Neopaganesimo

Transcript

Neopaganesimo
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GABRIO ANDENA - ROSA CAROTTI - DANALII
FRANCESCO DIMITRI - ROSALBA FORMATO - GABRIELLA GALZIO
FRANCESCA C. HOWELL - DAVIDE MARRÈ - VALENTINA MINOGLIO
OSSIAN - SHAKINÀH - DANIELE TRONCO
L’ESSE
’ESSEN
NZA DEL
NEOPAGANESIMO
a cura di Davide Marrè
CIRCOLO DEI TRIVI
2
3
PROGETTO AURORA
Anno della cultura pagana
Grafica di copertina e impaginazione di Daniele Massarotto
www.unclonable.it . [email protected]
Proprietà letteraria riservata 2008
A chi è capace di amare,
a chi è capace di ridere e di piangere,
a chi è capace di sognare
e soprattutto a coloro che ne sanno raccontare
Associazione di volontariato
“CIRCOLO DEI TRIVI”
via Oxilia 13, Milano
www.athame.it
[email protected]
Stampato in Gennaio 2008 per Circolo dei Trivi da Global Print Srl
5
INDICE
CAP V – Suggestioni artistiche
CAP I – Il Neopaganesimo
Alla ricerca di una definizione
pag. 10
Quale religione?
14
L’uno e i molti - Politeismo, monoteismo o duoteismo?
16
Discesa nella selva
All’ombra del Dio sconosciuto
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CAP VI - Neopaganesimo ed ecologia
CAP II – Movimenti religiosi neopagani
Neodruidismo
Wicca
Asatru
Tradizione Romana
Stregoneria tradizionale
Discordiani
Come il Neopaganesimo potrà salvare il mondo
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27
33
35
37
39
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CAP VII - Neopaganesimo esoterico
L’arte della magia e l’essere nel mondo
La teurgia come magia neopagana?
La Wicca e l’esoterismo neopagano
Chaos Magick
92
94
96
98
CAP IIl – Il divino femminile
La rinascita della spiritualità femminile
Sulle tracce della Grande Dea
Essere una sacerdotessa
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48
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CAP IV - Radici filosofiche e culturali del Neopaganesimo
Dal nichilismo al Neopaganesimo
Psicanalisi e psicologia analitica
6
66
68
CAP VIII - Confronto con altre religioni
Neopaganesimo e Cristianesimo
Neopaganesimo e religioni orientali
102
109
Note
Bibliografia
Biografia autori
114
116
122
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INTRODUZIONE
Se cinque anni fa mi avessero detto che avrei curato un libro del
Circolo dei Trivi mi sarei messo a ridere; invece, ora che questo
libro (grazie ai suoi autori) ha preso lentamente forma tra le mie
mani, è con un misto di stupore e di meraviglia che lo osservo, pur
ridendo ugualmente, in uno stile un po’ discordiano…
Non è il caso di tessere in questo contesto le lodi di questa
Associazione e neppure mio compito, da una parte perché ne sono
Presidente e perché in questi anni ho cercato di dare forma alle sue
ambizioni e ai suoi scopi utilizzando una grandissima selettività e
spesso anche altrettanta severità nei confronti di coloro che ne hanno
fatto parte e che sono state le sue braccia, i suoi occhi e soprattutto
il suo cuore e la sua mente. Malgrado i successi e il grande lavoro
che siamo riusciti a svolgere, ci siamo dati pochissimo tempo per
crogiolarci sugli allori e goderci il frutto del nostro successo, anche
se i momenti di profondo divertimento credo non siano mai mancati
a chi li ha saputi cogliere. Non sono affatto pentito di questo, anche
se mi è costato, talvolta, l’amicizia e l’apprezzamento persino di
persone che tanto hanno dato al Circolo.
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Eppure questo libro, pubblicato e distribuito gratuitamente grazie
ai fondi regionali concessi al Progetto Aurora, è un piccolo regalo
degli Dèi e anche la dimostrazione che, al di là degli inevitabili
errori, la strada percorsa fin qui era quella giusta, o quantomeno non
proprio quella sbagliata... meglio in questi casi restare sul vago.
Un libro scritto a più voci e da autori che sono delle punte di
eccellenza nel panorama culturale del Neopaganesimo, in una
polifonia che è stata sempre il contrassegno di tutte le nostre attività,
tese a mostrare proprio la multiformità del Neopaganesimo, la sua
varietà, oso dire il suo “politeismo” di fondo.
Non mi resta quindi che ringraziare, con molta umiltà
(atteggiamento che normalmente mi è abbastanza estraneo!), quelli
che adesso sono qui, ma anche chi non c’è più e infine chi un giorno si
unirà al nostro cammino. Il ridere, il piangere, la gioia e l’amarezza,
tutto è valso la pena, poiché se diceste mai sì ad un piacere “o, amici
miei, allora diceste sì anche a tutto il male. […] Se diceste mai ‘mi
piaci, felicità! Soffio! Attimo!’, allora volete indietro tutto!”1.
Davide Marrè Cronos
Rescaldina, 10 gennaio 62
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CAP. I – IL NEOPAGANESIMO
ALLA RICERCA DI UNA DEFINIZIONE
di Davide Marrè
Paganesimo
Con il termine “paganesimo” si designa “l’insieme delle religioni
e delle civiltà del mondo antico greco-romano”3 e per estensione
un “culto, religione, credenza non cristiani”4. Dalla prospettiva
della cultura occidentale, in particolare quella cristiana, e con
il particolare riferimento alle religioni dell’antichità, il termine
“pagano” sostituisce il termine di origine giudaica “gentile” e
indica una persona che pratica una fede, credenza o religione che
non appartenga al ceppo del monoteismo abramitico di cui fanno
parte il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo. Questo termine può
essere applicato con cautela, per estensione, anche alle religioni
non cristiane che dall’antichità si sono sviluppate in particolare al
di fuori della cultura occidentale, come l’Induismo, lo Shintoismo e
le religioni etniche in generale che abbiano conservato una linea di
continuità con il passato e non derivino da un semplice recupero di
tradizioni. In Europa e ovunque il Cristianesimo si sia diffuso prima
dell’età moderna, le religioni etniche sono pressoché inesistenti,
poiché tutte le religioni etniche si sono dovute sostanzialmente
confrontare con la repressione operata dal Cristianesimo e solo
nell’età contemporanea hanno potuto ritrovare una nuova forma di
libera espressione.
Pagano deriva dal latino pagus, villaggio, poiché gli abitanti dei
villaggi si convertirono molto dopo al cristianesimo rispetto agli
abitanti delle città.
Come il termine “paganesimo” nell’arco dei secoli è andato a
definire un’ampia varietà di religioni del passato che venivano a
trovarsi a contatto con il Cristianesimo, allo stesso modo il termine
“Neopaganesimo” viene oggi utilizzato per designare una vasta
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varietà di nuovi movimenti religiosi e religioni vere e proprie,
influenzate dal paganesimo antico, spesso molto diverse tra di loro.
Lo stesso termine “paganesimo” viene spesso utilizzato per
indicare sia il paganesimo antico che il paganesimo moderno.
Spesso alcuni pagani moderni preferisco l’utilizzo di questa parola a
quella di Neopaganesimo perché sentono la necessità di sottolineare
il legame con l’antichità, manifestando il desiderio di sentirsi parte
di un passato e di una tradizione che ha subito un’interruzione lungo
l’arco della storia. Interruzione che per molti è assai difficile da
accettare.
Una parte delle correnti ricostruzioniste si ritrova infatti nella
posizione di sforzo continuo per stabilire un legame con il passato
attraverso la ricostruzione, appunto, di pratiche e tradizioni che spesso
hanno più una funzione di rievocazione nostalgica che una reale
funzione spirituale. Questo atteggiamento, quando non è moderato
da una sana consapevolezza che “ai greci (e nemmeno ai celti, ai
germani o ai romani n.d.a.) non si torna”5, diventa un tentativo di
fuga dalla modernità (parte però di uno spirito del tutto moderno)
e conduce solitamente alla totale mancanza di confronto con le
problematiche del mondo contemporaneo che chi vive invece nella
dimensione più propria del Neopaganesimo non manca di affrontare.
Un atteggiamento che più che neopagano dovrebbe essere definito
veteropagano, in totale antitesi con lo spirito del Neopaganesimo e
la sua collocazione nella post-modernità, connotato da un elemento
nostalgico e spesso intollerante e integralista, nei confronti delle altre
religioni, che tante volte ha portato in alcuni momenti della storia
contemporanea a collegare il Neopaganesimo con alcune correnti
politiche tristemente note. Inclinazione che è in totale contrasto
sia col paganesimo antico sia rispetto ad una modalità autentica di
intendere il paganesimo nel mondo contemporaneo.
Ovviamente stiamo parlando di una frangia, quella dei
veteropagani, attualmente poco significativa del movimento pagano
contemporaneo, anche se talvolta molto chiassosa. Ma è necessario
sottolineare, proprio a partire da questa distinzione, che tra coloro
che oggi chiamano se stessi “pagani” (termine che coloro che
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praticavano le religioni dell’antichità neppure conoscevano), pur
essendo tutti neopagani, esiste una grande distinzione: da una parte
coloro che sono consapevolmente neopagani e accettano, guardando
al futuro e alle sfide della modernità, l’eredità del proprio passato,
dall’altra coloro che dalla modernità vorrebbero fuggire per rifugiarsi
in una visione nostalgica e spesso molto ideale, di un passato che
non c’è più. E benché tutti abbiano diritto di cittadinanza nell’ampio
universo del paganesimo, solo al primo di questi gruppi sarà rivolta
la nostra attenzione nelle pagine che seguono.
Neopaganesimo
Il Neopaganesimo nella sua più propria specificità non rifiuta
la tradizione, ma ne possiede una visione matura: in altri termini,
antropologica. La tradizione, gli usi e i costumi legati alla
trasmissione della cultura, non sono infatti un blocco monolitico e
fossilizzato che non varia, ma l’esatto contrario, cioè ciò che pur
tramandandosi ha la capacità di rinnovarsi e di far fronte ai problemi
della civiltà.
Le tradizioni sono infatti modelli culturali e spirituali dinamici
che si confrontano continuamente con l’esigenza di una società e di
una civiltà che muta in modo dinamico.
Il Neopaganesimo, in quanto parte della spiritualità postmoderna, “si sente libero di sintetizzare elementi da tutte le fasi
della storia in qualsiasi forma o modo che soddisfi i suoi propositi.”6
I neopagani usano il termine neopagano o pagano in riferimento a
se stessi proprio perché fanno riferimento ad una ben precisa fase
della storia, quella del confronto con il Cristianesimo che portò alla
dissoluzione, spesso in modo cruento, delle spiritualità non cristiane
in occidente, in primo luogo perché questo confronto si ripropone
oggi per coloro che vivono in una società ancora fortemente
influenzata dal Cristianesimo. Questo certamente non per mera
contrapposizione, poiché il Cristianesimo e il Cattolicesimo delle
origini assunsero una moltitudine di simboli del paganesimo antico
e fecero propria larga parte della sua cultura, e neppure per segnare
una totale discontinuità, ma piuttosto per sottolineare come anche
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a noi spetti una parte dell’eredità di quel passato, da incastonare in
una visione nuova dell’etica, della cultura e della spiritualità.
In secondo luogo questi termini ci rimandano al loro significato
originario da pagus, villaggio. Dopo secoli in cui l’uomo si è trovato
a vivere nelle città e nelle metropoli spesso isolato e alienato da
buona parte dell’umanità, quando persino dalla sua stessa comunità,
i nuovi mezzi di comunicazione ci hanno introdotto in un nuovo
“villaggio”: quello globale. Non è un caso che il Neopaganesimo
abbia ricevuto il suo più grande impulso proprio nell’era di Internet,
lo strumento che ha maggiormente favorito la creazione di questo
villaggio globale.
Ciò non significa in alcun modo che come neopagani siamo
favorevoli alla globalizzazione nella sua totalità, ma piuttosto l’esatto
contrario: viviamo con la consapevolezza di appartenere sempre di
più ad un “mondo globale”, ma siamo perfettamente coscienti che
molti dei fenomeni e delle forze che spingono verso una sempre
maggiore globalizzazione devono essere contrastati e che questo
villaggio globale non può essere costituito solo da casermoni di
cemento da una parte e da villette a schiera tutte uguali dall’altra, ma
al contrario deve fare delle differenze che sussistono al suo interno
la sua ricchezza. Come neopagani viviamo il villaggio globale
esaltando e preservando la diversità e contrastando l’appiattimento
della globalizzazione.
Il Neopaganesimo è nato sulla cultura della differenza: proprio
partendo dal dato di fatto che esistono Dèi diversi, o quantomeno
aspetti diversi della Divinità, vede in ogni manifestazione della
diversità un dato positivo e nel confronto tra le diversità l’essenza
stessa del suo essere. Le religioni pagane dell’antichità, come il
Neopaganesimo, e a differenza sia del veteropaganesimo a cui si è
accennato prima sia delle religioni monoteiste, “si basavano sulla
simbiosi tra l’uomo e il cosmo, articolato come mondo degli Dèi,
con il quale l’uomo poteva stabilire una relazione comunicativa
attraverso il culto.”7 Sostanzialmente, le varie Divinità di un popolo,
di una civiltà o di un gruppo “potevano essere paragonate a quelle di
un altro, anzi potevano essere “tradotte” le une nelle altre.”8
13
Un altro tratto distintivo che è possibile cogliere nell’essenza
di un paganesimo autentico, a differenza di altre correnti che pur
richiamandosi al paganesimo propongono un modello in cui un leader
è detentore della verità oppure solo gli Dèi di un dato gruppo sono
veri, e naturalmente a differenza dei monoteismi che collegandosi
all’idea di rivelazione rendono impossibile questa “traducibilità”,
si basa “di fatto su un concetto debole di verità, secondo il quale
tutti gli Dèi – i propri esattamente come quelli degli altri – sono
veri.”9 Questa concezione è ancora oggi la linea di demarcazione
tra Neopaganesimo e religioni abramitiche, ma anche la dimensione
più propria in cui è possibile vivere autenticamente la spiritualità
neopagana: l’intolleranza (da non confondersi però con la critica)
o l’insulto verso modelli spirituali diversi, non appartengono al
Neopaganesimo.
QUALE RELIGIONE?
di Davide Marrè
Ovviamente non ci fu mai una religione pagana nell’antichità,
ma semplicemente ci furono un gruppo di religioni che oggi noi
chiamiamo, un po’ impropriamente, visto l’origine del termine,
“pagane”. Certamente un druido del I secolo a.E.C.10, non sapeva
di essere un pagano, come non ne era consapevole l’imperatore di
Roma. Tutto questo per dire che quando parliamo di paganesimo
antico stiamo parlando di un insieme di religioni che furono
considerate pagane in quanto non-cristiane, allo stesso modo quando
parliamo di Neopaganesimo parliamo di una spiritualità connotata
da molte religioni.
Questo è un punto fondamentale: il Neopaganesimo non è
una religione, ma piuttosto un movimento spirituale in cui stanno
prosperando diverse religioni. Per fare un semplice e un po’
grossolano parallelo, il Cristianesimo non è una religione, ma
certamente è una religione il Cattolicesimo.
Abbiamo già visto come sia abbastanza difficile focalizzare
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i tratti principali del Neopaganesimo senza scadere in una
generalizzazione grossolana di nessuna utilità e per questo è stato
necessario soffermarsi proprio sui termini pagano e neopagano ed
operare dei distinguo non solo tra di loro, ma anche al loro interno.
Nel precedente paragrafo siamo andati in cerca di una
definizione e abbiamo scoperto che la stessa definizione del termine
Neopaganesimo sfugge alla presa, muta a seconda della prospettiva,
un fenomeno a cui non siamo abituati se pensiamo alle religioni
secolarizzate.
Ci troviamo quindi di fronte alla necessità di definirci e trovare la
nostra identità di Pagani (neopagani) attraverso una definizione, ma
al contempo di sfuggire ad una etichettatura troppo semplicistica.
Se le definizioni infatti ci mettono spesso al riparo dalla confusione,
cioè dall’essere confusi con diversi movimenti spirituali che hanno
poco a che vedere con ciò che sono i neopagani, allo stesso tempo
ci imbrigliano e spesso ci limitano. Per questo dobbiamo definirci,
ma al contempo non lasciarci imprigionare da ciò che diciamo
di noi stessi. Un compito davvero arduo a cui tuttavia dobbiamo
assolvere.
Ho appena affermato che il Neopaganesimo non è una religione,
è piuttosto un movimento spirituale dove stanno prosperando
diverse religioni, ma anche questo non è del tutto vero. La rinascita
del paganesimo è stata un fenomeno culturale che si è coagulato
principalmente attorno al neoclassicismo, agli studi sul celtismo
e sul druidismo e sulle religioni teutoniche, ma anche al contatto
con l’Induismo e il Buddismo e la proliferazione delle correnti
dell’esoterismo occidentale, ed infine attorno alla nascita (o rinascita)
della Wicca. Questi nuovi movimenti religiosi hanno delimitato uno
spazio in cui è possibile essere semplicemente dei “nuovi pagani”
senza per questo essere né Wiccan, né Neoellenici, né Druidi e così
via.
Può sembrare una situazione paradossale, eppure non lo è. I nuovi
pagani colgono innanzitutto una suggestione, uno zeitgeist, cioè uno
spirito del tempo, di questi tempi in cui ognuno di noi è immerso,
che “può essere formulata brevemente in uno schema: abbiamo un
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paganesimo senza tragedia e un bisogno di salvezza senza fede.”11
Per questo ci troviamo davanti ad un Neopaganesimo fatto prima
di tutto delle suggestioni di questo zeitgeist, e intorno a noi che ci
consideriamo consapevolmente neopagani e che abbracciamo una
delle religioni che fioriscono in questo terreno, ci sono una moltitudine
di persone che vivono lo spirito neopagano di questo tempo, spesso
lasciandosene persino travolgere. Una volta conosciuta la “morte di
Dio” ad alcuni non resta che il mondo, abbandonata la trascendenza
è nell’esperienza del mondo, nell’immanenza, che è possibile udire
nuovamente una musica, un suono, l’oltre, una visione diversa
dell’Uno e dei Molti
L’UNO E I MOLTI - POLITEISMO,
MONOTEISMO O DUOTEISMO?
di Gabrio Andena
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La religione si configura sempre come rapporto col Divino. Nella
religione si agisce tramite una specifica prassi, che può prendere la
forma del rituale, della preghiera o della meditazione, per entrare
in rapporto con questo Divino, rinsaldare il legame fra l’uomo e
la divinità. La religione si caratterizza altresì come fenomeno
comunitario, che coinvolge un gruppo che nella pratica religiosa
trova una parte della sua identità.
È quindi essenziale, nella religione, avere una comprensione,
che può essere più o meno trasparente, più o meno concettuale o
consapevole, di che cosa sia il Divino e, nel caso il Divino si dia
come persona, di chi sia.
Il Neopaganesimo, sempre eccentrico rispetto a queste tematiche
per via del ruolo problematico che la vita religiosa riveste nella nostra
civiltà e per via della particolare genesi cui sono sottoposte tutte le
“nuove religioni”, non può fare a meno di confrontarsi con queste
domande. Mancando istituzioni che legiferino su cosa è neopagano
e cosa non lo è, e vista l’assenza di testi sacri o profeti, è chiaro
che è impossibile arrivare ad una posizione concorde. Tuttavia, pur
nella variabilità di assunti sulla natura del Divino, emergono qua e
là alcune linee di interpretazione e, soprattutto, alcune esperienze
paradigmatiche che sono sufficienti per fare della percezione che i
singoli neopagani hanno del loro Divino un fenomeno che presenta
tratti unitari.
In particolare la prospettiva da cui vorrei avvicinarmi a questa
tematica squisitamente teologica ruota attorno alla questione
dell’uno e dei molti: ossia cercare di rispondere alla domanda “che
cos’è il Divino?” rispondendo innanzitutto alla domanda “quanti
sono i Divini?”.
L’Eterno Femminino: il duoteismo
La caratteristica che balza agli occhi nel Neopaganesimo è la
presenza, quasi costante, di un Divino femminile. Non intendo
riferirmi ad una Dea, che sia specifica o solo un archetipo del
Femminile. Piuttosto all’esigenza, profondamente sentita, di
completare la polarità: in reazione alle religioni patriarcali, rivelate,
spirituali e incentrare sul maschile – sia come sacerdozio che come
rappresentazioni del divino – il Neopaganesimo si fa araldo della
necessità di far sentire l’altra campana, di esperire un divino che sia
femminilità, terra-corpo-natura, istinto.
Questo è il duoteismo caratteristico della Wicca: la venerazione
di un Dio e una Dea. Il rapporto fra il Dio e la Dea costituisce il
centro della pratica religiosa, che trova nel Grande Rito e nella
Libagione il suo compimento. Le celebrazioni stagionali vengono
intrecciate ad un racconto mitico che narra degli amori e della morte
del Dio e della Dea. C’è già la chiara consapevolezza però che il Dio
e la Dea si mostrano in molti modi, in molti volti.
Il Dio e la Dea, nel duoteismo, sono concepiti come opposti
complementari. Essi rappresentano serie di qualità opposte:
maschile/femminile, estate/inverno, luce/ombra, vita/morte e così
via, che unendosi e alternandosi generano il mondo e tutto ciò che
esiste – e così come generano, portano alla morte. Sono la trama e
l’ordito che attraversano ogni cosa nel mondo, ogni evento, ogni
esperienza. La loro complementarità significa da un lato che non c’è
un lato “buono” e uno “cattivo”, ossia che il duoteismo non sfocia in
un dualismo di principi contrapposti; dall’altro che, poiché il Dio e
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la Dea esistono solo nel rapporto reciproco dell’uno con l’altra, non
è neppure possibile attribuire le coppie di opposti univocamente alla
polarità maschile o a quella femminile. Ciò che voglio dire è che
ciascuna delle coppie di opposti si può trovare sia nel Dio che nella
Dea, talvolta persino il maschile e il femminile stesso (si pensi alle
divinità androgine): il Dio non è la luce e la Dea l’ombra, e neppure
viceversa; il Dio non è il Sole e la Dea la Luna (sebbene questa
sia la rappresentazione prevalente), perché è possibile incontrare
sfumature in cui il Dio è lunare (Thoth) e la Dea solare (Sekhmet).
Il Dio e la Dea sono così strettamente intrecciati, nel contesto del
duoteismo, da non essere strettamente parlando neppure due entità
distinte: ciò che davvero esiste, l’unica cosa che davvero esiste in
assoluto è la relazione fra i due, all’interno di cui ogni cosa diventa
ciò che è.
Maschera e Volto: politeismo esoterico
Uno dei più noti passi liturgici wiccan, l’Incarico della Dea
(Charge of the Goddess), così incomincia: “Ascoltate le parole della
Grande Madre; Lei che anticamente era chiamata fra gli uomini
Artemide, Astarte, Atena, Dione, Melusine, Afrodite, Cerridwen,
Dana, Arianrhod, Iside, Bride e con molti altri nomi ancora.”
Qui viene introdotta l’idea che il Dio e la Dea abbiano molti
“volti” o “aspetti” diversi. Ogni Dio o Dea dell’antichità pagana è un
aspetto del principio maschile o di quello femminile, un suo lato, una
sua manifestazione. È come se alla domanda “Qual è il volto del Dio
o della Dea?” non si potesse che rispondere moltiplicando all’infinito
questo gioco di maschere e specchi, indicando continuamente nuove
Divinità, nuove entità.
Tuttavia permane alla radice l’idea che, come insegnava Dion
Fortune, “tutti gli Dei sono un unico Dio e tutte le Dee sono un’unica
Dea.” È quello che potremmo definire una sorta di politeismo
esoterico, legata alla concezione, teosofica prima e magica poi, delle
forme-pensiero. Esistono delle forze cosmiche e il nostro pensiero
e la nostra immaginazione rivestono queste forze di una forma,
dandogli l’aspetto delle Divinità storicamente esistite e venerate
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nel paganesimo antico. Ma queste forme, questi volti, non sono che
interfacce che l’uomo usa per relazionarsi alle vere forze cosmiche
che stanno dietro la maschera. Seguendo questa linea di pensiero è
persino dubbio che il Dio e la Dea siano delle persone divine: più
probabilmente sono forze impersonali – mentre sono personali i vari
volti che assumono per via del nostro relazionarci ad essi. Poiché
siamo esseri umani, la relazione privilegiata è quella personale,
dunque siamo portati a vedere la Polarità primordiale come una
coppia di persone divine.
La Grande Dea e il Grande Spirito: prospettive monoteistiche
Il passo successivo è piuttosto semplice e può essere compiuto
da più versanti. Da quello esoterico, completando l’assioma di
Dion Fortune con la sua conclusione: “…e c’è un solo Iniziatore”.
Ossia: dietro alla Polarità c’è un’Unità più alta, un mistico Uno al
di là della comprensione che garantisce il riposo da ogni tensione,
la pacificazione di ogni contrasto. Oppure, come storicamente
avvenuto, si può compiere il passo verso il monoteismo dalla
protesta sociale: così ha fatto il femminismo neopagano, asserendo
che esiste soltanto una Dea.
Insomma, da qualunque lato vi si arrivi, il passo pare essere
quasi obbligato: se gli Dei e le Dee non sono che maschere di Forze
superiori impersonali, è giocoforza supporre l’esistenza, peraltro
attestata da buona parte delle religioni esistenti, di un qualche Uno
superiore da cui il Dio e la Dea sgorgano.
Spingono in questa direzione anche molte speculazioni New Age
sull’Energia e in generale l’uso (e l’abuso) dell’Energia in tutti gli
ambiti dell’esoterismo, che porta ad un ritorno ad una concezione
che, sebbene raramente arrivi al monoteismo, di certo assume
l’aspetto di un monismo: esiste un’unica sostanza di cui tutto e tutti
sono composti – questo è il Divino.
Poiché però l’uomo ha la necessità di relazionarsi a questo
Divino, che francamente pare un po’ freddo e meccanico, ecco che
sull’Energia Cosmica si proietta una coscienza, una personalità – ed
ecco che ci si riaggancia a idee orientali, strappate dal loro contesto,
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di coscienza cosmica e consapevolezza universale.
Sciamani, animali-guida, spiriti di natura & co.: politeismo
animistico
Si assiste però negli ultimi anni ad un nuovo orientamento: la
diffusione massiccia dello sciamanesimo e della comunicazione con
gli spiriti di natura attraverso il channeling e pratiche affini mostra
la tendenza a riportare ancora una volta l’ago della bilancia ad una
concezione più politeistica e, francamente, animistica. Ogni cosa è
animata, ogni oggetto, ogni pietra, ogni albero ha il suo spirito.
Il Divino, che sembrava essere stato ricondotto all’Uno della
Grande Dea o della Grande Energia cosmica, torna a moltiplicarsi,
dandosi all’uomo in forma ancora più parcellizzata, ma molto più
personalizzata.
In questa prospettiva è necessario distinguere categorie di esseri
non umani. Fra l’uomo e gli Dei esiste una gerarchia più o meno ben
definita di entità, spiriti, maestri, guardiani che fungono da mediatori
fra la Grande Energia e il singolo individuo.
La Bilancia dell’Esperienza: la dialettica dell’uno e dei molti
Il panorama è complesso e qui si voleva darne solo quale schizzo
paesaggistico. Ma non posso esimermi ora dal tirare qualche
conclusione, che individui quelle linee comuni interpretative che
sono proprie del Neopaganesimo.
Innanzitutto il Neopaganesimo non può fare a meno di un Divino
Femminile, comunque venga poi interpretato. La femminilità, nella
cultura occidentale, è stata rimossa o svalutata per troppi secoli: è
necessario, in nome di un’esistenza più completa, riportare in vita
questa metà del mondo, dandole il suo giusto peso. E attribuire
anche al Divino una natura Femminile è di sicuro una valida mossa
per riscoprire la dimensione sacra di tutto ciò che è femminilità e
corpo e materia.
Il Neopaganesimo non può neppure fare a meno di una molteplicità
di enti divini, almeno sul piano pragmatico. Si può discutere quanto
si vuole dell’Uno e della Coscienza Cosmica, ma ogni neopagano,
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quando si giunge alla pratica, vi dirà che c’è una bella differenza fra
Artemide, Morrigan e Iside. Il riconoscimento di questa molteplicità
insita nel Divino stesso, è la grande ri-scoperta del Neopaganesimo.
Laddove la maggior parte delle religioni tendono alla conciliazione
e a placare tutti i conflitti – rivolgendosi dunque ad una prospettiva
ultramondana – il Neopaganesimo recupera in maniera originaria e
originale la spinta del paganesimo antico a riconoscere nel mondo
il Divino in tutte le cose e dunque a rappresentarsi il Divino come
radice della varietà della vita: esso stesso conflittuale, molteplice e,
per certi versi, confuso.
