Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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Poteri amministrativi impliciti e principio di legalità: una convivenza dai fragili equilibri
A CURA DI
VITO MICHELE DONOFRIO
Chiunque indirizzi la propria persona allo studio del diritto pubblico non può esimersi dal
considerare la rilevanza che il principio di legalità assume nelle moderne dinamiche giuridiche.
Il carattere necessariamente mutevole ed evolutivo della realtà impone, infatti, di esaminare, o
meglio "monitorare", i corollari che esso genera in un ordinamento attento alle esigenze di
protezione di coloro nella cui sfera giuridica si ripercuotono gli effetti di atti e provvedimenti
adottati dalla pubblica amministrazione.
Una sensibilità tanto più avvertita se solo si pone mente alla significativa e pingue casistica con cui
la giurisprudenza degli ultimi anni ha dovuto confrontarsi onde risolvere i problemi che alcune
tipologie di poteri esercitati dall’amministrazione hanno posto con il principio di legalità1: il
riferimento è - per quanto in questa sede di interesse - alla delicata questione relativa alla
possibilità di riconoscere la titolarità, in capo alla pubblica amministrazione, di poteri cd. impliciti.
Più si ritiene che la legge debba integralmente regolare i modi di estrinsecazione del potere
amministrativo, più ricorrere a poteri non espressamente attribuiti diviene un comportamento
censurabile; viceversa, se si reputa che il legislatore possa limitarsi a descrivere il potere in modo
soltanto "finalistico - teleologico", manifestazioni implicite risultano essere certamente ammesse.
Le numerose incertezze che attraversano la materia giustificano, dunque, lo sforzo ermeneutico che
l'interprete è chiamato a profondere al fine di agevolmente percorrere i tornanti lungo i quali si è
inerpicata una tematica ad "alta volatilità".
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Tra queste giova porre mente anche alle ipotesi in cui l'Autorità è investita del potere di emanare ordinanze di
necessità e urgenza: questione su cui è di recente intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 4 aprile 2011, n. 115.
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SOMMARIO: 1. Il principio di legalità e il suo fondamento normativo – 2. Accezioni e corollari
applicativi del principio di legalità – 3. I poteri amministrativi impliciti: una teorica dai contorni
enigmatici – 3.1. L'ammissibilità della categoria dei c.d. poteri impliciti quale risultato di un
bilanciamento tra interessi contrapposti – 4. Poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi
impliciti: due facce della stessa medaglia?
1. Il principio di legalità e il suo fondamento normativo
Come nel diritto penale, anche nel diritto amministrativo il principio di legalità assume
un'importanza fondamentale quale principio destinato a conformare l'esercizio dell'azione
amministrativa.
Più nel dettaglio, si tratta del principio che impone alla pubblica amministrazione, nel dar corso alle
proprie iniziative, di rispettare il paradigma normativo di riferimento, per tale dovendosi intendere
tanto la norma attributiva del potere quanto la norma regolativa dello stesso2.
Ancor prima, però, di indagarne l’ubi consistam, alcune notazioni di carattere sistematico
risulteranno particolarmente utili per meglio chiarire il ruolo che esso riveste nell'economia
dell'intera trattazione.
Invero, la volontà dei Padri Costituenti di informare al principio di legalità anche la materia del
diritto pubblico, traspare limpidamente da una serie di disposizioni scolpite nella Carta
Fondamentale.
I parametri dai quali è consentito desumerne il rilievo costituzionale vengono pacificamente
rinvenuti: innanzitutto, nell'art. 97 Cost.; su un secondo fronte, negli artt. 24 e 113 Cost.; e, allorché
il potere è assegnato all'amministrazione per il perseguimento di determinati scopi (sub specie
imposizione di prestazioni di tipo personale o patrimoniale), nell'art. 23 Cost.
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Così descritto, il principio di legalità è inteso nella sua accezione cd. sostanziale (un’accezione fatta propria dalla
Corte Costituzionale anche di recente in sentenza n. 115/2011) che, a garanzia dei destinatari dell’azione
amministrativa, impone alla pubblica amministrazione di uniformare il proprio operato tanto alla norma di legge
attributiva del potere, quanto alla norma di legge regolativa del potere.
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Delle previsioni normative fin qui richiamate, quella che maggiormente attesta la particolare
sensibilità mostrata dal legislatore per la dimensione dell’agere amministrativo è certamente
rappresentata dall'art. 97, co. 1, Cost. a mente del quale "I pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione".
Proprio con l'obiettivo di regolare quanto più efficacemente possibile la materia dell'organizzazione
amministrativa, la riserva di legge, posta in subiecta materia, è pacificamente intesa come relativa.
A ben vedere, il legislatore potrà limitarsi a fissare i pilastri della struttura organizzativa dei
pubblici uffici, demandando alla fonte secondaria, per il tramite dei regolamenti di organizzazione3,
la disciplina di dettaglio4.
Tuttavia, ai fini della presente trattazione una puntualizzazione è d'obbligo.
