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Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
Christine Delport
IL NUOVO E-BOOK DI
CHRISTINE
DELPORT
PIER PAUL
RUBENS
E LA STREGA
DALLE
CHIOME
ROSSE
Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
Christine Delport
Pier Paul Rubens et la sorcière aux cheveux roux. Synopsis
Le "liaisons dangereuses" del pittore fiammingo
con i personaggi della Genova del Seicento.
L'amicizia con Ambrogio Spinola, con Giulio
Pallavicino e Giò Doria.
Le guerre di religione nei Paesi Bassi spagnoli.
Artista e diplomatico a Bruxelles e Parigi, alle
corti di Spagna e Francia. Maestro di Antoine Van
Dyck.
Due matrimoni ed una vecchiaia trascorsa in un
castello, con una moglie più giovane di lui di 38
anni, tra i fantasmi del passato.
Rubens aveva salvato un strega dal rogo.
Ma la ritroverà alla corte di Francia perseguitata
da uno spietato inquisitore.
Morti misteriose ed un epilogo mozzafiato.
Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
Christine Delport
Prefazione
I personaggi di questo romanzo sono, per la maggior parte, realmente esistiti. Si tratta di
figure storiche notissime, come tutti gli artisti fiamminghi menzionati; in alcuni casi
vengono citate famiglie nobiliari della Genova seicentesca o teste coronate di Francia e
dei Paesi Bassi.
Solo alcuni protagonisti appartengono alla finzione romanzesca, come la strega Lucrezia
e l'inquisitore Maupertuis.
Così come, naturalmente, è frutto di pura fantasia tutta la storia narrata, vale a dire
l'intera vicenda, i suoi intrecci ed il suo epilogo. Tutti gli avvenimenti sono immaginari e
così pure la loro relazione con i personaggi storici citati.
In questo caso realtà e fantasia si confondono, così come nella vita reale si alternano le
vicende della vita quotidiana ed i sogni ( o gli incubi) notturni.
IL “GRAND TOUR” DI RUBENS IN ITALIA
Stava per avere inizio il 1600 e Papa Clemente VIII (al secolo Ippolito Aldobrandini) lʹaveva proclamato ʺanno del Giubileoʺ. Da ogni parte dʹEuropa frotte di pellegrini si preparavano a raggiungere Roma ‐ alcuni di essi percorrendo la via franchigena ‐ per compiere il viaggio dellʹanno santo delle confraternite, fare il giro delle sette chiese ed ottenere indulgenze plenarie. Le pie folle di viandanti, giunte a Roma, avrebbero anche potuto vedere, in quellʹanno santo, lʹeretico Giordano Bruno, bruciato sul rogo nella piazza di Campo dei Fiori, e la decapitazione di Beatrice Cenci sventurata fanciulla dellʹurbe . Entrambi avvenimenti tragici di sangue a scandire la vita secolare della città eterna, eterno teatro di avvenimenti raccapriccianti sepolti sotto le ceneri della storia, ancora calde e fumanti di crimini e misfatti. Ma la devozione delle masse dei credenti e dei devoti aveva i suoi imperativi; prendeva il sopravvento sugli accadimenti dellʹignominia, ogniqualvolta la difesa della fede lo richiedeva. Cʹera lʹInquisizione a tutelare le anime dei cattolici ed a condannare alla pena suprema quelle, pericolose, degli eretici. Messe solenni, Te Deum, processioni, giaculatorie, penitenti Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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scalzi, flagellazioni, carni bruciate con ferri roventi ad imprimere marchi indelebili, scale salite in ginocchio e, ogni tanto, roghi di purificazione. Con scopi forse più terreni, nella sua bottega dʹartista, ad Anversa, il maestro fiammingo, Pier Paolo Rubens, stava anchʹegli meditando di partire alla volta dellʹItalia. Era un buon cattolico e, quindi, avrebbe unito le due cose: compiere una visita a Roma per il Giubileo e, soprattutto, studiare le opere dei grandi maestri italiani , come Tiziano, il Veronese, il Tintoretto, Caravaggio. Unʹoccasione unica, per un artista della sua rinomanza. Era già piuttosto conosciuto almeno ad Anversa dovʹera stato nominato maestro pittore della Gilda di San Luca a soli ventun anni. Stesso incarico, toccato, anni prima, a Bruegel il Vecchio. Ma, adesso, vi era lʹinteressante prospettiva del grand tour nella Penisola. Una ambita occasione. Non se la lasciò sfuggire, il giovane Rubens volitivo ed entusiasta. Genio in nuce forse consapevole delle proprie risorse artistiche le quali richiedevano una sola cosa da lui: una indomita fede ed unʹautostima senza limiti. Il grande teatro dellʹarte pittorica fiamminga per lui si faceva ogni giorno più esiguo, come una gabbia che lo stringeva, ne tracciava frontiere che lui si sentiva capace di valicare. Oltretutto, doveva farsi perdonare dalla Chiesa cattolica i peccati paterni. Suo padre, Jan, era fuggito da Anversa con la moglie Maria, rifugiandosi prima a Colonia e poi a Siegen, in Vestfalia, per sottrarsi agli inquisitori dei Paesi Bassi spagnoli. Imperversavano, allora, le guerre di religione. Vi era stata a Parigi la strage degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo. Filippo II di Spagna aveva inviato a Bruxelles il famigerato duca dʹAlba, Alvarez di Toledo, con incarichi repressivi alla testa di quindicimila soldati spagnoli ed italiani. Centomila persone, quasi tutti calvinisti, erano fuggite di fronte allʹavanzata degli armigeri dello spietato duca. Persino la reggente Margherita di Parma, scontenta per le violenze Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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perpetrate dalle truppe del duca di Alba, aveva deciso di lasciare il Belgio e il bieco personaggio, tutto vestito di nero, a cavallo, lʹaveva scortata fuori le mura di Bruxelles, senza battere ciglio. La riteneva troppo tenera, eppure ella aveva fatto massacrare i riformisti seguaci di Calvino senza palesi esitazioni e ‐prendendo pretesto dagli eccessi degli iconoclasti ‐aveva reagito facendo appiccare il fuoco alle case dei protestanti nella foresta di Soignies. Tanto che i cittadini avevano visto, alla periferia di Bruxelles, i bagliori sinistri degli incendi arrossare il cielo, durante due intere nottate prive di nubi. Persecuzioni della Controriforma ai danni dei calvinisti. I Paesi Bassi sconvolti dagli scontri e dalle rappresaglie seguite ai massacri da ambe le parti. Guerre di religioni, tra cristiani fratricidi, trionfi di Caino su Abele sotto le vesti di ecclesiastici di rango, di fanatici predicatori di purezza, di fustigatori di costumi, di principi non soffocati dagli scrupoli ma pronti a schierarsi a difesa di blasoni e di privilegi. Così i coniugi Rubens, Jan e Maria, sospettati di simpatie calviniste, erano fuggiti, mescolati a tanti altri, riparando a Colonia alla corte di Vestfalia degli Orange‐Nassau. Pier Paolo, il fratello Filippo e la sorella Baldina erano nati proprio durante lʹesilio a Siegen; ma due anni dopo la morte del padre, la vedova assieme alla famigliola era tornata ad Anversa e tutti avevano riabbracciato la fede cattolica. Pier si era fatto battezzare, già adulto, da un sacerdote fiammingo. Sempre la madre Maria, come una chioccia protettiva, vegliava su di lui e sugli altri figli. La piccola corte di Audenarde, nelle Ardenne fiamminghe, almeno consentiva alla vedova ed alla figliolanza una vita pacifica benché monotona. Pier Paolo cresceva, rivelando , nei primi disegni, spiccate doti artistiche. Ciò non era sfuggito allʹocchio attento di Maria, imparentata ella stessa ad un pittore fiammingo. Ce nʹerano tanti. Ma entrare in quel mondo chiuso da vera corporazione, non era semplice. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Inoltre, i suoi figli erano pur sempre la prole di un calvinista. Se Pier voleva progredire nella pittura (gli ateliers erano, ovviamente, in mano a committenti ecclesiastici o vicini agli ambienti cattolici spagnoli ed , in modo particolare, ai gesuiti) doveva mostrare più degli altri un certo zelo religioso agli occhi dei nuovi fratelli di fede. Perché non erano rimasti in Vestfalia, i Rubens ? Perché il padre Jan, oltre che un esimio giurista era un uomo di fascino ed aveva successo con le belle dame di corte. Ebbe successo, Jan, con una dama di troppo. Era divenuto, come avvocato e giureconsulto, il consigliere personale e lʹamante della principessa Anna di Sassonia, sposata al principe Guglielmo dʹ Orange, detto il taciturno. Costui , per ovvie ragioni, non vedeva di buon occhio né lʹamico della moglie, né i suoi familiari. Appellandosi al diritto concessogli dal reato di lesa maestà e di alto tradimento, fece condannare a morte sic et simpliciter dai giudici di un tribunale speciale il seduttore della consorte. Il suo lignaggio glielo consentiva. Jan stava così per essere giustiziato, quando sua moglie Maria, in lacrime si gettò ai piedi del Taciturno, supplicandolo di concedergli la grazia. Il sovrano rimase impressionato dalla abnegazione della povera donna disperata. Guglielmo decise di mostrare clemenza, grazie allʹintercessione della sposa, disposta a chiudere un occhio sui tradimenti coniugali pur di salvare la vita a suo marito. “Lo faccio per voi, madonna – disse il sovrano – potessi avere io una consorte così fedele e pronta a sacrificarsi per me.” Jan venne graziato. Però , dovette lasciare, con la famiglia la corte di Colonia e riparare a Siegen, un paesetto della Renania ‐ Vestfalia. Lì appunto nacquero i tre figli. Aveva voluto farsi perdonare da Maria che lʹaveva salvato dalla forca e cʹera riuscito mettendo su una vera famiglia. Finché egli visse poté in qualche modo proteggere i suoi e provvedere alle loro necessità, ma dopo la sua scomparsa, per la Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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vedova e la figliolanza fu giocoforza tornare ad Anversa. Alla corte degli Orange‐Nassau, la famiglia Rubens era ormai caduta in disgrazia. Intanto, i paladini, braccio secolare della Controriforma, stavano prevalendo su quelli della Riforma calvinista e lo stesso Guglielmo il Taciturno venne assassinato alcuni anni più tardi, mentre i cattolici riprendevano il potere temporale e spirituale nei Paesi Bassi spagnoli. La vedova di Jan trovò ospitalità alla corte della duchessa cattolica, Margherita de Lelaing, ad Audenarde. Il piccolo Pier , assieme al fratello maggiore ed alla sorella, faceva il paggio della grande dama. Ne serberà a lungo il ricordo. Poi, più grandicello, venne avviato a quellʹarte che lo avrebbe reso famoso tanto da fare affermare ai posteri che ʺil Seicento fu il secolo di Rubensʺ. I maestri, cui era stato affidato dalla madre affinché gli insegnassero lʹarte della pittura, lo esortarono vivamente a recarsi a studiare i grandi pittori del Rinascimento italiano. ʺVai in Italia e vedrai con i tuoi occhi ‐ gli disse Adam Van Noort ‐ come dipingono i grandi maestri della Penisola. Potrai anche ammirare le opere eseguite nella sua epoca dal supremo Raffaello e quelle di Michelangelo , insomma, il gotha dellʹarte europea.” ʺLaggiù potrai apprendere meraviglie nellʹarte pittorica ed imparare tecniche nuove che da noi non potresti in alcun modo conoscere.ʺ ammise Tobia Verhaecht e gli fece eco il più anziano dei tre insegnanti, Otto Van Veen detto Vaenius: ʺMa certamente, un pittore può arricchirsi veramente soltanto con lo studio di coloro che, negli ultimi due secoli, sono stati i dominatori incontrastati dellʹarte europea.ʺ Otto Van Veen aveva grande influenza alla corte del Coudenberg, dove i granduchi Alberto e e lʹInfanta Isabella, regnavano in nome di Filippo II. Vaenius avrà un ruolo di spicco nel lancio del giovane artista, suo protetto, proprio per questa amicizia granducale ed, inoltre, perché conosceva un altro personaggio chiave nel ripristino del Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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cattolicesimo nei Paesi Bassi spagnoli e nel contenimento in Olanda dei calvinisti: Alessandro Farnese. Per il giovane il viaggio in Italia, dunque, ebbe luogo. Si era fatto accompagnare, il pittore, da alcuni compagni che sarebbero diventati allievi della sua scuola ed artisti eccelsi. Aveva visitato Roma, Firenze, Venezia, Mantova e il grande tour si era protratto per diversi anni. Lʹultima tappa, prima del ritorno ad Anversa, era stata Genova, dove egli era giunto proveniente dalla città lagunare. Correva lʹanno di grazia 1604 e lui, molto richiesto dalle famiglie di recente aristocrazia, aveva pensato di prolungare il suo soggiorno nella città ligure. Genova lʹaveva stregato così come lʹaveva stregato Roma, secondo lui la più bella città del mondo . Eterna davvero per la sua arte e la sua storia plurimillenaria. Ma Genova, pur nella sua emarginazione provinciale, aveva per lui un risvolto affettivo: assomigliava alla sua Anversa. Inoltre, trattandosi più che altro di mercanti – culturalmente più semplici e meno raffinati ‐ egli non aveva trovato presso le famiglie genovesi quellʹaria di sufficienza dei rampolli delle casate romane e degli ambienti ecclesiastici vaticani. Quella cerchia piuttosto esclusiva dei parvenus capitolini e di preti impegnati, più che altro, nel traffico delle indulgenze. Sempre pronti ad impartire lezioni non richieste. ʺI nostri artisti ‐ gli aveva detto un curato di parrocchia ‐ escono dalle migliori scuole. Non riuscirai ad eguagliarli.ʺ Questa era Roma: difficile sorprenderla e meravigliarla. Arduo, se non impossibile, conquistarla. Troppo esigente. Genova, invece, aveva avuto un certo interesse quasi reverenziale per il suo stile, scorgendo subito in lui un pittore di genio. Capace di eguagliare – se non superare – i più grandi maestri. Così come, in verità, aveva fatto il duca di Mantova, Gonzaga, Vincenzo I, che gli aveva commissionato parecchi lavori. Il vero committente di Pier Paolo, in Italia, fu proprio Vincenzo Gonzaga, che lo portò con sé anche in occasione di un Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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viaggio al seguito del corteo nuziale di Maria de Medici andata sposa al re di Francia. Ma Genova era davvero particolare e da almeno due secoli aveva scoperto gli artisti fiamminghi, grazie soprattutto ai traffici commerciali avviati col Nord Europa, per via marittima. Quei meravigliosi palazzi, quella profusione di tesori dʹarte nelle gallerie delle famiglie. I genovesi ‐ si era detto ‐ sono dei banchieri importanti (aveva visitato la grandiosa sede del Banco di San Giorgio) e da ciò che ho visto, sembrano parecchio intenzionati ad investire nellʹarte. Per un pittore od uno scultore, questa città è davvero la terra promessa.ʺ Era, infatti, il cosiddetto secolo dei genovesi che , curiosamente , sarebbe venuto a coincidere con el siglo de oro dei Paesi Bassi Cattolici spagnoli. Certo, le collezioni private della Superba non eguagliavano le ricchezze dei papi mecenati, in Vaticano, come le grandi opere commissionate da Sisto IV, Innocenzo VIII e Giulio II. Ma non per nulla ‐rifletteva Pier ‐ anche in questo caso, si trattava di pontefici liguri. In San Pietro, aveva potuto ammirare la Cappella Sistina col suo Giudizio Universale e tante opere dei grandi maestri del Rinascimento. Si era inginocchiato in preghiera al Pantheon, dinnanzi alla tomba di Raffaello. Aveva ammirato in San Pietro in Vincoli la statua del michelangiolesco Mosé che vegliava il sepolcro di Papa Giulio II. Era ancora visibile la martellata che il grande maestro scultore aveva sferrato sul ginocchio della statua chiedendogli: “Perché non parli ?!”, esasperato ed incredulo sé stesso di fronte alla perfezione della sua opera. Anche Venezia aveva molto colpito il giovane fiammingo coi suoi palazzi che gli ricordavano i merletti di Burano, ma anche quelli di Bruges nelle sue Fiandre. Bruges, coi suoi canali, era stata la prima meta di parecchi mercanti e banchieri genovesi; poi, presumibilmente, per gli stessi motivi che avevano indotto suo padre Jan allʹesilio, i genovesi erano emigrati ad Anversa, la sua città, allacciandovi Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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importanti contatti commerciali con tutta lʹarea nordica. Era stata fondata da pochi anni ‐ e per merito dei calvinisti olandesi ‐ la Compagnia delle Indie ed i mercanti della Superba avevano avuto fiuto sufficiente per inserirsi in traffici vantaggiosi verso le città anseatiche. E da lì, seguire i traffici commerciali verso lʹEstremo Oriente e fiancheggiare gli armatori olandesi e fiamminghi con cospicui finanziamenti. Genovesi, quindi navigatori, ma anche mercanti e banchieri. Affinità che avvicinavano i cittadini della Lanterna a quelli di Anversa e di Amsterdam. UN QUADRO MISTERIOSO Ospite gradito delle famiglie dei notabili della città così vicina per mille ragioni alla sua terra natale, Pier Paolo se ne andava in giro per le strade principali come per i carruggi di Genova, scoprendo sempre con lʹocchio esperto dellʹartista nuovi tesori, nelle chiese, nella Cattedrale, ovunque. Ammirava ad Albaro castello Raggi, le ville degli Spinola, degli Imperiale, dei Balbi. Aveva persino dedicato un volume di incisioni ai palazzi di Genova, esaltandone lo splendore architettonico. Palazzo Grimaldi e quelli dei Doria, degli Spinola, dei Pallavicino nella Strada Nuova. Gli avevano spiegato, gli amici genovesi, che quella Strada Nuova era nata in un luogo di bonifica che aveva interessato un intero quartiere, un rione . ʺBonificato da cosa ?” aveva chiesto, incuriosito. ʺDalle case delle prostitute. Ce nʹerano parecchie attorno, per così dire, alla casa madre. Poi i lupanari erano stati cacciati dalla zona bassa della Maddalena per far posto al nuovo quartiere. Quasi contemporaneamente era stata demolita la fortezza oppressiva del Castelletto .ʺ Lui si era messo a ridere di cuore. Quel riso fragoroso e Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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sgangherato che contraddistingueva i fiamminghi in vena di ilarità. ʺInsomma avete fatto fuori i postriboli ed il forte militare di coloro che più se ne servivano, la soldataglia francese o spagnola.ʺ ʺE le prostitute che fine hanno fatto? ʺ aveva ancora chiesto. ʺUscite dalle case hanno invaso i carruggi, tutti i vicoli che si stendono come una tela di ragno come potrai vedere o forse avrai già visto nel corso delle tue escursioni. La Strada Nuova è loro interdetta, a quelle donne di malaffare, così come molte strade che lʹattorniano per un largo raggio del quartiere nobile.ʺ In una bella serata di febbraio, egli stava rientrando a palazzo ; unʹala dellʹimponente edificio era stato messo a sua disposizione dalla famiglia Pallavicino. Di ottimo umore, aveva ritratto finché la luce era stata propizia, in un palazzo nobiliare poco distante dal suo, il bel volto della Brigida Spinola Doria. La tela stava assumendo magnifiche impressioni, colori che ricordavano, in qualche modo il grande Tiziano, lʹarte barocca del XVII secolo era al suo punto di massimo fulgore. A Roma, dominava ‐artisticamente parlando ‐ il Bernini. Decisamente, pensava , questa città mi ricorda parecchio la mia Anversa. In certe giornate, persino la luce è uguale. Per non parlare dellʹambiente portuale, ma evidentemente tutti i porti finiscono per avere delle analogie. La mia città è un porto fluviale sulla Schelda e questo è un porto marittimo. Ma le due si equivalgono per il numero veramente imponente delle navi alla fonda. Segno di traffici fiorenti. ” Queste città – mormorava tra sé e sé, contemplando il panorama genovese dallʹalto delle sue colline, prosperano come gemelle fortunate. Mi auguro che le loro rispettive fortune durino a lungo, se Nostro Signore vorrà beneficiarle della Sua grazia infinita. “ Quella sera rientrava nel suo elegante alloggio nobiliare ed era perfettamente felice. Dopo aver salito, trafelato, una grande scalinata di marmo ai cui lati troneggiavano riproduzioni di busti marmorei di imperatori Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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romani, entrò nel suo studio e, nella penombra, scorse in fondo appoggiata ad un muro una tela. Mostrava solo il tergo. Incuriosito, si avvicinò al quadro e lo rigirò, sollevandolo affinché venisse rischiarato in pieno dalla luce delle torce, infisse nei muri. Apparve allora, nella luce incerta e a sprazzi, una dama dai capelli rossi, ritratta a mezzo busto; ciò che lo colpì fu lo sguardo della donna. Aveva riflessi di color smeraldo; balenava dagli occhi verdi, penetrante ed inquietante, qualcosa di luciferino nellʹespressione del volto bellissimo e regolare; nel sorriso quasi beffardo delle labbra carnose e sensuali, imbronciate sotto la tinta color vermiglio. Quei capelli di fiamma: ʺDavvero tizianeschi!ʺ non poté impedirsi di esclamare, ammirandoli. Restò quasi senza fiato ad osservare il dipinto. Ad un più attento esame, notò che gli occhi non erano stati dipinti, no. Due piccoli smeraldi erano stati incastonati nella tela in due piccoli fori fatti al posto degli occhi. Le minuscole gemme erano state assicurate nel retro con della resina. Ecco perché lo sguardo aveva un riflesso così pronunciato: era lʹeffetto delle gemme preziose. Poi, unʹidea repentina gli attraversò la mente. Questo quadro io non lʹho dipinto di certo. E allora, chi ? Stette per un poʹ di tempo a scrutare i contorni della dama dai capelli rossi, passando in rassegna diverse ipotesi, subito scartate. A Venezia, aveva ammirato i capolavori del Tiziano. Possibile che qualche mecenate, in possesso di una tela del grande maestro (ormai scomparso da alcuni anni) avesse voluto fargli omaggio di un prezioso lavoro, perlomeno appartenente alla scuola del celebre artista ? Inverosimile, del tutto inverosimile. Un mecenate non nasconde un simile dono. Lo porge con la solennità dovuta allʹ evento; non fosse altro per meritarsi lʹ eterna riconoscenza dal beneficiario. Non sono regali per i quali si può conservare lʹanonimato. E allora ? Il mistero anziché chiarirsi sʹinfittiva ed ogni ipotesi finiva per Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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non reggere ad unʹanalisi ponderata. ʺBeh, non pensiamoci più, almeno per ora. Domani, ne parlerò agli allievi e cercherò di vedere più chiaro in questa storiaʺ. Appoggiò la tela contro la parete. Era apparsa la luna ed un raggio argenteo andò a posarsi sul bel volto della dama, rischiarandone la tinta dʹavorio della pelle, facendo risaltare le lunghe ciglia dello stesso colore dei capelli ed il naso leggermente aquilino, di fattezze non insolite nei profili delle dee della mitologia greca o nei medaglioni raffiguranti bellezze ebraiche appartenenti ad episodi biblici. Soltanto, che di solito, negli ultimi casi, i capelli erano di un nero corvino. Qui, si aveva un ʺrouge flamboyantʺ. ʺEʹ davvero attraente. ʺ pensò. ʺ Colui che lʹha fatta posare è uomo di gusti raffinati . I colori poi sono smaglianti. Eʹ come se questa donna, questa Salomé chiamiamola così, si rimirasse in uno specchio con narcisistico compiacimento.ʺ Non poté impedirsi di osservare ancora a lungo il dipinto con sempre maggiore attenzione, con crescente ed inquieto interesse. ʺChe diamine! ‐ esclamò – una vera opera dʹarte e non è neppure firmata. Colui che lʹha dipinta ha voluto, apparentemente, rimanere anonimo. Ma come si fa a rimanere nellʹombra quando si compiono simili prodigi con i colori e con le forme. Innominato colui che riesce a maneggiare in questo modo i pennelli; tutto ciò non ha senso.ʺ Udì un rumore di passi nel lungo corridoio, che dal salone centrale portava al suo studio. ʺChi è là ?ʺ chiese, con un involontario tono apprensivo nella voce. ʺSono io, Antoine ...ʺ Era il suo allievo più brillante e dotato: Van Dyck. ʺChe ci fai qui a questʹora ? Non eri stato invitato dai Brignole Sale?ʺ ʺInfatti. Sono in procinto di recarmi al loro ricevimento assieme ai tuoi altri allievi. Aspettavamo solo te e non vedendoti nel luogo convenuto eccomi qui a cercarti.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺPer Giove, è vero. Anchʹio sono invitato a Palazzo Brignole !ʺ ʺAnche tu Pier ? Ma vuoi ridere ! Tu sei lʹospite principale e più ambito da quella famiglia. Cosa credevi ? Quei signori si sarebbero accontentati, forse, di vedere arrivare Jacob Jordaens, David Teniers e me al tuo posto. Così avrebbero potuto dire ai loro ospiti, pieni dʹinvidia: cari signori, Rubens non è potuto essere presente di persona ma in compenso invia tre dei suoi allievi. Bel baratto, in verità.ʺ ʺAvevo del tutto scordato la cosa. Ho trascorso lʹintero pomeriggio a dipingere la bellissima Brigida. Credimi, Antoine, quando fai il ritratto ad una simile nobildonna, il minimo che ti può accadere è di dimenticare gli altri impegni.ʺ ʺNon ho difficoltà a crederlo. Madonna Brigida Spinola Doria, che ho veduto al ricevimento in tuo onore, nel suo superbo palazzo, è davvero lʹincarnazione della grazia e della bellezza muliebre, a dir poco.ʺ Lʹallievo aveva notato che il maestro, accarezzandosi con apparente nonchalance i baffi ed il pizzetto rossicci, si teneva ostinatamente davanti ad un quadro come a volerlo celare al suo sguardo. Aveva unʹaria apparentemente inquieta, come se si volesse sbarazzare al più presto di lui. ʺChe nascondi di bello ? Una nuova opera... Posso vedere...ʺ ʺNon puoi!ʺ Egli stesso si stupì per il tono precipitoso con il quale aveva espresso il diniego. ʺNon è finita ?ʺ ʺEsattamente. Aspettami giù nellʹatrio. Una rapida rinfrescata e sono con voi.ʺ ʺCʹè una carrozza ad attenderci.ʺ ʺBenissimo. Cerchiamo di essere puntuali con i nostri ospiti. Vai, aspettami giù.ʺ Lʹallievo ubbidì e girò i tacchi, scomparendo nel corridoio, non prima però di aver lanciato unʹultima occhiata curiosa verso la tela proibita, almeno così lʹaveva mentalmente registrata meravigliandosi non poco dellʹatteggiamento del suo maestro, di solito per nulla portato a nascondere le cose, in particolare le sue Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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opere finite o da finire. Non aveva mai chiesto consigli, questo no. Sia che i quadri fossero ultimati o meno. Ma per i suoi allievi non vi era mai stato il divieto categorico di poter osservare i lavori anche incompiuti. Questa volta, invece, era stato così. ʺCʹè sempre una prima volta per tutto.ʺ pensò Van Dyck, che intanto aveva raggiunto gli altri allʹingresso del palazzo . ʺAllora ?ʺ chiesero allʹunisono gli altri due. ʺSì, era nel suo studio. Arriva subito. Ma stasera mi è parso strano.ʺ E in poche parole raccontò loro lʹaccaduto con il quadro del mistero. ʺStrano, davvero.ʺ osservo il giovane David ʺAvrà i suoi motivi.ʺ disse pensieroso Jacob. ʺMa certo. Ha i suoi motivi. Resta da sapere quali sono. ʺ tagliò corto Antoine. Rubens non era pentito di aver celato il quadro con la dama dai capelli rossi al suo allievo. Dovranno vederla alla luce del giorno, tutti assieme ‐ pensò ‐ così mentre osserveranno il ritratto io potrò scrutarne bene il contegno e dallʹatteggiamento che terranno capirò se tutto ciò è opera loro, sia pure indirettamente. Potrebbero esserne entrati in possesso da un artista a me sconosciuto e vogliono forse mettere a prova lʹimparzialità del mio giudizio. Se le cose stessero in questo modo, domani, dirò apertamente che, sì, io non avrei potuto fare meglio di questo maestro sconosciuto. Quanto al fatto che sia stato uno di loro, posso escluderlo con sicurezza. Non mi resterebbe altro da fare se non cedergli pennelli, tavolozze e colori e lasciarlo dipingere al posto mio, per il resto dei miei giorni. UN PROCESSO PER STREGONERIA Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Lʹindomani, nellʹatelier, con un gesto alquanto teatrale, dopo aver messo gli allievi di fronte al tergo del dipinto, lo girò improvvisamente e il mezzo busto della dama misteriosa venne inondato dalla luce del giorno. Unʹesclamazione di meraviglia, uscì dalle bocche dei tre allievi. ʺFantastico!ʺ ʺMa sono colori splendidi, che tocco di genialità nelle sfumature e quel fondale scuro, mentre le chiome balzano allo sguardo impreparato a tale impressione di charme come una fiamma.ʺ ʺMaestro, è la vostra opera migliore!ʺ disse David, il più giovane che non osava mai dare del tu al grande Rubens. ʺNon è mia.ʺ ʺMa andiamo...Chi altri ? Stai celiando.ʺ disse Van Dyck. ʺNo, affatto. Ignoro il nome dellʹautore.ʺ Un silenzio imbarazzato seguì queste parole; i tre giovani si rendevano conto che non si stava prendendo gioco di loro e vi era una nota di amarezza in quel riconoscimento di una superiorità sconosciuta. David si dava mentalmente dello stupido per aver pronunciato quella frase incauta (ʺla vostra opera miglioreʺ). Poteva stare zitto, come abitualmente faceva. No, aveva dovuto parlare proprio stavolta, per dire una colossale sciocchezza. Offensiva, per giunta, pur se involontaria. Il guaio era che lui pareva dʹ accordo con questo parere. E ciò rendeva la situazione ancora più grottesca. ʺAllora, chi è stato ?ʺ ʺCome chi è stato! ʺ replicò Jacob, il più franco e sfacciato dei tre. ʺCome diavolo facciamo a saperlo?ʺ ʺNon siete stati voi ?ʺ ʺNoi ?!ʺ esclamarono allʹunisono, increduli. ʺNon intendo dire che possiate averlo dipinto voi. Conosco le vostre possibilità. Buone, intendiamoci. Altrimenti, non sareste qui. Ma, insomma, conosciamo tutti le nostre rispettive doti artistiche e non ritengo proprio, senza offesa.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺOffesa ? esclamò Antoine. Eʹ già un grande onore soltanto il vago sospetto che possa essere stato uno di noi.ʺ ʺDetto questo. Chi ve lʹha dato ?ʺ Gli allievi negarono nel modo più assoluto di aver portato il dipinto nellʹatelier. Non lʹavevano mai visto prima. Li conosceva bene. Potevano anche essere dei burloni, quandʹerano di buon umore. Stavolta non si trattava di uno scherzo. Erano sinceri ed allibiti. Continuava a non rendersi conto di come fossero andate le cose. Adesso, se non altro, aveva il conforto dei tre allievi che, dalle espressioni, condividevano i suoi stessi interrogativi, divenuti pressanti. Unʹaltra domanda, non secondaria, balzò subito alle menti del quartetto: ʺChi è questa dama ?