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VIRGINIA WOOLF, DACIA MARAINI E
UNA STANZA PER NOI:
L'AUTOCOSCIENZA POLITICA E IL TESTO
Nel suo articolo "Le temps des femmes," Julia Kristeva distingue due
fasi nell'evoluzione del movimento femminile occidentale: nella prima,
determinata dalle problematiche nazionali, la donna rivendica gli stessi
diritti dell'uomo, cercando un inserimento nel tempo storico maschile
e lineare; nella seconda, in cui la donna opta per una radicale differenza
dall'uomo, essa rigetta anche il tempo lineare per favorire invece il
proprio inserimento nel tempo ciclico. La data chiave che separa queste
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due posizioni ο momenti viene individuata dalla Kristeva nel 1968.
La studiosa segnala anche una terza tappa, sorta negli ultimi anni
soprattutto in Italia ed in Francia. Tale momento consisterebbe in una
fusione dialettica tra i due atteggiamenti testé individuati, fusione che
essa definisce tempo delle donne. La prima fase, patriarcale e
storico/cronologica (Crono), è d'impronta occidentale e giudeo/cristiana,
mentre la seconda, matriarcale, astorica e ciclico/mitica, è di
orientamento orientale e indù/buddista. Il terzo momento rappresenta
quindi il superamento del tempo sia lineare che ciclico, in una unione
ritmica che possiamo simbolizzare in Persefone nel suo duplice rapporto
con la madre Demetra e il marito Plutone, rapporto metaforizzato nel
semestre invernale alternato armonicamente col semestre estivo.
Il femminismo continua a sottolineare l'importanza della continua
coscienza della diversità storica e culturale delle donne, da un punto di
vista razziale, etnico, sociologico, biologico e sessuale. In quest'articolo
ci proponiamo di analizzare l'evoluzione dell'autocoscienza femminista
esemplificata da alcuni scritti teorici, separati da un cinquantennio, di
Virginia Woolf e Dacia Marami e sulla base di tale analisi vogliamo
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pronosticaie che il futuro della scrittura del Sé femminista, sia europea
che americana, si orienterà in direzioni sempre più frammentarie,
allontanandosi completamente dalla primordiale fase monolitica.
Siamo infatti d'accordo con Linda Hutcheon che afferma che già
fin da ora sarebbe assai più corretto parlare di femminismi al plurale,
considerando la grande diversità di orientamenti contenuti nella griglia
generale di femminismo che comprende, solo per nominarne alcuni: la
critica separatista ο ginecentrica; la critica che si oppone ai tradizionali
canoni della letteratura storica; la critica in opposizione all'ideologia
patriarcale del testo maschile; gli studi psicanalitici; le teorie écriture
féminine', gli attacchi delle correnti lesbiche contro l'eterosessismo; la
prospettiva letteraria etnica dell'esperienza coloniale, ecc. — la lista
potrebbe continuare all'infinito.
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Comunque, se vogliamo mettere a fuoco il punto centrale di tutte
le teorie femministe (il che non è certo facile), possiamo affermare che
le varie categorie di pensiero si basano tutte sulla demistificazione del
centro patriarcale stesso, effettuata in forma verbale. Gli aggettivi
postmoderni per descrivere le differenze dal centro di ogni teoria
variano: ibrido, discontinuo, eterogeneo, excentrico. Variano anche le
metafore: dall'immagine del labirinto senza centro a quella della
periferia excentrica. Col cercare di obliterare le gerarchie, il
postmodernismo non ha eliminato le differenze, che vengono invece
mantenute e anzi celebrate, contro quello che è stato definito "il
razzismo logico dell'esclusione." È stato però eliminato il rapporto
binario tra il Sé e l'Altro, che manteneva, pur nascondendole, le vecchie
gerarchie, in favore della molteplicità, eterogeneità, pluralità.
Se noi cerchiamo di adattare ο trasferire queste molteplici teorie al
Testo del Sé, cioè alla narrativa dell'autocoscienza autobiografica ο
diaristica, notiamo subito anche una separazione completa tra la critica
femminista che postula che "l'anatomia è destino" contro i critici
formalisti per i quali "la forma segue la funzione." La forma lineare
delle autobiografie maschili (cronologiche e teleologiche) viene così
contestata dalla multidimensionalità del memorialismo femminile, in
direzioni autobiografiche sempre più diverse, cicliche e frammentarie.
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Virginia Woolf caratterizzava il suo diario come: "Something loose
knit and yet not slovenly, so elastic that it will embrace anything,
solemn, slight or beautiful, that comes into my mind. [...] Some deep
old desk, or capacious hold-all, in which one flings a mass of odds and
ends [...] as the mood comes." Anche l'Io narrante di Una stanza tutta
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per sé (Mary Carmichael che passa pochi giorni a Oxbridge, Oxford,
per preparare una conferenza sulla narrativa femminista) aveva notato
che nella prosa femminile c'era qualcosa che non andava: "[...] the
smooth sliding of sentence after sentence was interrupted. Something
tore, something scratched. [...] She is like a person striking a match that
will not light, I thought."
Il problema si spiega col fatto che le donne, oltre a essere povere
(perché invece di soldi fanno figli) sono anche poco istruite e nel 1929
(e anche prima: visto che questo commento della Woolf si riferisce alla
prosa di Jane Austen) non era stata ancora faticosamente creata una
lingua che potesse esprimere le esperienze femminili. La Woolf ci
ricorda anche che per le donne è inutile rifarsi alle frasi maschili per
trovare il proprio stile. Si può certo godere la letteratura degli uomini,
ma le loro parole non hanno mai aiutato le scrittrici, che dalla prosa
maschile possono soltanto imparare "trucchi" vari e adattarli al proprio
uso. Solo Jane Austen era riuscita a trovare "la propria frase," il che
dimostra come la caratteristica frammentarietà della narrativa femminile
e degli scritti autobiografici in particolare (quel decentrismo che ha fatto
dire a Tom Wolfe: "Hail to the Edges"), era già stato individuato da
Virginia Woolf fin dal 1929.