Sebbene, sulla scorta di una interpretazione letterale, la riserva relativa di legge indicata dall'art. 97
Cost. appaia essere ascritta al solo profilo organizzativo, la prevalente dottrina e la giurisprudenza
costituzionale sostengono che debba ritenersi estesa anche all'attività dell'amministrazione, tanto
inferendosi dalla circostanza che le finalità sottese all'art. 97 Cost. (assicurare lo svolgimento
imparziale e il buon andamento dell'amministrazione) sono evidentemente riferite all'azione
amministrativa.
La valenza costituzionale del principio di legalità esteso all'azione amministrativa viene dedotta,
altresì, dagli artt. 24 e 113 Cost.
Tali disposizioni, statuendo la giustiziabilità degli atti dell'amministrazione, offrono, infatti, una
tutela giurisdizionale a coloro sulla cui sfera giuridica si ripercuotono gli effetti pregiudizievoli
delle iniziative adottate dalla p.a.; una esigenza di protezione, questa, che per ritenersi davvero
soddisfatta, e non in sostanza priva di significato, presuppone l’esistenza di una norma di legge
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Sono organizzativi, ai sensi dell’art. 14, co. 1, lett. c), L. n. 400 del 1988, i regolamenti adottati per “l’organizzazione
ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge”. Giova dare memoria
del fatto che in passato, la categoria dei regolamenti di organizzazione, già previsti dalla L. 31 gennaio 1926, n. 100,
comprendeva i regolamenti volti a regolamentare l’organizzazione della p.a.; gli stessi, in quanto autorizzati a
modificare norme di rango primario preesistenti, operavano quali veri e propri strumenti di delegificazione. Quanto al
problema dell’ammissibilità di strumenti normativi siffatti, postosi con l’entrata in vigore della Costituzione
Repubblicana e con l’introduzione, nell’art. 97, di una vera e propria riserva di legge nella materia dell’organizzazione
degli uffici, sia consentito rinviare alla manualistica tradizionale.
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Alla stregua dell’attuale impianto costituzionale, l’organizzazione degli uffici è coperta da riserva relativa di legge,
sicché è nell’atto primario che vanno enunciati i principi della disciplina, non potendo i regolamenti di organizzazione,
pertanto, atteggiarsi ed operare come regolamenti indipendenti.
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attributiva del potere, la cui violazione il destinatario dell'agire pubblico possa invocare di fronte
al giudice amministrativo.
Infine, allorché il potere è assegnato all'amministrazione al solo scopo di imporre, in capo al
privato, prestazioni di tipo personale o patrimoniale, la base costituzionale del principio di legalità
si arricchisce con il riferimento all'art. 23 Cost.
Anche questa disposizione, prevedendo che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può
essere imposta se non in base alla legge", istituisce una riserva relativa di legge.
Infatti, come sostiene ormai pacificamente la giurisprudenza costituzionale, l’espressione “in base
alla legge” si deve interpretare “in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà
individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale”5; sicché, quando
dall'esercizio del potere amministrativo derivi l'imposizione di prestazioni di natura patrimoniale o
personale, tale potere deve essere compiutamente descritto dalla norma di legge, onde avere una
copertura legislativa e non lasciare all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della
prestazione.
2. Accezioni e corollari applicativi del principio di legalità
Ricostruito il fondamento normativo, la comprensione della tematica afferente la coniugabilità dei
c.d. poteri impliciti con il principio di legalità non può prescindere da due ulteriori notazioni.
Innanzitutto, occorre interrogarsi sull’ubi consistam del principio di legalità.
Come noto, ad esso sono stati attribuiti diversi significati; si tratta di verificare quale di questi è
stato condiviso dall’elaborazione dottrinale e nelle applicazioni giurisprudenziali.
Nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale sono emerse, infatti, tre accezioni: è stato inteso in senso
debolissimo, in senso debole (o formale) e in senso forte (o sostanziale)6.
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In termini, Corte Cost., n. 4 del 1957. Lo stesso orientamento è stato ribadito da Corte Cost., n. 190 del 2007, secondo
cui, per rispettare la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost., è quanto meno necessario che “la concreta entità della
prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività
dell’amministrazione”.
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CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 42.
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Per chi lo ha inteso in senso debolissimo, il principio di legalità impone all’amministrazione il solo
divieto di svolgere la propria attività in contrasto con il parametro legislativo, consentendo,
viceversa, di porre in essere tutto ciò che dalla legge non è espressamente vietato.
Inteso, invece, in senso debole (o formale), il principio di legalità comporta la necessità che ogni
iniziativa della pubblica amministrazione, provvedimentale o attizia che sia, abbia un fondamento
nella previsione di legge.
Inteso nell’ultima, e più robusta, accezione (in senso forte o sostanziale), il principio di legalità
impone alla pubblica amministrazione, nel dar corso alle proprie iniziative, di rispettare il
paradigma normativo di riferimento, per tale dovendosi intendere tanto la norma attributiva del
potere quanto la norma regolativa dello stesso.
