Percorsi desiani - Comune di Desio
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Percorsi desiani - Comune di Desio
PREMESSA (NECESSARIA) AL TESTO Oggi esiste uno spazio territoriale, abitato da quasi quarantamila individui, che chiamiamo Desio e come tutte le località, anch'esso ha una storia. A questo proposito esistono luoghi in cui i segni del passato sono marcatamente evidenti, altri in cui essi sono diventati esigui fino a diventare quasi impercettibili, altri infine in cui tutti gli elementi non rivelano nulla circa le tappe della presenza umana. Desio, caso assolutamente normale in Italia, è un centro di antica origine e lungo questi millenni l'uomo ha costantemente trasformato l'ambiente, consegnandocelo, nel bene e nel male, come si presenta oggi . Senza alcuna pretesa di voler esaurire l'argomento, in queste pagine si cercherà di ripercorrere per sommi capi l'evoluzione dell'abitato, dei suoi abitanti e delle attività produttive, esaminando i segni che l'uomo ha lasciato nel territorio, nei manufatti e nella documentazione scritta. L'argomento di questa narrazione non sarà dunque una Desio astratta, ma i Desiani ed il loro costante sforzo di modificare l'ambiente per renderlo consono alle esigenze di ieri e di oggi. Nei decenni passati sono stati già dati alle stampe due eccellenti testi che intendevano riassumere le vicende storiche dell’abitato di Desio; a distanza di trentacinque anni dalla pubblicazione del volume di Alberto Cappellini1 ed oltre quaranta da quello di don Malberti2, giunge questa modesta opera che non ha l’ambizione di voler competere con i lavori che l’hanno preceduta. Il presente studio non intende essere un prodotto scientifico nel senso stretto del termine, ma uno strumento di divulgazione che, si spera, possa avvicinare un pubblico più vasto alla conoscenza della storia cittadina. Il presente lavoro presuppone i due studi che l’hanno preceduto e le diverse pubblicazioni che hanno visto la luce in questi decenni. Per coloro che desiderassero approfondire gli argomenti qui accennati, le note che corredano il testo avranno la funzione di indirizzare verso letture più approfondite e dettagliate. Vista la natura di questo studio che non è articolato secondo la tradizionale scansione cronologica degli avvenimenti, il lettore vorrà scusare qualche necessaria ripetizione che incontrerà nello scorrere le pagine che seguono. Questa ripartizione concettuale ha obbligato ad affrontare situazioni, temi o problemi che, come il lettore avrà modo di vedere, sono stati trattati in modo abbastanza sbrigativo; questa scelta è stata imposta dalla carenza assoluta di documenti (per assurdo questo accade per le epoche più vicine a noi), in altri casi dalla sovrabbondanza di documentazione, in tutti i casi dalla difficoltà di impostare per la prima volta l’argomento. Come direbbe Qualcuno: Se fossimo riusciti ad annoiarvi (o disgustarvi) credete che non s’è fatto apposta. 1 2 CAPPELLINI 1972. MALBERTI 1961. ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO AATM ACD ACM APD ASL AVFDM BAM BBM BTM CCL CDL HPM MGH,SS RISS Archivio Antona Traversi, Meda Archivio Comunale, Desio Archivio Capitolare, Monza Archivio Prepositurale, Desio Archivio Storico Lombardo Archivio veneranda Fabbrice del Duomo di Milano Biblioteca Ambrosiana, Milano Biblioteca Braidense, Milano Biblioteca Trivulziana, Milano Corpus Christianum Latinum Codex Diplomaticus Langobardiae Historiae Patrie Monumenta Monumenta Germaniae Historica, Scriptores Rerum Italicarum Scriptores IL TERRITORIO L’AMBIENTE NATURALE E LE RISORSE DEL SITO DI DESIO É vero che la storia si fa con i documenti, ma quando ci si avvicina allo studio delle vicende di una porzione di territorio delimitata come una storia cittadina, la tentazione, tanto scorretta quanto ineliminabile, è quella di forzare la mano alla documentazione e cercare di immaginare sotto il velo di tenui ipotesi le caratteristiche dei primissimi insediamenti. Ovviamente non possiamo sapere chi abbia per primo fissato la propria dimora in questo luogo che noi chiamiamo Desio, però forse si può pensare al perché sia stato scelto un sito di questo genere. Chiunque avrà osservato che l’attuale area occupata dalla Piazza è collocata leggermente ribassata rispetto al zona settentrionale dell’abitato; infatti corso Italia e le vie San Pietro e Boccaccio digradano lentamente verso il centro cittadino. Questo lieve avvallamento naturale è sicuramente da far risalire all’avanzata di un estremo lembo di ghiacciaio in epoche preistoriche. Il piccolo dislivello, che il dilavamento continuo deve aver addolcito, ma che anticamente doveva essere più marcato, sembrerebbe aver offerto le condizioni idonee all’insediamento umano; infatti le acque, defluendo verso il basso si raccoglievano nella parte dell’abitato corrispondente all’attuale area del centro, assicurando così ai primi abitanti una riserva d’acqua utile per i bisogni alimentari, per abbeverare gli animali e per la pratica agricola. Nelle epoche più antiche possiamo dunque pensare ad una zona più umida nella parte bassa dell’abitato ed a una zona “alta” dominata dalla foresta di latifoglie. Verosimilmente una primissima comunità umana coltivava la zona attorno al primo insediamento e traeva dalla foresta circostante risorse legnose, praticava la raccolta e quasi sicuramente allevava suini i quali trovavano tra le querce il necessario alimento. Anche la posizione dell’abitato sembra favorevole; infatti pure in epoche remote doveva sussistere una pista che collegava i centri maggiori, un’antenata della vecchia strada Valassina. La posizione, circa a mezza via tra Milano e Como, rendeva l’insediamento umano oggi corrispondente a Desio idoneo allo scambio, anche in considerazione del fatto che l’abitato si trovava a circa una giornata di cammino da Milano in direzione nord. L’ANTICHITA’ I CELTI Allorché si studiano le vicende di un centro abitato, la domanda ricorrente è: “Chi furono i primi abitanti?” Alberto Cappellini nel suo ampio studio Desio e la sua pieve. ha collegato i primi insediamenti umani a Desio con la civiltà ligure, evidenziando i rapporti tra la comunità desiana e quella di san Giorgio al Lambro, località da dove sarebbero giunti i primi abitanti della nostra città3. È evidente che la presunta provenienza dei primi Desiani da San Giorgio al Lambro risulta indimostrabile; gli stretti rapporti tra un centro minore ed il capo di pieve non sono certo l'argomentazione per sostenere una filiazione diretta, infatti a questa stregua tale discorso varrebbe per qualsiasi altro borgo del circondario. Forse la realtà è molto più complessa, infatti il nostro territorio è sempre stato, data la sua posizione, un luogo di passaggio e di scambio in quanto era posto su una delle arterie che collegavano la pianura ai passi alpini ed in particolare allo Spluga che nei secoli passati fu il valico più utilizzato. Rispetto a qualche decennio fa, nuove prospettive hanno permesso di modificare sensibilmente il quadro tradizionale della questione. Nell'area lombarda i ritrovamenti più interessanti sono quelli relativi alla cosiddetta Cultura di Golasecca, termine coniato per indicare manufatti riferibili a gruppi umani che avevano raggiunto un discreto livello di sviluppo. Studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che tali ritrovamenti non devono essere collegati a culture "locali", ma a gruppi di Celti (chiamati Galli dai Romani) che abitarono il nostro territorio assai prima della famosa invasione del 396 a.C.4. Come è stato appurato, comunità celtiche abitavano la,nostra area da secoli e ad esse si sovrapposero nuove migrazioni provenienti d’Oltralpe alle quali andrebbe fatta risalire la fondazione di Milano. Forse nell’area di Desio ebbero ad incontrarsi gruppi appartenenti a diverse etnie; se si può pensare a gruppi umani convenzionalmente denominati “Liguri”, non si deve scordare l’apporto che diedero allo sviluppo dell’area a nord di Milano anche gli Etruschi e soprattutto i Celti5. I ROMANI Se il primitivo insediamento celtico è avvolto nell’ombra delle ipotesi e delle ricostruzioni, per l’epoca romana cominciano ad emergere dati oggettivi di sicuro interesse. Come lo stanziamento gallico nella Pianura Padana e nell'area brianzola non fu un evento catastrofico e nemmeno di breve durata, altrettanto può dirsi per 3 CAPPELLINI 1972, pp.1-5. L’argomentazione di Cappellini si basa inoltre sulla frequenza dei toponimi in “asco” o “asca” che sarebbe di origine ligure. Come osservato da uno studioso della levatura di Giampiero Bognetti, non tutte tali terminazioni sono riconducibili a stazionamenti liguri; in molti casi vanno riferite a proprietà collettive di epoca medioevale o, genericamente ad un suffisso indicante proprietà. Cfr.: BOGNETTI 1978, p.13. 4 GRASSI 1991, p.20; DE MARINIS 1991, pp.95ss. 5 Per la ricostruzione delle fasi più antiche della storia di Desio si veda: BRIOSCHI 1995. l'insediamento romano e, conseguentemente, occorre parlare di un "processo" di romanizzazione. Con le tribù galliche stanziate a nord del Po, cioè quelle degli Insubri e dei Cenomani, divisi tra loro dal corso dell'Adda, i Romani non adottarono la politica di annientamento condotta verso i Galli Boi e Senoni. Le legioni non procedettero all'occupazione militare dei territori, ma si limitarono ad imporre foedera, cioè forniture di uomini per le truppe di Roma e forse anche tributi. A partire dalla metà del II secolo a.C. iniziò una profonda opera di romanizzazione dei territori a nord del Po, i cui attori principali non furono i legionari, ma artigiani che introdussero nell'area celtica manufatti, soprattutto metallici, di qualità superiore a quelli comunemente in uso. Come sempre accade in situazioni di questo genere, il gruppo tecnologicamente meno avanzato apre le porte ai nuovi manufatti d'importazione e successivamente agli interessi ed alla mentalità del popolo civilizzatore. Il processo proseguì per lungo tempo avvicinando utensili ed abitudini delle aristocrazie galliche a quelle dei capi romani. Non a caso nelle sepolture di quest'epoca sono stati rinvenuti numerosi pezzi di altissima qualità, considerati dai proprietari celti autentici "status symbol" mutuati dal mondo romano6. Nell'89 a.C. Cneo Pompeo Strabone concesse il Jus Latii che, pur comportando l'ingerenza diretta di Roma sul territorio lombardo, manteneva immutate le gerarchie sociali indigene, poste ora in grado di poter acquisire la cittadinanza romana. Nell'81 a.C. la Gallia Cisalpina diventò provincia; nel 49 fu concessa la cittadinanza romana ed in tal modo le antiche colonie si trasformarono in municipi. Infine nel 42 a.C. il nostro territorio fu aggregato al resto d'Italia ed inserito nell'undicesima regione, la Transpadana7. DESIO IN EPOCA GALLO-ROMANA Il primo contatto diretto tra Galli e Romani nella nostra zona dovrebbe risalire al 196 a.C., quando il console Claudio Marcello effettuò una profonda offensiva nel territorio degli Insubri, giungendo a conquistare Como che si arrese insieme a ventotto località fortificate, fra le quali poteva anche trovarsi Desio8. L'unico ritrovamento archeologico documentato a Desio è a carattere funerario e risale verosimilmente alla metà del primo secolo d.C.. Nel 1965, in via Grigna fu rinvenuto un corredo funebre in ceramica9. Poco distante furono rinvenuti altri frammenti funerari che farebbero pensare ad una piccola necropoli. È da notare che la località in questione è posta ad una discreta distanza dal centro cittadino, nei pressi dell'antica strada per Seregno e Carate (= via Due Palme). 6 CASIRAGHI 1992, pp.76-82. Per tutte le vicende relative ai rapporti tra Roma e la Gallia Cisalpina si veda: GRASSI 1991, pp.47ss. 8 LIVIO, XXXIII,34,8. Vedi anche GRASSI 1992, pp.111s. 9 La dichiarazione rilasciata dalla Soprintendenza descrive così il ritrovamento: "Nel mese di aprile u.s. è stata trovata a Desio, in via Grigna, una tomba romana a cremazione. Questa era a circa cinquanta centimetri di profondità e constava di un'anfora peduncolata, segata e coperta da un tegolone. Nell'interno di essa, oltre alle ossa combuste si è recuperato: un'olpe intatta; una lucernetta a volute con beccuccio arrotondato, rotta, una patera ed una coppetta a vernice rossa di tipo nord italico, scheggiata in alcuni punti ed una coppa, rotta, a pareti sottili con decorazione a foglie disposte ad embrice. La tomba è databile al primo secolo d.C. e forse intorno alla metà, come proverebbero la lucernetta, la forma dell'anfora ed in genere tutto il corredo ceramico. Dichiarazione rilasciata dalla Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia in data 2 settembre 1965, a firma della dott.sa Anna Maria Tamassia. 7 Un'ara di discrete dimensioni con un'interessante iscrizione è oggi collocata nel parco comunale di Villa Tittoni. Il testo dell'epigrafe è il seguente: J.O.M. CO. EX PREMISSA FULGURIS POTESTATE FLAVIUS VALENS V.C. EX D. V.S.L.M. D.P. Come si è potuto però appurare, quest'ara non è da riferire a Desio; essa proviene da Galliano in quanto fu acquistata dai Traversi per arricchire la loro collezione di marmi antichi. Di altre tre lapidi ci è giunto solo il testo, riportato da Mommsen. Le prime due erano murate nel campanile, la terza sulla facciata di una casa: HERC ULI IN VICTO MYRIS MOS ET QUIN TUS V.S.L.M. [Ad Ercole invitto. Mirismo e Quinto a diritto sciolsero volentieri il voto] 10 S. PLOIUS IIIII MERCURIO V.S.L.M. [S.Ploio Quinto a diritto sciolse volentieri il voto a Mercurio] 11 MEM C. CASSI AGATHEME RI COLLEGIUM FABRUM ET [Ricordo di C.Cassio Agatemero del collegio dei fabbri e...] 12 Alcune osservazioni preliminari su queste lapidi ci offrono qualche informazione interessante: le prime sono dedicate ad Ercole e Mercurio che erano tra le maggiori divinità anche del pantheon celtico. Questo fatto ci testimonia fin dall'inizio una forte componente gallica sul nostro territorio, perdurata a lungo e che l'invasore romano si è limitato a latinizzare. 10 MOMMSEN, V, n.5759. MOMMSEN, V, n.5760. 12 MOMMSEN, V, n.5761. 11 La lapide votiva dedicata a Mercurio è di un certo S.Ploio (=Plozio) Quinto, un nome aristocratico di una famiglia di indubbia ascendenza celtica; siamo forse di fronte ad un membro dell'aristocrazia indigena ormai inserito nel mondo culturale latino. Sia Cappellini, sia Malberti e Barzaghi hanno messo in particolare evidenza l'importanza dell'iscrizione commissionata da Cassio Agatemero che doveva essere il "priore" del locale collegio dei fabbri. Il testo dell'iscrizione è bruscamente interrotto e termina con un et; per primo il Rota ha ipotizzato che dovesse proseguire con centonariorum, corporazione sempre legata nelle epigrafi a quella dei fabbri13. Considerato che i centonari erano gli addetti all'allestimento degli accampamenti militari, Cappellini ha correttamente dedotto l'esistenza di un centro fortificato di discreta entità, visto che un'iscrizione del genere non è documentata nemmeno in un centro delle dimensioni di Como14. A tale proposito bisogna però osservare che questa posizione così drastica andrebbe forse rivista, in quanto sono state ritrovate lapidi simili anche in centri di modesta entità come Casatenovo, Molteno e Caponago. Quello che invece preme sottolineare è la presenza stabile a Desio di un gruppo di artigiani specializzati nella produzione di manufatti metallici che, come abbiamo visto, furono i principali veicoli della romanizzazione del territorio. Località del nostro circondario archeologicamente più ricche come Biassono o Palazzolo ci hanno restituito alcuni prodotti assai ricercati che dovettero costituire per i loro antichi proprietari un chiaro segno di ricchezza ed adesione al mondo culturale romano15. Un recente studio ha permesso di identificare un pezzo di notevole interesse storico che riveste un’importanza fondamentale per la nostra città. Nel giardino che affianca la casa parrocchiale sono conservati tre cippi di pietra che sono stati comunemente fatti risalire all’epoca romana16. E’ emerso che il primo cippo è in realtà un basamento dall’utilizzo imprecisato che risale comunque ad epoche molto vicine alla nostra. Il secondo è sicuramente un’aretta romana in serizzo, priva di iscrizioni, che forse costituiva il basamento che nell’antica basilica sosteneva il fonte battesimale, infatti il pezzo corrisponde esattamente alla descrizione fattane nel XVI secolo dal visitatore apostolico; la parte superiore era stata scavata per accogliere la tazza in laterizio destinata a raccogliere l’acqua destinata ai catecumeni. Il terzo manufatto ha riservato sorprese, tanto interessanti, quanto inaspettate. Il cippo è un’ara romana in serizzo (cm 83 x 43 x 30), risalente al primo secolo d.C., ornata nella parte superiore con una doppia cornice aggettante e due volute laterali. Il pezzo, pressoché integro, ha rivelato un’iscrizione distribuita su tre righe: MATRONIS V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito) AMYNTAS L(ibertus) [Il liberto Aminta a diritto scioglie volentieri il voto alle Matrone] 13 ROTA 1930. MALBERTI 1961, p.8. CAPPELLINI 1972, p.14. 15 CASIRAGHI 1992, pp.76-82. 16 Le are sono analizzate in MALBERTI 1961, pp.6-9. 14 La nostra aretta è un ex voto dedicato alle Matrone, divinità preromane di probabile ascendenza celtica. Esse sono frequentemente ricordate nelle epigrafi antiche anche con altri nomi, come Signore (Dominae) oppure Adganae (figure mitologiche che dovrebbero essere all’origine della folclorica Gibiana). Queste divinità erano legate ai cicli naturali, all’acqua ed avevano un culto marcatamente cittadino in quanto erano spesso identificate con un aggettivo ricalcato su nomi di località. In qualsiasi caso i centri in cui sono state ritrovate iscrizioni alle matrone sono tutti in zone agricole o comunque periferiche, sottolineando in tal modo la notazione rurale del loro culto. Con l’avvento del cristianesimo queste antiche dee persero il loro rango per restare confinate nell’ambito della religiosità popolare; sembrerebbe però che in epoca cristiana il loro culto sia stato soppiantato da quello delle Tre Marie che, almeno a livello iconografico, ne ricalcano diverse caratteristiche. Un dato interessante è inoltre costituito dal dedicante che risulta essere un liberto, ossia uno schiavo liberato. Tale provenienza sociale è frequente in altre iscrizioni e documenta ulteriormente la caratteristica popolare del culto delle matrone. Il nome Aminta è insolito ed è attestato una sola altra volta in tutta la Gallia Cisalpina; è evidente la sua origine greca. É simpatico notare come il primo Desiano ricordato dalla storia sia un extracomunitario ante-litteram17. LA RETE VIARIA È questo certamente uno degli aspetti della civilizzazione romana su cui si è maggiormente scritto. Malgrado l'enorme quantità di studi, l’insieme della rete viaria all'inizio della nostra era non è chiaro, né tanto meno completo. Se il quadro è sufficientemente preciso per il tratto pedemontano18, non altrettanto può dirsi per quello immediatamente a nord di Milano. Dal confronto dei dati a nostra disposizione sembrerebbe emergere un quadro di questo genere. Ad est si aprivano due strade, una che attraversava Monza e Biassono, l'altra Vimercate, e che si congiungevano all'altezza di Brivio per procedere poi in direzione di Lecco. Da Monza si diramava una via, la Busa, che proseguendo in direzione nord, passava da Rus Cassiciacum e confluiva nella Pedemontana. Ad ovest invece si snodava la Comasina, grosso modo corrispondente all'attuale tratto iniziale della Strada Statale dei Giovi. Tra questi due estremi era collocata la Valassina che attraversava il nostro borgo. Il suo antico percorso è ricalcato dall'attuale linea tranviaria Milano-Desio-Carate; giunta all'altezza di Paina, la strada si sdoppiava: da una parte piegava verso est in direzione della Brianza storica, dall'altra puntava su Mariano, Cantù ed infine Como. Finora il tentativo più preciso di ricostruzione del reticolo viario nel tratto che interessa Desio è lo studio condotto da Ambrogio Palestra che ha delineato un quadro completo dello sviluppo della rete stradale nel territorio della diocesi milanese19. 17 RESNATI 1995; BRIOSCHI 1999. RIVA 1989, pp.83-96; 105-109; 121-128. 19 PALESTRA 1980, pp.7-42. 18 Il merito principale dello studioso è quello di aver ampiamente utilizzato la toponomastica come fonte storica. In particolare Palestra ha analizzato la frequenza del toponimo "Pilastrello"; questo termine è quasi sempre sinonimo di miliario, o cippo miliare ed in prossimità di esso vennero in seguito edificate edicole sacre o chiesette. Quest'abitudine deriverebbe dal culto della Madonna del Pilar a Saragozza che gli Spagnoli avrebbero diffuso nel nostro territorio nei secoli XVI e XVII. Occorre ricordare che la ricostruzione della rete viaria e delle relative distanze è nel nostro caso di particolare importanza, vista l'opinione diffusa, secondo cui Desio prenderebbe nome dal decimo miliare della strada Milano-Como. Palestra ricorda che il solo Ignazio Cantù ha collegato Desio a Decimo e che tale toponimo è unicamente riscontrabile sul tracciato della strada Milano-Pavia con la cascina Decima. Secondo il menzionato autore, l'arteria principale che da Milano si dirigeva verso la città lariana era la Comasina; essa iniziava presso l'omonima porta dove terminava la via Broletto. Da lì proseguiva per via Ponte Vetero, corso di Porta Garibaldi, corso Como, località Fontana, Affori, Ospitaletto. Sempre proseguendo in direzione Nord, il ventunesimo miliare era evidenziato dalla cascina Pilastrello nei pressi di Figino, poi la strada risaliva per Cantù, Senna, Albate ed infine Como. Per giungere nella località lacustre sarebbe esistita una seconda arteria, la Valassina, il cui tracciato interessa direttamente la nostra città. Riporto fedelmente il percorso come è delineato dallo Studioso: Miliare Località I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX XX XXI XXII XXIII XXIV XXV Bastioni di Porta Garibaldi Via Lario, cascina Piastrello Presso Ospedale Niguarda Nord di Niguarda Bresso, chiesa di S.Maria del Pilastrello Cusano, oratorio di S.Maria del Pilastrello A Nord di Milanino Presso cascina Uboldi Nova Milanese Cascina Meda Desio, Cappella del Pilastrello Desio, località Bria Località Isolabella Seregno Consonno Tra Paina e Birone A Sud di Giussano Giussano, cascina Miè Presso Arosio Cascina Privo Carreggia di Inverigo Ponte delle Pioppette Anzano del Parco Alserio Carcano Inferiore XXVI Innesto sulla strada pedemontana Como-Lecco Un dato incontrovertibile contro la ricostruzione di Palestra è il fatto che dalla cappella del Pilastrello, collocata anticamente allo sbocco di via Matteotti su via Milano, alla Bria non c'è assolutamente un miglio romano (= km 1,478), bensì mezzo miglio esatto. Inoltre il Pilastrello è posto a mezzo miglio romano a nord dell'incrocio con la strada per Varedo (via Sabotino, altezza Consorzio Agrario). Queste semplici osservazioni modificano completamente il quadro delineato da Palestra. Insomma l'incrocio per Varedo dista esattamente un miglio dalla Bria e, a metà tra i due punti, si trovava l'antica cappella del Pilastrello. Già questi intervalli regolari di distanze devono far pensare ad un progetto organico di sistemazione del territorio e non ad un intervento casuale. Quelli che oggi sono diventati nella percezione collettiva dello spazio semplici semafori, dovevano essere punti di riferimento fissati in base ad una precisa costruzione geometrica del territorio. Come abbiamo potuto vedere, il tratto compreso tra la Bria e la strada per Varedo non era un percorso casuale, ma era stato programmato in base a precisi intervalli. Tutto ciò farebbe pensare ad un segmento viario di una certa importanza, munito di appositi cippi miliari che la pietà popolare trasformò successivamente in luoghi di culto; ma a quale strada apparteneva questo tratto? Tutti coloro che hanno parlato dell'argomento hanno considerato questo segmento viario come parte dell'antica Valassina che, proveniente da Nova, proseguiva in direzione nord. Come si può notare dalla tavola [TAVOLA 1], in epoche precedenti allo sviluppo urbano del nostro secolo non esisteva un collegamento diretto tra la strada proveniente da Nova e quella discendente dalla Bria. Chi proveniva da sud, giunto all'altezza dell'attuale via Sabotino, era costretto ad una deviazione per potersi innestare sul tratto che conduceva al Pilastrello. Questa strana strozzatura è poco concepibile lungo un percorso che, in mancanza di ostacoli naturali, doveva avere le prerogative di un rettilineo. Considerate tutte le ipotesi, sembra plausibile trovarsi dinnanzi all'incrociarsi di due diversi percorsi. Attraversata Nova Milanese, l'antica Valassina non deviava affatto, ma proseguiva in rettilineo, attraversava il borgo di Desio, superava la località di San Pietro al Dosso e proseguiva in direzione di Seregno e Carate lungo l'asse dell'attuale via Due Palme. Se invece ci si immetteva sul percorso segnato dal Pilastrello, si aveva di fronte un breve tratto stradale che aveva inizio a Desio e proseguiva in direzione nord. La Valassina doveva avere uno snodo che andrebbe dunque collocato alla periferia sud di Desio. L'arteria principale proseguiva verso Paina ed oltre, mentre il secondo breve tracciato aveva a mio avviso unicamente lo scopo di congiungere alla Valassina le strade provenienti da Cesano, Bovisio e Varedo. Il tracciato della Valassina che ho descritto è inoltre confermato dalle distanze. Un miliare cadeva alla periferia meridionale di Nova, il successivo all'altezza della Cascina Meda (oggi località San Bernardo); esattamente un miglio oltre cadeva lo snodo tra le due strade collocato all'altezza dell'attuale via Sabotino. Proseguendo per un altro miglio si raggiungeva la località di San Pietro al Dosso, ed un miglio più avanti cade il confine tra i comuni di Desio e Seregno in prossimità della frazione San Giuseppe. LA CENTURIAZIONE I Romani sottoposero in molti casi i territori occupati al procedimento della centuriazione. Il sistema consisteva nel tracciare con un apposito strumento, la groma, una serie di linee perpendicolari che suddividevano le terre in tanti lotti di uguale superficie da assegnare a coloni o veterani. Malgrado a prima vista la cosa sembri impossibile, alcune tracce anche consistenti della centuriazione sono sopravvissute all'incessante opera di trasformazione del territorio, tanto da essere parzialmente visibili ancora oggi. L'impianto della centuriazione si articolava su due assi fondamentali: il decumano (linea orizzontale) ed il cardo (linea verticale) che si intersecavano perpendicolarmente formando quadrati con il lato lungo circa 710 metri20. Come giustamente rilevato da Cappellini, il decumano principale seguiva grosso modo il percorso della strada vicinale della Bertasciola di Sopra per giungere alla cappella della Madonna del Pilastrello. Il decumano segnava come vedremo il margine settentrionale del borgo e proseguiva in direzione est fino ai confini comunali21. Il cardo maximus doveva corrispondere all'attuale tratto settentrionale di corso Italia; giunto all'altezza di San Pietro, proseguiva lungo le vie Gavazzi e San Pietro, segnando il confine orientale del borgo. Da piazza Castello, si inoltrava lungo via Prati fino al territorio di Muggiò. Il termine di questa linea era segnato da un cippo indicato nelle mappe catastali e che risulta già in una pergamena del XII secolo come Crux de Prado22. In posizione equidistante sono ravvisabili altri due cardi minori: uno all'incirca corrispondente al sentiero che costeggia la massicciata ferroviaria ed un secondo che dalla Bria discende verticalmente lambendo il Pilastrello, toccando la cascina Ravanelli e proseguendo verso sud lungo la via Oslavia. [TAVOLA 2] Come abbiamo visto, ricorre spesso nelle indicazioni stradali la cappella della Madonna del Pilastrello. Questo piccolo edificio sacro sorgeva anticamente all'angolo tra le attuali vie Matteotti e Milano; in seguito a lavori stradali, fu spostato poco più a nord, allo sbocco di via Trento, dove tuttora sorge senza alcuna indicazione del suo antico nome. Quest'edicola sacra sorta in prossimità del miliare romano sembrerebbe così indicare il punto d'incontro tra cardo e decumano. L’ALTO MEDIOEVO 20 CAPPELLINI 1972, pp.11s. Per la centuriazione nell’area brianzola: BITTO 1973. Si considerino in particolare le tavole curate da L.Caramel e M.Mirabella Roberti. 