articolo - Facoltà di Lettere e Filosofia

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LA CATALOGAZIONE DEI MANOSCRITTI ARABI
CONSERVATI PRESSO LE BIBLIOTECHE DEL
TERRITORIO ITALIANO
VALENTINA SAGARIA ROSSI
La produzione letteraria italiana sui manoscritti arabi conservati
nelle raccolte bibliotecarie del territorio italiano si può ripartire in tre
generi o gruppi di studi, corrispondenti alle tre facies del manoscritto:
l’analisi storico-paleografica unita a quella codicologica, l’esperienza
catalografica, lo studio mirato di singoli codici o di codici relativi a una
specifica disciplina.
Gli studi sulla paleografia araba e sugli aspetti tecnici e codicologici
dei testi manoscritti in scrittura araba soggiacciono e si pongono alla base
d’ogni approccio scientifico alla loro trattazione sistematica attraverso
metodi e schemi più articolati e strutturati.
È necessario tuttavia premettere, a livello preliminare e più
generale, che la caratterizzazione più evidente della produzione
manoscritta nella civiltà araba è senza dubbio una presenza che, per la sua
durata e le sue dimensioni, non trova confronto in nessuna delle altre
civiltà, sia classiche sia orientali, comprese le islamiche. Ciò trova una
spiegazione sia nella sterminata quantità d’opere in lingua araba, nei più
disparati campi del sapere, sia nell’eccezionale attività di riproduzione,
ovvero copiatura, dei testi, dispiegatasi in un’area geografica vastissima e
in un arco di tempo altrettanto lungo, a testimonianza della molteplicità
delle culture manoscritte con le quali l’Islam è venuto a contatto. A questo
proposito colpisce la persistenza del manoscritto come veicolo della
cultura araba, che si prolunga dal IV secolo dell’ègira sino agli inizi del
XIV (secoli X-XX dell’era cristiana), con un notevole ritardo di circa tre
secoli rispetto all’Occidente nell’uso della stampa, conosciuta dagli Arabi
insieme alla carta, ma rifiutata sino alla creazione nel 1822 al Cairo della
prima tipografia araba di B™l…q, dal nome del quartiere dove sorse e
operò. La spiegazione di questo fenomeno, apparentemente irrazionale e
incomprensibile, risiede probabilmente in un pregiudizio di natura
religiosa, in base al quale il Corano, il Libro sacro per eccellenza e
1
modello di tutti i codici1 , non poteva essere riprodotto con altro
procedimento se non con quello della scrittura manuale con cui era stato
originariamente redatto. A questa parziale motivazione si potrebbe essere
aggiunta l’influenza di un fattore del tutto profano, ovvero la sensibilità
che gli Arabi hanno da sempre avuto per le risorse estetiche della loro
scrittura, suscitando una netta predilezione per il documento grafico,
prodotto della mano dell’uomo, in quanto ma²¥™¥, "manu scriptus", ma
anche come ma¡n™‘, "manu factus", prodotto artigianale, quando non
addirittura artistico.2
Senza volerci addentrare in questa sede nel campo specifico della
paleografia e codicologia arabo-islamica, per cui si rimanda a recenti
contributi più specifici3 , si può senza dubbio riconoscere uno stadio
1
Il Corano, le cui norme e convenzioni di stesura si formarono nel corso del
Medioevo attraverso una serie di tipologie omogenee, finì per influenzare, tramite
quest’ultime, forme e modi di produzione di altri libri manoscritti, benché alcuni
esempi originali si discostarono da quel modello.
2
Si confrontino anche a questo proposito le uniche esposizioni specifiche e puntuali,
oltre che mirate a fornire un’introduzione e insieme una sintesi storico-statistica sui
manoscritti arabi conservati nelle raccolte bibliotecarie italiane e i loro cataloghi, di
Renato Traini, Considerazioni preliminari allo studio dei manoscritti arabi, in
Sussidi didattici. I (Roma, 1975), pp. 2-13; Il manoscritto: situazione catalografica e
proposta d’una organizzazione della documentazione e delle informazioni, in Atti del
Seminario di Roma, 11-12 giugno 1980, a cura di Maria Cecilia Cuturi (Roma, 1981),
pp. 38-49; Les manuscrits arabes en Italie (relazione tenuta a Hammamet il 14 aprile
1987 al 9° Congresso del M.E.L.C.O.M.), pp. 1-12. Gli atti di tale Congresso non sono
stati mai pubblicati e ringrazio il prof. R. Traini per avermi gentilmente fornito il
dattiloscritto della sua succitata relazione.
3
Si veda lo studio articolato e aggiornato alle recenti teorie sulla composizione
materiale del codice islamico, sulla sua struttura e tipologia, di Paola Orsatti, Le
manuscrit islamique: caractéristiques matérielles et typologie, in: Ancient and
Medieval book materials and techniques. Ed. par M. Maniaci-P. F. Munafò (Città del
Vaticano, 1993) v. II, pp. 269-331; altri due saggi che analizzano le nuove
interpretazioni sull’evoluzione e la produzione manoscritta delle varie forme
grafematiche dell’alfabeto arabo sono quelli di A. M. Piemontese, Arte persiana del
libro e scrittura araba, in «Scrittura e civiltà», 4 (1980), pp. 103-156, e di P. Orsatti,
più incentrato sullo stato degli studi paleografici alla luce della storia della scrittura
araba nelle diverse teorie europee, Gli studi di paleografia araba oggi, problemi e
metodi, in «Scrittura e civiltà», 14 (1990), pp. 281-331. Ci sembra opportuno riportare
il giudizio di P. Orsatti sulla paleografia araba e il suo campo di azione: «A fatica la
paleografia definisce il proprio campo d’indagine; è soprattutto la calligrafia che ha
attirato l’attenzione degli studiosi, in Occidente come in Oriente. Di conseguenza la
scrittura è stata indagata non tanto come pratica storicamente determinata nell’ambito
della cultura dei paesi islamici, quanto piuttosto come sistema di norme che regolano
il bello scrivere all’interno di una tradizione prestigiosa e ancor oggi vitale, elaborata
2
ancora pionieristico di questi studi: tale settore gravita sostanzialmente
attorno alla necessità di una recensione estensiva di gran parte del
materiale manoscritto conservato nelle biblioteche occidentali e orientali.
Si ritiene utile, inoltre, fornire anche qualche cenno storico
preliminare sulla formazione di quell’eterogeneo materiale manoscritto
disseminato un po’ ovunque e, non in misura trascurabile, anche presso le
nostre biblioteche.4
Con l’affermarsi dello Stato islamico, retto dagli Arabi ma con il
concorso di energie intellettuali di origine diversa, ebbe inizio un processo
culturale (secoli VIII-IX dell’era cristiana) che trasferì il patrimonio
scientifico-filosofico dell’antichità, da un lato attraverso un’intensa opera
di traduzioni dal greco, dal siriano, dal persiano, e dall’altro
salvaguardando e perfezionando i fondamenti ellenistici del sapere, a loro
volta influenzati da elementi iranici e indiani. Lo Stato multietnico
islamico, con la sua sede dislocata a Baghdad, elegge l’arabo come
principale veicolo linguistico e culturale sovranazionale, già idioma della
rivelazione coranica e di Dio, delle fonti e del diritto, oltre che lingua
straordinariamente ricca di strutture lessicali e sintattiche.5
Tra i secoli XI-XIII un nuovo contatto culturale tra Oriente e
Occidente si verificò un nuovo travaso di opere scientifiche e filosofiche
dall’arabo al latino, in cui s’intravede il tentativo europeo di recuperare le
basi del sapere, non già per un interesse speculativo e specifico nei
confronti dell’apporto intellettuale arabo-islamico, quanto piuttosto per gli
elementi, perlopiù di natura filosofica e teologica, ereditati e tramandati
dagli Arabi direttamente dalla tradizione classico-ellenistica.