Sull'effettivo ambito applicativo del principio di legalità dell'azione amministrativa è di recente
tornata a pronunciarsi la Consulta con la sentenza 4 aprile 2011, n. 115.
Nel chiarire le finalità sottese all'assoggettamento costituzionale dell'amministrazione al suddetto
principio, il Giudice delle Leggi, nella primavera del 2011, ha affermato a chiare lettere che la
Costituzione indirizza il principio di legalità, prima ancora che all'amministrazione, al
legislatore.
Più nel dettaglio, la Corte, dando atto della propria consolidata giurisprudenza, ha ribadito che
affinché possa dirsi davvero rispettato il principio di legalità, il legislatore non può limitarsi a
descrivere il potere che attribuisce all'amministrazione in modo soltanto "finalistico - teleologico"
(rectius, limitarsi a stabilire, nella norma attributiva del potere, le finalità per il cui raggiungimento
il potere è assegnato all’amministrazione), bensì è necessario che di quel potere vengano indicati,
sia pur in maniera elastica, contenuto e modalità di esercizio7.
Pertanto, solo attribuendo all'amministrazione il potere in modo non assolutamente indeterminato,
ogni iniziativa concretamente posta in essere dalla p.a. avrebbe una copertura legislativa; unica
strada, quella descritta, percorribile dal destinatario dell’agere publicum per pretendere e ottenere
un controllo giurisdizionale circa la consonanza del potere esercitato dall'amministrazione al
parametro legislativo di riferimento.
Chiarita l’accezione del principio di legalità invalsa nella più recente giurisprudenza costituzionale,
giova soffermarsi sui corollari che tale principio reca con sé in ambito amministrativo.
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Corte Cost., nn. 32 del 2009, 307 del 2003, 150 del 1982.
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Si tratta, più nel dettaglio, di precipitati che attengono alle caratteristiche dei provvedimenti
amministrativi dotati del connotato della cd. autoritatività.
In particolare, questi devono rispondere ai caratteri della tipicità e della nominatività.
Ciò comporta innanzitutto che siffatti provvedimenti non possono ammettersi al di fuori dei casi
previsti dalla legge.
Ulteriore corollario applicativo del principio di legalità, oggi positivizzato per effetto della legge n.
15/2005, è quello della eccezionalità dei casi in cui all’amministrazione è riconosciuto il potere di
portare coattivamente, e unilateralmente, a esecuzione i suoi provvedimenti amministrativi, senza
dover ricorrere all’organo giurisdizionale.
Più nello specifico, si discorre di quel corollario che, in passato elaborato in via interpretativa dalla
giurisprudenza, trova oggi espressa enunciazione nell’art. 21 ter della legge n. 241/90, come
introdotto dalla legge n. 15/2005, a tenore del quale “nei casi e con le modalità stabilite dalla legge,
le pubbliche amministrazioni possono imporre l’adempimento degli obblighi nei loro confronti”.
3. I poteri amministrativi impliciti: una teorica dai contorni enigmatici
L'aver chiarito l'ubi consistam del principio di legalità, ormai pacificamente inteso nella sua
accezione più robusta, permette di introdurre il tema dei rapporti tra lo stesso e l'ammissibilità nel
nostro ordinamento dei c.d. poteri amministrativi impliciti8.
Considerato in questa intensità, il principio di legalità presenta punti di attrito con quelle
disposizioni che nel conferire poteri all'amministrazione si limitano a stabilire le finalità per il cui
raggiungimento quei poteri sono stati assegnati, non precisandone, sia pur in maniera elastica,
contenuti e modalità di esercizio. L'assenza di qualsivoglia indicazione in merito darebbe, di fatto,
la stura ad inaccettabili vulnus di tutela in capo ai destinatari dell'agire pubblico, i quali si
8
A tal proposito sia consentito segnalare che, al di fuori dei confini nazionali, il riconoscimento di poteri impliciti è
stato consacrato da una espressa previsione del TFUE (art. 352), in forza della quale "Se un'azione dell'Unione appare
necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che
questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta
della commissione e previa approvazione del Parlamento Europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta
le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su
proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo".
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vedrebbero defraudati di un puntale paradigma normativo rispetto al quale apprezzare la coerenza
dell'azione amministrativa volta ad incide sulla propria posizione soggettiva.
Ciò posto quanto alle ragioni sottese alla emersione del fenomeno, un approccio
metodologicamente corretto al tema necessita di dare inizio alla trattazione partendo da una
riflessione di tipo sostanzialistico - teleologico.
Nell'indagare la tematica de qua non è dato prescindere, infatti, dal significato che si suole attribuire
alla locuzione "potere amministrativo implicito".
Orbene, per potere amministrativo implicito si intende il potere non esplicitamente attribuito dalla
legge all’amministrazione, ciononostante funzionale al conseguimento del fine pubblico che la
disposizione di rango primario comanda di perseguire nell'esercizio di poteri espressamente
conferiti9.
