allo sviluppo di un modello di consumo più consapevole.
Laura De Benedetto
Fig. 2: alcuni prodotti commercializzati da MakeTank
217
L’esperienza di Eliofossolo S.r.l.
di Enrico De Guglielmo
Amministratore Unico di Eliofossolo S.r.l.
Eliofossolo S.r.l. nasce nel 1992 con l’offerta di servizi nel settore
della stampa sia offset che digitale.
Da subito ci siamo impegnati a dare visibilità a nuovi spazi di lavoro e nuove tecnologie, con particolare attenzione al rispetto dell’ambiente e alla sicurezza e salute dei collaboratori.
Il progetto “Stampa3D by Eliofossolo” nasce un paio di anni fa
dalla constatazione di un periodo difficile per la stampa tradizionale,
che ha investito anche la nostra azienda. Dopo ben 22 anni di attività
mi sono ritrovato con i miei dipendenti, che per me sono come una
seconda famiglia, a dover prendere delle decisioni e il dialogo fra tutti
ha fatto nascere la possibilità di percorrere la nuova strada della stampa
3D.
Nel nostro territorio siamo stati, e un pò è così ancora oggi, dei pionieri. Certo, c’era chi si interessava alla stampa 3D ma con un approccio di studio, non finalizzato alla produzione. Si è trattato di mettere
in campo investimenti piuttosto onerosi per avere le prime stampanti
e uno scanner tridimensionale. Poi la difficoltà di intercettare i potenziali clienti, partecipando a numerose fiere ed organizzando, noi stessi,
Enrico De Guglielmo
219
eventi divulgativi. Un grande investimento anche di risorse umane, ma
che ha dato subito riscontri positivi.
Questo tipo di stampa investe molteplici campi, difficile dire quale
sia più interessato dal 3D rispetto ad un altro; l’applicazione di questa
tecnologia è veramente a 360° e spazia dal medicale all’hobbistica, dal
gadget all’architettura fino all’edilizia, dal design con la stampa di gioielli alla prototipazione rapida nel campo meccanico… Davvero non
c’è fine alle applicazioni di questa stampa.
La prototipazione rapida di oggetti in 3D, la scansione di esemplari unici per la fornitura di file di elaborazione e studio in 3D, così
come la stampa di quanto scansionato sono, oggi, per noi, una realtà
produttiva d’eccellenza, che arricchisce e completa la gamma di servizi
che offriamo consentendo di dare forma concreta alle necessità progettuali del cliente: stampa 3D in gesso a colori, per chi vuole un oggetto
uguale alla realtà, stampa 3D in ABS plus termoplastico, per chi vuole
raggiungere la massima qualità in termini di resistenza (particolarmente usato per prototipazione di oggetti tecnici come ingranaggi), stampa
3D in resina, disponibile in vari colori, per chi vuole la massima precisione e un tocco di eleganza e per finire le scansioni 3D di oggetti di
piccole, medie, grandi dimensioni. Realizziamo anche scansioni di dimensioni monumentali, negli ambiti del restauro e della conservazione
dei Beni culturali e artistici.
In questi due anni abbiamo sviluppato sinergie professionali davvero significative e importanti con aziende dei settori più diversi, che
sono interessate all’utilizzo di questa tecnologia di stampa e di scansione. Da questi contatti sono nate collaborazioni fattive che hanno
aperto nuovi campi di lavoro.
Questo dà a tutto il team di Eliofossolo forti motivazioni e grandi soddisfazioni. Per me personalmente, la soddisfazione più grande è
quella di essere ancora presente sul mercato senza aver perso nessuno
“per la strada”: il nostro team lavora da ventidue anni unito e così andiamo avanti.
Enrico De Guglielmo
220
Poi la soddisfazione che vediamo nei nostri clienti, che si rivolgono
a noi con un’idea, un progetto, alle volte anche confuso ma valido, e
che riescono a vedere realizzato e a toccare con mano. In ultimo le relazioni che abbiamo stretto con altri come noi, appassionati alla stampa
3D, dal giovane universitario che ci studia per la sua tesi di laurea al
professionista affermato, che ci sceglie come partner affidabile.
Anche dal punto di vista delle risorse umane, lo vorrei ricordare,
l’impegno è stato altissimo: i dipendenti che seguono il settore della
stampa 3D in azienda è stato raddoppiato in questi 24 mesi e la professionalità acquisita ha richiesto una dedizione che è andata al di là di
un normale rapporto di lavoro. Abbiamo partecipato a numerose fiere
e convegni in un arco di tempo breve, se si pensa alla nostra storia di
copisteria tradizionale. Parlo ad esempio degli eventi da noi realizzati come quello dedicato alla scoperta della “Stampa 3D come nuova
dimensione dell’economia”, tenutosi a Bologna il 13 febbraio scorso,
o della “Fiera del Restauro” a Ferrara, a fine marzo scorso, per citare
anche l’ultimo in ordine di apparizione, il “3Dì in 3D”: una impegnativa quando soddisfacente maratona sul 3D che ci ha visto impegnati
a Farete (promossa da Unindustria Bologna) i primi due giorni per
concludere il terzo giorno con una tavola rotonda di alto livello, molto
partecipata anche nei workshop pomeridiani. Il fatto è che abbiamo
intrapreso la strada della stampa 3D per una necessità aziendale urgente ma che, in un tempo brevissimo, ha visto appassionarci tutti sempre
di più.