Tuttavia, fu nei secoli XV-XVII che si sviluppò, ad iniziare
dall’Italia, uno specifico interesse europeo per tutta la letteratura e la
civiltà arabo-islamica, ancora una volta a cominciare dai testi scientifici,
nel momento in cui molti paesi europei si accingevano a ristabilire la
nel tempo da singole personalità di calligrafi» (Gli studi di paleografia araba oggi,
problemi e metodi, cit., p. 283).
4
A. M. Piemontese in I fondi di manoscritti arabi, persiani e turchi in Italia, in F.
Gabrieli e U. Scerrato, Gli Arabi in Italia: cultura, contatti e tradizioni (Milano,
1979), pp. 661-688, offre una breve ma efficace sintesi storica come utile premessa
alla formazione degli studi e delle raccolte di codici relativi all’Oriente nel nostro
paese.
5
La trasmissione orale dei testi, fissata già dai primi secoli dell’Islam secondo
protocolli molto definiti, era articolata secondo tre generi: ’ilm, le scienze di ogni
genere, ma’rifa, le conoscenze più generiche, adab, le lettere.
3
propria supremazia territoriale e culturale, attraverso nuove tecnologie,
viaggi, esplorazioni, missioni e conquiste.
Tra la metà del Seicento e la fine dell’Ottocento si formò, anche in
altri paesi come l’Olanda, la Francia, l’Inghilterra, la Germania e
l’Austria, la struttura portante dell’impianto relativo agli studi e alla
formazione sostanziale delle raccolte di testi manoscritti relativi
all’Oriente.
Ma anche nei paesi islamici la situazione era mutata; altre due
lingue di cultura si erano affermate all’interno dell’egemonica potenza
ottomana, la persiana e la turca, benché lo strumento basilare della
scrittura rimaneva improntato ancora all’arabo, lingua ideologica e
istituzionale, alla quale rimane ancorato un vastissimo repertorio
compositivo: le scienze, la corposa mole delle espressioni letterarie, oltre
che al Corano e dottrine ad esso connesse.
L’area geografica e politica entro cui gli europei attinsero, alle
soglie dell’età moderna, il materiale librario e documentario relativo alla
cultura islamica divenne l’ambito realmente eterogeneo dell’impero
ottomano, entro cui si stabilì un fervido approccio culturale e materiale
con le comunità cristiane orientali, sottoposte sia all’autorità ottomana, sia
ai Safavidi di Persia e all’India moghul.6
Di questo immenso patrimonio letterario in lingua araba, frutto di
una creazione più o meno originale dispiegatasi nei primi quattro, cinque
secoli dell’Islam, dal VII al XI della nostra era, e di una fervida (benché
non sempre eccelsa) rielaborazione erudita per altri sei secoli fino al
XVII, una porzione non trascurabile si trova anche nelle principali
biblioteche italiane7 , in cui fondi di codici orientali, con prevalenza arabi,
si vennero costituendo, come accennato, fin dal XV secolo.
Il 1441, in occasione dalla venuta in Italia di prelati inviati dalle
Chiese orientali per il Concilio di Firenze, segna la data di formazione
6
Piemontese (cit., nota prec., p. 662) sottolinea che «l’approccio risultò complessivo
e, sia pure con aspetti ed esiti diversi, la cultura importata quasi inestricabilmente
arabo-turco-persiana. La fase della distinzione fra le tre lingue subentrò solo verso la
fine del Settecento... Per questi motivi, anche la formazione in Europa di fondi di libri
manoscritti relativi al mondo islamico fu cumulativa, e una loro rassegna retrospettiva
non può non essere globale.»
7
Nel novero delle biblioteche italiane si trovano inserite a pieno titolo anche la
Vaticana, la Ambrosiana e quelle dei Pontifici Istituti, presso cui, benché non
strettamente legate a un criterio di appartenenza giurisdizionale, risulta conservata
una porzione largamente preponderante (più dei due terzi) dell’intero patrimonio
italiano relativo ai manoscritti arabi.
4
della più antica acquisizione di manoscritti orientali da parte della
Biblioteca Vaticana e, con molta probabilità, della Medicea Laurenziana.
Le due biblioteche si arricchirono poi indipendentemente e diversamente:
la prima in maggiore misura, attraverso una lunga e continuativa serie di
donazioni (fino alle più recenti di Luca Beltrami nel 1922, del cardinale
Ignazio Gabriele Tappouni nel 1935-37, e di Enrico Cerulli nel 1937)8 , o
con un programma sistematico di acquisti quale fu promosso nel
Settecento dall’erudito libanese italianizzato Giuseppe Simonio Assemani
(al-Sim‘…n†) per la seconda9 , ma largamente compensato dalla qualità dei
testi che il cardinale Ferdinando de’ Medici aveva fatto reperire in
Oriente.10
Per citare soltanto alcuni dei più cospicui fondi italiani di
manoscritti arabi basterà ricordare i personaggi alla cui passione e
interesse si deve la loro formazione: Luigi Ferdinando Marsigli (16581730), avventuroso uomo d’armi e di scienza che, salvò dall’assedio di
8
I manoscritti arabi, esclusi quelli arabi cristiani di argomento e finalità
esclusivamente cristiani, custoditi dalla Biblioteca Vaticana ammontano a 2165; i
fondi originari di più antica formazione comprendono il Vaticano arabo, il
Barberiniano orientale, il Borgiano arabo e il Rossiano, oltre ai 1325 codici ivi
depositati e raccolti in tempi più recenti dal religioso aleppino Sbath.
9
Attualmente la consistenza dei codici arabi presso la Biblioteca MediceoLaurenziana ammonta a 430 unità, ivi compresi i fondi Mediceo-Laurenziano,
Mediceo-Palatino, Ashburnham, Conventi soppressi.
10
Procedendo rapidamente in questo breve excursus sulla formazione e la consistenza
delle maggiori raccolte di manoscritti arabi in Italia, che non ha alcuna pretesa di
rintracciare la storia dei fondi italiani dei manoscritti orientali, ci siamo avvalsi dei
dati e degli orientamenti storico-bibliografici esposti nella ricognizione statistica,
unica nel suo genere e nel suo approfondimento, compiuta da Renato Traini nel 1971,
sulla base di dati richiesti e forniti, non sempre coerentemente, da 249 biblioteche
italiane sui codici arabi da loro posseduti. Cfr. R. Traini, I fondi di manoscritti arabi
in Italia, in Gli studi sul Vicino Oriente in Italia dal 1921 al 1970. Vol. II. L’Oriente
islamico (Roma, 1971), pp. 221-253. Si rimanda all’appendice al saggio di R. Traini
per confrontare la consistenza di manoscritti arabi in ciascuna biblioteca compresa
nell’elenco. La precedente indagine portata a termine da Giuseppe Gabrieli nella sua
monografia Manoscritti e carte orientali nelle Biblioteche e negli Archivi d’Italia.