21 Taluni hanno voluto trovare memoria dell’antico cardo nel toponimo Carendon, corrispondente all’attuale frazione San Giorgio. L’ipotesi è assurda e priva di fondamento. Qualcuno è giunto addirittura ad ipotizzare la presenza di un accampamento romano in tale località: MATTAVELLI 1988, pp.19ss. 22 1187 NOVEMBRE 4 . Muggiò Arderico, qui dicor Zaribanne ed il figlio Zanotino de loco Migio, di legge longobarda, vendono a Martino, officiale della chiesa di San Giovanni alle Quattro Facce di Milano un campo ad Crucem de Prado e una vigna in Vinea de Chigo entrambi posti nel territorio di Migio. “Vinea coheret a meridie Sancti Syri de loco Dexio”. BAM, Codice Della Croce, X, F.207. Cit.: MALBERTI 1961, p.11. I primi secoli dell’era cristiana non hanno conservato loro tracce sul territorio cittadino. Si può presumere che il centro romano abbia conosciuto profonde trasformazioni con il decadimento delle strutture difensive originali e il progressivo affluire di cittadini milanesi che abbandonavano la città in cerca di maggiore sicurezza nelle terre del contado. Tale processo di ruralizzazione deve avere avuto il suo culmine all’epoca dei saccheggi di Milano operati dai dei Goti e dagli Unni. I LONGOBARDI Questa popolazione, proveniente dalla Boemia, giunse nella Pianura Padana negli anni 568-569 attraverso il Friuli. Da lì dilagò per la penisola ed i capi tribù fissarono la capitale a Pavia, mentre i singoli gruppi tribali (le fare) si disperdevano per il territorio. La dominazione longobarda ha profondamente segnato il nostro territorio, tanto da dare il proprio nome alla nostra regione. Per quanto la nostra zona sia stata un’area profondamente segnata dai Longobardi, (si pensi alla residenza Monzese della regina Teodolinda) il suolo praticamente non ha reso manufatti di quest’epoca. L’unico accenno è costituito da un ritrovamento effettuato nel 1852 nel giardino parrocchiale. L’insieme dei reperti era un corredo funerario composto da due punte di freccia e un morso equino che però sembrerebbe risalire, malgrado l’attribuzione tradizionale, ad epoche più recenti23. Viste le informazioni che possediamo circa la fondazione della basilica desiana, si può pensare che l’abitato di Desio fosse stato occupato nella parte centrale dagli arimanni longobardi di fede ariana o, molto più probabilmente, aderenti allo scisma tricapitolino. Già Cappellini aveva ipotizzato che la popolazione romana originaria fu espulsa dal centro e sottoposta in condizione servile ai nuovi dominatori; gli elementi autoctoni, ridotti in servitù e dediti all’agricoltura si sarebbero concentrati nell’area del quartiere della Vigana, stretti intorno all’oratorio cattolico di san Bartolomeo24. Per tutto il corso dell’Alto Medioevo non abbiamo notizie relative alle vicende dell’abitato ed è solo possibile fare parallelismi con situazioni analoghe nel territorio circostante o rifarsi a inquadramenti generali dell’epoca Un discorso autonomo merita invece la fondazione della basilica di Desio. 23 24 Il manufatto è conservato nel Palazzo Comunale di Desio. CAPPELLINI 1972, pp.29s. SAN GIOVANNI BONO Arcivescovo di Milano e fondatore della chiesa di Desio25 IL CRISTIANESIMO IN BRIANZA Contrariamente a quanto comunemente si pensa, la religione cristiana penetrò nel nostro territorio con molte difficoltà e solo in epoche assai tarde. Ancora durante l'episcopato di Ambrogio (374397) il cristianesimo era una religione eminentemente urbana, infatti nel suburbio e nelle campagne permanevano i tradizionali culti pagani. Nella poderosa opera di sant'Ambrogio non è rintracciabile alcun riferimento all'opera di evangelizzazione delle campagne, né tantomeno ad una loro organizzazione ecclesiastica; tale problema dovette però stare assai a cuore al presule milanese perché è noto il suo appoggio a Vigilio, vescovo di Trento, per l'evangelizzazione delle popolazioni pagane della Val di Non26. Già Ambrogio Palestra nel suo studio sull'origine dell'istituzione pievana aveva messo in luce questo fatto: l'estrema insicurezza di quel periodo caratterizzato da scorrerie e distruzioni aveva spinto molti cittadini a spostarsi nel contado, dando vita ad un forte fenomeno di ruralizzazione che investì direttamente anche la sfera religiosa27. L'evangelizzazione delle campagne fu dunque un processo lungo e soprattutto non coordinato, legato alla presenza sul territorio di proprietari cristiani che furono all'origine di conversioni a carattere episodico. L'erezione di 25 Il presente capitolo è un adattamento di BRIOSCHI 1995B. 26 CATTANEO 1989, pp.81-84. 27 PALESTRA 1963, p.379. chiese in questo periodo iniziale è dunque da ritenersi un fatto occasionale, legato al desiderio dei proprietari di avere un luogo di culto sui propri fondi, anche in vista di una conversione della popolazione rurale. Naturalmente questo processo dovette interessare le località più lontane dalla chiesa cattedrale dove il battesimo veniva amministrato unicamente dal vescovo ed in occasione della Pasqua. Non bisogna pertanto pensare ad un piano preciso di organizzazione ecclesiastica del contado, ma ad una serie di iniziative indipendenti e legate a situazioni ed ambiti particolari28. I LONGOBARDI A modificare il quadro intervennero i Longobardi che nel 568 dilagarono per la Pianura Padana; l'invasione in questa prima fase fu molto drammatica e caratterizzata da quelle immagini di violenza e devastazione che in seguito diverranno stereotipi diffusi29. Al sopraggiungere dei Longobardi, l'Arcivescovo ed il clero maggiore abbandonarono Milano e si rifugiarono a Genova, presidio bizantino e sede vescovile soggetta all'autorità del metropolita milanese. Questo fatto, apparentemente secondario, risultò di capitale importanza, perché fu alla base dei futuri sviluppi delle istituzioni ecclesiastiche milanesi e costituì la 28 PALESTRA 1963, pp.382s; MAJO 1981; Vedono il sorgere delle pievi più antiche nel quinto secolo. CATTANEO 1989, pp.81-84 non è della medesima opinione e tende a fissare la creazione dell'istituto pievano in epoche successive. 29 Per il quadro politico dell'epoca si vedano: BOGNETTI 1954, pp.57-299. BARNI, 1975. causa prossima della nascita del rito ambrosiano30. Malgrado la presenza di una minoranza cattolica, la maggior parte degli arimanni, corte compresa, era di fede ariana, cioè negava la divinità di Cristo. Questo fatto complicò le relazioni tra Longobardi e cattolici, impedendo una reale fusione tra le due componenti. Nello stesso periodo ebbe luogo una delle più complesse questioni politico dottrinarie dell'intera storia della chiesa: lo scisma dei Tre Capitoli. Semplificando si potrebbe dire che il clero padano non accettò la condanna effettuata dall'imperatore bizantino e dal Papa di una serie di asserzioni formulate da tre teologi. Lo scollamento divenne ancora più profondo in seguito al rientro nell'ortodossia dell'arcivescovo Lorenzo II (573-593) che non fu seguito nella sua scelta dal clero residente a Milano. Malgrado la distanza che li separava dalla loro sede, gli arcivescovi ed il clero maggiore governarono indirettamente la diocesi milanese e, a quanto sembra, assunsero anche la carica di amministratori di quella genovese. In seguito all'accettazione della condanna dei Tre Capitoli effettuata dall'arcivescovo Lorenzo, si ebbe uno strappo tra le gerarchie ambrosiane ed il clero che era rimasto in diocesi, favorevole ad una politica più conciliante nei confronti della monarchia longobarda. In questi anni il pontefice Gregorio Magno intrattenne un fitto contatto epistolare con l'obiettivo di giungere ad 30 CATTANEO 1954, pp.615ss.; MAJO 1981, pp.7798; CATTANEO 1989, pp.100-148. Per il rito ambrosiano si veda: CATTANEO 1978, pp.168-173. una soluzione dello scisma. Sembrerebbe che per riavvicinare i Longobardi ariani ed i cristiani tricapitolini all'ortodossia romana, Gregorio abbia inviato in Lombardia, apparentemente come supporto al clero, ma in realtà come autentici missionari, i monaci irlandesi di san Colombano che nel frattempo si erano installati nel monastero di Bobbio31. L'opera evangelizzatrice di Gregorio proseguì con frequenti legazioni alla corte di Teodolinda. Anche in seguito alla partenza del vescovo scismatico Secondo di Non, la regina si avvicinò al cattolicesimo, senza però modificare radicalmente le concezioni religiose del suo popolo che in gran parte rimase legato all'arianesimo32. Come risulta dai cataloghi della chiesa milanese, ben otto arcivescovi risedettero a Genova per un periodo di circa ottanta anni. In conseguenza di tale situazione si venne a creare un profondo strappo tra il clero maggiore residente a Genova (clero cardinale) e quello diocesano (clero decumano), sulle cui spalle gravò il peso della cura d'anime in questi ottanta anni di assenza del presule ambrosiano. Ad acuire il dissidio intervennero anche i diversi atteggiamenti nei confronti della corte longobarda e la questione dei Tre Capitoli che rimaneva il motivo più grave di scontro tra Milano e Genova33. I sacerdoti decumani dovettero farsi carico del gravoso problema dell'amministrazione dei 31 CATTANEO 1989, pp.118-126. CAPPELLINI 1972, pp.21-23 collega senza fondamenti documentari l'erezione in Desio dell'oratorio di san Pietro al Dosso all'opera dei missionari di san Colombano. 32 CATTANEO 1989, pp.107-118. Si veda anche PAOLO DIACONO, IV, passim. 33 MAJO 1981, p.90; CATTANEO 1989, pp.127s. sacramenti e molto probabilmente permisero che il battesimo fosse amministrato in località diverse dalla sede episcopale, tramite l'erezione di battisteri e l'invio in loco di sacerdoti a ciò deputati. Come risulta da uno studio postumo di mons. Cattaneo, il nesso tra chiesa battesimale e pieve non è un dato assoluto ed incontrovertibile; situazioni particolari portarono alla creazione di un fonte in prossimità di centri abitati, senza che questi luoghi diventassero in seguito sedi pievane. L'assenza del vescovo generò dunque un processo di decentramento, la cui conclusione fu nel secolo successivo l'istituzionalizzazione di un dato di fatto tramite la creazione delle pievi34. All'opera di evangelizzazione dei Longobardi condotta ai massimi livelli da parte del papato, tramite legazioni alla corte monzese, si affiancarono dunque l'opera pastorale del clero decumano e dei missionari irlandesi. Alcuni studi hanno inoltre evidenziato la presenza di sacerdoti orientali, giunti nel nostro territorio per sfuggire all'espansione islamica35. Al centro di queste diverse iniziative si trovava la corte longobarda che oscillava tra posizioni di arianesimo intransigente (corte di Pavia) e aperture verso il cattolicesimo, in genere nella versione tricapitolina (abate Secondo di Non e corte monzese); successivamente, anche grazie agli interventi di Gregorio Magno, l'elemento cattolico romano aumentò la propria importanza. Sembrerebbe che i rapporti tra le diverse confessioni non fossero però violenti; i vescovi ariani non attuarono mai politiche di conversione dell'elemento cattolico e si astennero da azioni aggressive. Una maggiore tensione tra i gruppi dovette però coincidere con l'ascesa al trono di Rotari, sotto il cui regno, a dire di Paolo Diacono, in ogni città c'era un vescovo ariano ed uno cattolico36. La situazione assunse una piega nuova nel 642-643 con l'invasione della Liguria da parte del re longobardo. Ormai non sussisteva alcun presupposto per giustificare l'assenza del vescovo dalla sua sede. Fu questo appunto l'atto più importante compiuto dal nuovo arcivescovo Giovanni Bono. A questo punto della vicenda si colloca la figura del santo arcivescovo che oltre a riportare la sua sede a Milano, a detta delle fonti, avrebbe eretto la chiesa di Desio. L'unico dato certo è la sua adesione alle deliberazioni della sinodo romana del 649. Un altro gruppo di fonti, sulla cui attendibilità possono essere avanzati dei dubbi, è costituito dagli antichi cataloghi dei vescovi di Milano e da un componimento metrico in onore di san Giovanni, denominato “ritmo”, dal quale è stata ricavata la maggior parte degli elementi riportati nelle biografie successive. Il resto delle notizie che lo riguardano è scarsamente attendibile e maggiormente legato alla leggenda piuttosto che alla storia. Il ritmo di cui si è detto sembrerebbe essere stato composto nell’undicesimo secolo in 34 CATTANEO 1989, pp.81-84; 138-140. Sull'argomento si veda anche PALESTRA 1960, pp.74-88; PALESTRA 1963, pp.359-398; CORADAZZI 1980; VIOLANTE 1982, pp.963-1158. 35 CATTANEO 1963, pp.215-247. 36 "Huius temporibus pene per omnes civitates regni eius duo episcopi erant, unus catholicus et alter arrianus". PAOLO DIACONO, IV, 42. occasione del ritrovamento della sepoltura del santo. A partire da questo testo tutte le fonti ascrivono all'operato di Giovanni la fondazione della chiesa di Desio e l'istituzione della circostante pieve37. I dati a nostra disposizione sono però molto limitati ed occorre un certo sforzo per comprendere il senso e la portata di questo atto. Il ritmo recita così: Januensis pontifex Sancti Syri reliquias Ducit ad Decium Et ecclesiam aedificavit Pii Johannis studium Cui plebs sibi contulit Primatus beneficium Ut in chori pariete Scriptura dat inditium LA BASILICA ANTICA Come apprendiamo dagli atti delle visite pastorali del XVI secolo, a Desio esisteva un luogo di culto anteriore alla basilica dei santi Siro e Materno. Esso era dedicato a san Giovanni Battista e sorgeva grosso modo sull'area oggi occupata dall'asilo Santa Maria. Nel Cinquecento se ne vedevano solo le fondamenta e, a dire del prevosto Cermenati, le tegole e le travi dell'edificio erano state vendute dai suoi predecessori38. La mancanza di documenti, sia archivistici, sia archeologici, è pressoché totale, pertanto occorre procedere cautamente per ipotesi e 37 Liber 1917, col.194A; CONFALONIERI 1982, p.38; BESOZZO s.d., p.109; VAGLIANO 1715, p.154; SASSI 1755, p.231; OLTROCCHI 1795, pp.540s. 38 A dextris autem ipsius cimiterii adsunt fundamenta aequata solo ecclesiae alias vocatae S.Johannis et ibi est congeries lapidum dictae ecclesiae, et dicit dominus praepositus quod tegulas et ligna vendiderunt sui praedecessores. Cfr.: MALBERTI 1961, pp. 124s. confronti. L'intitolazione a san Giovanni Battista è indicativa perché questo Santo era particolarmente caro ai Longobardi e non a caso anche la basilica monzese era intitolata al Battezzatore39. L'analisi condotta a suo tempo da Cappellini parte dal presupposto assai verosimile che il centro del borgo di Desio fosse occupato dagli arimanni, mentre la popolazione romana, ridotta allo stato servile, occupasse le zone periferiche ed in particolar modo il rione della Vigana, corrispondente all'attuale via Lampugnani40. Non sappiamo con sicurezza quando e perché fu abbattuta la chiesa di san Giovanni; ma essa dovrebbe essere crollata agli inizi del quindicesimo secolo in seguito ad eventi bellici41. Non ci è dato conoscere con sicurezza forma e struttura della basilica fondata da san Giovanni Bono. Un'opinione tanto diffusa quanto infondata sostiene che l'edificio originario andò distrutto all'epoca del Barbarossa42; non esiste alcuna indicazione a tale proposito e risulta assai difficile prestare fede ad una tale affermazione. Quasi sicuramente la basilica eretta da san Giovanni, sia pure con modifiche e ristrutturazioni, dovette sopravvivere per un millennio; la chiesa descritta negli atti delle visite pastorali di san Carlo o dei suoi inviati dovrebbe essere la basilica originaria. L'edificio era collocato a cavaliere dell'attuale tratto iniziale di via Pio XI. Di dimensioni ridotte (m 21,4 x 16,6 circa), era articolata su tre navate, 39 PALESTRA 1960, p.80. CAPPELLINI 1972, pp.28-30. 41 BRIOSCHI 1993, pp.58-64. 42 P.P. 1952, p.17. 40 scandite da colonne. Le navate laterali si concludevano con due altari, mentre altrettanti erano collocati nella sagrestia ed in un locale di servizio. L'edificio era preceduto dalla torre campanaria e da una piccola costruzione il cui uso è incerto; tutto intorno si stendeva l'area cimiteriale43. Sciaguratamente, dopo la costruzione nel XVIII secolo di una chiesa di maggiori dimensioni, quella precedente fu rasa al suolo e di essa non rimase traccia, anche perché i materiali ottenuti dalla demolizione furono in parte riutilizzati nella nuova fabbrica ed in parte venduti all'asta44. Senza esplicitare la fonte da cui trasse l'informazione, Sassi riferisce che la basilica desiana fu costruita da Giovanni a proprie spese45. Resta il fatto che in epoca longobarda la costruzione di un edificio di queste dimensioni dovette costituire un evento di notevole importanza; il solo fatto che ci si preoccupò (caso unico) di ricordare l'erezione di una basilica nel contado è un chiaro indicatore dell'importanza che i contemporanei diedero all'avvenimento46. Il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani riferisce che Giovanni trasportò a Desio le reliquie di san Siro, vescovo di Genova; la notizia è stata poi ripresa e riferita da molti autori successivi47. Sia 43 MALBERTI 1961, pp.125s. La disposizione degli altari è identica a quella esistente nel Duecento, salvo l'intitolazione a santi diversi da quelli venerati in epoca borromaica. Cfr. : VIGOTTI 1974, p.203. 44 CAPPELLINI 1972, p.316. 45 SASSI 1755, p.231. 46 P.P.1952, p.17. La pieve di Desio godette sempre particolari privilegi per la sua importanza; in occasione delle processioni solenni nel Duomo di Milano, il clero desiano occupava il posto d'onore, chiudendo la serie delle delegazioni pievane e precedendo il capitolo della cattedrale. 47 Hic duxit reliquias sancti Syri episcopi Ianuae. Liber 1917, col. 194A; OLTROCCHI 1795, pp.540s. Malberti, sia Cappellini si sono sforzati di smontare quest'opinione e hanno dimostrato che il santo titolare della basilica desiana non è il san Siro di Genova, ma quello pavese48. In particolare l'analisi dell'antico messale della basilica, oggi conservato alla Biblioteca Ambrosiana, ha dimostrato che la festa liturgica del patrono cadeva già ab antiquo il nove dicembre, giorno in cui la chiesa commemora il primo vescovo di Pavia49. Sicuri che si tratti del santo pavese, occorre ora chiedersi da dove abbia avuto origine questa erronea opinione. A mio giudizio la causa è di ordine paleografico e sarebbe nata da un'erronea trascrizione del ritmo. Alcuni testi riportano la versione: Januensis pontificis / Sancti Syri reliquias / Duxit ad Decium50, mentre altri presentano questa versione: Januensis pontifex / Sancti Syri reliquias / Duxit ad Decium 51. Naturalmente nella prima versione Januensis pontificis è riferito a san Siro e dunque va tradotto: “Portò a Desio le reliquie di san Siro vescovo di Genova”. Nel secondo caso il significato varia notevolmente; il testo andrebbe tradotto:”Il vescovo genovese (cioè Giovanni) portò a Desio le reliquie di san Siro”. È così chiaro che un fraintendimento del testo ha condotto a ritenere che il ritmo testimoniasse il culto del san Siro genovese. 48 MALBERTI 1961, p.31; CAPPELLINI 1972, p.34. BAM, H 269 p.inf. Il messale in questione fu eseguito nel 1463 con la somma ottenuta dalla comunità di Seregno dopo una vertenza giudiziaria per questioni di decime. 50 BAM, cod.S.89.sup. Miscellanea Puricelli. 51 OLTROCCHI 1795, pp.543s. 49 L'intitolazione della basilica al santo pavese risulta molto più congruente anche sotto l'aspetto politicoecclesiastico. Considerato che la cappella reale nella capitale del regno longobardo era dedicata a san Siro, la scelta di Giovanni sembra quasi un tentativo di avvicinamento al mondo ariano, uno sforzo per rendere meno difficile il trapasso alla nuova fede cattolica. Giampiero Bognetti ha sostenuto che il passaggio al cattolicesimo della diocesi pavese deve essere avvenuto durante l'esilio genovese degli arcivescovi. In tal modo il clero pavese si rivolse direttamente al Pontefice per sancire questo passaggio, svincolandosi dall'autorità del metropolita52. Scegliendo san Siro, Giovanni, oltre a dimostrare apertura e sensibilità nei confronti del mondo longobardo, volle avocare a sé la gestione del culto del patrono di una diocesi insofferente all'autorità milanese. Non ci è dato sapere chi fossero gli abitanti del centro di Desio destinatari dell'iniziativa dell'arcivescovo Giovanni. Anche se la storiografia locale ha voluto ravvisare negli abitatori del borgo arimanni longobardi di fede ariana53, a mio avviso gli arimanni desiani dovevano aver già abbandonato da tempo l'arianesimo puro. Vista la vicinanza con Como e soprattutto con Monza, dovevano essere cattolici aderenti allo scisma tricapitolino. I signori abitanti a Desio, come nella vicina Monza, avevano deciso di dedicare la loro chiesa a san Giovanni Battista, proprio per significare il passaggio dall'arianesimo al cattolicesimo e, 52 53 BOGNETTI 1966, pp.29s. CAPPELLINI 1972, p.156. come a Monza, avrebbero abbracciato la causa dei Tre Capitoli. Non a caso Giovanni decise di dedicare la basilica proprio a san Siro, un santo la cui diocesi aveva abbandonato lo scisma per ricongiungersi alla comunione romana. SAN MATERNO Come tutti sanno, san Siro non è l'unico titolare della basilica desiana; gli è associato san Materno, un arcivescovo di Milano vissuto agli inizi del IV secolo, rappresentato nei mosaici del sacello di san Vittore in Ciel d'Oro. Quando sia avvenuto tale abbinamento non ci è dato sapere, forse addirittura all'epoca della fondazione della chiesa54. L'unico autore che ne parla offre una versione dei fatti molto semplice, che ha tutta l'apparenza di una spiegazione creata a posteriori: Goffredo da Bussero, il redattore del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, afferma che la basilica fu consacrata in die sancti Materni, dunque il suo culto fu associato a quello di san Siro per una semplice coincidenza temporale 55. In seguito l'intitolazione a san Materno divenne più usuale di quella a san Siro, tanto che diversi autori, parlando della basilica desiana, la ricordano come intitolata unicamente a san Materno56. Il ritmo nel riferire la notizia della fondazione della basilica, asserisce che l'informazione è comprovata da scritture nella parete del coro. A.Cappellini ha interpretato la 54 SCHUSTER 1952, p.6. Sembrerebbe contrario a questa posizione perché sostiene che nel ritmo non vi è alcun accenno. 55 Liber 1917, col.194A. 56 CONFALONIERI 1982, p.38. BESOZZO s.d., p.109. Si veda inoltre: MALBERTI 1961, p.32. testimonianza con la presenza di “antichi versi attorno all'abside della basilica”57. Se si fosse trattato di una semplice iscrizione, penso che sarebbe stata gelosamente conservata, se non per amore del passato, almeno per comprovare l'antichità dell'edificio e del capitolo. Se mai esistita, questa scriptura doveva consistere in una serie di affreschi raffiguranti episodi della vita del Santo accompagnati da didascalie; un ciclo di questo genere mi sembra che difficilmente possa essere stato eseguito in una chiesa secondaria e sarebbe perciò più ragionevole pensarlo nella chiesa di san Michele in Domo dove il Santo fu sepolto58. Potrebbe però valere una spiegazione del tutto diversa; per scriptura in chori pariete potrebbe forse intendersi il volume dell'ufficiatura posto nel coro delle chiese, infatti la breve lettura agiografica riportata nel breviario ricorda appunto questo suo gesto. In questo caso il ritmo non riporterebbe nulla di nuovo, ma si limiterebbe a riferire un'informazione verificabile recandosi nel coro di qualsiasi chiesa. L'ORGANIZZAZIONE PIEVANA Sarà forse un fatto casuale, ma la pieve di Desio è l'unica dell'intera archidiocesi milanese ad avere una data di fondazione59. È però necessario ricordare che tutte le informazioni relative a quest'argomento sono desunte dal famoso ritmo e che questo testo fu composto quasi mezzo millennio dopo i fatti narrati. Se la fondazione della chiesa da parte di Giovanni è un dato indiscutibile, non è altrettanto dimostrato che l'Arcivescovo abbia anche istituito la relativa pieve nelle strutture e nell'estensione da noi conosciute; il ritmo presenta una situazione religiosa ed un quadro di organizzazione ecclesiastica che è quella dell'undicesimo secolo, non è certo detto che questo quadro rifletta esattamente la situazione del settimo secolo. È ingenuo pensare che in epoca longobarda siano state create istituzioni aventi le medesime caratteristiche centinaia di anni dopo. Un dato è comunque certo: l'opera di Giovanni si inserì in un contesto religioso preesistente la cui natura è difficilmente interpretabile. Riguardo al clero, Giovanni probabilmente dovette intervenire istituzionalizzando un dato di fatto, cioè la presenza di una comunità di sacerdoti addetti alla cura d'anime nel territorio circostante, un gruppo di decumani o officiales, raccolto intorno all'archipresbyter che più tardi diverrà praepositus60. Anni fa, quando si pensava che le pievi milanesi fossero state istituite nel IV-V secolo, quella di Desio risultava essere una delle più recenti, anche per il fatto di essere dedicata ad un Santo confessore e non ad un martire61. Visto lo sviluppo degli studi sulla questione, forse la nostra pieve fu una delle prime ad avere un'istituzionalizzazione del fatto che i sacramenti fossero impartiti autonomamente nel contado vista la lontananza dell'Arcivescovo. 57 CAPPELLINI 1972, p.33. OLTROCCHI 1795, p.544. 59 VIGOTTI 1974, p.204. 58 60 61 SCHUSTER 1952, p.5. PALESTRA 1963, pp.383s.; 387. I DUE FONTI BATTESIMALI Se, come abbiamo visto, la presenza di un fonte battesimale non è sempre sinonimo di chiesa matrice, il discorso è ancora più interessante nel caso desiano perché qui sussistevano due fonti battesimali. Negli atti della visita pastorale effettuata nel 1567 da padre Lionetto Clivone è ampiamente descritto il fonte esistente nella basilica62. Successivamente il visitatore, ispezionando l'oratorio di san Bartolomeo, collocato nella parte orientale del borgo, annota che a fianco dell'altare è inserito un fonte battesimale utilizzato in epoche più antiche63. Il gesuita evidenziò con stupore la presenza di quest'elemento, ritenendo la cosa in contrasto con la consuetudine di utilizzare un solo fonte. Alberto Cappellini ha collegato questo fatto ad una distinzione tra il fonte ariano-longobardo della chiesa di san Giovanni e quello cattolico-romano nella contrada della Vigana64. L'ipotesi, malgrado non sia suffragata da documenti, mi sembra la spiegazione più plausibile. Cappellini ha riferito all'opera di conversione dei Longobardi anche la costruzione dell'oratorio di san Pietro al Dosso, eretto a suo giudizio dai monaci irlandesi di san 65 Colombano . In questa prospettiva 62 Baptisterium adest in ingressu portae maioris factum iuxta formam concilii, excepto quod vas ubi servatur aqua est ex lateribus confectum et non potest servare nisi parum aquae in parte inferiori quae est marmorea. Vedi anche: MALBERTI 1961, pp.142-148. 63 Et alias ibi baptizabant et extat nunc sacrarium in pariete a dextris altaris. MALBERTI 1961, pp.148150. 