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Le nuove direzioni femministe che hanno rimosso la critica da quei
canoni centralizzati che avevano automaticamente legato il centro
patriarcale all'eterno e all'universale, hanno anche decretato che
l'irrazionale, il frammentario, il temporaneo ed il particolare sono
altrettanto centrali. Le frasi degli uomini, però, come si è notato, non
funzionano per le donne, non spiegano le donne. Ma visto che
un'autrice come Jane Austen è riuscita a comporre le proprie frasi,
anche tutte le altre scrittrici devono riuscirci, nonostante le enormi
difficoltà di una creazione linguistica ex novo:
[...] Shakespeare had a sister. [...] She died young — alas, she never
wrote a word. [...] Now my belief is that this poet who never wrote
a word and was buried at the crossroads still lives. She lives in you
and me, and in many other women [...] for great poets do not die;
they are continuing presences.
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Nell'Italia odierna l'importanza di Virginia Woolf per le nostre
scrittrici contemporanee, ancora molto forte, viene anche confermata dai
tanti riferimenti alle sue idee e alla sua opera, da Gianna Manzini a
Grazia Livi. Ma contrariamente alla Francia ο ai paesi anglosassoni, in
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Italia siamo ancora obbligati a dare priorità al contenuto sulla forma.
Proprio quando il Formalismo e lo Strutturalismo spostano l'interesse
della critica sulla lingua come componente principale del pensiero
stesso, il femminismo italiano è ancora fortemente politicizzato, per una
serie di ragioni che vanno dalla tradizionale ambivalenza del rapporto
tra femminismo e marxismo, fino al connotato ancora potentemente
patriarcale della cultura di tutto il paese.
Paola Bielloch nota, giustamente, la mancanza di produzione
saggistica e teoretica italiana che si avvicini per volume e importanza
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a quella inglese, americana ο francese. Per questa ragione le varie
teoriche italiane, dalla Rossanda alla Frabotta, dalla Marami alla Livi,
tendono ancora a ricorrere soprattutto alle parole di John Stuart Mill,
Virginia Woolf, e anche a Betty Friedman, Germaine Greer ο Simone
de Beauvoir. Si tende comunque, sempre in Italia, tradizionalmente, a
guardare ai paesi stranieri per le proprie ispirazioni sociologiche e
artistiche, in un'abitudine che fa sì che scrittori, registi cinematografici
e musicisti italiani spesso ottengano fama nel nostro paese solo di
riverbero, dopo averla già ottenuta all'estero. Lo stesso avviene ora per
la letteratura e la critica femminista: quella italiana passa spesso in
second'ordine, sia nei tanti libri di critica dedicati a scrittrici straniere
che appaiono, sia nelle numerose traduzioni pubblicate nel nostro paese.
Questa può essere una delle ragioni che hanno spinto molte
scrittrici italiane a difendere la propria arte di scrittore, per quel
"bisogno," dice Dacia Marami, "di difendere il piccolo potere personale
guadagnato con fatiche evidentemente gravissime [...] essendosi
riscattate con un duro lavoro personale dall'inferno della sottocultura.
[...] Oggi però," aggiunge (siamo nel '76), "il tradimento non può
nascere che dalla disperazione di un io-donna solitario e isolato,
terrorizzato di mostrarsi diversa dagli uomini, sebbene consapevole e
sofferente di questa diversità."
È solo negli ultimi vent'anni che le scrittrici italiane si sono
affermate in gran numero, contribuendo a ogni genere letterario: dal
giornalismo alla saggistica. Le lettrici italiane, inoltre, non cercano più
l'evasione nei romanzi rosa, ma si indirizzano verso opere di ogni tipo
in cui vedono riflessi i loro pensieri e problemi personali, politici,
familiari ο di lavoro. Questo fatto ha contribuito molto ad eliminare il
vecchio isolamento delle scrittrici italiane. Capite e appoggiate da una
vasta solidarietà femminile e da un pubblico di donne che aspetta da
loro l'enunciazione e la conferma di nuovi valori, abbiamo adesso la
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letteratura neo-femminista degli ultimi dieci anni, quella che Dacia
Maraini aveva previsto e pronosticato fin dagli anni Settanta.
È una letteratura questa che ha i pregi e i difetti di ogni letteratura
di rivoluzione, compresi il tono polemico e lo stile frammentario e
disorganico, che mostra il desiderio di differenziarsi e di fare tabula
rasa del passato. Per queste scrittrici il dissidio fra vita e arte si risolve
non a favore dell'arte ma della vita, da cui deriva che la loro passione
può compromettere la necessaria rielaborazione artistica. In Italia la
letteratura femminista si sacrifica spesso alla politica, come
nell'Ottocento quando prevaleva la letteratura dell'utile e, citando il
Berchet, si sacrificava "il letterato al cittadino."
Così, tanto per fare un esempio, abbiamo un romanzo come
Memorie di una ladra di Dacia Maraini, la cui narrativa è basata su
un'estesa ricerca dell'autrice sulle condizioni orrende delle prigioni
femminili del '68. In una nuova edizione del romanzo presso l'editore
Bompiani, la Maraini parla anche della rieducazione delle donne in
prigione, che ha l'unico scopo di fare di esse delle casalinghe modello.
Ma rigettando il già ricordato postulato femminista che identifica nello
scrivere donna l'eliminazione della linearità razionale (centro) in favore
del frammentario e del molteplice (bordo), la Maraini rifugge dal
postulare regole stilistiche per ogni tipo di letteratura, compresa quella
femminile. Lo scrivere donna, essa dice, non si deve limitare ad essere
riduttivo, ma deve arricchire:
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To write like a woman' must not constitute a limitation, but a
richness. How can we say that a unique and recognizable style must
be created for all women? What we can expect from a woman who
writes today is that she must always remember that she is a woman
and not pretend that she has a man's head [...].
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Si preferisce quindi dedicare particolare attenzione al prepoetico in
Italia, all'esame cioè delle condizioni necessarie ed indispensabili perché
l'azione stessa dello scrivere possa effettuarsi, a causa delle interferenze
sociali e politiche che hanno spesso ostacolato tale processo per le
donne. Volendo individuare le condizioni che Virginia Woolf nel '29
e Dacia Maraini, fin dagli anni Settanta, giudicano indispensabili perché
una donna possa scrivere, ricordiamo che per la Woolf, per scrivere, era
indispensabile avere "money and privacy," cioè una stanza tutta per sé
ed una rendita, anche piccola, che potesse permettere l'indipendenza.
