Giornale studentesco del liceo A. Scacchi

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Giornale studentesco del liceo A. Scacchi
Giornale studentesco del liceo A. Scacchi
Gennaio 2012
Anno 11 Numero 1
Editoriale
Eccoci qua,tornarti dopo
due settimane di vacanze natalizie,pronti a ricominciare con il solito
tira e molla tra compiti,
compagni di classe, voti
e interrogazioni. O almeno questo è solo l’aspetto esteriore di quello che la vita scolastica
in realtà offre. Perché il
ruolo di noi studenti non
finisce al suono della
campanella, sia questa
della quarta, quinta o
sesta ora, ma va oltre il
solo studiare finalizzato
al compito in classe. Lo
Scacchi è composto da
noi alunni, mille ragazzi
con mille idee pronte ad
essere discusse, migliorate e messe in pratica
nel Collettivo Studentesco (Agorà), che si riu-
nisce periodicamente di
pomeriggio nell’auletta
autogestita (sarà davvero nostra?), o riportate
sulle pagine del giornale studentesco, che
purtroppo e con rammarico vedo sempre più
ogni anno sfuggirci dalle
mani. Sono entrata nella
Redazione di Skakkinostri quando facevo il secondo anno,alle riunioni
del giornalino vedevo
tanti ragazzi come me
interessati alla vita scolastica, pronti ad esprimere le proprie idee a
riguardo, senza indugio e senza timore dei
‘’quintini’’ che erano a
capo del giornale, convinti che scrivere delle
proprie passioni e di ciò
che succedeva quotidianamente intorno a
loro avesse una valenza
anche all’interno della
scuola. Col passare degli anni la partecipazione è scemata, sempre
meno gente partecipava alle riunioni e ancora
meno persone inviavano
articoli a noi della redazione e le pagine bian-
Sommario
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Skakki
Matti
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che da riempire diventavano ogni mese sempre
più opprimenti. L’uscita
del giornale si riduceva
di anno in anno, fino ad
arrivare a tre di queste,
senza averne una scadenza fissa. Spero che
la voglia di far sentire
la propria voce non sia
scomparsa, che i ragazzi pronti a raccontare di
se e del mondo non si
siano estinti -perdonatemi il termine- e che
dal prossimo numero in
poi possa vedere molti
nomi nuovi sotto la voce
“Hanno collaborato a
questo numero’’ o alle
riunioni, che cercheremo di organizzare con
più frequenza. Scrittori, poeti, disegnatori di
tutto lo Sacchi, unitevi!
Uniamoci! E riportiamo
questo giornalino ai vecchi albori, con lo stesso
spirito che animò la sua
nascita, ovvero quello
di dar spazio a noi studenti anche al di fuori
delle ora scolastiche, riunendoci e divertendoci,
creando un gruppo forte
e compatto all’interno
dell’Istituto.
Scusate se insisto su
questo punto, correrò
il rischio di essere ripetitiva e di annoiarvi a
morte,ma la questione
mi preme. La redazione
è composta per la maggior parte da ragazzi di
quinto, fatta qualche
eccezione per quattro o
cinque ragazzi di quarto
e terzo anno, e una volta finiti questi nove mesi
il gruppo redazione si
dimezzerà, arrivando a
contare qualche persona. Abbiamo bisogno di
voi, e per questo abbiamo pensato ad apporta-
re novità al giornalino,
per renderlo più interessante agli occhi di tutti.
Sfogliando queste pagine noterete molti disegni
correlati agli articoli -e
non più le solite immagini noiose pescate da
qualche sito su internetun oroscopo poco “serio” ma non per questo
divertente, una nuova
rubrica sugli eventi cittadini, uno spazio dedicato alla moda, femminile e maschile, uno allo
sport e l’ormai divenuto
famoso Skakkimatti, fumetto incentrato per lo
più sulla vicende skakkiste, dalle manifestazioni
alla Giornata dall’Arte.
Purtroppo questo primo numero lo vedrete
sui banchi all’inizio di
Dicembre, ma c’impegniamo a renderlo il più
interessante possibile.
Con la speranza che
dalla prossima uscita
-o anche meglio, dalla
prossima riunione- possa saltar fuori qualche
nuovo collaboratore che
entrerà presto a far parte della Redazione.
P.S. Ora le direttrici sono
due,quindi attenti, saremo più presenti che mai
quest’anno!
Paola Dabbicco VC
Editoriale
Imperdonabili. IMPERDONABILI! È vero, siamo in ritardo e ce ne
scusiamo, ma sapete,
ci è passato davanti un
gatto nero e abbiamo
perso l’autobus, in più
se non avessimo perso
la coincidenza del treno non avremmo trovato traffico perché poi…
basta scuse, stavolta è
davvero troppo!
Ci prendiamo la responsabilità: abbiamo
perso tempo in progetti
utopici, siamo annegati
nell’illusione di far rivivere un giornale fresco,
letto e partecipato, abbiamo addittura scomodato Ludovico Fontana
–uno dei fondatori di
Skakkinostri - per avere
qualche consiglio, e in
tutto questo marasma,
non siamo riusciti ad
uscire prima.
Inoltre, scrivere, correggere, disegnare, impaginare e revisionare,
è stancante.. se lo si fa
in pochi. Purtroppo anche noi abbiamo una
vita e nonostante mettiamo anima e corpo in
questo progetto, abbiamo compiti in classe,
interrogazioni, il cane
da portare a spasso, un
paio d’ore di sonno da
fare, un’altra oretta per
nutrirci e un po’ di vita
sociale, proprio come
voi! A ogni riunione di
redazione ci carichiamo a vicenda di idee,
progetti e novità, ma
tutto questo finisce con
un lento e agognante
diradarsi nel giro di poche settimane.
E se fossimo in tanti?
Personalmente
parlando, mi rammarico
sentendo dire da alcuni di voi, con tono un
po’ seccato: “eh, ma il
giornale quando esce?
Non vorrete mica arrivare giugno!”. Vi dirò,
un po’ saltano i nervi
anche a me. Come ci si
può lamentare di qualcosa per la quale non si
è fatto nulla per migliorarla? Sarebbe come
lamentarsi del candidato eletto, senza neanche essersi scomodati
per andare a votare!
Il giornale è un nostro
spazio, creato circa 11
anni fa da ragazzi come
tutti noi, con tanta voglia di mettersi in gio-
co e conoscersi; come
ci ha detto Ludovico
“Skakkinostri è stato
creato per conoscere
gente e farsi conoscere
all’interno della scuola,
il resto è venuto dopo”.
Perché non usarlo?
Da quei pochi sondaggi
che ci sono stati riconsegnati, abbiamo capito che ciò che vorreste
dal vostro giornale d’istituto è la frequenza,
ma come possiamo
accontentarvi se non ci
venite incontro? Come
disse un “saggio” “Ormai Skakkinostri è
come le puzzette e il
jazz: piace solo a chi lo
fa.” Quale più effimera
verità? Talvolta mi sembra di scrivere per me
stessa o per quei pochi
che ancora vengono a
complimentarsi con noi
o per quei pochi che
ancora si azzardano a
venire alle riunioni. Non
so voi, ma per me è frustrante.
Con ciò, ribadisco l’invito a partecipare, Skakkinostri non è un covo
di studenti occhialuti
e asociali che passano la loro vita con una
penna in mano! Per favore, sfatiamo questo
mito! Siamo un gruppo
di ragazzi pieni di vo-
glia di fare e di vivere
la nostra scuola a 360°,
facendoci voce dei suoi
studenti –che a quanto
sembra leggendo sotto
alla dicitura Hanno collaborato a questo numero, sono sì e no una
decina.
Se qualche nostro
comportamento è stato
scorretto, venitecelo a
dire! Non covate odio
silenziosamente, magari spargendo la voce
che siamo un ingordo kraken che divora
gli articoli altrui senza
pubblicarli o quant’altro. Sono convinta che
giungeremmo a una
“riappacificazione” e
–magari- a un nuovo
rapporto di collaborazione.
In conclusione, ribadisco per l’ennesima
volta che le porte del
nostro giornale sono
aperte e che se per
tante volte la montagna
è andata –e continuerà
ad andare- da Maometto, è giunto il momento
che adesso sia il profeta a fare un passo verso di lei.
Angela Casavola V B
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Generazione black block
Dicono “Milano vicino
l’Europa” ma chiedetelo
alle centinaia di ragazzi
che vivono nell’interland,
o meglio, nel vuoto. Infatti
è questa la triste immagine che dà quel vespaio di
paesini, già dalle prime
operazioni di atterraggio
a Malpensa. Poi sali nella
macchina del parente di
turno che ti ospiterà per
il tuo week end immersa
nella cultura, ma ti accorgi che piuttosto sei immersa nella nebbia, come
tutto d’altronde. Qualche
trasgressivo
campanile
fa capolino dalla foschia,
e se proprio ti concentri,
qualcosa la vedi: piccoli
paesini di pittoresche case
rosse circondati da risaie e
masserie. Mio cugino, 14
anni, ci aspetta sveglio ed
inizia a parlarmi. Mi parla di come si debba svegliare alle sei per andare
a scuola, mi parla di “quel
rapper, guarda, ho tutte le
magliette del suo negozio,
l’ho anche incontrato” butto un occhio su un cappello
e chiedo per costa sta GC,
scoppia a ridere e risponde
“Ganja Channel… Lui è
un fattone” poi mi ricordo
la sua cover di un famoso
ballo di gruppo che elogiava la suddetta pratica
“anche io ho provato, ma
non mi sono mai sfondato
come lui… mi fanno schifo quelli così”
La mattina dopo è domenica e sono già cosciente
dei problemi che avrò per
raggiungere il centro: per
arrivare alla metro più vicina c’è un unico pullman
alle 8.30 di ritorno alle
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19.30. Ma, sorpresa, gli
orari sono gli stessi anche
il lunedì. Mi sembra di essere in vacanza in quella
provincia che descrive Daniele Silvestri in una sua
canzone, “a venti chilometri di curve dalla vita”.
La stessa sensazione è data
dalla metropolitana: da
una parte il nulla, barboni
che dormono e bancarelle di smercio di refurtiva,
dall’altra, a dieci minuti di
treno, il Duomo. Quando
il nostro giovane tossico
si compra una maschera
nera che lo copre da sotto
gli occhi in giù, e ridendo
gli chiedo se vuol fare il
black block, mi risponde
serio “perché no…”. Perché è questa la conseguenza del vivere in una casa
rossa. Sei bombardato da
ogni genere di messaggi,
sei intrappolato ed assorbi come una spugna tutto
ciò che senti e vedi, dai
genitori, dalla tv, dai rapper. Ma non hai confronto, sei solo e non sai come
reagiscono gli altri, sei ridotto ad istinti primordiali
nel tuo isolamento, ignori
ogni genere di retorica o
protesta pacifica. E questo
non riguarda solo l’ambito
politico, ma anche sociale.
Me ne accorgo quando la
sera dichiara che andrà ad
una festa da sballo, lo confermo quando torna a casa
puzzando di fumo e vodka.
E parlando la mattina dopo
ammette che è l’unica cosa
che fanno il sabato. Forse
perché è l’unica cosa che
possono fare, l’unica cosa
che sanno fare. Ragazzi
ignari di ogni forma di divertimento lucido, distorti
dalla realtà. Tutto questo,
la loro visione di divertimento, i bombardamenti
mediatici, formano un cocktail letale nelle loro teste,
e quando hanno la possibilità di sfogarsi ripiegano
sulla violenza.
E pensare che proprio “a
venti chilometri di curve”
c’è la vita. Quella che ti
riempie il cuore con poche, rivoluzionarie parole,
quella che ti fa desiderare
un mondo civile, nato ed
ottenuto con civiltà. Ma
questo è un privilegio di
pochi che vivono in città.
Anche in piccole città del
dimenticato Sud. Negli
anni passati abbiamo assistito ad un processo si centralizzazione di tutto: politica, cultura, libertà, vita,
tutto nelle città. “Un cartello di sei metri dice è tutto intorno a te, ma ti guardi
intorno ed invece non c’è
niente” dice Jovanotti. Più
o meno è così. Hai tutto
intorno a te, se vuoi muoverti alle 8 di casa e ritornare alle 19. Allora, con
mezz’ora di autobus per
un po’ avrai tutto intorno
a te. In città. Finché vivi
nella tua casa rossa, sei un
relitto sociale. Peccato che
quando arrivi nella vita decidi di sfogare tutta la tua
esistenza distruggendo un
supermercato.