ʺ La domanda suggeriva la risposta. Soltanto, un membro delle famiglie genovesi più in vista poteva, forse, conoscerla. Dallʹaspetto pareva una gran dama dellʹalta società. I tratti aristocratici escludevano unʹorigine popolana. Eppoi, i gioielli. Non aveva pensato ai gioielli. Una corona di diamanti, che da sola doveva valere una fortuna, posta sul capo a far da contrasto alle lunghe chiome di brace che cadevano sulle nude spalle dʹavorio. Una collana di smeraldi attorno al collo diafano faceva da pendant con lo sguardo dei verdi occhi. E poi cʹerano le gemme preziose incastonate sullʹanello posto allʹanulare della mano sinistra. Strano anello a forma di ʺSʺ, una lettera formata dai rubini allʹinterno di un triangolo di piccoli diamanti. ʺBene. Risolveremo presto lʹenigma, mostrandolo ai gentiluomini ed alle dame che vengono a posare nel nostro atelier. Mi sembra la soluzione più ovvia. Verremo in pochi giorni a sapere a chi appartiene il ritratto. Chi è la dama e quale mano magistrale ha dipinto le sue fattezze.ʺ Lʹoccasione per il confronto giunse presto. Veniva a posare nellʹatelier del maestro, per alcuni ritocchi al suo ritratto, colui che aveva offerto unʹala del suo palazzo allʹospite. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Si trattava dellʹ anziano Giulio Pallavicino che di buon grado se ne stava lì seduto, con aria severa, a farsi immortalare dal pittore fiammingo. ʺVostra signoria, disse ad un certo punto Rubens, avrei da mostrarvi un quadro raffigurante una nobildonna. Immagino si tratti di una genovese come voi e per questo motivo vi sarei davvero grato se poteste rivelarmi la sua identità e dirmi chi può averla ritratta.ʺ ʺServitor vostro!ʺ esclamò di buona grazia Pallavicino, alzandosi dallo scranno su cui era seduto.ʺVi prego, maestro, mostratemi questa dama.ʺ Pier che bruciava dalla curiosità non si fece pregare. Si affrettò verso il ripostiglio dove, circondandolo di mille precauzioni, aveva riposto il prezioso dipinto. Lo afferrò per i due lati e lo portò su un cavalletto già pronto, lo adagiò con cura e, mostrandolo al signor Pallavicino restò in trepida attesa. Lʹanziano gentiluomo sembrò vacillare, per qualche istante. Era sbalordito e lo sguardo fisso non riusciva a staccarsi dal volto della dama raffigurata nel dipinto. ʺEbbene, signore ?ʺ chiese, dopo qualche minuto, lʹartista. ʺSapete, forse, dirmi di chi si tratta. Avete unʹidea dellʹautore ?ʺ Lʹanziano nobiluomo restava muto e con il volto costernato. Non parlava e non riusciva a pronunciar parola. Sembrava come paralizzato. Alla fine, si decise a parlare ma la voce era rotta dallʹemozione ed il suo atteggiamento tradiva inquietudine e perplessità. ʺConosco la dama. Si chiama Lucrezia. Ebbe delle storie sentimentali con alcuni rampolli della nostra aristocrazia. Cose senza importanza, ma fece ingelosire parecchio il marito.ʺ ʺEra realmente unʹadultera ?ʺ ʺNo. Soltanto quella che i francesi definirebbero una allumeuse...ʺ ʺBeh, con quei capelli incendiari...ʺ disse,con tono forzatamente scherzoso, Rubens, per celare il proprio nervosismo. Anche Pallavicino rispose con un mezzo, malinconico, sorriso; Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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tornò subito serio, rendendosi forse conto che non vi era davvero materia per lasciarsi andare ad una ilarità inopportuna. Date le circostanze. Seguì un imbarazzato silenzio. ʺDunque, si chiama Lucrezia.ʺ constatò il pittore. ʺPrecisamente.ʺ riconobbe lʹanziano che appariva incredibilmente pallido e sembrava ansioso di lasciare lʹatelier per tornarsene nei suoi appartamenti, nellʹaltra ala del palazzo. ʺEbbene, non potete dirmi di più ?ʺ ʺEra sposata ad un duca di una famiglia senese. Piccola aristocrazia toscana. Non chiedetemi, vi prego maestro, di fare nomi.ʺ ʺVa bene, a vostra convenienza. Ma dove posso trovare Lucrezia?ʺ ʺVolete ritrarla nuovamente ?ʺ ʺNo, vostra signoria rifletta: ho appena detto che non la conosco. Come avrei potuto ritrarre una gentildonna senza neppure sapere chi fosse ?ʺ ʺDunque, è certo: non è opera vostra ?ʺ esclamò Pallavicino, con aria delusa e sgomenta.ʺEppure, avrei detto che nessuno, a parte voi, avrebbe potuto dipingere un simile capolavoro. Forse, Van Dyck?ʺ chiese, con un tono speranzoso nella voce. ʺ Vi sono grato per lʹapprezzamento ma non è un mio dipinto e neppure dei miei allievi. Voi, dunque,conoscete la dama ?ʺ ʺPurtroppo, sì, lʹho conosciuta.ʺ ʺVive a Genova?ʺ ʺSì.ʺ ʺPotrei incontrarla?ʺ ʺMi duole dirvelo, ma credo sia del tutto impossibile. Vedete, maestro, ella è... in una segreta.ʺ ʺIn carcere ?ʺ ʺAppunto, in carcere e nessuno assolutamente può avvicinarla, parlarle o renderle visita. Non è consentito. Gli unici che possono sottoporla ad interrogatorio sono i giudici del Santʹ Uffizio...ʺ ʺGli inquisitori ?ʺ ʺEʹ così.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺLʹaccusa è dunque...ʺ ʺStregoneria e uxoricidio mediante veneficio. Eʹ imputata di aver avvelenato il marito, che gli rimproverava le sue avventure galanti con i giovani viveurs della nostra aristocrazia. Il marito di Lucrezia, infatti, morì per aver ingerito veleni, come appurarono i medici. Ma lei, al momento dellʹarresto, gridò la propria innocenza ed estraneità al delitto. Gli inquisitori, però, la ritennero senza dubbio strega, dedita a pratiche demoniache e venne reclusa in una segreta del Castelletto, vicina ad unʹala quasi diroccata di quel che resta della vecchia fortezza, ove attende la sua sorte. Eʹ stata interrogata, ma il processo e gli atti saranno circondati dal segreto, comʹè consuetudine nei processi di stregoneria.ʺ ʺMa la sentenza potrebbe essere...Mio Dio!ʺ ʺSì, il rogo. Il verdetto è atteso a giorni, ma vi sono pochi dubbi sullʹesito. Ora se permettete, maestro, mi sento stanco e vorrei ritirarmi.ʺ ʺMa certo, vostra signoria. Chiedo venia per la mia curiosità, ma questo ritratto è finito nel mio studio in modo così inaspettato ed il mistero persiste. Voi non sapete chi ne è lʹautore; eppure questo è il vostro palazzo in cui avete avuto la bontà di ospitarmi e, adesso, vi chiedo: che possiamo fare della tela ?ʺ ʺCustoditela voi, maestro, qui nellʹatelier di lavoro. Mettetela in un posto sicuro, celato, dove solo voi possiate vederla. Poi decideremo sul da farsi.ʺ Lʹanziano gentiluomo si accomiatò ed anchʹegli non poté fare a meno di lanciare unʹultima occhiata al ritratto raffigurante il bel volto della presunta strega. Chi lʹaveva eseguito? Pallavicino si pose cento volte la domanda. Quella notte la trascorse insonne con brutti presentimenti e oppresso dallʹinquietudine come se nel suo palazzo si fosse introdotta, per vie oscure, misteriose, una nefasta presenza demoniaca, foriera di sciagure. Il mondo dellʹocculto aveva invaso, in maniera inaspettata, la sua quotidiana e tranquilla realtà. Il soffio gelido della sventura Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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soffiava come la tempesta che quella stessa notte si abbatté sul mare di Genova, provocando danni alle imbarcazioni e, persino, il naufragio di un vascello che, sorpreso dalla bufera, al largo non era riuscito a raggiungere, prima del calar delle tenebre, la rada sicura del porto. Tutti i marinai perirono tra i flutti. Era il 5 marzo di quellʹanno del Signore 1605, quando il Papa Clemente VIII morì. La notizia si sparse con la rapidità del vento. Era il pontefice del Giubileo e molti pellegrini che erano stati a Roma appresero, con tristezza la notizia quando erano ormai tornati alle loro case, nei rispettivi paesi. Rubens stava dipingendo una madonna col bambino, quando il suo allievo, Jacob, corse ad informarlo. Aveva potuto ammirare, in Vaticano, la stupenda sala Clementina, voluta da quel papa e, soprattutto, la decorazione della cupola di San Pietro che egli aveva affidato al suo pittore preferito, il Cavalier dʹArpino. Tutta la Cristianità volgeva lo sguardo a Roma. I funerali furono imponenti. Ippolito Aldobrandini venne sepolto in una cripta in Santa Maria Maggiore. La cosa eccezionale, tuttavia, fu che il suo successore Leone XI, al secolo Alessandro Ottaviano deʹ Medici eletto, in Conclave, il 1 aprile morì dopo soli ventisei giorni di pontificato. La stagione doveva essere particolarmente fredda ed umida, almeno a Roma. Il neo eletto si prese un tremendo raffreddore, proprio durante la cerimonia di investitura nella Basilica del Laterano. Si mise a letto con i medici accorsi al suo capezzale. Febbre altissima, ormai settantenne non doveva avere una forte fibra. La malattia gli fu fatale. Il 27 aprile venne dato lʹannuncio della sua morte. Nuovo conclave e aspri contrasti sulla nomina del successore. Un veto spagnolo contro Roberto Bellarmino portò lʹaccordo dei cardinali sul nome di Camillo Borghese, che prese il nome di Paolo V ed abituò i fedeli a vedere un papa con la barbetta, Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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mentre i suoi predecessori tutti portavano la barba piena. Ciò non sfuggì allo sguardo acuto degli artisti, in particolare dei ritrattisti pontifici. Paolo V cercò di mantenere una certa neutralità nei contrasti tra Francia e Spagna, ma , in compenso entrò in conflitto con la Repubblica di Venezia e lanciò una scomunica ed un interdetto contro la Serenissima. Intanto, soffiava impetuoso il vento della Controriforma, si inasprivano i contrasti confessionali. Tre anni dopo, gli stati generali protestanti si sarebbero alleati nellʹUnione evangelica e, un anno più tardi, i cattolici avrebbero creato la Lega presieduta da Massimiliano di Baviera. Cʹera allʹorizzonte la guerra dei Trentʹanni e, come aveva osservato in privato lʹultra pacifista Rubens, era oltremodo difficile in quellʹepoca come in altre ʺpoter dipingere in pace! “ “Sono abituato alle grandi opere, mormorava tra sé , e devo tutto al valore delle mie mani. Ma non come uomo di armi. Bensì come artista e tutti gli artisti hanno assoluta necessità di unʹatmosfera serena, in grado di assecondare la loro ispirazione e non dei clamori di battaglie sanguinose e distruttive. Tutto il contrario dellʹarte che è creazione...mentre i conflitti bellici sono soltanto tragedie e portano morte e distruzione.” Le giornate di quiete erano davvero rare , in tutta Europa percorsa da venti di guerra. La Liguria, almeno in quel periodo, faceva una temporanea eccezione, al consueto trambusto di eserciti in marcia. In quella ovattata Genova dei salotti, delle feste e dei ricevimenti nelle case del bel mondo, i pittori fiamminghi cercavano (trovandola) lʹispirazione che poteva venire dal volto spirituale di una gentile madonna, da una popolana come da unʹaristocratica, da quella luce dei tramonti sul mare, di quelle albe radiose che in tutto lʹarco della Liguria abbagliavano gli sguardi, fonte perenne di ispirazione per pittori e poeti. Magica atmosfera di quellʹarco, di quel meraviglioso arcobaleno di terra che da Ponente a Levante era da solo unʹarmoniosa Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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tavolozza di colori. Persino i toni cupi degli artisti gotici, abituati a quelle sfumature color viola e cenere dei loro paesaggi plumbei, si attenuavano per cedere il passo ad una vitalità più ricca e meno malinconica. Anzi, quasi allegra. Nei volti, nei paesaggi, nelle allegorie mitologiche. Ma vi erano anime in pena. La donna del dipinto, Lucrezia, rinchiusa ormai da mesi nella segreta del palazzo carcerario, nelle vicinanze del porto, dove era stata trasferita dal Castelletto, aveva urlato sempre la propria innocenza. ʺHo pianto amaramente ‐aveva detto agli inquisitori, durante gli interrogatori preliminari ‐ la triste sorte del mio sposo. Può essere morto avvelenato. Ma a mia conoscenza, le portate venivano dalle cucine, affidate ai nostri servitori in livrea, ed erano sempre eccellenti , i vini pregiati. Io stessa condividevo i pranzi e le cene. A parte il fatto che alla nostra tavola, il più delle volte vi erano illustri ospiti, dato il nostro lignaggio. Come può essere che solo lui sia rimasto avvelenato e non gli altri commensali, me compresa?ʺ ʺTaci strega! ‐ aveva gridato un inquisitore, originario dei Paesi Bassi di nome Maupertuis ‐ era la tua dimora. Avevi non una, ma mille occasioni, per compiere i tuoi malefici. Eppoi, non è difficile con la complicità di un servo mettere da parte un piatto con una pietanza riservata ad una vittima già designata . Osi negarlo, malvagia seguace di Satana ?ʺ ʺLo nego. Lo giuro sulla Vergine e su tutti i Santi!ʺ ʺTaci. Non profanare il nome del Sacro con la tua lingua blasfema. Dicci, piuttosto, chi sono i tuoi famigli ?ʺ ʺQuali famigli ?ʺ ʺFingi di non saperlo, sciagurata. Un gatto nero, un servitore storpio, una vecchia sdentata. Devi dirci chi ti aiutò nella diabolica impresa...” ʺNessuno. Sono innocente. Vi supplico...ʺ ʺCosa hai messo nel diabolico intruglio ‐ insisteva lʹinquisitore ‐ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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rospi, penne dʹ usignoli uccisi al chiaro di luna e poi tritate assieme a valeriana e belladonna, sangue di colomba, code di lucertole, foglie di alloro e verbena, altre sostanze venefiche. Quali ?ʺ Lʹinterrogatorio finiva tra i singhiozzi della poveretta ed il disappunto rabbioso dei torturatori. Il processo andava avanti ormai da parecchie settimane. Era un torbido quadro giudiziario in sintonia con la caccia alle streghe, scatenata in tutta Europa. Due secoli e mezzo prima di questi avvenimenti, Papa Innocenzo VIII, al secolo il genovese Giovanni Battista Cybo, aveva autorizzato i processi alle streghe con la bolla Summis desiderantes Affectibus. Erano stati, allora designati, come inquisitori dotati di speciali poteri, due professori di teologia dellʹOrdine dei frati predicatori, Heinrich Institor e Jakob Sprenger, i quali scrissero un libro, il Malleus Maleficarum (il martello delle streghe). La prima opera, trattante di stregoneria il Fortalicium fidei era stata pubblicata nel 1464, otto anni dopo la prima Bibbia di Gutenberg, lʹinventore dellʹarte della stampa. Il Malleus dato alle stampe nel 1486 andò letteralmente a ruba. Venne impresso nelle lingue principali: sedici edizioni in lingua tedesca, undici in francese, sei in inglese, due in italiano. Rubens, da buon poliglotta, ne aveva letto una versione in tedesco. Lʹaveva trovato semplicemente orrendo, in stridente contrasto ‐ cosa per lui inconcepibile con lo spirito cristiano ‐ con le sacre scritture, in particolare con la parabola del Vangelo riguardante la lapidazione dellʹadultera, quando Gesù aveva pronunciato un chiaro avvertimento: ʺChi è senza peccato, scagli la prima pietra!ʺ Ora, chi era senza peccato al punto da mettere delle donne al rogo ? Non certo quelli di Roma, abbarbicati ad un traballante potere temporale, rimesso in discussione dalla riforma luterana, da quella calvinista, dai valdesi, dagli ugonotti, dagli albigesi ; dal sorgere di sette più eterogenee, come quella degli Illuminati. Le conseguenze della persecuzione contro le streghe Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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perduravano in tutta Europa. Non solo nei paesi cattolici. Martin Lutero, lʹartefice della Riforma, nel commento sulla Lettera ai Galati aveva scritto di suo pugno:ʺStregoneria ed arti magiche sono opera del demonio. Con esse non soltanto fa male agli uomini, ma talvolta, col permesso di Dio li distrugge.ʺ E allora si parlava di sabba cui le streghe si recavano a cavallo di una scopa, della pianta di belladonna per unguenti e pozioni magiche, di gatti neri ed altri animali, come lupi, corvi, gufi e civette che potevano assumere ruoli di aiutanti. Il diavolo veniva descritto come un caprone che si godeva il sabba in mezzo alle sue streghe ed ai suoi stregoni impegnati in voluttuosi amplessi e, a volte, obbligati al meno piacevole compito di baciargli il deretano. Un delirio ed una follia. Centinaia di roghi in Germania, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Italia. Il Papa dellʹ inquisizione aveva designato Torquemada a capo di quella spagnola, con lʹavallo di Ferdinando ed Isabella proclamati sovrani cattolici dopo che Granada era stata strappata ai musulmani. Curiosamente, sempre Innocenzo VIII contribuì alla scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo perché ne sostenne il progetto dellʹimpresa presso i sovrani spagnoli, sollecitando finanziamenti ai banchieri genovesi. Era stato vescovo di Savona e di Molfetta. Forse, aveva conosciuto nella sua attività pastorale i Colombo emigrati a Savona. Ma se è per questo favorì anche, indirettamente, le spedizioni di Giovanni Caboto, in quanto riconobbe e sostenne come legittimo re dʹ Inghilterra, Enrico VII , il quale doveva essere, appunto, il patrocinatore delle imprese di Caboto. Ma restava, la macchia della ʺcaccia alle stregheʺ assieme ad altri fatti poco lusinghieri per un pontefice romano. Si erano levate, attraverso i due secoli e mezzo in cui imperversò la ʺcacciaʺ le voci di alcuni coraggiosi controcorrente. Ma i loro libri, come quello di Johann Wier (ʺlʹossessione e la superstizione stanno trasformando i giudici ed i teologi in assassiniʺ) vennero messi allʹindice o bruciati. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Nellʹepoca del grand tour di Rubens, dunque, i roghi andavano avanti. I processi, in Italia, si protrassero fino alla metà del Settecento, specie in Piemonte. Lʹultimo si celebrò nel 1742, precisamente a Chianocco in Val di Susa. Era imputata una certa Margherita Righetti. Dapprima, venne assolta. Poi nuovamente gettata in prigione ma le venne evitato lʹestremo supplizio e morì in carcere, quattro anni più tardi. Questo era il clima in cui si viveva anche nella Genova del Seicento. Eppure era il secolo dʹoro della Repubblica, con lʹoligarchia delle grandi famiglie mercantili, rese aristocratiche dal principe Andrea Doria. Si era appena spento il potere dei Fieschi, il cui imponente palazzo sulla collina di Carignano, era stato distrutto e raso al suolo pochi anni prima dellʹarrivo di Rubens in città. Fu lʹunico grande palazzo che il pittore fiammingo non poté ammirare. La sentenza contro Lucrezia cadde agli inizi dellʹestate di quellʹanno 1605. Il processo senza difensori e con interrogatori continui era durato tre mesi ed alla fine, la donna sottoposta a tortura non aveva resistito allo strappo ed aveva gridato: ʺSono stata io. Confesso. Basta, lasciatemi andare!ʺ In una piazza prospiciente al porto, sulle fondamenta che lasciavano ancora trasparire le rovine, gli archi e le colonne della Genua romana, sorgeva il patibolo in un luogo che era stato il castrum della città sin dal tempo delle guerre puniche, quando Magone Barca, fratello di Annibale e di Asdrubale aveva saccheggiato la Genua, alleata di Roma. Una strega era stata condannata ad essere arsa sul rogo, ma la notizia non trapelò mai presso il popolino. I magistrati ecclesiastici avevano deciso che la data del supplizio sarebbe stata comunicata più tardi. Eventualmente, oppure si sarebbe mantenuta la massima discrezione. Avevano preso tempo, gli inquisitori, perché il naufragio in cui erano periti, in quella notte di tregenda, almeno dieci marittimi quando il vascello era stato travolto dalle onde, poteva essere stata, forse, opera del Maligno per dare un avvertimento alla Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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città che stava giudicando la strega. Tutto ciò richiedeva una certa prudenza. Sarebbe stato opportuno tenere segreta la data dellʹesecuzione ? Oppure, con un gesto di aperta sfida alle forze del male, rendere pubblico il triste spettacolo come di solito veniva fatto per gli autodafé, quando folle di popolani, inorriditi, assistevano ‐ urlando anche imprecazioni contro i condannati ‐ al rito di purificazione. Le streghe venivano poste sulla sommità delle fascine accatastate sotto i loro piedi scalzi. Erano state condotte, vestite con la tela di sacco dei penitenti, e con le teste rasate, sul luogo sopra un carretto e tutti avevano rivolto improperi e grida contro le malcapitate. Alla sommità della pira venivano strettamente legate ad un palo, con delle corde a serrare fino al sangue i polsi martoriati. Un prete inquisitore, un francescano o un domenicano, porgevano dal basso, assicurato su un legno lungo e consacrato, un crocefisso affinché le reprobe, invitate in extremis a pentirsi, potessero, prima di morire, baciare il Salvatore per evitare le pene eterne dellʹinferno alla loro anima immortale. Altrimenti, se la strega o lo stregone, volgevano il capo senza abbracciare la croce e senza segni di pentimento, dopo le fiamme si sarebbero aperte per loro le fornaci perenni degli Inferi. Questo, secondo gli ecclesiastici romani, era stato lʹ ignominioso destino di Giordano Bruno sulla pira eretta in Campo dei Fiori. Aveva volto il capo dallʹaltra parte e non aveva baciato il crocifisso. Non aveva mai abiurato alle proprie tesi giudicate eretiche ed era morto eroicamente come un martire. Nella città ligure di Noli, molti ricordavano il passaggio nella quinta Repubblica marinara, del frate filosofo ed eretico che vi aveva soggiornato piuttosto a lungo. Così anche i liguri che lo avevano accolto ed ascoltato , malgrado gli avvertimenti dei religiosi più irriducibili , poterono rimpiangere quella figura di predicatore che appariva fanaticamente convinto delle sue verità . Purtroppo, non erano le stesse riconosciute dal dogmatismo della Chiesa di Roma. Né, tanto meno, quelle accettate dallʹintransigenza degli Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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inquisitori. Questi ultimi erano sempre più che ansiosi di spalancare le fornaci di un inferno dantesco ai reprobi, agli eretici, a streghe e stregoni seguaci di messe sataniche e di magia nera. LA DISCENDENTE DI UN PAPA GENOVESE Lʹanziano nobiluomo Giulio Pallavicino, nel suo palazzo, si poneva con insistenza un quesito che lo aveva gettato in una drammatica incertezza. Avrei forse dovuto dire a Rubens la verità su Lucrezia. Perché ho taciuto ? Certo, avevo giurato di mantenere il segreto. Ma adesso, dovrò parlare. Quel pittore che custodisce unʹopera così strana ed occulta ha il diritto di conoscere tutte le circostanze di questo misterioso affare. Almeno quelle che conosco io. Così, lo invitò a pranzo, ben sapendo che egli amava la buona cucina ed aveva un carattere gioviale e pieno di allegria, come molti uomini nordici, i quali solitamente oppressi dalle condizioni esecrabili di quei climi freddi e piovosi, perduti nelle grigie nebbie di lande desolate, compensano con una vigorosa gioia di vivere nelle loro case quella monotona ed opprimente natura che li attende allʹesterno delle loro magioni. Quegli inverni dal gelo implacabile, quelle primavere esangui ed incerte, quelle estati anemiche di sole e quegli autunni interminabili, grigi e piovosi. Pier non faceva eccezione. Amava mangiar bene e bere altrettanto. La birra andava bene, ma se cʹera dellʹottimo vino, anche in questo caso tanto meglio. Era ormai abituato alla cucina sofisticata ed ai manicaretti delle tavole principesche. Pallavicino lo fece accomodare e gli sedette accanto. La sala da pranzo era grande, decorata con gusto, alle pareti arazzi preziosi; potevano sedersi attorno al tavolo coperto da una tovaglia di finissimi merletti veneziani, decine di ospiti , ma questa volta i Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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servitori portavano le vivande solo per loro due. ʺHo voluto che fossimo soli ‐ esordì Pallavicino ‐ perché desidero intrattenervi di quella donna di cui si è parlato...ʺ ʺLucrezia ?ʺ esclamò lʹartista con uno sguardo sognante ed una familiarità che sorprese il suo ospite. ʺSì, Lucrezia è stata condannata al rogo per stregoneria. Appartiene ad una famiglia illustre di Genova, ma ella in realtà ignora di essere una discendente di questa casata. Eʹ un segreto ben custodito. Della sua reale identità, siamo a conoscenza soltanto in poche persone. Alcuni sapevano che era la moglie del duca senese e basta; la sua vera famiglia ha un nome ben più illustre che forse vi dirà qualcosa: i Cybo. Giunsero in città dalla Grecia nel Medio Evo. Sapete chi sono ? ʺEbbene, no. Ma avete detto che è stata condannata a morire!ʺ rispose, con tono angosciato. ʺSì. Ho le mie fonti. La nuova è certa. Gian Battista Cybo ‐ insistette ‐ conoscete questo nome illustre ?ʺ ʺNon mi dice nulla.ʺ ʺE il nome Innocenzo VIII vi dice qualcosa ?ʺ ʺQuel Innocenzo VIII ?!ʺ ʺEsattamente.ʺ ʺIl pontefice che emanò la storica bolla, dando lʹavvio alla Santa Inquisizione. Era genovese, se non sbaglio. Senti, senti. E che cʹentra Lucrezia... Eʹ una discendente di Innocenzo VIII ? ʺEʹ una discendente di quel papa. Lui aveva un figlio che contrasse matrimonio in San Pietro, sotto gli occhi benevoli del Papa Papà, il quale lo aveva ufficialmente riconosciuto come figlio legittimo. Aveva anche una figlia, perché da giovane era stato un giovanotto gaudente ed aveva menato vita dissoluta. Li riconobbe entrambi, come ho detto. Tanto è vero che poté organizzare in Vaticano le nozze di Franceschetto, con Maddalena figlia del suo alleato Lorenzo de Medici...ʺ ʺUfficialmente, alla luce del sole ?ʺ ʺCome dite voi, maestro. Nei modi più ufficiali e solenni possibili.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺLucrezia sarebbe, dunque, una pronipote, una discendente del pontefice Cybo, da un lato, e dei Medici di Firenze dallʹaltro.ʺ ʺNon sarebbe. Eʹ una loro discendente diretta. A mia conoscenza, lʹultima della dinastia, perché lʹultimo dei Cybo è scomparso parecchi anni fa.ʺ ʺPosso chiedervi come potete saperlo con certezza ?ʺ Alzando il bicchiere alla salute dellʹospite, il Pallavicino esclamò: ʺHo le mie fonti. Per non nascondervi nulla è stato un eminente ecclesiastico ad informarmi di questo grande segreto. Mi fece giurare che non lʹavrei rivelato ad anima viva. Ma a voi ormai devo dirlo. Si tratta di un ecclesiastico di una grande famiglia, i Fieschi. Anche loro hanno dato non uno bensì due papi alla Chiesa. Il primo, Sinibaldo , salì al soglio pontificio col nome di Innocenzo IV. Fu questo papa, uno dei maggiori giuristi del suo tempo, ad introdurre la possibilità della tortura nei processi contro gli eretici.ʺ ʺDiede agli inquisitori il diritto legale di ricorrere alla tortura ?ʺ ʺEbbene, sì.ʺ ʺDecisamente, i pontefici genovesi avevano la mano pesante con i miscredenti. E lʹaltro chi fu ?ʺ ʺAdriano V, al secolo Ottobuono Fieschi. Era il nipote di Innocenzo IV. Ma eletto dal conclave in luglio morì lʹagosto successivo, non ricordo più di quale anno... Suo fratello è stato sicuramente uno degli uomini più ricchi ed influenti della nostra città, fino alla caduta del suo casato. Ma sì, come avete detto, vi furono papi genovesi particolarmente impegnati nella lotta agli eretici e, poi, cose che dovevano restare disgiunte ma alla fine trovarono sospette convergenze,nella caccia alle streghe. Queste donne accusate di tutti i mali: delle carestie, per aver gettato sortilegi contro i raccolti, delle pestilenze per averle invocate con riti satanici; del rapimento dei bambini sacrificati al demonio in orribili messe nere. Eppoi, confische di beni che hanno motivato inquisitori di pochi scrupoli e spinto sui roghi assieme a streghe e maghi, marrani e giudei spesso molto ricchi, questi ultimi colpevoli soltanto di non voler abiurare alla propria fede. Ma vi Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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erano giudei che, pur sul punto di essere bruciati, porgevano ai boia i loro figlioletti in fasce, affinché venissero battezzati, risparmiando loro la morte. Ma torniamo a Lucrezia. Secondo unʹiscrizione latina dovuta a Pasquino, Innocenzo VIII Octo Nocens puera genuit, totidemque puellas. Hunc merito poterit dicere Roma patrem. Ebbe otto figli e otto figlie. Così a buon diritto Roma potrà chiamarlo Padre. Tra i vari figli di quel pontefice, la figlia Teodorina sposò poi il patrizio genovese Gherardo Usodimare,tesoriere di Santa romana chiesa al quale dette una figlia:Pieretta Usodimare che fu la moglie, in prime nozze di Alfonso I del Carretto e, in seconde nozze, dellʹammiraglio Andrea Doria. Teodorina ebbe anche un altro figlio, Aranino, il padre di Gherardo Cybo. Lucrezia, però discende da un altro ramo della famiglia, quello di Franceschetto che, come ho detto, sposò Maddalena de Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico e sorella del papa mediceo Leone X. Dal matrimonio tra Franceschetto e Maddalena nacque Lorenzo Cybo che sposò Ricciarda Malaspina, dando così origine alla dinastia Cybo‐Malaspina, cui appartiene Lucrezia. Tra gli ultimi discendenti , prima di lei, vi fu quel Giulio Cybo Malaspina fatto decapitare perché era tra i congiurati che attentarono alla vita di Andrea Doria. La congiura era quella di Gian Luigi Fieschi. Fallì perché il Fieschi, capo dei congiurati, cadde da una passerella nel porto. Aveva indosso lʹarmatura ed annegò. Lo ritrovarono solo dopo parecchie ore sul fondo. Giulio Cybo Malaspina Aveva un figlio che lasciò precipitosamente Genova dopo il fallimento del complotto. Lucrezia, dunque, potrebbe essere la nipote del giustiziato. Ma vedete, maestro, su Gian Battista Cybo se ne sono dette tante. Persino che ‐essendo stato egli, agli inizi della carriera ecclesiastica, vescovo di Savona, oltre che di Molfetta ‐ sarebbe stato addirittura il padre di Cristoforo Colombo.ʺ ʺLo scopritore del Nuovo Mondo ?ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺEsattamente. Ma a mio parere si tratta di maldicenze, in questo caso. Colombo apparteneva ad una povera ma onesta famiglia genovese. Suo padre, Domenico, faceva il cardaiolo a Savona. Aveva altri figli; è vero che il Papa sostenne la causa di Cristoforo presso i reali di Spagna, Ferdinando ed Isabella. Ma ciò non significa che fosse suo padre naturale, come sostenevano le malelingue dellʹepoca. Poteva benissimo aver conosciuto, a Genova oppure a Savona, i Colombo e, sapendoli in ristrettezze economiche, abbia voluto aiutare Cristoforo come un buon pastore fa con il suo gregge. Insomma. lʹappoggio di Innocenzo VIII a Cristoforo fu una buona azione che portò ad una storica impresa a favore della Cristianità. Aiutò anche Giovanni Caboto con gli inglesi e non per questo cʹentrava qualcosa con la sua nascita, nevvero. Insomma, di questo papa gaudente si è detto un poʹ troppo. Ha avuto dei figli, è vero. Ma non ha ripopolato da solo la cristianità!” esclamò lʹanziano ricorrendo ad un tocco dʹumorismo per rendere meno fosco il quadro che stava raffigurando con parole accorte. “Per il resto, le cose stanno come vi ho detto e Lucrezia, una discendente dei Cybo e dei Medici è in attesa di una possibile condanna a morte.