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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
La Theka N. 15 - Anno IV
Inserto speciale
È già sera,
ma non tutto è finito
Discorsi epistolari con Tersite Rossi
di Walter Moretto
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
In copertina: Tersite Rossi, al secolo Mattia Maistri e Marco Niro
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
La Theka è ed è sempre stata una profonda esperienza di partecipazione e
coinvolgimento attivo. Non ha mai voluto essere qualcosa di già visto, di trito
e infangato da partigianerie stolte o da
ovvietà populiste.
Queste missions si sono miscelate con
le scelte e le necessità che man mano si
presentavano, facendo sì che i contenuti
della rivista oscillassero, nel tempo, tra interventi d’autore di ottimo spessore ad endemici compendi popolari; tante sono state le storie, le interviste, le opinioni che hanno popolato le nostre
pagine.
Eppoi ci sono state le partecipazioni minori, ma proprio per questo speciali forme di “voglia di
far parte” in poesie più o meno dantesche, saggi di chi ci crede davvero mentre scrive, racconti,
suggerimenti per interviste, idee per il brainstorming che s’irradia attorno al titolo-tema che viene
di volta in volta ideato. Testimonianza ne sono i numeri che mai avremo immaginato raggiungesse
La Theka, con i suoi 142 collaboratori, 111 sponsor, 116 intervistati. Ma ne sono anche le decine di
mail che abbiamo ricevuto per la costruzione dei contenuti di questo numero, tanto che abbiamo
dovuto accantonare tante belle idee e tanti bei progetti.
Ebbene, tutto questo successo ci ha portato ad avere una visibilità davvero notevole, grazie e soprattutto alla veicolazione de La Theka e dei suoi contenuti che è stata svolta dai lettori. Siamo arrivati dunque a poterci permettere nuove iniziative dentro la rivista, con l’accoglimento delle nostre
istanze da parte di tanti personaggi. Ne sono nati interviste e contributi di grande significato.
Abbiamo potuto permetterci anche la ricerca di tecniche e contenuti per poter dare qualcosa di
diverso dal minestrone editoriale che già conosciamo. Tanti redattori si sono messi in gioco sperimentando nuovi stili di scrittura, nuovi argomenti, introducendo punti di vista differenti nell’analisi
della realtà.
Grazie a tutto ciò è nato anche questo nuovo esperimento. Ho contattato Tersite Rossi, pseudonimo di un giovane scrittore a quattro mani straordinario, finalista oggi ad uno dei più prestigiosi
concorsi letterali con il suo primo romanzo, “È gia sera, tutto è finito” – Pedragon 2010, arrivato
alla terza ristampa, ed appena uscito con un nuovo libro, “Sinistri” – Edizioni e/o 2012.
Ho cercato, con sottotraccia i ricordi di una grande innovatrice della penna come Oriana Fallaci,
di andar oltre all’intervista con al centro l’intervistatore assieme all’intervistato, che già di per sé è
un’ evoluzione (per chi la sa fare) o una forzatura (per quelli come me).
Ho proposto a Tersite qualcosa di itinerante e metaforico, di storico e fattuale, di concetto e di
speranza. Abbiamo cercato di alzare lo sguardo oltre la siepe (per dirlo alla Tersite), di proseguire
oltre l’opinione o la descrizione, siamo andati dentro e fuori quel che può dare un articolo in una
rivista.
E’ stato bello ed unico, e mai avrei immaginato che ci si potesse arrivare.
N.d.A.: per approfondire gli argomenti trattati all’interno è possibile consultare nell’appendice dell’inserto le sinossi dei
romanzi “È già sera, tutto è finito” e “Sinistri”.
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Sun, 27 Nov 2011 00:12:00 +0100
Oggetto: Caro amico ti scrivo...
Caro Tersite,
dato che tra gli opposti e i contrari di uno in Erri de Luca non c’ho capito niente, mi esprimo verso
l’Autore dall’età doppia ed accanto le carte d’identità, che un colpo di straccio alle sovrastrutture
non fai mai male.
Caro Tersite, son dunque a scriverti fresco fresco da quello sfruscio odoroso di carta vecchia che
aveva l’ultima di copertina del tuo libro, e mi sembra il minimo. In virtù di due solide ragioni,
l’una intrisa di quella polvere di fata sulle ali dei sognatori per la quale mi sembra di aver ancora
voglia di provar a spiccare il volo (si amico Gaber, ci siamo ancora), l’altra per propulsione alla
prima, per far si che in mancanza di polvere in quantità ci sia sempre qualcuno che ne distribuisce
ancora.
La Prima: era tanto che sognavo di legger cotanta cosa e sentirci dentro cotanta emozione e cotanta appartenenza. Davvero. E’ un romanzo favoloso che smembra dinamiche e tematiche di
questa nostra disgraziata Agorà e s’introduce anche dentro quei singoli che stanno annegando in
un esistenza che non comprendono. E la storia, e il cavalcare dei tempi, e tutto ciò che rimane tale
e quale e tutto ciò che cambia. E i Simone, le Caterina, i Diego, le Elisa e i Massimo, gli Antonio
che fuori e dentro nei tempi, i Dragan, le Chiara, gli Unghia e i Brocca, quelle bestie dei G.P. Eppoi
i Gazzolino, le Milano, i Cutoli. I sessantotto, i settanta-ottanta, i novanta, fra Gladio vari ed eventuali. E noi, cosa che mi dà l’esclusiva, che siamo da qui, io da Feltre, tu da TN dove tanto mi son
dato alla sociologia e tanto mi do adesso nel lavoro.
Ebbene carissimo, l’arcobaleno del social forum non è finito. Almeno non in noi, non in me. E
vorrei fosse rinfocolato, fosse sparsa polvere che un giorni tutti si voli davvero, che non si smetta.
Per questo arrivo alla Seconda: sono il presidente di una piccola associazione culturale che edita
una rivista di informazione e partecipazione locale di Fonzaso (BL) che copre capillarmente i comuni di Fonzaso, Arsiè, Feltre e Seren del Grappa. Puoi dare un occhio alle nostre uscite passate
nel nostro sito: www.latheka.it. Come vedrai abbiamo avuto molti contributi importanti (e con
che fatiche) quali il prof. Gregorio Arena, il prof. Giovanni Guzzetta, I Bastard Sons of Dioniso,
Eugenio Finardi, Federica Pellegrini, Silvio Fauner, Pietro Piller Cottrer, l’editore Bruno Keller e
molti altri.
Siamo un gruppo di ragazzi che credono nei processi partecipativi, nella creatività, nella passione
e nella co-costruzione di una società migliore. Dal 2009 realizziamo la rivista e la distribuiamo
gratuitamente. Lo scopo è quello di aprire le braccia a chi ha voglia di dire delle cose, seguendo un
titolo/filo rosso, quello scelto insieme per ogni numero.
Puoi immaginare quanto La Theka sia entrata in me, o forse non abbastanza, dato che dopo qualche tempo (il Gruppo è il Gruppo) mi son trasferito a casa della direttora (giornalista che aveva
chiuso col mestiere come tal Antonio, e ora in comando alle politiche giovanili del tuo trentino),
eppoi c’ho fatto una splendida bimba, il nostro piccolo sogno d’emancipazione futura e la nostra
speranza di realizzazione di un mondo migliore.
Per cui comprendi che fra assonanze e similitudini siamo come smarties che cadono dal cielo, e
non son così sicuro che sia davvero già sera.
Sono a chiederti dunque se vuoi vivere questo giorno, o allungarne la durata. Sono a chiederti
di partecipare. Non so come. Di solito facciamo interviste, ma con te vorrei un contributo di tuo
pugno. Non so se hai esclusive con l’editoria quella vera e non so nemmeno se tu voglia far parte
del nostro piccolo mondo. Sarebbe bello anche solo che tu rispondessi a questa mail parlando
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del tuo libro, di cos’è, di quel che rappresenta e di quel che è la società oggi. A briglia sciolta. Noi
pubblicheremmo il tutto come esperimento epistolare, alla faccia di futuristi da secolo XIX e anticonformisti da Manifesto.
Ti saluto carissimo, spolverandomi le ali.
Walter Moretto
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Wed, 30 Nov 2011 00:12:00 +0100
Oggetto: Re: Caro amico ti scrivo...
Caro Walter,
è davvero difficile rispondere ad una mail come la tua. Primo, perché leggendola, in alcuni passaggi, - è inutile negarlo - ci siamo emozionati pure noi.
E tutto quello che abbiamo fatto, stiamo facendo e (speriamo) faremo comincia ad assumere contorni un po’ più netti, un senso che altrimenti verrebbe meno. Per questo ti ringraziamo e confidiamo che la sera non sia calata, che ci sia ancora la forza di raccontare e di leggere, alzando lo
sguardo oltre la siepe, per rubare un grammo d’infinito.
Secondo, perché la richiesta un po’ ci disorienta. Abbiamo visitato il vostro sito e abbiamo letto
alcuni numeri della rivista, e vi facciamo i complimenti. Sappiamo quanto sia difficile tenere in
piedi un progetto simile e trovare ogni volta stimoli nuovi per andare avanti. Ci disorienta, dicevamo, perché scrivere a briglia sciolta senza una controparte (e per di più a quattro mani) temiamo
possa divenire un modo per parlarci addosso, anzi sbrodolarci, e non vorremmo certo accadesse.
Per questa ragione, siamo ben felici di essere ospitati sulla vostra rivista e ti proponiamo di incontrarci per un’intervista. Questa sì a briglia sciolta, senza schemi, a 360 gradi, come ritieni più
opportuno. A noi le chiacchierate che vivono d’improvvisazione e creatività piacciono e non ci
frenano, anzi.