Quanto rilevato attesta, senza timore di smentita, l'esistenza di un nesso tra il principio di legalità
dell’azione amministrativa e l’ammissibilità di poteri siffatti.
Più nel dettaglio, questa interconnessione certifica una convivenza dai fragili equilibri tra la
dimensione da attribuire, in subiecta materia, al principio di legalità e la facoltà di riconoscere
giuridica cittadinanza a poteri che potremmo definire "testualmente adespoti", in quanto privi di
qualsivoglia referente normativo.
La sensibilità mostrata nei confronti del fenomeno è ancor più avvertita se solo si pone mente alla
considerazione che maggiore è la portata e l’astringenza ascritta al principio di legalità dell’azione
amministrativa, minore è lo spazio che è consentito riconoscere alla categoria dei c.d. poteri
impliciti: più si ritiene che la legge debba regolare in modo puntuale i modi di estrinsecazione del
potere amministrativo, "più ricorrere a poteri non espressamente attribuiti da norme di legge
diviene un comportamento censurabile perché chiaramente vietato"10.
Se, per un verso, l'adozione di una determinata misura non può prescindere del tutto da un
fondamento normativo11, di contro, l'aver sposato un'accezione sostanziale del principio di legalità12
9
Nell'ordinamento italiano, la teorizzazione dei poteri impliciti è risalente. Per una disamina approfondita, si veda
BASSI, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001; MERUSI, I sentieri interrotti della
legalità, in Quad. cost., 2006, 276 ss.; MORBIDELLI, Il principio di legalità e i cd. poteri impliciti, in Dir. Amm.,
2007, 703 ss.
10
TORCHIA, Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, 2010, 19.
11
In questi termini si è espresso PERTICI, Brevi riflessioni sui poteri impliciti della Pubblica Amministrazione anche
alla luce di alcuni (più o meno) recenti casi giurisprudenziali, in La Rivista Neldiritto, 2012, 1, 101.
12
Un principio – è bene ribadirlo – rivolto al legislatore, tenuto, nell'attribuire il potere all'amministrazione, a farlo non
in modo indeterminato, ma, al contrario, specificando il contenuto e le modalità di esercizio del potere assegnato.
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non consente di cedere alla suggestione illuministica della legge onniloquente, capace di tipizzare
qualsiasi fattispecie astrattamente ipotizzabile.
Infatti, se trovasse seguito in campo amministrativo una teorica di questa intensità, ne
conseguirebbe che la norma di rango primario sarebbe chiamata a tipizzare (rectius, prevedere e
disciplinare) ogni specifico potere conferito all'amministrazione, risultando, nei fatti, annichilita
qualsiasi iniziativa della p.a. e, alla luce del carattere necessariamente mutevole ed evolutivo della
realtà giuridica, inevitabilmente pregiudicato il raggiungimento delle finalità pubblicistiche
individuate dal legislatore13.
L'esatta soglia di determinatezza della norma di legge attributiva del potere deve, dunque, essere
tale da contemperare nella giusta misura tali istanze con le irrinunciabili ed insopprimibili garanzie
di legalità di cui sono titolari i destinatari del potere pubblico.
A chiosa delle argomentazioni fin qui spese è doverosa una puntualizzazione.
Di fatto, l'esigenza di preservare un equilibrio così fragile ha ragione di essere soddisfatta solo
allorché l’amministrazione eserciti un potere, non anche quando la stessa agisca nell’esercizio
dell’autonomia privata (sub specie negoziale), potendo in questo caso, al pari del privato, utilizzare
moduli negoziali innominati, ovvero non previsti dal codice civile e, più in generale, dalla legge.
Tanto premesso, il nucleo attorno al quale ruotano le maggiori difficoltà ermeneutiche è
rappresentato dalla esatta perimetrazione degli spazi riconosciuti nel sistema amministrativo italiano
ai c.d. poteri impliciti.
Come osservato in precedenza, l'esegeta si trova al cospetto di poteri che, sebbene non attribuiti
dalla legge, l’amministrazione pretende di esercitare – in uno a quelli alla stessa espressamente
conferiti – perché funzionali all’adeguata realizzazione dello scopo che la stessa legge impone di
perseguire nell’esercizio dei poteri assegnati.
A tal riguardo è opportuno evidenziare che il problema dell’ammissibilità di poteri siffatti è stato
solo in parte ridimensionato nella sua portata a seguito della espressa codificazione – avvenuta con
la legge n. 15/2005 – di poteri di cui in passato già si riconosceva la “implicita titolarità" in capo
13
In materia di Autorità Indipendenti, ad esempio, molte disposizioni in cui si esprime la regolazione di settore sono
formulate in maniera tecnicamente discutibile e sono caratterizzate da una forte ambivalenza e compromissorietà. Gli
interessi pubblici da perseguire (che, tra l'altro sono molteplici e spesso potenzialmente confliggenti) non sono
individuati in modo preciso; gli strumenti di intervento delle Autorità non sono disciplinati in maniera organica; non
sono, inoltre, indicati i criteri tecnici da applicare. Ebbene, tutti questi fattori hanno contribuito a rendere assai difficile
per le singole Autorità la definizione precisa dei propri compiti e, quindi, della missione istituzionale affidata dalla
legge.
