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0DXUL]LR%RFFDIRJOL 9LD3RUWD&DWHQD²)HUUDUD 7HO (PDLOPDXUL]LRERFFDIRJOL#DOLFHLW $77(1=,21( In questo libro è stato usato un linguaggio crudo e popolare con intendimento sarcastico e satirico. Non tutte le parole qui presenti sono tratte dai dizionari della lingua italiana. Il lettore si assume la responsabilità del volere leggere le pagine seguenti. Le persone prive di spirito sono invitate a non proseguire nella lettura. Non si restituiscono i soldi e non si onorano le cambiali. ,5$&&217,'(/ 6,*12572/,0%2 di Maurizio Boccafogli Introduzione Riconoscendo a se stesso la difficoltà espressiva della scrittura dotta, Boccafogli, usando fortemente il sarcasmo e l'ironia, ha messo a confronto l'uso della parola scritta con l'uso della parola verbale, realizzando flash umoristici in cui la costruzione fantasiosa prevale sulla formula letteraria. I testi dei vari capitoli, che formano la silloge, si articolano grazie ad un linguaggio accurato dove ogni parola, ogni similitudine, hanno l'efficacia dell'originalità e della freschezza. La peculiarità delle situazioni è colta al volo con tratti essenziali, dando corpo, vita e credibilità a personaggi sognati ma verosimili, inseriti in episodi reali o realistici; che solo l'autore, conoscendone le origini, ha potuto proporre in una fantasiosa e probabile realtà. Pur non essendo mai espressamente nominato, è evidente la sovrapposizione del personaggio Tolimbo, guida sicura in questo viaggio da lui percorso in una memoria ricercata nell’immagi- nazione irriverente di un mondo dove la realtà è formata da immagini apparenti. Egli, quale protagonista, ricerca il proprio animo letterario nell'espressione vagante tra cielo e terra. Il divertente dileggio, che esalta le riflessioni di Tolimbo, accompagna situazioni intrinseche raccontate con frasi, d'uso comune, sussurrate tra il volgo. Altra caratteristica, di questo libro, è il linguaggio naif dell’autore. Egli, pur consapevole di avere forzato alcune espressioni forti, usando parole più adatte ad una parlata da strada piuttosto che riportate in un libro, ha voluto dimostrare a se stesso, e a chi lo sta leggendo, che tutti possono esprimere, in qualunque forma, i propri sentimenti, le gioie e i rancori per partecipare al movimento d'idee che contribuiscono a formare una società civile. È stato detto: "I racconti di Tolimbo" si legge con molto piacere; l’umorismo sagace non manca, e molto spesso il sarcasmo più accentuato crea situazioni paradossali e grottesche, il tutto correlato da un linguaggio spontaneo e genuino che diventa accattivante e divertente. L’ autore, coglie l' occasione per far notare quanto sia diverso il comunicare, tra la lingua italiana espressa con la scrittura e il parlato quotidiano popolare, carico di sfumature colorite e spesso sottinteso con frasi che, in un colloquio verbale tra persone, si accompagna con il gesticolare di manifestazioni facciali scenografiche. Alcuni capitoli, dove l' uso ripetuto delle parole, ritenute volgari da un pubblico borghese potranno sembrare forzate, nella realtà, sono l' espressione verbale comunemente usata dalla massa indigena italiana. Poiché: le situazioni, i fatti e i caratteri dei personaggi hanno sempre un riferimento alla probabile cronaca del lettore, essa si presenta organica per intraprendere un viaggio di sano godimento umoristico-letterario, affiancato ad un’ esplicita denuncia sociale. È stato scritto: la sicura immediatezza d’impatto con la scrittura di Boccafogli, ci trova di fronte ad un’irruente e fantasmagorica gamma di situazioni, dove l' armonia delle forti tonalità verbali trasmette lo sfogo istintivo e selvaggio dell' autore, regolato da una libera interpretazione filosofica. I vari capitoli, che formano i Racconti di Tolimbo, sono le perle naturali di una collana, che se pur raccolte da conchiglie diverse, si allineano armoniosamente in un filo umoristico, arrabbiato e ironico, di immagini vissute o raccolte nel quotidiano sociale. ,QGLFH Il materasso La bicicletta Le calze Le facce Toelettatura Le mutande Il preservativo Lo spazzolino Parolacce Caccole Il condominio La vicina La carta igienica Volare L' insulto Camminando La gita Culinaria Abbiamo perso Tutti al mare Ho ucciso il mio compagno Voglio scendere " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " Pag. 7 13 20 25 30 35 40 44 49 56 60 71 74 79 86 91 102 110 119 124 135 145 ,5$&&217,'(/ 6,*12572/,0%2 ,OPDWHUDVVR 'HGLFR queste mie brevi memorie, a tutte le gentili signore che hanno voluto collaborare alla mia ginnastica della salute. Purtroppo, la memoria m’impedisce di ricordarne i nomi; ma sono sicuro che, tra i Santi del calendario, molte di loro sono ricordate. PDWHUDVVR VP. involucro imbottito di materiali vari e poi trapunto, che si ponesulla rete del letto per un confortevole appoggio del corpo. 9ROHQGR ricordare il mio primo materasso, dovrei andare a ritroso con la memoria, diciamo: fino al giorno in cui nacqui; bella memoria! Era un piccolo porta infante, detto alla francese "porte-enfant" oppure, come si dice nel mio dialetto: pimazzina. Quel materassino, così specifico nella sua forma, era inserito in un cesto costruito con rami di vimini. Ricordo, che quando i parenti vennero a trovare mia madre, la quale aveva partorito da poche ore, li sentivo commentare di come fossero stati bravi: con un tipico cesto per la cova delle galline, arrangiarlo all' uso di culla per bambini, e dicevano, anche, che ero il più grosso pollo spennacchiato che non si fosse mai visto in paese. Tutti quei complimenti, che i parenti m' indirizzavano, m' inorgogli- vano. Per mostrare a loro il mio compiacimento, io, come un giovane attore in cerca dei primi applausi al centro del palcoscenico, gli offrivo un sorriso a tutta faccia, esponendo il primo dentino che già mi ritrovavo in bocca. (che fortuna!) Dopo la prima fase della cesta di vimini, che oggi potrebbe essere considerato un mobile di stile rustico con pregiato valore ecologico, ho trascorso un periodo che dormivo nel letto con mia madre, e lì mi sentivo un signore, una persona veramente importante; dormivo nel letto dei grandi. Nell' unica stanza in cui vivevamo, che oggi dalle agenzie immo- biliari sarebbe definita, con enfasi, "monolocale pluri accessoriato, con angolo cottura e ampia vista panoramica sulla Pianura Padana"; in quella stanza, nell' angolo opposto alla stufa, avevamo un letto con sopra un grosso materasso riempito con foglie di pannocchie del granturco. Oggi il granturco è di moda chiamarlo "mais"; ma sempre foglie secche rimangono. Per mantenere il materasso possibilmente morbido, ogni anno, nella stagione estiva, dopo la raccolta del granturco, il sacco veniva aperto e si buttavano le vecchie foglie che nel frattempo si erano triturate, per sostituirle con altre più corpose e fresche di annata. La fragranza di quell' aroma, contenente tutti gli odori della sana vegetazione agricola, all' epoca coltivata con concimi naturali provenienti dalla stalla, era talmente salutare per le narici, che in tutta la mia vita successiva non ho mai sofferto di raffreddore. A proposito: sapevate che le foglie delle pannocchie si chiamano "cartoccio"? Successivamente, migliorando le condizioni economiche della famiglia, potemmo scegliere tra un materasso imbottito di crine vegetale, o uno di lana. Mia madre scelse il materasso ripieno di lana; non avrei mai immaginato si potesse dormire così bene. Il materasso di lana era morbido e silenzioso, a differenza di quello avuto in precedenza fatto con i cartocci, che ogni qualvolta mi rigiravo nel letto producevano il tipico rumore di stropiccio, che solamente il sonno beato di bambino riusciva vincere. Anche il materasso di lana, ogni tanto andava rimestato all' interno e rinnovato; ma, a confronto di quello con le foglie di granturco, mi sembrava d' essere il Principe sul pisello. (Non perché aspirassi a diventare un nobile omosessuale) Negli anni successivi, che anche per me sono passati, quando nell' età adulta mi sono sposato, ho comperato un paio di materassi moderni; di quelli con le molle, con il lato invernale e l' altro estivo, con la cerniera per vedere dentro di cosa fosse fatto e con la garanzia che sarebbe durato almeno vent' anni senza doverlo cambiare o rifare. Ho provato riportarglielo, dopo soli quindici anni a chi me lo aveva venduto, ma mi hanno risposto che non potevano cambiarlo perché era "usato". Loro: l' avrebbero cambiato se fosse stato nuovo. (nuovo; dopo quindici anni?) Il materasso, lo s' immagina come uno strumento fabbricato prevalentemente per dormirci e riposare; ma, collocati in alcuni alberghi particolari, ci sono certi tipi di materassi farciti d' acqua aromatizzata con la stessa fragranza del Viagra. Questi, sono l' ideale per portarci l' amante a provare il ritmo ondulatorio dell' acqua in sintonia con i movimenti della coppia. Il movimento che ne risulta, si chiama: ginnastica erotica. Questo tipo di ginnastica, fatta almeno tre volte la settimana prima dei pasti, è particolarmente raccomandata dal medico di base che si preoccupa della salute dei propri assistiti. La ginnastica erotica, rende maggiore soddisfazione se si pratica con una partner abituale, ma non convivente. Deve essere una persona con la quale ci s' incontra esclusivamente per praticare quel tipo di flessioni, poi, alle due di notte, si alza e se ne torna a casa sua e non si rivede fino all' incontro successivo. Insomma: una persona con la quale esiste un' affinità sessuale, ma non rompe. Qualora dovesse diventare esigente, per il troppo tempo che vi frequentate, è meglio cambiarla subito con una nuova, altrimenti, vi troverete a dover combattere come se aveste due mogli. Quando la ginnastica erotica è praticata per puro spirito sportivo: non la si deve considerare un vero tradimento coniugale. Volendo, anche, analizzare profondamente la questione: praticando questo tipo di sport, può succedere che la moglie, venendone a conoscenza perché informata da un' amica che le vuole molto bene, si senta tradita e si consideri cornuta. É un pregiudizio sbagliato, ditelo anche voi a mia moglie; è solo questione di ginnastica. ...Fitness. ...Buona salute! Io, considero che siano veramente corna, solamente, se la ginnastica erotica è fatta per rancori personali e con l' intento morale di tradire di proposito la moglie, o il marito. Ma, se si preferisce al coniuge un' altra persona con cui fare ginnastica a letto, o, casualmente anche in altri luoghi, del tipo: i sedili dell' automobile parcheggiata dietro le mura di un cimitero; nascosti dietro un cespuglio in una campagna inabitata; all' interno di un vagone abbandonato su un binario; dentro un fienile o una stalla diroccata; oppure, in una tenda piazzata appositamente in un campeggio, in attesa di eventi; o, anche: in una "toilette" di un autogrill. (Non è la tenda piantata in un autogrill, cosa avete capito?) Poi, avendone l' occasione, è classica quella forma di ginnastica erotica fatta con pochi movimenti, la così detta "sveltina", specie se viene praticata all' interno di un ascensore condominiale che non sia il vostro. Qui bisogna essere molto bravi per calcolare il tempo tra il primo piano e l' ultimo, e portare a termine la seduta ginnica. Da sconsigliare, sicuramente, è il praticare la ginnastica erotica sulla neve. Alcuni miei cari amici, nella esemplare spedizione domenicale, organizzata in pullman dal loro circolo sciistico, si sono esposti con le parti intime sulla pista di neve, ma poi sono rimasti raffreddati per tutta la settimana, oltre al rischio di trovarsi con un paio di sci infilati nel didietro. Ecco, tutte queste occasioni che vi ho elencato, non sono tradimenti coniugali, ma semplici occasioni ginnicoerotiche da non perdere. Come mi è capitato leggere sul Libretto Rosso di Mao, sommo maestro di vari tipi di ginnastica orientale, la ginnastica erotica praticata fuori dell' ambito familiare, contribuisce a rafforzare il legame tra i coniugi e rende varia la monotonia del sesso casalingo che, ripetuto per anni sempre nella stessa maniera, alla fine, può diventare un' insopportabile ginnastica noiosa. Tornando al tema della discussione: volendo sostituire i vecchi materassi di casa con altri nuovi, n' esistono in commercio moltissime qualità e con le marche più disparate. Come si usa dire: una vasta scelta. Il problema arriva volendosi sbarazzare di quelli vecchi. Il negoziante, cui vi rivolgete per l' acquisto dei nuovi, dichiara di non poter ritirare i vecchi. E vi spiega che: un tempo esistevano dei grossi cassoni posizionati intorno la città, nei quali chiunque poteva buttare le cose vecchie e ingombranti; ma sono stati tolti, perché la gente ne approfittava troppo, tanto che, ultimamente vi avevano trovato dentro alcune suocere ormai inservibili. Ora, continua il negoziante, bisogna avere un deposito merce allestito per quella funzione specifica, con relativa autorizzazione comunale e un libro registro di carico e scarico, rilasciato dall' Azienda Sanitaria Pubblica. Successivamente, bisogna portare il tutto all' inceneritore e pagare una tassa per ogni pezzo consegnato. Comunque, pur di non perdere la vendita, il negoziante è disposto farvi uno sconto se provvedete di vostra iniziativa sbarazzarvi dell' incomodo. Una soluzione, pratica, sarebbe quella di abbandonare, vicino al cassonetto dell' immondizia, il "rifiuto ingombrante"; così, a questo punto, il vostro vecchio materasso si chiama. Ma, attenzione, dovete provvedere di notte e stare attenti che i vigili urbani non vi scoprano; altrimenti, vi eleveranno contravvenzione per abbandono di rifiuti fuori dal cassonetto. (provateci voi a metterli dentro quei grossi materassi; se ne siete capaci?) Non capisco, poi, perché si dica elevare contravvenzione, se il verbale te lo danno in mano alla tua altezza, e non ti eleva certo il morale. La soluzione per eliminare gli oggetti inutili e ingombranti, esco- gitata dall' Azienda per la raccolta dei rifiuti, è molto democratica ed ecologica. Dopo sette telefonate fatte a vari uffici, t' informano dell' esistenza di un numero verde messo a disposizione per l' occasione. Lì, potete prendere appuntamento per organizzare, a casa vostra, il ritiro gratuito del materiale voluminoso, purché non sia prima di venti giorni; non hanno personale a sufficienza da mandare prima. A questo punto, (ancora?!) non volendo aspettare tanto, poiché il negoziante vi ha già consegnato i materassi nuovi, e quelli vecchi v’ ingombrano il tinello o dove, comunque, li abbiate appoggiati; non rimane che spezzettare il vostro vecchio compagno di tanti sogni e farne altrettanti piccoli sacchetti da infilare, uno ad uno, nel cassonetto del vicino di casa. E: buna notte a tutti! ³/DELFLFOHWWD´ Dedico questo piccolo, scemo, ma allegro racconto a mio padre, che nel 1944 è scappato prima che io nascessi. Spero stia ancora correndo per le campagne con una vecchia e pesante bicicletta senza freni. %LFLFOHWWDVI veicolo azionato a pedali, a due ruote, entrambe con un ugual diametro. ELFLFORVPveicolo a due ruote, con la ruota posteriore più piccola dell' anteriore, oggi in disuso. /¶XVR della bicicletta, generalmente, si comincia ad imparare nell’ età infantile. La bicicletta per bambini è piccola e proporzionata alla lunghezza delle gambe di chi la deve montare. Col passare degli anni, e lo sviluppo fisico dei bambini, anche le biciclette crescono, diventano più grandi e formano il sesso uguale a quello del proprietario. Infatti: le biciclette nascono asessuate, ma poi, per simbiosi, diventano maschili o femminili. Per andare in bicicletta, occorre che questa sia formata da alcune parti meccaniche essenziali; se mancano, è difficile poterla usare. Le parti componenti la bicicletta sono: il telaio, le ruote, la trasmissione, la forza motrice (ciclista), il manubrio, il campanello e la sella. Ci possono essere anche accessori “optional” tipo: il fanale, i parafanghi, il carter, i freni e il cestino per il trasporto del cane o del bambino. (conforme alle necessità) Il telaio è una struttura metallica che sostiene tutte le parti che compongono la bicicletta e ne distingue il sesso. Se possiede una lunga e rigida verga, che parte dalla sella e arriva al manubrio, è maschile; differentemente, se la verga è curva a parabola verso il basso, è femminile. Nelle varie Regioni Italiane, la verga delle biciclette maschili è conosciuta con nomi diversi, tra i quali: canna, pistola, minchia, ecc. Quella femminile è distinta con i nomi di: floscia, moscia, mona ecc. La bicicletta è un mezzo meccanico di trasporto, generalmente usato per una persona. All’ uopo, per posizionare la persona da trasportare, occorre una sella o sellino. (non scellino, moneta) In tempi passati, si è provato produrre biciclette senza sella, ma dopo i primi esperimenti si è capita l’ impossibilità di privarsi di tale punto di appoggio. Sopra la ruota anteriore vi è il manubrio: strumento efficace per appoggiare le mani permettendo al ciclista di avere una posizione comoda e piegata verso avanti. Alcuni modelli di biciclette, all’ inizio dell' esperienza tecnica, erano forniti di manubrio posteriore. Col tempo si è costatato che tale posizione non era corretta; in oltre, l' inconveniente di viaggiare all' indietro portava dolore alla colonna vertebrale, con conseguente calo del desiderio sessuale. (PROWHPRJOLVLHUDQR ODPHQWDWH) Alla conferenza dei ginecologi, del 1912, tenutasi a Santa Maria degli Ammalati, (prov. Catania) con larga maggioranza si è approvata la soluzione di abbandonare la tecnica del manubrio posteriore per abbracciare, affettuosamente, quella del manubrio anteriore. Sotto l' impugnatura del manubrio ci sono i freni. Sono considerati accessori extra, in quanto non sono strettamente necessari. Volendo, si può frenare agevolmente la corsa della bicicletta mettendo semplicemente i piedi a terra, e strisciare con le suole delle scarpe. Se si è scalzi, l’ effetto frenata sarà meno efficace; ma, in compenso, i calli e i duroni saranno smerigliati. Attaccato sopra il manubrio, in posizione comoda da usare con il pollice, c' è il trillino. Può sembrare un accessorio di poca importanza, ma, invece, si dimostra molto utile quando si vuole viaggiare sul marciapiede nelle strade del centro delle città; esso serve a far saltare di lato i pedoni che non vogliono essere investiti. Mi è successo, sfortunatamente, che un anziano, il quale era appena uscito dal negozio dove aveva portato il suo apparecchio acustico per farlo riparare, che non avesse sentito il mio scampanellio. Purtroppo, essendo io: in corsa, sprovvisto di freni e con una mano occupata a reggere il telefono cellulare, ho dovuto rotare quel poveruomo con la ruota anteriore; facendolo saltare in aria con la conseguente ricaduta sul manubrio della bicicletta. Quell' uomo, che nella sua lunga vita, ormai, aveva visto molte cose strane, (due guerre mondiali e i comunisti al governo) senza dimostrare di essersi impressionato dell' accaduto, con un sorriso in cui mostrava un dente ogni quindici minuti, mi guardò in faccia dicendomi: no, grazie, preferisco andare a piedi. Sotto, al centro del manubrio, è posizionato il fanale elettrico, il quale prende corrente da una piccola dinamo. La dinamo: la si può far funzionare tenendola stretta con le mani e appoggiarla alla ruota anteriore mentre gira. Il fanale è un accessorio inutile, tanto, più nessuno, di sera, osa circolare con la bicicletta sulle strade; ma rimane categoricamente richiesto dal Codice della strada. L’ unico suo vero scopo d’ essere, è quello di far prendere sanzioni amministrative e l' abbattimento di 5 punti sulla patente da ciclista in caso di mancanza dell’ oggetto. (1H VRQR HVFOXVH OH ELFL GD FRUVD TXHVWH KDQQR OD GLVSHQVD SDSDOH 9HGL HQFLFOLFD %LJD YHOR[ YLDJJLDQWLEXVQRIDQDOLV) La bicicletta, per muoversi velocemente, ha bisogno di ruote; meglio se rotonde. In genere sono due: una anteriore, che funge da guida, e una posteriore che fa da motrice. Alcune versioni di biciclette hanno due o più ruote posteriori; ciò serve per sostare ai semafori senza dover mettere i piedi a terra mantenendo l’ equilibrio. Le ruote sono formate da un cerchio metallico attraversato da tanti diametri di filo di ferro uniti al centro da un cuscinetto di supporto chiamato “mozzo”; la madre si chiama Atala, il padre, si mormora in paese, Bianchi. Gli eventuali altri parenti non hanno mai riconosciuto il bastardo. Nelle biciclette moderne, i diametri sono stati sostituiti dai raggi. Ciò, ha consentito una migliore tecnica per l’ assemblaggio della ruota, abbassandone i costi. Sopra il cerchio è montato un tubo di gomma farcito d’ aria compressa, chiamato “camera d’ aria” oppure, “cameradaria”. Le camere d’ aria, all' epoca, rotolando sulle strade si logoravano facilmente fino a rimanerne, solamente, il nudo cerchio metallico della ruota a contatto diretto con la strada. Questo, rendeva molto scomodo l’ uso della bicicletta che, priva d' ammortizzatori, creava rigidi sobbalzi e conseguenti dolori nella parte di culo (coccige) appoggiata sulla sella. In quell’ epoca, proprio per questa scomodità, stava disuendo l’ uso della bicicletta, finché, un certo signor Copperton, proprietario di grandi piantagioni di chewing-gum, inventò un tessuto robusto che ricoprì di gomma da masticare riciclata che mise a protezione della cameradaria, impedendone, così, la facile rottura. L' idea ebbe tanto successo che, mister Copperton, preso dall' euforia del momento, gridò: Good year… year… year…e l’ eco della scoperta si propagò in tutto il pianeta. La forza motrice, per il movimento della bicicletta, è data dai pedali che si trovano in centro tra le due ruote, in posizione abbassata. Il ciclista, facendo pressione con i piedi alternando sui pedali (qualcuno riesce anche con le mani, ma la posizione si rivela difficile) produce un movimento rotatorio che, tramite una catena a cremagliera, si trasmette alla ruota posteriore, la quale, a sua volta, muove tutto il mezzo meccanico con il relativo passeggero. Succede, alcune volte, che con biciclette maschili si viaggi in due persone: una, generalmente uomo, è seduta sulla sella con il compito di guidare e spingere sui pedali per creare il movimento; l’ altra, in genere donna, si siede sulla verga che unisce la sella al manubrio lasciandosi trasportare (dove? all’ orgasmo!). É stato riconosciuto che tale connubio, spesso, ha portato alla proliferazione della razza umana; infatti, da ambienti ben informati risulta che: dopo 270 giorni, 4 ore e 15 minuti, circa, la donna che sedeva sulla verga, partorisce un figlio di genere umano, mentre l’ uomo, qualche anno dopo, partorisce una piccola bicicletta che poi crescerà con il figlio/a della donna. Nel modello di bicicletta da combattimento, usata dagli alpini nella Grande Guerra, svoltasi prevalentemente sulle Alpi, non erano ancora stati adottati i sistemi di frenata che comunemente usiamo oggigiorno. All' epoca, si fermava la corsa del mezzo, letteralmente, smontando al volo, lasciando cadere di lato la bicicletta. Purtroppo, succedeva che, causa il terreno fortemente in pendio, la maggioranza delle biciclette continuava la discesa verso valle con conseguente giubilare soddisfazione dei valligiani, i quali, recuperando le biciclette, facevano i soldi rivendendole agli Austriaci. Fu il caporale Bartali che, con sagacia intelligenza, inventò i freni a bacchetta. Il metodo, consisteva nell' infilare rapidamente una bacchetta di ferro tra i raggi della ruota anteriore, producendo così, il blocco istantaneo della rotazione e il salvataggio del mezzo militare. Fu, anche, per questo risparmio di materiale bellico, che permise agli Italiani di vincere la guerra contro gli Austriaci. In anni recenti sono state costruite biciclette con struttura rinforzata, adatte a percorrere strade campestri e sentieri di montagna irti ed insidiosi. L' idea, casualmente, è partita dal signor Dirigo Fuoristrada, di Portosalvo, (prov. Catanzaro - Latina Messina) qualcun altro dice di Portojella. Il signor Dirigo, durante il viaggio di nozze, avendo smarrito in un canalone di montagna la sua "FIAT 600 Multipla" bicolore, verde e nero; vettura acquistata di seconda mano da un tassista di Roma dopo le olimpiadi del 1960. E non possedendo altri soldi per acquistare un altro mezzo di trasporto da sostituire, pur di continuare il viaggio, ha ripiegato su una piccola bicicletta residuato bellico dei bersaglieri, trovata a BrunicoLPDOLJQLGLFRQRFKHO¶DEELDWURYDWDSULPDFKHIRVVH SHUVD Il signor Dirigo Fuoristrada, dovendo trasportare la giovane moglie con i relativi bagagli, ha rinforzato tutte quelle parti della bicicletta che sarebbero state maggiormente sollecitate ad un trasporto pesante ed accidentato. L’ iniziativa ebbe successo, e il signor Dirigo, pedalando, con la novella sposa caricata sulle spalle, che a sua volta reggeva le valigie, dopo aver superato: ponti, campielli e calli*, applaudito da due ali di Giapponesi riuscì ad arrivarein Piazza San Marco, meta di tutti i viaggi di nozze. (* non sono i calli dei piedi, ma i vicoli stretti nel centro di Venezia) Come spesso succede alle invenzioni che diventano popolari, anche questa, è stata acquistata da un ricco americano (un certo Mister Mountain) che, abitando all’ ultimo piano di un grattacielo e trovandosi sovente con l’ ascensore guasto o troppo occupato, ha subito capito che quel tipo di bicicletta avrebbe avuto successo per salire e scendere le scale dei palazzi americani. Infatti, ora, a fianco dell’ ascensore, spesso, vi è il deposito delle “ Mountain Bike” ; a disposizione delle persone, da poter usare in alternativa all’ ascensore. Per i più fortunati, al fine di evitare l' affaticamento di una lunga pedalata, in quest' epoca moderna, sono in vendita biciclette con l' aggiunta di un piccolo motore elettrico. Sembra che, nel 1913, il primo ad avere l' idea di aggiungere un supporto elettrico alla bicicletta, sia stato il giapponese Mutu Rinn. Purtroppo, a quell' epoca, la sperimentazione elettronica non era ai livelli dei nostri giorni e la bicicletta elettrica nasceva con alcuni inconvenienti, tra i quali, la lunghezza del cavo elettrico per alimentare il motore. L' elettrobicicletta, così si chiamava, poteva essere usata in uno stretto raggio d' area. Per coloro che abitavano nella periferia della città e volevano recarsi in centro, dovevano procurarsi alcuni chilometri di cavo; il quale, partiva dalla presa di corrente di casa per arrivare al circolo della Bociofila. L' altro inconveniente era all' incrocio delle strade, dove si creava l' intreccio dei lunghi cavi che s' incrociavano tra le varie biciclette. Per questo motivo, l' Imperatore Van Tut Inlà, discendente del mitico Van Tut Apiè, proclamò un editto in cui l' uso dell' elettrobicicletta doveva essere riservato ai soli dignitari di corte, purché fossero muniti di servitù appositamente addestrata al districo dei cavi. Oggi, grazie alla tecnologia moderna, non sono più necessari i lunghi cavi per alimentare i motori delle elettrobiciclette, e lo sviluppo di tale mezzo di trasporto, per una lunga serie di motivi: praticità, economia, ecologia, ecc. sembra stia avendo una grande espansione commerciale. Ciò è dovuto, anche, alla promozione delle case costruttrici, le quali: con l' attuazione del decreto governativo inserito nell’ ultima finanziaria, che prevede la rottamazione dei tricicli per bambini, i concessionari, possono concedere un forte sconto sull' acquisto di una nuova elettrobicicletta a chi gli consegna un vecchio triciclo. Ora, in conseguenza dell' accumulo di quei piccoli rottami, gli stessi concessionari, pur di entrare nella storia, si stanno organizzando per allestire una mostra-museo di quelle biciclettine che tanto hanno avuto il merito d' insegnare, ai bambini, la gestione del loro piccolo, ma importante, primo equilibrio psicomotorio. E, come spesso mi ricordava mio nonno: è meglio andare oggi a spasso in bicicletta, che andare domani a lavorare a piedi. ³/HFDO]H´ Questo simpatico e istruttivo capitolo lo dedico ad una mia zia ignorante e stupida, che quando ero bambino pretendeva che distinguessi le calzine tra la destra e la sinistra. &DO]D: sf indumento a maglia che copre le gambe a varia altezza; calze elastiche, per contenere le vene varicose / tubo o nastro di bambagia che si mette per lucignolo nei lumi a petrolio / tipo di rivestimento tubolare. &DO]LQR: calza corta da uomo o bambino. &ROODQW: calzamaglia femminile che arriva fino alla vita. MODO D’ USO DEI CALZINI 'L calzini o “ pedalini” in commercio n’ esistono di molti e vari tipi. Semplificando, si possono suddividere in: calzini estivi di cotone a tessuto fine con gambale corto; i più eleganti sono quelli con gambale lungo fin sopra il polpaccio, e le calze di tipo invernale fatte con filo di lana. Quelle di cotone sono a tinta unita, con sopra scritte brevi frasi tratte dal Libretto Rosso di Mao, del tipo: la do solo per soldi, oppure, le chiappe sono mie e le do a chi voglio io; queste si usano con le scarpe comuni per camminare in città. Mentre: le calze con tessuto grosso di lana (calzettoni) si usano con gli scarponi nelle località montane, specie nella stagione invernale. Hanno colori sgargianti con disegni erotici creati dalla fantasia sessuale delle donne del villaggio, ripresi dalle tradizioni delle vallate d’ appartenenza. Il sentimento di retaggio erotico, d’ appartenenza alla propria comunità montana, è ancora fortemente radicato e protetto per legge. Nella stagione estiva, alcuni giovani dall’ apparente emulazione francescana, soffrono di iperidrosi “ eccesso di sudorazione” costoro, non mettono i calzini, ma preferiscono calzare sandali di cuoio con grossi cinturini. La loro necessità è di far respirare, il più possibile, la pelle dei piedi tenendoli arieggiati, favorendo in tal modo la dispersione nell’ aria di quell’ odore pungente di acido fenico, prodotto dalla saturazione dei batteri morti ed accumulatisi nei piedi. Maggiormente tra le dita. La frequentazione nei locali pubblici di tali persone, ha favorito l’ insorgere di una nuova infestazione epidemica (legionella) trasmessa dalle condutture del riciclaggio dell’ aria negli impianti di condizionamento. E’ consigliato, agli emuli francescani, pediluvi con acido muriatico e succo di limone a coltivazione batteriologica. I calzini, generalmente, s’ indossano interi e integri in tutte le loro parti; ma spesso succede, che persone (the peoples) indossino calzini con aperture supplementari all’ altezza del dito alluce. Questo tipo di calzino è comunemente chiamato “ Politico” per l’ evidente apertura al centro. Ciò, può sembrare trascuratezza della persona, invece, si tratta di una forma di ribellione sociale alle convenzioni. La ribellione è maggiore se l’ apertura al centro è in entrambi i calzini. Più grande è l’ apertura più forte è la ribellione. Ci sono casi limite di persone che indossano le calze con apertura massima, cioè: la completa mancanza della parte anteriore delle calze; aggiungendo, anche, una grossa apertura nel tallone. A questa categoria, appartengono quelle persone che hanno scelto di rompere completamente con le istituzioni sociali e non gliene frega niente delle convenzioni. Questi individui sono chiamati “ barboni” , mentre, nella loro realtà socio politica, essi si ritengono anarchici puri. Volendo, i pedalini si possono indossare per diversi giorni consecutivi anche senza dover lavare i piedi. Ciò, nel tempo, può portare ad una simbiosi collante tra i piedi ed i calzini. Il fenomeno risulterà più compatto se si usano calze di lana con scarponi. Le calze, in genere, non sono distinguibili tra quella di sinistra e quella di destra, ma coloro che la mattina intendono indossare per più giorni lo stesso paio di calze, è opportuno che mettano sempre la stessa calza nello stesso piede, ne guadagnerà la forma. (vedi dedica) Sono ridicole quelle persone che usano calzini corti e flosci che, per evitare che camminando gli scendano dentro le scarpe, finendo sotto il tallone, li reggono al polpaccio con eleganti giarrettiere con sopra disegnati simboli fallici. Forse, è la loro parte femminile nascosta che si esprime con l’ uso di quell’ accessorio tipico per donne, oppure, stanno ancora usando i vecchi calzini bianchi della prima comunione e non vogliono buttarli per continuare a mantenere, con essi, un rapporto affettivo e duraturo nel tempo. Indifferentemente dal sesso, nelle stagioni invernali s’ indossano calzamutanda, comunemente dette “ collant” ; queste, sono di fibra sintetica, e non hanno niente in comune con gli uomini di fibra forte. I collant sono di vari colori e con disegni erotici stampati nella parte in cintola. Spesso, i disegni sono copiati dalle pagine delle posizioni in equilibrio del famoso trattato Kamasutra, il quale spiega che per fare sesso e meglio essere in due. Tra la mutanda e la congiunzione delle gambe, i collant hanno un’ apertura con chiusura lampo, questa spaccatura, serve per le necessità fisiche di pronto intervento. Esistono in commercio “ calzerotti” , non sono calzini usati e bucati, come potrebbe far intuire la parola; ma sono calzini formati solamente dalla pianta del piede senza un minimo di gambale. I calzerotti, sono prodotti per essere usati dalle signore nella stagione estiva (anche qualche maschietto li usa) quando, pur volendo una calza a protezione del piede, si vogliono mantenere libere le gambe da guaine ed evitare di indossare una seconda mutanda. Si! perché: se nelle stagioni invernali è necessario mantenere calda la “ focaccia” indossando le mutande sotto le collant, nelle stagioni estive, è meglio non indossare le mutande per rendere la focaccia più arieggiata e meno sacrificata. Differentemente da quanto si può pensare, il calzerotto è stato inventato prima del collant. All’ epoca, le calze per le signore, prodotte: prima di cotone, poi di nylon, erano formate da due lunghe calze separate che arrivavano alle cosce. Per poterle reggere ben aderenti alle gambe, si sostenevano con reggicalze allacciati in vita con attaccate quattro giarrettiere abbottonate alla parte superiore delle calze. Ancora oggi, dove negli spettacoli di teatro si mette in mostra la sensibilità erotica della donna, si preferisce mostrare le gambe delle ballerine con calze sorrette da eleganti reggicalze. Recentemente, alcuni uomini con idee moderne, allegri e trasgressivi, stanno imparando, pure loro, ad usare il reggicalze sotto i pantaloni. Nelle nazioni molto industrializzate e politicamente evolute, esiste la mentalità del riciclaggio “ in senso ecologico” dove le calze vecchie e sudice non sono buttate, ma messe a parte per poi mandarle ai bisognosi colpiti da calamità naturali. Esempio: il terremoto, l’ alluvione, le domeniche ecologiche o la chiamata alla leva militare. È provato che il fetore batteriologico delle calze, così stivate nei containers che contengono anche generi alimentari scaduti da vecchia data, imprimono a questi, un sapore appetitoso che li fa sembrare freschi e di qualità apprezzata. Spesso, un comune formaggio avariato è scambiato per un prodotto pregiato al sapore di tartufo. Esempio evidente sono i formaggi d’ oltre Alpi. I Francesi, da quelle esperienze, hanno imparato mascherare il sapore dei loro formaggi insipidi, farcendoli con ingredienti recuperati dai pacchi dono di fine guerra ‘45, donati dal popolo Americano ai popoli alleati Europei. In quei pacchi erano contenute: scatolette di sardine avanzate nella precedente guerra ‘15/18; noci guaste ma col verme ancora in buona salute; pane nero che nessuno voleva; DDT per uccidere tutti gli animali presenti in casa, (comprese le persone); calze di nylon per pagare le donne che la davano e sigarette americane per far morire di tumore le popolazioni che si erano salvate dai loro precedenti bombardamenti. /HIDFFH Dedico questo piccolo, allegro, divertente e un poco scemo episodio, a tutti i miei parenti, che dopo averlo letto si sono rifiutati di salutarmi. )DFFLD (pl. –ce) VIla parte anteriore della testa, dalla fronte al mento/ ... S. viso, volto. 