Per l'Io narrante fittizio di Una stanza tutta per sé, il denaro necessario
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erano 500 sterline, ma se si pensa che all'università di Oxford del '29
solo ai Fellows era permesso camminare sul prato, e le signore non
accompagnate non potevano entrare in biblioteca, si capisce quanto
queste richieste della Woolf, che possono ora forse sembrare piuttosto
normali, fossero allora addirittura inconcepibili. I soldi sono importanti
semplicemente perché non si può pensare/creare con la fame:
The human frame being what it is, heart, body and brain all mixed
together, and not contained in separate compartments as they will be
no doubt in another million years, a good dinner is of great
importance to good talk. One cannot think well, love well, sleep well,
if one has not dined well.
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È da notare che 500 sterline, Mary Carmichael le aveva ereditate
da una zia; come altre scrittrici, anche la Woolf aveva sempre avvertito
la necessità anche psicologica della remunerazione del proprio lavoro.
"No force in the world can take from me my five hundred pounds."
Non è soltanto il denaro in sé che conta, ma la linearità femminile
stessa dell'eredità, che presenta connotazioni ben diverse dalla
donazione di un marito ο di un amante, per esempio, ο la famosa dote,
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che era quasi come se una donna non l'avesse. Le donne sono povere
da sempre, continua Virginia Woolf, non soltanto da duecento anni, ma
dal principio del tempo perché "fanno figli invece di fare soldi." Esse
hanno meno libertà dei figli degli schiavi ateniesi ed hanno tutto contro
di loro, soprattutto se vogliono scrivere poesie, il che dipende
completamente dalla libertà d'intelletto. Ma, insiste, dobbiamo scrivere
comunque, sia per il nostro bene che per il bene di tutti.
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Le necessità prepoetiche delle donne non sono poi così diverse per
Dacia Marami, cinquant'anni più tardi. La Sinistra interpreta ancora i
bisogni femminili identificandoli con i servizi di assistenza sociale, ci
dice quest'autrice nel 1978: stima sociale e medesimo salario degli
uomini. Questo è necessario, essa aggiunge, ma non è sufficiente. Le
necessità femminili sono spesso imprevedibili ed inimmaginabili per la
mente maschile. Sono necessità che vengono dalle differenze tra uomini
e donne, non le vecchie differenze passive, codificate dal canone
patriarcale, ma altre, ed importa ben poco se siano culturali ο
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biologiche. Secondo la Maraini è fondamentale che le donne si
orientino sempre su quali sono i loro dubbi creativi ed incertezze, che
non hanno ormai più niente a che fare con la sicurezza del canone
patriarcale. L'importante è che una donna che vuole scrivere non faccia
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mai finta di essere un uomo, aderendo all'immaginazione e alla visione
del mondo androccntrico. E importante è anche che le donne non
s'illudano mai di poter raggiungere la liberazione individuale. Nessuna
donna è mai libera fino a quando non saranno libere tutte le donne. In
questo la Maraini riecheggia la prefazione della co-editrice Biancamaria
Frabotta, che in Donne in poesia spiegava che "nessuna donna che
scrive può permettersi di fare spallucce sulla propria condizione di
donna." La Maraini puntualizza tale concetto, commentando che "ogni
discorso letterario per la donna si trasforma immediatamente in un
discorso sociale e politico. I suoi contributi alla poesia vanno visti con
rocchio antropologico con cui si analizzano i contributi dei popoli
oppressi, sottosviluppati, schiavi." Questa è una posizione che la
scrittrice ha in seguito alterato, in un approfondimento di coscienza che,
con la sua ambivalenza, l'ha maturata ed arricchita. Nel suo saggio in
Donne in poesia la Maraini affermava che
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La specificità femminile (cioè un modo non libero e compiuto di
vivere all'interno della cultura androcentrica) può prendere due aspetti
diversi e contrari in letteratura: da una parte il ripiegarsi sulla
solitudine, il dolore individuale, che possono degenerare in
crepuscolarismo e maniera; dall'altra il buttarsi sulla denuncia, la
rabbia che a loro volta possono degenerare in oratorio e brutale
contenutismo.
Comunque, concludeva, "generalizzare è sempre sbagliato. Saranno le
donne a decidere come vogliono scrivere, man mano che si
impossesseranno degli strumenti dell'espressione." Ammetteva anche
contemporaneamente, con molta oggettività, di non sentirsi abbastanza
distaccata e lontana per dare un giudizio razionale e definitivo della
situazione: "Sento che cammina, che si diffonde e di questo sono
contenta."
Scrivere donna per la Maraini del '76 voleva quindi dire soprattutto
scoprire le ragioni delle donne dal punto di vista culturale, economico,
sociale e sessuale. Anche allora non credeva che esistesse una letteratura
femmina e una letteratura maschio e con succinta chiarezza affermava
che: "La letteratura non ha sesso." Per chi scrive, scoprire la propria
femminilità significa soprattutto scoprire le passioni, le paure, le fantasie
di donna così come si sono potute sviluppare in modo storto e
deformato, in una società patriarcale che ha appunto per centro l'uomo.
Affrontando la stessa questione dodici anni più tardi, nella scelta
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dei propri articoli per una nuova edizione del 1987, l'autrice si sente
però obbligata a scartare molti suoi scritti perché troppo attuali, troppo
legati alla notizia del giorno e alla polemica del momento. Capisce che
in un libro non interessa il documento quanto un discorso che metta le
radici nel passato ma possa riconoscersi nella realtà di oggi. Così
restano i grandi temi, dalla prostituzione alla violenza, restano i
problemi del rapporto fra genitori e figli e la famiglia. Nell''87 la
scrittrice cerca però soprattutto un "bandolo, una cima che le ridia in
mano il filo delle cose."
E la prima scoperta di questo bandolo è la necessità di identificare
gli strumenti necessari per poter scrivere. A cosa corrispondono la
stanza tutta per sé e le 500 sterline di rendita della Woolf nel '29 per
la Maraini dell"87? Per potere scrivere, afferma la scrittrice italiana, si
devono imparare a manovrale tre tipi di strumenti: 1) quelli meccanici
come i computer e le macchine da scrivere; 2) gli strumenti determinati
dagli eventi di un paese e di un popolo come la lingua, con tutto il suo
corredo di frasi ed espressioni idiomatiche e 3) gli strumenti più delicati
e profondi che si pretendono uguali per tutti come la filosofia, la
psicoanalisi, la religione, la politica, l'antropologia e la letteratura. La
letteratura in particolare non è quel gabbiano dalle grandi ali bianche
che solca innocente un cielo vuoto.
