decadenza convenzione - Ordine dei Medici di Ferrara

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CENTRO STUDI DI DIRITTO SANITARIO
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22.09.2008 CORTE di CASSAZIONE – Sez. Lav. – ( il medico decade
dalla convenzione solo per colpa)
§ - Se la sola mancata iscrizione del medico all'Albo della Provincia della località assegnatagli
non può comportare una nullità del rapporto convenzionale e non può determinare la
decadenza dal rapporto convenzionale se non quando la mancata iscrizione sia addebitabile a
colposi ritardi del medico, analogamente, ed in forza del medesimo principio, il mancato
trasferimento di residenza del medico nel comune assegnatogli può comportare la decadenza
dalla convenzione solo se ed in quanto sia dovuto a sua colpa. Ciò considerando che tanto gli
accordi collettivi che le singole convenzioni sono negozi di diritto privato e vanno interpretati
secondo correttezza e buona fede. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile - Sezione Lavoro, Sent. n. 21537 del 12/08/2008
omissis
Svolgimento del processo
1. La controversia ha per oggetto l'impugnazione da parte del dr. B.S., medico operante dal
1992 in regime convenzionale con la ASL della X. per l'erogazione delle prestazioni di
medicina generale, del provvedimento di decadenza dall'incarico comunicato dalla stessa ASL
in data 11 luglio 2002 con decorrenza immediata.
Come si legge nella parte narrativa della sentenza impugnata il dr. B. ha impugnato il
provvedimento esponendo in fatto, in particolare:
che dopo essere stato titolare di incarico nel comune di X. fino alla fine del novembre 2001,
aveva ottenuto l'assegnazione per trasferimento al comune di X. ;
che aveva aperto il proprio studio professionale in detto comune, annunziando che avrebbe
iniziato l'attività professionale il primo dicembre 2001, e chiesto il trasferimento di residenza,
avendo ottenuto la disponibilità di un alloggio;
che il 14 novembre 2001 il Comune di X. non lo aveva reperito alla residenza indicata;
che il primo dicembre 2001 aveva iniziato a lavorare nella nuova sede ma il gennaio
successivo si era allontanato per prestare servizio in una missione umanitaria all'estero;
che il 28 febbraio 2002 il comune di X. aveva effettuato una ulteriore verifica negativa, cui
aveva fatto seguito la conclusione negativa della pratica relativa alla domanda di residenza, e,
come conseguenza ulteriore, il provvedimento di decadenza dall'incarico;
che, peraltro, con un provvedimento ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il Tribunale di Aosta aveva
ordinato in via provvisoria la ricostituzione del rapporto convenzionale.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, ma in sede di impugnazione la Corte d'Appello di
Torino andava in contrario avviso, e, con sentenza n. 1159/05, in data 14 / 23 giugno 2005,
accoglieva l'appello della ASL e respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo.
2. La Corte d'Appello ha ritenuto, innanzi tutto, che il medico avesse l'obbligo di provvedere,
entro novanta giorni dal provvedimento di conferimento dell'incarico, non soltanto a chiedere il
trasferimento, ma a trasferire la residenza. Era vero che - come ritenuto dal giudice di primo
grado - il medico poteva provare, anche al di là delle risultanze anagrafiche, quale fosse la
propria residenza, la sua dimora abituale, e che le risultanze di fatto dovevano prevalere su
quelle anagrafiche, ma doveva provare appunto di avere di avere trasferito la propria dimora
abituale.
La Corte d'Appello ha ritenuto, invece, che questa prova non fosse stata raggiunta.
3. Avverso la sentenza di appello, che non risulta notificata, il dr. B. ha proposto ricorso per
cassazione, con quattro motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 2 settembre 2005.
Resisteva la Azienda Unità Sanitaria locale della X. con controricorso notificato, in termine, il
18 ottobre 2005.
Motivi della decisione
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1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 28 luglio
2000, n. 270, art. 21, e degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c., e l'insufficienza e contraddittorietà
della motivazione.
Secondo il ricorrente il D.P.R. aveva recepito un accordo collettivo nazionale e pertanto le
norma che vi erano contenute dovevano essere interpretato secondo le regole proprie
dell'interpretazione dei contratti.
La norma contrattuale collettiva non faceva l'obbligo di trasferire, ma soltanto di richiedere il
trasferimento.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, invece, la violazione degli artt.
1362, 1366 e 1371 c.c., nonché del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 1, nonché del
D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270, art. 21, n. 3, e l'insufficienza di motivazione.
La sentenza non solo era giunta a ritenere legittima la decadenza dal rapporto convenzionale,
ma non aveva motivato le ragioni per cui avrebbe considerato rispettosa dei principi di
correttezza e di buona fede la risoluzione intimata nonostante l'assistenza prestata a 400
assistiti.
Secondo il ricorrente la mancata iscrizione del medico nell'anagrafe dei residenti poteva
incidere sulla regolarità del rapporto soltanto quando fosse stata lesa la funzione cui era
preordinata la prescrizione in conseguenza di un comportamento colposo del medico stesso.