Se non abbiamo capito male, lavori a Trento, quindi non dovremmo avere difficoltà a vederci.
Basta trovare il momento. Lancia una proposta, e via.
Un caro saluto,
TR
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Mon, 02 Jan 2012 10:56:00 +0100
Oggetto: Re: Re: Caro amico ti scrivo...
Buon Tersite,
i buoni propositi del 2012 della sera dell’ultimo prevedevano questa mail, la vergognosa risposta a
un mese di imbarazzante silenzio. Ma caro amico, mi ero proposto che scriver a te non fossero
cinque minuti rubati fra un cliente, una telefonata ed un’imprecazione del lavoro che così non va,
né fossero battiture rubate con in braccio una bimbotta che rutta tre volte dopo ogni pasto e ne
caga altrettante. Sai, la poesia è soprattutto questo.
Dunque dunque questa settimana è la mia unica di ferie fino a data da destinarsi e, certissimamente, la prima cosa da fare, dopo il primo dell’anno ingozzato da pasti con tutte le parentele d’Italia,
era scrivere al Tersite. 5
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Scusandomi innanzitutto dell’eternità di non risposta, che prometto non avverrà più. E ringraziandoti, leggere parole delicate di fine prosa come le tue infonde quella sensazione di calore dentro la pancia che non ci può esser di meglio. E sentirsi omaggiato di emozione gratuita per una mia
mail, beh... rimane solo un inchino. Grazie davvero.
Eppoi rilancio.
Con due proposte chiare: la prima è a stessa di cui ti scrivevo. Quella secondo cui tutti queste
nostre conversazioni diventano articolo. Ci mettiamo dentro tutto, dall’intestazione della posta
elettronica, le risposte, i “RE:” negli oggetti di risposta, gli errori di battitura, emozioni comprese. Discorsi epistolari che durano il tempo di qualche mail e non ovviamente un lavoro a cottimo.
Per i contenuti propongo questo. Io ti lancio un tema a cui tu rispondi. Con tempi ampi e senza
pressione, un tema ed una risposta per settimana. Così per, non so, tre-quattro temi. Le tue risposte possono essere di due righe come di venti, alcun limite a questo.
Il primo tema che ti propongo è: nel tuo capolavoro di romanzo c’è il tema del giovane di ieri nato
nella campagna ed emigrato in città col petto pieno di ideali, travolto dagli eventi e dall’autocinesi
del potere che non cambia mai. Eppoi c’è il giovane di oggi, nato nella montagna col petto pieno
di ideali e dove nella stessa vien travolto dagli eventi, dal potere che muta ma rimane tale. Nel
ragazzo di ieri e quello di oggi poi c’è il degrado sociale operato dai padri, dalla società così com’è,
dai giovani stessi alle volte, dato che non tutti vivono col petto pieno di ideali. Tu sei riuscito a raccontare il giovane tra la rivoluzione industriale ed il 2000, senza far tomi sociologici e rendendo
la tua lettura accessibile a tutti. Che tutti comprendano. Vorrei che tu ci dicessi cos’è il giovane dal
2000 in poi, in un Paese dove il futuro non si vede e dove il padre si permette ancora di giudicare
il figlio dopo che gli ha distrutto il mondo del lavoro, la speranza nel futuro, l’equità sociale.
Alternativa, come ti dicevo ed a cui tu sei più propenso, è un’intervista. Per quella io questa settimana sono disponibile quando vuoi, le settimane successive la sera o i weekend. Ci possiamo
trovare a Trento città così mi faccio anche un girello nella mia vecchia-nuova Sociologia.
Bene, ho lanciato i sassi. A te ora, sperando nell’opzione epistolare.
A presto, vecchio amico.
WM
P.S. La scelta della prima opzione di collaborazione non esclude ovviamente che ci si conosca di
persona. Devo farvi conoscere la direttora e la nostra bimba, e non pensate nemmeno di transigere
su questo!
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Mon, 02 Jan 2012 15:55:00 +0100
Oggetto: Re: Re: Re: Caro amico ti scrivo...
Buon Walter, ok per lo scambio epistolare. Allora cominciamo a pensare a qualcosa sui giovani.
A presto. TR.
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Tue, 03 Jan 2012 16:48:00 +0100
Oggetto: Tersite e i giovani
Ciao Walter, ecco la nostra opinione rispetto al tuo primo tema. TR.
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Per uno scrittore le categorie sociali sono immagini che prendono forma nei personaggi e che
spesso hanno la capacità di cogliere la realtà, al di là di qualsivoglia intento sociologico. Quindi,
più che dire cosa sono i giovani del nuovo millennio, possiamo azzardare come li descriveremmo
in un romanzo. E parte di quei giovani, per certi versi, potrebbe avere la stessa carica rivoluzionaria dei suoi predecessori, ma con una sostanziale differenza: il disincanto. E questo la porterebbe
verso un conflitto irrisolto tra la voglia di cambiamento, da un lato, e la sensazione della sua
inutilità, dall’altro. Ecco, i giovani europei del primo decennio del XXI secolo potrebbero avere la
faccia di chi cova in profondità il senso della distruzione e della sua inevitabilità. E come reazione,
potrebbe lasciarsi andare a reazioni antitetiche e per questo “schizofreniche”. Cioè, la rabbia “rivoluzionaria” che prende il sopravvento con gesti eclatanti (magari rivolti verso i propri padri) e,
allo stesso tempo, il conservatorismo dettato da una ricerca nel passato di un’ipotetica età dell’oro,
di fatto irrealizzabile. Intorno a queste schegge impazzite, sicuramente ci sarebbe la massa degli
“integrati”, ovvero quei giovani che si incarnano nei gesti, nella lingua (l’inglese mondializzato) e
pure nei sentimenti all’interno della globalizzazione capitalista. Sarebbero gli stessi che su Facebook si indignano per il licenziamento degli operai di qualche grande fabbrica e poi riperpetuano
nei gesti, nel linguaggio e nella fantasia (che di fatto non è più tale) il sistema che di quegli operai
se ne fotte.
Non ne esce un quadro rassicurante, ma il ritratto di una generazione (o forse più di una) destinata a bruciare sull’altare della storia. Una sorta di “pluri-generazione” cresciuta in un periodo di
svolta e che, come accaduto in altri secoli di svolta, è troppo giovane per trasformare la propria
epoca e troppo vecchia per costruire consapevolmente quella nuova.
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Sat, 14 Jan 2012 16:08:00 +0100
Oggetto: Tersite e il potere
Caro Tersite, la tua conclusione mi fa venire in mente nell’ordine Vittorio Foa, Eugenio Montale, Zigmund Bauman e Vaclav Havel. Ognuno usa quel che può per la comprensione delle logiche, lo strumento che
m’è rimbalzato in testa è il robot spara palline da tennis.
Prima pallina, Vittorio Foa. Grande personaggio di un’altra epoca, colpevole come tanti di averne
fatto parte. Durante un’intervista, in veneranda età, sentenziò quanto non avesse rimpianti riguardo la propria vita in quanto nato in un periodo felice della storia, il più felice di tutti (da calcolare,
su tutto, che si fece le carceri fasciste). Ora, tralascio ovviamente demagogie da ci-sono-i-bambiniin-africa-che-muoiono-di-fame, e rispondo con un dritto lungolinea: è vero e giunto, i giovani di
oggi son figli di un momento storicamente ancor felice rispetto ad altri e per questo fortunati. Ma
ne sono anche vittime, come dici tu. Seconda pallina, Zigmund Bauman. Nel mondo liquido di quest’uomo, che ho sempre avuto l’impressione morirà fra gli più tristi della terra, vi è forse un’interpretazione sia del disincanto che
dell’antitesi tra giovani integrati/rivoluzionari. Entrambi vittime, secondo la logica dell’autore,
della società del consumo, ma anche di una post-modernità che ha spazzato dogmi economici e
sociali secolari come il ruolo delle ideologie, della morale, delle sicurezze tout-court. In un mondo
così spersonalizzato (ed etimologicamente asociale) l’unica barriera sociale che rimane è fra ricco
e povero, dove il ricco è colui che è capace di opporsi all’omogenizzazione, il povero è colui che
è frustrato dal fatto che, nonostante passi la vita nel cercar di standardizzarsi agli schemi sociali,
non riesce a sentirsi come gli altri. Uomini soli, giovani di facebook membri di masse distorte che
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si son fottute da sole e politici di sinistra che si son doppiamente fottuti da soli, cercando in più di
fottere gli altri, usando il tema cardine per la comprensione della società oggi, la mercificazione
delle esistenze, come leva fraseologica di demagogie politiche che puzzano di merda. Risposta con
smash e pallina sugli spalti dopo il rimbalzo. Eppoi c’è quello che Bauman non dice, o che forse si dimentica, la mia risposta di rovescio ad una
mano: Eugenio Montale. Che, c’è da dire, utilizzo solo come mezzo e non come vate di chissà quale
teoria. E’ solamente il primo esempio che mi è venuto in mente di uomo baumanamente ricco ma
melancolico. Ad un certo punto della sua vita Montale fu collega di Indro Montanelli al Corriere
della Sera. Proprio in quei frangenti Montanelli narrò come gli risultasse difficile capire Montale:
era un uomo famoso, importante, figlio della rinascita del dopoguerra, in un epoca in cui il progresso avanzava in bonaccia riempiendo pance, tasche e vite degli italiani. Eppure triste, perennemente imbronciato e vittima di uno spleen che non rendeva onore né all’uomo né alle sue opere.