ʺ Rubens aveva perso lʹappetito. Se è per questo, anche lʹanziano gentiluomo non aveva praticamente toccato cibo. Con un sospiro, lʹartista esclamò:ʺVostra signoria mi sta dicendo, in sostanza, che una discendente del papa, promotore a suo tempo della caccia alle streghe in tutti i paesi cristiani, è sul procinto di essere condannata al rogo come strega. Quasi una nemesi storica ! Come se tutto ciò non bastasse, abbiamo qui ben custodita nel vostro palazzo il ritratto di costei, dipinto da chissà chi. A questo punto, se a dipingerla fosse stato Satana in persona, non mi stupirei più di tanto.ʺ ʺ Sono costernato quanto lo siete voi. Ma è la situazione in cui ci troviamo; non esente da rischi. Li potete benissimo immaginare. ʺIl rischio costituito dal fatto che non sapremmo giustificare né la presenza, né lʹorigine del ritratto della presunta strega.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺAvete detto a qualcuno del dipinto?ʺ chiese con ansia lʹanziano gentiluomo. ʺLo hanno visto i miei allievi. Ma se chiederò loro di essere delle tombe, saranno delle tombe.ʺ ʺ Se non hanno già rivelato la cosa...ʺ ʺMe ne informerò al più presto. Nel caso, ne avessero parlato in giro, sarebbe forse prudente distruggere quellʹopera dʹarte ?ʺ ʺA malincuore, certo. Non possiamo rischiare che qualcuno vada a mormorare nelle orecchie degli inquisitori questa storia incredibile. Quelli, appena sentono odore di zolfo, arrestano, interrogano, torturano e condannano.ʺ ʺPer il momento, ritengo che un quadro nascosto in un atelier di pittura sia, in fondo, nel posto più sicuro e nascosto possibile. Eʹ assieme ad altri e nessuno ha il diritto di introdursi qui a palazzo senza il vostro consenso.ʺ ʺIntesi. Raccomandate il segreto ai vostri allievi. Per ora, non ci rimane che attendere gli eventi. Vedo che, come me. non avete toccato cibo. Mi dispiace davvero. Speriamo che questo incubo finisca presto.ʺ Si salutarono come due cospiratori. Lʹanziano se ne tornò nei suoi saloni ed il pittore salì frettolosamente la scalinata per raggiungere lo studio. Corse a vedere se la strega era al suo posto. Per fortuna, cʹera. I suoi allievi lo stavano aspettando per ricevere direttive su alcuni lavori in corso di elaborazione. Quasi gridò: ʺLo avete detto a qualcuno ?ʺ ʺCosa, maestro ?ʺ ʺDel quadro della stre... di quella donna coi capelli rossi...ʺ ʺNo. Che novità ci sono, a proposito ?ʺ sʹinformò Antoine. ʺLa novità è che dovete tenere la bocca chiusa. Dovete giurare sulle vostre vite che non parlerete a nessuno della dama dalle chiome rosse. Giurate!ʺ I tre giurarono. Ma, adesso, avevano lʹaria davvero allarmata. Ma non così allarmata come la sua, in ogni caso. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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LA STREGA GRAZIATA: SARAʹ SUORA DI CLAUSURA Sentimenti contrastanti agitavano la mente del maestro fiammingo. La sua reputazione, la gloria, la fama, le ricchezze, potevano essere poste in gioco in questo affaire tenebroso. Lui, il figlio di un protestante calvinista, coinvolto in un caso di stregoneria. Come giustificare quella presenza nel suo atelier ? Ma si rese ben presto conto che non erano queste le vere cause del turbamento del suo animo. Vi erano motivi più profondi, insondabili. Aveva delle ragioni che affondavano le loro radici nellʹanimo umano; nellʹanimo di un essere dotato di coscienza, di sentimenti, capace di affetti. La sua inquietudine non nasceva dal timore di essere scoperto in possesso del quadro,non temeva lʹInquisizione. Avrebbero finito per scoprire il vero autore del dipinto, tutto lì. Avrebbero potuto chiederlo direttamente allʹinteressata, in fin dei conti. Con le innumerevoli domande poste alla povera donna, una in più non avrebbe fatto differenza. Lui, però, sentiva crescere in sé ben altre passioni. Si sentiva irresistibilmente attratto da quella figura. La guardava sul cavalletto dove lʹaveva posta, tirandola fuori dal segreto ripostiglio, ne mandava a mente lʹespressione del volto; non vi era particolare che gli sfuggisse. La sua mente era tutta presa da lei. Il volto gli era divenuto familiare e ‐ si decise a confessare a sé Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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stesso la verità ‐ era divenuto un volto amato ! Non vi erano più dubbi: in un certo qual senso, amava Lucrezia. Se ne era quasi innamorato. Il ʺquasiʺ era importante, in quanto, in verità non riusciva a capire se fosse in ammirazione del quadro in sé, opera dʹarte capace di parlare un suo linguaggio esclusivo alla sensibilità di un artista, oppure se davvero provasse sentimenti per il soggetto. Forse le due cose assieme. Non gli importava più nulla se non la salvezza di quella donna. Quando se ne rese conto non poté trattenersi dallʹesclamare, guardandosi in un grande specchio del salone: ʺSei proprio un bel tipo. Vieni in Italia, per perfezionare la tua arte. Ti fai un nome, sei apprezzato, ricercato dalla nobiltà di una città illustre. Eccoti in piena maturità, innamorato come uno studentello di un collegio di Bruges! Ma poi che vuoi fare, stolto, giocarti la reputazione, il prestigio in un caso incerto dal quale ogni persona normale, a maggior ragione se importante, sfuggirebbe mantenendo il massimo riserbo e mostrando grande cautela ?” Aveva deciso, invece, che la prudenza era la nemica dellʹamore e dellʹarte. Lʹarte aveva bisogno di un pizzico di follia. Sempre. “Non resterò a guardare, lo scempio di una povera, meravigliosa e sfortunata donna. Un altro crimine, nel nome della fede. Una martire da salvare. Io la salverò.” Pronunciò questʹultima frase ad alta voce. Decise di correre, nuovamente, dal signor Pallavicino, per ridiscutere la questione. Era lʹimbrunire e lo trovò accanto ad un artistico caminetto, mentre leggeva alcuni documenti al lume delle candele. ʺMaestro, che nuove ? Venite. Sedete, prego, nello scranno accanto al mio.ʺ ʺNon possiamo lasciarla morire!ʺ disse con impeto, dopo un frettoloso saluto. ʺNe siete a questo punto stregato ?ʺ esclamò, fissandolo con uno sguardo ironico e penetrante ma pieno di simpatia, il gentiluomo. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺCredo di sìʺ ʺMi avevano detto che voi germanici, anglosassoni, fiamminghi, uomini del nord, in genere siete piuttosto flemmatici. Ma le vostre passioni, evidentemente, sono improvvise e violente come quelle di noi latini. Se non di più. Mi pare sia il vostro caso. Vi comprendo.ʺ ʺAmore, compassione, non saprei dirvi. Forse amo più il modo con cui lʹopera è stata realizzata che il soggetto stesso. Vi prego, ditemi che possiamo aiutarla. Salvarla da un orrendo destino.ʺ ʺVorrei potervelo assicurare. Temo, tuttavia, che le cose si siano spinte troppo oltre. Possiamo provare, beninteso. Vi ho parlato di quellʹuomo di chiesa della famiglia Fieschi; è un patito di genealogia, per ciò consultando archivi ecclesiastici segreti, anche in Vaticano, ha potuto ricostruire lʹalbero genealogico di quella giovane. Forse, possiamo tentare qualcosa con lui. Gliene parlerò. Sarà al corrente del processo e della sentenza. Vedremo cosa si potrà fare. Ma con lʹInquisizione ogni tentativo di giovare ad una strega condannata viene visto con sospetto. Verrebbe posta in dubbio, oltre tutto lʹinfallibilità del collegio giudicante. Devo confessarvi, caro amico, una cosa: prima ancora che voi mi mostraste il ritratto misterioso, venuto a conoscenza del processo, mi chiesi in che modo avrei potuto esserle dʹaiuto. Ma dovetti rinunciare allʹidea. ʺ ʺPerché mai ?ʺ ʺVedete, maestro, la rivelazione sulle sue origini, paradossalmente, potrebbe persino nuocerle. Quelli del Santo Uffizio sarebbero, a loro volta, esposti allʹincredibile accusa di aver messo sotto processo e condannato al rogo una discendente di un papa. Non di un papa qualsiasi, ma proprio di Innocenzo VIII, che la storia ricorderà come colui che avviò i processi alle streghe e lʹInquisizione spagnola, voluta da Ferdinando ed Isabella di Castiglia , i sovrani cattolici, con Torquemada e tutto il resto. Per gli accusatori e gli inquisitori sarebbe un colpo tremendo alla Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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credibilità, al prestigio, alla pretesa di infallibilità. Giudicai che la causa fosse perduta fin dallʹinizio, quando si diffuse tra i notabili genovesi e nei circoli ecclesiastici la nuova del suo arresto.ʺ ʺNon possiamo lavarcene le mani.ʺ ʺEʹ ciò che mi tormenta. Questo senso di impotenza che costringe noi laici ad assistere a sentenze assurde ed a fatti orrendi. Tutto ciò in nome di un Vangelo di misericordia e di salvezza. Eʹ un qualcosa che la mia coscienza non può accettare.ʺ ʺI miei sentimenti, neppure. Ho scoperto di tenere in qualche modo a quella donna, pur non conoscendola. Ritengo che avrei chiesto misericordia per qualsiasi altra donna al suo posto. Se solo ci fosse un modo...ʺ ʺSentite, ne parlerò a uomini di Chiesa, anche a quellʹamico influente di cui vi ho parlato e che conosce il segreto circa la discendenza di Lucrezia. Però se questo eminente personaggio mi dirà che non può farci nulla, credetemi, dovremo per forza di cose rinunciare. ʺ ʺImmagino abbiate ragione. Anzi sicuramente. Ho riflettuto: il dipinto sarebbe ancora qualcosa di controproducente. La superstizione direbbe che, essendo lʹautore sconosciuto, si tratta sicuramente di opera del Maligno. Meglio tenerlo nascosto. Avete notato lʹanello che Lucrezia porta al dito: un triangolo di piccoli diamanti con una S scarlatta al centro. La ʺSʺ in un triangolo. Il Triangolo di Satana ? Opposto a quello della Santissima Trinità! Questo direbbero gli inquisitori, ne sono certo.ʺ ʺAnchʹio. Tenetelo celato. Se è il caso, sarà distrutto. Per ora, posso soltanto assicurarvi che parlerò a quella persona. Restiamo intesi, così.ʺ Rubens si alzò per rientrare nei suoi appartamenti. Salutando lʹamico ebbe la strana impressione che anche il vecchio signore provasse sentimenti nei confronti della giovane condannata. Lʹama ‐ pensò ‐ come si può amare una figlia, e prova pietà per una sventurata. Sì, la pietà: ecco il sentimento che entrambi proviamo verso di lei; lʹestetica non cʹentra nulla, non vi è Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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attrazione fatale, qualcosa di riconducibile alla sensualità. Eʹ pietà. Vera, purissima, pietà cristiana. La Pietas nel suo senso più esteso ed universale, la stessa che Michelangelo ha saputo magistralmente far rivivere ed incarnare nel marmo con quella Madonna che tiene in grembo il Figlio ucciso, appena deposto dalla Croce. Lʹamore vero è anche pietà. Almeno in certe circostanze, quando gli elementi passionali sono esclusi e la sessualità non ha alcuna parte nei sentimenti che nascono. Vi è più una condivisione del destino delle creature, della condizione umana sempre esposta a tragici avvenimenti come nel caso di questa nobildonna a me sconosciuta. La sua raffigurazione in olio su tela può solo animare il mio senso estetico. Mentre la sua situazione precaria da voi descritta solleva un senso di pena profondo. Certo, vi è la legge degli uomini. Ma qui la pietà deve prevalere sulla dura lex, sulla legge anche se si trattasse della legge mosaica (gli venne in mente la statua il Mosè di Michelangelo vista in San Pietro Vincoli sotto la cui forma imponente riposava per lʹeternità Giulio II ). Eʹ vero che Mosè poteva incarnare in sé la giustizia ed il diritto; ma Gesù aveva insegnato la pietà, la carità, il perdono e la fraternità universale. Sì ‐ disse a sé stesso, per riconfortarsi ‐ le ragioni dei veri cristiani potevano prevalere, tanto più che in questo caso si trattava di ingiustizia frutto di superstizione. Non credeva che quella donna fosse una strega e, per dirla tutta,da uomo erudito e di cultura qualʹ era, pur essendo un devoto credente, alle streghe, lui non ci aveva mai creduto. Non avrebbe, di certo, cominciato a crederci proprio adesso: al contrario, si trattava di salvarne una. Ad ogni costo. Il miracolo avvenne. Pallavicino non solo ne parlò allʹecclesiastico scopritore dellʹalbero genealogico della giovane donna, ma anche ad un altro influente personaggio, Giovanni Carlo Doria, nipote del Principe ʺSalvatore della patriaʺ. Gli era venuto in mente sapendo che lo stesso Rubens stava facendo di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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lui un ritratto equestre. Ne aveva visto i lavori preparatori. Un grande destriero bianco lanciato al galoppo con Giò Doria con le redini in pugno e lo sguardo impegnato nella cavalcata, quasi a voler sostenere la cavalcatura e lanciarla al di sopra di un ostacolo. Bellissimo dipinto, pieno di movimento e di luce. I personaggi della Genova che contava si erano mossi. La Repubblica genovese, nel suo secolo dʹoro, trattava alla pari con i potenti. Andrea Doria lʹaveva salvata, trattando , di volta in volta, con due potenti, anzi due prepotenti , del calibro di Francesco I e Carlo V. Genova, in mezzo a Francia e Spagna come un vaso di coccio tra vasi di ferro, tra Scilla e Cariddi. Eppure la Repubblica si era salvata, denunciando lʹalleanza con la Francia, cacciando i francesi e ricevendo Carlo V che si mise dʹaccordo con il Doria per garantirne lʹindipendenza e la sovranità sulle terre liguri. Prosperava,Genova, guadagnandosi una meritata e relativa autonomia. Aveva saputo difenderla con le armi in pugno, con le sottigliezze dei suoi giuristi, lʹabilità e lʹaudacia dei suoi navigatori, come il figlio prediletto Cristoforo Colombo, scopritore del Nuovo mondo. Ma se le navi erano castigliane i finanziatori erano, almeno in parte, genovesi. Questo orgoglio ritrovato aveva spinto la nuova aristocrazia a non temere neppure un Tribunale del Santʹ Uffizio. Ma nessuna sfida aperta alla Chiesa, questo era il tacito accordo con Roma. Solo una supplica fatta dai personaggi delle famiglie più illustri. Vi era stato un consiglio dedicato allʹaffare e gli Spinola, i Doria, i Grimaldi, i Brignole Sale, i Balbi, i Raggi, ascoltando le ragioni esposte dal Pallavicino e venuti a conoscenza della rivelazione su chi fosse realmente la donna giudicata, non avevano più indugiato. Nella Cattedrale di San Lorenzo, ebbe luogo la riunione solenne e segreta. Mise di fronte i responsabili della conduzione politico amministrativa della città e le alte sfere ecclesiastiche cittadine, lʹ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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arcivescovo ed i suoi consiglieri. ʺIn materia di fede, il Tribunale ecclesiastico ha piena facoltà di decisione e solitamente le sentenze sono irrevocabili. Ma se i rei si decidono a confessare e poi non ritrattano, mostrandosi sinceramente pentiti, uno spiraglio di salvezza esiste. Ho già consultato personalmente, su vostra richiesta il gran consiglio che aveva condannato questa Lucrezia. Le rivelazioni inoppugnabili che la riguardano venute a nostra conoscenza hanno indotto il supremo collegio a modificare in senso più clemente lʹiniziale sentenza.ʺ annunciò lʹalto prelato. Vi fu attorno al tavolo della riunione, un generale sospiro di sollievo. Poi chiesero , rispettosamente, di conoscere le disposizioni del nuovo giudizio. ʺLa rea dovrà giurare sulla croce in modo solenne il proprio pentimento per i malefici commessi. Dopodiché, le verranno rasate le chiome e verrà consacrata monaca di clausura ed affidata alla custodia di un ordine religioso di suore. Rimarrà chiusa in convento per il resto dei suoi giorni. Sarà affidata ad una madre badessa e non vi sarà per lei alcuna possibilità di tornare nel mondo secolare. Eʹ decretata la confisca di tutti i suoi beni. Vivrà in clausura ed in assoluta povertà, serva delle serve di Dio. Il tribunale ha, inoltre, decretato che cose a lei appartenenti ‐ i capelli in primo luogo ‐ verranno posti sul rogo e dati alle fiamme. Così sparirà ogni traccia terrena della vecchia strega e la nuova creatura potrà redimersi con la fede e le opere nella segregazione del convento. I giudici avrebbero voluto bruciarla in effige, come i malvagi e le streghe fanno per i loro malefizi, componendo statuette di cera con le fattezze di innocenti che questi eretici vogliono torturare. Ma i giudici di Santa Romana Chiesa lo fanno per rispondere al Maligno con gli stessi sistemi, in modo dissuasivo. Lʹideale sarebbe poter bruciare un ritratto di questa donna, se Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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verrà trovato nel palazzo che occupava insieme al duca suo marito. Il ritratto, insomma, potrebbe prendere il suo posto tra le fiamme. Una condanna in effige. Eʹ rara ma non insolita. Venne usata per condannati che, in qualche modo, erano riusciti a fuggire dalle segrete o a sottrarsi, in anticipo, allʹarresto.” A questo punto, Pallavicino parlò del ritratto esistente e della sua disponibilità a presentarlo allʹInquisizione affinché venisse bruciato. ʺEʹ opera di chi ?ʺ chiese con interesse lʹarcivescovo. ʺLo ignoro. Ma il dipinto è in possesso del grande Rubens, il quale ‐ assieme ad altri pittori fiamminghi ‐ onora con la sua presenza la nostra città e mi ha pregato di intercedere per ottenere la grazia di questa Lucrezia, discendente ‐ e qui Pallavicino, ormai sicuro di aver vinto la partita volle ricordarlo, accentuando il tono della voce ‐ del pontefice Innocenzo VIII.ʺ ʺVa bene, va bene ‐ replicò frettolosamente lʹarcivescovo, desideroso di chiudere al più presto la questione ‐ potrete presentare al SantʹUffizio questo ritratto, in modo che esso venga bruciato. Lʹaffare può considerarsi concluso.ʺ Fu con gioia che il gentiluomo si presentò nellʹatelier del pittore con le nuove della grazia concessa. Ripeté per filo e per segno, tutto ciò che il Tribunale ecclesiastico aveva deciso per la salvezza dellʹanima della condannata cui veniva fatta salva la vita. ʺHo rivelato lʹesistenza del dipinto per soddisfare completamente la clausola della nuova sentenza. Avrebbero, forse, potuto trovare nellʹabitazione ducale altri ritratti. Ma è bene giocare lealmente e, intanto, saremo sbarazzati di quellʹesecrabile dipinto, vorrete ammetterlo, Maestro, così mefistofelico, pur trattandosi di un capolavoro artistico.ʺ ʺ Sì. Meglio bruciare in effigie un ritratto che la creatura oggetto del dipinto. Ve ne sono grato, messer Pallavicino, così come vi prego di ringraziare le famiglie genovesi, la cui generosità ed il Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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cui coraggio, hanno saputo prevalere su un giudizio così apparentemente irrevocabile come una condanna al rogo dellʹInquisizione. Posso dirlo: ho un certo rimpianto a separarmi dal quadro di Lucrezia. Ma, in fondo, ‐ ripeto‐ è sempre meglio bruciare un ritratto che qualcosʹaltro, come un essere vivente.ʺ ʺPotete ben dirlo!ʺ ʺDove lo custodite ?ʺ ʺVado a prenderlo.ʺ Rubens sparì dietro un tendaggio, ma anziché riapparire lanciò unʹesclamazione soffocata che allarmò Giulio Pallavicino. ʺEʹ impossibile!ʺ aveva gridato il fiammingo da dietro il tendaggio. ʺChe accade ?ʺ chiese, inquieto, lʹ anziano signore. Il pittore era riapparso, pallidissimo. ʺIl quadro....ʺ ʺEbbene ?ʺ ʺEʹ andato in fumo. Vi è soltanto sul cavalletto una cornice bruciacchiata, tutta la tela è arsa. Il ritratto della dama è perduto per sempre. Venite a vedere con i vostri occhi!ʺ Pallavicino esitava. Poi, si fece coraggio e seguì il pittore che gli indicava quel che rimaneva del dipinto, soltanto cenere. ʺMa rimaniamo con i piedi su terra ‐ gridò il vecchio gentiluomo ‐ sarà stata la scintilla di una torcia, la favilla scesa dalla cera di un candelabro.ʺ ʺNon ho detto nulla di diverso. Ma il quadro è completamente bruciato e potete vedere sul soffitto i segni palesi del fuoco che ardeva qui nello studio. Un momento, che cʹè sul pavimento ? Sì, sono gli occhi di Lucrezia...ʺ ʺCome gli occhi ?ʺ esclamò, inorridito, Pallavicino, sentendosi mancare. ʺNo, non allarmatevi. Si tratta di due piccole gemme. Due smeraldini che lo sconosciuto autore del ritratto aveva incastonato nella tela.ʺ Si chinò a raccoglierli e li porse allʹanziano signore. ʺTeneteli. Il quadro era vostro, gli smeraldi vi appartengono.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Pallavicino si schermì. ʺNo, Maestro, voi avete scoperto il ritratto e lʹavete custodito. Tenete questi piccoli smeraldi in ricordo mio e... di lei.ʺ ʺApprezzo il dono e vi sono grato. Adesso, come procediamo ?ʺ ʺRivelerò ciò che è accaduto a monsignore lʹ arcivescovo. Troveranno sicuramente nel suo palazzo un altro quadro di Lucrezia. Presenterò la cosa nel modo più naturale possibile, dicendo che sì una candela è entrata in contatto col dipinto, compiendo lʹirreparabile.ʺ Quanto era accaduto venne riferito allʹalto prelato, il quale era ansioso di conoscere di persona Rubens. Non aveva ancora avuto lʹoccasione e, finalmente, si era presentata. Era un grandissimo ammiratore dellʹarte barocca, il monsignore, ed il fatto che il quadro fosse andato distrutto ‐ non avendolo mai visto ‐ lo lasciava abbastanza indifferente. ʺBeh, intanto doveva essere bruciato, no ? Giustizia, dunque, è fatta! Non avevo ancora accennato la cosa ai giudici del Santʹ Uffizio. Andranno a cercarsi qualcosa appartenuto a quella sventurata e lo metteranno al rogo. Intanto, hanno sequestrato tutti i suoi averi e saranno occupati a fare lʹinventario dei beni. Non vi sono eredi, perché la coppia ducale non aveva figli. Tutti i possedimenti vanno alla Chiesa.ʺ Quel giorno stesso, i giudici si presentarono di fronte ad una terrorizzata Lucrezia, rannicchiata nella cella della sua prigione, con le vesti lacere ed i capelli discinti. Si procedette alla mesta cerimonia della lettura della nuova sentenza. Conteneva la grazia, ma anche lʹordine di perenne clausura in convento. ʺEʹ quasi come morire ‐ esclamò la poveretta ‐ e per unʹ innocente quale io sono ciò vorrà dire morire lentamente, giorno dopo giorno; come murata viva.ʺ Intanto, però lʹorribile visione della pira si era dissolta. Sarebbe vissuta . Per lei cominciava una nuova vita, totalmente diversa da quella brillante e mondana che aveva sempre conosciuta, fin dalla prima giovinezza spensierata e trascorsa Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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negli agi. Aveva sempre avuto una ricca dote a disposizione e la nobiltà del denaro ‐ lo sterco di Satana ‐ le era stata sufficiente per le nozze col duca. Non si era mai chiesta chi avesse provveduto alla ricca donazione in suo favore, poiché, alla fine, era stata affidata ad uno zio monsignore, visto che i suoi genitori erano morti quando lei era in tenera età. Ad allevarla in realtà era stata una nutrice, la Celestina. Lei lʹ aveva sempre considerata come la sua vera madre. Lucrezia pronunciò le frasi solenni del pentimento rituale; diede lei stessa indicazioni per il ritrovamento di diversi suoi ritratti da bruciare in effige. Giurò obbedienza, fece il voto di castità riservato alle monache. Venne destinata ad un convento di suore di clausura in Piemonte. Partì in una livida alba, nel massimo segreto quanto alla destinazione finale, su una carrozza rigorosamente chiusa, con tende nere ai finestrini. Nessuno la rivide mai più a Genova. Ma prima di avviarsi verso il luogo dove sorgeva il convento, durante il viaggio, la donna rasata disse a sé stessa: i capelli possono ricrescere e le mura di un convento possono anche essere scavalcate. Lʹimportante è che il sogno della vita continui. Intanto, per me, è sempre stato un alternarsi di sogni e di incubi. Vuol dire che anche questa fase tristissima non può persistere nel tempo. Tutto muta in un alternarsi di gioie e di dolori. Dopo le risa è venuto il tempo dei pianti. Un giorno, forse, ritroverò lʹallegria del sogno. Alla fine dellʹincubo. La felicità non la troverò mai poiché essa è illusione. Ma, a volte, la libertà è un surrogato della felicità. E la libertà, un giorno, saprò ritrovarla LA MORTE DI GIULIO PALLAVICINO Pier lavorava di gran lena. Per dimenticare tutta quella brutta storia, per andare avanti, tanto più che le commesse piovevano. Ordinazioni di ambienti ecclesiastici per dipingere Madonne, Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ascese al cielo di Santi. Mentalmente pensava: ben poco mi distingue da quel sagrestano di Guido Reni! Ma nellʹambiente più aperto delle libertà comunali, con quei signori cui era cara la conquistata autonomia, poteva delegare a Van Dyck i lavori per qualche quadro a sfondo religioso, riservando per sé i volti di quelle che dovevano diventare per gli aristocratici della Repubblica le gallerie degli antenati. Provava particolare piacere ad ultimare a palazzo Spinola ‐ Doria il ritratto di Brigida. Aveva per lei un debole che la dama dallʹenigmatico e dolce sorriso non poteva non aver notato. Ma era una nobildonna fedelissima allo sposo e lui, del resto, conoscitore dellʹanimo femminile, con la sensibilità dellʹartista, aveva subito intuito vedendoli assieme ed il modo con il quale lʹuno si rivolgeva allʹaltra che si amavano profondamente. Inoltre, la stimava e la sua ammirazione non varcò mai i limiti dellʹassoluto rispetto. Con lei, insomma, il dongiovanni fiammingo non ci provò. Come, invece, aveva fatto suo padre Jan ‐riuscendoci – con Anna di Sassonia. Già ma con una condanna a morte, scampata per un pelo. Ricordava il pittore. Suo fratello, da grandi, gli aveva raccontato tutta la storia. Ma lʹamicizia tra pittore e modella, quella nacque, con confidenze anche di carattere sentimentale. Narrò, per condividere con qualcuno il peso dei recenti avvenimenti, alla bella Brigida la storia della donna accusata di stregoneria e salvata dal rogo. ʺMi è nota la vicenda ‐rispose con un mesto sorriso, Brigida ‐ perché conoscevo lei ed il marito.ʺ ʺIl duca ?ʺ ʺIl sedicente duca. Era un signorotto toscano, abbastanza ricco, non non nobile. Sapete, maestro quanti titoli nobiliari può comperare il denaro. Ma nel suo caso non credo possedesse realmente un blasone, pur facendone sfoggio. In ogni caso, era pazzo di Lucrezia.ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺE lei ?ʺ ʺFrivola e mondana alle feste. Galante con i giovani genovesi, ma niente di più. In fondo, lʹamava, intendo il marito. Nessun tradimento e, per dirla tutta, non ho creduto fin da quando venni a sapere delle accuse che lei fosse responsabile della morte. Curioso il fatto del ritratto andato in fumo...ʺ ʺSì, riconobbe il pittore, mentre ritoccava il quadro della bella in posa, è la cosa che maggiormente mi ha lasciato perplesso. Perché quella tela, nellʹatelier di palazzo è bruciata ? E proprio quando era stata pronunciata la sentenza definitiva consistente per lei nella reclusione perpetua tra le monache di clausura. Domande senza risposte.ʺ ʺNon mi diventerete superstizioso, vero maestro. ‐disse ridendo Brigida ‐ Non crederete che cʹentri il maligno. Non voi!ʺ Un sorriso ironico sotto i baffi fu la risposta. ʺTuttavia, abbastanza strano.ʺ ʺUna scintilla da una candela che cosa ha di strano ? ʺ ʺMa avevo riposto il ritratto con estrema cura.ʺ ʺForse, qualche curioso, una serva o un valletto indiscreti, nel riassettare i locali, chissà avrà voluto gettare un sguardo...ʺ ʺSì, sono abbastanza pratico e ragionevole per escludere il sovrannaturale. Vi è però la faccenda dellʹanello.ʺ Raccontò alla dama in che cosa consisteva il mistero della lettera in rosso, quella ʺSʺ composta da rubini nel triangolo di minuscoli diamanti.ʺ Brigida scoppiò a ridere. Lui ci rimase male e chiese: ʺChe significa ?ʺ ʺAh, maestro siete impareggiabile. Gli artisti hanno fantasia. Eʹ innegabile. Lettera S come Satana!ʺ ʺEbbene...ʺ ʺMa suvvia. Il sedicente duca si chiamava Sebastiano. Ecco, così adesso sapete. Forse, bastava chiedere in giro, perché i misteri nei nostri palazzi durano poco, lʹéspace dʹun matin ou dʹune nuit. Poi immancabilmente sappiamo tutto di tutti. Lʹanello a Lucrezia glielo aveva regalato il marito; ne sono sicura per il semplice Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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fatto che fu lei a dirmelo vedendo che io, durante un ricevimento qui in casa nostra, lo ammiravo. Ricordo che mi complimentai per la bellezza del gioiello e così lei mi disse felice: è un dono di Sebastiano. Contento Pier e, soprattutto, finalmente rassicurato ?ʺ ʺQuando i fatti ragionevoli ed accertati vengono alla luce le tenebre dellʹignoranza e, nel mio caso, della superstizione svaniscono. Lo devo a voi e ve ne sono grato, madonna Brigida; mi sento parecchio rassicurato. Quindi, quella poveretta era innocente,naturalmente. Ma tutti i sospetti su di lei nascevano in fondo da assurde credenze come quelle che sorreggono i tribunali degli inquisitori.ʺ ʺPovera, giovane!ʺ ammise Brigida. Dopo qualche minuto di silenzio, mentre dava gli ultimi tocchi alla tela, volle unʹaltra conferma. ʺSapete chi è ?ʺ ʺConosco le sue origini. Mi risulta invece che lei ne fosse allʹoscuro.ʺ ʺDiscendente di un pontefice di origine genovese...ʺ ʺProprio così. Come vi dicevo, tra le mura dei nostri palazzi, anche i segreti meglio custoditi non durano a lungo. A proposito maestro, come chiamerete il mio ritratto ?ʺ ʺPensavo di chiamarlo la dama in bianco. Tanto più che, in questi giorni, sono impegnato nel ritratto di vostra cugina Veronica, la quale indossa un abito in nero...ʺ ʺVeronica sarà, dunque, la dama in nero ed io la dama in bianco.ʺ ʺSe la cosa vi aggrada. Questi potrebbero essere i titoli riservati alle opere. Naturalmente, sia voi che vostra cugina siete state per me modelle pazienti ed ideali. Ve ne sono davvero grato.ʺ Intanto, il tempo passava. Gli artisti fiamminghi erano sempre più apprezzati dalle famiglie della Genova che contava. Era un Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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via vai dalle Fiandre e dal Brabante alla città ligure. Tra quelli di lunga frequentazione genovese: aveva cominciato nel Quattrocento, Hugo van der Goes, e poi ancora Jean Provost, Gerard David, Jan Metsys, Joos Van Cleve. Rubens, vero e proprio caposcuola del barocco, dipingeva le sue tele, gli affreschi, commissionava agli allievi splendidi arazzi e gravures di enorme pregio. Le case illustri si arricchivano di meravigliose tappezzerie.