Abbiamo parlato di come la stampa 3D investa trasversalmente tutti
i campi professionali, anche il mondo dell’hobbistica e del gadget. Per
quest’ultimo abbiamo ideato un nuovo prodotto, dal nome insolito: il
Mini-ME®, “L’avatar perfetto” che sta riscuotendo il meritato successo.
Si tratta di una statuina, che può avere diverse dimensioni, stampata in
gesso, a 16 milioni di colori, che riproduce fedelmente la figura scansionata, nello specifico una figura umana. È quindi il nostro perfetto alter
ego che fissa in un prodotto di qualità un momento irripetibile. Tramite
Enrico De Guglielmo
221
un apposito scanner viene “letta” la persona, modellata in 3D e stampata.
Un modo divertente e a oggi unico per fermare il tempo in un oggetto
che rappresenta qualcosa di importante. È stata una nostra scommessa
e ne rivendichiamo con forza la paternità.
Fig. 1: un esempio di Mini-ME®
Ad oggi abbiamo aperto anche dei “cantieri” nel campo della ricerca
e sviluppo in diversi settori, uno per tutti la conservazione e del restauro dei Beni culturali.
Posso dire che l’interesse per le nostre nuove attività è stato altissimo da subito in quanto, a mio avviso, lo spazio per la stampa 3D c’era
già sul mercato, quello che mancava era l’anello di congiunzione tra
domanda e offerta. Noi stiamo già lavorando tanto con questa tecnologia ma ci aspettiamo comunque una crescita esponenziale: esempio ne
è il fatto che ci viene chiesta l’affiliazione da parte di altre aziende sul
territorio nazionale, e in altre regioni già esistono dei point di stampa
3D affiliati a noi.
Per il prossimo futuro ci piacerebbe rendere maggiormente condivisa la nostra esperienza e il nostro know-how, non solo attraverso
l’avvio di una sorta di frachising, come già stiamo facendo, ma anche
Enrico De Guglielmo
222
attraverso la formazione di chi si approccia a questa tecnologia di stampa. Abbiamo già avviato corsi specifici per chi si voglia approcciare alla
stampa 3D, e altri importanti progetti sono allo studio in questi giorni.
Siamo quindi proiettati nel domani in maniera precisa e determinata
più che mai.
Fig. 2: un esempio di un’architettura stampata in gesso a 16 milioni di colori
3dmakers@School.
L’esperienza del Liceo Malpighi di Bologna
di Andrea Zanellati
Professore del Liceo Malpighi di Bologna
e referente per il progetto sulle stampanti 3D
Di digital fabrication e stampanti 3D si sente parlare ormai da molti
anni, ma questi termini sono sempre stati relegati ad ambiti di produzione high-tech. All’inizio del 2013 le parole stampanti 3D, Fab Lab,
low cost robotics e molte altre erano ampiamente diffuse non solo tra
geek e comunità di nicchia, ma anche nella stampa generale e in molte
iniziative di divulgazione. Tuttavia, nonostante questi tentativi di promozione e l’imminente edizione di Maker Fair a Roma, primo evento
nazionale di questo genere programmato per l’ottobre 2013, in Italia
le notizie erano ancora molto più dei fatti. Sollecitati in questa direzione e spronati a fare qualcosa dal Professor Maurizio Sobrero, docente di management delle tecnologie e delle innovazioni dell’Università
di Bologna e autore di un contributo presente in questo volume, ci
siamo interrogati come scuola per capire come potessimo contribuire
all’evoluzione di questo scenario. Il primo tentativo è stato quello di
guardarci attorno per vedere dove in Italia, ma soprattutto all’estero,
fossero già nate delle esperienze di digital fabrication in ambito educativo. Dopo aver parlato con molte persone e aver avuto da loro un
feedback positivo, oltre ad aver analizzato alcuni progetti di diverse
Andrea Zanellati
224
nazioni ed aver preso contatti con l’International Fab Lab Association,
il Center for Bits and Atoms al MIT e l’iniziativa FabLab@School
promossa dall’Università di Stanford, abbiamo deciso di lanciarci in
un progetto pilota nella primavera del 2014. Il progetto prevedeva un
corso pomeridiano aperto a tutti gli studenti interessati dei licei scientifico e linguistico Malpighi di Bologna in orario extra-curricolare e un
percorso in orario curricolare nelle ore di disegno e informatica per la
prima liceo scientifico opzione scienze applicate della sede distaccata
della scuola a Castel San Pietro Terme. Il team promotore di questa
iniziativa ha coinvolto diverse persone con ruoli differenti. Il Professor
Maurizio Sobrero è stato il vero promotore dell’iniziativa, per primo
ha avuto l’idea di coinvolgere la scuola in un progetto di questo tipo
e ha curato i contatti e le relazioni con associazioni, scuole e università attive nell’ambito della digital fabrication. La Professoressa Elena
Ugolini, Dirigente Scolastico della scuola ed ex-Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, ha costantemente agito da sponsor mantenendo
l’attenzione sia sull’evoluzione della scuola sia sulla possibilità di trasferire questa esperienza ad altre scuole del territorio o su scala nazionale.