Infine, poiché anche l’Uno vuole la sua parte, il Neopaganesimo
non può nemmeno credere in un insieme arbitrario di enti divini
distinti. Si sente che sotto c’è qualcosa di unitario. Solo che invece
che tagliare il nodo gordiano, si cerca di salvare la dialettica dell’Uno
e dei Molti, mantenendosi in questa feconda tensione. L’Uno non è
una realtà “altra” rispetto agli Dei o al mondo – concezione che
produrrebbe un malsano dualismo che nega la vita. L’Uno non è
Unità ma Armonia dei molteplici Dei, degli uomini e del mondo,
armonia fra i distinti. Questo è ciò che garantisce al Neopaganesimo
la sua lungimiranza, la tolleranza per il diverso (che rende il
Neopaganesimo una religione così adatta ad una società multietnica
e globale) e, soprattutto, la spinta ad un costante mutamento, che lo
lascia fresco, vitale e legato all’esperienza piuttosto che alla fede
cieca.
21
CAP II – MOVIMENTI RELIGIOSI
NEOPAGANI
NEODRUIDISMO
di Ossian – Luigi D’Ambrosio
Per molti parlare oggi di druidismo può essere un argomento
piuttosto anacronistico, ma questo vale solamente se consideriamo
questa religione nel contesto esclusivo del druidismo storico.
Come ben sappiamo i druidi, antichi sacerdoti di probabile origine
celtica, e le loro dottrine muoiono tutti con la conquista romana dei
territori delle antiche Gallie e di quelli più a nord: non eliminati per
questioni religiose ma piuttosto per l’influenza politica che avevano
sui Rix del loro popolo.
Naturalmente con loro muore anche la tradizione magicoreligiosa a cui erano legati, in quanto si sa che gli antichi druidi non
usavano la scrittura per tramandare la loro conoscenza, ma solo la
trasmissione orale e la memoria.
Ci viene quindi naturale chiederci oggi come sia possibile che
siano nati alcuni movimenti sia religiosi che prettamente spiritualisti
in epoca moderna che si definiscono ancora come druidismo.
Conveniamo che tutto ciò che si cela sotto l’aspetto del druidismo
antico è coperto da una sorta di nebbia, che a tratti lascia trasparire
degli spiragli per ricostruzioni ed ipotesi, soprattutto perché pare
che in epoca medioevale molti “codici” siano stati sincretizzati in
racconti, miti, canti e soprattutto scritti religiosi da parte (per questi
ultimi) di monaci cristiani che hanno ereditato una conoscenza
antica, ma soprattutto hanno loro stessi abbracciato la nuova
religione del deserto in cambio della vita stessa.
Sono stati anche i poeti e musici o, come meglio amiamo
definirli, i bardi che nei loro canti hanno lasciato una sorta di
memoria storica che (con una adeguata conoscenza dei simbolismi
22
ed una buona interpretazione) hanno permesso che giungessero sino
ad oggi molte immagini di quelli che erano i riti ed alcune essenze
del pensiero druidico antico.
Non meno importanti furono gli scritti degli storici classici
come Giulio Cesare, Pomponio Mela, Plinio il Vecchio, Strabone,
Diodoro, ecc., ma essendo molti di loro appartenenti al popolo
conquistatore delle popolazioni delle Gallie antiche e quindi “di
parte”, personalmente prenderei molti dei loro scritti con una buona
dose di scetticismo, consapevole di scontrarmi con il pensiero di
molti accademici attuali.
In ultimo, ma per questo non meno importanti, vi sono i reperti
muti dei ritrovamenti archeologici. Qui, personalmente, sono
dell’idea che siamo dinanzi ad una continua evoluzione nella
storia antica, con delle conferme e delle clamorose smentite delle
ricostruzioni dell’era romantica.
Con lo studio dei siti archeologici, in continua evoluzione, è
possibile riavvicinarsi lentamente e ricostruire quelle che potevano
essere alcune pratiche religiose degli antichi druidi: vorrei qui
riportare come esempio il ritrovamento della tomba del druido
sacrificatore vicino al tempio celtico di Gournay-sur-Aronde in
Francia, completo di oggetti rituali ed altre suppellettili molto
importanti per la sua datazione e la connotazione religiosa.
Cosa vuol dire, però, praticare il druidismo nel secolo attuale?
Innanzitutto sarebbe del tutto anacronistico rievocare la religiosità
del druidismo antico, sia per questioni pratiche che etiche e morali.
A questo punto è necessario ripercorrere brevemente i passi del
Neodruidismo o Druidismo moderno, che poi tanto moderno non è
in quanto un accenno alla ricostruzione di tale pensiero si ebbe nel
lontano 1700.
Naturalmente non stiamo parlando di un druidismo collegato
al Neopaganesimo ma piuttosto ad un organo di stampo piuttosto
framassonico e nazionalista che per precisione nasce in Inghilterra
con l’Antico Ordine Druidico di Jon Toland, ulteriori sviluppi si
hanno poi con Henry Hurle nel 1834, ma chi ispirò molto di più e
caratterizzò il druidismo di quell’epoca fu Edward Williams che in
23
seguito assunse il nome bardico di “Iolo Morgannwg”.
Il druidismo inizia ad avere un forte interesse verso una visione
più “pagana” della spiritualità solamente intorno al 1940 quando
The Church of Universal Bond, fondata nel 1912 da George Watson
MacGregor Reid, riesce a catalizzare diversi aspetti ideali e spirituali
presi sia dalla società Teosofica che dalla Golden Dawn, ipotizzando
che il druidismo possa essere un veicolo capace di unire diverse
discipline e credi spirituali: si trasforma nell’Antico Ordine dei
Druidi e due personaggi ad esso collegati iniziano a focalizzare e a
far crescere un grande interesse verso il paganesimo, stiamo parlando
di G.Gardner, che si avvicina all’ordine, e Ross Nichols che in
seguito alla morte di G.Gardner si stacca da questo e fonda l’OBOD,
cioè l’attuale ordine inglese dei Bardi, Ovati e Druidi, una delle più
grandi organizzazioni che ha anche ispirato molti ordini mondiali e
che si sforza di risvegliare il druidismo interiore, con un programma
di istruzione che affianca le preoccupazioni ambientalistiche e
artistiche a quelle spirituali e promuove l’uguaglianza dei sessi ed
incoraggia lo sviluppo di gruppi autonomi.
Diversamente dall’OBOD, negli USA, nel 1963 viene fondato
il RDNA - Reformed Druids of North America – in seguito ad una
protesta studentesca che negli anni assume connotazioni sempre più
spiritualiste creando un incredibile mix (tra misticismo cristiano a
meditazioni Zen sino a preghiere dedicate alla Madre Terra) tipico
del disagio e dello squilibrio spirituale e religioso di quegli anni. È
solo con l’ADF ((N Draííocht
ocht F
Fééin di Ár - Il nostro spirito druidico)
fondato nel 1986 da Isaac Bonewits (il quale rimane ad oggi uno
dei massimi esponenti del movimento druidico statunitense, oltre
che per tutto il movimento neopagano) che si crea non un percorso
spirituale ma una vera liturgia, disconoscendo ogni divinità che non
abbia una radice indoeuropea.
Diverso è anche il Movimento Druidico Bretone definito nella
Gorsedd de Bretagne dove viene più che altro evidenziato lo spirito
indipendentista del paese, con una forte connotazione patriottica,
artistica, poetica e musicale e che si discosta dall’idea del druidismo
moderno pagano-politeista in quanto tutti possono far domanda per
24
entrare nell’ordine a patto di saper parlare il bretone.
In accordo con i maggiori esponenti mondiali del druidismo
moderno tra cui Isaac Bonewits, Philip Car Gomm ed Emma Restal
Orr, posso permettermi di dare una nuova definizione a questo
percorso spirituale. Convengo che il Neodruidismo oggi si ricollega
al druidismo antico solo per una questione sciamanica e per un
collegamento attraverso lo studio della storia e della mitologia di
stampo indoeuropeo. Per questo anche il pantheon delle divinità si
collega esclusivamente alla territorialità celtica. Le pratiche religiose
sono l’espressione di un condizionamento temporale tra ben precise
e radicate tradizioni di magia cerimoniale e pratiche sciamaniche,
che cercano di centrare l’uomo moderno con gli spiriti della natura
per collocarlo e radicarlo con le energie del territorio che lui abita.
Il movimento non è “spirituale” per via di un’intesa più animistica
di questo termine, ma diventa tale solo perché la pratica religiosa è
incondizionatamente collegata con l’interazione e la conoscenza del
mondo degli spiriti della natura e dei propri antenati.
Ecco che il moderno druido diventa anche ecologista ed
ambientalista in quanto non solo cerca di preservare le tradizioni
della propria patria con gli studi della storia e della mitologia, ma
anche preservando il proprio ambiente, o meglio Madre Terra, da un
declino ecologico.
Tutto ciò lo porta inevitabilmente ad un culto politeista
verso archetipi e Divinità legate all’antica tradizione celtica e
indoeuropea.
Nel nostro secolo non è sufficiente autodefinirsi, o autoincensarsi,
con il termine di “Druido”: esserlo ed appartenere veramente a
questo percorso è sancito dal fatto che tutti i giorni bisogna vivere
il druidismo nel modo più profondo della sua definizione, Druido è
chi Druido lo fa.
Riguardo alla ritualità vado in modo piuttosto breve ad illustrare
quali sono le più importanti festività druidiche, divise in quattro
solari e quattro lunari, o feste del fuoco, le quali sono prettamente
legate ad una celebrazione del ciclo animale, mentre quelle solari
sono legate al mondo vegetale.
25
Percorrendo la ruota dell’anno celtica iniziamo con la prima
festività, Samonios, che cade tra il 31 di Ottobre ed il 2 di Novembre
(anche se queste date si basano su di un calendario solamente solare
gregoriano e non luni-solare come quello di Coligny): festa dedicata
oggi alla riunione del gruppo-clan ed alla celebrazione della memoria
degli spiriti e degli antenati.
Il 21 di Dicembre si celebra il Solstizio d’Inverno o Alban Arthan
(la Luce di Art
Artù): festa della morte- rinascita e del nuovo ciclo del
sole che trionfa sulle tenebre dell’inverno.
Seconda festività del fuoco è Brigantia-Imbolc-Oimelc, che cade
intono al 2 di Febbraio: festa del risveglio e della Dea bianca.
Il 21 di Marzo festeggiamo l’Equinozio di Primavera, Alban Eilir
(la luce della Terra), dove luce e tenebre sono in equilibrio, dove si
celebra la rinascita del mondo vegetale ed i semi germogliano.
Terza festività del fuoco è rappresentata da Beltane che si celebra
i primi giorni di Maggio, festa della fertilità e inizio della stagione
luminosa.
Il 21 di Giugno abbiamo il secondo Solstizio, quello d’Estate Alban Hefin (la luce della punta), festa del trionfo del sole ma anche
inizio del suo decadimento, una delle celebrazioni più importanti
per tutte le comunità neo-druidiche attuali.
Sei settimane più tardi troviamo intorno al 1° di Agosto la
festività di Lugnasa, festa del sole e del raccolto ed infine al 21
di Settembre giungiamo all’equinozio d’Autunno – Alban Elfed (la
luce dell’acqua), festa nuovamente di equilibrio ma anche di fine
raccolto e nella quale la cerimonia ricorda anche l’entrata del portale
delle tenebre, e con Samonios il cerchio si chiude.
Vi sono cerimonie molto lunghe e complesse ed altre più brevi e
semplici, tutte sono molto ispirate e assolutamente non dogmatiche:
l’ispirazione è divina e il druido diventa un canale di questa energia,
il potere non è in lui ma negli spiriti del luogo dove celebra.
La via druidica è iniziatica e si può essere iniziati attraverso gli
insegnamenti del druido anziano, inizialmente, e completati solo ed
esclusivamente dagli spiriti.
In Italia il movimento druidico non è organizzato in un unico
movimento, ma molte singole persone o piccoli gruppi percorrono
26
indistintamente la propria “via” druidica.
Nasce solo nel 2007 l’idea di riunire alcuni pensieri o meglio
principi del druidismo italiano in alcune mie pubblicazioni sul sito
www.druidismo.it .
WICCA
di Rosalba Formato (tratto dall’Intervento del 5 ottobre 2003
al convegno sulla Wicca di Massazza)
Fino agli anni ’60, la Wicca si configurava come movimento
occultista, esoterico, così come si era sviluppato nell’arco del
secolo. Ricordiamo che la Wicca si manifesta ed “esce allo scoperto”
soprattutto grazie all’abolizione della legge contro la stregoneria, il
cosiddetto “Witchcraft Act”, abrogata in Gran Bretagna nel 1951
ad opera del Governo Churchill (e, beninteso, rimpiazzata nello
stesso anno con il “Fraudolent Mediums Act”, ossia la legge contro
l’uso fraudolento delle cosiddette “arti magiche”). Nel 1944 si era
registrata l’ultima condanna in un processo per stregoneria in Gran
Bretagna (nove mesi di carcere ad Helen Duncan accusata, tra
l’altro, di evocare gli spiriti dei morti).
Dagli anni ’70 la letteratura comincia ad espandersi ed i libri
britannici arrivano negli Stati Uniti (il primo, nel 1971, è “Witchcraft
from the Inside” di Raymond Buckland). E ci arrivano in un
momento storico particolare dal punto di vista sociale. Sono gli anni
delle contestazioni studentesche, del femminismo (chi non ricorda
il famoso motto usato dalle femministe anche in Italia? “Tremate,
tremate, le streghe son tornate!”).
È proprio in questo momento storico ed in questo ambito che
la Wicca assume un nuovo aspetto. Il movimento femminista si
“appropria” dei discorsi relativi all’esistenza di una divinità di
sesso femminile, del suo culto in qualche modo tramandato tramite
le cosiddette “streghe” nel corso dei secoli (la teoria di Margaret
Murray). Li trova “consoni” al proprio percorso.
L’esistenza della Dea offre la possibilità di sviluppare e coniugare
l’aspetto spirituale, trascendente, a quelle che sono le lotte politiche
27
e sociali per l’affermazione delle donne.
In questo ambito la Wicca si “libera” della divinità maschile,
non esistono più uomini a capo delle congreghe. La Wicca diventa
dichiaratamente “femminile” ed è in questo modo che ritorna a noi
in Europa.
Poco importa se le teorie della Murray sono state successivamente
confutate. Quando un movimento rivoluzionario quanto lo è quello
femminista si trova allo stato nascente, la febbre del cambiamento
travolge ogni cosa…
Questa “nuova” Wicca femminile ottiene un discreto successo
negli Stati Uniti già in quegli anni, coinvolgendo sempre più
attiviste. Suscita l’interesse di psicologhe junghiane. È avviato il
percorso psico-mitologico. Vengono pubblicati molti libri.
E la stragrande maggioranza delle autrici sono donne. Ma non
solo! Anche i gruppi gay cominciano ad interessarsi a questa forma
di spiritualità. La Wicca comincia negli anni ’70, soprattutto ad
opera di autrici statunitensi, ad assumere la forma che è venuta nota
a noi in Italia soltanto alla fine degli anni ’90.
Dagli anni ’70 in avanti si assiste ad una crescita continua del
movimento, che attrae molte persone, non più solo donne. Tuttavia
osservare la crescita e l’evoluzione della Wicca negli Stati Uniti può
essere un interessante modo per comprendere ed interpretare anche
la crescita e lo sviluppo di questo credo all’interno di ognuno di
noi.
Io per prima ho iniziato aderendo alla corrente detta “dianica”,
udendo ed interpretando la Voce della Dea soprattutto come
un’opportunità in più per affermare un certo modo di porsi al
femminile in ambito sociale, culturale, psicologico e politico.
Inoltrandomi via via lungo il percorso che avevo intrapreso, ed
apprezzando sempre più il meraviglioso messaggio che il sentiero
della Dea offre ad ognuno di noi, ho compreso che si tratta di una
Voce che trascende il genere. E dunque sarebbe oltremodo riduttivo
limitare un messaggio così straordinario e rivoluzionario alle sole
donne…
La Dea, com’è nella sua Natura, si rivolge a tutti, ma proprio
28
a tutti. E non fa differenze. Donne e uomini, indipendentemente
dal proprio orientamento etico, sessuale, politico, possono trovare
lungo il sentiero della Dea ciò che la loro anima reclama. Una
dimensione spirituale aperta ed accogliente, non punitiva, né
misericordiosa. Non ne abbiamo bisogno. Noi siamo espressione
della divinità che è immanente, dunque “nel” mondo, non già
trascendente, ossia al di sopra ed al di llà del mondo. Per questo non
possiamo essere espressione di un “peccato”, originale o “copiato”
(eheh!), né portarlo con noi per doverlo scontare lungo questa o
altre esistenze…
Tuttavia il “momento” femminile, la riflessione sull’importanza
di una visione del mondo che privilegi l’approccio cosiddetto
“femminile” è stata, ed è, importantissima. Amo sempre citare in
questo senso un testo a mio avviso fondamentale, tradotto in italiano
con il titolo “Il sorriso della leonessa”, opera dello psicoanalista
junghiano Edward C. Whitmont (ed. Piemme):
“La Dea è la custode dell’interiorità umana. Il patriarcato
regolava gli aspetti esteriori del comportamento dell’uomo, ma
svalutava l’istinto, il sentimento, l’intuizione dell’individuo e le
profondità del femminile, eccetto che se in funzione di un servizio
alla collettività. È significativo il fatto che il termine “effeminato” sia
stato coniato con senso dispregiativo. Nel nuovo orientamento ogni
individuo deve scoprire la fonte perenne dell’autentica coscienza e
dell’indirizzo spirituale, la divinità che è dentro di lui.”
Phyllis Curott, nel suo primo libro (il celeberrimo “Il Sentiero
della Dea” - ed. Sonzogno) non cita mai il Dio… e per questo è stata
criticata.
Eppure per le donne questa “fase” è importante: è necessario
e fisiologico “rompere” gli schemi radicalmente per poi poter
recuperare le parti belle ed importanti del maschile. Il Dio che
Phyllis Curott ci invita ad onorare nel suo secondo libro (“L’Arte
della Magia” - ed. Sonzogno) è un Dio che danza la Vita. “Mai dare
una spada ad un uomo che non sappia danzare”: è un antico detto
scozzese e ci aiuta a comprendere quanto anche gli uomini abbiano
“perso” della loro sfolgorante e multiforme personalità abdicando
29
ad alcune caratteristiche tradizionalmente considerate “femminili”
e quindi “deboli”, “da evitare”.
Queste fasi comportano dolore, sofferenza (le grandi
trasformazioni, per definizione, non possono mai essere indolori),
ma anche una grande crescita. Mano a mano che la Wicca si
espande e si sviluppa da un punto di vista religioso e ritualistico,
parallelamente crescono gli studi psico-sociologici orientati al
mito ed all’importanza del recupero di questo per un’armoniosa e
consapevole crescita individuale ed, in ultima analisi, collettiva.
Esemplari in tal senso i testi della psicoanalista junghiana nippoamericana Jean Shinoda Bolen (“Le Dee dentro la donna” e “Gli Dei
dentro gli uomini”, entrambi editi da Astrolabio). La Bolen propone
un approccio terapeutico basato sui miti greci ancora al giorno d’oggi
depositari, secondo la visione dell’inconscio collettivo di Jung, di
un forte potere archetipico e di guarigione nelle nostre esistenze.
Dunque la Wicca cresce ed evolve lungo tre linee fondamentali:
1. trascendente e manifestazione spirituale-ritualistica;
2. psico-mitologica;
3. sociale.
È certamente molto importante conoscere i “precedenti”, gli
eventi all’interno dei quali la nostra cultura affonda le radici…
come quel terribile capitolo della nostra storia noto come “la caccia
alle Streghe”.
Ma a noi, OGGI, è richiesto di fare un passo OLTRE.
La Wicca con la quale noi abbiamo a che fare è un movimento
NUOVO. Rivoluzionario.
Abbiamo già affrontato il discorso della Wicca come eminente
manifestazione spirituale e percorso psico-mitologico. Ma c’è di
più. Starhawk, nel 1979, pubblica The Spiral Dance, tradotto in
italiano un paio di anni fa ed edito con il titolo “La Danza a Spirale”
(Macroedizioni).
Proprio la nostra considerazione della divinità immanente, ossia
dentro il mondo, ci invita a vedere con occhi nuovi la realtà che
30
ci circonda. La Terra è, prima di tutto, una Divinità. Così come la
Natura nel suo complesso. Dunque non può non essere oggetto di un
rispetto ed una cura particolari. L’impegno nel sociale, in particolare
nei movimenti ecologisti, animalisti, è tutt’uno. Il nostro essere
Wiccan non può prescindere da questo.
Ecco uno degli aspetti più innovativi. Anzi, ribadisco:
rivoluzionario.
Mi piace considerare la Wicca e, più in generale, il movimento
neo-pagano come una sorta di “No Global dello spirito”. Anche
nei nostri gruppi esistono infinite correnti, punti di vista, posizioni,
ispirazioni a questa o quella tradizione antica, associazioni, coven,
congreghe... Ma tutti siamo accomunati da un respiro comune e
dalla capacità di poterlo modulare insieme.
È nostra responsabilità. Vivere fino in fondo questo momento che
ci è dato. E condurre la trasformazione. Ogni giorno. In ogni campo
della nostra vita. Non siamo qui per caso e lo sappiamo tutti molto
bene. Siamo impegnati su più fronti: culturale/filosofico, teologico,
sociale, psicologico... La Wicca può aiutarci a vivere nel quotidiano.
E noi possiamo portarla nella nostra quotidianità.
Beninteso: la Wicca non è una terapia. Non mi stancherò mai
di ripeterlo. Ci aiuta, ma occorre che noi siamo “centrati”. Ci
guarisce, ma richiede il nostro impegno. Ci accompagna, ma esige
che diveniamo consapevoli della nostra importanza e, più ancora,
dell’importanza del compito che ci è demandato.
Noi viviamo qui. Qui ed Ora. È la nostra testimonianza nella vita
quotidiana che fa la differenza. Perché la forza del nostro credo, nella
presenza immanente della Divinità, è una leva potentissima. E...
vuoi vedere che ce la facciamo veramente a cambiare il mondo?
Per poter scegliere come comportarci nella vita occorra, prima di
tutto, essere “centrati”, in equilibrio ed armonia.
Guardare dentro se stessi, invitare la propria divinità interiore ad
esprimersi per guidarci nelle nostre scelte, nel nostro agire.
Vivere senza paura.
Questo, per me, è vivere Wicca. Ogni giorno, in ogni
situazione.
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Mi dispiace, ma non credo ai messaggi che arrivano dall’esterno.
Lavoce con cui la Dea si manifesta è all’interno di noi. Èdell’Universo.
È la Natura che pulsa, dal nucleo ferroso contenuto al centro della
Terra, fino alle pulsazioni del nostro battito cardiaco, fino al pulsare
delle stelle nell’Universo... e chissà fin dove noi non possiamo
nemmeno immaginare! Pulsazioni tutte coordinate alla medesima
frequenza. Incredibile, ma vero. Dimostrato scientificamente!
E quando “rallentiamo”, quando ci disponiamo ad ascoltare
questo battito costante, il suono primordiale dell’Universo, le
risposte arrivano. E magari sono anche completamente diverse da
ciò che pensano tutti gli altri, da ciò che viene comunemente messo
in pratica. Da ciò che pensavamo noi stessi venti minuti prima...
Per me vivere Wicca significa anche sforzarsi di imparare un nuovo
modo per vedere le cose.
Per me la Wicca è prima di tutto un’OPPORTUNITÀ.
L’opportunità di “darsi il permesso” di conoscere meglio se stessi
ed il mondo che ci circonda. E se cogliamo l’opportunità, la Wicca
diventa CONSAPEVOLEZZA.
Consapevolezza dell’importanza di noi persone all’interno di un
mondo che scopriamo essere, essenzialmente, Natura.
E con la consapevolezza, la Wicca si trasforma in PERCORSO.
Un percorso che ha più sentieri, dove possiamo esplorare la
profondità dell’animo umano, con gli strumenti della psicologia
e del mito, e la meraviglia del mondo che ci circonda, studiando
e conoscendo la Natura, uniformandoci ai suoi ritmi, riscoprendo
saperi ed usanze antiche.
Il percorso, allora, ci introduce alla Wicca quale SAPERE.
Un sapere arcaico, e quindi profondamente connesso con
la Natura. E quindi, in ultima analisi, con l’aspetto originario
dell’essere umano. Il sapere comincia a portarci lontano eppure così
profondamente in noi stessi.
Fino al punto di scoprire che la Wicca è MAGIA.
Perché tutto l’Universo ne è intriso, e quindi anche noi stessi, che
siamo parte del tutto.
Ma la Magia richiede attenzione, quindi la Wicca è anche CURA
32
E GUARIGIONE.
Cura, guarigione ed attenzione prima di tutto verso se stessi e
verso a nostra Madre Terra, smeraldo incastonato nell’Universo, che
continua generosamente a sostenerci, nonostante le angherie cui la
sottoponiamo.
Cura e conoscenza ci mostrano, infine, la Wicca come
TRASCENDENZA. Mondo e Natura si ampliano e si proiettano
in altri mondi infiniti, e come noi partecipiamo dei primi siamo
parte anche degli altri piani, cui tendiamo dalla nostra imperfezione
iniziale per arrivare a riconoscere la deità che alberga dentro di noi.
E che (era ora!) non può che identificarsi con una Divinità splendida
e forte, ed amorevole e terribile, e quotidiana ed universale, e lunare
e solare, e giovane e madre e vecchia, ma FEMMINA, finalmente!
Perciò ecco una mia definizione di Wicca e Strega:
“UN PERCORSO TRASCENDENTE E MAGICO CHE CI
OFFRE L’OPPORTUNITÀ DI GIUNGERE AD UN SAPERE
“FEMMINILE” CONSAPEVOLE, TRAMITE LA CURA E LA
GUARIGIONE DELLA NATURA.
COLORO I QUALI PERCORRONO QUESTA VIA
UNIFORMANDOSI AI RITMI NATURALI, ONORANDO I
CAMBI DI STAGIONE, STUDIANDO GLI ANTICHI CULTI
DELLA DEA E LE MITOLOGIE SUCCESSIVE, RICERCANDO
LA DEA ALL’INTERNO DI SÈ PER PORTARLA OGNI GIORNO
NEI PROPRI MONDI, EBBENE QUESTE PERSONE SONO
STREGHE.”
ASATRU
di Davide Marrè (revisione da Cap IX “Il Neopaganesimo” in
“Il Paganesimo” di L. Rangoni)
Asatru è il termine tradizionale con cui si definisce la religione
basata sulla riscoperta del pantheon germanico-scandinavo e
sassone. Asatru significa “fedeltà agli Asi”, gli Asi sono la stirpe
divina di Odino, il Dio nordico cieco da un occhio e signore del
33
Valalla, a cui vennero rivelate le Rune, per questo l’Asatru è anche
conosciuta come Odinismo. In Islanda l’Asatru dal 1972 è una
religione riconosciuta grazie all’opera del poeta islandese Gothi
(l’alto sacerdote) Sveinbjorn Beinteinsson e trova anche oggi le
sue radici storiche nell’Edda, testo di Snorri Sturluson che visse in
Islanda dal 1178 al 1241 ed in cui vengono narrate le gesta degli Dei
nordici e la cosmogonia secondo i popoli nordici.
Dagli anni settanta in avanti questa religione va incontro ad
una espansione molto rapida soprattutto negli stati scandinavi e in
Germania e oggi anche negli Stati Uniti. Storicamente il paganesimo
nordico si trovò legato al partito Nazionalsocialista tedesco e
attualmente esistono dei gruppi neonazisti che si autodefiniscono
Asatru, questo malgrado sia nei paesi scandinavi che altrove
la maggior parte degli aderenti a questa religione manifestino
esplicitamente dei principi antirazzisti e antinazisti e siano quindi
più vicini a quello spirito neopagano che abbiamo delineato prima,
a differenza dei nostalgici ricostruzionisti veteropagani.
Nell’Asatru risalta un concetto di individualismo in relazione
al rapporto che l’individuo ha con la sua famiglia, con i suoi
amici, con il suo popolo e con la sua stirpe, per cui un individuo
è tale in funzione dei legami che stringe con le altre persone che
rappresentano il clan. Viene rifiutato ogni dogmatismo e c’è un
rifiuto netto, qui più che altrove, del Cristianesimo e del Giudaismo.
La libertà della persona viene esaltata, insieme all’appartenenza
tribale, per cui non sono ammessi stranieri, cioè cristiani e nonEuropei. L’universalismo, nel senso dell’universale diffusione di
valori e ideali comuni, è rifiutato categoricamente e il richiamo alla
tradizione contro lo spirito progressista è costante in buona parte dei
gruppi aderenti. I suoi valori sono il coraggio, la sincerità, l’onore,
la fedeltà, la disciplina, l’ospitalità, l’operosità, la perseveranza che
si applicano ad un ottica spirituale guerriera che esalta il valore
dell’amicizia e del cameratismo.
Nel nostro paese l’Asatru in forma più o meno organizzata è
presente dal 1994, anno in cui viene costituita la Comunità Odinista
che ha le sue origini ideali in Islanda, ma che opera marginalmente
34
in Italia, richiamandosi alle radici tribali longobarde, benché
storicamente il paganesimo germanico a cui si richiama fu presente
in Italia per appena due secoli dall’ 800 al 1000.