È una scelta che influenza anche l'immagine di sé di tutte le
scrittrici, che nelle opere autobiografiche continuano a spiegare conflitti
e coercizioni in maniera articolata e snervante: "Nessuno mi ha mai
proibito di scrivere," diceva Dacia Maraini nel '76, "ma ho sempre
sentito quella mancanza di credibilità che accompagna il lavoro delle
donne e che finisce per sedimentare nelle pieghe della coscienza,
finendo per farti dubitare di te, vergognale di te con amarezza e
paura." Più di dieci anni dopo, essa nota che le scrittrici, anche le più
geniali, muoiono quando muore il loro corpo. Così è successo da noi
con Sibilla Aleramo, Cristina Belgioioso, con Veronica Franco. E
perfino Grazia Deledda, nota, che ha avuto il premio Nobel in vita, sta
scivolando gentilmente fuori dal quadro in quanto pochi sono coloro che
continuano ad occuparsi di lei. Ogni tanto, com'è successo nel caso di
Anaìs Nin, vengono tirate fuori per i capelli dall'oblio dalle case editrici
per donne.
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Secondo la più recente Maraini de La Bionda, la bruna e l'asino,
le scrittrici, anche se molto vendute e molto amate dalle loro lettrici e
forse anche, talvolta, apprezzate dalla critica, non ricevono mai quel
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prestigio che accompagna ogni grande scrittore e che provoca imitatori,
scuole, tendenze e soprattutto un corpo critico con cui ogni studente
dovrà poi fare i conti.
In un articolo intitolato "Il sesso al posto delle idee" e apparso in
Paese Sera nel 7 9 , notava anche un procedimento molto comune
quando esce il libro di una donna: anziché parlale della struttura
narrativa, del linguaggio, temi, tempi, personaggi, si prendono in esame
i fatti della vita, soprattutto quelli che riguardano la sua sessualità
(quanti amanti, mariti, fidanzati ha avuto): "Ma quella non è stata a letto
con un fascista? non è figlia di aristocratici, e come può oggi scrivere
un libro comunista? [...] È un procedimento purtroppo molto antico che
è stato usato contro (tante scrittrici) [...] che avevano il torto di non
essersi votate alla castità."
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Ci sono scrittrici che hanno interiorizzato questo disprezzo della
letteratura femminile, come possiamo notare anche dal commento di
Colette che "le donne non possono fare a meno di essere
autobiografiche nella loro narrativa" ο di Simone de Beauvoir che
critica la limitazione e il narcisismo della narrativa femminile. Una
femminista contemporanea americana come Domna Stanton si domanda
se tutto ciò non possa essere soltanto una convenzione usata dalle
scrittrici per essere più facilmente accettate sul mercato letterario. La
Stanton risolve la questione affermando che qualunque sia la causa
complessa dell'autodenigrazione femminile della propria narrativa
dell'autocoscienza, non è certamente la donna stessa che l'ha iniziata.
Alla domanda se esista una differenza tra lo scrivere donna e lo
scrivere uomo, e, se la risposta è positiva, in cosa consista tale
distinzione, la Maraini dell''87 comincia col notare che fini letterate e
critiche come Nadia Fusini tendono a eludere la domanda in quanto la
ritengono inopportuna e fuori tempo. Se in Donne in poesia, come
abbiamo visto, pur credendo in un "diverso punto di vista maschile e
femminile" la scrittrice non voleva stabilire schemi per una letteratura
donna e una letteratura uomo, nelL'87, approfondendo tale posizione,
conclude succintamente che alla fin fine risulta che si scrive col corpo
e il corpo ha un sesso e il sesso ha una storia di separazioni,
allontanamenti, segregazioni, soprusi, violenze, afasie, paure,
mortificazioni di cui si conserva una memoria atavica. II suicidio di
tante scrittrici, aggiunge, fa la spia a una lacerazione profonda. Ma
scrivere, nota anche, significa tenere in mano non una penna ma uno
scettro, non una matita ma una spada. E lo scettro e la spada li tengono
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in pugno i re e i guerrieri.
Se Roland Barthes afferma che "scrivere vuol dire giocare col
corpo della madie," cioè con la carne e il latte di ogni lingua parlata, la
Maraini commenta: avviene un fatto sorprendente perché il linguaggio
nato femmina, crescendo diventa, per un repentino rovesciamento delle
parti, maschio. Così il corpo della madre che dà nutrimento si trasforma
nel corpo del padre che richiede ubbidienza in cambio di sicurezza,
chiede fedeltà in cambio di grandezza.
Quando il corpo della madre viene interpretato non come metafora
del linguaggio ma letteralmente e tradotto nel corpo della donna, allora
le scrittrici si trovano di fronte a un altro tipo di problemi. Per prima
cosa, ci ricorda Paola Bielloch, non è facile trattare per la prima volta
di argomenti quali il corpo e la sessualità femminili in modo sincero e
onesto, senza Γ intrusione dei preconcetti maschili che hanno di volta in
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volta esaltato ο umiliato, angelicato ο avvilito la donna. Non è facile
scrivere per la prima volta sul parto, sull'aborto, sui figli neonati e
adolescenti. Ora le scrittrici parlano del loro corpo e dei suoi diversi
ritmi, crisi, esaltazioni e sensazioni: non come l'aveva descritto e voluto
l'uomo, ma come realmente è vissuto e sentito da loro.
Anche l'oscenità che attrae e ripugna negli uomini, nella donna
pochissimi sono disposti ad accettarla. Dacia Maraini viene considerata
incapace di parlare di volgarità anche se essa usa di continuo parole
oscene. Infatti essa risponde con fermezza che la volgarità è da vedersi
soltanto nella semplificazione: "Quando si taglia la realtà con l'accetta,
[...] quando si riduce la complessità di un pensiero a una minestra da
cacciare in gola agli ingordi." La volgarità è quindi nella cosiddetta
letteratura d'evasione, che non evade ma coerce, promettendo ciò che
non darà mai.