'L facce c' è ne sono di diversi tipi. Le più comuni, che pure i bambini conoscono, sono le belle, le brutte, le simpatiche e quelle antipatiche; e fin qua ci siamo. Poi ci sono le facce diverse. Sono quelle dalle forme un po’ strane. Ci sono facce rotonde, facce lunghe e strette, facce storte, facce paonazze (del tipo avvinazzati) facce bianche cadaveriche ma ancora in vita, facce imbronciate, facce da matti, facce da culo, facce da stronzi; e ancora: facce da schiaffi, facce da delinquente, facce d’ananas (ti ricordi Sukarno? il dittatore dell’Indonesia che aveva la faccia tutta butterata) Avanti: facce d’angelo, facce di bronzo, facce da testicoli, facce ride (queste esistono solo a Roma) e in fine... la mia. A proposito della mia faccia: la mia mamma, quando voleva consolarmi, diceva sempre che ero il bimbo più bello della borgata; peccato che abitassimo in una piccola casa isolata nel mezzo della campagna e che i miei compagni di scuola mi chiamassero "coso". Forse: tanto bello proprio non ero. Ricordando le mie note caratteristiche nell' anno 2000: età, anni 56; capelli, pochi; accecato ad un occhio; qualche dente rimasto in bocca e qualcun altro lasciato al dentista in garanzia del saldo del conto; naso continuamente gocciolante sul labbro sporgente inferiore; orecchie due, ma una rosicchiata dai topi durante l' infanzia; altezza, si fa per dire, metri 1,48 al garretto; circonferenza fisica 60-90-60; segni particolari: emorroidi sporgenti. Certo! non tutti possono essere belli come voi, ma se vi informate in giro, non mi sono mai lamentato! Tornando alle facce degli altri. Tra le varie facce che spesso si sentono menzionare, c' è "faccia da paraculo". L' espressione indica la persona che non si espone; che, per salvarsi il culo, manda avanti gli altri al proprio posto. ...Una persona inaffidabile. Un secondo significato della parola "paraculo" era nata nel ' 40 con lo sviluppo di massa del paracadutismo. Infatti, un paracadutista con tendenze omosessuali, all' epoca, lo s' indicava "parà da culo", più conciso "paraculo". Ora, che necessita comunicare con tutto il mondo e si parla l' inglese, è diventato internazionale chiamarlo "paragay". Si dice: che la prima impressione sia quella che conta. In genere è la faccia che ispira la prima impressione, poi, se ce tempo, si guardano le altre cose presenti. Nelle donne si è portati guardare quanto sono grandi le tette, (se ci sono) poi il culo, e se è grosso e rotondo come quello della Marini, ...che culo! Dopo si guardano le gambe se sono diritte, affusolate, fatte bene; se invece sono storte e troppo sottili alla caviglia, si dice che è una donna che Dio ha ingambato il giorno che ha creato le pecore, oppure, per usare un' espressione più gentile: ha le gambe come un tavolo barocco. (Il termine: nata a cavallo di una botte, è in disuso.) Può succedere che, guardando la faccia di una nuova conoscenza, il primo impatto sia orribile. Mi è capitato di conoscere una donna che, più che ad una persona, assomigliava ad una vecchia cavalla bolsa con le croste. Dovendole stare di fronte, seduto ad un tavolo in un raduno organizzato con cena, e per forza guardarla nel muso (...scusate, faccia) mi era difficile cercare di mantenere un atteggiamento distaccato e indifferente, mentre, l' istinto satirico che alloggia nel mio spirito, mi stimolava a ridere di quella stranezza. Nello stesso tempo, come se fossi diventato un cretino, l' espressione del mio viso elargiva una doppia razione d' ebetismo sorridente; come se fossi diventato una coppia siamese di gemelli mongolitici. Quella donna, così orribilmente brutta per i parametri umani, a sentire lei era madre di una graziosa ragazza e persona felicemente sposata; ma era talmente brutta, che non avrei mai immaginato che qualcuno l' avesse presa in moglie e avesse avuto il coraggio di andarci anche a letto. A mio parere, nemmeno i cavalli l' avrebbero voluta nella stalla. Le facce troppo allungate, storte o deformi, dovrebbero ricevere sentimenti di compassione per la loro diversità, invece, succede, che le disgrazie degli altri ci facciano sorridere o addirittura ridere; compiacendoci con noi stessi della nostra comune normalità. Evidentemente, a chi la guarda, la faccia ispira sentimenti che possono anche non concordare tra le varie persone. Può succedere che: una faccia carina, pulita e regolare, montata sopra un corpo maschile, grande e muscoloso, dal punto di vista di una donna vogliosa d' affetto, a questa, possa ispirare simpatia e fascino; mentre, ad un uomo privo d' interessi sentimentali, ma invidioso dell' esuberanza virile altrui, nella sua mente gli si possa produrre un' accidia da frustrazione. Può anche succedere che: una faccia perfettamente rotonda, dal punto di vista di un uomo sfigatato del calcio (tifoso), questa possa ricordare un pallone da prendere a calci; mentre, a me, che non rincorro manifestazioni sportive assimilate alla guerriglia ma preferisco i sani giochi infantili del tempo andato, quella faccia mi invoglierebbe appenderla ad un lungo filo, facendola poi dondolare e svolazzare in cielo come se fosse un pallone da fiera paesana. Diverso, potrebbe essere il pensiero di una donna in crisi d’astinenza sentimentale (non è la stessa donna di prima) che in quella "cosa rotonda" posta sopra le spalle di un uomo, potrebbe, invece, riconoscervi "l' argentea luna piena" musa ispiratrice di fantasiosa poesia. (povera cocca, sveglia!) Esistono persone che, dalla fattezza della loro faccia, gli si può rico- noscere ciò che fanno nella vita. Individui che con il passare degli anni deformano l' espressione del viso in base al lavoro che svolgono, all' ambiente in cui vivono, e spesso, anche, al modo d' essere e di fare. Esempio tra i più comuni: i rappresentanti di commercio. Questi, si riconoscono a distanza. Pur di fare bella impressione sul cliente, mostrano continuamente un sorriso perfetto e gaudenzio, in cui si ravvisa il mutuo bancario che hanno dovuto accedere per pagare il lavoro del dentista, e anche, se gli abiti sono gli stessi che usano da almeno tre anni, li vedi che sono sempre compitamente vestiti con giacca e cravatta, pure nel mese di luglio. Poi, ci sono persone sempre serie, che sembra abbiano rotto con il mondo intero; che, per non creare un filo di confidenza con i loro vicini, mantengono perennemente il viso corrucciato. Non riderebbero nemmeno se vedessero un' anatra sul ghiaccio a fare pattinaggio artistico col culo. Oppure, ci sono persone tirchie, che per timore che gli si possa chiedere un favore, tengono continuamente lo sguardo abbassato sulle scarpe, come se temessero che qualcuno potesse rubargliele. Se sapessero quanto sono considerati infelici di mente; ma forse lo sanno. Recentemente, ho visto un documentario dove si mostrava la forte somiglianza tra certi cani ed i loro padroni. Col tempo, i padroni, avevano assunto l' espressione facciale della bestia con cui condividevano la vita. Quello che ne aveva guadagnato di più, nell' immagine, era la bestia che era rimasta tale, mentre, per il padrone, non si capiva più se fosse umano o bestiale; gli mancava solo che abbaiasse. Ho poi saputo, da un amico che lavora alla SIAE, che un mastino napoletano aveva imparato a cantare "O suldatu ' nammuratu", mentre un bianco pastore maremmano l' accompagnava con la fisarmonica. Le facce delle donne sono tutte belle, (esclusa quella con la faccia da cavalla) vanno tutte ammirate per la bellezza naturale che Dio ha voluto posare sopra il loro corpo. Se per caso, ripeto, per caso, avessero bisogno di un piccolo ritocco al viso per sembrare un po'più graziose di quanto già lo siano, allora, vanno dal parrucchiere per sistemarsi i capelli e dargli un colore che sia intonato all' abito che indossano. Poi, mai contente del loro aspetto naturale: si spargono la faccia di tinte appropriate per darsi un tono di raggiante benessere, mettono lenti a contatto dello stesso colore dei capelli, usano qualche goccia di collirio per rendere gli occhi più brillanti, si fanno riempire le rughettine con un po'di silicone, si mettono le ciglia finte, si colorano le labbra di un rosso sanguineo e si danno una mano di bianco sopra i denti. Andiamo avanti; c' è n' è ancora. Se non sono soddisfatte: si rifanno il naso, si gonfiano le labbra a papera, si fanno tirare la pelle del collo, appiattire le orecchie e se il loro aspetto ancora non le aggrada, si mettono collane e orecchini sfarzosi per sviare lo sguardo indagatore di chi gli sta davanti. E quando parlano? ... Quando parlano sbattono le ciglia come se stessero dirigendo una sinfonia allegro andante di Beethoven, usano un linguaggio e una pronuncia ricercata che non sembrano nemmeno umane e volteggiano nell' aria come fossero creature celesti. … Ma chi credono d' essere? Solo perché hanno un triangolo di pelo arruffato tra le gambe; ma chi le vuole? Chi le cerca? 7RHOHWWDWXUD ( Il coiffeur ) Questo utile, istruttivo e breve racconto, lo dedico a quella persona che innamoratosi di mia moglie l’ha voluta tutta per se. Lo ringrazio pubblicamente e gli sarò riconoscente in eterno. FRLIIHXU:-VPLQGHF. parrucchiere, acconciatore per signora. EDUELHUH: VP. chi fa il mestiere di radere la barba e i capelli. &KL è quel cane che ti ha tosato… sembra ti abbia tosato un tosacani! Spesso, tornando a casa dopo essere stato dal barbiere per farmi tagliare i capelli, accadeva, che mia moglie mi guardasse e con aria sconsolata mi assalisse sempre con la stessa frase: chi è quel cane che ti ha tosato? … non vedi che sembri stato da un tosacani; ma è possibile che ti faccia sempre fregare i soldi da quel barbiere, … quand' è che imparerai a farti valere. … Oh povera me! Chi ho mai sposato? Io, in verità, ero stato da uno dei più qualificati "coiffeur pour hommes" della città, ed avevo anche speso una cifra ragguardevole per farmi bello; ma a casa, per non far sapere quanto avessi speso ed evitare critiche sullo sperpero del denaro, raccontavo che ero stato dal solito vecchio e modesto barbiere, di cui ero anche un po'parente. Per quanto fossi paziente e non volessi dare molto peso alle lamentele di mia moglie, la cosa, però, cominciava ad infastidirmi. Tutte le volte la stessa tiritera, ma per il quieto vivere gli offrivo un sorriso di compiacente sottomissione e, nel silenzio del mio intimo, pensavo: certo, che le donne quando vogliono rompere ci sanno proprio fare. Mentre, lo spirito indipendente della mia coscienza andava oltre: la mandava a quel paese. L' idea, mi è venuta vedendo in televisione un servizio giornalistico che esaltava un concorso nazionale di bellezza per cani. Tutti quei cani così eleganti nel portamento, ben pettinati, col pelo liscio e lungo, oppure tutto arricciato e le femminucce anche infiocchettate come fossero delle damine dell' ottocento; erano veramente tutti belli, era un piacere vederli. Il servizio televisivo, aveva anche mostrato quanto i loro proprietari fossero orgogliosi e felici nello spazzolare e pettinare personalmente i loro beniamini. Fu con la successiva occasione di rimettermi a posto i capelli che, a dispetto dei rimproveri di mia moglie, a mio avviso non giustificati, decisi di giocarmi una carta molto forte. Stavo tornando a casa da una passeggiata fatta al centro della città, quando notai quello che nel mio inconscio stavo cercando. Era un negozio specializzato per la toelettatura dei cani. Fatto un rapido pensiero, poi, prima che mi venisse voglia di cambiare idea; deciso come un pompiere sono entrato senza tanti indugi ed ho chiesto che mi tagliassero i capelli. Al sentire la mia richiesta, non è necessario che stia spiegarvi quale fu l’ espressione della faccia del personale addetto, potete immaginarlo da soli. Sul principio mi scambiarono per un cretino che volesse fare lo spiritoso nei loro confronti; ma quando, insistentemente, gli spiegai il motivo della mia richiesta e che avrebbero dovuto rilasciarmi la regolare ricevuta quale prova del taglio, il signor Alberto, così si chiamava il titolare del negozio, entrando nello spirito della situazione e volendosi evidentemente riqualificare, se pur per una sola volta, da tosatore di cani, al più, forse, gratificante "coiffeur pour hommes" accettò di farmi lo shampoo ed un taglio di capelli per uomo. Io, lasciai a lui la scelta della prestazione più confacente alle sue capacità professionali. Al termine dell' operazione di taglio, la mia testa era presentabile, più o meno, come le altre volte che mi recavo dal coiffeur. Mentre me ne tornavo a casa, preparandomi ad affrontare le solite critiche che avrei dovuto subire, cercavo di prevedere, mentalmente, quale sarebbe stata la reazione di mia moglie. Pensavo, che se il taglio dei capelli le fosse piaciuto e di conseguenza non avesse brontolato come al solito; in questo caso, cosa avrei dovuto dirgli? … Che ero stato da un coiffeur di prima categoria, e che lei, le volte precedenti aveva sempre avuto ragione di brontolare? E ridermela sotto i baffi. Oppure: avrei dovuto mostrarle la ricevuta del tosatore di cani, e farle capire che, lei, del taglio di capelli degli uomini, non aveva mai capito nulla? E se il mio look non le fosse piaciuto, come sempre, io cosa avrei dovuto dirgli? … Che aveva ragione, perché ero veramente andato da un tosacani. E di conseguenza, quale sarebbe stata la sua ulteriore reazione nel sapere che suo marito si era veramente fatto tosare da un tosacani? Oppure, ancora: avrei dovuto tacere, e far finta di essere andato dal solito vecchio barbiere e sentirmi ripetere le solite lamentele? Più mi avvicinavo a casa, in cui ci sarebbe stata la resa dei conti della mia stravaganza, meno mi riusciva trovare una risposta adeguata per l' atteggiamento che avrei dovuto avere alla reazione di mia moglie. La cosa cominciava veramente preoccuparmi, più di quanto avessi immaginato, per il fatto che: se avessi detto la verità, molto probabilmente, si sarebbe offesa a morte ed avrebbe aggiunto un' ulteriore perdita di rispetto nei miei confronti. E se avessi taciuto? E se in seguito avesse saputo la realtà, quale sarebbe stata la sua reazione? Finalmente, giunto a casa, dopo tanto ragionare, era arrivato il momento di togliermi il pensiero ed affrontare la situazione. Ero pronto a non farne una discussione, lasciar perdere qualsiasi cosa mia moglie avesse detto. Non valeva la pena arrabbiarsi e creare dei malintesi in famiglia per un semplice taglio di capelli. Tanto, di lì a poco, i capelli sarebbero ricresciuti rimettendo il tutto nella stessa situazione di partenza e il matrimonio non avrebbe subìto spiacevoli alterazioni. Entrato in casa, mi colse un certo sollievo, la situazione era rimandata; mancava la presenza di mia moglie. Avrei avuto ancora più tempo per pensare a quali eventuali risposte potevo dare, per non urtare la sensibilità della premurosa e sempre dolce mia metà. … Sicuramente, essendo io una persona mite e ragionevole, non ho pensato: ti venisse un principio di diarrea che tu non ne vedessi mai la fine! No! Tutto sommato, quando mia moglie mi critica, lo fa per il mio interesse; perché mi vuole bene. Sul tavolo, in cucina, c' era un biglietto lasciatomi da quella "tanto gentile e tanto onesta pare, la donna mia… " Un pezzo di carta qualunque. I soliti messaggi che le mogli lasciano ai mariti quando si assentano da casa. Mi aspettavo di trovare scritte le solite cose, esempio: dover apparecchiare la tavola, mettere sul fuoco la pentola con l’acqua, stendere il bucato che stava dentro la lavatrice, stirare il bucato precedente, rifare i letti, bagnare i fiori, cambiare l’acqua al pesce, dar da mangiare al gatto e tante cose simili che un marito si presta per il quieto vivere della famiglia. Nel foglietto, che mia moglie mi aveva lasciato, c’era scritto: 6RQRDQGDWDDYLYHUHFRQ$OEHUWRWLVDUzJUDWDVHQRQYHUUDLSLDFHUFDUPL$QQD /HPXWDQGH Dedico, questo scemo e curioso capitolo, a tutti coloro che abbisognano di mutande di ferro per pararsi il culo dagli imbecilli. 0XWDQGH VISO specie di calzoncini corti di cotone, lino o altro tessuto che si porta sotto gli abiti a contatto con la pelle. 6OLSVPLQGHF mutandina cortissima, da uomo o da donna, usata anche come costume da bagno. /H mutande, i reggiseni, le canottiere e le calze fanno parte di quei capi vestiario chiamati “ intimi” non perché ci si possa confidare con loro dei propri problemi, ma perché sono aderenti alla pelle formando un tutt’ uno con la persona. Fino al 1600, circa, secolo più secolo meno, l’ uso delle mutande non era molto applicato. Agli uomini, per espletare le loro funzioni fisiologiche, non indossando le predette mutande, gli era sufficiente appartarsi simbolicamente. In pratica, era sufficiente rivolgersi verso il muro di una comune casa, aprire la patta dei pantaloni, e mettere la testa del pisello all’ aria della giornata, poi, dare sfogo alla fontana. Per le esigenze d’ evacuazione più consolidate, bastava nascondersi dietro un portone dimenticato inavvertitamente aperto, coricarsi sulle ginocchia con le brache abbassate ed evitare che il fuoriuscendo vi cadesse dentro. Per le donne, la cosa era ancora più semplice. Siccome indossavano abiti abbondantemente larghi e lunghi fino a terra, a loro, pur rimanendo in piedi, era sufficiente allargare le gambe quel tanto che bastava ed espellere sul terreno l’ incontenibile. Qualunque esso fosse! Forse, le mutande moderne sono l’ evoluzione della cintura di castità di medioevale memoria. Più giusto sarebbe stato chiamarla “ cintura di castigazione” . Infatti, le donne soggette a tale usanza, non lo facevano per loro piacere e virtù; ma erano costrette dall’ uomo che, con tale strumento, pretendeva proteggere la “ sua” proprietà. In tempi più vicini a noi, il senso di proprietà si è ribaltato e le donne, consapevoli del valore che tengono tra le gambe, ne hanno preteso la gestione in proprio. Ciò è avvenuto fino al 19 settembre 1958; poi, la legge “ Merlin” ha buttato molte donne fuori casa. Purtroppo, queste, trovandosi sulla strada senza assicurazione sociale e protezione dello Stato, pur rimanendo cittadine italiane, sono state facile preda di professionisti violenti che, in proprio, hanno sfruttato quel capitale che la natura ha tanto generosamente dotato il genere femminile. Le mutande maschili possono essere di tipo: “ boxer” (ideate dal tedesco Er Box oppure, a “ slip” (mutandine da bagno; usate anche da chi non si lava) In entrambi i modelli si possono trovare versioni speciali con tasca al centro riscaldata da un filamento elettrico, funzionante con batteria inserita nell' elastico, in vita, delle mutande. Nelle giornate invernali, molto fredde, è riconosciuto che, al pene, lo shock da gelo produce un letargo irreversibile fino alla primavera successiva, con conseguente disappunto del genere femminile. Per impedire all' organo sessuale maschile di subire tale shock e ridursi nei minimi termini, per tutta la stagione invernale lo si tiene infilato nella tasca riscaldata. Tale tasca, è comunemente chiamata: "portapene" o "portagioie", a seconda dell' età del gestore. Con le mutande vecchie, raccolte dalle associazioni caritatevoli, si costruiscono girelli e dondoli per bambini. Sarebbe inutile usare mutande nuove, tanto, i bambini presto crescono ed i giocattoli poi si buttano. Con le mutande sporche, si possono sfogare, anche, repressioni accumulate verso terzi, esempio: metterle in testa al capufficio per fargli sapere che è una testa di cazzo, o una faccia da culo. (chi sa perché tutti i capiufficio sono antipatici ai propri dipendenti?) Quando un uomo ed una donna, trovandosi soli, desiderano spogliarsi per avere un rapporto sessuale, è bene per entrambi farsi trovare con la biancheria intima pulita, elegante e profumata. Queste condizioni sono molto importanti per ottenere un buon rapporto di sesso. Viceversa, se ci si dovesse trovare di fronte ad una persona con la biancheria sporca, rotta e puzzolente; sicuramente gli ardori sessuali sarebbero smorzati. Nell’ uomo lo smorzamento si evidenzia per la caduta verso il basso dell’ organo poco erectus; mentre, per la donna, non avendo parti anatomiche evidenzianti lo stato di malessere, la classica via di fuga rimane il sopraggiungere di un’ improvvisa e fastidiosa emicrania. Ricordatelo uomini: quando la vostra donna non vuole fare l' amore con voi, lavatevi! Nei box shop degli aeroporti e nei grandi alberghi, sono in vendita mutande bisex del tipo usa e getta. Sono prodotte con materiale ecologico riciclabile, e il loro successo è dovuto, anche, alle figure stampate sopra. Sono riproduzioni di opere d’ arte d’ importanti autori contemporanei, come: Vincent Van Gogh, Casimir Malevic, Vasilij Kandinshij e Fernand Leger. (per altri autori si consiglia di consultare l' Enciclopedia dei Maestri del Colore) Per i regali da mandare al compleanno degli amici, sono simpatiche quelle mutande con i messaggi ed i disegni stampati davanti; del tipo: il simbolo “ divieto d’ accesso” da mandare a chi ha scelto la castità; oppure: per il ragazzo imberbe, il disegno di una mano chiusa a pugno con la scritta “ stiamo lavorando per voi” . I disegni più richiesti sono quelli raffigurati sul retro delle mutande, tipo: l' eruzione fumosa dell' Etna e il faccione del dio Eolo che soffia all’ altezza del culo. Per lo scoreggione, è eloquente la scritta sul retro delle mutande: “ vietato fumare, fuga di gas” . Questo genere di disegni sono dati in concessione dal pittore Tolimbo; comunemente conosciuto con il nome di battaglia "la pistola che uccide". La faccia del politico di opposta fazione, disegnata sul culo delle mutande, al fine di scoreggiargli sopra, non è consentita per legge. Esistono anche mutande di plastica a tenuta stagna. Servono alle persone incontinenti, le quali, trovandosi fuori casa con tale tipo di indumento, possono tranquillamente espellere i loro scarti intestinali direttamente nelle mutande. Poi, a fine giornata, sono autorizzate a buttare il tutto nel bidone dei rifiuti ecologici; meglio se il bidone è del vicino di casa antipatico, il quale non perde occasione per fare l' occhiolino a vostra moglie. Con un leggero supplemento al biglietto, questo genere di mutande è fornito, anche, dalle compagnie aeree ai propri clienti che ne facciano esplicita richiesta. Al termine del volo è consentito restituire l’ indumento alla hostess che vi saluta all’ uscita dell’ aereo, essa, poi, come previsto dal contratto di formazione lavoro, provvederà alla pulizia e all’ eventuale riciclaggio dell’ oggetto in un successivo viaggio. Non è vero che le mutande rosse indossate l' ultima notte dell' anno portino fortuna. Un mio caro amico, di nome Seghenzio, purtroppo molto timido ma deciso trascorrere l’ ultima notte del millennio a letto con una ragazza notoriamente generosa, (a titolo simbolico, la dava per cento lire) per propiziarsi l’ evento e non avendo più trovato boxer rossi per l' occasione, ha ripiegato sull’ ultimo paio di culottes rosse da donna, a gamba lunga, rimaste invendute nei magazzini Coin. Il rito propiziatorio, aiutato dall’ abbondante cena con relativi brindisi per l' anno nuovo, alla fine, ha favorito l’ incontro dei due in una camera di un noto albergo cittadino. All’ inaspettata vista di quelle strane mutande rosse con pizzo e nastrini, la ragazza, nell' alterazione dei sensi incontenuti per i fumi dell' alcool, scoppiò fragorosamente a ridere, prendendo pure per il culo quel povero Seghenzio. Il mio amico, rimasto comunque timido ed impaurito dalla fragorosa ed imbarazzante situazione creatasi, fuggì precipitosamente giù per le scale con i pantaloni in mano, dove, immancabilmente, finì d' inciampare precipitando rotoloni fino al piano terra davanti al banco della reception. Volendo trasmettere ai giovani, un' esperienza acquisita durante il mio soggiorno adolescenziale in un collegio frequentato anche da ragazze iscritte alla F.I.G.A. (Federazione Italiana Giovani Agronome) per i ragazzi che ancora non hanno avuto rapporti sessuali con donne, propongo, una volta la settimana, di cominciare ad indossare le mutandine sporche prestate da un’ amica compiacente. Ciò aiuterà il pene a riconoscere, gradualmente, l’ odore della vagina; impedendogli che in futuro esso possa prendere una direzione sbagliata e riprovevole. ³,OSUHVHUYDWLYR´ Questo, amabile e istruttivo episodio, lo dedico alla senatrice Merlin, che è riuscita mettere sulla strada tante prostitute che prima avevano la sicurezza di una casa confortevole, la protezione dello Stato e tanti amici che non si drogavano. SUHVHUYDWLYR DJJatto a preservare/ VP lett. rimedio che preserva. $QWLFRQFH]LRQDOH, agg. che impedisce la fecondazione/ antifecondativo. farmaco o rimedio 3HU l’ uso del preservativo, occorre avere l’ attributo all’ uso (il pene). I preservativi si possono acquistare al supermercato. Sono in contenitori esposti presso le casse, insieme a quei prodotti che si acquistano all’ ultimo momento mentre si deposita la spesa sul banco a nastro. Ciò permette di prelevare, dall’ espositore, la confezione di preservativi (in genere sei unità) poi, facendo con il viso l’ espressione dello scemo che vuol vedere da vicino un prodotto che non conosce, disinvoltamente, si lascia cadere tra le cose già acquistate. Oppure, s' infila direttamente in tasca. All’ inizio, parlo di non molti anni fa, quando il prodotto non era reclamizzato e si acquistava quasi clandestinamente in farmacia; era da sconsiderati parlare in pubblico di sesso, e tanto meno di preservativi. Questi, erano catalogati tra i prodotti di presidio medico sanitario e considerati oggetti per persone immorali. Per i motivi che ho appena detto, non erano esposti alla vista del pubblico, occorreva chiederli ad alta voce al farmacista. Qualora si fosse presentata una donna per l’ acquisto, la cosa creava un certo imbarazzo, ancora più forte, tanto da rinunciare alla richiesta se in farmacia fossero state presenti altre persone. In maggioranza, però, erano gli uomini che con più sfacciataggine entravano in farmacia per chiedere il preservativo; ma poteva succedere che si trovassero di fronte ad una farmacista donna, la quale, sentendosi fare la richiesta, era lei ad imbarazzarsi arrossendo in viso e con voce strozzata in gola (tipo Jervolino) dichiarava: “ noi non teniamo quel prodotto” . Fortunatamente, con lo sviluppo dell’ intelligenza umana, l’ industria produttrice di preservativi ha aggirato l’ ostacolo, installando, fuori delle farmacie, macchine automatiche per la distribuzione dei suoi prodotti. Infatti, poi succedeva, che nelle ore notturne, le macchine dispensatrici fossero assaltate da orde di ragazzini, i quali, con orgoglio di prode cacciatore, il giorno seguente mostravano alle compagne di classe l’ oggetto simbolo dell’ omo erectus. Oggi, il preservativo è diventato un prodotto di largo consumo. Quelle farmaciste, che alcuni anni fa osteggiavano la vendita del profilattico, intendendo seguire le indicazioni di carattere religioso che prescrivevano il rapporto sessuale solamente tra coniugi al fine di procreare, quelle farmaciste, ora si rammaricano di essere state considerate delle “ insulse” donnette senza visione della realtà. E anche, di aver perso buoni guadagni favorendo lo sviluppo della vendita del prodotto in altri esercizi commerciali, diventati loro concorrenti. Il preservativo, o profilattico, è un prodotto creato per preservare da malattie veneree in caso di contatto, fisico sessuale, con persone infette; oppure, come contenitore dello sperma impedendone l' ingresso nella vagina in un rapporto sessuale. Esso, può essere usato anche dai giovani che, privi di una partner, vogliono masturbarsi evitando di sporcarsi le mani nell' eiaculazione; o meglio, evitare di sporcare il pene nel farsi una sega con le mani sporche. In commercio, può succedere di trovare preservativi prodotti da vecchia data e deteriorati, questi, non essendo perfettamente imper- meabili, ossia sono bucati, non sono più idonei all’ uso specifico. É opportuno, prima dell' uso peculiare del prodotto, controllarne sempre l' efficienza. Occorre gonfiarlo, soffiandovi dentro, e vedere se esistono perdite d' aria. L’ Istituto Superiore della Sanità, raccogliendo le raccomandazioni dell’ A.F.N.P.B. (Associazione Figli Nati da Preservativi Bucati) ne sconsiglia l’ uso. Per non voler sprecare l’ oggetto, se pur deteriorato, lo si può comunque utilizzare riempiendolo di dolci per poi appenderlo al camino la sera della Befana. Oppure, consegnarlo all’ ambasciata inglese; loro, provvederanno ad inviarlo alle popolazioni del terzo mondo, quale contributo umanitario per lo sviluppo del progresso. Nell' uso proprio del preservativo, nel caso che il primo incappellamento non sia riuscito alla perfezione e occorra un secondo tentativo, siccome risulta ormai srotolato e scomposto, è necessario umidificarlo abbondantemente con la saliva del partner; appallottolarlo ed inserirlo, ad uso di tappo, direttamente nella vagina. Per le successive 24 ore sarà garantito l’ effetto antifecondativo, purché non si superi il numero di tre rapporti sessuali; in tal caso, occorre togliere l’ oggetto e riumidificarlo con una dose superiore di saliva, sempre della partner, e reinserirlo nel cavo vaginale. E’ assolutamente sconsigliato l’ uso di quei preservativi fatti in casa, del tipo: ad uncinetto, o, a paglia intrecciata di Firenze. Questi preservativi casalinghi, si sono rivelati inefficaci e scomodi all’ uso, inoltre, l’ eccessiva manipolazione avuta nella fattura, non garantisce la sterilità del prodotto. L' unico preservativo di produzione casalinga a cui si può riconoscere una certa utilità, è quello fatto con l' intreccio di foglie di ortica. Questo modello di preservativo, oltre ad essere prodotto con materiale economico ed ecologico, stimola la circolazione sanguinea producendo un maggiore rigonfiamento del pene. E’ pure sconsigliato raccogliere da terra preservativi usati per riutilizzarli. Il preservativo trovato, può aver subìto un’ alterazione molecolare per surriscaldamento, dovuto all’ eccessivo uso collettivo con mancata lubrificazione adeguata. Perciò, non può dare le garanzie di una buona tenuta ermetica. Siccome il preservativo è un prodotto di alto prezzo, volendo proprio risparmiare, al posto dei classici preservativi si possono utilizzare i palloncini di gomma che vendono nelle fiere di paese. I più idonei sono i personaggi di Walt Disney, specialmente Topolino. Nell’ infilare il pene nel palloncino si esegue un gesto simbolico che può sembrare di metterlo in culo all’ America, e ai suoi stereotipi che tanto hanno condizionato l’ infanzia degli Italiani di fine secolo. (HFRQWLQXDQR) Terminato l’ uso del preservativo, per poterlo riutilizzare una seconda volta, occorre lavarlo con acqua minerale frizzante, asciugarlo e cospargerlo abbondantemente di talco profumato; poi, va conservato in frigorifero nel cassetto dei formaggi. (Se non avete acqua frizzante usate quella gassata, il palloncino, comunque, si sentirà felice ed euforico.) ³/RVSD]]ROLQRGDGHQWL´ Questo piccolo, sagace e simpatico racconto lo dedico al mio dentista, che se pur con i denti, ha saputo farsi la villa con piscina e parco. 