CULTURA DELLA DIFFERENZA E PERSONA QUATTRO SAGGI

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CULTURA DELLA DIFFERENZA E PERSONA QUATTRO SAGGI
CULTURA DELLA DIFFERENZA E PERSONA QUATTRO SAGGI SUL TEMA DELLA DIFFERENZA TRA I SESSI PREMESSA
È in atto una ripresa di studi sul tema della differenza tra
i sessi, che ad alcuni sembra consistere nella maternità, con tutte
le ambiguità che evoca questo richiamo, nella confusione dei
linguaggi e nei conflitti di differenti interpretazioni.
Contrariamente agli obiettivi del femminismo «prima fase»,
gli anni ottanta, con la ripresa di un femminismo «seconda fase»,
hanno recuperato il valore degli affetti, della famiglia, della
maternità (celebre l'espressione della B. Friedan: «La nuova
frontiera dell'uguaglianza è la maternità) t, ma nell'esaltare la
differenza della donna, rischiano anche di aprire la strada a nuovi
e piu sofisticati tentativi di riduzione della donna a madre. Dopo
la crisi di un concetto di uguaglianza che si è rivelata controprodu­
cente, se intesa come assimilazione all'uomo (è una sottile ideolo­
gia maschilista quella di voler tutti uguali a sé), sia il femminismo
cristiano che quello ateo, pur partendo da opposte sponde, si
1 Cf. B. Friedan, La mistica della femminilità, Comunità, Milano 1970;
Id., La J~conda fase, ivi, Milano 1982. Nel 1983, il gruppo «Progetto donna»,
ha orgamzzato un convegno sul tema «Femminismo italiano: seconda fase»,
svoltosi a Bre~cia dal 7 al 9 .Ottobre 1983. Gli atti sono in «Progetto donna»,
n. 1 (1984). SI parla anche dI una terza fase come trasformazione dei problemi
del femminismo in impegno delle donne per un ripensamento della realtà
umana complessiva dell'uomo e della donna in termini piu vivibili per entrambi
e imperniati sulla qualità della vita (cf. C.P. Di Nicola, Sfide e possibilità del
femminismo socio-culturale, in AA.VV., La donna nella chiesa, Ave, Roma
1986, pp. 41-87).
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sono messi alla ricerca dei contenuti di una differenza. Si è
partiti dalla convinzione che solo dopo questo previo lavoro di
rifondazione del femminile, sarà possibile rileggere tutta la realtà
da una prospettiva nuova che le donne stesse tenteranno di
elaborare per un concerto a due voci, quelle che costituiscono
l'umanità come uomo e come donna 2.
Con riferimento alla saggistica piu significativa, scelta tra
la produzione che va dall'83 ad oggi, presentiamo quattro saggi
(di E. Badinter, del gruppo «Diotima», di A. Gentili e di P.
Vanzan) che ci paiono offrire proposte significative o comunque
capaci di incidere nel dibattito contemporaneo. La lettura di
questi saggi è fatta utilizzando la chiave ermeneutica del concetto
di persona, considerato in grado di preservare i tentativi di
costruire equilibri precari tra le coppie bipolari uguaglianza e
differenza 3, singolarità e universalità, maschilità e femminilità.
Dal punto di vista della persona il concetto di maternità, nel
suo valore simbolico universale, unito e distinto dalla sfera
biologica, lungi dall'essere denigrato, viene ad esprimere una
dimensione universale dello spirito, collegata alla gratuità e fecon­
dità dell'amore, laddove si colloca anche il modello della paternità,
a sua volta intriso di dimensioni materne.
E. Badinter, L'un et l'autre. Des relations entre hommes et femmes,
Jakob, Paris 1986
Questo libro della Badinter, che fa seguito al fortunato
L'amour en plus (Flammarion, Paris 1980), è una convincente
descrizione dei mutamenti di identità dell'uomo e della donna
sul piano psicologico e dei rapporti di coppia in relazione ai
2 È in preparazione un libro su questo argomento (G.P. Di Nicola-P.
Vanzan, Uomo e Donna. Uguaglianza e differenza).
3 Per un approfondimento filosofico del concetto di persona in rapporto
al problema dell'uguaglianza-differenza, d. A. Danese, Unità e Pluralità. Mou­
nier e il ritorno alla persona, Roma 1984; Id. (a cura dO, La questione
personalista, Roma 1986. Un module personnaliste pour le fédéralisme européen:
unité-diversité, in Actes du Colloque «Du personnalisme au fédéralisme euro­
péen, un hommage à Denis De Rougemont», 20-23 avril 1988, Genève 1988.
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mutamenti storici e sociologici. Si tratta di una tesi ben diversa
dalle contemporanee esaltazioni della differenza: i due sessi
appaiono all'autrice molto piu simili che differenti.
L'autrice ricostruisce la separazione e complementarietà ori­
ginale dei sessi a partire dalle tracce rimaste del paleolitico,
mesolitico, neolitico, calcolitico e l'età dei metalli, vedendovi ­
oltre le tesi del matriarcato e patriarcato - una dualità bilanciata
di poteri: la guerra per l'uomo e la maternità per la donna. Il
culto delle dee, il potere della madre erano per la donna garanzia
di un suo ambito primario che compensava la divisione dei
compiti e costituiva ragione di riequilibrio nella dipendenza
reciproca. Due mondi, quello maschile e quello femminile, che
sembrano ciascuno sovrano nel suo campo almeno sino a che
si affermi l'egemonia del dio maschile in correlazione all'egemonia
socio-politica dell'uomo maschio: gli dèi prevalgono sulle dee,
dio Padre sulla dea Madre. Storicamente il predominio del
patriarcato è percepibile in Medio Oriente nell'età del bronzo
(ciò non esclude che lo scambio di donne abbia potuto attuarsi
prima, sia in Oriente che in Occidente). In ogni caso esso riduce
sempre piu lo spazio del mondo femminile, creando dissimmetria
ed un dualismo conflittuale tra l'uomo e la donna.