Anche io, Andrea Zanellati, docente di matematica, fisica e informatica, ho partecipato al progetto coordinando le diverse attività didattiche
previste dal progetto e facendomi principale promotore dell’iniziativa
tra i colleghi della scuola. Hanno preso parte al progetto e contribuito
alla sua realizzazione anche i colleghi di disegno e storia dell’arte, Professori Lorenzo Raggi, Luca Parmeggiani e Fabrizio Rivola.
Sebbene le iniziative basate sulla digital fabrication in ambito educativo non siano nuove e siano state implementate in diversi contesti,
soprattutto all’estero, noi non potevamo fare affidamento su esperienze
e competenze locali in grado di strutturare un progetto pilota. In aggiunta a questo, la scuola nella fase di avvio del progetto non disponeva di laboratori e strutture idonee e, allo stesso tempo, gli insegnanti
avevano poche e limitate conoscenze in questo ambito sia in termini
di contenuto sia in termini di approccio alla cultura dei makers. Per
Andrea Zanellati
225
questi motivi abbiamo deciso di costruire una rete ampia e diversificata
di attori coinvolti nel progetto, che potessero mettere in gioco diverse
competenze ed esperienze professionali per affrontare queste difficoltà.
La scuola in questa rete doveva fungere da collegamento e coordinamento generale, per sfruttare al meglio le diverse competenze messe in
gioco.
Siamo partiti con alcuni incontri nell’estate 2013 per raccogliere le
prime idee e il Professor Sobrero e la Professoressa Ugolini hanno presentato la loro idea ad alcuni insegnanti della scuola e ad altri membri
della comunità industriale. Fin da subito è stato chiaro che, mentre
gli studenti della scuola sarebbero stati i veri beneficiari del progetto,
gli insegnanti sarebbero dovuti essere il nostro obiettivo principale. Ci
sono almeno due ragioni per questo: in primis, le tecnologie della digital fabrication sono solo strumenti. Per diventare reali opportunità di
rinnovamento didattico dovrebbero essere integrate nei vari curricula
e superare le limitazioni formali imposte dalle indicazioni nazionali in
merito ai contenuti disciplinari e alle competenze di uscita per gli studenti. Inoltre, come per qualunque processo di innovazione, il buon
esito dipende da chi deve mettere in atto questo processo e, di conseguenza, dalla sua accettazione e acquisizione di un’attitudine positiva e
di fiducia nel cambiamento verso cui si tende.
Agli incontri estivi sono seguiti tre incontri nell’inverno del 2013
per delineare meglio le finalità del progetto e stabilire in modo più
concreto quali attività si sarebbero poi realizzate nei mesi successivi
con i ragazzi. In questi incontri è stato coinvolto anche l’Ingegnere
Stefano Lascialfari, esponente dell’associazione MakeInBo (la comunità di maker della città) e genitore di un alunno della scuola. Durante
questi incontri abbiamo preso in considerazione molte possibilità tutte
incentrate sull’idea di progettare delle attività che potessero incuriosire
studenti di diverse età e diversi indirizzi di studio (licei scientifico e
linguistico). Alla fine si è arrivati alla progettazione di 10 seminari di 2
ore l’uno, tenuti da persone esperte dell’associazione MakeInBo, men-
Andrea Zanellati
226
tre io ho assunto il ruolo di coordinatore del progetto e supervisore
didattico dei seminari e l’associazione dei maker bolognese ha messo
a disposizione della scuola due stampanti 3D low-cost per la realizzazione dei progetti dei ragazzi. Il contenuto dei seminari, che verrà riassunto nella tabella 1, si è sostanzialmente diviso in due parti: una fase
iniziale per imparare il disegno in 3D al computer utilizzando il software SketchUp e i rudimenti del funzionamento di Cura, un software
di gestione della stampa 3D; una seconda parte dedicata alla libera
progettazione dei ragazzi di un piccolo oggetto personale da produrre
con le stampanti. I seminari sono stati realizzati tra febbraio e marzo in
orario pomeridiano extra-curricolare per i licei di Bologna, e in orario
mattutino nelle ore di informatica e disegno per la prima liceo scientifico opzione scienze applicate della sede di Castel San Pietro Terme.
Prima che i seminari prendessero l’avvio sono stati organizzati due
momenti di promozione del progetto rivolti sia agli studenti della scuola e alle loro famiglie sia a possibili futuri studenti. A novembre 2013,
infatti, in occasione del tradizionale OpenDay del Liceo Malpighi è
stato allestito uno spazio espositivo con due stampanti 3D sempre in
funzione e due membri dell’associazione MakeInBo a disposizione per
spiegarne il funzionamento di base e rispondere alle curiosità. Bambini, ragazzi e genitori hanno mostrato tutti notevole interesse. A gennaio, invece, il Dirigente Scolastico Elena Ugolini ha organizzato un
incontro per gli studenti, invitando a parlare, oltre al Professor Sobrero
e all’Ingegner Lascialfari, un altro ingegnere della Ducati che lavora
con queste tecnologie nell’ambito della prototipazione rapida.