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all’amministrazione: il riferimento è ai poteri di autotutela (nella forma della revoca e
dell’annullamento), di convalida e di sospensione dell’atto.
Tanto è ancor più vero se solo si considera che il tema dei rapporti tra il principio di legalità e
l'ammissibilità di c.d. poteri impliciti è tornato prepotentemente d'attualità per effetto del
riconoscimento, soprattutto in capo alle Autorità Indipendenti, di poteri concomitanti o
consequenziali rispetto a quelli espressamente conferiti dalla legge14.
3.1. L'ammissibilità della categoria dei c.d. poteri impliciti quale risultato di un bilanciamento
tra interessi contrapposti
La questione è stata esaminata a più riprese dal Consiglio di Stato15, il quale, nel risolvere i casi
sottoposti alla Sua attenzione, ha seguito un monolitico approccio ricostruttivo ed interpretativo.
Pietre miliari in questa materia sono due sentenze della VI Sezione - la n. 5827 del 17 ottobre 2005
e la n. 2521 del 2 maggio 2012 - il cui impianto argomentativo è stato ribadito anche nel 2013 da
Cons. St., Sez. V, 6 marzo, n. 1354.
In entrambi i leading cases il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa è stato chiamato a
sentenziare in merito alla legittimità di una delibera con cui l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il
Gas (d'ora in poi A.E.E.G.) aveva previsto per tutti i fruitori del servizio l’obbligo assicurativo per i
rischi connessi all’utilizzo del gas naturale.
Tuttavia, questa delibera era stata adottata a fronte di una previsione legislativa che assegnava alla
stessa A.E.E.G. il compito di "...assicurare, nell’erogazione dei servizi di pubblica utilità dei settori
di sua pertinenza, il rispetto dell’ambiente, la sicurezza degli impianti e la salute degli addetti".
Orbene, nel disattendere la censura con cui era stata dedotta la mancanza di copertura legislativa
all’operato dell’A.E.E.G., i Giudici della VI Sezione ammettono l'astratta coniugabilità dei c.d.
poteri impliciti con i principi informatori del Sistema giuridico repubblicano.
14
In termini, TORCHIA, op. cit., 21.
Cfr. Cons. St., Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1354; Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1215; Cons. St., Sez. VI, 22 aprile
2009, n. 5505; Cons. St., Sez. VI, 10 maggio 2007, n. 2244; Cons. St., Sez. VI, 11 aprile 2006, n. 2007; Cons. St., Sez.
VI, 17 gennaio 2006, n. 3501; Cons. St., Sez. VI, 17 ottobre 2005, n. 5827; Cons. St., Sez. VI, 24 gennaio 2005, n. 128;
Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 991; Cons. St., Sez. VI, 29 maggio 2002, n. 2987; Cons. St., Sez VI, 1 ottobre
2002, n. 5105.
15
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Appare interessante valorizzare i passaggi più significativi del percorso logico - argomentativo
tracciato.
I Giudici del Supremo Collegio sostengono che, vigente nel nostro ordinamento il principio di
legalità dell’azione amministrativa, può riconoscersi cittadinanza alla categoria dei c.d. poteri
impliciti solo in presenza di talune, tassative, condizioni.
Più nel dettaglio, affinché possa ritenersi conforme a Costituzione il conferimento
all'amministrazione di poteri scevri di puntualità descrittiva (rectius, senza che sia rispettato il
principio della determinatezza), condizione imprescindibile è che questo deficit di descrizione
normativa sia bilanciato attraverso un irrobustimento di garanzie che afferiscano al contraddittorio
dei destinatari del potere pubblico.
Nel dar seguito al proprio ragionamento, i Giudici di Palazzo Spada sottolineano che il tecnicismo
di alcuni settori (primi fra tutti quelli di competenza delle Authorities) non consente alla legge di
stabilire con precisione il contenuto della regola e del potere che l’amministrazione deve esercitare,
con la conseguenza che il legislatore, proprio per consentire un adeguamento della disciplina
all’evoluzione tecnica del settore, assegna all’Autorità il compito di integrare il sistema normativo.
Tutto quanto osservato comporta quale conseguenza che il privato destinatario dell’agere publicum,
per il sol fatto di non avere a disposizione un parametro normativo rispetto al quale stimare la
legittimità dell'azione amministrativa, subisce un vuoto di tutela, per bilanciare il quale deve vedersi
riconosciuto, nel momento in cui quel potere viene esercitato, un supplemento di garanzie.