Una nuova generazione,
una serpe, cresce in seno
alla società. Generazione black block. E l’unica
colpa che ha è di essere
la sciagurata figlia cadetta
della globalizzazione.
Asia Iurlo III I
LA RIVOLUZIONE DEI GELSOMINI o anche da dove tutto è iniziato
La primavera araba è stata
la più grande rivoluzione democratica dal 1989: un movimento che ha coinvolto una
quindicina di stati e ha portato all’ instaurazione di due
governi democratici (fino ad
ora). Adesso se ne parla
sempre meno sui grandi organi di informazione (forse è
passata di moda) e quando
c’è un articoletto nelle ultime pagine o un servizio alla
fine dei Tg si occupa quasi
sempre della Libia, paese
interessante perché ricchissimo di petrolio e di accordi
con i paesi occidentali. Si dà
talmente poca importanza
allo Stato che per primo si
è ribellato al grido di kifaya
(basta!) e che il 26 ottobre è
andata al voto per la prima
volta da paese libero: la Tunisia.
Le storie dei paesi arabi del
Nord Africa si somigliano
molto tra loro: dopo aver ottenuto l’ indipendenza dalle
potenze europee il leader
del movimento crede che il
paese sia di sua proprietà
tanto che diventa dittatore.
Nel caso della Tunisia questi
si chiamava Habib Bourguiba. Gli si può attribuire il merito di avere modernizzato il
suo paese per certi aspetti:
legalizzazione dell’ aborto,
autorizzazione del divorzio
e abolizione della poligamia,
libertà di seguire o non seguire il Ramadan. Ma fu anche un leader molto autoritario. Mostrò a un certo punto
un po’ di debolezza, forse
dovuta all’ età. Nel 1987 un
suo generale, Ben Ali, lo depose con un colpo di stato.
Diede all’inizio l’idea di essere l’erede di Bourguiba,tanto
che riformò in maniera eccellente il sistema scolastico. Si presentò come il
difensore della patria dalla
minaccia del fondamentalismo islamico: presto però
questa divenne una scusa
per iniziare una caccia alle
streghe che avrebbe portato
migliaia di oppositori politici
di ogni ideologia alla tortura
e alla morte. Tutto questo
mentre i grandi leader europei lo elogiavano come “difensore della democrazia”.
La sua dittatura aveva una
particolarità: era un governo
di famiglia più che di partito
o personale. Tutto il paese
sapeva della continua truffa
che il clan Ben Ali effettuava
ai suoi danni: in particolare, la moglie Leila Trablesi,
ex parrucchiera, era odiata
dai suoi concittadini, tanto
da esser stata condannata
dopo la rivoluzione a 35 anni
di carcere per appropriazione indebita di fondi pubblici.
Ma quale è stata la goccia
che ha fatto traboccare un
vaso che, per la verità, era
già pienissimo?
Uno dei maggiori problemi
della Tunisia era la disoccupazione giovanile: molti
ragazzi diplomati erano senza lavoro. Così alcuni di loro
avevano avuto l’idea di diventare venditori ambulanti
abusivi (perché la licenza
era impossibile da ottenere
senza particolari favoreggiamenti) di frutta e verdura. Erano però alla mercè
dei vigili urbani, poverissimi
anche loro, che si facevano corrompere per qualche
soldo, con un atteggiamento
simile a quello di un mafioso
che chiede il pizzo. Così un
giovane, Mohamed Bouazizi, un giorno, decise di non
pagare più perché già non
ce la faceva a sostenere la
sua famiglia di 7 persone e si
vide confiscare il carrettino.
Denunciò quindi l’ accaduto
alle autorità, senza risultati.
Non più in grado di sostenere sé e la sua famiglia, senza prospettive di lavoro e di
futuro,decise di uccidersi, e
di farlo in maniera che non
fosse inutile: voleva fare un
atto pubblico. Andò quindi
davanti al municipio della sua città, si cosparse di
benzina e si dette fuoco. In
quindici giorni di sofferenze
mica. Tuttavia, il suo leader,
Gannushi, è conosciuto per
atroci morì. A quel punto la
popolazione insorse e il 14
gennaio Ben Ali e la sua famiglia furono costretti a fuggire in Arabia Saudita.
Adesso, a distanza di sette
mesi sono cambiate molte cose. Come ho già detto
prima, i tiranni di questo piccolo paese sono stati processati e condannati anche
se non sconteranno mai la
loro pena. Alla fuga del despota è stato nominato un
governo provvisorio che il 23
ottobre ha lasciato spazio ad
un assemblea costituente,
il primo governo votato dal
popolo in 60 anni di indipendenza. Questi erediterà una
situazione quantomeno problematica mascherata dallo
scorso governo: 50% di disoccupazione delle persone
con un diploma di scuola
superiore; 30 % di disoccupazione dei giovanissimi( tra
18 e 23 anni); prospettive di
crescita economica bassissime. La situazione politica
è frammentata e incerta: le
liste presentate sono state
120, molte di queste piccolissime con l’ unica funzione
di mascherare dietro ad un
nome nuovo un personaggio che già aveva collaborato con Ben Ali. Il maggiore
partito politico dovrebbe essere “Elnhada”, tra il 15 % e
il 25 %, che si è presentato
come forza moderata isla-
essere uno dei sostenitori
maggiori della lotta armata
islamista e molti pensano
che la sua “conversione” alla
modernità sia solo un’ operazione di facciata. A fronteggiarlo c’è un’ alleanza formata da filo-occidentali: il “Polo
democratico modernista”. La
legge elettorale è un proporzionale, che ha escluso molti
partiti lasciandone solo una
quindicina in assemblea. Lo
stato della “Rivoluzione dei
Gelsomini” (così i tunisini
chiamano la loro primavera
araba) dovrà affrontare ancora molte prove in futuro,
ma se dimostrerà di essere
sicuro della sua scelta, le
supererà con facilità e forse
insegnerà anche a noi italiani un nuovo modo per conciliare il potere temporale con
quello spirituale.
Lopez Francescopaolo II N
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Un futuro che non c’è
Li abbiamo visti vigliaccamente coperti da caschi neri,
sciarpe e cappucci scuri, li abbiamo visti distruggere qualsiasi cosa trovassero davanti, li
abbiamo sentiti urlare parole
incomprensibili, dettate dalla
rabbia e dalla frustrazione per
questa situazione. Ma dietro
questi caschi, queste sciarpe
e queste parole, chi troviamo?
Troviamo la Rabbia, l’Aggressività di un’Italia (sotto le vesti dei cosidetti Black block,
giovani rivoluzionari che lottano per i propri diritti contro lo
Stato, usando però la Violenza al posto della Parola), che
sta andando in rovina, giorno
dopo giorno, distruggendo ciò
che con fatica si era costruito.
Se da una parte non accetto
tutta questa violenza,d’altra
parte non giustifico più questa
Italia che peggiora,che non
pensa più al bene comune
ma al bene di un solo singolo,
che rischia di precipitare e sa
chiedere a Noi solo sacrifici.
Ora con la consapevolezza
di tutto ciò e con gran voglia
di pensare positivo,mi chiedo
“Cosa ci aspetta? Dobbiamo
ancora assistere a queste
scene di protesta,c osi violenta e cruda?” Non saprei cosa
pensare. Se la situazione rimarrà così, credo che esse
non avranno fine, anche perchè mi rendo conto che questi ragazzi troveranno sempre
qualcosa per protestare, per
ribellarsi della propria condizione. Sono sicuramente ragazzi che hanno difficoltà, che
vivono in condizioni pessime,
in istituti e in centri sociali, e
che attribuiscono questo loro
disagio agli altri, o a coloro
che sono Sopra di Noi e che
non fanno niente per migliorare questo degrado. Molti ci
incitano a capirli e a conside-
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rare come fattore importante
la loro provenienza disagiata,
ma come possiamo? O meglio, come facciamo a far finta
di niente? Ci chiedono, addirittura, di capire i loro atti di violenza contro le forze dell’ordine, perché? Che colpa ne
hanno le forze dell’ordine, se
non quella di servire lo Stato?
Sono tante le domande che
ci poniamo e a cui vorremmo
dare risposta; ma molte volte
non ci sono risposte. Sento
solo un grande amaro in bocca all’idea che il mio, il Nostro
futuro sarà caratterizzato da
tutto ciò. Con la violenza non
si ottiene nulla, se non altra
violenza, altra e altra ancora!
Forse ci si aspetta che con
dopo tanto baccano le cose
si migliorino, all’improvviso.
Ma non è così! Ogni volta va
sempre peggio! Ho paura per
ciò che sarà. Coloro che ci
comandano dovrebbero farsi
qualche esamino di coscienza e non guardare passivi
ciò che accade come se loro
non ne fossero i responsabili:
invece sono gli unici che possono, ma non vogliono fare
qualcosa. Spetta solo a Noi
prendere decisioni sul nostro
futuro, capire cosa è bene e
cosa è il Male. Da esso, quindi, dovremmo allontanarci e
non farlo diventare pane quotidiano che alimenta i nostri
giorni.” Per avere un domani
bisognerà essere padrone del
presente.” Noi lo siamo davvero?! Riflettiamoci!
Roberta Pagano III D
Perche chiudere i rubinetti
Come il fumatore dice che
potrebbe smettere di fumare
da un momento all’altro, così
il consumatore afferma che
potrebbe benissimo fare a
meno di quelli che si considerano sprechi d’acqua. Anche
se, come i fumatori, sono ben
pochi quelli realmente capaci di farlo. E se per un po’ ci
dovessimo trovare senz’acqua corrente, in una situazione simile a quella che il 40%
della popolazione mondiale
affronta tutto l’anno? I disagi non sarebbero pochi: non
potremmo più stare tre ore
sotto la doccia, o lavare la
macchina tutti i sabato, e i
coltivatori dovrebbero innaffiare con le riserve d’acqua
piovana. Forse ci sentiremmo
più solidali a quegli ottanta
paesi nel mondo che ogni
anno sono in siccità perenne.
Speriamo che ci possa essere questa solidarietà anche
senza avvenimenti drastici,
e si spinga sino a ridurre, se
non eliminare, gli sprechi.
Perché, per quel 11% che
consuma l’ 88% dell’acqua,
ci sono 2,2 milioni di persone
che muoiono per mancanza d’acqua. Per la pigrizia di
qualche industriale che preferisce scaricare i suoi rifiuti
nel fiume più vicino, questo
dato potrebbe salire a 4 miliardi. E non contiamo i morti
per le guerre: l’oro azzurro è
diventato talmente prezioso
da averne scatenate diverse
negli ultimi anni, come quella
tra Siria e Turchia, Israele e
Libano, Burkina Faso e Ghana, India e Pakistan. Mentre
noi lasciamo i nostri rubinetti
aperti aspettando che l’acqua
arrivi a temperatura, altri si
ammazzano per non vedere i
loro figli morire di sete.
La risoluzione al problema
non si deve cercare nell’aumento del prelievo, ma nella
ridistribuzione delle risorse.
Infatti aumentando il prelievo
si supera la capacità rigenerativa delle fonti, sino a peggiorare ulteriormente la situazione. Invece ridistribuendo
le risorse e adattando le politiche si può avere un risultato
migliore: a partire dalle nostre
case, per lavarsi o innaffiare
basterebbe acqua pulita e
non potabile, così come nelle industrie e nelle coltivazioni. Evitando lo sfruttamento
economico degli acquedotti
nelle zone più povere, essa
potrà essere più accessibile
a tutti. Eliminando gli inquinamenti ne potremo prelevare
in maggiori quantità. E questo
serve non solo per migliorare
la condizione presente ma
anche per pensare ad una
futura, considerando che la
popolazione cresce di circa
80 milioni di persone all’anno.
Quindi non ci resta che aggiungere alla nostra coscienza civile, la speranza che i
nostri rappresentanti pensino
anche a questi dati.
Asia Iurlo III I
Roba da cani!
Vanta un’amicizia da quindici
milioni di anni, eppure abbiamo ancora qualche problema
di comunicazione con lui. Chi
è? Il cane, ovviamente! Infatti
la sua comparsa come Canis
familiaris si calcola appunto
tra i 12 ed i 15 milioni di anni
fa. È cambiato con l’uomo e
l’uomo è cambiato con lui,
infatti proprio questo straordinario animale garantì sicurezza ai primi gruppi stanziali. È entrato nella nostra
cultura: in Occidente, a partire da Ulisse ed il suo Argo,
come sinonimo di fedeltà, in
Oriente come protagonista
di miti dove i cani venivano
impersonati in guardiani ed a
volte in progenitori dell’uomo.
