La privacy violata dai call center pirata - Linkiesta.it

Transcript

La privacy violata dai call center pirata - Linkiesta.it
DOSSIER
PRIVATI DEL PRIVATO
La privacy violata dai call
center pirata
Da cinque a venti centesimi. Tanto valgono i nostri numeri
di telefono per i call center che ci chiamano. Ma non tutte le
liste di dati sono ottenute legalmente. Ci sono liste ufficiali
e non ufficiali
di Lidia Baratta
(Getty Images/ WPA Pool)
12 Marzo 2016 - 08:52
Cinque o sei centesimi per un numero di telefono fisso. Venti
centesimi per un numero di cellulare. Sono i prezzi dei nostri
nomi e cognomi che girano e rigirano nei cervelloni dei call
center, da cui partono in automatico le telefonate che ci
propongono qualunque cosa, dall’abbonamento della pay tv ai
depuratori per l’acqua. Le nostre identità di consumatori sono il
petrolio di un mercato forse poco conosciuto, fatto di aziende
che “producono” dati e altre che li comprano per fare marketing.
In questa catena di montaggio c’è chi si procura nomi e numeri
regolarmente, ma anche chi lo fa in modo illecito. Accanto alle
liste autorizzate, esiste un mercato nero di “liste non ufficiali”,
composte da dati acquisiti senza il consenso dei diretti
interessati. Dati che possono passare nelle mani dei call center,
che così violano la nostra privacy con telefonate indesiderate.
Il business dei dati personali: più sanno di te,
più vali
Il meccanismo funziona così: ci sono le aziende che forniscono
liste di numeri telefonici alle società che devono fare campagne
di telemarketing, le quali a loro volta le passano ai call center
interni o in outsourcing. Tra le aziende più grandi che forniscono
liste di dati in Italia, ci sono Consodata (gruppo Seat Pagine
Gialle) e Cemit (Mondadori). Poi, ce ne sono altre più piccole,
come Addressvitt, Elenchi Telefonici o Edipro.
Le società fornitrici di dati possono ottenere le liste di utenti da
fonti diverse. «La principale fonte sono gli elenchi telefonici,
costruiti tramite il database unico (Dbu), che raccoglie i numeri
dei clienti di tutti gli operatori telefonici che hanno dato il
consenso a comparire», spiega Fabrizio Vigo, amministratore
delegato di Consodata. «Per l’uso commerciale di questi dati non
è previsto il consenso degli interessati, ma è necessario
comunque verificare se negli elenchi ci siano nomi iscritti al
Registro delle opposizioni». Se un cliente chiede ad esempio una
lista di 10mila numeri per una certa campagna di telemarketing,
aziende come Consodata devono quindi prima filtrarla dai nomi
di chi ha chiesto di non ricevere più chiamate per scopi
commerciali o indagini di mercato. «Una volta “ripulita”»,
continua Vigo, «la lista dei numeri viene messa a disposizionde
del cliente per le proprie campagne per un certo periodo,
solitamente un mese». Una lista di dati, insomma, non viene
venduta per sempre: si tratta piuttosto di un noleggio.
Data Collection, online and offline (Source: Federal Trade Commission, “Data Brokers. A
Call for Transparency and Accountability”)
Poi ci sono liste composte dai nomi di chi ha messo la crocetta
sul consenso al trattamento dei dati personali per fini
commerciali. Cosa che avviene più spesso di quanto pensiamo,
anche se lo facciamo con leggerezza: quando sottoscriviamo una
carta fedeltà al supermercato, ad esempio; o ancora quando
facciamo un acquisto online, partecipiamo a un concorso sul web
o recensiamo un albergo. «In questo caso si tratta di dati
consensati, che comprendono non solo il telefono fisso ma
anche il numero di cellulare», spiega Vigo. «E spesso sono dati
profilati». Con informazioni aggiuntive come l’età e le abitudini di
acquisto. Ecco perché i prezzi salgono. «I dati consensati hanno
un costo per chi li acquista di circa 20 centesimi per singolo
dato», spiega Vigo. «I dati degli elenchi telefonici, che hanno
poche variabili di profilatura, se non il genere, la collocazione
territoriale e a volte la professione, costano circa un terzo o un
quarto».
Il Financial Times nel 2013 ha messo a punto un sistema per
calcolare il valore dei dati personali: i dati profilati di un
lavoratore del settore non profit valgono ad esempio 19
centesimi di dollaro circa; ma se dici di essere milionario il
prezzo sale a 30 centesimi.