TRADIZIONE ROMANA
di Davide Marrè (revisione da Cap IX “Il Neopaganesimo” in
“Il Paganesimo” di L. Rangoni)
La nascita della “Via Romana” è avvenuta in Italia prevalentemente
durante il periodo fascista e vede in Arturo Reghini e Julius Evola
due dei suoi maggiori esponenti. Tuttavia un primo interesse per le
tradizioni romane risale già al rinascimento e le opere di Giorgio
Gemisto Pletone e Pomponio Leto restano un punto di partenza per
gli sviluppi odierni.
Nel 1924 Reghini darà inizio alla pubblicazione di “Atanor” e
successivamente di “Ignis”, mentre Evola pochi anni dopo si troverà
a dirigere il Gruppo di Ur, una cerchia di persone in cui confluivano
vari elementi esoterici oltre alle suggestioni legate alla “romanità”.
Ad ogni modo in entrambi gli autori appare chiarissima la volontà di
dare al fascismo un’anima pagana riferita appunto al suo pantheon
di Dei, tuttavia almeno in questa prima fase ci si riferisce a Giano
come al Dio supremo, mentre gli altri Dei sono considerati entità di
grado inferiore, alla stregua di “angeli”.
Il tentativo di paganizzazione del fascismo fallisce e la Via
Romana cadrà nell’ombra per ricomparire negli anni sessanta
all’interno di Ordine Nuovo, un gruppo di estrema destra, da cui
però si distaccherà presto per coagularsi nel Gruppo dei Dioscuri
che avrà una chiara matrice evoliana ed a sua volta andrà ad ispirare,
dopo la sua fine, il gruppo Arx di Messina che darà vita nel 1984 al
trimestrale “La Cittadella”. Parallelamente a questo gruppo operano
negli anni ottanta in Italia il Centro Studi “Claudio Flavio Giuliano”,
l’Istituto Siciliano di Studi Tradizionali di Travia e il Centro Studi
“Giorgio Gemisto Pletone” a Riccione, che daranno vita con Arx,
attraverso apporti differenti, ad un movimento comune, nato tra il
35
1985 e il 1988 a seguito di una serie di incontri (I, II e III Conventum
Italicum): il Movimento Tradizionalista Romano. Dal 1998 questa
organizzazione è diventata Movimento Tradizionale Romano e tra
defezioni, riorganizzazioni e evoluzioni di correnti interne, dal 2001
prosegue la pubblicazione de “La Cittadella” oltre ad organizzare una
serie di incontri e convegni divulgativi. Non è possibile non citare
inoltre la rivista di studi tradizionali “Arthos” diretta da Renato Dal
Ponte che fu protagonista nel 1981 di un primo momento di incontro
delle varie anime della “Via Romana” a Cortona.
Negli ultimi anni accanto ai gruppi legati al Movimento
Tradizionale Romano, altri gruppi emergenti hanno cominciato
a far sentire la loro voce, ne è un esempio Radio Tradizione, una
radio che trasmette esclusivamente online e che, come dice il
nome stesso, pur vicina alla tradizione romana si apre anche alle
varie forme di paganesimo “tradizionale” presenti in Italia. Per sua
stessa definizione, essa nasce dalle “Corporazioni Studi Filologici
ed Archeologia Sperimentale”, Ouroboros, Roma Invicta e “Piana
gallica” e dalla “Compagnia delle Armi e delle Arti di Bologna”
e si propone di essere una “fonte di informazioni e divulgazione
degli aspetti tradizionali del popolo Italiano, dei costumi storici,
dell’insegnamento sapienziale e della Tradizione Guerriera.”
Anche all’estero si sono costituiti dei gruppi che si rifanno alla
romanità, in Nova Roma troviamo la riproposizione più articolata
di questo ritorno, nata negli Stati Uniti si è costituita nel 1997 come
“nazione virtuale” ed ha costituito anche una “provincia” italiana.
Se quest’ultima, più lontana da un movimento spirituale ma
piuttosto movimento culturale, è più vicina ad un modello più
sinceramente neopagano, il tradizionalismo romano è invece per certi
versi l’incarnazione stessa di un veteropaganesimo ricostruzionista,
così come l’abbiamo precedentemente delineato.
Gli elementi comuni e in generale condivisi del paganesimo
romano sono lo studio e la restaurazione della cultura romana, che
comprende naturalmente la riproposizione della “religio romana”.
Grande attenzione è posta sulla applicazione dell’etica, delle virt
virtù
romane come ideali a cui tendere e delle filosofie romane, compresa
36
la filosofia epicurea e stoica. Il concetto di patria come elemento
sacrale, di appartenenza all’”imperium romanum” in senso elitario
e l’apertura alle tradizioni “barbare” che influenzarono la tarda
romanità sono elementi chiave per capire questa forma di paganesimo
che si discosta dagli elementi naturalistici tipici del Neopaganesimo
a favore appunto del concetto di civiltà romana.
I principi che in generale la “Via Romana” persegue non si
esauriscono esclusivamente nel riproporre il culto del pantheon
romano, ma nel riproporre globalmente la cultura legata alla civiltà
della Roma antica: è un paganesimo più silenzioso che rifiuta
l’esposizione e che ha scelto la strada della proposta culturale e
dell’elitarismo, attraverso l’organizzazione di convegni legati alla
storia e al costume del mondo romano, proponendo inoltre la rilettura
delle fonti letterarie e storiche del mondo romano e una rivisitazione
delle tematiche esoteriche legate in particolare all’opera di Evola ed
arricchite da spunti filosofici.
STREGONERIA TRADIZIONALE
di Davide Marrè (revisione da “Wicca: la Nuova Era della
Vecchia Religione”, Aradia edizioni)
Il termine “stregheria” è sostanzialmente moderno, lo utilizza
quasi esclusivamente Girolamo Tartarotti12, la cui opera a metà
del XVIII secolo “si può a ben ragione considerare come il
punto di arrivo del più che secolare ripensamento sulla questione
della stregoneria”13. Successivamente il termine è presente nel
“Vocabolario Piemontese – Italiano di Michele Ponza” del 1859, per
la cronaca un sacerdote, nel “Vocabolario Bolognese - Italiano” di
Carolina Coronedi Berti (1874), nel “Nouveau dictionnaire italienfrancais et francais-italien” di Costanzo Ferrari e Arthur Enkenkel
(1900), dove il termine stregoneria e stregheria hanno due diverse
connotazioni: il primo si riferisce sostanzialmente all’arte di operare
incantesimi e malefici, mentre il secondo ad una forma organizzata
di stregoneria legata al sabba, un distinzione forse utile, ma anche
37
fittizia, e che sia nel “Vocabolario della lingua italiana” di Zingarelli
che nel Devoto–Oli, viene abolita, in quanto il termine stregoneria
nella sua prima accezione (e anche storicamente) è connesso ad
operazioni di rituali sinistri (appunto il sabba) ed in senso estensivo
alla pratica di incantamenti e malefici. La parola ricompare in E.
Verga nel 189914, riferendosi a due casi di stregoneria avvenuti
nel milanese, ma in sostanza il termine stregheria tornerà in uso
grazie a Raven Grimassi15, noto autore americano (di incerte origini
italiane) che ha pubblicato una serie di libri sulla stregheria, di
discutibile attendibilità, in cui stregheria sta ad indicare pressochè
esclusivamente la Vecchia Religione di Leland.
Il fenomeno della stregheria, parte proprio da una moda americana,
in cui davanti alle critiche mosse alla Wicca riguardo alle sue
origini, ha spinto alcuni a ricostruire la “stregheria” come culto più
tradizionale e connesso a delle autentiche radici storiche, ossessione
tipica dell’atteggiamento del veteropaganesimo ricostruzionista,
con l’unico risultato di vedersele contestate: lo stesso Grimassi è
stato in più occasioni sbugiardato, e gli è stata contestata persino
l’italianità della sua famiglia. Si tratta in sostanza di una moda postgardneriana che ha spinto all’interno e all’esterno della Wicca ad
una sorta di corsa all’oro in merito alla propria autentica origine
tradizionale.
Negli Stati Uniti chiunque avesse origini europee (andando
indietro nel tempo la più ampia maggioranza della popolazione)
poteva vantare una strega in famiglia e una certa ereditarietà...
Quando si parla di Stregheria si tenta anche qui in Italia,
ma in maniera ben più grossolana, lo stesso procedimento che
aveva tentato Gardner, ricostruire un culto da pochi elementi. La
differenza principale è che mentre la Wicca si è configurata come
uno dei culti più autenticamente neopagani, grazie al suo spirito
rivoluzionario e innovatore, la stregheria si ripropone appunto come
un ricostruzionismo veteropagano. Ovviamente è necessario operare
dei distinguo perché esistono delle forme di riproposizione della
Vecchia Religione di Leland che anziché avvolgere nella cortina di
fumo delle “autentiche origini” il proprio percorso, lo esaminano
38
alla luce di un consapevole confronto con un passato che è appunto
“passato”.
Una delle fonti principali di tutti i testi sulla stregheria o
stregoneria tradizionale infatti è “Aradia: il Vangelo delle Streghe”,
oltre ad “Etruscan Roman remains”, di C. G. Leland (ricordiamo
che Gardner e la Valiente, oltre a conoscere questi testi, li usarono
nella “ristrutturazione” della Wicca). Quello che può infastidire è
la costante accusa che viene fatta alla Wicca, da alcuni praticanti
di queste cosiddette vie più tradizionali, di essere una sorta di
corrente di rango inferiore che non ha nessuna tradizione alle spalle.
Se andiamo a vedere la stregheria più da vicino vediamo che nella
pratica ci ritroviamo col pentacolo, le invocazioni ai quattro elementi,
l’Athame diventato qualcos’altro, il Libro delle Ombre e persino gli
otto sabba. Se per quanto riguarda i primi elementi possiamo sforzarci
di pensare che siano un retaggio della stregheria italiana, altrettanto
non possiamo fare per il pentacolo e soprattutto per gli otto sabba.
Nella stregoneria italiana, si veda Ginzburg e altri, compaiono
piuttosto le quattro tempora! Un certo tipo di stregheria, in sostanza,
pur sputando nel piatto in cui mangia, la Wicca, è ad ogni modo
“perfettamente” Wiccan almeno nella concezione.
DISCORDIANI
di Francesco Dimitri
Lord Omar Kayyham Ravenhurst, noto anche come l’ex-marine
Kerry Thornely, e Malaclypse the Younger, altresì detto Gregory
Hill, furono i fondatori della Società Discordiana. Alla fine degli anni
Cinquanta i due amici ebbero svariate esperienze mistiche, durante
le quali compresero, finalmente, la Verità Ultima Di Tutte Le Cose:
che il mondo è un gran macello e l’ordine, per usare le loro parole, “è
soltanto la prevalente forma di chaos”. Malaclypse (forse assieme al
Lord) scrisse quindi un libro destinato a influenzare profondamente
la storia del Neopaganesimo e della magia occidentale: Principia
Discordia, or, How I found the Goddess and what I did to Her when
39
I found Her. In Italiano suona Principia Discordia [I Princìpi
ììpi della
Discordia], o, Come ho trovato la Dea e cosa Le ho fatto quando
L’ho trovata. La Dèa in questione è Eris, Signora della Discordia,
divinità suprema di questa nuova religione. Il suo nemico, il vero e
proprio diavolo, è noto come mr. Greyface, un essere il cui peggior
peccato è la mancanza di senso dell’umorismo: il suo perverso
lavoro consiste nel convincere le persone che il mondo è noioso
quanto lui. Per diletto e lavoro, spinge a credere che il riso abbondi
solo sulla bocca degli sciocchi.
Parlare in modo serio della Società Discordiana è difficile e a
tratti imbarazzante. Il principale nemico di questo strano gruppo è
proprio la serietà, quella serietà mortifera che trasforma il più bel
rito religioso, la più nobile idea politica, in un tran tran ripetitivo, in
un’ortodossia che rinuncia a essere creativa. Lo scherzo, il disturbo,
il gesto inutile ma divertente, la surrealtà: sono questi i cardini
della Società. Leggere i Principia Discordia (disponibili freeware
su Internet) è un’esperienza simile a un bizzarro trip: all’inizio
Malaclypse e Omar Kayyham raccontano di aver ricevuto la
rivelazione finale in una sala da bowling, e che a portargliela fu uno
scimpanzé saggio e maestoso. Uno scimpanzé. Ed è solo l’inizio.
La domanda che, tra animali sapienti e giochi di parole, i Principia
fanno venire in mente, è: ma si tratta di un vero libro sacro, o è
soltanto una parodia? La risposta discordiana è che i Principia sono
l’uno e l’altro. La rivelazione data dallo scimpanzé richiama in modo
evidente le rivelazioni dei vari profeti (cristiani e non), e il libro
vide la luce in un periodo in cui i fermenti religiosi abbondavano.
Erano gli anni in cui anche la Wicca si andava consolidando, ed
è probabile che la scelta di una “Dèa casinista” sia una strizzata
d’occhio alla “Dèa madre” gardneriana. Ma dire questo significa
soltanto grattare la superficie. Eris è un archetipo, un trickster che i
discordiani accolgono e cercano di incorporare.
Lo scherzo dei Discordiani è irriverente perché ogni buono
scherzo lo è, e perché lo è anche l’Universo. Quest’ultimo, come
insegnava Charles Fort, è dotato di un grande sense of humour
– quando gli esseri umani diventano troppo sicuri di qualcosa,
40
l’Universo li smentisce. Ma lo scherzo può anche essere, a suo
modo, del tutto serio, una degnissima via per l’illuminazione.
Il Disordine di Eris (che per un periodo ha lavorato come
maitresse, secondo la teologia discordiana) è gioioso e creativo,
offre infinite possibilità a chi le sa cogliere. Possiamo ottenere i
più grandi risultati solo se siamo disposti a non prendere troppo sul
serio né noi stessi né le nostre credenze: dopotutto la rivelazione
divina, la più grande e pura, è stata data da uno scimpanzé. Gli stessi
Malaclypse e Omar Kayyham hanno avuto difficoltà a venire a patti
con questo modo radicalmente nuovo (almeno per l’Occidente) di
intendere la spiritualità. Omar ha ammesso che, all’inizio, né lui né
Malaclypse credevano davvero in Eris – ma le cose sono cambiate
con il tempo. “All’inizio”, ha dichiarato Malaclypse “pensavo che
stessi facendo lo stronzo con Eris, ora mi rendo conto che è Eris che
sta facendo la stronza con me”. La profezia si autoavvera, il gioco
diventa serio, lo scherzo diventa sacro. La Società Discordiana non è
solo una nuova religione, è (al pari della più o meno contemporanea
Wicca, ma in modo diverso) un nuovo tipo di religione. Si può
cazzeggiare con gli Dèi, ma solo a patto che si sia pronti a vedere
loro che cazzeggiano con noi. Si può (si deve) scherzare su tutto,
prendere in giro chiunque, ma solo a patto che si sia disposti a farlo
anche con noi stessi. Tutto questo perché l’Universo non ha un vero
senso, tutto questo perché non esiste una Verità Ultima. L’Universo
è un gran casino. E, checché ne dica il diabolico Greyface, è un
casino divertente. Una maitresse come Eris sa organizzare grandi
feste.
Il Discordianesimo è una religione seria, pur non essendolo
affatto – paradosso, questo, che si è dimostrato estremamente vitale.
È difficile misurare il suo successo in termini numerici, perché la
Società è priva di qualsiasi organizzazione. Per diventarne membri
basta dire di esserlo. Per essere promossi a sacerdoti occorre seguire
una procedura astrusa e surreale. Molto più semplice è diventare
direttamente papi: basta stampare la «tessera da papa» (o scaricarla
da Internet) e iniziare a scomunicare quanti più papi avversari
possibile. La presenza di Eris si fa sentire anche nell’appartenenza
41
al gruppo – non sono ammesse gerarchie che non siano ironiche, e
il «gruppo» stesso non è altro che un network di persone unite da
idee simili.
Se è impossibile capire quanti discordiani ci siano in giro (anche
perché non ha alcun senso, nella logica di Eris, distinguere tra un
«vero» discordiano e uno falso), è più semplice seguire le influenze
della Società sulle culture successive. A renderla famosa presso
il grande pubblico sono stati Robert Anton Wilson, discordiano
della prima ora, e Robert Shea, che hanno scritto a quattro mani la
Trilogia degli Illuminati, capolavoro di fantascienza visionaria che
mescola occultismo, complottismo, delfini saggi e puro e semplice
cazzeggio. In Italia è stata pubblicata dalla Shake!, e tutti e tre i
volumi dovrebbero essere facilmente reperibili. Più dei libri però a
portarla nel nostro Paese ha contribuito Internet, dove il saluto «Heil
Eris!» si è diffuso fin dagli anni Novanta.
Il singolo effetto più importante della società discordiana è però
la nascita della Chaos Magick, la cosiddetta «magia postmoderna»,
croce e delizia dell’occultismo dagli anni Settanta in poi. L’idea
che l’Universo non segua alcuna regola (neppure quelle dei
maghi), quella che gli Dèi siano entità con cui giocare, e quella
che non esista un ordine naturale delle cose, hanno profondamente
influenzato una generazione di occultisti, che ha preso in parola
Eris e ha interpretato in modo nuovo tutta la tradizione esoterica
occidentale. Anche se la magia del chaos non deriva direttamente
dalla Società Discordiana, difficilmente sarebbe esistita senza di
essa: il «grimorio discordiano» (o Liber Nice) contenuto nel libro
Prime Chaos, di Phil Hine, è una lettura obbligata per chi voglia
comprendere (condividendoli o meno) alcuni trend fondamentali
del paganesimo del nuovo millennio.
42
CAP III – IL DIVINO FEMMINILE
LA RINASCITA DELLA SPIRITUALITÀ FEMMINILE
LE DONNE TORNANO A DANZARE
di Chiara (Shakinàh)
Una Donna cammina solitaria tra gli Alberi di un Bosco...le
Foglie secche frusciano sotto i suoi piedi, bisbigliando Parole e
Nomi antichi ed eterni...i passi della Donna, avvolta in un mantello
nero ed incappucciata, hanno come unica guida la Luce nitida della
Luna piena, che splende perfetta, serena ed immutabile nel Cielo
freddo d’Inverno, tra i Rami nudi come dita stanche...
Il Sentiero nascosto tra le Foglie del Tempo è appena visibile,
eppure - parrebbe - tracciato da innumerevoli orme. La Donna
lo percorre cantilenando in un sussurro, sottile come il Respiro
condensato nel freddo, un sussurro di saggia dolcezza.
Si perde flebile, la sua Voce, nel riverbero sordo del Silenzio,
come minuscoli sono i passi negli spazi incommensurabili di una
cattedrale. Silenzio… che le riempie le orecchie, le culla la mente,
gravida di intenzioni, come Semi di Potenzialità,
àà, Semi di Creatività,
à
di Consapevolezza, di Cambiamento.
Ma il sacro Silenzio della Notte in ascolto viene dolcemente
increspato da un altro sussurro…ed un altro…ed ancora. Alza lo
sguardo, la Donna, e sorride nel vedere chi si avvicina da numerosi
Sentieri limitrofi. Altre Donne, nei loro mantelli, ognuna sussurrando
il suo Canto.
Si scorgono l’un l’altra ed ognuna lascia che il proprio Canto
da un sussurro si apra negli spazi tra gli Alberi, per giungere alle
orecchie delle Sorelle sugli altri Sentieri: ognuna con il suo timbro,
ognuna con le sue Parole…eppure tutte intonano lo stesso Canto, che
si innalza al Cielo notturno, mentre si avvicinano ad una radura.
I Sentieri convergono come ampi raggi ricurvi, verso lo spazio
sgombro dagli Alberi al cui centro si erge un Menhir di pietra. Le
43
Donne si conoscono e si riconoscono, si incontrano e si sorridono,
si prendono per mano senza arrestare i loro passi, ma proseguendo
il cammino in un andamento spiraleggiante. Ecco che il Canto si fa
Danza, la Danza a Spirale: la forma delle Galassie, nel loro moto
infinito nel Grembo dell’Universo, la forma della stessa Vita, la
forma del Tempo, che torna eppure cambia.
Danzando le Donne si guardano: sono Fanciulle, sono Madri,
sono Anziane, sono tante e sono Una. I loro Corpi sono plasmati
dalla Madre di tutte le Madri: Gaia, la Terra. Le loro Menti
splendide e complicate sono ispirate da una Brezza di creatività…
creatrici le Donne, che intessono Storie, Trame, Parole, Vite, creano
l’Arte, creano la Vita… I loro Cuori fiammeggiano della passione
per questa Vita, dalla quale amano a volte lasciarsi stupire o a
volte costrette a rimanere deluse… ma solo per ritornare poi a
combattere vigorose e guerriere. Il loro Ventre racchiude i Misteri
dell’Amore e della Vita nella dolcezza dell’Acqua. La loro Anima
respira a fondo lo Spirito che le sospinge nella Spirale… Sono come
Stelle: ciascuna bellissima, ognuna diversa, ognuna importante
per trovare la Strada o una Strada. Ma sanno brillare insieme, in
una grande Costellazione dove ognuna ha il suo ruolo, ognuna la
sua posizione ed il suo spazio: ognuna rimane se stessa, ma tutte
insieme sono altro.
Le Fanciulle, le Madri e le Anziane si muovono come in un
vortice, ed i loro sguardi si incrociano, si intrecciano, tessono la
Consapevolezza. Consapevolezza che guardare le altre è come
guardare in uno specchio, uno specchio del Presente, del Futuro
e del Passato che è anche il nuovo Futuro, perché la Spirale non
abbia mai fine…perché la Spirale non ha mai fine. Sono tutte diverse,
le Donne, e sono Donne, partecipi di questa identica condizione
proprio per il fatto di essere diverse ed uniche.
Ed il Canto si innalza più forte…e la Danza prosegue più veloce,
i mantelli fluttuano ampi, come grandi ali di uccelli notturni. L’Aria
fredda intrisa di Energia palpabile entra nei Respiri, fluisce nel
Sangue, riempie il Cuore e scatena le risa, acute come campanelli
cristallini.
44
Improvvisamente, tutte insieme, ognuna per se ma come fossero
Una, le Donne si fermano, ansimanti, sorridenti, ogni tanto ancora
scosse da una risata, accaldate. I mantelli ricadono pesanti a
ricoprire le spalle ed i Corpi delle Fanciulle, delle Madri e delle
Anziane. Ma si innalzano ora le Mani al Cielo, alla Luna, così che
la Gioia ed il Ringraziamento giungano all’Universo, un piccolo
Dono in cambio di innumerevoli preziosissimi Doni.
Le Donne sono ora stanche, di nuovo cominciano a sentire il
freddo della Notte e del Bosco al di la dei confortevoli mantelli.
Rimangono vicine, riunite in un grande Cerchio, dove tutte sono
uguali, tutte si guardano in viso. Oscillano dolcemente, i lunghi
mantelli come Onde del Mare che si susseguono incessanti. Ma
ora i Canti sono terminati, ora rimangono le mille Sensazioni
dell’ebbrezza che ha investito tutte e fatto a ciascuna un Dono
personale: una Risposta forse, o una nuova Ispirazione, un nuovo
Canto, una Conferma… I Doni sono Sensazioni sottili, preziose,
intime, da accogliere con riconoscenza e le Donne dimostrano il
loro rispetto scegliendo il Silenzio. Sul Bosco torna dunque il sacro
Silenzio, la Luna nel suo andare sulla ruota del Cielo si mostra
frammentata tra i Rami.
Non c’è più bisogno di Parole, le Donne si salutano con gli
sguardi, consapevoli dei sentimenti e delle sensazioni di tutte
e di ciascuna e, voltandosi, si allontano dalla radura, ognuna
nuovamente lungo il suo Sentiero…
Le Donne stanno tornando a riscoprire se stesse e questo non solo
da un punto di vista strettamente legato all’aspetto del femminismo.
Stanno tornando a capire cosa si cela nei loro cuori spesso così
difficili da comprendere persino per loro stesse, tornano a conoscersi
nel loro intimo e reciprocamente le une con le altre.
Sempre di più le Donne rialzano la testa, anche se a volte questo
non basta nella totalità della vita (ma questo breve saggio non è
il luogo per una speculazione che attraversi la storia, la politica,
la religione, il mondo del lavoro, quello famigliare ecc), ma può
bastare perché si guardino semplicemente allo specchio, osservando
45
attentamente nei loro occhi per capire cosa si nasconda oltre le
maschere indossate ogni giorno.
Per quello che interessa noi, qui ed ora, le Donne stanno
riscoprendo la loro Spiritualità, che in alcune cose non è diversa da
quella maschile, eppure allo stesso tempo, può anche esserne così
distante da essere veramente “altro”...o meglio, “altra”. Soprattutto,
quello che le Donne stanno scoprendo, anche coadiuvate e sostenute
da altre Donne in questo faticoso lavoro, è che la loro Spiritualità
ha delle declinazioni unicamente, squisitamente femminili. Il modo
tutto particolare che le Donne hanno di intendere certe cose della Vita
– anche le più banali – e che le differenzia dagli uomini, influenza
anche l’aspetto spirituale.
Così l’ottica delle Donne cerca e scava soprattutto nel Mistero
legato alla Terra e alla Vita perché son cose che appartengono loro
nel profondo...
Nessuno stupore, dunque, che le Donne sul Sentiero pagano/
neopagano siano ancor più sospinte in questa ricerca del Se
profondo, in questo riappropriarsi delle proprie sensazioni, per
sentirsi nuovamente e pienamente Dee, degne di Fiducia, Rispetto,
Valore. Come da sempre sono le Streghe, donne indipendenti, non
per questo perfette, ma consapevoli della loro femminilità e di tutto
quello che questo comporta nella Vita. La spiritualità delle Donne,
il loro Istinto, il loro Intuito, Sciamane, Creatrici ed Artiste per
eccellenza: elementi un tempo profondamente rispettati e quasi
temuti in un alone di misterica e magica soggezione davanti alla
Forza della Vita che esse incarnavano ed interpretavano.
La statura spirituale delle Donne nell’antichità può quasi stupire,
anche se solo si pensa agli oracoli del mondo greco-romano: tutte
Donne. Ma in un niente questo iniziale stupore svanisce facendo
mente locale proprio su quanto delle Donne si sa e si dice. Anche
oggi normalmente si parla di “intuito femminile”: rendiamoci
dunque pienamente conto che non si tratta di una definizione
vuota. E si pensi al ruolo biologico della Donna e – come si diceva
poco sopra – a quale timor reverenziale essa doveva ispirare per
la sua unica, insostituibile capacità di creare la Vita. Una creatura
46
preziosa, essenziale, sacra, la Donna. Una creatura che è resa ancor
più sensibile ed intuitiva proprio per i continui magici cambiamenti
legati alla Luna che la Natura opera in lei ogni mese: la Donna
cambia il suo corpo, cambia il suo umore, cambia la sua sensibilità
e la sua capacità di percezione. Inoltre è noto come in antichità si
usassero principalmente calendari lunari per scandire il trascorrere
del tempo, quindi un ciclo biologico evidentemente legato alla Luna
ovviamente era considerato sacro.
Tutto questo ha sempre facilitato le Donne nel ruolo di Sciamane,
un ruolo per loro quasi naturale, istintivo, appunto. Gli esempi che
si potrebbero portare sono numerosi, ma crediamo ne basti uno
particolarmente significativo, raccontato da Vicky Noble nel suo
libro “Il Risveglio della Dea”.
Per meglio comprendere in cosa consista il legame tra l’istintività
delle Donne ed il mondo dello Sciamanesimo basti spiegare come
le pratiche sciamaniche siano sempre profondamente istintuali,
nell’ancestrale fiducia che quanto l’Universo ci indica e che noi
percepiamo ed interpretiamo, sia ciò di cui, in quel momento,
abbiamo bisogno. La pratica sciamanica è indissolubilmente
legata al mondo naturale e degli animali (Animali Guida, Animali
di Potere) e da questo risulta derivare un carattere radicalmente
intuitivo-istintuale. Lo sciamano (o la sciamana), all’interno del
nucleo sociale, ricopre svariati ruoli, che vanno dal consigliere e
legislatore (con l’ausilio della divinazione o dei messaggi ricevuti
dai viaggi sciamanici) al guaritore, ruolo che in realtà risulta
preponderante nello sciamanesimo. Lo sciamano è un uomo potente,
profondamente riverito e rispettato. Il suo intervento è importante,
per la società, come quello di un guerriero. E non si può negare che
lo sciamano sia, in un modo molto particolare, un guerriero: molti
viaggi sciamanici di visione e guarigione sono esperienze forti e a
volte quasi dolorose e violente, ma necessarie.
Impossibile a questo punto non notare come la figura, il
ruolo dello sciamano – a livello umano e spirituale – si rispecchi
meravigliosamente nell’archetipo della Donna/Dea Triplice: la
Fanciulla guerriera, la Madre amorevole (guaritrice, creatrice di Vita),
47
l’Anziana saggia e rispettata... ed il Cerchio torna a chiudersi...
Il breve pseudo-racconto iniziale è ovviamente allegorico: inutile
sviscerare quali e quanti siano i riferimenti simbolici all’Antica
Religione, tanto sono lampanti.
