Aspettando le elezioni presidenziali (ballottaggio) del 18 maggio

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Aspettando le elezioni presidenziali (ballottaggio) del 18 maggio
Aspettando le elezioni presidenziali (ballottaggio)
del 18 maggio…
Una riflessione sul processo in Guinea-Bissau
Patricia Godinho Gomes
Le elezioni generali del 13 aprile 2014 in Guinea-Bissau sono state interpretate come il punto di
arrivo di un processo doloroso e complicato, realizzate al termine di due “lunghi” anni di
transizione che inizialmente dovevano servire a dare un nuovo volto al paese, una nuova faccia. Il
processo elettorale è stato caratterizzato da un’alta affluenza alle urne (80% circa che dimostra la
credibilità nel processo) e da uno straordinario senso civico. D’altra parte, nel corso del processo si
è verificato un dialogo aperto tra i candidati e l’elettorato, nell’ambito del quale ogni candidato ha
avuto l’opportunità di illustrare e discutere il proprio programma. Nello stesso modo, le
organizzazioni della società civile hanno accompagnato da vicino l’intero svolgimento, prima
durante e dopo il voto.
Il processo elettorale è probabilmente iniziato in seguito al golpe del 12 aprile 2012. La comunità
internazionale allora aveva preso una posizione chiara di condanna, adottando severe misure di
sanzione contro lo stato guineano e definendo i termini del periodo della transizione e delle nuove
elezioni. A livello interno si è creato un movimento di contestazione pubblica tra i vari settori della
società. Parallelamente, la diaspora guineana sparsa nel mondo ha assunto per la prima volta in
modo univoco una posizione altrettanto chiara di condanna al golpe: sono emersi movimenti per la
pace in Guinea-Bissau, sono stati scritti manifesti, sono stati realizzati incontri, seminari e
conferenze per dibattere sulla situazione politica e sociale del paese. Da questo momento la
cittadinanza ha capito che era arrivato il momento di partecipare in modo attivo nella riabilitazione
del sistema politico della Guinea-Bissau. Si è dato il via a un dibattito nazionale sull’utilità e
sull’efficacia di elezioni politiche e di una democrazia rappresentativa nel paese. Tutto ciò è
avvenuto in un ambiente di transizione che avrebbe dovuto durare un anno.
Questa transizione, per il suo percorso e le sue caratteristiche non ha reso possibile la
trasformazione del paese. Tre elementi sono importanti per comprendere questo evento:
innanzitutto, durante l’intero periodo di transizione, non vi è stata nessuna riforma sostanziale in
grado di apportare dei cambiamenti strutturali al paese (riforme che si attendevano da almeno tre
decenni) e, al tempo stesso, si è verificato un progressivo degrado politico e del tessuto sociale. Il
secondo elemento di lettura è che il comportamento delle popolazioni al termine del lungo periodo
di transizione è stato quello di votare in modo massiccio perché si tornassi alla normalità
costituzionale e al funzionamento delle istituzioni, queste ultime gestite per due anni in modo
inadeguato, in un contesto politico di alterazione dell’ordine costituzionale. Il comportamento degli
elettori ha evidenziato una mobilitazione generale e la volontà del cittadino di diventare di nuovo
protagonista del potere e nuovamente sovrano, perché in fondo, in ogni società politicamente
organizzata, la sovranità appartiene al popolo. Questa manifestazione si è svolta in un ambiente di
serenità e di estremo civismo, e il comportamento dei guineani è stato definito dalle forze interne
(politiche, religiose e della società civile) e dalla comunità internazionale, maturo e democratico. Le
popolazioni sapevano esattamente che cosa volevano e quali strumenti utilizzare per raggiungere i
propri obiettivi. Il terzo elemento da considerare è che il popolo guineano ha deciso, per mezzo del
voto, di ridare il potere alla forza politica derubata dal golpe del 12 aprile 2012, il PAIGC. Questo è
stato un segnale politico particolarmente importante. Il PAIGC è stato, in certa misura, considerato
vittima del golpe del 2012 (anche se, al tempo stesso, è stato parte del golpe). Il popolo ha voluto, in
modo chiaro, riconsegnare il potere nelle mani del partito che aveva subito il colpo di stato, anche
se, la maggioranza conquistata in parlamento questa volta (55 seggi) non è stata ampia come quella
dell’ultima legislatura (2008-2012).
Un altro elemento importante da considerare in queste elezioni è che, parallelamente alla volontà
popolare di restituire il potere allo storico partito PAIGC, c’è stato un aumento significativo del
livello di rappresentazione del secondo partito del paese, il PRS, che ha ottenuto un elevato numero
di seggi al parlamento (41 deputati), numero che nemmeno aveva ottenuto nelle elezioni legislative
del 1999 quando ha vinto con una maggioranza relativa. Ciò significa che il PRS è un partito che sta
vincendo in termini di rappresentazione nazionale, coronamento di un processo di
“flessibilizzazione” del suo messaggio politico, che ha assunto negli ultimi anni un linguaggio
politico e un comportamento assai diverso di quelli del passato certamente più radicali.