La supremazia dell'uomo sulla donna, contro ed anche senza
di lei, ha sostituito la complementarietà, creando le premesse
del futuro femminismo, di cui oggi vediamo i frutti nel nuovo
modello della somiglianza tra i sessi. Fatto nuovo rispetto al
passato, si assiste oggi all'avanzare dell'«androgino», tipo di
uomo che supera la divisione dei ruoli maschile-femminile e fa
riferimento alla libera possibilità per l'uomo e per la donna di
scegliere indifferentemente ruoli e identità singolarmente preferi­
ti. Il predominio del biologico è contestato, si attua la dissociazio­
ne tra femminilità e maternità, tra uomo e guerra e la differenza
tra gli individui è ben piu forte di quella tra i sessi.
Dal momento che complementarietà, subordinazione, ugua­
glianza, non sono che espressioni di periodi storici e non costanti,
la Badinter contesta tutti coloro che vedono il predominio ma­
schile come una legge universale e indipendente dalla storia e
da ciò deducono la naturale divisione sessuale dei compiti. Le
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tesi sono sostenute da riferimenti documentati con l'archeologia,
l'arte, la letteratura, la mitologia e la tragedia greca che testimonia
l'avvenuto passaggio al patriarcato con il dominio degli dèi sulle dee.
Quanto al mutamento contemporaneo dei rapporti uomo
donna, le analisi del sociale ci rivelano la tendenza delle coppie
ad evitare unità totalizzanti: un uno che assorbe i due e in
pratica inscrive l'identità della donna nell'uomo (come si eviden­
zia nel cognome). Costatiamo piuttosto l'ambizione a restare due
totalità in rapporto, due persone capaci di autonomia di cui
ciascuna, rappresentativa dell'umanità, è completa e non vive la
reciprocità nei termini della complementarietà, intesa come biso­
gno di compensare una deficienza. È una questione di prestigio
saper stare soli, sapersi lasciare se un rapporto finisce, senza che
appaia la sofferenza e senza drammi di gelosia.
Con l'avvento dell'androgino i rapporti tra i sessi sono piti
facili, perché liberi da tabti, e piti difficili, perché subordinati
all'arricchimento e alla realizzazione dell'io, controllati entro i
limiti del revocabile. La reciprocità, intesa come equilibrio dello
scambio, prende il posto dell'oblatività; la negoziazione, implicita
o esplicita, quello della donazione univoca. Persino la maternità
rientra nella logica dello scambio reciproco: il libro della Collan­
ge: lo, tua madre 4 è l'espressione esplicita di questo modello
di relazione che si preoccupa di non dare piti di quanto riceva.
La mistica della maternità come donazione incondizionata si
trasforma piuttosto in investimento, il cui conto passivo deve
poter tornare a breve o a lungo termine. Le coppie oggi sembrano
cercare piti l'amicizia che la passione amorosa romantica: il
marito deve essere prima di tutto il migliore amico o l'amico
privilegiato. Senza questo rapporto amicale l'amore sfiorisce e il
bisogno di autenticità prevale sui legami affettivi 5.
Sta di fatto che molte piti donne di un tempo scelgono il
rischio e la libertà della solitudine (fenomeno dei singles) 6, il
C. Collange, lo tua madre, Rizzoli, Milano 1985.
Su questi aspetti cf. ancora S. Chalvon-Demersay, Concubin-Concubine,
Seui!, Paris 1983.
6 Indicativo il titolo del libro di E. Le Garrec, Un lit à sai, Seui!, Paris
1979.
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tempo libero per arricchire la propria personantà, cultura, interes­
si, sports, in breve per evitare di perdersi come persone in un
noi tirannico. C'è sotto un ideale titanico di indipendenza affetti­
va dell'io, al di sopra di ogni dipendenza dall'altro. Lipovetsky
riporta questa espressione: «Rinunciare all'amore per amare me
stessa tanto da non avere bisogno di un altro per essere felice» 7.
Il fenomeno della liberazione dà alla donna quella libertà
di cui ha lungamente sofferto la mancanza, ma nello stesso tempo
amplifica la titubanza e la diffidenza nei confronti dell'uomo e
non di rado la differenza diviene fossato. Ci si domanda se è
possibile fare ancora della famiglia il luogo privilegiato di una
liberazione a due, non lesiva né dell'uno né dell'altro. Difficile
è trovare le vie dell'equilibrio tra esigenza di libertà e di reciproci­
tà. Perché il rapporto di coppia venga riformulato, occorre creare
nuove regole, nuovi modelli che non ripetano quelli dominanti
nella costruzione simbolica attuale (sociale, culturale, religiosa).
Le varie reti di sostegno alla famiglia infatti non possono giungere
là dove i problemi non sono di mezzi, di salute, di diritto, ma
di significatività della comunicazione.