I due maggiori punti di forza di questa fase di ideazione e progettazione sono stati i seguenti. Da un lato l’apertura al panorama internazionale, cercando di creare delle relazioni e attingere da esperienze
già in essere, per capire meglio quale direzione prendere. In questo
senso sono stati preziosi i contatti con l’International FabLab Association, alcuni progetti avviati dall’Università di Bologna e dall’Istituto
di Scienze e Tecnologia Skolkovo, oltre a risorse reperibili sul Web in
Andrea Zanellati
227
merito all’iniziativa FabLab@School promossa dall’Università di Stanford. Dall’altro il coinvolgimento a diversi livelli di molte persone con
competenze e ambiti professionali distinti, ma soprattutto di un gruppo di insegnanti che ha seguito il progetto dalle fasi iniziali di ideazione
al suo compimento.
Prima di illustrare in modo più puntuale i contenuti del progetto e
le fasi di realizzazione, anteponiamo la descrizione degli obiettivi che
ci siamo posti di conseguire. L’intero percorso educativo vuole mettere
in evidenza tutto il processo di produzione di un oggetto industriale:
dall’ideazione alla realizzazione, passando per gli step intermedi di progettazione e modellizzazione.
Il fatto che uno studente possa vivere queste fasi in prima persona,
ideando e producendo un oggetto in modo autonomo, è una prospettiva educativamente interessante e che arricchisce il curriculum liceale
classico.
Le finalità perseguite con l’avvio di questo progetto sono state molteplici:
- promuovere un’esperienza affascinante e significativa per studenti e
insegnanti;
- proporre un’opportunità coinvolgente anche per le discipline umanistiche che non rientrano nell’asse matematico, scientifico e tecnologico;
- intraprendere un processo di rinnovamento della prassi didattica,
avviando un laboratorio “vivente” in cui alcuni processi di apprendimento formali e tradizionali possono essere integrati con le moderne
tecnologie di fabbricazione digitale;
- comprendere e analizzare quali siano i requisiti per includere fisicamente e stabilmente un laboratorio di fabbricazione digitale attrezzato
in una scuola;
- iniziare una collaborazione con l’associazione di makers locali (MakeinBo) per avviare con loro un processo di sviluppo basato sulla con-
Andrea Zanellati
228
divisione e valorizzazione delle risorse e delle iniziative della città;
- sviluppare un’esperienza pilota che potrebbe essere riprodotta in altre
scuole adeguandola alle esigenze e alle caratteristiche proprie del territorio in cui operano.
In questa fase iniziale l’obiettivo primario è stato aiutare gli studenti a
sperimentare differenti tecnologie capaci di trasformare una loro idea
in un oggetto reale e concreto attraverso strumenti di disegno CAD3D e l’utilizzo di stampanti 3D low-end.
La scansione di massima degli argomenti è stata la seguente:
- una sessione introduttiva con panoramica sulla personal fabrication e
sulle parti costituenti la stampante 3D usata (PrinterBot Jr);
- cinque sessioni sull’utilizzo di SketchUp (software applicativo per il
disegno assistito al calcolatore);
- quattro sessioni per la progettazione, stampa e rifinitura di un oggetto
personale a libera scelta degli studenti.
Nella tabella 1 è riportato in modo più dettagliato il contenuto di ciascun incontro.
Tabella 1
1st seminar
Presentazione del programma e obiettivo.
Cultura dei Maker, Open Source, Open Hardware, Open
Design.
Stampante RepRap e sua evoluzione. Meccanica di una
stampante 3d.
Introduzione a SketchUp. Basics: design area, menus, toolbar, task bar, dialogue windows, models.
Muoversi in uno spazio 3D, selection of objects.
Design functions: lines and faces, rectangles, geometries on
faces.
Andrea Zanellati
229
2nd seminar
Arduino in una stampante RepRap.
Service sites (Ponoko, vectorealism).
Model sites (thingiverse, GrabCad, Shapeways ).
Panoramica su cad software, OpenSource, free, professional (OpenSCad, Blender, SketchUp, Autocad,
Rhino+Grasshopper).
SketchUp: Edit instruments: cut and copy, eliminate. Advanced instruments: offset, push/pull. Layers, groups.
3rd seminar
SketchUp: design instruments: archs, polygons, curves.
Edit instruments: rotation and scale functions.
Advanced instruments: follow me function, intersections,
constructions lines.
4th seminar
SketchUp: creare una component, differenze tra group e
component.
Advanced instrumets: quota.
Plugin per SketchUp. Solid Inspector e import/export in
stl format.
Uso di Solid Inspector.
Export in stl format.
5th seminar
Esercitazione comune: tassello di un puzzle. 3d-printer software: breve introduzione a Cura.
6th seminar
Stl format, G-Code format, slicIngegner.
Uso di Cura.
Ideazione e schizzi di oggetti personali.
7th seminar
Progetto.
8 seminar
Progetto.
9 seminar
Stampa.