64 CAPPELLINI 1972, pp.29s. 65 CAPPELLINI 1972, pp.20-23. Anche G.P.Bognetti ha delineato un lento avvicinarsi dell'elemento cattolico alle fortezze longobarde. Si veda: BOGNETTI 1976, pp.105-143. saremmo di fronte ad un processo di lenta cattolicizzazione che, partito dalla periferia, raggiunse infine il centro del borgo dove risiedevano gli arimanni. L'esistenza di un progetto così studiato lascerebbe intendere la presenza di un nucleo longobardo di notevole importanza, tale da spiegare l'erezione di Desio a capopieve. IL BASSO MEDIOEVO Malgrado quanto spesso si è detto, non abbiamo nessuna prova che il borgo di Desio abbia dovuto subire particolari devastazioni all’epoca della distruzione di Milano ad opera dell’imperatore Federico I Barbarossa. Possiamo invece pensare che anche Desio fosse inserita in quel processo di progressiva trasformazione delle campagne dopo il Mille che portò ad un netto miglioramento delle rese agricole. Gli unici edifici di origine medioevale di cui possediamo qualche informazione precisa sono le chiese. Come risulta dal famoso catalogo delle chiese ambrosiane redatto alla fine del XIII secolo ed attribuito a Goffredo da Bussero66, Desio ospitava sei chiese, ma solo tre erano collocate all'interno del borgo. La chiesa primitiva, dedicata a san Giovanni Battista, sorgeva poco discosto dall'attuale basilica, sull'area oggi occupata dall'asilo infantile Santa Maria. Come già evidenziato dalla storiografia locale, questa chiesa doveva essere il centro religioso della comunità longobarda ariana prima dell'erezione della basilica di san Giovanni Bono. La distruzione di quest'edificio di culto risale a diversi secoli fa; già nel XVI secolo restavano solo il pavimento e le fondamenta. La Basilica, intitolata ai santi Siro e Materno, era collocata poco distante dall'attuale, a cavaliere dell'imboccatura di via Pio XI. La costruzione dovette subire numerosi rimaneggiamenti e poco sappiamo della struttura originaria; i primi documenti certi sono gli atti delle visite pastorali degli arcivescovi di Milano che ci rendono l'immagine di una chiesa a tre navate, della quale purtroppo non rimane più alcuna traccia. Essa fu abbattuta nel XVIII secolo in quanto si era rivelata inutile dopo la costruzione della nuova e più ampia basilica. Di fronte alla chiesa plebana si apriva un ampio spazio occupato dal mercato che, commisurato all'epoca ed alle dimensioni del luogo, doveva apparire davvero di notevoli dimensioni. E’ quasi certo che l'attuale campanile non sorgesse già nel XIII secolo; di certo sappiamo che nel Cinquecento era collegato alla chiesa tramite un passaggio aereo costituito da un piccolo ponte levatoio e che terminava con un'alta guglia in laterizi67. Sappiamo che in epoche antiche sulla piazza sorgeva una torre le cui fondamenta furono ritrovate ed asportate nel Settecento durante i lavori di costruzione della nuova basilica. Molto probabilmente la torre dovette essere atterrata nel Duecento ad opera dei Torriani che ordinarono lo smantellamento di tutte le strutture di difesa nel raggio di dieci miglia dalla città di Milano per evitare che questi luoghi potessero diventare punti d'appoggio per i Visconti ed i loro seguaci68. Sempre sulla piazza sorgeva la chiesa di sant'Agata che una tradizione paesana vorrebbe fatta erigere da Ottone Visconti per commemorare la vittoria di Desio del 1277. Molto probabilmente la notizia non è attendibile; infatti lo scontro avvenne il giorno di sant'Agnese, la cui memoria si sovrappose a quella di sant'Agata, generando cosi la falsa attribuzione dell'edificio. 66 SOLDI 1972. BRIOSCHI 1993, pp. 58ss. 68 CAPPELLINI 1972, p.321 67 Sempre sulla piazza principale si affacciavano la Casa del Comune ed il conventoopificio degli Umiliati che possedevano una casa nella nostra città. A nord-est della piazza sorgeva la canonica che ospitava il Prevosto ed i dodici canonici che officiavano nelle numerose chiese della pieve. L'edificio fu poi distrutto agli inizi del Cinquecento dai mercenari svizzeri che appiccarono il fuoco all'intero borgo. Dal XIV secolo si diffonde massicciamente l'abitudine di redigere per scritto i contratti agricoli alla presenza di un notaio. Questo fatto ci permette di avere a disposizione una discreta messe d'informazioni relativa al mondo agricolo. Dai dati in nostro possesso emergono alcuni interessanti rilievi. Innanzi tutto non esistevano ancora grandi cascine; è testimoniato solo qualche insediamento di media grandezza a sud, in direzione di Nova Milanese, ed a nord-ovest verso Cesano. La campagna desiana, malgrado non offrisse rese elevate, appare massicciamente coltivata. Nelle pergamene trecentesche non sono menzionati boschi o brughiere come in altri centri della zona per cui sembrerebbe di capire che quasi l’intera superficie disponibile era stata messa a coltura. Il sintomo di questi lavori di dissodamento traspare da alcuni toponimi come "Vignate Vecchio", ovviamente contrapposto ad un "Nuovo", frutto dell'intervento dell'uomo medioevale69. Le condizioni di vita dei nostri progenitori non dovevano essere certo delle migliori. Le rese agricole, a livello generale, nel XIV secolo si aggiravano intorno ai quattro otto quintali per ettaro. La resa per il frumento era di 3,5/4 volte la semente e per le granaglie (segale e miglio) si giungeva a 5-6 volte la quantità di semi consumati. Nel corso del Trecento è testimoniata una crisi della piccola proprietà. Molti contadini si trovarono costretti a vendere i loro poderi a grandi enti, generalmente ecclesiastici (spicca tra questi la canonica di santa Tecla di Milano)70. L’Archivio della Fabbrica del Duomo di Milano conserva una notevole massa di documenti relativi ai possedimenti in Desio di tale Arditolo della Porta, il quale nel 1397 donoò alla Fabbrica una notevole massa di beni in Desio; queste case e terreni furono poi venduti nel 1404 per la somma di 1.132 fiorini71. I nuovi proprietari infrangono la tradizionale abitudine di stipulare contratti illimitati, privilegiando quelli a breve termine (molto spesso un anno). In questo modo il proprietario si trovava a poter incamerare in breve tempo le migliorie effettuate dal colono che generalmente consistevano nella piantumazione di filari di vite. L'affitto documentato dalle fonti è identico a quello applicato altrove: uno staio (=1/8 del moggio = dm cubi 18,82) di miglio e di segale in parti uguali per ciascuna pertica lavorata. 69 1173. Giovanni, qui dicor Sapius, trasferitosi da Desio alla Brera del Guercio in Milano, cede alla chiesa di Sant'Eusebio l'usufrutto di un suo possedimento sito in Dexio in località Vignate Vecchio. BAM, codice della croce, f.188. Cit.: MALBERTI 1961, p.11. 70 Si veda la serie di vendite effettuate ai primi del Trecento dalla famiglia Baffa e del canonico di Nerviano Imblanado Biffi: ASM, religione, cart 170. La massa maggiore di terreni pervenne ai canonici in seguito ad una permeuta nel 1314 con i fratelli Giacomo ed Azione di Sesto. ASM, ibidem. Questa cartella contiene moltisismi documenti relativi alle acquisizioni del Capitolo del Duomo e Desio ed alle successive vicende di questi fondi agricoli. 71 AVFDM, cart.320. Chi fossero esattamente questi Desiani del Basso medioevo non ci è dato sapere con sicurezza. Dal poco in nostro possesso possiamo arguire che erano persone tese a strappare con intelligenza al territorio le risorse necessarie per la sopravvivenza. La fine dell'epoca medioevale deve essere coincisa con un peggioramento diffuso delle condizioni di vita; come sempre accade in casi come questo, tale situazione coincise con la riorganizzazione del territorio e l'avvio di nuovi metodi di sfruttamento dell'ambiente. Testimonianze ridotte ma efficaci di questo sforzo rimangono i nuovi insediamenti agricoli e la novità di redigere per scritto i contratti; in seguito a tale fatto compaiono timidamente i primi nomi di Desiani. Vista la scarsità della documentazione non possiamo farci un’idea delle precise condizioni di vita e della reale situazione degli abitanti; solo suggerimenti indiretti aiutano a cogliere qualche squarcio di vita cittadina nel passato. Il fatto che già alla metà del XIII secolo si fosse insediata a Desio una comunità francescana obbliga a comprendere il perché di questa scelta. Occorre ricordare che la nostra area vedeva una forte diffusione dell’eresia catara ed altre fonti sembrerebbero accennare alla presenza in Desio di un insediamento ebraico72. Questi fattori possono aver contribuito a favorire la scelta di installare sul nostro territorio i frati francescani per combattere questi focolai eterodossi. I frati furono poi oggetto di donazioni da parte di Francesco Sforza che donò loro 37 pertiche sull’area dell’antico castello73. Già nel Duecento era attiva in Desio una casa di Umiliati. Quest’ordine religioso, entrato nell’ortodossia dopo un esordio ereticale, affiancava alla vita di preghiera il lavoro sul telaio74. Anzi, sembrerebbe che proprio uno dei primissimi documenti riguardanti l’ordine sia stato redatto proprio a Desio. Gli Umiliati si dedicarono alla lavorazione della lana destinata alla produzione di capi economici di vestiario (chiamato panno berrettino); non siamo in grado di identificare con sicurezza l’ubicazione della loro casa ma quasi verosimilmente andrebbe identificata nel complesso della casa Colleoni di via Pozzo Antico. Da quanto sembrerebbe di capire, l’antico oratorio di sant’Agata dovrebbe risalire alla presenza degli Umiliati e il locale Luogo Pio delle Sante Maria ed Agata sembra fosse una filiazione della comunità degli Umiliati di Monza75. Con l’avvento delle dinastia viscontea Desio appare inserita nell’orbita di questa famiglia. Già prima della famosa battaglia del 1277 Ottone Visconti, secondo la tradizione, avrebbe fatto parte del capitolo della chiesa desiana ed anche in seguito diversi prevosti proverranno da questa famiglia. Intorno al complesso del castello edificato da Bernabò nella parte orientale del borgo si svilupparono le cacce ducali, un’ampia riserva demaniale che doveva fornire occasione di svago al signore di Milano ed alla sua corte76. Il nostro borgo divenne 72 BRIOSCHI 1998. ASM, Esenzioni, 154. 74 ZANONI 1911. 75 La chiesa monzese degli Umiliati era appunto intitolata alle sante Maria ed Agata. 76 1393. Editto di Giangaleazzo Visconti che indica i territori inclusi nelle sue riserve ed impone proibizioni a favore della selvaggina. Il primo della lista è Desio. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.90. 73 una delle residenze preferite dei Visconti, ma questo fatto fece notevolmente peggiorare le condizioni di vita degli abitanti. La presenza delle cacce ducali impedì la tradizionale raccolta di prodotti boschivi e della cattura di selvaggina di piccolo taglio; prodotti che per secoli avevano fornito un necessario complemento alla magra alimentazione contadina77. Così si esprimeva la cancelleria sforzesca: Ch’el non sia persona alcuna grande o piccola de qualle stato, grado o condicione se vogli o sia, che da questa hora inanzo de dì ne’ de nocte ossa ne presuma caciar ne’ fare caciare suso la campagna de Monza del Lambro per fin ad Milano, cum rette, lacii, ne’ altri artificii DA prendere ucelli, ne’ animali, o salvadicina de quale mayneria se vuoglia, apti a dare piacceri al nostro illustrissimo signore et alla illustre domina Biancha sua consorte, sotto pena de floreni XXV, che vadano alla camera del preferto nostro signore, per ogni volta che serano trovati a caciare cum dicti artificii, o in acto de caciare fuora de strata a zascaduno che contra farà. Et ciascuna persona possa accusare et haverà la mitade dela condamnazione et serà tenuto secreto s’il contrfaciente serà apto a pagare, se no gli seranno dati 4 squasi de corda senza remissione et perdonanza alcuna, et sia chi se voglia78. Se a tutto ciò si aggiungono nutrimento ed alloggio dovuto a cani, cavalli e all'intera corte ducale quando faceva soggiorno a Desio, possiamo capire che questo fatto pesò notevolmente sullo sviluppo del borgo, favorendo i centri vicini che videro aumentare la propria popolazione con gente che sfuggiva ad una situazione intollerabile79. La crisi del mondo contadino è anche documentata da numerosi atti di vendita a favore di enti ecclesiastici milanesi, soprattutto al capitolo della basilica di santa Tecla; in tal modo assistiamo alla progressiva compressione della piccola proprietà locale a favore delle grandi istituzioni religiose. A limitare in parte i danni prodotti da questi provvedimenti, Bernabò fece scavare un canale che conduceva le acque del lago di Montorfano fino alla sua residenza desiana, allietando così il suo soggiorno. Questo piccolo corso d'acqua ebbe però un'importanza economica non indifferente; infatti per secoli fu l'unico strumento di irrigazione per i campi in una pianura estremamente permeabile. Tra continue liti, perizie e cause giudiziarie per l'utilizzo delle sue acque, la Roggia sopravvisse fino a pochi decenni or sono, quando, persa la funzione economica, fu interrata80. Molto probabilmente la residenza desiana di Bernabò, della quale non sussistono avanzi, dovette servire come soggiorno per la favorita del Duca, Donnetta Porro. Non a caso lo scavo della Roggia permise, nel tratto iniziale dove le sue acque uscivano dal fiume Seveso, di favorire i Porro, signori del luogo, che in tal modo si videro provvisti di una copiosa fornitura d'acqua. I diversi signori che si succedettero considerarono fino al nostro secolo questo canale alla stregua di un bene privato delle cui acque non si 77 1450, agosto 28. Lodi. Si intima al podestà di Marliano di pubblicare la grida allegata perché nessuno osi danneggiare i possedimenti fatti per li piaceri nostri e della illustre consorte nostra madonna Biancha. Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.132-133. 78 1451, gennaio, 2. Documento di contenuto identico a quello emesso in data 28.08.1450 ad eccezione dei seguenti punti: si vieta soprattutto la caccia notturna ed in periodi di neve; la multa è portata a 26 fiorini. Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.848-850. 79 CAPPELLINI 1972, pp.83ss. 80 BRIOSCHI 1994. poteva fare libero utilizzo. Lo scavo della Roggia, invece di far decollare 1'agricoltura locale, si limitò a favorire pochi signori che godevano del diritto di poter attingere acqua dal suo corso. Nel 1476 1'intera pieve di Desio, congiuntamente a quella di Mariano, fu offerta in dono dal duca Galeazzo Maria Sforza alla propria favorita, Lucia Marliani, moglie di Ambrogio Roverti. Questo fatto dovette costituire un leggero miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione, in quanto Desio fu slegata dal resto del Ducato, riuscendo ad evitare alcuni carichi fiscali. La contessa Lucia rimaneva in pratica l'appaltatrice dei dazi su pane, vino, carne e imbottato81. Segno di una maggiore industriosità e spirito d'iniziativa resta il fatto che nel Quattrocento appaiono sempre più numerosi nei documenti visconteo-sforzeschi i nomi di cittadini desiani. La presenza ricorrente a Desio di Bernabò Visconti, comportò la presenza di un demanio spesso asfissiante, ma può aver favorito l'inserimento di Desiani nelle strutture del ducato. In tal modo incontriamo personaggi come Filippolo, membro dell'entourage ducale, fino al buffone di corte Medesina di Desio. A riprova di una timida ripresa economica, nelle pergamene del primo Quattrocento cominciano a comparire i nomi di artigiani come Salio Carcassola, filatore di lana ed il sarto Pietro Somasca. Sempre nel XV secolo è documentata la presenza stabile a Desio di un notaio, Giovanni Marudo, cui fecero seguito la dinastia dei Carcano e dei Confalonieri. Alla fine del secolo un desiano, Giovanni Ferrari, è uno dei più rinomati fabbricanti di lame di Milano. La canonica accoglieva il Prevosto e, almeno nominalmente, dodici canonici che in modo quasi diretto assicuravano l'assistenza religiosa a quelle cappelle della pieve che non si erano ancora trasformate in parrocchie autonome. A questi pochi individui che sono riusciti a far giungere fino ad oggi almeno il ricordo del nome, si contrappone la marea degli anonimi agricoltori che, nonostante tutto, compaiono timidamente tra le righe di aridi formulari notarili, occupati a strappare al territorio il proprio sostentamento. 81 CAPPELLINI 1972, p.114. LA BATTAGLIA DI DESIO82 LA SIGNORIA TORRIANA L'inizio dell'ascesa politica dei Torriani coincide con la battaglia di Cortenuova nel 1237 quando le truppe imperiali di Federico II inflissero una pesante sconfitta ai Comuni lombardi. I reduci della battaglia furono accolti e protetti dai Della Torre o Torriani, una nobile famiglia di origine valtellinese. I Milanesi, memori dell'accoglienza e dei supporti ricevuti in un momento così difficile, elessero nel 1240 a Capitano del Popolo, Pagano della Torre. Sette anni più tardi un suo congiunto, Martino, diventerà Podestà della metropoli lombarda. Il potere della famiglia andrà così crescendo, fino a culminare con la nomina di Napo o Napoleone a Vicario Imperiale, legittimando in tal modo un potere che si era venuto lentamente consolidando nelle mani della potente famiglia. I Torriani, per molti versi, possono essere considerati come uno dei primi esempi di signoria regionale. Il ventennale processo di ascesa politica si andrà formando lungo due direttrici convergenti: da un lato l'occupazione dei centri di potere senza intaccare le antiche magistrature comunali (consolato, capitanato, Credenza di sant'Ambrogio), dall'altro la cura nel collocare in posizioni di prestigio membri della stessa famiglia. La politica torriana, pur con tutte le ambiguità di un termine moderno applicato ad un'epoca così diversa, può certamente dirsi democratica. Prova ne sia la realizzazione di opere di pubblica 82 Il testo del capitolo è ripreso da BRIOSCHI 1992. utilità che coincide con una forte compressione dei poteri aristocratici. Per tutto il trentennio di indiscusso predominio che Martino ed i suoi successori ebbero su Milano, i Torriani godettero di un forte consenso popolare che in seguito andò scemando, fino alla loro definitiva disfatta, sia a causa di violenze e prevaricazioni compiute su numerosi avversari, sia soprattutto per il pesante carico fiscale a cui i cittadini, ed in particolar modo gli abitanti del contado, furono sottoposti. le ragioni ultime del loro fallimento politico vanno però ritrovate nell'atteggiamento intransigente nei confronti della nobiltà e nel non essere stati in grado di contemperare le esigenze dei diversi ceti. I PRODROMI DELLO SCONTRO Nel 1257 morì l'arcivescovo Leone da Perego ed iniziò così un lungo periodo di sede vacante, durante il quale si affrontarono le diverse fazioni per la lotta alla successione della cattedra di sant'Ambrogio. Nel 1259 il principale sostenitore della fazione aristocratica, Ezzellino da Romano, fu sconfitto a Cassano d'Adda; Martino si trovò in tal modo padrone quasi incontrastato della città; per consolidare il suo potere, il podestà torriano nominò capitano generale il feroce Uberto Pelavicino (Pallavicini). La scelta di Uberto, noto esponente ghibellino e sospetto di eresia, non piacque al Pontefice, tanto che nel 1262 papa Urbano IV destinò alla sede arcivescovile milanese Ottone Visconti, esponente aristocratico, strettamente legato alla figura del cardinale Ottaviano degli Ubaldini, del quale fu per lungo tempo collaboratore. Le notizie su Ottone sono piuttosto confuse ed approssimative; nato nel 1207 ad Invorio, entrò giovanissimo al seguito del cardinale Ottaviano e, secondo alcuni autori, godette di un beneficio ecclesiastico nella chiesa desiana. Malgrado non siano stati ancora identificati documenti probanti di epoca coeva, la notizia appare verosimile, perché anche successivamente al 1277 la prevostura di Desio appare quasi come un possesso personale dei Visconti. Per compensare parzialmente la mancata nomina, il candidato torriano, Raimondo, fu insediato a Como ed un suo congiunto, Manfredo, divenne arciprete di Monza. Alla notizia dell'elezione di Ottone, Martino ed Oberto Pelavicino sequestrarono tutti i beni arcivescovili, costringendo il pontefice a lanciare l'interdetto, una sorta di scomunica collettiva sulla città di Milano. Il nuovo podestà, Filippo (naturalmente Torriani), nell'intento di far recedere papa Clemente IV dal provvedimento preso dal suo predecessore, iniziò una politica distensiva licenziando il Pelavicino. INIZIA LA RESISTENZA I nobili milanesi che erano stati costretti ad abbandonare la città nel frattempo riuscirono ad organizzare militarmente le loro forze, anche grazie agli appoggi offerti dalla popolazione rurale. Ottone, raccolte le truppe degli esuli, il primo aprile 1263 occupò Arona, ma fu costretto ad una rapida fuga nel Novarese in seguito all'intervento delle milizie comunali. Il 24 dicembre 1265 Napo Torriani fu eletto console e, come primo problema, dovette affrontare le continue scorrerie di Ottone e dei suoi uomini. È proprio in questo periodo, esattamente nel 1265, che compare nei documenti il nome di Leonardo, prevosto di Desio, cui fu affidato il delicato incarico di riscuotere le somme di un'imposta speciale gravante sul clero piemontese che sarebbe ovviamente servita a finanziare le azioni militari dell'Arcivescovo83. Vista la posizione goduta, è assai improbabile che il prevosto Leonardo risiedesse fisicamente nella cura di Desio, ma sembra più logico vederlo al fianco di Ottone nel suo sforzo di entrare in possesso della sede arcivescovile. La fine degli anni Sessanta vide una continua serie di sanguinosi scontri tra le opposte fazioni, senza giungere a risultati decisivi. Complessivamente la situazione appare maggiormente favorevole per i Torriani; bloccate la azioni di Ottone, nel 1266 Napo riuscì a far revocare l'interdetto papale mediante un giuramento collettivo di fedeltà del popolo milanese alla Sede Apostolica. Può essere interessante ricordare a questo punto che il testo del giuramento fu pubblicato dal nostro più illustre concittadino, Pio XI, quando era prefetto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Nella sua politica di conciliazione verso il Papato, Napo accettò la presenza in città di un vicario generale che amministrasse i beni della mensa arcivescovile, ma fu irremovibile 83 1265 ottobre 11. Perugia. Episcopo et clero dioecesis taurinensis virtute litterarum Clementis papae quarto, mandat quatenus CL libras viennenses procurationis nomine pro anno presenti Leonardo, preposito plebis Dexii, vicario vercellensi, suo nomine assignari curent. CAPPELLINI 1972, p.74. nell'opporsi all'ingresso in città di Ottone; evidentemente il suo scopo era quello di prendere tempo, avvicinandosi al Papato nella speranza che il Pontefice provvedesse ad una nuova nomina gradita ai signori di Milano. Nel 1268 Ottone, politicamente sconfitto, si ritirò a Viterbo presso la curia papale, nel frattempo i Torriani, divenuti i capifila della lega guelfa nel Nord Italia, godevano di un benefico non-intervento papale nella questione. Dopo un memorabile conclave, nel 1271 fu eletto papa Tebaldo Visconti che prese il nome di Gregorio X. Il neo Pontefice, sensibilissimo ai problemi della Terrasanta, meditava una nuova crociata e perciò varò una vasta politica di pacificazione nella cristianità. Napo approfittò della situazione favorevole, giungendo addirittura a far eleggere podestà di Milano il fratello del Papa, Visconte Visconti. Nel 1274, durante il viaggio per recarsi al concilio di Lione, Gregorio X entrò trionfalmente in Milano ma senza Ottone che fu lasciato per precauzione a Piacenza. Favorevolmente impressionato dall'accoglienza ricevuta e conscio di avere nei Torriani degli alleati fedeli, Gregorio al ritorno da Lione si fermò nuovamente a Milano ed impose d'autorità ad Ottone di rimanere "confinato" a Biella. RIPRESA DELLE OSTILITÀ Alla morte di Gregorio X, Ottone uscì dal suo isolamento e, recatosi a Vercelli, radunò forze locali e valligiani novaresi, uomini tradizionalmente soggetti alla sua famiglia. L'Arcivescovo venne nuovamente sconfitto ad Aicurzio e Tabiago, perciò, consapevole della necessità di nuovi appoggi, si alleò con Alfonso re di Castiglia, che dopo molto tempo inviò alcuni contingenti guidati da Guglielmo, marchese del Monferrato. Seguendo la ricostruzione del Corio, successivamente ripresa ed ampliata da Giulini, sappiamo che le forze nobiliari nel marzo 1275 scatenarono un'ampia offensiva nei territori del Seprio e della Martesana, riuscendo ad occupare senza eccessive difficoltà Cantù, Mariano, Seregno Meda, Vimercate ed il borgo di Carate, la cui custodia era stata affidata a milizie milanesi e provenzali. Dal racconto del Corio emerge chiaramente che Desio era nelle mani dei Torriani; infatti proprio da questa base prese il via la successiva spedizione torriana guidata da Napo e Francesco, che riuscì in breve tempo a riportare all'obbedienza tutta la Martesana. In seguito a tali avvenimenti, Napo ordinò la distruzione di torri e sistemi di difesa posti a più di dieci miglia da Milano, per evitare che potessero fungere da base d'appoggio ai Viscontei. Visto che le fortificazioni cittadine appaiono funzionanti nel 1277, è chiaro che tale provvedimento non interessò Desio. Già alcuni decreti legislativi del podestà Visconte Visconti testimoniano che l'area extraurbana fino a dieci miglia (Desio compresa) era considerata parte integrante del territorio cittadino e pertanto soggetta direttamente al potere centrale. Nel '76 Arona ed Angera caddero sotto il controllo dell'Arcivescovo, ma il sopraggiungere delle milizie comunali sfociò in un cruento scontro a Guassa che si concluse con la sconfitta di Ottone che vide cadere sul campo una trentina dei suoi congiunti. Subita questa nuova sconfitta, Ottone si rifugiò nel Canton Ticino, a Zornico. Raccolte nuove forze, organizzò sul Lago Maggiore una flotta di battelli che attaccò e sconfisse quella nemica nei pressi di Germignaga. La "flotta" viscontea guidata da Simone da Locarno puntò su Arona dal lago, mentre Riccardo di Langosco assediava il centro novarese da terra. Un tempestivo intervento di Napo costrinse nuovamente Ottone alla fuga verso Como, dove il presule godeva dell'appoggio del vescovo locale, Giovanni degli Avogadri. Forte di nuovi appoggi raccolti nella città lariana, il comandante delle truppe, Simone da Locarno, riuscì a prendere possesso di Lecco, Civate e dintorni. Ottone mosse così alla volta di Milano attestandosi nel castrum di Mariano. Frattanto Napo della Torre, uscito da Milano con gran parte della cavalleria, si rinchiuse con le sue soldatesche entro le difese del borgo di Desio il 20 gennaio 1277. LA BATTAGLIA: LE FONTI Siamo così giunti al punto focale della vicenda. Occorre però a questo punto analizzare quantità e qualità delle fonti a nostra disposizione per ricostruire le fasi della battaglia. La maggior parte delle ricostruzioni è assai posteriore e risale all'epoca moderna (Corio, Calco, Giovio); le informazioni offerte sono spesso generiche e presentano sempre una versione dei fatti ufficiale, tesa a sottolineare le glorie viscontee. L'unica fonte coeva ampiamente analizzata e ricca di dettagli è il Liber de gestis in civitate Mediolani, opera di Stafanardo da Vimercate. L'Autore, un frate domenicano del convento di sant'Eustorgio vissuto nel XIII secolo, scrive quest'opera con un tono decisamente celebrativo, esaltando in modo scopertamente elogiativo le imprese del Visconti. L'opera, un ampio testo in poesia, presenta lo scontro in toni epici, deformando, ma non più di quanto si possa credere, la dinamica dei fatti. Osservazioni simili devono essere fatte per il tardivo e non sempre attendibile Manipulus Florum di Galvano Fiamma che, essendo come l'autore precedente frate domenicano a sant'Eustorgio, è ampiamente debitore dell'opera di Stefanardo, tanto da giungere talvolta a citarne per esteso interi brani. Si può dunque capire che non abbiamo a disposizione fonti qualitativamente e quantitativamente adatte per una ricostruzione organica degli avvenimenti. Ad arricchire il quadro della situazione contribuisce però una fonte che non è mai stata adeguatamente considerata dalla storiografia locale. Nel Duecento il podestà di Piacenza, Muzio da Modoetia (Monza), redasse gli Annales Placentini Gibellini, ossia la cronaca della città emiliana, facendo ampi riferimenti a fatti generali che interessano l'area centro-settentrionale della Penisola. Uomo di sicura fede ghibellina e dotato di ottime capacità politico-amministrative, Muzio fu capitano del popolo a Novara, podestà ad Alessandria, Vercelli e Piacenza, rifiutò invece la podesteria di Alba, Fabriano e