Dati statistici e bibliografici delle collezioni, loro storia e catalogazione. (Firenze,
1930), benché fosse il primo tentativo pionieristico in Italia di censimento sistematico
dei manoscritti, non solo arabi, ma orientali in genere, risulta essere, oggi, uno
strumento di riferimento ancora apprezzabile per il suo corredo bibliografico e storico,
ma superato in quanto all’aggiornamento di dati e notizie. Un’altra ricognizione
bibliografica, in ordine alfabetico per luogo di appartenenza, sulla consistenza dei
codici islamici presenti in Italia è stata pubblicata in World survey of Islamic
manuscripts, vol. 2, ed. Geoffrey Roper (London, al-Furq…n.Islamic heritage
foundation, 1993, pp. 67-116, a cura di P. Orsatti, B. Pirone e A. Gallotta.
5
Buda nel 1686 i 459 codici costituenti tuttora l’omonima collezione della
Biblioteca Universitaria di Bologna, sua patria natale; il nobile veneto
Iacopo Nani (1725-1797), ammiraglio e collezionista di monete e cimeli,
e il filosofo Emilio Teza (1831-1912), ai cui nomi sono legati i due
maggiori nuclei di testi orientali (106 mss. arabi) della Marciana; e ancora
il diplomatico piemontese Romualdo Tecco (1802-1867), che da
Costantinopoli procurò un certo novero di codici orientali, in gran parte
turchi, alla Biblioteca Reale di Torino11 ; infine il principe Leone Castani
(1869-1935), i cui manoscritti orientali (arabi e persiani) vennero da lui
stesso donati, insieme alla sua preziosa biblioteca orientalistica, alla
Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana in Roma.12
Questa rapida e incompleta rassegna di raccolte manoscritte
italiane13 sarebbe estremamente limitata se non si facesse accenno alle
collezioni della Biblioteca Ambrosiana, che vanta, seconda soltanto alla
Vaticana, una delle più notevoli raccolte di codici arabi orientali (2217
mss.). La sua più ricca collezione, di circa 1600 manoscritti, nota come
collezione Caprotti, dal nome del mercante lombardo Giuseppe Caprotti
(1869-1919) che, durante i 34 anni del suo soggiorno nello Yemen, inviò
da San’a, dal 1906 al 1909, consta di una sorprendente e preziosa raccolta
di manoscritti arabi yemenici unica al mondo per genere ed entità.14
L’Ambrosiana, fondata dal card. Federico Borromeo (1564-1631) nel
1609, possedeva già un suo notevole fondo antico di manoscritti orientali,
per la maggior parte arabi (Antico Fondo), tra cui sono da segnalare opere
di letteratura araba di età post-classica (dal sec. XI), riguardanti soprattutto
le materie teologiche, la poesia, la narrativa, la linguistica e le scienze
esatte, naturali e occulte, con codici pregevoli soprattutto in questi ultimi
11
Nell’inventario di G. Gabrieli (Manoscritti e carte orientali, cit., p. 52) risultano
essere 41 i codici arabi posseduti dalla Biblioteca Reale di Torino; Traini ne registra
54 (Cfr. appendice ai Fondi di manoscritti arabi in Italia, cit., p. 260).
12
I manoscritti arabi della collezione, ivi compresi quelli di provenienza Corsini,
Accademica e Caetani, ammontavano a 82, oltre ai 75 di recente acquisizione descritti
dettagliatamente da R. Traini, I manoscritti arabi di recente accessione della
Fondazione Caetani (Roma, 1967).
13
Cfr. R. Traini, Considerazioni preliminari allo studio dei manoscritti arabi, cit., pp.
40-41.
14
Si veda in proposito l’introduzione di R. Traini al suo catalogo I manoscritti arabi
di recente accessione della Fondazione Caetani, cit., pp. VIII-IX, e il suo articolo Les
manuscrits yéménites dans les bibliothèques d’Istanbul, in «Revue d’histoire des
textes», III (1973), pp. 203-230.
6
campi.15 Altre due successive donazioni arricchirono ulteriormente di
quasi 250 pezzi la Biblioteca Ambrosiana: l’una, ugualmente di
provenienza Caprotti, donata dall’architetto Luca Beltrami (1854-1933), il
sistematore della Pinacoteca Vaticana; l’altra costituita dal gruppo di
codici legati all’Ambrosiana da Eugenio Griffini (1878-1925), insigne
arabista milanese, il cui nome è strettamente connesso alla storia di questo
Nuovo Fondo, da lui studiato per vent’anni con passione e peculiare
competenza.
Prima di delineare il quadro relativo alla produzione catalografica
italiana sui manoscritti arabi, ci sembra necessario definire l’ambito entro
cui circoscrivere o inscrivere il concetto di manoscritto arabo.
La varietà dello Schrifttum arabo, come premette R. Traini al suo
vasto saggio ricognitivo sui fondi di manoscritti arabi in Italia16 , è tale che
si impone la distinzione tra quegli scritti - atti privati o pubblici, carte,
brevi, contratti, trattati, ecc. - che hanno un prevalente carattere
documentario e una funzione tipicamente giuridica, più correttamente
oggetto dell’archivistica e diplomatica araba e islamica, e i codici veri e
propri, relativi a manoscritti arabi, tra cui vengono inclusi anche quelli in
realtà mistilingue "a base araba", come i lessici arabo-persiani, arabosiriaci, arabo-latini (ecc.), non solo di autori europei, ma anche di
Orientali, nei quali la parte araba occupa il testo principale. Analogo
appare il processo seguito in presenza di numerosi opere contenute in
manoscritti arabi, sia dal punto di vista formale sia nel soggetto,
generalmente filologico, i cui autori non erano né Arabi né musulmani: a
tal proposito la competenza di autorevoli studiosi come Georg Graf17 e
Giorgio Levi Della Vida ci ha insegnato che simili circostanze non
potevano avere alcuna influenza per escludere tali opere da quelle della
«gemeinarabische Literatur».18
15
Cfr. A. M. Piemontese, I fondi di manoscritti arabi, persiani e turchi in Italia, cit., p.
678.
16
R. Traini, I fondi di manoscritti arabi in Italia, cit., pp. 221-224.
17
Traini si è giustamente soffermato sull’analisi che Graf traccia del concetto di
letteratura araba cristiana nell’introduzione alla sua opera Geschichte der christlichen
arabischen Literatur, v. I (Città del Vaticano, 1944), pp. 2-3, in cui si afferma che
«come tale deve ritenersi soltanto quella di argomento e finalità esclusivamente o
prevalentemente cristiani ...» (cfr. R. Traini, I fondi di manoscritti arabi in Italia, cit.,
p. 223).
18
Tale criterio è espresso da G. Levi Della Vida in Elenco dei manoscritti arabi
islamici della Biblioteca Vaticana (Città del Vaticano, 1935), p. X.
7
I cataloghi più accreditati si ispirano al principio di privilegiare la
base linguistica del componimento o dell’opera19 , assicurandogli un
carattere identificativo arabo anche se privo di una sua
contestualizzazione.