6SD]]ROLQR: VP derivato diminutivo da spazzola; mentre il corrispondente accrescitivo della spazzola è spazzolone. Questa è la prova che anche nel regno degli oggetti esiste una gerarchia costituita, in cui ogni oggetto ha una sua specifica posizione alla quale deve sottostare. &RPH i preservativi, precedentemente argomentati, anche gli spazzolini da denti si possono acquistare in farmacia, oppure al supermarket. La differenza tra i due punti vendita è che: gli spazzolini acquistati in farmacia sono considerati presidio sanitario ed entrano nella categoria di quei prodotti inerenti la salute delle persone, mentre, gli spazzolini acquistati al market, più semplice- mente, sono considerati prodotti per la pulizia e l’ igiene del corpo. Tecnicamente sono uguali, tranne nel prezzo. Gli spazzolini sono tutti formati da due parti essenziali: una a destra, che è il manico, e una a sinistra che forma la testa ricoperta di setole. L’ uso corretto, dell' oggetto, è di tenere lo spazzolino con la mano destra mentre con la sinistra si schiaccia energicamente il tubetto del dentifricio sulle setole; poi, tenendo lo spazzolino ben saldo per il manico, fare alcune leggere frizioni ai denti. Coloro che sono privi di denti sono esentati dal doverli pulire, sarà sufficiente commemorarli il giorno dedicato ai caduti. Lo spazzolino da denti, generalmente, si tiene in un bicchiere appoggiato sulla specchiera del bagno. In genere si usano quei bicchieri mancini che ci sono stati regalati in coppia e di cui si è rotto quello col manico a destra. Nel bicchiere, oltre lo spazzolino, sono contenuti: il pettine, le forbi- cine, la limetta per le unghie, il rasoio per depilare le ascelle e la spazzola per capelli; quest’ ultima, infilata per la parte del manico. QRQq LOUDVRLRFKHGHSLODODVSD]]RODGHLFDSHOOLXVDWHXQSR GLIDQWDVLDQHOOHJJHUH Per esigenze igieniche, le pinzette per cavare le sopracciglia sono tenute in altro posto, mentre, lo scopino per pulire la tazza del cesso è facoltativo; lo si può tenere nello stesso bicchiere sulla specchiera, oppure, appoggiato sul pavimento vicino alla tazza. Voi dove lo tenete? Non è casuale la scelta delle posizioni così ravvicinate degli oggetti. Infatti, il sistema migliore per pulire il pettine dalla forfora grassa depositatasi durante l’ uso, è di passare le setole dello spazzolino tra i vari denti del pettine, facendole scorrere attraverso le fessure distanziatrici tra i vari denti. Per ottenere una pulizia completa del pettine, occorre eseguire diversi passaggi e usare una discreta pressione. Poi, ricordarsi di ripulire lo spazzolino e riporlo nel bicchiere sulla specchiera. Con lo spazzolino per la pulizia dei denti, si possono pulire anche le scarpe di pelle di camoscio. Lo spazzolino, in genere, è prodotto con setole di plastica rigide che, con movimenti ben determinati, riescono efficacemente nell’ asportazione della polvere e del fango incrostato nelle scarpe; cosa non possibile quando, prima dell’ evento della plastica, gli spazzolini erano prodotti con setole naturali e morbide ricavate dai maiali. All' epoca, le setole, erano scelte e strappate una ad una allorché le povere bestie erano ancora in buona salute. Facendo passare più volte le setole dello spazzolino sopra le dita, si possono spazzolare anche le unghie delle mani e dei piedi, fino ad ottenere una perfetta pulizia a secco. Meglio che lavarle! Il ché comporterebbe un eccedente consumo d' acqua, poi l’ uso dell’ asciugamano e la conseguente lavatura in lavatrice con spreco di energia elettrica e ulteriore inquinamento per uso eccessivo di detersivo. Tutto ciò è veramente da evitare. Per gli uomini che vogliono tingersi i baffi e ottenere una tintura omogenea, il metodo migliore è: mettere il colore direttamente sulle setole dello spazzolino, poi fare diversi passaggi regolari sopra i peli dei baffi. Ma se volessero, invece, una tinta a strisce o a pois, è opportuno fare pochi passaggi di colore, ma ben mirati nelle zone da tingere. Per le persone affette da emorroidi, e che volessero alleviare il prurito, è sconsigliato lo sfregamento della parte interessata con l' uso di uno spazzolino da denti fornito di setole rigide; pur riconoscendo che il risultato darebbe un' esaltante soddisfazione spasmodica, si consiglia l' uso del vecchio spazzolino con setole naturali morbide, magari, imbevute in un preparato disinfettante con l' aggiunta di peperoncino rosso. Terminata l' operazione di sfregamento, lo spazzolino dovrà essere riposto nel bicchiere sopra la specchiera; non solo per l' igiene, ma per una forma d' ordine casalingo. Quando le cose sono al loro posto, poi sarà più facile ritrovarle. Un uso proprio dello spazzolino per la pulizia dei denti è quello molto diffuso tra i militari stazionati in caserma. Ai ragazzi soggetti alla corvée, spesso, è comandato di pulire gli interstizi dei sanitari nelle latrine. Le sottili e robuste setole, in quell' occasione, si possono rivelare molto efficaci per togliere lo sporco depositatosi tra il pavimento e la tazza del cesso; posizione difficile da raggiungere anche con le semplici unghie del comandato. Si può anche consigliare di usare lo spazzolino per togliere le incrostazioni del calcare formatosi all’ interno delle tazze; ma, volendo agevolare il lavoro, è opportuno aggiungere un po’ di anticalcare sulle setole dello spazzolino. Dopo l’ uso ricordarsi di risciacquare lo spazzolino e riporlo con cura. Meglio, se nascosto tra le calze nell’ armadietto personale in camerata. Tra i vari usi dello spazzolino da denti si può: togliere il sudiciume e la polvere addensatasi nella corona e nella catena della bicicletta, si possono sfregare dall’ unto i tegami e togliere le incrostazioni dal forno di cucina, si possono pulire gli stucchi del soffitto nell' ingresso della Fabbrica di San Pietro a Roma (visto in televisione durante i restauri per il giubileo del 2000) e lasciare ai lettori la fantasia e la libertà del momento. Poi, ricordarsi di risciacquare lo spazzolino e riporlo nel bicchiere. L’ uso più comune dello spazzolino da denti, rimane quello specifico per il quale è stato creato: la pulizia dei denti. In questo, per risparmiare sull’ usura dell’ oggetto, è consigliato l’ uso dello spazzoli- no del compagno di stanza. Se egli non è d’ accordo, occorre farlo a sua insaputa. Nel caso si tratti di coppia unita legalmente con una convivenza collaudata nel tempo, prestando attenzione che il coniuge non abbia la carie in atto, si può usare uno spazzolino di buona qualità in comune accordo. Siccome la carie è una malattia contagiosa, prima di usare lo spazzolino, in uso comune, è opportuno sputare sulle setole. Tutti sanno che la saliva è un valido disinfettante orale. Gli spazzolini usati, ma ancora validi per l’ uso, si possono consegnare alle associazioni che raccolgono materiale di pronto intervento per i disagiati colpiti da calamità naturali. Tipo: alluvionati, terremotati, divorziati e profughi. E’ nota la grande richiesta di spazzolini tra queste comunità così duramente colpite. Se gli spazzolini sono molto logorati e rimasti con pochi ciuffi di setole, questi, possono essere riportati in farmacia. Il farmacista riconoscerà uno sconto sull’ acquisto del nuovo. (promozione della rottamazione degli spazzolini) Lo spazzolino vecchio, quello rimasto con poche setole e consegnato al farmacista, sarà poi riutilizzato e donato in uso negli ospizi per anziani. Qui, tra gli ospiti, sarà stilata una graduatoria conforme- mente al numero di denti rimastigli in bocca. A chi ne sarà rimasti di più gli sarà assegnato lo spazzolino con più setole, mentre, a coloro che saranno privi di denti, gli sarà assegnato solamente il manico col quale potranno allenarsi a masticare per irrobustire le gengive. Per le persone che spesso hanno l’ occasione di viaggiare, esistono in commercio spazzolini studiati per questo tipo d’ esigenza. Sono spazzolini di dimensioni ridotte e si piegano in due, oppure, il manico si smonta e si separa dalla testa. La loro forma è stata studiata da designer e dentisti associatisi allo scopo di invogliare l’ uso e l' acquisto di un prodotto superfluo. Per chi ha esperienza di viaggio e sa di doversi portare meno cose possibili, lo spazzolino lo evita. Per pulirsi i denti, ci si spara un po’ di dentifricio direttamente in bocca, con le dita si sfregano i denti e dopo un paio di gargarismi si sputa il rimanente che non si è riusciti ad ingoiare. Visto! Lo spazzolino non serve. Negli ultimi anni sono stati messi in vendita spazzolini funzionanti con la corrente elettrica. Ne esistono di vari modelli. Quelli attuali, sono funzionanti a bassa tensione con la batteria incorporata nel manico, mentre, modelli di vecchia generazione, funzionavano con il filo della corrente collegato direttamente alla presa della specchiera; questi, a seguito dell’ usura, quando venivano a contatto con le capsule metalliche dentarie, provocavano cortocircuito con scosse che arrivavano direttamente al cervello. L’ invenzione degli spazzolini elettrici è stata un’ esigenza incre- mentata dallo sport del tennis diventato popolare. I medici, notando un aumento della "malattia del gomito del tennista" (lesione dei muscoli dell’ articolazione) d’ accordo con le industrie di piccoli elettrodomestici, hanno commissionato la produzione di quest’ aggeg- gio, che non solo è usato da chi ha problemi di movimento del braccio, ma anche da chi la mattina, stando comodamente seduto sulla tazza del cesso, in attesa di una sospirata evacuazione, può agevolmente spazzolare tutte le dentiere della famiglia. 3DURODFFH Questo breve, scemo, ma sincero capitolo lo offro a tutti coloro che: in pubblico vogliono apparire intelligenti, acculturati e di linguaggio forbito; ma che in privato sono sboccati, violenti e ipocriti. 3DUROD: VI suono articolato composto di una o più sillabe con cui l' uomocomunica dei contenuti mentali; può essere espressa con la voce o con segni. 3DURODFFLD: (pl.–ce) VI parola volgare, offensiva. 6WURQ]DJJLQH: Espressione culturale di provenienza postmoderna con forte influenza popolare. 1HOOH pagine del mio vecchio dizionario della lingua italiana, che usavo alle scuole medie, di cui ho ripetuto la seconda classe e arrivato alla licenza non sono andato oltre; ho cercato la parola “ stronzo” . E’ stata una curiosità per vedere com’ era definita la parola più usata nel linguaggio comune degli Italiani. L’ unica parola che assomigliasse a stronzo è “ stronzio” HOHPHQWR FKLPLFR PHWDOOR GL FRORUH ELDQFR EULOODQWH XVDWR SHU OHJKH H DOWUL XVL HFF Mi chiedo: perché la parola più usata non è riportata nei vocabolari comuni? Il compito dei vocabolari è quello di riportare le parole che formano il linguaggio della gente! Se non lo fanno, perché? Perché sono stronzi! Ecco svelato il mistero. Il dizionario è uno strumento didattico che segue le indicazioni della cultura ufficiale da impartire agli studenti. Se accettasse la parola “ stronzo” , come parola ordinaria del linguaggio comune, questa parola entrerebbe "ufficialmente" nel dizionario e potrebbe essere usata nei documenti pubblici e rappresentativi, arrecando danno all' immagine della lingua colta. Cercando ancora nello stesso dizionario, (non ne ho avuti altri) ho trovato la parola "merda" = VIYROJDUH (VFUHPHQWRVWHUFRILJXUDWRSHUVRQDHFRVDVSUHJHYROH La parola merda è similare a stronzo; ma il suo uso è preferito dalle persone raffinate e di cultura medio alta. Ecco, allora, che gli intellettuali dal parlare forbito, possono usare la loro parola "merda", che è riconosciuta dall' ufficialità della lingua; mentre il popolo, che i raffinati chiamano "volgo", il quale per essere più incisivo nella sua espressione usa "stronzo", parola ben specifica ed inequivocabile nella forma, è ritenuto volgare. Dallo stesso dizionario ho letto la parola "volgare": DJJ GHO YROJR SURSULR GHOOHFODVVLSRSRODUL ILJ VSUHJHYROH SULYR GL SUHJLR FRPXQH UR]]R JURVVRODQR VP OD OLQJXD LWDOLDQD R XQ DOWUD OLQJXD QHR ODWLQDLQFRQWUDSSRVL]LRQHDOODWLQROLQJXDGRWWD Allora: se la lingua italiana è considerata un volgare, perché non inserire nel dizionario italiano tutte le parole popolari (o volgari) che formano la lingua italiana? Se il dizionario serve per conoscere tutte le parole della lingua italiana, è anche vero che sono le parole popolari che dovranno essere assorbite dal dizionario per formarne la lingua! Comunque: (non si comincia mai una frase con una congiunzione; chi se ne frega!) nell' uso comune, la parola "stronzo" è più usata per indicare il carattere di una persona, piuttosto che il defecato "merda". Di stronzi, in senso di persone, n' è pieno il mondo. Quanti stronzi conoscete? Provate, cercando di ricordare tra le vostre conoscenze a quanti applichereste l' aggettivo in oggetto. Quali sarebbero i motivi per i quali voi definireste "stronzi" le vostre conoscenze? Amici che vi hanno fatto un dispetto nonostante avessero la vostra fiducia? Persone che pur di avere un piccolo interesse personale hanno provocato disagi ad altre persone? Fortunatamente, mi rendo conto che gli stronzi creano danni rimediabili; ma rimangono sempre stronzi. Sicuramente, chi provoca grossi guai irrimediabili, non deve essere considerato semplicemente stronzo, ma criminale. Esiste anche lo stronzo benevolo. Nel senso che: chi pronuncia questa parola verso altri, facendolo con il sorriso sulle labbra, molto probabilmente intende una critica amichevole e tollerante. Oppure, l' amico che, riconoscendo d' avere subìto un torto di forma ridotta, accetta la piccola sconfitta momentanea, ma lascia intravedere che, in una prossima occasione, sarà lui ricambiare il torto subìto. Molto più grave è l' espressione "merda". Volendo definire "merda" una persona; s' intende un giudizio pesantemente spregevole. Persona da cui stare lontani per non essere infettati. Se si è definiti stronzi, si ha sempre la speranza che sia in forma benevola; se si è definiti merda, è il massimo disprezzo che si possa ricevere. Un' altra parola molto diffusa nel vocabolo comune delle persone è "cazzo". L' ho cercata nel mio vecchio dizionario scolastico; ma non l' ho trovata. Per mia grande fortuna conosco il significato che tutti danno a questa parola. Essa rappresenta, in termine popolare, il "pene" organo genitale maschile. Mi sono chiesto: perché molte persone usano la parola "cazzo" solamente come esclamazione concisa e mai in un contesto espressivo dell' argomento in cui la parola ne richiederebbe appositamente l' uso? Esistono persone dal linguaggio sboccato, che la parola "cazzo" l' hanno sempre in bocca (più scorrevolmente: hanno sempre il cazzo in bocca) costoro dovrebbero stare attenti; non per quello che dicono (tanto sono cazzi loro) ma per l' educazione che rivelano di loro stessi. Sentire persone adulte, che nel loro linguaggio comune usano parole sboccate, come: stronzo, cazzo, vaffanculo e altre simili in un contesto da strada, la cosa non meraviglia più di tanto; ma sentirlo come mi è capitato, detto da una bambina che avrà avuto poco più di cinque anni, rivolgendosi al suo cuginetto minore che la seguiva per starle vicino "ma che cazzo vuoi da me?" in tono burbero da adulto, la cosa mi ha lasciato molto perplesso per l' immagine educativa che la bambina dava di sé. Non sono né sociologo né psicologo per capire o spiegare perché bambini usino linguaggi considerati non educati, cioè: non provenienti da un' educazione corretta; ma posso immaginare, che è più facile assimilare un linguaggio sentito ripetutamente sulla strada da persone adulte, piuttosto, che un linguaggio ufficiale insegnato nelle scuole, e prima ancora dai genitori a casa. Prima che diventasse d' uso comune la parola "cazzo", ricordo che tra noi ragazzi si usavano altre parole per indicare l' organo genitale maschile. (ogni regione aveva le proprie) Ora, quelle parole: pistola, uccello, pirla, minchia ecc. dai giovani non sono più usate e sono state sostituite con parole unificate e divulgate da un volgo diventato nazionale. Il merito di avere unificato il linguaggio nazionale si deve alla televisione. Nei primi decenni, quando i programmi televisivi erano scelti dalla censura dei governi del momento (sempre quello) essi volevano insegnare la lingua italiana (alfabetizzare) a tutte quelle popolazioni adulte che: per ragioni economiche, non avevano potuto frequentare la scuola elementare. L’uso di un’unica lingua nazionale era necessaria per lo sviluppo culturale ed economico della Nazione. Ora, che l' Italia fa parte del gruppo delle nazioni più industrializzate del mondo, la televisione sta invertendo la situazione. Sempre più si sentono programmi televisivi in cui i dialoghi sono espressi nei dialetti popolosi e rappresentativi di grosse comunità urbane. Spesso, per esigenza di spettacolo ambientato in situazioni strettamente locali, del tipo: mafia siciliana o sceneggiata napoletana, sono usate espressioni dialettali di quelle città. Il milanese è usato negli spettacoli di cabaret d' avanguardia (niente a che vedere con un vassoio di paste che corre avanti per dare l' allarme) mentre il dialetto più usato, per antonomasia, è il romanesco. Il linguaggio attuale usato a Roma, che immagino molto diverso dal romanesco proposto dal poeta Trilussa, purtroppo, per il fatto che il centro dello spettacolo televisivo e della politica risiedono prevalentemente in quella città, sta diventando una sorta di gergo nazionale. Dico purtroppo, perché a me l' attuale modo di parlare che usano i giovani Romani mi sembra rozzo e più volgare di quanto meriterebbe. Spesso, le parole sono accompagnate da gesti ed espressioni facciali rappresentative della provenienza suburbana e lontana dalla volontà d' emancipazione delle popolazioni. Il mio timore è: che gli stranieri credano che gli Italiani siano tutti Romani. Per loro, i Romani, potrebbe essere gratificante sentire che il loro gergo sta diventando nazionale, ma per la maggioranza degli altri Italiani, sicuramente non lo è. Sul mio dizionario, carico di reminiscenze scolastiche, ho cercato anche la parola "vaffanculo" ( per esteso: "va a fanculo” ) altro termine molto usato nel linguaggio comune. Non c' è scritto. Non esiste! Volendo vedere se quella parola rappresentasse una città o un paese veramente esistente; l' ho cercata, anche, nella guida dei codici postali. Non c' è! Eppure, ad uno straniero che, trovandosi in giro per l' Italia in cerca di località minori da vistare, spesso gli può capitare di sentire che un Italiano indichi quella località ad un altro; lo straniero, rimanendone attratto ed invogliato alla conoscenza, potrebbe mettersi alla ricerca di quel luogo tanto eletto. Sarebbe veramente il caso, che qualche sindaco intraprendente dedicasse il nome “ Vaffanculo” alla propria città. Certo, che, se una città bisognosa di farsi conoscere, per incrementare le proprie entrate turistiche, si cambiasse il nome attuale in "Vaffanculo" molti turisti andrebbero a visitarla e parecchie querele per offesa sarebbero evitate. E poi, sai quanto sarebbe liberatorio poter mandare, ad alta voce, molte personalitàdi mia e vostra conoscenza in villeggiatura a Vaffanculo, senza il timore di essere querelati! Ad esempio: Città di Vaffanculo; Benvenuti alle Terme di Vaffanculo convenzionate INPS. A proposito di vaffanculo, volendo acculturarmi sulla parola specifica "culo" ho trovato: -Culo VP GHUHWDQRHVWIRQGRGLXQRJJHWWRVSHFGLUHFLSLHQWH Nel linguaggio comune, per indicare il culo, o deretano, si usa la parola "sedere". Questa parola, in quanto nome specifico di quella parte posteriore, non esiste. È pura invenzione per non voler chiamare le cose con il proprio nome ufficiale. Se in una conversazione tra persone, che si ritengono educate nell’uso di un linguaggio non volgare, dovessero indicare il culo, o deretano; queste userebbero la parola "sedere" perché si vergognano nominare "culo" nonostante il termine sia ufficialmente riconosciuto nel dizionario della lingua italiana. Anche la parola "gabinetto" spesso è sostituita alla parola "cesso" indicata come luogo appartato per effettuare quei riti necessari alla evacuazione degli scarti intestinali, mentre il vero significato di gabinetto è si: luogo appartato; ma in funzione di lavoro o studio. Esistono parole comuni, regolarmente indicate dai dizionari fin dai tempi d’ inizio dell’ uso della lingua italiana, che alcuni personaggi televisivi, volonterosi di mostrarsi perbenisti, non usano. La loro ipocrisia letterale si mostra fluorescente e abbagliante, esempio: quando usano l’ espressione “ non vedente” per indicare una persona priva di vista, quando, invece, è corretto definirla “ cieca” ; oppure, usano “ operatore ecologico” pensando, così, di non offendere il netturbino, e anche “ handicappato” parola metà inglese e metà italiana, derivata da “ handicap” che significa: competizione sportiva con l’ aggiunta d’ impedimenti, ostacoli o svantaggi: Come: se le persone invalide fossero tutte cavalli in pista per una gara. Pure la parola di recente invenzione “ disabile” ; sembra indicare una persona disabilitata a compiere certe funzioni. Come fosse una macchina a cui sia stata tolta la corrente elettrica per impedirgli di fare danni. La colpa non è delle parole, ma di chi le usa impropriamente. Forse, la lingua italiana è formata da convenzioni contrastanti tra i vari livelli sociali. Quante lingue italiane esistono? Casualmente, rileggendo un altro mio turpiloquio scritto su i libricini di Tolimbo, (libricini; parola inventata, si dovrebbe scrivere: libretti, oppure, piccoli libri) mi sono accorto che dal mio dizionario scolastico manca la parola "coglione", eppure, anche questa parola è molto usata dagli Italiani. Tutti conoscono il significato di coglione: esso rappresenta, nella parlata popolare, ciò che in italiano " è " uno dei due testicoli. Come spesso succede, oltre quella già descritta, anche questa parola ha un secondo significato. La si usa per indicare l' atteggiamento o il modo di fare, e di essere, di una persona che facilmente si lascia imbrogliare senza reagire. Può anche essere usata per offendere gratuitamente, sostituendola all' espressione "imbecille" quando in un dialogo concitato ed estemporaneo non si hanno argomentazioni valide e pronte per ribattere l' interlocutore avversario. Riassunto del discorso: Cazzo, mi sono rotto i coglioni di scrivere. &DFFROD Offro, questa simpatica perla, alla mia giovane e graziosa vicina di casa che, mentre controlla la sua eleganza nello specchio dell' ascensore, col dito mignolo provvede alla pulizia del naso, poi appiccica le caccole alla pulsantiera. &DFFROD: VI muco raggrumato del naso; cispa degli occhi/ sterco che si appiccica alla lana delle pecore. &RPH sinteticamente descritto nel già citato vecchio dizionario della lingua italiana, la caccola non è proprio da definirsi una bella cosa: né da vedere, né da toccare; ma è un prodotto naturale e come tale dobbiamo accettarlo. Esistono persone che provano piacere nel pulirsi, con le dita, le caccole depositatesi all' interno delle narici. Queste persone, comunemente chiamate scaccolanti, per espletare le loro funzioni di pulizia nasale: prima si guardano bene la mano, poi scelgono il dito dalle dimensioni più appropriate per le necessarie operazioni di penetrazione e, con indifferente disinvoltura, con l' unghia, procedono alla relativa asportazione di quel prodotto di scarto tanto insistentemente ricercato. Apparentemente, sembra, che questi impavidi operatori ecologici (da non confondere con i netturbini) procedano all' operazione "scaccolamento" per migliorare la loro respirazione attraverso le vie nasali; ma, invece, tutta quella manovra di manipolazione viene eseguita per il piacere sensuale, quasi orgasmatico, che essi provano nello staccare quel grumo appiccicato ai peli del loro naso. Ho voluto specificare "loro" perché non è ancora di mia conoscenza l' esistenza di gruppi di persone le quali si scaccolino vicendevolmente, traendone un piacere collettivo e di massa. Oltre all' operazione appena descritta, esistono individui che prolungano il godimento del tatto mucoso, cercando di farne una morbida pallina da sfregare tra le dita, quale innocente passatempo in un momento noioso della giornata. A tale proposito: una nota "esponente" politica, visto che ormai più nessuno la considerava, (i volgari direbbero: cagava) dall' alto dello scranno del parlamento, e più volte colta in flagrante, dopo essersi ben trastullata con la sua pallina personale, lanciava l' offensiva direttamente sulla testa dei colleghi sottostanti pur di far notare la sua presenza in aula. Il piacere di armeggiare con le dita all' interno del cavo nasale, può anche provocare un orgasmo pari ad una masturbazione adolescenziale praticata in luoghi inopportuni e rischiosi. La più classica, di remota memoria scolastica, era la masturbazione fatta in classe durante l' ora di religione; ovviamente, tenendosi coperti dal banco di scuola. Il rischio di essere scoperti dal prete, che se ne stava seduto alla cattedra per i fatti propri, senza preoccuparsi di quanto avvenisse in aula, era grande; ma la riuscita dell' evento era assicurato dalla velocità della eiaculazione dovuta all' età giovanile. Qualche tempo fa, mi fu giunta notizia che, in Francia, a Cacòl sur le merd, per festeggiare i duecento anni della famosa rivoluzione, un' associazione di ex combattenti, aveva indetto un concorso a premi per chi avesse prodotto la pallina più grossa utilizzando le caccole di tutta la famiglia. Sembra che: nell' esultanza gioiosa dei vincitori, e con una doverosa ed appiccicosa stretta di mano, il sindaco in persona abbia consegnato il primo premio alla famiglia del signor Moccol, di Tirasucolnas. Tornando alla caccola, d' inizio discorso, con questa parola si possono definire anche le persone che asfissiano il prossimo con la loro pre- senza sgradita; individui appiccicosi da cui non è facile staccarsi con le buone maniere, proprio come la cispa (parola italiana specifica, indicata dal dizionario) muco essiccato che ci si ritrova attaccata agli occhi al primo risveglio del mattino, cui bisogna aggrapparsi e tirare forte per riuscire a scollarsele dagli stessi. L' altro significato di caccola, espresso dal dizionario, lascia pensare ad una diversità tra lo sterco che la pecora lascia cadere al suolo e lo sterco che rimane appiccicato alla lana. Il fatto che il dizionario specifichi "attaccato alla lana" evidenzia che quelle palline, di colore nero con leggere sfumature di verde scuro, cadute al suolo, si possono comunemente definire: merda, o sterco; mentre le altre, quelle rimaste attaccate alla lana della pecora (evidentemente nella zona del culo) si debbono chiamare esattamente "caccole". Non avrei mai immaginato che la stessa merda potesse avere due nomi. Parlando di pecore che producono i loro scarti intestinali, mi ritorna in mente quando da bambino, nel periodo estivo delle vacanze scolastiche, mi trasferivo in campagna a casa del nonno. Tra i miei passatempi di quel periodo, trasformati in gioco utile e collaborativo, vi era quello di praticare la stalla provvedendo alla cura delle vacche. Tra i vari compiti specifici che mi erano assegnati, assieme agli altri cuginetti residenti sul luogo, c' erano quelli di accompagnare il bestiame all' abbeveratoio, riempire le greppie di fieno (mangiatoie) e cambiare la paglia sporca nel letto del bestiame. Considerando: che nella stalla vi erano venticinque coppie di grossi buoi da tiro con i loro enormi stomaci, provate ad immaginare quanto fosse il letame da scariolare fuori dalla stalla, per ammucchiarlo fin sopra al centro della concimaia (letamaio). Ora, che da quegli eventi è trascorso quasi mezzo secolo, il ripensare a quei lontani giorni felici, mi fa sorridere per la semplicità del piacere che provavo nel camminare a piedi nudi sopra quella montagna di letame caldo e fumante. … Un consiglio a quelle persone (a coloro) che hanno sempre vissuto in città, alle quali è mancata l' occasione di praticare una concimaia naturale, e che si sono sentite almeno una volta apostrofare l' invettiva " letamaio " sappiano, che l' insulto a loro rivolto va inteso nella sua pienezza; ossia: "Letamaio, più merda che paglia". Lascio a voi il piacere fonetico di tradurre questa frase nel vostro dialetto. ³,OFRQGRPLQLR´ Questa, ulteriore mia fatica, la dedico alla mia dirimpettaia di casa, che ha sempre tempo per tenere l’ orecchio attaccato al muro e non si fa i cazzi suoi. &RQGRPLQLR: VP comproprietà, specialmente di un edificio/ l’ edificio stesso e l’ insieme dei condomini. &RQGRPLQLR: rapporto giuridico che lega i diversi proprietari (condomini) di singole unità immobiliari di uno stesso edificio. ,QTXLOLQR: VP chi sta a pigione in casa di qualcuno. 