10 seminar
Rifiniture e dettagli.
th
th
th
Alla luce dell’esperienza fatta abbiamo verificato che l’iniziativa è
una proposta valida sia per la sua valenza culturale e formativa, sia
perché i ragazzi che hanno preso parte al progetto, hanno restituito
Andrea Zanellati
230
feedback positivi e si sono mostrati interessati a proseguire un percorso
in questo ambito. Rispetto alle modalità di realizzazione ci sono però
alcuni modifiche che riteniamo necessario apportare per meglio perseguire le finalità del progetto. Dai seminari tenuti emerge con chiarezza
che la principale potenzialità per un progetto di questo tipo può essere sintetizzata nel seguente obiettivo: “educare alla progettazione, nel
senso di acquisire competenze che poi potranno sostenere e permettere di
realizzare un’idea personale”. Questo obiettivo è di per sé molto alto e
nasconde molte difficoltà a cui lo studente deve imparare a far fronte,
che richiedono tempi lunghi e dilatati e il passaggio per diversi step.
Inoltre, all’interno del percorso liceale non risulta rilevante e fondante
il fatto di formare un tecnico esperto di stampante 3D, quanto più la
possibilità di spalancare l’orizzonte dei ragazzi sul mondo che li circonda e formare le loro menti in termini di progettazione. La stampante 3D, in questo senso, diventa uno strumento per perseguire questo
obiettivo e non l’obiettivo di per sé.
Saper progettare significa aver competenze, conoscenze e saper utilizzare strumenti in modo consapevole per reinventarli successivamente e saperli padroneggiare per esprimere un’idea personale. Un lavoro
su SketchUp di qualità diventa quindi importante e non accessorio,
merita tempo, approfondimento ed esercizio. Non bastano 4 lezioni
o l’alfabetizzazione di base; per poter ragionare liberamente in fase di
ideazione e realizzazione occorre una padronanza maggiore.
Saper progettare significa anche avere un’idea, ma per avere un’idea
bisogna essere educati, e si deve insegnare agli alunni come l’idea e
l’intuizione possano essere rielaborati in modo da creare un modello,
che parte dai tratti essenziali e semplici dell’oggetto che ho in mente,
fino ad arrivare allo studio e alla gestione dei suoi dettagli. Questa
abilità va però costruita nel tempo. In una prima fase il progetto può
non essere libero, e l’ideazione può essere sostituita dal piano della
personalizzazione di un oggetto assegnato attraverso i dettagli: si parte
da un oggetto semplice e via via si affrontano oggetti che prevedono
Andrea Zanellati
231
uno studio della forma più complesso e articolato, o maggiori spazi di
personalizzazione. Solo al termine del percorso ci può essere il tema
libero “trasforma una tua idea in oggetto” e qui si innesta anche la possibilità di una maggiore intesa con altre discipline perché il progetto
può attingere a diversi ambiti.
Proprio perché l’obiettivo è così alto, la modalità pomeridiana
extra-curriculare sembra meno adeguata di quella curricolare. Gli studenti possono cogliere le prospettive di questa tecnologia, assaporare
alcune potenzialità, ma non c’è un salto di qualità vero sull’obiettivo
della progettualità. Venti ore di seminari sono poche, soprattutto se
condensate, e i ragazzi non hanno il tempo per maturare tutte le fasi
che sono necessarie per dare spessore educativo e culturale al progetto.
Per questi motivi il progetto stampanti 3D assume rilevanza maggiore se riusciamo a inserirlo nel curriculum scolastico mattutino, su
più anni di corso, e questa è la direzione in cui la scuola ha scelto di
muoversi per l’anno scolastico 2014/15. La disciplina capo fila deve
essere disegno perché è quella in cui più naturalmente si colloca, anche
secondo le indicazioni nazionali, l’utilizzo di un software di disegno
3D e il tema della progettazione di design o architettura. Come anni
di lavoro, su quest’area si è, al momento, individuato il triennio dal secondo al quarto anno di liceo. Altre discipline possono dare completezza al percorso: in chimica si può fare un’analisi dei materiali di stampa,
la matematica può appoggiarsi e integrare il lavoro di SketchUp sul
tema della geometria nello spazio e nella costruzione di una visione
geometrica tridimensionale. Nei percorsi di liceo scientifico con opzione scienze applicate anche l’informatica può essere coinvolta, perché
il percorso fornisce molti spunti per capire cosa sia il mondo Open
source, cosa significhi fare una ricerca in librerie e cataloghi già esistenti, piuttosto che ampliare le funzionalità di un software con altre
risorse plug-in.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Se, come i lettori avranno avuto modo di rilevare, l’opera – al di là
forse di quanto inizialmente preventivato – ha assunto i connotati di
una tavola rotonda o di un esercizio di brainstorming in cui i relatori
si confrontano apertamente e liberamente su una materia in continuo
divenire, allora non è fuori luogo concluderla partendo dalle riflessioni
di Alberto Mingardi che ha il merito di ripercorrere la nozione stessa di
innovazione e di stemperare i rischi di eccessivi entusiasmi sulla stampa
3D, pur senza in nulla sminuirne la portata. Del resto, aggiungiamo
con tutti i distinguo del caso, l’esperienza di Second Life dovrebbe
consigliare cautela nell’esaminare le novità della tecnica e nel prevederne l’impatto a breve e medio termine per le attività dell’imprenditore
e per le scelte quotidiane del consumatore, che vanno misurate e ipotizzate partendo dal già esistente, secondo l’approccio rigorosamente
realistico e concreto, con cui abbiamo voluto caratterizzare la nostra
ricerca.