Era divenuto intimo amico di ʺGioʺ Carlo Doria. Attraverso le sue confidenze, era venuto a sapere il luogo esatto dovʹera stata inviata Lucrezia: in un convento nei pressi di una città del Monferrato. Un monastero di suore di clausura. Lʹanno successivo, moriva per un male misterioso lʹanziano Giulio Pallavicino. Lʹamico artista gli era accanto, premuroso assieme ai suoi allievi. ʺCaro Maestro ‐ gli disse Pallavicino, sul letto di morte ‐ temo che non potrò più posare per voi. Almeno per qualche tempo.ʺ Trattenendo a stento le lacrime, lui rispose: ʺMa cosa dite? Cʹè tutta una galleria di opere a sfondo mitologico che vi aspetta...ʺ ʺMitologico ? In che panni volete raffigurarmi ‐ trovò la forza di scherzare il vecchio gentiluomo ‐ forse in quelli di Nettuno, data la vicinanza del mare!ʺ ʺPensavo a Giove...ʺ ʺEbbene, dovrete trovarvi un altro modello, mio caro, comunque grazie per il pensiero...ʺ Nella camera del moribondo giunse il confessore. Gli venne somministrata lʹestrema unzione. Quella notte stessa,con Rubens ed i tre allievi a fianco, con il medico Giovan Battista, con la servitù pronta ad ogni comando del dottore, il migliore della città, Giulio Pallavicino si spense cristianamente in modo sereno. I funerali furono solenni. Alcuni giorni dopo, giunse a Rubens lʹinvito dellʹamico Doria di trasferirsi con armi e bagagli, tavolozze e pennelli nel suo Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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palazzo. Accettò volentieri in quanto lʹatmosfera di Palazzo Pallavicino, privato della presenza dellʹamico Giulio, lo rattristava. Gli venne riservato un nuovo atelier, inondato di luce per i suoi lavori sempre più frequenti ed importanti. Lui e Van Dyck e gli altri due allievi lavoravano senza soste. Affreschi nelle chiese, arazzi eseguiti dietro i suoi disegni. Trascorsero così gli anni operosi. Dipingeva con molto impegno, anche per cancellare dalla mente lʹimmagine della donna che non aveva mai visto di persona ma i cui tratti gli erano ossessivamente presenti. Alcuni committenti avevano finito per osservare che tra le sue creazioni di soggetti sacri o profani, faceva sempre capolino anche se non in primo piano una figura di donna con i capelli rossi. Venne ritenuta unʹeccentricità da parte del maestro, quasi un dettaglio caratteristico dei suoi lavori, una civetteria dʹartista o una firma come un certificato di autenticità. Lʹavevano notato anche gli allievi, cui egli aveva finito per narrare tutta la storia, senza omettere alcun dettaglio. David Teniers, il più timido, si guardò bene dallʹaffrontare lʹargomento e così pure Jabob, il più sfrontato. Toccò ad Antoine farglielo osservare: ʺPensi ancora a lei, Pier ? Ogni tanto la vediamo spuntare da qualche parte nelle tue opere.ʺ ʺMentre dipingo è come se me la trovassi a fianco e così finisce sulla tavolozza e da lì sulla tela. Eʹ lʹinfluenza di Tiziano Vecellio.ʺ ʺNo. Eʹ lʹinfluenza di Lucrezia!ʺ Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Non ne parlarono più, ma Rubens, da quel giorno fece attenzione a non esagerare e non mise più nei suoi quadri quella presenza misteriosa con i tratti di Lucrezia. Quanto a riuscire a dimenticarla, questa era tutta unʹaltra storia. Riceveva frequenti lettere da conoscenti delle Fiandre, i quali lo tenevano al corrente della situazione politica in divenire nel suo paese. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Vi erano battaglie tra capitani di ventura genovesi, come Federico ed Ambrogio Spinola, che si battevano in nome della Spagna cattolica contro i calvinisti olandesi, capeggiati da Maurizio di Nassau. Rubens, amante della pace, riceveva dalle lettere di suo fratello le notizie sullʹandamento delle sporadiche battaglie legate alle guerre di religione e prolungava il suo soggiorno genovese conteso dalle casate più illustri e dal clero. Ben lieto di stare lontano da quel teatro di guerra che da Ostenda arrivava fino a Dresda e da Namur fino ad Anversa. Solo aveva preoccupazioni per i suoi cari, per la madre Maria, per il fratello e la sorella che sapeva in Olanda. Ma intanto, era conteso dalle massime autorità genovesi, civili ed ecclesiastiche. ʺDevo mostrarvi ‐ disse un giorno lʹarcivescovo Clemente Francesco Pallavicino al pittore, durante uno dei frequenti pranzi cui lʹartista veniva invitato ‐ una preziosa reliquia contenuta nella nostra Cattedrale. La conserviamo in una teca nei sotterranei, in grande segreto. Eʹ troppo importante per essere esposta alla devozione della gente. Viene mostrata ad uomini di riguardo ed a visitatori illustri nella nostra città. Personaggi importanti come voi, caro Maestro.ʺ Rubens apparve lusingato e si rivelò impaziente di compiere la visita al luogo sacro. ʺOggi stesso. Terminato il pranzo, ci recheremo in Cattedrale e potrete ammirare... Beh, lo vedrete.ʺ Giunti in San Lorenzo, il monsignore, lʹartista ed alcuni prelati che li accompagnavano, scesero le scale strette che portavano, attraverso alcune arcate di marmo, giù in una cripta. In una teca, circondata dalle candele accese, un oggetto di color verde, brillava come una gemma preziosa. Era ricoperto di smeraldi. La forma era quella di un esagono e, di fronte alla reliquia, lʹarcivescovo si inginocchiò in preghiera, imitato dai suoi ospiti. Quando si rialzò, anche gli altri si rialzarono facendosi il segno di croce. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺSapete di che cosa si tratta ? ʺ chiese il prelato, rivolto a Rubens. ʺNo. Davvero non saprei dire...ʺ rispose confuso, ritenendo che la sua ignoranza in materia di sacre reliquie lo ponesse in cattiva luce. ʺEʹ un oggetto segreto e prezioso. Certo, non esposto al culto, come vi dicevo. Eʹ custodito con la massima cura e, sicuramente, lo merita. Si tratta del Sacro Catino, portato qui, nella nostra città, da Guglielmo Embriaco, detto Caput mallei , Testa di maglio, e prelevato a Cesarea, dai crociati di Goffredo di Buglione, un vostro conterraneo, vero maestro.ʺ ʺSì, un duca vallone della cittadina di Bouillon, Godefroit, certo il Crociato! E questa sacra reliquia è, dunque, il Sacro Graal, la coppa nella quale Nostro Signore bevve, durante lʹultima Cena ?ʺ ʺBeh, non arrischiamoci a definirlo il Sacro Graal. Certo, vi sono molte interpretazioni. Posso citarvi, caro Maestro alcune curiosità , chiamiamole così, legate a questʹoggetto meraviglioso. Nicolò della Porta nel Quattrocento, nella sua Historia translationis reliquiarum Beati Iohannis Baptiste ad civitatem Janue, alludendo, quindi, alla traslazione delle ceneri del Battista nella nostra Genova, riferisce di una scodella di smeraldo destinata a contenerle. Mi risulta che di essa parla il grande poeta Francesco Petrarca, il quale la vide e la ammirò passando per Genova diretto ad Avignone. Ma vi sono anche leggende, beninteso, come quella che un grande smeraldo sarebbe, addirittura, sfuggito dalle mani di Satana e con quella materia si sarebbe realizzato il sacro catino. Un mio parente, il gesuita Matteo Pallavicino, attirava la mia attenzione sul fatto che già Marco Polo nel libro dettato al pisano Rustichello, nelle carceri di Genova, Les livres des merveilles ,poi conosciuto come,ʺIl Milioneʺ, parlava di una scodella di color verde, esattamente di porfido verde che sarebbe appartenuta a Buddha Sakyamuni. Una reliquia che si sarebbe trovata a Ceylon e che il Gran Khan Kublai, imperatore cinese buddhista, avrebbe dato ordine di recuperare. Ma per i musulmani, lo stesso oggetto sarebbe stata invece la scodella di Adamo, rifugiatosi nellʹisola di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Ceylon dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. Per gli ebrei, si sarebbe invece trattato della scodella di Abramo o quella di Mosé. Il profeta vi avrebbe raccolto la manna caduta dal cielo durante la traversata del deserto.ʺ ʺDunque, sono un osservatore privilegiato. Il sacro catino che mi state mostrando potrebbe appartenere a diverse religioni. Una sorta di ecumenismo degli oggetti sacri, per così dire. “ Eʹ una bellissima reliquia, nevvero. Quel che è sicuro riguarda caput mallei, cioé il crociato genovese, Guglielmo Embriaco. Fu lui ad entrarne in possesso a Cesarea. Badate: può anche averla semplicemente acquistata ai musulmani e poi donata alla sua città. Era un cittadino eminente che ricoprì importanti cariche pubbliche. ʺ Ah, ma vi furono altri visitatori illustri, sapete, che poterono ammirarla, come vedo state ammirando voi, caro amico.ʺ ʺDavvero una bella opera...ʺ disse il pittore, notando che vi era un foro nel piatto di smeraldo. Non poté fare a meno di pensare agli occhi di Lucrezia. Lʹarcivescovo, intanto, appariva compiaciuto: ʺAnche Luigi XIII di Francia, durante una sua visita a Genova, volle ammirare i tesori della nostra Cattedrale, sapete. Il suo biografo, Jean dʹ Aurton, lʹaccompagnava durante il soggiorno e gli era vicino anche in quella occasione. Scrisse poi, riferendosi alla reliquia, che ʺsi trattava di unʹ opera creata più per miracolo che dalle mani dʹuomo. Il secolo scorso, fu nella nostra città, anche il cardinale Luigi dʹAragona che molto lʹapprezzò...ʺ ʺBeh, sì.‐ammise lʹartista ‐ è davvero un prezioso manufatto e quellʹurna, immagino, contenga le sacre ceneri di San Giovanni il Battista.ʺ ʺCertamente, maestro.ʺ rispose lʹalto prelato, cui non era sfuggita la sfumatura ironica nel rilievo dellʹospite. ʺDitemi la verità, maestro, siete leggermente scettico, nevvero. Parlate pure senza timore...Mi sembra che persino alcuni padri della Chiesa, in fondo, chiedessero devozione e rispetto per le reliquie, ma non venerazione per non cadere in una sorta di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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idolatria pagana.ʺ ʺEbbene ‐ rispose lʹinterpellato ‐ non è un mistero per nessuno che mio padre, Jan, fosse un calvinista convinto. Quando io ero ancora un ragazzo, pochi anni prima che morisse, a Siegen, mi spiegava che Calvino condannava ‐come Lutero ‐ oltre al traffico delle indulgenze, quel commercio che veniva fatto attorno ai Santi ed alle loro reliquie...ʺ ʺGià , disse pensieroso e molto deluso lʹarcivescovo ‐ sono le tesi dei protestanti; spero non vorrete condividerle...ʺ ʺNo, di certo. Tuttavia, ho potuto notare durante la mia visita romana, che effettivamente esistevano dei doppioni di ossa di Santi e di Beati. Vi saranno state nelle chiese, almeno sei tibie di San Luca, tre teschi di San Giovanni, per non parlare dei veli della Madonna e delle trecce della Maddalena e dei legni della Croce. Come diceva quel miscredente di mio padre, con i legni della croce ci si potrebbe riempire una nave...ʺ ʺInfatti, è una frase di Calvino.ʺ ammise con amarezza lʹarcivescovo. Poi, con il tatto diplomatico degli alti prelati suggerì: ʺVi interesserà visitare il complesso architettonico della nostra Cattedrale.ʺ ʺLʹho già molto ammirata. Ma se potessi vederla da certe angolazioni interne...ʺ ʺCertamente, venite maestro, nei luoghi dove è consentito solo lʹaccesso a noi uomini di culto, San Lorenzo offre prospettive inimmaginabili.ʺ Le statue e lʹarchitettura dellʹinsieme spostarono così il discorso scottante dalle reliquie ai capolavori artistici e lʹarcivescovo ritrovò il sorriso e lʹorgoglio dellʹanfitrione che poteva mostrare i suoi tesori al grande artista fiammingo. UN CONVENTO NEL MONFERRATO
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Il monastero si ergeva su una sorta di altopiano, ed era raggiungibile percorrendo una stradina in salita, piena di sassi, piuttosto accidentata. La carrozza con le tendine chiuse aveva fatto sobbalzare parecchio la sua unica passeggera ed il padre guardiano dei domenicani che la teneva dʹocchio. Lucrezia aveva scorto attraverso uno spiraglio delle tende nere onde di luce che rischiaravano i vitigni della zona. Era tempo di vendemmia ed i contadini si piegavano sui filari dellʹuva, in silenzio in un lavoro estenuante ma che dava loro la gratificazione del raccolto. Si spalancò la porta del convento. La novizia venne aiutata a scendere e le si fecero incontro due religiose che la presero in consegna. Dopo una breve sosta il domenicano ed il cocchiere sarebbero ripartiti alla volta di Genova. Lei sarebbe rimasta. Venne scortata nel refettorio dove la raggiunse Suor Caterina, la madre badessa. “Fatto buon viaggio, sorella Lucrezia ?” “Se così si può dire...” “Certo, dobbiamo sapere che le strade del Signore sono erte e lastricate di sacrifici; ma esse, attraverso lʹamore divino, possono condurre alla gioia terrena in attesa dellʹeterna beatitudine.” La novizia non rispose nulla. Sapeva soltanto di dover prendere i voti. Quanto alla tonsura era già avvenuta. Avrebbe dovuto scegliersi un nome abbandonando quello della vita mondana che le era stato imposto al battesimo. Pensò alla Celestina, la sua governante che le aveva fatto da madre e, alla morte, le aveva lasciato un grande vuoto nellʹanimo. . Perché no ? Si sarebbe chiamata suor Celestina. Il volto della madre superiora era ascetico ed affilato quasi smunto. Aveva nello sguardo unʹespressione malinconica e mite, dimostrava comprensione per la sventurata di fronte a lei e, Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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conoscendone la storia recente, sembrava condividere, con quella tristezza sul viso, il dolore per quanto le era accaduto. Lucrezia si era adeguata allʹambiente. Con fare umile ed ostentata modestia, mettendoci parecchio impegno e volontà, si era calata nella parte della reproba pentita. Sapeva, però , di non avere colpe per ciò che era accaduto al suo sposo. Già, quel che era accaduto... Provava sentimenti contrastanti, ambivalenti, la pervadeva come un sentimento di missione compiuta, dovere sacro portato a termine. Nessun, senso di colpevolezza. Questa coscienza netta e monda dai peccati immaginari di cui lʹaveva accusata quellʹInquisitore nominato dal SantʹUffizio, le faceva balenare nello sguardo lampi di ribellione al suo destino immeritato, che non sfuggivano alla sua superiora, profonda conoscitrice dellʹanimo umano, soprattutto di quello femminile. Lʹinterpretazione della peccatrice pentita – pensava invece Lucrezia – devʹessere convincente, perché ascoltava le parole della madre badessa con compunzione. La religiosa a capo dellʹabbazia aveva deciso di stare al gioco della giovane. Aveva intuito il suo carattere impetuoso, la sensualità dirompente, ma contenuta con sforzo, lʹaccettazione solo apparente, e forse temporanea, di un destino crudele. Le mormorò per qualche tempo ‐ alla novizia sembrò unʹeternità ‐ un pacato sermone sulle virtù della vita monastica ; sui doveri delle religiose e, più in generale, dei bravi cattolici nella lotta contro il Male. Lucrezia ascoltava con gli occhi abbassati e con atteggiamento modesto ed umile come si conveniva ad una suora. Quando la badessa Caterina tacque, pensò di dover rispondere qualche frase di circostanza a sua volta. Con voce resa leggermente roca dallʹemozione , ammise di aver commesso parecchi sbagli nella sua ancor giovane vita. “Adesso – aggiunse – sono davvero pentita; mi sono ravveduta e sono ansiosa di porre rimedio agli errori, con il vostro insegnamento e con lʹaiuto del nostro Salvatore se entrambi Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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vorrete concedermelo.” Sollevò lo sguardo e incontrò quello della religiosa sorridente e comprensiva. “Dite piuttosto che siete ancora convinta – rispose quella – di aver subito un torto atroce. Eʹ troppo presto per considerarvi una pecorella smarrita che torna allʹovile. Credo proprio che vi abbiano accusato ingiustamente. I vostri occhi, cara sorella, non mentono. Avete lo sguardo di unʹinnocente pronta a subire ma contro la propria volontà. Vi capisco. Una colpevole sarebbe ben lieta di esserne uscita, diciamo così, a buon mercato. Non mi sembra il vostro caso. Avete il fuoco dellʹinnocenza che cova sotto la cenere della pena.” La cella cui la novizia era destinata apparve più confortevole di quanto ella si fosse immaginata. Lucrezia non ci mise molto a scoprire che quellʹagio era dovuto alle generose donazioni dei genovesi che avevano deciso di proteggerla trattandosi di una discendente di Innocenzo VIII. Si trattava di una stanza piccola ma non angusta, arredata con un letto dal materasso abbastanza comodo, un inginocchiatoio, un armadietto, un cassettone ed uno scrittoio. Era abituata a ben altri alloggi, ma volle celare il relativo disappunto accettando quel che passava il convento. La madre badessa era entrata assieme a lei e non pareva intenzionata ad andarsene. “Spero, Lucrezia, ti troverai bene qui con noi” disse. La nobildonna condannata alla clausura perpetua non fece commenti. Aveva voglia di piangere, ma non di darlo a vedere. “Siete gentile, madre, ma perdonatemi se vi sembro scortese. Vorrei raccogliermi dedicandomi alla preghiera.” Con la mano accarezzò lʹinginocchiatoio come se fosse ansiosa di usarlo. La superiora annuì, mentre il suo sguardo incuriosito indugiava sul corpo della donna accusata di stregoneria. Era affascinante, opera del buon Dio oppure del demonio che fosse. Indugiò ancora qualche istante. Non sembrava convinta delle reali Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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intenzioni della nuova arrivata, ma alla fine decise di crederle e annuì nuovamente, comprensiva, come se intuisse le sue necessità spirituali di raccogliersi in preghiera e di cominciare una salvifica penitenza. MARIA DE MEDICI , REGINA DI FRANCIA Vincenzo Gonzaga si recava spesso dalla sua città, Mantova, a trovare i conoscenti genovesi, come i Grimaldi , i Doria, gli Spinola, i Pallavicino, i Brignole e tanti altri.
Aveva commissionato diversi dipinti al pittore fiammingo di cui apprezzava lʹarte, lʹineguagliabile tecnica, i valori cromatici di dipinti capolavori assoluti. Durante uno di questi viaggi aveva convocato lʹartista fiammingo in sua presenza, per assegnargli un incarico ben preciso. Di grande responsabilità e prestigio.
Dovrò scortare – disse il granduca mantovano – dalla sua natale Firenze, Maria del Medici a Marsiglia dove ad attenderla con tutta la sua corte, Enrico IV re di Francia per condurla a Parigi dove avverrà il matrimonio regale.
Voi, mio caro amico, dovrete fare parte del seguito di nobili e di paggi incaricati di scortare Maria sullʹimbarcazione. Avrete il compito, mio caro Pier, di immortalare sulla tela quellʹincontro tra i promessi sposi. Vi offro, sì o no, unʹoccasione per legare il vostro nome di grande maestro ad un avvenimento storico ?”
Rubens aveva ascoltato a bocca aperta e con unʹespressione di grande riconoscenza sul viso. Il munifico Gonzaga, le cui finanze – era noto – non erano neppure poi tanto floride, dimostrava sempre nei suoi confronti parecchia generosità.
Aveva motivo lʹartista per rallegrarsi della sua bravura. Devo tutto allʹabilità delle mie mani – pensava – ma devo riconoscere che lʹamicizia con personaggi così altolocati aiuta ed ha il suo Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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peso.
Lʹofferta di Vincenzo I Gonzaga, certamente, non era discutibile. Quando dovremo partire e da dove ?” chiese al duca.
Naturalmente da Firenze. Poi il corteo nuziale di Maria potrà imbarcarsi...”
gQui a Genova ?” chiese Rubens.
No, si è scelto Livorno. Maria Medici ha scelto così. Dal porto toscano arriveremo a Marsiglia. Naturalmente, ho avvertito della cosa le grandi famiglie genovesi, le quali sulle navi imbandierate a festa potranno accompagnare le imbarcazioni toscane per un bel tratto di mare quando da Livorno passeremo lungo la costa ligure per recarci a Marsiglia.”
gVi sono estremamente grato del favore che mi fate.” replicò lʹartista.
Siatene degno.”
gPotete esserne certo, vostra Grazia.”
I due presero accordi per il viaggio verso la città di Marsiglia.
Fu durante quella traversata che Rubens avvicinando la futura regina per fare degli schizzi del suo volto delicato in preparazione della grande tela raffigurante, a bordo della nave, il suo incontro con Enrico IV nel grande porto della Francia del Midi, divenne amico di Maria del grande casato fiorentino. Quando parlava alla Medici, il pittore non poteva fare a meno di pensare a quella discendente di Innocenzo VIII, alla dama genovese dai capelli rossi. Ravvisava nei lineamenti della futura sovrana di Francia una certa somiglianza con il ritratto di Lucrezia. Per forza di cose – si diceva – Franceschetto, il figlio del Papa Cybo aveva sposato una Medici e, quindi, vi è un legame di parentela tra questa principessa toscana destinata al regno e quella disgraziata donna che era invece destinata alla clausura perpetua , essendo sfuggita al boia, grazie allʹintervento delle famiglie genovesi ed un poʹ anche alla mia azione personale”.
Il viaggio in nave venne salutato al largo di Genova da caracche e galeoni battenti la bandiera della Repubblica. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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I più bei nomi dellʹaristocrazia genovese vollero essere presenti sulle navi che finirono per scortare sino al porto di Marsiglia colei che doveva regnare a Parigi.
Così una flotta ligure e toscana condusse Maria alla sua destinazione, dove lʹattendeva , circondato da uno stuolo di cortigiani, di armigeri, di damigelle dʹonore , il sovrano di Francia.
I meravigliosi colori del pittore di Anversa hanno consegnato alla storia quella cerimonia, dove una sorridente Maria porge la mano al futuro sposo per lʹinizio di un regno che avrà avvenimenti burrascosi e drammatici e sarà punteggiato anche da dissapori tra re e regina.
Questʹultima si sentirà ben presto trascurata da un re gaudente e galante che non esiterà a sfoggiare anche in sua presenza avvenenti favorite al suo fianco.
In questa regale vicenda, Rubens era destinato ad entrare in qualche modo, poiché la sua amicizia nei confronti di Maria di Francia si consoliderà negli anni, ponendo il pittore non solo sul piedistallo della fama e della gloria ma anche su quello dellʹamicizia privilegiata e destinata a durare una vita.
Dopo quel viaggio a Marsiglia, con la prima opera realmente storica realizzata da Rubens, il suo protettore Vincenzo Gonzaga aveva ancora favori da chiedere allʹartista. Voleva ingraziarsi, il duca mantovano, un re. Filippo II di Spagna. Era disposto, il Gonzaga , a mettere a disposizione della Spagna i suoi armigeri per le guerre di religione dei cattolici nei Paesi Bassi. La verità pura e semplice era che Vincenzo aveva bisogno di accrescere gli introiti del suo ducato e lʹappoggio finanziario della Spagna gli sarebbe servito a completare i frequenti prestiti che doveva sollecitare sempre più spesso agli amici banchieri genovesi. Con il pagamento di interessi non indifferenti: da qui la progressiva emorragia delle casse granducali.
Tornati in Toscana, nel porto di Livorno, Gonzaga decise di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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affrontare lʹargomento con lʹamico pittore. Pier Paolo ho un favore da chiedervi e sono sicuro che non vorrete rifiutare ad un amico quale io sono ciò che adesso vi presenterò come una richiesta piuttosto urgente. Non vorrete disattendere, immagino, le mie ferventi aspettative. ”
“Sono a vostra disposizione, vostra signoria...” Ebbene, siccome mi è noto che il re di Spagna adora i cavalli nani, ho diverse coppie di questi cavallini imbarcati su un vascello qui a Livorno. Naturalmente, ho altri doni che desidero inviare al sovrano spagnolo. Posso affidarvi lʹincarico di scortare questi beni fino alla corte dellʹEscorial ?”
Non lo dette a vedere, ma rimase piuttosto sconcertato di fronte ad una simile richiesta. Da artista di corte a messaggero del duca. Dopotutto, il Gonzaga lʹaveva favorito, richiedendo i suoi servizi da quando si era presentato alla corte mantovana. Eppoi, aveva avuto lʹaccortezza di rivolgersi ai Granduchi Alberto ed Isabella per chiedere loro il permesso di avvalersi dei servizi di Rubens. Ormai, questo permesso era stato accordato; insomma, doveva pure qualche cosa a Vincenzo pur sempre un mecenate anche se – almeno negli ultimi tempi – un poʹ in affanno dal punto di vista delle finanze pubbliche.
Una ragione di più per non dirgli di no.
Se aveva bisogno dei quattrini della corona di Spagna, sotto forma di ingaggi militari per i suoi capitani di ventura, lui gli avrebbe dato una mano non fosse altro per non mostrarsi un ingrato. Il pittore inviò un messo alla famiglia Doria per giustificare la sua perdurante lontananza da Genova e dal palazzo in cui era ospitato e accetto di compiere il viaggio in Spagna per conto del Gonzaga e di portare i suoi doni e le richieste a Filippo. Fu una missione piuttosto noiosa e monotona. Durò molti mesi. Permise allʹartista di fare numerose conoscenza alla corte e, dati i legami, tra il Palazzo dellʹEscorial ed i Paesi Bassi, dei Granduchi Alberto ed dellʹInfanta Isabella, i reggenti di Filippo di Spagna, la missione gli giovò enormemente. Anche se non Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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seppe mai, Rubens, se i doni di Vincenzo Gonzaga sortirono lʹeffetto di far accettare agli spagnoli la collaborazione militare dei mantovani.
In compenso, la Spagna si avvaleva dei servizi bellici di due valorosi condottieri genovesi: i fratelli Spinola, Federico ed Ambrogio. Tornato nella città ligure, notò con piacere che Van Dyck, in sua assenza, si era fatto apprezzare esattamente quanto lui dalle illustri famiglie. La Chiesa gli aveva commissionato parecchi lavori. Insomma, lʹamico ed allievo più promettente e geniale era sulla cresta dellʹonda.
Tanto meglio per lui, pensò Pier Paolo.
Erano nati nella stessa città, ma Van Dyck era parecchio più giovane. Con lo sguardo dellʹintenditore Rubens aveva compreso ben presto che avrebbe avuto in Antoine un alter ego. Era di carattere molto affabile, Van Dyck, sensibilissimo e devoto al suo maestro che ammirava senza riserve. I due fiamminghi prediligevano la città di Genova ed il soggiorno dellʹallievo sulle sponde del Mar Ligure durerà anche più di quello del maestro.
Non vi era alcun dubbio che i due pittori si equivalevano in tutto e per tutto. Van Dyck era nato anchʹegli ad Anversa, il 22 marzo dellʹanno del Signore 1599. Era, dunque, più giovane del suo mentore. Figlio di un ricco mercante di sete pregiate dʹOriente (appartenente alla Compagnia delle Indie fondata dagli olandesi calvinisti), Antoine si era mostrato, fin dalla primissima infanzia un sicuro e precoce talento. Aveva richiamato lʹattenzione dei suo insegnanti di disegno e questi ultimi lo avevano segnalato a Rubens, capo della Gilda della città fiamminga. Aveva avuto così inizio la loro collaborazione che doveva durare per tutta una vita , con gli episodi salienti del loro viaggio in Italia. Entrambi avranno anche contatti importanti con la corte britannica. Anzi, per Van Dyck, la città di Londra diverrà davvero importante. Finirà infatti per stabilirsi sulle sponde del Tamigi. Verrà Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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nominato cavaliere e pittore ufficiale di corte da Re Carlo I Sposerà Mary Ruthven, damigella della Regina. Ma le sue condizioni di salute peggioreranno e morirà proprio nello stesso giorno del battesimo della figlia Giustiniana. IL RITORNO AD ANVERSA
Rubens sarebbe, forse, rimasto ancora più a lungo a Genova, ma il soggiorno prolungatosi per quasi quattro anni volgeva,invece, al termine per le notizie dolorose che gli giunsero da Anversa, contenute in una missiva inviatagli dal fratello Filippo.