Insomma io credo fosse vittima di quel meccanismo mentale che stringe le menti nelle camicie
di forza dell’alienazione al potere, della consapevolezza che, per quanto si possa combattere, il
sistema produce un perfetto ingranaggio di perpetuazione del potere imposto, ingiusto, corrotto,
indifferente a qualsiasi etica delle masse o dei singoli. Seguendo questa logica l’infelicità dell’uomo, la sfiducia, l’antitesi delle reazioni sociali dei singoli,
la schizofrenia dei giovani, sono tutte espressioni del povero omogenizzato e del ricco melancolico. Ma se riguardo la prima categoria possiam discutere (forse fin là), riguardo la seconda non v’è
dubbio: la maggior parte dei nostri problemi sono conseguenze dell’esercizio del potere (legittimo
come no). Ed arrivo, perché alla fine c’è l’ho fatta, a Vaclav Havel. Il neo scomparso ex presidente ceco è
un po’ il mio eroe della passione per la storia sociale contemporanea che mi ha sempre seguito
durante la vita e mi fa piacere poterlo citare ora che è appena scomparso. Havel è stato uno dei
primi e reali oppositori del sistema sovietico. Siamo negli anni ‘70 in Repubblica Ceca ed egli
scrive un saggio dal titolo “Il potere dei senza potere”, dove sostiene (con tutti gli esempi empirici
che ometto per ovvie ragioni di prolissità) che l’ideologia comunista è diventata l’alibi-ponte fra il
sistema e l’uomo, la promessa di immortalità dell’animo in cambio della coscienza dell’individuo.
Garantisce tutto, risolve tutti i problemi a patto che tutti rinuncino a se stessi. E questo avvenne,
indipendentemente dagli uomini. Il potere in quel caso era un meccanismo autocinetico di riproduzione di eventi senza dei registi e, sosteneva Havel, la dittattura sovietica era così divenuta
completamente differente dalle altre, in quanto non vi era un’elite soggiogante al potere. Che fare
quando un sistema è talmente ben edificato da uccidere la coscienza degli individui? Produrre per
osmosi il risveglio, vivere nella verità e non nella menzogna del regime. E poi? Che fare per non
vivere nell’alienazione di un mondo irriconoscibile? Come combattere un nemico che non ha una
faccia e territorio? Semplicemente non agendo. Vaclav Havel fu il grande iniziatore del processo
che portò alle rivoluzioni di velluto teorizzando come il potere dei senza potere (i singoli coscienti
di sé) fosse quello di poter decidere di non agire per il sistema e vivere nella verità, boicottando
la vita nella menzogna delle riunioni imposte, non chiamando più un proprio amico “compagno”,
non appendendo più fuori dalla porta un cartello con scritto “W la rivoluzione” senza che nessuno
l’avesse chiesto. Se ad un certo punto tutti non avessero agito per il sistema e vissuto nella verità,
esso sarebbe imploso automaticamente. E questo avvenne. Ora, quel che non avvenne è il sistema post-democratico che Havel pronosticava per il futuro, la
prospettiva di una “rivoluzione esistenziale”, ossia «una ricostituzione morale della società, cioè di
un rinnovamento radicale del rapporto autentico dell’uomo con quello che ho chiamato “ordine
umano” (e che non può essere sostituito da nessun ordine politico). Una nuova esperienza dell’essere; un rinnovato ancoraggio nell’universo; una riassunzione della “responsabilità suprema”; il
ritrovato rapporto interiore con l’altro uomo e con la comunità umana - ecco la direzione...». 8
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Ecco la mia risposta all’ultima pallina, in elegante demi-volée. Tutto ciò mi serviva per introdurre, secondo logica empirica, il tema successivo, invogliando il
buon Tersite a scendere in campo e tirare un calcio allo spara palle inanimato.
Quindi ecco la prima battuta del game: ho tentato di fare un ragionamento compiuto della tua
visione del giovane che domani sarà l’uomo. Devo ovviamente chiederti se sei d’accordo. E devo
chiederti soprattutto se la tematica del potere ancorata alle reazioni antitetiche del giovane, al
suo smarrimento, alla sua schizofrenia, alla sua mancanza di prospettive è corretta. Eppoi fare un
passo in più: se è il potere che determina il rogo delle generazioni d’oggi, come combatterlo? Con
quali strumenti? Quanto una visione orwelliana della società può essere oggi leva per la comprensione dei fenomeni (un’ottica quindi che mette in discussione molto di più di quel che percepiamo) e quanto soprattutto i fenomeni d’espressione di un mondo spersonalizzato possono essere
spiegati come una alibi del sistema per nascondere ciò che il sistema vuole imporre? Occhio Tersite, la battuta ha un effetto a rientrare, è il tema del potere che è cardine del tuo romanzo. Parlami degli Andreotti che uccidono la società, ma anche del modo di combatterli, sempre
che lo si voglia fare. Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Sat, 21 Jan 2012 16:05:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e il potere
Ciao Walter, ecco la nostra risposta alla tua seconda questione. Se è troppo lunga, facci sapere che
tagliamo noi. Alla prossima pallina!
Contro gli abusi di potere, il “potere” del narratore.
Interessante questa sfida dai toni tennistici. Prendiamo la racchetta in mano (una vecchia, datata
anni Novanta) e proviamo a rispondere alle palline, o meglio all’unica pallina che hai spedito nella
nostra metà campo, che prende il nome di “potere”.
Prima, tuttavia, ci serve fare una precisazione terminologica, che è anche premessa per l’azione
stessa. Definiamo cosa intendiamo per potere, o meglio cosa affermiamo di combattere quando
parliamo di voler “combattere il potere”: non tanto il potere in sé, quanto l’eccesso e l’abuso di
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potere. Il potere è connaturato ai rapporti umani: ragioni pratiche da sempre portano gli individui ad assegnare consapevolmente e liberamente ad altri individui il potere di prendere decisioni
obbligatorie per tutti, o comunque per chi ha deciso di assegnare quel potere decisionale. Va da
sé che il concetto-chiave è quello di democrazia. Dove manca, il potere è autoritario ed assoluto,
quindi eccessivo e abusato, e quindi da combattere; dove esiste democrazia, il potere è legittimo
e accettato, praticato nei limiti stabiliti, e quindi da combattere non v’è nulla, se non il rischio
che qualcuno provi comunque ad abusarne. Si badi bene che è proprio quest’ultima la situazione
da tempo più frequente: non più autoritarismi e assolutismi, quanto democrazie fittizie dove gli
eccessi e gli abusi di potere sono all’ordine del giorno. Ed assumono le sembianze di volta in volta
della casta della politica, del terrorismo di Stato, della criminalità organizzata, del profitto ad ogni
costo, della divinizzazione del Mercato.
Fatta questa premessa, rispondiamo dapprima alle sollecitazioni che ci vengono dalle tue riflessioni attorno agli illustri avversari degli eccessi e degli abusi di potere che hai citato, per concludere
col ruolo che possono avere dei narratori come noi in questa eterna sfida.
Cominciamo da Montale. La consapevolezza melanconica dell’inevitabile e ingiusta perpetuazione del potere imposto fa il pari con l’altrettanto inevitabile frattura tra il reale e l’ideale, ovvero tra
ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Questa frattura è insanabile, perché “ciò che dovrebbe essere”
supera sempre “ciò che è”, in una sorta di naturale slancio verso l’ignoto, perché il noto alla lunga
appiattisce e logora. Ricorda, se vogliamo, l’Ulisse dantesco che sfida i limiti geografici imposti dal
potere di Dio per raggiungere l’ideale peccaminoso ed esaltante della piena libertà. Questa frattura
interna, dunque, è irrisolvibile e fa parte del corredo genetico-sociale dell’essere umano.
Tuttavia, l’attuale mondo spersonalizzato e liquido, che tu riprendi da Bauman, non va inteso
in modo cristallizzato, come se la storia fosse giunta alla fine e il sipario fosse prossimo a calare definitivamente. Siamo sicuramente di fronte ad un passaggio epocale che determinerà uno
stravolgimento del sistema a cui noi siamo stati abituati e che per comodità possiamo definire
“moderno” (cioè produttivista, capitalistico, individualistico, tecnologico). Lo abbiamo già detto
in precedenza: come ogni generazione (o fascio di generazioni) che vive sul limitare di una svolta
simile, anche la nostra sta subendo il feroce colpo di coda del potere in affanno, senza avere ancora
la possibilità di scorgere in modo definito l’orizzonte che si sostituirà a quel potere. La spersonalizzazione liquida, dunque, non sarà eterna, ma connoterà per sempre la nostra plurigenerazione.
Insomma, l’utopia (ovvero “ciò che dovrebbe essere”) vedrà come veri protagonisti gli uomini di
un prossimo fascio generazionale (come accadde alla generazione di Foa), mentre a noi rimane
il compito di seppellire dignitosamente questa epoca e il suo potere, accelerandone il processo di
dissolvimento e attenuandone magari l’impatto distruttivo.
Veniamo ad Havel. La resistenza “in-attiva” dei senza potere ricorda molto la resistenza antieroica di
chi ha capito che il potere non si combatte con le sue stesse armi, ma si combatte inoculando in esso
ciò che non è, in una forma di sabotaggio ontologico. Detto più semplicemente: se la nostra plurigenerazione intende combattere il potere che si sta dimenando violentemente per evitare la sua implosione, non può riprenderne le modalità d’azione, ma deve assumere un comportamento antitetico.
Per questa ragione, il potere dei tecnocrati non si combatte affidandosi alla tecnica, ma superando
la tecnica, così come il potere del capitale si combatte superando il capitale. Il potere teme chi gli
contrappone qualcosa che lui non è, mentre non teme affatto chi usa contro di lui le sue stesse armi.