Nei vari vocabolari, invece,
ha una veste leggermente
meno solenne: per esempio, il termine inglese bitch,
ovvero, cagna, viene inteso
come prostituta, oppure il
giapponese inu legato ad altri
termini significa “samurai codardo”.
Il primo catalogo delle raz-
ze canine invece appare nel
1800, in Inghilterra, e fino ad
oggi questo repertorio è aumentato a dismisura fino ad
arrivare a contare poco meno
di 400 razze, selezionate in
base a carattere ed aspetto.
Adesso ognuno di noi può
scegliere il proprio cane in
base alle proprie esigenze
di tempo, spazio, carattere e
composizione familiare: per
esempio, il nominatissimo
Pastore Tedesco è l’ideale
per la vita in famiglia, ama
correre e si affeziona molto ai
padroni, e per questo è indicato come cane da guardia.
Così come il Boxer, ma su di
lui non fidatevi di chi vi dice
“Non ti preoccupare, tanto tra
un annetto si calma!”, infatti,
questa razza incarna l’eterno
cucciolo, e nonostante questo non è l’ideale per bambini piccoli: la delicatezza non
è il suo forte. Caratteristica
invece propria del Golden
Retriver: cane da ricerca, riporto, lavoro, compagnia ed
antenato di un cane da circo,
dolce e paziente con i bambini e gli altri cani, giocherellone, premuroso, tranquillo ed
ubbidiente, è la perfezione
fatta cane. A trovargli un difetto, è trooooooppo buono!
Altro cane dolcissimo ed affettuoso è il Setter Inglese,
ama l’aria aperta e scorrazzare nei parchi, forse è un po’
turbolento: il Setter è un cane
da ferma, ma non lo sa. Uno
tra i cani più diffusi nelle famiglie è il Labrador Retriver,
buono, paziente ed anche ottimo cane da lavoro. Ha bisogno di molto esercizio e non
è il cane più pulito del mondo:
bava e pelo vanno messi in
conto. Con le rosicchiature
all’arredamento. Ma il suo
bellissimo muso ed il suo carattere giocherellone sapranno farvi dimenticare tutto. E
come il Labrador, anche l’Epagneul Breton è perfetto per
la vita con i bambini: giocherellone ma delicato, è molto
attivo e quindi indicato per la
vita in campagna, ma anche
in città, con lunghe passeggiate e corse al parco, vive
tranquillamente. Da cucciolo
potrà sembrarvi un po’ turbolento, ed ha bisogno di essere trattato con fermezza, ma
non con severità: infatti reagisce male ai rimproveri troppo
energici. Altri due cani piccoli
ma attivi sono il Beagle ed
il Jack Russel: entrambi, a
differenza del Breton, sono
poco adatti ai bambini piccoli,
in casa tendono a combinare
guai, non amano seguire i comandi ed, essendo nati per la
caccia, hanno la tendenza a
scappare.
Ma l’aspetto pratico è solo
un’infinitesima parte dei mo-
tivi per cui prendere un cane.
Infatti, adottare uno di questi
splendidi animali è innanzitutto un gesto d’amore, e
prima di comprarne uno bisognerebbe passare prima da
un canile: come si dice spesso, per ogni cane acquistato,
c’è ne uno che muore solo
ed abbandonato. Ed anche
la maggior parte dei ragazzi
che chiedono insistentemente un quattrozampe ai propri
genitori dicendo che saranno
loro ad occuparsene e la sua
presenza non darà alcun fastidi, dovrebbero sapere che
non si tratta di una scelta individuale, ma comunitaria: il
cane è legato al nucleo familiare e quindi devono essere
tutti a prendersene cura indistintamente. Quindi guardatevi dal fare questa scelta
in modo superficiale, perché,
per quanto può sempre cambiare famiglia non riuscirebbe
ad adattarsi completamente.
Ma nonostante tutti i problemi che può creare, vivere
con un cane dona a tutti una
gioia ed una serenità unica,
la sua presenza riesce, se
accompagnata da tanto amore, a legare tutti e riscaldare
il clima familiare. Ed anche
le personalità più fredde ed
ostili messe davanti alla sua
presenza riusciranno a sciogliersi.
Asia Iurlo III I
7
LA RUBRICA DEL COLIBRI’
Cari skacchisti, sono felice di far parte anche
quest’anno della redazione
( vi assicuro gente molto
figa!). A parte questo, che
spero incuriosisca qualcuno a partecipare alle prossime riunioni, vi rinfresco
la memoria sulla fiaba indiana da cui prende spunto
questa rubrica: Scoppia un
incendio nella foresta e tutti
gli animali fuggono dalla
parte opposta al fuoco. Tutti
tranne un piccolo colibrì
che porta nel becco una
goccia d’acqua. –“Cosa
credi di fare?” gli chiede il
leone, “Vuoi fermare il fuoco da solo?” –“No” risponde
il colibrì, “Ma faccio la mia
parte!”
E’ poprio così, la saggezza
orientale ci fa riflettere su
come ognuno di noi, in
quanto studente, debba
fare la propria parte.Non
ci si può limitare alla fase
dell’apprendimento delle diverse materie scolastiche.
Teniamo bene a mente che
la nostra scuola apre il portone anche fuori dell’orario
scolastico. Assemblee plenarie, riunioni del Collettivo
Studentesco, della Redazione….. sono aperte a tutti
, non bruciamoci queste
opportunità di iniziative
che possono portare a un
miglioramento delle nostre
condizioni proprio grazie al
vostro contributo. Recentemente parlando con una
ex-rappresentante d’Istituto
mi ha confidato le sue perplessità dicendomi, con
non poca delusione, : “Allo
Scacchi tira una brutta aria!
“ I suoi timori non sono del
tutto infondati. Vanno via i
8
nostri punti di riferimento e
ci sembra, come ogni anno,
che nuovi i leader non abbiano
lo spessore dei
precedenti. La politica non
ha fatto nulla per noi (né la
destra né la sinistra) e quindi cominciamo a non fidarci
più di nessuno. Siamo delusi, ma questo è un motivo in
più per scendere in piazza
agli assessori o agli amministratori comunali. In
questo primo numero del
nuovo anno scolastico mi
voglio però allontanare
dalla realtà del nostro territorio per raccontavi la mia
esperienza “interculturale
“ dell’estate appena trascorsa.
Dovete sapere che esiste
ed esprimere il nostro dissenso. Dobbiamo cercare
di essere più numerosi alle
manifestazioni e non utilizzare quel giorno per il giro
in centro (tanto Zara ed
H&M rimangono sempre lì,
non si spostano…) mentre
più partecipazione al corteo farebbe la differenza ,
considerando che rispetto
alle altre scuole, gli studenti
dello Scacchi sono sempre
in numero inferiore.
Non so se vi ricordate nei
giornalini precedenti ho
affrontato temi di attualità (ambiente , condizione
della donna ) cercando di
avere uno sguardo attento
alla nostra città. Inoltre, per
stabilire un collegamento
tra il mondo della scuola e
quello della politica, non
sono mancate interviste
un paese molto lontano…
in America centrale… dove
tutti sono felici… un insieme di razze e culture in
un paradiso naturale dove
si respira un’aria diversa...
dove la classe sociale non
è determinata dalla disponibilità economica ma
dal livello d’istruzione…
c’è un’equa distribuzione
della richezza e quindi
un’uguaglianza di opportunità… studiare significa
gettare le basi per un futuro migliore… lo spreco e
il lusso sono considerati socialmente inaccettabili…le
università sono immense,
sembrano delle città in cui
studenti e professori dispongono di mense e biblioteche... andare a teatro
costa pochissimo (meno di
un dollaro)… No ragazzi!
Questa non è una favola:
esiste davvero ed è il Costarica.
I ticos come si definiscno i
costaricensi vivono la vita
con molta semplicità (filosofia del Pura Vida). Infatti solo da qualche anno
stanno vivendo un discreto
benessere economico.Pur
non mancando criminalità
e altre problematiche, politicamente hanno deciso
di investire sull’ambiente
e sull’istruzione, tagliando
spese come quelle militari.
Questa decisione la si deve
a un personaggio mitico
dell’America Centrale Josè
Figueres Ferrer detto Don
Pepe. Un rivoluzionario
che, dopo aver combattuto
contro la dittatura, vinta la
guerra civile, ha lasciato un
segno profondo nella storia
del paese. Si racconta che
servendosi di una mazza,
salendo su una scala, colpì
simbolicamente il muro della Caserma che si trova a
San José, capitale del Costa Rica. Da quel 1 dicembre
del 1948 quella caserma fu
donata all’Università che
la trasformò in un Museo
Nazionale. Quindi da oltre 60 anni hanno abolito
l’esercito e non avendo più
le spese militari nei loro bilanci, quei fondi vengono
i destinati all’istruzione. La
pace per loro non è un obiettivo generico ma un programma che viene svolto
nella Scuola, nell’Università
…un valore radicato nella
loro cultura.
Se pensiamo che ogni
giorno nel mondo si spendono 4 miliardi di dollari
per mantenere gli eserciti e
In Europa ci sono 27 paesi
che hanno 27 eserciti ci
rendiamo conto che siamo
molto lontani dal considerare la Pace come un modo
per risolvere i conflitti.
Possiamo dire di essere
la prima generazione che
può vedere le immagini di
conflitti in tv o su internet
e sappiamo bene che lo
spettro della guerra non
è solo una minaccia per
nazioni lontane. La storia
ci insegna che se ci sono
missili o bombe atomiche
nascosti da qualche parte
non resteranno fermi per
troppo tempo. Non possiamo stare a guardare, affidandoci al buon senso di
chi sembra non abbia nulla da perdere. Si dovrebbe
cominciare ad eliminare gli
eserciti e puntare su una
diplomazia
permanente
che possa trovare con
il dialogo delle soluzioni
pacifiche. Sia ben chiaro
che ‘diplomazia’ non è
stipulare accordi di amicizia con i dittatori, accoglierli nelle tende con centinaia di donne… per poi
decidere di partecipare ai
bombardamenti
proprio
quando una popolazione
giovane e istruita si ribella
ad un regime spietato! Per
arrivare alla libertà quei
ribelli hanno dovuto utilizzare i kalashnikov e le
immagini del video sulla
morte di Gheddafi, con il
volto insanguinato, testimoniano il fallimento totale dell’ONU che poteva
intervenire diversamente.
Sappiamo tutti che anche se l’Italia nella Costituzione ripudia la guerra,
nella realtà partecipa alle
“missioni di pace“ dove
si spara, si uccide e si
muore. I motivi? Ridimensionare la minaccia del
terrorismo internazionale
a cui segue il dovere etico
di non abbandonare la popolazione a un inevitabile
destino di guerra civile.
Tradotto in parole povere
c’impicciamo solo di alcune guerre perché dietro
le quinte di quelle azioni
militari operano le Banche
globali, Wall Street, i colossi del petrolio… mentre esistono tante altre
guerre dimenticate poiché da quelle terre non è
possibile ricavarne nulla.
Riuscire a diffondere una
cultura di pace deve essere l’impegno di tutti. Non
possiamo accettare che
una mobilitazione come
quella degli “indignati” si
trasformi in guerriglia per
colpa di chi ha deciso di
esprimere il proprio disagio
solo attraverso la violenza.
D’altra parte nessuno può
dimenticare la strage di
Oslo di quest’estate. Centinaia di adolescenti vittime di un mostro, di un
folle che fino ad un momento prima della carneficina sembrava ‘normale’
e insospettabile. Ricordo
che proprio quel giorno ho
partrecipato a un incontro
con tutti gli studenti di Intercultura. I volontari, alla
notizia di ciò che era accaduto, avevano sguardi
agghiaccianti. Tutti noi ci
siamo sentiti dei miracolati
poiché esattamente come
quei ragazzi condividevamo ideali democratici , di
accoglienza e di pace. Ed
è soprattutto contro quei
valori e quei principi che
ha scaricato la sua mitragliatrice.
xenofobia , il razzismo e
le ideologie fondate sulla
paura dell’immigrazione
sono frutto di un grande
male: l’ignoranza. Dobbiamo smetterla di continuare
a discriminare le persone
per l’estrazione sociale, il
colore della pelle, come
si vestono, dove abitano
e che fanno i loro i genitori. Cominciamo a rivolgere a noi stessi appelli
di pace,di accoglienza e
di tolleranza. Secondo un
proverbio cinese è come
se ognuno di noi andasse
a dormire ogni notte con
una tigre accanto. Non
si può sapere se al risveglio vorrà leccarci o
sbranarci. E’una metafora
perché quella tigre siamo
noi stessi che dobbiamo
sforzarci di combattere
quello che gli americani
chiamano il nostro dark
side, il lato oscuro della
nostra personalità che può
essere più negativo delle
più pericolose delle compagnie se non ci impegnamo costantemente ad
essere migliori.