«Un particolare richiamo va fatto, poi, ad un gruppo di codici che,
nonostante il loro carattere alquanto fittizio, sono stati ugualmente
compresi nel novero dei manoscritti arabi, sia per mantenere la
consuetudine instaurata da precedenti cataloghi, sia e ancor più per la
suggestione derivante dalla singolare personalità dei loro copisti ... » aggiunge Traini per completare la definizione del contesto entro cui
comprendere o escludere a buon diritto scritti e manoscritti non
propriamente arabi.20
Nella ricerca compiuta da Traini e pubblicata nel 1971 l’autore
poneva in rilievo, come fatto singolare, che nel nostro paese «i due terzi
dei manoscritti arabi» sono concentrati in due sole biblioteche, «mentre i
rimanenti si trovano dispersi, per non dire sperduti, in gran numero
d’altre, per un totale di 77, ubicate in 47 città, per lo più in gruppi
esigui».21 Nel panorama statistico del suo studio, integrando i dati forniti
da G. Gabrieli nel 193022 , oltre che risultare evidente il dislivello dei dati
relativi alle singole unità e la loro ineguale ripartizione, Traini tira per così
19
G. Levi Della Vida, sempre nel suo Elenco ..., p. 306, nel Sommario sistematico, si
uniforma a tale criterio e presenta 19 esempi della sua applicazione, nonché altri
cataloghi di alcune tra le maggiori collezioni del mondo: del British Museum, della
Bibliothèque Nationale, della Preussische Staats-Bibliothek di Berlino. Cfr. R. Traini,
I fondi ..., cit., pp. 224-225.
20
R. Traini, I fondi ..., cit., pp. 223-224. Il riferimento cade su personaggi come
Giovanni Battista Raimondi (n. 1540 ca.-m. dopo il 1610), il celebre primo direttore
della Tipografia Medicea e pioniere in Europa della tipografia in caratteri arabi,
autore di varie copie di testi arabi che si trovano nella Bibl. Nazionale di Firenze;
Francesco Del Furia (1777-1865), bibliotecario della Laurenziana, autore di quattro
codici presenti nel catalogo di L. Buonazia del 1886 (Catalogo dei codici arabi della
Biblioteca Nazionale di Firenze, in Catalogo dei codici orientali di alcune
biblioteche d’Italia, III, (Firenze, 1878-1904), pp. 254-297; l’orientalista bolognese
Antonio Raineri Biscia (1780-1839), le cui copie di manoscritti arabi fanno parte del
fondo legato alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, di Bologna; Celestino
Schiaparelli (1841-1919), del quale la Biblioteca del Dipartimento di Studi Orientali
dell’Università di Roma "La Sapienza" conserva alcuni quaderni in cui egli aveva
copiato vari testi arabi.
21
R. Traini, I fondi ..., cit., p. 233.
22
G. Gabrieli, Manoscritti e carte orientali nelle biblioteche e negli archivi d’Italia
(Firenze, 1930).
8
dire le somme del totale dei manoscritti arabi esistenti attualmente nel
nostro paese, valutato a 6798 codici, che superano gli 8000 se si tiene
conto dei 1325 della collezione Sbath aggregati alla Vaticana e non
computati.23
L’eccezionale e singolare frammentazione del materiale manoscritto
nel nostro paese rispetto ai maggiori paesi occidentali europei, rilevante
testimonianza delle relazioni fra cultura italiana e civiltà arabo-islamica,
va forse ricondotta alle tendenze policentriche e alle stratificazioni
regionali, caratteristiche storiche del nostro assetto culturale.
A questo punto viene da interrogarsi: che cosa si è fatto sinora per
l’ordinamento, la conoscenza e la catalogazione dei manoscritti arabi
conservati presso le biblioteche del territorio italiano? In quale modo le
istituzioni preposte alla loro conservazione e alla relativa informazione,
compresi gli studiosi che di tale patrimonio sono i destinatari e i fruitori
più qualificati, si sono posti nei confronti di tali beni?
Soltanto nel 1949 Olga Pinto con gravità scriveva «Poiché i
manoscritti orientali delle Biblioteche governative italiane e specialmente i
fondi di minore entità sono o non catalogati o imperfettamente catalogati
o i loro cataloghi a stampa sono invecchiati e irreperibili nel commercio
librario, sarebbe desiderabile perciò che l’intera consistenza dei
manoscritti orientali di proprietà governativa , che non è di mole troppo
grande, venisse elencata e descritta in una pubblicazione complessiva
rispondente alle esigenze della scienza moderna.»24
Traini, nel suo resoconto, denuncia le lacune più vistose e delinea,
allo stesso tempo, un rigoroso quadro retrospettivo dei lavori di
catalogazione sui principali fondi manoscritti italiani25 , da quale si può
facilmente dedurre che se i requisiti essenziali di un catalogo, in linea con
i tre momenti sostanziali della descrizione di un manoscritto, quello
formale, quello contenutistico e uno documentario, sono l’esattezza e la
completezza di informazioni nel riconoscere e affermare l’identità di un
testo e del suo autore, l’uniformità coerente della descrizione, nonché un
23
Il complesso è senz’altro rilevante benché, a causa del frazionamento in tanti gruppi
o unità sparse, non suscita la stessa meraviglia della cifra poco distante che si riferisce,
per la Francia, alla sola Bibliothèque Nazionale, con 6835 manoscritti o, per la
Germania, alla Staats-Bibliothek di Berlino , con oltre 7000.
24
O. Pinto, Manoscritti e stampati orientali nelle biblioteche governative italiane, in
«Rivista degli studi orientali», XXIV (1949), pp. 161-163 (cit. a p. 163). La Pinto
aveva appositamente escluso le biblioteche Vaticana e Ambrosiana, non rientranti nel
quadro strettamente governativo italiano.
25
Cfr. R. Traini, I fondi ..., cit., in particolare le pp. 235-248.
9
opportuno apparato di indici, essi sono quasi del tutto assenti nei lavori di
catalogazione, o meglio di inventariazione sommaria, compiuti sino alla
metà dell’Ottocento.
Sorvolando su quei repertori, elenchi o pseudocataloghi, di
manoscritti arabi, la cui trattazione non apporterebbe alcun sostanziale
progresso alla scienza della catalogazione di questa tipologia di materiale,
al contrario lasciando incorrere in numerosi errori di attribuzioni, di
riconoscimento e di computo dei manoscritti arabi, spesso confusi con
altre lingue, all’interno di una medesima collezione, si è preferito
ripercorrere qui il cammino ideale di ciò che andrebbe colmato,
migliorato, ripreso o addirittura rifatto. Si può senz’altro affermare che
quasi nessun catalogo, o presunto tale, redatto sinora, sia esente da
revisioni, miglioramenti e soprattutto da un nuovo e necessario
trattamento omogeneo dei dati che, unito ad una tecnica più rigorosa e
scientifica, permetterebbe un qualche allineamento dei nostri lavori di
catalogazione dei manoscritti arabi con quelli da tempo noti al pubblico
delle maggiori biblioteche europee, oltre che, perché no, con quelli ben
più avanzati, compiuti nel versante dei manoscritti occidentali.