Si tratta di perseguire la realizzazione di sé non in quanto
individui, ma in quanto inseriti in un circuito di comunione
con l'altro. Il ricorso alla persona, con tutto ciò che questo
termine evoca di relazionalità, risponde alla necessità di dover
fare riferimento ad un altro che non è un limite, ma una possibilità
di comunicazione, una via di uscita dal circolo vizioso dell'io
per entrare nella ricchezza del noi. Ma è evidente che la reciprocità
di coppia non potrà piu essere vissuta in termini di predominio
dell'uomo e di sconfitta della donna. Il necessario tornaconto
dell'amore non può essere visto solo in termini negativi, come
sembra fare la Badinter, poiché esso è anche segno di una
raggiunta, piu consapevole, certezza della dignità della persona,
di una razionalizzazione nell'impegno delle proprie energie evitan­
do la dispersione e lo sperpero. Quante esaltazioni dell'amore
oblativo suonano oggi false e retoriche proclamazioni della subor­
dinazione al piu potente: il servo nei confronti del padrone, le
7
G. Polivetsky, L'ère du vide, Gallimard, Paris 1983, p. 61.
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donne dell'uomo, l'impiegato del direttore, il subordinato del
superiore. Del resto la persona non può restare in una donazione
oblativa all'infinito, tensione forse eroica, ma penalizzante e
talvolta anche inutile. La sua tensione etica deve prima o poi
suscitare risposte in un circolo di dare e ricevere poiché ciascuno
ha bisogno di amare ed essere amato, di donare e ricevere, di
collaborare e con-vivere. Per usare il linguaggio della cibernetica,
egli non può essere solo output né può essere solo input, perché
in entrambi i casi esaurirebbe la sua carica umana che si nutre
di questo andirivieni, di questo scambio sistemico 8.
Ma è anche vero che la reciprocità implica capacità di
donazione di se stessi e quindi il passaggio dal rapporto estatico
a quello etico, sapendo giocare fino in fondo la scommessa cui
l'incontro allude: restare individui o passare ad essere persone,
stare nella difesa di sé o spendersi per l'altro.
Nella reciprocità ciascuna persona si riconosce nell'altra e
in questo riconoscersi stabilisce insieme l'uguaglianza e ciò che
caratterizza la differenza (come personalità, sessualità, cultura).
La differenza sessuale non sta qui come un a priori che definisce
la differenza, né come una certezza raggiunta una volta per tutte,
giacché ha bisogno della conferma dell'altro e quindi deve essere
sempre riformulata in dialogo con lui. A questa tentazione defini­
toria non è estraneo un femminismo che è maschilismo alla
rovescia, come nel libro Voi uomini della Del Bo Boffino 9. Ma
se l'uno dice dell'altro ciò in cui l'altro non si riconosce, è
costretto allora a modificare, nel rapporto di reciprocità, il tiro
delle sue affermazioni fino a che l'altro non si senta a suo agio.
Nella reciprocità nessuno dei due sessi può dire l'ultima parola
sull'altro, perché solo insieme essi formano l'umanità. Reciprocità
significa infatti essere-con e quindi prevalenza dell'andirivieni di
scambi simbolici sulla fissità, prevalenza della flessibilità dialogica
8 Cf. T. Sorgi, Introduzione alla sociologia, Libreria dell'università, Pescara
1985, pp. 189-230.
9 E un difetto della pubblicistica femminista di denuncia quello di rovescia­
re sugli uomini epiteti negativi come contropartita a quelli ricevuti dalle donne.
Per A. Del Bo Boffino (Voi uomini, Milano 1985, p. 51): «"posso dunque
sono", potrebbe essere definita la regola di fondo della virilità».
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sulle questioni delle identità e degli specifici. Ciò non elimina
la differenza delle voci, ma le rispetta nel loro spontaneo articolar­
si all'interno di un concerto sinfonico.
La differenza dunque non è cancellata, ma valorizzata nel
suo spontaneo proporsi ed essere riconosciuta, cosa che resta
dubbia - nonostante le precisazioni dell'autrice.- nel concetto
di androgino, con tutto quel che questo termine richiama di
scomparsa della diversità nella indeterminatezza sessuale. Su
questo aspetto si appunta la critica delle femministe che temono
che l'androgino dissolva la differenza nel neutro umano indistinto.
AA.VV., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaru­
ga, Milano 1987
Questo libro è frutto di un lavoro collettivo di una comunità
filosofica di donne dello stesso nome (<<Diotima»), unite dall'amo­
re per la filosofia e dallo sforzo di elaborare un pensiero della
differenza. Tale comunità ha preso inizio a Verona nel 1983, col
nome iniziale di FF (Effeeffe) ed ha raccolto alcune donne interne
all'istituzione accademica ed altre interessate al discorso culturale
che anteponeva la ricerca della differenza a quella della parità.
Il successivo nome che il gruppo si è dato, Diotima, è quello
del personaggio citato da Socrate e considerato da molti immagi­
nario (in funzione simbolico-filosofica) e in seguito reale (dalla
storiografia filosofica degli anni 1960).
Il frutto di questo lavoro di pensiero a piu voci è il saggio
collettivo che presentiamo, apparso inizialmente in foglietti volan­
ti riprodotti in piu copie e discussi, integrati, modificati per
renderli piu rispondenti ad un «pensiero collettivo», che voleva
porsi in continuità ideale con Luce Irigary, scelta come donna
di riferimento del gruppo.
Con tutti gli inevitabili limiti di un lavoro iniziale, bisogna
dare atto a questo gruppo di avere affrontato «da donne» la
problematica filosofica che la differenza sessuale evoca. Esse
hanno ritenuto indispensabile separarsi dalla cultura maschile
per poter costituire un gruppo di sole donne, con il compito di
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smascherare la parzialità e il privilegio della cultura maschile
dominante.