Il gruppo Soteira, sezione puramente femminile del Circolo dei
Trivi, fa suo questo valore in uno straordinario esperimento – fin qui
egregiamente riuscito – di incontro, confronto, scambio, supporto
reciproco. Un gruppo di Donne, persino non tutte Streghe, con
esperienze e conoscenze diverse, con Percorsi, Sentieri e Tradizioni
diverse che sanno dar vita ad un vero grande Calderone ribollente
dove la meta è la profonda condivisione. E visto che è il viaggio la
cosa più importante, ecco che questa condivisione già sussiste lungo
il tragitto: rituali di Tradizioni miste, nati da intuizioni spontanee ed
estemporanee, incontri su svariate tematiche dove ognuna mette sul
piatto quel che sa e che ha da dare...
Le Donne stanno rialzando il volto, dunque, verso le Stelle,
della cui materia tutti siamo fatti, verso la pallida, splendida Luna
che veglia da sempre sulla loro femminilità. Sono forse i primi
timidi passi, ma nutriti di profondo entusiasmo, passione, voglia di
scoperta e sete di conoscenza di quell’Universo che vortica fuori
da noi in profonda assonanza all’Universo che vive dentro di noi:
“Come Sopra Così Sotto”.
SULLE TRACCE DELLA GRANDE DEA
di Chiara (Danaliit)
“What is True is True
and what is True
will remain”
Marija Gimbutas
Il matrismo
Possibile che fra la storia dei nostri progenitori ancestrali e la
48
comparsa delle prime grandi civiltà, l’umanità non abbia lasciato
alcuna traccia di sé?
Eppure io “sentivo” che mancava un tassello importante...
Quando incontrai la Wicca, quel lungo periodo incognito si
svelò grazie all’eminente archeologa Marija Gimbutas, la prima a
sostenere la tesi del matrismo.
La Gimbutas, di origini lituane, si interessò fin dalla giovent
gioventù alla
storia della sua terra e intraprese una prestigiosa carriera universitaria
nei campi del folklore, dell’antropologia e dell’archeologia.
Fu lei a porsi la fatidica domanda: “Chi e che cosa c’era prima
delle popolazioni Indo-Europee?”
Nel 1963 iniziò gli scavi che sarebbero durati 15 anni in
Jugoslavia, Grecia ed Italia, portando alla luce numerosissimi reperti,
alcuni con motivi ricorrenti, come le Dee Uccello o le Dee Serpente.
Tutte queste esperienze formarono il suo primo, rivoluzionario libro:
Gods and Goddesses of Old Europe.
Nella società matrista, a differenza di quello che si potrebbe
pensare, le donne non soverchiavano gli uomini: essi avevano la loro
giusta posizione sociale e infatti si ritrovano sia Dee sia Dei. La Dea
aveva comunque un ruolo predominante poiché era considerata la
Creatrice: le statuine dai seni enormi, dai fianchi e glutei abbondanti
sono il simbolo concreto di questo potere di fertilità e prosperità, così
diverso dai nostri modelli femminili anoressici, androgini e sterili;
confronto stridente fra le due visioni dell’essenza del femminino.
Le società matriste non erano né monoteiste né politeiste: la Dea
era una sola ma venerata in molte forme; il riflesso di questo fatto
si ritrova nella Wicca moderna, dove la Dea è venerata nei suoi tre
aspetti principali: la Fanciulla, la Madre e la Vecchia.
La religione della Dea era direttamente collegata con il ciclo
della vita: nascita, morte e rigenerazione e non solo con i riti di
fertilità, a dimostrazione che il livello di evoluzione raggiunto da
queste popolazioni era molto elevato. La Gimbutas fa inoltre notare
come la produzione artistica subì un tracollo con il passaggio al
patriarcato.
L’aspetto religioso era quindi fondamentale nel matrismo e
49
aveva certamente caratteri sciamanici: fra i resti archeologici
sono stati ritrovati semi di papavero e di altre piante che avevano
probabilmente effetti di alterazione della coscienza, quelle tecniche
dell’estasi che si ritrovano anche in altre civiltà a noi ben note, come
la greca o la romana.
Ma ora immaginate di tornare indietro nel tempo...scorrete nella
vostra mente la Storia della razza umana come l’avete sempre
conosciuta, fino alle più remote civiltà. Civiltà guerriere, della
spada, dominate dai maschi...non è forse questa la Storia che avete
appreso?
State pronti a incontrare una società umana che definireste
puramente utopica, ma che invece è stata reale, presente per migliaia
di anni...
........una pianura inondata dai raggi del sole, campi di grano
dorato, maturi e pronti per il raccolto. Il cielo è terso, azzurro, e
un gruppo di uomini e donne stanno mietendo le messi, cantando
allegramente. Le loro vesti sono molto semplici, ma di una foggia
a voi sconosciuta. L’atmosfera è di grande armonia. I bambini
corrono qua e llààà,, giocando. Al calar della sera, il piccolo gruppo si
avvia verso un villaggio. Non ci sono mura di protezione, le capanne
sono semplici, fatte di canne intessute, dalla pianta circolare. In
mezzo ad esse vi è un altare adornato con fiori e frutta fresca.
Una statua che rappresenta una donna dalle forme abbondanti,
rozzamente intagliata nel legno, completa il tutto. La gente prepara
un grande fuoco e si appresta a consumare un pasto a base di
cereali e latte di capra. I bambini vengono mandati a riposare, gli
adulti si dipingono i corpi con colori vivaci e iniziano a danzare
nudi sotto le stelle, invocando il nome della Grande Madre. I canti
e le danze divengono sempre più frenetici, accompagnati dal suono
dei tamburi, finchè tutto si ferma all’improvviso. Cala il silenzio
assoluto e una donna fissa le fiamme parlando con voce alterata,
la Voce della Dea, profetizzando come andrà la prossima stagione
invernale.......
50
La caduta dei popoli della Dea
La Gimbutas ipotizzò che le prime popolazioni Indo-Europee
giunsero in Europa dal Sud della Russia intorno al 5.000 a. C.: gli
invasori erano popolazioni semi-nomadi che avevano addomesticato
il cavallo e si spostavano velocemente, predando ed uccidendo.
Il passaggio dal matrismo al patriarcato fu quindi uno scontro
violento fra due culture completamente differenti e le prove
archeologiche raccolte da Marija provano infatti che vi fu un
cambiamento repentino. Questo sta ad indicare come il matrismo
non si sarebbe mai potuto sviluppare in quella direzione culturale,
poichè le differenze erano troppo forti.
Le bellicose tribù a cavallo imperversarono sulla pacifica civiltà
agricola, che venne così annientata in poco tempo.
La Gimbutas traccia il background della società Proto-IndoEuropea: la sua struttura era patriarcale, patrilineare, guerriera,
lineare e non ciclica; ogni loro Dio era quindi un guerriero. I tre
principali erano: il Dio del Cielo Scintillante, Il Dio dell’Oltretomba
ed il Dio del Fulmine. Le Dee perdono il loro potere individuale,
indipendente dal Dio e divengono solo mogli, figlie o madri, figure
in secondo piano, il cui unico attributo considerato è la bellezza
esteriore e la capacità di generare figli maschi guerrieri.
Con l’eclissi della Dea, pare che l’oscurità avvolga anche l’anima
e lo spirito della razza umana.
Il rapporto uomo-donna si deteriora e le donne seguono il
destino delle loro Dee: esse divengono madri, mogli, figlie di
qualcuno, dipendenti, sottomesse, senza alcun potere. I loro ruoli
di guide, sacerdotesse, governanti, sciamane, sagge svaniscono
all’improvviso, relegandole nell’ambito chiuso della casa, della
famiglia e dei figli. Nulla di più.
Questo brusco cambiamento ideologico si ritrova anche in molte
mitologie: le Grandi Dee, potenti e temute, vengono detronizzate
all’improvviso da mariti, fratelli e figli.
Nella mitologia atzeca la Dea della Luna viene fatta a pezzi e
sparpagliata nel cielo dal fratello minore; in quella nipponica la Dea
del Sole Amaterasu si auto-esilia in una caverna dopo essere stata
51
insultata dal fratello, il Dio della Tempesta Susanoo. Nella mitologia
greca e romana troviamo molto spesso episodi di violenza contro
le donne: molti Dei seducono o tentano di sedurre donne mortali
che vengono punite se non soggiacciono alla loro volontà, come nel
famoso episodio di Apollo e Dafne ne Le Metamorfosi di Ovidio,
Anche nella storia biblica di Adamo ed Eva ritroviamo il
passaggio dal matrismo al patriarcato: la prima moglie di Adamo era
Lilith, la Dea Uccello della Morte e della Rigenerazione, l’archetipo
primordiale della strega, dotata di grande potere, Colei che in
origine era la Dea sumera delle Stelle, Ishtar. Adamo non riusciva a
controllarla e Lilith lasciò il Giardino dell’Eden, andando in esilio
sulle coste del Mar Rosso; il nuovo Dio Unico creò allora dalla sua
costola una nuova compagna, mite ed ubbidiente, Eva, che gli diede
figli maschi.
Iniziò così la campagna diffamatoria contro la Dea e quindi
contro le donne e il loro potere: il patricarcato le temeva, temeva il
loro potere di creatrici e distruttrici, la loro stessa natura di nutrici e
portatrici di vita che poteva rovesciare il sistema basato sulla guerra
, sulla prevaricazione, sulla forza bruta.
Piccoli gruppi di iniziati conservarono in segreto la venerazione
per la Madre e di nascosto, nelle ombre, si tramandarono oralmente
gli Antichi Misteri, le tecniche per contattare il Divino senza
intermediari e la saggezza della Natura, con il timore costante di
venire perseguitati e distrutti.
Ma sarebbe dovuto passare molto tempo prima che la Dea
riemergesse dal suo lungo oblio...e questo avvenne non molto tempo
fa, quando l’umanità, con le guerre mondiali ed i conflitti nucleari,
fu davvero sull’orlo di auto-distruggersi, ormai completamente
accecata dalla sete di distruzione e violenza senza senso.
La Dea oggi
Spontaneamente, apparentemente dal nulla, nel secolo scorso
nascono movimenti spirituali basati sulla Terra, religioni adogmatiche, politeiste, dove la grande Maestra è di nuovo Lei, la
Terra, dopo migliaia di anni.
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Sempre Lei, antica, serena, come la Luna nel cielo, che guarda gli
umani che ogni giorno la offendono e la maltrattano come bambini
capricciosi che non vogliono imparare la lezione.
Se Gaia avesse voluto, ci avrebbe già distrutto.
Oggi la venerazione per la Dea non può essere identica a quella
dell’antichità: noi purtroppo dobbiamo fare i conti con un pianeta
in crisi ecologica profonda; molti neopagani sono costretti loro
malgrado a vivere in città. È quindi molto più difficoltoso sentire
la voce della Terra ed armonizzarsi di nuovo con i suoi cicli, ma
bisogna assolutamente tentare in ogni modo di riaccostarsi a Lei.
E come nell’antichità la Dea aveva molto forme, così al giorno
d’oggi le streghe moderne possono fare riferimento ai diversi
pantheon mitologici: grazie ai moderni mezzi di comunicazione e
soprattutto alla rete Internet, ci si può documentare ed informare
sulle Dee di tutto il mondo: dalla tradizione egizia a quella indiana;
dalle nordico-celtiche alle americane ed australiane. Ogni civiltà e
cultura ha prodotto le proprie specifiche divinità, i propri racconti e
leggende dalle quali si può imparare moltissimo, poichè sono storie
archetipe che toccano i grandi temi della vita umana.
Ma come fare a sentire la Dea oggi? Oltre a stare in mezzo alla
Natura, in solitudine, e riscoprire la sua saggezza, una donna ha un
lungo percorso davanti a sé: deve superare tutti gli schemi mentali
e sociali acquisiti, liberarsi dell’inconscio collettivo accumulato per
millenni e combattere ogni giorno per avere di nuovo un rapporto
paritario con gli uomini: è risaputo che il riconoscimento sociale
della donna è ancora inferiore rispetto agli uomini, basti pensare a
chi occupa i posti di potere.
Una donna deve interiorizzare i concetti rivoluzionari che ho
esposto sopra: essere libera, indipendente, avere prestigio, potenza,
ed essere consapevole di averli dentro di sé.
Quante donne possono affermare questo al giorno d’oggi?
È difficile liberarsi della cultura patriarcale nella quale una
donna deve avere un compagno, un marito che la mantenga e le stia
accanto.
Una donna deve innanzitutto sperimentare il potere di Artemide,
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la Dea Selvaggia dei Boschi, che vive indipendente e si procaccia da
vivere da sola. Quante volte una donna entra in relazioni sentimentali
distruttive poiché ha poca autostima? Artemide fa sentire di nuovo
la fierezza , la forza e l’orgoglio di essere attive ed indipendenti.
Il secondo passo è quello di riscoprire la propria femminilità e
dolcezza, che troppe volte dobbiamo mettere da parte in un mondo
governato dalle logiche del denaro, dell’egoismo, dello sfruttamento.
Madre Gaia ci abbraccia e ci fa sentire di nuovo amate, noi che
siamo sempre portate a sacrificarci per gli altri e a mettere da parte
quello che proviamo e non dare importanza alle nostre esigenze.
Gaia ci scalda di nuovo il cuore e l’anima, riempiendoli di luce ed
amore.
Più avanti nel cammino, dobbiamo iniziare ad affrontare le
nostre paure, conoscere noi stesse, esplorare in profondo ciò che
siamo, la nostra essenza: Ecate, Regina della Luna Nera e Saggia
ci conduce dentro noi stesse, a fronteggiare i nostri demoni interiori
e ad evolverci come esseri umani, a fronteggiare il lato oscuro
dell’esistenza: dolore, sofferenza, lutti, malattie e la nostra morte.
ESSERE UNA SACERDOTESSA
di Valentina Minoglio
Vero sine mendacio, certum et verissimum
Quod est superius est sicut quod est inferius
et quod est inferius est sicut quod est superius
ad perpetranda miracola rei unis
Come sopra, così sotto. Questo principio della Tavola di Smeraldo
permea tutto l’esoterismo occidentale. E accompagna giorno dopo
giorno la vita di una Sacerdotessa. Il volere degli Dei si dispiega
nei singoli eventi della vita quotidiana. Ci sono momenti unici,
eccezionali e fuori del tempo, i momenti in cui il sacro irrompe
nella nostra vita e le dà il respiro dell’eternità. Ma una Sacerdotessa
impara a riconoscere il disegno degli Dei, o del particolare Dio a
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cui è devota, anche in eventi meno emozionanti. Impara a scorgere
una trama dietro il tessuto della vita ordinaria. A ricostruire una
costellazione che unisce Stelle apparentemente lontane. A vedere
il volto di un dio nel volo di un uccello, nelle foglie di un albero
che si muovono all’improvviso, in un libro che cade all’improvviso,
proprio mentre stavi formulando una domanda.... Impara a
distinguere quale uccello, quale albero, e spesso non è una sorpresa
raccogliere quel libro e vedere che ancora un volta si è aperto sulle
pagine che parlano della divinità a cui si è devoti. Impara a scorgere
segni della divinità in fatto apparentemente casuali ma che con il
Tempo si legano e prendono una Forma.
La Wicca è una religione che offre l’opportunità a tutti di
essere Sacerdoti e Sacerdotesse. Anche se non è una Via facile. Ma
Sacerdoti e Sacerdotesse Wiccan sono figli dei sacerdoti antichi.
Vediamo brevemente quale era il loro ruolo e il loro compito, per
comprendere meglio qual è il nostro, oggi.
Intanto, nella Wicca ci sono Sacerdotesse donne. Chi erano
anticamente le sacerdotesse?
Grecia Antica
In Grecia non esiste un gruppo sacerdotale chiuso. Durante ogni
manifestazione cultuale però è presente qualcuno che diriga, inizi,
pronunci la preghiera, compia la libagione.
Il santuario è proprietà del Dio, ma vi è una responsabile
preposta, hiereia, sacerdotessa. Il sacerdozio non è una condizione
generale, nessuno è sacerdote come tale, ma sacerdote di una
Divinità in particolare. Le cariche sacerdotali sono spesso ereditarie,
ma l’assegnazione può valere come manifestazione della volontà
divina. La sacerdotessa porta la grande chiave del tempio ed è
onorata come una Dea fra la gente.
In genere sacerdotesse servono le Dee e sacerdoti gli Dei maschi,
ma ci sono moltissime eccezioni: Pallade Atena ha un sacerdote,
come vi sono sacerdoti maschi nel culto di Demetra, e Dioniso,
Apollo e lo Zeus di Dodona hanno sacerdotesse.
Il celibato a vita non esiste. Si devono rispettare divieti per certi
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cibi, osservare digiuni, e per mantenere la purezza, corrispondente
al sacro, la sacerdotessa deve evitare il contatto con i morti, per
esempio.
Il santuario è lo Spazio per il divino, la festa è il suo Tempo. Ci
sono giorni distinti dagli abituali, che cominciano la notte prima, e
il contrasto con l’abituale può esprimersi nella gioia e nel piacere,
nell’ornamento e nella bellezza, ma anche in qualcosa di minaccioso
e terrificante.
Vi è sempre un corteo, verso il santuario, e processioni, dal
santuario, che interrompono un periodo di purificazione.
Non esiste alcuna festa rituale senza la danza, che si svolgono
nel santuario, diverse per ogni divinità (a Delo si svolgeva una
danza labirintica, danze con scudi erano in onore di Atena, fanciulle
danzano per Artemide).
Per celebrare una divinità i Greci istituivano anche delle gare,
per qualsiasi cosa: sportive, di poesia, danza, bellezza, musica… le
prove di forza hanno anche carattere iniziatico.
Le sacerdotesse presiedono riti del fuoco: il fuoco è legato alle
divinità soprattutto ctonie e preolimpiche, e non vi è comunque
rito senza fuoco: un falò, una processione con fiaccole. Il fuoco
che divampa manifesta la presenza del Dio e il profumo del fuoco,
sprigionato da legni sacri o incensi, è divino (il sacro coinvolge tutti
i sensi).
La sacerdotesse offrono anche doni agli dei che li richiedono:
soprattutto cereali, fiori, primizie, o si fanno testimoni di un’offerta
votiva: un voto.
La libagione è l’atto più sacro: si può versare completamente il
liquido (per gli dei ctonii) o bere e versare, la libagione è anche una
forma di invocazione. La libagione è la forma più pura e raffinata di
rinuncia: non si può più raccogliere ciò che si è versato. Rappresenta
l’elevazione della speranza attraverso una serena dissipazione.
dissipazione
Le sacerdotesse si occupano anche della preghiera: le devozioni
richiedono le giuste parole. Ogni parola errata, rozza o lamentosa è
blasfema. Oppure vegliano sul Silenzio sacro.
I riti culminavano spesso nelle nozze Sacre, gli hieros gamos,
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il congiungimento sessuale dei sacerdoti che indica l’unione del
Dio e della Dea. La tradizione è antica: il re sumerico è l’amante
della Grande Dea, la somma sacerdotessa di Tebe è la donna del dio
Amon, Astarte è la sposa dei sacerdoti di Cipro. I culti misterici di
Dioniso prevedevano una iniziazione sessuale. E il culto di Afrodite
con le sue sacerdotesse, le etere, prevedeva l’unione sessuale: in quel
modo la Dea, che si nutre di amore, si manifestava agli uomini.
Il sacro appare come l’extra-ordinario, il totalmente “altro”,
perciò le esperienze in stato alterato di coscienza sono il supporto
essenziale della religione. Questa esperienza può derivare da una
predisposizione individuale, da una tecnica apprendibile o dall’uso
di droghe.
Comunque la Sacerdotessa vede, sente e vive ciò che per gli altri
non è dato, e instaura un rapporto diretto con la divinità.
Entheos è quando una persona parla con voce strana o in maniera
incomprensibile, si muove con movimenti inconsulti. Il Dio può
possedere o rapire il suo sacerdote. Nell’estasi la persona abbandona
la via abituale, la razionalità.
Nel culto di Dioniso furore ed estasi sono normali: esperienza
divina e appagamento. Ma ci sono anche forme di rapimento
sobrio.
Apollo induce una follia profetica, un entusiasmo poetico.
Dioniso uno erotico e filosofico. Zeus invece sta nel limpido spazio
del pensiero assennato.
Interessante notare che Platone chiamava filosofia l’amore
della sapienza, sapienza che era esistita in un mondo arcaico, in
cui esistevano appunto i sapienti. Non c’è uno sviluppo continuo
e omogeneo fra sapienza e filosofia. Sono Apollo e Dioniso gli
Dei della sapienza greca. A Delfi, sede dell’oracolo di Apollo, si
manifesta la vocazione dei greci per la conoscenza. Sapiente però
non è Odisseo: sapiente è chi getta luce nell’oscurità,
àà, chi scioglie
i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto. “Ai nottivaghi
ai magi ai posseduti da Dioniso alle menadi agli iniziati” è dedicato
un testo fondamentale della sapienza, “Dell’origine” di Eraclito. La
conoscenza dell’oracolo appartiene alla sapienza, le sacerdotesse di
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Delfi sono connesse con la sapienza. È sempre Platone, nel Fedro, a
indicarci come: “…non è verace il discorso che ad un innamorato si
debba preferire chi non ama, con il pretesto che l’uno delira e l’altro
invece è sano e saggio. Ciò sarebbe detto bene se il delirio fosse
invariabilmente un male; ora invece i più grandi doni ci vengono
proprio da quello stato di delirio, datoci per dono divino. Perché
appunto la profetessa di Delfi, le sacerdotesse di Dodona, proprio
in quello stato di esaltazione, hanno ottenuto per la Grecia tanti
benefici, sia agli individui che alle comunità; ma quando erano in sé
fecero poco o nulla”.
I sogni vengono dagli Dei, e nei sogni gli Dei indicano agli
uomini la via da seguire, e le sacerdotesse, soprattutto di Apollo,
li interpretano: per trovare l’interpretazione convincente, esente
da dubbio, è necessario un dono carismatico, una ispirazione. Per
questo le indovine sono considerate sagge (anche se, ancora, la
parola mantis, indovino, ricorda mania, follia). L’arte di interpretare
diventa una tecnica quasi razionale. Segno può essere qualsiasi
fenomeno non del tutto ovvio: si osservano il volo degli uccelli, il
comportamento dell’animale sacrificato…
I segni favorevoli vanno accolti con un voto, quelli sfavorevoli
mutati con una purificazione: non è tanto importante prevedere, sapere
prima cosa accadrà, ma decidere, con l’aiuto della sacerdotesse,
cosa fare o non fare.
In certi Luoghi gli dei danno maggiori segni: sono chiamati
Oracoli.
Qui il dio parla direttamente tramite un medium, che cade in
stato di entusiasmòs.
A Dodona tre sacerdotesse , chiamate colombe, parlavano per
Zeus: cadono in trance e poi non ricordano più nulla.
A Didima, oracolo di Apollo, vi era una fonte sacra: la sacerdotessa
cadeva in estasi tenendo la verga di alloro del dio, immergendo i
piedi nella fonte e ispirandone i vapori.
A Patara, in Licia, la sacerdotessa passava la notte nel tempio, e
su di lei veniva il Dio in forma di sogno e il vaticinio.
Il più famoso oracolo è Delfi, dove Apollo avrebbe sostituito
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un precedente culto ctonio dedicato a Gaia (o alla Dea Serpente:
Apollo infatti sconfigge Pitone, ma le sue sacerdotesse lo ricordano
nel nome): vi erano tre Pizie che durante tutto l’anno si dedicavano
al dio. Dopo un bagno nella fonte Castalda la Pitia entra nel tempio,
fa bruciare farina d’orzo e foglie d’alloro sul fuoco sempre acceso
e discende nella parte finale del tempio. Qui c’era l’omphalòs,
sopra un’apertura circolare nel terreno (dalla quale recenti studi
hanno verificato uscissero vapori di etilene, una sostanza che
provoca, a piccole dosi, euforia, leggerezza, allucinazioni), con
sopra un calderone. Seduta sull’orlo dell’abisso, avvolta dai vapori
che salgono e agitando un ramo di alloro, la Pitia cade in trance.
Secondo alcune versioni, il Dio possiede la Pitia anche in senso
sessuale (anche nei misteri di Eleusi il rapimento da parte del Dio è
sia sessuale che estatico).
Come le Pitie erano le Sibille.
L’Antichissima Dea Serpente
Le Pitie erano eredi delle antiche Pitonesse, messaggere della
Grande Dea la cui voce, scaturita dalle profondità della terra e
conosciuta tramite il potere del Serpente, parlava attraverso di loro.
Le pitonesse o drakaine erano profetesse. Il culto del serpente
era legato a valori femminili ancestrali. Le sacerdotesse, con la sua
maschera sul viso, impersonavano la Dea Serpente.
Giungevano a un simile stato solo coloro che in seguito a un
lungo cammino avevano accolto l’Abbandono e accettato la
Trasformazione.
La Dea Serpente è in grado di trasformare. Il suo potere risiede
nei suo occhi: incrociare lo sguardo, guardare negli occhi è un
gesto che richiede coraggio. Significa accettare la sfida dell’altro.
Guardare negli occhi la Dea significa abbandonarsi a quello stato di
“follia sacra” che porta conoscenza. (probabilmente anche a questo
si riferisce Huson quando parla dello “sguardo di basilisco” delle
streghe).
Il culto della Dea Serpente era diffuso a Creta, studiato dalla
Gimbutas. La civiltà minoica è la culla della civiltà europea, e la
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Dea Madre era venerata a Creta, poi il culto diviene secondario con
l’arrivo degli Dei micenei. Le donne avevano un ruolo importante
a Creta, non solo le sacerdotesse. Le statuette della Dea sono
moltissime: la Dea dell’Omphalos, con le braccia alzate, la Dea dei
Serpenti… Le pitture raffigurano sacerdotesse con abiti eleganti
intente a rituali sacri.
Dalle sacerdotesse della Dea serpente e dalle Pitie deriva la
topologia della Sacerdotessa della Dea che ancora oggi, nella Wicca,
molte donne incarnano.
I Celti
Le sacerdotesse celtiche sono citate storicamente da Pomponio
Mela. “Sena… nel mare britannico… è degna di nota per l’oracolo
della divinità gallica le cui sacerdotesse sono nove, vergini perpetue.
Esse…con i loro canti e i loro singolari artifici… calmano i mari
in tempesta e i venti e si trasformano in qualsivoglia animale.
Sanno guarire quello che altri non sanno guarire e sanno predire il
futuro”.
La donna nella società celtica riveste ruoli importanti: guerriere,
sacerdotesse, profetesse.
Storicamente documentata è un’organizzazione religiosa
femminile, quella delle 9 vergini dell’Ile de Seine. Erano chiamate
Bandrui ed erano divise in tre categorie: le sacerdotesse che
vivevano sull’isola perennemente, osservavano il voto di castità e
alimentavano il sacro fuoco perenne in onore delle divinità femminile
a cui erano consacrate. Le sacerdotesse che potevano sposarsi
ma dovevano servire la Dea, parlavano con la gente, compivano
profezie e leggevano il futuro sulle foglie del vischio. Quelle della
classe più alta accedevano al loro ruolo solo dopo molti anni di
studio e un rito di passaggio, potevano circolare liberamente nel
mondo, avevano il compito di mantenere vive le tradizioni religiose,
praticavano l’astrologia, conoscevano le erbe e le pietre, curavano le
malattie, si occupavano delle nascite, accompagnavano a una dolce
morte e compivano incantesimi d’amore. La Sorellanza delle Nove
era devota alla Dea della luna. Queste donne erano vergini nel senso
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antico, cioè fiorenti, verdeggianti: non un sinonimo di castità, ma di
libertà: sceglievano quando e come amare un uomo.
Avalon
Alle sacerdotesse celtiche si è ispirato il Ciclo di Avalon di
Marion Zimmer Bradley che ha tracciato il ruolo della moderna
Sacerdotessa in modo preciso e ispirato molta parte della Wicca.
Le sacerdotesse di Avalon, le figlie della Dea, avevano precisi
poteri: il Volo, la Profezia, la Guarigione, il Potere sugli Elementi,
il Manifestare la Dea. Ad Avalon il mondo sottile e quello “reale”,
non erano separati, ma coesistevano (come ogni strega sa, possiamo
“essere fra i mondi” nel Cerchio, creare un Doppio Astrale di oggetti,
persone e situazioni…). Le donne di Avalon possono viaggiare
liberamente da un reame all’altro ricavandone Conoscenza (come
le antiche Pitonesse) e risultati materiali. lo scambio continuo fra
realtà ordinaria e incantata era simboleggiato dalla capacità delle
sacerdotesse di far diradare le nebbie dalla barca e far apparire
Avalon.
Secondo la descrizione storica, le druidesse potevano volare: il
Volo è quello magico, astrale.
Potevano prendere la forma di animali: una capacità comune a
tutti gli antichi sciamani, che viaggiavano fra i mondi assumendo la
forma di animali Totem.
Le sacerdotesse di Avalon hanno la Vista: la percezione
dell’invisibile, e la capacità di vedere il magico in ogni cosa.