Riagganciandomi al discorso degli studenti che
fanno la loro parte voglio
segnalare che non sono
stati pochi gli scacchisti che hanno partecipato
alla Marcia della Pace di
Assisi del 13 Ottobre. È il
segnale dell’entusiasmo
e della motivazione che
contraddistuono da sempre il nostro liceo.
La scuola deve essere
l’occasione e il luogo per
far comprendere che la
Adriana Di Rienzo III B
9
Dietro una scatoletta
‘’ Il tonno in scatola è uno
dei prodotti più apprezzati
sulle tavole italiane. In
media, circa 20 milioni di
famiglie ne acquistano 1
kg o più 7 volte l’anno, per
un totale di 140 milioni di
tonnellate l’anno. Tuttavia
in pochi sanno che la
specie più consumata,
quella
“pinna
gialla”
(Thunnus Albacares) ,
che proviene dall’Oceano
Indiano, sta subendo
una decimazione sempre
maggiore, e anche se la
situazione al momento
non è disastrosa, fra
pochi anni lo sarà. La
causa principale di questo
fenomeno è da ricercare
nei metodi di pesca più
utilizzati dalle compagnie
alimentari:
il
metodo
FAD (Fish Aggregating
Device) e il metodo “a
palamiti”. Il primo consiste
nel
concentrare
una
grande quantità di pesci in
un’area ristretta attirandola
semplicemente con lunghi
tubi calati in mare, che
vengono visualizzati come
riparo dai predatori. Mentre
i tonni raggiungono il FAD,
i pescatori li possono
accerchiare con vaste
reti per poi caricarli sulla
nave; il secondo consiste
invece nell’utilizzo di una
lunghissima lenza (di 35
km o più) che presenta ad
intervalli regolari altre più
corte terminanti con gli ami
e le esche. Il complesso,
palamito appunto, viene
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ritirato
dopo
mezza
giornata di cala in mare,
apportando
un
gran
numero di tonni.
Fin qui niente di male. Però
c’è un problema: questi
metodi non consentono
di effettuare distinzioni
tra i target da catturare
ed altri animali marini, e
dunque, assieme a tonni
adulti, vengono pescati
anche tonni giovani, che
avrebbero dovuto invece
sostituire
i
“genitori”
per assicurare il futuro
della specie. In questo
modo si ha un inevitabile
esaurimento dello stock
di tonno sfruttato, e lo
dimostrano i dati: dei
23 stock utilizzati per la
pesca commerciale, 9
sono stati completamente
consumati, 4 vi sono
prossimi, 3 sono sovra
sfruttati, 3 molto sfruttati
e 3 a rischio di estinzione.
Ma la storia non finisce
qui. Non è solo il tonno
ad essere catturato in
questa
maniera,
ma
anche una serie di specie
accessorie (bycatch) tra le
quali diverse sono in via
d’estinzione e denominate
come protette, tipo la
tartaruga liuto, diminuita
del 95% o la tartaruga
caretta, diminuita dell’
85%, e come i tre quarti
delle specie marine di
squali e mante.
Cosa si cela allora dietro
una normale scatoletta di
tonno, se non un sistema
economico basato sullo
sfruttamento delle risorse
fino all’esaurimento e
destinato al fallimento? Il
problema è che, così come
le compagnie petrolifere
non chiuderanno fino ad
aver estratto sino all’ultima
goccia di petrolio, così le
industrie alimentari non si
fermeranno finché non sarà
stato ucciso l’ultimo tonno.
Ma abbiamo una chance
per evitare tutto questo. Il
successo di un’industria
è dato dal successo che
la sua merce riscuote nel
mercato, quindi, in quanto
consumatori, abbiamo il
potere di dare credito o
meno ad un determinato
prodotto,
e
quindi,
indirettamente, di dare
difficoltà al suo produttore,
che sarà costretto a
rivedere le sue strategie
di vendita per avere più
consenso. Per concludere,
se ognuno impara a
responsabilizzare
le
proprie scelte d’acquisto,
preferendo in questo caso,
marchi più eco-sostenibili
di altri 3, e se ognuno rende
responsabile
almeno
un’altra persona, qualsiasi
catena, anche la più salda,
dovrà venire incontro
alle nostre esigenze.
Solo così si può riuscire
a salvare molte specie
dall’estinzione, e impedire
che l’uomo aggiunga un
altro graffio al volto della
nostra storia.
Daniele Catacchio III I
Informazione relativa
- Martedì 11/09 2001:
attentato
alle
torri
gemelle, New York
- Venerdì 17/12 2004:
divieto di fumo nei locali
pubblici in Italia
- Giovedì 04/04 2009:
rilevamento di quantità
oltre la norma di
mercurio nelle acque del
bresciano
- Martedì 20/04 2010:
circa 1 miliardo di
litri si riversano nelle
acque
dell’Atlantico
per l’esplosione di una
piattaforma della British
Petroleum
- Sabato 06/11 2010:
crollo della Domus
Gladiatori a Pompei.
Quelli che ho citato
sopra
sono
eventi
mondiali o nazionali
che ci interessano più o
meno tutti.
Peccato che uno di essi
non sia mai accaduto (il
terzo)!! Eppure, quanti si
sono accorti dell’errore?
Questo fa capire quanto
sia facile per i mass
media trasmetterci false
informazioni:
spesso
giornali e TV ci mostrano
notizie manipolate, o di
parte, o semplicemente
infondate. Le cause
principali sono molteplici:
c’è chi produce false
informazioni
o
le
spettacolarizza
per
aumentare l’audience,
e di conseguenza il
profitto
finanziario;
c’è chi pubblica falsi
articoli per negligenza
e mancata verifica
dell’esattezza dei fatti;
c’è ancora chi lo fa per
screditare (o favorire)
avversari (o compagni)
politici, o per difendere il
proprio profilo pubblico,
come nel caso delle
frodi finanziarie da parte
delle industrie.
E’
sufficiente
fare
zapping tra un TG e
l’altro oppure sfogliare
due
giornali
di
fazioni opposte per
accorgersene.
Ma
neanche
i
normali
programmi
televisivi
fanno eccezione. Un
esempio clamoroso (tra
quelli che sono stati resi
noti) è quello di Forum,
in cui in una puntata,
la signora Marina Villa,
dietro
pagamento
dell’azienda di quella
rete, si finse cittadina
aquilana e descrisse
l’ottima (falsa) ripresa
della città terremotata
dopo l’aiuto da parte del.
Gli Aquilani stessi hanno
denunciato l’accaduto,
cosicché la società
emittente ha dovuto
pagare una multa salata.
Alla luce di ciò, risulta
importantissimo diffidare
della Televisione, di chi
rimane sul vago e non
fornisce dati con cui
tutti possono effettuare
una verifica; è ancora
importante
informarsi
sulla posizione politica
dei vari giornalisti per
sapere da che ottica sono
descritti i fatti. Bisogna
quindi direzionarsi su
un metodo informativo
sempre
critico,
completo e autonomo,
e
indipendente
da
singole
testate
o
emittenti. L’informazione
è lo strumento che ci
consente di prendere
correttamente scelte di
ampia portata, che ci
permette di controllare
l’operato di chi costituisce
ruoli-chiave
nel
funzionato dello Stato,
che elimina le distanze
spaziali e permette
di
essere
cittadini
partecipativi sulle grandi
distanze,
finanche
a livello nazionale.
L’informazione
in
definitiva
ci
rende
liberi e non schiavi
dell’ignoranza;
e
per questo, bisogna
sapersi difendere da
chi fa un’informazione,
relativa.
Daniele Catacchio III I
11
Teatro in Aula Magna
INTERVISTA AD UN ATTORE BARESE: ALESSANDRO PARISE
(‘ROMEO E GIULIETTA’ PER ATTORE SOLO E PIANOFORTE)
Noi “scacchisti” abbiamo
la fortuna di frequentare
un liceo particolarmente
sensibile a iniziative che
contribuiscono alla nostra formazione culturale
non soltanto attraverso
l’apprendimento delle materie scolastiche. Infatti
rappresentazioni teatrali,
concerti, eventi culturali,
presentazioni di libri, ci
permettono di allargare i
nostri orizzonti e devo dire
che, grazie al suo spettacolo “Romeo e Giulietta”,
abbiamo potuto vivere
un’esperienza, un momento di arricchimento.
-Quando ha scoperto
la sua passione per la
recitazione? Secondo
lei, per essere un bravo
attore è più importante
il talento “istintivo” o
comunque si possono
raggiungere ottimi risultati con studio e applicazione? Che ricordo
ha del primo provino?
Non ho impiegato molto
a scoprire la mia passione per la recitazione. E’
stato al liceo, proprio nella scuola in cui siete voi
adesso. E’ stato il Prof.
Tiengo a farmela scoprire. Il prof. Tiengo era un
eccentrico
professore
di filosofia della sezione
M che per la prima volta
nella mia vita mi ha fatto
12
capire chi ero e quello che
davvero volevo fare nella
vita. Non so se lui si sia
mai reso conto del favore
che mi ha reso. Probabilmente, come dice Daniel
Pennac in “Diario di Scuola” mi ha salvato la vita
inconsapevolmente, mettendo al sicuro una volta
per sempre i miei sogni
e le mie aspirazioni. Non
era un mio docente, bensì
un supplente che venne a
fare lezione nella nostra
classe (1a C) per una volta sola. Mi fece leggere un
passo del “Giulio Cesare”
di Shakespeare e mi disse che avevo una faccia
da antico romano. Da allora non mi ha più mollato
e mi ha fatto recitare per
un anno con ragazzi di 5°
liceo della sua sezione.
Quel suo darmi importanza come nessun altro
professore aveva fatto
fino ad allora mi ha dato
un obbiettivo che ho portato avanti con dedizione
instancabile.
Il talento è fondamentale
in questo mestiere e su
quello c’è poco da discutere, deve esserci a priori,
come il carisma e la presenza scenica ma questo non basta a fare un
attore con la A maiuscola. Lo studio e la tecnica
sono indispensabili per
creare struttura e crescere nel tempo. Credo profondamente nel fatto che
un attore sia tale solo se
appassionato, motivato,
affamato di cultura, di curiosità e di ardente desiderio di aggiungere sempre nuovi tasselli alla sua
formazione. Il mio grande
maestro Paolo Ferrari mi
disse una volta “la recitazione è un tarlo che deve
scavarti il cervello. Se ti
senti “arrivato” e non provi più emozioni nel salire
su un palcoscenico devi
abbandonare questo mestiere”. Queste parole le
ho scolpite dentro di me. Il
mio primo provino è stato
per l’ingresso in Accademia, con la Mazzamauro
(più conosciuta come signorina Silvani in Fantozzi), attrice straordinaria
quanto difficile caratterialmente, che mi è rimasta
nel cuore nel bene e nel
male per le sue crude verità. Lei, una volta mi fece
un complimento meraviglioso, paragonandomi al
nuovo Gassman. Portai
una poesia studiata tempo prima, quando ancora
studiavo a Bari in vari laboratori teatrali: “Il viaggio” di Baudelaire.
- La maggiorparte dei
talent show ci mostra
come bisogna essere
artisti a trecentossanta gradi: si deve saper
ballare, cantare e recitare. C’è forse il rischio di
non specializzarsi in un
settore specifico? Ha
mai pensato di parteci-
pare a un Musical, Cinema o fare delle fiction in
TV?