Ma a questo punto siamo giunti all’ultima pallina, quella in mano ad uno scrittore che si “scontra”
con il potere. Ed arriviamo al dunque: raccontare storie può servire allo scopo di combattere il
potere, ovvero i suoi eccessi e i suoi abusi? Questa è la domanda che ci poniamo come scrittori,
trovandovi risposta positiva. Facendo narrativa, si possono combattere gli eccessi e gli abusi di
potere. Come? Gli strumenti a disposizione del narratore sono soprattutto due, uno di forma e
uno di contenuto.
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Sul piano formale, l’arma vincente della narrativa è la sua capacità di “accattivare” il pubblico. La
forma del racconto, rispetto alla forma della cronaca – giornalistica o storica – ha il vantaggio di
poter fare leva con maggiore intensità – e maggiore legittimità – sulle emozioni. E le emozioni
aiutano a girare pagina, o a non cambiare canale. Ed ecco che suscitare interesse attorno alla strategia della tensione e alle bombe del ’92-’93, per fare un esempio che ci riguarda da vicino, diventa
più facile se puoi affidarti a un giornalista con problemi di cuore, a un gruppo di giovani in pieno
tumulto emotivo post-adolescenziale o a un “cattivo” senza volto che manda in giro enigmatici
messaggi in codice. In altre parole, diventa più facile, se puoi emozionare.
Sul piano contenutistico, il vantaggio da cui parte la narrativa è strettamente connesso col precedente. Parliamo della possibilità di dare libero sfogo alla fantasia. Il giornalista e lo storico forse
possono provare ad emozionare, ma di certo non possono inventare. Il narratore sì, fa in sostanza soltanto quello: creare. Situazioni, personaggi, ambienti. E la fantasia può servire, se usata in
modo intelligente, ad andare oltre il problema rilevato a suo tempo da Pasolini (non a caso lui
stesso grande narratore, per immagini prima che per parole): parliamo della mancanza delle prove
quando le prove, però, non servono, perché le cose si sanno. Io so, diceva Pasolini, ma non ho le
prove. E allora smetto di fare cronaca, e inizio a fare narrativa. Così, ad esempio, posso raccontare
di uno Stato che nel ’92-’93 si è reso responsabile dei morti a Palermo, Firenze e Milano, anche se
mancano le prove, anche se non c’è una verità storica condivisa, ma solo indizi.
È in questo modo che il narratore combatte gli eccessi e gli abusi di potere. Non sappiamo se lo
faccia meglio di altri. Diciamo che può farlo prima, e con più libertà, costruendo scenari possibili,
spingendo il lettore ad andare oltre l’esistente e abituandolo a guardare un metro più avanti rispetto alla realtà che il potere gli somministra quotidianamente.
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Sat, 14 Feb 2012 14:17:00 +0100
Oggetto: Fwd: Tersite e il potere
Ciao Walter, non abbiamo più avuto tue notizie!
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Tue, 17 Feb 2012 01:04:00 +0100
Oggetto: Tersite e l’ideologia
Eccomi eccomi Tersite! Vivo e vegeto, che è già qualcosa visto l’andazzo di cui parla la triade della
politica europea. Ed io che ero rimasto a Moggi, Giraudo e Bettega...
Ho in sottofondo Irene Fornaciari che canta non so che, ma ricordo che è stata l’unica a portare in
queste sere a Sanremo una canzone decente. Scritta da Van der Sfross mi sembra.
Bimba e mamma sono incastrate in posa per me irraggiungibile sul divano ed io son qui, attanagliato da un certo senso di colpa che negli ultimi due giorni si è troppo insinuato nelle azioni
quotidiane e per il quale l’unica cosa da fare è sedersi e scrivere, indipendentemente dalla lucidità
desiderata. Sì perché questa mia latitanza è dettata dalla cronica ed ingestibile mancanza di tempo
che in epoca pre-crisi economica e pre-vita genitoriale non era tale. In sintesi, tra oberosità lavorativa e una neonata da crescere arrivo a poter far le mie cose in orari nei quali la maggior parte
delle volte sono in fase ronfante.
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
Ma vabbè, per il lavoro è solo una fase, per la famiglia che chiedo di più dalla vita, per l’intervista
a Tersite...mi sento una merda! Scusami davvero amico, non sai quanto abbia apprezzato la tua
ultima mail. La bontà della vostra partecipazione politica e sociale alla vita traspare in tutto e per
tutto da questo e spiega benissimo il perchè abbiate il successo che avete con i vostri scritti. E mi
fa esultare per aver visto così bene. E di poterti chiamare amico. Grazie.
Bene, sono carico e sveglio abbastanza per la prossima pallina che neanche l’avessi fatta a mano da
quanto c’ho messo a sfilarla dalla tasca dei pantaloncini.
Tema: IDEOLOGIA.
Subito secco e diretto, incipit anziché conclusione. Mi sembra corretto, giusto per non annoiarci
troppo.
Perché dell’ideologia dobbiamo proprio parlare. Perché dell’ideologia parliamo in ogni scritto che
ci inviamo, sotto forme diverse, come completamento di un ragionamento, come passaggio logico,
come fondamenta del dibattito sul mondo.
Il percorso che ti propongo però non è a casaccio, altrimenti ti renderei la vita troppo facile. Infatti parto dal tuo assunto sulla doverosità dei comportamenti imposti rispetto alla “naturalità”
dell’ideale. L’antitesi è tale dall’alba dei tempi, ma ha avuto il suo apice nel formalismo dei padri
costituzionali dell’Europa continentale. Ebbene, taloro, con Hans Kelsen in testa, han imbastito
le colonne d’Ercole del mondo d’oggi con l’edificazione delle costituzioni dalle quali deriva anche
quella italiana. Periodo l’inizio del ‘900, epoca d’incertezze tra istinti ugualitari, dirigismo statale, liberalismo giolittiano, leninismo imperante. Tempo dei crucci filosofici sui diritti dell’uomo,
mondo nel quale son mutati equilibri più o meno millenari.
Con la formazione delle democrazie delle leggi (e non quelle dei principi) l’antitesi reale-ideale si
è risolta magicamente con la cancellazione della seconda. Un sistema democratico costituzionale
non poteva prevedere comportamenti che non fossero regolati dalla norma, fosse stata essa formale od informale. Il principio stesso del reato (esempio penalistico, ma che mi va benissimo ora)
non avrebbe oggi senso se non fosse così; se c’è un illecito DEVE esserci una sanzione, altrimenti
l’illecito non esiste. E le sanzioni non esistono nel mondo dell’essere, in quello che c’è già ed ora,
ma devono essere create prima che l’illecito si verifichi. Allo stesso tempo questo sistema ha creato
l’universo del dover essere anche nella consuetudine del comportamento, secondo cui oggi noi
veniamo sanzionati negativamente dagli altri per qualsiasi cosa si faccia al di fuori della regola non
scritta e siam visti come detrattori di uguaglianza.
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
Mondo regolato ed egualitario, mondo nato ad inizio secolo e tale oggi. Quel che mi chiedo, e che
ti chiedo, è il come questo principio (assolutamente non dibattibile, lungi da noi altrimenti poveri
lettori) e questa forma di Stato abbiano forgiato il secolo breve, i suoi estremismi, le sue brutture e
quanto si siano propagginati oggi. Nel romanzo c’è molto di ciò in forma stereotipata, con chiaro
l’obiettivo di istigare la contrapposizione sociale nell’ideologia dei personaggi che compongono la
narrazione, il romanzo e la rappresentazione del mondo per il lettore. Questa tua logica l’ho letta
come un regalo per il pubblico, come un parabola, una forma semplificata di rappresentazione
di conflitti del mondo data da quella cosa sporca che è l’ideologia. Ovviamente non solo politica,
ma anche l’ideologia come patrocinio delle idee assolutistiche del se stesso, dell’egoismo che ci distrugge la socialità e, se mi permetti uno svolazzo di narcisismo dialettico, la socievolezza. Come
direbbe Guccini, e molto meglio di me, dell’egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti.
Altrimenti non staremmo discutendo dell’ideologia tout-court.
Un ghimmifaiv di quelli datati anni novanta,
Walter
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Sun, 19 Feb 2012 21:44:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e il potere
Ciao Walter.
Ecco il nostro ultimo contributo.
Capiamo le tue esigenze sia familiari che professionali, quindi non farti angosciare dal tempo. La
conversazione proseguirà nel rispetto dei tempi di vita :)
Ah, che ne dici se nel frattempo pubblichiamo alcuni estratti della nostra chiacchierata sul nostro
sito?
Un caro saluto,
TR
Permettici una premessa terminologica.
Se con “ideologia” intendiamo uno “sguardo forte” sul mondo, lo sguardo di chi prende posizione
e non si nasconde ipocritamente dietro un falso neutralismo, ebbene Tersite Rossi è uno scrittore
ideologico, così come sono ideologici i suoi romanzi.
Se, invece, come ci sembra dalla tue parole, per “ideologia” intendiamo l’assolutismo del pensiero, ovvero la sottomissione a priori ad uno schema che filtra rigidamente la realtà, impedendo
all’individuo di mettere e mettersi in discussione, ebbene allora Tersite Rossi e i suoi scritti sono
anti-ideologici.
Tenendo fede a questa seconda interpretazione, siamo costretti, ancora una volta, a ritornare ad
un’altra contrapposizione, che corre parallela rispetto a quella ideologia/anti-ideologia, ovvero
quella eroe/antieroe.
Hai colto nel segno, scorgendo all’interno del romanzo una parabola dell’eterno conflitto dettato
dall’ideologia. I ragazzi del Gruppo e Antonio Castellani sono anti-ideologici in quanto non smettono di mettere e mettersi in discussione, mentre dall’altra parte emergono i personaggi ideologici,
con tutti i loro -ismi, sociali o privati che siano.