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In Donne in poesia aveva affermato che il talento poetico è una
cosa fragile e segreta, che va difesa con accanimento, va nutrita e curata
come una figlia settimina dai polmoni non ancora allenati all'ossigeno.
Questa difesa accanita può spiegare il furore con cui tante scrittrici
hanno scelto un volontario isolamento per poter proteggere con rabbia
lo stretto guscio del loro caso personale. Negli ultimi anni ammira
ancora la solidarietà femminile di quelle scrittrici che hanno capito che
i tradimenti femminili in direzione maschile, anche se magari
comprensibili, fanno solo pena, ma ammira forse anche di più il
coraggio e l'autoanalisi di una Rossana Rossanda sessantenne, che si
mette in discussione autocriticandosi con violenza e dolore, e
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domandandosi: "che certezza può avere una rivoluzionaria senza
rivoluzione, una comunista senza comunismo?"
Ci vuole un grande coraggio nell'onesta autocritica del proprio Sé,
giorno per giorno. Patricia Meyer Spaaks nota che le scrittrici
autobiografiche tendono facilmente a scindere il proprio Sé in un
conflitto tra pubblico e privato, in un impulso contraddittorio che separa
la coscienza femminile, creando quella retorica dell'incertezza che
ricorre attraverso i secoli, fino alle autobiografie femminili
contemporanee. È un legame narrativo che anche Domna Stanton
identifica nella duplice identità dell'Io nel rapporto materno con il
proprio figlio/figlia, proiettando tale incertezza nel Sé che una è stata e
nell'Altro/a che è cresciuto nel proprio Sé fisico (utero).
Anche l'Io narrante di Virginia Woolf, che nella biblioteca di
Oxford cercava creazioni letterarie femminili, accomunava le uniche
quattro grandi romanziere dell'Ottocento, George Eliot, le sorelle Brontë
e Jane Austen (che in ogni caso trova differentissime l'una dall'altra),
semplicemente per il fatto che nessuna aveva mai avuto figli.
Dacia Maraini stessa nota che uno dei frutti che maggiormente
appartengono alle donne, cioè la maternità, è in un certo senso quello
che ci appartiene meno perché manipolato dall'ideologia e dal potere dei
padri che l'hanno falsificato e mistificato per le proprie ragioni egoiste.
Così, quello che una volta era il privilegio assoluto della donna si è
trasformato in debolezza e schiavitù. Il parto biologico è stato quindi
svilito per le donne quanto il parto letterario. Legato a questo difficile
e complesso rapporto con la propria maternità è anche il difficile e
complesso rapporto personale e letterario che esiste da sempre e
continua ad esistere tra uomini e donne.
Virginia Woolf aveva notato che la storia dell'opposizione maschile
all'emancipazione femminile era forse ancora più interessante
dell'emancipazione femminile stessa. La maggior parte delle mitologie,
religioni ed epopee popolari presentano sempre una gerarchia a capo
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della quale c'è una divinità ο un eroe maschile. Questo concetto della
superiorità maschile si è così radicato da sembrare, nei secoli passati,
un fatto naturale. Questo è ciò che John Stuart Mill affermava nel 1869:
"What is now called the nature of women is an eminently artificial thing
— the result of forced repression in some directions, unnatural
stimulation in others." Nel 1974 Ida Magli riprendeva tali concetti e
affermava che "La donna è sempre stata un problema per l'uomo, ma
oggi è problema a se stessa."
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Il tipo più comune di opposizione letteraria androcentrica contro
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l'emancipazione femminile consiste nel parlale ad nauseam della donna
nei propri romanzi e nelle poesie, e contemporaneamente non permettere
a romanziere e poetesse di esserlo davvero, non accettarle cioè nelle
antologie o, al massimo, ammirarle soltanto quando scrivono da uomo.
La donna domina la poesia da una copertina all'altra, dice Virginia
Woolf, e in pratica è completamente insignificante perché quasi assente
dalla storia. E Grazia Sumeli Weinberg, citando la Maraini, ripete che
la donna è stata sempre parlata dall'uomo [...] e si è ritrovata di fronte
a un simulacro della femminilità, riflesso deformato del proprio S é .
Virginia Woolf osserva anche che le donne tendono a essere sempre
rappresentate in letteratura come amanti, mogli, sorelle ο madri di
uomini: come personaggi tangenziali, cioè, piatti e monocordi. Che
onore, esclama, essere sempre imprigionata dentro (nella letteratura) e
fuori (nella vita). Nei rari casi quando la letteratura femminile è
presente nelle mitologie, non è mai al centro del quadro. Si tratta
sempre di "un caso," "una eccezione." Dacia Maraini ricorda un
complimento di Pasolini, il quale credeva di farle piacere dicendole:
"[...] tu hai la testa e il carattere di un uomo." Croce sosteneva
addirittura che "Le style n'est pas la femme," accusando la donna di
avere introdotto in letteratura un eccessivo sentimentalismo, e nel 1922
Luigi Tonelli proclamava con molta condiscendenza che "La donna va
incoraggiata a vivere bene, non a fare la letteratura; va aiutata ad essere
buona sposa ed ottima madre, non a diventale una vuota ed inutile
'notorietà'."
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Purtroppo uno dei risultati di questo tipo di influenze negative è,
nota Dacia Maraini, che "le donne [...] disprezzano se stesse perché
sono disprezzate dall'uomo." Nell'Ottocento molte scrittrici italiane,
anche quelle che possiamo definire prefemministe, ricalcano ancora
vecchi schemi di letteratura patriarcale, invece di ispirarsi alle scrittrici
più innovatrici di altri paesi. Abbiamo perfino la femminista avanti
tempo, Matilde Serao, che continua ad esaltare il valore della
rassegnazione femminile. Mentre gli scrittori si dilungano nel
descrivere il fascino femminile nei loro romanzi e poesie, appena
trasmigrano da questo tipo di letteratura verso la saggistica si
dimostrano assai meno [...] affascinati. Virginia Woolf cita Pope ("Most
women have no character at all") ο Samuel Butler ("Wise men never
say what they think of women"). La scrittrice non può fare a meno di
commentale che, a quanto pare, i saggi ("wise men") non devono
proprio parlare mai di nulla.