Il rischio dei talent show
non è tanto quello di non
specializzarsi ma di essere profondamente illusi
dalla gigantesca macchina dello spettacolo
televisivo. La stragrande maggioranza di quelli
che partecipano ai talent
rimangono
nell’ombra
dopo essere stati spremuti a dovere per il successo di una trasmissione, il
più delle volte banale e
priva di contenuti. Credo
che non siano un buon
insegnamento perché lasciano intendere che il
mondo dello spettacolo è
alla portata di tutti e che
si può stare sotto i riflettori anche senza avere
una grande preparazione
alle spalle. Di ragazzi con
buone potenzialità ce ne
sono tanti ma come ho
già detto per rimanere
sulla cresta dell’onda non
basta il talento, bisogna
essere dotati anche di
una forte personalità per
non essere schiacciati dai
meccanismi fallati del nostro sistema.
Non ho mai pensato di
partecipare ad un musical
ma mi ci sono ritrovato in
seguito ad un provino (Il
mago di Oz in cui facevo
il Leone). Ho fatto diverse
commedie musicali e mi
sono molto divertito. Non
amo molto il Musical italiano perché non fa parte
della nostra tradizione teatrale, ragion per cui non
reggiamo il confronto con
i nostri vicini di casa inglesi. In Inghilterra come
in America esistono delle
scuole molto serie dove
gli attori vengono preparati a tutto tondo e sono
semplicemente straordinari in tutto. In Italia mancano strutture adeguate in
questo senso e i risultati si
vedono. Prendi il musical
Notre Dame, che forse è
stato quello di maggior
successo. I cantanti, in linea di massima erano tremendamente piatti nella
recitazione cantata e non
sapevano usare il corpo.
Mi sono annoiato quando
l’ho visto, pur avendo degli
amici all’interno del cast.
Musical come “Il fantasma
dell’opera”, “Billy Elliot”,
“Lion King”! “Wicked” e
altri realizzati in Inghilterra hanno proprio un’altra
energia e i cantanti sono
attori straordinari. Il cine-
ma e la televisione oggi sono dei
linguaggi completamente diversi
dal teatro. Nel
periodo del neorealismo erano gli
attori di teatro che
facevano cinema,
oggi gli attori di teatro hanno troppa
struttura e quindi
non possono affiancare “i termosifoni sfiatati” che
fanno parte della
televisione e del
cinema. Sono rari
i casi di attori di
teatro che si affermano nel cinema.
Uno di questi è
Tony Servillo: ci sono voluti trent’anni di teatro e un
regista straordinario (oggi
protagonista del cinema
americano: Paolo Sorrentino) per farlo diventare un
personaggio noto. Questo
ti può far capire in che paese assurdo vviamo.
Ad ogni modo ho fatto delle cose in tv, nel cinema e
in pubblicità. Qualche settimana fa ho fatto un provino per un film di Mariasole Tognazzi con Valeria
Golino.
-Durante lo spettacolo
eravamo molto attenti e coinvolti dal testo
e dalla sua magistrale
capacità interpretativa.
Nello sfondo non c’erano particolari scenografie. Questa è una scelta
ben precisa o dettata
dal fatto che la rappresentazione è avvenuta a
scuola e non su un palcoscenico?
Le ragioni di una sceno-
grafia essenziale sono
molteplici.
Prima di tutto c’era la necessità registica di Paolo
Panaro di non dare importanza alla scena quanto alla parola, essendo il
teatro shakesperiano un
teatro di parola, in cui la
scena tendenzialmente è
vuota. Parola che sostituiva gli ambienti anche nelle
scritte, quasi fossero delle
insegne stradali. Il teatro
in cui venivano rappresentate le opere di Shakespeare era il Globe di Londra
(distrutto in un incendio e
oggi ricostruito sul modello del teatro originale) che
era meraviglioso nella sua
essenzialità e semplicità. Oggi non si affida più
nulla alla bellezza delle
parole, che stanno diventando degli involucri privi
di significato. Le parole
vengono usate in modo
inapproriato e non c’è più
il gusto di volerle pasteggiare. Perché? Il maestro
Lavia direbbe che viviamo
nella postmodernità che
è caratterizzata dal rifiuto
decaduto delle parole. Gli
attori, al contrario, dovrebbero sempre stare sull’avamposto della lingua. Gli
attori di teatro fanno una
doppia fatica perché devono imparare a parlare in
maniera pulita e corretta e
successivamente devono
riuscire a smontare quella perfezione nel linguaggio per risultare il più veri
possibile.
In secondo luogo ci sono
senza dubbio delle esigenze di natura tecnica: quando si porta uno
spettacolo in vari spazi
teatrali bisogna far sì che
la scena sia agile, per
facilitarne il trasporto e
per adattarla a tutti i contesti dai più piccoli ai più
grandi. Questa scena si
prestava perfettamente
per questa esigenza. Tieni presente, inoltre, che il
più delle volte le strutture scolastiche non sono
dotate di impianti elettrici
adeguati alle luci teatrali,
perciò le luci devono essere pensate anche in relazione a questo per non
creare troppo assorbimento sull’impianto. L’arte
dell’attore non consiste
solo nel salire sul palco e
interpretare un ruolo ma
anche (ed è questo il vero
lavoro dell’attore) nel concertare tutto anche in rapporto alle condizioni che
variano di volta in volta.
Altra motivazione è legata
alla necessità dell’attore
solo, che deve interpretare tanti ruoli, di potersi
muovere in uno spazio
vuoto per ricreare con
originale creatività le situazioni dello spettacolo.
Oggi siamo bombardati di
immagini di altissimo livello di definizione, ma nessuna di quelle immagini
può emozionare un cuore
più di un testo così straordinario.
-Nello spettacolo a cui
abbiamo assistito lei
ha interpretato tutti i
personaggi dell’opera
Shakespeariana.. Come
riesce a immedesimarsi
in ognuno di loro, cambiando in pochissimo
tempo voce, registro linguistico, atteggiamenti?
E quale tra tutti è il suo
personaggio preferito?
13
Ci riesco con molta dedizione, concentrazione,
esercizio fisico e vocale.
Quando si fanno tante
prove si acquisiscono degli automatismi che consentono in fase di spettacolo di emozionarsi e
di sorprendersi continuamente per svariati fattori
contingenti e per le diverse reazioni del pubblico.
Il pubblico partecipa allo
spettacolo e diventa protagonista insieme all’attore sulla scena. Tra il pubblico e l’attore in scena si
instaura un dialogo silente
che può essere magico
ma a volte può diventare
sterile se il pubblico non
è preparato ad accogliere
l’attore che gli para davanti.
Sono molto affezionato al
personaggio di Mercuzio,
che nel suo essere totale,
abbraccia tutte le sfumature dei sentimenti. Si dice
che rappresenti la penna
di Shakespeare ha molto
divertito lavorare sulla Balia, personaggio che non
avrei mai interpretato in
un allestimento tradizionale.
-Non le nascondo che
alla fine dello spettacolo
c’è sembrata una crudeltà dover tornare con
i piedi per terra per calarci nella nostra epoca.
Oggi accade che l’amore si confonde spesso
con l’infatuazione e difficilmente ci si sente l’unico oggetto del desiderio. Anche per lei questo
sentimento è soltanto
un continuo macerarsi?
Io vivo di sogni e l’ho
sempre fatto e nonostante
le continue difficoltà del-
14
la vita, mi butto anima e
corpo in tutti i progetti che
faccio. Lo stesso è per
l’amore: non mi risparmio
mai. Ma come tutti gli innamorati ho sofferto e
ho fatto soffrire. Tutti vorrebbero vivere una storia
d’amore come Romeo
e Giulietta (ovviamente senza il finale tragico)
e molti tra adolescenti e
adulti arrivano ad amare
follemente, annullandosi
anche nell’altro. Fa parte
del gioco e non si può evitare, anche se si versano
lacrime amare nella sofferenza. Serve a rafforzarsi,
a corazzarsi e a parare
meglio i colpi con il passare del tempo. Quando
poi si guarda indietro a
quegli amori, si guarda
anche con il sorriso sulle
labbra e con tenerezza.
L’importante è andare
avanti e non fermarsi ad
un punto, intestardendosi
con un amore assurdo,
solo per il gusto di farsi
male. Come direbbe Mercuzio: “Il mondo è pieno
di bellezza” e io aggiungo
che se smetti di cercare,
la trovi nei posti più impensati, magari alla girata dell’angolo. Nella vita
l’importante è non mettere i paraocchi e lasciarsi andare. Oggi guardo
all’amore con molta più
responsabilità e rispetto a
10 anni fa ho fatto tesoro
delle esperienze vissute.
-Sarà sicuramente al
corrente di come noi
studenti scendiamo in
piazza per protestare
contro i tagli all’istruzione. Lottiamo perché
non c’è niente di più
importante della cultura nel nostro Paese. Su
questo punto si ha il
dovere d’investire, non
di tagliare. Per quanto
riguarda il vostro settore, il governo e in particolare la nostra regione
dà spazio e incoraggia
con finanziamenti le
compagnie teatrali pugliesi?
La crisi è dilagante e gli
aiuti sono scarsi. Il potere
è sempre in mano a pochi
eletti e forse sarà sempre
così. Personalmente non
ho mai avuto contatti con
la regione Puglia perché
non ti nascondo che è un
po’ blindata nelle sue posizioni e non ho paura a
dirlo. Questo non è un paese molto attento ai giovani e anche il mondo del
teatro è gestito dai baroni
che sono arrocati nelle
loro frteze inespugnabili e
non si sbilanciano molto a
favorire il ricambio generazionale. Bisogna essere
bravi a farsi notare, a distinguersi artisticamente
in qualche modo, nella
speranza che qualcuno
si renda conto delle tue
qualità. Molti non ce la
fanno anche se talentuosi. La mia esperienze personale con il pubblico per
quanto riguarda Bari non
è stata molto confortante. Ho chiesto sostegno
al Comune di Bari ma la
risposta è stata negativa
per mancanza di fondi.
Ho dovuto ricorrere al sostegno di aiuti privati per
finanziare i miei spettacoli
e lì non nascondo che c’è
stata più voglia di mettersi in gioco rispetto al
pubblico. Spero di poter
continuare a investire sul
nostro territorio che soffre
un bel po’ artisticamente.
Non mi vanto di fare un
teatro migliore di altre realtà territoriali ma a volte
ho la sensazione che gli
artisti locali siano un po’
annoiati e appesantiti dal-
la situazione oggettiva.
Le difficoltà ci sono ed
è difficile sostenerle ma
non bisogna neanche sedersi e stare a guardare.
Credo che in Puglia, per
certi aspetti, non abbiano ancora capito che la
cultura è fonte di ricchezza. In fondo, non c’è bisogno necessariamente
di grossi mezzi per fare
spettacoli di qualità, basta
essere creativi. L’importante è sensibilizzare la
gente che forse non è più
molto allenata a reggere
certe forme di cultura. Noi
giovani dobbiamo sudare
tanto per ottenere dei risultati soddisfacenti e gratificanti; l’importante è non
farsi fagocitare nelle stesse logiche di potere fallate
che stanno portando alla
rovina del nostro meraviglioso paese.
-Quali sono i suoi futuri progetti? Continuerà
a recitare da solo o le
manca la vivacità del lavoro di gruppo?
Come ho già detto, rispondendo ad altri ragazzi, recitare solo e in compagnia è completamente
diverso. Stare solo su un
palco ti consente di essere molto più consapevole dei tuoi mezzi. Se sei
solo e c’è un problema,
una difficoltà, un errore
non hai nessun appiglio,
devi cavartela con le tue
energia e non hai scuse.
Un po’ come nella vita, se
ti capita di non poter far
affidamento su nessuno,
sorprendentemente
tiri
fuori una carica che probabilemente non pensavi
di avere. Questo è fondamentale per capire più a
fondo te stesso. Tutti gli
attori dovrebbero, prima
o poi, fare un’esperienza
del genere, per crescere.
Non tutti hanno il coraggio
di fare questo salto, che è
oggettivamente rischioso.
Lavorare in compagnia ti
consente di fare leva anche sull’energia dei tuoi
compagni e di metterti in
condivisione con loro. Anche il lavoro di gruppo ha
i suoi contro. Se un anello
del gruppo è debole, si rischia di trascinare a fondo
tutta la baracca.
Il bello dello stare in compagnia è la compartecipazione dei sentimenti e delle emozioni e se vogliamo
anche la vita di camerino,
che a volte diventa uno
spettacolo più bello dello
spettacolo stesso. Il dietro le quinte ha un fascino
che non è speigabile a chi
non fa questo mestiere.
