un`anima - POLO PSICODINAMICHE

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FRONTIERA DI PAGINE
RECENSIONI
RUCHIN E
«L’ANATOMIA DI
UN’ANIMA»
DI
ANDREA GALGANO
HTTP://POLOPSICODINAMICHE.FORUMATTIVO.COM
PRATO, PRIMO DICEMBRE 2011
Francesco Ruchin, Iginio Ugo Tarchetti Anatomia di un’anima, Prato, Pentalinea, 2011. Q
uando
Cletto
feuilettonista
Arrighi,
milanese
giornalista
e
definisce
la
Scapigliatura, ‘movimento’ letterario di
tardo Ottocento «serbatoio del disordine, della
imprevidenza,
dello
spirito
di
rivolta
e
di
I opposizione a tutti gli ordini stabiliti», è già avvenuto un processo nuovo, una
nuova maturazione all’interno della cultura letteraria italiana. La società
caratterizzata da un’implacabile e insaziabile logica economica, lasciava poco
spazio ai valori precipui dell’età risorgimentale. In tale condizione di acuto
mutamento sociale, l’intellettuale sentiva all’interno della sua pagina di voce
isolamento e impotenza, propensione a un’arte di rottura e – anche se il termine
è da prendere con le molle – di avanguardia.
Il disprezzo della morale, l’erotismo ribelle, l’alcool e la droga (con la
condizione estrema in certi casi del suicidio) o la morbosità magnetica della
morte sono i connotati dello ‘scapigliato’. Ma è solo una parte del vero. La
percezione di un’angoscia isolata e esiliata recano la traccia di una nuova
dimensione psicologica che ricerca una nuova condizione primitiva, reduce dalla
coda romantica di Nerval, Nodier, Poe, Hoffman e Baudelaire.
L’arcano della natura e lo spettacolo delle trasformazioni naturali affascinano il
soggetto e costruiscono una tensione estrema, dove anche il macabro e
l’assolutizzazione del gotico raggiungono l’estremo del margine, della
contraddizione, della religiosità interrotta.
II Il merito del libro di Francesco Ruchin, docente di letteratura italiana
all’Università di Santiago di Compostela, è non solo di sbrogliare una matassa
poco studiata e perspicacemente messa a fuoco di un periodo, ma anche di far
luce sulla figura di Iginio Ugo Tarchetti, figura come del resto i vari Boito,
Dossi o Praga, borderline della nostra storia letteraria
La Scapigliatura è stata un crinale letterario sia per l’assolutizzazione di molti
temi cari ai romantici ma soprattutto in quanto strada al verismo e alla sua
‘scienza delle figure’.
Ma è stato un movimento milanese e settentrionale che ha guardato alla scienza
come corrosione del precostituito, della dialettica ipotetica e da un punto di vista
sociale, del conformismo borghese.
Rottura di una tradizione, certo, ma anche viaggio nell’abisso, quando sfugge il
vero possesso del mondo, con l’illusione di raccogliere l’autenticità del vero che,
in una realtà che non esiste più, risulta meta esistenziale, malattia congenita,
parola sputata.
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Salvatore Farina descriveva così nel 1863 Tarchetti: «lungo, pallido,
malinconico, fatale, chiuso come in una sepultura dorata nella tunica
dell’Intendenza militare». Ritratto prefigurativo, che Ruchin ha la lucidità di
mettere in luce nel suo percorso.
Egli stesso scrive: “Tutta la narrativa tarchettiana è la constatazione di un lutto
particolare: la morte lenta ed angosciante dell’Io, ma il termine ultimo non è la
morte, quanto un’isoglossa che sprofonda sempre più verso regioni inesplorate,
incontaminate dalla morte stessa”. Prefigurazione e dissolvimento in un unico
canto stremato.
L’analisi ‘anatomica’ dell’opera passa attraverso la lente della sua anima,
tratteggiata con i solerti aggettivi da Farina e della sua vita breve e infelice.
Ma non è un tentativo di psicologizzare l’opera. Sarebbe un grave errore. Anzi
ha la capacità di penetrare nell’abisso e di fare un ritratto lucido e attento. Lo
specchio di Tarchetti passa attraverso la sua Fosca, storia autentica del suo
amore per una donna nevrotica, tormentata e piena di incubi.
L’anima di Tarchetti è una scena turbata dalla vanità delle cose e sporta
sull’insondabile mistero della morte. La psicologia che sottende gli avvenimenti
è un’indagine sulla trasformazione della materia e come scrive Marino Biondi
nell’introduzione: “Tarchetti fu un anatomista dell’amore, un perito settore del
cuore umano, delle sue atrofie e ipertrofie”.
Esiste nella sua poetica tout court una sensualità densa e allo stesso tempo un
sepolcro di ebbrezza.
Il rapporto stringente tra amore e morte ha il dettaglio marcato di una liturgia
nera di fiori e di fango paradisiaco.
La critica ha spesso insistito, oltre che sulla sciatteria compositiva delle sue
opere (Croce), anche sull’erotismo deviato, sulla guisa polemica dell’amore
borghese. Ma sono solo aspetti che non recano giustizia alla complessità di
un’anima. Uno scrittore non è mai la sua definizione.
L’ipotesi di una realtà oggettiva conoscibile e penetrabile si scontra con
l’impossibilità dell’esperienza e della vicenda labile e limitata.
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III Ruchin analizza nel suo testo la degenerazione come traccia iniziatica della sua
narrativa. La donna ha l’impronta del malato, del deforme, dell’enigma, e
soprattutto dell’imperfezione. Non è una provocazione, è un rito di debolezza e
potenza sensuale sempre in bilico sulla forma.
Anche le sue poesie amorose determinano una spezzatura di verso e un
annullamento. L’anima si annulla nel verso, come l’Io si annulla nella morte e
soprattutto nella malattia e nella solitudine.
Scrive giustamente Marino Biondi che l’orribile maestoso del giardino
di Fosca è disposizione di ossimoro e sinestesia trasversale di profumi e odori,
come testimonia Bouvard ad esempio. Ma la partita tarchettiana si gioca
sull’estremità, sul margine del qui e dell’oltre.
Tarchetti porta la sensibilità romantica all’ancoraggio di un vortice senza tregua
e di una decadenza simbolica d’espressione, in cui il doppio, la follia, il sogno
sono gli assoluti di un grido rauco di scrittura e di nebbia. E qui l’irrequieta
divagazione dell’anima trova la sua posa indefinibile, il suo labile discrimine. IV ®
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