Quando è apparso chiaro che la donna era rimasta estranea
ai processi di formazione filosofica dell'assoluto, ella ha denuncia­
to il condizionamento sessuale del pensiero ed ha posto il
problema storico-filosofico della de-assolutizzazione del finito.
L'«io penso» non è apparso piti un soggetto neutrale, poiché
chi pensa è una persona determinata e in particolare un uomo
che, nel suo pensare, si eleva ad umanità universale. La donna
nel logos maschile non può risultare una derivazione dell'uomo
o del neutro umano-maschile e ciò fa emergere prepotentemente
il bisogno di differenza, come ha ben espresso Gilligan nel suo
Voce di donna 10. Quando l'uguaglianza viene scoperta come
«opaca palude», «la differenza sessuale rappresenta uno dei
problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare» 11.
IO
C. Gilligan, Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1975. Il libro a cui
il pensiero femminista fa risalire la coscienza, almeno letteraria, di una chiara
differenza sessuale, come questione che intacca la neutralità del pensiero
dimostrativo è del 1938, di V. Woolf, Le tre Ghinee, tr. it. A. Bottini, La
Tartaruga, Milano 1975. L'autrice mostra la distanza tra le sue esigenze di
libertà e cultura, minacciate dal fascismo, e la richiesta che le viene fatta di
impegnarsi pubblicamente. Ella evidenzia la sua estraneità all'esercizio del
potere e ritiene di poter essere di aiuto alla difesa della libertà solo difendendo
la cultura e il pensiero femminile. Circa l'importanza del simbolico femminile
soprattutto come luogo della mente cf. L. Borghi, Adrienne Rich e la diaspora
dell'identità, Postfazione a A. Rich, Segreti, silenzi, bugie. Il mondo comune
delle donne, La Tartaruga, Milano 1982.
Il L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985.
Attualmente a questo lavoro in Italia, si dedica in particolare il gruppo
«Diotima», muovendosi su un piano interdisciplinare che include la filosofia,
la linguistica, la sociologia, la filosofia, la pedagogia e giunge ad interrogare
la teologia. Il nome Diotima sigla anche la prima pubblicazione, che stiamo
presentando, frutto di un'opera collettiva, non solo perché a piu mani, ma
anche perché sostenuta da un corpo di idee regolarmente sottoposte alla
discussione collettiva, condivise e poi sviluppate dalle singole autrici sotto
diverse angolature disciplinari. Giova ricordare che nel Simposio Socrate dice
di aver appreso la sapienza dell'amore da una certa Diotima di Mantinea:
«Dirò il discorso su Amore che ho ascoltato una volta da una donna di
Mantinea, di nome Diotima, la quale era sapiente su questa questione e su
molte altre» (Platone, Simposio, 201 d-e).
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Infatti se la realtà è-pensata e nominata d'all'uomo-maschio,
considerato riassuntivo del genere umano, la definizione del
giusto, bello, buono, è uni-versalizzata e la donna assume per
sé quanto pensato da altri, vive perciò di riflesso, è detta da
altri, in modo talvolta anche sublime, ma sempre all'interno di
una prospettiva sul mondo che è inevitabilmente androcentrica.
La donna che vive di luce riflessa, è ben rappresentata
dall'immagine della luna rispetto al sole, immagine che esprime
sul piano ontologico ciò che sul piano linguistico è l'immagine
mitica di «Eco». Detta dall'uomo, la donna perde la sua voce:
Eco rappresenterebbe in questa luce la personificazione del fem­
minile a-logico, di colei che, non avendo la possibilità di parlare
con una sua voce, perde !'identità e diviene capace solo di ripetere
all'infinito quanto altri dicono per lei e di lei. Perdere la voce
è anche perdere se stessi: Eco diviene diafana e il suo corpo si
confonde con le montagne.
Questa denunzia ha la sua verità e i suoi limiti nell'accentua­
re la contrapposizione tra colui che dice creando e colei che
dice ripetendo. Sappiamo infatti che la creazione linguistica non
può essere mai ex nihilo come anche il ripetere di un essere
umano non è mai equivalente al puro ripetersi dei suoni della
natura 12. Si è inventato il linguaggio parlato utilizzando gli
strumenti espressivi preesistenti: suoni gutturali, gesti, mimica
facciale, disegni, segni. Il linguaggio poi è stato continuamente
arricchito di nuove parole, di sfumature e mutamenti strutturali.
Tutto ciò in relazione ed in funzione al vissuto culturale e
relazionale di un gruppo, dunque ancora una volta al feriale
articolarsi dei rapporti uomo-donna e al significato che essi
hanno dato alla comunicazione reciproca. Il mondo comune che
essi condividevano era un mondo a dominanza maschile, ma
certo costruito anche con le donne. Nella definizione della donna
come Eco constatiamo invece una ipovalutazione (per altro non
accertata) del ruolo creativo della donna. Sembra che la cultura
della differenza abbia bisogno di tagliare col passato, di cui viene
accentuata l'assenza della donna per poter ricostruire da zero.
12
Cf.
J.P.
Sartre, Parole, tI: it. Il Saggiatore, Milano 1964.