6L può nascere sulle rive dello stesso fiume, ma trovarsi su due sponde diverse. Come dire: tutti nasciamo (oppure: si nasce, scegliete voi.) da un comune rapporto sessuale, per entrare in questo mondo dalla stessa porta, ma poi ci ritroviamo a vivere in case diverse. C’ è chi nasce in un castello regale (per fortuna sono pochi) oppure in una villa signorile; o chi, un po’ meno fortunati, in una palazzina unifamiliare indipendente, mentre i più sfigati (Sfigato = privo di figa; persona sfortunata. Termine molto in voga in quest’ epoca) dicevo, gli sfigati nascono in un condominio. Io, sono uno trai più sfigati; abito in un palazzo di nove piani con un sacco di appartamenti e d’ inquilini che vanno e vengono a tutte le ore del giorno e della notte. Il muro della mia camera da letto, è lo stesso muro che divide il mio appartamento dalla colonna dell’ ascensore, posto a fianco delle scale condominiali. Ormai, con tutto il rumore che provoca l' ascensore e il saliscendi di chi usa le scale, ho imparato riconoscere le abitudini notturne dei miei coinquilini di malasorte. Ci sono gli anziani che, dopo aver trascorso la serata giocando a tombola al circolo dell' Oca Morta, si fermano sulle scale e, siccome sono tutti sordi, parlano ad alta voce di quanto hanno perso e quanto avrebbero vinto se fossero usciti quei numeri; ci sono gli studenti che rientrano "caldi" discutendo di politica e se ne fregano di chi dorme; c' è la zoccola che, ciabattando, scende le scale per accompagnare alla porta l' ultimo fidanzato; il fornaio dell' ottavo piano che, da quando gli hanno rubato il motorino, per andare al lavoro alle due di notte, scende con la bicicletta infilata nell' ascensore; c' è la cubista con gli zatteroni ai piedi, che rientra tardi mentre incrocia l’infermiera dell’ospedale che esce presto, e pure loro si fermano a parlare sul pianerottolo; qualche volta parlano della giornata che è passata e di quella che deve venire, ma finiscono sempre per farsi i complimenti per le loro diverse scelte di vita che avrebbero voluto scambiarsi. E tutti, immancabilmente, sbattono la porta d' ingresso per fare dispetto a chi sta dormendo. Sembra proprio di abitare in un casino. (casino: termine corrente per indicare confusione e disordine. Precedentemente al 1958 la parola casino indicava la casa di tolleranza con prostitute a tariffa fissa. Quelli si, che erano tempi) A proposito di casino: Come racconta il mio vecchio dizionario, la parola casino è intesa come costruzione edilizia, luogo dove trascorrere piacevolmente il tempo. Fin dai tempi del medio evo e poi nel rinascimento, i "Signori" avevano castelli e delizie sparsi nei loro territori dove andare a trascorrere periodi di svago; oggi diremmo vacanza, o meglio ancora: relax. In quei luoghi dove nulla a loro era proibito, si dice che ne facessero di tutti i colori, sia nel bene sia nel male, la più classica delle situazioni, tramandata dalla diceria popolare, si racconta, che avessero cortigiane sempre disponibili per essere prese in qualsiasi momento che il "signore" ne avesse avuta voglia. Quelle "cortigiane" erano pure a disposizione di tutti gli ospiti della Signoria, permettendo a questi di approfittarne per soddisfare i loro desideri sessuali incombenti. Ecco, allora, che la parola "casino" assume il doppio significato: oltre a luogo di piacere, significa anche confusione; cioè: rimescolamento senza logica e ordine. Noi contemporanei, che non siamo dei "signori" nel senso di nobili aristocratici, e soprattutto perché viviamo in una repubblica democratica dove i titoli nobiliari sono stati sospesi, e si spera che vadano in rapida estinzione naturale, da quegli antenati abbiamo ereditato la parola "casino" e, per imitazione, nel secolo scorso lo Stato ha creato dei “ luoghi” in cui chiunque con una modica somma poteva prendere una ex cortigiana, ora prostituta, e fare sesso a tariffa oraria o a prestazione. Quei luoghi, i casini, come sono ora gli alberghi, erano suddivisi per categorie economiche al fine di poter dare la possibilità a tutti i ceti sociali di frequentare quello che più si addiceva allo stato economico del casinista. (frequentatore di casini) Nella mia città, fino al giorno della chiusura totale, erano rimasti in funzione solamente quattro casini, o, Case di tolleranza. “ Tolleranza” per il fatto che all’ interno si tollerava quello che era proibito fare fuori. All’ epoca: l’ esercizio della prostituzione in casa privata o nelle strade pubbliche era vietata. Le tariffe, che i casini praticavano per la prestazione minima, tipo una botta e via, erano: per il più economico, 500 lire; per quello medio, 1000 lire; mentre quello considerato tipo lusso, praticava la tariffa minima da 2500 lire, pari alla paga giornaliera di un buon operaio. Il casino più economico era frequentato da: ragazzi, studenti e militari con pochi soldi che si accontentavano di donne prossime alla pensione, le quali, qualche volta, lasciavano il segno sul pene con i pochi denti rimastigli in bocca; mentre, il più caro, che propo- neva ragazze giovani ai primi anni del mestiere, era frequentato da professionisti, commercianti, imprenditori e preti. All' esterno, sulla strada, i casini non avevano l' insegna luminosa al neon per attirare i clienti, tanto, tutti sapevano dov' erano; ma erano riconoscibili da una striscia di tinteggiatura bianca dipinta nel muro intorno alla porta e, il semplice ingresso, non era a pagamento. Appena entrati, vi era subito una seconda porta, la quale impediva che dalla strada si vedessero direttamente le donne semi spogliate che stavano all' interno del salone. Alcune erano solamente in mutande e reggipetto (oggi si dice reggiseno) mentre, le meno giovani, per pudicizia, con una vestaglia svolazzante coprivano la carne esuberante dalla biancheria intima. Spesso, i giovani, andavano a casino in gruppo; un po’ per farsi coraggio, un po’ per divertirsi e accompagnare i novellini alla loro prima esperienza sessuale. Da questo punto di vista, il casino, era un ambiente ricreativo e socializzante, fino ad arrivare alla confidenza con le prostitute e alla conoscenza del loro vero nome di battesimo. Superate le due porte d’ ingresso ed entrati nel salone, alcune sedie e un paio divani scomodi erano messi a ridosso dei muri, mentre, vicino all' ingresso, o all' uscita, secondo i punti di vista, vi era il banchetto della ruffiana che controllava i documenti di chi entrava; e da quel ponte di comando, sollecitava salire in camera con le ragazze quei clienti perditempo che erano entrati solamente per farsi gli occhi, o più semplicemente, per riscaldarsi in una serata invernale. La bramosia di sesso dei giovani, specialmente i diciassettenni che erano riusciti ad entrare con la carta d’ identità prestata da un amico maggiorenne, era la più rapida ad arrivare alla conclusione. Il tempo che impiegavano tra: il salire le scale, togliersi i pantaloni, farsi lavare i genitali per un controllo diretto nell’ eventualità vi fossero malattie veneree, del tipo: sifilide, scolo o semplicemente creste di gallo (condilomi acuminati) ed eiaculare; qualcuno riusciva emettere sperma anche con la sola presa in mano del pene da parte della “ Signora Puttana” così, nella loro timidezza, i giovani ben educati, chiamavano la prestatrice d' opera; che il tempo di scendere e ritornare alla cassa era di circa tre minuti. Qui, il cliente pagava la tariffa, mentre alla prestatrice era consegnato un gettone corrispondente alla prestazione; la famosa "marchetta". Per giudicare moralmente l' esistenza dei casini, dobbiamo considerare l' epoca sociale in cui essi funzionavano. La moralità materna di quegli anni, ricordiamoci che l' opinione pubblica era imposta dalla cultura ufficiale di matrice cattolica, richiedeva che le ragazze da marito arrivassero vergini all' altare; conseguentemente, siccome le leggi le hanno sempre fatte gli uomini, bisognava trovare un modo per sfogare gli istinti sessuali maschili prima del matrimonio. Tutto questo ha funzionato fino al 19 settembre 1958, poi è entrata in vigore la legge, conosciuta con il nome della senatrice socialista "Merlin", che l' ha proposta al parlamento e le cose sono peggiorate. Ora, che le ragazze perdono la loro verginità in età precoce e prima della corrispondente età maschile, se i giovani non sono veramente imbranati, troveranno sicuramente qualche ragazza emancipata disponibile per fare sesso con loro. Tornando al discorso iniziale, dopo la nostalgica ed emotiva dissertazione sui casini, dicevo: c’ è sempre gente nuova che arriva ad abitare nel condominio: studenti fuori sede (qualche volta anche fuori di testa); operai momentaneamente in trasferta che lavorano in nero mentre al loro paese figurano in disoccupazione; qualche signora che propone le proprie qualità sociali con inserzioni sul giornale; e anche, giovani coppie in attesa di figli e di sistemazione migliore. Tra queste, una, è arrivata da poco più di un mese e già si è fatta notare. Tutte le domeniche, verso mezzanotte quando sto già dormendo mi svegliano, prima, con il forte e rapido cigolio del letto che batte ritmicamente contro il muro, poi, per il prolungato ululato che la signora, pur cercando di soffocare riempiendosi la bocca col lenzuolo, espande per tutto il palazzo quando giunge all' orgasmo. Abitano tutti qua per qualche mese, poi sono sostituiti da altri inquilini in transito. Il condominio è formato da quattro scale interne con centottanta appartamenti dati in affitto; ma in verità potrebbero essere di più, perché sicuramente qualcuno è stato suddiviso abusivamente per aumentarne il reddito. Il mio condominio si chiama “ Condominio di merda” non per le persone che lo abitano, anche se qualcuna se lo meriterebbe, ma per il fatto, che il costruttore è, anche, titolare di un’ impresa specializzata per lo spurgo dei pozzi neri. Sono coloro che si fanno pagare per portarti via la merda, che poi mettono ad essiccare al sole e la rivendono ai contadini, in sacchi di polvere, facendogliela passare per concime. Tra le differenze di abitare in condominio o in una casa singola, c' è anche quella che: nella casa singola, per sgomberare lo stomaco puoi fare tutti i tuoi rumori necessari che nessuno ti sente, mentre, abitando in condominio, quando ci si siede sulla tazza del cesso i rumori viaggiano lungo la colonna degli scarichi, comunicando negli altri appartamenti se il giorno prima si è mangiato di leggero: riso in bianco con un filo d’ olio E.V. di O. con aggiunta una grattata di parmigiano e un pizzico di peperoncino, oppure, se si è mangiato una buona e abbondante pasta e fagioli. (vi risparmio la ricetta della pasta e fagioli) - p.s. Chi veramente la volesse può scrivermi. Dico questo, perché, qualche volta, quando sono nella stanza del bagno, l’ inquilina del piano soprastante, una donna abbastanza robusta, mi capita di sentirla che rumoreggia di grosso. E’ vero che suona il trombone nella banda femminile della città e spesso si esercita in casa, ma le note che escono dal suo bagno (cesso) sono sempre le stesse: un “ Sol maggiore” . Io, non ho studiato musica e non conosco la differenza fra le note, ma quella che sento provenire dall’ alto è una sola nota, e bella sonora; perciò l’ ho individuata come “ Sol” . E’ un rumore largo e prolungato, e in più, è come se fosse fatto con un vocione da “ basso” . Ha una potenza vibrante che percorre le pareti dell’ appartamento ed ha la capacità di passare alcuni piani del condominio. (Chi fosse interessato conoscere la cagona può chiamarmi, gli darò il numero di telefono) Nel mio palazzo (mio, si fa per dire) per ogni appartamento che dà sul fronte ci sono dei balconcini dove, stando comodamente seduti, magari anche con una vecchia e scomoda sdraia di tela, permettono di contemplare e gustare la frenesia del sottostante traffico stradale. La cosa è rilassante, se dopo una giornata di lavoro passata in fonderia, oppure in un ufficio pieno di colleghi che fumano, si torna a casa e aspettando che la cena sia pronta in tavola ci si sdraia tranquillamente al balcone e si contano le auto che passano sotto. (C’ è uno scemo, che tutte le sere passa con una Golf targata RO, che tiene l’ autoradio a tutto volume; se quella radio se la mettesse tra le emorroidi e le ragadi, sarei veramente felice.) Nelle giornate che soffia il vento di libeccio (sud-ovest) il gas di scarico delle macchine, che passano sotto i balconi, si mescola, prima: con l' odore acre e denso della vanillina proveniente da una fabbrica di wafer della zona, poi, si mescola con i gas che escono dalla fabbrica di fertilizzanti situata non distante, permettendo, così, alla puzza di benzene di mimetizzarsi con quella dell’ urea, producendo un tanfo indefinibile. (sembra di essere completamente immersi in una torta alla vaniglia con la glassa di merda) Con quel miscuglio di fetori vari, che si crea, non è possibile incolpare, con precisione, qualcuno dell’ inquinamento. Forse è meglio così, almeno, non si deve procedere con lunghe e costose cause legali, dove i soli a guadagnarci sarebbero gli avvocati. A quattro balconi sopra il mio, e girato verso sinistra, c’ è il balcone del mio amico Seghenzio, quello già menzionato nel titolo “ Le mutande” , in confidenza, altri amici lo chiamano Palmina, per via del suo difetto del concepire il sesso (concepire; tanto per dire, perché solamente Collodi è riuscito fare un bambino con una sega. E Pinocchio è stato fortunato che il suo babbo faceva il falegname; pensate: se fosse nato da una manipolazione genetica del proprietario del mio palazzo). Spesso, la ragazza che abita nell’ appartamento a fianco a quello di Seghenzio, per provocarlo, si espone nuda al balcone; ma lui, che ha ricevuto un’ educazione sana, sa che non deve fare sesso prima del matrimonio e continua nella sua fede fino al giorno in cui riuscirà convincere una brava ragazza a sposarlo, e che lui è sano di mente. A parte l’ enorme cifra, che ogni mese spende in preservativi per non sporcarsi le mani. Un giorno, che mi confidava del suo oneroso rapporto sessuale del "fai da te" lo consigliai, per risparmiare sul costo dei preservativi, di usare i guanti di gomma da cucina di sua madre. Qualche tempo dopo, mi ha riferito, che sua madre, a sua volta, lo aveva consigliato di venire a casa mia e prendere i miei. La signorina del balcone, sopra menzionata, si chiama “ Mara” ed ha una sorella gemella di nome “ Alda” con cui condivide l’ appartamento e le inserzioni sui quotidiani. Sembra che per mestiere facciano le insegnanti di relazioni pubbliche. Cioè: insegnano alle persone come comportarsi in particolari situazioni sociali. Dicono: che molti uomini non sanno come comportarsi a letto con una donna; talvolta anche con due, o tre, perciò hanno bisogno d’ imparare. (fortunati loro!) Le gemelle sono talmente uguali tra loro che, per me, sono indistinguibili l' una dall' altra. Per questo, quando ne incontro anche solamente una e la voglio salutare, per non sbagliare, la chiamo con entrambi i nomi: "Alda-Mara.". Ecco, allora, che le sorelle: Alda-Mara Dallavia (Dallavia: è il cognome) spesso, al loro campanello della porta, si presentano dirigenti d’ azienda che vanno a prendere lezioni di come ci si deve relazionare in varie situazioni. Ad esempio: imparano il galateo che si deve tenere trovandosi invitati, dalla moglie del titolare dell’ Azienda, ad un letto-party. Certo: un dirigente che voglia fare carriera in Ditta, deve fare bella figura quando si sostituisce al capo nelle fatiche demandabili. Nel mio condominio siamo tutte persone oneste e per bene; tranne qualcuno. C’ è un signore (signore: tanto per usare un eufemismo) che spesso lo vedo uscire da casa a piedi, e dopo non molto torna con una bicicletta diversa da quella che gli avevo visto qualche giorno prima. Lui, dice, che preferisce prenderle a nolo piuttosto che comperarle. Però, si dice in giro, che già una volta sia stato fermato con un TIR carico di biciclette, e che, al momento del fermo, avesse dichiarato: che stava proprio andando alla polizia per denunciare che qualcuno aveva riempito, il suo camion, con biciclette che lui non aveva mai visto. Al sesto piano abita il signor Allegretti, un tipo allegro di nome e di fatto. Come si dice in inglese: un gay. È la persona più simpatica di tutto il palazzo. Quando alle riunioni di condominio la discussione s’ infervora, perché ognuno vuole imporre le proprie ragioni, c’ è sempre chi ne approfitta per mandarlo a vaffanculo, e lui, con un sorriso stuzzicante e interessato al consiglio, risponde: andiamo, accompagnami tu che conosci la strada. Per quanto ne sappia io, nessuno del palazzo a mai voluto accompagnarlo. Ma il condominio a talmente grande, che la mano sul fuoco non la metterei per nessuno. Nell’ appartamento migliore del condominio (ci ?) abita un imprenditore, che deve farsi le ossa e guadagnare molti soldi in poco tempo. Il metodo escogitato è dei più semplici e tradizionali. Assume manodopera straniera che paga sottocosto e non denuncia l’ assunzione all’ Ufficio di Collocamento. Poi ci vengono a dire che gli Italiani non vogliono più fare i lavori umili. Certamente! Finché gli imprenditori trovano dei miserabili che lavorano per poco… Se le Ditte pagassero di più i lavori disagiati, ci sarebbero parecchi Italiani disposti a lavorare. Bisognerebbe tornare all’ inizio delle battaglie sindacali, quando si era disposti battersi di brutto per far valere sul serio le proprie ragioni economiche. E lo Stato dovrebbe essere più severo con le Aziende che fanno lavorare in nero. Verrà un giorno che gli Italiani saranno tutti programmatori di computer e quando ci sarà da svuotare la vasca biologica dovremo chiedere agli stranieri se, per favore, verranno a toglierci dalla merda. (Questa frase non è metafora; ma diverrà realistica) Al piano terra del mio condominio c’ è una fila di negozi: merceria, barbiere, fornaio, lattoniere, tabaccaio, fruttivendolo, farmacia; c’ è anche uno che vende biciclette nuove, non quelle riciclate. C’ è pure una pizzeria speedy, di quelle che telefoni e mentre riattacchi sono già lì che suonano alla porta con la pizza. Non ho mai capito come facciano ad essere così veloci? Forse avranno timore che il cliente ci ripensi. Fanno pizze da schifo. Vi risparmio di raccontarvi con cosa condiscono la pasta, basta che sappiate che il pizzaiolo ha il vizio di mettersi le dita nel naso. (non so se si gratta anche le piattole) Noi, che abitiamo in questo grande condominio, possiamo considerarci fortunati. Abbiamo tutti i servizi necessari. Tra gli inquilini ci sono molte e varie professioni artigianali cui possiamo rivolgerci in caso di necessità. C’ è sempre chi può darti una mano. Abbiamo anche la levatrice, il medico, il segaiolo (falegname; cosa pensavate?) e in fondo alla fila dei negozi c’ è pure l’ impresa di pompe funebri. Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché si chiamano ancora “ pompe” che quando si muore c’ è poco da stare allegri e sfoggiare pomposità. L' unica cosa che pompano è il conto che presentano ai parenti. E quando gli stringono la mano, gli dicono: "vive condoglianze". Si! Le condoglianze saranno pure "vive"; ma non usate quella parola con chi ha subìto un lutto recente. Come ho detto all’ inizio: tutti si nasce sulle rive dello stesso fiume ed è giusto che durante la vita ognuno cerchi di percorrere la riva più sicura; anche se poi, immancabilmente, ci ritroveremo tutti alla stessa foce. E, come diceva quel prete: tutti dovrete morire; forse anch' io. /DYLFLQD Dedico questo grazioso e divertente episodio, a tutte le gentili signore; le quali pensano che darla solamente ad un uomo sia davvero sprecata. 9LFLQD DJJ e VI persona che sta accanto/ a poca distanza/ nei pressi/ attigua, adiacente confinate, limitrofa. /D mia vicina di casa, (per gli amici: Bellagnocca) è una giovane signora di bell' aspetto, alquanto gradevole da guardare, e anche da desiderare in qualità di tappetino per le flessioni di fine settimana. Chi ha avuto l' occasione di vederla: fianchi stretti, petto provocante, gambe lunghe, capelli biondi cadenti sulle spalle, viso ben truccato; avrà anche certamente notato il suo modo fiero e stuzzicante di camminare. Ella, cammina tenendo il busto ben eretto e nel procedere a piccoli, ma con rapidi passettini, sculetta velocemente come volesse dire: guardate come sono bella, ma di tutto questo a voi non ne tocca. Ultimamente, quando m' incrocia nelle scale del palazzo, ella mi evita il saluto e mi guarda come fossi una di quelle cose scivolose che i cani lasciano sul marciapiede e, se ci si arriva vicino all' ultimo istante, fanno fare un saltello per evitarle. Il suo atteggiamento nei miei riguardi è passato: dal precedente indifferente, allo scostante attuale; da quando l' altro ieri l' ho salutata con il suo vero nome. Nell' incontrarla all' ingresso del palazzo, con il mio miglior sorriso beffardo che potessi avere in quel momento, l' ho guardata negli occhi e, ironicamente, come se volessi buttarle in faccia tutto il mio sarcasmo, per mostrarle che avevo scoperto un suo segreto, l' ho salutata chiamandola: - Buon giorno signora … ! È successo che, per una combinazione di cose, ho saputo che il suo nome non è esattamente: Dora, nome col quale la gente la conosce ed ella si fa chiamare, e con quello anch' io l' avevo sempre salutata; ma il suo nome, all' anagrafe, è un altro. Probabilmente, per uno dei soliti errori dell' ufficio preposto, o, per un momento d' ebbrezza dovuto all' evento della nascita, il padre della mia vicina ha registrato il nome di "Orina" anziché Dorina: diminutivo di Dora, come probabilmente avrebbe dovuto essere. Lo stato confusionale del padre, può apparire più evidente se si considera che: già lui ha un cognome, se pur comune, facile da abbinare ad altre parole per ricavarne frasi ironiche; infatti, il suo cognome è "Digiorno" e il pronome è Guido. Il signor Guido Digiorno, specialmente nell' età giovanile, avrà conosciuto molte persone che nella confidenza avranno sorriso in modo ironico nel chiamarlo o presentandolo ad altri; al ché, immagino, presto abbia imparato rispondere sarcasticamente, aggiungendo subito dopo la presentazione: "Ma non ho la patente" oppure; "ma non vengo da Verona", e anche "si, ma di notte scopo" e altre frasi simili già sentite nelle scuole elementari. Dunque: la signora, Orina Digiorno, (la mia graziosa vicina di casa, che la da solamente a chi vuole lei; ed è così che si diventa antipatiche) probabilmente soffre di una tara ereditaria ricevuta dal padre. Non contenta di avere un nome e cognome che è tutto un programma d' ilarità, ha voluto aggiungere sale nella minestra già troppo salata. Ha voluto sposare un ragazzo che di cognome fa: Bellavista; anche se tanto bello da vedere proprio non lo è. Per non volerlo descrivere, mi limito dirvi che è un tipo: medio basso, vestito un po' trascurato, scialbo, anonimo, foruncoloso, insignificante, smunto, inconsistente e inesistente. Appunto: il classico marito delle belle donne. Si dice che Dio li fa e poi li accoppa. (no, scusate: li accoppia) In ogni modo, si potrebbe pensare che l' amore sia veramente cieco. I due colombini, prima di prendere una decisione pur importante per il loro amore, avrebbero potuto "guardarci" meglio e scegliersi un compagno, o compagna, il cui cognome non andasse a creare una dissonanza di cattivo gusto nel dover assemblare i loro nomi. Ora, per salutare alle mie convenienze la mia graziosa vicina, mi trovo nella possibilità di poter scegliere il modo, e il nome, che mi potranno essere più utili per i miei lussuriosi pensieri. Potrei usare un saluto breve, recitando con gli occhi una languida passione d' amore scandendo lentamente le sillabe, come: "Buon giorno, stupenda Bellavista Digiorno; buona sera, amabile Digiorno in Bellavista; che Bellavista Digiorno; ecc." sperando che, lusingata dagli apprezzamenti, accetti il messaggio e voglia, con un sol colpo, far cornuto un marito e nello stesso tempo rendere felice un estraneo. Altrimenti, nel caso che la mia offerta non la interessasse, ed ella, la fedifraga, volesse lasciare il cornuto la dove sta per affliggere maggiormente un povero alieno; in tal caso, la mia vendetta meriterebbe d' essere atroce e nulla mi potrebbe impedire di salutarla con tutto il suo nome per intero. Buon giorno, come sta, gentile signora: Orina Digiorno in Bellavista. E vaffanculo, insulsa. ³/DFDUWDLJLHQLFD´ Questo piccolo, scemo, ma utile racconto, lo dedico alla mia perfida maestra delle scuole elementari. Spero che in Paradiso si pulisca la bocca con la carta igienica di seconda mano. &DUWD: VI pasta di sostanze fibrose opportunamente lavorata e ridotta in fogli. ,JLHQLFR: conforme all' igiene. &DUWDLJLHQLFD: strumento cartaceo destinato all' igiene della persona. CONSIGLI PRATICI PER L’ USO DELLA CARTA IGIENICA 3ULPD di porre in uso pratico il prodotto, occorre controllare di quanti strati di veli cartacei è formato il nastro arrotolato della carta igienica. N' esistono di vari tipi. È importante sapere, se la carta che stiamo per usare, è per uso casalingo, cioè: formata da uno strato unico morbido e consistente, o da due veli di spessore quasi trasparente, o da tre strati di medio spessore, oppure se è prodotta per uso industriale; cioè: con cartone ondulato di grosso spessore. Questa carta, è posta in uso nelle latrine collettive delle grosse comunità; tipo: caserme, fabbriche, campeggi e centri di raccolta profughi. La carta igienica, per uso casalingo, può essere usata per scopi diversi, tra cui: una semplice asciugatura delle mani umide, la pulizia dei vetri, l’ assorbimento di una piccola quantità di liquido sparso, la pulizia della bocca in mancanza dei tovaglioli in tavola, l’ avvolgimento del panino per la merenda a scuola del figlioletto e anche: come dichiara il nome “ igienica” la pulizia di parti corporali. Es: soffiarsi il naso ad uso di fazzoletto. In questo caso è bene controllare la consistenza della carta, poiché, l’ usanza di soffiare forte con le narici, se la carta è sottile e debole, l’ umidità espulsa “ moccio” sarà depositato direttamente nella mano. L’ uso più corrente e specifico della carta igienica è quello di pulirsi il culo dopo avere defecato, e prima di lavarlo nel bidè (sanitario in ceramica applicato al pavimento del bagno, largamente in uso anche per farvi il bagnetto ai neonati). Anche in questo caso, per la pulizia del culo, è meglio usare carta molto robusta, non facile alla lacerazione mentre si effettuano quelle operazioni così delicate in cui si va a togliere, per quanto possibile, le feci rimaste impigliate nei peli attorno all' orifizio. Se non si è avveduti nell’ uso della carta, c' è il rischio che ci si trovi di aver pulito il culo direttamente con le dita. La cosa, ai più, rimane sgradita. Per evitare l' insudiciamento, sarebbe opportuno trovare qualcuno, anche pagandolo, disposto fare il lavoro per voi. Esempio: quella categoria speciale d’ artisti, frequentatori dei cessi delle stazioni ferroviarie, il cui hobby è pulirsi il culo con le dita e svirgolare graffiti d' arte sulle pareti del cesso. Oppure, i diplomati di quella famosa scuola di Torino, dove recentemente sono stati istituiti corsi per corrispondenza con diploma finale di: Perito Tecnico Pulitore di Culi. Spesso, mi sono chiesto: La regina Elisabetta, persona ricchissima regnante sopra una delle nazioni più importanti del pianeta e capo spirituale della chiesa anglicana, quando si alza dalla tazza del cesso, dopo avere defecato, dispone forse di una damigella specializzata e preposta alla pulizia del suo culo regale, oppure, provvede personalmente con le proprie mani, con il rischio di immerdarsi le dita? Credo, che sarebbe conveniente che i giornali britannici, i quali si occupano della vita privata e pubblica dei regali inglesi, ci facessero sapere anche queste notizie; oltre a quelle banalità della sua presenza alle corse di Ascot, o alla visita ufficiale ad un orfanotrofio dove va per raccontare, a quei poveri mocciosi, che: lei è la Regina e loro sono i sudditi. Per coloro che già sanno applicare correttamente l’ uso della carta igienica, vi è la raccomandazione di non economizzare nella quantità. É meglio usare abbondantemente il prodotto; questo lascierà più margine per un risultato ottimale. Per le persone titolari di pensione minima, costrette a risparmiare su ogni acquisto, si raccomanda di non essere estremamente parsimoniosi nell’ uso della carta igienica; non è consigliabile riutilizzarla una seconda volta cercando di sfruttare il lato della carta ancora bianco. Il gesto può portare a sporcarsi la mano con le feci precedentemente applicate. Di conseguenza, né deriva, che occorrerà un ulteriore strappo di carta per ripulire anche le dita, portando il consumo del prodotto “ igienico cartaceo” ad un livello superiore a quanto pubblicato dall' I.S.T.A.T. rilevato da un sondaggio del trimestre precedente. Volendo proprio fare economia: nemmeno la carta igienica lavata e stirata può dare buoni risultati di risparmio. Da parte del Governo è allo studio come applicare una tassa sul consumo della carta igienica. È in discussione se tassare a metri, per la lunghezza del rotolo prima dell’ uso, o più convenientemente, tassare a peso dopo l’ uso. Altro problema evidenziato dalla CEE è la raccolta differenziata dei rifiuti della carta. La carta igienica, si è chiesto, va messa nei bidoni della carta da riciclare, oppure nei bidoni dell’ umido per produrre concime? Non ricordo da quale bidone abbia preso la carta per fare questo libro. Alle giovani generazioni, che sono giunte in questo mondo trovando tutto pronto, va ricordato che la carta igienica è un prodotto di recente invenzione. Essa, è stata importata in Italia durante l’ invasione degli Americani nel 1944, insieme alla gomma da masticare e la poliomielite. Prima che si conoscesse questo strumento “ la carta igienica” all’ uopo, si usava rompere le pagine dei giornali in pezzi, poi, nell' attesa che fossero utilizzati, i foglietti erano appesi ad un chiodo infisso nel muro del cesso. Qualche volta poteva accadere, se la giornata fosse stata particolarmente umida, di pulirsi il culo e ritrovarsi con l’ articolo del giornale stampato sulle natiche; da questo è derivato il nome di "articolo di fondo". Un capitolo a parte andrebbe dedicato al cesso; stanza importante e indispensabile, in cui, senza di essa, ai nostri tempi moderni non saremmo in grado di sopravvivere per le abitudini igieniche ormai acquisite. È sufficiente indietreggiare di poco nel tempo, quando il cesso era considerato una prerogativa del ceto medio alto; infatti, fino alla fine degli anni ' 30, nonostante la rivoluzione sociale avanzata nel periodo fascista, le case popolari, costruite nelle periferie delle città, avevano latrine in uso comune tra le varie famiglie dello stesso caseggiato, provocando, nell' ora di punta, un inevitabile affollamento, tipo tangenziale, davanti alla porta del tanto sospirato luogo pecatorum. Nei paesi e nelle campagne, il problema delle latrine non esisteva proprio. Nel progetto della costruzione della casa, il cesso non era considerato; era lasciata la libertà alle singole famiglie di costruirsi, nel cortile, una latrina alla "turca" appena sufficiente per contenere una persona, scavando una buca (non proprio davanti alla porta di casa) ricoperta in parte con assi per appoggiarvi i piedi e circondata da una sottile muratura. Qualche volta, nelle case isolate in mezzo alla campagna, la muratura era sostituita da una semplice barriera di canne. Il progresso o “ civiltà dei consumi” , che oggi stiamo vivendo, vuol dire anche… poter scegliere, tra le varie marche reclamizzate in T.V. la carta per pulirsi il culo. Se tornasse al modo mio nonno non mi crederebbe. Nei negozi che vendono gadget, si possono trovare rotoli di carta igienica con sopra stampate le riproduzioni delle banconote da 500 Euro, oppure: ad ogni strappo di carta un diverso messaggio d’ amore o frasi scritte in inglese, pratiche per comunicare in un eventuale viaggio all’ estero. Tra i rotoli di carta igienica prestampata, i più venduti sono quelli con le immagini degli uomini politici presenti nel governo o al parlamento. Considerata la possibilità di un’ alternanza degli schieramenti politici, sono stati stampati due rotoli diversi: uno con le sembianze dei politici di destra ed uno con quelli di sinistra. Per i personaggi soggetti cambiare frequentemente schieramento sono disponibili strappi a parte, da allegare al rotolo in cui i baldi paladini sono aggregati al momento. 9RODUH Questo, allegro, divertente ed educativo capitolo, lo dedico a quel simpatico poliziotto che mi ha ritirato la patente; solamente, perché, sentire lui, volavo basso. YRODUH sostenersi e muoversi nell' aria con le ali; librarsi nell' aria; correre con gran velocità. $XWRPRELOH: VI. veicolo con motore proprio, per il trasporto di poche persone. 