Essere proprietari delle liste di dati di milioni di utenti,
chiaramente, è una ricchezza. E più dettagliati sono, più il valore
aumenta. Aziende come Consodata non solo sono titolari delle
liste, ma fanno anche da concessionarie per liste che
appartengono ad altri. «Fornendo ad esempio alle aziende i dati
di cui è titolare un sito di comparazione dei prezzi», spiega Vigo.
Una sorta di due diligence. «Ma anche su questi dati acquisiamo
le informative, per verificare che non ci siano violazioni della
privacy».
Il mercato nero delle liste non ufficiali
Fin qui come dovrebbe funzionare il mercato. Ma come accade in
molti settori, anche quello dei dati personali ha i suoi pirati. I
cosiddetti “sottoscalisti”, come li chiamano nel gergo del
settore. Ossia le aziende che producono e vendono liste non
autorizzate. In questi calderoni si trova di tutto. Non solo i nomi
degli iscritti al Registro delle opposizioni, che quindi non
dovrebbero essere contattati. Ma anche i numeri estratti
illegalmente dalle pagine personali di Facebook o Twitter, o da
altri siti, tramite software specifici che fanno web scraping, una
sorta di “pesca a strascico”. Niente fonti ufficiali, niente
consenso. E anche i prezzi di queste liste sono più bassi. Ecco
perché convengono.
Al Garante per la privacy, di recente, sono arrivate segnalazioni
di una società che diffondeva i dati di oltre 12,5 milioni di
persone, memorizzati automaticamente attraverso script in
grado di raccogliere qualsiasi informazione pubblicata online. E
ora si sta valutando l’applicazione di una sanzione amministrativa
contro la società.
«Esistono liste ufficiali e non ufficiali», racconta Alexandrah, ex
operatrice di call center. «Quando usavamo le liste non ufficiali, i
team leader ci istruivano su come comportarci. Se chiamavo
una persona iscritta al Registro delle opposizioni, dovevo far
finta di aver composto un altro numero. Quindi per esempio
chiedevo di una persona diversa ubicata nella stessa via, per cui il
numero avrebbe potuto essere simile». L’altra tecnica, per evitare
di essere beccati, è quella di telefonare da numeri anonimi,
mettendo giù quando chi risponde chiede spiegazioni sulla
chiamata. Una pratica, anche questa vietata, visto che chi fa la
telefonata pubblicitaria è obbligato a rendere visibile il numero in
entrata.
“
Quando usavamo le liste non ufficiali, i team leader ci istruivano
su come comportarci. Se chiamavo una persona iscritta al
Registro delle opposizioni, dovevo far finta di aver composto un
altro numero
Peggio ancora quando le chiamate sono mute. I numeri da
chiamare in un call center non vengono digitati a mano dagli
operatori, ma partono in automatico tramite un software.
L’operatore libero prende la chiamata in cuffia. Ma a volte, per
eliminare i tempi morti tra una telefonata e un’altra, dal
cervellone parte un numero di chiamate superiore a quello degli
operatori disponibili. Il malcapitato utente riceve una chiamata,
ma dall’altra parte non c’è nessuno. Una pratica commerciale che
in alcuni casi ha comportato il disturbo degli utenti anche per
10-15 volte di seguito, e che è stata vissuta spesso come una
forma di stalking, spiegano dal Garante. Che a fine 2014 ha
chiarito una serie di regole sulle chiamate mute, ma non le ha
vietate del tutto: ad esempio, non possono essere più di tre su
100 andate a buon fine, e non possono durare più di tre secondi.
Finché sulla questione a gennaio 2016 si è espressa anche la
Cassazione, che le ha definito “illegittime”.
In ogni caso, se c’è qualcuno dall’altra parte del telefono, chi
riceve la chiamata può chiedere all’operatore di call center di
non venire più ricontattato. Una volta fatta la richiesta, il nome
dovrebbe essere cancellato dalla lista. Almeno sulla carta. «Non
lo facevamo mai», racconta Alexandrah. «Se dicevano che non
volevano più essere disturbati, il nome si metteva comunque
nella lista dei “richiama più tardi”. Quindi rigirava ancora nel
sistema e veniva richiamato altre volte. Solo alla fine, dopo
innumerevoli no, il numero poteva essere cancellato. Ma era
molto raro, perché la lista la dovevi sfruttare all’infinito. Sulla
stessa lista si lavorava per quattro-cinque mesi».