Perugia; nel settembre 1298 fu infine creato miles a Verona da Alberto della Scala. Le notizie che Muzio ci offre sono davvero interessanti ed uniche perché inizialmente egli narra gli avvenimenti desumendoli da propri informatori, poi riporta la comunicazione ufficiale della vittoria, il cui testo dovrebbe risalire verosimilmente alla cancelleria viscontea. Ci troviamo dunque di fronte ad una testo che presenta due chiavi di lettura del medesimo avvenimento: uno informale, l'altro ufficiale. Si procederà pertanto alla ricostruzione delle fasi della battaglia tenendo a confronto i vari testi, integrandoli reciprocamente ed evidenziando eventuali divergenze. LA BATTAGLIA Occorre precisare che i Torriani chiusi in Desio erano solo una parte delle forze cittadine. Erano stati predisposti due contingenti di cavalleria composti, a quanto pare, da cinquecento uomini ciascuno (il beneficio d'inventario per tutte le cifre è obbligatorio in questi casi). Un primo gruppo formato da cavalieri tedeschi era guidato da Cassone e Godofredo della Torre e si portò a Cantù. Il secondo gruppo, quello che si stanziò a Desio, era condotto da Napo in persona e comprendeva tutta l’élite torriana. Secondo i progetti, il giorno seguente le truppe di stanza a Desio sarebbero state raggiunte dal console Oldeprandino Tangentino che comandava la fanteria accompagnata dal Carroccio. Secondo alcune fonti le truppe di Ottone mossero da Mariano, secondo altre da Carate. Le due informazioni mi sembrano conciliabili tra loro considerando il fatto che il sopraggiungere della colonna di Cassone a Cantù potrebbe aver costretto l'Arcivescovo ad abbandonare Mariano per portarsi in posizione più sicura a Carate. A partire dal Corio tutta la storiografia lombarda è concorde nel sostenere che un chierico desiano, generalmente indicato nel prevosto Leonardo, si recò nottetempo da Ottone, informandolo che le milizie torriane erano numericamente ridotte e che era necessario attaccare prima del sopraggiungere della colonna canturina o del grosso della fanteria. La notizia di questo tradimento non è documentata da nessuna delle fonti ufficiali milanesi. Mi sembra che il Corio abbia potuto sostenere tale ipotesi collegandosi alla tradizione secondo cui Ottone sarebbe stato canonico a Desio e, pertanto, avrebbe avuto stretti contatti con il clero locale. Gli Annales Placentini di Muzio forniscono un'ulteriore versione dei fatti. Secondo questo testo gli abitanti del borgo di Seregno, volendo consegnarsi ai Viscontei, presero contatti con un tale Malexartis. Raggiunti da un nipote del vescovo di Como, i Seregnesi avrebbero riferito la scarsa consistenza numerica del nemico. È sicuramente possibile che Ottone abbia goduto dell'appoggio di un cittadino di Desio, chierico o laico che fosse, ma la versione offertaci dagli Annales Placentini Gibellini non può essere messa in secondo piano. La presenza di più informatori testimonia soprattutto l'insofferenza del contado verso la signoria torriana ed i suoi gravami fiscali. LE FORZE IN CAMPO Chiusa tra le mura, la popolazione maschile di Desio (forse cinquecento uomini) che possiamo immaginare male armata e irreggimentata all'ultimo momento, attendeva lo scontro insieme ad un cospicuo numero di cavalieri ristretti in poco spazio ed impossibilitati alla manovra. Certamente Ottone fu molto favorito dall'attacco a sorpresa che colse impreparati i Torriani, ma l'obiettivo di Napo fu certamente quello di resistere in attesa della colonna di Cassone e della fanteria cittadina; apparirebbe altrimenti illogica la scelta di tenere chiuse in uno spazio angusto truppe a cavallo che avrebbero potuto volgere in ben altro senso gli esiti dello scontro se avessero avuto a disposizione un adeguato spazio di manovra. Dalla parte dell'Arcivescovo militavano numerosi nobili comaschi e pavesi con i loro seguiti, ma il grosso era costituito da valligiani e contadini raccolti durante la marcia da Como a Milano. Come riferisce Muzio, i cavalieri viscontei, vedendo che il nemico non intendeva affrontarli in campo aperto, decisero di attaccare direttamente il borgo; cioè mandare allo sbaraglio le raccogliticce forze di fanteria che avevano a disposizione. La descrizione dello scontro che ritroviamo in Stefanardo rende benissimo la situazione venutasi a creare. Sotto un fitto tiro di frecce e proiettili da entrambe le parti, i Viscontei dovettero risalire il vallo che cingeva il borgo e superare il terrapieno seguente dove i Torriani organizzarono la difesa per non far avvicinare il nemico alle mura. Si noti che anche il frate domenicano, pur filo-visconteo, non accenna una sola volta all'intervento armato dei cavalieri aristocratici al seguito di Ottone; furono montanari e contadini armati di frecce e scuri a dover sfondare le linee nemiche. Dopo un iniziale assalto vittorioso che li aveva portati fin sotto le mura, i Viscontei furono costretti a recedere abbandonando le posizioni faticosamente conquistate; spinti dalle lance torriane, si ritirarono rovinando nel vallo difensivo. A questo punto emerge nel racconto di Stefanardo un dettaglio che, per quanto secondario, mostra chiaramente come lo scontro dovette essere sostenuto da popolani per risparmiare le vite dell'aristocrazia viscontea. La massa degli assalitori batté in ritirata, ma si trovò puntate contro le lame delle spade dei nobili che li costrinsero a ricomporre i ranghi ed a ritentare l'assalto. Analizzando il testo di Stefanardo si avverte il desiderio dei nobili di salvare le proprie persone, ma anche un disprezzo aristocratico per un tipo di combattimento ritenuto indegno. Sotto una pioggia di proiettili "a guisa di grandine", i Comaschi riuscirono a raggiungere una porta del borgo che fu abbattuta a colpi di scure. Solo a questo punto le forze viscontee ebbero la meglio e riuscirono a dilagare per le vie del borgo bloccando qualsiasi tipo di resistenza. A questo punto la cronaca piacentina offre un'informazione che ribalta la versione generalmente diffusa circa gli sviluppi dello scontro. I Desiani, probabilmente per evitare ulteriori danni alle loro case ed in risposta ad un potere mal tollerato "si riunirono ed aggredirono i Torriani; dapprima uccisero Francesco della Torre e successivamente catturarono ed eliminarono tutti gli altri". Un particolare secondario suffraga questa versione e nel contempo rivela la disperazione di quei momenti. Secondo Muzio, Francesco della Torre cadde sotto i colpi dei Desiani; fonti secondarie ricordano che Francesco, prima di essere disarcionato ed ucciso, con un colpo di spada staccò le mani ad un uomo disarmato che gli aveva afferrato il cavallo per le briglie. Possiamo dunque riconoscere un nostro antico concittadino nell'autore di quella disperata iniziativa. Ovviamente la notizia di questo intervento dei Desiani non è riportata da alcuna fonte ufficiale; meriti e glorie sono naturalmente attribuite ad Ottone ed ai suoi uomini, tacendo i sacrifici di tanti anonimi, Desiani e non, che contribuirono alla loro vittoria. GLI ESITI DELLO SCONTRO Come per tutte le fonti antiche, risulta difficile calcolare con esattezza l'entità numerica delle forze in campo; solo Muzio riporta alcune cifre indicative. L'armata torriana doveva essere composta da circa 1.400 uomini, ma quelli presenti a Desio dovettero essere solo cinquecento, quasi tutti cavalieri armati pesantemente. Le forze viscontee, al contrario, erano molto eterogenee: 400 arcieri, 150 fanti comaschi, 300 mercenari stipendiati dall'Arcivescovo, 200 fanti pavesi, per un totale di circa 1.200 uomini. Quante furono le perdite su entrambi i fronti non ci è dato sapere con esattezza. Non è ricordata la morte di nessun nobile visconteo (vista la dinamica dei fatti la cosa non risulta così assurda). Sul fronte nemico Muzio ricorda che furono catturati seicento cavalli. La fonte piacentina informa inoltre che nello scontro caddero una ventina di maggiorenti torriani tra cui: il podestà Ponzio degli Amati, Napoleone da Crema, Manfredo da Tabiago, Guglielmo Lamberti, Francesco ed Andreotto della Torre le cui teste mozzate vennero presentate al capitano visconteo Riccardo di Langosco. Napo, dopo un duello con il podestà di Como, venne catturato. Secondo Stefanardo, Ottone, con un gesto di clemenza lo salvò dall'ira del conte Riccardo intenzionato a vendicare la morte del fratello. Molto probabilmente Napo fu salvato da morte certa solo per essere sottoposto ad una fine più tormentosa e disonorante. Consegnato ai Comaschi, fu chiuso con cinque congiunti in una gabbia di ferro che venne appesa sulla parete esterna della torre del Baradello della città lariana. Napo morì il 16 agosto dell'anno seguente e, come ricordano alcune fonti, fu sepolto sotto un albero di fico ai piedi della torre. Altri esponenti della famiglia furono catturati e tradotti in carcere, ma non abbiamo informazioni sulla loro sorte. La notizia dell'improvvisa disfatta dovette giungere velocemente a Milano. Il podestà Oldeprandino Tangentino ed i mercenari parmensi e cremonesi fuggirono scompigliando le fila del contingente di fanteria. Cassone e Godofredo con un nutrito stuolo di cavalieri la sera del ventuno puntarono su Milano, ma furono cacciati dalla popolazione che li assalì e li costrinse alla fuga; solo dopo una lunga peregrinazione trovarono rifugio a Parma che offrì loro accoglienza e protezione. Nel frattempo, senza alcun ordine del Comune, la cittadinanza milanese assalì e distrusse le abitazioni dei Torriani; a ricordo, il luogo è ancora oggi denominato via Case Rotte. Una delegazione di maggiorenti cittadini raggiunse Ottone e gli offrì le chiavi della città, cosicché il giorno seguente l'Arcivescovo poté entrare trionfalmente in città e prendere possesso del potere religioso e civile. L'EREDITÀ DELLA BATTAGLIA Nella memoria collettiva della dinastia visconteo-sforzesca la battaglia di Desio assunse la fisionomia di una data capitale, coincidente con l'affermazione della famiglia sull'area lombarda. Non a caso l'opera di Stefanardo si conclude con l'ingresso di Ottone in città, ponendo quindi il 21 gennaio 1277 come la data conclusiva di una lotta pluridecennale per il ristabilimento della giustizia. Agnese, la santa ricordata il 21 gennaio ebbe sempre particolari onori da parte dei Visconti. Ottone nel suo testamento legò una forte somma per l'erezione di una cappella in suo onore nella chiesa di Sana Maria Maggiore (l'antico duomo di Milano). Ancora a secoli di distanza l'ufficio della Santa veniva celebrato al suono delle chiarine d'argento del Comune. Forse questa particolare devozione di Ottone per sant'Agnese andava ben oltre la semplice ricorrenza di una data fortunata. L'Arcivescovo poté ravvisare un parallelismo tra la sua vicenda e quella di papa Liberio che nel 358 si rifugiò proprio nella basilica di sant'Agnese prima di prendere possesso della sua sede occupata dall'antipapa Felice. A Desio, oltre all'annuale ufficio funebre, non rimase alcun ricordo dello scontro. Il canonico Curione, autore di un interessante volume manoscritto di memorie parrocchiali, ricorda che quando fu abbattuto l'oratorio di sant'Agata (1745) "si rinvenne una grande quantità di tibie e di crani spezzati". Ovviamente l'area circostante il piccolo edificio di culto accolse i resti dei caduti della battaglia che vennero trasportati successivamente all'ossario comune detto "foppone". In quell'occasione gli avanzi di indumenti e le parti metalliche furono raccolti in un cumulo a parte che affiorò durante lavori di scavo in epoche molto più recenti. La tradizione secondo cui l'oratorio in questione sarebbe stato eretto da Ottone Visconti a ricordo della battaglia è priva di qualsiasi fondamento; infatti già dalla fine del Duecento l'oratorio risulta dedicato a sant'Agata (5 febbraio). Per Desio la battaglia ebbe come effetto durevole l'intensificarsi dei rapporti con la corte episcopale viscontea. Non a caso nei primissimi anni del XIV secolo la chiesa metropolitana di Milano risulta tra i maggiori proprietari del luogo. Le carte più antiche riguardanti possessi fondiari del Duomo riguardano proprio Desio e vi risulta spesso il nome di Onrico Scaccabarozzi; una grande figura di liturgista, autore di numerosi testi. Indice di fitti rapporti tra Desio ed il Duomo è inoltre la presenza al fianco dello Scaccabarozzi di collaboratori quali Bernardo Strada e Giovanni Baffa, i cui cognomi rivelano la provenienza desiana. Il secondo fu valente miniatore, autore del "Beroldo Nuovo", uno dei maggiori testi liturgici della chiesa milanese. Unica immagine dellla battaglia resta il ciclo di affreschi che adorna la sala maggiore, detta dello Zodiaco, nella Rocca di Angera. Tali dipinti furono fatti eseguire tra il 1342 ed il 1346 dall'arcivescovo Giovanni Visconti per commemorare le glorie del suo predecessore Ottone, Secondo la critica, l'esecuzione degli affreschi dovrebbe risalire all'opera di alcuni maestri d'Oltralpe, specializzati nella miniatura e venuti a Milano per decorare i numerosi volumi della biblioteca viscontea dedicati ai cicli cavallereschi. Per nostra sfortuna tutta la decorazione della parete su cui era raffigurata la Battaglia di Desio è andata persa; sono unicamente visibili nella parte superiore le punte delle lance e degli stendardi. Rimane sopra l'ingresso l'affresco raffigurante la scena dell'incontro tra Ottone e Napo. L'Arcivescovo a cavallo, avvolto in una cappa scura, interviene con un gesto assolutorio per salvare il nemico in ginocchio che sta per cadere sotto i colpi di numerosi avversari inferociti. La narrazione prosegue con il corteo dell'Arcivescovo che fa ingresso in Milano, scortato dalle sue truppe ed accolto da clero, magistrati e popolo festanti. Il ciclo di Angera è uno dei primi esempi di pittura ad affresco a soggetto profano; non a caso stupisce la laicità della narrazione. Non una volta emerge il senso di una giustizia superiore che regoli gli avvenimenti; sul fondo della parete campeggia la grande raffigurazione simbolica della ruota della fortuna che innalza o fa decadere i potenti senza distinzioni. Il ciclo in questione sembra parafrasare le parole di Ottone di fronte a Napo immaginate da Stefanardo: O fortuna ingannevole, Quante volte atterri chi sta in alto! Ecco, si ravvoltola nel fango Colui che toccava le stelle splendenti. La tua gloria è un fiore vano. Tutti gli eventi narrati lungo le pareti sono dominati dall'alto della volta dai simboli zodiacali, unici arbitri delle azioni umane e dell'alterna fortuna. Viene naturale a questo punto volgere il pensiero ai valligiani novaresi, ai contadini comaschi, ai Desiani che non sono mai riusciti a risalire la ruota della fortuna, ma hanno sempre collaborato e sofferto nell'innalzare alcuni e 84 precipitare altri . 84 Per la Battaglia di Desio si vedano: Fonti: STEPHANARDI, GALVANEI FLAMMAE, coll.703s. Annales Placentini, pp.564s. Studi antichi e moderni: GIOVIO 1558; CALCO 1627; CORIO, 1646; GIULINI 1760; VERRI 1783; VAGLIANO 1715; FRANCESCHINI 1954, pp.115392; CATTANEO 1968, pp.129-165; BOSISIO 1978. Per una lettura distensiva ma proficua: BELLONCI 1972. L’ETA’ MODERNA Nel Quattrocento ebbe inizio una dinamica che si perpetuerà almeno fino al XVIII secolo: alle continue guerre con il loro, strascico di distruzioni consegue un aumento della pressione fiscale per sovvenzionare le aumentate spese militari. La carenza di denaro e le distruzioni apportate al paesaggio agricolo determinano situazioni di carestia che comportano fame e povertà. La popolazione, indebolita da questa situazione, risulta più esposta alle epidemie che infieriscono senza conoscere alcuna forma di contrasto. Nel 1410 Desio fu teatro di uno scontro tra le opposte fazioni per il controllo del Ducato. Essendo divenuta la nostra città il centro di raccolta delle forze anti viscontee, Facino Cane diede alle fiamme il campanile bruciandovi tutti coloro che vi si erano asserragliati. Le operazioni militari proseguirono poi contro i fratelli Filippo, Antonio e Maffiolo da Desio che occupavano Melegnano85. Ne1409 la Roggia fu venduta a Giacomo Fossano e nel 1429 al conte Paolo Rho che, a quanto sembrerebbe di capire, si trasferì personalmente a Desio per governare direttamente l’amministrazione del complesso fondiario ivi posseduto. In questi anni di confusione e crisi i canonici provvidero alla loro riorganizzazione interna con le stesura degli statuti capitolari. Ovviamente si dovette procedere alla ricostruzione del campanile crollato e nel 1480 fu commissionata al pittore Stefano de Fedeli la realizzazione di una pala per l’altare maggiore della basilica86. Era stato inoltre realizzato un prezioso messale ambrosiano la cui esecuzione fu resa possibile anche dai proventi avuti dalla causa contro la comunità di Seregno per il pagamento delle decime87 Dal 1450, anno dell’avvento della signoria sforzesca, Desio tornò ad avere un podestà invece del vicario e se ne susseguirono diciannove fino al 1500. L’aggravarsi della situazione economica e demografica è documentato anche dalla presenza dei lupi che devastavano la selvaggina delle cacce ducali costringendo i duchi ad emanare grida per tentarne l’eliminazione dal territorio88. L’esazione dei dazi era stata ceduta dalla corte ducale a Tommaso Tebaldo Bonomia che morì nel 1574; costui aveva ufficio e forse anche residenza in via Portichetto89. La situazione di Desio e del territorio in generale era gravissima. La corte ducale provvedeva a imporre nuove contribuzioni per sostenere le spese belliche mentre in città imperversavano i ladri e la miseria era ampiamente diffusa. Malgrado alcuni timidi tentativi di ripresa economica, il peso del mantenimento delle truppe si fece 85 CAPPELLINI 1972, p.95. BELTRAMI 1926. Non sappiamo dove quest'opera si trovi; probabilmente andò alienata nel XIX secolo e perciò probabilmente giace ancora oggi, forse smembrata, nei depositi di un museo o in collezioni private, priva di un'identificazione certa dell'autore. 87 BAM, n.269, p.inf. 88 1462, luglio2. Al capitano della Martesana perché organizzi battute di caccia al lupo. Altra missiva dello stesso tenore 25.07.1462. ASM, Arch. Ducale Sforzesco, cart.673. 89 CAPPELLINI 1972, p.102. 86 sempre più pesante, costringendo gli artigiani più validi ad emigrare verso zone più sicure. DESIANI INURBATI A MILANO RICORDATI DALLE FONTI • 1146. Jacobus de Dexio è console di giustizia90. • 1162 Bellotto de Deuxo de Mediolano è investito dal vescovo di Lodi di un fondo91. • 1196. Jacobi de Dexio è console di giustizia a Milano92. • 1196 Ferro di Desio è teste nella pace fra Milano e Como93. • Sec. XIII. Guglielmo de Dexio è notaio generale del palazzo della città di Milano94. • 1215. Albergato de Dexio fa parte del consiglio comunale di Milano95. • 1284. Bernardo della Strada è lettore della chiesa milanese ed è familiare dello Scaccabarozzi96. • 1286 Benino de Dexio è rappresentante dei lettori della chiesa maggiore di Milano97. • 1288. Francesco de Dexio è console di giustizia di Milano98. • 1290. Petrus Gariboldus de burgo Dexio è proprietario a Dergano; suo figlio Anselmino è cittadino di Milano e notaio99. • 1292. Giacomo de Dexio è servitore del comune di Milano100. • 1298 Johannes fq Laurentii Dexii è fideiussore dell’Ospedale del brolo di Milano101. • XIV sec. Balzaro de Dexio è procuratore di Matteo Visconti102. • 1305. Frater Benus de Dexio è membro del capitolo del convegno del terz’ordine degli Umiliati di Milano103 • 1313. Vassallo da Desio salva la vita al conte Langosco104. • 1350. Francesco de Dexio è prevosto della chiesa di Sant’Ambrogio a Milano105. • 1353-1378. Filippolo de Dexio è familiare ducale. • 1353. Regino de Dexio era castellano della rocca di Brescia. • 1380 Francischino de Dexio è capitano delle truppe viscontee. • 1402. Jacobus de Dexio sostiene il feretro di Giangaleazzo Visconti. • 1402. Francescolo de Dexio è procuratore del Comune, Ducato e Diocesi di Milano. • 1450. Antonio de Dexio è familiare ducale106. • 1450-1451. Tristano de Dexio è familiare ducale107. • 1495. Giovanni Antonio da Desio scopre le miniere di Dongo108. • 1496 Mastro Giovanni Antonio da Desio forse esegue la sepoltura di Giangaleazzo Visconti. 90 GIULINI, sub anno; MALBERTI 1961, p.11. ED.: Codice Diplomatico Laudunense, a cura di C.VIGNATI, in Biblioteca Historica Italica, III, 1, Milano1879, n.11, pp.15s. 92 GIULINI, IV, sub anno. CAPPELLINI 1972, p.73. 93 In: ATTI, N.194, PP.272-279 94 BAM, carte pagenses, n.7207. Cit. CAPPELLINI 1972, p.84. 95 Atti, n.387, pp.507-511. 96 GIULINI, sub anno. CAPPELLINI 1972, p.84. 97 Atti, III, n.157, p.439. 98 Atti, III, n.461, pp.496-498. 99 Atti, III, n.523, pp.538-548. 100 Atti, III, n.562, pp.598-599. 101 Atti, III, n.747, pp.774-776. 102 CAPPELLINI, 1972, p.84. 103 ZANONI 1911, pp.279s. 104 GIULINI, Sub anno. CAPPELLINI 1972, p.84. 105 ACM, cart. 7. 106 Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.160-161 107 Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.298-300. 108 CAPPELLINI, 1972, p.104. 91 MISCELLANEA DI PERGAMENE DESIANE 1160. Alberto de loco Dexio offre alla basilica di sant'Eusebio un appezzamento di terreno in località Roncore109. 1250 gennaio 13. Desio. Alla presenza di Gerardo Tignoso, console di giustizia di Milano, Rica, vedova di Giovannibello Tizone fq Uberto, dona ad Albergato Gariboldo di Desio libras septuaginta quinque tertiolorum. Interfuerunt ibi testes: Mainfredus fq Alberti Rubei et Marchixius f. Zanebelli Burdigatii et Piscis fq Johannesbelli Bonefemine et Zanebellus fq Petri de Aliate et Guido f. Cortixii Arimondi, omnes de burgo Dexio noti eis; et pronotario secundo, tertio et quarto fuerunt Pinamons f. Anselmi Piscis et Johannesbellus f. Moroelli Beloni et Johannes f. Beni de Prato, de suprascripto burgo omnes. Actum in burgo Dexio, in domo suprascripti Albergati110. 1260 gennaio 30. Rodolfo Maderno, console di giustizia di Milano, stabilisce i termini entro i quali Ambrogio, Marzio, Pietro, Guglielmo, Mazo e Petrolo detti Zaconagi de Dexio devono consegnare un terreno in Desio appartenente alla chiesa di S.Eusebio di Milano111. 1260 febbraio 15. Desio. Alla presenza di Giacomo Grasso, servitore del comune di Milano, Ambrogio, Pietro, Castello e Guglielmo detti Zaconagi consegnano un terreno sito in Desio, di proprietà della chiesa di S.Eusebio di Milano. Citato documento di Giovanni Sapio del 1173: “nono mensis aprilis per Gualdricum Palliarium notarium, praecepto suprascripti domini Redulfi consulis, presente Jacobo Grasso servitore communis Mediolani et precepto et voluntate consulum et communis dicti burgi de Dexio”. Testi: Bonfado f. Attonis de la Strada, Barazia fq Anrici Pansici, Bagino fq Garitini Buriligatii, omnes de burgo Dexio.Ego Albertus fq Guilielmi de Nava de burgo Dexio notarius sacri palatii hanc cartam tradidi et scripsi112. 1261 ottobre 20. Desio. Su precetto di Vassallo Bossi, console di giustizia di Milano ed alla presenza di Dalmazio de Dalmaxiis, servitore del comune, Alberico del fu Teodoldo de Georgiis di Desio determina i confini di un terreno appartenente alla chiesa di Sant'Eusebio di Milano nel borgo di Desio. Consoli di Desio: Guidotus Carpanus e Arnoldus Birianus. Rilevatore: Albrico fq Tedoldi de Georgiis. Testi: Galdinus fq Pauli de Carate, Lanfrancus f. Anselmi Camparii, Andreas f. Jacobi Burdigatii, Ambroxius fq Pingirolli de Georgiis, omnes de burgo Dexio113. 1287 giugno 1. Desio. Protasio Sadono, servitore del comune di Milano, su mandato di Beltramo Pestapanico, giudice ed assessore del podestà si reca nel territorio di Desio per ordinare la misurazione e la consegna delle terre del monastero di Santa Margherita di Milano. Nomina eorum qui consignaverunt et iuraverunt sunt hec videlicet: Petratius de Carate, Anselmus de Solario, frater Jacobus Baffa, omnes de suprascripto burgo Dexio, qui dati et ellecti fuerunt per consules dicti burgi. Consegnato un fondodi sette pertiche al Bosco o alla Levata, lavorato da Beltramus Tuttobene qui dicitur Corvus de burgo Dexio. Consegnato anche un sedime in Bruxascha sedimen con haedifitiis divisum in duabus partibus cum curte et orto. Sono ricordati come confinanti: Rugerius Lanterius, Azollus de Solario, Antonius de Solario, Ambrosius Carate, Benacorti Vincemare. Il sedime è tenuto da Filippo, nipote di frate Giacomo Baffa. Confinanti: Ugone de Pissis, Antonio Baffa, Stefano Baffa qui dicitur Cavalle. Actum in burgo Dexio, in domo habitationis Anselmi de Sollario114. 109 BBM, Codice. Bonomi, AE, XV, 32, f.73. Cit. MALBERTI 1961, p.11. Atti, n.502, pp.732-733. 111 Atti, n.259, p.299. 112 Atti, II, 1, n.260, pp.299s. 113 Atti, II, n.313, pp.333s. 114 Atti, III, n.176, pp.462-463. 110 REGESTI DI PERGAMENE RIGUARDANTI L’OSPEDALE DI SAN GIORGIO 1141 ottobre 13. Bolla di papa Innocenzo II che pone sotto la diretta giurisdizione papale l'ospedale di San Giorgio115. 1191 febbraio. Montenario de Dexio rinuncia ai suoi diritti sui beni dell'ospedale di San Giorgio in Carendone116. 1233. Gregorio IX trasferisce la gestione dell'ospedale di San Giorgio al monastero di Sant'Apollinare117. 1236. Lettera di papa Gregorio IX118. 1246. Rescritto dell'arcivescovo Leone da Perego che, con il consenso del legato pontificio Gregorio e del capitolo ambrosiano, dona alle clarisse di Sant'Apollinare i beni dell'ospedale di San Giorgio119. 1246, 18 dicembre. Lione. Innocenzo IV si rivolge alla badessa del monastero di S.Apollinare, ordinis sancti Damiani, per confermare la donazione dell’ospedale di san Giorgio in Caradon di Desio di pertinenza arcivescovile fatta alle damianite da Leone da Perego arcivescovo di Milano e Gregorio da Montelongo, legato della sede apostolica120. 1293 aprile 26. Milano. Francesco fu Damiano de Desio di Porta Orientale dona alle figlie Catellina e Allegranzina, monache nel monastero di Sant'Apollinare, un fitto annuo perpetuo ed un sedime sito in Porta Orientale121. XIV sec. Breve di Bonifacio VIII che chiede al podestà di Desio di far restituire alle monache di Sant'Apollinare i beni tolti all'Ospedale di San Giorgio122. 1351. Le monache di Sant’Apollinare acquistano un campo in Carendone di pertiche 18.6123. 115 Cit: MALBERTI 1961, p.45. BAM, inv. Perg., n. 4484. CAPPELLINI 1972, pp.62s. 117 MALBERTI 1961, p.46. 118 MALBERTI 1961, p.12. 119 BAM, Sormani, Codice Diplomatico, IV, p.286. Cit.: MALBERTI 1961, p.12; 46. CAPPELLINI 1972, p.60. 120 BTM, Fondo Belgioioso, cart.281, fasc.1, n.17. Ed.: GIULINI, VII, pp.172s. 121 Atti, III, n.582, pp.613-614. 122 CAPPELLINI 1972, p.60. 