Grazie alla Vista le sacerdotesse possono guarire: la malattia è
una disarmonia che nasce nell’anima e si manifesta con sintomi. Per
guarire, bisogna “ricercare l’anima”, vedere l’energia sottile e dove
è disequilibrata. E poi intervenire sul corpo con il corpo con i rimedi
che la Natura ci offre: la terra è il corpo della Dea, e il nostro corpo
è sacro, i suoi cicli, le sue stagioni, sono anche i nostri cicli, amare
e rispettare la natura è anche amare noi stesse, e usare il potere del
nostro corpo (le mani per esempio) per guarirci e guarire. L’ecologia
è da sempre custodita soprattutto dalle donne, che sentono forse
maggiormanete l’identificazione con Gaia e ne sentono le ferite
61
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come fossero inflitte al proprio corpo.
La Profezia: incarnando la voce della Dea, le sacerdotesse
uscivano dallo Spazio e dal Tempo e potevano viaggiare nel passato
e nel futuro e penetrare il senso del presente.
Le sacerdotesse di Avalon potevano attraversare le acque:
simbolo del viaggio dentro di sé per conoscere se stesse. “Conosci
te stesso” è scritto sul portale di Delfi. La discesa della Dea o del
Dio nella Sacerdotessa le permette innanzitutto di conoscere se
stessa. Di discendere nei propri abissi (come nei Misteri di Eleusi)
scoprendo la propria luce.
assenza del maschio prevaricatore. Tale stato implicava innanzitutto
una radicale autonomia di fronte all’uomo, l’assenza di qualsiasi
tipo di vincolo o soggezione nei confronti di esso e niente affatto
un’estraneità alla dimensione erotica. Anzi, la Verginità magica
rappresentava una condizione di gioia e libertà femminile estreme e
senza limiti che consentiva ad alcune fortunate donne di conservare
e custodire la forza, il mistero, la bellezza e la purezza delle foreste
vergini selvagge, inviolate e sconosciute agli uomini, covando
costantemente nel profondo di sé stesse una perpetua divina,
naturale, languida ed erotica ebbrezza”.
Poteri magici in chiave femminile
Nel libro “La Dea doppia”, Vicki Noble parla dei poteri delle
sacerdotesse così: “Se avessimo ancora la capacità di camminare
sull’acqua, di volare nell’aria… come sarebbe la nostra vita oggi?
La moderna tecnologia è forse qualcosa di diverso dall’antica magia
messa in atto per millenni da daini, sciamane, menadi? Forse, quelle
magie erano basate sulla terra e sul corpo, e volte a una conoscenza
costruttiva che privilegia la guarigione e il benessere del corpo e
dell’anima, il sapere come percezione e comprensione della realtà
infinita che ci abita, la beatitudine, l’estasi… E ci insegnano a
combattere e a salvare ciò che amiamo, come devono aver sempre
fatto le guerriere e le sacerdotesse dei tempi passati”.
Un pensiero condiviso anche dal libro “Le vergini Arcaiche
ovvero di come le antiche Donne custodissero la Libertà, l’Ebbrezza
e la Gioia”:
“Nei miti del passato sono protagoniste le donne (le Yogini
seguaci di Durga in India, le nordiche sciamane al seguito della
Dea Freya, le Baccanti del corteo dionisiaco, le custodi del fuoco
greche, britanniche e romane quali le Vestali, le Sibille delle più
diverse civiltà); miti che pur venendo da luoghi lontani e da popoli
profondamente diversi nascondono un unico filo conduttore che
conserva, come una medicina, la traccia dell’epoca della Grande
Madre, fonte di felicità e beatitudine per le donne; un’epoca nella
quale verginità non voleva dire, come ora, assenza del maschio, ma
Dion Fortune
Dion Fortune, nei romanzi con protagonista Morgan Lilith Le
Fay, tratteggia una splendida figura di Sacerdotessa, di Iside in
questo caso, e ne chiarisce un aspetto: “c’è una grande differenza tra
il sensitivo e l’adepto; perché il sensitivo è un sensitivo e nient’altro,
ma l’adepto, per essere degno di questo nome, deve essere anche un
mago, vale a dire che deve essere in grado di esercitare i poteri dello
spirito sia obiettivamente che soggettivamente”.
La Wicca
Siamo vicinissimi alla concezione di ruolo sacerdotale che si ha
nella Wicca, dove la Sacerdotessa è chi ha la capacità, l’attitudine
e la volontà di essere tramite fra il mondo Divino e quello Umano.
La Magia è un’attitudine e una capacità che viene affinata con
l’esperienza e la dedicazione, e così la capacità di portare su un
piano umano e tangibile l’esperienza del Divino. Nella Wicca
tradizionale, come ci viene tramandato, il ruolo della Sacerdotessa
è ben preciso: sua è la facoltà di canalizzare la manifestazione della
Divinità attraverso il rituale noto come Drawing Down the Moon. La
qualifica di Sacerdotessa è appannaggio dell’iniziata fin dal primo
Grado: l’accolita viene proclamata “A Priestess and a Witch”.
Come dicevamo, però, essere una Sacerdotessa oggi significa
non solo manifestare la Divinità ma anche coglierne la Volontà nella
vita quotidiana.
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E vivere le caratteristiche della divinità nella propria vita, viverne
il Potere.
La Wicca offre un pantheon quasi illimitato, e questa è la
caratteristica più interessante del Neopaganesimo: dare alle donne
dei modelli vari e altrettanto validi.
Ci sono diverse correnti nella Wicca. In alcune si venera una
unica Dea (e tutte le dee sono il volto di un’unica Dea, come
sosteneva Dion Fortune), in altre si cercano e si celebrano le Dee
mantenendone le caratteristiche uniche e la “personalità”. Le
varie Dee sono al contempo fuori e dentro di noi. Così possiamo
scorgere lo sguardo combattivo di Freya quando una donna decide
di dare battaglia per vincere in una situazione difficile. Sentiamo il
fruscio dei veli blu dell’abito di Yemaya quando una mamma culla il
proprio bambino. Scorgiamo gli occhi dorati di Hathor quando una
donna vuole circondarsi di cose belle e preziose, sentiamo il respiro
di Gaia nel gesto semplice di cogliere un fiore o allevare un animale,
percepiamo la leggerezza del volo di Sarasvati nel canto o nel suono
di uno strumento, sentiamo il profumo di Afrodite avvolgere una
donna decisa a sedurre l’uomo (o la donna) che le piace, arretriamo
di fronte alla rabbia immaginando che vi sia Sekhmeth la terribile
a ispirarla, sappiamo che c’è Iside a ispirare le visioni e le parole
misteriose che spesso ci sorprendono. Possiamo immaginare
che vi sia Ecate a guidare il risveglio di una coscienza femminile
addormentata o repressa per lunghissimo tempo.
Ma da tutte le Dee una strega e una Sacerdotessa riceve un
grande dono, il comprendere che non esiste un modello unico di
femminilità. La femminilità tradizionale viene messa in crisi. I ruoli
sociali si arricchiscono, le donne possono scegliere il modo di essere
donna che preferiscono e che sentono più vicino alla propria natura
in una legalizzazione della libertà che è l’aspetto più rivoluzionario
della Wicca.
Uno degli aspetti più rivalutati è quello della donna consapevole.
La stessa parola “strega” ha un’etimologia che richiama la saggezza
e la consapevolezza. Una consapevolezza di se stesse che si forma
nel silenzio e nell’attesa di segni della Dea. Soteira, il gruppo
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femminile del Circolo dei Trivi, è nato proprio pensando a questo
modello di femminilità.
Una Dea e la sua Sacerdotessa
E interessante, molto interessante, è notare il ruolo della divinità
nella genesi di questo gruppo: il nome Soteira è stato scelto da me,
d’impulso, attribuendolo alla Dea di cui sono Sacerdotessa, Ecate,
una Dea molto vicina al Circolo. Qualche settimana dopo mi è stato
fatto notare che avevo sbagliato: Soteira è un attributo di un’altra Dea,
Atena e non ci sono testi in cui venga usato in riferimento a Ecate.
Dopo mesi però abbiamo scoperto che Ecate viene definita Soteira
in testi esoterici e in uno studio. Ho scoperto questo celebrando un
Esbat di Luna Nera e pochi minuti dopo aver posto l’immagine della
Dea sull’altare, dopo che per mesi l’avevo tolta. Mi piace pensare
che Ecate abbia sussurrato uno dei suoi nomi segretamente, e solo
con il tempo abbia mostrato alla sua Sacerdotessa il legame con
lei.
Nella vita di una Sacerdotessa questi sono i Segni della divinità.
Questi e altri. Una Dea o un Dio che chiamano e a volte reclamano
e pretendono attenzione, che insegnano a riconoscerli e in questo
modo liberano la psiche da dogmi e schemi e offrono possibilità
impensate. Seguirli è una via misteriosa, che obbliga ad abbandonare
sentieri già tracciati (perché nel Paganesimo non esiste l’appiglio
rassicurante della volontà divina rivelata e a volte nemmeno quello
delle esperienze condivise, ma si è faccia a faccia con il Dio, in rari
e benedetti casi in compagnia di fratelli e sorelle che hanno lo stesso
sentire e gli stessi segni). La Dea illumina questo sentiero con la
luce non fissa della fiaccola, a volte con un fuoco, e quando impari
a decifrarle con la luce delle Stelle, che sono il nostro specchio
nell’universo e attraverso il cui disegno (con l’astrologia) gli dei
possono comunicare con noi. “Ogni uomo e ogni donna è una Stella”,
diceva Crowley, e “Fa’ ciò che vuoi” significa Vedere la forma della
propria costellazione, riconoscerla. E diventarla, magicamente.
Come dice Maria Zambrano “Ogni vita è un segreto…Esistono dei
nuovi, che aprono un cammino fino ad allora chiuso. Sono potenze
65
soteire che conducono l’uomo verso una condizione in cui ormai
non avrà nulla da temere; divinità dell’iniziazione. Comportano
una saggezza speciale. … non sono oggetto di contemplazione.
La relazione con loro è di partecipazione sacra. Dei non dell’uno,
ma della trasmigrazione e della pluralit
pluralità, liberano i tanti che
sonnecchiano imprigionati sotto l’apparenza immutabile della
condizione umana…donano il coraggio di esprimersi”.
CAP IV - RADICI FILOSOFICHE
DAL NICHILISMO AL NEOPAGANESIMO
di Davide Marrè
“Dio è morto” scriveva Friedrich Nietzsche ne “La gaia
scienza” nel 1882, inaugurando la lunga stagione, che troverà la
sua più compiuta espressione in “Al di là del bene e del male”, del
nichilismo, del declino dei valori dell’occidente che verranno messi
in crisi non solo dalla storia, ma anche e proprio da questo filosofare
col martello, al fine di scardinare le certezze di un universo culturale
chiuso e arrogante.
Ma un Dio moralizzatore, il Dio della “legge” dell’occidente,
non muore così facilmente e spesso la sua è una lunga agonia con
momenti di morte apparente e di inaspettate riprese: perché gli Dèi
potessero tornare e rinascere rinnovandosi, la morte di Dio doveva
però essere in qualche modo sancita, benché prematuramente. Non
mi riferisco alla morte del Dio cristiano (il Cristianesimo ha per la
verità più di un Dio) e nemmeno a quello ebraico o islamico, ma a
quel Dio particolare che ha determinato la storia dell’occidente, la
nostra storia e la sua morale esclusiva.
Quando una civiltà cambia è inevitabile che anche il suo Dio (o
i suoi Dei) muoia e in un certo senso si sacrifichi trasformandosi,
come già accaduto molte volte nel passato.
I filosofi del nichilismo, come corrente filosofica della negazione,
negazione dei valori e negazione della realtà, non sono altro che i
profeti di un mondo che si appresta ad un radicale cambiamento, ad
un tramonto dell’Occidente come fino ad ora è stato inteso, e ad un
ampliarsi dell’orizzonte della prospettiva. Quali siano i cambiamenti
di un mondo che si ritrova, in questo lungo passaggio, senza valori
e punti di riferimento, sono visibili a tutti, come è bene visibile il
prezzo (guerre globali, inquinamento, genocidi, ecc.).
Eppure questi profeti hanno spesso proposto una prospettiva che
66
67
andasse oltre la stessa assenza di valori (che di per se diventa a sua
volta il valore di un epoca di transizione): per lo stesso Nietzsche era
la trasvalutazione di tutti i valori: “se debbo essere compassionevole,
non voglio però chiamarmi tale; e se lo sono, allora meglio di
lontano”16.
Un cammino difficile e irto di ostacoli in una notte che Heidegger
identificò come la notte dell’Essere. Eppure una notte necessaria,
poiché, per parafrasare Maria Zambrano, è nella notte del senso (il
senso dei valori, della vita, ecc.) che germina l’Aurora e che una
nuova alba può essere intravista, un alba in cui la libertà (che è poi
sempre libertà di amare) sarà il volto più maestoso in cui il divino
si presenterà a noi.
È difficile dire in che punto, tra la notte e il giorno, siamo ora,
ma quello che conta è che su questo cammino non siamo soli, gli
dèi, ben prima di noi, si erano ritirati in questa notte e sono pronti
ad aiutarci… a volte con dei bruschi scossoni che ci riportano sulla
strada maestra, altre volte facendoci stendere più comodamente,
magari proprio sul lettino di uno psicanalista…
PSICANALISI E PSICOLOGIA ANALITICA A CONFRONTO
NEOPAGANESIMO: LE RADICI MITICHE DELL’ANIMA
COL
di Gabrio Andena
La psicanalisi ha la sua preistoria nel mesmerismo. I mesmeristi
ritenevano che gli esseri viventi sprigionassero un particolare
fluido, chiamato magnetismo animale, che poteva essere manipolato
tramite particolari procedure e strumenti, ma soprattutto da alcuni
individui particolarmente versati nel percepirlo e dirigerlo. Si narra
che i magnetizzatori compissero grandi prodigi di guarigione e che
potessero produrre quello stato che oggi noi definiamo ipnotico. È
interessante che una disciplina come la psicoanalisi, che con Freud
si propone come scienza svolta a guarire e a smascherare le illusioni
che gli esseri umani si fanno sulla loro vera natura (sostanzialmente
animale), nasca da un ambito che è colluso così pesantemente con
68
l’esoterismo e con la magia: difatti alcune pratiche proprie del
mesmerismo sono in pratica indistinguibili da un rituale magico.
Dal mesmerismo si passa alla psicoanalisi e ai primi studi
sull’isteria. Qui Freud trova il suo terreno ideale. Ebreo ateo di
formazione medico-scientifica, Freud coglie l’eredità essenziale del
mesmerismo: comprende che ciò che davvero cura è la relazione
fra il medico e il paziente, non presunti fluidi magnetici o altro, la
semplice relazione – che per un colto intellettuale quale egli era,
prendeva la forma della parola.
Freud pose al centro della vicenda di sviluppo del bambino, quale
snodo cruciale, il celebre complesso di Edipo: in nuce, il bambino o
la bambina si innamora del genitore dello stesso sesso e rivaleggia
col genitore del sesso opposto. È dunque il complesso di Edipo che
viene rivissuto nella relazione con l’analista – e in questo riviverlo
si ha una occasione di superarlo.
Qui non ci interessa una storia della psicanalisi, solo rilevare che
laddove Freud si immerge nella psiche e scende nelle sue profondità,
in zone antiche e oscure, sente il bisogno di avvalersi, come metafora
descrittiva, di un mito: il mito di Edipo. Un altro celebre mito
introdotto da Freud come spiegazione del disagio psichico è quello
di Narciso, da cui viene il narcisismo. È come se Freud, usualmente
tanto razionale e pacato nel suo scrivere, sentisse qui il bisogno di
ricorrere a immagini mitiche per via della loro idoneità a descrivere i
processi più intimi che costituiscono la genesi di un essere umano.
Carl Gustav Jung, formatosi come psichiatra, fu discepolo di
Freud per alcuni anni. Il loro rapporto di maestro-discepolo (Freud
voleva Jung come suo erede alla testa del nascente movimento
psicoanalitico) venne messo in crisi dallo sviluppo indipendente che
le idee di Jung seguirono.
Jung coniò il concetto di inconscio collettivo, parte della psiche
umana comune a tutti, che è costituito dagli archetipi. Gli archetipi
sono degli schemi innati nella psiche, modi di reazioni tipici a
determinate situazione chiave della vita (amore, morte, nascita,
paura). Nella loro essenza sono inconoscibili: noi percepiamo solo
69
il loro particolare manifestarsi nelle singole vite, non il loro essere
in sé. Gli archetipi si svelano all’uomo con tratti spesso personali,
ossia come persone che compaiono in sogni, visioni, fantasie e con
cui l’io può dialogare e relazionarsi.
Già da questi pochi cenni salta all’occhio la vicinanza fra gli
archetipi e il modo in cui il Neopaganesimo intende gli Dei:
essenzialmente inconoscibili, si mostrano in molti volti, molti
aspetti.
I paralleli si infittiscono se approfondiamo le teorie junghiane.
La psicologia analitica, la disciplina fondata da Jung, si basa su
polarità, ossia su coppie di opposti complementari, che interagendo
fra loro costituiscono la vita psichica, individuale e collettiva. Ogni
vita è segnata dal processo di individuazione che, cosciente o meno,
è la tensione naturale della psiche a comporre i dissidi in una totalità
armonica, attraverso la creazione spontanea di simboli unificatori
che leghino insieme gli opposti, mantenendoli allo stesso tempo
come distinti: questa totalità ideale, mai pienamente raggiunta, è il
Sé, di cui l’Io non è che una parte. In quanto totalità, il Sé contiene
sia l’aspetto maschile che femminile; nell’inconscio di ciascuno c’è
una particolare figura archetipica, l’Anima per gli uomini e l’Animus
per le donne, che è la propria controparte sessuale inconscia. Dunque
in ciascuno ci sono sia il maschile che il femminile – si vede bene
quanto sia prossimo questo discorso al duoteismo proprio della
Wicca, il Dio e la Dea sono in ognuno.
Jung si dedicò sempre agli insegnamenti esoterici, in particolare
allo gnosticismo e all’alchimia. Le denominazioni d a lui applicate
agli archetipi, così barocche, hanno un gusto davvero gnostico: è
uno strano teatro, la psiche, in cui si muovono l’Io-Eroe, l’Ombra,
l’Anima/Animus, il Vecchio Saggio, la Grande Madre, il Puer
Aeternus e poi croci, cerchi, leoni, alberi del mondo, serpenti, giganti
e fate. L’inconscio collettivo pare, nella pratica, indistinguibile da
ciò che gli esoteristi chiamano piano astrale, quel livello della realtà
in cui la psiche è assolutamente reale. Del resto Jung stesso, sebbene
forse con presupposti metafisici diversi, insisteva proprio su questo
punto: la realtà della psiche, delle immagini che vediamo nei sogni
70
e nelle visioni e nelle fantasie, il loro diritto ad essere considerati
tanto reali quanto gli oggetti che ci circondano.
Analizzando e riflettendo sempre più a fondo sulla natura degli
archetipi, Jung giunse alla conclusione che avessero probabilmente
una natura psicoide. Con questo termine voleva indicare che gli
archetipi non sono propriamente né interni né esterni, né mentali né
materiali, ma qualcosa a metà strada. È molto cauto nei suoi scritti
nell’esprimere queste concezioni, più palese invece nelle trascrizioni
dei seminari che possediamo. Jung giunse a questa conclusione
elaborando l’idea di sincronicità, definita come un nesso acasuale
ma psichicamente significativo, insomma come una coincidenza.
Jung notò che quando l’analisi di un paziente, esaurito l’inconscio
personale (l’Ombra), si spostava verso i territori dell’inconscio
collettivo, incrociava sempre più spesso episodi sincronici:
l’esterno, giunti a certe profondità della psiche, sembrava essere
perfettamente speculare all’interno, macrocosmo e microcosmo
sembravano integrarsi alla perfezione, additando una radice comune
– gli archetipi.
Nel Neopaganesimo la sincronicità è una delle dottrine favorite
come spiegazione della magia. Gli effetti di un incantesimo di fatto
assumono l’aspetto di eventi sincronici, in cui avviene esattamente
ciò per cui operavamo tramite il nostro rituale senza che ci sia
alcuna connessione causale evidente, dal punto di vista scientifico,
fra il nostro rito e, ad esempio, la proposta di lavoro ricevuta o la
guarigione improvvisa da una malattia.
Gli archetipi, come accade sovente nei sogni, assumono l’aspetto
di Dei. E, come il maestro Freud che ricorreva a Edipo e Narciso, così
anche Jung usa abbondantemente il materiale mitologico e religioso per
leggere la psiche dei suoi pazienti, amplificandone la psiche personale
fino a metterli in contatto con la psiche collettiva. Anzi, per leggere la
psiche, punto e basta, perché quando si è nell’inconscio collettivo, di
psiche ve n’è una sola, per tutti. Ciò che si fa in un’analisi junghiana,
ad un certo punto, non è più curare un disagio, ma consentire ad una
persona di scoprire il proprio destino personale o, se si vuole porla in
termini religiosi, il divino che è in sé.
71
CAP V – SUGGESTIONI ARTISTICHE
DISCESA NELLA SELVA
di Gabriella Galzio (dagli atti inediti di Trivia 2006)
[…] Rientra nella prassi del sentirmi dentro una circolarità
relazionale, di affetti e di energie, che pone tutti sullo stesso piano,
attivi e ricettivi insieme, in una prassi antiautoritaria e comunitaria
che ho sempre cercato di praticare in quanto vissuta come un valore,
e che mi sembra di poter ascrivere ad una sensibilità e ad una prassi
neopagane, sostanzialmente estranee alle logiche del dominio della
stessa prassi, o forse pratica rituale, l’avere scelto la sera della vigilia
del solstizio d’estate per compiere lo sforzo di una nuova sintesi
all’interno di un mio percorso che giunge da lontano, ma che mai
come ora si era trovato a una impasse; abbiate dunque l’indulgenza
che si accorda ai primi passi di un bambino, incerti e discontinui…
Molti di noi […] condividiamo e pratichiamo già ritualità
connesse alla sacra ruota delle 8 feste dell’anno solare, di cui il
solstizio d’estate costituisce il culmine della luce, ma altri forse non
sanno di questa ruota, di questa ciclicità, di questo “imbragamento”
cosmico; personalmente ritengo il fondamento cosmologico,
il perno di ogni possibile rivoluzione copernicana, il prius e
il principio per ripensare il nostro stesso stare al mondo. Non si
può non ricominciare dal riportare al centro il cosmo, dal quale ci
siamo progressivamente sganciati fino a rovesciare – in un colpo di
hybris o delirio di onnipotenza - i termini della relazione stessa con
il cosmo, arrivando a pensare di poterlo sottomettere, asservire, ad
esso sostituirci – nel 2000, con il titolo ““Navdanya 9 semi”, lanciai
un manifesto (riportato poi in introduzione al mio libro Apocalissi
fredda17), in cui denunciavo il tentativo in atto di preparare una
“seconda genesi”. In questo delirio di gigantismo abbiamo reso
sempre più minuscoli gli oggetti, cosmo compreso, e abbiamo perso,
insieme agli oggetti megalitici del passato, anche ogni senso di
72
qualcosa di più grande di noi, ogni apertura allo stupore, al mistero,
alla trascendenza18 – non abbiamo più soglie sacre e inviolabili.
Da questo senso di sgomento, nasceva la ribellione in versi alla
hybris contemporanea19:
A quel ragioniere della psiche che si nega, essere poeta fino in
fondo
fuori della galassia, portatelo fuori, nelle minute carcerine del
suo utero!
Non ero stata violentata per nulla, non ero andata da lui per
nulla cosa
se non per essere tratta, dai parlatoi dei confessionali, dagli
spogliatoi
dei medici incattedrati, dai rituali d’anticamera, dai santi
appretati, No.
Volevo un uomo davvero selvatico, m’avesse tratto le braccia
dai rovi
e baci baci … no, gli uomini si appellano all’ordine degli uomini.
Ma ciò che in natura troviamo legge e acqua pura
quella per noi non sarebbe legge, più dura? Più salsa
da bere? quando si aprono nella terra vene acquifere e auree
e i maremoti sollevano catene di monti e rotoli di onde
quando salgono i purgatori dalle bocche piene di petrolio
e pennuti galleggianti nel catrame, e banchi d’aragoste
raggianti
sulla spiaggia non certo aurora, Aurora piangi, così gli umani …
Presto ci porteranno in zone protette, ci chiameranno humani
o specie nova a ripopolare le aree dismesse del pianeta. E il
mare?
ci accoglierà in un altro verdeggiare o blu indaco o celeste. E lì
saremo eccelsi
in quello stridere di freni, in quella hybris vieta
faremo ressa, colore, rosso, giallo, algido corallo
del più folto albero del mare. E tu poeta, in questo acqueo
làmpo
avrai la tua eternità, il tuo sublime tocco naturale, la tua santità
73
in festa.
Sarai il nuovo incarnato, il labbro d’uva, il succo del papavero.
Qui in poca chiosa
una nuova tempesta, io ti dico che la vita «parla!»
è dura perla, rosa rosa rosa selvatica e antica
fra le tue dita, a te
stringila forte
Noi non proviamo più il senso del numinoso, non proviamo più
lo Schauder, il brivido, che si avverte nell’incedere grave, epicolirico, dei versi del Faust di Goethe (brivido del numinoso, salvato,
nella traduzione, solo da Andrea Casalegno per le edizioni Garzanti,
per chi fosse incuriosito)20.
Autore assolutamente pagano, Goethe, artista, ma anche uomo
di scienza, fu sostenitore di quella intelligenza sensibile o dei sensi
che purtroppo la cultura dominante ha mandato sul rogo insieme a
milioni di corpi sensibili di guaritori e guaritrici, cosiddette sagge
donne, che si tramandavano quella conoscenza acquisita attraverso i
sensi e per via orale – vale la pena ricordare, per chi non lo sapesse
– che con l’istituirsi della casta medica, venne attuato un duplice
atto di dominio e di sterminio, la cancellazione di ogni tradizione
orale-sensoriale-sensitiva e dunque basata sul corpo senziente
e intelligente, e insieme l’esclusione di un intero genere, quello
femminile, dall’esercizio dell’arte della guarigione, il che fa pensare
che quel modo di guarire fosse proprio nativo delle sagge donne.
Sta di fatto che da un certo momento in poi, la medicina venne
decretata scritta e maschile (o, sarebbe meglio dire, patriarcale!). Le
conseguenze di quella barriera all’entrata le vediamo ancora adesso
…
Ma torniamo alla ruota delle 8 feste sacre dell’anno, in quanto
perno cosmologico, del tempo ciclico entro cui siamo alloggiati
nel nostro viaggio cosmico prima che mondano. Nella seconda
metà del ‘900 è sorta la cronobiologia21 che, su basi scientifiche,
ci ha restituito ciò che, su basi mitiche, gli antichi già sapevano,
74
quando invocavano il kairos, il tempo propizio: e cioè che siamo
inseriti, io dico “imbragati”, in una rete di cicli temporali, dal più
grande (come l’anno solare) al più piccolo cui abbiamo saputo
dare un nome (ciclo ultradiano, i classici 90 minuti di una partita
calcistica); in realtà noi saremmo regolati da una fitta maglia di
cicli cosmici, se solo avessimo l’intelligenza sensibile di ascoltarli:
in breve, anche solo l’arco della giornata non è retta da un tempo
lineare vetero positivista tanto consono alla dimensione produttiva,
ma si snoda lungo un “serpentone” o sinusoide di tempi e frequenze
d’onde cerebrali, energeticamente, qualitativamente, diversi, che
conosce, ad esempio, tra le undici e le dodici il suo picco massimo
d’energia creativa e, tra le quattordici e le sedici (quello della siesta
per intenderci), il suo picco d’energia, minimo per creare, ma tra i
migliori, io sospetto, per procreare – è uno dei momenti migliori
per fare l’amore – ma, ahimè, pare che anche l’appassionata Spagna
abbia deciso di abolire la siesta, e dunque di “modernizzare” il
tempo ciclico, ‘segandosi’, in un impeto di autocastrazione! (fuori
dagli equivoci, non sono contraria ad un’accorta modernizzazione,
ma al rullo compressore della globalizzazione).
Se il tempo ciclico del solstizio ha costellato la stesura di questo
discorso, il luogo è stato altrettanto importante, perché ho scelto di
scriverlo nella casetta in pietra di torrente in cui abito nell’Oltrepo’,
situata in un villaggio di 70 anime, un pagus, dunque un sito pagano,
alle pendici di un monte sovrastante il torrente, in cima al quale vi
è un antico sacrario, pagano; testimoni ne sono infatti una pietra
circolare prospiciente un dirupo, e la classica cappelletta dedicata a
San Lorenzo (che ha sostituito la Dea Luna), dove ancora si celebra
la messa in agosto la notte di San Lorenzo.
Nei 18 anni che sono trascorsi da quando andai ad abitarvi, tante
cose sono accadute, nel senso del meraviglioso, ma solo oggi, ho
avuto intuizione che quella pietra posta sull’altura fosse con molte
probabilità un omphalos, come tutti gli ottagoni (la ruota delle 8
feste sacre, chissà?) su cui si ergono basiliche cristiane, come quella
di San Lorenzo a Milano, a ridosso della quale, in Piazza Vetra si
75
consumò uno dei tanti roghi dell’inquisizione, e dove, curiosamente,
andai ad abitare sempre 18 anni fa, in Corso di Porta Ticinese.