Fu la stessa Pinto che sottolineò l’importanza dell’iniziativa, mai
portata a termine, del Ministero della Pubblica Istruzione, a partire dal
1878, in seguito al IV Congresso degli Orientalisti tenuto a Firenze in
quell’anno, di intraprendere, a cura di dotti orientalisti italiani, tra cui
Ignazio Guidi (1884-1935), Luigi Bonelli (1865-1947), Lupo Buonazia
(1844-1914) e Bartolomeo Lagumina (1850-1931), «una catalogazione
sistematica dei manoscritti orientali delle biblioteche governative».26
Purtroppo la pubblicazione, uscita a fascicoli (sette) col titolo di Cataloghi
dei codici orientali di alcune biblioteche d’Italia (Firenze, 1878-1904),
non ebbe seguito, e sarebbe il caso ora di rielaborarla integralmente,
perché superata da un punto di vista bibliografico, oltre che tecnico, e
suscettibile di opportune integrazioni. Aggiungiamo che le descrizioni
catalografiche sono sostanzialmente esatte, ma scarne e prive di qualsiasi
indicazione codicologica e documentaria.
Tra le lacune più evidenti relative alle biblioteche governative
italiane, si segnala l’inesistenza di un catalogo moderno dei manoscritti
arabi della Biblioteca Mediceo-Laurenziana, noti soltanto attraverso il
26
O. Pinto, Manoscritti e stampati orientali ..., cit., p. 162.
10
"Catalogo" manoscritto di Stefano Evodio Assemani del 174227 ; ancora
un altro catalogo, redatto da L. Buonazia tra il 1886 e il 1867, dei 38
codici della Riccardiana, è rimasto manoscritto e necessita ormai di un
completo rifacimento, privo di criteri di indagine scientifica e basato
unicamente sui due repertori di Ibn ³allik…n e di ›aÞÞ† ³al†fa; i
manoscritti arabi della Biblioteca Marciana di Venezia, insieme agli altri
orientali, furono "catalogati" per ben quattro volte e, dal primo saggio di
Simone Assemani, pubblicato nel 1787, all’ultimo di Giovanni Veludo
del 1877, rimasto inedito, la conoscenza della collezione è rimasta
pressoché inalterata; la Biblioteca Palatina di Parma, inoltre, offre soltanto
una semplice lista dei suoi 34 manoscritti arabi, pubblicata da
Giambernardo De Rossi nella Appendix al suo catalogo dei codici ebraici
del 1803.28 Recensione nel complesso negativa ebbe un altro catalogo,
ben più recente e pubblicato sotto i migliori auspici, quello di Carlo
Bernheimer dei manoscritti orientali (22 arabi) della Biblioteca Estense,
pubblicato nel 1960,29 di cui Traini stesso segnala il principale difetto di
non tener conto di esempi di catalogazione coscienziosa e rigorosa.30
Si riporta qui un opportuno commento di Traini sugli interventi più
urgenti cui dedicarsi: «Graduando con criterio realistico la priorità degli
interventi, è evidente che con pari, se non superiore, urgenza si pone la
necessità di esplorare quel materiale che è ancora poco o punto
conosciuto, rappresentato da un complesso di circa 420 codici,
disseminati in oltre 50 biblioteche. A parte il fondo Paul Kahle, di oltre
150 pezzi, presso la Facoltà di Lettere torinese, con sole schede ad uso
interne che ne danno ben sommaria notizia, e la modesta collezione della
Biblioteca Reale di Torino (54 unità la cui descrizione, eseguita a suo
tempo da Nallino, non è mai apparsa), si tratta di gruppetti e gruppuscoli e
27
A tal proposito Traini dichiarò di aver «in animo di portare a termine
prossimamente l’indice sia onomastico - per titoli e autori - sia sistematico, già
incominciato». (Cfr. R. Traini, I fondi ..., cit., p. 235, nota 58).
28
Traini evidenzia che «Già la realizzazione di questo primo punto, di un auspicabile
programma di descrizione sistematica, comporterebbe il riesame di circa 650 codici,
poco meno di un decimo del totale». (Il manoscritto: situazione catalografica e
proposta d’una organizzazione della documentazione e delle informazioni, cit., p.
44).
29
C. Bernheimer, Catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca Estense (Roma,
1960) (Indici e cataloghi, n.s., IV).
30
Cfr. R. Traini, I fondi ..., cit., p. 241, oltre che la recensione di L. Veccia Vaglieri, in
collaborazione con G. Garbini per la parte dei codici ebraici, in «Annali dell’Istituto
Universitario Orientale», n.s., X (1960), pp. 151-155.
11
isolati esemplari, dislocati nelle più disparate località della penisola ... una
complicazione logistica che rende questo altro punto del programma di
più difficile, ma non per questo meno impellente, esecuzione.» 31
Il rigore e l’essenzialità delle informazioni fornite dall’orientalista
russo Victor Rosen (1849-1908), la cui esperienza sui manoscritti deriva
dallo studio approfondito delle collezioni di San Pietroburgo, rendono il
suo catalogo dei codici, in prevalenza arabi, della raccolta Marsigli presso
la Biblioteca Universitaria di Bologna, un riferimento conciso ma
estremamente coerente e preciso, corredato di indici e di una lista
cronologica32 ; anch’esso, tuttavia, meriterebbe una revisione generale,
non tanto per le correzioni, quanto per le dovute integrazioni
bibliografiche, per la descrizioni formali e per l’identificazione di vari
scritti lasciati spesso nell’anonimato.
Tra le lacune possiamo, altresì, annoverare quella relativa ai
manoscritti arabi (82 mss. appartenenti ai fondi Corsini, Accademico e
Caetani) conservati presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei
Lincei e Corsiniana, di cui esiste soltanto un "catalogo", o inventario
sommario, redatto a fini patrimoniali dal bibliotecario dei Lincei G.
Gabrieli nel 192633 .
Il primo esempio in Italia di catalogazione scientifica si deve
all’opera del grand’arabista Carlo Alfonso Nallino (1872-1938), che si
occupò degli allora 109 manoscritti "islamici" della Biblioteca Nazionale
di Torino34 e del più esiguo fondo orientale della locale Accademia delle
Scienze35 (8 mss. arabi), ispirato ad una metodologia coerente e rigorosa,
31
R. Traini, Il manoscritto: situazione catalografica ..., cit., pp. 44-45. Traini precisa,
inoltre, che nel complesso indicato non figurano i quasi 200 codici dell’Istituto
Universitario Orientale di Napoli e i circa 40 codici di recente accessione della
Biblioteca Nazionale di Roma; di questi ultimi egli stesso ha ultimato la descrizione.
32
V. Rosen, Remarques sur les manuscrits orientaux de la Collection Marsigli à
Bologne, suivies de la liste complète des manuscrits arabes de la même collection, in
«Atti della R. Accademia dei Lincei. Memorie della classe di scienze morali, storiche
e filologiche», s. 5 a, XII (1884), pp. 163-294.
33
G. Gabrieli, La Fondazione Caetani per gli studi musulmani. Notizia della sua
istituzione e catalogo dei suoi mss. orientali (Roma, 1926).
34
C. A. Nallino, I manoscritti arabi, persiani, turchi e siriaci della Biblioteca
Nazionale di Torino, in «Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino. Classe
di scienze morali, storiche e filologiche», s. 2 a, L (1901), pp. 1-91, 103-104.