E la frattura tra i due blocchi - che alcuni ci hanno rimproverato in quanto “manichea” o “semplicistica” - vuole essere l’espressione della medesima frattura esistente nella storia tra gli eroi, che
lasciano il sigillo definitivo sulle vicende storiche quasi fossero di loro proprietà, e gli anti-eroi,
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
che, invece, mettono sotto scacco la società costruita dagli eroi, costringendola a superarsi continuamente e a non fermarsi nella rigidità assolutistica di una visione, per quanto positiva possa
essere o sembrare.
In questo senso, il Novecento non si distingue da tutti i secoli precedenti, poiché in esso come
negli altri vincono le ideologie “eroiche” che mettono la loro etichetta su un’epoca, o su una civiltà,
o su un popolo. Ma sottotraccia c’è chi quelle etichette le ribalta, o che crea le condizioni affinché
siano ribaltate, e di cui non resta nulla, a causa dell’oblio imposto dagli eroi.
Eppure senza lo slancio critico e - passaci questo termine adorabile - utopico, caratteristico degli
antieroi sconfitti e dimenticati, la storia sarebbe soltanto la sequela di etichette più o meno violente, più o meno coinvolgenti, più o meno colorate.
Così è stato per il Novecento e così è per il nuovo secolo. Le contrapposizioni ideologia/antiideologia e quella eroe/antieroe sono sempre attuali e nostra intenzione è di narrarne le gesta o,
ancora meglio, i volti.
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Sun, 04 Mar 2012 20:01:00 +0100
Oggetto: Tersite e la verità
Eh, amico narratore di gesta antieroiche, in questi casi a me vien sempre in mente la rivolta di
Bronte dell’agosto 1860, storia educatrice quanto ammonitrice di quel che affermi.
Tutti (o quasi) l’han letta nei libri di storia delle scuole superiori quale classico del positivismo in
“Libertà” delle Novelle Rusticane di Giovanni Verga. E tutti (o quasi) sono trasecolati di fronte
agli eccidi che furono compiuti da parte del popolo in nome di Garibaldi e dell’aria di libertà che
portava con sè, annuendo mentre leggevano le gesta compiute per riportar l’ordine da parte di
Nino Bixio. Fatto importante che un avvenimento così piccolo nel mare del risorgimento italiano
fuoriesca ancor oggi nei libri di scuola, potremmo dire. Ma non è così o lo è in parte. Lo è sicuramente finché non si prova a leggerlo dalla parte che non è quella della ragion comune, o forse
ragion di Stato di allora, sicuramente di oggi.
Andiamo con ordine.
Cercherò di essere sintetico ed allo stesso tempo esaustivo. Garibaldi sbarca in Sicilia per la liberazione della stessa con i suoi 1000 uomini. Coglie i Borboni di sorpresa e, dopo un po’ di battaglie
(fra cui quella tatticamente eccellente di Milazzo), arriva a conquistare l’intera isola. Autoproclamatosi dittatore, istiga lo scatenarsi delle rivolte a Bronte e dei paesi ad esso limitrofi (il 2 agosto),
attraverso lo spirito di liberalità che aveva insinuato nella popolazione, anche per ovvie ragioni
di reclutamento. Infatti egli aveva emanato (il 2 giugno) un decreto in cui prometteva soccorso ai
bisognosi e divisioni delle terre; senza tanto addentrarci in letture sociologiche, quando un sistema crolla, crolla la società che esso controlla e tutto ciò che avviene poi non è altro che folla nella
piazza, ossia la mancanza di azione sociale con principi. Questa assorbe e reagisce istintivamente ed illogicamente ai nuovi agenti esogeni che vanno ad introdursi in essa. Risultato: Garibaldi è
stato direttamente responsabile dei massacri che gli abitanti di Bronte prorruppero, provocatore di
rivolta contro il potere presente nel territorio. Primo punto a sfavore dell’interpretazione dei libri
di scuola e della ragion comune riguardo all’eroe.
Mino Milani nel suo romanzo “1860” racconta i fatti avvenuti in quel 2 agosto come una sorta di
rivoluzione culturale alla Mao Tze Tung, con palazzi distrutti assieme alle loro allegorie di potere
e benestare, presa dei simboli del sistema e loro uccisione, il tutto in ovvia salsa condannante le
mostruosità delle belve di popolo, pietismo per le vittime altresì colpevoli di aver schiacciato il po-
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
polo, ma neanche tanto, ed esultanza per l’arrivo dell’uomo d’ordine Nino Bixio, eroe delle genti e
della ragion di Stato. Bene, il massacro coinvolse 16 notabili di Bronte, fra cui la latifondista Ducea
di Nelson, vera proprietaria del territorio. Costei era l’erede di Nelson e quindi un’inglese, e come
tale il Garibaldi non poteva rimaner fermo di fronte all’accaduto essendo il reggente dell’isola.
L’uomo dei due mondi era infatti appoggiato dagli inglesi e gli interessi commerciali della Corona
britannica andavano mantenuti. Ma questo nel mio testo di letteratura non c’era; si leggeva solo
l’eroe in camicia rossa senza macchia e avulso dalle sporcizie politiche del mondo. E siamo al secondo punto a sfavore dell’eroe solo sulle carte.
In fretta e furia Garibaldi mandò dunque il suo futuro Maggiore Generale, Nino Bixio, a sedare la
rivolta ed a far giustizia. Anch’esso eroe del risorgimento nei libri di scuola, anche se in salsa leggermente più sfuocata rispetto al suo capo. Infatti il Nostro era talmente focoso ed impetuoso che
anche nei miei ricordi di storia prima degli esami era tale. Il che significa che nemmeno la storia
ufficiale è riuscita a ripulirlo a sufficienza. Rimane però nei miei ricordi, come credo in quelli che se
ne ricordano, l’immagine di un Mussolini duro, ma eroe autentico di cui necessitava la nazione per
la sua liberazione. Una sorta di braccio armato con la bandana della pace della rivoluzione. Anche
Milani ne parla come di un duro di quelli veri. Narra il suo romanzo che per giungere a Palermo, e
conquistarla il 6 giugno, i garibaldini dovettero aggirarla su sentieri impervi e nascosti, con tempo
inclemente e marce forzate. Bixio aveva una cavalla bianca (vado a memoria, mea culpa per eventuali inesattezze) che ad un certo punto non voleva più proseguire. Dopo qualche tentativo di smuoverla Bixio la sollevò di peso e la gettò in un crepaccio, foriero di qualsiasi affetto e soltanto rabbioso per
il tradimento del suo animale, che non aveva capito la solennità della sua causa. Il durissimo Bixio
arrivo a Bronte dunque ed arrestò 150 persone a caso, molto probabilmente poche delle quali colpevoli dato che i più esagitati si erano già dati alla macchia. Vennero tutti processati sommariamente,
alla faccia della pedagogia civico-nazionale di Crispi e Cavour, sostenitori della spedizione garibaldina. Cinque uomini furono condannati a morte; uno di essi era il sindaco acclamato post-rivolta,
Nicolò Lombardo, accusato di essere l’organizzatore dell’eccidio, senza alcuna prova a sostegno di
ciò. Lo stesso avvenne con un altro condannato, Nunzio Ciraldo Fraiunco, lo scemo del villaggio, un demente non capace di intendere e volere. Il sindaco non fuggì nonostante potesse contare
sull’appoggio della popolazione per non venir meno al proprio onore: venne fucilato con Bixio che
scacciò una donna che gli aveva portato delle uova la sera prima dell’esecuzione, allontanandola con
la spiegazione che Lombardo non necessitava di uova perché il giorno seguente avrebbe avuto due
palle piantate in fronte. Al povero Nunzio nessun fuciliere ebbe il coraggio di sparare; s’inginocchiò
piangente a Bixio chiedendo la grazia e di risposta ebbe una pallottola in fronte dal Maggiore.
Eroi ed antieroi si mescolano negli eventi e tutto torna secondo il modo che più fa comodo al sistema, al potere, ai governanti. E’ la storia del mondo, quella storia che tanto cerchi di raccontare tu,
Tersite. Lo stesso Verga, se vogliamo tornarci per chiudere in bellezza, ha palesemente affumicato
la novella su Bronte in pro-garibaldini, omettendo fatti nella narrazione degli eventi, trasformandone altri, fra cui il personaggio di Nunzio Fraiunco, divenuto nano malefico al posto di demente
che girava trombettando dentro una latta, nell’ovvio tentativo di ribaltare il personaggio rispetto
alle sue facoltà mentali, in modo da garantire coerenza di condanna.
Se pensiamo Verga possa esser stato falso intellettualmente per poter giustificare i fondamenti del
positivismo di quel momento storico, tanto dobbiamo imparare dalla storia, dall’ideologia, dalla
merda di questo mondo. E tanto dobbiamo chiedere agli scrittori di oggi, a chi vuol essere autentico con i fatti, porgendo alla società civile la possibilità di emanciparsi vivendo nella verità delle
cose e non nella loro mistificazione.
E’ questo il futuro del mondo intellettuale Tersite? O è solo un auspicio? La società civile sarà in
grado di rimuovere i mistificatori di realtà che ci narrano inautenticamente il mondo in tv, nei
giornali, libri, attraverso i proclami politici? E il futuro sarà mai nelle nostre mani?
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
A presto
Walter
P.S. Caro Tersite, ottimo l’inserimento dei tuoi pensieri nel tuo blog, che siano forieri di ispirazioni
per nuovi capitoli di storie, storia e verità.
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Sun, 18 Mar 2012 15:53:00 +0100
Oggetto: FW: Tersite e la verità
Reinoltro, nel caso non ti fosse arrivata.
Con grandi complimentazioni per un paio di cosette, di cui parleremo...