9ROHQGR rincorrere i momenti spensierati della mia gioventù, potrei cominciare ricordando la mia prima automobile. Era una FIAT 1100, modello 103, colore blu; comprata di seconda mano. Come disse qualcuno: correva l' anno 1963. E correva, correva… Avevo 19 anni, una patente fresca e tanta voglia di correre per sentirmi indipendente. L' occasione, capitò improvvisamente quando un vicino di casa, di professione rappresentante di commercio, si presentò a mio padre, e con la frase più semplice e diretta che potesse usare in quel momento, disse: signor Semplicio, vuol comprare la mia macchina? … Mi da 250.000 lire. Mio padre, senza indugi e senza chiedere nulla sullo stato d' usura di quella vettura, e come se stesse comprando un pacchetto di sigarette della sua marca abituale, rispose semplicemente: si! … E l' affare fu fatto. Il giorno dopo l' acquisto, espletate le pratiche del passaggio di proprietà, stavo già guidando la mia prima automobile. Ricordando quella macchina e facendone un breve confronto con quelle moderne dei nostri tempi attuali, oltre all' infinità di accessori elettronici che ora montano, all' epoca, i modelli erano pochi e la diversità della linea rendeva le macchine facilmente distinguibili le une dalle altre, mentre oggi, i modelli delle vetture sono molti, ma sembrano tutte uguali. Altra differenza sostanziale, tra quel millecento d' epoca e queste automobili moderne, è la posizione della leva del cambio. In quella macchina, la leva era attaccata sotto il volante e bisognava fare delle strane manovre per farla scorrere lungo il piantone dello sterzo. Anche i sedili anteriori erano differenti. Nelle vetture degli anni ' 50 i sedili erano un solo blocco, con lo schienale diritto e rigido in un' unica posizione; erano concepiti come fossero un divanetto da salotto. Non era come nelle vetture d' oggi che i sedili anteriori sono singoli e avvolgenti, e hanno tutte le posizioni comode per praticare il Kamasutra. Come ogni ragazzo, appena patentato, alla guida ero un novellino. Debbo dire con franchezza che, i primi, se pur piccoli incidenti, mi hanno insegnato che per guidare bisogna essere sempre attenti e non farsi distrarre da niente e nessuno; specie se si è in compagnia di amici, allegri, spensierati ed euforici. E anche un poco caldi. Dico questo, perché, ripensando a quelle prime esperienze di giovane automobilista un poco distratto e un poco incosciente per l' età, penso che avrei potuto creare incidenti più gravi di quanto, in effetti, poi mi sia capitato. Fortunatamente, sono stati incidenti di poco conto, ma col carrozziere dovetti aprire un mutuo che andò avanti per parecchio tempo, tanto che, ancora oggi lo sogno di notte. All' epoca, la benzina costava 100 lire al litro e tutto era proporzio- nato. Infatti, lo stipendio di un operaio era di circa 80-90 mila lire al mese e le esigenze della vita non erano quelle che sono oggi. Non c' era l' abitudine di andare tutte le settimane in pizzeria o in discoteca. Al massimo, si andava qualche volta in sala da ballo "balera" per ballare la mazurca e il valzer. I più spregiudicati ballavano il tango, mentre i giovanissimi facevano le festicciole in casa privata e si lanciavano nel " twist" e nel "rock end roll". Fu in quegli anni, che si cominciò parlare di boom economico. Tutti volevano l' automobile, e chi, in famiglia aveva più di uno stipendio fisso su cui poter contare per fare debiti da pagare a rate, comprava la Fiat 600. Chi non poteva arrivare alla "600" comprava la "500"; gli altri, suddivisi in due categorie, compravano lo scooter. Chi aveva dai diciotto fino ai ventinove anni compravano la Vespa; chi dai trenta in su, compravano la Lambretta. Di conseguenza, il costo della vita cominciò ad aumentare in fretta. Fu allora, che il ministro delle finanze, Luigi Preti, mio concittadino, divenne popolare con l' ispirata idea di dire in televisione che, se il prezzo della benzina fosse aumentato di sole dieci lire, lui si sarebbe dimesso. La benzina aumentò oltre le dieci lire, e lui, da buon politico, rimase a fare il ministro. Le solite promesse elettorali. Come fanno anche oggi. A ripensare quei momenti di gioventù spensierata, ricordo, che volendomi poi liberare di quel vecchio "millecento" trovai il modo di scambiarlo con una calcolatrice elettrica Olivetti, modello Divisumma. Un macchinone grosso e pesante, che aveva già visto diversi proprietari. Nelle trattative per valutare il valore delle due cose, dopo una lunga discussione di convincimento, alla fine ci accordammo e mi trattenni la ruota di scorta a compensazione della differenza di prezzo. Successivamente, a mia volta, volendo recuperare un po'di soldi, per la somma di centomila lire, riuscii sbrogliare ad un amico quella grossa calcolatrice; naturalmente, per convincerlo che faceva un affare, dovetti accettare la condizione che poteva pagarla a piccole rate. E fu proprio da tutto quel trafficare di compra-vendita, che mi accorsi che lo spirito del venditore faceva parte della mia personalità. In quei primi anni ' 60 stava finendo il monopolio autarchico delle automobili italiane e si cominciava vedere qualche vettura straniera. Tra le varie macchine d' occasione che in seguito poi acquistai, mi sembra di ricordare d' essere arrivato a tredici, ci fu una Renault modello Dauphine e una Citroën modello Ami otto. Comprando la Dauphine capii subito perché i francesi volevano disfarsi di quella macchina a tutti i costi. Era inaffidabile come un somaro a cinque zampe. Siccome quella vettura aveva il motore posteriore, e davanti era molto leggera, per non uscire di strada nelle curve, bisognava portarsi appresso almeno cinquanta chili di sabbia da zavorrare nel cofano anteriore. Fortunatamente, quasi subito, riuscii venderla ad un artigiano muratore. Egli, per esigenze di lavoro, spesso doveva viaggiare con cemento e mattoni riposti nel cofano-baule della macchina, e del difetto di quella vettura non si accorse mai. Tanto è vero che, diverso tempo dopo, ho avuto occasione di vederlo passare per strada. Sopra al tetto della macchina aveva istallato il portapacchi e sopra vi aveva caricato lunghe tavole di legno per impalcature, che partivano dal paraurti posteriore per arrivare a quello anteriore, tanto che, sembrava che quella povera macchina fosse sepolta sotto una catasta di legna. Le ruote, poi, come si vedono nei cartoni animati degli anni cinquanta, erano divaricate che sembrava si dovessero aprire. Lui, per guidare e vedere dove andava, teneva la testa fuori dal finestrino. La Citroën, invece, era una vettura divertente. Oltre ad avere l' attrazione anteriore (no! scusate, "la trazione" anteriore. È stato un lapsus freudiano) dicevo: la Citroën, mi permetteva di muovermi nei terreni fuori strada e mi era diventata comoda per quando, in banda con gli amici, andavamo sugli argini dei canali di Comacchio per pescare di frodo. All' interno della vettura, non essendoci state barriere, potevo infilare la pertica della bilancia direttamente dal retro del baule, passando sotto i sedili, fino al poggia piedi del posto anteriore. Ridicola, anche, era la leva del cambio che usciva diritta dal cruscotto. Quando si cambiavano le marce, sembrava avere in mano un vero catenaccio, come quelli che si usano nei portoni dei vecchi palazzi. Negli ammortizzatori, poi, essendo la macchina molto molleggiata, avevano inventato un sistema idraulico di compensazione che permetteva alla vettura di inclinarsi molto nelle curve, mantenendo continuamente le quattro ruote ben aderenti alla strada. Per chi guidava era divertente come andare in giostra, mentre, per il passeggero che non aveva nessun punto d' appoggio, quando scendeva dalla macchina dava di stomaco. Voi, forse non crederete, ma una notte ebbi un incidente in cui persi una ruota posteriore, ebbene, riuscii ad arrivare a casa in equilibrio con sole tre ruote. Qualche anno dopo, avendo assunto la rappresentanza di una nota marca di carta igienica, ricordo che lo slogan pubblicitario che la Ditta proponeva era: "&DUWRRQ, la carta igienica ondulata per le grosse prestazioni” dicevo: per il mio lavoro di agente di commercio, il quale m' impegnava a dover percorrere parecchi chilometri al mese, volendo risparmiare sui costi d' esercizio perché il prezzo della benzina aumentava tutti i giorni, comprai una vettura, quasi nuova, con l' impianto del metano. Era veramente una pacchia. Nella prima uscita che feci, con carta e penna alla mano, calcolai che avevo speso poco più di sette lire al chilometro. Veramente economico, specie in un periodo d' inflazione galoppante com' era in quell' epoca. Purtroppo, le belle favole non sono eterne e il governo cominciò mettere tasse anche sul prezzo del metano, riducendone sempre più la differenza da quello più alto della benzina. Non contento di tassare anche chi viaggiava con mezzi poveri, praticamente a scoregge, visto che il metano è un gas naturale che anche gli intestini umani producono; dopo qualche anno, siccome c' era gente che continuava circolare con il baule della macchina pieno di bombole, nonostante i disagi del rifornimento che quel sistema comportava, sempre quel governo famigerato, mise una so- prattassa "una tantum" a tutte le automobili che funzionavano a gas. (una tantum: non vuol dire una sola volta, come dovrebbe essere; ma significa: una e tanta, tutti gli anni) Fatta la legge, fatto l' inganno; se così si può dire. Per evitare di pagare "l' una tantum" e cercare di risparmiare, com- prai, ancora di seconda mano, una macchina con motore diesel. Le cose andarono bene per qualche mese, ma poi, quel governo "esecrabile", YXRO GLUH FRPH SULPD IDPLJHUDWRPDFRVuVXRQDPHJOLR pensò bene di mettere la soprattassa anche alle macchine diesel che andavano a gasolio. Era diventata una farsa, quasi un rincorrersi dietro, tra il governo e me. Lui, metteva le tasse, ed io, per risparmiare, cambiavo tipo di macchina. Il nostro braccio di ferro è andato avanti ancora per alcuni anni, fintanto che: incappato in un controllo per eccesso di velocità, un poliziotto zelante e premuroso per la mia incolumità fisica, mi ritirò la patente di guida, e sul verbale scrisse: non abilitato volare basso. Fu così che, preso dallo sconforto per il guaio capitatomi, sapendo che il cruscotto e varie parti in plastica della vettura erano prodotte con derivati della "cannabis" gli detti fuoco; e, mentre seduto sul ciglio della strada me la fumavo tutta, mi tornarono in mente le parole di quel saggio di mio nonno, quando mi diceva: corri, corri, che ti diverti; ma prima o poi ti porterà sfiga. Purtroppo: dal giorno seguente, dovetti andare a lavorare in bicicletta. Fortunatamente, per continuare a lavorare, mi sono trovato una "rappresentanza" da poter gestire girando per il solo centro della città. Era la Ditta "Fratelli Cagon" che vendeva prodotti farmaceutici da banco; il più venduto era quel famoso purgante "6RSUDQR, la supposta abrasiva che da soddisfazione". E, se capitava che le giornate fossero state piovose o troppo fredde e non volevo andare a piedi, la mattina potevo rimanere a letto; tanto, dopo la mia morte ci sarebbe stato ancora qualche governo, vorace, capace di mettere tasse e balzelli. Recentemente, mi è capitato tra le mani l' opuscolo di una concessionaria di automobili particolari, che mi ha fatto tornare la voglia di comprarmi una vettura per potermi muovere con indipendenza ed economia. Nella gamma, che quell' opuscolo m' illustrava, c' erano vari modelli. E questo è già buono per scegliere in base alle proprie esigenze e simpatie. Sono quelle macchinette, se affettuosamente così le posso chiamare, che si guidano anche senza patente e hanno tutti gli accessori come quelle grandi. Hanno l' alzacristalli elettrico, le portiere a chiusura centralizzata, l' abbaino della mansarda apribile elettrico, l' autoradio in cui si possono cercare le stazioni usando le ginocchia, e hanno pure i sedili reclinabili. Non per volerci fare il kamasutra, tanto, non ricordo più quali fossero le posizioni. Poi, sono pure "ecodiesel" ed entrano tra i veicoli autorizzati alla circolazione in città nelle giornate soggette al blocco per inquinamento. Inoltre: consumano poco, costano poco di bollo e assicurazione e non vanno forte; impedendo, così, di prendere multe per eccesso di velocità. E se proprio si è imbranati da provocare qualche incidente grave non ti possono nemmeno ritirare la patente; il ché oggi è importante, visto che, con la patente a punti di nuova concezione, la polizia cerca sempre di fregarci. E, anche, se dovessi essere tanto sfigato da rimanere appiedato per un guasto improvviso, un buco per parcheggiarla tra una Mercedes e una BMW lo troverei sempre, poi, comodamente, potrei passare il giorno dopo con la carriola per riprenderla. / LQVXOWR Dedico questo arrabbiato, ma simpatico episodio, a tutti coloro che privi di voce non possono gridare vaffanculo; ma che, comunque, hanno il dito medio sufficientemente eloquente per esprimere il loro parere. ,QVXOWR: VP L’insultare/ Il detto o l’atto con cui s’insulta/ accesso, attacco di male intermittente/ V. ingiuria, vilipendio, insolenza, offesa. 7DQWR per cominciare, vorrei poter insultare parecchia gente. Se l’insulto avesse effetto e fossi sicuro che arrivasse a segno, vorrei poter apostrofare, con il peggior epiteto, la mia prima maestra delle scuole elementari, la quale non ha saputo insegnarmi niente (nulla) della lingua italiana. Il suo maggior d’affare, in quella mezza giornata che ci teneva costretti a scuola, era di strillare e pretendere che quei poveri bambini stessero zitti e fermi, seduti in un piccolo banco scomodo; come fossero degli animali da circo addestrati a stare immobili sulla piattaforma per rispondere ai comandi della frusta. Per lei, vecchia zitella rinsecchita e frustrata, era più importante pretendere disciplina autoritaria piuttosto che plasmare le basi del parlare e dello scrivere; ammesso che lo sapesse fare. La cultura, che quella maestra "insensibile" si portava dietro e che pretendeva d' insegnare a dei poveri mocciosi di sei anni, era la cultura dittatoriale proveniente dal regime fascista: intollerante e prepotente. Sono trascorsi, ormai, più di cinquant' anni dal mio primo giorno di scuola, e l' odio che provo per quella perfida zitella è grande. Oggi, a distanza di parecchi anni, se pur non potendo rinfacciarle personalmente i miei sentimenti, essendo ella defunta, mi prendo una piccola soddisfazione per averle dedicato uno dei miei libercoli: quello intitolato "La carta igienica" nel quale, con le buone maniere e consa- pevole del gesto, la mando in paradiso, luogo assai monotono e soporifero, dove l' alternativa a trascorrere una giornata meno noiosa, è il pulirsi la bocca con la carta igienica di seconda mano. Spero che il sapore di merda che si ritroverà in bocca, possa ricordarle la merenda della ricreazione, o intervallo, di remota memoria scolastica. … E da quel luogo, dove ella si trova, obbligata ad ascoltare all’ infinito monotoni canti gregoriani che, dopo pochi minuti di ascolto di quella musica fanno scendere i testicoli con aggravio di orchite pure a Miss Mondo, può ringraziarmi che sono stato benevolo. Proseguendo con la memoria, alla ricerca di chi merita d' essere insultato, rimango all' età dei sette/otto anni. Ripenso a quel garzone di bottega che, mentre giocavo nella strada sotto casa, mi passò vicino velocemente con la bicicletta strappandomi di mano il mio revolver giocattolo che da poco mi era stato regalato. Il trauma di quel gesto, così prepotentemente subìto in età infantile, dev' essere stato molto grande, se quell' episodio mi torna ancora in mente. A lui, l' insulto che gli mando, è pari al simbolo dell' oggetto che mi ha rubato: spero sia morto ammazzato; o, almeno, che non sia giunto alla pensione di vecchiaia. E, se casualmente vi fosse arrivato, spero percepisca la pensione minima dell' INPS; quella con cui, in ogni caso, si muore di fame. Dell' età infantile non ricordo altri episodi e rancori degni d' essere menzionati. Per i torti subiti nell' età adulta, sono consapevole che le ingiustizie patite devono essere considerate, in parte, anche colpe mie, per essermi fidato delle lusinghe propostemi. Comunque: per quella parte di torti subiti per causa di altri, a tutti, indistintamente, porgo gli auguri di una pronta e rapida sepoltura in terra sconsacrata. Per gli insulti generici, da rivolgere alla massa di persone che vivono su questo pianeta, sicuro di non sbagliare bersaglio, potrei cominciare ad insultare i politici che non sanno amministrare il bene pubblico. Amministratori che non vogliono prendere decisioni impopolari, ma pur necessarie, i quali, per timore di compromettere la propria immagine perbenista, non vogliono rischiare di perdere la comoda poltrona che gli permette di fare gli affari personali ed arricchirsi a discapito della comunità. In pratica: quelle persone che, a parer loro, va sempre tutto bene; l' importante, se si è immersi in una vasca biologica, è non fare l' onda e tapparsi il naso. Non è necessario che stia ad indicarvi i nomi di questi personaggi. Essi sono talmente tanti, che se azzardassi farne un elenco sarebbe incompleto a beneficio di quelli non menzionati per mia ignoranza. Sono sicuro, che tutti voi conoscerete, direttamente o indirettamente, amministratori pubblici degni d' essere messi al muro e prontamente fucilati senza economia di piombo. Se, a chi ruba, lo Stato un giorno applicasse l' antica legge del taglio delle mani, molti pantaloni non avrebbero più bisogno di tasche e i venditori di guanti dovrebbero cambiare commercio. Come c' insegnano a scuola di ragioneria, la vita è una partita doppia: quello che accumuli da una parte devi toglierlo dall' altra. In questo senso, l' amministratore pubblico che si arricchisce, contemporaneamente impoverisce la comunità. E come diceva mio nonno: i soldi non si colgono ad ogni stagione sugli alberi, ma li fabbrica lo Stato e sono sempre gli stessi che girano. Se una persona arricchisce; almeno dieci faranno la fame. L' insulto, quello che generalmente s' intende del tipo verbale, espresso con parole scurrili e vivacemente colorite di fantasia, è una forma leggera dell' espressione di malessere causato da risentimento momentaneo e facilmente superabile. Un insulto di tale tipo lo mando, se pur con rabbia, a colui che, il mese scorso, mi ha rubato la bicicletta. Un povero disgraziato che ha rischiato la galera per ricavarne una dose d' eroina. Il danno, che egli mi ha prodotto, rientra in quei piccoli imprevisti passivi della vita che fanno arrabbiare sul momento; ma che fanno pensare che il malessere di quel ladro vada ben oltre al semplice furto di una bicicletta. L' insulto, non è solamente uno sfogo verbale d' insoddisfazione; ma se posto con forza e ad alta sonorità, può anche servire per svegliare dal torpore chi si è adagiato nell' indifferenza. A memoria futura per i posteri: ricordo che stiamo vivendo in un periodo in cui il mondo occidentale sta sfruttando al massimo gli allevamenti di carne bovina. Gli animali sono allevati in stalle carcerarie e prevalentemente nutriti con sostanze la cui provenienza, oltre ad essere illecita, è contraria alla fisiologia gastrica del bovino, infatti, esso, è obbligato ad ingurgitare farine animali pur essendo un vegetariano ruminante. Ammonendo questa situazione, potrei paragonare i bovini da stalla alla pari di coloro che accettano per buono tutto ciò che i prepotenti gli propinano. A loro dedico questa poesia: 7L odio, o pio bove; tu che subisci in silenzio gli insulti e le angherie. Tu che taci i torti subiti. Tu che non vedi chi ruba del tuo. Tu che non denunci chi ti uccide. Parla! Difenditi! Reagisci! A cosa ti serve essere grande e grosso? Non vedi che ti chiudono in uno stretto recinto e ti nutrono all’ingrasso per ucciderti giovane. Ascolta anche quando ti dicono cornuto! Non è che ti facciano un complimento perché hai la testa guarnita di belle corna. Un corno! Ti dicono cornuto perché sei uno stronzo che subisce e non hai il coraggio di difenderti. Per cosa credi che la natura ti abbia fornito di corna; per guardarti allo specchio quanto sei bello? Ricorda, che la tua mitezza non ti ha mai salvato dal macello, e che il prepotente è tale perché esistono i mansueti. &DPPLQDQGR Dedico, questo grazioso e pedagogico racconto, a tutte le ragazze superbe, le quali credono, che tutto gli sia dovuto solamente perché sono carine. &DPPLQDUH: intr. (aus. avere) andare da un luogo a un altro con le proprie gambe. ,QIRUPD]LRQH: VI l' informare e l' informarsi /notizia, dato / quanto risulta dall' elaborazione dei dati. 0LD sorella "Astemia", per gli amici "Martini Dry", mi dice: ti ho visto per strada che camminavi di fretta; ho cercato di chiamarti per salutarti, ma tu senza alzare la testa hai proseguito e non ti sei accorto della mia presenza. Certo, se fossi stata una bella donna e non tua sorella, molto probabilmente mi avresti guardata e, conoscendoti, chi sa quali commenti di critica avresti fatto! Mia sorella, che i parenti chiamano "Dieci gradi" aveva ragione. Quando cammino per strada e sono assorto nei miei pensieri, mi può capitare di non riconoscere le persone che incrocio sul marciapiede; però, può anche succedere che, se mi capita d' incrociare una ragazza carina, la cui bellezza giovanile sia esposta piacevolmente alla mia vista, questa può facilmente attrarre la mia attenzione. Molto più di una banale donna comune. Per un motivo che ancora non ho ben capito, sembra, invece, che quando cammino per la strada sia io ad attirare l' attenzione degli altri; spesso sono fermato per dare informazioni viarie. Com' è possibile?! … che quasi tutte le volte che cammino sul marciapiede, ci sia qualcuno che mi chieda dov' è la "tal via". La cosa mi fa pensare! In quanto mi capita di essere fermato anche quando sono in una città forestiera; in una città in cui sono capitato lì per la prima volta. Forse è la mia faccia, che dà l' impressione che io sia una persona che ispira fiducia, oppure, che sia particolarmente disponibile per parlare con gli sconosciuti. Quello che mi scoccia, (per non dire: mi rompe) quando la gente mi ferma per strada, è il modo "secco" con cui spesso mi fanno le domande. Come se fosse logico che io sappia dove si trova la "tal via" e che sia obbligato dargli la risposta. Più volte, ripensando al fenomeno, mi sono chiesto se per caso la mia mamma mi avesse fatto con la faccia da vigile urbano o da portalettere. Loro, per il mestiere che fanno, sanno sempre dove sono le strade. L' esempio più recente, di ciò che ho appena detto, è avvenuto ieri. Ero appena uscito da casa per fare una passeggiata e camminavo andando verso il centro della città, quando una ragazza, non eccessivamente bella, ma un tipo un po'originale, ben vestita, con bei capelli scuri di media lunghezza, un visino ben curato a forma di musetto di gatto ed uno sguardo rivolto alla ricerca di qualche cosa che probabilmente rincorreva dentro la sua testolina (stava cercando di localizzare mentalmente una via). Dicevo: questa graziosa fanciulla, stava sull' altro marciapiede della strada, quando, accorgendosi della mia presenza, mi ha guardato, e se pur momentaneamente un po' incerta se farlo, ha rapidamente attraversato la via giungendomi di fronte; al ché: - dov' è Via Beata? Cazzo! Capisco che sei carina e puoi permetterti di chiedere quello che vuoi; ma la tua educazione, se l' hai, usala! Ti vuole molto farmi un minimo di sorriso e dirmi: … Buon giorno; scusi, sa dirmi dove è Via beata Lucia da Narni? Mi hanno indicato che dovrebbe essere da queste parti! Ecco: se mi avesse chiesto in modo educato, così come mi sono espresso ora, sarei stato molto contento di darle l' informazione, tanto più che la via non era distante. Ma come solito, quando voglio fare lo stronzo ci riesco molto bene. E non mi lascio scappare le occasioni per polemizzare. La prima cosa che l' istinto mi ha suggerito di rispondere, a quella graziosa fanciulla, è stato: … Buon giorno! Accompagnato da un gentile sorriso in una pausa d' attesa. Speravo che lei capisse che le stavo chiedendo un saluto di rimando. E lei: - Via Beata dov' è? ... Insistette decisa. Poveretta. Forse non sa, che non è educato fermare le persone per strada senza dargli un minimo di saluto prima di iniziare un qualsiasi discorso? Le do la possibilità di ricominciare da capo. Le ripeto: -… Buon giorno; … scusi, dice con me? Le chiedo con lo stesso sorriso di prima, sperando di smuovere la sua durezza e che capisse che le stavo chiedendo un po'di gentilezza. -Si! ...Via Beata, dov' è? Visto che proprio non voleva capire di salutarmi e chiedermi: "Per cortesia, sa dirmi dov' è Via beata Lucia da Narni?" allora mi sono rotto le nespole che tengo tra le gambe e ho pensato: … quindi, bambina mia, vuoi la guerra! E le ho risposto in modo brusco. -… Ma? … Sarà in paradiso … se è beata! Alla mia risposta, la graziosa temeraria, guardandomi in faccia con quei suoi occhietti da micina appena svegliata, pensando che scherzassi, insistette nella sua domanda secca. - Dov' è, via Beata? - Ma scusi: … le rispondo ancora, bruscamente. Ho forse la faccia del vigile urbano da doverle dare le informazioni stradali. Se non sa Lei dov' è Beata, debbo saperlo io? A questo punto, l' amabile fanciulla, mi guarda profondamente negli occhi, come volesse capire se le era capitato d' incontrare uno scemo naturale, oppure, qualcuno che voleva prenderla per il culo. Un attimo di pausa, con alcuni rapidi ragionamenti che frullavano nel suo cervello, poi, ancora più stralunata si guarda intorno, come per vedere se c' era qualcun altro nelle vicinanze per chiedere un eventuale aiuto. Mentre credevo che stesse per allontanarsi, pensando avesse capito che aveva a che fare con uno squilibrato e rinunciasse all' informa- zione; l' ardita spericolata si riprese d' animo e decise di farmi la domanda giusta. -Ma, Lei; è proprio scemo o ci prova. - Bella domanda! le ho risposto; Lei, cosa crede? -Io, credo che tu sia scemo! È stata decisamente la sua risposta. Ora, ripensandoci, non ricordo se abbia aggiunto anche un vaffanculo, ma la cosa non è importante, perché mentre si allontanava, ricordo che le ho gridato dietro: Via beata Lucia da Narni, è la seconda traversa a destra. Stronza! … gli ho aggiunto. Evidentemente, la micina si era offesa, e se n' è andata via diritta senza girarsi e senza ringraziarmi dell' informazione che tanto corte- semente le avevo appena dato. Certo, che: come dice "Frizzantino amabile" così, mio cognato nell' intimità chiama mia sorella; quando voglio rompere i coglioni ci so proprio fare! Buon giorno, ... scusi, per andare a Ravenna. Credo di essermi perso in queste strade, mi avevano detto di girare a sinistra dopo il sottopassaggio della ferrovia... Ancora!? ...Oggi è la seconda volta che in poco tempo mi chiedono un’ informazione; ma cos' è? ...il giorno di San Domandino? Almeno questo è stato educato, e per prima cosa mi ha detto: buon giorno. Mi ha salutato. É un uomo sui trent’ anni, un po’ più, un po’ meno; mi si è fermato a fianco con una macchina scura, ha ancora la targa del tipo vecchio, con la sigla della provincia TV. È risaputo che i Veneti sono galanti, cortesi e ben educati. Tutti, da giovani, hanno frequentato la parrocchia e molti sono stati Democristiani fino a pochi anni fa; ora sono divisi nei partiti di destra, di centro, di sinistra, in quelli che stanno sopra, in quelli che stanno sotto e qualcuno che sta “ dentro” . ...Buon giorno. Gli rispondo con un lieve sorriso, per fargli capire che nonostante mi abbia fermato per strada un estraneo, io, sia educato e ben disposto per dargli l’ informazione. ...La strada per Ravenna è dall’ altra parte della città, gli dico attraverso il finestrino della macchina, che aveva abbassato il vetro per parlarmi. ... Lei dovrebbe girare intorno a quella rotatoria, gli indico con la mano, ... tornare indietro e seguire la circonvallazione tutto intorno alla città, fino a che non arriverà al raccordo della superstrada che porta a Ravenna. Dall’ espressione seria e incerta del suo viso, capivo che l’ indicazione, che gli avevo dato, non era sufficiente. Mentalmente: avevo visualizzato tutto il percorso nelle varie deviazioni che avrebbe trovato prima di arrivare la dove gli stavo indicando, e anche, mi rendevo conto che si sarebbe perso ancora. ...Oppure, gli dissi, cercando d’ essere più preciso. ...Se vuole proseguire andando diritto, così come ha la macchina girata adesso, dovrebbe arrivare al prossimo semaforo, quello là in fondo, e girare a sinistra; al semaforo dopo, deve girare a destra, seguire la strada, passare davanti alle piccole Twuin Tawers, che sono le nostre due torri gemelle di soli 25 piani, passare davanti alla stazione, andare avanti, al bivio vedrà una birreria, c’ è scritto “ La Gigina” . Se ha l’ occasione di fermarsi: fanno degli ottimi panini con la salama da sugo; gli deve passare davanti e superare un ponte, arrivare all’ altra rotatoria, girare a destra dalla parte del nuovo Centro Multisale, proseguire diritto, all’ altra rotatoria girare a sinistra e vedrà la caserma dei Vigili del fuoco, da lì, deve proseguire fino alla rotatoria che incrocia la statale 64 “ la Porrettana” , andare ancora avanti finché non passa davanti all’ iper-coop; andare avanti, superare il cavalcavia della ferrovia, a destra troverà l’ aeroporto, deve andare oltre e arrivare ad un’ altra rotonda nella quale deve girare a destra ancora, da dove, poi, si troverà direttamente imboccato sulla strada che porta a Ravenna. ...Oppure, se vuole: ... Lei dovrebbe arrivare al semaforo in fondo a questo corso, girare a destra, passare sotto la ferrovia, andare avanti un paio di chilometri, troverà un semaforo con l' indicazione dell' autostrada a destra, seguire l’ indicazione ed entrare al Casello Nord, da lì, percorrere l’ autostrada e uscire al Casello Sud ed infilarsi sul raccordo che va al mare, il quale, dopo cinque o sei chilometri, va ad incrociare la strada per Ravenna. Con un’ espressione del viso, seria e un po’ imbarazzata, mi dice: ...Scusi, ma io non ricordo più nulla di quanto lei mi ha detto; mi ha fatto una confusione! Cavolo! ...dopo un’ indicazione così articolata. E pensare che mi sentivo giustamente compiaciuto con me stesso per la chiarezza con cui mi ero espresso. ...Un attimo di pausa. ...Stavo pensavo come risolvere il suo problema e averne un piccolo beneficio per me. - ... Senta! gli dico. ...Se vuole, posso salire in macchina con Lei fino al quartiere di San Vitale, che è proprio all’ inizio della strada per Ravenna; lì mi fermo a pranzo da mio fratello che abita in zona, e dopo mi faccio riaccompagnare a casa da lui. ... Sarebbe veramente gentile, la ringrazio; mi risponde. Si allungò verso la portiera e mi aprì, dopo avermi fatto posto spostando alcuni fogli di carta che teneva sul sedile, tra cui una carta geografica della regione che, evidentemente, non gli era stata utile per uscire dalla città. Salito in macchina, gli detti ancora il “ buon giorno” e allungando la mano gli dissi: mi chiamo Tolimbo. -... Piacere: Guido Dalamano. Guardandomi serio, come se aspettasse una mia reazione a quel nome un po’ bizzarro. - Certo: il suo è un nome che difficilmente si può dimenticare (gli dico subito, tanto per fargli capire che tipo sono) ... di solito, quando mi presentano persone nuove, non fanno tempo a finire di dirmi il loro nome che già l’ ho dimenticato; il suo è originale. Se permette la battuta: mi dispiacerebbe se Lei si chiamasse Guido Contromano, in quel caso, non mi sentirei sicuro di stare in macchina con Lei. - Pure Lei, ha un nome che non è comune. ...Mi risponde. - Si! Era il nome di mio nonno paterno. Suo padre era un anarchico socialista della fine dell’ ottocento e non voleva che i suoi figli portassero i nomi dei Santi. I nostri vecchi erano più intelligenti di questa generazione, avevano più fantasia, i nomi li inventavano. Non è come adesso, che li copiano dal calendario o dalle telenovelas dei sceneggiati americani, del tipo: Bruk, Thorn, Kevin, Ridge e simili. -... Ecco: giri a sinistra. ...Vedo che sul sedile posteriore ha dei quadri incorniciati; li fa Lei? - Si! Faccio il pittore; o perlomeno vorrei farlo di mestiere, ma è molto difficile. ...Voglio portarli ad un gallerista per farglieli vedere. Purtroppo: i galleristi preferiscono opere conosciute e possibilmente di artisti già morti. Loro sono dei mercanti e debbono trattare opere sicure, che abbiano già un mercato e che si vendano. È difficile che comprino opere di giovani. Non è redditizio comperare opere di artisti sconosciuti; bisogna aspettare venti o trent’ anni che questi muoiano suicidi. È l’ unico modo per avere notorietà e farsi conoscere dal grande pubblico. Altrimenti: per avere successo, bisogna nascere ricchi e investire molti soldi in pubblicità; come vendere un qualsiasi prodotto industriale. - Lei, a quale categoria appartiene? ...gli chiedo. È un pittore ricco che può sfondare anche se dipinge stronzate; oppure, si ritiene un artista incompreso. - Se fossi ricco non andrei in giro con questa carretta. - Ecco, entri nella rotatoria, ...giri per tre quarti ed esca a destra. ...guardi, che qua, chi è dentro in rotatoria ha sempre il diritto di precedenza! Gli dico facendogli un' osservazione, come per insegnargli qualcosa! ...Non può fermarsi in mezzo per far passare chi vuole entrare da destra. Chi si deve immettere dentro, trova sempre il triangolo che indica che deve dare la precedenza a chi è già all’ interno. Non è come da voi, nel Veneto, che anche chi è dentro la rotatoria deve dare, comunque, la precedenza a destra creando confusione. Sarebbe meglio che qualcuno dicesse ai vostri amministratori di aggiornarsi con la segnaletica; che almeno il Codice Stradale sia uguale in tutta l’ Italia. Cazzo: con le Regioni che possono fare quello che vogliono, ci