116 123 ASM, religione, Monastero S.Apollinare, 1761. Le vicende cittadine, salvo poche eccezioni, presentano per tutta l’epoca moderna un quadro molto omogeneo e pressoché simile a quello presente nelle altre località dell’area a nord di Milano. Un primo dato che balza agli occhi è il periodico ripresentarsi della peste; nel solo XV secolo è documentata sul nostro territorio per ben cinque volte124, e l’ultima sembra avere avuto particolare virulenza. Malgrado l’elevato tasso di natalità, queste ricorrenti epidemie decimavano la popolazione che si ridusse a poche centinaia di individui. Le pessime condizioni igienico sanitarie, unite alla cronica carenza alimentare, contribuivano a creare un quadro desolante. In alcuni casi la pestilenza aveva talmente ridotto la popolazione che era venuta a mancare la stessa forza lavoro,obbligando così a destinare parti del territorio a bosco in quanto mancavano uomini e animali per lavorare l’intera superficie prima coltivata. Lo studio di Alberto Cappellini Desio e la sua pieve ha delineato in modo puntuale e dettagliato le misere condizioni di vita della popolazione in questi secoli. Per l’approfondimento dei temi qui solo accennati si fa riferimento a quelle pagine. Malgrado questa situazione di ristagno economico e demografico, i signori di Milano proseguirono nei loro disegni egemonici che prevedevano un ampio ricorso a truppe mercenarie. La continua esigenza di liquidi per pagare i mercenari e valersi delle prime bocche di artiglieria, costrinse i signori di Milano ad imporre un’impressionante quantità di imposizioni fiscali agli abitanti del contado. Alle tasse di natura statale si sommavano poi quelle ecclesiastiche e, prima tra tutte, la decima. Il capitolo desiano, per garantire il proprio sostentamento percepiva una parte dei frutti della terra che erano regolarmente raccolti da un appaltatore d’imposta. Viste le profonde trasformazioni causate dalle epidemie, il capitolo decise di chiarire la situazione per evitare abusi e fare in modo che nessuno sfuggisse alle imposte dovute. Così nel 1515 fu realizzato un catasto completo del territorio comunale indicando per ciascun fondo: proprietario, conduttore, superficie, coerenze ed utilizzo del suolo. Questo documento riveste particolare importanza perché ci offre un quadro pressoché completo sulla vita economica e sociale del borgo125. A completare il già desolante quadro sopraggiunse il fuoco. Nel 1511 una colonna di mercenari svizzeri che lasciava l'assedio di Milano saccheggiò il borgo e diede fuoco alle case. Testimone d'eccezione dell'avvenimento fu Leonardo da Vinci che, giunto da Vaprio d'Adda, schizzò su un foglio oggi conservato a Londra la veduta del borgo avvolto dalle fiamme. In quell'incendio andò distrutta tra l'altro anche la canonica che sarà ricostruita solo molto più tardi126. Agli inizi del XVI secolo il feudo desiano passò alla famiglia Pirovano; nel 1515 divenne di Bartolomeo Ferrario per poi passare ad Ottaviano Rho che però mantenne 124 La peste si presentò negli anni 1406, 1451, 1477, 1485, 1497; ASM, Reg.Arch.Panigarola, EE 1490-1501, n.23, p.314, n.283. 125 BRIOSCHI 1993A. 126 BRIOSCHI 1995C, pp. 95ss. per poco l’incarico a causa delle sue simpatie filofrancesi; subentrò al suo posto Galeazzo Ferrario che morì nel 1531 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco. Nel corso del XVI secolo furono ordinati due censimenti che ci offrono in quadro delle disastrose condizioni di vita e del profondo stato di prostrazione economica e demografica del territorio. Nel 1530 Desio Risultava composta da 136 nuclei familiari o “fuochi”. Le “bocche” (ossia gli abitanti) erano 348 rurali e 50 nobili. I campi erano arati da 35 coppie di bovini e su una superficie complessiva di 16.242 pertiche ne risultavano lavorate solo 6.375 (39% circa del totale)127. Sedici anni dopo gli abitanti erano saliti a 711; la superficie risultava coltivata a frumento, segale, miglio, melega, panigo, legumi e avena. Il dato più importante è che, malgrado l’aumento demografico, il vicino centro di Seregno aveva superato Desio raggiungendo quota 851 abitanti. É la prima volta che risulta documentato un fatto anomalo nella storia del territorio; ossia il caso di un centro “minore” che aveva raggiunto una popolazione numericamente superiore a quella del capopieve128. Tra le numerose famiglie della nobiltà milanese che avevano posto residenza in Desio occorre ricordare i Lampugnani, il cui esponente più noto, Giovanni Maria, creò un'istituzione benefica che caratterizzò per secoli la vita cittadina. Reduce da alcune avventure commerciali a Roma, Giovanni Maria Lampugnani acquistò nel 1546 una "casa da nobile" in Desio e successivamente altri beni immobili, allargando cospicuamente le proprietà della famiglia. Con documento datato 3 marzo 1547, il Lampugnani istituì una sorta di fondazione destinata principalmente all'istruzione dei fanciulli. Nacque così la "Scuola dei Poveri Putti" che in vario modo funzionò fino al secolo scorso. Il Lampugnani dotò quest'istituzione di ampie rendite (603 pertiche di terreno e tre case) che le permettessero di provvedere ad una serie di servizi finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più umili. Va inoltre rilevato che la scuola assolse un'importante funzione creditizia, finanziando nel tempo le maggiori spese a cui la comunità cittadina dovette far fronte. Lasciate le sue sostanze all'opera da lui fondata, il Lampugnani si spense il 27 marzo 1563 e volle un funerale assai austero. I suoi resti riposano ancora oggi sotto il sagrato della Basilica129. Nel Cinquecento prese avvio la vasta opera di riorganizzazione interna della chiesa che prende il nome di Controriforma. Il migliore rappresentante di questo sforzo fu certamente l'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che cercò di eliminare abusi e dare una nuova impostazione alla vita religiosa della diocesi. La modalità privilegiata da san Carlo per controllare la vita della diocesi fu la visita pastorale. La più antica è quella effettuata da padre Lionetto da Clivone, che nel 1567 ispezionò la basilica, le chiese secondarie e la canonica. Il quadro che emerge dalla relazione è per molti versi desolante. La cura degli edifici sacri, basilica compresa, 127 ASM, censo, cart. 1105. ASM, censo, cart. 1105. 129 CAPPELLINI 1963. 128 risultò carente. La situazione più grave era però quella del clero che, irrispettoso degli statuti capitolari redatti nel 1442, risultò scarsamente istruito, poco osservante delle norme canoniche, unicamente preoccupato da rivalità interne ed in perpetua lotta con il prevosto Francesco Bernardino Cermenati che risulta sicuramente la figura più esemplare in questo quadro. Il Visitatore, e anni dopo lo stesso san Carlo, imposero severe ordinanze per reprimere abusi e ridare ordine alla pratica religiosa, ma incontrarono forti resistenze sia nel clero che nella popolazione. In particolare risultava sgradito l'intervento dell'Arcivescovo che vietava l'apertura delle osterie e la pratica della danza negli orari in cui si teneva la dottrina. In una successiva visita compiuta personalmente da san Carlo, il Cardinale fu interrotto dalle donne del borgo che si misero a danzare per protesta contro il sermone arcivescovile, tendente a limitare la pratica della danza, soprattutto la domenica pomeriggio ed in Quaresima. Malgrado le forti resistenze incontrate, il modello proposto dall'autorità ebbe corso, trasformando profondamente le strutture ecclesiastiche (e non solo quelle), in base a criteri di disciplina ed organizzazione. La chiesa divenne in tal modo il centro vitale della comunità cittadina, capace di creare attività che andavano ben oltre la semplice pietà religiosa. Una nuova epidemia di peste, quella detta di “San Carlo” imperversò sul nostro territorio nel 1576-1577. Il sette maggio 1580 il feudo di Desio passò a Giorgio Manriquez Mendoza de Leyva; a quella data il feudo comprendeva le pievi di Desio e Bollate, composte da quaranta comuni con un complesso di 1.768 nuclei familiari. san Carlo nel 1579 aveva trovato a Desio 1.020 abitanti, il visitatore apostolico del 1596, Baldassarre Cipolla, ne trovò 1.531. La pietà religiosa costituiva l’unico rimedio conosciuto contro il dilagare delle epidemie. In particolare furono sciolti voti civici a san Teodoro e a san Carlo; si tenne anche un pellegrinaggio cittadino che portò a piedi tutti in Desiani fino alle basiliche milanesi. Nel 1630 fu proclamato un nuovo solenne voto che è alla base della festa cittadina dell’Ufficio quaresimale. Nel nome del Signore. Nell’anno dalla Natività millesimo, seicentesimo, trentesimo, nel giorno di martedì, ventunesimo del mese di maggio. Bartolomeo Motta fu Domenico, console del borgo di Desio Gio Angelo Briani fu Stefano e Gerolamo Pansecchi fu Gerolamo, entrambi sindaci del Comune del detto borgo di Desio Francesco Baffa fu Antonio, Giuseppe Briani fu Cristoforo e Pietro Maria Malberti fu Alberto, tutti sopraeletti del detto Comune del borgo di Desio, tutti abitanti nel detto borgo di Desio, capo di pieve, Ducato di Milano […] Fecero e fanno voto, i detti console, sindaci e sopraeletti e quasi tutto il popolo del borgo di Desio in ginocchio davanti all’altare maggiore nella chiesa collegiata dei santi Siro e Materno del detto borgo di Desio, a cusa della peste, innanzi all’Onnipotente Dio, alla Beata Vergine Maria e a tutti i Santi nel modo e nella forma che è descritta nei seguenti capitoli, il cui contenuto è il seguente: Capitoli stabiliti nella congregatione fatta dalli signori Prevosto, canonici e capitolo, gentilhomini, sindici et molti altri di maggior estimo della terra di Desio. Adì 19 maggio 1630, per occasione del mal contagioso presente, per impetrar da Dio Signor Nostro il Suo divino aiuto, fatta in casa del signor Prevosto. 1. Che la Communità confermi et di nuovo si obblighi con voto perpetuo di far la processione annuale alla chiesa di San Gerardo fuora di Monza, qualsi suol far ordinariamente la seconda festa della Pentecoste, o in altro giorno essendovi in quella impedimento, offerendo alla detta chiesa libbre tre cera a spese della detta Communità per cantar la messa. Qual per antica tradizione fu voto perpetuo fatto dalla detta Communità per simile pericolo di peste. 2. Che la Communità sudetta confermi, et di nuovo si obblighi con voto perpetuo, di far la festa di san Theodoro martire ogn’anno, alli 26 di maggio, e di far l’obblatione del cereo grande et torchie di peso cera tutti di libbre 59 all’altare di san Theodoro eretto nella chiesa colleggiata de Santi Siro e Materno del detto borgo di Desio, ogn’anno il giorno della festa del detto Santo come sopra, nell’atto che dal molto reverendo capitolo della detta collegiata si canta la messa al detto altare ad honore del detto Santo. Il qual voto fu fatto anticamente dalla detta Communità in perpetuo per causa della tempesta, a spese della detta communità eccetto per il cantar la messa. 3. Che la detta Communità renovi la devotione di far la festa di San Carlo arcivescovo di Milano ogn’anno, in perpetuo, et il voto d’offerire a spese della detta Communità libbre due cera al sacro sepolcro di detto Santo nella chiesa maggior di Milano ogn’anno. Quali devotione e voto furono fatti dalla detta Communità l’anno 1604 passato per causa d’infirmità pericolosa et continua che occorse in quell’anno nella detta terra di Desio. 4. Che per il presente pericolo della peste, che va serpendo con qualche danno nella detta terra di Desio, la detta Communità facci voto di far una processione generale ogn’anno il giorno della festa di San Giuseppe, sposo della B.Vergine e doppo la processione far cantar una messa ad honore del detto Santo all’altare della Beata Vergine del Rosario nella sudetta collegiata perpetuamente. La qual messa il molto reverendo capitolo della detta collegiata ha accettato il carico di cantarla gratis, offerendo la detta Communità la cera competente per cantarla. Et che la detta Communità a sue spese facci di presente fabricare un quadro con l’imagine di San Giuseppe, honorevole et di buona mano, a olio, da collocarsi nella detta capella della Beata Vergine del Rosario, o se all’avvenire fosse fabricato nella detta collegiata altare, o capella ad honore di San Giuseppe, di collocarvelo sopra, o dentro, et ivi poi cantar la detta messa perpetuamente dopo la detta processione. 5. Ultimo. Che si facci voto perpetuo di santificar la festa di San Francesco ed il giorno della detta festa ogn’anno in perpetuo offerire alla chiesa de Padri Conventuali della detta terra di Desio a spese della Communità sudetta libbre cinque cera per uso dell’altare per cantar la messa in quel giorno. […] Tutte queste cose furono decise essendo presenti inoltre: i molto reverendi signor prevosto e canonici della detta chiesa collegiata dei santi Siro e Materno del detto borgo di Desio, ossia il reverendo prete Antonio Strada, dottore in sacra teologia, prevosto della detta collegiata, il prete Carlo Francesco Theoldo, il prete Antonio Luini, il prete Giovanni Antonio Trabattoni, il prete Giovanni Battista Aliprandi, il prete Camillo Borgonovo, il prete Francesco Carati, il prete Cristoforo Cerruti, il prete Melchiorre Carcassola et il prete Carlo Antonio Daverio, tutti canonici residenti nella detta chiesa collegiata, ed abitanti nel medesimo borgo, perché si degnino di pregare per il popolo desiano presso Dio, Nostro Signore Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria eiusque B.V.Maria perché difendano il detto popolo dal detto contagio e d aogni male […] Fatto nella detta collegiata posta nel detto borgo di Desio. Alla presenza di Agostino Briani, figlio di Angelino e Adamo Castelletto, fu Alessandro, entrambi abitanti di Desio e pronotarii. Testi: il medico Giacomo Filippo Corneo fu Ludovico, Gerolamo Triulzi fu Daniele, entrambi abitanti nel detto borgo di Desio, e Gio Pietro Vera fu Giacomo, abitante nel luogo di Stanno, della Valle di Lugano, tutti testi idonei. Notaio Romerio Valentino Scaramuzza fu Giovanni Battista, abitante nel borgo di Desio. I secoli XVI-XVII nel nostro territorio sono caratterizzati da fasi alterne di depressione demografica dovuta alle ricorrenti epidemie ed altrettanti cicli di ripresa economica. Nel 1567 fu istituita la confraternita del Santissimo Sacramento e successivamente quella dei Disciplini o del Crocifisso. In seguito fu creata quella del Santo Rosario, poi unita a quella del Crocifisso. Dietro a queste associazioni a carattere religioso si celavano però forti tensioni campanilistiche tra quartieri diversi che si mescolavano ad attriti sociali tra i contadini della Vigana ed i "signori" della Piazza. Si ebbe una pluriennale vertenza giudiziaria perché i confratelli del Crocifisso pretendevano la piena proprietà dell’oratorio di San Bartolomeo; altre tensioni emergevano poi ricorrentemente per i diritti di precedenza tra i diversi sodalizi in occasione delle processioni. Dal 1550 la continua pressione fiscale per finanziare gli alloggiamenti delle truppe spagnole costrinse molti proprietari ad indebitarsi, favorendo così l'allargamento della grande proprietà aristocratica. Il calo demografico aveva ridotto allo stremo anche le attività economiche: nel 1613 erano infatti installati a Desio solo sei telai. Le continue difficoltà finanziarie costrinsero il Comune a contrarre nuovi mutui per far fronte alle spese relative ai frequenti alloggiamenti di soldati. Il quadro della grande proprietà locale ebbe un drastico mutamento nel 1638 con il sequestro dei beni del conte Alessandro Rho, motivato dalle sue simpatie francesi. I beni del conte, che comprendevano fra l'altro il corso della Roggia, furono alienati a favore del marchese Mario Visconti che, di lì a poco, li cedette ad Ottaviano Cusani. LA NUOVA CHIESA Malgrado le croniche difficoltà economiche nel 1652 prese il via il progetto per la costruzione di una nuova chiesa che, a suo tempo, era già stato caldeggiato da san Carlo Borromeo130 e forse Pellegrino Tibaldi aveva già predisposto un progetto di massima per l’edificio. Il progetto fu affidato all'architetto del duomo di Milano Camillo Ciniselli, mentre i lavori furono eseguiti sotto la direzione del capomastro Pietro Pozzi. Per sostenere gli oneri dei lavori la fabbriceria ricevette numerosi lasciti da parte della nobiltà locale. Contemporaneamente il fervore edilizio si espresse nella ricostruzione della chiesa della frazione san Giorgio con i lasciti di don Filippo Bareggi131. Un nuovo edificio di culto veniva anche eretto nel 1676 nella frazione san Giuseppe per iniziativa del conte Gio Antonio Ferrario. 130 Per tutte le vicende della fabbrica della nuova chiesa si veda: BRIOSCHI 1998. A san Giorgio fu affiancato sant’Apollinare in quanto la cascina era passata sotto la proprietà dell’omonimo monastero milanese delle clarisse. MATTAVELLI 1988. 131 Molti nobili locali provvidero alla loro morte a testare a favore di enti di beneficenza. Nel 1699 Marco Antonio Carcassola designò sua erede la Scuola dei Poveri Putti, il Bareggi lasciò i suoi beni all’Ospedale Maggiore e nel 1732 morì conte Bolagnos e testò anch’egli a favore della Cà Granda. I lavori per la nuova chiesa andarono per le lunghe; a complicare la situazione intervenne un furiosa tempesta che nel 1674 distrusse gran parte dei raccolti, riducendo ancor maggiormente le già magre finanze del borgo. Sempre con il massiccio intervento della nobiltà locale che in queste operazioni mise da parte anche il Parroco, nella prima metà del XVIII secolo ripresero con maggiore solerzia i lavori per terminare la fabbrica della nuova chiesa. L'opera fu conclusa dall'architetto Merli, mentre l'esecuzione della facciata fu affidata al Galiori, coadiuvato dal Piermarini. Il 25 agosto 1744 la basilica fu consacrata dal cardinale di Milano Giuseppe Pozzobonelli, ma i lavori di abbellimento e di rifinitura continuarono fino al 1785. Sciaguratamente, anche per finanziare le ingenti spese che erano state sostenute e per disfarsi di edifici ormai inutili, si procedette la demolizione della vecchia basilica plebana i cui materiali di recupero furono venduti all'asta. Si passò anche all'abbattimento dell'antico oratorio di sant'Agata che sorgeva sul lato meridionale della Piazza. Alla santa siciliana fu dedicato un altare nella nuova prepositurale e nel 1739 fu deciso di erigere un nuovo oratorio dedicato a santa Maria per ospitare gli incontri della locale confraternita; l'edificio con i successivi ampliamenti sussiste ancora a lato della chiesa parrocchiale. L'EPOCA DELLE RIFORME A partire dal 1707 la Lombardia passò sotto l'amministrazione asburgica. Nella prima metà del secolo la situazione era davvero grave; la peste bovina aveva falcidiato il bestiame ed il Comune era stato costretto a contrarre nuovi mutui per coprire le continue spese militari. Ad inizio secolo il borgo ospitava 144 case e per la campagna erano sparsi quindici cascinali; la popolazione superava di poco le millesettecento unità, ma alla metà del secolo aveva ampiamente superato le duemila anime. In questa situazione di miseria diffusa trovarono terreno fertile le riforme di Carlo VI e di Maria Teresa per un'organizzazione razionalizzata del territorio, volta al superamento di antichi abusi e privilegi. Il segno tangibile di questo nuovo clima fu la realizzazione del catasto, uno strumento fondamentale per stabilire la quantità di beni immobili posseduti da ciascun proprietario in vista di un’equa ripartizione del carico fiscale. Nel 1774 l'arciduca Ferdinando e la consorte fecero visita al convento francescano per lucrare l'indulgenza del Perdono d'Assisi. Altra visita reale fu effettuata undici anni dopo, quando i reali di Napoli si recarono a visitare la Villa Cusani. Tra continue recrudescenze epidemiche che causarono numerose vittime, giunse l'editto imperiale che imponeva la soppressione del convento francescano (1777). La sconsacrazione dell'edificio di culto fu effettuata alle quattro di notte per evitare tumulti popolari e fu eseguita dal parroco che, possiamo immaginare, compì l'opera senza eccessivi rimpianti visti i rapporti non sempre amichevoli tra il clero regolare e la comunità monastica. Altri provvedimenti dell'imperatore Giuseppe II colpirono la confraternita del Crocefisso. Sopravvisse invece quella del Santissimo Sacramento eretta nella chiesa parrocchiale, ma per intervento dei confratelli del Crocefisso che si ritenevano vittime di un'ingiustizia, fu soppressa anche la seconda. Nel 1791 furono interrotte le sepolture nella chiesa e si iniziò ad inumare le salme nel nuovo camposanto annesso al vecchio Foppone. Sempre verso la fine del secolo, si estinse la casata dei Manriquez ed il feudo passò al conte Pietro Secco Comneno, che di lì a poco sarebbe stato travolto dalla bufera napoleonica. Lo scorcio finale del diciottesimo secolo fu contrassegnato dalle rivalità di quartiere, sfociate in una furibonda rissa nel 1795 durante la processione del Corpus Domini; il pretesto fu offerto dalla decisione governativa di abolire i tradizionali abiti dei confratelli, imponendo d'ufficio il colore bianco in uso nelle località di rito romano e urtando violentemente di conseguenza le secolari tradizioni religiose del popolo. A partire dal 1777 il Cusani iniziò una vasta opera di risistemazione della sua residenza desiana. L'incarico di rinnovare la dimora signorile fu affidato a Giuseppe Piermarini che trasformò l'edificio secondo i dettami di un rigoroso impianto classicheggiante. IL PRIMO OTTOCENTO Il 15 giugno 1796 Napoleone faceva ingresso in Milano, istituendo la Repubblica Cisalpina. Come nel resto della Lombardia, anche a Desio la notizia fu accolta con soddisfazione, sperando che il cambio al potere comportasse un mutamento radicale delle condizioni di vita. In realtà la presenza napoleonica in breve tempo si rivelò in tutta la sua durezza. La municipalità fu mantenuta a patto che giurasse fedeltà al nuovo governo; furono particolarmente colpite le proprietà e le istituzioni ecclesiastiche, fino a culminare il 10 luglio 1798 nella soppressione del capitolo. I beni della basilica furono sequestrati e messi all'asta; i relativi documenti furono trasferiti a Milano, provocando uno sciagurato smembramento dell'archivio prepositurale. Il marchese Ferdinando Cusani era fuggito a Vienna ma fu costretto a rientrare sotto la minaccia della confisca di tutti i suoi beni132. Parte dei provvedimenti contro le chiese fu revocato con il ritorno delle armate austriache (ripristino del capitolo e delle confraternite), ma la pressione fiscale aumentò sensibilmente, rendendo egualmente insopportabile la nuova amministrazione. Per questo motivo, quando i Francesi fecero ritorno nel giugno 1800, non furono male accolti. La popolazione, presa dai problemi quotidiani del sostentamento, era molto sensibile ai problemi religiosi e rimase colpita dalla trasformazione dell'oratorio di santa Maria in caserma per i coscritti; l’oratorio di san Bartolomeo fu invece acquistato da un privato per evitare che fosse destinato ad usi profani. Numerosi cittadini desiani entrarono a far parte delle armate napoleoniche ed alcuni 132 Per questo periodo si veda anche: CAPPELLINI 1972, pp. 361ss. di loro caddero in occasione della disastrosa campagna di Russia (1812). Le varie istituzioni cittadine furono trasformate dall'amministrazione francese; in particolare la Scuola dei Poveri Putti, la Scuola delle Sante Maria ed Agata ed i beni delle soppresse confraternite confluirono nella nuova Congregazione di Carità che avrebbe dovuto predisporre gli interventi in campo sanitario ed assistenziale. Il frutto più importante di questo periodo resta però l'ospedale, la cui erezione fu autorizzata nel 1813, ma a causa della scarsità di mezzi, i lavori procedettero fino al 1820 ed infine completato con i proventi del cospicuo lascito stabilito dal canonico Villa. Anche con il ritorno delle armate austriache furono mantenuti tutti quei provvedimenti varati da Napoleone che garantivano una efficiente amministrazione del territorio. Occorre ricordare che risale all’epoca napoleonica l’istituzione in Desio dell’ufficio Postale133. Il tramonto dell'astro napoleonico coincise con un periodo di profonda crisi: la scarsità di pioggia provocò due cattive annate agricole consecutive, riducendo alla fame gran parte delle famiglie. Come sempre accade in situazioni di questo genere subentrò ad aggravare la situazione una grave epidemia di tifo. Il definitivo ritorno dell'Austria coincise con una fase di sviluppo demografico che mise in evidenza i limiti dell'economia tradizionale. Molti capifamiglia furono costretti ad affiancare alla tradizionale coltura dei campi attività a carattere artigianale, soprattutto nel settore del legno. Sintomo indubbio di una ripresa difficile sono i numerosi furti, anche a danno delle chiese, e le impiccagioni di rapinatori che in questi periodi erano frequenti, tanto che si diceva: "Méda, Paìna e Mariàn a mantégnen el bòia de Milàn". Nell'epoca della Restaurazione cessò definitivamente di esistere l'antica giurisdizione feudale; l'amministrazione della giustizia fu affidata alla locale Giudicatura di Pace e, dal 1818, alla Pretura. Per venire incontro ai problemi causati dalla diffusa povertà, il Comune varò una serie di lavori pubblici a partire dal 1821, consistenti nella lastricatura delle strade principali. Nel 1829 fece visita a Desio il re di Napoli e nel giugno dello stesso anno l'imperatore Ferdinando I d'Austria. Tra le mille difficoltà causate da un'agricoltura improduttiva ed un artigianato nascente si colgono però i sintomi di una ripresa lenta ma costante. Nel 1831 fu istituita la scuola elementare femminile e, negli stessi anni, prese il via il tormentato progetto di ricostruzione delle campane che purtroppo comportò nel 1830 la distruzione della guglia del campanile e il suo adattamento alle forma architettoniche che possiamo vedere oggi. Una epidemia di colera causò numerosi decessi, tra cui quello del medico condotto Borsotti. La vita di quegli anni, come d'altro canto anche in passato, appare scandita da ricorrenti epidemie, processioni solenni per impetrare la pioggia o scongiurare la grandine134. Segno di tempi nuovi che si stanno avviando, l’Ente Locale comincio ad avviare alcune migliorie urbanistiche legate innanzitutto alla lastricatura delle strade ed allo scolo delle acque. Nel 1830 pose stanza a Desio lo stato maggiore austriaco e il territorio del Comune ospitò in diverse occasioni manifestazioni pubbliche solennizzate dall’accompagnamento dei soldati e della gendarmeria. L’imperatore Ferdinando I 133 134 Ordinanza 18 settembre 1812, num. 7725 della Direzione delle Poste. BRIOSCHI 1998 B. Nei casi di siccità prolungata era abitudine di portare processionalmente il Crocifisso di san Bartolomeo in Basilica. transitò da San Giorgio mentre si recava a Milano per la cerimonia dell’incoronazione (1837) e tornò l’anno seguente a Desio, ospite dell’avvocato Traversi. Il marchese Ferdinando Cusani aveva proseguito nell’opera di abbellimento della sua residenza desiana con l’acquisto di una copiosa serie di marmi antichi provenienti in gran parte da chiese milanesi soppresse nel decenni precedenti135. Questi acquisti ed in generale l’elevato dispendio imposto dal tenore di vita aristocratico, costrinsero Cusani a contrarre una notevole serie di debiti. Nel 1816 il marchese morì e gli subentrò nella proprietà il figlio Luigi. Costui non aveva alcun legame con Desio in quanto aveva trasferito la sua residenza a Roma e, trovandosi nella necessità di soddisfare gli impegni assunti da suo padre, alienò i beni di Desio al maggiore creditore, l'avvocato Giovanni Battista Traversi. Nel 1840 la villa Traversi fu sottoposta ad un completo rifacimento, trasformando la precedente abitazione piermariniana in un grandioso complesso in stile eclettico. Il progetto fu curato dall'artista bolognese Pelagio Palagi il quale, oltre alla ristrutturazione della villa, eresse nell'annesso parco un’originale torre in stile neogotico. L’insolita costruzione ospitava la collezione di marmi antichi dell'avv. Traversi e probabilmente doveva fungere da studio per l’artista. La villa desiana divenne un ameno luogo di soggiorno che ospitò fra gli altri l'imperatore Ferdinando I, Stendhal e Vincenzo Bellini. Nel frattempo fu affidato ad Antonio Villoresi il compito di ridisegnare il vasto spazio boschivo che contornava la villa e di scegliere le specie arboree da piantumarvi. Il Villoresi, oltre a questa attività di architetto-botanico, fu spesso utilizzato per disegnare scenografie, archi e fondali in occasione di visite ufficiali e festività solenni. Nel 1843 ebbe definitivamente fine la pluriennale disputa relativa alle campane. Per interessamento del prevosto Corbella fu affidato l'incarico della fusione del nuovo concerto alla ditta Felice Bizzozero di Varese. Il 20 agosto le nuove campane furono condotte a Desio con festeggiamenti principeschi. L'istituzione di alcune aziende agricole capitalistiche permise un sensibile aumento delle rese agricole, cui non corrispose però un adeguato miglioramento nelle condizioni di vita degli agricoltori. Le latenti tensioni sociali esplosero in occasione della cattiva annata agricola del 1847. Un gruppo di contadini, esasperati in seguito ad un aumento dei canoni, mise a sacco l'abitazione del Bonomi, un noto possidente locale, cercando addirittura di linciarlo. L'intento non riuscì in seguito all'intervento della gendarmeria locale e l'iniziativa costò ad otto agitatori alcuni anni di carcere duro nelle prigioni di Mantova. La comunità desiana partecipò all’insurrezione milanese del Quarantotto inviando alcuni volontari (tra cui il medico Zuffi) e acquistando un cavallo e centocinquanta fucili per gli insorti. Il borgo fu però interessato solo marginalmente alle azioni belliche in occasione del passaggio di una colonna garibaldina. 