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La tesi di una pura ripetitività femminile è indubbiamente
esagerata, ma, nella sua accentuazione univoca, mette in rilievo
e denuncia la sottovalutazione di una voce altra da quella dell'uo­
mo e la necessità di una cultura creativa elaborata dalle donne
stesse. Tutto il sapere, nelle sue varie branche (teologia, storia,
linguistica, filosofia, sociologia, scienza), dovrebbe essere, non
direi tanto riscritto (quasi si dovesse buttare a mare il già fatto
solo perché maschile), ma certamente rivisto e integrato dalle
donne che rendono visibili le tracce della loro presenza. Ciò non
solo per denunziare 1'origine sessuata delle teorie, della politica,
delle leggi, dei valori, delle religioni (ci si limiterebbe al ruolo
critico-distruttivo), ma anche per cominciare a dire una parola
diversa, ad avere un ruolo propositivo.
Di qui la convinzione che spetterebbe all'oggi il compito
storico-etico di aprire la comprensione simbolica a forme rispon­
denti ad una visuale femminile originale e originaria, senza
consegnarsi né rassegnarsi alla mediazione maschile. Il lavoro di
riformulazione non dovrebbe essere svolto tanto da singole don­
ne, a tavolino, ma in comunità dialoganti in un confronto di
esperienze e culture e in una integrazione interdisciplinare che
consenta di vedere le cose da piu angoli prospettici.
La necessità di evitare il piu possibile i condizionamenti
del sapere già acquisito, ben sapendo che comunque esso pesa
sulle nostre strutture mentali, spinge quindi ad adottare metodi
di separatezza (sorellanza), nonché alla valorizzazione esemplare
del cammino già fatto da altre donne di cultura, opportunamente
scelte come riferimento perché considerate battistrada (<<affida­
mento»). In fondo questa teoria dell'affidamento è la riproposizio­
ne simbolica della figura della madre 13. È anche vero però che
seguendo un cammino tra donne il rischio è di adottare nuove
definizioni-gabbia della differenza, questa volta non stabilite a
priori né dettate dagli uomini, ma ugualmente unilateralmente
13
Su questi temi dei rapporti tra donne e sull'affidamento ad altre donne
cf. A. Rich, Segreti, silenzi, bugie. Il mondo comune delle donne, cito In questo
modo non si attua solo una solidarietà femminile, ma c'è la possibilità di dare
forza storica ai rapporti tra donne. Cf. anche Id., Nato di donna, Garzanti,
Milano 1977; AA.W., Pili donne che uomini, Libreria delle donne, Milano 1983.
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formulate, senza il confronto dialogico del riconoscimento reci­
proco uomo-donna.
Quando si va a definire la differenza, bisogna sempre guar­
darsi dal rischio di ricalcare troppo il dato biologico (che sarebbe
limitante) o quello di rivendicare alla donna qualità psichiche e
spirituali che si rivelano, a ben guardare, anche maschili. Non
faremmo che cadere in nuove-vecchie trappole.
Accentuando la differenza come radicale asimmetria tra i
sessi 14, allarghiamo il fossato tra uomini e donne, incapaci di
comunicare con linguaggi reciprocamente comprensibili, quando
invece è proprio di questa intesa che oggi si avverte il bisogno.
Rimarrebbero aperti numerosi problemi:
1) come evitare che la cultura della differenza risvegli nostal­
gie tradizionaliste a cui le donne stesse stavolta offrirebbero l'esca;
2) come evitare di ricalcare la differenza sul biologico ­
e per la donna sulla maternità - riaffermando una certa prevalen­
za della natura sulla persona 15;
3) come districare ciò che è differenza prodotta e ciò che
è differenza originaria 16;
4) come articolare la relazione e la comunicazione tra due
L. Irigaray, op. cit., pp. 9·47.
CosI infatti viene scritto: «Nello sviluppo della civiltà è rimasto ignorato
e trascurato quel particolare tipo di comprensione femminile che le donne
acquisiscono attraverso gli strumenti connaturati alla maternità, ovvero l'abilità
intuitiva di afferrare sinteticamente, e si è prodotto cosi un sapere scientifico
unilaterale, frutto di una mente maschile protesa all' analisi e al dominio della
materia piti che al mondo delle relazioni umane, in cui si richiede l'uso
socializzato dell'intuizione. In questo processo di cancellazione delle differenze
la civiltà si è progressivamente depauperata e, attraverso la sopravvalutazione
del ruolo maschile, ha fatto si che entrambi i sessi trascurassero parte delle
loro prerogative umane» (AA.VV., Diotima, cit., p. 28). Leggendo alcuni tratti
dei caratteri maschile/femminile si ha qui l'impressione di ricadere nei vecchi
stereo tipi sia pure valorizzati in positivo.
16 «Si tratta, in primo luogo, di districare gli effetti del dominio dell'uomo
sulla donna dalle manifestazioni della loro differenza. Queste e quelli infatti,
si presentano mescolati e quasi non distinguibili alla nostra osservazione nella
misura in cui questa ultima manca della necessaria luce teorica, cosicché si
tende ad interpretare come differenze originali anche gli effetti del dominio,
oppure, in alternativa, a interpretare come effetti del dominio anche le differenze
originali» (op. cit., p. 20).
14
15
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mondi, due psicologie, due storie separate, evitando che la diffe­
renza divenga fossato incolmabile.
A. Gentili, Se non diventerete come donne. Il femminile nell'espe­
rienza religiosa, Ancora, Milano 1987
Indubbiamente il titolo provocatorio può suscitare insoffe­
renza. Esso tradisce in un certo senso la difficoltà di muoversi
tra il femminile come ideale e le donne concrete. «Se non
diventerete come donne» vuole alludere alla necessità per uomini
e donne di riscoprire il centro e quindi la dimensione femminile
dell'anima, in una società impregnata di cultura e atteggiamenti
maschilisti, assunti sia dagli uomini che dalle donne. Il diventare
come donne evoca qui !'invito evangelico a risvegliare la dimen­
sione divina e pienamente umana della semplicità, dell'abbando­
no, della purezza. Viene ripresa la frase di Teilhard de Chardin:
«Pili diventerò donna, pili celeste si farà la mia figura». Siamo
quindi nel campo della donna ideale.