Insomma, mutuando una locuzione cara ai civilisti, ci si troverebbe al cospetto di una sorta di
reductio ad aequitatem di matrice pubblicistica; nella sostanza, un meccanismo di bilanciamento la
cui attivazione rappresenta l'unica strada percorribile per evitare la declaratoria di illegittimità della
norma attributiva del potere priva di qualsivoglia puntualità descrittiva.
Pertanto, pena la violazione di quelle esigenze di tutela dei destinatari del potere pubblicistico che
sono a fondamento del principio di legalità dell’azione amministrativa, la tolleranza di questa
minore incisività descrittiva deve essere compensata da un invigorimento di garanzie da riconoscere
agli interessati nel corso del procedimento. La regola concreta che l’amministrazione adotta per
colmare il vuoto descrittivo della norma di legge, deve essere, dunque, la risultanza di un confronto
tra amministrazione e destinatari/interessati; confronto, questo, destinato a svolgersi nel corso di un
procedimento a garanzia partecipativa irrobustita.
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All'esito della parabola argomentativa tracciata, i Giudici di Palazzo Spada individuano,
cristallizzandole, due condizioni in presenza delle quali, soltanto, l'esercizio di poteri non
puntualmente riconosciuti in modo esplicito dalla legge può ritenersi conforme al principio di
legalità dell'azione amministrativa.
Da un lato è sufficiente che la fonte giuridica di rango primario, in quanto volta a conferire e
disciplinare un potere non programmabile in via anticipata, si limiti ad indicare gli obiettivi che
l’amministrazione è tenuta a perseguire; dall'altro è indispensabile che all'esercizio di siffatti poteri
faccia da speculare contralto un potenziamento delle forme di coinvolgimento di tutti i soggetti
interessati, destinato a tradursi in un rafforzamento delle garanzie di tipo procedimentale.
4. Poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi impliciti: due facce della stessa
medaglia?
Dopo aver puntualmente descritto la disciplina dei c.d. poteri impliciti, onde offrire al lettore una
panoramica d'insieme giova soffermarsi su talune precisazioni concettuali volte a marcare i confini
con la categoria dei c.d. atti amministrativi impliciti.
Volendo dare armonia alla trattazione, ragioni di logica giuridica suggeriscono di modulare l'assetto
di indagine.
L’aver fornito la nozione di atto implicito e l’aver tratteggiato i requisiti che consentono di
rimarcarne la distinzione con la categoria dei poteri impliciti, consentirà di partitamente
scandagliare il profilo - ad oggi di sicuro interesse ermeneutico - attinente la compatibilità di tale
figura con alcuni principi generali desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo.
Così chiarito lo schema di lavoro, è lecito ricostruire la nozione di atto implicito.
Orbene, di atto amministrativo implicito si suole parlare allorché il provvedimento è destinato a
produrre effetti ulteriori rispetto a quanto espressamente indicato nell’atto stesso, ovvero con
riguardo ai casi in cui la volontà dell’amministrazione, non estrinsecata in un provvedimento
formale, è ricavabile da un comportamento, sicché l’atto è pur sempre esteriorizzato, anche se
soltanto in forma indiretta16.
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Per approfondimenti, si rinvia a TUCCI, L'atto amministrativo implicito, Milano, 1990.
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Indagato il significato di atto implicito, giova fotografare i requisiti (suoi propri) che consentono di
distinguerlo dal potere implicito.
In merito a questa classificazione ha fatto scuola una pronuncia del Consiglio di Stato risalente al
lontano 200217, di cui è utile riassumere i passaggi più significativi.
In primo luogo, deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della p.a. (sub specie
comportamento concludente o altro atto amministrativo); tale atto o comportamento, poi, deve
provenire da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni; l’atto
implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell’autorità amministrativa che ha
emanato l’atto presupposto; ancora, per l’atto implicito la legge non deve richiedere una forma
determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per
l’emanazione dell’atto; infine, deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l’atto
implicito e l’atto presupponente, il primo dovendo costituire l’unica conseguenza possibile dell’atto
a monte espresso18.
L’atto implicito è, dunque, un atto consequenziale in senso stretto19, che, seguendo ad un
provvedimento di per sé compiuto ed autonomo, lo presuppone e ne costituisce il consequenziale
svolgimento, necessario per dargli esecuzione20.
Tutto quanto sin qui detto offre all'interprete l'occasione di compiutamente esplorare le perplessità
sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza circa la consonanza di questa categoria
di atti con alcuni principi informatori del procedimento amministrativo.
A ben vedere, infatti, si tratta di categoria che pone non già un problema di compatibilità con il
principio di legalità (trattandosi pur sempre di atti previsti dalla legge), quanto delle frizioni: in
primis, con le regole che attengono alle forme di esternazione dell’atto amministrativo; in secundis,
con i principi generali desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo (motivazione,
conclusione del procedimento con provvedimento espresso); in tertiis, con due nuovi istituti del
diritto amministrativo, introdotti dall’intervento riformatore del 2005, quali la nullità dell’atto
amministrativo per mancanza di elementi essenziali e il preavviso di rigetto.