135 Per le vicende della collezione di marmi si veda: Gli Austriaci al loro ritorno instaurarono un rigido sistema poliziesco, sottoponendo case, ville patrizie e chiese a perquisizioni e controlli per scovare depositi clandestini di armi. Nel 1851 un Desiano, il falegname Malberti, fu arrestato per aver apostrofato dei soldati austriaci “birbanti, porchi e animali”; ad Antonio Corbetta furono inflitte sei settimane di carcere perché gli furono trovate in casa delle armi utilizzate durante l’insurrezione del Quarantotto. Nello stesso anno, fra l'indifferenza generale, transitò per la stazione ferroviaria l'imperatore Francesco Giuseppe. Per giungere ad una sistemazione definitiva, il Comune assunse un prestito di duemila lire per acquistare nel 1853 dall’ingegner Agostino della Torre un fabbricato nel quale trovarono sede la pretura, le carceri ed in seguito anche il municipio; questa sede ospitò le strutture politico-amministrative del territorio fino alla costruzione del nuovo edificio comunale di corso Italia nel 1964. Nel 1849, in seguito ad un incidente morì il prevosto don Giusto Corbella e l’anno seguente giunse a Desio il nuovo parroco don Filippo de Bernardi. Questo sacerdote era autore di numerose pubblicazioni e possedeva una prestigiosa collezione d’arte. Alla morte destinò tutti i suoi beni alla realizzazione di due affreschi da collocare ai lati dell’altare maggiore. Queste pitture, ancora oggi visibili, furono eseguito alla fine degli anni Cinquanta dal pittore Mauro Conconi e rappresentano L’ingresso di Gesù in Gerusalemme e Gesù ed i fanciulli136. Nel 1850 intanto era stata realizzata un’opera pubblica di fondamentale importanza che avrebbe trasformato radicalmente le dinamiche sociali e produttive del Comune: l’apertura della linea ferroviaria da Monza a Camnago. La vita amministrativa del Comune era controllata dall’assemblea degli estimati, ossia dei cittadini più abbienti che pagavano l’imposta fondiaria; costoro, dovendo provvedere direttamente coi loro mezzi ai bisogni del territorio, cercavano di limitare al massimo le spese, dilazionando acquisti o cercando di evitare la realizzazione di opere pubbliche. Dal 1850 si passò dal vecchio sistema degli estimati alla creazione di un Consiglio Comunale retto da due deputati; restava sempre però salvo il principio che gli amministratori dovessero essere possidenti o proprietari di rilevanti imprese industriali o commerciali. La prima seduta del consiglio comunale fu tenuta il tredici febbraio 1851137. Nel 1854 morirono due esponenti di primo piano dell’aristocrazia locale: il conte Paolo Greppi e l’avvocato Giovanni Battista Traversi. Quest’ultimo nominò usufruttuaria dei suoi beni la vedova Francesca Milesi ed erede il nipote Giovanni Antona Cordara che, per onorare la memoria dello zio, assunse il cognome Antona Traversi. Per ottemperare alle disposizioni testamentarie egli dovette ricostruire l’antico oratorio della villa che assunse l’attuale fisionomia verso il 1860. Una grave epidemia di colera colpì Desio nel 1855, si distinsero nell’assistenza ai colpiti dal contagio i medici Giovanni Ballerio e Antonio Vitali ed il parroco De Bernardi che fu premiato con una onorificenza predisposta dal Comune. Alla metà del secolo la popolazione desiana era salita a 5.268 anime (2.653 maschi e 2.633 femmine). Si ricorda che in quegli anni, precisamente il 31 maggio 1857, 136 137 Per la biografia del De Bernardi e le vicende dei due affreschi si veda: BRIOSCHI 2004. ACD, 6, 89. nacque a Desio nell'abitazione posta nell'antica contrada della Prepositurale, Achille Ratti, futuro Dottore della Biblioteca Ambrosiana, arcivescovo di Milano e, nel 1922, Sommo Pontefice con il nome di Pio XI. Nel 1859, in occasione della Seconda Guerra d'Indipendenza, Desio fu attraversata da una colonna di quattromila Austriaci in ritirata. La nostra città diede il suo contributo all'unificazione nella figura di Romeo Vaj, volontario garibaldino, caduto a Calatafimi il 15 maggio 1860138. IL SECONDO OTTOCENTO Nel 1861, in occasione del primo censimento, Desio contava 5.431 abitanti, 2.699 maschi e 2.732 femmine. Malgrado le difficoltà economiche causate dal difficile periodo, lo sviluppo demografico ed economico era costante. Segno di nuove esigenze, furono installati i primi quindici lampioni, creata una scuola serale per favorire l’afflusso degli alunni e nel 1869 fu deliberata la creazione dell'asilo infantile che fu attivato solo pochi anni dopo. La classe politica locale di questa fase immediatamente seguente all’unificazione appare contrassegnata da una marcata adesione ai principi liberali; i valori dominanti risultarono l’adesione incondizionata ai principi liberistici e il tentativo di compressione delle richieste clericali. I primi Sindaci provenivano dalle fila della borghesia imprenditoriale: Ravanelli (fattore di Casa Antona), Scannagatta, Cereda e Rossi. Le strutture politiche ed amministrative non mutarono così rapidamente come la realtà esigeva; alcuni possidenti riuscirono a superare i rivolgimenti politici, mantenendo intatti i propri privilegi. La principale novità fu l'allargamento nel numero dei notabili locali; sull'onda del nuovo stato unitario alcuni individui particolarmente intraprendenti riuscirono a consolidare la propria posizione in campo economico e sociale, utilizzando poi il prestigio acquisito in ambito politico. Nell’ anno 1869 iniziò la sua attività una delle più prestigiose ditte del secolo passato: la tessitura serica Pietro Gavazzi. L'opificio iniziò la produzione con un parco macchine di dodici telai meccanici sui quali lavorò la gran parte della manodopera femminile del borgo. La tessitura Gavazzi fu affiancata da altri insediamenti industriali del settore tessile: la scialleria Ercole Trezzi, la filatura Gavazzi ed il Lanificio Nazionale. Il decollo industriale, seppure in un settore che già mostrava segni di crisi, proseguì senza soste, modificando il quadro economico della città. In particolare va sottolineata la forte componente femminile nelle fabbriche; nella ditta Gavazzi lavoravano 2500 donne, tra cui moltissime minorenni, e solo 500 uomini. Questo fatto è spiegabile naturalmente con la semplificazione delle operazioni in seguito alla meccanizzazione, ma anche con il fatto che le paghe femminili erano nettamente inferiori a quelle degli uomini. Alla fine del secolo un operaio riceveva per 10-12 ore di lavoro un compenso di lire 1,80 giornaliere, mentre una donna aveva un salario di 35-40 centesimi, cifra che bastava a comperare un chilogrammo di pane. 138 BRIOSCHI 1998 C. In precedenta il desiano Luigi Ballabio aveva combattuto nella Repubblica Romana ed aveva fatto parte del gruppo che seguì Graibaldi nell’inutile tentativo di portarsi a Venezia nel 1849. Situazione non migliore attraversavano i numerosi Desiani che erano ancora legati all'agricoltura. I fortunati possessori di un fazzoletto di terra si trovavano costretti a dedicarsi ad attività secondarie, soprattutto artigianali, per far quadrare il misero bilancio familiare. Sorte peggiore avevano coloro che, privi di terra propria, erano costretti a condurre fondi altrui; generalmente il canone d'affitto era nella misura del 50% del prodotto finale. Intorno alla dimora Traversi-Tittoni gravitava un mondo che presentava tratti del mondo feudale. Pur avendo introdotto nei loro possedimenti notevoli migliorie, i Traversi mantennero in vigore contratti agrari che ricordavano il passato; oltre a versare il canone, gli agricoltori erano tenuti a prestare alcune giornate lavorative semigratuite negli orti e nel giardino della villa, effettuando in tal modo delle autentiche corvees feudali. Tutte queste attività erano coordinate dal giudizio insindacabile di un fattore che curava la gestione della proprietà; questa figura andò crescendo d'importanza, tanto che il primo sindaco di Desio in epoca unitaria fu Luigi Ravanelli, fattore di casa Traversi. Per finanziare i tentativi di prima industrializzazione nel 1873 fu istituita una filiale della Cassa di Risparmio. In seguito alla soppressione della Guardia Nazionale, il Comune si vide privato della possibilità di accompagnare musicalmente le diverse manifestazioni pubbliche sia civili, sia religiose. Pertanto prese corpo il progetto di istituzione di un corpo musicale cittadino139. Nel 1878 fu inaugurato il nuovo edificio delle scuole elementari e del teatro intitolato a Vittorio Emanuele II. L'edificio, oggi demolito, ospitò in più occasioni le recite del grande attore milanese Edoardo Ferravilla che da tempo aveva instaurato con Desio un rapporto privilegiato. L'ultimo quarto del secolo fu dominato dalle figure del sindaco Gavazzi e del prevosto Mossolini che trasformarono l'immagine tradizionale del borgo rurale, creando quella di un centro attivo, ma per molti versi isolato dalla realtà economica circostante. Mentre nei comuni del circondario si era diffusa in modo massiccio l’artigianato, specie nel settore del mobile, a Desio prevalse a livello economico la grande industria che determinò quadri sociali ed economici completamente diversi da quelli della realtà circostante. Don Cesare Mossolini era giunto da Milano a Desio nel 1879 e l’ing. Gavazzi era divenuto sindaco nel 1883. Il decollo industriale, seppure in un settore che già mostrava segni di crisi, proseguì senza soste, modificando il quadro economico della città. Dietro le proprietà Traversi e Gavazzi si celavano due differenti modelli di sviluppo, uno agrario, 1'altro industriale, ma entrambi accomunati dall’adesione incondizionata alle leggi economiche del liberismo classico. Queste rivalità si perpetuarono poi nel tempo, contrassegnando negativamente il futuro sviluppo del borgo. Le peggiorate condizioni di vita dei ceti più umili favorirono il rapido diffondersi tra la popolazione delle idee socialiste, contro cui intervennero il clero ed i ceti dirigenti dell’epoca. 139 Per le vicende del corpo musicale si veda: BRIOSCHI 2002. La fine del secolo vide la realizzazione di opere pubbliche in una quantità mai prima conosciuta. Furono costruiti lo scalo ferroviario e gli oratori cittadini, fu inaugurata la caserma dei carabinieri e l'ufficio telegrafico; il borgo fu dotato del servizio di acqua potabile e nel 1895 fu realizzata la caserma dei Vigili del Fuoco, mentre le vie del borgo furono lastricate ed illuminate da sessanta lampioni a gas. Per facilitare le comunicazioni era stata inoltre realizzata una tramvia a vapore realizzata dalla società inglese Tramways and General Worhs Company. Va ricordato che nel 1892 il famoso pittore Giovanni Segantini si stabilì a Desio, abitandovi per un biennio e realizzando nella nostra città alcune delle sue opere più famose. In diverse occasioni la vecchia Basilica seicentesca si era rivelata inadatta ad accogliere la popolazione che era notevolmente aumentata; nacque così il progetto di ampliamento della struttura esistente. Alla fine si decise di allungare l'edificio in direzione est, inglobando nella fabbrica strutture preesistenti ed aree pubbliche. Il Comune approvò l'iniziativa e sostenne l'opera con un forte contributo. Anche in seguito alle proteste di alcuni possidenti marcatamente laici, la fabbriceria decise in tono polemico di modificare il disegno con l'erezione di una grandiosa cupola, progettata dagli architetti Cesa Bianchi e Buttafava, certa che questa scelta avrebbe solleticato le ambizioni campanilistiche dei Desiani. Su iniziativa del prevosto Mossolini, i lavori presero il via il 19 aprile 1891 quando fu posta la prima pietra della nuova costruzione da parte di mons. Ballerini, patriarca d'Alessandria d'Egitto, allora residente a Seregno. A finanziare l'opera concorsero l'Ente Locale, la Fabbriceria, la Curia Arcivescovile ed i notabili locali, ma soprattutto la folla anonima dei Desiani che, impossibilitati a contribuire economicamente, offrirono il proprio lavoro per cavare la ghiaia e trasportare i materiali. Inoltre tutti gli operai contribuirono all'opera versando il corrispettivo delle giornate di lavoro effettuate durante le festività infrasettimanali. Grazie alla collaborazione di tutta la cittadinanza, che vide nell'erezione della cupola un simbolo di prestigio nei confronti dei borghi circonvicini, in meno di quattro anni furono eseguiti i lavori di ampliamento ed il 24 agosto 1894 l'arcivescovo di Milano, Andrea Carlo Ferrari riconsacrò solennemente la Basilica140; la grande cupola coronava finalmente le ambizioni dei Desiani e costituiva un segno di cambiamento e sviluppo. Parallelamente a questi grandi lavori, prendevano corpo altre istituzioni locali, in special modo quelle a carattere religioso. Nell'ultima parte del secolo presero corpo e fisionomia i locali oratori: quello femminile inizialmente curato dalle suore di Maria Bambina e quello maschile con le sue svariate attività a carattere formativo e ricreativo, le cui origini vanno fatte risalire all'opera di don Villoresi, figlio del botanico di casa Traversi. IL NOVECENTO 140 BRIOSCHI 1998. Agricoltura ed industria avevano avuto un sensibile sviluppo permettendo un notevole accumulo di capitali, ma le condizioni di vita della popolazione erano rimaste immutate, anzi in molti casi avevano conosciuto un peggioramento in occasione della grande crisi di fine Ottocento. Le strutture politiche ed amministrative erano rimaste sostanzialmente le stesse del periodo precedente; allo sviluppo economico che aveva interessato solo i ceti dirigenti non era corrisposto un miglioramento nelle condizioni di vita di operai e contadini. A Desio la situazione era complicata da una realtà tutta particolare. I lavori di ampliamento della chiesa avevano avuto come promotrice la famiglia Gavazzi che aveva costituito il perno organizzativo e propulsivo dell'opera. Questo ruolo di primaria importanza comportò un allineamento del clero locale, ed in particolar modo del prevosto Mossolini, sulle posizioni politiche dei patroni dell’impresa. La situazione era aggravata dalla proibizione papale ai cattolici di partecipare alla vita politica in uno stato che si presentava con atteggiamenti laicisti. Malgrado le posizioni ufficiali, il clero desiano si schierò apertamente a fianco dei candidati locali; in particolare emerse il contrasto tra i giovani del Fascio di Azione Cattolica che sostenevano il divieto papale e gli aderenti alla Associazione della Sacra Famiglia controllata direttamente dal parroco141. Il nuovo secolo iniziò per Desio con un graduale processo di sviluppo, che si esplicò nell’associazionismo popolare. I ceti operai e contadini, raccolti in organizzazioni sindacali di diversa matrice, chiesero ed in parte ottennero miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Nacque una battagliera Società Operaia, la Società di Mutuo Soccorso fra operai e contadini, cui fu contrapposta la moderata "Fratellanza". Tra scontri ed incomprensioni reciproche prendeva corpo un vasto associazionismo cattolico finalizzato ad attività sociali. L’importanza economica del Comune era andata crescendo: agli inizi del Novecento la popolazione aveva superato le diecimila unità. Gli opifici cittadini assorbivano la manodopera locale (specie femminile) e costituivano un elemento di richiamo nei confronti di aree meno sviluppate della Brianza, per cui Desio divenne la meta di fenomeni migratori locali. Nel novembre 1895 il setificio Egidio e Pio Gavazzi inaugurò una motrice della potenza di cinquecento cavalli. Intervennero all’inaugurazione il re Umberto e la regina Margherita; lo stabilimento a quella data impiegava oltre duemila addetti. Nell’anno 1900 era morto l’Antona Traversi, il quale aveva precedentemente chiesto ed ottenuto di essere sepolto nel parco della sua villa; provvide all’esecuzione del monumento sepolcrale l’architetto Luca Beltrami che progettò una sorta di ponte sopra il corso della roggia. Il complesso desiano passò alla figlia del defunto, Bice, che era sposa del prefetto di Perugia Tommaso Tittoni, il quale sarebbe divenuto ministro degli esteri. Tommaso Tittoni (Roma, 16 novembre 1855 - Roma, 7 febbraio 1931) 141 BRIOSCHI 2004A. Diplomatico italiano, uomo politico e Presidente del Consiglio dei Ministri dal 12 marzo 1905 al 27 marzo 1905. Studiò legge e poi entrò in politica nell'ala conservatrice. Fu eletto alla Camera dei deputati dal 1886 al 1897, fu poi nominato senatore dal Re Vittorio Emanuele III di Savoia nel 1902. Dal 1898 al 1903 fu Prefetto, prima a Perugia fino al 1900, e poi a Napoli. Fu Ministro degli Esteri dal 1903 al 1905 e brevemente Presidente del Consiglio dei Ministri per soli quindici giorni dal 12 marzo al 27 marzo 1905. Ambasciatore Italiano a Londra (dal febbraio al maggio 1906), tornò alla carica di Ministro degli Esteri nel Governo Giolitti III e poi fu Ambasciatore a Parigi (aprile 1910 - novembre 1916). Fu per la terza volta Ministro degli Esteri nel Governo Nitti dal 23 giugno 1919, e fu anche Capo della Delegazione Italiana alla Conferenza di Pace di Parigi fino alle dimissioni del Governo il 25 novembre 1919. Dal 1 dicembre 1919 al 21 gennaio 1929 fu Presidente del Senato. Dopo la Marcia su Roma, Tittoni appoggiò Mussolini; divenne il primo Presidente dell'Accademia d'Italia (28 ottobre 1929 - 16 settembre 1930. L'8 aprile 1923 fu nominato Cavaliere dell'Annunziata dal Re Vittorio Emanuele III di Savoia. I primi anni del secolo furono teatro di furiosi scontri politici tra i candidati del mondo liberale appoggiato dal clero locale da una parte e gli esponenti del nascente movimento socialista dall’altra. Queste tensioni ebbero il merito di avvicinare lentamente la popolazione alla vita politica, specie dopo l’introduzione del suffragio universale. Nel 1903 fu costituita la Lega dei Lavoratori e la Cooperativa Agraria Libera di ispirazione socialista. Per contrasto nel 1905 prese corpo invece il “Consorzio Agricolo fra contadini di Desio” di tendenze moderate con lo scopo di condurre terreni, migliorare la condizione morale, religiosa, sociale ed economica dei soci, acquistare e vendere prodotti, acquistare attrezzi. Mentre nello stabilimento Gavazzi prendeva corpo “La Fratellanza”, nel vicino Targetti nasceva “La Società di Mutuo Soccorso fra agricoltori e operai di Desio” cui segui l’omonima cooperativa. Un momento di particolare prestigio per Desio fu la realizzazione di una esposizione “allo scopo di diffondere le norme scientifiche per la coltivazione dei campi”. La manifestazione ebbe luogo dal 7 al 22 ottobre 1905 e fu inaugurata dal ministro Tittoni142. Per l’evento era stato allestito uno spazio espositivo con pittoreschi padiglioni nel parco della villa di Achille Lucchini, noto commerciante di legname. I segni di miglioramento si moltiplicavano; nel 1903 erano attive le società per la fornitura del gas e dell’energia elettrica. Agli inizi del secolo fu costruito un primo tratto di fognatura dal ponte sulla Roggia alla via Manzoni; da questo primo intervento ne seguirono altri per evitare che le strade, come avveniva da secoli, 142 Esposizione 1905. divenissero il naturale alveo di deflusso delle acque. Anche per combattere i ricorrenti casi di tifo, furono aperte al pubblico alcune fontane che garantivano gratuitamente acqua potabile. Era inoltre avviato il servizio telefonico, si era assunto un secondo portalettere e il comune era attraversato da una seconda linea tranviaria che collegava Meda a Monza. Il Tittoni, divenuto ministro degli esteri, utilizzò in diverse occasioni la sua residenza desiana come sede per incontri diplomatici d’alto livello con i rappresentanti delle varie potenze dell’epoca. Nel 1907 fu accolto il barone D’Aehrenthal, ministro degli esteri d’Austria. Lo stesso anno giunse a Desio una missione diplomatica dell’Impero d’Etiopia. L’anno successivo giunse il ministro russo Iswolsky143. Nel 1910 morì l’ingegner Gavazzi e l’anno successivo don Enrico Pirotta, sacerdote che aveva affiancato il prevosto nel progetto di ampliamento della chiesa e che da ultimo lasciò i suoi beni in un legato che, insieme a quello disposto dalla signora Righini contribuì alla realizzazione della Casa di Riposo. La città aveva contribuito alla Campagna di Libia con la morte di tre Desiani144 ed altrettanti erano precedentemente caduti in occasione della campagna d’Africa nella battaglia di Abba Garima145. Nel 1913 la Villa Tittoni fu sede del comando operativo in occasione delle grandi manovre; fu presente alle operazioni anche il re Vittorio Emanuele III. Nello stesso anno fu demolito l’antico oratorio di San Bartolomeo ed al suo posto, su disegno dell’ing. Sac. Spirito Chiappetta fu eretto in forme neogotiche l’attuale Santuario del Santo Crocifisso. Un netto arresto del processo di sviluppo economico e sociale si ebbe in corrispondenza con il primo conflitto mondiale che si tradusse per la popolazione nella perdita di numerose vite al fronte, nella trasformazione dell’industria locale ed in un netto peggioramento delle condizioni di vita. L'intervento italiano nel conflitto mondiale fu ricordato nella seduta del consiglio comunale del 25 maggio 1915 con i toni retorici ed enfatici dell'epoca. Malgrado la linea di combattimento si trovasse a centinaia di chilometri di distanza, gli effetti del conflitto si fecero sentire pesantemente sulla popolazione; donne e anziani sostituirono le forze giovanili che si stavano consumando nella "inutile strage". Villa Tittoni fu adibita ad ospedale militare e fu istituita una scuola per infermiere. Intanto le condizioni di vita peggioravano con il progressivo rincaro dei generi di prima necessità. Soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, la città aprì le sue porte a numerosi profughi provenienti dalle zone del Friuli e del Veneto invase dalle truppe nemiche. Neppure in quei giorni cessarono le antiche rivalità. Da una parte gli esponenti socialisti soffiavano sul fuoco mettendo in evidenza situazioni in cui il peso della guerra veniva a gravare sui ceti più umili, dall'altro perdurava la rivalità tra "gavazziani" e "tittoniani", conclusasi con la chiusura dell'ospedale nei locali della Villa Tittoni; in tal modo questi ultimi vennero privati di una evidente nota di 143 CAPPELLINI 1972, pp.451-455. Buzzi Edoardo, Casati Egidio e Riva Giuseppe. 145 Allievi Leonardo, Trabattoni Giovanni e Zappa Natale. 144 benemerenza. Non rimase indifferente alle critiche anche il clero locale, ed in particolar modo il Prevosto, denominato dagli oppositori "don" Rovagnati, accusato di essersi schierato apertamente in una posizione subalterna alle decisioni dei notabili cittadini. Quando giunse la notizia dell'armistizio, la città aveva pagato un altissimo tributo di sangue; oltre centocinquanta Desiani non fecero ritorno alle loro case. I reduci trovarono una situazione notevolmente peggiorata; la guerra aveva colpito anche coloro che erano rimasti lontani dal fronte. Per fare fronte alla difficile situazione riprese corpo l’associazionismo con la fondazione della Cooperativa Pro Desio, con il principale scopo di fornire alloggi a costo contenuto per le coppie di nuova formazione. Il caro vita aveva inoltre suggerito la creazione di spacci alimentari a prezzo contenuto. Le tensioni sociali si riaccesero nel primo dopoguerra e culminarono in una forte ondata di scioperi che videro l’intervento delle squadre fasciste per colpire le organizzazioni operaie locali. Nel 1922 Desio fu allietata dall’elevazione a Pontefice del suo concittadino Achille Ratti; anche in considerazione di questo fatto, nel 1929, all’antico borgo fu concesso il titolo di città. La prima iniziativa volta ad ottenere per Desio il titolo di Città risale al 1911. La domanda era supportata da una serie di constatazioni che sottolineavano come Desio negli ultimi decenni si fosse arricchita di numerosi servizi pubblici e costituisse un fiorente centro industriale che aveva conosciuto un consistente sviluppo demografico. La domanda, pare per difficoltà frapposte dalla Consulta Araldica, non ebbe seguito. La proposta fu rinnovata con una più ampia e dettagliata serie di argomentazioni nel luglio 1923. In questa seconda richiesta, indirizzata al Presidente del Consiglio, si evidenziava soprattutto il fatto che a Desio erano strettamente legate due altissime autorità: il Pontefice Pio XI ed il Presidente del Senato Tommaso Tittoni. L’annuncio dell’avvenuta concessione del titolo di Città fu comunicato ai Desiani il 25 gennaio 1924 da un manifesto che recava la firma del commissario prefettizio avv. Ugo Spadini. La cerimonia solenne della concessione dell’ambito riconoscimento, attribuito con decreto del 24 febbraio 1924, ebbe luogo nel primo pomeriggio del 24 marzo. In quell’occasione fu presentata la Regia Patente del 20 marzo che assegnava a Desio il rango di Città; dopo il discorso ufficiale del Commissario, le signore di Desio donarono al Comune il gonfalone sul quale campeggiava lo stemma civico finalmente sormontato dalla corona turrita. Il quadro economico e produttivo nel corso degli anni Trenta si andò arricchendo con la creazione di numerose botteghe artigiane, impianti industriali ed esercizi commerciali. Il dato più importante fu però l’intensificarsi dei rapporti ed il rapido avvicinamento alla realtà economica e produttiva di Milano. Occorre sottolineare che il regime fascista a Desio non assunse mai tinte particolarmente violente o fanatiche in quanto, anche durante il ventennio, il potere fu mantenuto da gruppi sociali di matrice liberale legati al vecchio sistema; pertanto gli elementi più “arrabbiati” non trovarono spazio di espressione. I momenti di scontro politico aperto furono sostanzialmente limitati al periodo 19191922 e generalmente furono opera di elementi venuti dall’esterno146. I rappresentanti del fascio desiano non assunsero mai atteggiamenti particolarmente aggressivi; tutt’al più il fascismo fornì l’occasione di emergere a gruppi della nascente borghesia cittadina, la quale trovò nell’adesione all’ideologia del regime il coronamento delle proprie ambizioni. Va inoltre ricordato che il fascismo non godette tra i Desiani di un consenso diffuso principalmente per due motivi. Dapprima occorre ricordare che la questione sociale con una maggioranza di lavoratori addetti nell’industria aveva spostato a sinistra l’elettorato, tanto che nelle elezioni politiche del 1919 e del 1921 aveva prevalso il Partito Socialista, subito seguito dalle correnti progressiste del Partito Popolare. Un secondo motivo è riconducibile alla presenza in città del prevosto Bandera, un sacerdote che mal tollerava le ambizioni totalitarie del fascismo e proprio per questo fatto era costantemente controllato dalla questura. L’elezione a Pontefice di Pio XI aveva inoltre reso la parrocchia di Desio una sorta di enclave papale che sganciava il mondo cattolico dal controllo delle autorità fasciste. Va ricordato che un Desiano d’adozione, Fabrizio Lantini, figlio del capostazione delle ferrovie, aveva percorso una rapida carriera nel partito fascista, divenendo ministro per le corporazioni dal giugno 1936 all’ottobre 1939. Non è cosa gradita ma altrettanto necessaria ricordare che le leggi razziali del 17 novembre 1938 recano anche la firma di questo nostro concittadino147. Durante il secondo conflitto mondiale la città, salvo alcune incursioni sulla linea ferroviaria, non fu teatro di operazioni belliche. Le condizioni di vita durante il conflitto furono molto simili a quelle del territorio circostante. Il numero di dispersi e caduti militari e civili fu la metà di quelli della prima guerra mondiale; questo fatto va ricondotto sia al minor numero di caduti militari italiani nel secondo conflitto, ma anche al fatto che la realtà economica del territorio si era profondamente trasformata, per cui molti Desiani erano impiegati in attività industriali ritenute di primaria importanza per lo sforzo bellico e quindi tenuti lontani dalla prima linea. Negli anni di guerra l’amministrazione comunale ebbe frequenti ricambi al vertice anche in seguito agli sconvolgimenti politici nazionali. Nell’estate-autunno del 1943 si avvicendarono due commissari prefettizi, fino alla nomina definitiva del console Adolfo Serbolonghi, rappresentante della neocostituita Repubblica Sociale Italiana. Il periodo 1943-1945, come per tutto il centro-nord, rappresentò il momento di maggiore difficoltà. Il progressivo avvicinamento del fronte aveva causato un netto peggioramento delle condizioni di vita. L’ampia documentazione del periodo testimonia la drammatica penuria di generi alimentari e combustibili unite all’incertezza della situazione politico – militare. Ad aggravare la situazione contribuì l’afflusso di elementi fascisti provenienti dalle zone occupate dagli anglo-americani e, soprattutto, la massa degli sfollati milanesi rimasti senza tetto in seguito alle incursioni aeree alleate. Primi tra tutti, gli edifici scolastici cessarono la loro attività e 146 Si vedano ad esempio lincendio della Cooperativa “Emancipazione” o gli scontri in occasione dell’inaugurazione della cappella dei caduti nel 1922. CAPPELLINI 1972, p.484. 