Le attese prima di entrare
in scena ti lasciano dentro
una sensazione unica, impressa nella tua memoria
per sempre. Uno spettacolo si può dimenticare,
quello che accade in quinta non si dimentica mai.
In cantiere ci sono tanti
progetti. Mi piacerebbe
portare in scena qualcosa
di veramente nuovo, non
solo come testo ma come
messa in scena. Mi piacerebbe mettere in scena
opere di Pinter che in Italia
non è molto conosciuto;
mi piacerebbe continuare
a fare spettacoli musicali; mi piacerebbe portare
in scena dei “noir”, degli
horror; non voglio fare dei
musical ma mi piacerebbe
utilizzare una cantante in
scena; voglio continuare
a fare grandi classici ma
vorrei investirli di una luce
completamente
diversa; vorrei...e farò di tutto
per continuare a portare
avanti i miei progetti.
è capitato spesso di avere
a che fare con ragazzi che
volevano fare gli attori ma
che non avevano dentro il
“fuoco” per farlo. Purtroppo, ripeto, la televisione
in questo è un pessimo
riferimento e il più delle
volte lascia intendere che
si possa arrivare anche
senza sacrifici. E’ vero!
Succede ma chi arriva al
successo senza sudore
difficilmente rimane sulla
cresta dell’onda per tanto
tempo.
Adriana Di Rienzo III B
-Cosa consiglierebbe a
uno studente che volesse intraprendere il suo
tipo di carriera? Quali
sono i primi passi da
compiere?
Sicuramente di non ascoltare le voci delle persone
che lo circondano che il
più delle volte saranno
disfattiste. Gli consiglierei di essere realmente
sicuro di avere la giusta
motivazione e il giusto
mordente per affrontare
questo percorso indubbiamente arduo. Inizierei
a fare delle esperienze di
stage, come ho fatto all’inizio della mia carriera,
per verificare le mie effettive attitudini al mestiere.
Gli consiglierei, ove possibile, di trasferirsi a Roma
per avere una formazione solida o ancor più di
andare all’estero dove ci
sono ottime scuole (Londra, prima fra tutte anche
per imparare a recitare in
inglese). Gli consiglierei
di fare tutti i test di ingresso nelle varie accademie
pubbliche italiane (Silvio
d’Amico- Roma, Stabile
di Genova, Piccolo- Milano, Galante Garrone- Bologna, Stabile di Torino,
Paolo Grassi- Milano). Gli
consiglierei di evitare tutte
le costellazioni di scuolette che danno formazioni
scarse e che spillano solo
tanti soldi, senza garantire degli sbocchi lavorativi.
Questi test di ingresso
alle accademie pubbliche
possono essere già una
verifica per capire se c’è
della stoffa attoriale.
Non
necessariamente,
però, le scuole pubbliche
fanno centro. Ci sono tanti
attori che si sono affermati
anche al di fuori degli stabili e che non hanno fatto
percorsi tradizionali. Questi attori, però, avevano
una grande motivazione
e una forte personalità:
questi due aspetti sono
fondamentali per affermarsi in questo mondo. Mi
15
Eventi che passione!
Un
angolo
di
dolcezza nella nostra
città.
Passeggiando
e
curiosando
per
le vie del centro
non possiamo fare
ameno
di
notare
quanti
cambiamenti
interessanti
stiano
caratterizzando
in
modo considerevole la
figura e la realtà stessa
della nostra città in
questi ultimi mesi. Per
esempio camminando
in via Calefati, una
sera di inizio autunno,
in buona compagnia,
mi sono imbattuta
davanti ad una vetrina
piccola e graziosa,
contornata da colori
molto soft quali rosa,
lilla e bianco, e la
cui insegna diceva
“Cake design”. Attirata
dall’estetica piacevole
che
mi
aveva
trasmesso di primo
impatto il negozio,e
spinta da un’innata
curiosità,
assieme
alle mie amiche decisi
di entrare, per poter
capire meglio ciò di cui
il negozio si occupava.
Al suo interno c’erano
torte per occasioni
speciali,
decorate
16
artisticamente; dolci
americani;
liquirizie
rosse
americane;
scaffali
venivano
riposte
con
cura
tazze,
pirottini,
tovaglioli,
piattini,
che
raffiguravano
teneri dolcetti e altre
cose particolarmente
graziose, ed infine
il “piatto forte” del
negozio, una serie di
cupcakes, con colori
e gusti differenti e per
l’esattezza uno più
invitante dell’altro!
I cupcakes appunto,
sono dei piccoli dolci
monoporzione,
nati
degli USA. Vengono
preparati in pirottini
di carta o in formine
di alluminio. Sono
decorati con glassa
colorata e con svariate
caramelline
dalle
forme più tenere o
particolari.
Cake design è nato
nel mese di settembre,
dalla
giovane
pasticciera
Giusy
Verni, che ha studiato
pasticceria in America,
accanto ad alcune
delle più famose cake
decorator del mondo.
Giusy realizza torte
e dolcetti, donando
ad ognuna delle sue
creazioni
tutta
la
sua vena artistica, e
il suo amore per la
decorazione creativa.
Cake design, quindi
è un piccolo paradiso
fatto
di
zucchero
e dolcezza, in cui
chiunque può staccare
dalla monotonia di una
giornata di lavoro o di
studio, vivendo ogni
volta un momento di
pausa rilassante, per
risollevarvi il morale
non vi resta quindi che
stoppare tutto per un
attimo e concedervi
un
cupcakes
dal
gusto che si avvicina
maggiormente
alla
vostra personalità. In
modo da riprendere
la vostra vita con un
dolce sorriso sulle
labbra!
Leny III A
Innatismo vs Empirismo..voi da che parte state?
Come tutti gli studenti
del terzo anno abbiamo iniziato lo studio
della filosofia. Caratterialmente mi dicono
che sono ”una che pensa troppo“ . Non c’è da
meravigliarsi quindi se,
dopo solo due mesi di
approccio a questa nuova materia scolastica,
ho aggiunto altri dubbi
alle mie già poche certezze. Non so se accade
anche a voi ma, proprio
quando ti stai convincendo che quel “pensatore” stia per darti quel
concetto fondamentale
che farà parte per sempre del tuo bagaglio e
della tua personale filosofia di vita… Ecco che
ne viene fuori un altro
che smentisce, con una
serie di argomentazioni, il punto di vista precedente ed è davvero
complicato schierarsi
con uno o con l’altro.
Per rendervi sadicamente partecipi delle
mie elucubrazioni mentali procedo con questo
approfondimento, sperando di non annoiarvi
troppo. In filosofia INNATISMO è la teoria
in base alla quale una
persona, già al momen-
to della nascita, possie- nell’inconscio. Dunque conoscenze innate. Dode conoscenze (nozio- noi tutti avremmo una vrebbe essere sufficienni, concetti…) che non conoscenza innata che te un semplice lampo
di genio, un flash, per
ricordare quelle materie
che a volte è così difficile che entrino nella nostra testa. Invece,
dobbiamo faticare non
poco per memorizzare, sperimentando di
volta in volta diversi
metodi di studio (lettura, sottolineatura, ripetizione, schemi…) La
MAIEUTICA definita
come “l’arte dell’ostetricia“ dovrebbe essere adottata più spesso
vengono apprese me- però con l’esperiendagli insegnanti e fare
diante l’esperienza. Se- za diventa un’idea più
come Socrate che non
condo l’EMPIRISMO consapevole. Sostengoinculcava nella mente
invece è fondamentale no, infatti, che conodei suoi interlocutori
l’esperienza per cui non scere significa “ricordale proprie idee ma aiuesistono
conoscenze re“: il ricordo avviene
tava i discepoli a far
precostituite. Come ho in forma intuitiva, per
partorire le loro verità.
già detto prendere una lampi improvvisi. OvMolti prof, purtroppo
posizione,
schierarsi viamente non si può neper noi, non prendono
con una o con l’altra, gare che per arrivare a
spunto da questo filonon è affatto sempli- ricordare gioca un ruolo
sofo… Vogliono sapere
ce, anche perché ana- importante, perché fa
unicamente la loro “velizzando attentamente da stimolo, la perceziorità” (che poi è quella
ci sono elementi che ne sensibile. Prendendo
dei libri) dando poco
possono supportare sia spunto dal lavoro che
spazio all’interpretaziol’una che l’altra teoria. noi studenti svolgiamo
ne personale che ognuPer i filosofi dell’inna- quotidianamente, cioè
no di noi può dare alle
tismo (Socrate e Plato- acquisire conoscenze
conoscenze che acquine) il sapere è presente attraverso l’apprendisiamo studiando. Anzi,
in forma latente nella mento, mi piacerebbe
nostra anima, ovvero pensare di avere delle
17
non so se accade anche
a voi, se abbiamo delle reminescenze risulta ancora più difficile
l’apprendimento. Sembra che questi ricordi
vaghi di studi passati
non facciano altro che
confondere l’acquisizione del nuovo sapere.
Quindi, per assurdo, se
è vero che abbiamo delle conoscenze innate,
dobbiamo impegnarci
maggiormente nel liberarcene soprattutto nel
caso in cui fossero errate e non coincidessero con ciò che ci viene
richiesto. E’ pur vero
che se si trattasse invece
18
di conoscenze corrette
arriveremmo con uno
sforzo mentale inferiore, ad elaborare pensieri
e conclusioni giuste ed
esatte, ben valutate dai
nostri docenti. A favore dell’innatismo sono
tutti coloro convinti ad
esempio che i bambini
imparino con maggiore
rapidità le lingue perché hanno delle strutture grammaticali innate.
Mentre a favore degli
empiristi c’è stato un
recente studio sui comportamenti umani che
ha dimostrato che il
neonato piange al pianto di un altro bambino.
Da qui la conclusione
che si nasce empatici e
sensibili mentre l’ambiente esterno modifica
spesso questi buoni sentimenti. Se pensiamo a
quanto incide il legame
di sangue nei ragazzi
adottati o nel comportamento dei gemelli (che
anche quando la vita li
divide c’è qualcosa che
li attrae inevitabilmente) si dovrebbe giungere alla conclusione
che non è l’ambiente
in cui viviamo ma il
patrimonio genetico a
determinare il comportamento dell’individuo.
Anche per i figli d’arte
ci rendiamo conto che
spesso i talenti vengono
tramandati nel DNA.
Inoltre mi vengono in
mente le serie televisive
tipo “Criminal Minds”
in cui l’FBI dispone di
personale specializzato espertissimo
che
riesce a risolvere casi
quasi impossibili proprio studiando la personalità dei serial killer.
Non viene trascurato neanche il minimo
dettaglio, si procede a
tracciare il profilo psicologico osservando la
famiglia, l’ambiente, le
esperienze di vita e gli
eventuali i traumi infantili che potrebbero
aver portato a diventare appunto delle menti
criminali. In questi casi
appare spesso evidente
come c’è una predisposizione genetica all’aggressività o alla violenza. Quindi sosteniamo
gli
empiristi (come
Aristotele) secondo i
quali il comportamento
dell’uomo è solo il risultato dell’esperienza e
dell’ambiente e neghiamo l’esistenza di conoscenze precostituite o
innate? Non è possibile
però negare l’esistenza
di un codice genetico
che ci viene tramandato
dai nostri genitori che
sicuramente influisce
su tutte le esperienze
successive. Concludo
con una domanda: saranno quindi, le conoscenze derivate dall’esperienza diretta che si
aggiungeranno a quelle
innate a determinare i
nostri comportamenti?
Adriana Di Rienzo III
B
Le ricette made in Bari (e dintorni)
Noi “piccoli” giornalisti frequentanti da
poco il liceo scientifico Scacchi abbiamo
deciso di scrivere un
articolo riguardante la cucina nostrana tipica della città
di Bari. Il capoluogo
pugliese non è solo
un porto molto importante che si affaccia sul mar Adriatico
consentendo scambi
commerciali, ma anche una città ricca dal
punto di vista sia culturale che culinario.