In questo quadro complesso, la decisione dei cittadini è stata anche quella di “allontanare”
definitivamente dall’esercizio del potere alcuni attori politici per via del diffuso malcontento. I
principali protagonisti politici della transizione sono stati in un certo modo “censurati” e puniti dal
voto popolare perché ritenuti i maggiori responsabili della difficile condizione economica e sociale
in cui versa il paese.
In questo momento la Guinea-Bissau si trova di fronte ad un sistema politico caratterizzato da un
bipolarismo accentuato, intorno a due forze politiche: il PAIGC, partito storico all’origine del
processo d’indipendenza del paese, e il PRS, seconda forza politica, che si sta affermando
progressivamente, soprattutto negli ultimi anni. Questo è il processo di diverse democrazie al
mondo, ovvero, l’esistenza di un sistema bipolare che consente l’alternanza politica. In GuineaBissau, perché ci possa essere, una vera alternanza politica è necessaria che vi sia una terza forza
politica, intermediaria, cioè quello che in scienze politiche si chiama “sistema due e mezzo”. Si
tratta della presenza di due grandi partiti politici e una terza forza più piccola ma che permette ai
cittadini di avere una terza alternativa nel momento del voto. Questo terzo partito gioca talvolta il
ruolo di arbitro e si può alleare con una o con altra forza politica. L’esempio più noto in questo tipo
di sistema è la Gran Bretagna, dove si ha il Partito Conservatore, il Partito Laborista e il Partito
Liberale, il terzo partito che consente al sistema di avere un suo equilibrio. L’esistenza di una terza
forza politica (Partito Liberale) consente al sistema di avere la dovuta flessibilità e evita la tendenza
all’accaparramento del potere da parte dei due principali partiti. In Guinea-Bissau il sistema si sta
sviluppando nella direzione di un vero bipolarismo (come quello esistente a Capo Verde) e si spera
che non diventi un sistema rigido, dal momento in cui il terzo partito non è ancora comparso nello
scenario politico. Manca effettivamente una terza forza reale, anche se nelle diverse elezioni
presidenziali la figura del “terzo uomo” (indipendente) è sistematicamente comparsa. Nelle elezioni
del 1999, dopo la guerra del 7 giugno del 1998-99, questo ruolo è stato giocato da Faustino Imbali.
Nelle elezioni del 2004 è stato Francisco Fadul a rappresentare il “terzo uomo”. Nelle elezioni del
2009 è stato Henrique Rosa a giocare questo ruolo; nelle elezioni del 13 aprile 2014, il ruolo di
“terzo uomo” è stato giocato da Paulo Gomes. Il potenziale politico esiste ma esso si esprime
soltanto nei momenti elettorali. Quale è la ragione all’origine di questa tendenza?
Innanzitutto è da considerare la debolezza strutturale dei partiti più piccoli, che nella maggior
parte dei casi non hanno mezzi né tanto meno una leadership in grado di assicurare un buon
funzionamento dell’organizzazione. La mancanza di mezzi porta all’impossibilità di mobilizzazione
a lungo termine. Partiti come il PAIGC e il PRS hanno avuto (e hanno) più capacità di
mobilizzazione delle popolazioni perché hanno accesso ai mezzi finanziari, rappresentati soprattutto
dai fondi statali. Questi due partiti sono stati finora o al potere o ai suoi margini, potendo in ogni
caso accedere alla principale fonte di finanziamento. Questa posizione ha favorito (tra altre cause
importanti, in particolare di carattere storico) le due forze politiche, permettendo loro di
consolidarsi a livello nazionale e di stabilire importanti contatti con potenziali sostenitori all’estero,
anch’essi probabili finanziatori.
Parlare di elezioni significa parlare di democrazia. La democrazia si basa fondamentalmente sul
principio della maggioranza: chi vince deve governare. Chi perde deve giocare il ruolo di
opposizione. Questo è il principio di base di ogni sistema democratico. Tuttavia, vi sono situazioni
in cui la maggioranza non si esprime in modo chiaro nel momento del voto, fatto che può portare a
soluzioni di coalizione tra partiti1. In Guinea-Bissau ci sono stati in passato casi di coalizione che,
però, non hanno funzionato bene. Nel 2001 vi è stata un’alleanza attorno al PRS che ha funzionato
male perché gli attori coinvolti hanno preferito gli interessi dei partiti tralasciando gli interessi
nazionali. Il Presidente della repubblica, arbitro del processo, non ha avuto in quel momento la
capacità di negoziazione per favorire il raggiungimento di un risultato positivo. Nel 2005 si è
verificata un’altra coalizione politica che ha funzionato in base alla distruzione della maggioranza
del PAIGC e alla ricostituzione di una maggioranza per iniziativa del Presidente Nino Vieira.