3. Con il terzo motivo il dr. B. deduce la violazione del D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270, artt. 21 e
16, e la mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.
Critica a questo proposito l'interpretazione data dal giudice di merito alle risultanze istruttorie,
sottolineando anche che era risultato che aveva assistito 400 pazienti, incrementati in poco
tempo a 700. 4. Infine, con il quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2696 e
2729 c.c., nonché dell'art. 116 c.p.c., e l'insufficienza e carenza della motivazione.
Lamenta in proposito che era dato stato rilievo alle sole prove testimoniali tralasciando le
prove documentali.
5. Nei limiti di questa motivazione ricorso è fondato, e deve essere accolto.
Il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, connessi tra loro e perciò da esaminare
congiuntamente, sono, infatti, fondati sotto il profilo del difetto di motivazione.
6. Il servizio sanitario nazionale è disciplinato dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Quest'ultimo prevede, al primo comma dell'art. 8, che "il rapporto tra il Servizio sanitario
nazionale, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite
convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi della
L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, con le organizzazioni sindacali di categoria
maggiormente rappresentative in campo nazionale”.
Come già rilevato da questa Corte, "i rapporti tra i medici esterni e le unità sanitarie locali,
disciplinati dalla L. n. 833 del 1978, art. 48, e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in
attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali
del Servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti
libero professionali "parasubordinati" che si svolgono di norma su un piano di parità". (Cass.
civ., 18 ottobre 2002, n. 14810; nello stesso senso, S.U., 21 ottobre 2005, n. 20344).
7. In particolare all'epoca dei fatti i rapporti con i medici di medicina generale erano regolati
dall'apposito accordo collettivo cui era stata data esecuzione con il D.P.R. 28 luglio 2000, n.
270.
Questi accordi economici collettivi che disciplinano le convenzioni tra i singoli medici di
generale ed il Servizio sanitario nazionale sono negozi di diritto privato e rimangono tali anche
dopo essere stati recepiti.
Ugualmente sono negozi di diritto privato le singole convenzioni.
Proprio perché regolati dal diritto privato sia gli uni che altre debbono essere interpretati
secondo correttezza e buona fede.
Nelle ipotesi previste dagli accordi collettivi si verifica la decadenza del sanitario dalla
convenzione.
Dato appunto che gli accordi debbono essere interpretati secondo correttezza e buona fede,
quando la decadenza sia effetto di un inadempimento del sanitario interessato, questo
inadempimento, per produrre la decadenza, deve essere dovuto a colpa (o a dolo)
dell'interessato.
Non è sufficiente la semplice materialità del fatto, ma occorre che sussiste almeno la colpa.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, espressa in un precedente significativo riferito alla
stessa materia, "in tema di rapporto tra i medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali,
posto che ad ogni professionista, una volta iscritto ad un albo, deve riconoscersi il diritto
all'esercizio della propria attività in ogni parte dello stato italiano ed ora anche in ogni Stato
dell'Unione Europea, deve ritenersi che la sola mancata iscrizione del medico all'Albo della
provincia della località assegnatagli non può comportare una nullità del rapporto
convenzionale in applicazione del disposto dell'art. 1418 c.c., potendo di contro determinare,
come è statuito dal D.P.R. n. 484 del 1996, la decadenza del detto rapporto, sempre che la
mancata iscrizione sia addebitabile a colposi ritardi del medico e non di contro a censurabili
ritardi o illegittimi provvedimenti di diniego degli organi deputati all'iscrizione" (sempre n.
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14810/2002, già ricordata).
8. L'art. 21 dell'accordo economico collettivo recepito con il D.P.R. n. 270 del 2000, prevedeva
che entro 90 giorni dalla comunicazione del conferimento dell'incarico il medico dovesse aprire
uno studio professionale nella sede assegnatagli, e richiedere il trasferimento in essa se era
residente in un altro comune.
Se dunque la sola mancata iscrizione del medico all'Albo della Provincia della località
assegnatagli non può comportare una nullità del rapporto convenzionale e non può
determinare la decadenza dal rapporto convenzionale se non quando la mancata iscrizione sia
addebitabile a colposi ritardi del medico, analogamente, ed in forza del medesimo principio, il
mancato trasferimento di residenza del medico nel comune assegnatogli può comportare la
decadenza dalla convenzione solo se ed in quanto sia dovuto a sua colpa. Nel caso di specie
la Corte d'Appello di Torino ha motivato sul fatto materiale del mancato trasferimento di
resistenza, ma non sull'esistenza della colpa del sanitario. La sentenza perciò è viziata per
difetto di motivazione su questo punto.
9. Gli altri motivi di impugnazione (il terzo ed il quarto) rimangono assorbiti.
La sentenza deve essere cassata e la causa rimessa per un nuovo esame ad un altro giudice
di merito, cui è opportuno demandare anche la liquidazione delle spese di questa fase di
legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla
Corte d'Appello di Genova.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2008
Centro Studi di Diritto Sanitario - C.so Giannone 86 - 81100 Caserta
Tel 0823 279352 fax 0823 446980 [email protected]
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