Sua madre, Maria Pipelinckx, stava morendo. Lo disse, con un groppo in gola ai tre amici, i quali si prodigarono nelle consolazioni. ʺSpero di giungere in tempo per abbracciarla ancora una volta.ʺ esclamò, con le lacrime agli occhi. Tutti e quattro si preparavano al lungo viaggio, a cavallo, attraverso la via Franchigena, la via del pellegrini. Certamente, non si attendevano un viaggio né breve, né comodo. Anche se, sul percorso dei pellegrini che portava nel Nord Europa sorgevano parecchi punti prestabiliti dʹaccoglienza, presso monasteri e anche in luoghi dove i gestori erano laici. Il passaggio più difficile erano, naturalmente, le Alpi, e solitamente si attraversavano i valichi a dorso di mulo, possibilmente nel mese dʹagosto subito dopo la mietitura. In modo che i raccolti potessero dare ai mulini farina e pane in abbondanza per tutti i viaggiatori. Il commiato dalle famiglie genovesi fu breve ma caloroso. Rubens, però, invitò Van Dyck a rimanere presso gli Spinola Doria. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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“Antoine – gli disse – mi rallegro del fatto che sei particolarmente apprezzato in questa nobile città. Devi portare avanti i lavori che hai intrapreso. Il doge ti stima in modo particolare. Non vedo che fretta ci sia per te di ritornare. Hai ancora diversi lavori in sospeso, non è così ?” Van Dyck ammise che non aveva pensato di rientrare in patria così presto e che effettivamente, nelle chiese della Superba vi erano opere che attendevano di essere portate a termine. “ “Rimani, dunque. Non vi è davvero motivo perché tu faccia altrimenti. Ci rivedremo ad Anversa. Partirò con David e Jacob.” “Una bella scorta!” cercò di sorridere Van Dyck per nascondere un groppo in gola. Anche Pier sorrise mestamente. “Spero di trovarla in vita.” aggiunse “Te lo auguro con tutto il cuore” esclamò Van Dyck trattenendo a stento le lacrime. Tutti gli fecero auguri per la salute di sua madre. Lui e i due allievi ricevettero doni anche di grande valore che vennero riposti con estrema cura nelle bisacche da viaggio, assieme ad alcuni generi alimentari. Ed eccoli, in cammino, nella val Polcevera, nel percorso del Bisagno, sulla strada degli Appennini in direzione di Novi Ligure coi suoi castelli che prima della persecuzione scatenata dal re di Francia, Filippo il Bello, contro il Tempio, erano state magioni dei cavalieri templari. ʺFiglioli, se cʹè la fatta quel gran topo da biblioteca del nostro conterraneo Erasmo da Rotterdam, possiamo farcela benissimo noi. Coraggio!ʺ disse Pier ai suoi allievi che cavalcavano silenziosi ed assorti. ʺPer farcela ce la facciamo ‐ sogghignò Jacob ‐ tuttavia allʹandata rimasi per due settimane con il sedere dolorante e le ossa rotte.ʺ ʺNon cominciare con le lagne!ʺ ‐intimò ‐ sai benissimo che un viaggio a cavallo non è più faticoso che stare per ore intere a dipingere col collo storto la volta del un soffitto di una chiesa. Pensa al povero Michelangelo nella Sistina!ʺ Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ʺ Eʹ vero che di aiutanti ne aveva ‐ aggiunse ‐ meno male che io ho voi due!ʺ ʺGuardate che poteva andarci peggio. Anziché un buon puledro, poteva toccarci un asino, o peggio, la cavalcatura dei pellegrini, cioè il bastone per sorreggersi quando i piedi e le gambe non ce la fanno più.” Tralasciando tutti i particolari del lungo viaggio,compiuto in una comoda carrozza, a partire dalla Savoia, ecco apparire le pianure della Borgogna, il Brabante, ed infine la Schelda. Ecco la turrita Anversa. Finalmente, a casa! Il pittore poté riabbracciare il fratello e la sorella che era accorsa ad Anversa da Amsterdam , dove risiedeva col marito, un mercante anseatico. Maria Pypelinck li aveva lasciati. Non poté dare alla madre lʹestremo saluto. Fu una tomba quella che Pier si trovò di fronte, su cui portò dei fiori appena raccolti, e si inginocchio in preghiera. Poi, lui , il fratello, la sorella ed i suoi allievi che avevano voluto accompagnarlo nel mesto pellegrinaggio al cimitero, tornarono tutti alle loro dimore. Per qualche tempo, avrebbe condiviso con il fratello la casa materna. Ma aveva già deciso. Aveva guadagnato denari sufficienti, in Italia, per farsi erigere una bella e grande dimora. In stile italico, aveva pensato, con la mente rivolta ai palazzi genovesi. Ritrovava così i luoghi familiari della sua giovinezza. ʺAnversa deve la Schelda a Dio e, per il resto, lo deve alla Schelda...ʺ : era questo il detto popolare con il quale i cittadini del porto fluviale definivano con orgoglio la città, la cui importanza aveva finito per far considerare i Paesi Bassi una sua periferia. Carlo V, prima della sua abdicazione avvenuta a Bruxelles, lʹaveva arricchita di splendidi monumenti. Lʹimperatore del Sacro romano impero, nativo di Gand (era figlio di Giovanna la Pazza e di Filippo il Bello), prediligeva Anversa. Era ormai lʹepoca in cui gli Arciduchi avevano assunto al potere nei Paesi Bassi spagnoli, Alberto dʹAustria e lʹInfanta Isabella, la Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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figlia prediletta di Filippo II di Spagna. Questʹultimo aveva designato Isabella ed il cugino, anchʹegli cresciuto a corte, che erano novelli sposi, come reggenti dei Paesi Bassi spagnoli e della Franca Contea. Il loro stratega marittimo era il genovese Ambrogio Spinola, che assieme ad uno dei fratelli, Federico, aveva offerto i suoi servigi alla Spagna cattolica per affrontare le truppe di Maurizio di Nassau, figlio di Guglielmo il Taciturno. Lo Spinola era a conoscenza del fatto che Rubens aveva soggiornato a Genova ed era divenuto amico delle più importanti famiglie della sua città. Lui, in compenso, era divenuto il riferimento di strategia militare per lʹarciduca Alberto. Aveva assediato la città di Ostenda, costringendola alla resa, dopo furiose battaglie. Così come aveva costretto alla resa Maurizio di Nassau a Breda. Era stata firmata una pace con le Province Unite. Dodici anni di tregua garantita. Alla corte arciducale di Bruxelles, i due personaggi ‐ Pier Paolo Rubens e Ambrogio Spinola ‐ erano divenuti così famosi ed influenti ‐ciascuno nel proprio campo ‐ da essere considerati i membri più autorevoli del gran consiglio vicino ad Alberto dʹAustria ed allʹInfanta Isabella. Lʹinfanta Isabella fu per i cattolici della Controriforma una protettrice unica. Era di una devozione assoluta. La sua vita trascorreva al Palazzo del Coudenberg dove era un via vai continuo di ecclesiastici. Non vi era processione alla quale Isabella non fosse presente. Aveva riempito Bruxelles di conventi e di monasteri. Un quadro famoso la ritraeva mentre alla testa di una processione si recava a Laeken. Ma tutto ciò era stato preceduto dalle guerre di religione. La grande tragedia nella storia dei Paesi Bassi prendeva inizio dopo lʹabdicazione di Carlo V, avvenuta nello stesso palazzo del Coudenberg. Era il 22 ottobre dellʹanno di grazia 1555, un venerdì, quando un imperatore precocemente invecchiato, curvo e stanco, si presentò di primo pomeriggio davanti agli Stati generali, ai cavalieri della Toison dʹOr ed ai membri dei consigli Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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collaterali. Il momento solenne dellʹabdicazione era seguita fuori sulla piazza da un migliaio di persone. Era affiancato, Carlo V, dal figlio Filippo, dal grande palafreniere Boussu, da Emanuele Filiberto di Savoia e dal giovanissimo Guglielmo dʹOrange. Malato ed infermo, lʹimperatore procedette alla cerimonia della sua abdicazione. Saliva al trono il figlio Filippo. Le parche tessevano le nere fila del destino ai danni delle popolazioni di quelle contrade che stavano per precipitare nelle guerre di religione. Ritiratosi dalla scena politica europea Carlo V, il luteranesimo si era riorganizzato, rinforzandosi in Germania, con le concessioni fatte dalla dieta di Augsbourg. Era concesso ai principi ed alle città la scelta della religione professata dai sudditi ( cujus regio, ejus religio) . I Paesi Bassi spagnoli, per loro disgrazia, avevano attirato diverse forme di protestantesimo. Anversa, la città dei Rubens, definita la Ginevra del Nord in onore di Calvino, aveva trovato molti adepti del calvinismo. Le persecuzioni avevano eliminato luterani e anabattisti, a profitto apparente dei calvinisti. Ma non doveva durare. Il pastore Guy de Bray aveva dato alle chiese calviniste una confessione di fede detta Confessio Belgica. Ma Filippo II di Spagna rifiutò di riconoscerla. Ne seguì una rivolta di sette province del Nord raggruppate attorno alla famiglia degli Orange‐Nassau. Da qui le lotte tra i calvinisti olandesi e gli spagnoli. Bisognava tener conto di ciò che era accaduto durante quegli otto anni trascorsi da Pier Paolo in Italia, nei Paesi Bassi. Furono avvenimenti che, forse, spiegano la sua ansia di pacifista di allontanarsi dal suo paese. Era un artista e detestava la guerra. Amava ardentemente la pace. Ciò era noto alla corte degli Arciduchi, Isabella ed Alberto. Ma la cosa non sfuggirà ad un grande condottiero , il conquistatore delle piazze, colui che aveva portato vittoriosamente a termine lʹassedio di Dresda e poi quello di Ostenda: Ambrogio Spinola. Sarà lui a proporre alla Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Infanta Isabella di far nominare da Alberto, Rubens, come ambasciatore di pace tra la Spagna e lʹInghilterra. Vi era già stata la vittoria della flotta inglese di Elisabetta I ‐capitanata da Francis Dracke ‐sullʹ Invincible Armada. Filippo II ‐ chiuso nel castello dellʹEscorial ‐ aveva meditato piani di rivincita. Era stato uno Spinola, capitano di ventura, fiero hidalgo, Ferdinando, il fratello di Ambrogio, a proporre al re di Spagna addirittura uno sbarco di sorpresa sul suolo britannico. Ma i progetti non si erano realizzati. Il potere di Elisabetta I si era rafforzato dopo che suo padre Enrico VIII, campione della riforma protestante, aveva consumato la rottura con Roma. Ferdinando Spinola era caduto durante una battaglia navale. Ambrogio, alcuni anni più tardi, anche per vendicarlo aveva radunato un vero e proprio esercito in Italia, con il quale si era lanciato attraverso lʹEuropa sui Paesi Bassi per strappare a Maurizio di Nassau, le roccaforti marittime e terrestri. Fino ad una completa vittoria che aveva ridato ai cattolici la supremazia alla corte di Bruxelles sui Paesi Bassi spagnoli. Gli Arciduchi, Isabella ed Alberto, protettori del grande pittore vollero commissionargli una serie di dipinti che egli poté intitolare “Il trionfo della Chiesa”. Nel palazzo del Coudenberg. Era ormai divenuto ricco e famoso. Incontrò colei che doveva divenire la sua sposa, nella sua città durante una passeggiata. Isabella Brant era una dama affascinante, figlia di uno dei borgomastri fiamminghi di un piccolo paese vicino alla grande città porto sulla Schelda. Poi entrato a far parte nel gran consiglio del borgomastro di Anversa. Fu nelle vicinanze del castello dello Steen sui bordi del fiume che il primo incontro avvenne. Quasi come Dante e Beatrice. Il poeta fiorentino aveva visto colei che doveva essere la sua Musa lungo le fiancate dei ponti sul Lungarno. Ma non le parlò. Beatrice era maritata.
Rubens, invece, fece sfoggio di tutta la sua eloquenza per sedurre quella creatura di sogno, ammantata in una veste celestina, con un ampio ed aderente corpetto che lasciava intravvedere un seno Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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particolarmente prosperoso e ben modellato. Lei era nubile. Aveva dei lunghi capelli tizianeschi, il colore preferito dal pittore. Una certa seppur vaga somiglianza con quel ritratto, almeno nei contorni generali della figura, nella tinta del viso di un roseo avorio. Lei, Isabella, gli sorrise. Passeggiava, accompagnata da colei che doveva essere la sua governante, unʹaustera matrona dal volto severo. Pier Paolo si affrettò a raccogliere il fazzoletto ricamato con i merletti di Bruges che era caduto, forse non del tutto in modo casuale alla bella dama. Il lungo‐ Schelda era spazzato dai venti del largo, ma lui fu rapido nellʹacciuffare il fazzoletto ed a porgerlo con un inchino alla dama. Il luogo non era poi così romantico. Lo Steen , più che un castello vero e proprio era una fortezza con solide torrette e le radici piantate in quello che doveva essere, alla fondazione della città sulle rive del porto fluviale , il castrum romano.
“Siete di Anversa, gentile signora ? Chiese compitamente, mostrandosi galante anche con la accompagnatrice e riservandole un baciamano ostentato. “Certamente. Mio padre, Rodolfo Brant, fa parte del consiglio del borgomastro...Io vi conosco di fama, maestro.” Essere riconosciuto perché personaggio famoso gli faceva un certo piacere, ma ciò aveva i suoi inconvenienti perché in un attacco di cavalleria la notorietà può essere dʹimpaccio alla passione e la fama ed il nome certo si accordano poco con quel velato tono di sensualità che un corteggiatore deve per forza di cose assumere nellʹassalto, fin dai primi approcci. La fama, invece, rischiava di costringerlo ad assumere un atteggiamento più compassato, a spostare le schermaglie amorose ad un poco adatto clima freddo, irrigidito e formale come si conviene ad un uomo pubblico. Per fortuna agli artisti è consentita una certa licenza poetica. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Noto o non noto, Rubens assunse subito un atteggiamento volutamente più intimo. La fortezza , nelle brume mattutine, riservava un aspetto piuttosto sinistro anche quello poco adatto agli incontri amorosi. Per fortuna, lʹaria marina suggeriva evasioni ed il soffio particolarmente forte del vento faceva ondeggiare le vesti di Isabella in modo eloquente. Fu facile porgerle il braccio e relegare un poco in secondo piano la figura ingombrante dellʹaccompagnatrice. Il discorso si spostò sui gusti reciproci. “Amo la campagna pur non disdegnando questa meravigliosa vita cittadina.” disse , rivolto ad Isabella, aggiungendo un improvvisamente familiare ʹe tu ?ʹ Cosa che gli venne tanto più spontanea in quanto il popolo fiammingo ha sempre incontrato difficoltà particolari a pronunciate il “vous” della lingua francese, limitandosi ad un “tu” anche verso gli estranei, caratteristica delle lingue anglosassoni. Ma la nobiltà parlava in francese e Rubens poi era poliglotta (francese, tedesco, italiano, spagnolo, latino). Ma per amoreggiare preferiva decisamente la sua parlata di casa. La dama rispose che i paesaggi bucolici erano i suoi preferiti, almeno nella bella stagione. “Anche se devo ammettere che la campagna, particolarmente sul finire dellʹestate, mi rende triste. Quelle foglie che ingialliscono e cadono dagli alberi, quelle piante che sentono giungere la fine almeno apparente del periodo autunnale e del gelido inverno. Preludio di una metamorfosi che immalinconisce.” “Sì, certamente. Proviamo tutti gli stessi sentimenti. Ma adoro stare vicino alla natura.” “Però, maestro, mi è noto che avete fatto costruire un palazzo qui in città.” “Sì, mi sono ispirato nelle indicazioni agli architetti ai palazzi di Genova. Dovreste farci una visita.” “Nella vostra casa o in Genova ?” “ In entrambe !” Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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“Eʹ un invito che rivolgo a voi, esimio maestro. Venitemi a trovare. Conoscerete i miei familiari. Ne saremmo tutti molto onorati.” “Verrò senzʹaltro.” Quel che importava era staccare un biglietto dʹinvito per un futuro, più tranquillo, incontro accanto al caminetto. E quello, prima fase indispensabile del corteggiamento, vi fu. Prima battaglia vinta in un luogo così vicino agli imbarcaderi del porto più consono agli addii dei partenti che agli arrivederci, più adatto alle promesse di marinaio che agli “au revoir” davvero mantenuti Ma Pier Paolo ed Isabella abitavano la stessa gloriosa città. Si rividero, infatti. Divennero ben presto inseparabili. Non trascorse molto tempo, prima che il pittore si decidesse a compiere il grande passo. Ormai era ultimata la sua bellissima dimora che ricalcava, in tutto e per tutto, i palazzi genovesi che tanto lo avevano impressionato, lasciandolo, incantato a bocca aperta. Venne fissata la data del matrimonio, piuttosto ravvicinata. Isabella Brant venne presentata alla corte dei Granduchi, trattata con tutti i riguardi del lignaggio che il novello sposo aveva saputo ormai conquistare nel suo paese e nelle corti di tutta Europa. La sua gloria era diventata inseparabile da quella della sua città. In quel XVII secolo, nulla di importante avviene senza la sua presenza. Arricchisce del suo genio tutte le chiese. Fu lʹispiratore di quella dedicata a Carlo Borromeo, canonizzato nellʹanno del Signore 1610. Collaborò al disegno della facciata monumentale con frontoni ed archi, uno degli esempi meglio riusciti del barocco nelle Fiandre. Rubens con la giovane sposa fece per diversi anni una brillante vita mondana nei salotti di Bruxelles, Bruges, Anversa. Fu amico intimo del borgomastro della sua città Nicolas Rockox e di un architetto celebre in tutta Europa, Van Baurscheit. Si fece fare in quellʹepoca felice, un ritratto nelle vesti di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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gentleman farmer accanto ad Isabella Brant. A firma della sua scuola prestigiosa, nei cui atelier erano accorsi maestri fiamminghi alla testa dei quali aveva posto lʹallievo migliore Van Dyck ,anche lui, nel frattempo, rientrato in patria dallʹItalia. Epoca felice e prolifica. Non solo negli atelier. Isabella gli darà tre figli. Uno dei quali , Pier Paolo volle chiamare Giulio come lʹamico genovese con il quale aveva vissuto quei momenti di grande ansia e di tensione nervosa per lʹaffare della strega, lo scomparso nobiluomo Pallavicino. MAUPERTUIS UN IMPLACABILE INQUISITORE
La superstizione religiosa, però, in quellʹepoca dʹoro per gli artisti delle Fiandre, non cessava di tormentare gli abitanti delle principali contrade europee. Attivissimi gli inquisitori in Spagna e nei Paesi Bassi dominati dai re iberici.
Nel grande parco di Bruxelles correvano cerbiatte, daini, cervi. Una suora, una beguine, come venivano chiamate a Bruges, sede di un importante beguinage , passeggiando nellʹimmenso parco molto simile ad una foresta, credette di scorgere nella figura di un cervo che si era fermato tra il fogliame, lʹaspetto di un demone. Come se Satana avesse assunto le sembianze di un cervo per apparire alla serva del Signore ed impaurirla, anzi terrorizzarla, incutendole nellʹanimo la paura degli inferi. La religiosa aveva sicuramente letto i Vangeli, ma , in tale circostanza, ignorò un famoso miracolo che aveva avuto proprio Saint Hubert ed un cervo per protagonisti. Il santo era – prima che il miracolo avvenisse – un indomito cacciatore. Non vi era scampo per gli animali delle selve quando scoccava i suoi dardi. Ma un giorno, mentre cacciava, gli apparve un cervo gigantesco che aveva tra le corna una croce. Fu la fine della carriera di cacciatore, per Saint Hubert, e lʹinizio Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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di una vita di santità. Per la religiosa di Bruges, invece, fu la fine di una vita di santità e lʹinizio di una bella carriera di fanatica implacabile. Il suo allarme, la sua ossessione da visionaria del demonio, costò la vita a tutti i cervi del parco di Bruxelles. Vennero risparmiate soltanto le femmine, le cerbiatte. Per i poveri cervi, ritenuti immagine vivente del demonio non vi fu scampo, malgrado le veementi proteste degli abitanti che ci tenevano a veder correre liberi e lieti quegli animali. Un borgomastro non aveva osato dire di “no” alla allucinazione della monaca, ossessionata da presunte visioni demoniache. Lʹavvenimento pur dettato dalla eccessiva immaginazione della religiosa, aveva scatenato il superstizioso furore dei frati e dei preti locali. Rubens, assieme ad altri artisti dei suoi ateliers, aveva cercato invano di salvare la vita con una petizione presentata allʹinfanta Isabella, a quei quadrupedi. La cattolica granduchessa rispose con un rifiuto. Aveva già mostrato a più riprese il suo fanatismo religioso. Come quando, constatando che la roccaforte di Ostenda resisteva agli attacchi degli imperiali difensori del cattolicesimo, fece voto di non cambiarsi più la camicetta fino a quando la fortezza non fosse stata espugnata. Ciò avvenne ad opera di Ambrogio Spinola. Caduta Ostenda, Isabella poté, finalmente adempiere al voto e cambiarsi la biancheria intima. Erano trascorsi ben cinque anni, da quando il voto era stato pronunciato. La granduchessa con Alberto dʹAustria, il marito, al suo fianco poté fare il suo ingresso in Ostenda, dovʹerano accatastate le bare dei caduti nella furibonda ultima battaglia allʹarma bianca che aveva preceduto la resa dei calvinisti che occupavano la città fortificata sul mare del Nord . Si distingueva per lo zelo nella caccia alle streghe il vicario Maupertuis. Era stato colui che aveva visionato di persona la prima Bibbia stampata da Gutenberg ad Anversa. Poi aveva avuto Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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lʹapprovazione di Filippo II nellʹedizione della Bibbia Poliglotta, sempre stampata da Gutenberg, ma ossessivamente controllata da lui nei minimi dettagli e con frequenti consulti con altri inquisitori per lo più spagnoli visto che la Spagna proliferava di personaggi dotati del massimo zelo e di una puntigliosa intransigenza nella difesa dei dogmi di fede. Poi cʹera stata lʹ incisione del Malleus Maleficarum , il Martello delle Streghe, anche quello diffuso grazie ai caratteri di Gutenberg ed era stato il trionfo degli inquisitori. Si può dire che Maupertuis lo avesse imparato quasi a memoria. Le tattiche degli interrogatori, i trabocchetti nei quali fare cadere i seguaci del Maligno, come smascherare le loro menzogne, come strappare le loro confessioni, come ottenere una abiura completa, quali sentenze pronunciare a seconda dei casi, gli strumenti di tortura da impiegare fino alla terribile Vergine di Norimberga , un busto ed un volto di ferro con allʹinterno dei chiodi in cui rinchiudere poco a poco i reprobi torturandoli nelle carni. Le tenaglie rese rosse dal fuoco come in una fucina di fabbro ferraio; lo strappo con le corde e le catene che allungavano i corpi degli abietti stregoni fino ad ottenere le inevitabili e complete confessioni. Maupertuis aveva agito a Genova, proprio quando Rubens si trovava in quella città. A lui erano dovuti i verbali degli interrogatori del processo a Lucrezia, che aveva interrogato personalmente. Era sfuggita al torvo inquisitore, la “magnifica preda”. Lui sapeva di chi si trattava , in realtà, fin dallʹinizio; lʹaveva perseguitata ad arte, consapevole del fatto che quella sarebbe stata la sua consacrazione come giudice del Santʹ Uffizio Poter mandare al rogo la discendente eretica e demoniaca di un Papa. Questo avrebbe legato il suo nome a quello dei Cybo ‐ Medici. Un evento storico che, giustamente, una volta reso noto dalle cronache dellʹepoca e sancito dalle stamperie di Gutenberg avrebbe reso lui, Maupertuis, il principe degli inquisitori. Altro che Torquemada ! Per i Paesi Bassi spagnoli il suo nome sarebbe stato accomunato Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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‐anzi avrebbe superato in prestigio – quello di Torquemada. Non aveva esitato, lʹinflessibile difensore della fede, a mandare al rogo la discendente di un pontefice. Questo avrebbero detto i fedeli ammirati da tanta intransigenza religiosa. Per tale motivo, odiava a morte quel pittore impiccione ed intrigante che, coinvolgendo i nobili genovesi, gli aveva sottratto la preda. Una preda già catturata, in carcere, già pronta ad indossare la veste dei penitenti, a salire sul carretto le mani legate, già rea confessa. Certo, questa poteva essere lʹattenuante. Diverse streghe con la confessione si lasciavano aperta una porta alla clemenza. Quel che era fatale ai condannati era la ritrattazione. Era quello che aveva condannato a morte i Templari ed i loro esponenti più in vista. Non la confessione, strappata con la tortura. Ma la fiera ritrattazione, anche a costo di morire sul rogo. Così erano scomparsi i più coraggiosi dei Templari. Alcuni di essi non avevano mai confessato, neppure dietro orribili tormenti, Altri, dopo la confessione strappata da tenaglie roventi nelle carni, avevano trovato lʹinaudita forza della ritrattazione, vale a dire della condanna al rogo certa. Ma la ritenevano migliore della falsa confessione e più desiderabile di qualsiasi abiura o presunto pentimento. Maupertuis, in quelle carceri genovesi avrebbe saputo indurre la strega a ritrattare, ultimo atto dʹorgoglio, ultimo gesto di luciferino diniego che lʹavrebbe portata dritta sulla pira. Anche se le mani del boia lʹavrebbero strangolata prima di dar fuoco alle fascine, evitandole lʹestremo tormento. Invece, ecco arrivare quel maledetto fiammingo in combutta con quel nobile arricchito, ecco arrivare il Fieschi, lui e le sue genealogie, ecco il consesso dei nobili della Superba, più superbi di tutti i principi della Cristianità, con quei Doria a raccogliere cariche ed onori ed a brigare per il posto di dogi . Eppoi quellʹarcivescovo così mondano e colto da apparire, a sua volta, sospetto; amante delle arti figurative , di donne ignude che Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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apparivano in quadri mitologici, osceni come oscena era tutta lʹarte derivata dalle leggende greco‐romane. Tante verità contenute nel Vangelo sacrificate ad un paganesimo figurativo che rialzava la testa, contaminando le opere degli artisti delle corti rinascimentali. Vergogna, anatema! Magro,allampanato, nella sua tonaca nera, rigoroso nella vita volutamente ascetica, condannava i tempi in cui la lascivia prendeva il posto della virtù e dellʹastinenza, in cui una sensualità carnale traspariva persino da opere a sfondo religioso: a suo modo di vedere, tutto era provocazione, lussuria, sfacciata galanteria, spirito libertino ante litteram come se la storia umana, ripetendo i propri errori, avesse un insondabile inconscio collettivo. Un immenso deposito per le opere del bene e per quelle del male. Solo gli illuminati da Dio avrebbero saputo discernere i contorni, compiere le opportune separazioni tra lʹagire degli angeli e le delittuose macchinazioni dei demoni. Questo pensava Maupertuis, in questo ciecamente credeva. Con indomabile fanatismo e fervore religioso. Le dame del barocco, profanazioni della castità, provocazioni negli sguardi, provocazioni nei lembi di pelle. Allegorie, scene di fanciulle e donzelle ignude ad esaltazione di quellʹarte classica che doveva tutto ai pagani e nulla ai martiri ed ai santi della Chiesa cattolica. Ben lontano il barocco dalle figure ascetiche e classiche delle madonne di Giotto, Raffaello e del Beato Angelico. Ciò che, in qualche modo, consolava Maupertuis era che trovava corrispondenza di idee nella biblica intransigenza dei luterani e dei calvinisti. Anche nel campo della Riforma, gli spiriti diabolici che tormentavano le creature di Dio venivano braccati, scovati nei corpi posseduti degli indemoniati e delle indemoniate e condannati ad una fiamma purificatrice e liberatoria. Ma quella strega , il coronamento della sua opera di inquisitore, gli era sfuggita. Sentenza clemente da lui osteggiata, ma con prudenza perché i Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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genovesi avevano saputo ritagliarsi una certa autonomia politica che per lui rappresentava un freno al suo strapotere religioso. In Spagna, per Lucrezia, non vi sarebbe stata via di scampo. Ma quei genovesi così gelosi delle prerogative del loro gonfalone e delle autonomie dei loro consigli, con quei dogi spesso intrattabili in materia di giurisdizione e di competenze politiche, cʹera stato ben poco margine di manovra. Tanto più che i religiosi di quella superba città sembravano volersi far perdonare in qualche modo gli eccessi nei quali erano caduti, in passato, gli stessi pontefici nati nella fiera Repubblica. In tal modo, aveva dovuto accettare con la morte nel cuore quel verdetto di clemenza che destinava al convento quellʹeretica. Aveva , però, voluto vendicarsi Maupertuis. In un certo qual senso cʹera già riuscito. Era a conoscenza del meraviglioso ritratto della dama, custodito a Palazzo Pallavicino. Conosceva lo splendido quadro e sapeva, persino, chi era stato a dipingerlo. Questo, per il terribile inquisitore, era il segreto massimo che voleva tenere per sé. Ma quella tela demoniaca doveva essere distrutta. Così, nottetempo, era riuscito ad introdursi nellʹabitazione nobiliare. Aveva trovato il dipinto e lʹaveva condannato al rogo. Era stato egli stesso ad appiccare le fiamme, controllando che il fuoco non si estendesse ai tendaggi. Sua intenzione era quella di bruciare il volto della strega, in effigie, di farlo personalmente compiendo la giustizia divina della quale si sentiva investito come supremo depositario terreno. Ma non voleva causare danni alla magione dellʹillustre casato genovese. Così aveva assistito allʹardere della tela,mentre la fiamma si portava via il viso di colei che – era soltanto lui a saperlo, ad averne la certezza – altro non poteva essere se non una seguace del Maligno, dotata di arti magiche in grado di farle compiere estremi malefici. La strega, per lʹindulgenza dei notabili di Genova, in combutta con Rubens, si era salvata. Ma non era troppo tardi per ritrovarla e per controllarne la condotta. Sicuramente quella seguace di Satana non aveva Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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cessato di adorare creature infernali e di compiere opere luciferine. Sapeva, Maupertuis, che Lucrezia poteva anche passare da un chiostro allʹaltro e, forse con le sue arti sulfuree, avrebbe anche potuto riuscire ad entrare nelle grazie di una madre superiora che lʹavrebbe agevolata in tutto e per tutto. Fino, forse, ad accettare di vederla tornare libera perché sicuramente non aveva la vocazione religiosa. Fatto sta che – come lui stesso aveva potuto accertare – Lucrezia era scomparsa dal convento in cui era stata condannata a vivere a perpetuità. Nessuna monaca aveva saputo giustificare la sua sparizione. La madre superiora aveva ammesso di aver concesso alla sua pupilla una certa libertà di movimento. “Cosa intendete – aveva chiesto, irritato – per libertà di movimento ?” “Poteva andare in giardino a coltivare fiori. Le piacevano tanto le rose...” “Insomma, andava e veniva come le pareva.” “No. Non è proprio così. Comunque, tutte le sorelle, purché rimangano allʹinterno delle mura del convento si occupano di qualche cosa. Chi ricama, chi cucina, chi accudisce al giardino o agli orti. Siamo religiose, non carcerate.” La madre superiora, in verità, conosceva quale era stata la sorte di Lucrezia. Ma aveva giurato di mantenere il segreto e così fece. “Un giorno, ‐ si limitò ad aggiungere, rivolta a Maupertuis ‐ ella mancava allʹappello. La sua cella era vuota. Nessuna delle sorelle poté dire dove fosse finita. Io feci delle ricerche per tutto il Monferrato ma non scoprimmo nulla. Era come se ella si fosse volatilizzata.” “Sì, essendo una strega, sarà fuggita volando su una scopa o sulla schiena del demonio che, come certe creature infernali della notte , può anche volare.” gridò lʹinquisitore paonazzo, anchʹegli ormai preda delle proprie ossessioni demenziali. Da quel momento – dopo aver richiesto ed ottenuto misure severe di punizione per la superiora disattenta e troppo benevola Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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– Maupertuis si era assegnato come missione di ritrovare, a tutti i costi, la reproba impunita e di rimetterla sotto accusa per il reato di fuga dal sacro convento cui era stata assegnata. Vi era anche da mettere in conto lo spergiuro ed il sacrilegio per aver infranto i voti solenni. Insomma, vi era di che riaprire il processo allʹindemoniata ed assicurarla sia alla giustizia religiosa che a quella secolare a seconda di dove avesse trovato rifugio. LA PESTE UCCIDE ISABELLA BRANT Pier Paolo non si stancava mai di dipingere le meravigliose fattezze della sua giovane sposa. Non aveva occhi che per lei. La sua creatività la immergeva in un alone che evocava immagini di Madonne, di luce risplendente. Ma anche vi erano i ritratti più intimi con una sorridente Isabella che sembrava con uno sguardo rivelare tutta la sua passione e lʹaffetto che la legavano a colui che la stava dipingendo. La scuola di Rubens si arricchiva anche delle loro raffigurazioni insieme, sorridenti e felici, in un quadro bucolico nella loro tenuta di campagna. Lo sguardo sereno di Isabella, il sorriso compiaciuto e sorridente di lui con i baffi ed il pizzetto, un giubbetto alla moda seicentesca. Per lei un candido collare. Ricamato con merletti di Bruges e di Malines. La vita felice di un uomo di successo affiancato da una sposa felice. Erano nati tre figli. Tutto sorrideva alla coppia famosa in tutta Europa. Ma lʹombra,lugubre, di una pestilenza doveva allungarsi quasi contemporaneamente nelle due città sorelle: sia a Genova che ad Anversa. La peste, forse, sbarcata da navigli assieme a schiere di roditori infetti portatori del terribile morbo, preceduta ed alimentata da una improvvisa carestia. Le cause non infrequenti di pozzi contenenti acqua contaminata. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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In città come Strasburgo della terribile epidemia la colpa era stata attribuita ai giudei. Erano stati accusati, gli ebrei, di aver avvelenato i pozzi. Parecchi di loro erano stati condannati al rogo dagli inquisitori. I loro beni confiscati. Unica via di scampo: lʹabiura della loro religione. Molti rifiutavano ed erano perduti. Ciò era accaduto, soprattutto, nei due secoli precedenti. Ma ancora, adesso, in quel Rinascimento maturo, i roghi non si spegnevano. Ad Anversa, come a Genova, tuttavia, lʹapparire di quella terribile pestilenza venne attribuita alle vere cause. Era sbarcati dalle navi ratti infetti propagatori della peste. Lʹigiene del tutto trascurata di larghissimi strati della popolazione povera aveva contribuito alla diffusione di quel morbo per il quale i medici di tutta Europa, pur avvicinandosi con maggiore precisione alle cause ed alla diagnosi tempestiva, erano quasi del tutto impotenti per ciò che riguardava i rimedi. I monatti passavano di casa in casa a portare via gli appestati ormai morti. Accadeva che persino i famigliari fuggissero, atterriti, lasciando completamente soli , nelle case, i congiunti colpiti dal male. Miseria e squallore. Scene spaventose, inenarrabili. Nelle città più avanzate e più civili, vi era un certo coordinamento sanitario. Le chiese ed i conventi servivano anche da ospedali, mentre i religiosi avevano finito per comprendere che era meglio isolare i fedeli piuttosto che ammassarli nelle chiese a celebrare funzioni penitenziali che, però, avevano il torto di diffondere la peste nelle masse. Si ricorreva allo zolfo, nelle case patrizie si accendevano nei camini grandi fuochi di legna perché si attribuiva alle fiamme un potere purificatore che potevano anche avere se il morbo veniva individuato in tempo e combattuto con misure energiche concomitanti come bagni di zolfo, lavaggi col sale e via dicendo. I ricchi signori e le loro facoltose ed eleganti dame circolavano per strada con curiose collane al collo. Recavano, questi monili, Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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la noce moscata incastonata a spargere in aria la sua pungente fragranza. Si riteneva che questa spezia, venuta assieme alle altre dallʹOriente – tutte costosissime – avesse poteri salvifici contro le epidemie di pestilenza. Soltanto un pio desiderio, beninteso. Così come inefficaci erano gli altri rimedi. Misure insufficienti anche nel lussuoso palazzo dei Rubens; in unʹarea, pertanto, sicura dal punto di vista dellʹigiene e del comfort. Ma il benessere non era bastato a garantire lʹimmunità di Isabella. La sposa del grande pittore accusò i sintomi del terribile morbo che flagellava le contrade del Nord Europa; la misera si spense da lì a poche settimane, malgrado le disperate cure fattele somministrare dal marito disperato. Era al suo fianco nel momento supremo. Guardava quel volto sfigurato con indicibile mestizia, trattenendo virilmente lacrime e disperazione per non aggravare il dolore e lo stato dʹanimo della donna amata ormai agonizzante. “I nostri figli ?” ebbe appena la forza di chiedere, in un sussurro, Isabella, “Partiti per la campagna. Stai tranquilla. Non ti affaticare!” “Sono al sicuro ?” “Certamente. Riposa, Isabella!” Lei fece un mesto sorriso, mentre le lacrime le inondavano il viso un tempo meraviglioso ed ormai deturpato dal male. I servitori si affannavano attorno al suo letto. Portavano bevande calde, intrugli che i dottori avevano prescritto pur con poche speranze per strappare allʹorrendo destino colei che aveva reso rosea lʹesistenza del più grande pittore vivente. Attorno al suo letto, erano stati posti dei candelieri. “Li avete accesi ?” chiese lo sposo premuroso e disperato ai servitori. “Sì, maestro, seguendo le vostre precise istruzioni.” rispose un servo. I candelieri su cui erano state gettate delle spezie e dellʹincenso Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ardevano. “I medici mi hanno assicurato – pensava tra sé lʹartista – che il fuoco allontana il morbo. Ma ormai la mia povera moglie è stata colpita e per lei non sarà la fiamma salvifica o il fumo a restituirle la salute ormai sparita. Che Iddio abbia pietà della sua anima.” Si avvicinò al capezzale uno dei dottori. “Soffre molto – chiese Pier – spero solo che possa spegnersi evitandole inutili sofferenze.” “Non credo sia più cosciente.” rispose lʹinterpellato con rassegnazione. Lʹ arte medica era, manifestamente impotente. Isabella morì e Pier Paolo, straziato dal dolore, cadde nella più cupa disperazione. Solo. Gli rimanevano, però, i tre figli. Sarebbe vissuto soprattutto per loro. Ma non avrà fortuna . Li perderà, uno dopo lʹaltro, tutti in giovane età. Anche suo fratello Filippo e la sorella Baldina periranno in quella tragica circostanza. La peste lo aveva lasciato quasi privo di affetti. La sua arte lo aveva posto al vertice delle corti europee , dove bastava pronunciare il suo nome per suscitare lʹammirazione di re e di nobili. Ai funerali di Isabella Brant parteciparono gli Arciduchi, tutta la corte del Coudenberg, tutto il clero delle Fiandre e la cattedrale di Anversa aveva in serbo una tomba di famiglia nella quale seppellirla. Una amicizia , forte, salvò lʹartista dal cadere nel baratro della depressione nelle settimane che seguirono alla scomparsa di Isabella. Trovò in Ambrogio Spinola, più che un amico, quasi un fratello. Oltretutto, e ciò non era sfuggito a nessuno dei due, vi era una somiglianza fisica. Favorita, certo, dalla moda dellʹepoca: entrambi con baffi e pizzo, di un castano rossiccio. Ma anche la statura , le fattezze del viso, la corporatura suggerivano analogie. Tanto che alla corte di Coudenberg vi era chi li chiamava les fréres jumeaux, i fratelli gemelli. Ambrogio aveva narrato a Pier Paolo le circostanze della morte Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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in battaglia di Federico, suo fratello. “Vi fu un terribile e disteso scontro navale, al largo delle coste dʹOlanda. Federico aveva condotto da par suo la lotta, quando una palla di cannone lo colpì ad una mano. Si accasciò sul ponte della sua nave, continuando ad incitare i suoi marinai a non interrompere il combattimento. Pur sanguinante, dirigeva ancora le operazioni , quando venne stroncato da una seconda palla di cannone che lo colpì in pieno petto. Agonizzò per circa unʹora, esortando i suoi combattenti sulla nave ammiraglia a non darsi per vinti. Poi morì. La battaglia navale si concluse senza vinti né vincitori, ma con perdite ingentissime da entrambe le parti. Fu per vendicare la sua perdita, che raggruppai in Lombardia una vera armata di volontari per la spedizione nelle Fiandre. “ Vi prego, ammiraglio, disse Pier più che altro per non pensare ai suoi dolori,narratemi la vostra avventura. Anche se già conosco la vostra fama ed i meriti che avete accumulato come combattente in difesa della Chiesa Cattolica.” LA NARRAZIONE DI AMBROGIO SPINOLA “Avevo avuto da Madrid, lʹordine di radunare il mio esercito in Italia, in modo da poter marciare sui Paesi Bassi e di venire a soccorrere lʹarciduca Alberto e lʹinfanta Isabella. Lasciai, dunque, Genova mia madre e la mia sposa. Pensate che il matrimonio mi era stato praticamente imposto da mia madre. Mi aveva detto: puoi andare a fare la guerra dove meglio credi come tuo fratello Federico che abbiamo perso. Ma io voglio che il nome degli Spinola non si estingua. Devi, quindi, scegliere moglie. Io ho in mente per te. Voglio, anzi esigo, degli eredi per il nostro casato. “Così – proseguì Ambrogio, mentre Pier lo ascoltava, improvvisamente interessato – mi sposai. Quando partii per la mia missione avevo anche adempiuto ai miei doveri coniugali e Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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mia moglie era in attesa di quellʹerede che avrebbe assicurato al futuro il nome degli Spinola. A Pavia, cominciai il reclutamento. I volontari accorrevano dalla Liguria, dal Piemonte e, naturalmente, cʹerano molti lombardi, pronti ad arruolarsi sotto le bandiere della Spagna. Misi insieme una armata di quindicimila uomini. Volli applicare la più rigida disciplina. Ferrea ed implacabile. Mi duole dirlo, ma debbo confessare un episodio che dimostra quanto fossi inclemente. Vi furono due gentiluomini piemontesi che conoscevo personalmente i quali credettero bene di disertare. Avevano prestato giuramento come tutti i miei capitani. Poi ci avevano ripensato e se nʹerano andati senza fare complimenti. Vennero riacciuffati dalle mie truppe. Li portarono in mia presenza. Mostrarono con me una certa familiarità, sicuri di farla franca. “Non siamo fuggiti in battaglia – mi dissero – semplicemente non ce la sentiamo più di partecipare allʹimpresa. Siamo certi, Ambrogio, del tuo perdono. Siamo dei nobili, in fondo, e terrai conto delle attenuanti per noi...” Non fu così. Adesso, me ne pento. Ma allora decisi di mostrarmi inflessibile...” “Li faceste mettere ai ferri ?” chiese Rubens, non potendo immaginare altro castigo. “Li feci fucilare alla vista del campo. Per dare un esempio marziale di disciplina. Adesso, ripensando a quellʹepisodio, devo dire che mi comporterei diversamente. Ma il mio pentimento non ridarà la vita a quei due capitani disertori. Forse, il loro sacrificio salvò altre vite. Questo mi dico. Un comandante non può rischiare la vita dei suoi uomini, di una intera armata, tollerando gesti di insubordinazione. La disciplina assoluta è la garanzia del comportamento marziale in battaglia. Il generale che tollera eccezioni verso i suoi ufficiali per qualsiasi motivo offre alla truppa un pessimo esempio. La diserzione non può Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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essere tollerata perché se essa avviene durante il conflitto provoca sbandamenti, ritirate e rinunce allʹassalto che compromettono lʹintero corpo dʹarmata.” La nostra spedizione verso le Fiandre suscitava ammirazione, proprio per lʹimpeccabile tenuta marziale dei miei soldati. Tra essi parecchi marinai liguri che mi sarebbero serviti per lʹassalto dal mare, prima, alla fortificata Ostenda e poi a Breda. Ostenda – proseguì Ambrogio – era considerata imprendibile. Lʹassedio proseguiva da anni. Lʹinfanta Isabella aveva fatto un voto. Non si sarebbe cambiata di biancheria intima fino a quando la piazza di Ostenda non fosse caduta. La cattolica arciduchessa mantenne la parola di fede. Quando poté entrare in Ostenda, cambiandosi gli indumenti, trovò allineate tante bare e parecchi cadaveri che non avevano ancora trovato una sepoltura. Il conflitto aveva fatto migliaia di morti. Resisteva Ostenda, resisteva impavida. Abbattevo una linea di fortificazione per trovarmene di fronte unʹaltra. Ho dovuto prendere spesso lʹiniziativa. Mi sono scontrato più volte con lʹArciduca Alberto che voleva interrompere le operazioni militari per trasferire parte delle truppe a Bruges. Io lʹavevo ammonito: “Se diamo tregua ad Ostenda, per rincorrere le sortite diversive di Maurizio di Nassau, gli assediati profitteranno della tregua per riorganizzarsi. Lui si infuriò. Dovetti fare secondo il suo volere. Così lʹassedio durò più a lungo, vi furono più vittime da entrambe le parti. Ma alla fine la roccaforte di Ostenda cadde in nostro potere. La resa di Breda completò la nostra vittoria sul Maurizio. Non potrò mai scordare gli orrori di quelle battaglie. Ne fui protagonista, come comandante in capo. Ma quegli episodi di guerra mi hanno persuaso del grande valore della pace, di un mondo che sappia risolvere i conflitti per via diplomatica, attraverso un saggio do ut des. In modo che se le ragioni degli uni debbono veramente prevalere su quelle degli altri ciò non accada attraverso Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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spaventosi scontri con spargimenti di sangue.” “Non potevo immaginare in voi una sorta di pacifista...” rilevò il pittore. Al che, il capitano di ventura genovese, con un malinconico sorriso, replicò: “Soltanto chi ha visto cadere al suo fianco i propri amici. Soltanto chi ha dovuto dire addio ad un caro fratello, caduto in battaglia, può conoscere il prezzo che impone la vittoria bellica . Costui apprezzerà tanto maggiormente le tregue e gli armistizi, poiché conoscerà il prezzo del sacrificio imposto dal ricorso alle armi e potrà valutare i benefici effetti che, per contro, garantisce la pace.” Lʹamicizia tra il pittore di corte ed il condottiero degli Arciduchi venne rafforzata dallʹintima conoscenza. Pier Paolo ed Ambrogio per qualche tempo apparirono inseparabili, nei palazzi di Bruxelles. Tutti i cortigiani ammiravano lʹuno per i suoi talenti artistici e per la sua fama ormai consolidata ed universale di maestro incontrastato del Barocco e lʹaltro per le sue doti di capitano di ventura, trionfatore della battaglia di Ostenda e della conquista di Breda. Fu Rubens a presentare Ambrogio ad un giovane pittore amico, Velasquez. I due artisti si erano conosciuti a Madrid. Fu il Velasquez a raffigurare lo Spinola, mentre accetta dalle mani del Maurizio le chiavi della città di Breda, in segno di resa. I due personaggi appaiono entrambi compiti e sorridenti, quasi in atteggiamento amichevole. Anche se uno si inchina allʹaltro che lo guarda con benevolenza. Segno che lʹalta società del Seicento sapeva essere a capo di battaglie anche molto sanguinose e cruente, ma quando si trattava di sedersi attorno al tavolo della pace, i nobili sapevano quali riguardi usare nei confronti dellʹavversario sconfitto e questʹultimo poteva avere al massimo perso una fortezza o addirittura una città, ma certo poteva essere sicuro di non rimetterci la vita e di potere tranquillamente mantenere le proprie ricchezze ed i possedimenti vasti che gli avrebbero garantito lo stesso stile di vita. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Lʹamicizia con lo Spinola, ancora una volta un genovese, servì almeno ad attenuare il dolore di Pie Paolo per la perdita della sua adorata moglie. Eppoi, cʹerano i suoi allievi fedelissimi. Ormai, dirigeva da par suo una intera scuola di pittori e la sua fama di grande maestro si era sparsa in tutta Europa. MARIA DE MEDICI NEL MONFERRATO
La bella Lucrezia, come aveva scoperto lʹinquisitore Maupertuis, non era più nel convento a scontare la sua pena come suora di clausura a vita. Ma che cosa era accaduto di lei ? Lo sapeva benissimo la regina di Francia , la quale era stata invitata dalla marchesa Matilda nel suo castello nel Monferrato. Ormai sempre meno affezionata ad Enrico IV che si lasciava andare alle sue avventure galanti con le damigelle di corte in modo spudorato, Maria de Medici aveva approfittato dellʹinvito della marchesa per allontanarsi per qualche tempo dalla grigia Parigi e a recarsi nei possedimenti dei Gonzaga, in Monferrato. La marchesa Matilda era una sua amica ed aveva assistito al matrimonio regale. Le due dame pietose visitavano i conventi per opere di beneficenza. Fu durante una visita al convento di suore dovʹera reclusa Lucrezia che la regina di Francia la incontrò. Erano allineate, le monache, nel refettorio in attesa delle illustri ospiti. La madre superiora volle presentarle, una ad una alla sovrana di Francia ed alla marchesa Matilda. Quando Maria de Medici si trovò davanti a Lucrezia rimase stupita a guardarla. La somiglianza era davvero incredibile. La religiosa teneva abbassato lo sguardo. La regina le sollevò il mento con la mano delicatamente, con dolcezza. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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“Quale è il tuo nome, figliola ?” “Suor Celestina..” “No. Dimmi il tuo nome nella vita secolare.” “Lucrezia.” “Hai unʹaria, come dire, familiare. Sei mai stata a Firenze ?” “Più volte, maestà.” Lʹaspetto malinconico e crucciato della religiosa colpì la sovrana. Non era possibile che quella suora avesse trovato tra le mura del convento la letizia e la pace dellʹanima. Aveva lo sguardo inquieto, quello sguardo che la tristezza rende sfuggente, perché la mestizia non è mai franca, si nasconde. Buona conoscitrice dellʹanimo umano, Maria sentiva che vi era una immensa pena in quella donna, i cui occhi trattenevano a stento le lacrime.. Disse rivolta alla badessa, suscitando stupore generale tra gli astanti: “Voglio parlare da sola a sorella Celestina. Adesso. Marchesa Matilda voglia perdonarmi per qualche istante. Ho alcune cose da chiedere a questa suora.” La superiora le condusse in una sala riservata. La regina si fece narrare per filo e per segno dalla sventurata la sua storia recente. Venne così a conoscenza del processo per stregoneria a Genova con lʹaccusa di uxoricidio mediante veneficio, seppe dellʹintervento della nobiltà genovese in favore della poveretta, condannata però alla perpetua clausura. Maria si chiedeva da dove poteva venire quella vaga ma pur sempre singolare somiglianza nei lineamenti tra loro due. Non una vera sosia, ma un fatto davvero singolare. Non era sfuggito alla badessa , non era sfuggito a lei e neppure per la verità alla novizia. Quando ella aveva sollevato il timido sguardo, incontrando quello, altero, della regina era rimasta senza fiato. Aveva appena avuto la forza di rispondere , precisando il suo nome. Poi aveva seguito la sovrana nel refettorio. “Siete, quindi, in questo luogo non per vocazione spontanea, bensì per obbligo di legge.” constatò Maria. Lucrezia annuì. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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“Non mi sembra utile né per voi, né per nostro Signore, prendere i voti in tal guisa – proseguì la regina – e credo che la vostra vita qui reclusa sia un tormento infernale più che uno spiraglio paradisiaco sulla salvazione. Volete uscire ?” “Come dite ? “ rispose la derelitta, credendo di un aver inteso bene. “Fuori da qui. Sarete mia damigella di corte: Devo soltanto chiedere per ottenere. Questo ve lʹassicuro !” Lucrezia, in lacrime, afferrò la mano destra della sua salvatrice e la baciò con fervore. Maria la sottrasse con dolcezza, lentamente, e con fare imperioso ordinò: “Seguitemi.” Giunte nuovamente in presenza della madre badessa, della marchesa e della altre monache di clausura, la regina di Francia volle parlare in separata sede con la superiora e con la sua ospite del Monferrato. Quando le tre donne tornarono nel refettorio, un sorriso enigmatico aleggiava sulle labbra di Maria de Medici. Unʹespressione di curiosità e di stupore apparve sui visi delle suore. Vennero tutte congedate e poterono tornare alle loro celle. Compresa colei che, prima, si era appartata con lʹaugusta persona. Tre giorni dopo, la superiora si introdusse dopo i vespri nella cella di Lucrezia. La trovò raccolta in preghiera. Non aveva smesso di pregare dal giorno di quellʹincontro inaspettato. Si era chiesta se quella donna con in testa una corona fosse stata solo unʹapparizione della sua fantasia malata, della sua morbosa voglia di libertà. “Devo avere sognato – si era detta, riprendendo la sua vita abituale – perché nella vita simili miracoli non avvengono.” Quello che, invece, le stava dicendo la badessa Caterina era la conferma che il Cielo si era commosso alle sue lacrime e un miracolo, il secondo dopo quello della sua scarcerazione dalle galere genovesi, era avvenuto. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Quello che la madre superiora aveva detto a Maria de Medici aveva rafforzato la sovrana nella sua decisione di sottrarre alla Chiesa quella suora senza vocazione. Le cose stavano, dunque, così : era una discendente di una nobile famiglia genovese, i Cybo Malaspina, aveva nelle vene il sangue di un pontefice di Santa Romana Chiesa, quellʹInnocenzo VIII che tutta la nobiltà della Penisola conosceva bene , eccome. Aveva avuto figli e figlie naturali. Ma era nota la storia di Franceschetto, il figlio riconosciuto ufficialmente dal Papa (era la moda di quei pontefici rinascimentali e, del resto, nellʹUrbe nessuno si scandalizzava più di tanto) così come il suo successore, Borgia, riconoscerà la sua discendenza. Dunque, Franceschetto aveva sposato la figlia di Lorenzo il Magnifico, uno dei suoi antenati: una Medici non poteva ignorarlo. Quella suora di clausura e lei erano parenti. Venute su dai secoli dallo stesso ceppo genealogico. Ecco il perché dei lineamenti affini, tutto si spiegava in modo incredibilmente semplice per una tale complessità di avvenimenti voluti dal destino. Ma il sangue blu imparentava parecchie casate europee. Per cui se fra tanti popolani e plebei, tra le famiglie contadine e dei lavoratori manuali, ogni tanto appariva un volto aristocratico, tra i principi nasceva una naturale curiosità. Accadeva così che qualche ricchissimo marchese o duca, prendendo a pretesto non solo lʹavvenenza di una povera contadina, ma anche la sua aria altera ed i suoi tratti fini da aristocratica ignorata, non esitava ad abusarne, lasciandola magari incinta a dover provvedere al nascituro. Tanto ciò che era accaduto, era dovuto alla affinità di lignaggio. Patrizie o plebee, comunque, di fronte ad una popolana avvenente, di solito, principi, baroni, marchesi non andavano tanto per il sottile. Così assieme al popolo cresceva un fiorente stuolo di bastardi senza colpa , se non quella di essere venuti al mondo demuniti di tutto e con una vita tremenda da affrontare come servi della gleba. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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A Lucrezia che ignorava tutto di tanta discendenza il destino aveva, invece, riservato un ruolo alla corte del re di Francia, Enrico IV. Il giorno dopo, il corteo regale lasciò il Monferrato. Su di una carrozza assieme ad altre tre damigelle che la guardavano incuriosite aveva preso posto Lucrezia con un velo sulla testa che ne celava la tonsura. Era stata invitata a truccarsi, prima di uscire dal convento con artifizi che le aveva inviato la regina. Aveva anche una toilette degna di una grande dama. Gliela aveva fatta avere nella sua cella la sua protettrice. Lʹaveva indossata in fretta e furia. Poi aveva ricevuto la visita di commiato della superiora. Il corteo regale era partito. La superiora del convento era ben lungi dal prevedere che un giorno si sarebbe trovata di fronte un tremendo e vendicativo inquisitore alla ricerca della suora volatilizzatasi nel nulla. Ma si trattava di una grande e generosa dama e, pur facendone crudelmente le spese, mantenne il segreto sulla sorte della monaca sfuggita alla clausura. A Parigi, la vita di Lucrezia cambiò in modo radicale. Era una dama di corte di Maria di Francia e, finalmente, la sua vita aveva riassunto quei contorni brillanti cui era stata abituata fin dallʹinfanzia. Curiosa infanzia, in verità. A Siena, affidata alla nutrice Celestina cui si era affezionata come ad una madre. Avevano in casa anche della servitù. Le avevano detto quandʹera fanciulla che i suoi genitori erano morti, ma essendo molto facoltosi era entrata in possesso, sin da piccola, di beni che le consentivano agiatezza e di frequentare , nella prima giovinezza, gli ambienti della media borghesia . Poi aveva conosciuto ad una festa il suo futuro marito. Il conte senese che aveva fatto quella tragica fine, di cui avevano dato la colpa a lei. Si era trattato di un avvelenamento accidentale, forse dovuto al consumo di funghi ? Una sorta di nebbia ottenebrava la sua mente al ricordo della morte del marito. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare gli avvenimenti che lʹavevano preceduta. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Ma qualche sprazzo, qualche barlume di intuizione si affacciava alla sua mente. Certo, vi era stata una mano omicida dietro la scomparsa del suo sposo. Ma chi ? Chi ? Quellʹinquisitore che aveva sentito chiamare Maupertuis, però, si era scagliato subito contro di lei. Sentiva, Lucrezia, che quel triste sire aveva qualcosa di personale nei suoi confronti. Ma che cosa ? Si era chiesta a più riprese senza, tuttavia, trovare una soddisfacente risposta. Alla corte parigina, col trascorrere dei mesi, aveva ripreso gusto alla vita. La sua avvenenza aveva attirato molti gentiluomini presso di lei. Tra coloro i quali le facevano una corte assidua vi era Pierre Dupuis, il tesoriere di corte. Personaggio molto in vista che, essendo entrato nelle grazie e nelle confidenze della regina sapeva tutto della discendenza di Lucrezia. Volle chiedere la sua mano. “Mi conoscete appena,vostra Signoria, e dovete sapere che sono rimasta vedova in circostanze drammatiche. Venni accusata della morte del mio sposo...Ingiustamente, certo. Ma intanto per me si aprì, a Genova, la porta del carcere e venni sottoposta alle torture dellʹInquisizione...” “Non dite altro, Madonna!” esclamò Dupuis, fiero nel suo costume da cerimonia con la parrucca alla moda dellʹepoca , indossata dai cortigiani per le grandi cerimonie. Barbetta e baffi biondi. Era un vero parigino, elegante e di alto rango, uomo di fiducia dei sovrani. I moschettieri del re avevano di Dupuis grandissima stima, anche perché aveva persuaso – di recente – la corona ad aumentare i loro appannaggi. Ma nei suoi confronti nutriva, invece, una certa animosità il cardinale Richelieu, il quale tramava per imporre la propria autorità a corte più che occuparsi a fondo di nuocere al tesoriere reale. Era una lotta per il potere tra il trono e lʹaltare che però sapevano, allʹoccasione, coniugare eccellentemente i rispettivi interessi quando si trattava di fronteggiare il malcontento di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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popolazioni miserabili . Dupuis voleva a tutti i costi sposare Lucrezia. “Non dite altro, mia cara, e prendete tutto il tempo per riflettere. Io sono paziente e, non essendo poi tanto vecchio, posso aspettare la vostra risposta. Riflettete e poi mi comunicherete la vostra decisione quando lo riterrete opportuno.” In cuor suo, la bella dama aveva già deciso. Sapeva che non avrebbe detto no a Pierre Dupuis. Infatti, di lì a pochi giorni disse “sì”. Fu un matrimonio di un fasto sicuro ma di buon gusto, dato lʹalto lignaggio della sposa e dello sposo. Ecco, quindi, Lucrezia alla corte di Francia. Un nuovo destino che, per qualche tempo, potrà sottrarla alla implacabile caccia dellʹinquisitore Maupertuis. Quando lʹalto prelato, dotato di poteri speciali, andrà in quel convento di suore del Monferrato per accertarsi della presenza della sua strega troverà vuota la sua cella di clausura. Ma il grande inquisitore fiammingo non era tipo da lasciare perdere una pista, una traccia e da lasciarsi sfuggire una preda. LO STEEN, IL CASTELLO DEI FANTASMI I moderni storiografi delle Fiandre vi diranno che le origini del castello dello Steen di Elewijt variano a seconda delle fonti, di cui gli studiosi del passato dispongono. Alcuni fanno menzione dellʹundicesimo secolo, allorquando sul posto sorgeva una fortezza eretta nella piana brumosa, in quella landa di desolazione, tra nebbie grigie ed azzurrine col cielo che si poteva toccare con un dito quanto era basso ed incombente, per proteggere il ducato del Brabante contro gli attacchi dei nemici di Malines. Altri storici preferiscono indugiare sul quattordicesimo secolo, quando un certo messere, di nome Arnold de Wilre, signore di Elewitte, si diede per titolo nobiliare in aggiunta ai suoi appellativi quello di “de Lapide” o “de Steen”. Questo Arnold Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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van Wilre – è accertato – risiedette nel castello da lui fatto costruire, con torri, merli e tutto il resto. Diversi atti notarili le fanno menzione almeno fino allʹinizio del diciottesimo secolo: il castello passo di proprietario in proprietario, tutte famiglie favorevoli ai Brabançons contro i Malinois. Il castello divenne un luogo di guarnigione durante le guerre di religione, più esattamente nel 1585, quando le truppe di Alessandro Farnese, condottiero cattolico, assediarono i protestanti calvinisti della città di Malines. Nel 1622 , lo Steen veniva descritto nelle pergamene dellʹepoca come un vero e proprio castello “con il suo ponte levatoio, le torrette merlate, i suoi fossati e tutto intorno vasti possedimenti di terra arabile e coltivata. Praterie e foreste. Alcuni anni dopo venne venduto a Frédéric de Marselaer e Marguerite de Baronaige, alla quale il proprietario seguente del castello, Pier Paolo Rubens fece il ritratto . Arriviamo così allʹartista che interessa questa nostra storia straordinaria. Il maestro fiammingo , ormai al vertice della fama in tutta Europa, caposcuola del Barocco, reso nobile degli Arciduchi che gli avevano conferito un blasone per consacrarne definitivamente lʹalto lignaggio, aveva deciso di prendere nuovamente moglie. Si era invaghito di Hélène Fourment, più giovane di lui di ben trentotto anni. La differenza dʹetà, in quellʹepoca, non era tenuta in gran conto. Il censo, invece, lo era eccome. Per questo, dopo il fastoso matrimonio, Pier ed Hélène erano andati ad abitare nel castello. Ma aveva gusti ben diversi. Lui proseguiva, infaticabilmente, la sua opera di pittore, Riceveva i suoi allievi, scriveva lunghe lettere a persone amiche. Leggeva. Uno dei suoi libri preferiti, vero capolavoro seicentesco che servirà di modello ai romanzieri di tutto il mondo, era il Don Chisciotte di Cervantes. “Ecco, io – diceva ai conoscenti, con un malinconico sorriso – sono un cavaliere errante dei pennelli e dei colori. Le mie tele sono i miei mulini a vento contro i quali lancio Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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gli effetti cromatici dalle mie tavolozze. Sì è vero: per dipingere, per fare dellʹarte, occorre un pizzico di follia. Proprio come il cavaliere errante de La Mancha , cui le letture avventurose e cavalleresche, avevano dato alla testa. Non si è sognatori, non si è artisti, se non si è anche un poco pazzi...” Ma della follia umana, Rubens, ormai ritiratosi nel castello dello Steen ricordava esempi più che eloquenti che si affastellavano nella sua mente, mentre partecipava ai ricchi e sontuosi banchetti ordinati dalla sua giovane sposa, amante della vita mondana, cui partecipavano nella dimora nobiliare, principi ed aristocratici di ogni paese. Lʹetà pesava sulle spalle dellʹartista, il quale pur continuando a dipingere, provava ormai un insopprimibile bisogno di quiete. Le feste organizzate da Hélène gli sottraevano buona parte di questo agognato riposo, ma lui vi si sottoponeva di buon grado, rendendosi conto del fatto di dover pure fare qualche concessione allʹetà della giovane moglie. Così si sottoponeva diligentemente e con pazienza alle cerimonie nelle quali era oggetto di ammirazione da parte dei nobili che ammiravano la sua arte. Ne ascoltava gli apprezzamenti, senza condiscendenza. Doveva, il più delle volte, guadagnare tempo procrastinando il più possibile le richieste di ritratti per le gallerie degli antenati che gli aristocratici – disposti a pagare qualsiasi somma pur di assicurarsi la firma del celebre pittore – gli sottoponevano con grazia ma non senza una leggera insistenza. Le visite, frequenti, che gli facevano maggior piacere erano quelle dei tre allievi, protagonisti con lui del viaggio in Italia. Antoine Van Dijck, Jacob Jordaens e David Teniers lo veneravano come un insuperabile maestro che era stato determinante per le loro rispettive carriere di artisti ormai famosi. Eppure con David Teniers, il grande maestro era stato durissimo un giorno, quando lʹallievo di era presentato a lui con un suo dipinto che Rubens aveva aspramente criticato, definendolo “opera orrenda”. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Era la raffigurazione di una scena di stregoneria, in cui una donna posseduta dal demonio brandiva con la mano destra alzata un acuminato coltello, mostrandolo con aria minacciosa a cani neri che abbaiavano furiosamente al suo indirizzo. Tutto attorno a lei, rospi orribili, folletti, serpi striscianti, demoni, un ossesso brandiva una scopa. Rubens non poteva neppure sopportare di sentir menzionare la caccia alle streghe e, per lui, quel quadro del giovane David aggiungeva soltanto elementi cromatici ad una esecrabile superstizione che egli , in cuor suo, non poteva che condannare. Eppoi vi era la storia di Lucrezia a fare da sfondo a questa idiosincrasia per le credenze popolari, per le assurdità che il suo secolo, come quelli precedenti aveva divulgato malgrado i primi progressi scientifici cominciassero ad affacciarsi sulla grande scena del mondo, lenti, contrastati e condannati da quella stessa superstizione che non cedeva di un pollice il proprio terreno di conquista nelle menti più semplici e più umili così come in quelle dei nobili e dei re. David si era scusato: “Era un scena che vidi visitando un borgo della Liguria, Molini di Triora, nellʹAlta Valle Argentina. Una indemoniata minacciava con un coltellaccio gli abitanti di Triora che fuggivano impauriti, urlando “La strega, la strega!” Con tanti paesaggi belli in riva al mare, tu proprio la scena della strega vai a dipingere!” Ma maestro...” Niente se e niente ma. La tela è orribile come lʹepisodio che raffigura. Vi è, naturalmente, nella composizione il tuo innegabile talento. Ti prego, tuttavia, di scegliere soggetti più degni della nostra arte...dʹora in poi.” David Teniers, in quellʹoccasione, era ammutolito pieno di imbarazzo. Aveva poi pensato che quel dipinto non poteva non evocare nella mente del suo ammirato maestro pensieri e ricordi certo non piacevoli. Che sciocco sono stato a mostrargliela, pensava tra sé lʹallievo. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Conoscevo benissimo gli eventi e quali ricordi il mio dipinto può avere evocato. Effettivamente, era stato così. Ricordi, dolorosi, che Rubens – nella vecchiaia trascorsa nel maniero – rievocava quasi quotidianamente nella sua mente agitata. Ricordi di unʹesperienza che aveva vissuto con sentimenti di profonda angoscia e, trovandosi di fronte a scelte drammatiche che lʹavevano profondamente turbato, rendendogli amaro persino lʹinnegabile successo che da ogni parte gli aveva arriso. Una vicenda umana aveva fatto da cornice ai suoi veri e propri trionfi nellʹarte figurativa. Ma quei ricordi, quei ricordi: quanta ansia, quanta amarezza e dolore in quei ricordi di una vicenda terrena così umanamente imprevedibile e del tutto inaspettata. I suoi contorni evocavano più la tragedia greca di quanto invece non fossero attinenti ad una epoca di galanteria e di corti nobiliari riccamente addobbate. Con lo specchio irreale e deformante di una fantasia di artista che ne approfondiva gli elementi e gli aspetti più reconditi, Rubens ripercorreva quelle vicende oscure impresse nella sua mente, indelebili ricordi, senza mai farne la minima menzione con la giovane sposa Hélène, del tutto ignara dei retroscena e dei precedenti che avevano anticipato le sue nozze sfarzose con lʹaffermato pittore, avvenute nellʹanno di grazia 1630, dopo la lunga e dolorosa vedovanza del maestro fiammingo. Sì i ricordi di Rubens, durante quegli anni ! Era proprio per sfuggire a quelle tormentose rimembranze che il grande pittore si era rifugiato nel castello. Gli avvenimenti che si erano verificati nei tempi della sua maturità di artista e di uomo sfilavano nella sua mente sotto forma di figure spettrali di personaggi che aveva avvicinato, conosciuto alcuni superficialmente ed altri a fondo. Erano più che dei semplici ricordi, erano lampi, sprazzi di vita che si affacciavano prepotentemente alla sua memoria, condizionandone gli ultimi dipinti che apparivano stranamente cupi come la vicenda di cui era stato in parte egli stesso protagonista ed alla quale in ogni caso aveva assistito come Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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spettatore privilegiato in una crescente angoscia, punteggiata da una sorta di indicibile terrore. Avrebbe preferito dimenticare tutto, Rubens, ma proprio non ci riusciva. Aveva quasi equiparato il termine memoria e dolore, nella sua mente sempre lucida e consapevole . MAUPERTUIS A PARIGI Lʹinquisitore Maupertuis, dopo lʹinutile visita al convento del Monferrato, non si era dato per vinto. Doveva seguire la traccia della strega che, per lui, era una evasa. Doveva diventare monaca di clausura ed invece aveva trovato la cella della reproba vuota. Non si era lasciato ingannare, Maupertuis, dal racconto della madre superiora, anche se aveva finto di crederle, parola per parola. Senza un intervento dallʹalto – si era detto – nessuna cella monacale si nessun nostro convento di clausura si sarebbe mai aperto alla dannata seguace del Maligno. Qualcosa di indiscutibile devʹessere accaduto per obbligare una madre superiora ad inchinarsi, un volere supremo, inattaccabile e indiscutibile. Di chi ? Un principe, un sovrano, un alto prelato. “ Rifletteva in tal modo, Maupertuis, spronando il cavallo che doveva portarlo a Parigi alla corte di Enrico IV, per volere del gran confessore, il cardinale Richelieu. Fece sosta, lungo il cammino, in una locanda e fu lì che venne a sapere della recente visita che, mesi prima, aveva compiuto in quei luoghi Maria de Medici, regina di Francia. Una luce improvvisa ed abbagliante si accese nella mente di Maupertuis. Ma certo ! Una Medici, come lei... Eppure, era un segreto ben celato. Noto a pochissimi. Ma doveva Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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essere trapelato in qualche modo, fino a giungere alle orecchie di una regina. Le cose, si diceva lʹuomo di Chiesa, dovevano essere andate così. Soltanto lʹordine perentorio di una sovrana poteva aver spalancato le porte del convento a quella seguace di Satana. Ma le vie della giustizia religiosa e divina erano diritte e rigorose. Lui le avrebbe seguite, ad ogni costo, fino alle estreme conseguenze. Anche se ciò lo avrebbe forse portato ad un rischioso confronto con il potere temporale. Ma la volontà di Dio – ruminava entro di se Maupertuis – doveva essere fatta in ogni modo. Fino alla punizione esemplare della donna che aveva osato allearsi con le potenze del male e sfidare il volere divino. Nessuna pietà per stregoni e streghe. LʹInquisizione, la Santa Inquisizione, avrebbe fatto il suo corso fino in fondo, anche se in aperto contrasto con il capriccioso volere di una testa coronata, fosse pure quella di Maria de Medici, regina di Francia. Con rinnovato ardore, spronando il destriero nero, ottenuto alla locanda fresco di forze, Maupertuis, cavalcava come un angelo sterminatore sulla via di Parigi. Aveva un compito da portare a termine. Una missione cui non si sarebbe sottratto per nulla al mondo. Il suo fanatismo estremo poggiava su base sincere, perché questo era il dramma che vivevano inquisitori come lui : credeva realmente nelle forze del male, negli ispiratori dei sabba delle streghe, cioè diavoli e demoni sotto sembianze umane. Credeva ciecamente nella verità che faceva di povere donne dei tabernacoli di Satana, possedute da forze occulte e malvagie. Nessun dubbio, non la minima esitazione, sfiorava la mente di questo inquisitore tutto dʹun pezzo. Come poteva dubitare che la sua guerra fosse santa ? Aveva sentito il richiamo della religione giovanissimo, inspiegabilmente accompagnato, questo richiamo verso le cose divine, da un primissimo risvegliarsi dei sensi. Aveva subito compreso, essendo un giovanetto intelligente, che le fattezze Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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attraenti del sesso femminile ‐in contrasto con le sue nascenti convinzioni ultramondane – potevano costituire unʹarma possente, se male utilizzate, nelle mani del grande nemico, del tentatore universale. Questʹultimo – lo aveva appreso dalle messe e dai sermoni nella vecchia chiesetta del suo villaggio – mai smetteva, un solo istante, di porre in tentazione gli esseri umani. Il rischio era lo spalancarsi, per le anime immortali, degli Inferi. Per lʹeternità. Pene e tormenti eterni per le anime dei dannati che avevano ceduto alle lusinghe della carne, alle tentazioni dei demoni, accostati ormai nella mente fanciullesca a figure femminili. Così era nato, nellʹadolescenza, lʹanimo dellʹInquisitore. Si era rafforzato, dopo le prime cadute nel peccato della prima giovinezza, con una sorta di orrore per la lussuria e nel vigore dellʹetà adulta si era consolidato, trasformandosi in vera e propria avversione per le tentatrici. Maupertuis non ignorava che le più pericolose, tra le streghe, erano anche le più avvenenti. Come Lucrezia. Già il colore delle sue chiome evocava immagini infernali. Così come le sue forme sinuose e tutto nel suo comportamento evocava la presenza satanica. Lʹaveva conosciuta in Toscana, dove egli era andato in missione per seguire lezioni di teologia di un celebrato maestro. Sapeva che era la promessa di un piccolo aristocratico senese, il cosiddetto duca, poi divenuto il suo sposo. Il segno inequivocabile per Maupertuis della dannazione della donna dalle chiome rosse era, però, venuto da un fatto apparentemente banale, ma ricco di significati per il monaco. La vide un giorno, passando a piedi, accanto alla grande porta‐ finestra della sua dimora a pianterreno, affacciata su un giardino di rose rosse, che...dipingeva ! Una dama con il pennello in una mano, la tavolozza di colori nellʹaltra e sulla tela, sulla tela – incredibile a dirsi – lʹapparire della sua stessa figura, con le chiome rosse, i tratti inequivocabili. Un autoritratto dalle fattezze perfette. Maupertuis non si intendeva certo di pittura, ma quel ritratto, quel volto, quei Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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contorni. Chi se non il diavolo poteva guidare la mano della pittrice ? Restò a spiare nascosto dietro una siepe. Vide che la gentildonna che aveva quasi completato la sua opera, si ritirava in unʹaltra parte della casa. Fattosi animo, Maupertuis, si avvicinò ancora di più alla porta finestra per poter sbirciare allʹinterno dellʹabitazione. Riuscì così a scorgere perfettamente i lineamenti di quel ritratto. Erano le fattezze della pittrice che le aveva riprodotte esattamente sulla tela, tanto che essa appariva animata come un essere in carne ed ossa. Aveva incastonato due gemme, due smeraldi, al posto degli occhi verdi della creatura. Le pietre preziose sfavillavano con luce diabolica. Lo sguardo luciferino, anziché turbare Maupertuis, eccitò il suo odio ed il suo rancore. Che una donna potesse anche dipingere ed in quel modo... Unʹopera del diavolo doveva, per forza, finire in cenere. Assieme alla sua autrice. Questo fu il giuramento, quasi il voto, che il monaco fece, fanaticamente, a se stesso. Non avrebbe avuto pace fino al suo completo adempimento. Giunse Maupertuis a Parigi in unʹalba brumosa. Si recò a corte, con le credenziali ecclesiastiche fornitegli dal Cardinale Richelieu. Soltanto lui sapeva con esattezza chi avrebbe incontrato, tra le damigelle della regina, e forse tra le favorite di Enrico IV. Poiché, si diceva il grande inquisitore con malcelata aria di disapprovazione, alla corte di quel sovrano damigelle regali e favorite erano intercambiabili dato che il sovrano era anche troppo conosciuto per le sue avventure galanti e per la corte spietata che faceva alle dame che frequentavano la sua corte. Ma il monaco era a caccia di una strega e non si sarebbe fermato dinnanzi a nulla ed a nessuno, neppure dinnanzi ad una testa coronata. La Chiesa era al suo massimo potere e fulgore e, con lʹappoggio Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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del cardinale Richelieu, gli sarebbe stato possibile certamente portare a termine unʹopera di giustizia divina, decretando la completa disfatta di Satana e dei suoi seguaci, streghe o stregoni che fossero. Più o meno nello stesso periodo nel quale Maupertuis giungeva nella capitale del Regno di Francia, anche un altro eminente personaggio, sicuramente più noto e più ricercato di lui, faceva il suo ingresso nella reggia. Si trattava di Rubens, il quale aveva ricevuto dalla regina Maria de Medici lʹincarico di decorare le gallerie del Palazzo del Luxembourg. Avrebbe dipinto, in quellʹoccasione anche un famoso quadro: il ratto delle figlie di Leucippo. Una dama di corte gli servì da modella per la figura centrale. Aveva le chiome rosso fiamma. LA VITA DI LUCREZIA A PALAZZO REALE Era trascorsa felice, in quegli anni, la vita di Lucrezia alla corte di Maria ed Enrico IV, sovrani di Francia. Tranquillo e senza scosse, il matrimonio con Pierre Dupuis lʹaveva trasportata in una nuova dimensione di serenità senza precedenti nel corso della sua giovane vita avventurosa. Aveva dato alla luce una figlia, cui era stato imposto il nome di Hélène. Vivevano a corte negli agi, in quanto il ruolo altolocato di tesoriere, ricoperto dal marito, garantiva un appannaggio molto elevato e per lei una vita spensierata, dopo tante prove. Era la confidente di Maria di Francia, la quale con lei si lamentava per i tradimenti del regale consorte. Per questo Lucrezia, quando le capitava di trovarsi in presenza di Enrico IV teneva gli occhi abbassati, il suo fare modesto non attirava su di lei particolari attenzioni. Assumeva unʹaria quasi sciatta per timore che lo sguardo del sovrano potesse posarsi anche sul suo viso e sul suo corpo ed attirare su di sé un interesse che voleva assolutamente evitare per restare fedele alla sua nuova amica regnante. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Questʹultima si rendeva conto che la sua consanguinea avrebbe potuto piacere al re e non le era sfuggito lʹatteggiamento riservato di Lucrezia. Cosa che aveva accresciuto in lei i favori verso la donna che aveva fatto uscire dalla clausura del convento. “Lei non figurerà tra le favorite di quel donnaiolo – pensava la regina – ha il senso dellʹamicizia molto profondo. Eppoi è fedele a messer Pierre Dupuis il quale, in fondo, è un bravʹuomo ed un suddito leale. Ho compiuto la scelta giusta in quel convento del Monferrato. Una Medici, chi lʹ avrebbe detto! Mi chiedo se i legami del sangue non superano tutte le barriere e fanno sentire affini le creature anche se non sanno di essere imparentate. Devʹessere il caso mio e di Lucrezia.” Naturalmente, la regina di Francia si era ben guardata dal mettere al corrente del suo grande segreto sia il consorte che la più diretta interessata. Come dire a Lucrezia: ti ho scelta perché apparteniamo entrambe alla famiglia de Medici di Firenze, siamo discendenti di quel Lorenzo il Magnifico che si erge come un gigante nella storia della città del Giglio e tu per giunta sei la discendente di una famiglia che ha dato alla Chiesa un Papa! Quanto a lei, Lucrezia, ripercorreva mentalmente nei giorni uggiosi dove sulla reggia si ammassavano nubi plumbee e grigie, e le giornate trascorrevano lente e monotone, le fasi della sua vita: dalla prima adolescenza alla maturità. Il caro ricordo della nutrice che le aveva fatto da madre. Una donna tenerissima e laboriosa. Esperta nelle erbe e piante medicinali che sapeva riconoscere a prima vista fin dal loro germogliare. Le aveva insegnato molte cose la Celestina, anche le proprietà medicamentose degli erbaggi, per decotti e tisane, per unguenti e balsami. Eppoi, pur non essendo una donna di grande cultura, lʹaveva avviata ai primi studi ed, interpretando magistralmente, i suoi disegni giovanili aveva compreso – quasi in modo miracoloso – le sue capacità potenziali nelle arti figurative. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Potrebbe diventare una grande pittrice – si era, infatti, detta la Celestina, quasi come se una voce interiore le parlasse perché lei, a dire il vero, non si intendeva affatto di arti figurative di ritratti e di disegni. Ma qualcosa le aveva fatto intravvedere che quei volti che Lucrezia disegnava avevano qualcosa di divino come le sue Madonne ed i suoi Santi che i grandi e rinomati artisti dipingevano nelle sue Chiese. Era devota la Celestina, sempre fervidamente assorta in preghiera e con uno sguardo dallʹindicibile candore quando si rivolgeva allʹAltissimo per chiedere la sua grazia e protezione per la pupilla. Così Lucrezia era cresciuta ed aveva appreso anche i rudimenti di quellʹarte così maschile da costringerla quasi a dipingere di nascosto le sue tele. Guardandosi allo specchio aveva notato i tratti del suo volto luminoso che le avevano suggerito le prime composizioni pittoriche, i suoi primi autoritratti. Poi lʹautoritratto era divenuto, per così dire, il suo cavallo di battaglia, in quanto era lʹunico volto che scrutava più spesso,da bimba nellʹacqua dei ruscelli,e da adolescente nelle fontane della città di Siena dove lei e la Celestina erano andate ad abitare, poi ormai donna negli specchi dalle cornici dorate dei palazzi. A memoria, con narcisistico compiacimento, avrebbe ormai saputo ritrarre le proprie fattezze ed i propri lineamenti sulla tela, in quello che era ormai divenuto il suo atelier privato, in unʹala della sua spaziosa dimora . Poi, si era invaghita del duca dal casato incerto, ma aveva accettato comunque di convolare a nozze con quellʹuomo. Le era rimasta vicina fino... fino a quando era morto per quel malaugurato avvelenamento da funghi, quella sera, in quel palazzo di Genova. Ma cosa era accaduto ? Una nebbia scendeva sulla memoria di Lucrezia. Il cuoco che di cucina pareva essere un grande intenditore, almeno fino a quella sera. La servitù, le donne delle pulizie, i camerieri... Ma chi ? Tutto si faceva confuso nella mente di Lucrezia. Con una certa angoscia, vedeva come una mano diafana e spettrale scegliere dal cestello di funghi, raccolti il giorno prima Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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sulle alture dei boschi che attorniavano la città di Genova quel fungo rosso con le macchioline bianche. Perché proprio quello e da chi ? La sua mente si annebbiava e sui ricordi di quella sera fatale scendeva un impenetrabile velo nero che le luci della memoria non riuscivano più a penetrare. Lʹamnesia era totale e il buio completo. Il gentiluomo, Pierre Dupuis, era di una signorilità eccezionale e di un attaccamento esemplare verso la sua sposa. Quando divenne madre, dando alla luce una bambina cui venne imposto il nome di Hélène, il nobile personaggio pareva come trasfigurato dalla gioia. Si prodigava per non fare mancare nulla alla consorte e la colmava di mille attenzioni. Quando il grande pittore fiammingo Rubens giunse a corte, Dupuis fu lʹunico a potersi rivolgere a lui come ad un vecchio amico perché lʹaveva conosciuto a Marsiglia, quando il suo re era andato ad accogliere la sua regina Maria al pontile di attracco della nave proveniente dalla Toscana. Rubens aveva dipinto da par suo la scena dellʹincontro tra i due promessi sposi ed aveva conosciuto, tra i personaggi al seguito di Enrico IV, il tesoriere Pierre Dupuis. Egli era benvisto anche da Maria de Medici, soprattutto dopo il suo matrimonio con Lucrezia. Fu Dupuis a presentare sua moglie al grande pittore. Quando Pier si trovò di fronte la dama dai capelli rossi rimase come impietrito dalla sorpresa e dallo stupore. Pierre Dupuis lo osservava con malcelata curiosità. Per la prima volta, aveva notato unʹesitazione e quasi dello sgomento sul volto del grande artista. Lo aveva trovato, insolitamente imbarazzato a prima vista. Cosa sorprendente in un personaggio sempre così sicuro di sé. Lucrezia gli aveva sorriso con grazia, porgendo la mano per il baciamano di rito. Rubens era rimasto incerto. Dupuis passava di sorpresa in sorpresa. Poi, quasi risvegliandosi da un improvviso torpore, lʹartista non nascose più la ragione della propria sorpresa. Ebbe come un Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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trasalimento, sfiorò con le labbra la mano tesa della bella dama ed esclamò “ Servitor vostro, Madame...” Poi aggiunse rivolto a Dupuis: “Una sposa affascinante. Ma io avevo già visto un suo ritratto in una casa nobiliare di Genova, quella di messer Pallavicino...” Il gentiluomo francese aveva avuto a sua volta un movimento di sorpresa ed aveva esclamato: “Un ritratto di Lucrezia ?” “Sicuramente – aveva replicato Rubens ‐a meno che non si tratti di una somiglianza davvero sorprendente e quasi incredibile...” La donna aveva avuto a sua volta un trasalimento. Come poteva quellʹuomo aver veduto un suo ritratto – o per meglio dire uno dei suoi autoritratti, perché lei certo non ignorava chi li aveva dipinti tutti‐ e per giunta a Genova. Quella città che evocava ricordi così dolorosi per lei, la morte del duca, lʹarresto, la prigione, la condanna per stregoneria, la grazia e poi la definitiva sentenza che la relegava in un convento di clausura. Lucrezia sbiancò in volto ed ebbe appena il tempo di mormorare: “Scusatemi, non mi sento bene...” prima di svenire nelle braccia del marito pronto a sostenerla, con aria incredula e preoccupata. Mentre Rubens, anchʹegli quasi sconvolto, si stava dando mentalmente dellʹincauto per aver svelato così brutalmente, senza troppo riflettere, lʹesistenza di quella tela che doveva avere per la signora qualche tremendo significato. Lui poi era ben tristemente al corrente della vicenda che lʹaveva coinvolta nella capitale ligure. No, davvero, non poteva perdonarsi di aver parlato con tanta leggerezza di quel quadro! Ma perché lʹaveva fatto ? Sbadataggine o che altro. Desiderio di sollevare una volta per tutte il velo dellʹenigma da quella storia tenebrosa. LE MORTI MISTERIOSE A CORTE Furono due cortigiani di Enrico IV a scorgere lunga distesa in un corridoio che portava alla torre del Castello della Reggia la figura Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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di un uomo che stava rantolando in preda agli spasimi della morte. I due gentiluomini si lanciarono in suo soccorso. Ma dallʹapparenza cianotica del viso contratto in una orrenda smorfia di dolore compresero subito che per Pierre Dupuis, il gran tesoriere del re non vi era più nulla da fare. Lʹuomo morente venne comunque portato in fretta e furia nei suoi appartamenti. Disteso sul proprio letto matrimoniale a baldacchino. I due gentiluomini cercarono di alleviarne le pene come meglio potevano. Ma senza alcun esito. Lo sguardo del nobiluomo era rimasto fisso, gli occhi vitrei. Dalla bocca usciva una bava biancastra e schiumosa e la lingua cominciava ad annerirsi. Avevano urlato, i due gentiluomini con quanto fiato avevano in gola . Erano accorsi gli armigeri, i moschettieri del re ed era stato convocato con la massima urgenza il medico di corte, Georges Moreau. I soccorsi non erano valsi a nulla. Lo sposo di Lucrezia era ormai morto, come constatò allargando le braccia in segno di rassegnazione il medico. “La causa ? Cosa lo ha ucciso ?” chiese, angosciato, uno dei gentiluomini. Il medico appariva incerto. Sembrò tergiversare. Alla fine si decise a parlare: “Ho visto altre morti simili. Secondo le prime apparenze e se io, malgrado la lunga esperienza personale nellʹarte della guarigione, non mi inganno. Qui si tratta di un caso inequivocabile di avvelenamento.” Gli astanti erano ammutoliti, impallidendo. Tutti si sentirono gelare il sangue nelle vene. Il grande argentiere del re avvelenato! Il fatto era di per sé enorme ed incredibile. Tuttavia, era accaduto. “Ma chi può essere stato ? Che cosa può averlo ucciso ? Quale misterioso veleno? “ Gli interrogativi si affastellavano creando una torre di incredulità Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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e di dubbio. I fantasmi spaventosi della misteriosa mano che uccide allʹinterno della reggia di Francia si affacciavano alle menti di coloro che si erano radunati negli appartamenti dellʹucciso. Nessuno osava più parlare. “Adesso chi avrà il coraggio di dirlo a madonna Lucrezia ?” chiese uno dei cortigiani con una voce fievole come una candela che si spegne sotto il soffio della tragedia. “Penso – disse il medico, lʹunico che aveva conservato un briciolo di sangue freddo, toccherà me annunciare la triste nuova ai sovrani e mettere al corrente, con le dovute maniere, la povera vedova, sventurata creatura che da ciò che si dice di lei a corte, ha già subito in passato prove molto dolorose. “Quali prove ?” chiese un gentiluomo. “Ah, mi domandate troppo, messere. Non saprei. Ma si dice che avesse già perduto uno sposo in circostanze drammatiche. Evidentemente, ci sono tragedie ed affanni in serbo nel suo destino. Adesso, poi è madre di una bimba in tenera età... Per fortuna sua gode della protezione della nostra sovrana. Maria sarà tristissima per il lutto che ha colpito la sua favorita...” Come riscuotendosi dalle riflessioni, il medico ordinò alle guardie che erano rimaste impalate sullʹuscio della ampia camera: “Andate a cercare un sacerdote. Subito. Deve benedire la salma.” Erano accorse delle ancelle ed il dottore diede istruzioni per comporre il corpo in modo dignitoso, prima che altri lo vedessero. Aveva sul viso una smorfia dʹorrore, quasi di incredulità. Il suo aspetto faceva quasi paura. Era una maschera macabra e pareva quasi volesse urlare agli astanti il nome del colpevole, di colui che ne aveva troncato lʹancora giovane esistenza. Ma questo estremo tentativo alla vittima non era riuscito. Era morto dopo aver ingoiato qualcosa... Il dottor Moreau notò una bottiglia di liquido vermiglio su un ampio tavolo di mogano nero ed un bicchiere rovesciato su un Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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tappeto, sotto gli arazzi che raffiguravano scene di caccia con cani e cervi. Raccolse il bicchiere di cristallo finissimo che era rimasto intatto, malgrado la caduta sul tappeto rimasto macchiato in più punti. Portò la coppa al naso e fece una smorfia di disgusto. Un intruglio velenoso certamente era stato versato nella bottiglia. Su questo non vi erano dubbi. Non cʹera soltanto vino o liquore in quella bottiglia di liquido rossastro. Qualcuno voleva togliere il gran tesoriere del sovrano da questo mondo – rifletteva tra sé il medico di corte – su questo non vi è ormai il minimo dubbio. Eʹ stato avvelenato. Il trambusto nella reggia quando si sparse la ferale notizia fu enorme. Fu il padre confessore della coppia ad annunciare a Lucrezia Cybo De Medici in Dupuis la dolorosa notizia della sua nuova vedovanza. Lucrezia si era appartata con alcune damigelle di corte, ad ascoltare musica in un concerto di liuti e di cetre con abilissimi musicanti che facevano a gara nel virtuosismo delle note in unʹala del castello. Vide apparire il sacerdote che le fece un gesto con la mano come per invitarla a seguirlo. Il prete fece anche un cenno ai musici per invitarli ad interrompere il concerto. Lucrezia si alzò quasi con un oscuro presentimento nel cuore. Alcune damigelle si alzarono assieme a lei e si accingevano a seguirla verso lʹangolo della sala dove era rimasto ad attenderla il confessore impietrito come una statua. La donna aveva ordinato alle damigelle di non seguirla. “Che cosa mi dovete dire, padre ?” chiese con tono angosciato. “Vi reco, cara fanciulla, una ben triste nuova... Il vostro sposo...” Quando ebbe terminato la frase e rivelato il contenuto della sua missione, Lucrezia lanciò un urlo e cadde ai suoi piedi svenuta. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Nei giorni seguenti, fu tormentata da una febbre altissima. Aveva la gola secca, le palpebre arrossate, il volto cereo. Pareva ella stessa uno spettro. Le lacrime continuavano a scorrerle sulle gote, quando pensava alla felicità perduta. Il medico di corte, accorso al suo capezzale, appariva molto inquieto riguardo alla sua sorte. Ma la morte del gentiluomo marito di Lucrezia – misteriosamente avvelenato da una mano sconosciuta ‐ non fu lʹunico avvenimento tragico nel castello dei re di Francia. Soltanto una settimana dopo, le guardie reali ritrovarono un altro cadavere. Era quello dellʹinquisitore Maupertuis. Era accasciato in una grande sala, vicino ad un enorme tavolo di mogano, sul quale erano rimaste alcune pergamene scritte in latino. Il monaco, uno dei personaggi più altolocati vicini al cardinale Richelieu, aveva scribacchiato con una scrittura minuta delle frasi in latino che riguardavano la sua missione terrena. Si trattava di riflessioni sulla demologia, sulle arti magiche, sui misteri alchemici e sulle azioni perfide e sotterranee degli stregoni, ai quali egli – infaticabilmente,ormai da parecchi anni – dava una caccia spietata. Sul petto di Maupertuis si era allargata una macchia rossa di sangue che era sgorgata copiosamente inzuppando la sua tonaca. Era stato ucciso con una sola, fatale , pugnalata che aveva raggiunto il cuore, facendolo crollare sul pavimento fulminato. Presumibilmente, non un delitto premeditato si dissero gli alti dignitari reali, i quali dopo aver riferito la macabra scoperta sia al cardinale che alle loro maestà, cercavano, con i modesti mezzi in loro possesso di sbrogliare lʹintricatissima matassa. Un delitto del tutto inspiegabile e pieno di misteri. Un enigma che gli inquirenti appartenenti al corpo speciale delle guardie reali sapevano di ardua soluzione. Comunque, cominciarono collʹinterrogare la servitù, comʹera consuetudine. Nessun alto personaggio venne inquietato con domande del tutto Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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inopportune. La giustizia del re sapeva benissimo che se doveva saltare fuori un colpevole, egli andava ricercato non tra i nobili bensì tra la plebaglia del palazzo. Chissà, forse un maniscalco, uno stalliere, un giardiniere. Insomma, classi laboriose ma sempre potenzialmente criminali. Per ovvie ragioni, lʹinchiesta degli ispettori di corte lasciava fuori lʹaristocrazia dalla faccenda. Ma il mistero si infittì quando a Palazzo venne a mancare improvvisamente una persona: Lucrezia, la vedova di Pierre Dupuis, colei che un lutto così recente aveva gettato nella più cupa e nera disperazione costringendola, febbricitante, nel suo letto. Tutte le ricerche si erano rivelate inutili. La bella dama dai capelli rossi era svanita nel nulla. Come se la terra si fosse aperta sotto i suoi piedi delicati e lʹavesse per sempre inghiottita. Assieme a lei, era svanita anche la figlioletta. I cortigiani avevano trovato una stanza ed un culla vuote. GLI INCUBI ORRENDI DI UNA FOLLE