Appunto in questa chiave, emblematico ci pare l’intervento di Francesco Pignatelli che introduce la materia presentandone i più rilevanti
profili tecnologici, soffermandosi sugli sviluppi in corso e su quelli che
è possibile intravvedere per il prossimo futuro. Pignatelli ci ricorda in
particolare che il ricorso alle stampanti 3D potrebbe non replicare il
fenomeno che ha interessato le stampanti tradizionali: non si tratta infatti tanto di una questione di prezzi (saranno sempre più competitivi),
quanto della possibilità di utilizzare i servizi di stampa 3D già diffusi
Riflessioni conclusive
233
on line, ovvero di avvalersi delle soluzioni, ampiamente conosciute e
rodate anche in Italia, offerte dai cosiddetti Fab lab.
Su questi ultimi – data la rilevanza del fenomeno proprio con riferimento alla stampa 3D – si è soffermato opportunamente anche
Andrea Danielli nella sezione Scenari. Per le startup, anche potenziali,
infatti, la condivisione di strumenti tecnologici (tra cui stampanti 3D),
costituisce, più che un’esigenza dettata dalla necessità di ridurre oneri
e investimenti iniziali, una grande e insostituibile opportunità, perché
incentiva il coinvolgimento e lo sfruttamento a costo zero di esperienze
e competenze plurime, secondo la logica dell’incubatore e dell’acceleratore di idee.
A un diverso piano del mondo imprenditoriale introduce il contributo di Maurizio Sobrero, che ha il pregio di esaminare e presentare
gli aspetti tecnici e tecnologici con la lente di ingrandimento dei modelli di business, ricordandoci che, al di là delle nuove applicazioni, è
importante studiare l’impatto della stampa 3D anzitutto sui business
già esistenti. Il tema apre complessi e delicati scenari sul piano della
gestione delle innovazioni, con non ancora prevedibili effetti e ricadute industriali e occupazionali; sempre Mingardi si è soffermato sulle
possibili rivendicazioni di natura anche politica (come è giocoforza che
sia), esaminando in parallelo casi storici, agli albori della rivoluzione
industriale, e casi di cronaca, generati e sviluppati grazie alla rete Internet. In questo senso, non è possibile disinteressarsi della questione
probabilmente più spinosa e meno esplorata anche da chi si è già occupato del tema della stampa 3D: vale a dire se ci si possano attendere
tensioni nel mondo del lavoro e se e in che misura queste – almeno sul
piano della mera contabilità occupazionale – possano essere stemperate
dai vantaggi della nuova tecnologia, che già oggi richiede nuove capacità e nuove professionalità in grado di gestirla e sfruttarla al meglio.
Se oggi questo tema potrebbe sembrare prematuro (e per questo è stato
soltanto accennato), la nostra ferma intenzione è quella di affrontarlo
più organicamente nelle prossime edizioni, anche perché – per una
Riflessioni conclusive
234
disamina equilibrata – è necessario disporre di dati sufficientemente
significativi da analizzare e soprattutto di esperienze che siano già in
grado di rivelare dei trend, almeno nei Paesi, in particolare USA, all’avanguardia per l’utilizzo della stampa 3D.
Già adesso, appunto in relazione agli USA, Francesco Carlà ha potuto presentare gli indici delle maggiori società quotate a Wall Street
attive nella stampa 3D e fornire le relative chiavi di lettura comparativa, a beneficio di investitori e risparmiatori. Ne emerge un quadro che
non deve sconfortare l’imprenditore italiano, ma che non può essere
trascurato per comprendere il fenomeno spostandosi dal piano dell’innovazione a quello economico e macroeconomico.
A metà strada della riflessione sulla stampa 3D, quasi a far ponte tra
le riflessioni tecniche ed economiche sul fenomeno e quelle, non meno
importanti, di ordine giuridico, si collocano i brevetti internazionali,
di titolarità, non deve stupire, nella maggior parte dei casi e sin dai
primi anni ‘80, delle società citate nel contributo di Carlà. Proprio
nell’ambito degli aspetti giuridici, è in particolare sui temi cruciali diretti alla tutela della proprietà intellettuale che si muovono i contributi
dei curatori di questo volume e con loro di Alberto Contini e di Daniela Mainini, a cui si è scelto di dare ampio spazio, viste le implicazioni
a livello economico e sociale della stampa 3D, per la quale – per certi
versi anche in maniera accentuata – si ripropongono criticità emerse
con l’avvento di Internet e della digitalizzazione, tra cui, in particolare,
il rischio di contraffazione dei brevetti, del design e dei diritti d’autore.
Oggi come allora uno dei punti sui quali il dibattito potrà svilupparsi
in maniera più accesa – non solo tra giuristi – riguarda gli usi consentiti in ambito strettamente personale e domestico, con la correlativa
esigenza per i titolari dei diritti di avvalersi anche di forme di tutela
alternative all’esclusiva.