A presto
Walter
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Sun, 18 mar 2012 16:55:00 +0100
Oggetto: Re: FW: Tersite e la verità
Ciao Walter, era arrivata. Se la fortuna ci assiste, riusciremo a rispondere a brevissimo alla tua
nuova, interessante, sollecitazione. Solo che siamo un po’ presi in questo periodo (e nei prossimi
mesi, con l’uscita del nuovo romanzo, sarà sempre peggio...). A presto! TR
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Mon, 19 mar 2012 11:05:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e la verità
Ciao Walter, eccoti la risposta. Il discorso fra te e noi si è fatto molto ampio. Immaginiamo che
adesso tirerai le fila per dargli una forma pubblicabile, giusto? A presto e grazie! TR.
Parlare della realtà, inventandola.
La verità è un concetto ambivalente. Persino, e paradossalmente, ambiguo. In suo nome, si possono fare battaglie civili contro il potere che abusa e uccide. Ma anche commettere i medesimi abusi
e le medesime uccisioni per difendere quello stesso potere.
Non possiamo dimenticare l’essenziale lezione del relativismo, per cui la verità è un concetto costruito dagli uomini in momenti storico-sociali determinati. Uomini con culture diverse, in contesti diversi, potrebbero vedere verità diverse. Realtà diverse. Quello che conta, quindi, non è tanto
la verità in sé, o la visione del reale, quanto il modo in cui si arriva a quella verità o a quella visione,
ovvero come una determinata collettività arriva a condividere il fatto che una certa cosa è vera,
che una certa cosa è reale.
Questo, uno scrittore che vuole scrivere su quanto lo circonda, deve averlo ben presente. Se lo
scrittore ha in testa soltanto una verità assoluta (e purtroppo non mancano esempi anche illustri),
svolgerà molto male il suo lavoro, per due motivi. Primo: non saprà guardare alla realtà che lo
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
circonda con spirito critico (tipico di chi è consapevole che la verità è una costruzione storicosociale sempre passibile di essere rimessa in discussione), e quindi nei suoi scritti finiranno solo
le proiezioni mentali figlie del suo assolutismo e, paradossalmente, molta poca realtà. Secondo,
conseguenza del primo: i suoi scritti non contribuiranno in alcun modo a rimettere in discussione
l’esistente, non intaccheranno in alcun modo l’immaginario dominante dei lettori, ovvero non
avranno alcuna possibilità di raggiungere quello che dovrebbe essere il principale obiettivo di chi
scrive.
Se quello scrittore, poi, è un romanziere, ovvero una persona chiamata per definizione ad andare
oltre la realtà e ad inventare storie, il discorso si complica. Perché andiamo a fare i conti con la
differenza tra chi scrive inventando e chi no. E, ancora una volta paradossalmente, è proprio il
concetto di verità intesa senza assolutismi, ma solo come mera e arbitraria costruzione storicosociale, a mettere in discussione la presunta chiarezza della distinzione tra fiction e non-fiction,
tra saggistica e romanzo.
Tra gli scrittori di non-fiction possiamo facilmente trovare quelli che mai si sporcherebbero le mani
con la fiction, vista come cosa del tutto diversa (e più misera). E viceversa. Chi alza simili barricate,
tuttavia, non vede che la distinzione tra i due modi di raccontare è molto meno chiara, molto più
opaca. Il saggista che non si sporcherebbe mai le mani con la fiction, lo fa perché pensa alla verità
come a un concetto assoluto: “Se la realtà è una, non la si può certo cogliere discostandosene”. Allo
stesso modo, il romanziere che non si sporcherebbe mai le mani con la non-fiction lo fa anch’egli
per la medesima ragione: “Se la realtà è una, si può inventarne un’altra solo discostandosene”.
Come collettivo di scrittori, noi non crediamo a una verità assoluta, e siamo convinti dell’importanza della contaminazione tra fiction e non-fiction. Scriviamo romanzi, ma sappiamo bene che
la realtà non può che finirvi dentro. E non ci metteremmo nemmeno a scriverli, se questo non
accadesse. D’altra parte, la scelta stessa del romanzo, se viene praticata con l’obiettivo di parlare
della realtà e di metterla in discussione, è un modo per tenere lontane le verità assolute. Ti parlo
della realtà, inventandola. Questo è il nostro motto ossimorico contro ogni assolutismo del vero.
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Mon, 19 Mar 2012 13:12:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e la verità
Mi becchi or ora in ufficio, Tersite. Grazie, letto tutto d’un fiato. Ed hai ragione, è ora di tirare le fila
e, non so ancora bene come, rendere tutto il nostro esperimento pubblicabile. Non ho dubbi però
che sarà una figata, in qualsiasi forma riesca a comporre il tutto. Ovviamente se avessi problemi di
taglio ti avverto e ti chiedo delle revisioni, prima che sia troppo tardi per problemi di tempo visto
l’imminente lancio del tuo nuovo libro...
Proprio per questo però Tersite vorrei mi parlassi del FUTURO. Del futuro nostro, del futuro del
mondo, soprattutto del futuro tuo. Lo devo a Te che sei stato un grande compagno di allenamento
celebrale nel nostro inverno fatto di farfalline di Belen, Mario Monti nuovo messia e poco altro.
Lo devo a Voi che mantenete viva ogni speranza di mondi migliori con la vostra passione civile,
che vi ha portato perfino a incasinarvi con i miei esperimenti.
Facci conoscere il futuro, il tuo futuro con “Sinistri” e il futuro di “Sinistri”.
Grazie
Walter
P.S. Calcola che non so se avrai già pubblicato il romanzo quando andremo in stampa.
P.S. 2. In bocca al lupo per il “Penna d’Autore”!!!
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Mon, 19 mar 2012 14:55:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e la verità
Ok Walter, raccogliamo anche quest’ultima pallina. Il nostro romanzo esce il 9 maggio, ma poco
importa per darti la risposta che chiedi. Crepi il lupo e a presto! TR.
Da: “Tersite Rossi” [email protected]
A: “Walter Moretto” [email protected]
Data: Mon, 19 mar 2012 19:43:00 +0100
Oggetto: Tersite e il futuro
Ciao Walter. Eccoti il nostro ultimo rovescio mancino. Tienici aggiornati sull’evoluzione del pezzo
e sulla sua pubblicazione, lo attendiamo con molto interesse. A presto! TR.
Tersite e il futuro.
Cosa farà da grande Tersite Rossi non lo sa molto bene. Del resto lo stesso aggettivo “grande” non
gli garba molto, per motivi di statura. Probabilmente continuerà a vivere sotto le spoglie “civili”
di un giornalista e di un professore, mascherandosi nottetempo da scrittore o scribacchino, per
tessere i fili di una nuova trama, che parta dalla realtà, s’impenni nella fantasia e ricada, dall’alto,
nuovamente sulla realtà per darle un nuovo colore, un nuovo cenno d’osservazione.
In effetti, la mente di Tersite non è rivolta soltanto all’ultimo romanzo (“Sinistri” - Edizioni e/o),
ma ad un romanzo che frulla da parecchio tempo nella bicefala. Un romanzo nel quale, a differenza del primo in cui parlano i fatti e del secondo in cui parlano i simboli, a parlare sia il destino
metafisico dell’umanità, una sorta di umano oltre l’umano, attraverso il quale passato e futuro si
stringano in un’unica parabola evolutiva senza positivistico progresso. In salsa vagamente hegeliana, se l’espressione non ci procurasse un brivido lungo la schiena e un rossore d’imbarazzo. E
questo terzo romanzo, che più o meno scherzosamente potremmo definire l’opus magnum, si
innerverà del nostro consueto sguardo sulla storia e sulla società. In particolare la società verso
cui stiamo correndo, quella di un futuro che è già presente.
E allora che ne sarà di noi? Inutile ripetere che le nostre generazioni sono destinate a bruciare
sull’altare della storia. Il nostro interesse deve rivolgersi al “dopo di noi”, quando il mondo tardo
imperiale sarà ad una svolta e il sistema imploderà su se stesso. E questa è una certezza. La vera
incertezza riguarda cosa accadrà dopo. E qua ci fermiamo, perché la sfera di cristallo non è nel
nostro equipaggiamento. Possiamo soltanto affermare che ciò che adesso appare impensabile, innaturale, unheimlich (per dirla con Freud, perturbante), sarà limpido, cristallino, reale.
Per questo spetta agli scrittori, e pure a noi, tolti gli abiti civili e indossato il pigiama del Superpippo narrativo, lanciare i primi segnali di fumo. Per aprire un orizzonte che possa accompagnare chi
vorrà leggere dentro il nuovo paradigma. Per diventare, insomma, novelli Ulisse che osano sfidare
le colonne d’Ercole, non per mostrare soltanto che gli uomini non sono fatti per vivere come bruti,
ma per osare oltre il limite imposto dal dio maligno dell’omologazione realista, e trascinarsi tra i
flutti fino alle vette, e ancora più su, dove solo il folle volo li può condurre.
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
Da: “Walter Moretto” [email protected]
A: [email protected]
Data: Tue, 20 Mar 2012 00:14:00 +0100
Oggetto: Re: Tersite e il futuro
Mi sembra giusto concludere come avevo iniziato, con una delle ragioni che mi aveva spinto a
scriverti. Il sognatore spera sempre che ogni giorno nasca qualcuno con tanta voglia di spiccare il
volo, come Gaber prosava nei teatri. E che qualcuno s’occupi sempre di spargere nell’aria polvere
di fata, sotto la forma che si preferisce, purché di sostanza si parli. Ne stai producendo di eccezionale qualità Tersite, non ti fermare che gli anni buoni son questi, in
cui fa caldo in primavera e tutti i vini vengon buoni.