35
C. A. Nallino, I manoscritti arabi, persiani, turchi e siriaci della Reale Accademia
delle Scienze di Torino, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino.
Classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. 2 a, L (1901), pp. 92-101.
12
scrupolosa nell’utilizzazione sistematica di tutti i sussidi bibliografici
specializzati, e nel rispetto di uno schema descrittivo costante e scevro da
ogni superficialità e ridondanza. Malauguratamente la descrizione che egli
diede nel 1901 di tali manoscritti arabi oggi non può più essere utilizzata a
causa di un incendio che, nel 1904, causò la distruzione di buona parte
dei codici orientali di Torino. I 22 manoscritti arabi conservatisi, insieme
con quelli del fondo Lanzone (45 mss.) di posteriore acquisizione, oltre
ad alcuni persiani e turchi, furono catalogati nel più recente lavoro di
Sergio Noja nel 1974.36
Nonostante le sorti avverse l’opera di Nallino, definita
«pionieristica»37 nel suo ambito, non rimase infruttuosa e stimolò
idealmente il già menzionato studioso lombardo Eugenio Griffino,
allorché questi, intorno al 1905, intraprese la descrizione dei manoscritti
arabi del Nuovo Fondo Ambrosiano38 , al cui studio e ricerca egli si
dedicò per circa vent’anni, sino alla sua morte prematura nel 1925, al
Cairo, dove era divenuto dal 1920 bibliotecario del re Fuad I. La sua
esemplare descrizione, «mirabile modello di compilazione di cataloghi di
manoscritti, tanto minuta ed esatta è la descrizione delle opere elencate,
tanto abbondanti sono i riferimenti bibliografici ...»39 , destinata a rimanere
interrotta, si fermò a poco più di 500 codici, neppure un quarto del totale.
Soltanto anni dopo, nel 1939, uno studioso svedese, Oscar Löfgren
(1898-1992)40 , riprese il lavoro di Griffini, nell’intento di preparare un
catalogo finalmente completo dei manoscritti arabi dell’Ambrosiana di
Milano. A tale progetto venne chiamato a collaborare, dal 1972, Renato
Traini, l’arabista italiano che, in questi ultimi quarant’anni, ha
rappresentato con maggiore competenza filologica e pervicace rigore
scientifico, oltre che con passione e ammirevole impegno, gli studi sui
36
S. Noja, Catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca di Torino. Vol. 1. I
manoscritti arabi, persiani e turchi (Roma, 1974) (Indici e cataloghi, n.s., X).
37
R. Traini, Il manoscritto: situazione catalografica ..., cit., pp. 46-47.
38
E Griffini, Lista dei manoscritti arabi Nuovo Fondo della Biblioteca Ambrosiana di
Milano, in «Rivista degli studi orientali», III (1910), pp. 253-278, 571-594, 901-921;
IV (1911-12), pp. 87-106, 1021-1048; VI (1914-15), pp. 1283-1316; VII (1916-18),
pp. 51-130, 565-628; VIII (1919-20), pp. 241-367; [pubblicato in un volume, di solo
50 esemplari, dal titolo: Catalogo dei manoscritti arabi di Nuovo Fondo della
Biblioteca Ambrosiana di Milano, vol. I: codici 1-475 (Roma, 1920)].
39
G. Levi Della Vida si espresse in questi termini tracciando un breve profilo di E.
Griffini, in «Rivista degli studi orientali», X (1923-1925), p. 728.
40
Si veda su di lui il Ricordo di Oscar Löfgren delineato da R. Traini in «Rivista
degli studi orientali», LXVII (1993), pp. 189-195.
13
testi manoscritti arabi nel nostro paese. La natura delle opere manoscritte
di tale collezione yemenita, unica per genere ed entità, presentava
difficoltà inconsuete per la loro provenienza da una regione tipica come
quella dello Yemen; era necessaria, dunque, una conoscenza specifica
della storia civile e culturale di quel paese, quale quella posseduta da
Griffini.
Il primo volume dell’opera di catalogazione dei manoscritti arabi
dell’Ambrosiana, in procinto di essere definitivamente ultimata, fu
pubblicato nel 1975, con caratteristiche di singolare distinzione editoriale
e scientifica, redatta in inglese per assicurarle una più ampia diffusione:
esso contiene in 356 numeri i codici dell’Antico e Medio Fondo; nel
secondo volume vengono descritti 830 codici, ovvero la metà del Nuovo
Fondo; il terzo, apparso nel 1995, contiene i numeri 831-1295 del Nuovo
Fondo.41 Oltre ad un quarto volume di catalogo in preparazione è previsto
un quinto dedicato agli indici in caratteri arabi. Possiamo senza dubbio
affermare che tale iniziativa, oltre che colmare una grave e annosa lacuna,
ha prodotto lo strumento catalografico più moderno, e scientificamente
più avanzato, del nostro panorama di studi, nel rispetto della tradizione
rappresentata dai due arabisti ispiratori, E. Griffini e G. Levi Della Vida,
alla cui memoria l’opera è dedicata. Ci è parso opportuno riportare qui,
come degno commento, le parole dello stesso Traini: «Frutto di una felice
collaborazione tra filologia arabistica e arte tipografica, l’opera si
presenta, a chi la consideri nelle sue caratteristiche scientifiche e tecniche,
come il più recente prodotto di una tradizione che, dopo Nallino e
Griffini, aveva raggiunto il culmine nei lavori di un altro maestro degli
studi arabi e islamici in Italia, quale fu Giorgio Levi Della Vida (18861967).» 42
Quest’insigne studioso fu scelto dalla Biblioteca Vaticana per
descrivere i suoi fondi manoscritti arabi islamici, ed elaborò in due
cataloghi, rispettivamente, 1152 nel primo43 e 276 codici nel secondo44 ,
41
O. Löfgren-R. Traini, Catalogue of the Arabic manuscripts in the Biblioteca
Ambrosiana (Vicenza, 1975-[1995]). Vol. 1. Antico fondo and medio fondo; vol. 2.
Nuovo fondo: series A-D (Nos. 1-830); vol. 3. Nuovo fondo: series E (Nos. 831-1295)
(Fontes Ambrosiani, LI, LXVI, n.s., 2).
42
R. Traini, Il manoscritto: situazione catalografica ..., cit., pp. 47-48. Secondo
l’impianto dell’opera deciso da Löfgren si è limitata all’essenziale la descrizione
esterna dei codici, in considerazione della notevole mole di materiale presentato.
43
G. Levi Della Vida, Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca
Vaticana: Vaticani, Barberiniani, Borgiani, Rossigni (Città del Vaticano, 1935)
(Studi e testi, 67).