17
In tal senso, Cons. St.,Sez. IV 18 ottobre 2002, n. 5758.
In tal senso, Cons. St., Sez. IV 18 ottobre 2002, n. 5758; Tar Piemonte, Sez. I, 9 aprile 1990, n. 201.
19
Sull'atto consequenziale si veda IEVA, Presupposti processuali e condizioni dell'azione, in CARINGELLA GAROFOLI, Trattato di giustizia amministrativa, vol. III, Il processo amministrativo di primo grado, Milano, 2005,
400; TREBASTONI, Tipologie di atti e onere di impugnazione, in www.Diritto&Diritti.it.
20
Si veda Cons. St., Sez. VI, 3 dicembre 1983, n. 882, relativa al rapporto sussistente tra il provvedimento di
sistemazione, o di trasferimento, di un insegnante rispetto al provvedimento di inclusione nella graduatoria degli
incarichi.
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In primo luogo, ci si interroga in merito alla compatibilità dell’atto implicito con l’obbligo generale
di motivazione sancito dall’art. 3 ex lege n. 241/1990.
A fronte di chi esclude che tale prescrizione incida negativamente sulla permanenza della figura,
ritenendo che, nel caso di atto implicito riveniente da altro atto amministrativo, è comunque
consentito desumere la motivazione dall’atto presupposto21, non manca chi evidenzia, invece, che il
principio della libertà delle forme, tradizionalmente ritenuto vigente nel diritto amministrativo, è
stato di fatto eroso dall’esigenza che ogni provvedimento debba essere motivato ai sensi dell’art. 3
l. 241/1990, idoneo, così, ad attestare la necessità sempre della forma scritta22.
Si tratta di posizione, quest'ultima, che non appare, tuttavia, in linea con quel diffuso indirizzo
pretorio secondo cui il difetto di forma costituisce causa di nullità solo nei casi in cui una
determinata forma è prescritta dalla legge23.
Anche l’obbligo, sancito dall’art. 2 l. 241/1990, di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso non è ritenuto incompatibile con la figura dell’atto implicito, inteso come
manifestazione espressa della volontà dell’amministrazione, sebbene esternata in forma indiretta24.
Infatti, secondo l'ormai consolidata lezione dottrinale, l'aggettivo "espresso" non è da tradursi nel
senso di "esplicito", bensì da intendersi come limitato a sancire il solo divieto dell’inerzia
amministrativa, non anche di manifestazioni implicite di volontà25.
Ci si interroga, poi, in merito all’incidenza che sull’attuale configurabilità di atti amministrativi
impliciti riveste l’art. 21 septies l. 241/1990, laddove prevede tra le cause di nullità dell’atto
amministrativo la mancanza degli elementi essenziali (c.d. nullità strutturali)26.
Quanto al vizio di forma, alla luce dei più recenti insegnamenti dottrinali e giurisprudenziali, giova
considerare che non ogni deficit formale conduce all’invalidità dell’atto.
21
TUCCI, op. cit., 65.
CAVALLARO, Delle nullità del provvedimento amministrativo per mancanza di uno degli elementi essenziali, in
www.giustamm.it; CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2004, 192; contra, CARINGELLA, Corso di
diritto amministrativo, op. cit., 1806, che ribadisce la permanenza del principio di libertà delle forme nel diritto
amministrativo, in mancanza di una norma generale che prescriva la forma scritta.
23
Cons. St., Sez. IV, 27 ottobre 2005, n. 6023; Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 15 novembre 2006, n. 12461; Tar Veneto,
Sez. II, 12 febbraio 2008, n. 350; Tar Toscana, Sez. III, 2 luglio 2007, n. 1013; Tar Lazio, Roma, 17 maggio 2007, n.
4568; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 24 marzo 2006, n. 993; Tar Puglia, Lecce, Sez. I, 26 gennaio 2006, n. 507.
24
Per ulteriori approfondimenti, sia consentito rinviare a TUCCI, op. cit.
25
CASETTA, op. cit., 507.
26
Sulla nullità degli atti amministrativi, CHIEPPA, Il nuovo regime dell'invalidità del provvedimento amministrativo, in
www.giustamm.it; DE FELICE, Della nullità del provvedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it;
PONTE, La nullità del provvedimento amministrativo, Milano, 2007.
22
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In altri termini, l’atto sarà nullo solo in mancanza della forma essenziale, ovvero nell'ipotesi in cui il
vizio di forma è talmente grave da comportare la non riconducibilità dell’atto all’autorità
amministrativa27. Inoltre, con riferimento al difetto di sottoscrizione, la giurisprudenza ritiene
irrilevante il vizio se è comunque possibile risalire aliunde all’autore dell’atto28.
Dunque, sulla scorta di queste argomentazioni, l'orientamento assolutamente maggioritario apprezza
l'atto implicito quale atto in astratto completo di volontà e forma, la cui nullità potrà essere
declarata, ex art. 21 septies l. n. 241/1990, solo qualora la forma espressa dovesse essere prescritta
dalla legge quale elemento essenziale.