147 Il documento legislativo porta le firme di : Vittorio Emanuele, Mussolini, Ciano, Solmi, Di Revel e Lantini. furono trasformati in ricoveri di fortuna per le famiglie fuggite da Milano; molte famiglie trovarono sistemazione in locali requisiti d’autorità a chi possedeva un appartamento di discrete dimensioni. Le autorità militari avevano provveduto a sequestrare le abitazioni più ampie per dislocarvi la truppa; Villa Giussani fu sede del comando tedesco e fu ridotta a casermaggio anche la Villa Longoni Severina di via Lampugnani. Nella sede di Villa Tittoni già prima dell’8 settembre era dislocato un reparto autieri e successivamente l’edificio divenne sede di reparti dell’aviazione repubblicana. Anche nel nostro territorio cominciavano ad emergere nella popolazione atteggiamenti di ostilità nei confronti dei tedeschi e dei loro alleati italiani. Ad un livello più semplice ma efficace si diffusero tra tutti gli strati sociali gesti di solidarietà, appoggio ed aiuto verso soldati sbandati, renitenti, disertori o prigionieri evasi dopo l’armistizio ed in cerca di una via di fuga verso il vicino confine elvetico. In alcuni casi l’ostilità si espresse in aperta ribellione ed iniziarono così ad operare squadre partigiane contro cui si scatenò la repressione, culminata in alcuni casi nella deportazione o nella fucilazione. Alla fine del conflitto giunsero a Desio gli Alleati rappresentati da reparti neozelandesi cui seguirono i Polacchi che si insediarono nella sede di Villa Tittoni. Nei giorni immediatamente seguenti la Liberazione ebbero luogo episodi di violenza contro veri o presunti esponenti fascisti, culminati nell’esecuzione ad opera di gruppi partigiani autonomi di elementi detenuti nelle locali carceri. Nei giorni seguenti il 25 aprile l’amministrazione locale era stata assunta dal Comitato di Liberazione che elesse alla guida del Comune un esponente di indiscussa autorità e moralità. Enrico Novati che fu il primo Sindaco della Liberazione148. Anche grazie all’impegno delle maestranze, l’apparato produttivo locale era passato indenne attraverso la bufera bellica e, una volta avuta la possibilità di avere nuovamente a disposizione combustibili e materie prime, la produzione riprese tornando in breve tempo ai livelli prebellici e superandoli ampiamente. Nel frattempo, anche grazie agli aiuti del piano Marshall, il livello di vita andava lentamente migliorando giungendo a condizioni soddisfacenti all’alla fine degli anni Quaranta. IL SECONDO DOPOGUERRA Per tutto il secolo era andato accelerando un processo di crescita demografica, dovuto in gran parte all’afflusso di numerosi immigrati. Già dai primi del Novecento Desio era diventata un punto di riferimento per gli abitanti dei centri minori dei dintorni che erano attratti dalle opportunità lavorative offerte dagli opifici cittadini. In seguito giunsero numerosi immigrati da aree allora meno sviluppate della regione ed in special modo dalla Lombardia orientale. Con gli anni Cinquanta il processo conobbe un incremento senza precedenti; migliaia di lavoratori, sfruttando le nuove opportunità di lavoro offerte dalla crescita economica, giunsero a Desio dal Veneto e 148 ACD, 14, 22. da molte zone del Meridione d’Italia. Il quadro produttivo del territorio affiancava così alla tradizionale industria tessile, numerose officine metallurgiche e grandi complessi come lo stabilimento Autobianchi. Nel volgere di un breve arco di anni, Desio conobbe una crescita demografica, ma soprattutto urbanistica e viaria senza precedenti. Insieme ad un netto miglioramento delle condizioni di vita, le rapide trasformazioni provocarono anche il dissolvimento delle strutture sociali che avevano retto per lunghissimo tempo la vita cittadina. La rete di rapporti costituita dai grandi cortili del centro si parcellizzò nell’anonimato dei grandi condomini o nella creazione di abitazioni unifamiliari. L’economia si trasformò velocemente e l’agricoltura che per secoli era stata la maggiore fonte di reddito del territorio cedette il passo a realtà nuove, basate essenzialmente sulla grande industria e lo stretto collegamento con i centri vicini, soprattutto Milano che attirava un sempre maggiore numero di pendolari. Le rapide trasformazioni provocarono anche il dissolvimento dei riferimenti culturali del passato. In breve tempo il dialetto è scomparso dalla pratica quotidiana; feste, valori, tradizioni del retaggio contadino hanno lasciato il posto a ritualità sempre più laiche e universali mediate attraverso i grandi mezzi di comunicazione di massa. A livello politico in occasione delle elezioni del 1948, la Democrazia Cristiana si presentò come il partito di maggioranza sullo scenario locale e nazionale. Le realtà politico-amministrativa del Comune si caratterizzò per una preponderanza dei due maggiori partiti di massa (D.C. e P.C.I.), malgrado l’amministrazione restasse saldamente nelle mani dell’elemento moderato. Negli anni del cosiddetto boom economico Desio ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti ed in special modo durante l’amministrazione guidata dal sindaco Lissoni fu realizzata una quantità impressionante di opere pubbliche cha hanno radicalmente trasformato l’immagine della città. Basti citare a titolo di esempio l’inaugurazione del nuovo palazzo comunale che ospitava oltre agli uffici comunali la Pretura e l’Ufficio Postale. Contemporaneamente erano attivati la caserma del Vigili del Fuoco, la Scuola Media Unificata e le Scuole Elementari di via Prati e via Agnesi. Questo quadro ha conosciuto un assestamento negli anni Settanta del Novecento, quando in seguito a nuove ondate migratorie si è avuto un ulteriore aumento di servizi ed abitazioni. A partire dagli anni Ottanta del secolo appena concluso il quadro socio economico di Desio ha subito una nuova ed inaspettata trasformazione. Le grandi aziende (Autobianchi, Gavazzi, Tilane) e molti opifici di dimensioni medio-piccole hanno chiuso i battenti. Desio, che solo un decennio prima risultava la città più industrializzata d’Italia, ha perso questa vocazione all’industria. Contemporaneamente si è riscontrata una forte crescita edilizia che ha richiamato sul territorio desiano numerose famiglie, soprattutto provenienti dalla grande città. Alla scomparsa dell’industria è corrisposto uno sviluppo solo parziale in altri settori, soprattutto nel terziario. Sono cresciute nuove realtà produttive legate al commercio, all’artigianato, al credito, alla produzione di servizi, senza però richiedere un numero di occupati pari a quello che impiegavano le grandi aziende. Desio oggi risulta una realtà in trasformazione che, da una parte cerca di recuperare gli elementi positivi del proprio passato, sia a livello culturale che produttivo, ma dall’altro non vede ancora la conclusione di questo processo, chiusa fra l’ipotesi di diventare un città dormitorio legata alla grande città, oppure un centro autonomo inserito nella realtà della Brianza. L’utilizzo razionale delle aree dismesse dall’industria si sta connotando come la chiave di volta per affrontare le scommesse sociali ed economiche di un futuro dai tratti incerti. L’ABITATO E LA SUA EVOLUZIONE URBANISTICA ALL’INIZIO Una veduta aerea dell’abitato attuale di Desio rivela immediatamente al suo centro, in corrispondenza della Piazza un primitivo insediamento in cui le abitazioni e le strade erano disposte formando un cerchio ben delineato. Questa forma tondeggiante rivela una struttura abitativa non ascrivibile ai Romani, ma sicuramente a popolazioni celtiche. Vista la struttura regolare, possiamo pensare ad un villaggio contornato da palizzata adiacente alla strada principale che corrispondeva all’asse delle attuali via Garibaldi e corso Italia. Il cuore di questo insediamento, corrispondente all’attuale piazzetta antistante la chiesa di Santa Maria, sembra essere costituito dall’acqua che qui dava origine a diversi pozzi utilizzati fino ad epoche recenti. IL "CASTRUM” Il sistema viario precedentemente descritto è quello risalente all'epoca romana, ma a fianco di questo tracciato sembra però possibile rilevarne un secondo. Guardando la tavoletta dell'Istituto Geografico Militare risalente alla fine del secolo scorso, è evidente che Desio sorgeva nell'angolo compreso tra la strada Milano-Nova-Carate e quella proveniente da Cinisello e Muggiò che proseguiva poi per Seregno lungo l'attuale corso Italia; proprio nel punto d'incontro dei due segmenti era collocata la località di San Pietro al Dosso [TAVOLA 3] La dislocazione "strategica" dell'abitato sembrerebbe sottolineata anche da una struttura urbana molto interessante. Se si osserva con attenzione la fisionomia del borgo come raffigurato nella mappa settecentesca [TAVOLA 4], si noterà sicuramente una disposizione delle vie che forma un quadrilatero oggi non più esistente. La struttura è molto regolare e non sembra affatto fortuita, vista la linearità e la coerenza urbanistica del progetto. Il perimetro del quadrilatero corrisponde alle attuali vie Portichetto, Case Nuove, Belingeri, piazza Martiri di Fossoli, Roma e Ghiacciaia; quest'ultima si ricongiungeva al punto di partenza con un tratto oggi compreso nel giardino della Casa Provincializia. La struttura interna, semplicissima, è data da due vie che si incontrano perpendicolarmente in prossimità di piazza Cavour. Tutto l'insieme farebbe pensare ad un centro fortificato; la linearità del percorso sembrerebbe rivelare la presenza di un centro abitato di piccole dimensioni, chiuso da un sistema difensivo, la cui eliminazione ha lasciato nella disposizione delle vie il ricordo dell'antico perimetro urbano. Forse è questo un successivo nucleo urbano costituitosi con l’arrivo dei Romani: piccolo, regolare ed articolato intorno ad uno spiazzo centrale munito di fossa per la raccolta delle acque. IL BORGO Sia consultando carte storiche, sia osservando direttamente la dislocazione di vie ed edifici, è possibile ancora oggi individuare come doveva presentarsi la forma del borgo alle soglie dell’età moderna [tavola 5]. Come si può ben vedere dalla riprese del satellite vediamo il quadrilatero “romano” semplicemente accostato all’antico “cerchio” celtico. Nuove situazioni, penso legate allo sviluppo sociale e demografico imposero una nuova sistemazione dell’abitato. Esattamente come successe nella Milano imperiale, l’abitato prese una forma trapezoidale. In tal modo si creò un borgo con una struttura che si conservò fino al XVIII secolo. Nella parte sinistra dell’abitato che sommava i precedenti insediamenti si concentrarono tutti i servizi e le attività artigianali, mentre in quella orientale, aperta, trovano sistemazione le abitazioni dei servi dando origine al quartiere della Vigana. Alcuni studi hanno permesso di stabilire che la struttura dell’abitato era stata disegnata in funzione del reticolo della centuriazione romana e in alcuni punti di snodo del reticolo territoriale dovettero essere posti dei cippi di riferimento. Questi punti in seguito furono trasformati dalla pietà popolare in località di natura religiosa con la costruzione di cappelle che un tempo costellavano la campagna. San Pietro al Dosso, il Foppone del camposanto, la Bria, la cappella di santa Eurosia risultano così occupare spazi non casuali ma legati all’antica ripartizione del territorio149. Percorsi di una certa importanza dovevano essere il prolungamento di via Pozzo Antico e la via che passava dalla cappella di santa Eurosia che proseguiva verso Nord lungo le attuali vie Milite Ignoto e Tarra che allora, come possiamo vedere dalla carta, [TAVOLA 6] erano congiunte e proseguivano rettilinee fino a congiungersi con la via Due Palme. Il fatto interessante è che al punto d'incrocio delle due strade si trova via Grigna, il luogo dove sono stati recuperati i resti di un antico sepolcreto, posto dunque in un luogo non casuale. LA VIGANA Il quartiere orientale, conosciuto da tutti come Dügana, è documentato nelle carte più antiche nella forma di Vigana. Come sappiamo dagli storici antichi, i Galli non risiedevano in centri fortificati, ma perlopiù in villaggi aperti denominati vici. È proprio nel termine vicus = luogo aperto che va ritrovata l'etimologia del toponimo Vigana: un nucleo abitativo aperto in contrapposizione con una parte fortificata = pagus, burgus, castrum. Forse in questo modo si spiegano finalmente le tensioni tra Piazza e Vigana che hanno caratterizzato per secoli la vita cittadina. Desio risulta essenzialmente la somma di due quartieri, quello fortificato dei padroni Celti, Romani, Longobardi o altri che fossero e quello dei servi abitanti sulle proprietà comuni dei possessores loci, denominate appunto Vigana, cioè "beni comuni". Due gruppi in rivalità, due chiese spesso in aperto conflitto tramite le locali confraternite. Le tensioni tra abitanti della Piazza e della Vigana nascerebbero dunque da un'antica divisione urbanistica e sociale degli abitanti di Desio. IL MEDIOEVO La funzione di controllo e difesa rivestita dalla pieve medioevale, contribuisce a formare un'immagine indicativa della nostra città. Anche le fonti relative alla 149 BRIOSCHI 1995, pp.11ss. battaglia di Desio ci sostengono in questa opinione: Desio nel XIII secolo era circondata da un rudimentale sistema difensivo150. La palizzata che cingeva le abitazioni era preceduta da una trincea e la terra di riporto ottenuta dallo scavo era posta lungo un lato, creando così dapprima un avvallamento (vallum) e successivamente un rialzo (agger), utile ad ostacolare l'avvicinarsi di truppe ostili ed a bloccare cariche di cavalleria. Non bisogna però pensare che il sistema di fortificazione fosse molto sofisticato; probabilmente consisteva in una palizzata, rinforzata alla base da un ammasso di pietre. A detta di alcune fonti che ricostruiscono la dinamica della battaglia, la difesa era assicurata da un camminamento che correva lungo il perimetro della fortificazione e da altane angolari, utili per la difesa e l'osservazione151. Nella cinta si aprivano quattro accessi principali o porte. La Porta Domasca di Sopra, a nord, sorgeva nel tratto finale di corso Italia, all'altezza di via Roggia Traversi. Sul versante opposto, quello sud, l'accesso era garantito dalla Porta Domasca di Sotto, posta in prossimità dello slargo tuttora denominato "Foppa". Il lato ovest risultava molto più breve, in quanto la porta verosimilmente denominata "Bovisasca" si trovava presso lo slargo iniziale di via Matteotti. L'accesso orientale era invece garantito da una porta collocata in piazza Cavour, località denominata nei documenti quattrocenteschi "Ponte delle Assi" o "Pissina Morniga". Molto probabilmente nella palizzata dovevano aprirsi due aperture secondarie (pusterle): allo sbocco di via Pozzo Antico, in direzione della cappelletta di santa Liberata, ed allo sbocco della via Portichetto che originariamente si congiungeva con vicolo Ghiacciaia. É inutile ricordare che di queste strutture (mura e porte) non è rimasta alcuna traccia; la loro ubicazione è ricavabile solo in via ipotetica dall'analisi della disposizione delle vie o dai confini delle proprietà desumibili da mappe antiche. Il reticolo viario interno al borgo era naturalmente molto semplice. Le quattro vie che si diramavano dalle porte (Italia, Matteotti, Garibaldi, Pio XI) si incrociavano sulla piazza principale. Solo poche altre vie collegavano le zone interne del borgo (XXIV maggio, Pozzo Antico, Mercato, Portichetto) oppure seguivano il perimetro della cinta (Belingeri, Case Nuove, Olmetto, Forno Vecchio). L'asse viario principale rimaneva quello costituito dalle vie Italia-Garibaldi che metteva in comunicazione con Milano. Molto probabilmente in epoche successive fu realizzata la via che ancora nel nostro secolo portava il nome di Circonvallazione (=via Grandi). Mancano indicazioni sul tracciato preciso della via Milano, ma a quanto sembra doveva esistere anche in secoli assai lontani, infatti, come abbiamo visto, nella cappellina dedicata alla Madonna del Pilastrello si deve ravvisare il ricordo di una colonna miliare romana. Dalle arterie principali si diramava una serie di percorsi secondari che mettevano in comunicazione con i centri vicini. Questi tracciati oggi sono diventate ampie strade asfaltate o si sono ridotti al rango di sentieri campestri. Non tutti gli abitanti del borgo vivevano all'interno della cinta; già i documenti più antichi attestano la presenza di insediamenti in zone periferiche. A nord un primo 150 151 La struttura dell’abitato in epoca medioevale è stata analizzata da: BRIOSCHI 1991. Annales Placentini, pp.564s centro era costituito dalla chiesa di san Pietro al Dosso e dall'annesso piccolo convento dei frati Serviti posto sulla via Due Palme, in prossimità della confluenza con corso Italia. Il nucleo extraurbano più importante risultava però essere la contrada Vigana = Dogana, cresciuta attorno alla chiesa di san Bartolomeo e centro della popolazione dedita ai lavori rurali. Poco discosto dalla Vigana si insediarono nel XIII secolo i frati Minori Conventuali di san Francesco che costruirono un piccolo convento, eretto, secondo la tradizione, dallo stesso sant'Antonio da Padova. La testimonianza della presenza di abitazioni fuori dalle mura è inoltre testimoniata dal toponimo "Borghetto" che nel Medioevo indicava appunto tali tipi di insediamenti. Più distante si era insediata la comunità di san Giorgio, stretta intorno all'antico ospedale. A questo proposito vorrei osservare che voler derivare il toponimo "Carendone" da "cardo" e da qui dedurre un insediamento romano come qualcuno ha proposto è assolutamente infondato ed arbitrario. Sembrerebbe più verosimile un'etimologia vicina a "strada dei carri" o "carrabile". La toponomastica cittadina per il periodo anteriore al XIX secolo è molto ridotta; oltre ai nomi di alcune porte troviamo in due pergamene quattrocentesche i termini Vigana e Foppa, rimasti inalterati fino ai giorni nostri. Documenti più antichi attestano invece l’esistenza della contrada detta comunemente Büsasca. Più complessa risulta la toponomastica rurale: molte delle località ricordate nei contratti agricoli non possono essere localizzate con sicurezza: Scernasca, Vignate, Prato Casale, Gazinago, Brugaria, Ronchetti, Noce di San Giovanni, Roncore. LA FINE DEL BORGO Quando sia stata eliminata la palizzata, passando da un borgo chiuso all'attuale struttura aperta, non ci è dato sapere con sicurezza. Molto probabilmente questo importante cambiamento va collegato ad un altro fatto parimenti radicale se proporzionato all'epoca: la costruzione della Roggia. Questo modesto canale fu realizzato alla fine del XIV secolo da Bernabò Visconti per favorire territori soggetti a famiglie sue alleate, ma l'acqua della Roggia permise per secoli ai contadini di irrigare i campi sotto lo stretto controllo dei proprietari. Il corso d'acqua in questione abbracciava anche il quartiere periferico della Vigana, rendendo superflua la vecchia cinta. Molto probabilmente per lo scavo fu utilizzato il tratto Nord della trincea e pertanto le altre parti furono interrate, trasformandosi in alcuni casi in vie (San Pietro, Laghetto). Questa nuova organizzazione del territorio è ancora più interessante perché documenta l'espandersi del territorio demaniale. Per tutto il Trecento si assiste al progressivo allargarsi della grande proprietà terriera, specialmente quella ecclesiastica, e del demanio che trasformò il territorio in riserva di caccia. Questo fatto comportò l'espandersi delle aree incolte o boschive, forse anche per la contrazione della popolazione in seguito alle epidemie del Trecento. L'istituzione della riserva ducale di caccia condizionò pesantemente l'economia desiana, costringendo i contadini, come testimonia una grida quattrocentesca, a cacciare di frodo gli uccelli per sfamarsi durante i mesi invernali. Da questa situazione per molti versi contraddittoria si origineranno quelle dinamiche che porteranno ad un lento ma progressivo sviluppo nel secolo seguente. LA ROGGIA DI DESIO Note storiche152 CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE L'immagine di un corso d'acqua che fluisce attraverso la campagna evoca generalmente idee di pace e libertà; se questo è vero in generale, non si può dire altrettanto nel nostro caso. Per quasi seicento anni le nostre campagne sono state attraversate da un canale artificiale, la Roggia, la cui importanza economica e giuridica contrastava violentemente con la sua effettiva entità. Durante questi sei secoli la Roggia di Desio, forse, più che di acque, è stata una fonte inesauribile di controversie giudiziarie lunghissime. Anche se a prima vista può sembrare impossibile, la copiosa mole di documenti che la riguardano è esclusivamente di natura giuridica e forse le sue acque più che arricchire i raccolti, hanno contribuito ad impinguare gli onorari dei tanti avvocati, notai e tecnici che si sono occupati di questa intricata vicenda. In queste poche pagine cercheremo di comprendere le vicende che portarono al suo scavo; l'utilizzo e gli abusi che se ne fecero ed infine il suo progressivo declino fino alla definitiva scomparsa nel nostro secolo. Invito solo il paziente lettore a cogliere in questo marasma di carte bollate lo sforzo costante dei Desiani che furono, di contrastare gli egoistici interessi dei detentori di questa risorsa, per donare all'acqua la sua vera essenza di bene naturale ed usufruibile da tutti. IL CORSO 152 Il capitolo riprende BRIOSCHI 1994. Come si è potuto stabilire, oltre all'utilizzo, il corso stesso della Roggia subì profonde trasformazioni nel tempo. A partire dal secolo scorso la Roggia era rifornita di acque da una ventina di sorgenti. Un primo gruppo era composto dalle fonti denominate Acqua Negra, Prada, Segrada, Bassone, Fontanile di Novedano e Fontanile di Casnate, che unitamente ad altre secondarie, davano vita ad un primo tronco detto dell'Acqua Negra. Invece le sorgenti Luisaga, Fontanone e Fontana Rossa creavano il ramo detto Luisaga. Questi due tronconi iniziali poi confluivano creando la Roggia propriamente detta. Per aumentare la portata del canale nei secoli XVII e XVIII furono creati degli incastri in modo che la Roggia confluisse per ben otto volte nel fiume Seveso, per poi uscirne arricchita di acque altrettante volte. Dall'ultima uscita, quella di Lentate, le acque della Roggia si staccavano definitivamente dal Seveso e fluivano lentamente fino alla periferia meridionale di Desio dove irrigavano una vasta area denominata Prati, il cui nome è chiaro indice dell'utilizzo del suolo a foraggio. Originariamente la Roggia, oltre alle venti sorgenti, utilizzava un'altra fonte di maggiori dimensioni: il lago di Montorfano; le acque del lago, fuoriuscenti da un'apposita apertura, scendevano alimentando il cavo della fontana Segrada e successivamente quello dell'Acqua Negra. Tale fonte di approvvigionamento venne meno in quanto i conti Mandelli, proprietari del lago, si rifiutavano di fornire gratis le loro acque agli utenti della Roggia. Malgrado una convenzione stipulata in proposito nel 1704 tra i signori del luogo ed il conte Cusani, l'erogazione terminò già nei primi anni del XVIII secolo ed i vari fontanili rimasero le uniche sorgenti della Roggia. A riprova di tale origine, l'ingegner Ferrari ricorda che nei primi dell'Ottocento furono asportati due stivi collocati sui bordi del lago, in prossimità di una cascina detta appunto dell' Incastro. La Roggia, dotata di un corso più precipitoso nel tratto iniziale, inoltratasi nel territorio, rallentava gradatamente la sua corsa anche in seguito al fatto che l'immissione nelle acque del Seveso provocava lo spostamento di ghiaia e materiale vario, tanto da rendere più lento il suo corso. Tale fatto fu indicato come uno dei maggiori inconvenienti ad un razionale utilizzo delle acque, che in tal modo perdevano velocità e potenza per azionare i numerosi mulini esistenti lungo il suo corso. La larghezza dell'alveo era molto irregolare; variava da due metri e mezzo nel tratto iniziale ad un metro nel territorio di Cesano. La lunghezza totale, dopo gli interventi del secolo scorso, era di ventiquattro miglia, pari a circa quarantadue chilometri. LE ORIGINI I diversi ingegneri che effettuarono relazioni tecniche sulla Roggia nel corso dei secoli XVIII e XIX dedicarono il primo capitolo della loro opera alla storia del canale. Citando ampiamente l'uno dall'altro, tutti i documenti fanno risalire la costruzione della Roggia all'opera di Bernabò Visconti, che avrebbe portato a termine i lavori nel 1383. Questa informazione, suffragata anche dal grande storico milanese Giorgio Giulini, non indica il motivo per cui fu realizzata quest'opera che, considerata l'epoca, dovette costituire un indubbio impegno economico e tecnico. Nelle relazioni dei periti la motivazione dell'impresa, rifacendosi ad un documento del 1642, viene ricondotta al desiderio di allietare i soggiorni desiani del Duca e della corte. La presenza di Bernabò a Desio è storicamente documentata, ma fissare con esattezza l'ubicazione della sua residenza è ardua impresa. In passato si sono voluti erroneamente identificare i resti del castello visconteo in alcuni falsi ruderi posti nell'attuale parco comunale, ma in qualsiasi caso, la residenza doveva trovarsi in un punto compreso tra il parco e la piazza Martiri di Fossoli. L'ingegner Ferrari nella relazione del 1811, lascia addirittura intendere che la piazza in questione fosse originariamente uno specchio d'acqua, rifornito da una fossa ricordata dal toponimo via Laghetto. Esigenze estetiche o ricreative ebbero certamente il loro peso, ma la vera natura di questo corso d'acqua mi sembra debba essere cercata altrove. Il fatto più importante è che questo canale fin dalle origini ebbe una natura ambigua; realizzato dall’autorità pubblica, sicuramente con l'apporto economico e materiale dei contribuenti, fu sempre sfruttato dagli utenti come un bene privato del quale furono sempre gelosamente conservati i diritti. Già dai primi documenti che risalgono agli inizi del Quattrocento, emergono i poteri detenuti dai signori locali sull'utilizzo delle acque per irrigare i propri fondi e, naturalmente, impedire ad altri di fare altrettanto. Tra coloro che ebbero maggiori vantaggi dalla costruzione della Roggia ci furono i Porro, feudatari di Lentate, località in cui la Roggia si distaccava definitivamente dal fiume Seveso. Sappiamo che nel 1408 Antonio Porro utilizzava ampiamente le acque della Roggia per irrigare i suoi prati; lo scavo sembra proprio aver favorito direttamente questa potente famiglia e, visti gli strettissimi rapporti tra i Porro e la corte viscontea, un atto deliberatamente pensato in loro favore appare un dato verosimile. Se si considera