In una camera di una locanda di Gand, nelle Fiandre, aveva trovato rifugio Lucrezia assieme alla figlioletta. Erano tormentosi i sogni della bella dalle chiome rosse. Vedeva una piazza senese, inondata di luce; al centro si ergeva una catasta di legname. Lei, giovanissima, osservava la scena da una finestra in un silenzio assoluto. Nellʹincubo, che da molte notti e per molti anni era sempre stato il medesimo, lei vedeva comparire in fondo alla piazza una figura di donna vestita di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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sacco, attorniata da sagome nere incappucciate. Quella sorta di processione, preceduta da crocifissi, avanzava silenziosamente verso la pira al centro della piazza. Allʹimprovviso, lei riconosceva la figura della donna vestita di sacco e con i capelli rasati a zero. Era la Celestina! La sua nutrice. Era stata per lei una madre, la buona, dolce, Celestina. Ma che cosa le stavano facendo quegli uomini ? Dove la conducevano ? Perché si dirigevano verso la catasta di legname al centro della grande piazza ? Lei sentiva, addormentata in una bagno di sudore, quelle spaventose litanie ecclesiastiche. La piazza, intanto, si riempiva di villici, uomini e donne che – sospesi i lavori dei campi – convergevano attorno alla pira di legna. E la processione avanzava. La Celestina piangeva. Lei, dalla finestra, voleva urlare ma non ci riusciva. Si sentiva soffocare. Si sforzava di urlare, ma nessun suono usciva dalla sua bocca spalancata. Accanto alla finestra, scorgeva il suo autoritratto ancora fresco di pittura. Sì, ci sapeva fare con i colori. Fin da bambina. Quando aveva con un semplice pezzo di carboncino ritratto decine di volte su una rugosa pergamena il volto amato della sua nutrice. Da allora, da quel giorno , non lʹaveva più raffigurata. Aveva dipinto sé stessa, con le sembianze enigmatiche, con quel sorriso compiaciuto che voleva dire una sola cosa: sì, adesso, la Celestina è vendicata. Da me! Soltanto da me che lʹho vista morire sul rogo, impotente, da quella finestra sulla piazza, dalla quale per una volta ed una volta sola mi misi ad urlare come una folle. Prima di svenire. Quando mi risvegliai, quel tragico giorno, il destino della Celestina si era compiuto. Era salita sul rogo. Lʹavevano bruciata viva, con lʹaccusa di stregoneria e di praticare arti magiche. Lei, un angelo in persona...La mia nutrice. Mi madre.... Avevo giurato a me stessa – rifletteva Lucrezia, in sogno – di Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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vendicarla. Ci sono riuscita, altroché se ci sono riuscita. Ma la vendetta contro chi ? Contro il potere civile od ecclesiastico che fosse. Contro il potere dei nobili, veri o presunti... Contro quella gente ricca, che frequentava quei salotti, quella gente di alto lignaggio, di rango altolocato che diceva sempre “sì”, sempre “sì” ai preti, alle tonache, alle porpore cardinalizie, alla Chiesa, a quella Chiesa di Roma che mi aveva strappato la Celestina. Maledetti! Lʹavrebbero pagata, o se lʹavrebbero pagata! Lucrezia si agitava nel sonno. La risvegliava il pianto della sua Hélène. Che dal lettino accanto , nella modesta locanda, osservava le contorsioni spasmodiche del corpo della madre addormentava, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte. “Mamma, mamma, svegliati. Ho paura...” gridava la bimba. E lei, Lucrezia, si svegliava dal sonno, punteggiato da quei ricordi orribili. Era stato tutto vero, dunque. Il veleno che aveva versato, quella sera, a Genova nel piatto destinato a Sebastiano, lʹ aristocratico senese, suo marito, in aggiunta ai funghi velenosi che avrebbero fatto da paravento. Un errore da parte dei cucinieri, che diamine! Questo avrebbe detto così semplicemente allontanando da se i sospetti degli inquirenti. La fine orrenda che gli aveva visto fare a tavola. Ma certo, non apparteneva , forse, alla nobiltà senese, lui, Sebastiano ? Non aveva, forse, assistito la sua famiglia ‐assieme ad altri notabili della città toscana – al supplizio estremo di quella povera donna innocente, quella povera vecchia colpevole soltanto di interessarsi di erboristeria e di pozioni medicamentose ? Ma certo che la famiglia dellʹuomo che si sarebbe da lì a pochi mesi invaghito di lei e lʹavrebbe chiesta in moglie, apparteneva alla nobiltà senese, complice degli ecclesiastici, degli inquisitori, Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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di pazzi furiosi che mettevano le povere donne al rogo. Strega la Celestina! La bontà fatta donna. Ma la vendetta sarebbe stata terribile. E lo fu, infatti. Ma cʹera quel monaco, quel Maupertuis, che – chissà poi come diavolo aveva fatto – era riuscito a carpire i suoi segreti. Insomma, lʹaveva scorto una volta mentre lei stessa dipingeva il proprio autoritratto che la spiava da un giardino. Mentre incastonava negli occhi gli smeraldi offertigli da Sebastiano in pegno nuziale e per lei, invece, simbolo – quelle pietre dal colore luciferino – della vendetta che stava per compiersi contro un esponente della aristocrazia senese. Brutto ceffo, però, quel Maupertuis . Sospettoso ed intrigante. Fottuto fanatico prete. Il peggiore di tutti. Quante poverette come la sua nutrice avrebbe spedito al rogo, il maledetto monaco. Ma con lei avrebbe avuto filo da torcere. Altro che se avrebbe avuto filo da torcere. Alla fine ,anche per toglierselo di mezzo, aveva convinto Sebastiano, che nel frattempo aveva sposato, a trasferirsi nella città di Genova. Ma anche lì il monaco maledetto lʹaveva scovata, proprio mentre si era compiuto il destino del novello sposo. Adesso, ricordava tutto Lucrezia e mentre guardava la figlia dormente, pensava a quante volte la cara Celestina, sua nutrice amata, lʹ aveva guardata mentre dormiva, lʹaveva amorevolmente nutrita al suo risveglio, lʹaveva curata, lavata, pettinata, istruita anche nelle sue arti che conosceva così bene, povera donna. Lʹuso delle erbe medicamentose. Solo dei pazzi, fanatici, inquisitori potevano scorgere arti magiche nellʹinnocente sapienza di una popolana esperta in erboristeria. Ma la superstizione ed il fanatismo erano stati la tomba di Celestina e la miccia che avevano acceso la sua tormentosa follia vendicatrice. Ormai come un bagliore di luce , tutto le tornava alla mente. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Il suo odio implacabile per le classi agiate e per lʹaristocrazia in combutta con gli ecclesiastici. Ma non era questo che era costato la vita a Pierre Dupuis. La sua nuova vita alla corte di Francia, aveva cancellato i ricordi più bui e oscuri. Forse, era guarita anche dallʹinsaziabile desiderio di vendetta. No, era stato il colloquio rivelatore di Maupertuis con Pierre Dupuis a riaprire la piaga. Certo, lei aveva già confessato al secondo marito le circostanze della sua carcerazione genovese, lʹaccusa ingiusta di stregoneria, la grazia e la condanna ad essere reclusa in un convento di monache. La sua liberazione ad opera della regina di Francia. Ma dopo il colloquio con Maupertuis (da lei appreso casualmente) il marito, il padre di Hélène, gli era parso stranamente freddo per non dire sospettoso. Le aveva posto domande insistenti sui suoi legami con la Celestina. Lei gli aveva raccontato, forse imprudentemente, molte volte la fine ignobile che era toccata alla sua nutrice. Pierre Dupuis – dopo il colloquio con lʹinquisitore Maupertuis, chiamato in missione a Parigi dal cardinale Richelieu – non era più lo stesso uomo. Forse aveva cominciato a trovare strana la sua meticolosa conoscenza di erbe medicinali, il suo gusto per i dipinti e gli autoritratti. Aveva, forse, cominciato a considerarla come una strega ? Era davvero così o se lo era immaginato lei ? Eppoi, quellʹarrivo del pittore fiammingo così famoso che conosceva la sua storia... Quel riapparire di antichi fantasmi. Qualcosa aveva riacceso nella sua mente malata, strane idee. Sospetti, esitazioni, voglia di reagire ad una sorte che pesava su di lei come una maledizione. Gli spettri del passato non le davano pace. La sua mano era corsa ai veleni. Così anche il secondo marito aveva incontrato il proprio destino. Ma non era forse anchʹegli un nobile ? Non apparteneva ai Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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cortigiani vile razza dannata, non faceva combutta con gli ecclesiastici, non era del rango di una classe sociale che continuava a spedire sul rogo eretici, poveri diavoli e presunte streghe. Complice,dunque, e nella mente malata della dama dai capelli rossi, la parola complice era sinonimo di colpevole ed equivaleva ad una condanna a morte. Lʹavrebbe eseguita lei questa condanna, fattasi donna giustiziere, vendicatrice delle poverette accusate di stregoneria ed uccise da assurdi sospetti e da orripilanti capi di imputazione. Come era stata messa a morte dalle parrucche incipriate e dagli scherani della Chiesa la Celestina...sì come colei che le aveva insegnato il significato della parola “madre” ed era scomparsa tra le fiamme con indicibili sofferenze. Anche in lei si era riaccesa la fiamma della follia. E, dopo il secondo uxoricidio, ecco ricomparire, nei suoi appartamenti al tramonto, Maupertuis, il dannato monaco inquisitore. Le aveva lanciato in faccia le sue accuse, minacciando di farla arrestare dalle guardie del cardinale. Un colpo di pugnale aveva messo fine alla vita del tormentatore ed ai suoi assurdi anatemi. Poi la fuga notturna, con la figlioletta in braccio, una carrozza per condurla lontano, il più lontano possibile. Ma forse non abbastanza lontano da sfuggire alla giustizia degli uomini. Con quella del Signore, lei era sicura di avere agito come doveva . Perché – pensava – con lʹuccisione del peggiore degli inquisitori assassini, Maupertuis, lʹanima immortale della Celestina riposava finalmente in pace. Giustizia era stata fatta! LA CATTURA DELLA FUGGITIVA Alla corte di Francia, ormai anche la regina Maria de Medici, la sposa di Enrico IV, si era resa conto che la sua pupilla, quella Lucrezia che aveva tirato fuori dalla clausura e a lei legata da Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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vincoli di parentela era forse non una strega ma sicuramente unʹassassina. Lʹaveva confidato al suo amico pittore prediletto. “Mio caro Pier colei che ritenevamo una povera perseguitata, in realtà è unʹavvelenatrice di mariti ed ha liquidato con un colpo di pugnale lʹinquisitore che seguiva le sue tracce. Proprio un bel lavoro abbiamo fatto voi ed io!” Rubens aveva confidato alla sovrana il suo intervento, a Genova, in favore di Lucrezia e la regina, a sua volta, aveva rivelato al grande artista la sua benevolenza nei confronti di quella donna che era diventata una delle sue favorite. “La sua discendenza – disse Rubens – è nota anche a voi, maestà, ma ormai la sua colpevolezza è fuori discussione. Non lʹavrei mai creduta colpevole. Tanti nobiluomini genovesi, del resto, la ritenevano innocente quando lʹInquisizione la mise in carcere. Per questo, riuscii ‐con il sostegno degli aristocratici della città ligure – a farla liberare dal carcere ed a farle commutare la pena. Adesso, se viene ritrovata, è una donna morta. Ma dove può essere fuggita ?” “Mi chiedete troppo, Maestro – rispose Maria – a mio avviso, non ha complici e non può certo essere andata molto lontano. Verrà sicuramente catturata ed allora niente e nessuno potrà evitare a Lucrezia la forca, statene pur certo.” “Non riesco a comprendere i motivi dei suoi atti. Ma evidentemente la follia non ha bisogno di ragioni...” “Sì, la follia devʹessere stata la molla del suo agire, ne convengo.” “E con lei è sparita anche la figlioletta...” “Una situazione davvero affliggente. Non possiamo farci nulla, caro Maestro. A proposito come procedono i vostri lavori ?” “Sono stato turbato dagli avvenimenti, ma i quadri che mi avete commissionato per le gallerie del Luxembourg, sono quasi interamente realizzati e quando li vedrete, ne sono certo, li ammirerete davvero.” “Come tutte le vostre opere, mio caro Pier...” “Troppo buona,maestà.” Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Questo dialogo venne interrotto dallʹarrivo di un messaggero fiammingo che recava notizie dalla corte granducale di Alberto ed Isabella dal palazzo Coudenberg di Bruxelles. La pluriassassina era stata catturata, a Gand, mentre si nascondeva in una locanda assieme alla figlioletta Hélène. Non aveva opposto la minima resistenza ai gendarmi granducali, che lʹavevano presa in consegna ed affidata al governatore di Gand. Era stata rinchiusa, la reproba, nella fortezza della città fiamminga assieme alla sua bimba. Aveva confessato, tra le lacrime, i suoi atroci delitti. La regina Maria e Rubens si erano guardati senza profferire parola. Poi, rompendo il silenzio, la sovrana aveva esclamato: “Mio caro Maestro, penso che non rimarrete a lungo a Parigi. Vi vedo già pronto a correre a Gand, per seguire la sorte di Lucrezia, non è così ?” “Ebbene, maestà, non saprei... Penso a quella povera bambina, imprigionata assieme alla madre...Ma, stavolta, per la donna non vi sono più speranze. Cosa potrei fare per lei ? Nulla, assolutamente nulla. E voi? “ “Ah, se è per questo, neppure io. Ha ucciso un gentiluomo della mia corte, suo marito. Ha assassinato un emissario del cardinale Richelieu, sì insomma, quel frate inquisitore, quel Maupertuis. Ormai, il suo destino è segnato. La condanna è certa. Sarà messa a morte. La pena, nel Granducato di Isabella, è la decapitazione...Ma voi sicuramente andrete a Gand, prima che la scure del boia si abbatta sulla bella testa della nostra Lucrezia. Ho una missione per voi...Sono sicura vorrete compierla con zelo e coraggio. ” “Ai vostri ordini, maestà... Dite pure.” “Ebbene, Pier, voi dovrete recarvi nella fortezza di Gand, per parlarle. Cercate almeno di confortarla. Ditele che Maria di Francia la perdona. Almeno, in nome della nostra consanguineità. Inoltre, voglio che un avvenire sia assicurato per colei che dovrà rimanere orfana, la piccola Hélène... Credete Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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di potere trovare qualcuno disposto ad adottarla?” Rubens rimase pensieroso e poi rispose: “Sì, quanto allʹavvenire della figlia di Lucrezia penso che possiate stare tranquilla, maestà, perché tra le mie relazioni fiamminghe troverò sicuramente una nobile famiglia disposta allʹadozione dellʹorfanella. Non vi preoccupate per questo. Quanto ad ottenere una nuova grazia per sua madre, proprio non è possibile. Su questo concordo pienamente con voi. Non sarebbe neppure giusto. Ha sbagliato, deve pagare. Soltanto, voglio capire perché lo ha fatto. Non posso ancora crederlo. Una nobildonna così distinta, così elevata non solo nel lignaggio ma anche nello spirito...” “Davvero, una simile artista...” “Come artista, maestà ? In che senso ?” “Non lo sapete ?” “No. Che cosa dovrei sapere, di grazia ?” “Eʹ una pittrice come voi. Non ditemi che lo ignoravate.” Rubens era il volto stesso della sorpresa. Infatti, lo ignorava. “Non avete mai visto un suo autoritratto ? La corte è piena delle sue opere, spesso si tratta di autoritratti, per lʹappunto in cui viene raffigurato il suo volto, i suoi lineamenti così fini e – ve lo concedo – anche enigmatici e misteriosi. Adesso, comincio a comprendere il significato di quelle espressioni. Come di sfida per coloro che ne osservavano le fattezze...” “Dunque – esclamò Rubens – quel quadro meraviglioso lʹaveva dipinto lei, con le sue stesse mani! Eʹ incredibile!” “Quale quadro ?” “Uno con le sue sembianze che vidi a Genova. Fu la prima volta che ne scorsi il ritratto, senza sapere chi lʹaveva dipinto e chi fosse la dama. Fu così che la conobbi. Era un capolavoro. Secondo i miei allievi era unʹopera anche migliore delle mie. Non posso crederci... Una donna. Unʹartista di così grande talento...” “Beh, certo avete una bella concorrente!” esclamò Maria di Francia con un mesto sorriso. “Ma adesso, non potrà più dipingere. Certo, una donna pittrice e, per giunta, di grande Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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abilità nella sua arte, non la si vede tutti i giorni. A parte che la Chiesa non vede di buon occhio le donne impegnate nelle arti figurative. Non è forse così ? Eppoi, le nostre damigelle sono impegnate in ben altre faccende. Imparano soprattutto a diventare delle buone mogli e delle eccellenti madri. Ve ne sono altre che imparano altre cose, ma lasciamo stare queste considerazioni.” Il pittore rispose con un sorriso ed annuì. Ormai, era immerso nei suoi pensieri quasi dimentico di essere in presenza della regina. Quella tela grandiosa, opera di una donna. Non poteva ancora crederci. Aveva conservato gli smeraldi che raffiguravano gli occhi verdi, offertigli da Giulio Pallavicino che era il proprietario del quadro, visto che si trovava nel suo palazzo nobiliare. Maria lo stava congedando: “Allora, maestro, siamo intesi. Recatevi prima che potete, a Gand. Sarete ammesso con le mie credenziali a colloquio con Lucrezia, prima che il tribunale emetta la sua sentenza. Il processo deve tenersi a giorni e lei sarà sicuramente condannata a morte. Quindi, non dovete frapporre indugi alla vostra partenza se volete trovarla ancora viva.” Eseguirò alla lettera, il vostro volere. Partirò domattina allʹalba.” Rispose il pittore, accomiatandosi. Anche lui non vedeva lʹora di partire. Di lasciare Parigi e precipitarsi a Gand, lʹaustera città fiamminga che avrebbe custodito, tra non molto, oltre agli edifici storici di Carlo V, le chiese gotiche, la possente fortezza, anche la tomba della dama dai capelli rossi. UN ADDIO NELLA FORTEZZA DI GAND Due carcerieri, dopo aver aperto con i loro catenacci, diverse porte, accompagnarono Rubens in una cella umida ed oscura, nellʹ ala più elevata della labirintica fortezza. Al centro, vi era un tavolaccio con sopra una candela. Da una Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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feritoia, filtrava la luce rossastra del sole al tramonto. Lucrezia era seduta su uno sgabello, con in braccio la figlioletta. Sembrava uno spettro, talmente la sua pelle era di un pallore cadaverico, le lunghe mani diafane serravano , come in una stretta angosciosa e disperata, la bimba che aveva lo sguardo perduto nel vuoto. Quando vide apparire lʹartista famoso, dapprima non parve riconoscerlo. Poi, dʹun tratto, la sua figura si illuminò, come se in lei si fosse riaccesa una impossibile speranza. Un pensiero attraversò la mente della donna prigioniera. Eʹ possibile che un nuovo miracolo avvenga ? Che questʹuomo, così ammirato, rispettato ed autorevole, riesca ad intercedere in mio favore, per la seconda volta... Lʹatteggiamento di Rubens, però, le fece comprendere quanto assurde fossero le sue speranze. Appariva alquanto freddo e distaccato. Il tono della voce, quando parlò era severo. “Signora, la vostra confessione non lascia dubbi sulla vostra colpevolezza. Conoscevo ed ero amico del vostro sposo, così tragicamente scomparso per opera vostra. Vi assicuro che non meritava una simile sorte. Tuttavia, anche per volere della sovrana di Francia, Maria, sono qui in vostra presenza per predisporre un degno avvenire per la vostra figlioletta...” “Io ormai non ho più speranze vero ?” esclamò Lucrezia, emettendo un profondo sospiro. “A dire il vero, non credo proprio. Anche se la vostra genealogia potrebbe, forse, indurre i giudici del tribunale di fronte al quale comparirete a giorni a mostrare una certa clemenza...” “Quale genealogia ?” “Ignorate, dunque, la vostra discendenza; non conoscete i nomi dei vostri avi ?” “Avevo per madre la mia nutrice, Celestina, colei che fu bruciata sul rogo, con sentenza ecclesiastica...” “Sul rogo, avete detto ?” “Sì, esattamente. Venne arsa sulla pira come strega.” Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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A questo punto, il pittore si chiese se fosse opportuno rivelare a Lucrezia la sua discendenza da un papa genovese. Ma la regina Maria era stata esplicita: “Ditele tutta le verità! Chi era quel pontefice ed i suoi legami con la corte fiorentina dei Medici...” Rubens ora esitava. Non conosceva i motivi dei delitti, ma dopo la rivelazione della donna, cominciava a farsene unʹidea. Era impazzita dal dolore provocatole dalla perdita di quella vecchia nutrice, una delle vittime dellʹInquisizione; proprio lei la vendicatrice di una strega, lei una discendente del Papa che aveva dato il via alle pratiche inquisitorie contro gli eretici ! Il pittore decise che sarebbe stato troppo crudele per quella poveretta che aveva di fronte sapere tutta la verità. Così decise, come atto di estrema pietà, di nascondere a Lucrezia almeno il nome di quel suo antenato. Certo, proprio un suo avo aveva causato la caccia alle streghe e, indirettamente, condannato a morte anche la sua nutrice, madre dʹadozione, cui la sventurata era davvero legata da sentimenti profondi di affetto. Ma dirglielo, adesso, alla vigilia di una condanna a morte sarebbe stato troppo crudele. Maria di Francia, forse, non ci aveva pensato. Non conosceva i motivi della follia della sua pupilla e consanguinea. Non sapeva cosa ne aveva fatto unʹassassina. Odio contro le classi nobili, odio verso gli ecclesiastici, odio da una donna che aveva nelle vene sangue nobile e del più altolocato degli ecclesiastici, un Papa! Ebbene, pensò tra sé Rubens, disobbedirò allʹordine di Maria. Lucrezia morirà senza questa terribile rivelazione a turbarne lʹanimo. Poveretta, le devo almeno questo! Così, il pittore fece un mesto sorriso e si limitò a dire: “Sì, Lucrezia, siete una lontana parente della regina Maria di Francia, sapete anche i vostri genitori appartenevano alla famiglia dei Medici di Firenze. Non disse altro, non aggiunse il nome di quel pontefice. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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Non ce nʹera bisogno. Poi, il discorso venne sapientemente spostato dallʹartista, sulla comune passione per la pittura, mentre Lucrezia si limitava a mormorare: “Io sono, dunque, una donna dellʹaristocrazia toscana...” “Si siete imparentata magari alla lontana, mia cara, con i Medici per questo Maria è stata così buona con voi...” “Adesso, capisco. Strano, non me ne ha mai parlato...” “Ho visto il vostro autoritratto...” esclamò Rubens, per cambiare discorso. “Ah, uno dei miei autoritratti. Vi è piaciuto ?” “Moltissimo. Siete una grande artista, Lucrezia... Confesso, che ho provato una certa invidia...” “Non burlatevi di me!” “No, davvero. Anche i miei allievi erano rimasti molto impressionati da quel dipinto. Unʹopera eccezionale, ne convengo.” “Se lo dite voi...Ma non sarete venuto qui per parlarmi dei miei antenati o della mia pittura, vero. Avete accennato alla sorte di Elena...Salvate almeno la mia bambina, che possa avere un futuro felice. Almeno lei...” “Sì, ve lo prometto. Ho già contattato alcuni amici miei, Ambrogio Spinola, il pittore Velasquez, Van Dijck, insomma, tutte le mie relazioni. Vi sarebbe un ricco mercante anseatico, Georges Fourment, il quale sarebbe più che disposto ad adottare la vostra figlioletta. Non ha eredi. Sua moglie è sterile. Col vostro accordo, questo importante signore fiammingo potrebbe avviare sin dʹora le pratiche dʹadozione. Eppoi, vi do la mia parola dʹonore che veglierei io personalmente sul futuro della vostra bimba. Non dovete temere per questo. Vi rimane assicurata anche la protezione della regina Maria.“ Il volto della poveretta si era illuminato. Quella visita per lei era stata la consolazione alle soglie della morte. Era angosciata al pensiero che la sua creatura sarebbe rimasta sola al mondo, orfana di entrambi i genitori. Invece, le parole del Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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grande e famoso pittore lʹavevano rassicurata. Ormai era in pace con sé stessa. Il suo pentimento per i delitti commessi era pieno e sincero. Era stata una pazza. Adesso, lo sapeva. Ma alla follia, come al cuore, non si comanda. Almeno, la sua Hélène non avrebbe dovuto pagare per colpe non commesse. Quanto al suo destino non le importava più di tanto. Sapeva di non poter sfuggire ancora una volta al boia. Si era preparata a questo evento, lì in quella cella buia. Ma la figlioletta era salva. Di questo ormai era certa. Volle baciare la mano a Rubens, che la ritrasse ed appariva molto scosso. Entrambi erano commossi fino alle lacrime. Anche se il pittore non lo dava a vedere. Cercava di mantenere il proprio atteggiamento distaccato ed austero. Ma in cuor suo, sentiva un gran voglia di abbracciare quella donna, di portarla via da lì a tutti i costi, anche a costo di aggredire i carcerieri. Intanto, si disse, manteniamo la parola data e salviamo almeno la figlia. “Volete tenerla con voi. Oppure affidarmela ?” chiese con voce roca. “Ve la affiderei, ma senza di me, la piccola sarebbe disperata. Questo è il mio tormento. Spero che, nella nuova famiglia, possa superare questa crudele separazione. Per lei sarà tremendo...” Rubens si inchinò, prendendo commiato. Si guardarono a lungo intensamente. Quando, dopo aver richiamato i guardiani, il pittore stava per uscire dalla cella, lasciandosi alle spalle una Lucrezia piangente con la sua bimba in braccio, la sentì mormorare più volte: “Grazie, grazie che il cielo vi benedica!” LʹEPILOGO DELLA STORIA Da lì a poche settimane, un tribunale speciale – riunitosi nella cupa fortezza di Gand – condannava a morte Lucrezia, riconoscendola colpevole di tre omicidi. A quel tribunale laico Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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non interessavano le storie di stregoneria. Ma la sentenza implacabile riguardava i due uxoricidi e lʹuccisione di Maupertuis. La donna aveva ammesso le proprie colpe. La difesa aveva chiesto, invano, la clemenza di una sentenza che la condannasse alla prigione a vita. I giudici, invece, decretarono che la pena doveva essere quella capitale, mediante decapitazione , come prevedeva la legge per gli assassini. La sentenza venne eseguita nel grande cortile della fortezza, in unʹalba fredda e piovosa, con un celo grigio e plumbeo. Un confessore si era recato nella cella della condannata. Il tribunale aveva affidato la figlia della accusata a colui che aveva, nel frattempo, presentato urgentemente istanza di adozione legale. Mentre dormiva, Hélène, venne allontanata dalla madre ed affidata ai coniugi che lʹavevano adottata. Lucrezia la consegnò, piangendo, ai guardiani, mentre il confessore le era accanto per sostenerla e consolarla. La povera donna si avvicinò ai sacramenti religiosi con il cuore ormai in pace. Allʹalba, con i capelli rasati, era pronta a seguire il drappello di gendarmi venuti a prenderla per condurla al patibolo. Trasalì quando scorse da lontano la figura del boia il cui viso era celato da un cappuccio nero ed aveva la scure al suo fianco, accanto ad un ceppo dove lei avrebbe dovuto chinare il capo. Il confessore diceva preghiere ad alta voce, in una litania, interrotta solo dal marciare delle guardie i cui passi pesanti risuonavano sul selciato. Una pioggerellina aveva cominciato a cadere, dapprima leggera e poi sempre più intensa. Lucrezia saliva le scale del patibolo. In lontananza, credette di vedere alcuni gentiluomini che osservavano la scena, con volti colmi di mestizia. Non avrebbe potuto giurarlo, tra le lacrime non vedeva neppure Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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bene i loro volti. Ma credette di scorgere anche Rubens. Ebbe un cedimento. Si sentì svenire. Il confessore ed i gendarmi dovettero sorreggerla fino al patibolo. Poi la scure si abbatté sulla sua testa. Era tutto finito. Era così scomparsa una delle figure femminili più misteriose ed enigmatiche della storia seicentesca , ma la storia non si occupò mai di lei. Nessuno dei posteri la conobbe mai. Dei suoi ritratti nessuno rimase. Bruciarono tutti in un incendio che colpì unʹala del castello parigino in cui erano custoditi. Il suo volto non apparve mai nelle tele dei grandi pittori fiamminghi. Un viso, però, che la ricordava venne tramandato alla storia. Fu quello di sua figlia Hélène. Pier Paolo Rubens non lʹabbandonò mai. Le faceva frequenti visite presso la sua nuova famiglia adottiva. La vide crescere, divenne una adolescente ribelle, poi donna affascinante che il grande pittore non si stancava di dipingere. Era la sua pupilla, la sua protetta. Li separavano trentotto anni di età. Tutto poteva pensare, il grande artista, meno che di portarla allʹaltare. Ma lei si era affezionata a lui con anima e corpo. Il suo bel viso di giovane aristocratica si illuminava soltanto quando il maestro faceva il suo ingresso, circondato da uno stuolo di allievi, nella sua bella casa di Bruges, dove abitavano i Fourment, i genitori adottivi. Cresceva Hélène in bellezza ed erudizione. Amava dipingere. Volle mostrare alcuni suoi dipinti al suo idolo. Pier Paolo Rubens li osservò con aria critica ed espresse qualche frase di apprezzamento. “Sono davvero belli, Hélène. Rallegramenti. Hai davvero un certo talento...” Non quanto tua madre, però, pensava in cuor suo con una punta di amarezza e di disincanto. Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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“Lo dite solo per compiacermi, vero maestro...” “No. Certo, devi lavorare molto per migliorare lo stile. Non cʹè ancora quella luminosità che richiede una vera opera dʹarte, ma davvero Hélène, sei promettente nella pittura. Devi persistere...” Unʹamicizia solida, una ammirazione reciproca e, lentamente, un amore che stava sbocciando. Non da parte di Rubens, il quale – ormai uscito dallo sconforto di una lunga vedovanza – provava per Hélène un affetto quasi paterno. Ma da parte della giovane, lʹammirazione per il grande personaggio si trasformò in una autentica devozione e, progressivamente, in amore quasi esclusivo. Sentiva una punta di gelosia per le belle dame che gli sfilavano davanti nelle serate di gala, contendendoselo con le arti della seduzione. Rubens poteva avere tutte le donne che voleva. Ma il dolore provocatogli dalla perdita della prima, amatissima, moglie non lo aveva più lasciato, offuscandogli il piacere di ogni conquista femminile. Un giorno, nella dimora di Bruges, fu Hélène a rompere gli indugi in modo definitivo. “Maestro, vi piaccio ? “ chiese bruscamente, mentre seduti attorno ad un tavolo assaporavano una tazza di the. “Ma certo, mia cara. Mi piacete moltissimo.” “Mi sposereste ?” “Mio Dio. Potreste essere mia figlia!” “E allora ?” “ Trentotto anni di differenza, mia cara. Figlia e quasi nipote, per dirla tutta...” “Pier vi amo. Non posso vivere senza di voi... Ecco, lʹho detto. Volete sposarmi ?” “Ma è tutto così inaspettato. Non saprei cosa dire. Lasciatemi il tempo di riflettere. Lascia che ci pensi, va bene ?” Si abbracciarono. E la cosa per poche settimane finì lì, senza che la bella Hélène ottenesse una risposta alle sue avances. Grande deve essere stata lʹesitazione del famoso pittore. Non Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
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ignorava che il marito di una giovane donna, da vecchio, avrebbe anche potuto soffrire i tormenti della gelosia e che questo tipo di unioni anche se non del tutto insolite, anzi abbastanza frequenti nella sua epoca, non sempre terminavano in modo soddisfacente per i protagonisti. Ma alla fine decise di rompere gli indugi e di sposarsi la giovane. Quale modo migliore di proteggerla, in fondo, di vegliare su di lei, di amarla e di averla sempre vicina. Poi sarebbe stata la sua unica erede. Lʹerede di una colossale fortuna e avrebbe avuto diritto al suo titolo nobiliare, al suo blasone. Fu un matrimonio felice, trascorso per la maggior parte, nel castello dello Steen. Tra feste, balli, ricevimenti mondani frequentati dagli aristocratici e da conti ed arciduchi di mezza Europa. Rubens non amava granché le feste della mondanità ufficiale, ma doveva in qualche modo accontentare la bellissima e giovane moglie. Preferiva le lunghe conversazioni sullʹarte con i suoi più fedeli allievi. Aveva fondato una scuola, frequentatissima. Furono felici, tutto sommato, gli anni trascorsi in quellʹeremo di pace, nel verde, tra i boschi. I suoi ricordi si affacciavano alla sua memoria con insistenza. Ricordava tutta quella grande avventura che nella città di Genova era stata per lui ispiratrice di quadri grandiosi. Le sue celebri dame che potevano competere con quelle dei grandi maestri italiani. Rubens dipingeva le opere della maturità e ritratti di Hélène, la bella moglie dalle chiome rosse. Solo a due anni dalla morte del grande maestro, avvenuta ad Anversa, Hélène Fourment vedova Rubens, si risposerà, in seconde nozze, con un gentiluomo fiammingo. Vivrà gli ultimi anni della sua vita nel ricordo affettuoso e devoto di uno dei più grandi pittori del Seicento, non per nulla ricordato per le sue opere di artista caposcuola del Barocco. Ma soprattutto come un grande uomo dal cuore immenso e generoso. Fine Pier Paolo Rubens e la strega dalle chiome rosse
Christine Delport
L'autrice
Christine Delport pubblica il suo secondo romanzo. La scrittrice
italo-belga è nata a Bruxelles nel dicembre del 1946, nel giorno di
Natale. Vive in Italia, dopo essere stata per parecchi anni a
Bruxelles ed a Roma. E' sposata con un giornalista italiano. Hanno
due figli e due nipoti.