E... aspetta. Chi vince la partita? Il tuo ultimo tiro sinistro aveva un ghigno di vittoria ma...la partita io so chi l’ha vinta.
Abbiamo cominciato a scriverci con una bimba piccina che dormiva rannicchiata a portata d’occhio e che apriva gli occhi sul mondo solo per poco, il tempo d’impaurirsi dell’ignoto che intravedeva, giusto il tempo per richiuderli e nascondersi dentro il buio caldo che le ricordava i suoi
trascorsi, in fondo tutta la sua vita.
E ci riscriviamo oggi con una bimbotta che vive urlacchiando e saltellando sulle gambe del papà,
che s’incazza se non le dai la mela cotta prima del latte, che non piange mai, che sorride a tutto quel
che vede e che ride almeno una volta ogni 5 minuti. Che ora dorme come tanto tempo fa (nella sua
vita), ma spaparanzata sul divano a braccia aperte e bocca spalancata.
E’ lei che ha vinto, che vince sempre, come le speranze che un mondo migliore sia possibile.
Grazie
Walter 19
La Theka N. 15 - Anno IV - Appendice dell’inserto speciale
Sinossi del romanzo
“È GIÀ SERA, TUTTO È FINITO”
di Tersite Rossi (ed. Pendragon)
Luglio 2001: un gruppo di giovani amici, un ex giornalista d’inchiesta e un oscuro personaggio proveniente da Roma si ritrovano
nello stesso luogo, Genova, richiamati dalla stessa occasione, la riunione del G8. Non li accomuna apparentemente nulla. Eppure, le
loro vite si sono già intrecciate in passato, anche se probabilmente
ciascuno di loro ha fatto di tutto per dimenticarlo. Comincia così,
da quello che sarà poi il teatro del suo epilogo, un romanzo fatto di
storie e di destini intrecciati, combinati dentro una trama complessa e vivace, animata da diversi personaggi che percorrono inconsapevolmente la stessa strada. Costruito su una puntigliosa documentazione storica (inserita in Appendice e relativa soprattutto ai
“dimenticati” fatti dei primi anni Novanta), il romanzo ha lo scopo
di incastrare la Storia pubblica e la storia privata, dando al lettore il
piacere di trovare mescolato alla fiction un cospicuo numero di
riferimenti storici reali, funzionali allo svolgimento della narrazione. Il titolo del romanzo è ripreso dall’ultimo verso della poesia
“Tramonto” di Nadia Nencioni, vittima a soli nove anni della strage dei Georgofili del 27 maggio 1993
(un fatto che segnerà una svolta nelle vicende dei protagonisti del romanzo). Il personaggio principale è Antonio Castellani. Nato in Molise nel 1947 da genitori contadini, da ragazzo si dibatte tra gli
amati campi del nonno, le ambizioni del padre che lo vuole ingegnere, una precoce passione per la
letteratura e l’amore non corrisposto per Maddalena. Gli anni del liceo svelano ben presto la sua vena
ribelle e contestatrice, di cui fanno le spese suo padre e i suoi insegnanti: quando arriva a Roma per
cominciare l’Università, nel 1967, Antonio è già pronto per il Sessantotto. Ma il “suo” Sessantotto sarà
diverso da quello degli altri: mentre i compagni si dividono ben presto in gruppi e gruppuscoli autoreferenziali, Antonio inizia a mettere in discussione modalità e obiettivi della contestazione. Cade
così in una profonda crisi d’identità che lo porta a scegliere l’amore sbagliato, la tormentata Silvia, e a
incrinare il rapporto col migliore amico, l’entusiasta Carlo. Fino a che, in una sola terribile giornata
del febbraio 1977, una tragica combinazione di eventi gli fa finalmente capire di aver perso ciò che
forse si era soltanto illuso, per troppo tempo, di aver posseduto: amore, amicizia, ideali. È alla Milano
da bere dei rampanti anni Ottanta, dove si rifugia e diventa dirigente d’azienda grazie al favore di un
vecchio amico, che Antonio, trentenne ormai disilluso, affida il compito di annegare i fantasmi del
passato, a colpi di successo, cocaina, belle donne, tangenti. Poi, nel 1988, un lutto doloroso e inaspettato lo riporta a Roma, dove i conti col passato finalmente si chiudono e il filo che s’era spezzato nel
’77 sembra riannodarsi. Antonio ritrova Maddalena che scopre di amare ancora senza poter essere
ricambiato – e Carlo, il quale, diventato caporedattore di un noto settimanale, gli offre la possibilità
di tornare a fare ciò che ad Antonio è sempre riuscito meglio: scrivere. Il suo fiuto lo porta a scoprire
in anticipo sui tempi i fatti di Tangentopoli e Gladio, causandogli non pochi problemi di convivenza
con direttori dal bavaglio facile, che vanificano i suoi sforzi. Preda ancora una volta della disillusione,
si ritrova più volte sul punto di mollare il mestiere, fino a che, nel 1991, un testimone in punto di
morte e senza nulla da perdere lo mette sulla difficile e pericolosa pista degli intrecci tra mafia e po20
La Theka N. 15 - Anno IV - Appendice dell’inserto speciale
litica. Mentre, contro tutto e tutti e appoggiato solo da Carlo, lavora a questa che si rivelerà essere
un’inchiesta interminabile e logorante, arriva sulla sua scrivania un indecifrabile messaggio siglato
“G.P.”. È la fine del 1992. Nei mesi successivi seguono a cadenza regolare altri messaggi, altrettanto
enigmatici. Antonio ne capisce progressivamente il senso: anticipare e poi spiegare le terribili stragi
del 1993, guidandolo nella ricerca dei loro moventi. Si accorge tardi che con quei messaggi il suo informatore misterioso gli sta in realtà lanciando una sfida. Antonio scopre con sgomento di ritrovarsi
a giocare con lui una partita a scacchi dalla posta altissima: la vita. Negli stessi mesi in cui Castellani
è alle prese con “G.P.” e la sua inchiesta impossibile, a Gazzolino, piccolo centro del Nordest, un gruppo di ragazzi si trova quasi per caso ad acquisire un ruolo sempre più importante nella vita sociale e
politica del paese. Sorto come generica associazione giovanile per soddisfare gli interessi dei politici
locali, il Gruppo rompe presto con questa logica e dichiara guerra al mondo ormai travolto da Tangentopoli, disegnando la propria vicenda su quattro differenti traiettorie. La prima coinvolge Simone
e Roberto, i due personaggi più politicizzati e quelli destinati a pagarne maggiormente le conseguenze al momento del nuovo riflusso. Simone è un panettiere di 23 anni che ha visto il padre morire di
cancro a causa della diossina sprigionata dalla fabbrica in cui lavorava, e che ad un certo punto ingaggia un personale quanto velleitario scontro contro tutti i “poteri”, vecchi e nuovi. Roberto, invece, è
uno studente universitario, militante comunista, che impara a conoscere a sue spese l’ambiguità e gli
inganni dell’ideologia. Entrambi trascinano il Gruppo nella sfortunata avventura delle elezioni comunali, che si rivelerà fatale per i loro sogni. La seconda traiettoria riguarda Massimo ed Elisa, il cui
rapporto d’amicizia, mai chiarito del tutto nelle sue sfumature sentimentali, è il motore dello spirito
di formazione presente nel libro (che per certi versi può essere letto come un Bildungsroman). Personaggi dall’esistenza complessa, i due incarnano fino in fondo il destino del Gruppo, in eterno bilico
tra paradiso e inferno. Massimo, studente modello e bassista per diletto, dal suo rifugio segreto tra i
rami di un faggio cerca di trovare il senso forte ad una vita troppo “normale”. Elisa paga invece sulla
sua pelle la sottomissione ad un padre autoritario che improvvisamente abbandona la famiglia e
scappa lontano dopo essere stato coinvolto in uno scandalo di tangenti e politica. La vita dei due ragazzi corre parallela tra successi e sconfitte fino al tragico epilogo finale di cui saranno le principali
vittime. La terza traiettoria interessa Diego e Chiara, e la loro storia d’amore passionale, contraddittoria, feroce. Lui, aspirante archeologo, paga il tributo ad un padre alcolizzato e violento cui si ribella
senza cancellare però la sensazione di essere sempre in trappola, che lo tormenta e alla fine lo induce
a lasciare il Gruppo per rifugiarsi nel caldo abbraccio della Folgore. Chiara, invece, giovane assistente sociale del Comune, è un’eroina tragica la cui sorte si abbatte inesorabile sui propri sogni quando i
suoi due amori naufragano senza che lei possa fare nulla per evitarlo. La quarta traiettoria, infine,
prende la forma del diario di Caterina, una quattordicenne che descrive, con uno sguardo allo stesso
tempo ingenuo ed acuto, i piccoli drammi e i piccoli trionfi dell’adolescenza. I suoi occhi sono gli
occhi del lettore, che in sua compagnia può scoprire la possibilità di ribellarsi e dire no ad una vita
convenzionale e passiva. Fuori dal Gruppo, ma sempre a Gazzolino, si muovono anche altri due giovani personaggi: il perfido Unghia (caporeparto nella fabbrica dei veleni e attivo trafficante di rifiuti
tossici) e l’esaltato Brocca (figlio del padrone della fabbrica ed ex “gladiatore” fascista), entrambi emblemi di un Nordest ricco fuori e marcio dentro, che, nella vana speranza di emergere dal fango in cui
si trova a nuotare, non accetta di fare i conti con le sue contraddizioni. Il romanzo alterna in modo
regolare le vicende di Antonio e quelle del Gruppo, senza un apparente collegamento tra esse. Sarà
l’ultimo personaggio del romanzo, l’agente segreto e nazionalista croato Dragan Milic, a diventare,
per un’incredibile serie di casualità, l’anello di collegamento tra le due vicende: in un costante crescendo di ritmo, i destini di Antonio e del Gruppo si incrociano finalmente nel gennaio 1994, in un
rocambolesco epilogo di sangue ricco di colpi di scena. Il salto in avanti al 2001, nella Genova del G8,
fornisce nelle ultimissime pagine l’ideale palcoscenico per la chiusura di un cerchio da cui Antonio e
il Gruppo escono inesorabilmente sconfitti.