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Nei casi più estremi di lotta contro Γ emancipazione femminile
abbiamo addirittura il sessismo conscio e programmato, che vuole
mantenere la donna "al suo posto," il che vuol sempre dire in una
posizione inferiore. E perché voler mantenere la donna in una posizione
inferiore? Gli specchi, risponde Virginia Woolf, sono sempre
indispensabili a tutte le azioni violente ed eroiche. Per questa ragione
i vari tiranni, da Napoleone a Mussolini, insistono sempre enfaticamente
sull'inferiorità della donna; se essa non fosse inferiore, cesserebbe di
aumentare e ingrandire col proprio riflesso Γ immagine (e
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l'immaginazione) maschile. Nel 1929, quando l'aggettivo femminista
era più ο meno sinonimo di suffragetta, Mussolini rappresentava per la
Woolf l'orrore del poter tirannico per antonomasia, ciecamente
maschilista e soprattutto ignorante.
Anche nel mondo della letteratura e della critica, però, può esistere
altrettanto il maschilismo conscio, come provano all'inizio del secolo
due scrittrici protofemministe italiane: Anna Radius Zuccari e Rina
Faccio, che avevano sentito la necessità di scrivere sotto lo pseudonimo
di Neera e di Sibilla Aleramo. Molto più recentemente, solo cinque anni
fa, Dacia Maraini aprendo il Corriere della Sera e trovandoci un suo
articolo stampato, non aveva potuto fare a meno di ricordarsi quando
quindici anni prima aveva spedito un racconto al Corriere e il direttore
(di allora) l'aveva rifiutato perché scritto da una donna.
La Maraini nota che molti critici italiani amano in particolare quei
libri di cui possono dire che "l'autore è una donna, ma potrebbe essere
un uomo; non c'è differenza," e anche molte scrittrici, fatta eccezione
per le più dedicate militanti, sostengono che la letteratura non ha sesso.
Lei stessa afferma che "se una donna scrive bene, è come un uomo che
scrive bene e il suo lavoro diventa parte della letteratura universale."
Le grandi menti sono androgine, aveva detto Virginia Woolf, e
anticipando la psicobiologia dell'ultimo decennio concernente la
struttura del cervello umano, aveva postulato la necessità che il cervello
maschile fosse dotato anche di una componente femminile, come, al
contrario, che il cervello femminile contenesse anche un lato maschile.
"The normal and comfortable state of being is that when the two live
in harmony together, spiritually co-operating. If one is a man, still the
woman part of the brain must have effect; and a woman also must have
intercourse with the man in her."
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Cosa devono fare le donne (e anche gli uomini) per aprirsi ed
affidarsi al proprio equilibrio cerebrale armonioso ed androgino?
41
Nell'abbozzo autobiografico A Sketch of the Past la Woolf spiega nel
1939 che per riuscire in questa impresa ogni donna deve non solo
accettare la propria frammentarietà, "acceptance of randomness and
fragmentation," ma anche superare e sublimare la propria indignazione.
Solo così il genio femminile potrà esprimersi, nella sua totale interezza,
evitando di polarizzarsi cerebralmente nel lato unicamente femminile
come hanno fatto, in senso opposto, Galsworthy ο Kipling, i quali
hanno creato una letteratura che finisce con l'essere un'orgia maschile
di Seme, Lavoro e Bandiera — sempre con la maiuscola — senza una
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scintilla di donna in loro.
Virginia Woolf dava immensa importanza anche allo "scrivere
senza indignazione," e nota in particolare il genio di una grande
scrittrice come Jane Austen che, forse anche a causa del sottile
umorismo che la caratterizzava, non s'indignava mai per le costrizioni
impostele dal suo stato di donna. La turgida prosa di una Charlotte
Brontë, invece, apparteneva a un'autrice che aveva decretato che era
inutile dire che gli esseri umani dovrebbero accontentarsi della
tranquillità perché: "They must have action; and they will make it if
they cannot find it."
Ognuno di noi scrive secondo il carattere serafico ο passionale,
tragico ο spiritoso che ha, ma il delicato umorismo di una Jane Austen
non è certo una delle caratteristiche della letteratura femminista
contemporanea, che ora come ora sta andando in direzioni di sempre
maggiore autocoscienza politica. Edward Said, rispecchiando i concetti
di molte femministe odierne, afferma che la teoria contemporanea deve
sempre basarsi sull'esperienza e sulla vita: "Criticism cannot assume
that its province is merely the text, not even the great literary text. It
must see itself, with other discourses, inhabiting a much contested
cultural space."
È quello che sta succedendo in seno al femminismo contemporaneo,
soprattutto in Italia dove, come ci fa notare Judith A. Hellman, fin dagli
anni Settanta s'è sviluppato un vigoroso movimento politico femminista.
Se il femminismo anglosassone è di matrice rivoluzionaria/protestante,
in Italia il femminismo, benché fortemente ispirato da quello americano,
si appoggia ancora molto su un senso di ribellione sia contro la Chiesa
Cattolica che contro il vecchio PCI.
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Mentre il femminismo statunitense si spiega soprattutto per la
debolezza della Sinistra, il femminismo italiano, anche se influenzato da
quello americano, ha continuato per anni ad appoggiarsi sul comunismo,
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pur con una quantità di revisioni e ripensamenti. Le scrittrici femministe
italiane, spesso di origine borghese, sono estremamente consapevoli
dell'aiuto di cui hanno bisogno le persone che appartengono alle classi
più povere, la maggioranza delle quali è composta di donne. È anche
importante ricordare che i sindacati in Italia non rappresentano soltanto
i lavoratori di un singolo mestiere, ma la massa, e cercano di
promuovere l'interesse di tutta la classe lavoratrice. A pensarci bene,
pochi decenni fa non c'era una vera differenza tra la donna del popolo,
forse analfabeta e oggetto di scambio e possesso dal padre al marito, e
la donna borghese, forse anche intellettuale, ma per la quale era
comunque disdicevole lavorare fuori di casa. I decenni del fascismo
crearono la madre eroica premiata, e mantennero allo status quo
l'analfabetismo femminile. L'Italia ha continuato a conservare per anni
leggi che sancivano la disuguaglianza fra i coniugi, permettendo il
delitto d'onore e punendo l'adulterio femminile e l'aborto come gravi
crimini.