Oggi vi parleremo
delle ricette tipiche
baresi tramandate di
generazione in generazione. Le due pietanze definite “povere e di strade” ma che
riescono a catturare
anche il gusto dei palati più fini sono la
sgagliozza e la popizza. Non si può visitare la città di Bari, i
monumenti, il centro
storico… senza aver
assaggiato una sgagliozza! La popizza
è una frittellina sferica di farina bianca
preparata anche con
lievito, un po' di zucchero, olio di semi
o, più preferibilmente, di oliva e sale. La
sgagliozza, invece,
si presenta come un
quadratino di polenta gialla realizzata
esclusivamente con
polenta e acqua. La
“strana coppia” viene poi fatta friggere
per qualche minuto
nell'olio bollente e
servita calda. Nonostante abbiano acquisito un posto fisso nei
ristoranti e pub sotto
la voce di “antipasti”,
il fascino e il gusto di
questi prodotti sta anche nel fatto di cucinarlo “come si faceva
una volta”.
E come si fa tuttora:
nel Borgo Antico,
specie nelle piazze e
sul Lungomare, sono
presenti dei piccoli chioschetti gestiti magnificamente a
conduzione familiare
da signore del posto,
le quali portano avanti fiere ed orgogliose la tradizionale
vendita delle popizze e delle sgagliozze
in cartocci di carta,
a bassissimo costo, e
dal gusto strepitoso e
sconvolgente!!!
Nonostante le popizze e sgagliozze
abbiano avuto larga
diffusione in tutto il
mondo coinvolgendo molti paesi e città
di tutto il territorio
non solo italiano solo
quelle donne sono e
rimarranno le maestre per eccellenza di
questi due favolosi
piatti, perché sono le
uniche a poter mettere, in quell'olio bollente, la tradizione.
Vito De Carne &
Michele Annoscia
19
La Belle Verte
“La belle verte”, o “Il
pianeta verde”, è forse
un titolo poco provocante per un film, ma
cela dietro di se un
racconto davvero curioso: dopo 200 anni
dall’ultima visita sulla Terra, gli abitanti
di un altro pianeta – il
Pianeta Verde appunto- accettano di spedire in esplorazione
Mila (Coline Serrau)
per verificare a che
stadio evolutivo si
trovano gli umani del
ventunesimo secolo.
20
Vestita in abiti napoleonici, e pensando
di finire in un’epoca
ancora “imperiale”, la
protagonista si ritrova
invece catapultata in
un mondo diametralmente opposto al suo,
pieno di caos, rumore,
diffidenza e superficialità, nella Parigi
contemporanea; totalmente disorientata, prova i primi goffi approcci verso una
cultura retrograda, in
cui esiste ancora la
moneta, si mangia
carne e si deturpa la
natura. L’unica arma
che possiede contro
l’ottusità moderna è
un “software” mentale, che “disconnette” gli umani dal loro
pensiero e li riporta ad
un maggior contatto
con la natura e ad una
maggiore sincerità,
con se e col mondo:
chi si ferma per strada
e lancia via le scarpe,
chi si abbraccia a un
albero, chi getta via i
dolci vecchi di 3 settimane in vendita nel
suo negozio…
In questa avventura
Mila farà anche amicizia con un medico,
che da uomo profondamente cinico cambia totalmente, e avrà
modo di ricongiungersi coi suoi figli che
hanno cercato di raggiungerla ma sono finiti nel deserto australiano. Qui un gruppo
di aborigeni analfabeti da un duro colpo
ai paesi “sviluppati”
mostrando, all’opposto di questi ultimi,
una grande accoglienza e umanità, nonostante la mancanza di
qualsiasi proprietà.
Questo film di Serrau
pone dunque al moderno mondo industrializzato, con la comicità della visione di
uno “straniero”, una
critica che fa riflettere
col sorriso su temi da
non sottovalutare.
Daniele Catacchio
Questo bacio vada al mondo intero!
Dalla penna di Colum
McCann nasce un filo
teso tra le Twin Tower,
sul quale si articolano le
storie di Corrigan, monaco che cerca il suo Dio in
Terra, Ciaran, suo fratello, che non riesce a comprenderlo ma lo segue
ciecamente, Lara, che
rinuncia ad una vita di
fama ed eccessi per trovare l’amore, Tillie, prostituta del Bronx schiacciata dalla realtà, Gloria,
discendente di schiavi
che tenta di riscattarsi
e finisce per perdere i
suoi figli rimanendo sola
all’undicesimo piano di
un appartamento anche
lei nel Bronx, Claire,
che condivide il dolore
di Gloria in un attico di
Park Avenue, Solomon,
marito di Claire, giudice
che si rassegna a non poter applicare la legge. E
questo in una New York
incantata dall’equilibrista Philippe Petit, una
New York che nonostante tutto continua ad
inseguire i propri scopi
senza guardarsi intorno,
una New York dove tutti
sono vittime, la maggior
parte anche carnefici.
Sono storie ai margini,
di sconfitti o apparenti
vincitori, in cui riesce a
rialzarsi solo chi ha una
fortissima volontà: quella di Corrigan è messa in
crisi dall’arrivo improvviso delle passioni, quella di Lara dalla presa di
coscienza di ciò che è
diventata la sua esistenza e dalla sua paura
dell’amore, quella di Tillie è schiacciata dall’incapacità di imporsi la
sua volontà e salvare la
propria figlia… ed ancora: Ciaran non riesce a
salvare il fratello, Gloria
non riesce a realizzarsi
e cerca di espiare i suoi
dolorosi fallimenti adottando le nipotine di Tillie, Claire lo fa legandosi
in una profonda, colpevole, amicizia con Gloria, Solomon si lascia
sconfiggere dal non poter applicare come vorrebbe la giustizia, e, nel
tentare, finisce per fallire totalmente. Chiude
questa carrellata di vinti
Jaslyn, nipote di Tillie,
che nell’incubo di poter
essere riconosciuta come
figlia di una prostituta,
riuscirà ad accettare l’idea delle due madri, riuscirà ad mettere in atto
la volontà di Claire, riuscirà a gratificare la memoria di Corrigan in suo
fratello Ciaran. Il bacio
che va al mondo intero è
la splendida esecuzione
del funambolo, che comunica la forza di compiere imprese stupende
pur stando al limite, in
equilibrio su un cavo,
quel cavo a sua volta
formato da minuscoli fili
di acciaio, intrecciati tra
loro in un incastro perfetto dove si colloca sia
la maglia psicologica dei
vari personaggi sia quella delle loro storie.
Questa è la recensione
del libro vincitore del
premio
Grinzane-Cavour 2011, sezione “Il
Germoglio”. La nostra
scuola è stata selezionata insieme ad altre sei in
Italia per comporre una
giuria di 12 ragazzi che
hanno decretato il vincitore. Martina Loiodice,
4^ B, è andata in rappresentanza della nostra
scuola a Torino per la
premiazione finale.
Asia Iurlo III I
21
Inizio del campionato
Il 10 Settembre ricomincia la stagione
della Serie A, dopo
tre mesi di lunga e
travagliata attesa: la
prima giornata è saltata per uno sciopero
dei calciatori, contrari al pagamento
di una tassa imposta
dalla FIGC. L’accordo è stato poi trovato
nel giro di una settimana, mentre dopo
due la prima categoria del calcio italiano
è partita con grandi
aspettative sia da
parte dei tifosi, che
dei calciatori e, soprattutto, dei nuovi
22
allenatori. Una fra le
tante novità è l’assenza di una squadra
favorita, al contrario
dell’anno precedente, dove il Milan, con
una campagna acquisti da sogno, aveva fatto capire che il
campionato era già
nella sua bacheca.
Invece questo anno
abbiamo la sorpresa
Juventina del nuovo allenatore Conte
(arrivato dal Siena
neopromosso in A),
abbiamo l’Inter che,
nonostante una partenza non delle migliori ed un allenatore esonerato può
essere una delle tante
pretendenti al titolo,
così come il Napoli
di Mazzarri, che già
alla terza giornata
batte per 3-0 il Milan
campione d’Italia.
Un’altra squadra che
ha iniziato il campionato più combattiva che mai è l’Udinese di Guidolin
che, anche se con il
morale a pezzi per
l’uscita, non meritata, dalla Champions
League, cercherà di
concentrarsi sul nostro campionato. Ma
come dimenticare la
Roma di Louis Enrique che, comprando
Bojan, Stekelenburg
e la stella argentina
Lamela,
potrebbe
seriamente dar fastidio alle big, così
come l’altra romana, la Lazio, che si
è rafforzata con gli
acquisti del portiere
della Nazionale Marchetti, dell’attaccante francese Cissè e
dell’ex bomber del
Bayer Monaco, Klose. Solo il 13 Maggio
sapremo chi diventerà campione d’Italia,
chi andrà in Champions (tre squadre,
e non quattro come
l’anno scorso) e chi
retrocederà, l’unica
cosa che possiamo
fare è aspettare, e
sperare di vedere un
gran campionato.
Gabriella Mancone I O
Basket4life
Una parola. Sei lettere. Mille emozioni.
Sarà pure una frase
fatta, ma questo sport
è difficile da descrivere meglio di così.
Sapete, l’Italia, purtroppo per noi cestisti, non è il paese migliore perché si segue
per lo più il calcio, e
così il basket passa
in secondo piano, ma
credo che almeno una
volta nella vita bisogna giocarci una partita, per le emozioni
che ti da, per quella
sensazione stupenda
che si prova quando
la nostra vita, quel-
la palla arancione da
700 grammi, entra
nel canestro!!
Gli avversari sono
tali solo nei 40 minuti
di gioco, ma alla fine
una stretta di mano,
qualche complimento
e una pizza insieme
ci sta sempre. Il basket, a mia opinione,
è stato anche lo sport
che ha permesso a noi
neri di poterci esprimere, visto che tempo
fa ci era vietato praticare qualsiasi sport,
ma il basket, nato in
America, ha permesso a quella gente di
poter contare qualco-
sa, di potersi divertire
e provare emozioni
tutti i giorni… Credo
che il basket sia stato
il primo sport ad aprire i propri parquet e
campetti provinciali
alle persone di colore
che man mano sono
diventati padroni e
migliori giocatori di
questo sport, basti
pensare che in NBA,
il campionato più famoso al mondo, il 70
per cento dei giocatori è di colore!
Ma a parte tutti questi
dati che impoveriscono la bellezza di questo sport antico, ma
anche così moderno,
c’è da dire che, almeno personalmente, noi, la squadra,
i compagni e l’allenatore tutti insieme
formiamo una stupenda famiglia dove
crescere e divertirsi,
e credo che questo
è possibile in pochi
sport… E sono fiero
che il basket sia tra
questi.
In conclusione vorrei
fare un appello proponendo di far reintegrare una squadra
di pallacanestro della nostra scuola e nel
torneo scolastico perché obiettivamente è
una bella esperienza
da vivere durante la
nostra breve ed intensa vita da liceali!
Fabio Morghese
23
You was my best friend.
We were young and genuine,
We don’t matter about the world,
Together we were invincible
There weren’t girls or questions
Bigger than our relation
We were happy and
I loved you my friend.
Do you remember when we used to shine?
We have talked for hours,
Slipped together,
We used to dream our common future
Do you remember when we used to be friend?
We have laughed for days
Played guitars together,
We used to think our band be famous.
Why don’t you remember?
Please remember...
We used to love each other.
You leave me years ago,
I can’t already imagine my life without you.
You have faded out,
You are not my friend anymore,
You are not in my band anymore,
You are not in my life anymore,
I wish you are happy with your new life,
‘cause you are so very special,
When I can stay with you I feel fine
But is only an illusion,
You will fade out again.
Goodbye my dear friend.
I think you are dead forever.
I love you.
Anonimo
24
La luce è soffusa
il cielo riflette,
mentre il mormorio
di vicine presenze
è solo inutile ronzio,
mille pensieri e desideri
di genti lontane
riunite sotto un tetto comune
di simil ma varie speranze.
Ho cercato una stella
come vana sicurezza
ho cercato una stella
come vana conferma
ho cercato una stella
infondendo speranza
ad un sogno che mi turba.
Ti ho cercata in un cielo
la cosa più bella del mondo
mai bella quanto te
ai miei occhi illusi
di trovare te in una stella
che scivolando via
sparge la luminosa polvere
del mio vano sentire
che mai si avvererà.
E’ caduta una stella
tutti l’hann vista
all’infuori di me.
Gaetano Capriati
Ariete: l’ affinità con la
luna in questo periodo
vi permetterà di sfondare nel campo lavorativo, ma fate attenzione
alla salute, sono sempre
possibili ricadute. In
amore .. male … molto
molto male! si consiglia
di essere più socievoli e
meno cocciuti .
Toro: prendete possesso della vostra vita , non
lasciate che gli altri decidano per voi in nessun
ambito e situazione .