Perché anticamente è stato dato il nome di ombelico a questi luoghi,
senz’altro tellurici, della terra? Non sarà stato forse perché vivo
era il sentire di essere appartenenti a una madre, alla madre terra,
e che anch’essa, la terra, fosse a sua volta legata a un’altra madre,
il più vasto cosmo? Tra un omphalos nella campagna dell’Oltrepo’
e un altro omphalos nella città di Milano, cercando di ristabilire i
nessi spezzati tra città e campagna, tra la selva e la corte – come
Merlino, il mago - in quei 18 anni (9 di città + 9 di campagna)
andavo intanto consumando in me un processo irreversibile che ho
chiamato discesa nella selva, che ha finito per produrre anche una
sua poetica, per certi versi ereticale, al punto da dare il titolo a una
sezione di uno dei miei libri di poesia22.
Ce ne torneremo e, come noi, la vita
nel suo fulgore, gli alberi ingialliti
i tronchi sfatti nel trascinarsi delle acque
blu, viola, un porticciolo, il sole
avremo figli, forse, e un angolo di orto
una nuova povertà invaderà il mondo
vuoteranno le corti, affrancheranno gli eretici
beato chi non si interna nel labirinto
beata me stretta a un osso di me
una vita fiorita, qui nelle stanze ventilate
di rade pietre, un esile linguaggio
aggiusta una parola di selva
per il tuo palato cortigiano.
Ma io, come Merlino, il mago
sto, fra la selva e la corte
nel luogo sottile del trapasso
nella soglia ombratile del bosco
al limitare, un’arte di fuoco
76
dentro formule. Meglio celarsi
- dietro la poesia ti puoi nascondere –
che venire allo scoperto, dire il mondo
in un sorso, berlo
e il volo che stenti a compiere
sognarlo, rientrando in te
come da furia un folle
solca nell’aria un desiderio di verità
e inalterata fede salda, bianca e inalberata
stagione dei passeri, ha il candore.23
Questo processo si è dunque rivelato irreversibile perché mi ha
cambiato nell’essere, oggi non potrei più fare a meno di vivere in
campagna, anche se per giorni sento l’esigenza di trattenermi in
città… l’Oltrepo’ è un territorio felice perché in parte coltivato a
vite, solare, ridente, collinare, in parte è rimasto selvatico, terra di
cinghiali, scoiattoli, lepri, fagiani, civette che ho spesso visto e udito,
dando vita a una poetica della selva che ha fortemente influenzato
la mia poesia.
È qui che ho scoperto come la siesta non sia un fatto personale,
ma un evento cosmico corale, una repentina sospensione del tempo,
dove tutto intorno improvvisamente tace, in un unico abbraccio di
quiete, in un unico assopirsi, di animali e umani. Non è improbabile
che vi sia un cambio di frequenze, da onde beta, ad alfa, a theta,
induttrici del sonno, ossia ipnotiche.
È qui che ho com-preso, con il corpo, con i sensi, come la
rottura dell’appartenenza all’unità del cosmo, sia significata anche
la rottura dell’appartenenza alla comunità del pagus. E comprendo
che se vogliamo ritrovare questa unitarietà della comunità pagana,
non possiamo prescindere da una ritrovata appartenenza al cosmo e
alle sue frequenze energetiche temporali. Non c’è progetto di civiltà
nuovo, se non è alloggiato nell’alveo naturale del più ampio respiro
cosmico.
È nel villaggio che ho cominciato a conoscere le erbe selvatiche,
a curarmi, ma anche a cucinarle, ce ne sono di commestibili
77
buonissime - tarassaco, farinaccio, germogli di equiseto…-, ormai
sconosciute agli stessi abitanti della zona, anche questo, un processo
lento e graduale, prima con il supporto dei libri, poi per via sensibile,
azzardando ad assaggiare, vedendo le piante – dico vedendo e non
guardando le piante perché è lo stesso vedere sensitivo che vivo
in poesia – me ne resi conto definitivamente, quando un giorno a
ridosso del muro di casa, dove poco discosta già viveva allo stato
selvatico una rosa antica bellissima e profumatissima (la stessa della
poesia), scorsi una pianta nuova, mai vista prima di allora, che mi
trasmise una sorta di timore; sentii che era pericolosa, velenosa, mai
l’avrei assaggiata, era una pianta arcaica, stra-ordinaria – il cervello
rettile mi stava segnalando un’esperienza fuori dalla percezione
ordinaria. Corsi ai miei libri finché scoprii che si trattava di una datura
stramonio, pianta rigogliosa dai fiori meravigliosi, notturnamente
meravigliosi… chi mi aveva detto che quella pianta era velenosa, o
fuori dall’ordinario, io che prima d’allora ne ignoravo l’esistenza?
Chi se non quella intelligenza sensibile di cui parlava Goethe, quel
corpo che sente, vede e intende, poiché sintonizzato col cosmo?
Quello stesso che sente, vede e intende anche in poesia perché parte
di un’unica natura?
Quel cervello rettile spodestato, rimosso dal monopolio
della corteccia cerebrale! Quell’emisfero destro, esautorato
dall’unilateralità del sinistro! Di questo processo di discesa nella
selva è stato parte il lento riapprendistato delle facoltà sensitive e della
mente bicamerale, la rimessa al centro del corpo erotico e sensitivo
con conseguente ridimensionamento del logocentrismo occidentale,
il rientro nell’alveo cosmico e nella sensibilità sincronica, la
riallocazione del mondo entro il cosmo, come del tempo lineare
entro le maglie del tempo ciclico in un’unica spirale, della coscienza
di veglia entro le irruzioni stupefacenti della transe.
Stupefacente fu anche l’incontro con Mario Polia, uno dei
maggiori antropologi studiosi di sciamanesimo andino, il quale mi
disse: secondo gli sciamani, le piante che vengono ad abitare presso
la tua casa, sono quelle che ti corrispondono e di cui hai bisogno, lo
78
stramonio apparso presso la tua casa è una huaca, un’apparizione,
appunto, o un’epifania, per dirla con terminologia cristiana … più
tardi scoprii che lo stramonio, maschio, è, insieme alla cannabis,
femmina, una delle due piante dell’estasi sacra24. Non ho fatto nulla.
Da allora aspetto ogni anno che rispunti a maggio, fiorisca magnifico
in agosto, e stecchisca in inverno fino a sparire. Ma è fra le presenze
più preziose del mio habitat.
E veniamo dunque a quella forma di trance che chiamiamo
inspirazione poetica, o volo estatico della poesia. Tutta l’attuale teoria
e prassi letteraria dominante nega questo dato evidente. Viceversa ha
ridotto la poesia da processo estatico (di transe) a prodotto estetico
(di mestiere), tout court, a fiction. Da esperienza di transe, e dunque
di trans-cendenza, di apertura al mistero, del soggetto, a creazione,
quando non di manipolazione, dell’oggetto. Ma questo non è altro
che il risultato di un processo di decadenza. Non solo lo sapeva un
Garcia Lorca nei suoi scritti sul Duende, quell’entità che irrompe
nell’ispirazione della cantora andalusa e getta il suo canto fuori dalle
regole, facendone qualcosa di straordinario; non solo lo sapeva il
visionario Yeats, la cui moglie peraltro era medium, e non solo i poeti
maledetti che assumevano assenzio, ben sapendo comunque che il
primo psicotropo naturale è la stessa psiche; ma possiamo risalire
almeno fino a Platone (ma che a sua volta riceve questa tradizione
da chi lo precede) quando formula la teoria della 4 forme di mania
(o di transe), una delle quali era appunto l’inspirazione delle Muse.
Credo, dunque, che riportare la poesia nel suo alveo naturale della
transe costituisca non solo un gesto di rifondazione della sensibilità
pagana, ma un atto dovuto nei confronti della verità poetica.
Ma veniamo alla scaturigine della transe poetica, e dunque alla
scaturigine del ritmo cosmico che innerva la poesia imprimendole
la sua andatura. Al cuore dell’africania, e quindi della cubania
(mutuo i termini dall’opera di Fernando Ortiz25), troviamo le claves,
uno strumento a percussione che consta di due elementi percussivi,
considerati a torto uguali e neutri; ma questi non sono né uguali
79
(poiché uno dei due è cavo e più grande), né neutri, perché uno
è maschio e l’altro è femmina. Bene, all’origine dello sprigionarsi
del ritmo, c’è dunque la grande metafora sessuale dell’incontro tra
maschile e femminile, c’è il traboccamento di un’energia erotica.
Nell’inspirazione poetica è quel traboccamento di energia erotica
vitale, che urge dentro, e che da sé prende forma nel verso portata
dal metro, dalla misura ritmica; misura tutt’altro che arbitraria,
e viceversa mutuata dalle onde ritmiche del cosmo, tant’è che le
ritroviamo nella poesia, come nella musica, e nella danza, ché anzi
in origine, formule magiche venivano cantate e danzate nell’ambito
del medesimo contesto rituale (così ancora nella tradizione
africana). La transe poetica si annuncia con la “chiamata”, ossia
con l’instaurarsi di una ‘banda ritmica’ che trasmette i primi uno,
due versi; qui, il poeta può rispondere alla chiamata, disporsi alla
ricezione, oppure no; se si dispone all’ascolto, rimarrà in quella
tensione ricettiva dei versi che seguono, sdoppiandosi fra Io di
transe e Io testimone (per mutuare le categorie di Lapassade26),
sino all’esaurirsi di quella energia; nei casi di maggiore intensità
energetica, all’esaurirsi dell’energia, avrà come la sensazione di
atterrare da un volo, e di riaprire gli occhi. Poeti come Yeats, Lorca,
i maledetti, tra quelli citati, senz’altro i più visionari, sapevano che
il traboccamento erotico della psiche sprigiona il volo estatico, la
visione estatica dell’invisibile. Per cogliere quell’invisibile, il corpo,
ridotto a voce, ha cessato di esistere, non ha più sentito né fame, né
sonno, né ha visto scomparire la luce del giorno, che ormai è sera.
Poi sopravvengono la fame, i rumori esterni e la voglia di uscire in
strada.
Se dunque riportiamo l’esperienza poetica entro il vissuto della
transe, possiamo finalmente riconoscere la vera natura, psicofisica,
dei metri ritmici della versificazione. Come esiste un nesso,
infatti, fra i ritmi musicali del tamburo e i ritmi delle nostre onde
cerebrali – tipicamente il theta-drumming induttore di transe nelle
cerimonie sciamaniche -, così esiste un nesso tra i metri ritmici
della poesia e i ritmi delle nostre onde cerebrali, qualcosa che ho
80
potuto constatare io stessa nella mia personale esperienza di quello
che ho chiamato “dodecasillabo ipnotico” (chi avesse curiosità di
approfondire l’argomento – sul theta-drumming, un articolo scritto
dell’etnomusicologo C. Haas e sul dodecasillabo ipnotico sotto il
profilo metricologico scritto da me -, può prendere in visione il 3°
numero della rivista “Fare anima” 27 […]).
Di questi dodecasillabi vorrei darvi qualche esempio, per
trasmettervene la sonorità, l’andamento sinusoidale, appunto
ipnotico: sii scura miniera agli altrui sogni oppure gli aromi
cannabis stramonio lapilli oppure di olii, di fermenti, llààsciti,
àsciti,
unguenti – E non credo più che sia un caso, che in tutti e tre questi
versi, alle caratteristiche formali corrisponda, sul piano dei contenuti
della narrazione, un chiaro riferimento al sonno ipnotico. I versi
dodecasillabici nella tradizione italiana, del resto, sono molto rari
e rimandano a una metrica antica – forse ad un’epoca arcaica in
cui poesia e psicotropi naturali erano parte integrante di un’unica
magia rituale, poiesis, nella sua accezione più antica, operazione
magica. Parte di quei misteri che sarebbe stato sacrilego sondare, e
solo possibile propiziare.
Parte di questo mistero e di questa magia, furono alcuni versi che
mi vennero ‘portati dal selvatico’, e in particolare da una narrazione
(che mi giunse mitica) di un contadino dell’Oltrepo’ su quella che
anticamente era l’usanza di fare i fuochi fra le vigne prima che li
vietassero (diciamo) ‘per ragioni di sicurezza’! Ricordo che rimasi
colpita dall’idea olfattiva del profumo della vite quando brucia e …
il mio cervello rettile dovette ridestarsi, insieme alle sagge donne. In
questi versi le sagge donne non erano più soltanto le herbaderas del
Mesoamerica o le guaritrici dell’Oltrepo’ di cui il contadino ricordava
la presenza nel paese, esse erano insieme le insorgenti donne
contemporanee, di cui le guaritrici, con un residuo gesto di fierezza
– alzando le polveri avevano preservato dai conquistatori ogni
memoria antica; eravamo noi, le tante sagge donne contemporanee,
presenti nelle diverse tradizioni etniche, portatrici di una sovranità,
in corale rapporto col sacro.
81
Ma se ho valicato mondi, replicante
non è stato per ritrovarmi fra voi
incolume fra i vostri versi.
Ho acceso le colonne dell’alto mare
ben prima di conoscervi, di gareggiare
nella quarta velocità, straniante
ho liquidato purezze per la
purezza impaludabile, affondabile
dei polsi fra i vostri
inchiostri di educandi
ho sciolto le mani ai muri
i calcinacci in bocca la perla
ho liberato a una lenta sassaiola
celeste in corsa selvatica fuori
dalle corsie preferenziali.
Ho partorito maestri, generato padri
i soli possibili al mio statuto di ffèmmina
scrive eluard ««Hanno figli
che saranno padri d’uomini» non figlie
non padri di donne e niente voli
un docile morto al sorriso
non ho concesso profondità
acquifera di vene
a quel padre d’orfana
… e le donne poi
mi hanno salutato come un cane la rogna
gli uomini, vellutata innocuità
mutante afferro a ferro e fuoco
per la fanciulla della razza nuova
l’acquifera vena della carne
il salino bagliore della pupilla
82
e grandi svettavano i fuochi
prima che li vietassero fra le vigne
gli aromi cannabis stramonio lapilli
gli occhi delle donne fra balze
di terra flottanti fra le acque prime
che alzassero le polveri le sagge donne
epocalmente vostra mi congedo
in prima e corale
persona mi distacco
da un’umiliante pace, senza làmpi28
Se i lampi erano proverbialmente quelli dei surrealisti, i polsieri
(in ferro e rame) che indosso ancora oggi, nacquero da quell’insorgere
“a ferro e fuoco” del verso poetico, magico talismano e segno di un
processo artistico continuo, fortemente intrecciato, col corpo, alla
vita.
Bene, avvicinandoci alla conclusione, vorrei riassumere insieme
a voi i passi di questo percorso: abbiamo tentato di accennare a
una cosmologia pagana – simbolizzata dalla sacra ruota –, a una
mitologia pagana – che ci vuole legati a un omphalos-, a un’estetica
pagana– che situa l’arte nell’alveo estatico della transe-, a una
poetica pagana – a una poetica della selva – e persino a una metrica
pagana – del dodecasillabo ipnotico- che avvicina l’ars dictandi al
theta-drumming sciamanico; vorrei aggiungere a un’utopia pagana,
cosmico-politica, che avvicini la teoria al rituale e alla prassi … sono
solo accenni, ma lasciano affiorare una visione nuova, che riporta la
psiche nel corpo, il corpo nella comunità, la comunità nel cosmo, e
alla loro arcaica integrità corale e vibrante – alla gioia della festa!
E se è vero che i trinari sparano, e sparano a festa, allora
mutante afferro a ferro e fuoco/
per la fanciulla della razza nuova!
83
ALL’OMBRA DEL DIO SCONOSCIUTO
OMAGGIO A MARIA ZAMBRANO
di Rosa Carotti (poesia vincitrice della I edizione del concorso
“La voce delle Muse”)
84
Vivono in me che le precedo e a tratti
sfioro il lembo
Nina, Diotima, Antigone, Eloisa
e incedono
con lieve passo solenne
“Figure dell’Aurora”
momento sacro
che partorisce la Luce.
E sono voci sospiri canti
sommesse invocazioni grida
che dal vaso dall’urna dal convento
dalla tomba si levano
a reclamar parola.
E i loro corpi sotterrati e vivi
chiedono
che con umile pazienza
io smuova la terra fino al cuore
del germoglio.
Così è delle donne la fatica
piegate su ciò che tace nel profondo
chiamate al segreto della fioritura.
Le vedi chine e invece fiere
non s’arrestano a ciò che appare
a ciò che si rivela.
Stanno nel silenzio del mattino
attente
al fremito delle radici
al pianto delle canne
alla dolorosa rivelazione della spina.
Non solo rosa splendore ed evidenza
ma rovo oscurità e mistero.
CAP VI - NEOPAGANESIMO
ED ECOLOGIA
COME IL NEOPAGANESIMO POTR
POTRÀ SALVARE IL MONDO
di Francesca Ciancimino Howell – trad. D. Tronco
(già pubblicato in diversa forma dalla Naropa University del
Colorado, USA)
“In profonde caverne gli Antichi Dei dormono,
ma gli alberi ancora ricordano il loro Signore.
È il flauto di Pan che suona la melodia nelle oscure ore del
bosco…”
Vivianne Crowley
“Oh, che il mio canto possa inneggiare come si conviene la lode
alla Dea,
Una Dea a cui son dovuti inni di lode altissimi”
Ovidio, Le Metamorfosi
Mentre scrivo questo titolo provocatorio e forse curioso, un
sensuale crepuscolo d’inverno si stempera su una Milano in attesa
del Solstizio. Antichi vicoli e piazze sono rinfrancati dall’abbraccio
della notte che si avvicina, e nel tepore delle braccia amorevoli
che circondano la loro casa, gli spiriti ancestrali che qui abitano
mi sorridono ed incoraggiano. “Sì, figlia dei figli, sappiamo che tu
sei una fra coloro che non hanno dimenticato!” O così mi pare di
sentirli dire.
No, noi neopagani non abbiamo dimenticato. “Dimenticato
cosa?”, si starà domandando qualcuno fra i lettori. E riecheggia
nell’etere anche “E torniamo a quel titolo arrogante e bizzarro!”.
La denominazione Neopaganesimo, e non Paganesimo, è
quella oggi scelta più di frequente per identificare le religioni precristiane e le pratiche spirituali che si stanno affermando, o meglio
riaffermando, ad onorare la Terra come sacra e come Madre; che
onorano i cicli mutevoli della Luna e delle stagioni; e che spesso
85
venerano vari e differenti pantheon di Dee e Dei antichi. È una
denominazione che vuol mostrare come la nostra sia una religione
rinata, che si sviluppa da radici molto antiche ma che non è
interamente modellata su queste. Il Neopaganesimo include molte
tradizioni dalle origini molto differenti, come il Druidismo, la
Wicca, l’Asatru, alcuni lignaggi Sciamanici Europei, le Stregonerie
tradizionali (fra cui quelle Italiane), il Candomblè Afro-Brasiliano,
più altre da ogni continente e cultura mondiale.
Ora, chi non è abituato a simili discussioni potrebbe chiedersi
come un ritorno di tutto ciò possa salvare il mondo, e trovare
francamente sconcertante un’idea di questo tipo. Ci si potrebbe
chiedere, ad esempio: abbiamo bisogno di tornare a preoccuparci,
timorosi, di propiziare Dei famelici e capricciosi? Alle pratiche
violente di culture arcaiche come i sacrifici di sangue? O, peggio,
umani? Come potrà mai aiutarci a “salvare la Terra” una regressione
ad espressioni primitive come queste, in quest’era postmoderna?
Pratiche di questo tipo potrebbero effettivamente essere viste
da alcuni come “primitive”, da altri “premoderne”; certamente si
basano sulle necessità e sulle tradizioni di ère passate e culture
differenti. Tuttavia, aspetti come il sacrificio di sangue non rientrano
normalmente, nella mia esperienza più che ventennale di pratica
Wiccan, nell’ambito del Neopaganesimo postmoderno. Al contrario,
molti fra i Wiccan da me incontrati nel corso dei miei anni di pratica
nel nuovo continente, nelle isole britanniche ed in tutta Europa,
interpretano letteralmente il precetto Wiccan fondamentale “Non
nuocere a nessuno” dedicandosi al vegetarianesimo totale o parziale.
Molti (come me) sono impegnati per i diritti degli animali o attivisti,
e certamente sono fortemente consci e coinvolti nelle tematiche
ambientaliste. (Ovviamente, altri interpretano differentemente
l’insegnamento di non nuocere a nessuno.) Ho assistito in America
Centrale a rituali che comprendevano sacrifici di sangue (di pollame),
ma non posso dire di poterne scrivere con cognizione. Il retaggio di
questi è molto diverso dalle tradizioni tendenzialmente pan-europee
a cui è dedicato questo saggio, quindi sarebbe improprio includerli
in questa breve disamina del Neopaganesimo.
86
Gli elementi del Neopaganesimo che potrebbero certamente
modificare e forse migliorare lo stato di crisi ecologica e planetaria in
cui viviamo, come anche gli stati critici dell’umanità a ciò connessi,
possono delinearsi come quattro specifiche sfaccettature religiose,
fra di loro collegate:
1. Riscoprire a livello mondiale la devozione al Divino Femminile,
che dona un maggior equilibrio alle pratiche religiose nel mondo
ed alle relazioni fra i sessi;
2. Ritornare a comprendere ed onorare la Terra come sacra e come
Madre;
3. La rinata relazione fra l’umanità e gli spiriti di Natura, che
spesso in ambito Wiccan definiamo “Elementali” o talvolta
“Signori degli Elementi”;
4. Uno stile di vita sostenibile che modelli questi aspetti di culto.
Posso affermare questa tesi apparentemente stravagante con
sicurezza, e non perché vado glorificando una qualche era passata in
cui le società matriarcali sarebbero vissute in armonia con la Terra
ed in pace con gli umani loro prossimi. Purtroppo queste idilliache
pretese di vita paradisiaca dei millenni passati sono stati ampiamente
smontati dall’archeologia recente. (Come autrice Wiccan, e
quindi neopagana, mi sento di affermare che una parte degli studi
affrettatamente pubblicati negli ultimi decenni da periodici ed
editori New Age e neopagani è responsabile di un disservizio.
Fortunatamente molti accademici anche neopagani hanno ribattuto
con studi approfonditi negli anni più recenti, nell’ambito di ricerche
di dottorato, post-dottorato o personali.)
È essenziale chiarire che affermando la necessità del ritorno del
Divino Femminile per il futuro dell’umanità io non intendo sostenere
il matriarcato. Gli estremismi sono estremismi, ed abbiamo sofferto
abbastanza sotto l’oppressione mondiale dei patriarcati. La devozione
al Divino Femminile non esclude il Divino Maschile! Piuttosto, può
restituirci un equilibrio ed una “via di mezzo” che è stata perduta
dalle religioni unilateralmente patriarcali. Come può sopravvivere
87
il mondo senza la Madre? Come potrà guarire e risanarsi il cuore
degli uomini, senza la Sua compassione, la Sua grazia, il Suo
amore? La perpetua devozione a Maria nel Cattolicesimo ci mostra
con abbagliante chiarezza questo bisogno doloroso. Il defunto
Papa Giovanni Paolo Secondo, che preferisco ricordare con il suo
nome originale di Karol Wojtyla, definì questo nuovo Millennio “il
Millennio di Maria”. Il Suo richiamo immancabile ha rotto la stretta
vaticana, apparentemente impenetrabile, e l’antico poeta ancora
vivo in Karol Wojtyla l’ha udita.
Come affermano l’Eco-Femminismo ed altre filosofie e scienze
sociali di recente ascesa, l’oppressione delle donne è andata
frequentemente di pari passo con la negazione dell’esistenza
di un Sacro Femminile, negazione che a sua volta segue a ruota
l’approfittarsi della Natura e della Terra. Si potrebbe affermare
che ci siamo trovati su questa via, che porta al potenziale disastro
ecologico per la civiltà occidentale, fin da quando le Sacerdotesse
adoratrici di Gaia di Delfi, Cuma e ogni altro luogo nel mondo
classico vennero soppiantate dai Sacerdoti di Apollo… Spogliate
del vero potere oracolare e trasformate in portavoci di una struttura
sempre più urbana e dominata dagli uomini.
Ho così toccato i primi due punti delle mie affermazioni
apparentemente bizzarre. Ora tornerò su ciò che i Genius Loci e gli
spiriti di Natura della Lombardia in particolare amerebbero che noi
Pagani “non dimenticassimo”. Com’è viva, e sacra, la Terra, così
lo è l’interezza della Natura, della vita, “popolata” (per così dire)
di miriadi di esseri che noi umani, con la nostra frenetica andatura
urbana o suburbana, non vediamo né sentiamo. E come potremmo
vederli o sentirli se la nostra cultura cristiano-giudaica ne nega la
stessa esistenza? Il Popolo Fatato, gli Eserciti dei Sidhe, il Piccolo
Popolo, i Deva, i Drala della cultura Tibetana – per citarne solo
alcuni – sono relegati agli antichi racconti o alle fiabe da narrare
attorno al fuoco. Tuttavia, essi sono reali… Ed attendono che ancora
una volta ci accorgiamo di loro. Sono sgusciati via dal nostro mondo
umano, ossessionato dal progresso e dalla tecnologia, per rifugiarsi
ancora più in profondità nei recessi selvaggi che ancora rimangono.
88
Dimorano quieti, in attesa ed in osservazione, anche nelle plaghe
inesplorate della mente e del cuore nostri. Sono le nostre stesse
cellule a serbare il ricordo… Ed i nostri sogni a richiamarlo.
L’immaginario di J.R.R. Tolkien, con la morte della cultura
gloriosamente magica degli Elfi nella Terra di Mezzo quando essi
si imbarcano per allontanarsene, è più reale di quanto molti di noi
vorrebbero credere. Anche l’affermazione di James Barrie in Peter
Pan, che le fate muoiono ogni volta che un bambino afferma di non
credere in loro, scaturisce da antiche verità nascoste. Tuttavia, noi
possiamo riaccendere e ristabilire questi legami e queste antiche
relazioni – in effetti è ciò che dobbiamo fare se vogliamo trovare una
via per risanare l’umanità su questo pianeta! È cruciale non solo per
noi stessi, ma anche per le innumerevoli e preziose specie con cui
qui condividiamo la vita. Le creature Elementali sono nostre alleate
tanto nel “salvare la Terra” quanto nel far crescere, semplicemente,
un giardino più verde e rigoglioso.
I primi tre principi qui sopra delineati formano parte degli
aspetti più fondamentali della religione neopagana. Il quarto è
la mia aggiunta ad essi, la dedizione ad una vita sostenibile, che
traggo dalla mia tradizione, dal mio insegnamento e dalla mia
stessa pratica. Se la nostra spiritualità può far rinascere in questo
millennio una nuova consapevolezza, l’umanità e la Madre che è
il nostro pianeta potranno avere l’opportunità di un futuro più sano
ed armonioso. Dobbiamo però cominciare da ora, in casa, al lavoro,
nel nostro quotidiano. È dalle piccole cose, e nei piccoli passi,
che scaturiscono la consapevolezza e la coscienza superiore. Non
c’è tempo da perdere, come affermò Al Gore nel Dicembre 2007
ricevendo il premio Nobel per il suo lavoro ecologico, non un solo
minuto.
Uno stile di vita neopagano – sostenibile, attento e consapevole
– può guarire ed aiutare fortemente tutti noi, come il pianeta, se
ci apriamo ad esso nella maniera più attenta e sostenibile. La
nostra non è una religione di proselitismo, né di crociate. Tuttavia,
se noi neopagani riuscissimo a trovare la fiducia ed il coraggio
per scuoterci di dosso secoli di oppressione interiorizzata e per
89
emergere dall’ombra, se riuscissimo a trovare la forza e la disciplina
per resistere i mali che minano la cultura sviluppata occidentale,
potremmo guidare con il nostro esempio e modellare un’armonia
ecologica nutrendoci da radici profonde. L’Italia è una cultura
antica, con radici pagane nello stesso territorio… radici che sono
solo state ricoperte dalle culture e dalle religioni successive. Se
quelli di noi che godono del lusso di vivere in questa bellissima
penisola si fermassero per un istante, ed imparassero ad ascoltare le
voci silenziose sotto gli strepiti della vita postmoderna, udiremmo
ciò che i nostri progenitori e la Dea sanno insegnarci riguardo la
Terra. Sapremmo riconoscere le voci del Popolo Fatato, e dei
Genius Loci italici. Queste radici ancestrali hanno degli esempi nel
passato, incentrati sulla Terra: i misteri Eleusini, i culti Isiaci, le
diffuse comunità Druidiche, lo Stoicismo, i Pitagorici e molti altri.
Fra questi molti messaggi possiamo trovare ciò che ci viene detto
a Yule nella mia tradizione Wiccan: che dobbiamo essere luci nella
tenebra. Una realtà inquietante e difficile è che il clima con il suo
mutamento ci porta verso un massiccio cambiamento ecologico a
livello globale, richiedendoci un grande coraggio per essere quella
guida e quella luce.