Il libro non ci parla infatti delle donne dal punto di vista
delle scienze umane (non era nel suo intento); esso indaga sul
femminile, secondo la distinzione junghiana tra animus e anima,
dimensione maschile e dimensione femminile. Tale ricostruzione,
condotta dal punto di vista biblico e teologico, ci offre spunti
di meditazione che aiutano a ripensare la rivelazione di Dio
come madre e padre. In sintonia col pensiero di Gertrud von
Le Fort (La donna eterna 17) viene ricostruita la presenza dell'ar­
chetipo femminile nella tradizione cristiana. Facendone oggetto
di un'indagine attenta e appassionante, Gentili presenta i seguenti
archetipi del femminile:
il femminile trinitario (la Ruah, soffio, e la sofia);
il femminile creaturale (Adamo ed Eva);
il femminile simboleggiato da Gerusalemme;
Maria di Nazareth (vergine, sposa e madre);
la Chiesa (con gli archetipi trinitario e mariano).
17
G. v. Le Fort, La donna eterna, IPL, Milano s.d.
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L'autore precisa che l'espressione archetipi: «sta ad indicare
dei modelli originari e primordiali, iscritti, nel nostro caso,
nell'essere divino non meno che in quello umano, che ne ricalca
i lineamenti. In altri termini si tratta di caratteri che gettano in
profondità le loro radici, cosi da risultare inalienabili - non
si può cancellare dalla propria struttura psichica e spirituale la
maschilità o la femminilità con tutte le loro esigenze - e comuni
ad ogni persona. Poiché in tutti troviamo tracce phl o meno
vistose o nascoste, conscie o inconsce, assecondate o neglette di
maschilità e di femminilità» 18.
Ciò che ci convince e appaga sul piano spirituale, ci lascia
qualche perplessità se ci domandiamo quale sarebbe la mediazione
nel sociale. La distinzione maschile/femminile (la cui interscam­
biabilità di attributi non è messa sufficientemente in evidenza
come lo è la distinzione) pone il problema del rapporto tra tale
femminilità archetipa e le persone concrete donne e uomini,
nella loro uguaglianza e nella loro differenza. Per esempio se
ogni donna deve essere come Maria piu di quanto non lo debba
essere ogni uomo, torniamo alla scissione tra i due mondi, con
differenti ruoli e sempre possibili riproposizioni della subordina­
zione femminile.
Si comprende bene quanto rischioso sarebbe il metodo degli
archetipi legati alla differenza sessuale uomo-donna, se si applicas­
sero queste conclusioni: «Pura ricettività e pura oblatività si
richiamano e si esigono a vicenda e costituiscono il fondamento
del femminile mariano» 19. Viene cosi definito un modo d'essere
maschile tutto proiettato al di fuori, alla ricerca di conferma di
sé attraverso il rendimento (responsabilità, dovere, volontà, deci­
sione) e un modo d'essere femminile tutto incentrato sulla ricetti­
vità e sulla accoglienza e sollecitudine materna (<<uno stare sempre
vicin o all'essere») 20.
Torna il rischio di parlare de la Donna dimenticando le
donne nella loro concreta esistenza, di proporre modelli utopici
A. Gentili, Se non diventerete come donne, cit., p. 13.
A. Gentili, Se non diventerete come donne, cit., p. 164.
20 Cf. in proposito la caratterizzazione di animus e anima in H. Wolff,
Gesu, la maschilità esemplare, Queriniana, Brescia 1979, pp. 170S8.
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Cultura della differenza e persona
spiegando il particolare in funzione del generale o anche spiegan­
do il reale in funzione del simbolo che lo imprigiona. Il problema
sta nel dire chiaramente se si considerano le donne come il
simbolo della maternità, sponsalità e verginità, (definirle quindi
all'interno della sublimità di quel simbolo divino) o se si vuole
conservare tutto il valore del simbolo materno, (ben messo in
evidenza da Gentili) ma come indicazione ideale universalmente
valida per uomini e donne, perché in scritta nella realtà di Dio
di cui essi sono immagine. Indubbiamente la donna ha la caratte­
ristica di richiamare col suo corpo il simbolo della maternità,
ma la persona non può soccombere sotto il simbolo, tanto piu
che non di rado ad una altissima tensione simbolico-ideale
corrisponde l'indifferenza per le condizioni reali: la «Madre va
a braccetto con la serva», ricorda Simone De Beauvoir 21. Il
problema è non fare delle donne dei simboli viventi, dei pretesti
per strutturare il mondo secondo l'ordine prestabilito.
Nonostante la premessa, infatti, non di rado l'autore ci
lascia il dubbio che la necessità di accogliere l'archetipo femminile
nella propria anima si concili con ciò che la donna è e deve
essere: «vertice della creazione originaria, ultima e piu felice
delle opere di Dio». Ed è qui che la ricchezza del messaggio,
favorita dalla contemplazione delle icone dell'Oriente cristiano,
toccando la realtà concreta del vissuto delle donne, corre il
rischio di assecondare risorgenti caratterizzazioni definitorie.