manca poco che quando si passano i confini di una Regione Italiana ci fermino e ci chiedano il passaporto. A Venezia, fanno già pagare il biglietto per l’ ingresso. Da noi, se non sei residente, non puoi parcheggiare all’ interno dei viali e al giovedì fanno circolare con le targhe alterne. Con lo stesso principio, che ogni Amministrazione pubblico può fare quello che vuole, qualsiasi piccolo Comune, che sia attraversato da una strada trafficata che congiunge due province, potrebbe pretendere un ticket di transito facendoci tornare all' epoca in cui esistevano i dazi Comunali. Con questo sistema vogliono farci credere di poter risolvere il problema dell’ inquinamento, invece, rompono solamente i coglioni a chi non ha la possibilità di sfruttare uno dei cento escamotage. Pensi, che mio fratello ha intestato il “ fuoristrada” a suo suocero che è cieco; solamente per avere il “ passi” da poter circolare dentro il centro storico e parcheggiare nei tanti spazi riservati agli invalidi. Sarebbe meglio che lasciassero perdere tutte queste stronzate delle polveri inquinanti; ci sono sempre state anche quando non si sapeva che c’ erano, e la gente è sempre morta e continuerà a morire; mica siamo eterni. I nostri politici ci vogliono salvare la salute in patria, ma poi, se gli tira il culo, ti mandano a fare la guerra all’ estero, e se là ti capita di morire ti fanno passare per eroe e non dicono che è colpa loro. ...Quelle sono le nostre torri gemelle. É un doppio grattacielo costruito nel "55. Speriamo che a nessun terrorista venga in mente di schiantarsi qua da noi. Certo che: quelli che l’ VHWWHPEUH hanno organizzato l’attacco all’America, debbono essere stati molto bravi a dirottare quattro aerei contemporaneamente e combinare il tutto. Pensi se invece di scegliere aerei americani, avessero scelto aerei di compagnie straniere, del tipo: Russia, Cina, oppure compagnie Arabe. La ritorsione americana avrebbe incolpato quegli Stati di complicità con i terroristi e sarebbe potuta scoppiare la terza guerra mondiale. Forse, i terroristi hanno voluto usare aerei americani proprio per dimostrare che possono colpire gli Stati Uniti dal loro interno ed essere indipendenti da governi stranieri. Certe volte mi chiedo: perché molta gente odia gli americani? Pensi: che proprio questo viale, che il Comune aveva intitolato a Kennedy, qualcuno, una notte ha sostituito l' insegna mettendone una nuova con il nome di "Sacco e Vanzetti". ...Dopo il ponte, giri a sinistra. ...Oh, cavolo! ci siamo incolonnati dietro un funerale. Per fortuna che viaggia abbastanza svelto. ...In questo rettilineo, se si da una mossa, possiamo superare tutta la colonna. ...Poveretto! ...Ha letto? ...Nel manifesto mortuario appeso alla macchina, c' era scritto che aveva vent' anni. Un altro che si era illuso d' essere il migliore; che certe cose a lui non sarebbero mai capitate. ... È meglio che rallenti un poco; spesso, dopo quella curva ci sono i vigili con l' autovelox. La settimana scorsa un automobilista che andava forte non ha fatto in tempo a vederli; sul giornale c' era scritto, che nel frenare bruscamente, ha sbandato e li ha investiti facendoli saltare in aria come la palla da Bowling fa saltare i birilli. A fatto streak. ...Ecco, prosegua, passi davanti all' IperCoop. ...Sembra, dicono, che sia uno dei centri commerciali più grandi d' Europa. Ha un parcheggio, che tra fuori e sotto, può contenere 3500 auto. All' interno, oltre la Coop, che vende ogni genere di cosa immaginabile, nella galleria, ci sono cento negozi specializzati. Nel periodo invernale, specialmente la domenica, quasi 50.000 persone vanno a passarsi un pomeriggio la dentro. ... I Comunisti, qua in Emilia sono una potenza economica, hanno rivoluzionato il commercio al dettaglio. Vendono a contanti, ma loro pagano i fornitori a lunghe scadenze. Capitalizzano per creare banche e assicurazioni. C' è gente che pensa, che in futuro, apriranno ospedali e cimiteri per gestire il ciclo completo dei loro soci; dalla nascita alla morte. - Quelli, che lei dice, non si chiamano più "Comunisti" hanno cambiato nome. ...Mi fa notare! - Eh, si! ...Ma le persone sono le stesse. Hanno cambiato nome quando hanno sentito odore di bruciato con la questione di mani pulite. -Io, penso, che non sia stato un caso, che abbiano regalato il seggio di senatore a Di Pietro. Non era nemmeno comunista! Se non gli avessero dato il seggio del Mugello, non sarebbe mai diventato Senatore. È un sospetto che hanno in parecchi. ...Ecco, guardi, siamo arrivati a casa di mio fratello. Si fermi vicino a quell' albero scheggiato, quello con il mazzo di fiori appoggiato a terra. ...La saluto, e la ringrazio del passaggio. ...Da qui può proseguire; al semaforo giri a destra e si troverà direttamente sulla strada per Ravenna. ...Ah! Pensandoci. Se io fossi in Lei mi cambierei veramente il nome; mi chiamerei, davvero, Guido Contromano; così, con quel nome, nessun frammentatore testicolare come me, vorrà più salire in macchina con Lei. E ...occhio alla strada. /DJLWD Questa luminosa perla la dedico al progettista della Panda, che nonostante le sue ristrettezze, è riuscito omologarla per cinque posti. JLWD: VI andare in un luogo per diporto, scampagnata/ escursione, passeggiata. (UDYDPR cinque amici. Io; il mio amico Seghenzio che abita al quinto piano; le gemelle Alda-Mara Dallavia, meglio conosciute con il soprannome "Mani di Fata"; e la mia fidanzata "Cionki Keladò" di origine orientale, naturalizzata bolognese; la quale preferisce chiamare le gemelle con i loro nomi tradotti nella fonetica nipponica a lei più congeniale, cioè: Leta-Maja Dalavia. Con l’occasione di festeggiare il compleanno di Seghenzio, quel giovedì 13 giugno 2002, avevamo deciso di fare una gita in giornata; cioè: partire presto la mattina, per tornare la sera. Per rimanere più uniti durante il viaggio e avere il modo di discorrere stando insieme, siamo partiti con una sola macchina; era la Panda di Seghenzio. Quella che aveva comprato con un forte sconto perché il concessionario non riusciva vendere. Era un colore non ben catalogato; era un marrone tra il chiaro e lo scuro, quel colore comunemente definito "Cacca di bimbo" modello Diarrea. A dire la verità, non essendo un viaggio importante, non avevamo fatto un itinerario preciso; ma ognuno di noi, in testa, aveva un' idea diversa dagli altri di dove voler andare. Dopo soli dieci chilometri dalla partenza, all' interno dell' abitacolo di quella vetturetta, si era creata una confusione di voci insopportabili. Ognuno cercava di convincere gli altri di andare nella località da egli prescelta, perché: era più interessante, c' era più da vedere, o si mangiava meglio. Seghenzio, che in quel momento era al volante (la macchina era sua) disturbato da tanta confusione, fermò al margine della strada, sotto l' ombra dell' unico albero di cachi (tanto per stare in tema con il colore della macchina) che qualcuno molti anni prima aveva piantato in quel posto. Certo: quel povero albero, mica era nato là di sua volontà! Se avesse potuto scegliere, sarebbe nato in un bosco, lontano dalla strada. Fermi al margine della strada, all' ombra di quell' albero, la discussione continuò; se andare sugli Appennini per visitare i posti più rinomati, tipo: San Marino, Gradara, San Leo e quel monastero famoso di cui mi sfugge il nome, oppure, andare al mare sulle spiagge della Romagna, dove potevamo pranzare in uno dei tanti ristoranti rinomati per le memorabili abbuffate di pesce. Cogliendo l' occasione della sosta, avendo io, una necessità diventata urgente, approfittai per scaricare acqua. Come sapete: quando certe necessità arrivano, noi maschietti non ci formalizziamo molto e possiamo anche farla all' aria aperta. É sufficiente dare di spalle alla strada, per evitare gli sguardi indiscreti, e fontanellare il più lontano possibile. I commenti ironici dei miei compagni di viaggio, per disturbare la mia sospirata diminuzione di pressione della vescica, non tardarono ad arrivare. Infatti: Cioncki Keladò, cominciò per prima: -Attento a non faltela sulle scalpe; ma quanta ne avevi; ma che blutto pisello che hai; vuoi che venga io a stlizzaltelo? -… Insomma! Nemmeno a pisciare si può stare tranquilli? Ma pensa per te, che non sei capace di farla stando in piedi; gli risposi. Terminate le mie necessità fisiologiche liquide, gli altri, con evidenti necessità diverse dalle mie, approfittarono dell' ombra di quell' albero per apparecchiare il cofano della macchina con una coperta che ci eravamo portati per un eventuale pic-nic. Come ogni gita che si rispetti, nell' eventualità ci fosse venuto fame durante il viaggio, c' eravamo portati da casa: pane, salame e lambrusco. Erano trascorsi soli pochi minuti dalla partenza e già l' aria fresca della campagna aveva mosso il nostro appetito. Rigenerati fisicamente, anche il cervello si allineò e tutti d' accordo decidemmo di andare alla Rocca di San Leo, per visitare la prigione dove morì Cagliostro. (all' anagrafe: Giuseppe Balsamo) Personaggio controverso; guaritore, mago, fondatore di massonerie, reso martire dall' inquisizione quando, imprigionato nella fortezza di San Leo, morì nel 1789. Ripreso il viaggio, e come succede nelle migliori storie, sbagliammo strada. La colpa non fu tutta di Seghenzio che si era distratto; ma in parte fu di Alda-Mara, una delle gemelle che sedeva al suo fianco, la quale, con la scusa di aiutarlo nella guida, cercava la leva del cambio tra le sue gambe. Così, senza volerlo, c’ inerpicammo per la statale 67, quella che porta al Passo del Muraglione, tra Forlì e Firenze. Nonostante avessimo messo qualcosa di solido nello stomaco, i continui saliscendi e le curve a destra e sinistra della strada, prima di arrivare in cima al passo ci fermammo in uno spiazzo sterrato; dovevamo far riposare lo stomaco. Se avessimo percorso ancora qualche curva, … vi risparmio la descrizione di cosa sarebbe successo all' interno di quella piccola vettura; già eravamo stretti in cinque, poi, se si fosse aggiunto anche il resto… Verso mezzogiorno, arrivammo in cima al passo del Muraglione, che prende il nome da un grosso muro di pietra fatto costruire da Leopoldo II, Gran Duca di Toscana. (1797/1870) Quel grosso muro, taglia in mezzo la strada formando due carreggiate. Per un povero ignorante come me, avrei pensato che doveva segnare i confini tra Toscana e Romagna, invece, all’epoca, fu costruito per un semplice riparo dai venti, nel cambio dei cavalli. Piovigginava; cosa normale per quei posti. Sarebbe stato strano se avessimo trovato un sole splendente. Come tutti sanno: in cima ai passi appenninici Tosco-Emiliani piove sempre; davvero! Chiedetelo anche a Lucio, che sull’argomento ha scritto una canzone. Nonostante la pioggia, che fortunatamente non era eccessiva, nel largo panorama che stava di fronte a noi, ci godemmo la vista delle vallate che spaziavano lontano. Sembrava di stare in mezzo alla poesia di D' Annunzio "La pioggia nel pineto" ( … Piove, dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici salmastre ed arse, piove sui pini scagliosi ed irti, piove sui mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti… ) Insomma, pioveva; ma con qualche raggio di sole che riusciva filtrare le nuvole. Sembrava di vedere quei quadri dove i pittori tracciano una luce tra cielo e terra, per indicare che Dio ci guarda. Visto che eravamo arrivati fin sopra la cima del passo, il nostro spirito di giovani incoscienti, sempre pronto a mettere in evidenza la nostra stupidità, tutti e cinque ci arrampicammo sopra all' estremità del monumento e come i protagonisti del film Titanic, ci mettemmo in fila, uno dietro l' altro a braccia aperte, per prendere in faccia la pioggia e il vento che soffiava. Ormai era l' ora di pranzo (tanto per non perdere l' abitudine: è sempre l' ora di pranzo) decidemmo di fermarci sul posto, al bar ristorante IL MURAGLIONE di Missirini Giovanni - tel. 0558 374393. (se prenotate a nome mio vi potrà fare lo sconto) Il ristorante era fornito di sala da pranzo del tipo "bel vedere". Ci sedemmo ad un tavolo e potemmo continuare la nostra visione panoramica, mentre, allo stesso tempo, potemmo godere d' essere serviti di un ottimo menù casereccio. Vi consiglio le pappardelle al sugo di cinghiale, poi, polenta e funghi misti con salsiccia dell' omonima bestia. Il signor Giovanni, per l' occasione, nella sala aveva istallato alcuni televisori e il "bel vedere" si riempì quando, alle tredici e trenta, cominciò la partita Italia /Messico che si giocava in Giappone. Partita decisiva per superare il turno degli ottavi di finale e continuare il campionato del mondo. Oppure, in caso di perdita, l' Italia sarebbe stata eliminata e avrebbe dovuto tornarsene a casa; come avevano già fatto Francia e Argentina. Una delle ragazze, che forse aveva bevuto un bicchiere di troppo, azzardò dire che lei avrebbe visto più volentieri "La ruota della fortuna" di Mike Bongiorno e che della partita Italia/Messico a lei non interessava nulla. (veramente: aveva detto che della partita non gliene interessava un caz...) Se fossimo stati in un altro pianeta, forse qualcuno l' avrebbe accontentata, ma lì, nessuno dei presenti prese in considerazione la sua richiesta e tutti vedemmo quella partita. Vi sembrerà impossibile; ma a metà del secondo tempo, quando l' Italia stava perdendo per un goal a zero, a parecchi spettatori presenti nella sala da pranzo, era venuto il desiderio di cambiare canale per non assistere a quella che sembrava la disfatta di Caporetto. Fortunatamente, come ricorderete, con l' ingresso in campo di Del Piero, la partita si aggiustò. Dopo pranzato, visto che avevamo fatto trenta, salendo in cinque con la Panda fin sopra il dorso degli Appennini, decidemmo di fare anche trentuno, proseguendo la nostra gita verso Firenze. La strada, da quel punto era tutta in discesa, e la Panda cominciò correre come se avesse preso una di quelle bombe che prendono alcuni ciclisti al giro d' Italia. Arrivammo a Firenze in meno di un' ora. In città il sole splendeva ed era un caldo bestiale. Dopo diversi tentativi di parcheggiare la nostra “ Cacca di bimbo” intorno al centro storico, riuscimmo trovare un piccolo spazio ai piedi della collina di Piazzale Michelangelo, dall' altra parte dell' Arno. Per ritornare verso il centro, passammo sopra il famoso "Ponte Vecchio". Uno splendore. Una doppia fila di botteghe orafe. Vetrine cariche di gioielli facevano da sponda a quello che si può definire il ponte più ricco d' Italia. Una marea di gente occupava la strada. Migliaia di turisti erano pigiati sul punte come pecore dentro un recinto. Per non urtarsi tra loro, camminavano a rilento, e con fatica trascinavano i piedi. A vedere tutta quella gente ammassata, mi sembrava d’essere a Bologna l’otto marzo, quando alla fiera di San Donato le donne la danno gratis. Al termine del ponte, per andare alla galleria degli Uffizi, girammo verso destra, sul marciapiede che fa da argine all’Arno. Vedendo quel fiume, con l’acqua che quel giorno scorreva tranquilla verso valle, mi tornò in mente una lontana mattina di pieno sole di molti anni fa, quando, partito da casa per iniziare il mio nuovo lavoro di agente di commercio, arrivavo in macchina a Firenze per la prima volta. Fu il 3 novembre 1966. Quel giorno, fermatomi davanti al cartello che indicava "Città di FIRENZE", una strana sensazione di angoscia mi prese. Qualcosa dentro di me diceva di non entrare in città; mi spingeva a proseguire oltre. Cambiando il programma di visite che la Ditta mi aveva preparato per quella giornata, d' istinto cambiai l' itinerario decidendo di iniziare il mio nuovo lavoro cominciando da Pisa. Fu un miracolo, o qualcosa di soprannaturale, che mi guidò lontano da quel luogo, impedendomi, la mattina dopo, di trovarmi in mezzo all' alluvione che sarebbe avvenuta quella notte, quando il fiume tracimò allagando Firenze. Le case, le botteghe, gli uffici, i musei e le chiese furono tutti sommersi. Ancora oggi a simbolo degli enormi danni provocati all' arte della città di Firenze, rimane il crocifisso del Cimabue (1270) gravemente danneggiato e ora conservato nel Museo dell' Opera di Santa Croce. Proseguendo nella nostra camminata, mentre alcuni artisti da strada c’ invitavano per farci il ritratto, attraversammo Piazza degli Uffizi. Sotto il porticato, una lunga fila di turisti aspettava di poter entrare in quel tempio dell' arte. Più avanti, sotto la Loggia del Mercato Nuovo, come ogni bravo turista che si rispetti, io e Seghenzio accarezzammo il muso del "porcellino" in segno di porta fortuna. (scultura in bronzo di Pietro Tacca; 1612). Le ragazze, pensando che la fortuna sarebbe stata maggiore, preferirono accarezzare i genitali di quella bestia immortalata. Non so chi fosse stato, ma qualcuno tra la folla pronunciò un prolungato grugnito compiacente. Arrivati in Piazza della Signoria, per riposarci un po'e bere qualcosa di fresco, ci sedemmo ad un tavolo all' aperto di un bar. Seduti a quel tavolo, era già uno spettacolo vedere la moltitudine di gente venuta da tutto il mondo; tutti con il naso all' insù per ammirare quei palazzi antichi e i vari monumenti messi ad abbellire quella piazza. Tanto per farsi un po'di pubblicità e mostrare le loro qualità sociali, le gemelle Alda-Mara, si fecero portare ciascuna un enorme cono gelato e lo succhiarono tanto gustosamente, lavorandolo di lingua, che più di un passante gli fece i complimenti. Nello stesso tempo, la mia fidanzata sorrideva a tutti i giapponesi che incontrava. Non so se lo facesse per educazione, o perché li conosceva tutti; loro, gentilmente, ricambiavano. L' atmosfera, che in quella piazza si percepiva, era straordinaria. Era diversa. Fateci caso: in una giornata lavorativa, trascorsa nella vostra città, la tensione elettrica che ristagna nell' aria influisce negativa- mente sul comportamento aggressivo delle persone, mentre, nelle giornate dedicate al piacere di visitare una città d' arte, dove la maggior parte della gente è rilassata e non deve rincorrere il tempo, sembra che l' aria sia più leggera e le persone siano più tolleranti e compiacenti con tutti. Accanto alla porta d' ingresso di Palazzo Vecchio, ora sede del Comune, c' era la copia in marmo del corpulento David. Sembrava facesse la guardia al palazzo, mostrando impudicamente quella specie di pisello che si ritrovava. Evidentemente, il giorno che il modello posò per Michelangelo doveva essere una giornata molto fredda. Per chi non avesse buona memoria: nel 1848, cacciati i Lorena da Firenze, Palazzo Vecchio divenne sede del governo provvisorio dell' Unità d' Italia e fino al 1871 sede della Camera dei Deputati. La Fontana di Nettuno costruita da Ammannati; la statua equestre di Cosimo I, progettata da Gianbologna; il Perseo, che reggeva per i capelli la testa di Medusa; il Ratto delle Sabine e le altre statue sotto la Loggia dei Lanzi (lanzichenecchi) facevano da cornice d' onore ad uno spettacolo unico. Non ci si stancherebbe mai di guardare quella piazza colma d' arte e di storia. Più avanti, passammo sopra un disco di marmo fissato a terra. Era collocato a ricordo che, in quel punto preciso, nel 1498, il Savonarola fu messo al rogo. Calpestando quel marmo, mi sorse il dubbio: se quel segno messo lì rappresentasse solamente un vecchio fatto storico, oppure, un monito per intimorire coloro che, anche ai nostri tempi, vorrebbero giudicare il potere? Come dire: guardate, ma tacete. Non rompete i coglioni a chi è più potente di voi, potreste finire bruciati. Proseguendo la nostra passeggiata nel centro storico, invitati continuamente dai cinesi ad entrare nei loro negozi che esponevano articoli in pelle, facemmo shopping. A poco prezzo acquistammo alcune paia di scarpe e, per le gemelle, due borse di pelle, uguali. Successivamente, riprendendo la nostra passeggiata culturale, arrivammo al Duomo (Santa Maria del Fiore) famoso per la cupola del Brunelleschi e il campanile di Giotto; poi, pagando il biglietto d' ingresso, perché adesso per andare in chiesa si paga, andammo a sederci al fresco all' interno del Battistero, famoso per le porte in bronzo del Ghiberti e di Andrea Pisano. Usciti, ci spostammo dal centro e andammo a visitare la chiesa di Santa Croce che, oltre ad essere carica di opere d' arte, come tutti i monumenti fiorentini, custodisce le tombe di personaggi famosi come: Machiavelli, Michelangelo, Galileo, Alfieri, Foscolo e pure Gioacchino Rossini che, pur essendo nato a Pesaro e morto vicino a Parigi, è stato sepolto lì. Avremmo voluto rimanere ancora, perché molto ancora c' era da vedere; ma ormai, il tempo era trascorso e: s' era fatto sera. Per il ritorno verso casa, con il cellulare, telefonammo alla Società dell' autostrada. Ci informammo se c' era posto per entrare con una Panda poco più lunga di tre metri. Sapete, sulla Firenze/Bologna, c' è sempre tanto traffico che per viaggiare su quel tratto è meglio prenotare il posto macchina. Il traffico era abbondante come sempre; camion lenti e difficili da superare, e grosse macchine veloci che ci superavano come fossero cannonate. Tra i vari discorsi che intavolammo durante il viaggio, ricordando il piacere della gita di quel giorno, pure lo stomaco brontolava di suo. Interveniva nella discussione segnalandoci che era giunta l' ora di cena. Fu il cartello che indicava la prossima uscita del Mugello, che mi fece ricordare che poco distante dal casello c' era la famosa trattoria "La grigliata" specializzata nella carne alla brace. E, come spesso succede, quando si tratta di mangiare, fummo tutti d' accordo. Uscimmo dall' autostrada e cinque minuti dopo eravamo seduti a tavola che ordinavamo: Fiorentina per tutti! &XOLQDULD (Ricette gastronomiche facili per persone "singles".) Questo, gustoso e utile ricettario, lo dedico a quello scroccone di mio fratello che, con la scusa di venire a piangere sulla mia spalla, perché la moglie lo ha lasciato per andare col modello del calendario di fine anno, che lui stesso gli aveva regalato, arriva sempre a casa mia all’ ora di pranzo. &XOLQDULD: VI. l' arte della cucina. &XOL LQ DULD = esposizione del culo all' aria fresca del mattino / viaggiatori in aereo ad alta quota. /H persone che vivono singolarmente, nel senso che abitano in una casa da soli, senza partner o altri familiari, sono definite "single" (singoli). Bella scoperta! Queste persone, se sprovviste di personale specializzato in cucina, (cuochi) quando decidono di pranzare in casa, sono loro stessi che debbono provvedere alla preparazione dei pasti. Il ché, esse, hanno la necessità di conoscere alcune ricette gastronomiche semplici e di rapida attuazione. A questo punto, ammettendo che siate voi ad essere singoli, mi permetto darvi alcuni consigli: Anche se mangiate in casa, soli, è buona regola apparecchiare la tavola dignitosamente. Quello che mangerete vi sembrerà migliore. Considerando che il padrone di casa (voi) sia di genere maschile, le ricette, che sto per proporvi, si debbono intendere per una persona; massimo due. Per la preparazione dei pasti, generalmente si considera la stagione presente. Nelle stagioni calde è meglio preparare piatti freddi e leggeri, privi di grassi animali, o: di animali grassi, come preferite. Il più classico dei piatti estivi è l' insalata di verdure, composto da: pomodori, insalata verde, cubetti di emmental, scaglie di grana, uova sode, mozzarella, erbe aromatiche, (basilico e ruchetta) pezzetti di peperoncino piccante, filetti d' acciughe, vari tipi di olive, crostini di pane abbrustolito, un pizzico di sale marino macinato fine e qualche goccia di aceto balsamico di Modena. Il tutto condito con un filo di olio illibato di oliva. (Se non avete l' aceto balsamico di Modena, dimenticatevi la ricetta) Se nella vostra dispensa non avete gli ingredienti necessari per il piatto d' insalata mista, potete scegliere di farvi un panino col classico prosciutto della marca reclamizzata in TV. In alternativa al prosciutto, potete usare mozzarella con pomodori rossi e un filo d' olio. Per dargli un sapore più gustoso, aromatizzate con origano e un pizzico di quel sale che dovevate usare per l' insalata di verdure. Se, casualmente, non avete il pane fresco di giornata per fare il classico panino, potete usare le fette di pane in cassetta. Ma, fate attenzione, che la confezione del pane in cassetta sia nuova, oppure, aperta da poco tempo. Se la confezione è vecchia e ha preso aria, potrebbe essersi formata la muffa (comunemente conosciuta col nome di: crittogama). La muffa del pane stantio, raffermo e rancido, se ingerita nello stomaco, è un valido propellente per chi soffre di stitichezza (stipsi). È risaputo che, alle persone stitiche, i medici consigliano cibi guasti per stimolare l' evacuazione dell' intestino crasso. Per un pasto estivo e leggero di facile preparazione vi consiglio, anche, una confezione di yogurt naturale con l' aggiunta, a piacere, di pezzetti di frutta avanzata nel fondo del frigorifero; oppure, aggiungete: noci e frutta secca presa dal cesto di natale che vi è stato regalato e che non avete ancora aperto, o, la raschiatura dei vasetti di miele e marmellate varie che avevate dimenticato in un angolo nascosto della cucina. Se siete persone raffinate, nello yogurt, potete mescolare qualche fetta di zampone di Modena o una porzione di cotechino regalato dalla zia di campagna. Ma non esagerate, ne potrebbe risentire il colesterolo. In mancanza degli ingredienti sopra menzionati, è possibile preparare un pasto corroborante con una confezione di 250 grammi di Nutella, accompagnata con pane casereccio. Altro piatto freddo estivo è il classico prosciutto e melone. … Sbucciate il prosciutto e affettate il melone, o viceversa, a secondo dei gusti. Se non avete prosciutto e melone, potete fare salame e anguria. Se non avete il salame, potete magiare l' anguria con il pane del giorno prima. Se non avete l' anguria: mangiate pane e pancetta. Insomma… mangiate quello che avete, non fatemi incazzare! Per le persone single, disponibili a perdere un po'del loro tempo per dedicarlo alla cucina, consiglio la preparazione dei classici risotti. Per principio: il "risotto" si può fare con qualsiasi cosa. Si può fare con la frutta, con le verdure e con le carni. (Il risotto di pesce è troppo complicato, non fa per voi) La base del risotto è sempre un leggero soffritto di cipolla. Per fare il soffritto sapete che occorre l' olio, o debbo dirvelo? … Tritate finemente mezza cipolla e buttatela nell' olio, quando sarà leggermente rosolata o "imbiondita" aggiungete un pugno di riso abbondante, oppure, fate meglio se ne mettete due. La qualità del riso è indifferente; tanto, so che dopo non lo mangerete. Comunque: buttate il riso nel soffritto, tostatelo per un minuto circa e bagnatelo con mezzo bicchiere di vino bianco, secco e fermo. Quando il vino sarà evaporato, aggiungete l' ingrediente che avevate scelto per fare il risotto. Se lo fate con le verdure, potete usare: pezzetti di zucchine, fondi di carciofi, radicchio rosso di Treviso, o di Chioggia, o di Verona; l' importante che sia rosso e spezzettato. Se siete in stagione, potete usare gli asparagi (prima di usarli nel risotto debbono essere precotti). Se non siete in stagione, usate quelli surgelati. Ottimo, anche, è il risotto con le patate; meglio se prima le sbucciate e sminuzzate a cubetti. Dopo che avrete buttato nel riso il vostro ingrediente preferito, portatelo a cottura aggiungendo, poca alla volta, il brodo vegetale che precedentemente avevate scaldato, e continuate a mescolare affinché il riso non si attacchi al tegame. Non immaginate quanto sia noioso e appiccicoso, il riso, quando si affeziona e si attaccatta troppo al tegame. (nel frattempo avrete assaggiato se al palato vi sembra equo di sale) Dopo venti minuti di cottura il riso sarà stracotto; quindi: regolatevi per la volta successiva e toglietelo dal fuoco due minuti prima. Per amalgamare i vari ingredienti e insaporire maggiormente il vostro risotto: finitelo con una noce di burro, oppure, con un goccio di latte. Alla fine portatelo in tavola e grattate sopra un po'di formaggio grana. Anche se quel giorno vi sentite soli e abbandonati, vi induco a desistere dal mangiare in piedi e direttamente dal tegame. Il mangiare in verticale aumenterebbe la vostra depressione; quindi: sedetevi a tavola e fate attenzione che la testa non vi cada dentro il piatto. (ricetta per fare il brodo vegetale: un dado da brodo e acqua del rubinetto quanto basta) Pure per il risotto alla frutta, dovete prima preparare il soffritto di cipolla; poi potete usare: pere, mele, pesche, ananas, kiwi e banane. La frutta deve essere spezzettata e mondata del nocciolo; le banane, l' ananas e i kiwi sbucciateli. Sconsiglio il risotto alle prugne. Le prugne possono produrre un eccessivo movimento di stomaco. (Se proprio ne avete necessità: regolatevi come meglio credete) Per il risotto alla carne, consiglio di usare la salsiccia di Norcia sminuzzata, oppure, i fegatelli e frattaglie varie provenienti da polli allevati in batteria. In questo caso, a cottura terminata, amalgamate il risotto con un uovo percosso (alla brutta) e insaporitelo con aromi vegetali e una spolverata di grana. Molto rinomato è il classico risotto alla Milanese. Per farlo, secondo le regole, è molto complicato e dispendioso; quindi, vi consiglio di farlo come un risotto classico e al posto dello zafferano potete mettere del fiore di camomilla trittata e mischiata a un tuorlo d' uovo. Il colore sarà quasi uguale e con un po'di fantasia potete sempre credere di avere fatto un risotto alla milanese. Se non avete tempo per cucinarvi un risotto come quelli sopra descritti, potete farvi un riso in bianco. Ricetta: fate bollire mezzo litro d’acqua e aggiungete un pugno e mezzo di riso e un pizzico di sale a piacere. Al termine della cottura, scolate l’acqua e condite il riso con burro, oppure, con un filo d’olio d’oliva ancora illibato. Se preferite, potete aggiungere: o una grattata di parmigiano, o una grattata di pecorino romano stagionato (grattata: non significa che lo abbiate rubato). Per le ragazze single, che in quel momento si trovassero incinta, possono cuocere il riso in due terzi di acqua e un terzo di latte; aiuterà la gravidanza e il futuro allattamento. Altra ricetta veloce, a base di riso, è: riso in brodo (naturalmente: brodo di dado vegetale). Fate sciogliere un dado da brodo in mezzo litro d' acqua di rubinetto, portate a bollore e immergete il classico pugno e mezzo di riso. A fine cottura aggiungete: una grattata di noce moscata, un uovo sbattuto, un po'di prezzemolo tritato, una noce di burro e una grattugiata di quel formaggio rinsecchito che vi è avanzato nel frigo (Se vi piace bere il brodo caldo; vi consiglio farlo nelle stagioni fredde). Nel caso che la vostra dispensa sia ridotta ai minimi termini e non abbiate, né pasta e né riso a disposizione, potete farvi la classica "panata" di antica memoria bellica. … Fate bollire l' acqua con un dado vegetale, aggiungete del pane vecchio e insaporite con un filo di olio e un formaggino tenero. Non sarà certo un piatto prelibato, ma se non avete nient' altro a disposizione non so cosa suggerirvi. Una ricetta, adatta per la mezza stagione è: tagliolini all' uovo con salmone affumicato. Ricetta: In una pentola, fate bollire l' acqua salata e cuocete due girelle di tagliolini della marca "La Preferita". Io, personalmente, preferisco "Altramarca". Mentre i tagliolini cuociono: in una padella bassa e antiaderente, che avrete posto sul fuoco, mettete una noce di burro che deve sciogliersi. Sopra al burro sciolto, mettete: mezza confezione (piccola) di panna da cucina, un pizzico di sale fino, una piccola grattata di noce moscata e una spolverata di pepe nero. Mescolate il tutto e aggiungete alcune fette di salmone affumicato tagliato a piccole strisce. Sia che il salmone lo abbiate pescato voi, sia che lo acquistiate al discount, puzzerà ugualmente; non fateci caso. Quando i tagliolini saranno cotti, scolateli, ma non troppo, buttateli nella padella con il condimento al salmone che avevate preparato e fateli saltare. Se non vogliono saltare, usate la frusta e imponetevi; perché in casa vostra chi comanda siete voi. Un classico piatto freddo, da usare nella stagione estiva; sono i sedanini rigati conditi con: tonno, pomodoro, basilico, olive, capperi e pezzetti di fontina che avevate preparato a dicembre, e che per il sopraggiunto e inaspettato invito a pranzo dai parenti, per le festività di fine anno, avevate dimenticato nel fondo del frigorifero. Nel mese di luglio