Nella scrittura del Sé femminista del nostro paese resta quindi
ancora una memoria di questa forzata inferiorità, il che fa si che il
femminismo italiano continui ad essere eminentemente politico. La
Sinistra, ancora fin dalla fine del secolo scorso, aveva sempre
considerato la "questione femminile" soprattutto in termini di
produzione e di lavoro, senza riuscire a prendere in considerazione tanti
altri argomenti, dal divorzio all'aborto, che erano invece di importanza
capitale per le donne. A partire dagli anni Settanta ci sono stati grandi
progressi, uno dei quali, simbolico, è rappresentato dall'incontro fra
Femministe e Comunisti, avvenuto nel febbraio del 1976.
La letteratura femminista italiana continua quindi a crescere in
direzione critica della società patriarcale e degli insegnamenti
sessuofobici e repressivi del Cattolicesimo. Negli anni più recenti, con
l'avvento delle immigrazioni in Italia dal Nord Africa e dall'Europa
orientale, questa direzione si è anche arricchita di ulteriori ramificazioni,
che avvicinano di nuovo il femminismo italiano a quello americano. Mi
riferisco al fatto che la critica alla società patriarcale si accomuna
adesso nella battaglia contro il razzismo e la xenofobia, battaglia che in
America aveva preceduto la lotta contro il sessismo. Ne risulta così che
minoranze etniche, omosessuali e femministe non rappresentano più
movimenti monolitici, ma bensì movimenti eterogenei e variamente
impegnati intesi a far fronte ad un comune senso di marginalità in una
cultura dominante androcentrica. Se ricordiamo le differenze menzionate
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all'inizio di questo articolo, insite all'interno del movimento femminista
stesso e che noi riproponiamo alla luce di queste più recenti prospettive
frammentarie ed excentriche, c'è motivo di credere che nel futuro l'
autocoscienza femminista sia italiana che mondiale potrà svilupparsi
soltanto in una direzione sempre più pluralistica, varia e differenziata.
ANGELICA FORTI-LEWIS
State University of New York at Stony Brook,
Stony Brook, New York
NOTE
Julia Kristeva, "Le temps des femmes," Cahiers de recherche des sciences des
textes et documents 5 (1979), 5-19. Per proseguire su queste linee di ricerca mi
è stato di grande aiuto l'articolo, "Il corpo, trampolino fra scrittura e volo. Enif
Robert e Biancamaria Frabotta: settant'anni verso il tempo delle donne," di
Barbara Zecchi, Italica 69, No. 4 (1992), 505-16. L'articolo della Kristeva si
trova anche, in traduzione inglese, in The Kristeva Reader, a cura di Toril Moi
(New York: Columbia University Press, 1986), pp. 187-213.
Linda Hutcheon, "Feminism and Postmodernism," in Donna: Women in Italian
Culture, a c. di Ada Testaferri (Toronto: Dovehouse Editions, 1989), pp. 25-37.
Per gli studi femministi, vedi in particolare Estelle Jelinek, The Tradition of
Women s Autobiography: From Antiquity to the Present (Boston: Twayne,
1986), e edito dalla stessa autrice. Women s Autobiography: Essays in Criticism
(Bloomington: Indiana University Press, 1980). Si veda anche Sidonie Smith,
A Poetics of Women s Autobiography: Marginality and the Fictions of Self
Representation (Bloomington: Indiana University Press, 1987).
Per gli studi formalisti ci riferiamo in particolare a Francis R. Hart, "Notes
for an Anatomy of Modern Autobiography," New Literary History 1 (1980),
485-511, e a William C. Spengemann, The Forms of Autobiography: Episodes
in the History of a Literary Genre (New Haven: Yale University Press, 1980).
Per mantenersi al corrente delle più recenti direzioni della critica
autobiografica femminista, si veda la rivista A/B Auto/Biography Studies. Una
bibliografia molto nutrita è contenuta in IV, No. 1 (autunno 1988).
Virginia Woolf, A Writer's Diary (New York: Harcourt, 1953). Per proseguire
su queste linee di ricerca si veda Lynn Ζ. Bloom, "Shaping Women's Lives,"
AlB IV, No. 1 (autunno 1988), 17-23. La Bloom, contestando gli scritti critici
di Estelle Jelinek, vuole provare in questo articolo che le autobiografie
femminili, anche se diverse da quelle maschili, non sono necessariamente più
frammentarie.
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5
Woolf, Λ Room of One's Own (New York: Harcourt, [1929/1981]), pp. 80-1.
Tom Wolfe, The Electric Kool-Aid Acid Test, citato in Hutcheon, op. cit., p.
28.
7
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 113.
8
Gianna Manzini, "La lezione della Woolf," Forte come un leone (Milano:
Mondadori, 1947). Grazia Livi, Da una stanza all'altra: Woolf, Austen,
Dickinson, Percoto, Mansfield, Νin (Milano: Garzanti, 1984). Della stessa
autrice si veda anche "Virginia Woolf: il grembo," in Le lettere del mio nome
(Milano: La tartaruga, 1992), pp. 43-60.
9
Si veda il capitolo intitolato "Don Giovanni femminista," in Angelica FortiLewis, Maschere, libretti e libertini: il mito di Don Giovanni nel teatro europeo
(Roma: Bulzoni, 1992), pp. 197-208, e Carol Lazzaro-Weis, "Gender and Genre
in Italian Feminist Literature in the Seventies," Italica 65, No. 4 (inverno 1988),
293-307.
10
Per questo articolo ci siamo rifatti all'ottimo studio di Paola Bielloch, Studio
tematico delle scrittrici italiane contemporanee, ancora in forma di tesi di
dottorato (New Brunswick: Rutgers University, 1982). Il lavoro è stato poi
ampliato e pubblicato col titolo Quel mondo dei guanti e delle stoffe [...]
(Profili di scrittrici italiane del '900) (Verona: Essedue, 1987).
Dacia Maraini, "Nota critica," in Donne in poesia, a cura di Biancamaria
Frabotta (Roma: Savelli, 1976), p. 33.
Sempre nella stessa "Nota critica," p. 33, la Maraini commentava: "Eppure
la scoperta più poetica del femminismo è la solidarietà fra donne. Una
solidarietà che esclude ogni pensiero di soluzione individuale ma vuole la
libertà di tutte per tutte."