14
editi nel 1935 e nel 1965, perfetto modello di razionalità nell’indagine
filologica e di completezza nell’informazione, che contrassegnò un
momento decisivo nella storia della catalogazione dei manoscritti arabi in
Italia. Alla forma sobria ed essenziale nella descrizione dei testi
manoscritti sottende sempre una ricerca puntuale e laboriosa,
un’uniformità nella presentazione dei dati, ampliandosi nel Secondo
elenco ad una razionale, benché sintetica, esposizione codicologica e
paleografica dei codici, con particolare riferimento al loro aspetto esterno
e alle loro caratterizzazioni storico-bibliologiche (note di possesso, tipo di
scrittura, sottoscrizioni, etc.); la descrizione interna riporta, ove
necessario, l’incipit e gli strumenti bibliografici di riferimento. Gli indici,
degli autori e delle opere costituiscono, inoltre, un degno e coerente
corredo di questi due cataloghi, particolarmente ricco e compiuto per il
secondo. 45
Nell’intero fondo vaticano investigato e descritto da Levi Della
Vida, assommante a 1428 unità, si rileva la presenza di collezioni
originali ben individuate, come la yemenita e quella di opere sciite
duodecimane, illustrate in modo esemplare dallo stesso studioso. 46 Ma lo
stesso autore era conscio degli sviluppi che i suoi cataloghi, soprattutto il
primo, avrebbero potuto e dovuto avere: «... esso è, come appunto dice il
titolo, un semplice "elenco" e non un catalogo: non ho spinto la minuzia
fino a menzionare i piccoli frammenti, le infinite faw…’id e mas…’il di cui
sono zeppi tanti manoscritti, le annotazioni ai lettori. Se delle opere senza
titolo e acefale e dei frammenti anonimi ho tentato, spesso con successo,
l’identificazione, ho tuttavia rimesso a miglior tempo l’indagine, quando
essa si presentava troppo lunga e ardua. Intento esclusivo dell’elenco è
quello di fornire l’indicazione quanto più possibile precisa delle opere
contenute nei quasi 1200 manoscritti arabi islamici della Vaticana... Di
44
G. Levi Della Vida, Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca
Vaticana (Città del Vaticano, 1965) (Studi e testi, 242).
45
Cfr. R. Traini, I fondi ..., cit., pp. 244-245.
46
Levi Della Vida ha indagato e illustrato la loro storia, oltre che di altri manoscritti
orientali, nel lungo e articolato contributo Ricerche sulla formazione del più antico
fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana (Città del Vaticano, 1939)
(Studi e testi, 92). Nel secondo elenco, alla più diffusa descrizione dei manoscritti
corrisponde anche l’ampliarsi degli indici che, oltre a quelli degli autori e titoli,
comprendono la lista dei manoscritti datati, l’indice dei copisti, dei possessori e dei
lettori, l’indice di personaggi vari menzionati nel corso dell’opera, quello dei
toponimi. Cfr. G. Levi Della Vida, Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici
della Biblioteca Vaticana, cit., pp. XII-XIII.
15
ciascun codice è stata data in parentesi, dopo l’indicazione del numero di
biblioteca, la data (quando sia segnata nel codice stesso) o l’età
approssimativa, il formato in centimetri, il numero dei fogli. Di ogni opera
o parte di opera è dato il titolo e l’autore, completando, rettificando o
supplendo l’uno e l’altro quando ne sia il caso: si è posta particolare cura
nel riferire integralmente e correttamente i nomi degli autori, segnalando
le varianti che talora vi s’incontrano, e nel dare, quando ne sia il caso, le
differenti denominazioni sotto cui è nota una medesima opera».47
Dilungarci su quest’opera guida nel campo della catalogazione dei
manoscritti arabi permette altresì l’introduzione e la presentazione di uno
dei più aggiornati e compositi lavori di catalogazione di materiale
analogo, benché quantitativamente notevolmente più limitato del
precedente: il catalogo dei manoscritti arabi di recente accessione della
Fondazione Caetani presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei
Lincei e Corsiniana, redatto da Renato Traini e pubblicato nel 1967. 48 I
codici ivi studiati e minuziosamente descritti, sono 75, di cui 63 yemenici,
quest’ultimi provenienti sia dalla donazione fattane da Ettore Rossi nel
1938 (55 mss.), sia dall’acquisto da parte della Biblioteca accademica di
otto codici dal dr. Cesare Ansaldi, già membro della missione sanitaria in
Yemen dal 1929 al 1932. Nell’introduzione al catalogo l’autore presenta
e riassume il metodo seguito per la descrizione delle caratteristiche
strutturali e formali dei manoscritti: «Per quanto riguarda la descrizione,
essa è stata divisa in due parti: prima, quella del codice, poi quella del
manoscritto (o dei manoscritti, se il codice è miscellaneo). La datazione
del codice fa riferimento al secolo se mancano indicazioni esatte di data
oppure se queste si riferiscono a singole parti. La descrizione del ms. si
presenta più particolareggiata per le opere non note o non abbastanza
ampliamente descritte nei repertori, come pure per quelle mutile e non
identificate; per le altre si rimanda al repertorio che ne dà più diffusa
notizia. Gli elementi di cui essa si compone, si seguono nell’ordine: titolo
dell’opera, con tutte le sue varianti, e nome dell’autore nella sua forma
integrale, entrambi restituiti, se necessario, in tutto o in parte; contenuto
dell’opera e sua divisione (dei componimenti in versi sono indicati il
metro, la rima e il numero dei versi, per facilitare eventuali riscontri);
rimando all’opera del Brockelmann, tenuta come repertorio di base, e
47
G. Levi Della Vida, Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana
..., cit., pp. XIII-XIV.
48
R. Traini, I manoscritti arabi di recente accessione della Fondazione Caetani
(Roma, 1967) (Indici e sussidi bibliografici della Biblioteca, 6).
16
eventualmente ad altre opere tra quelle registrate a suo luogo; incipit e
explicit del testo; data, e nome del copista.» 49 Il modello ispiratore, a detta
stessa dell’autore, è stato senza dubbio il metodo applicato dal suo illustre
predecessore Levi Della Vida, al quale Traini si rifà sia per le questioni di
onomastica, poste dallo studio dei testi, sia per il vasto e articolato corredo
di indici. 50
In seguito a questa rassegna sugli studi di catalogazione, in gran
parte da completare o da rifare del tutto, è apparso evidente che i fondi o
le raccolte italiane di manoscritti arabi possiedono caratteristiche
contrastanti rispetto al resto d’Europa: la loro maggiore antichità di
formazione, cui si è fatto riferimento, la massima dispersione dei codici in
un elevato numero di biblioteche, la meno coerente, se non
contraddittoria, opera di catalogazione. Certamente il fenomeno che
condusse all’estrema disseminazione dei codici ebbe cause oggettive, cui
si è accennato, che ne impediscono e ne scoraggiano l’opera di
catalogazione generale e particolare, ma non tali da giustificare il mancato
avanzamento nell’effettiva conoscenza dei fondi manoscritti arabi e il
ritardo storico, oltre che scientifico, quale si è registrato sinora in Italia.