P. Vanzan, La donna nella Chiesa: problemi e prospettive, in
AA.VV., La donna nella Chiesa e nella società, Ave, Roma 1986,
21 «Si nega a Maria il carattere di sposa ella scrive - , al fine di
esaltare piu puramente in lei la Donna-Madre. Ma solo accettando la funzione
inferiore che le è assegnata, ella ascenderà alla gloria. "Sono la serva del
Signore". Per la prima volta nella storia dell'umanità la Madre si inginocchia
di fronte al Figlio; riconosce liberamente la propria inferiorità. Nel culto di
Maria si avvera la suprema vittoria del maschio: la femmina acquista una
riabilitazione nel compimento della propria disfatta ... In quanto serva la donna
ha diritto alla piu splendida delle apoteosi. E poiché in quanto madre fu
ridotta a serva, in quanto madre sarà amata e venerata» (S. De Beauvoir, Il
secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, I parte, pp. 218-220).
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pp. 111-182; Le radici della questione femminile, in AA.vv., La
donna nella Chiesa e nel mondo, Dehoniane, Napoli 1988, pp.
85-100 22
È ormai nota l'attenzione del gesuita P Vanzan alle tematiche
del femminismo. Nel 1983 in due puntate su «Civiltà Cattolica»
(apparse subito come una svolta della rivista nei confronti del
problema, in spirito di continuità, di apertura ed equilibrio),
egli aveva affrontato gli aspetti storici, sociali e antropologici
del femminismo, cercando di discernere le buone intenzioni dagli
abbagli e guasti di certi eccessi, non senza denunciare l'arrocca­
mento maschilista. Egli aveva distinto le varie tappe di un
cammino che va dalla pura contestazione e rivendicazione iniziale
alla presa di coscienza delle nuove e piu raffinate forme di
oppressione nella società contemporanea e quindi alla necessità
di raggiungere, oltre il piano giuridico, il piano culturale e
teologico.
p Vanzan propone tre nodi fondamentali del femminismo.
Il primo consiste nell'opposizione del culturalismo al naturalismo,
binomio da considerare non nella contrapposizione né in un
collegamento meccanicistico, ma in senso personalistico, dando
il giusto rilievo al sistema dei valori che informa e orienta il
dato biologico.
Il secondo riguarda il rapporto tra sessualità e maternità,
visto dal primo femminismo in termini alternativi, quasi si
trattasse di scegliere tra la gratificazione autarchica e il destino
sacrificale. Posta in questi termini la lotta tra donna e madre
non di rado ha segnato il rifiuto della madre, almeno fino a che
non si è riscoperta la bellezza della maternità, se vissuta in
22 Di questo autore ricordiamo inoltre, La donna contesa. Origini e prime
forme del femminismo, in «La Civiltà Cattolica», II (1983), pp. 24-39; Il
femminismo contemporaneo. Crisi, rilancio e prospettive, ivi, pp. 257-270; La
donna nella Chiesa: indicazioni bibliche e interpretazioni femministe in «La
Civiltà Cattolica», I (1986), pp. 431-444; Problematiche femministe alla vigilia
del Sinodo sui laici, in «La Civiltà Cattolica», I (1987), pp. 457-468; La
reciprocità ideale uomo-donna nella Bibbia, in «Consacrazione e Servizio»,
giugno 1988, pp. 32-37.
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Cultura della differenza e persona
termini di libertà, di consapevolezza personale e di solidarietà
sociale.
Il terzo punto infine riguarda il superamento della contrap­
posizione tra lavoro domestico e lavoro extradomestico, il primo
privatizzato ed escluso dalla logica di mercato e il secondo
assoggettato ad un sistema indubbiamente dominato da categorie
maschili.
Tutti temi che preludono all'attuale dibattito sulla cultura
della differenza e che meritano una ripresa sia sul piano sociologi­
co e antropologico che teologico (è già in previsione un prossimo
intervento). Ciò che viene messa in causa è infatti la concezione
della reciprocità, non piti intesa come dominio dell'uno sull'altro,
né come complementarietà meccanica (le due metà del mito
platonico), ma come rapporto di coabitazione tra uguaglianza e
differenza: ciascuno è per l'altro l'uguale e il trascendente. La
differenza esalta l'arricchimento reciproco, non mutila la pienezza
personale di ciascuno.
Dopo questi lavori che rivelano la frequentazione della
letteratura femminista e l'accoglienza della sua problematica mi­
gliore in una visione genuinamente cristiana, l'autore ha affrontato
il campo che gli è piti proprio per competenza professionale,
quello teologico e scritturistico. Questa seconda fase è in ideale
continuità con la prima, nel senso di un approfondimento che,
dopo aver raccolto in un attento ascolto le problematiche delle
donne, si volge ad interrogare il dato rivelato leggendolo in
maniera nuova, piti rispondente alle provocazioni femministe.
È il saggio nel volume collettaneo La donna nella Chiesa
e nella società che ci offre una interpretazione originale del passo
del Genesi 1-2. «Sarebbe pertanto tempo di tradurre con maggiore
fedeltà questo testo decisivo per tutta la questione femminile,
rendendo giustizia alla parola di Dio che non concepisce la
donna come "simile" all'uomo, ma come "l'altro", la totalità che
sta di fronte ... "Questa si, finalmente, è carne della mia carne,
ossa delle mie ossa", senz'ombra di subordinazione. È la gioia
dell'incontro dell'io col tu, dell'ish con l'ishà, dell'uomo con la
donna ma come dell"'uno" con "l'altro": in pari dignità ma
Cultura della differenza e persona
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realizzante alterità» 23. Tale situazione ongmaria di reciprocità
viene inficiata dal peccato che compromette l'alterità personaliz­
zante e vi sostituisce le fallaci contrapposizioni su cui si fondano
il maschilismo e il femminismo uguale e contrario.