è il momento migliore per toglierlo dal frigo e gustarvi quel vecchio e tanto caro piatto, che con tanto amore avevate conservato. Se vi piacciono i passatelli in brodo, vi propongo la ricetta. … Grattugiate del pane vecchio che vi è rimasto, e una dose uguale di formaggio grana (se riuscite grattugiarle, potete usare anche le vecchie croste avanzate). Insaporite con: un pizzico di sale, una grattata di noce moscata, una presa di pepe nero e impastate il tutto con due uova, fino ad ottenere un impasto sufficientemente morbido da far passare attraverso i fori dello schiacciapatate. Schiacciate e stendete ad asciugare i passatelli su un foglio di carta predisposto per alimenti (evitate di usare il giornale del giorno prima, le brutte notizie potrebbero influenzare negativamente il sapore dei passatelli). Quando il brodo di dado sarà in bollore, buttate i passatelli (intendevo nel brodo, non nel secchio del pattume). In un minuto saranno cotti. Se i passatelli in brodo non vi piacciono: cambiate ricetta. Non siete obbligati a mangiarli. Una classica ricetta invernale è la pasta al forno. Questo piatto è un poco complicato e sarebbe opportuno prepararlo nell' eventualità abbiate una ragazza ospite, con la quale volete fare una discreta figura in qualità di cuoco. … Comperate: una confezione di lasagne secche precotte; un grosso barattolo di quel sugo alla carne di quella marca che a voi piace tanto e due confezioni, da mezzo litro, di besciamella già pronta. Poi: in una piccola teglia bassa, ungete il fondo con il burro avanzato a Marlon Brando nel film "Ultimo tango a Parigi", fate uno strato di lasagne, ricoprite con la besciamella e quel sugo che avevate comprato e aggiungete sopra una spolverata di formaggio grattugiato. Ripetete gli strati fino ad esaurimento del materiale a vostra disposizione. In fine: mettete il tutto nel forno caldo a 180 gradi e cuocete per circa 20 minuti. In attesa della cottura della pasta, potete mettete la vostra ospite a 90 gradi. Se volete una ricetta veloce, alla marinara, vi suggerisco un piatto di cozze. ...Acquistate le cozze fresche e fate attenzione che siano pulite; cioè: prive di alghe e parassiti cementati alle valve. Strappate i peduncoli di fibra che escono dalle valve e lavate le cozze in acqua fresca, almeno due o tre volte. Mettetele in una pentola alta, in modo da contenere l' aumento di volume che l' apertura delle cozze produrranno; bagnatele con olio di oliva e insaporite con un tritato di aglio, prezzemolo e sale; coprite e fate cuocere per pochi minuti (Non badate se nel tegame le cozze fischieranno, lo fanno perché sono felici di stare al caldo). Quando le cozze saranno aperte, significa che sono cotte e pronte per essere servite in tavola. Con il sugo, che le cozze hanno prodotto nella cottura, potrete poi condire gli spaghetti il giorno dopo. … Una raccomandazione speciale: non cercate, mai, di aprire quelle cozze che non si fossero aperte con la cottura. Sono guaste e rovinerebbero tutte le altre che sono nel piatto, per ciò, si chiamano cozze! Se vi piacciono gli zucchetti ripieni; questi sono facili da fare. ...Lavate e tagliate le estremità degli zucchetti. Trapassateli con il cavatorsoli e togliete i semi dall' interno. Riempite il foro con carne macinata mischiata con un battuto di: pane grattugiato, uno spicchio d' aglio tritato, sale, pepe e formaggio. Disponete nella teglia, bagnate con un filo d' olio, di quello che sapete voi, un po'di vino bianco secco fermo, e mezzo dito d' acqua. (orizzontale il dito; no verticale.) Ricordatevi di accendere il fuoco e cuocete a fiamma bassa per 15 minuti circa. In attesa della cottura, come farebbe ogni cuoco qualificato, potete bere il mezzo bicchiere di vino che vi è rimasto. Per la preparazione dei dolci di fine pasto, vi consiglio il budino. ...Comperate, al market, quelle confezioni di polvere già pronte. Le marche che io preferisco sono: l' Intrepido e il Monello. Hanno vari sapori, tipo: vaniglia, cacao, amaretto, rhum e mandorla. Preparazione: Prima, preparate alcune tazzine bagnate con il liquore di vostra preferenza, poi, mettete sul fuoco una pentola con circa mezzo litro di latte ben zuccherato. Versate la polvere e, con un cucchiaio di legno stagionato di ciliegio di Vignola, mescolate per circa tre minuti. Al termine della cottura, versate il budino caldo nelle tazzine bagnate, e il dessert è pronto. Se non sono stato chiaro: troverete la ricetta sulla confezione, oppure, telefonatemi che ve lo spiego di persona. Se vi piace la frutta cotta, come dessert, vi propongo le mele ripiene; come dicono i Francesi "pompin". Lavate alcune mele e con quell' attrezzo (levatorsolo) che usate per forare gli zucchetti, togliete il torsolo. Ma, fate attenzione, il trucco sta nel non forare le mele da entrambe le parti; lasciate una estremità chiusa. Riempite il vuoto con un impasto di briciole di biscotti e marmellata, e mettetele in forno a 150 gradi per 15 minuti. Se non avete la marmellata, potete spezzettare la frutta che vi avanza nella fruttiera e riempire il foro delle mele con la macedonia. Se le ricette che vi ho proposto non sono di vostro gradimento, mi dispiace; ma, se volete, potete sempre andare in una rosticceria cinese e portarvi a casa una porzione di riso alla cantonese e due involtini primavera. Buon appetito e arrivederci. P.S. La moglie di mio fratello è tornata a casa, il modello che le aveva fatto perdere la testa è scappato con il modello del calendario dell’ anno nuovo. $EELDPRSHUVR Con delusione per gli eventi, dedico questo breve racconto a tutti coloro che si erano illusi che avremmo potuto vincere il campionato del mondo di calcio. VFRQILWWD: VI rotta in battaglia, disfatta HVW. insuccesso ,O martedì, della settimana successiva alla gita fatta a Firenze, ci ritrovammo tutti in casa di Seghenzio, per vedere la partita Italia / Corea. All' inizio della trasmissione televisiva, un evento straordinario ha attirato la mia attenzione. Per noi Italiani, era la prima volta che assistevamo ad un' esternazione patriottica così incisiva su un campo di gioco. Evidentemente, il pensiero del nostro Presidente, signor Ciampi, era stato materializzato sul campo. A sorpresa, da una cantante, che non voglio ripetere il nome in quanto Lei non ha nessuna colpa, e mi è sembrata anche un po'stonata, forse per l' emozione di cantare in uno stadio; dicevo, per la prima volta, in una partita di calcio, un professionista ha cantato le parole del nostro inno nazionale in diretta; come fanno in America. Sentire più volte il ritornello "siam pronti alla morte" cantato in occasione di una partita di calcio, mi è sembrato esagerato. (Poi, le istituzioni si lamentano se gli ultras, in occasione del campionato nazionale, fuori dallo stadio si picchiano a morte. Praticamente, non fanno altro che seguire le indicazioni del nostro inno nazionale). Alla fine del racconto vi metto il testo integrale del "Canto degli Italiani". Come molti di voi ricorderanno, la partita cominciò bene "per i Coreani". Quell' arbitro "il signor Moreno" favorì i nostri avversari regalandogli un rigore inesistente che, fortunatamente per noi, la bravura del nostro portiere "signor Buffon" riuscì parare annullando la prima ingiustizia arbitraria. Al diciottesimo minuto di gioco, ricorderete che, su calcio d' angolo tirato dal signor Totti al centro dell' area coreana, il signor Vieri fece goal con la testa. Visti gli eventi: già stavamo pregustando che la sorte sarebbe stata a nostro favore, e se la partita fosse continuata con quelle caratteristiche, avremmo potuto battere la Corea con un secco "4 a 0". Invece: a metà del secondo tempo, il gioco aveva preso un andamento variabile tra le due squadre. Evidentemente, Trapattoni, "il mister" pensava che sarebbe stato sufficiente controllare la partita fino alla fine, e fu così che cademmo nella trappola della paura; che sarebbe: il preferire difendere il vantaggio, piuttosto che minacciare l' avversario con un attacco ad oltranza. È inutile che vi faccia la cronaca della partita. Per una vasta serie di eventi, tra cui l' infortunio di Cocco scontratosi con un avversario e la nostra sfortuna di non riuscire ad infilare una volta di più il pallone nella porta avversaria e l' evidente volontà degli arbitri di tirarci contro, il risultato lo conoscete. Per l' ITALIA le cose andarono male. Comunque: terminata la partita, delusi, scontenti e amareggiati, uscimmo tutti da casa e andammo in centro per vedere se qualcuno stesse facendo casino; come, sicuramente avremmo fatto noi, con la massima gioia in caso di vittoria. Un mortorio. Poca gente. I soliti studenti fermi all' angolo dei "4 S", che non hanno mai nulla da fare, e qualche pensionato che girava sul marciapiede per fare lo struscio al culo delle ragazze. ("4 S" = Studenti Stronzi Senza Soldi. Luogo di ritrovo, sotto i portici del Teatro Comunale) L' Italia era uscita dai campionati del mondo. Pazienza. Forse è stato meglio così. Se, con le partite successive fossimo arrivati in finale e, magari, anche vinto la coppa del mondo, ci sarebbe stato un casino della madonna e qualche imbecille, nel carosello di macchine fatto per le strade, sarebbe finito sotto a qualche automobile. A questo punto mi ritornano in mente le parole dell' inno nazionale. Sembra che, in pratica, vogliano dire che: per un ideale, noi Italiani siamo disposti a morire. Come ho avuto modo di scrivere al nostro Presidente, signor Azeglio Ciampi, qualche mese prima che si svolgessero i campionati di calcio, in un periodo che il problema dell' inno nazionale era riportato dai giornali; gli scrissi, ricordandogli, che la nostra Costituzione ha adottato l' attuale inno nazionale "provvisoriamente" e che, a mio avviso, l' attuale inno è anacronistico e andava bene nel 1847 per stimolare gli Italiani a formare l' Unità d' Italia. Adesso, che l' Italia è già unita, quelle parole non hanno più senso. (A meno ché: non si vogliano tenere buone in futuro, per stimolare gli Italiani a cacciare un celato invasore d' oltre oceano?) Volendo aggiornare "Il Canto degli Italiani" ai nostri tempi, propongo di mantenere la stessa musica composta da Michele Novaro, che a me piace, e cambiare le parole del Mameli. Magari: proponendo un concorso nazionale, visto che gli Italiani sono tutti poeti. Nell' attesa che qualcuno accolga la mia proposta, spero, anche, che nelle prossime partite nazionali si ritorni ai vecchi tempi, quando, allo stadio, l' Inno Nazionale lo suonavano solamente, e nessuno conosceva le parole. Ecco l' Inno Nazionale riletto per l' occasione di Italia/Corea: )UDWHOOLG ,WDOLD / ,WDOLDV qGHVWD 'HOO HOPRGL6FLSLR 6 qFLQWDODWHVWD 'RY qOD9LWWRULD" /HSRUJDODFKLRPD &KHVFKLDYDGL5RPD (l' Italia è una grande famiglia, siamo tutti parenti) (l' Italia s' è poco desta) (è stato Cocco, che si è fasciato la testa) (non c' è stata vittoria) (ossequi) (ecco: forse il problema è essere schiavi di Roma) ,GGLRODFUHz (e Dio non creò nessuno schiavo) 6WULQJLDPRFLDFRRUWH (la miglior difesa è l' attacco) 6LDPSURQWLDOODPRUWH (nessun ideale sportivo vale la morte) / ,WDOLDFKLDPz (Passato remoto!) 1RLVLDPRGDVHFROL &DOSHVWLGHULVL(non c' è niente da vantarsi, se ci hanno calpestati e beffati) 3HUFKpQRQVLDPSRSROR (non è vero! Già da prima dell' Unità d' Italia ci chiamavamo "Il popolo Italico") 3HUFKpVLDPGLYLVL (ognuno ha la propria squadra del cuore) 5DFFROJDFLXQ XQLFD (ma la Nazionale è già di tutti) %DQGLHUDXQDVSHPH (la speranza è l' ultima a morire) 'LIRQGHUFLLQVLHPH (la squadra era unita) *LjO RUDVXRQz (trillò alla fine della partita) 6WULQJLDPRFLDFRRUWH (ci siamo stretti a coorte; ma non è servito) SLDPSURQWLDOODPRUWH(ancora?) / ,WDOLDFKLDPz (chi; chiamò? Non rispondere!) 8QLDPRFLDPLDPRFL (si! vogliamoci bene!) (fate l' amore; non giocate al calcio) O 8QLRQHHO DPRUH 5LYHODQRDL3RSROL (l' hanno saputo tutti, era in televisione) /HYLHGHO6LJQRUH (per qualcuno: le vie del signore sono infinite; per noi: No!) *LXULDPRIDUOLEHUR (eravamo condizionati) ,OVXRORQDWLR (abbiamo giocato fuori casa) 8QLWLSHU'LR (non nominare il nome di Dio invano) &KLYLQFHUFLSXz" (la Corea!) 6WULQJLDPRFLDFRRUWH (già fatto) 6LDPSURQWLDOODPRUWH (ancora?) / ,WDOLDFKLDPz (pronto; chi parla?) 'DOO $OSLD6LFLOLD 'RYXQTXHq/HJQDQR(d' accordo! Quando gioca la Nazionale siamo tutti Italiami) 2JQ XRPRGL)HUUXFFLR ( tutta la squadra seguiva gli ordini di Trapattoni) KDLOFXRUHKDODPDQR (ci vogliono i piedi) LELPELG ,WDOLD 6LFKLDPDQ%DOLOOD (anche Mussolini li chiamava Balilla. Adesso si chiamano: Totti, Del Piero, Vieri, Buffon, ecc.) ,OVXRQG RJQLVTXLOOD (era il fischietto dell' arbitro Moreno) ,9HVSULVXRQz (era giunta la sera, la partita era finita) 6WULQJLDPRFLDFRRUWH (ti ripeti) (non ascoltarlo. Nessuno deve morire per una partita di calcio) 6LDPSURQWLDOODPRUWH / ,WDOLDFKLDPz (a questo punto lascialo chiamare) 6RQJLXQFKLFKHSLHJDQR (che cosa piegano?) /HVSDGHYHQGXWH (sono i fischietti venduti) *LjO $TXLODG $XVWULD (era la Corea) /HSHQQHKDSHUGXWH (noi! siamo stati spennati) ,OVDQJXHG ,WDOLD (il sangue era di Cocco) ,OVDQJXH3RODFFR (ti ho detto che era la Corea) %HYpFRO&RVDFFR (tutta gente che non c' entra niente) 0DLOFXRUOHEUXFLz (al mio paese si dice: che brucia qualcosa d' altro) (te l' ho già detto! Bisogna attaccare!) 6WULQJLDPRFLDFRRUWH 6LDPSURQWLDOODPRUWH (ancora? sei pesante!) / ,WDOLDFKLDPz (non rispondere; è la quinta volta che chiama) Ci riproveremo ai prossimi campionati del mondo del 2006. Titolo: Venezia; veduta del campanile di San Marco / HVHFX]LRQHGHOO RSHUDqVWDWDLQWHUURWWDGDL FDUDELQLHULLQWHUYHQXWLDVJRPEHUDUHODSLD]]D L/HJKLVWLDYHYDQRRFFXSDWRLOFDPSDQLOH 6HXQJLRUQRWRUQHUjOD6HUHQLVVLPD IRUVHULSUHQGHUzO HVHFX]LRQHGHOO RSHUD 7XWWLDOPDUH 0Lero alzato tardi quella mattina del 15 agosto. Da diverse ore il sole stava arroventando i mattoni della mia casa e il legittimo mezzogiorno era passato abbondantemente. Immaginavo che la maggior parte degli Italiani stesse festeggiando, quella giornata di vacanza nazionale, ingrassandosi con abbondanti offerte sacrificali al dio della mangiatoia. Pure io, avevo pensato di andare a pranzare in uno di quei ristoranti sorti sulla spiaggia, mettendomi seduto comodamente ad un tavolo apparecchiato sotto una tettoia, lasciando che il vento fresco giungesse dal mare per alleviare i disagi dell’ afa. Ormai ero fuori dalla città, con la mia automobile avevo abbandonato quel luogo insopportabile che, anche poco prima, stando seduto comodamente sulla tazza del cesso, mi aveva fatto sudare spudoratamente. Da quando avevano costruito la bretella, che dal casello dell’ autostrada Bologna-Padova corre direttamente al mare, il traffico si era spostato tutto su quella strada; e questa vecchia provinciale, usata solamente per il poco traffico locale, era stata semi ripudiata. Correvo verso il mare che distava poco meno di un’ ora: se avessi usato un’ andatura rispettosa dei limiti; oppure, poco più di trenta minuti, se avessi lanciato la vettura alla velocità degli anni passati, quando in Italia non esistevano gli autovelox (*) e quell’ infinità di cartelli, messi ad ogni incrocio, per indicare i limiti di velocità massima che ogni strada poteva sopportare. *(Autovelox: sembra il nome di un preservativo specifico da usare in macchina) Correvo superando ampiamente i limiti che in quella strada erano indicati. Era una strada costruita nel ventennio fascista, di concezione moderna, disegnata diritta, con alti e grossi platani saldamente piantati ai lati che, con le loro ampie chiome, chiudevano il cielo sopra l’ asfalto cercando di ripararlo dal sole. All’ epoca della sua costruzione, in Italia le autostrade non esistevano e, quella, era considerata un’ opera all’ avanguardia. Poteva, benissimo, sostenere il traffico scarso prodotto dalle poche automobili che dalla città si inoltravano nella bassa, verso il mare, dove “ ora” sorge una fila continua di paesi costruiti ad esclusivo uso del turismo. Le dune di sabbia, che le onde del mare e la forza del vento avevano accumulato per secoli, separavano le larghe spiagge dai vigneti del Delta. In quelle terre sabbiose, si producevano vini di corporatura grossa, che al palato legavano la lingua; e un bicchiere di quello rosso, scaldava lo stomaco quanto un piatto fumante di maltagliati cotti nel brodo di fagioli insaporito con le cotiche. In poco tempo i palazzinari avevano distrutto quello che la natura aveva costruito in migliaia di anni. Le dune e la striscia di pineta che proteggevano i vigneti dal vento del mare sono sparite. Al loro posto hanno innalzato migliaia di condomini, alberghi, ristoranti, pizzerie, negozi di ogni genere e stabilimenti balneari che hanno riempito la spiaggia piantando un’enorme foresta di ombrelloni colorati e brandine tutte ben allineate dove, ai villeggianti, è concesso il solo spazio occupato da quei moderni triclivio. Sicuramente, non sarei stato io a fermare quello che, con circonlocuzione eufemistica, si definisce “ progresso, sviluppo economico” . Io, sono solamente uno dei tanti che è caduto in questo mare “ figurato” dove, per sopravvivere, occorre seguire la corrente. Correvo su quella strada, costruita diritta, ad un’ unica corsia per senso di marcia dove, aldilà dei platani, un fosso delimitava la campagna. Centinaia di ettari di frutteti di: meli, peri, e peschi rimboschivano quel tratto di pianura. Grandi campi di alte piante di mais coprivano la vista oltre le prime file e, in attesa di maturare, piantagioni di girasoli dai lunghi steli con grandi foglie verdi, reggevano le teste inclinate, coronate di petali gialli; questo era il paesaggio che affiancava quella strada. Senza rallentare la corsa, attraversai la piazza del primo borgo incontrato; da noi li chiamano paesi. Nessuno stava fuori di casa con quel caldo opprimente. A quell’ ora la gente di campagna, abituata a seguire i rintocchi del campanile, aveva già terminato di pranzare e, chi poteva, si coricava sul letto tenendo gli scuri delle finestre chiusi per non far entrare il caldo. Evidentemente, a quel cane non gli andava di dormire all’ ombra di qualche albero, come faceva tutti i giorni a quell’ ora. Quell’ incosciente aveva deciso di attraversare la strada nello stesso istante che, io, dovevo passare. Per timore che la macchina potesse sbandare non provai a frenare bruscamente. Preferii pigiare forte sul clacson per avvertirlo del mio imminente arrivo e fargli capire che ero più grosso di lui; che se ci fossimo scontrati il peggio sarebbe stato suo. Era una bestia intelligente, oppure, solamente spaventata dal suono assordante, che le sue orecchie avevano identificato proveniente da quella cosa molto più grossa di lui che lo stava per aggredire. Solamente dopo avere fatto un balzo e corso dall’ altra parte della strada, mettendosi al sicuro, si è fermato; ha a girato la testa e, digrignando i denti, mi ha mostrato il suo odio. I sentimenti che quella bestia mi stava esibendo non mi impressionarono e la mia corsa proseguì fuori dal paese. La strada correva diritta ancora; per chilometri non aveva nessuna percezione di curva. Chi l’ aveva disegnata sulla carta, aveva trovato più semplice tirare una riga con il righello sulla mappa del progetto. Sfrecciai davanti ad una pattuglia di carabinieri, intenti a controllare i documenti di un ragazzino, che con lo scooter, aveva avuto l’ ardire di percorrere quella strada senza indossare il casco. Pensai che fosse giusto, che quella pattuglia facesse il proprio dovere e multasse quell’ incosciente giovane spericolato. Ad un incrocio, segnalato precedentemente e con abbondanza, un cartello indicava il limite di velocità di trenta chilometri all’ ora. Assurdo: rallentare in quell’ ora calda, in una strada così diritta, per l’ attraversamento di un’ altra proveniente da chissà quale borgo disperso in mezzo a quella distesa campagna. Improvvisamente, dal lato destro, mi sono visto apparire le punte a sega di una grossa mietitrebbia. Feci una brusca schivata e invasi la carreggiata opposta, rischiando di andare a sbattere contro uno di quei minacciosi platani inamovibili. Quella grossa macchina aveva terminato di mietere il mais in quell’ appezzamento e si stava spostando nei campi dall’ altra parte della strada, senza che qualcuno la precedesse per segnalarne la sua pericolosa presenza. Chi guidava quel voluminoso mezzo, forse, aveva pensato che a quell’ ora nessuno viaggiasse su quella strada, o più semplicemente, era un’ incosciente, o, forse ancora, quell' uomo aveva preso un colpo di sole stando fin dalla mattina seduto sopra quella mietitrebbia e non si rendeva conto di quanto stava facendo. Fortunatamente, riuscii tenere la vettura in carreggiata e, riprendendo la mia corsa verso il mare, maledissi quell’ essere che con la sua incoscienza avrebbe potuto anche uccidermi. Davanti a me una vecchia vettura, guidata da un uomo anziano con il cappello in testa, procedeva ad andatura stupida. Non andava troppo piano perché potessi agevolmente superarlo, e nello stesso tempo, non viaggiava spedito perché potessi seguirlo senza doverlo sorpassare. Era la classica velocità che, quando ti ci trovi dietro, consideri stupida. Procedeva rasentando la riga bianca continua, che in mezzo alla strada divideva le due carreggiate. Sembrava che fosse il padrone della strada. Non gli interessava se qualcun altro avesse il diritto di passare per quella via. Mi spostai completamente sulla sinistra e, percorrendo al suo fianco un tratto della strada, lo guardai in faccia attraverso i finestrini e: pigiai fortemente sulle trombe. La lamiera di quella vetturetta si mise a vibrare come se la morte gli fosse passata dietro la schiena, sobbalzò e, passando in mezzo tra due platani, andò ad infilarsi direttamente nel fosso. Per quel vecchio fu decisamente una giornata fortunata, poteva andargli peggio. Non sempre si riesce passare incolumi tra due platani. La mia corsa proseguiva verso il mare. Cominciavo a sentire i languori della fame e già immaginavo un piatto di spaghetti allo scoglio che mi veniva incontro. Li vidi da lontano, (non erano gli spaghetti allo scoglio) erano tre cicloturisti domenicali, con le biciclette da corsa e vestiti con le magliette reclamizzate di una ditta che produceva vernici. Viaggiavano affiancati, conversando tra loro di chissà che cosa, incuranti dello spazio che occupavano in quella strada stretta. Una vettura, che procedeva in senso contrario al nostro, è venuta a trovarsi al mio fianco nello stesso istante che stavo superando quei tre incoscienti. Fortunatamente, l’ altro automobilista ha avuto l’ intelligenza di spostarsi il più possibile alla sua destra rischiando di sfiorare i platani, mentre, io, con lo specchietto laterale, colpivo leggermente il gomito di quell’ imbecille che pedalava quasi al centro della strada. Proseguii la mia corsa verso il pranzo che mi aspettava, mentre, dallo specchietto retrovisore, vidi quei tre che, alzando le braccia, mi insultavano e minacciavano di qualche cosa che non capivo. Dovetti attraversare un altro piccolo paese tagliato in mezzo da quella lunga strada diritta. Non mi accorsi della rotatoria ancora in costruzione, che stava nel mezzo dell’ incrocio. La stavano costruendo, in sostituzione del precedente semaforo, per rendere più lento il traffico che attraversava quel borgo di case cresciuto attorno a quella strada all’ epoca della sua creazione. Visto che ormai c’ ero arrivato addosso, non cercai di rallentare e circumnavigare quell’ anello; preferii proseguire diritto e, scavalcando i bordi bassi di quella rotonda, passai sopra al terreno nudo, appena livellato. Mi sentivo quasi gratificato, avevo fatto come gli attori di Hollywood quando lasciano le impronte delle loro mani sul marciapiede; io, avevo lasciato le impronte della mie gomme ben incise su quel terreno. Superato anche quel piccolo paese la mia corsa proseguiva su quella strada diritta e dove il traffico era scarso. Quello che mi stava precedendo, era un camion carico di angurie. Erano del tipo allungato, quelle che da noi, comunemente, chiamano “ americane” . Se pur raccolte da poche ore in quelle assolate campagne, e in quel momento sarebbero state calde e immangiabili, affiancai quel “ mezzo” e, gesticolando con le braccia, feci cenno all’ autista di fermarsi. Gli indicai che qualche cosa stava accadendogli dietro, nello stesso tempo, gli frenai la mia auto davanti costringendolo a bloccare bruscamente. Mentre io scendevo dalla mia auto e mi avvicinavo al camion, pure lui era sceso e, preoccupato, controllava il carico che trasportava. … Buon giorno; gli dissi col migliore sorriso che potessi avere quando gli giunsi vicino e indicando con la mano verso quel carico di grossi frutti dalla buccia verde striata, … visto che ne ha così tante di quelle angurie, me ne venderebbe una? Gli chiesi impudentemente. L’ espressione del volto di quell’ uomo, grande e grosso come tutti i classici autisti di autocarri, stava passando dal bianco per la preoccupazione che gli fosse successo un guaio quando gli ho fatto cenno di fermarsi, al rosso di livore, quando ha capito che avevo interrotto il suo viaggio per una stronzata (stupidaggine). Fortunatamente rinunciò ad inseguirmi, quando svelto mi sono girato e sono corso verso la mia macchina. Sono partito velocemente senza aspettare la sua risposta. Percorsi alcuni chilometri aumentando la velocità, dovevo guadagnare tempo. Era un grosso borgo. Avevano fatto una circonvallazione per evitare che il traffico attraversasse il centro. A quell’ ora la strada la si poteva considerare deserta. Pensai di non sprecare tempo, nel fare un giro largo e proseguii diritto per attraversare il paese. Un largo viale portava nella piazza centrale e lo percorsi senza rallentare. Un semaforo, appeso in alto, al centro dell’ incrocio, nonostante non avesse nessun traffico da regolare, continuava a colorarsi dei tre colori a lui preferiti. Quando gli passai sotto segnava rosso; proseguii verso l’ uscita del paese e ripresi quella strada disegnata con il righello. Il mio viaggio verso il mare continuava sotto il sole agostano. Mentre guidavo, pensai di fare pulizia all' interno di quell' abitacolo. Alcune vecchie riviste, che stavano da tempo sul sedile posteriore, le feci volare fuori dal finestrino assieme alla bottiglia di plastica, che tenevo sotto il sedile per improvvise esigenze fisiche. Pure il posacenere ormai traboccante, tentai di scrollarlo fuori, ma mi sfuggì di mano e finì sotto le ruote della vettura che in quel momento mi stava incrociando. In quella zona erano terminati i frutteti ed i contadini preferivano le colture basse: grano, soia, legumi, pomodori, zucche e piante simili. A lato della strada, un chiosco fatto di canne, metteva in mostra un cumulo di angurie e meloni da vendere a coloro che passavano per quella strada. Fermai l' auto sul ciglio della careggiata e scesi per acquistare quello che, poco prima, non aveva voluto vendermi quel camionista poco entusiasta. Dentro il chiosco non c’ era nessuno. Gli feci un giro attorno e, dietro, vidi un uomo addormentato sopra un vecchio sdraio, di legno e tela, che dormiva all’ ombra di quella baracca. Il suo sonno era profondo, probabilmente la fatica dei lavori fatti in campagna lo avevano spossato. Ricordandomi dell’ espressione fatta dal precedente camionista, che si era arrabbiato per una sciocchezza, pensai che, forse, anche questo contadino si sarebbe infuriato se lo avessi svegliato per una semplice anguria. Lentamente e senza fare rumore, dalle cataste prelevai una grossa anguria ed un paio di meloni gialli che sistemai nello spazio tra i sedili anteriori e quelli posteriori della mia vettura. Per rassicurare la mia coscienza, avevo pensato di lasciare una carta da dieci ¼XURVXOWDYRORGLOHJQRFKH stava davanti al capanno, ma poi, pensando che il vento li avrebbe dispersi, convenni che sarebbe stato inutile sprecare il denaro; sarebbe stato come buttare i soldi al vento e la mia coscienza si sarebbe maggiormente riscentita. Pensando a questo: sono partito tenendo il motore al minimo per non svegliare chi stava riposando. La mia corsa verso il mare continuava. Tra il brontolio dello stomaco vuoto e il sole, che dal centro del cielo scaldava enormemente il tettuccio dell’ automobile, per cui occorreva rinfrescarlo, autorizzai me stesso ad aumentare la velocità. Quella strada, perfettamente diritta, permetteva di vedere lontano. Già da un po’ avevo visto quell’ automobile, che mi precedeva, che sempre più invadeva la corsia di sinistra; poi, la vidi adagiarsi sul ciglio della strada e finire dentro il fosso. Fortunatamente in quel tratto di strada i platani erano stati tagliati e nessun ostacolo aveva impedito il suo morbido declivio. Giunto all’ altezza di quella macchina infossata accostai la mia sul lato sinistro della via e mi sporsi dal finestrino per curiosare. L’ espressione del viso di quell’ uomo con gli occhi chiusi, non dava segno di sofferenza, sembrava tranquillo. Probabilmente, l’ uomo alla guida aveva avuto un malore o, più semplicemente, si era addormentato e: piano, piano, si era adagiato nel fosso senza accorgersi di quanto gli stava accadendo. Pensai: che se avesse avuto un malore, non essendo io un medico, non avrei potuto fare molto per lui; mentre, nella seconda ipotesi, se quell’ uomo si fosse addormentato: il mio dovere era quello di lasciarlo dormire e riposare. Ripresi la mia corsa verso il mare. A quel punto la strada costeggiava le risaie. Le spighe di riso si ingrossavano assorbendo l’ acqua che, tutti i giorni, i contadini cercavano di mantenere a livello, combattendo l’ evaporazione che il sole di agosto disperdeva. Oramai ero in vicinanza del mare e l’ aria cominciava ad odorare di salmastro, di acqua palustre delle valli del Delta. In lontananza si vedeva il campanile dell’ Abbazia Benedettina, completamente rifatto dopo il bombardamento della seconda guerra mondiale. Arrivai sulla Statale Romea e girai verso Ravenna. Il traffico era intenso, quell’ arteria è molto movimentata; unisce direttamente Ravenna a Venezia. I contadini, che un tempo abitavano isolati dal mondo e dispersi al centro di quelle antiche terre vallive, hanno sfruttato l’ opportunità di nuovi commerci costruendo nuove borgate ai lati di quella strada. La SS 309, sigla tecnica di quella strada, spesso era interrotta da incroci regolati con semafori. Strade che si inoltravano verso la costa, dove il turismo era diventato l’ unica attività di quel lungo litorale. Cominciava dalle foci del Po e, per trenta chilometri e oltre, arrivava alla periferia nord di Ravenna, dove le ciminiere spiccano alte sopra lo stabilimento chimico dell’ Anic. Il sole era a picco e batteva sul semaforo che lampeggiava giallo. Superai l’ incrocio e, davanti ad un TIR fermo ai bordi della strada, una pattuglia della Stradale stavano controllando i documenti di quel mezzo che normalmente non avrebbe dovuto circolare nella giornata festiva. La vista di quella pattuglia mi rese soddisfatto nel vedere che le autorità facevano rispettare le regole. Mi piace sapere che vivo in una comunità civile. Era giunto il momento: allungai la mano e agganciai la cintura di sicurezza. Ancora un paio di paesi e sarei arrivato al Lido, dove avrei pranzato nello stabilimento abusivo costruito sulla spiaggia. Una decina di anni prima quello era solamente un casone per il ricovero delle barche da pesca, ma poi, seguendo lo sviluppo turistico, il suo proprietario lo aveva trasformato in ristorante tipico alla moda. In quel tratto la strada era abbastanza libera e accelerai la mia andatura. Stavo pensando: se cominciare con un sostanzioso primo piatto e passare ad una grigliata mista di pesce, oppure, un abbondante antipasto freddo ed un tris di quelle minestre che lasciano tutti i sapori in bocca, quando, improvvisamente, lo vidi in mezzo alla strada che alzava la classica paletta. Mentalmente, sorrisi a me stesso: pensai che avesse dimenticato il secchiello sulla spiaggia. Mi fece cenno di accostare ai bordi della statale e, quando fui fermo, mi si avvicinò e mi salutò portandosi la mano destra verso la visiera del suo berretto da vigile urbano. Pensavo di essere in regola con tutto. La tassa di circolazione l' avevo pagata, il tagliando dell' assicurazione l' avevo esposto sul parabrezza, il bollino blu e la revisione annuale erano in regola, il battistrada delle gomme era più che sufficiente, la targa era pulita e leggibile, la patente non era scaduta, il giubbino catarifrangente l' avevo comprato; in oltre, nel baule, oltre alla ruota di scorta ed il cric regolamentare, avevo: il triangolo d' emergenza, le catene da neve