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La Theka N. 15 - Anno IV - Appendice dell’inserto speciale
Sinossi del romanzo
“SINISTRI”
di Tersite Rossi (ed. E/O)
Un giallo fantapolitico sull’Italia di domani (e anche di ieri)
La collezione Sabot/age è diretta da Colomba Rossi e curata da
Massimo Carlotto
Italia, anno 2023. Terza Repubblica. Un Paese guidato dal trasversale Partito della Felicità e dal dogma della pace sociale ad ogni
costo. Un Paese in cui le opposizioni sono al bando e “allarme” è
l’unica parola d’ordine. Un Paese riempito di negozi take-away in
cui trovare psicofarmaci, sesso virtuale e lifting a buon mercato.
Un movimento terroristico riemerso dal passato, che si richiama
a un gruppo di folli sovversivi, la Banda dei Nove, e ad un leader
senza volto, Àdelos. Una ragazza disposta a tutto pur di rinnegare
le proprie origini. Un traditore pronto ad aiutarla. Un omicidio
inquietante. E un enigmatico plico di racconti finito sulla scrivania del Capo della Polizia, a lanciare la sua sfida, mortale, al potere. Un romanzo, dieci racconti e un metaforico viaggio a ritroso
nella storia del Novecento italiano. Per scoprire che le risposte sul
prossimo futuro sono già nascoste nei simboli del nostro passato.
Tersite Rossi (1978 & 1978) ama considerarsi l’erede contemporaneo del Tersite omerico, un antierore che sfidò l’ipocrisia del potere ma finì bastonato e deriso. A guardare bene, dentro di lui
convivono due anime distinte: quella del professore e quella del giornalista. Entrambe, però, gli
stanno un po’ strette. Ha esordito con il romanzo “È già sera, tutto è finito” (Pendragon 2010),
appartenente al genere della narrativa d’inchiesta (finalista al Premio Alessandro Tassoni 2011).
Italia, anno 2015. Alle elezioni s’impone una nuova forza politica, il PdF, Partito della Felicità. La
vocazione populista e le promesse d’un futuro finalmente felice dopo anni di recessione gli consentono di fare un sorprendente pieno di voti. Nel giro di un paio d’anni, l’unica forza che rimane a
fronteggiare la “tecnocrazia liberticida” che il PdF sta costruendo con l’ampio consenso della maggioranza degli italiani è il Movimento Antieroico, nato sul web sotto le bandiere del radicalismo
democratico, dell’anticapitalismo, della giustizia sociale, del pacifismo e di una “nuova liberazione
sessuale”. A garantire il successo del Movimento Antieroico è tuttavia soprattutto il fascino eccentrico di chi lo guida, la Banda dei Nove e il suo leader senza volto, il misterioso Àdelos,. Ma l’ascesa
si arresta bruscamente il 15 maggio 2019, quando un’operazione della Polizia porta all’arresto dei
Nove per banda armata e terrorismo, mentre Àdelos svanisce nel nulla da cui era venuto. Il Movimento, privato delle sue guide, s’indebolisce fino ad esaurirsi. E per il PdF diventa facile mettere
definitivamente le mani sul potere.
Italia, anno 2023. Nel Paese è di nuovo allarme-sovversione. Qualcuno sta provando a resuscitate
il Movimento Antieroico, sfidando la legge che ha bandito ogni opposizione al governo del PdF. La
Polizia deve fare i conti con accessi abusivi alla rete telematica della Banca d’Italia, pacchi-bomba a
Piazza Affari, disordini nei campi di rieducazione giovanile. Ma nel tardo pomeriggio del 15 maggio di quell’anno a turbare i pensieri del Capo della Polizia Egidio Servillo è soprattutto un pacco
che gli è appena stato recapitato in forma anonima, contenente un plico di fogli dal contenuto
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alquanto strano. Un manoscritto. Una raccolta di dieci racconti, intitolata “Sinistri”. Che Servillo,
dopo la prima lettura, attribuisce al Nuovo Movimento Antieroico. Alcuni indizi gli comunicano
infatti che quel testo contiene l’annuncio del definitivo ritorno all’azione da parte dei sovversivi.
Ma sente che c’è dell’altro, qualcosa che ancora gli sfugge. Gli pare vi sia un sottotesto dietro a quel
manoscritto. Ma quale? Un’intuizione lo porta a cercare la risposta dentro un altro documento:
il dossier segreto sui Nove. Da lui fatto meticolosamente costruire negli anni della loro ascesa e
arricchito periodicamente di tutto quello che poteva servire a incastrarli: biografie, ruolo nel Movimento, personalità, pensieri, parole, fatti. E, soprattutto, scheletri nell’armadio. Servillo capisce
che, per decifrare il messaggio enigmatico che i sovversivi hanno inserito nel manoscritto, sarà
necessario alternare la lettura dei racconti con quella delle schede del dossier. E decide di farlo
subito, nel suo ufficio, anche se è già sera e sarebbe ora di rincasare.
I racconti attraversano un secolo di italiche vicende umane: da quella di Piero, operaio irrequieto
nella Torino d’inizio Novecento già segnata dalla lotta tra borghesia e proletariato a quella di Chià,
ragazzina “diversa” nell’Italia rurale e perbenista degli anni Venti; da quella di Inga, insoddisfatta
spia del KGB nell’Italia che diventa ago della bilancia alle porte della Guerra Fredda a quella del
Sessantotto mai arrivato in un paesino dell’Italia settentrionale dall’aria cupa e orrorifica; dalla
vicenda di uno squattrinato giornale di “controinformazione” alle prese con gli anni di piombo e
il rapimento Moro a quella di due giovani coppie “svuotate” e abbrutite dai televisivi anni Ottanta;
da quella di Gianni, sindacalista che vive la sua giornata da sogno ai tempi del Grande Fratello a
quella del giovane Andrea, che si ritrova spaesato nel freddo stanzone sede d’una surreale riunione
della disastrata sinistra di fine anni Duemila; fino alla vicenda di Ernesto Gavazzo, novello Masaniello lanciato contro il governo dei poteri forti ma destinato a una morte ridicola.Le schede sui
Nove contenute nel dossier della Polizia, lette in alternanza ai racconti, ricordano invece a Servillo
le movimentate e spesso iperboliche biografie dei fondatori del Movimento Antieroico: lo Scrittore, la Giornalista, la Ginecologa, l’Hacker, il Convertito, il Sindacalista, il Prete, l’Impiegato, la
Psicanalista. Tutti, a loro modo, anticonformisti radicali. Rivoluzionari. Antieroi. Folli.
Mentre Servillo è alle prese con la lettura, dal tardo pomeriggio del medesimo lunedì 15 maggio
2023 si avviano i preparativi per un attentato terroristico che dovrà compiersi proprio quella notte.
Protagonisti dell’azione sono un traditore e una ragazza. L’ispettore della Polizia Luca Zini, disgustato dalla disumanizzata realtà del turbo-consumismo imperante nell’epoca del PdF, è interessato
quasi scientificamente a capire se il contropotere può essere più forte, e quindi più giusto, del potere che finora ha servito, senza ricevere nulla in cambio. La giovane Anna, invece, è intenzionata
a vendicarsi di chi, incluso l’odiato padre zelante dirigente del PdF, ha ridotto l’Italia ad un Paese
di zombie ammaestrati.
È scesa la notte, frattanto, nell’ufficio di Servillo. Le letture del nono racconto e dell’ultima scheda
del dossier sono terminate. La sua ipotesi ha retto. Ogni racconto, come aveva intuito, contiene
un indizio che lo lega a un membro della Banda dei Nove. Ma cosa significa? Perché questa scelta?
Sarà l’ultimo racconto, il decimo, che, riportando in vita il mistero di Àdelos, guiderà Servillo
verso la soluzione dell’enigma. Fino alla scoperta, con la canna d’una pistola puntata alla nuca, di
una terribile verità. L’ultima verità della sua vita. Il mondo rovesciato.
www.tersiterossi.it
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La Theka N. 15 - Anno IV - Inserto speciale
La Theka N. 15 - Anno IV
Inserto speciale
Walter Moretto (1983) è un artigiano, carrozziere, tuttofare, papà di
Pepotta e studioso della società a tempo perso. Nel 2000 scrisse un articolo in un periodico della squadra di hockey su ghiaccio di Zoldo, dove
descriveva ruoli e propensioni di tutti i componenti della rosa. Di sé
disse: “Walter Moretto, ala destra, cerca di imparare più che può da se
stesso e dagli altri”. Quota oggi la stessa descrizione di allora, includendo in “altri” tutti quelli che combattono per un mondo migliore, come
la sua compagna Debby ed il suo amico Tersite Rossi.
Tersite Rossi (1978 & 1978), scrittore, ama considerarsi l’erede contemporaneo del Tersite omerico, un antieroe che sfidò l’ipocrisia del potere
ma finì bastonato e deriso. A guardare bene, dentro di lui convivono
due anime distinte: quella del professore e quella del giornalista. Entrambe, però, gli stanno un po’ strette.
La Theka è realizzata da
oltreconfine
associazione culturale
Periodico di informazione e partecipazione locale
Num. R.G. 685/2009 del 21/08/2009 - Num. reg. Stampa 9
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