Sempre sul piano giuridico, quasi a seguito ideale di queste riflessioni, lo specifico contributo di uno dei curatori è dedicato a presentare una panoramica degli strumenti e delle tutele contrattuali richieste
Riflessioni conclusive
235
dalla stampa 3D, con particolare riferimento alle ipotesi dei rapporti
tra imprese, osservando che la collaborazione tra giurista e informatico
dovrebbe essere ulteriormente incentivata anche al fine di dare veste
formale alle protezioni e ai controlli che la prassi ha elaborato e elaborerà. Di quest’ultimo aspetto si è occupato del resto anche l’intervento
di Gabriele e Michele Amato, che affronta nel dettaglio gli aspetti informatici a supporto della protezione dei file della stampa 3D, proponendo soluzioni operative all’imprenditore e al giurista, ricordandoci,
senza banalizzare, che molte volte la soluzione è a portata di mano e
non richiede necessariamente investimenti ingenti.
Quello di cui invece non è possibile fare a meno è lo sforzo di
pensare, di cercare ancora, di elaborare sempre nuove soluzioni per i
problemi che man mano si pongono alla nostra attenzione: soluzioni
che spesso passano più per la rilettura e l’adattamento di istituti e di
esperienze preesistenti, in modo da ricondurre questa realtà a regole
astratte e generali, che per l’enunciazione di nuove regole particolari,
legate a casi singoli, e quasi mai adeguate perché necessariamente in
perenne inseguimento di un mondo in continuo cambiamento. Di qui
anche il nostro impegno per aggiornare questo volume con nuove edizioni e nuovi contributi: per continuare a fare i conti con questa realtà
dialogando con essa e con i lettori.
Cesare Galli e Antonio Zama
Ringraziamenti
Come spesso succede le idee non sono atomi volatili in cerca di
padrone, ma germogli che richiedono cure amorevoli per maturare.
L’idea di quest’opera nasce da spunti, approfondimenti e confronti
con Gabriele Amato, al quale, pertanto, va il primo ringraziamento. In
particolare, senza quel tardo pomeriggio a scoprire e ammirare il funzionamento della stampante 3D, la curiosità non avrebbe alimentato
l’idea dell’opera con confronti tra studiosi di diverse discipline.
Occorre poi rendere vive e praticabili le idee. Cesare Galli ha accettato di partecipare all’opera e offerto il proprio indispensabile sostegno quale coautore, con i relativi suggerimenti, affiancando il proprio
nome a quello del sottoscritto, nonostante la mia totale estraneità al
mondo accademico (in Italia non è scontato).
Grazie a tutti gli Autori (tra i quali, sinceramente, spero di non sfigurare) che – come si dice con abusata espressione, ma in questo caso
appropriata – si sono messi in gioco, affrontando argomenti nuovi con
il piglio di chi non ha paura di sbagliare, essendo forte dell’ansia pura
di condividere le proprie visioni, sperando che possano costituire un
punto di partenza per confronti aperti.
Grazie a Luca Martini e Enrico Gusella, senza la cui perseveranza e
pazienza anche il mio più convinto ottimismo nella possibilità dell’opera sarebbe naufragato tra i ricchi marosi delle idee non concretizzate.
Un grazie – non polemico ma senz’altro meno convinto – anche
a coloro che non hanno risposto alla richiesta di collaborare all’opera.
Per uno come me, i dinieghi, come le iatture, sono di buon auspicio.
Grazie in anticipo a coloro che in futuro arricchiranno quest’opera
con altri spunti e interventi affinché sia come deve essere: un lavoro
non finito.
Antonio Zama
Le collane di Filodiritto Editore
237
Le collane di Filodiritto Editore
Al momento dell’uscita di questo volume (novembre 2014), il catalogo di
Filodiritto Editore è composto dalle seguenti collane:
Prontuari
Opere dedicate all’approfondimento di tematiche giuridiche e/o economiche, con
valenze spiccatamente operative, essendo dedicate prevalentemente al mondo imprenditoriale e professionale
Serena de Palma, Dizionario di inglese legale applicato, giugno 2012 (cartaceo)
Giovambattista Palumbo, La voluntary disclosure e il rimpatrio di capitali
dall’estero, febbraio 2014 (.pdf )
Mario Tocci (a cura di), Prontuario di atti e pareri scelti per l’esame d’avvocato,
ottobre 2013 (.pdf )
Maurizio Villani - Paola Rizzelli, Il giudizio di ottemperanza nel processo
tributario, settembre 2013 (.pdf )
Mario Tocci - Ilaria Patta, La mediazione nelle controversie da danno iatrogeno, maggio 2013 (.pdf )
Lucia Ripa, Nuova fatturazione IVA, marzo 2013 (.pdf )
Lucia Ripa, Ristorazione: guida all’emissione dei documenti fiscali, ottobre
2012 (.pdf )
Lucia Ripa, Guida alla fatturazione dei professionisti, settembre 2012 (.pdf .mobi - .epub)
Maria Antonietta Ferro, Asseverazioni in Italia, aprile 2012 (.pdf - .mobi
- .epub)