Ora, non intendo sostenere che i nostri antenati Pagani vivessero
in modo sostenibile – tutt’altro! Anche i Nativi Americani sono
stati molto più distruttivi nelle Americhe di quanto si pensasse in
precedenza… è possibile che alcune tribù siano state responsabili
dell’estinzione locale di intere specie. Tuttavia, in termini Europei,
pare che ciò che talvolta sembriamo voler emulare nel mondo
occidentale sviluppato siano la crudeltà e gli eccessi del tardo
Impero Romano, contrapposto all’“Equilibrio nel Tutto” sostenuto
dai Greci. Uno degli scopi che dobbiamo perseguire è l’Equilibrio
– nelle nostre vite e nella nostra relazione con la Terra e con gli
Elementali. Il Neopaganesimo che noi portiamo avanti è un sentiero
di illuminazione e compassione, proprio di questa era… e non uno
che ripeta gli errori del passato.
Le sfumature rosee e violacee si cullano sopra la città,
delineando dolcemente i tetti. Nella campagna lombarda, e del
90
vicino Piemonte, una nuova notte spietatamente bella si avvolge
sinuosa alle montagne. Il dolce crepuscolo ammaliatore è terminato,
trasformandosi nella profondità notturna e risvegliando sensi nuovi.
Che tutti noi riusciamo a scuoterci di dosso il nostro letargo, la
nostra apatia urbana, e finalmente a risvegliarci ancora una volta
– udendo le molteplici voci che ci parlano, che risuonano nelle
nostre cellule, che turbano i nostri sogni e chiamano i nostri sensi
più atavici. Madre Gaia, in tutte le Sue innumerevoli e magiche
diversità, attende il nostro ritorno.
91
CAP VII - NEOPAGANESIMO ESOTERICO
L’ARTE DELLA MAGIA E L’ESSERE NEL MONDO
di Gabrio Andena
La magia è indubbiamente nella nostra civiltà l’arte più bistrattata
e incompresa. L’atteggiamento verso la magia fa emergere in tutto il
suo dissidio le polarità della nostra cultura. Da un lato viene derisa
e accantonata senza neppure un pensiero in nome degli ideali della
scienza. Dall’altro lato, una parte consistente della nostra società si
rivolge, in maniera oserei dire patologica, al magico, in particolare
con la divinazione, l’astrologia, l’incanto d’amore, con l’evidente
intento di arginare l’angoscia data da un mondo che non è più a
misura umana e di cui si teme la labilità.
La magia, se rettamente compresa, è invece proprio un collocarsi
in questa labilità. Quando si entra nei suoi territori si cede molto
più potere di quanto non se ne ricavi, perché il mondo del singolo
si amplia ad includere nuovi piani di realtà e nuove entità con cui è
necessario confrontarsi, rinunciando a parte della propria libertà in
nome di una vita più piena.
Trovo che una buona chiave di lettura per comprendere la magia
sia la filosofia esistenziale. Nell’esistenzialismo l’essenza dell’essere
umano viene trovata nell’esistenza: esistenza assume un significato
assai preciso qui ed indica il mondo della possibilità. La pietra, la
pianta, l’animale non vivono nel mondo della possibilità, sono quel
che sono, seguono la loro natura. In un certo qual modo questo
li rende anche più vicini agli Dei, perché non possono sbagliare.
L’essere umano è diverso: noi decidiamo di momento in momento
che cosa saremo, siamo nel nostro fondo storici. Noi siamo ciò
che facciamo fra la nascita e la morte, le due soglie che segnano
la nostra finitezza, noi siamo la nostra storia. Agendo plasmiamo il
nostro tempo, determinandoci e dandoci una forma, e costantemente
superandola, perché l’essere umano trascende sempre sé stesso:
finché è vivo, non è concluso, con la sua ultima azione può cambiare
92
il senso di tutta la sua vita.
Questo è il primo passo per comprende l’universo della magia,
concepire il mondo come fluido reame della possibilità, piuttosto
che come regno fatto soltanto di leggi ferree e meccaniche.
L’essere umano è anche essere-nel-mondo. Ossia ogni uomo
nasce sempre in un mondo e vive in un mondo. Il mondo non va
inteso come uno spazio neutro, un contenitore in cui l’essere umano
si trova collocato. Il mondo fa parte dell’essere di ciascuno di noi,
ciascuno porta con sé il suo mondo. L’essere umano apre un mondo
ed essendo lui ad aprirlo, lo determina anche con le sue decisioni,
donandogli senso, interpretazione e forma.
Se questa concezione viene seguita con coerenza fino all’estremo,
eccoci giunti alla magia. Il mondo è parte di noi e noi siamo parte
di lui, ci coimplichiamo sempre; non siamo due cose separate una
a fianco all’altra, ma una intrecciata nell’altra: è l’antica idea,
riproposta in una chiave di lettura diversa, del rispecchiarsi di alto e
basso, interno ed esterno, macrocosmo e microcosmo.
Nella magia l’essere umano supera la contrapposizione fra l’io
(il soggetto) e il mondo (l’oggetto), per arrivare a quel punto che è
la sorgente dei due. Coscientemente chi pratica magia dissolve il
confine fra sé come presenza, come essere autocoscienze e presente
a sé stesso come distinto dall’oggetto altro da sé. Ma questo confine
non viene dissolto in una direzione mistica di fusione. Si abbatte il
confine fra io e non-io per ridefinirlo. È come se un muro dovesse
essere abbattuto per ricostruirne un altro in una posizione più adatta.
Questo è un momento essenziale della magia, il ritorno dalla confusione fra io e non-io, il ritorno alla presenza, ma ad una presenza a
sé che ha nel frattempo riplasmato il mondo per i suoi scopi.
Ma, bisogna aggiungere, l’essere umano è anche finito, non si
conosce fino in fondo, sempre opaco rispetto a sé. Dunque capita
sovente che sia il mondo a ridefinire il soggetto, ossia che quando
si opera un incantesimo ci si trovi fra le mani con un effetto diverso
da quello che ci si aspettava. Questo è un limite salutare al nostro
senso di onnipotenza, alla nostra idea fallace di volontà e alla nostra
arroganza di poter decidere tutto di noi stessi e di quello che ci
93
circonda.
La magia è ovviamente ben distante dall’onnipotenza. Le leggi
naturali è difficile infrangerle, ammesso che sia possibile. La magia
non opera in maniera così volgare, con effetti speciali da cinema.
È un’arte raffinata, è il cogliere le sottile tonalità del mondo,
toccarne alcune corde segrete, di una realtà più profonda. Essa
agisce sostanzialmente ricorrendo a ciò che già c’è nel mondo, ma
indirizzandolo in modo da creare strane e francamente inspiegabili
serie di coincidenze. Non escludo che i limiti della magia possano
stendersi ben più in là. In fondo la scienza, il cui dogma oggi domina
la nostra parte di mondo, limita molto i fenomeni magici, perché
ci impedisce di percepirli e persino di farli accadere: è infatti la
mancanza di credenza che danneggia soprattutto la magia. Non che
la magia sia nutrita di fede cieca, è anzi molto più affini alla scienza
di quanto non lo sia una religione dogmatica. Ma la magia compare
laddove si lascia all’universo la capacità di stupirci, dove si lascia
che il possibile emerga come essenza stessa della realtà.
LA TEURGIA COME MAGIA NEOPAGANA?
di Gabrio Andena
La teurgia, fiorita nel cuore della filosofia neoplatonica, era
un insieme di pratiche volte ad invocare una Divinità all’interno
di un praticante, facendo sì che si fondesse con l’essenza divina
e che parlasse con la voce del Dio. In effetti si presentava con
tutti i caratteri di una possessione da parte del Dio, per fini di
evoluzione spirituale, profetici e probabilmente anche magici. La
ricca pratica teurgica nella tarda età imperiale romana ha prodotto i
famosi Oracoli Caldaici, di cui si sono conservati solo pochi brani e
frammenti: questi oracoli, che rivelano la natura del cosmo, si pensa
siano stati ottenuti proprio per via teurgica. Dobbiamo considerare
che in quei tempi la ricerca spirituale individuale difficilmente
trovava soddisfazione nella religione ufficiale. Chi agognava ad
un’esperienza diretta del divino si rivolgeva ai misteri oppure alla
94
filosofia. La filosofia era intesa infatti come una via spirituale, un
cammino di evoluzione e il conoscere la struttura del cosmo, l’atto
di contemplazione, equivalevano ad uno stato di beatitudine.
Vi sono molti altri tipi di teurgia che sono apparsi nel corso della
storia. Ma le radici della teurgia caratteristica del Neopaganesimo,
ed in particolare della Wicca, sono qui.
La Wicca è nata come magia prima, rapidamente tramutatasi in
una religione misterica. Si era Wiccan se si riceveva una iniziazione
in una congrega. Questa iniziazione veicolava un passaggio di
potere (oltre che di conoscenze, acquisite sul campo osservando la
pratica rituale) e consentiva di sperimentare i misteri. Poi nel corso
dei decenni la Wicca si è largamente trasformata, ma ha conservato
questo nocciolo misterico.
Questa duplice natura della Wicca, forma di magia e percorso
religioso, ne fanno un interessante unicum nel panorama delle attuali
religioni occidentali. Solo nell’antichità era possibile riscontrare
qualcosa di analogo. La Wicca annulla la distinzione fra magia e
religione, fondendo una nell’altra. Il risultato di questa fusione è
precisamente una forma di teurgia: ogni atto magico è invocazione
degli Dei e ogni celebrazione degli Dei è anche atto magico. La
teurgia è dunque una forma di magia specificamente neopagana.
La base teorica è l’immanenza del divino. Se gli Dei sono davvero
presenti in tutto, allora viene scardinata la classica distinzione fra
alta magia, volta all’evoluzione spirituale, e bassa magia, volta a
scopi materiali: ogni atto neopagano è teurgico.
Teurgia significa etimologicamente “lavoro degli Dei”. Sono gli
Dei che agiscono e l’uomo agisce in quanto non c’è parte di lui che
non sia degli Dei, come insegnavano gli antichi misteri.
L’atto centrale della pratica teurgica è l’invocazione. Nella Wicca
esiste una tecnica chiamata in inglese “Drawing Down the Moon”,
che tradotto significa approssimativamente “tirar giù la luna”. Si
riferisce alla leggenda secondo cui le streghe della Tessaglia (una
regione della Grecia) avessero il potere di tirar giù la luna con i
loro incanti. Questa notizia è stata interpretata come una forma di
invocazione, in cui la discesa della luna rappresentava la discesa
95
della Dea lunare Ecate fra le sue adoratrici. Col Drawing Down un
Sacerdote invoca la Dea su una Sacerdotessa. Invocare significa
“chiamare dentro”, opposto ad evocare che vuol dire “chiamare
fuori”: si invoca quando l’entità chiamata deve scendere in una
persona, dentro un essere umano, prendendone in qualche modo
possesso. Naturalmente è possibile ribaltare la prospettiva e asserire
che è la Dea interiore, intima natura di ognuno, che emerge e
permette così all’individuo di mostrare la sua vera natura.
Questa pratica teurgica è centrale nella Wicca perché ne costituisce
una peculiarità: nello spazio sacro dove avviene la celebrazione,
grazie all’invocazione, gli Dei sono realmente presenti per tutta la
durata del rituale, avvertibili, visibili sotto le sembianze di un ben
preciso essere umano ed è possibile interagire con loro.
Possiamo estendere questa esperienza al di là dell’ambito Wiccan,
fino a farne un fondamento dell’intero movimento neopagano. Da
qualunque prospettiva il Divino deve essere avvertito come presenza
interiore, presenza interiore che sconfina con l’identità: l’uomo nel
Neopaganesimo è in qualche modo deificato, perché si armonizza ad
un ordine profondo che attraversa la realtà tutta e che è rappresentato
dagli Dei. Il sentire neopagano vive di questa visione, la visione del
Divino in ogni essere, e si alimenta di essa. L’etica neopagana segue
questo tracciato: il lavoro di costruzione di un rapporto personale
con una Divinità a cui ci si avvicina per conoscere meglio sé stessi
e il mondo, per ritrovarla in sé e trovare la giusta distanza rispetto a
questo lato dell’universo.
LA WICCA E L’ESOTERISMO NEOPAGANO
di Gabrio Andena
La Wicca nasce come forma di magia. Gardner davvero non
pensava ad una religione, ma, come accade quando gli Dei sono
coinvolti, il destino l’ha trasformata fra le sue mani, trasfigurando
un gruppetto di distinti gentiluomini inglesi che praticavano magia
rituale negli iniziatori di una delle più originali e feconde religioni
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dell’Occidente.
La Wicca deve quindi molto alla magia e i suoi diretti predecessori
sono sicuramente l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata (Golden
Dawn) e due fra i suoi più brillanti rampolli, Aleister Crowley e
Dion Fortune.
È dalla Golden Dawn che Gardner ha preso ispirazione per
elaborare il Drawing Down, oltre che dagli scritti di Margaret
Murray. In quell’ordine magico infatti i membri si addestravano a
visualizzare se stessi sotto forma di divinità egizie, condividendone
in questo modo l’identità e i poteri. Solo così i rituali potevano avere
senso, solo se erano compiuti da esseri divini, non semplici esseri
umani. Molti altri elementi sono affluiti dalla magia cerimoniale:
l’uso del pentacolo, delle quattro armi elementali, la tracciatura
del cerchio con le quattro direzioni – tutta una serie di conoscenze
sia pratiche che teoriche che Gardner, probabilmente ispirato da
qualche Divinità, ha magistralmente plasmato in una nuova sintesi,
integrando ad esse la venerazione per il mondo naturale e per i suoi
cicli propria del druidismo dei suoi tempi e, soprattutto la presenza
essenziale di una Dea.
Se nella Wicca vi è una Dea, il debito è anche verso Crowley.
Troppo spesso si parla a vanvera su questo personaggio
contraddittorio, che, io ritengo, fu di sicuro un grande mastro
spirituale, che si condivida o meno la sua strada. Nel Thelema, altra
strana sintesi, molto meno riuscita della Wicca a mio giudizio, fra
magia e religione, il Femminile Divino ha un ruolo chiave. Nuit, la
Dea della volta stellata egiziana, viene elevata a principi cosmico
abbracciante e ad amante divina di ogni ente che da lei procede. Il
lavoro magico per Crowley ruotava attorno ad una figura femminile,
la Donna Scarlatta, una sorta di Sacerdotessa, che si offriva come
canale per le forze invisibili. Molto di tutto questo e del complesso
lavoro occulto che vi è dietro è rimasto nella Wicca, in particolare
nelle sue forme iniziatiche.
Sicuramente però il debito maggiore và a Dion Fortune. È
stata lei la grande ispiratrice della Wicca, forse la sua più grande
matriarca inconsapevole. In un periodo della sua vita la grande
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occultista lavorò intensamente con le forze magiche che lei definiva
del “raggio verde”, ossia con una magia neopagana. Fu lei a porre
limpidamente al centro della pratica magica la polarità maschilefemminile, sia in chiave di principi metafisici (tramite la cabala), sia
in chiave di lavoro occulto fra Sacerdote e Sacerdotessa. In Crowley
il rapporto fra maschile e femminile è ancora fortemente squilibrato,
i ruoli non sono paritari, anche se è assai difficile chiarire quale abbia
il sopravvento. In Dion Fortune invece si riconosce una specularità
perfetta: il mondo è suddiviso in diversi piani di esistenza, secondo
l’insegnamento della teosofia, e l’uomo e la donna si alternano nei
ruoli attivo-proiettivo e passivo-ricettivo su ogni piano, invertendoli
ad ogni gradino della scala. Questo, secondo la Fortune (e il fatto
che fosse donna e che il marito l’avesse piantata ha forse influito in
questo giudizio), giustificava che la donna, nel lavoro magico, fosse
colei che davvero teneva le redini.
I suoi romanzi, come “Il Dio dal Piede Caprino” o “La
Sacerdotessa del Mare”, sono storie assai istruttive su come in
concreto possa svolgersi questo esoterismo neopagano. Gli antichi
Dei vengono identificati con le varie Sephirot dell’Albero della Vita
cabalistico. Eppure, ed è questo che rende i suoi romanzi affascinanti,
si ha la sensazione che qualcosa strabordi dallo schema cabalistico,
che gli Dei si presentino con una personalità ed un influsso che non
possono essere ignorati. Soprattutto che si presentino in tutta la loro
individualità e specificità, mostrando la loro concreta vicinanza
all’essere umano.
CHAOS MAGICK
di Francesco Dimitri
Esistono due modi per guardare al chaos. Uno è quello di
considerarlo l’assenza di ogni regola, l’altro è di considerarlo la
possibilità di ogni regola. Pensate a un mazzo di carte. Una volta
mescolate, sono un insieme caotico, disordinato, in cui un due di
picche segue un cinque di cuori, senza alcuna logica apparente.
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Durante una partita però è necessario ordinare le carte, creare
una logica, per fare punti e vincere: una sequenza di un certo tipo
(per esempio, tutti gli Assi) può essere utile a poker ma non in un
altro gioco. La stessa carta, o lo stesso insieme di carte, è utile se
decidiamo di seguire alcune regole, del tutto inutile se decidiamo
di seguirne altre: il mazzo in sé contiene un numero (quasi) infinito
di possibilità, sono i giocatori a scegliere quali considerare utili e
quali no. Se immaginate per un istante che il mazzo sia un modello
dell’intero universo, avrete colto il senso della chaos magick, o
magia del chaos. Confusi? Chiariamo.
Il principio di base è esposto in una frase attribuita ad Hasani Sabah, fondatore degli ashashin: “nothing is true, everything is
permitted”, “niente è vero, tutto è permesso”. L’idea è che l’Universo
non risponda a nessuna regola precisa: è soltanto un mazzo di carte,
senza una rigida logica di fondo. Niente è vero. È compito del mago
inventare un ordine, delle regole, che gli permettano di giocare la
partita che preferisce. Però, poiché tutte le regole sono inventate,
non esistono regole migliori o peggiori in assoluto. Bisogna trovare
quelle più adatte a se stessi, o alla situazione. Tutto è permesso.
La chaos magick si pone al di là e al di sopra dei vari paradigmi
magici, e viene definita spesso un metaparadigma. I paradigmi
tradizionali hanno un modello cosmologico più o meno ben definito.
Nel Thelema esiste un preciso concetto di successione eonica. In
ciascuna tradizione Wiccan ci sono almeno il riconoscimento
di una polarità maschile/femminile e un’attenzione particolare
all’immanenza del divino. Per la chaos magick l’unica realtà di fondo
è il chaos: in altre parole una realtà di fondo non esiste, esiste solo
un mazzo di carte, l’universo, che viene mescolato e rimescolato di
continuo dai giocatori, gli esseri umani. Le varie tradizioni magiche
e religiose sono i giochi (parola intesa nel senso più nobile) che con
questo mazzo è possibile fare.
L’addestramento più importante di un mago del chaos (o
caota) consiste nel cosiddetto paradigm shift, il “cambiamento di
paradigma”: il mago può essere oggi Wiccan, domani thelemita,
dopodomani cattolico. E usare gli strumenti magici che i vari
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paradigmi offrono: una versione moderna della dottrina delle
segnature, un concetto di Volontà potente e malleabile, le preghiere ai
santi. Non esistono contraddizioni tra i sistemi, perché i sistemi sono
solo regole, convenzioni, e cambiare gioco è sempre possibile.
Il rischio principale è quello della superficialità. È un rischio
che molti praticanti riconoscono, ma che un buon addestramento
dovrebbe evitare. Un mago del chaos che decida di dedicarsi, per
esempio, alla Wicca Gardneriana, dovrebbe riuscire a farlo anima
e corpo, credendo, almeno finché li pratica, che i suoi rituali siano
efficaci e belli. E se domani vorrà passare alla cabala, dovrà studiarla
a fondo, e convincersi della sua intima verità. È evidente che il
paradigm shift non è facile e richiede grande disciplina.
L’approccio libero e creativo della chaos magick ha spinto nuove
generazioni di occultisti a cercare fonti magiche nella letteratura, nei
fumetti, nei giochi di ruolo, ovunque. Uno dei modelli chaotici più
noti, quello degli otto colori della magia proposto da Peter Carroll, è
esplicitamente ispirato ai romanzi comico-fantasy di Terry Pratchett.
E il fumettista Grant Morrison, in un articolo storico comparso su
un’antologia pubblicata da Disinformation Company, ha aperto
ufficialmente il campo alla pop magic, una forma di magia basata
sulla cultura pop.
La chaos magick ha due nonni nobili, Aleister Crowley e Austin
Osman Spare, l’inventore della tecnica dei sigilli, fondamentale al
punto da essere la singola tecnica magica che più definisce questo
metaparadigma. Un sigillo è un incantesimo che consiste nel legare
il proprio desiderio (per esempio: ritrovare le chiavi di casa) a
un’immagine, per poi operare mentalmente con l’immagine stessa.
Su Internet, e nella bibliografia acclusa, è possibile trovare parecchi
dettagli su questa tecnica.
Se Crowley e Spare furono i nonni, i padri, o almeno i padrini,
della chaos magick furono Peter Carroll e Ray Sherwin, assieme
agli SNS (Stoke Newington Sorcerors), un gruppo di maghi inglesi,
negli anni Settanta: per più di un motivo, tra cui il periodo in cui
nacque, la chaos magick è un po’ la figlia punk della tradizione
esoterica occidentale.
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Il più influente Ordine chaotico al mondo è quello degli IoT,
Illuminati di Thanateros, fondato dallo stesso Carroll. C’è chi pensa
che un Ordine chaotico sia una contraddizione in termini, e quindi
molti praticanti preferiscono restare da soli o riunirsi in network
informali che comunicano via Internet. Qui possiamo citare almeno
la gigantesca raccolta di testi presente su Chaos Matrix (www.
chaosmatrix.org) e l’italiano Ottarino (www.ottarino.com), una
webzine e una mailing list in cui è possibile trovare (e chiedere)
altre, chaotiche, informazioni.
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CAPITOLO VIII – CONFRONTO
CON LE ALTRE RELIGIONI
NEOPAGANESIMO E CRISTIANESIMO: DAL GIARDINO
ALLA FEDE, DALL’ALTARE AI MISTERI,
IPOTESI DI RAFFRONTO FRA IL CRISTIANESIMO E LA WICCA
di Daniele Tronco
Il Giardino è immerso in una luce soffusa, quasi ambrata.
Un’alba eterna, perché questa è l’alba del mondo. La Donna,
scioltasi dall’amplesso gioioso col suo compagno che ora è
assopito nella liquida atmosfera dell’Inizio, si scuote dal torpore
e si alza ad esplorare il Giardino che è il suo regno e la sua casa.
Accanto a lei, nel mattino del mondo, dorme pacifico il placido
leone che l’ha scaldata nel suo sonno, raggomitolate fra le
zampe possenti una coppia di lepri che al suo passaggio aprono
un occhio per poi richiuderlo, serene. E, accanto a lei, striscia
il Serpente che nel suo breve sonno le ha parlato e con cui lei
sente di avere tanto in comune. Muovendosi quasi a caso, senza
una meta precisa, la Donna si ritrova al centro del Giardino.
Ed il Serpente, ora guizzando nel sottobosco, ora sfiorandola
con le morbide spire, la segue nel suo vagabondare, sempre
sussurrandole nella mente ed all’orecchio. “Che sia veramente
così?”, si chiede la Donna. Gli Alberi sono di fronte a lei, e sul più
vicino di essi si insinua il Serpente, fra i rami frondosi, a spiccare
un frutto che cade dolcemente ai suoi piedi. Lei lo raccoglie da
terra, col sussurro sibilante che dall’Albero scende sul suo corpo
e che la colma della vibrante curiosità del proibito. Osserva la
perfezione del frutto. Ne assapora l’aroma. E lo morde.
Il resto, credo, lo sappiamo tutti. La tentazione dell’Uomo,
la vergogna, la cacciata, la condanna. Nulla di nuovo, nulla di
sconcertante. Lo sappiamo tutti perché l’abbiamo sentito decine di
volte. Eppure, forse non tutti ci siamo soffermati ad analizzare i
102
temi di fondo introdotti e fissati da un passo poetico di tremila anni
fa, in modo così deciso e penetrante che (letteralmente) miliardi di
persone nel mondo nascono, vivono e muoiono per e con gli ideali
che da questo sono germinati. Certo, c’è molto altro: c’è la Legge,
c’è il Patto e per la grande maggioranza di quei miliardi c’è la
Redenzione. Ma tutto nasce, e tutto è in funzione, di quell’atto così
apparentemente sconsiderato, di quel morso fatale da cui nascono il
Peccato, il Tempo, la Morte ed infine (felix culpa) la Grazia.
Questo, di poco rimaneggiato, non è il fulcro della religione
ebraica e men che meno di quella cristiana. È un buon punto di
partenza, tuttavia, per un breve viaggio a confronto fra la realtà
religiosa dominante nel paese in cui viviamo (in realtà si dovrebbe
intendere: nel “primo mondo”, in quella fetta di privilegio
istituzionalizzato in cui ha la fortuna di essere nato chi sta leggendo
queste righe) ed un’espressione spirituale così radicalmente diversa
come le diverse forme di Neopaganesimo ed in particolare la Wicca.
Perché le differenze, spietatamente radicali nonostante chi vorrebbe
il contrario, stanno tutte in questi aspetti fondamentali e vitali: il
Peccato, il Tempo, la Morte, la Grazia.
Partiamo innanzitutto dal Peccato. Molto semplicemente, nella
Wicca non esiste questo concetto. Certo, tutti sappiamo che al mondo
vi sono persone malvagie, che vengono compiuti atti di violenza
(fisica, mentale, emotiva) che molti vorrebbero etichettare come
“disumani” scordandosi che sono invece proprio, disperatamente,
“umani”; sappiamo anche che le sofferenze dovute all’egoismo
(nostro, spesso e volentieri) sono infinite come infiniti sono gli atti
di fondamentale ingiustizia. Nessuno di noi è stupido (così amo
pensare) e nessuno vuole negare che al mondo vengono compiute
molte azioni cattive. Quello che fortunatamente manca, in un contesto
Wiccan, è l’idea di peccato “originale”. L’uomo non viene visto
come fondamentalmente fallace e corrotto. La donna non è sentina
dei vizi e non è causa di una supposta “caduta” da uno stato di felicità
ineffabile all’oscurità sanguinosa del presente. Non c’è, insomma,
la necessità di giustificare l’esistenza di un corpo con le sue fragilità
contrapponendolo ad uno Spirito che, pur nella sua imperfezione,
103
discende direttamente dal Divino. Questo atteggiamento, in cui
corpo ed anima sono egualmente sacri ed in cui non vi è in alcun
modo il rifiuto della corporeità, distingue i Neopaganesimi odierni
non soltanto dalla totalità delle denominazioni cristiane, ma anche
da molte filosofie antiche (neoplatonismo e relative correnti
gnostiche in testa). Questo dovrebbe far pensare chi vorrebbe vedere
“il paganesimo” come un unicum che storicamente si contrappose
(e contrappone) all’avanzata cristiana, oltre che spingere tutti noi
ad approfondire, come sarebbe salutare e proficuo, le radici del
presente.
Torniamo all’umana imperfezione, ed al peccato. La massima
espressione dell’atteggiamento abramitico in merito è il Decalogo:
quei comandamenti che sono tanto integrati nella nostra cultura
occidentale che solo recentemente nella legislazione del nostro paese
alcuni comportamenti (l’adulterio, il divorzio, l’aborto, la dote, la
disparità fra i sessi, solo per citare i casi che più ci paiono oggi
eclatanti) sono stati rivalutati. E tanto integrati nella vita quotidiana
che molti faticano a comprendere come nella Wicca non vi sia
spazio per una morale “al negativo”, un “tu non farai” serializzato
a stigmatizzare ed a condannare. Come risaputo, ma non sempre
compreso appieno, c’è tutt’altro tipo di approccio, esemplificato dal
Rede.
“Finchè non nuoce a nessuno, fa’ ciò che vuoi” è un consiglio
etico (“rede” sta letteralmente per “consiglio, massima”, dal Middle
English) che contrappone un’etica positiva (“fai” e non “non fare”)
all’esplicita negazione dei comandamenti imposti dall’alto. Va
detto, in questo contesto, che la condizione di peccato in cui l’uomo
sarebbe immerso senza possibilità di salvezza se non dall’alto è
alquanto più esplicita e pessimista secondo la visione di confessioni
cristiane come il Luteranesimo o il Calvinismo, piuttosto che per il
tanto esecrato credo cattolico romano.
L’etica Wiccan comporta, inoltre, un altro aspetto di fondamentale
importanza com’è quello della responsabilità personale non solo per
gli atti compiuti, ma anche per l’autovalutazione degli atti stessi.
Sta a noi decidere cosa sia “nuocere”, sta a noi decidere chi sia
104
“nessuno”, sta a noi decidere cosa implichi il “fare ciò che si vuole”.
È una responsabilità che non tutti si sentono di affrontare, e questo
è il motivo per cui tanti rifuggono da essa, mal interpretando come
fosse una legge morale il (saggio e semplicissimo) consiglio del
Rede.