obbligatorie in autostrada, la cassetta del pronto soccorso e le lampadine di scorta. Pensai che quel vigile volesse solo farmi perdere tempo. Forse, lui aveva già pranzato e stava in piedi, in mezzo alla strada, per digerire meglio. … Favorisca libretto di circolazione e patente, … prego; mi chiese gentilmente. Gli allungai i documenti, e cercai di ripensare quale infrazione avessi commesso: I ciclisti erano troppo occupati a maledirmi per leggere la targa della mia automobile e segnalarla con il cellulare; nessuno mi aveva visto attraversare, ai novanta all’ ora, quel incrocio dove ero passato con il rosso; e il contadino, dove avevo preso l’ anguria e i meloni, non mi aveva visto e non poteva aver denunciato il furto. Nemmeno per quell’ altro, che si era rovesciato nel fosso, potevano incolparmi di qualche cosa. Il vigile scrisse il verbale e lo completò in tutte le sue parti. Gli mise: prima il cognome poi il nome, come si usa in burocrazia; poi, mise il mio indirizzo, il numero della patente, quello della targa dell’ auto e il modello; poi, la data con l’ ora e l’ articolo del Codice Stradale al quale avevo infranto la regola. Non sapevo a cosa corrispondesse quell’ artico e lo chiesi al Vigile. Lui, con un sorriso quasi beffardo, come dire: ti ho fregato! gentilmente, mi rispose che: viaggiavo fuori dal centro abitato a fari spenti. +RXFFLVRLOPLRFRPSDJQR Buon giorno, … Brigadiere. Sono venuto a costituirmi, … ho ucciso il mio compagno. Queste, sono state le prime parole che ho pronunciato, quando sono entrato in quella piccola caserma dei carabinieri del mio paese. Avevo suonato al cancelletto e mi ero presentato alla porta di una palazzina senza stile. Era stata costruita in economia negli anni cinquanta ed aveva le pareti intonacate e rivestite di una pittura sbiadita che richiedeva d' essere rifatta. La circondava una recinzione metallica sovrastata da alcuni giri di filo di ferro spinato con appesi alcuni cartelli minacciosi che indicavano: vietato l’ accesso zona militare sorveglianza armata. Forse: i carabinieri hanno paura dei ladri? Il Brigadiere, che probabilmente mi conosceva di vista, come tutti gli altri ottocento abitanti del luogo, rimase un attimo perplesso per quanto gli avevo appena detto. Probabilmente, pensava di avere capito male la mia dichiarazione, di avere frainteso la frase. A lui, personalmente, non gli era mai capitato di dover ricevere qualcuno che, spontaneamente, si fosse presentato a costituirsi per aver commesso un delitto. La mia faccia esprimeva un’ espressione sconvolta, addolorata; ma nello stesso tempo vi si poteva anche vedere il sollievo per un qualcosa di risolto, di un problema superato. Il Brigadiere stava fermo sulla porta che aveva aperto quando avevo suonato al campanello. Era incerto su quanto doveva fare, non ricordava cosa il regolamento dell’ arma prevedesse nel caso che qualcuno si presentasse volontariamente per costituirsi. Non sapeva se doveva mettermi la mani addosso e tirami dentro nella caserma e ammanettarmi, oppure, se sarebbe bastato spostarsi e chiedermi di entrare. Si spostò di lato e mi disse: mi segua. Entrammo in una stanza con una unica finestra protetta con una robusta grata di ferro, arredata con un armadio metallico di colore verde grigio, una scrivania di stile corrispondente con una sedia dietro ed una davanti, apparentemente di legno. Indicando col braccio mi disse: si accomodi in quella sedia e attenda un attimo che chiamo il Maresciallo. Nell’ attesa che arrivasse il superiore, comandante della piccola stazione dell’ arma, cominciai a ripensare al delitto commesso, il come, e il perché arrivai a quel punto. La nostra era un’ amicizia che era cominciata alcuni anni prima, lo avevo visto per la prima volta in uno di quei grandi magazzini dove vendono tutti i generi di elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi, hi fi, televisori, computer, cellulari ed ogni genere di accessori che quelle cose avrebbero necessitato per meglio funzionare. Avevo notato il suo aspetto retto, lineare, ben conformato. Stava vicino ad un monitor colorato con 17 pollici e nessun indice, sembrava un casco spaziale rovesciato. Guardava una tastiera che non serviva per suonare ed un' altra cosa che sembrava un topino inglese, con la sua codina, che gli stava vicino. Si capiva che era un gruppo affiatato e che stavano bene insieme. Quel giorno in quel magazzino c’ era molta gente. Qualcuno lo guardava compiaciuto della sua prestanza. Una persona, rivolgendosi a chi gli era vicino, sottovoce, azzardò dire: che bello, se potessi me lo farei. Dopo avere acquistato un C.D., con alcune arie inodori del Rigoletto ed uno con la messa in quel posto di Verdi, uscii da quel emporio; ma il mio pensiero continuava a rimanere la dentro, tanto che, dovetti tirarlo per la giacchetta per farlo uscire. Trascorse una settimana, e il mio pensiero continuava vagare per quel magazzino. Il sabato successivo, cogliendo l' occasione che mio fratello mi aveva incaricato di comprargli un vibratore nuovo per sua suocera, da regalare a Natale, che quello vecchio aveva fuso; ritornai in quel posto con la fregola di poterlo rivedere ancora. Superate le porte d’ ingresso, feci un rapido giro nel reparto elettrodomestici senza trovare quello che cercavo. Mi recai nel reparto dell' elettronica dove l’ avevo visto; c’ era ancora. Era vicino a quel monitor con i colori brillanti moderni, sembrava che non potesse stare lontano da quelle cose, gli stava quasi appiccicato. Senza fare gesti inconsulti, lo toccai leggermente; non si mosse, non ebbe nessuna reazione. Evidentemente anche lui mi aveva notato ed era rimasto in quel posto aspettando che pure io tornassi per poterci incontrare. Ormai avevo deciso: avrei fatto in modo che sarebbe venuto a stare a casa mia. Lo volevo tutto per me. Mi era entrato nel sangue, non avrei più sopportato il sapere che qualcun altro mi avesse anticipato e lo avesse preso per se, ed io non avrei più avuto il modo di vederlo. Certo: non potevo prenderlo, sollevarlo di peso, metterlo in macchina e portarlo a casa. Lui parlava inglese; una lingua che io non parlo, tranne poche parole: J how are you?, thank you very much, sorry. Chiesi la mediazione di un commesso dell’ emporio e: comprando il monitor, la tastiera, il mouse (il topino inglese) e aggiungendo anche una discreta cifra, convinsi il commesso a fare in modo che lui si adagiasse sul sedile a fianco al mio, nella mia auto, e mi seguisse fino a casa. Il tragitto fu lungo, ma per non scompigliare e disturbare le sue interiora, durante il viaggio cercai di avere una guida morbida, di fare le curve larghe e adagio, ai semafori frenavo lungo e alle partenze non sgommavo, come ero solito fare. Volevo, che il tragitto fino a casa, fosse gradevole e confortevole; perciò, ogni tanto allungavo la mano e lo accarezzavo, volevo comprendesse che ero il suo nuovo compagno, che di me poteva fidarsi. Arrivati a casa, come due novelli sposi, lo presi in braccio e attraversai la soglia e subito lo portai nella sua stanza che durante la settimana avevo preparato nell’ eventualità che lui fosse venuto a vivere con me. Lo misi a suo agio. Per non traumatizzarlo del brusco distacco da dove stava, gli lasciai il monitor, la tastiera e il mouse vicini, in modo che lui potesse continuare quel rapporto elettrizzante che aveva prima che ci incontrassimo. Per festeggiare il nostro incontro ed avere il nostro primo diretto contatto, chiamai Davide, un ragazzo che lavora all’ ufficio esteri della banca del paese, che spesso mi consiglia come non investire i miei risparmi in quella banca. Davide arrivò subito dopo avere chiuso l’ ufficio e quando gli presentai il mio nuovo amico, subito si mise a dialogare con lui. Quasi mi prese una convulsione di gelosia, stava trattando il mio “ tesoro” come se loro si fossero sempre conosciuti. Volevo pure io poter comunicare con … e convinsi Davide ad insegnare l’ italiano al mio amico, il quale si dimostrò di un’ intelligenza e una memoria eccezionale; con poche battute trasformò il suo inglese e si mise a dialogare in italiano come se fosse sempre stata la sua lingua. I primi giorni le nostre due mentalità ragionavano in modi diversi, ma pure io in poco tempo imparai il suo modo d' esprimersi e nei giorni successivi cominciammo a stare molto tempo insieme. Al mattino, la prima cosa che facevo appena alzato dal letto, passavo nella sua stanza a salutarlo e dargli la sveglia, poi tutto il giorno stavamo assieme per dialogare. Quando sbagliavo qualche concetto, lui subito mi faceva capire che avevo sbagliato, e mi diceva come fare per correggermi. In cambio io gli fornivo tutte le mie conoscenze che lui metteva in quel suo capiente cervello. La parte forte del mio compagno, non era l’ intelligenza, ma era la memoria. Ricordava tutto quello che gli dicevo e ogni volta che finivo un discorso lui mi chiedeva se poteva salvare dando un nome a quanto gli avevo detto. Col tempo, quando gli chiedevo di riprendere una conversazione che avevamo avuto diversi giorni prima, lui mi mostrava, con slancio e controllo, che ricordava esattamente tutto il nostro precedente dialogo, non sbagliava una virgola. Il nostro rapporto filava liscio, e nella confidenza, un giorno mi chiese di comprargli una stampante, nell’ occasione che avesse dovuto mandare qualche lettera in giro per l’ Italia. Fui felice di assecondare la sua richiesta e provvidi per una stampante di marca, di quelle a getto d’ inchiostro, con i serbatoi del colore e quello del nero. Gli comprai pure una risma di carta della qualità migliore, non volevo che se avesse dovuto scrivere a qualcuno venisse criticato per aver usata della carta riciclata. Quando gli consegnai la stampante, lui mi disse che non sapeva usarla, non aveva mai visto quel modello. Fortunatamente, nella confezione avevano messo un C.D. con le istruzioni e glielo consegnai. Fu rapidissimo a leggerlo e memorizzare tutte le indicazioni, in pochi secondi sembrava che fossero fatti l’ uno per l’ altra. Non ero geloso della stampante, sapevo: che il loro rapporto era solamente tecnico. La nostra relazione andava sempre meglio, lui si dimostrava paziente con me, faceva tutto quello che gli chiedevo, era sempre disponibile e gentile, usava un linguaggio pulito, se mi fosse capitato di dire qualche parola sbagliata, lui subito mi sottolineava e mi mostrava una serie di parole da poter sostituire a quella sbagliata. Era un piacere dialogare con lui; spesso, mentre ci scambiavamo le informazioni, che a me servivano per aggiornare la mia cultura, ascoltavamo della musica. Qualsiasi disco musicale avessi messo a lui gli andava bene e dimostrava di apprezzare: Aveva imparato a memorizzarle; in seguito le sapeva suonare e cantare senza più dover mettere il disco. Avevamo un rapporto idilliaco; più il tempo passava, più si rafforzava. Succedeva che qualche volta smettessimo di dialogare delle solite cose e ci fermassimo per giocare e rilassarci. Lui conosceva alcuni giochi di carte abbastanza semplici. Conosceva il Solitario, il Prato fiorito e il Pinball, ma quello a cui giocavamo maggiormente era il Free Cell. La nostra relazione continuava felice. Per l’ anniversario del nostro incontro mi chiese di comprargli uno scanner, voleva migliorare le sue prestazioni. Diceva che non si sentiva completo, il solito dialogo semplice non gli bastava, voleva vedere altre cose. Diceva che aveva una grossa memoria da sfruttare, che era un peccato lasciargli dei vuoti, aveva necessità di riempirli. Gli misi a fianco uno scanner di ottima marca e lui mi chiese di mostragli le fotografie che tenevo nei vari album riposti nell’ armadio. Voleva che entrassero nella sua memoria, voleva fare parte della famiglia. Non voleva essere considerato un oggetto. Impiegai diversi giorni a fargli conoscere tutte le fotografie che rappresentavano la storia della mia vita passata e alla fine, quando gli mostrai l’ ultima fotografia, io, ero stanco esausto e mi si era chiuso lo stomaco per il tanto lavoro, mentre, lui, sembrava gioire per avere conosciuto tutte quelle immagini che ancora una volta avevano contribuito a rafforzare la sua funzione mnemonica. Un sabato mattina, mi chiese di allargare le sue potenzialità, mi disse che non era giusto che dialogassimo solamente noi due, che il mondo era grande, che fuori da quella stanza c’ era tanto da imparare. Mi chiese di comprargli un modem e di fargli un abbonamento a Internet con la posta elettronica. Voleva uscire, voleva navigare nel mondo, voleva sapere e conoscere di più. Fui felice di poterlo accontentare, il suo benessere era la mia felicità. Gli feci la sua casella postale elettronica per ricevere messaggi da altri cervelloni come lui e gli detti la mia parola d' ordine per navigare, libero nel mondo, pur rimanendo a casa. Il nostro rapporto diventava sempre più completo, non eravamo solamente noi due, avevamo incontrato altri amici che tutti i giorni ci mandavano messaggi per farci conoscere le loro attività. Spesso, ci chiedevano di comprare cose strane, cose che non ci servivano. Una certa Alice voleva venire ad installarsi a casa nostra, perché, secondo lei, saremmo stati più veloci; poveretta, mi dispiace per lei se non ha capito che l’ amore va fatto lentamente assaporando anche il ritardo di giungere a conclusione. L’ inverno scorso, non so come sia successo; ma navigando senza nessuna protezione, il mio amore si è preso un virus, uno di quelli che ti fanno star male e che ti fanno perdere la memoria. Per noi è stato un disastro, non avevamo più la possibilità di dialogare, il nostro rapporto andava a scatti, se gli ponevo delle domande lui non ricordava e non sapeva più come rispondermi. Addolorato per quanto gli era successo, lo caricai in macchina e corsi in clinica perché intervenissero immediatamente, non potevo permettere che il nostro rapporto finisse per una malattia, doveva guarire e subito. Fortunatamente, in quella clinica riuscirono a ristabilirlo e ridargli tutta la forza che aveva prima; gli fecero anche un vacino antivirus da richiamare periodicamente, ma purtroppo, per la memoria che aveva perso non c’ era più niente da fare; avrei dovuto fargli fare una riabilitazione e insegnargli ancora tutto quello che aveva perso. In previsione che qualche cosa di simile potesse succedere, molte di quelle cose che gli avevo insegnato, le avevo copiate su alcuni dischetti e li avevo messi da parte. Fu così, che con qualche mese di tempo a disposizione, gli riempii ancora il suo cervellone e continuammo a dialogare delle nostre cose preferite. Quella notte ci fu veramente un brutto temporale. I tuoni erano assordanti, diluviava e grandinava chicchi grossi come noci. Il vento sferzava di traverso e la pioggia si infiltrava da sotto la porta allagando in casa. Con dei vecchi asciugamani cercavo di arginare l’ acqua che entrava, quando, un botto terribile scoppiò vicinissimo alla casa e rimanemmo al buio. Un fulmine ci aveva colpiti. La corrente elettrica si era fortemente spaventata e se né era andata via, in un posto più sicuro; per tutta la notte non tornò a casa. Con rassegnazione aspettai la mattina per controllare quali fossero stati i danni. Apparentemente sembrava che tutto funzionasse, la corrente era tornata. Il televisore, il video registratore, la segreteria telefonica, il fax e tutte le luci si accendevano. Entrai nella stanza del mio compagno di vita, per dargli la sveglia come facevo tutte le mattine alle otto, ma lui non si mosse, non dava segni di esistenza. Provai a scuoterlo, a smuoverlo, ma lui era completamente senza energia, sembrava morto. Disperato, e con il cuore in petto che batteva forte rintronandomi il cervello come fosse un martello sull' incudine, quasi entrai nel panico. Con la manica del pigiama mi asciugai le lacrime, inspirai forte e trattenni il respiro per darmi una calmata; poi lo raccolsi tra le mie braccia. Singhiozzando, scesi in garage, lo posai dolcemente sul sedile posteriore dell’ auto e corsi verso la clinica tenendo un fazzoletto bianco fuori dal finestrino per segnalare che trasportavo un ferito grave. Arrivato, mi vennero subito incontro, mi fecero posare il mio amore sopra un carrello e mi dissero che sarebbero intervenuti immediatamente, che tutto quello che potevano fare per ripristinarlo lo avrebbero fatto, ma che non potevo rimanere ad assistere, che dovevo tornarmene a casa e, poi, loro mi avrebbero fatto sapere. Trascorsi due giorni di angoscia e verso sera mi giunse la telefonata che potevo andare a riprenderlo, che si era ristabilito. Giunto alla clinica, qualcuno mi venne incontro e con un sorriso mi spiegò che era stato un intervento difficile e grave, ma che tutto era stato risolto. Mi dissero che alcune parti vitali erano rimaste infiammate ed era stato necessario un trapianto con organi nuovi che, fortunatamente, erano già a disposizione nella clinica. Anche se mi sembrava un po’ salato, fui felice di saldare il conto e tornare a casa con il mio “ tesoro” . Purtroppo il suo cervello era nuovo e tutti i nostri dialoghi che prima aveva imparato a memorizzare non esistevano più; dovevo ancora una volta ricominciare daccapo ed insegnargli tutto. Affinché potesse riprendere in pieno le sue funzioni , ricominciai, per la seconda volta, a fare la riabilitazione. Gli feci conoscere la stampante, lo scanner, il modem, riprogrammai la connessone a Internet e la sua casella postale, gli mostrai ancora tutte le fotografie e gli raccontai di tutti i dialoghi che avevamo avuto in modo che riacquistasse la sua memoria. Dopo alcuni mesi di lavoro intenso eravamo tornati alle nostre abituali attività. Un giorno, mentre io stavo seduto davanti al monitor che lo guardavo, mentre lui a fianco navigava libero nel mondo, qualcuno dall’ altra parte lo ha convinto a dialogare segretamente, senza che io lo sapessi. Quel loro rapporto segreto è andato avanti per molto tempo, fino a ché: la Telecom mi fece avere la fattura delle telefonate. Quando lessi l’ importo, che avrei dovuto pagare entro quindici giorni, rimasi incredulo e quasi mi venne un colpo. Io non avevo mai fatto tutte quelle telefonate in paesi esteri così lontani, non conoscevo nessuno con cui dialogare per tutto quel tempo. Convinto che ci fosse stato un errore nella fatturazione, volli sapere, dettagliatamente, quali fossero state le chiamate che mi avevano portato a dover pagare una cifra colossale. La spiegazione della Telecom fu chiara: il mio computer si era collegato, a mia insaputa, con qualcuno di quei paesi lontani il cui prezzo per la chiamata è esorbitante. Certo; la rabbia di dover pagare oltre mille euro per telefonate fatte a mia insaputa mi hanno fatto saltare i nervi, ma oltre alla cifra, quello che più mi ha fatto uscire dalla ragione, è stato il tradimento subìto. Dopo tutte le cure che gli ho praticato ogni qualvolta ne avesse avuto bisogno, tutte le nostre giornate trascorse a dialogare, a giocare, a scambiarci il nostro modo di pensare, a compensarci delle carenze dell’ uno e dell’ altro; il tradimento non l' ho sopportato. Mi sono abbassato la cerniera dei pantaloni, ho estratto la pistola, ho inserito due palle in canna e gli ho sparato nell' interfaccia. Titolo: /XFFLDUGRQH 9RJOLRVFHQGHUH Questo malinconico episodio di chiusura lo dedico al mio amico, che nonostante la sua esuberanza virile, non ha saputo attendere la fine della sua corsa per scendere dal mondo. 6FHQGHUH:Y. Passare da un luogo ad un altro verso il basso/ smontare. 8OWLPDPHQWH tutto mi andava male. Me n’erano capitate di tutti i colori. Il lavoro che avevo perso, la banca che mi aveva chiuso il conto e molte altre disgrazie mi si erano aggiunte. Seduto ad un tavolo d’angolo, del bar dove avevo speso gli ultimi centesimi per un ultimo caffè, ricordavo gli ultimi giorni della mia vita. Mentalmente, ripercorrevo i tormenti che mi stavano opprimendo: I troppi debiti accumulati, che alla fine mi avevano portato alla bancarotta economica. L' amante, che nonostante mi avesse giurato eterno amore, mi aveva abbandonato perché non riuscivo più soddisfare le sue esigenze; quando, con giri di parole, lei mi faceva capire che avrebbe avuto piacere ricevere in regalo quel gioiello, quell' abito, o cos' altro; ed io, non avendo più nulla da spendere, tacevo, e facevo finta di non capire. Gli amici, che se casualmente m' incontravano per strada, per evitare di farmi la classica domanda: ciao, come stai? come va? fingevano di non vedermi, e se proprio il loro sguardo avesse incrociato il mio, un lieve movimento del capo indicava un frettoloso e distratto cenno di saluto. Pure quel cane di Fido, che tutti dicono sia il miglior amico dell' uomo, mi aveva lasciato per la prima bastarda in calore, che gliel' aveva messa sotto il naso. La cosa era diventata grave anche in famiglia, con la moglie che, per il semplice fatto di avermi sposato, mi minacciava di divorziare se non avessi provveduto mantenerla come gli spettava. Anche in senso erotico, non avevo più interesse, non riuscivo più avere stimoli. I troppi pensieri, che mi affliggevano, m' impedivano di rilassarmi e praticare le solite e doverose prestazioni sessuali; mentre, un tempo non molto lontano, la mia virilità mi rendeva orgoglioso di appartenere al genere maschile. Alla mia età, non più ragazzino, ma lontano da essere considerato anziano, il trovarmi in quelle condizioni che, pur non volendo esagerare, dirò "disastrate" mi avevano reso: abbattuto, sofferente e tormentato. Da diversi giorni non vedevo nessuna soluzione di come risolvere i miei problemi. Tutto continuava ad andare male, niente andava come doveva andare. Senza rendermene conto mi ero ammalato. Ero caduto in depressione profonda. C' è chi dice, che la depressione è una malattia. C' è, invece, chi dice, che è uno stato di malessere psicologico passeggero che, superate le difficoltà presenti, anche la depressione sparisce. Il problema, per chi è depresso, è il non riconoscersi in quello stato. Gli psicologi raccontano che bisogna reagire. Cercare di uscirne inventandosi qualche iniziativa con la quale passare oltre il momento difficile; per poi, ritrovarsi nella rassicurante consuetudine quotidiana. La mia depressione derivava dalla mancanza di denaro. Tutto quello che avevo potuto avere, lo avevo guadagnato con il mio lavoro d' imprenditore; fintanto che, per alcuni affari andati peggio di quanto potessi prevedere, mi rivolsi agli strozzini illudendomi di poter chiudere qualche buco e superare il momento difficile. Nei miei ragionamenti, che ultimamente andavano fuori del comune senso dell' intelligenza, mi lamentavo di me stesso per essere nato "plebeo". Quel poco di vita che finora avevo vissuto, me l' ero dovuta guadagnare con le mie capacità lavorative. La parola "plebeo" mi ricordava, che pur vivendo in un' epoca storica, considerata prevalentemente a democrazia parlamentare, esistono persone che, ancora, nascono con titoli "regali" ereditando "fortune" economiche talmente grandi che, nemmeno se volessero, riuscirebbero sperperare in generazioni future. Il pensiero, che da una settimana andava ripetendosi nella mia mente, era quello di finire tutto e subito con questa vita che sembrava ormai conclusa. Una vita senza presente e senza futuro. Pensavo che, quando non c' è più la possibilità dignitosa per andare avanti, è meglio fermarsi. A quel punto è meglio essere noi stessi a poter scegliere "come e quando" vogliamo scendere dal mondo. L' idea di scendere "al volo" dal mondo che gira, mi rovellava il cervello. Cercavo il modo migliore per farlo. Quello che importava, doveva essere un modo rapido e definitivo. Seduto al tavolo di quel bar, ricordavo che in tempi migliori avevo avuto la passione per la caccia. In quelle giornate che potevo praticarla, mi ero divertito alzarmi presto quando ancora era notte, per trovarmi all' alba con gli amici e poter andare a calpestare quei campi che non erano miei; mentre, armato di fucile mi sentivo potente nel decidere che potevo uccidere per sport, solamente perché avevo pagato una tassa per farlo. Rivivendo nella memoria quei lontani episodi felici, ricordavo che, solo ieri, avevo pensato che con quel fucile potevo scendere di corsa dalla giostra della vita. Con un colpo secco, oltre a risolvere i miei problemi, avrei fatto un favore, anche, a coloro che per un po'di tempo sarebbero rimasti a piangermi; mentre poco dopo, avrebbero continuato nella loro esistenza, dimenticando il passato che per loro avevo rappresentato. Peccato, che per ricavarne qualche soldo, quel fucile fosse stato venduto il mese prima. Ora, se lo avessi posseduto ancora, mi sarebbe stato più utile che quei quattro soldi che avevo già speso. Tra i vari modi di farla finita, avevo pensato, anche, di mettermi una corda al collo e lasciarmi penzolare dalle travi del soffitto. Quella vecchia, ma robusta corda, che per ogni evenienza tenevo nel baule della macchina è ancora là; rimasta in quel posto. Ma: è la macchina che non possiedo più. Mi è stata sequestrata e sta per essere venduta al miglior offerente per pagare le cambiali degli strozzini. Il fatto ha poca importanza, tanto, ripensando al soffitto della mia casa, che per mancanza di soldi non è mai andata oltre al primo piano, e più volte è stata ipotecata, non ci sono travi da far passare corde per appendere un salame grosso come me. Un' altra soluzione, per togliermi dalle scatole di questo mondo, avevo pensato che sarebbe stata quella di gettarmi a capofitto dall' ultimo piano di un alto palazzo di città. Già, come avrei potuto scegliere il palazzo e arrivare all' ultimo piano, suonare alla porta di chi ci abitava e chiedere, per cortesia, se mi apriva la finestra che dovevo buttarmi? E poi: quale diritto avevo io, e quale figura avrei fatto; andare a spiaccicarmi come una stupida sogliola e insudiciare il marciapiede di un palazzo dove nessuno mi conosceva? E quante maledizioni avrei preso da quel portiere, che poi avrebbe dovuto pulire, là, dove un coglione come me si era buttato? Un' altra, delle tante soluzioni, poteva essere quella di usare la testa per fermare un treno in corsa. A tale proposito: giusto a pochi metri dietro quella casa mai finita, in cui avevo riposto molte speranze per il mio futuro, ci sono i binari di una ferrovia. Ma guarda che sfiga; anche questa mi è contro. È una tratta ferroviaria in disuso. Saranno anni che non passa un treno. Nemmeno di quelli che girano a vuoto, tra una stazione e l' altra, proprio per prendere "sotto" i disgraziati come me che non vogliono più stare in verticale su questo pianeta. Forse è meglio così. Mi ha fatto desistere il pensiero, che poi, la Società delle Ferrovie avrebbe mandato un conto "salato" a mia moglie, per i danni subiti dal ritardo del treno. Per scendere rapidamente da questo girotondo, quante possibilità erano sfumate. Cominciavo credere che nemmeno il suicidio fosse facile da realizzare. Ripensandoci: certo che, come imprenditore ero proprio un fallito alla massima potenza, non riuscivo nemmeno organizzare la mia morte. Un' altra soluzione poteva essere quella di ingerire del veleno per topi; ma, desistetti: al pensiero del dolore atroce che avrebbe preceduto l' ultimo evento della mia vita e immaginato le facce gioconde di chi, leggendo il giornale, avrebbe riso dicendo che ero morto come un topo. Nemmeno quel gesto estremo, avrebbe potuto farmi recuperare un minimo di dignità per me stesso. Quando tutto va in modo sbagliato e niente lascia presagire che qualche cosa possa cambiare, sembra d' avere tutto il mondo contro, mentre l' unico desiderio rimane quello di farla finita. Anche poco prima di entrare in quel bar, continuando nei miei pensieri angosciosi ormai a senso unico, cercavo quale potesse essere il modo più pratico per risolvere una volta per sempre, tutti i miei problemi. Dal giornale, preso in prestito da un tavolo vicino, dove dai necrologi avevo cercato ispirazione per risolvere tutti i miei tormenti, un' articolo parlava di una donna gravemente ammalata, che pur di far valere il proprio diritto ad una morte dignitosa e farla finita con una vita di sofferenze, era costretta a battaglie legali contro i medici; i quali, erano ricorsi al tribunale pur di imporre l' accanimento terapeutico per farla sopravvivere ancora un poco. A quella donna andava tutta la mia comprensione e la mia solidarietà. Girando pagina, continuando alla ricerca delle solite disgrazie di cui i giornali sono pieni, mi era capitato di leggere il numero vincente della lotteria nazionale. Cazzo! … era uguale a quello che tenevo in mano: acquistato il mese prima, quando senza convinzione, speravo di risolvere le mie angosce con una grossa vincita. L' emozione. L' incredulità. I mille pensieri che tutti insieme erano esplosi nel mio cervello, mi avevano fatto dimenticare tutte quelle idee funeste che avevo avuto fino a pochi istanti prima. Ora, inaspettatamente, la sorte era cambiata. Tra le dita, stringevo forte quel rettangolo di carta colorata che rappresentava il ribaltamento del mio prossimo futuro. Quel biglietto mi aveva portato una doppia fortuna. Oltre i soldi, la seconda e grande fortuna, era che: anche se non avevo ancora trovato il modo di farla finita con me stesso, era arrivato appena in tempo per impedirmi di fare un gesto definitivo, dal quale non avrei più avuto ritorno. Con quella grossa cifra, che presto avrei posseduto, cominciavo fare grandi sogni e grandi progetti. Non mi sarei più preoccupato per guadagnare quello che già possedevo. Il resto della mia vita sarebbe stata una lunghissima vacanza: avrei viaggiato per tutto il mondo, avrei visto tutto quello che potevo vedere, avrei cambiato l' amante appena questa avrebbe cominciato ad essere esigente un po'più del dovuto, avrei tollerato tutte le richieste di mia moglie pur di non fare discussioni inutili. Un gioioso avvenire si presentava prima che scadesse il mio tempo. Ora, l' unico problema che quel pezzo di carta mi portava, era: come incassare la vincita senza fare troppo baccano. Senza farlo sapere a tutti coloro che, avidi dei soldi altrui, ti tirano per la giacca ricordandoti di dividere la tua fortuna con chi non ne ha avuta. Pensavo: se fosse stato meglio andare all' ufficio delle lotterie e chiedere direttamente la riscossione della vincita, oppure, se fosse meglio affidarsi ad un avvocato che avrebbe mantenuto l' incognita? Ma, l' avvocato, quanto sarebbe stato affidabile, e quale sarebbe stata la percentuale che avrebbe trattenuto per l' operazione? Oppure: sarebbe stato meglio se mi fossi rivolto ad una banca? Certo non proprio quella che mi aveva chiuso il conto! E questa: quanto avrebbe preteso per incassarmi la vincita? Chi mi garantiva che avrebbe mantenuto l' anonimato? Ecco! Non avevo ancora incassato i soldi e già erano arrivate le prime preoccupazioni, i primi problemi dei nuovi ricchi. L' unica cosa certa da fare, ora, dopo tutti questi nuovi pensieri che si erano sovrapposti a quelli precedenti, era di uscire dal bar e tornarmene a casa. Là, avrei potuto rilassarmi sul letto e cominciare, seriamente, a prendere qualche decisione sul da farsi. Per maggiore prudenza, avevo piegato quel prezioso biglietto in quattro parti e lo avevo riposto nel vecchio portafogli, in un pertugio segreto, che avevo ricavato scucendo la fodera di uno di quei piccoli scomparti interni in cui si tengo le tessere magnetiche; poi, avevo messo il portafogli nella tasca interna della giacca abbottonando la tasca, e in fine, avevo chiuso la giacca con i classici tre bottoni e sopra avevo abbottonato il cappotto. La casa distava poche centinaia di metri dal bar. Al pensiero che avrei terminato quella costruzione tanto desiderata, un' espressione di serena felicità già mi rifioriva sul volto. Non dovevo fare altro che attraversare la strada, e con cautela, dovevo camminare sulle strisce pedonali per giungere sull' altro marciapiede. Fu un botto tremendo. L' auto che mi aveva investito, mi fece volare in alto come fossi la cosa più leggera immaginabile, e nel ricadere sulla strada asfaltata, fui investito da una seconda auto che mi spinse in avanti per una decina di metri. Tra gli oggetti personali, che la polizia restituì a mia moglie, ci fu anche il portafogli con tutto il contenuto. Per le scarse condizioni economiche, in cui ella si trovava in quel momento, il funerale fu fatto alla minore spesa con il contributo del Comune, mentre, all' interno della bara, per darmi la possibilità di presentarmi e farmi riconoscere dal Padre Eterno, mi fu messo il vecchio portafogli, con i documenti personali, che ero solito portare con me.