Il successivo saggio, apparso nel citato volume collettaneo
La donna nella Chiesa e nel mondo raccoglie il meglio delle
interpretazioni teologiche del femminismo, non per contrapporre
la teologia delle donne a quella degli uomini, ma per svilupparne
le provocazioni e scavare in profondità nell'interpretazione del
messaggio biblico e della tradizione cristiana, per fornire strumen­
ti e indicazioni sulla questione della donna, rimasta per troppi
secoli inesplorata. Non è facile infatti muoversi tra il rischio di
cadere nelle spinte radicali di certo femminismo teologico, e
quello di evitare la diffidenza e l'ostilità dei teologi piti conserva­
tori.
È opportuno, come fa Vanzan, sottolineare che è una maledi­
zione e non una volontà di Dio la divisione innaturale dei
compiti maternità e lavoro. Infatti, se ci riferiamo all'interpreta­
zione del racconto genesiaco, ha adam è nome comune e collettivo
e significa l'umanità, creata da Dio a sua immagine, maschio e
femmina. La differenza cosi non intacca affatto l'essere persone
ad immagine di Dio. Il racconto di Genesi 3 ci dice invece come
la reciprocità e uguaglianza della coppia primitiva sia stata sosti­
tuita col peccato dall'incomprensione tra i sessi e il predominio
maschile. «Perciò è dopo il peccato che l'uomo e la donna non
sono piti "uno" nella comunione di vita (personalismo), né li
vediamo piti "insieme" a lavorare e a procreare, ma con un'innatu­
rale - rispetto al piano di Dio (ma naturalissima per il maschili­
smo successivo) - divisione dei ruoli, solo Adamo diventa il
lavoratore e solo Eva la madre: ed entrambi non per vocazione­
amore, ma per castigo e come condanna» 24.
Un ulteriore aiuto per una piti appropriata esegesi della
Genesi 2 viene dall'interpretazione del termine ezer kenegd6 che
P. Vanzan, La donna nella Chiesa: problemi e prospettive, cit., p. 121.
P. Vanzan, Le radici della questione femminile, in AA.vv., La donna
nella Chiesa e nel mondo, cit., p. 92.
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non sta a dire un aiuto simile (termini che alludono troppo ad
una uguaglianza di derivazione), ma un altro, una totalità comple­
ta e autonoma che sta di fronte, in pari dignità. Su questo punto
l'Autore ha scritto da poco quest'altra bella pagina: «In realtà,
l'originale ebraico (.. .) indica, secondo la traduzione dei rabini
d'Italia, "un aiuto che era davanti a lui", la sua controfigura, che
gli corrisponde vis à vis, come insegna la psicologia piti recente,
che sia il duplex reciproco (...). Perciò, letteralmente, ke (come)
negd6 (contro di lui) indica quella sorta di contrapposizione che
è sempre l'altro rispetto all'io, cosicché, tra i due si dà quel
vitale confronto dialettico e relazione che fa dire, reciprocamente,
"tu sei il mio tu"» 25.
L'Autore, nel reinterpretare sia gli aspetti storico-sociologici
che quelli teologici del femminismo 26, colloca il fenomeno nel
processo di realizzazione storica del progetto di Dio tra un'indica­
zione iniziale, inscritta nell'essere «ad immagine di Dio», e una
prospettiva escatologica.
p Vanzan rilegge dunque i temi della liberazione delle donne
alla luce della Rivelazione, valutando quanto può esservi di
anticristiano in certo femminismo e quanto può esservi di anti­
femminista nell'interpretazione androcentrica della Rivelazione.
Anche la teologia viene aiutata a liberarsi dalle ipoteche della
cosi detta teologia patriarcale, che, proiettando in Dio l'immagine
del sesso egemone, ha occultato la dimensione femminile di Dio.
Non a caso oggi si preferisce parlare di genitorietà di Dio per
poter andare oltre la contrapposizione tra il dio padre degli
uomini e la dea madre delle donne.
Il problema dell'uomo e della donna, nel loro essere uguali
e diversi evoca l'uni-trinità di Dio, ovvero interroga sull'essere
di Dio un'unica natura e tre persone, perfetta uguaglianza e
differenza in termini di reciprocità. Come si vede il problema è
ben lungi dall'essere esaurito e reclama perciò ulteriori contributi.
Ma come ha scritto Vanzan, «questo è un "tempo opportuno",
P. Vanzan, La reciprocità ideale uomo-donna nella Bibbia, cit., p. 35.
Recente il contributo, in tale direzione, di M.T. van Lunen-Chenu-R.
Gibellini, Donna e teologia, Queriniana, Brescia 1988.
25
26
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un kairòs della grazia. Infatti, dopo millenni, pare ormai vicina
l'alba in cui, finalmente, la comunione di 'Ish-'Ishàh sognata da
Dio fin da principio, potrà realizzarsi compiutamente, nel nuovo
Adamo e nella nuova Eva, in Cristo e Maria: riconoscendo la
rispettiva e irripetibile dignità, ma senza negare le differenze
che, come intravisto, sono la molla fondamentale del continuo
dinamismo dell'uomo e della donna, finché tutto sarà consumato
nell'unità del Dio trina ed unico» 27.
GIULIA PAOLA
27
Dr
La reciproci/a ideale uomo-donna nella Bibbia, cit., p. 37.
NICOLA