Quest’alleanza non ha funzionato perché creò un certo sconforto tra le popolazioni. L’intesa non è
stata raggiunta all’interno del partito di maggioranza bensì tra i dissidenti del partito maggioritario
(PAIGC) e i partiti minoritari, creando la sensazione di un “complotto politico” più che di uno
sforzo congiunto per portare avanti il partito di maggioranza. Questa sembrerebbe una delle
principali ragioni perché in Guinea-Bissau le soluzioni d’intesa sono state viste fin dall’inizio del
periodo della democratizzazione con una certa sfiducia da parte dei cittadini. Una domanda che
emerge spontanea, allora, è: perché le due forze politiche maggioritarie del paese scaturite dalle
elezioni legislative del 13 aprile 2014 (PAIGC e il PRS), dovrebbero formare una coalizione? Per
quale ragione? Sarà proprio necessario?
Innanzitutto va ricordato che il paese sta attraversando da diversi anni periodi ciclici d’instabilità
politica e militare fin dalla sua indipendenza dal Portogallo (ottenuta nel settembre del 1973 per via
unilaterale), causata soprattutto dalla forma esclusiva con cui viene sistematicamente gestito il
potere politico da un certo gruppo. Se si vuole uscire da questa condizione, sarà necessario adottare
un comportamento politico più inclusivo. Per questo motivo se ne parla della possibilità di costituire
un governo di larga intesa che possa favorire la collaborazione di tutti. Ecco perché è fondamentale
comprendere in modo chiaro la ragione di un’eventuale coalizione. Se questa coalizione vorrà dire
che ogni rappresentante va a difendere il proprio interesse di partito nel governo, allora sarà del
tutto inutile. Se, invece, ogni forza politica porterà una parte del proprio progetto in modo tale da
individuare le parti comuni a tutti i partiti, in cui l’interesse del paese è posto al primo piano, allora
l’eventuale accordo avrà un senso. È necessario mettere in atto una “pace programmatica”, in cui
l’obiettivo comune sia il raggiungimento della pace ma senza mettere gli interessi dei partiti sopra
gli interessi dei cittadini guineani (istruzione, salute, sicurezza alimentare, sviluppo economico,
1
In democrazia esistono coalizioni asimmetriche (tra un partito grande e un partito piccolo) e simmetriche (tra forze più
o meno uguali), come il caso della Germania. tutela del territoriale e dell’ambiente, tra altri). Questo sembra il “contratto” più importante e
urgente da firmare. Tutto ciò non può, però, essere realizzato senza una chiara volontà politica.
Bisogna unire le forze per un obiettivo comune, per un futuro migliore della Guinea-Bissau. È
necessario creare una base programmatica e un codice di buona condotta che devono essere retti da
criteri di fedeltà al principio di collaborazione e di riconoscenza dell’autorità del capo di governo2.
Occorre che ci sia in futuro l’obbedienza a un’autorità unica e la sottomissione a principi comuni.
Solo in questo caso potrà avvenire una collaborazione efficace.
L’interesse della Guinea-Bissau in questo momento è uscire dall’instabilità politica e dal
sottosviluppo. Questi due aspetti convergono. Quando si ha stabilità, si ha sviluppo e vice-versa, il
benessere porta a una maggiore stabilità. Le due forze politiche maggioritarie - PAIGC e PRS devono, quindi, collaborare nel senso di assicurare la ripartenza del paese e includere i partiti
minoritari nel processo politico. Le probabili divergenze-scelta di uomini di governo e visione della
coalizione- possono mettere a repentaglio la governabilità dell’intero paese. Le persone che
andranno al governo saranno nominate dai partiti oppure dal primo ministro? Quest’aspetto sarà
decisivo. Se i governanti saranno scelti dal primo ministro per adempiere un programma di governo
prestabilito e se riconosceranno l’autorità del capo di governo, allora sarà possibile governare il
paese nei prossimi quattro anni, altrimenti si rischia di gettare il paese in un altro ciclo d’instabilità.
Il prossimo governo dovrebbe essere costituito sulla base della competenza, delle qualità degli
individui e di un programma inclusivo.
Patricia Godinho Gomes
Ricercatrice in Storia dell’Africa, Università di Cagliari
Responsabile Relazioni Pubbliche ed Internazionali dell’ASEQUAGUI
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In passato nei momenti di transizione i principali contrasti furono causati proprio dalla mancanza di un obiettivo
comune e dal non riconoscimento della leadership di un unico capo; sono emersi centri di potere contrari, occorsero
diverse leadership, i centri di decisione si moltiplicarono attuando in modo scoordinato.