“
Se dicevano che non volevano più essere disturbati, il nome si
metteva nella lista dei “richiama più tardi”. Quindi rigirava
ancora nel sistema e veniva richiamato altre volte. Solo alla fine,
dopo innumerevoli no, il numero poteva essere cancellato. Ma
era molto raro, perché la lista la dovevi sfruttare all’infinito
Il rischio per le società di call center è che l’utente che riceve
chiamate indesiderate faccia una segnalazione al Garante per la
privacy, che può comminare multe salate. A meno che la
chiamata non sia anonima. In caso di violazione accertata del
diritto di opposizione, si può applicare una sanzione da 10mila a
120mila euro. Dal 2011 al 31 dicembre 2015 sono state contestate
sanzioni per 2,6 milioni di euro. Ma evidentemente non fanno
così paura.
«Negli ultimi quattro mesi abbiamo ricevuto oltre 2mila
segnalazioni in merito alle pratiche di telemarketing», dicono dal
Garante. «Le principali lamentele si riferiscono a persone
contattate da numeri oscurati, di cui non si può verificare il
chiamante, persone contattate anche se iscritte al Registro
pubblico delle opposizioni, e persone che vengono contattate
anche se la loro numerazione è riservata, cioè non presente negli
elenchi pubblici». Questi due ultimi casi, però, precisano, «non
rivelano di per sé trattamenti illeciti poiché gli interessati
potrebbero aver autorizzato, magari senza averne piena
consapevolezza, l’uso dei propri dati per finalità di marketing a
un’altra azienda».
Un mercato che ha bisogno di più regole
In Italia esistono circa 2.500 call center, ma i più grandi non
sono più di 190. Per un fatturato di 1,2 miliardi di euro, che cresce
di anno in anno (nel 2015 è cresciuto del 2,4%). In questa galassia
di piccoli e grandi operatori, il caos regna sovrano. Tra
delocalizzazioni selvagge in Paesi che non rispettano le regole
sulla privacy italiane, contratti di lavoro irregolari e qualità dei
servizi che lascia sempre più a desiderare.
«Servirebbe un’azione regolatoria con leggi specifiche che
vengano anche applicate», dice Roberto Boggio, presidente di
Assocontact, l’associazione di categoria dei call center in
outsourcing aderente a Confindustria, che il 10 marzo 2016 ha
approvato proprio un “Codice etico contro le chiamate moleste”.
«Oggi in questo settore c’è un buon grado di autonomia che può
degenerare in anarchia. Quella dei dati è un’area in cui esiste
ancora molta incertezza tra cosa è lecito e cosa no. E in
quest’area pullulano le liste non autorizzate, con call center che
le regole se le sono fatte da soli».
Gli operatori (sani) del settore da qualche tempo stanno
chiedendo al Garante per la privacy un codice deontologico sul
telemarketing. Con una sorta di blacklist degli operatori che
fanno concorrenza sleale, anche acquisendo liste raccolte senza
rispettare le regole. Il codice al momento è in stand-by, in attesa
dell’annunciato regolamento europeo sulla privacy che dovrebbe
sostituire i codici nazionali.
Intanto, sul sito del Garante si trovano tutte le indicazioni utili
per opporsi alle telefonate commerciali invadenti, ma anche i
moduli per esercitare il diritto di accesso all’origine dei dati. Per
risalire, cioè, al “colpevole” che ha inserito il nostro nome,
cognome e numero di telefono nelle liste dei call canter. Anche
senza il nostro consenso.
Auto usate: le offerte top per fare
affari e risparmiare.
Sfoglia oltre 100.000 annunci e
risparmia su Subito.it
AutoScout24.it
Cerchi una bici?
Fino a 3.500€ di
vantaggi. Prezzi bloccati
fino al 31 marzo!
Gamma Abarth
SPONSORED
Sponsorizzato da shoppableit
Owl and Bird
22 € Il delitto di Luca Varani, peggio del
massacro del Circeo
Nell'omicidio romano di q...
Così Berlusconi vuole uscire di scena
Vendere quote di maggiora...
Il disastro Mediaset
Premium e il triste
declino delle tv di
Berlusconi
I 2 milioni di abbonati, ...
Sponsorizzato da