Non essendoci un giudizio di ordine superiore, o non esplicitandosi
questo in un assetto legislativo, perdono ovviamente di valore
minacce come la dannazione eterna, che sia “lontananza da Dio” o
“eternità di torture fisiche”, o ancora (come da interpretazione biblica
letterale) “cessazione dell’esistenza dell’anima”. Non abbiamo un
inferno, sebbene questo non impedisca ad alcuni di noi di concepire
un paradiso temporaneo (le terre dell’estate) o eterno (l’estasi della
Dea) dopo la fine della presente incarnazione. Mi esprimo così in
quanto molti fra i Wiccan coltivano la consapevolezza che il nostro
tempo su questa Terra non sia limitato ad una sola occasione, ma al
contrario vi possa essere un ritorno. Questo è una delle tante idee
acquisite principalmente da influssi orientali, sebbene vi siano state
storicamente concezioni di questo tipo anche in area mediterranea. È
uno dei punti di dicotomia insanabile con la totalità delle confessioni
cristiane odierne, tuttavia, e non solo per l’impossibilità di accostare
un ritorno ciclico dell’esistenza con un processo lineare nascitavita-morte-giudizio.
La ciclicità della Vita e della Morte che la Wicca trova così
congeniale è solo un aspetto del più ampio spiraleggiare del
tempo che vede l’assenza di un Inizio e di una Fine, nell’eterno
rigenerarsi della Ruota dell’Anno come si rigenerano gli Dei stessi
e come noi rinasciamo, sempre progredendo verso mete che non
sappiamo, ora, neppure identificare. Come non ci sarà un Giudizio
(o un Ragnarok), così non vi fu mai una creazione, o quantomeno
non una Creazione primigenia: alcuni di noi amano pensare al Big
Bang come una eccellente metafora per una diastole cosmica, in
nessun modo definitiva, in attesa del prossimo battito del cuore
dell’universo. Ma tutto ciò è solo un’interpretazione assolutamente
personale, ovviamente… Perché la mancanza di una Sacra Scrittura
che vorrebbe essere il paradigma universale ci pone nella posizione
105
di doverci creare una escatologia (ed una teologia) di cui siamo,
ancora una volta, responsabili senza alcun imprimatur divino a
giustificare le nostre posizioni.
L’ultimo aspetto che scaturisce dall’apologo (o poema, come viene
definito oggi da parte cattolica: fortunatamente non viene interpretata
come una verità letterale, al contrario di altre confessioni cristiane)
della caduta è di gran lunga il più complesso da affrontare.
Le teologie cristiane sono concordi nell’affermare che
l’incarnazione divina in Gesù di Nazareth sia la chiave tramite
cui l’uomo peccatore, intrinsecamente corrotto e contaminato
dall’originale fallo di Eva, può aspirare alla “salvezza”. Ciò può
avvenire con modalità differenti a seconda della teologia in questione:
dal mistero divino luterano, al fondamentale pessimismo calvinista,
alla celebrazione cattolica del divino amore. E le differenze
divengono fondamentali nel momento in cui si affrontano le questioni
chiave del rapporto fra Divino ed Umano. Da parte cattolica, ad
esempio, viene affermata l’essenzialità della successione apostolica
perché questo rapporto venga mantenuto: il sacerdozio cattolicoromano è depositario esclusivo della relazione con Dio. Ben diversa
la posizione luterana in cui il sacerdozio è universale, perché
tale relazione è appannaggio dell’intera comunità dei credenti, e
“pastori” sono semplicemente coloro per cui la comunione con Dio
è diventata esperienza quotidiana ed attività professionale.
Come si colloca la Wicca su questi aspetti? Qui, molto più che
in tutte le altre sfaccettature della vita spirituale, si allarga il baratro
che segrega una religione “naturale” da una “rivelata”. Prima di
tutto è necessario puntualizzare che come molti sono consapevoli
non si sta parlando di una Divinità trascendente e separata dalla
propria creazione, ma di un’immanenza che intride le più intime
fibre della realtà sensibile: il Divino non sarà mai “al di sopra”,
mentre può essere visto al contrario “nel profondo” della materia
e del mondo conosciuto. Fondamentalmente diverso è quindi il
ruolo sacerdotale, che diviene necessariamente operativo e, a mio
personale giudizio, più vicino a ciò che era ed è in società animiste
e cosiddette “primitive”.
106
I Cristianesimi sono fondati su una concezione fideistica
dell’esperienza religiosa in cui non è prevista la percezione del
Divino da parte del singolo, ma l’accettazione supina della Sua
presenza in particolari momenti come (per il Cattolicesimo romano)
la consacrazione eucaristica, la confermazione, il conclave. Il contatto
diretto con la Divinità, comunque sia intesa, non viene richiesto né,
di norma, incoraggiato. Le eccezioni esistono, certamente: vi sono
sette cristiane che vanno ricercando questo particolare stato estatico
(chi profetizza, chi maneggia serpenti, chi impone le mani…) alcune
di esse presenti anche nel nostro paese ed in sorprendente, benché
difficile, non belligeranza con l’ortodossia dominante. Come vi
sono stati mistici in grado di entrare in comunione profonda con
la Divinità, che per questo si sono sempre posti ai margini della
religiosità ortodossa, e la storia li ricorda differentemente a seconda
delle condizioni esterne: scismatici, eretici, eresiarchi o, in qualche
caso molto fortunato, santi.
Nella Wicca possiamo affermare con tranquillità che non
essendovi cesura fra il mondo umano e quello Divino, ma avvenendo
questo passaggio con una gradualità talora sconcertante, il ruolo
del Sacerdote è lo stesso, ma le implicazioni della sua attività sono
radicalmente divergenti. Sacerdoti e Sacerdotesse, le quali (giova
ricordare) sono primae inter pares nel Cerchio e nella gestione della
Congrega, hanno il compito di assicurare la presenza Divina durante
la celebrazione. Il riconoscimento di tale impresa (tutt’altro che
automatico e garantito da una qualche ordinazione episcopale) non è
affidato alla fede cieca degli astanti, a cui si richiede una percezione
anche fisica della “speciale” situazione in cui si vengono a trovare nel
Cerchio. Da notarsi il fatto che sono necessari una consapevolezza
ed un potenziale ben sviluppati per riuscire a partecipare fino in
fondo ad un rituale Wiccan. In effetti, e ciò si discosta decisamente
anche dal “sacerdozio universale” della Riforma, possiamo definire
agevolmente la Wicca nella sua espressione originale come una
religione priva di uno stato laicale, in cui è Sacerdote o Sacerdotessa
chi è in grado di invocare e canalizzare il Divino, e tale potenzialità
viene richiesta a chiunque partecipa ad un Cerchio. È possibile
107
essere cristiani senza essere Santa Teresa, come è possibile essere
mussulmani senza essere sufisti. Non si può essere Wiccan senza
essere Sacerdoti, o quantomeno tendere a questo fine. Conseguenza
prima è che non c’è una “assemblea dei fedeli” che partecipa alla
celebrazione come soggetto passivo e come “batteria energetica”
per chi sull’altare sta celebrando i Misteri. C’è o ci dovrebbe
essere una comunità attiva di partecipanti consapevoli di quanto
sta avvenendo, consapevoli che la Manifestazione ha anche loro
come protagonisti, disposti ad una disamina anche spietata, quasi
scientifica, delle sensazioni provate e generate.
Certo, non è una capacità di tutti, né è un caso che la Wicca nasca
come Via iniziatica ai Misteri, un esoterismo intimista ed assieme
comunitario (e non il contrario, come si potrebbe forse dire del
Cattolicesimo), il punto di intersezione fra il misticismo della santa
(e della strega) con il potere magico del sacerdote (e del mago).
Difficile da comprendere, per chi ragiona in termini di cieca fede,
meno difficile per chi ha provato, nell’estasi, la vicinanza degli
angeli ed il Potere divino.
I Cristianesimi ed i Neopaganesimi non saranno mai rivali,
nonostante quanto vorrebbe qualcuno: si rivolgono a persone molto
differenti, che non possono dire, in coscienza, di aver “scelto” l’uno
o l’altro Sentiero. Certo, ci sono decine di sedicenti Wiccan che
sono rimasti cristiani nell’animo (né sarebbe stato per loro possibile
altrimenti), come ci sono migliaia di cristiani che sono dotati di
quella scintilla di consapevolezza necessaria alla comprensione
intima del divino mistero. Sono, purtroppo, pessimi Wiccan e cattivi
cristiani. Ci va molto coraggio per cambiare le proprie concezioni di
nascita, ma ne serve molto di più per guardarsi dentro e riconoscerci
consapevolmente per ciò che si è.
Fedeli o esploratori, figlie di Eva o serpenti ribelli, angeli o
streghe. Tutti noi siamo su una Via verso il Mistero Ultimo. Sta a
noi riconoscere il nostro sentiero, aprire gli occhi e con un profondo
respiro muovere il primo passo.
108
Neopaganesimo e religioni orientali
Neopaganesimo e Buddismo
di Gabrio Andena
Non è semplice individuare connessioni fra il Neopaganesimo e il
Buddhismo. È forse più agevole, oltre che più proficuo, individuare
i punti di dissonanza.
Esistono molti buddhismi; qui ci si riferirà a dei principi generali,
degli orientamenti di base di questo percorso, che stento a definire
religione, semplificando inevitabilmente il discorso.
La differenza essenziale è secondo me che il Neopaganesimo
è una religione della presenza, della pienezza del mondo; il
Buddhismo una religione dell’assenza, dell’inconsistenza del
mondo. Meriterebbe una valutazione a parte il Buddhismo Ch’an
(da cui poi il Buddhismo Zen).
L’essenza del Buddhismo, compendiata nelle quattro Nobili
Verità, è che la vita è dolore, che la vita è dolore perché tutto è
impermanente (soprattutto il Sé) e che la via per l’estinzione del
dolore è il Nirvana. Sebbene il Neopaganesimo possa probabilmente
concordare sul fatto che il mondo sia impermanente, relativo,
in costante mutamento – è la valutazione di fondo che muta: il
Neopaganesimo accetta il dolore come parte della vita, parte del
ciclo, mira anzi ad inserirsi in pieno in questa ciclicità, ad entrare in
perfetta armonia con essa. Il Buddhismo, d’altra parte, chiama, come
è noto, samsara il ciclo della nascita, morte, rinascita e attribuisce ad
esso un valore negativo: l’obiettivo è il nirvana, il “luogo” che non è
un luogo in cui il ciclo cessa e si gode della beatitudine perpetua.
L’etica del Buddhismo è imperniata sulla consapevole attenzione
e sulla compassione (accentuata in particolare nelle scuole del
Mahayana, il Grande Veicolo). I due ideali presentati dal Buddhismo
solo quello dell’Arhat, il Santo, per l’Hinayana, il Piccolo Veicolo,
ossia l’individuo che si distacca dalla brama e da ogni legame per
giungere al nirvana; l’altro grande ideale, proprio del Mahayana,
è il Bhodisattva, colui che vive per la grande compassione e mira
109
a salvare tutti gli esseri (le cose sono più complicate di così,
poiché al livello di un Bhodisattva propriamente non esistono
più esseri da salvare e neppure un salvatore). Gli esseri tutti sono
fondamentalmente impermanenti, dunque nella loro essenza irreali
o almeno non reali in un senso assoluto: ogni cosa che esiste c’è per
un riunirsi di concause, che al loro termine non lasciano nulla.
L’etica del Neopaganesimo è invece radicalmente ambigua,
per via della molteplicità di volti che il divino assume. Di sicuro
è difficile proporre in un contesto neopagano un’illuminazione o
una fine della ciclicità. Ma è il senso del mondo che cambia: è il
senso di una presenza – l’immanenza degli Dei nel mondo significa
che ogni cosa è riconosciuta nella sua sacralità, nella sua divinità
e dunque, in un certo senso, ad ogni cosa individuale è assicurata
una sua assolutezza, fosse pure quella di un istante. Soprattutto
nel Neopaganesimo la dimensione della brama, della passione e in
genere di tutto ciò che è piacere, corpo e che lega non è svalutata,
ma all’opposto innalzata. Il mondo ci lega a sé in infiniti legami e
non è possibile pensare ad alcun distacco.
Neopaganesimo e Taoismo
di Gabrio Andena
Il Taoismo, religione autoctona della Cina, a differenza del
Buddhismo, è invece assai vicino allo spirito del Neopaganesimo.
Il pensiero cinese è connotato da un notevole grado di concretezza,
attaccamento al mondo, coinvolgimento soprattutto nella vita sociale
e politica (come mostra il confucianesimo). Quando il Buddhismo
giunge in Cina subisce infatti un notevole mutamento proprio ad
opera di influssi taoisti e si afferma l’idea che il Buddha è la natura
essenziale di tutti gli esseri, la loro più intima essenza.
Il Taoismo è imperniato sul Tao, questo inesprimibile principio,
che fa sì che ogni cosa fluisca e segua la sua natura. Essere nel Tao
significa anzitutto essere in armonia con la propria intima natura
– è un’etica di spontaneità, sottesa dal concetto di mente naturale
e di natura originaria dell’essere umano, viziata dalla civiltà. Il Tao
110
si manifesta come Uno e poi come due principi complementari,
Yang e Yin, il Maschile e il Femminile. La vicinanza con la Wicca
è strettissima.
I due principi danno poi luogo all’Uomo e ai Cinque Elementi,
che generano le “diecimila cose”, ossia il mondo. Ecco un’altra
affinità: gli Elementi come pilastri del mondo. Sebbene diversi da
quelli occidentali, si deve rilevare che vi sono numerose affinità:
questi Elementi, chiamati i Cinque Agenti, sono collocati ai quattro
punti cardinali e la Terra è al centro. Dunque come nella liturgia
Wiccan. Il sacerdote taoista traccia il cerchio e chiama gli Elementi
per ricreare simbolicamente l’universo intero e poterlo così rendere
armonico o armonizzarsi con esso. In fondo la Wicca assomiglia
moltissimo ad un Taoismo occidentale, il che è abbastanza
sorprendente se si considera che non vi sono state influenze storiche
dirette, poiché le pratiche taoiste erano poco note nella prima metà
del secolo scorso.
Gli Dei non hanno un gran ruolo nel Taoismo, sono decisamente
poco personali e rappresentano più che altro simboli di principi
impersonali, ad uso e consumo dei più che non possono coglierne
la vera essenza. C’è però un intensissimo lavoro magico legato
agli spiriti: esorcismi e incantesimi erano all’ordine del giorno nel
mondo taoista e la magia era un’arte raffinata e molto avanzata.
La natura ha un ruolo preminente, come luogo di manifestazione
privilegiato del flusso del Tao, così come nel Neopaganesimo, in
cui gli Dei si mostrano anzitutto nei cicli naturali. L’ideale sociale
taoista è anarchico e utopico: piccole comunità rurali separate le une
dalle altre. I personaggi esaltati negli scritti taoisti non sono i grandi
meditatori o gli spirituali, ma i piccoli artigiani, che sanno fare bene
il loro lavoro, in perfetta armonia col Tao, tanto che le loro azioni
sono perfette proprio perché istintive e spontanee. Inoltre, anche i
monaci taoisti e gli eremiti non mirano all’illuminazione o ad una
fuga dal mondo: lo scopo ultimo delle pratiche meditative taoisti è
la lunga vita, la vita prospera, in salute e serena. L’alchimia taoista
ha come fine il conseguimento dell’immortalità, nel qui e ora. Un
ideale ben aderente allo spirito del Neopaganesimo.
111
Neopaganesimo e Induismo
di Davide Marrè
Con l’Induismo che pure è un entità di difficile definizione vista la
varietà di forme e tradizioni in cui si rappresenta, il Neopaganesimo
condivide il concetto di identità tra divinità e devoto, benché
quest’ultimo termine non sia in molto in uso nel Neopaganesimo
per via della sua connotazione. Per essere più precisi anche nel
Paganesimo degli ultimi cinquant’anni, troviamo sempre più forte e
definita quella concezione per cui “l’essenza di una persona, il suo
vero Sé (atman), è identico all’essenza del cosmo (brahman)”29.
Alcune divinità dell’Induismo vengono invocate in alcune
musiche e celebrazioni neopagane, in particolare le divinità
femminili, ma non è ovviamente possibile definire l’Induismo come
una religione neopagana, anche se la parola “Induismo” è entrata
in uso nel diciannovesimo secolo per definire un insieme di culti e
pratiche spesso molto diversi tra di loro.
Ovviamente il confronto che è possibile tracciare brevemente
in questa sede è tra il Neopaganesimo (e i suoi culti) e l’Induismo
moderno che a sua volta comprende un gran numero di culti
differenti che solo in un periodo recente sono entrati a far parte della
denominazione unitaria di Induismo.
I culti ind
indù sono per un lungo periodo della storia culti legati
all’India e solo verso la fine del periodo coloniale l’Induismo
assumerà la vocazione di religione mondiale grazie a personaggi
come Ramakrishna, Vivekananda e Gandhi.
I principi predicati da questi santi ind
indù configurano l’Induismo
moderno e le sue correnti, ma esercitano un enorme influsso
sull’esoterismo occidentale (attraverso la teosofia) e attraverso
questo sul Neopaganesimo.
Elemento condiviso tra Induismo e la quasi totalità delle correnti
neopagane è il ciclo di morte e rinascita, cioè la reincarnazione,
seppure con una visione differente. In molte correnti neopagane è
penetrato inoltre anche il concetto di kharma, la legge causa effetto
112
che regola il ciclo della reincarnazione.
Anche il concetto di una verità che si presenta sotto molteplici
apparenze, e che porta (nella maggioranza dei casi) ad uno spirito di
tolleranza nei confronti di punti di vista diversi, è una prassi molto
diffusa sia nell’Induismo che nel Neopaganesimo. Immediatamente
conseguente a questo è il fatto che entrambe queste correnti religiose
non sono legate ad un insieme definito di concetti filosofici.
Infine il concetto induista del divino e della/e Divinità e
assolutamente speculare a quello neopagano, si va dl concetto di
un Uno originario, il Divino, Brahman che si manifesta in varie
forme, ma che è impersonale e indefinibile, fino a concezioni più
puramente politeiste.
Ovviamente nel Neopaganesimo questi principi hanno spesso
ricadute differenti che nell’Induismo: la reincarnazione non è vista
come un fatto negativo e non è presente un concetto di salvezza, è
assente anche una morale più o meno rigida legata al concetto di
dharma.
Non c’è dubbio, al di là di alcune profonde differenze, che tutto il
Neopaganesimo sia stato profondamente influenzato dalla diffusione
su scala mondiale dell’Induismo e che negli anni futuri il dialogo tra
queste due correnti di pensiero potrà avere sviluppi interessanti.
113
La poesia “Ho atteso un amore nel senso storico” è contenuta nel
mio libro inedito La discesa alle Madri. In essa è fatto riferimento
a disastri ecologici ambientali su cui è invocata la pietas della
Dea Aurora; la rosa goethiana e la nuova tempesta alludono al
desiderio di un nuovo Sturm und Drang neoromantico che spazzi
via l’aridità della nostra epoca materialista.
20
J.W. Goethe, Faust Urfaust, a cura di Andrea Casalegno, ediz.
Garzanti.
21
S. Perry e J. Dawson, Le ore del corpo, ed. Eco, Milano, 1996.
22
La sezione “Discesa nella selva” è contenuta nel mio libro
inedito La discesa alle Madri.
23
La poesia reca il titolo “Fra la selva e la corte” ed è contenuta
nel mio libro inedito La discesa alle Madri. Il simbolo del labirinto
rinvia ulteriormente a Paracelso e al suo Labirinto dei Medici.
24
Christian Raetsch, Le piante dell’amore, Gremese Editore, 1991.
25
Fernando Ortiz, La africania de la musica folklorica de Cuba,
Editora Universitaria, La Habana, 1965.
26
George Lapassade, La transe, ediz. Sensibili alle foglie.
27
“Fare anima. Semestrale di poesia, poetica e cultura”, 3° n., ediz.
Studio d’Autore.
28
La poesia “Fanciulla della razza nuova” è contenuta nel mio
libro inedito La discesa alle Madri e fa riferimento a “Viaggio a
Montevideo” del poeta visionario Dino Campana. L’Io poetico si
manifesta qui come Io corale, di primo coreuta, rispetto al coro
delle sagge donne.
29
“L’induismo” di Gavin Flood, trad M. Congedo, Piccola
Biblioteca Einaudi
19
NOTE
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton
Ho deciso di misurare, un po’ ironicamente, il tempo dalla
fondazione del Circolo avvenuta nel dicembre del 2002,
considerando il 2003 come anno 1, il 2008 è quindi l’anno 6.
3
“Vocabolario della Lingua Italiana” di Nicola Zingarelli, ed.
Zanichelli
4
ibid.
5
“I nuovi pagani” di Salvatore Natoli, Il saggiatore, pag. 21
6
“Hermetic Magic” di Stephen Edred Flowers, Weiser Books, pag.
14
7
“Non avrai altro dio” di Jan Assmann, trad. F. Rigotti, ed. Il
Mulino pag. 9
8
ibid.
9
ibid. pag 11
10
a.E.C: ante Era Comune
11
Salvatore Natoli, “I Nuovi Pagani”, Il Saggiatore
12
“Del Congresso notturno delle Lammie libri tre” di Girolamo
Tartarotti, 1749
13
da “La Stregoneria – diavoli, streghe, inquisitori dal trecento al
settecento” di S. Abbiati, Oscar Mondadori
14
“Intorno a due documenti inediti di stregheria milanese del
secolo XVI, in “Rendiconti del R. Istituto storico lombardo di
scienze e lettere”, n. 32, 1890
15
“The way of Strega” di Raven Grimassi, 1994
16
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton
17
Gabriella Galzio, Apocalissi fredda, Agorà Edizioni, La Spezia,
2001
18
Ipotizzo che la vera transcendenza scaturisse dalle pratiche
magico rituali di transe, precedenti le forme teologiche della
religiosità patriarcale fondata sul logos che finì per oscurare il
corpo sensitivo.
1
2
114
115
BIBLIOGRAFIA
CAPITOLO I
Jan Assmann, Non avrai altro Dio, ed. Il Mulino
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L’Altro (Bompiani 1991);
119
Sette Madri (Bompiani 1993);
Luna d’Amore (Fogola 1994);
Eterna Luna (Alpha Dimensione Vita 2000)
Il soffio della luna (Psiche 2007).
Plenilunio d’autunno (2003)
Lo specchio e il sogno (2004)
Virt dei vizi (2006),
Virtù
Eresie erotiche (2007)
Pesco in fiore (2007)
Discesa nella selva
Fondali (1993),
La buia preghiera (Campanotto,1996),
Sofia che genera il mondo (I Quaderni del Battello ebbro, 2000)
Apocalissi fredda (Agorà, 2001)
Ishtar dagli occhi colmi (Moretti & Vitali, 2002)
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CAPITOLO VI
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CAPITOLO VII
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www.vedanta.it
121
BIOGRAFIA AUTORI
Gabrio Andena (Gabriel), filosofo ermeneuta, counsellor junghiano e
segretario del Circolo dei Trivi. Pratica da alcuni la Wicca nell’alveo
della Tradizione Alexandriana e Gardneriana, affiancandola alla
magia cerimoniale.
Rosa Carotti vive e lavora a Cremona, dove è nata. Da anni conduce
gruppi di donne su miti e archetipi del femminile. Scrive da che ne
ha memoria.
Chiara (Shakinàh) ha ricevuto questo nome durante un viaggio
attraverso le sette soglie superate, nel mito, dalla Dea Inanna: un
nuovo nome dopo essere stata spogliata di tutta se stessa. È una
Strega Eclettica e (semi-) Solitaria. Il suo percorso, iniziato con
l’incontro con la Wicca, è vario, ma improntato fortemente allo
sciamanesimo e alla spiritualità celtica. Ha partecipato ad incontri,
conferenze e seminari con Francesca Ciancimino Howell, Vivianne
e Chris Crowley, Phyllis Curott, Janet Farrar e Gavin Bone, Lorenza
Menegoni etc. Recentemente si occupa della organizzazione
“logistica” degli eventi del Gruppo Soteira.
Chiara (Danaliit) percorre le Antiche Vie da qualche anno. Ha
frequentato workshop e seminari sulla Wicca e sullo Sciamanesimo.
Ha pubblicato l’articolo I volti della Dea sulla rivista Athame
nell’ambito del gruppo Soteira. Recentemente ha tenuto una giornata
di incontro sullo sciamanesimo con Chiara (Shakinàh) ed Emanuele
del Clan del Lupo, sempre per il gruppo Soteira.
Francesco Dimitri vive e lavora a Roma, anche se si sposta volentieri
in altre parti del mondo (di recente è stato avvistato a Londra e in
Transilvania). È un esperto di magia, Neopaganesimo e cultura
pop, ha una particolare passione per Papa Legba e per lavoro fa lo
122
scrittore. Tra le altre cose, ha scritto Neopaganesimo – Perché gli
d i sono tornati, e ha curato l’edizione italiana della biografia di
dè
Aleister Crowley scritta da Lawrence Sutin, Fai quel che vuoi. Il
suo prossimo libro, un romanzo, parla del dio Pan, ed è in uscita a
giugno.
Rosalba Formato (Mnemosyne), laureata in Economia e Commercio,
maestra di Yoga, scrittrice ed esperta di terapie alternative, ha seguito
il percorso wiccan per poi trasferirsi a Sidney dove vive tutt’ora
e dove ha proseguiito il suo cammino di ricerca della spiritualità
femminile, è l’ideatrice e la moderatrice della più grande mailing
list wiccan e pagana italiana “lemusenellarete”.
Gabriella Galzio, poeta, ha fondato e diretto “Fare anima. Semestrale
di poesia, poetica e cultura”. Ha partecipato a programmi RAI sulla
poesia, presente in antologie, è stata tradotta negli USA per “Le
acque di Hermes” (Univ. Charleston, 1999) e in Germania per la
rivista “Matrix”(2007). Traduzione e curatela: Divano occidentaleorientale di J. W. Goethe (Rizzoli, 1997). Per l’Enciclopedia
tematica aperta, vol. Il Comico, a cura di Carlo Sini, ha curato “Il
comico nella letteratura tedesca” (Jaca Book, 2002). Per il Centro
Internaz. Studi Romantici (Univ. di Bologna), “Double Tongue”
(“La Questione romantica”, 2005 Ideazione e regia di eventi di
poesia a Milano, con l’Ass. Cult. Studio d’Autore da lei fondata e
diretta: “Midsummernight” festa-animazione (2004) e “L’accendersi
dei luoghi”per la Primavera di S. Lorenzo (2005).
Francesca Ciancimino Howell, Grande Sacerdotessa di Terzo Grado,
è autrice di “Gaia, magia per il Pianeta”, in corso di pubblicazione
ad inizio 2008 dalla Venexia Editrice. Nel suo libro si possono
trovare meditazioni, rituali e varie tecniche magiche. Francesca sta
compiendo una ricerca qui in Italia finalizzata ad un dottorato in
Studi Religiosi. Il suo sito web personale è www.magicwithgaia.
com
123
Davide Marrè (Cronos), counselor di orientamento esistenziale,
giornalista, saggista, Presidente dell’Associazione “Circolo dei
Trivi” e direttore della rivista di Wicca e Paganesimo “Athame”;
ex-Coordinatore nazionale della Pagan Federation International. Ha
pubblicato “Wicca: la Nuova Era della Vecchia Religione”, Aradia
Edizioni, e “La psicologia esoterica”, Xenia.
Valentina Minoglio Morgan è Wiccan di Tradizione alessandriana.
Ha seguito seminari di Phillys Curott, Lorenza Menegoni, Janet
Farrar. È vicepresidente del Circolo dei Trivi, scrive per Athame
e ha tenuto alcuni seminari sulla Wicca tra i quali quello che ha
dato vita al gruppo Soteira. È un’astrologa e studia il rapporto fra
astrologia e paganesimo.
Chicca Morone, ricercatrice, cromoterapeuta, grafologa,
giornalista, scrittrice e poetessa, autrice, tra gli altri, di “Sette
Madri” ed Bompiani, “Eterna Luna”, “Plenilunio d’Autunno”
e Tra le ali dell’angelo. Presidente dell’Associazione culturale
“Il Mondo delle Idee”, dirige le collane “Artemide” e “Le Muse
inquiete” per Sagat Editrice, ha realizzato numerose esposizioni e
mostre d’arte curandone i cataloghi.
Ossian (Luigi D’Ambrosio), Presidente dell’Associazione culturale
Antica Quercia con sede a Biella, che pubblica la rivista “Vento tra
le fronde”. Si occupa da anni di neodruidismo, è uno degli ideatori
del Convegno Nazionale sulla Wicca di Biella e organizzatore di
numerosi eventi tra cui l’annuale Festa di Beltane.
Daniele Tronco (Elaphe) è praticante Wiccan da anni e cofondatore
dell’associazione di volontariato Circolo dei Trivi. Da sempre
dedito alla sperimentazione in campo esoterico e magico, si muove
nell’ambito della Tradizione Alexandriana e Gardneriana.
124
125
Copia non in vendita, distribuita gratuitamente
dal Circolo dei Trivi
Supplemento rivista Athame anno 2008
Stampato in Italia
Milano - Gennaio 2008
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