Per proseguire su queste linee di ricerca si veda il capitolo intitolato
"Pedagogia e patriottismo nell'800 autobiografico italiano," in Forti-Lewis,
Italia Autobiografica (Roma: Bulzoni, 1986), pp. 139-59. Giovanni Berchet
aveva espresso tale giudizio (estremamente avanguardista per il periodo) nel
corto articolo, "Fantasie," in Realismo romantico: collezione di saggi critici
dell'800, a cura di Umberto Bosco (Caltanisetta: Sciascia, 1967), p. 70.
Lazzaro-Weis, "Gender and Genre," op. cit., p. 299.
Maraini, "On Of Woman Born," trad. Mary Jane Ciccarello, Signs: Journal
of Women in Culture and Society 4, No. 1 (autunno 1978), 689.
Per un'analisi del concetto di prepoetico nella sua applicazione alla letteratura
femminista, vedi in particolare Ann R. Jones, "Surprising Fame: Renaissance
Gender Ideologies and Women's Lyric," in The Poetics of Gender, a cura di
Nancy Miller (New York: Columbia University Press, 1986), pp. 74-95.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 18.
"Anche se il mio mestiere, di denaro non ne frutta molto [...] e anzi bisogna
sempre fare contemporaneamente un altro mestiere per vivere, [...] pure a volte
ne frutta un poco e avere del denaro per virtù sua è una cosa molto dolce, come
ricevere denaro e doni dalle mani dell'essere amato" (Natalia Ginzburg, "Il mio
mestiere," in Le piccole virtù [Torino: Einaudi, 1967]), p. 89.
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Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 38.
Ricordiamo come il primo sintomo della malattia mentale della moglie di
Pirandello fosse avvertito proprio quando essa venne a sapere che il suocero
aveva dilapidato tutti i soldi della sua dote, con investimenti imprudenti e
sbagliati.
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21
Maraini, "On Of Woman Born" op. cit., pp. 688-9.
"Introduzione," in Donne in poesia, op. cit., p. 13.
23
Maraini, "Nota critica," op. cit., p. 32.
24
Mi riferisco in particolare all'articolo introduttivo, "Riflessioni sui corpi logici
e illogici delle mie compagne di sesso," in Dacia Maraini, La Bionda, la bruna
e l'asino: con gli occhi di oggi sugli anni Settanta e Ottanta (Milano: Rizzoli,
1987), pp. v-xxx.
22
25
Maraini, in Donne in poesia, op. cit., pp. 169-70.
Ibid.
27
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. viii.
28
Ibid., pp. xii-xiii.
29
Maraini, in Donne in poesia, op. cit., p. 169.
30
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. xix.
31
Maraini, "Il sesso al posto delle idee," in La Bionda, la bruna e l'asino [...],
op. cit., p. 59. Altre critiche hanno presentato la stessa obbiezione; vedi in
particolare Domna C. Stanton, "Autogynography: Is the Subject Different?" in
The Female Autograph, a cura di Domna C. Stanton e Jeanine Parisier Plottel
(New York: New York Literary Forum, 1984), pp. 6-7. Si veda anche, per
quello che riguarda Georges Sand, Forti-Lewis, Maschere, libretti e libertini:
Il mito di Don Giovanni nel teatro europeo, op. cit., pp. 197-9.
32
Stanton, "Autogynography," op. cit., p. 7.
33
Vedi a questo riguardo diversi critici letterari del ventennio fascista come il
Ravegnani che denunciava "l'eccessivo e voluttuario esibizionismo
autobiografico femminile," in Contemporanei: dal tramonto dell'Ottocento
all'alba del Novecento (Torino: Bocca, 1930) ο Camillo Pellizzi che ne Le
lettere italiane del nostro secolo (Milano: Libreria d'Italia, 1929) denunciava:
"il bacillo dell'autobiografia, fra le donne scrittrici, [...] [è] ancor più pericoloso
ed endemico [...] (a causa del loro) istinto, più vicino alla superficie del loro
spirito."
26
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. xiv.
Ibid., p. xviii.
Bleiloch, Studio tematico delle scrittrici italiane, op. cit., p. 26.
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. viii.
Maraini, "Nota critica," op. cit., p. 34.
Citato in Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., pp. xxv.
Patricia Meyer Spacks, imagining a Self: Autobiography and Novel in
Eighteenth-Century England (Cambridge: Harvard University Press, 1976), pp.
74-8.
Stanton, "Autogynography," op. cit., p. 14.
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Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 66.
Maraini, "On Of Woman Born," op. cit., p. 688.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 55.
Blelloch, Studio tematico delle scrittrici italiane contemporanee, op. cit., pp.
18-9.
John Stuart Mill, "The Subjection of Women," in Essays on Sex Equality
(Chicago: The University of Chicago Press, 1970), p. 148.
Ida Magli, La donna: un problema aperto (Firenze: Vallecchi, 1974), p. 5.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 43.
Grazia Sumeli Weinberg, "All'ombra del padre: la poesia di Dacia Maraini
in Crudeltà all'aria aperta," Italica 67, No. 4 (inverno 1990), 453.
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. xix.
Benedetto Croce, Breviario di estetica (Bari: Laterza, 1969), pp. 133-4; Luigi
Tonelli, "Rassegna letteraria," Almanacco della donna italiana 3, No. 3 (1922),
255.
Maraini, in Donne in poesia, op. cit., p. 169.
Citato in Blelloch, Studio tematico delle scrittrici italiane contempranee, op.
cit., p. 20.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 29.
Ibid., p. 36.
Maraini, "Riflessioni sui corpi logici e illogici," op. cit., p. xxii.
Maraini, "On Of Woman Born," op. cit., p. 689.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 689.
Citato in Linda Anderson, "At the Threshold of the Self: Women and
Autobiography," in Women's Writing: A Challenge to Theory, a cura di Moira
Monteith (New York: St. Martin's Press, 1986), p. 67.
Woolf, A Room of One's Own, op. cit., p. 102.
Ibid., p. 68.
Edward Said, The World, the Text, and the Critic (Cambridge: Harvard
University Press, 1983), p. 35.
Judith Adler Hellman, "The Originality of Italian Feminism," in Donna, op.
cit., pp. 15-24. Si veda anche di Rosanna Rossanda, "Femministe e P. C. I.,
strano rapporto," in Anche per me (Milano: Feltrinelli, 1987), pp. 55-60.
Blelloch, Studio tematico delle scrittrici italiane contemporanee, op. cit., p.
15.
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