A riprova della bontà di questa linea di pensiero proclive ad una esaltazione degli aspetti funzionali
del provvedimento a fronte di una marginalizzazione di quelli strutturali, viene richiamato anche
l'art. 21 octies, laddove "esclude che la violazione di norme sulla forma degli atti costituisca causa
di annullabilità del provvedimento, allorché risulti che il provvedimento avrebbe comunque avuto
identico contenuto".
Infine, last but not least, resta da verificare la compatibilità della figura dell’atto implicito con
l’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di cui all’art. 10 bis,
l. 241/199029.
Più nel dettaglio, ci si interroga se, operante la fase predecisoria di cui all'art. 10 bis (come noto
destinata a concludersi con un atto esplicito), la definizione del procedimento debba per ciò solo
avvenire con un provvedimento espresso, giammai con un atto amministrativo implicito.
27
Cons. St., Sez. IV, 27 ottobre 2005, n. 6023.
In tal senso, Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 15 novembre 2006, n. 12461, che ha affermato il principio con riferimento
al provvedimento amministrativo redatto con sistema meccanizzato o di elaborazione dati, mancante della
sottoscrizione o di altro elemento identificativo del suo autore. Nello stesso senso Tar Veneto, Sez. II, 12 febbraio
2008, n. 350; Tar Toscana, Sez. III, 2 luglio 2007, n. 1013; Tar Lazio, Roma, 17 maggio 2007, n. 4568; Tar Puglia,
Bari, Sez. I, 24 marzo 2006, n. 993; Tar Puglia, Lecce, Sez. I, 26 gennaio 2006, n. 507; Cort. Cost., ord., 21 aprile 2000,
n. 117, che ha ritenuto costituire diritto vivente il principio secondo cui l'autografia della sottoscrizione è elemento
essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge, essendo di regola
sufficiente che dai dati contenuti nello stesso documento sia possibile individuare con certezza l'autorità da cui l'atto
proviene.
29
Sul c.d. preavviso di rigetto, per approfondimenti, si veda BOTTINO, Commento all'art. 10 bis, in ITALIA
(coordinato da), L'azione amministrativa, Milano, 2005, 394; FANTI, La nuova comunicazione nel procedimento
amministrativo, in Urb. e app., 2005, 1252; LUCCA, Il c.d. preavviso di rigetto tra buona fede e legittima aspettativa
del privato, in www.lexitalia.it; Id., Preavviso di rigetto e sedimentazioni giurisprudenziali, ivi; MASTRECCHIA, Il
preavviso di rigetto: applicabilità ai procedimenti delle Regioni a statuto speciale dei principi sottesi all'art. 10 bis l. n.
241 del 1990 quali principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, in Giurisprudenza di merito, 1, 2008,
234 ss.; TARULLO, L'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione
istruttoria, in www.giustamm.it; VAIANO, Preavviso di rigetto e principio del contraddittorio nel procedimento
amministrativo, in www.giustamm.it; VIDETTA, Note a margine del nuovo art. 10 bis l. n. 241 del 1990, in Foro amm.
TAR, 2006, 2, 837.
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Nel dare soluzione a tale dubbio ermeneutico risulta opportuno tener conto di quanto in precedenza
osservato con riferimento all’art. 21 octies laddove impedisce di valorizzare vizi formali ovvero
procedimentali ogniqualvolta il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato.
Tale interpretazione funzionale della norma sembra doversi privilegiare ad onta della sua
formulazione letterale, che pare deporre nel senso della imprescindibilità della comunicazione dei
motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
In un’ottica sostanzialistica si è posta anche la prevalente giurisprudenza, secondo cui l’omissione
del cd. preavviso di rigetto non determina l’illegittimità del provvedimento finale nel caso in cui
l’interessato, nel ricorso, non abbia addotto alcun elemento in fatto idoneo ad inficiare le
conclusioni raggiunte con il provvedimento finale impugnato, non essendoci prova che la sua
partecipazione al procedimento sarebbe stata in grado di concretizzarsi in osservazioni,
suggerimenti ed anche opposizioni ragionevolmente idonei a sortire una favorevole incidenza
causale sul provvedimento finale30.
Alle stesse conclusioni può pervenirsi con riferimento all’omissione della comunicazione di avvio
del procedimento definitosi con un atto implicito, potendo anche in questo caso operare il
meccanismo di cui al co. 2 dell’art. 21 octies, l. 241/1990.
30
Tar Veneto, Sez. II, 12 febbraio 2008, n. 350; Tar Toscana, Sez. III, 2 luglio 2007, n. 1013; Tar Lazio, Roma, Sez. I,
17 maggio 2007, n. 4568; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 24 marzo 2006, n. 993; Tar Puglia, Lecce, Sez. I, 26 gennaio 2006, n.
507.
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