Carlo Alberto Calcagno, La mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali, marzo 2011 (.pdf )
Mario Tocci, Illecito stradale: contenzioso da sanzione amministrativa, commento e formule, febbraio 2011 (.pdf )
Riccardo Girotto, Gestire il personale in tempo di crisi: quali ammortizzatori?, luglio 2010 (.pdf )
Le collane di Filodiritto Editore
238
Francesco Rubino, Il trust nel passaggio generazionale nelle imprese di famiglia, gennaio 2010 (.pdf )
Mario Petrulli - Antonella Mafrica, Accesso al credito, gennaio 2010
(.pdf )
Atti
Opere destinate ad ospitare i materiali e gli atti relativi a convegni e seminari
Luca Mezzetti - Calogero Pizzolo (a cura di), Diritto costituzionale
transnazionale, febbraio 2013 (cartaceo)
Cesare Galli, Guida alle garanzie sui diritti di proprietà industriale e intellettuale, ottobre 2011 (cartaceo)
Monografie
Opere dedicate all’approfondimento di una singola tematica con implicazioni di
carattere giuridico, rivolte prevalentemente al pubblico degli operatori del diritto
Giovambattista Palumbo - Ranieri Razzante, Le nuove frontiere della criminalità finanziaria. Evasione fiscale, frodi e riciclaggio, marzo 2014 (cartaceo)
Antonella Trentini, L’avvocato degli enti pubblici. Commentario ragionato di
legislazione, giurisprudenza e prassi, ottobre 2013 (cartaceo)
Mara Chilosi (a cura di), 231 e ambiente. Spunti operativi e casistica, settembre 2013 (cartaceo)
Antonello Gustapane, SCIA edilizia e responsabilità penale dei funzionari
comunali, maggio 2013 (.pdf )
Antonella Trentini, Perequazione urbanistica, aprile 2013 (.pdf )
Ranieri Razzante, Compro oro, finanza e legalità, febbraio 2013 (cartaceo)
Antonio Lo Presti - Antonella Trentini, Competenze dei geometri e normativa antisismica, gennaio 2013 (.pdf )
Antonio Leggiero, Pedofilia, novembre 2012 (.pdf )
Maurizio Arena - Marcello Presilla, Giochi, scommesse e normativa antiriciclaggio, luglio 2012 (cartaceo)
Alfredo de Francesco, Il giusto processo criminale come teatro di verità e
giustizia, febbraio 2011 (.pdf )
Le collane di Filodiritto Editore
239
Maurizio Arena, La prevenzione della corruzione nelle aziende farmaceutiche,
aprile 2011 (cartaceo)
Nicola Monfreda - Serena Aveta, Il contrasto dell’immigrazione clandestina, settembre 2010 (.pdf )
Giuseppe Febbo, La giustizia sportiva, gennaio 2011 (.pdf )
Scintille
Opere di carattere divulgativo riguardanti temi di attualità e/o di interesse generale
Rocco Gianluca Massa, La dura regola di eBay, dicembre 2012 (.pdf )
Maurizio Arena, La corruzione tra privati, novembre 2012 (.pdf )
Esportare Informati
Opere dedicate principalmente al mondo dell’imprenditoria incentrate su problematiche di natura legale attinenti all’esportazione, oppure dedicate integralmente
allo studio di ordinamenti esteri
Clares de Cruz, Singapore, aprile 2013 (.pdf )
Collana Universitaria
Opere di taglio manualistico, destinate prevalentemente al mondo
dell’Università e dei concorsi
Silvia Bagni - Giorgia Pavani (a cura di), Materiali essenziali per un corso di
Diritto pubblico comparato, settembre 2013 (cartaceo)
Luciano Butti, Diventare giurista, ottobre 2012 (II ed. cartacea, .pdf )
Sotto collana Universitaria “Oltre Finisterrae”
diretta dal Prof. Lucio Pegoraro e dal Prof. Angelo Rinella
Serena Baldin - Moreno Zago, Le sfide della sostenibilità. Il buen vivir andino dalla prospettiva europea, ottobre 2014 (cartaceo)
Mauro Mazza, Aurora borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, luglio
2014 (cartaceo)
Le collane di Filodiritto Editore
240
Mario Tocci, Il danno punitivo in prospettiva comparatistica, giugno 2014
(cartaceo)
Silvia Bagni (a cura di), Dallo Stato del bienestar allo Stato del buen vivir,
settembre 2013 (cartaceo)
Le Guide di Filodiritto
Opere scaricabili gratuitamente, snelle e di agevole consultazione, in formato .pdf,
di interesse generale o riguardanti discipline particolari del mondo del diritto
Antonello Gustapane, Il Pubblico Ministero nel regime fascista, luglio 2014
(.pdf )
Lucia Ripa, Guida alla tassazione degli atti giudiziari, giugno 2014 (.pdf )
Corrado Mandirola - Camilla Siess, La cessione della clientela negli studi
professionali, maggio 2014 (.pdf )
Maurizio Villani - Iolanda Pansardi, Guida pratica alle novità sulle società
di comodo, aprile 2014 (.pdf )
Mario Alberto Catarozzo, Guida pratica al sito internet per lo studio professionale, febbraio 2014 (.pdf )
Mario Alberto Catarozzo, Guida pratica al public speaking per professionisti
dell’area legale, febbraio 2014 (.pdf )
Vittorio Mirra, Equity Crowdfunding: la guida pratica, gennaio 2014 (.pdf )
Fuori Collana
Lucio Pegoraro, Libere traduzioni in libero stato (.pdf )
Di prossima uscita
(titoli provvisori)
Antonio Zama (a cura di), La disciplina del crowdfunding: aspetti pratici e
potenzialità