Piemontese constata molto severamente, ma correttamente, che «il
patrimonio letterario e codicologico islamico conservato in casa nostra è
uno di quei beni culturali, di genere librario, di cui l’Italia è ricca senza
averne vera coscienza storica e cura istituzionale, cioè pieno e utile
possesso per sé e per il mondo».51
Nel complesso panorama italiano dei lavori di catalogazione sui
codici arabi è emersa l’esigenza, più o meno costante, da parte dei nostri
studiosi arabisti o islamisti, di affrontare innanzitutto una priorità comune:
far "emergere" materiali preziosi e sommersi sotto tutti i profili, primo e
più urgente tra tutti quello relativo all’identificazione storico-letteraria
delle opere trasmesse dai testi manoscritti, spesso ignote, confuse o mal
49
R. Traini, I manoscritti arabi di recente accessione ..., cit., pp. X.XI.
Gli indici, per materie, dei nomi di persona e dei titoli (in caratteri arabi), oltre il
prospetto cronologico e l’elenco in ordine cronologico dei manoscritti datati premessi
loro, riflettono una coerenza d’impostazione filologica e la ricerca di un’accuratezza
formale e sostanziale che basterebbero ad elevare il lavoro di catalogazione intrapreso
dall’autore ben al di sopra della media di altri esempi catalografici moderni, anche
internazionali, relativi a manoscritti arabi e orientali in genere, in cui l’interesse per la
materia d’indagine è incentrato perlopiù su dati statistici, o puramente estrinseci, dei
testi manoscritti.
51
A. M. Piemontese in I fondi di manoscritti arabi, persiani e turchi in Italia, cit., p.
687.
50
17
conosciute e, soltanto secondariamente, "far parlare" il documento, come
testimonianza fisica di un processo di trasposizione grafica e linguistica
ancora tutto da esplorare. La preoccupazione principale degli studiosi
italiani, nel corso di questo e del secolo scorso, ci è parsa vincolata a
necessità di tipo primario ed ispirata a modelli catalografici più o meno
genericamente accettati, in cui gli studi di codicologia e paleografia araba,
già così progrediti nel settore dei manoscritti occidentali, erano, e sono
tuttora, ancora basati su dati empirici e approssimativi, forse, ritenuti
meno impellenti nella loro immediata applicazione e non così urgenti da
essere definiti e stabiliti in una normativa codificata e standardizzata. Tale
tendenza si evince anche dalla formazione prettamente specifica ed
erudita dei nostri studiosi orientalisti, improntata autonomamente ad un
approccio di tipo squisitamente filologico-testuale, costretta a supplire alle
notevoli deficienze cognitive, in materia di testi manoscritti in lingue
orientali, oltre che organizzative, dei conservatori di manoscritti e
codicologi presenti nelle nostre biblioteche, o in altre istituzioni preposte
allo studio e alla catalogazione del materiale manoscritto sul territorio
nazionale. La mancanza di una tale essenziale collaborazione mina
seriamente le possibilità di sviluppo di una delle iniziative proposte da
Traini, sull’esempio di quanto hanno utilmente fatto per la Bibliothèque
Nationale G. Vajda e, per le biblioteche dei Paesi Bassi, P. Voorhhoeve,
ovvero di un repertorio generale di tutti i manoscritti arabi in Italia, che
registri in forma sintetica i dati sulle opere, gli autori, con i relativi rimandi
reciproci, e le loro localizzazioni nei vari cataloghi particolari, tale da
permettere una sorta di fihris al-fah…ris delle raccolte delle nostre
biblioteche52 .
Inoltre, occorre segnalare, a livello istituzionale, l’assenza assoluta
in Italia, di una scuola o di una formazione scientifica specifica, integrata
e parallela, sulla filologia, paleografia e codicologia araba, che avrebbe,
forse, potuto permettere il fiorire almeno di qualche studioso arabista
catalogatore di manoscritti.
L’unione combinata ed equilibrata dei due momenti dell’analisi
intrinseca ed estrinseca del testo, quello filologico e quello paleograficobibliologico, deve, a nostro avviso, essere maggiormente coltivata in un
futuro in cui gli strumenti tecnologici ed informatici non potranno che
facilitare le difficoltà organizzative sinora riscontrate.
52
Cfr. R. Traini, I fondi ..., cit., p. 248.
18
Il problema futuro non si pone tanto o soltanto sul genere o sul
metodo da adottare, se scegliere il modello di catalogazione sommaria o
piuttosto quello analitico e ampiamente descrittivo, poiché entrambi
dovrebbero essere in ogni caso suscettibili d’adattamenti funzionali alla
presentazione coerente e realmente utile dei dati formali e contenutistici
del testo manoscritto; in realtà non si ritiene possibile, né realistico, a
causa delle diverse e meno attestate tipologie del manoscritto arabo e della
sterminata varietà di contenuto dei componimenti trasmessi in lingua
araba, attenersi rigidamente a regole di catalogazione codificate come
quelle presentate e commentate dal noto paleografo latino A. Petrucci nel
1984, a proposito della storia e dei modelli sulla descrizione del
manoscritto (s’intende quello di ambito occidentale).53
Come accennato all’inizio, il contatto con la realtà del manoscritto,
con modi e finalità diverse, può avvenire più incidentalmente per
utilizzare i dati del testo in funzione di una determinata ricerca specifica o
personale, oppure per l’elaborazione filologica del testo, avente come
scopo la ricostruzione dell’originale (a¡l), o ancora per presentare il
manoscritto nell’ambito di un lavoro di catalogazione e di studio più
approfondito di un gruppo di codici relativi ad una specifica disciplina,
oppure, strumentalmente, per far luce sul testo, ignoto o poco noto,
trasmesso da un determinato manoscritto.
Questi saggi, non propriamente appartenenti ai lavori di
catalogazione vera e propria, hanno, tuttavia, spesso costituito contributi
articolati ed estesi, oltre che ampiamente descrittivi, contenenti i risultati di
ricerche di catalogazione di codici afferenti a una particolare disciplina o
tipologia di opere. Questi lavori, tra cui si annoverano brevi cenni su
singoli codici, composite monografie su edizioni di testi o studi filologici
53
Cfr. A Petrucci, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli (Roma,
1984). In sostanza un catalogo di manoscritti, anche di quelli arabi, dovrebbe
comprendere le seguenti fasi analitiche, da sviluppare in modo duttile secondo i casi e
le varie tipologie di opere e di testi: la descrizione esterna (indicazione della materia,
datazione, misure in mm., cartulazione, struttura, tipi di scrittura, mani di stesura e di
annotazioni, eventuali cenni sull’ornamentazione, identificazione delle filigrane, ove
presenti, breve giudizio o notizie sull’origine, cenno descrittivo sulla materia, la
datazione ed eventuali stemmi, della legatura); la descrizione interna (autore, titolo,
eventuali incipit, explicit e colophon, gli eventuali rapporti con altre opere, eventuali
annotazioni sulle lacune del testo e sulle sue partizioni); la storia (trattazione di tutte
le note di possesso, delle iscrizioni, dei timbri e di qualsiasi altra notizia che possa
contribuire alla ricostruzione delle vicende di quel particolare manoscritto); la
bibliografia (citazione di tutte le opere e di tutti gli articoli in cui il codice è descritto,
discusso o citato con contributi diretti di prima mano, eventuali edizioni critiche).
19
molto accurati, meriterebbero una trattazione più approfondita; le loro
indicazioni bibliografiche sono state riportate nell'apposita sottosezione
bibliografica di riferimento.54
54
Un’altra produzione parallela, la cui indagine esula dallo scopo di tale ricerca, è
quella delle tesi di laurea e di dottorato, spesso incentrate, soprattutto in questi ultimi
anni, sullo studio e l’analisi di testi manoscritti arabi inediti; esso costituisce un
settore tutto da esplorare, che potremmo definire parte di un’"editoria sommersa".
20