Marte nella prima decade vi protegge e vi aiuta
. Fate molta attenzione,
non fidatevi del Leone.
schedine , ma Venere
vi è contraria. Brutte
discussioni in famiglia
con i fratelli . SI consiglia di mantenere la calma .
scampagnate in montagna. Venere contraria.
Acquario: Nettuno vi
gestisce e voi obbedite
. Sbattuti in un mare in
tempesta nell’ ambito
lavorativo e sentimentale . Riuscite a far valere
poca esperienza , ogni
le vostre opinioni solo
errore potrebbe essere
coni pesci che vi vivocruciale
no vicino.
Cancro: Bene in amore , ma la salute non è
buona e potrebbe condizionare il lavoro. SI
consiglia di consultare
urgentemente un buon
Bilancia: Mercurio e
medico, prima che la
Saturno , entrambi nella
soluzione diventi tropseconda decade, esercipo grave .
teranno forze opposte
su di voi. Ma voi non
Leone: riceverete innudemordete, troverete il
merevoli consigli sbagiusto equilibrio.
gliati che potrebbero
causarvi delle sofferenScorpione: evitate batze, ma non fateci caso .
tute pungenti con il
Tagliate la testa al Toro
partner , potrebbe offene fate quello che riterredersi. State calmi e non
te giusto . Gli amici caavvelenatevi, potrebbe
piranno la vostra scelta.
rimetterci al salute.
Pesci: ribellatevi alle
imposizioni e non
ascoltate l’ Acquario.
Allontanatevi e navigate in mari aperti . Liberi
di sognare. Plutone vi
Sagittario : saturno al- aiuta e vi sostiene.
lineato con Urano, che
interferisce con Giove
, influenzato da Marte
vi dicono di fare attenzione alla salute e fare M&M… gli oroscopisti preferiti !
attenzione ai denti. Fare
attenzione alle frecciatiVergine: Venere final- ne del partner.
mente favorevole , vi
darà una bella spinta in Capricorno: Nettuno e
Gemelli : la fortuna vi amore . Molta attenzio- Plutone vi tormentano.
sorride , vincite facili ne in ambito lavorativo Forti dolori muscolari
per quanto riguarda le , anche a causa della e articolari. Si consiglia
l’ insalate e alcune sane
25
Ecco
cosa
ci
riservano
le
collezioni autunno/
inverno 11/12
Nuove
stagioni,
nuovo
armadio,
nuova moda.
Come per ogni
periodo e ogni
stagione, gli stilisti
sulle
passerelle
più in voga delle
più
importanti
città del mondo,
26
ci propongono le
loro nuove idee
riguardo a ciò che
potremmo portare
nella
prossima
stagione.
Per quanto riguarda
la
collezione
autunno/inverno
di
quest’anno,
notiamo
per
esempio
un
cambiamento
di
forma nei tacchi.
Assumono forme
a banana, o si
allargano verso il
basso, riprendendo
quel che era il tacco
a Mary Jane usato
negli anni ’60.
E proprio dagli
anni
’60
trae
ispirazione Prada,
mettendo in risalto
le linee spesse e le
fantasie tipiche di
quel decennio. Ma
non è l’unica firma
che, come spesso
accade, riutilizza
in chiave moderna
quel che è un
mood usato in un
decennio passato,
rendendolo attuale,
ma sempre con
quell’allure vintage
che attrae e non
passa
mai
di
moda. Infatti Just
Cavalli firma una
linea sobria ma
ricercata, in cui
mette il suo tocco
di personalità nelle
scarpe, proprio le
fantomatiche Mary
Jane.
Valentino
invece
resta sempre bon
ton nel suo stile,
preferendo il pizzo
in colori basici come
il nero, o più soft e
sobri come il rosso
sbiadito o le varianti
del
marrone.
Versace punta la
sua vena femminile
nelle scarpe: stivali
stringati fino sopra
con tacco alto, e
aperti in punta,
reinterpretando
appunto la visione
classica
dello
stivale che tutti noi
conosciamo.
Vuitton dal suo
canto
delinea
invece una donna
forte e autoritaria,
con un sapore
vintage
portato
dalle divise con
gonne a vita alta
che si fermano
all’altezza
del
ginocchio, bottoni
grandi
e
scuri
cuciti sulle camicie
bianche, ed infine,
come
tocco
di
classe in più, una
visiera che si lega
con un nastrino
sotto il volto.
Ma la collezione
più frizzante ed
energica, dai colori
fluo che richiamano
nettamente lo stile
pop, è quella che
ha sfilato sulla
passerella di D&G.
Tutta la linea è
caratterizzata da
scritte su sfondi
dai colori accesi,
e ai piedi di ogni
modella
possiamo notare
delle
sneakers
molto simili a delle
Converse, ma con
rialzo in zeppa,
rivisitando quindi
una delle scarpe più
classiche e usate di
tutti i tempi.
Generalmente
si
nota che i cappotti
diventano oversize,
arrivando fino ai
piedi. Il montgomery
invece
rimane
sempre un must
intramontabile,
donando a chi lo
indossa un’aria chic
in più. Le pellicce
persistono,
dai
colori basici quali
il nero, il bianco e
il marrone, fino ad
arrivare al rosso,
o a colori più tenui
e romantici come
nella nuova linea
“Philosophy”
di
Alberta
Ferretti.
Anche le cappe
vengono rivalutate
si, ma in maniera
contemporanea,
diventando
il
nuovo capospalla
elegante nel nostro
armadio. I dress
rimangono sempre
un pezzo unico
nel guardaroba di
chiunque
voglia
cambiare
total
look in un solo
gesto, rivestendosi
di pizzo, dettagli
luminosi o disegni
simmetrici. Come
nella
scorsa
stagione tornano
gli abiti lunghi, più
comunemente in
velo, dai colori
sensuali e lascivi.
Uno stile che viene
rivalutato molto è
sicuramente quello
bon ton, che ormai
è diventato un
passepartout, e sta
bene soprattutto a
chi ha dei linementi
dolci.
Se volete dare un
tocco più allegro e
luminoso a questa
stagione cupa e
fredda, sbizzarritevi
con i maglioni: vi
tengono al caldo, e
potete sceglierli con
fantasie a quadri,
o tinta unica, o
argentati o dorati,
che
sicuramente
d o n e r a n n o
lucentezza
nel
vostro outfit. Le
camicie possono
essere classiche
o eclettiche, ma
ricordatevi di farle
risaltare con dei
colletti particolari,
che
possono
essere la nuova
alternativa ad una
collana. Diventano
rigidi e di metallo,
o possono portare
inserti di pizzo,
o
altre
varie
applicazioni.
Volete
avere
un tocco in più
seguendo
le
nuove tendenze?
Vestitevi di stelle,
fantasia snake o
metallizzata, sono
i new must della
stagione! E se vi
piacciono le clucth
con curve colorate,
date
un’occhiata
alla nuova linea
“Macarons
bag”
di
Kenzo
by
Antonio
Marras,
sicuramente
catturerà la vostra
attenzione!
Leny III A
27
A cura di Davide Giannella V C
Gioco 1. *
Posto che
1+1=A
2+2=B
3+3=C
4+4=D … e così via
Tradurre con il minore numero di lettere l’espressione 7+1
Attenzione, non è da tradurre 8, ma 7+1 e ogni numero deve essere costituito minimo da una lettera.
Es. 6=A+B
Gioco 2.
*
Quanti occhi vedete complessivamente tu e un uomo con un occhio solo in una stanza in cui oltre
a voi ci sono 5 persone?
Gioco 3.
***
Determinare qual è il numero celato dalla X
7-76-765-7654-76543-765432-7654321-76543210-X
Gioco 4.
**
Determinare qual è il numero celato dalla X
0-0-1-2-4-7-12-20-33-X
Gioco 5.
***
Ci sono tre statue parlanti, un’Aquila, un Leone, una Tartaruga. Una di esse dice sempre il falso.
Bisogna stabilire l’attendibilità delle affermazioni delle statue e quindi capire in quale di queste
statue è contenuta la chiave per uscire dalla stanza in cui siete (la statua che afferma il VERO indicherà la vera posizione della chiave).
AQUILA: Se affermassi di dire il vero, direi una bugia. La chiave è nel LEONE.
28
LEONE: Se sotto fosse sopra e ogni numero il doppio di ciò che è davvero, io avrei 8 zampe sopra
il mio corpo e 2 criniere sopra la testa. La chiave è nella TARTARUGA.
TARTARUGA: Se un uomo portasse in una valle un sasso al giorno e un altro uomo a partire dal secondo giorno incluso gliene sottraesse uno al giorno dalla valle un giorno sì e uno no, il primo uomo
avrebbe accumulato 15 sassi in 29 giorni. La chiave è nell’AQUILA.
Dov’è la chiave?
Gioco 6.
*
7 persone salgono e scendono una scala 9 volte ciascuna (9 salite e 9 discese), salendo complessivamente 1890 gradini. Quanti gradini ha la scala?
Gioco 7
**
Un uomo è chiuso in un labirinto, del quale tenta di trovare l’uscita. Fortunatamente, però, al suo
interno, ha trovato a terra un foglio con sopra scritte indicazioni riguardo l’uscita, lasciate da qualche
prigioniero precedente, che è riuscito ad evadere. Grazie a quelle istruzioni sarà certamente in grado
di stabilire quale sia l’uscita? Se sì, quale? L’uomo parte dalla zona contrassegnata dal puntino nero.
Foglio delle indicazioni
Mappa Labirinto
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30
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La storia dello Scacchi siamo noi
(e i nostri murales)
Direttrici
A partire dal muro di Berlino,che dagli anni ‘80 iniziò a essere ‘tela
bianca’ per migliaia di artisti provenienti da tutto il mondo e che
con la fine della separazione tra est e ovest ha visto nascere la East Paola Dabbicco VC
Side Gallery,unico pezzo di muro sopravvissuto,lungo 1km e noto Angela Casavola VB
per essere la ‘più grande galleria all’aperto del mondo’; passando
per Banksy,famoso writer di cui l’identità è ignota,il quale ha graffiato i muri di moltissime città europee,da Londra a Napoli (murales
Redazione
che hanno per protagonisti dame settecentesche con l’aggiunta di
maschere a gas o topi provvisti di bombetta e bastone da passeggi) Adriana Di Rienzo IIIB
e infine arrivando al nostro cortile interno della scuola,dove ogni
Asia Iurlo III I
anno in occasione della Giornata dell’Arte si ripropongono murales
Gaetano Capriati VC
diversi,variando temi e colori,ecco nascere il Murales,graffito che
Roberta Pagano III D
ha assunto col tempo valore sociale ed estetico,libera espressione
Michele Rosamilia V M
del volere dell’artista e di ciò che vuol comunicare.
Marilù Rainò IV A
E allora perchè sono bastate semplici pennellate di blu al seconSonia Ragno V E
do e primo piano per cancellare la storia dello Scacchi,coprendo
Leny III A
definitivamente i murales che si mostravano fieri e possenti sullo
spiazzo alla fine dei corridoi?Ormai lì da tempo,non facevano male Antonella Recchia V I
a nessuno: poveri innocenti,illuminavano e rendevano meno cupa
la giornata tipo dello studente che ha appena ricevuto il suo 4 in
matematica.Il vecchio Giallo tenue è stato brutalmente sconfitto
dal Signore Blu Oscuro: la sua fine era inevitabile.
Hanno collaborato
Ok,forse esagero,i muri della scuola avevano bisogno di essere per questo numero
ripuliti,troppe orme di piedi e scritte inutili,ma da qui a cancellare
Francescopaolo
una parte degli studenti passa un oceano: nonostante questo sia un
Lopez - Daniele
liceo scientifico e non un istituto d’arte,la libera espressione degli
Catacchio - Fabio
studenti è necessaria,anche all’interno delle mura scolastiche.
Morghese - Ga
Con la speranza che durante la Giornata dell’Arte di quest’anno pobriella Mancone tremo vedere writers che si aggirano per la scuola,con in mano bomVito De Carne - Mibolette colorate,pronti a ridar vita ai graffiti che non ci sono più.
Paola Dabbicco V C
chele Annoscia Marco Miani
Simona VendemiaDavide Giannella
Redaskakkinostri@
libero.it
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mandateci i vostri articoli,
riflessioni, compiti
in classe, racconti,
esperienze, figuracce,
poesie, fumetti, giochi e
tutto quello che la vostra