i canti della follia

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i canti della follia
Milvia Lauro
I CANTI DELLA FOLLIA
Prefazione di
Lara Pasquini
Edizioni Helicon
CANTO N. 1
Il vuoto, le budella
sparse sulle scale,
le crepe
sul giorno che cresceva;
la processione
dei sogni scalcinati...
I morti
salivano le scale
portando
candele spente
e fiori di tramontana.
Bussavano alla porta
con le punte
dei loro precipizi.
Entravano
e un’acqua
ci copriva
rossa
come la tua follìa.
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DOVE SI PUÒ TROVARE L’ANIMA?
Ma dove si può trovare
l’anima intera,
quella che ci cullava
all’alba,
l’anima che vince
l’inquietudine
e l’ombra,
gli orizzonti brevi,
i limoni spremuti,
i campi aridi,
i falchi ciechi...
Dov’è la febbre
dei cieli moltiplicati,
dell’anello aperto,
dove
le infinite foci,
la frenetica estate?
Dove s’è smarrita
l’anima dell’amore?,
nel giardino vuoto,
nella foresta
dei pensieri tristi
o sulla durezza
dei metalli?
Non si ode più
il mito
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delle onde dipanate,
delle mele incantate
e dell’uccello delle Fate.
C’è una corrente
gelida e sotterranea.
C’è una penombra
senza spiragli.
Ci sono rose
senza profumo
e madri
senza braccia né cuore.
E non si può capire
dove s’è persa l’anima,
quella che ci cullava.
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QUANDO
Quando
il guerriero d’ambra
verrà
sulle soglie del giorno
e i pesci nuoteranno
tra le rive dei prati...
Quando
tra gli archi delle foglie
la cinciallegra
alzerà la voce
dei sogni freschi
e ucciderà il serpente
e l’incenso avvolgerà
il corpo di un bambino...
Quando dal pozzo
si attingeranno
luci e zampilli
e sui tetti
la viola
troverà il suo cielo...
Quando l’alba
potrà sconfiggere
il petulante verso
dei rospi
e l’acqua delle paludi
divenire vita...
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Quando il cuore
che ha sete
potrà bere
l’innocenza del giglio
e farsi vela...
Si alzerà la brezza.
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PRIMA CHE IL GIORNO GELI
L’UCCELLO DI CERA
Non voglio perdermi
nei meandri
del tuo antico inferno.
Non voglio bere
nelle corolle oscure
e vagare nella giungla
dei tuoi spinosi
pensieri
senza un giorno
di seta e vino
e di incantato spazio.
Non un riflesso
di torrente vivo
illuminava
il tuo specchio opaco.
Va’ via
dalle mie vene
di canti e sponde.
Voglio alzare le vele,
varcare l’orizzonte
e veder nascere
un germoglio nuovo
prima che il giorno
geli.
L’uccello di cera vola,
nei pensieri, sfidando
il cristallo del cielo:
tasti di mille note,
anelli di frenetiche corde.
Non gli accendete l’ali
poiché si scioglierebbe
in rive morte e gialle.
Lasciatelo cantare.
Ha un cipresso per Luna
ed un cammino
di crisantemi ubriachi.
È un delirio d’inverno
in cui le nebbie
sospirano riflessi
d’acque morte
e cilestrini spettri.
Ha un supplizio di neve
nelle piume
e gli occhi ombrati
dalle spine.
Non parlate all’uccello di cera
che ha corde
di morti violini
e cancelli di tempo.
Non toccatelo:
si disfa come un fiore,
si scioglie come sale
e schiuma in gridi.
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