un ulteriore particolare, il quadro della vicenda apparirà ancora più chiaro: la favorita del duca, Donnetta, era appunto una Porro ed un gesto di estrema benevolenza nei loro confronti appare alquanto naturale. Controllando le lettere ducali date da Desio, si può notare che Bernabò si portava frequentemente nella nostra città, ma per periodi brevissimi, perlopiù di una giornata, in quanto il giorno precedente e quello successivo il Duca risultava in altri luoghi. Una spiegazione, forse semplice, ma verosimile è che Desio possa essere stata la dimora abituale di Donnetta. In tal modo si spiegherebbero le frequenti e rapide visite di Bernabò e pertanto la Roggia, oltre ad abbellire la residenza di Donnetta, ebbe a favorire enormemente la sua famiglia, rendendo irrigui molti fondi di loro proprietà. Ravvisare lo stretto legame tra Bernabò e Desio in una figura femminile, potrebbe inoltre spiegare il fatto che i successivi duchi di Milano non ebbero mai a soggiornare nella nostra città. Certamente per una semplice coincidenza questo strano legame tra i duchi di Milano, le loro favorite e Desio ebbe a ripetersi nel 1476, quando Galeazzo Maria Sforza fece dono alla contessa Lucia Mariani delle pievi di Desio e Mariano, ma nel 1386 Gian Galeazzo Visconti donò alla moglie Caterina il castello di Carimate ed i relativi diritti sulla Roggia. Prescindendo da quanto detto, lo scavo della Roggia deve essere considerato nel contesto più ampio dell'economia tardo trecentesca. Il forte calo demografico dovuto alle ricorrenti epidemie e la massiccia richiesta di manufatti lanieri spiegano l'esigenza di sostituire le colture cerealicole tradizionali (frumento, segale, miglio), idonee per suoli asciutti come il nostro, con la produzione di foraggio; infatti i documenti concordano nel riferire che le acque della Roggia erano lasciate fluire a rotazione nei campi per favorire la crescita dell'erba destinata all'alimentazione animale. Ovviamente, data la limitatezza dell'opera, questa iniziativa non mutò radicalmente i sistemi produttivi tradizionali, ma contribuì a variegare il quadro economico della zona, permettendo l'allevamento di alcuni capi di bestiame. Bisogna inoltre sottolineare che i vari signori del luogo, in seguito allo scavo della Roggia, investirono i loro capitali nella costruzione di numerosi mulini. Come in altri luoghi, la macinatura privata delle granaglie dovette essere vietata, obbligando in tal modo i contadini a servirsi del mulino signorile ed a pagare tale prestazione con un'ulteriore quota del raccolto. Inutile aggiungere che in un'epoca in cui i feudatari esercitavano sul territorio diritti e prerogative di natura pubblica, il controllo delle operazioni di molitura forniva un sicuro strumento per verificare il reddito dei contribuenti e di conseguenza l’entità del loro gettito fiscale. IN CLIMA DI PRIVATIZZAZIONI Il duca di Milano Giovanni Maria Visconti nella costante ricerca di liquidi per sostenere le continue spese, ricorse alla pratica di alienare beni pubblici a privati. Il 22 aprile 1409 la Roggia di Desio e il fiume Seveso furono venduti a Giovanni Fossano; la Roggia cessava così di essere un corso d'acqua almeno formalmente pubblico per rientrare nella sfera del diritto privato. La cessione fu poi confermata ai fratelli Fossano, eredi di Giovanni, da parte di Filippo Maria Visconti nel maggio 1416. Nel 1429 avviene un nuovo e significativo passaggio: la Roggia passò ai conti Rho che la conservarono fino al 1638; questa famiglia, desiderosa di sfruttare appieno il possesso, intentò una copiosa serie di cause per preservare ed allargare i diritti goduti. Nel 1429 Francesco Rho fece sancire dalla magistratura i suoi diritti di allargare e spurgare l'alveo e ribadì di essere l'unico utente autorizzato a porre in opera chiuse od incastri di qualsiasi genere. L'ossessivo ripetersi nei documenti di espressioni del tipo: Riportare la Roggia allo stato in cui trovavasi al tempo in cui fu costruita da Bernabò Visconti denota che in quei decenni erano state realizzate numerose opere abusive da parte dei possessori dei fondi affacciantisi sulla Roggia. I medesimi diritti furono ribaditi nel 1442 all'erede, il conte Paolo Rho, che intentò numerose cause per l'uso delle acque anche contro altri signori come i Porro, i Visconti o l'abbazia di Vertemate. Non conosciamo con precisione i dettagli, ma il conte Paolo aveva l'intenzione di trasformare radicalmente il corso della Roggia per utilizzarla in modo più sistematico per i propri fini. Il progetto prevedeva molto verosimilmente la costruzione di diversi mulini che avrebbero ridotto il volume d'acqua fluente nell'ultima parte del canale. I comuni di Meda, Cesano, Seregno, Baruccana, Desio, Lissone, Muggiò e Nova, rappresentati dai rispettivi Sindaci, inviarono una supplica al duca Filippo Maria Visconti, invitandolo a voler far desistere il conte Paolo dal progetto di trasformazione della Roggia. Le motivazioni addotte erano quanto mai semplici ed efficaci: I detti supplicanti hanno ora inteso che dal detto Paolo si costruiscono alcuni mulini sulla detta Roggia, la quale se non scorresse più sono diecimila pertiche e più di terra le quali rimangono incolte, che non possono essere lavorate a causa dell’aridità e della siccità che domina, né'le persone possono vivere a causa di ciò; inoltre i Vostri frutti se non si lavorano e non si può produrre fieno per dare alle bestie et le entrate dei dazi della dominazione Vostra diminuiscono ogni giorno se non vi sono biade e grani. Nel novembre del 1441 si giunse così ad una convenzione tra il conte, i comuni e la Camera Ducale circa l'utilizzo della Roggia. Inutile dire che il Rho, avvalendosi della propria posizione, riuscì a vendere la rinuncia al suo progetto con accordi e condizioni che ne sancivano ulteriormente il prestigio e l'autorità. In base al principio dell'immunità attiva, Paolo Rho, dietro il versamento di sessantaquattro lire imperiali, ottenne l'esenzione fiscale completa per tutto il fieno prodotto con le acque della Roggia e per tutti i cereali macinati nei mulini posti lungo il suo corso. Naturalmente questo diritto ceduto dallo stato veniva esercitato dal Rho che poteva imporre in proprio a tutti i contadini il pagamento di tali imposte. L'esenzione non riguardava solo il grano macinato, ma anche le persone fisiche dei mugnai, rendendo pertanto la costruzione di nuovi mulini un lucroso investimento, libero da carichi fiscali di alcuna sorta. In riferimento ad una precedente sentenza del 1436 fu sancito il divieto assoluto di prelevare acqua dalla Roggia senza il consenso del Rho ed un conseguente esborso. Risulta ancora più scandaloso il fatto che lo stato si limitò a tutelare i propri interessi, consentendo il libero prelievo di acque alla comunità di Carimate perché appartenente alla camera Ducale, cioè al demanio; in tal modo l'amministrazione pubblica lasciò mano libera al Rho, riservandosi una discreta quota di profitti. Per il controllo degli accordi presi fu istituita la figura del camparo, un pubblico ufficiale, stipendiato dal Rho, che aveva l'incarico di individuare eventuali abusi e denunciarli all’autorità competente. Le sue relazioni dovevano essere corredate dalla deposizione di un testimone che non fosse un camparo; le multe eventualmente inflitte andavano divise a metà tra il Rho e la Camera Ducale. Un esempio ulteriore di asservimento del pubblico al privato è la questione dei ponti. Le strade, uno dei maggiori servizi collettivi, vennero considerate unicamente degli inconvenienti che attraversavano la proprietà della Roggia, pertanto la costruzione e la manutenzione di tutti i ponti sulla Roggia erano a totale carico dei comuni interessati. Ancora nel 1476 le comunità di Desio, Seregno e Cesano inoltrarono una supplica per ottenere di poter prelevare acqua dalla Roggia, ma non ebbero risposta positiva. Chiuso nella difesa dei propri privilegi, il consorzio degli utenti non si fermò neppure di fronte al clero; nel 1577 intentò contro i canonici l'ennesimo processo per prelievo abusivo di acque. Nel corso di numerose deposizioni, i canonici cercarono di dimostrare che fin dagli inizi del secolo l'accesso alle acque della Roggia era libero; non conosciamo l'esito della vicenda giudiziaria, anche se sembrerebbe maggiormente probabile una sentenza sfavorevole ai membri della collegiata. Nel 1635 fu pubblicato un editto che fa ben comprendere a quale punto fosse giunto il desiderio ostinato di voler preservare privilegi e immunità. Il documento in questione stabiliva le pene a cui erano soggetti coloro che avessero infranto le norme relative all'utilizzo delle acque della Roggia. Per il prelievo abusivo era prevista una pena di trecento scudi, da destinarsi per due terzi al fisco e per la restante parte all'accusatore. Qualora il contravventore avesse usato la forza, erano previsti tre anni di detenzione sulle galere. Per danni, verosimilmente frane dovute al passaggio dei carri, era stabilita un'ammenda di dieci scudi per le persone e cinque per gli animali. Questi provvedimenti penali rappresentarono un notevole deterioramento del diritto, perché non era più ritenuta necessaria la deposizione di un testimone, in quanto faceva testo la sola deposizione del camparo; possiamo certo immaginare quali abusi poté produrre una modifica di questo genere. Per eventuali offese al camparo nell'esercizio delle sue funzioni era prevista un'ammenda di cinquanta scudi o tre tratti di corda; quest'ultima indicazione ci mostra inequivocabilmente quanto spesso le persone coinvolte in discussioni con i campari fossero poveri agricoltori privi dei mezzi per pagare multe. Qualora i contravventori fossero stati inabili o donne, era previsto l'esilio o la fustigazione. CONFISCHE E PRIVATIZZAZIONI Il 23 agosto 1638 moriva senza eredi diretti il conte Alessandro Rho. Come prescritto dalla normativa vigente, subentrò l’autorità pubblica che incamerò tutti i beni del defunto; in tal modo la Roggia dopo più di duecento anni tornava ad essere un bene pubblico. Questo fatto non migliorò affatto la situazione; per prima cosa vennero rinnovate con un editto a stampa tutte le sanzioni pecuniarie e corporali di cui si è detto. Approfittando anche della mancanza di un controllo efficace in loco, i vari possidenti si legarono in una sorta di corporazione, gli Utenti, che si sostituì ai Rho, esercitandone i diritti con la medesima spietatezza. Nel gennaio 1639 il comune di Desio chiese di poter liberamente prelevare acqua dalla Roggia, ma per tutta risposta nell'aprile dello stesso anno il Magistrato Camerale invitò l'ingegner Cesare Osio ad ispezionare la Roggia. L'obiettivo dell'Amministrazione era quello di ripristinare la situazione precedente, eliminando tutti gli abusi effettuati durante il periodo in cui era mancato un controllo efficace. Fu così effettuata una prima ispezione che mise in luce le migliorie più urgenti, stimate in 2.300 lire, regolarmente appaltate e dedotte dall'eredità. Ovviamente lo scopo era quello di presentare un prodotto da collocare sul mercato che potesse fruttare in modo adeguato. Per regolarizzare la situazione ed estirpare gli abusi, fu indetto un convocato di tutti gli utenti della Roggia, dove gli interessati avrebbero dovuto produrre la documentazione relativa ai loro diritti; per tutti i contumaci fu ordinata l'immediata otturazione delle prese di acqua da loro utilizzate. Nel 1642 la vertenza fu conclusa in modo tale da sembrare definitivo. la Roggia ducale fu dichiarata solennemente de regalibus e pertanto appartenente al fisco che ne sottopose l'amministrazione al magistrato ordinario nella persona del questore Dugnani, coadiuvato dall'ingegner Osio. Furono riconosciuti i diritti vantati da molti possidenti; tra quelli del tratto superiore (dalle fonti a Lentate) risultarono: il barone Porta, Plinio Odescalchi, i fratelli Raimondi, il prevosto di Fino, il Collegio Gallio, Francesco Camucio, Ottaviano e consorti Visconti di Carimate, gli Odescalchi, il rev. Porro ed i Padri Predicatori di san Pietro Martire. Come utenti inferiori vennero invece riconosciuti: Pietro Antonio Porro, i fratelli Arese, il monastero di san Francesco di Desio, Giulio Fererio, Pietro Antonio Marchesini cui successe l'Ospedale Maggiore di Milano, i fratelli Confalonieri ed infine il conte Carlo Borromeo. Furono annullati i presunti diritti dell'Ospedale di Como e si stabilì che le acque della fontana dell'Acqua Negra facevano parte integrante della Roggia e pertanto cadevano i diritti vantati su di essa dai Padri di san Carpoforo di Como. Tutti gli utenti furono chiamati a contribuire proporzionalmente alle spese di mantenimento, mentre ogni mulino avrebbe dovuto fornire dodici giornate di manovale. L'anno seguente gli Utenti nominarono Giulio Gaggiano camparo per il tratto superiore e per quello inferiore Pietro Consonni, al quale subentrò nel 1676 Giovanni Battista Tagliabò di Desio. Inizialmente i due campari erano stipendiati direttamente dalla Camera Ducale, ma solo dopo pochi anni, in seguito all'alienazione, tale onere fu a carico degli utenti L'intervento pubblico sortì l'effetto di dividere i possidenti in due gruppi perennemente in contrasto tra loro; in particolare gli utenti inferiori denunciavano abusi da parte dei proprietari affacciantisi sul tratto superiore della Roggia che a loro dire, con un uso immoderato delle acque, privavano soprattutto Cesano e Desio di una risorsa così importante. I contrasti degenerarono fino all'arresto del mugnaio del Collegio Gallio e di Stefano Ballino, mugnaio del barone Porta. Venne inoltre regolamentato l'utilizzo della chiusa di Carimate, in quanto gli uomini del borgo avevano preso alla lettera gli accordi del 1441 che li autorizzavano a prelevare liberamente le acque. Nel 1651 la questione ebbe una svolta decisiva: la Regia Camera mise all'incanto i beni dell'eredità Rho. È da notare che il bando dell'asta fu pubblicato dodici anni prima; questo lungo intervallo di tempo è forse spiegabile con il tentativo dell'amministrazione centrale di offrire all'eventuale acquirente un bene razionalizzato ed economicamente appetibile. La gara fu vinta da Hermes Visconti che acquistò per la cifra di 75.000 lire la massa dei beni Rho, comprendente 1.050 pertiche di terra, la casa da nobile, due mulini e le acque della Roggia di cui però il tribunale si riservò l'amministrazione. Entro l'anno tutti i beni descritti passarono in proprietà al marchese Ferdinando Cusani. PUBBLICO O PRIVATO ? Con l'amministrazione Cusani la vicenda si complicò ulteriormente, creando una situazione estremamente ambigua, destinata poi a perpetuarsi. La Roggia era un bene privato, ma formalmente soggetto all'amministrazione dello stato; in tal modo i proprietari tendevano a sfruttare le acque e ad ampliare i loro diritti, mentre d'altro canto riversavano sull'amministrazione centrale una marea tale di problemi e controversie da rendere letteralmente impossibile la gestione. Su richiesta degli utenti inferiori, nel 1680 fu effettuata una nuova relazione tecnica condotta dal conte di Vailate e dall'ingegnere camerale Andrea Bigatti. Naturalmente l'ispezione portò alla scoperta di numerose bocche abusive realizzate con tutti i mezzi, compresi canaletti sospesi in legno. Le disposizioni che furono emanate rimasero praticamente lettera morta; tutti gli utenti accamparono scusanti e, come il prevosto di Fino, negarono di aver introdotto novità e fecero riferimento a consuetudini precedenti per giustificare il loro operato. Insoddisfatti dei risultati ottenuti, gli utenti inferiori, Cusani e Borromeo in testa, organizzarono a proprie spese una nuova ispezione condotta dall'ingegnere Agostino Regaglia nel 1687. L'operazione fu poi ripetuta nel maggio 1700 dall'ingegner Robecchi che lasciò un voluminoso manoscritto con i risultati del rilevamento. Forti della documentazione scritta, gli utenti inferiori denunciarono a più riprese la riapertura di incastri abusivi già precedentemente otturati. In base ai dati raccolti si poté stabilire che originariamente la Roggia defluiva dal Lago di Montorfano; in tal modo si aprì una cavillosa vertenza con i conti Mandelli, proprietari dello specchio lacustre per ottenere la riapertura delle chiuse otturate da tempo. Malgrado una prima sentenza sfavorevole che lo obbligò a riaprire le bocche del lago ed una convenzione con il Cusani, il conte Mandelli riuscì in breve tempo a riportare la situazione allo stato precedente. Con una sentenza degna di Pilato, il 13 luglio 1707 il tribunale dichiarò che tutti i diritti goduti dagli utenti inferiori prima dell'alienazione dei beni Rho erano decaduti, pertanto la Roggia avrebbe dovuto continuare ad essere alimentata solo dalle sorgenti e non dalle acque del lago. Il giudice sanzionò un dato di fatto; il fisco non aveva più alcun interesse diretto nella vicenda della Roggia, quindi la sua gestione fu delegata agli utenti riuniti in consorzio, salvo restando l'impegno assunto dal Cusani al momento dell'acquisto di fornire acqua a tutti. Senza eccessivi strappi, gli utenti si trovarono così a disporre liberamente di un bene che, almeno formalmente, era gestito dal demanio, come sancito in una sentenza di soli due anni prima. Agli inizi del XVIII secolo il consorzio tra i proprietari della Roggia comprendeva ventidue membri: Utenti superiori: eredi di Gio Gabellerio detto il Todesco; eredi di Zanino Volta, eredi del barone Francesco Porta; eredi di Plinio Odescalchi; eredi di Gio Pietro Suano; eredi di Carlo Raimondi; il Collegio Gallio; l'abbazia di Vertemate; le monache di Cantù; i Visconti di Carimate; Anna Gagia; i Padri Gesuiti di Como; le monache di Meda; i consorti Porro di Lentate ed i frati Domenicani di san Pietro Martire. Utenti inferiori: il conte Benedetto Arese; i Francescani di Desio; il marchese Del Pozzo successo a Giulio Ferrario; il senatore conte Bolagnos successo all'Ospedale Maggiore di Milano, il conte Carlo Borromeo successo ai Confalonieri, Giuseppe e fratelli del conte, Luigi Cusani. A seguto di acquisti ed accorpamenti, il numero degli utenti nel corso del tempo si restrinse radicalmente, tanto che agli inizi del XVIII secolo gli unici proprietari erano l'abbazia di Vertemate ed il marchese Cusani, padrone quasi assoluto della Roggia e delle sue acque. IL MONOPOLIO A partire dal Settecento la Roggia venne dunque gestita in regime di monopolio, prima dai Cusani, a partire dal 1817 dai Traversi e dai Tittoni. Siamo informati che nel 1712 il camparo Giuseppe Donati percepiva per le sue prestazioni compensi così ripartiti: Salario 200 lire 4 brente di vino 40 6 moggia mistura 72 Casa, orto e legna 50 10 pertiche terreno 80 A tale cifra andavano poi aggiunte le indennità per le missioni effettuate. Ridottosi il numero degli utenti, la Roggia divenne agli occhi dei suoi ultimi proprietari un segno distintivo di potenza e prestigio; le sue acque potevano essere concesse in precario a chiunque, ma nessuno avrebbe potuto avanzare diritti su di esse. Nel 1727 fu concesso alla fabbriceria di estrarre l'acqua occorrente per il cantiere della nuova basilica e notabili locali ottennero il diritto di prelevare acqua per annaffiare orti e giardini, ma l'Utenza fu ferrea nei confronti di chi attingeva indebitamente per irrigare un campicello. Caso emblematico fu quello del mugnaio Cazzaniga che per irrigare un suo fondo aprì una presa abusiva; scoperto dal camparo Francesco Donati, fu condotto davanti al Pretore che lo condannò ad una multa di cinquanta scudi. Non essendo recidivo e soprattutto privo dei mezzi per pagare la somma, il Cazzaniga chiese di essere assolto dal pagamento della penale, sostenuto dalla petizione del parroco Terzoli e dal conte Arese. Non sappiamo come finì la vicenda, ma essa è certo emblematica di un mondo segnato dalla miseria e dalla sopraffazione. Da un rilievo effettuato nel 1775 emerge il seguente quadro delle opere esistenti sulla Roggia: 53 bocche 30 40 16 chiuse d'estrazione mulini scaricatoi 53 2 tombe 4 canali 72 guadi ponti Ancora nel 1785 venne pubblicato un editto a stampa a firma don Alessandro Oltolina, delegato per la Roggia, che sanciva tutti gli usuali divieti di attingere acqua o effettuare aperture, minacciando pesanti pene pecuniarie ai contravventori. Una vera e propria corvée di sapore feudale obbligava tutti gli uomini che lavoravano i fondi a prestare gratuitamente una giornata di lavoro all'anno per spurgare l'alveo del canale. In seguito alle lamentele degli interessati, il consiglio comunale presieduto dal sindaco Zucchelli concordò con l'Utenza la trasformazione della prestazione di lavoro in un canone in denaro da ripartirsi tra gli interessati. naturalmente il comune si accordò per ottenere l'esenzione da tale onere per i fondi di sua proprietà, contribuendo in tal modo a far lievitare la cifra dovuta dai singoli coloni. Ci si accordò per un contributo alle spese di spurgo nella misura di lire 115,13 che, come recita la convenzione, dovevano essere pagate solo in moneta d'oro o d'argento. Dopo quella del Robecchi furono effettuate altre due relazioni sulla Roggia nel corso del XVIII secolo: una nel 1710 condotta da Malatesta ed una seconda nel 1775 da Bozzolo. Negli ultimi anni della sua residenza a Desio, precisamente nel 1811, il Cusani commissionò all'ingegner Carlo Ferrari l'ennesima relazione tecnica sulla Roggia. Il pregevole lavoro, presentato sotto forma di volume rilegato in pelle con titoli in oro, delinea un quadro fedelissimo del corso d'acqua, corredandolo per la prima volta con una mappa dettagliata. Sintomo di un'epoca nuova, l'opera del Ferrari non mirò tanto ad individuare e colpire gli abusi lesivi di un'autorità di tipo feudale, ma a razionalizzare, a trovare tutti quei dettagli che con lievi accorgimenti potevano contribuire ad un utilizzo maggiormente proficuo della Roggia. L'epoca Cusani terminò nel 1817, quando il marchese vendette all'avvocato Giovanni Traversi tutti i beni posti in Desio ed i diritti sulla Roggia. L'AMMINISTRAZIONE TRAVERSITITTONI Nei secoli precedenti, come abbiamo potuto vedere, la Roggia consisteva in una bene privato di natura particolare; invece di essere localizzata in un punto, essa si snodava attraverso la campagna ed i borghi. Essa costituiva essenzialmente un corpo estraneo ed autonomo, dotato di amministrazione autonoma, dotato di vita propria; scorreva quasi autonomamente dalle realtà umane ed economiche che la circondavano. A partire dal secolo scorso appare evidente un lento ma costante processo di integrazione tra le acque della Roggia ed il territorio circostante. Questa dinamica fu innescata dal progressivo ridursi degli utenti e, soprattutto, dallo smorzarsi di taluni atteggiamenti dei proprietari che ricordavano da vicino i sistemi feudali. Un ulteriore elemento da tenere presente per comprendere tale mutamento fu il lento trapasso da un'economia fondata sull'agricoltura ad un quadro produttivo più articolato; l'insediamento di laboratori, botteghe artigianali e delle prime industrie costrinse l'Utenza a modificare i rapporti tradizionali. Da ultimo occorre ricordare che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, l'Utenza rappresentata dalle figure del Traversi e Tittoni, videro limitata la loro indiscussa autorità dalla presenza di altri personaggi dotati di forte prestigio (vedi famiglia Gavazzi) e dalla progressiva crescita di importanza dell'Ente Locale che, pur con molte ambiguità, cercò di conciliare i tradizionali diritti dell'Utenza con le esigenze della collettività cittadina. In quest'ultima parte del lavoro verrà dunque abbandonata l'esposizione cronologica degli avvenimenti che si ridurrebbe ad un semplice elenco di documenti notarili, per cogliere alcuni aspetti che ritengo utili e significativi per la comprensione di quest'ultimo periodo di vita della Roggia. I MULINI Alla fine del Settecento le acque della Roggia azionavano trentadue mulini. Nel territorio di Desio ne esistevano originariamente due, entrambi di proprietà Cusani-Traversi. Il primo, denominato "Del Cazzaniga", era collocato al termine di viale Rimembranze. Esso risultava demolito agli inizi del secolo scorso, ma restava ancora il caseggiato e la cascata d'acqua che muoveva originariamente le ruote. La relazione Ferrari del 1811 ricorda inoltre un secondo mulino, detto "Del Sormani", anch'esso abbandonato e ricostruito nel tratto terminale della Roggia. Agli inizi del secolo scorso risultava già funzionante il mulino tuttora esistente in via Giusti che fu edificato nel 1809. Dotato di due ruote, la prima serviva per la macinatura dei cereali, la seconda per azionare il torchio, indice di una fiorente produzione vinicola. I PONTI Esistono numerosi documenti a questo riguardo a causa delle frequenti vertenze tra l'Amministrazione della Roggia e l'Ente Locale circa la loro manutenzione. Nel secolo scorso ho potuto rilevare la presenza nel territorio comunale di otto ponti prima dell'immissione della Roggia nel giardino Traversi. Un primo ponte era quello della Bria; era in mattoni ed era largo circa quattro metri e mezzo. Fu edificato nel 1796, ma fu ampiamente ristrutturato nel 1865. Un secondo ponte, tuttora esistente nella sua integrità, dava accesso alla cappella posta all'esterno del cimitero. Alcune lastre di vivo, collocate per una larghezza complessiva di m 4,20 permettevano l'accesso al Camposanto. Nel tratto terminale di viale Rimembranze esisteva un ponte che consentiva l'accesso al mulino del Cazzaniga. Denominato Ponte delle Assi, era ovviamente in legno, ma aveva le spalle in cotto. Largo poco più di tre metri, già nel secolo scorso era praticamente inservibile per la sua precaria stabilità. Il ponte di maggiori dimensioni era quello che attraversava la strada principale nel punto oggi segnato dall'intersecarsi delle vie Italia, Fratelli Cervi e Roggia Traversi. Verosimilmente, data l'importanza della strada che attraversava, doveva essere il più antico; edificato in pietra, era lungo m. 7,20 ed era largo m 4,20. Il ponte successivo attraversava la via San Pietro. Aveva un larghezza di circa quattro metri ed era in pietra. Nel tratto precedente l'ingresso nel parco padronale erano collocati altri due passaggi sulle strade verso San Giorgio e Lissone; costruiti in vivo, misuravano entrambi tre metri in larghezza e la loro lunghezza superava di poco i quattro metri. Facendo riferimento agli accordi del 1441, gli Utenti cercarono sempre di accollare le spese relative alla costruzione ed alla manutenzione dei ponti all'Amministrazione Comunale. Sfruttando il prestigio sociale ed economico di cui godevano, i Cusani riuscirono sempre nel loro intento, giungendo perfino a far ricostruire a spese del comune il ponte delle Assi che conduceva al mulino padronale. Questa operazione fu ovviamente condotta celando i documenti che testimoniavano come per tradizione le spese fossero sostenute dal solo proprietario, visto che tale costruzione serviva unicamente per uso privato. Un chiaro indice dell'asservimento dell'amministrazione locale di quei tempi all'Utenza è il fatto che in altri comuni dove il legame tra amministrazione e famiglia Cusani era meno forte, gli enti locali riuscirono ad imporre la costruzione e la manutenzione dei manufatti esistenti sulla Roggia. L'attraversamento del canale era assicurato anche da altri espedienti. Passerelle e semplici travi sono spesso citati per l'attraversamento pedonale; i numerosi guadi permettevano inoltre il passaggio dei carri agricoli. Le uniche eccezioni erano costituite dal ponte sulla strada principale che era a carico dell'Amministrazione centrale e da quello antistante la cappella esterna del cimitero la cui manutenzione era a carico della chiesa. LA PARTE PADRONALE Prima di entrare nel parco di Villa Traversi, la Roggia passava sotto l'abitazione del giardiniere, edificio originariamente adibito a mulino. Entrata nel parco, si diramava in canali secondari attraversati da ponticelli e dava luogo ad effetti scenografici. Le sue acque già nel 1755 furono destinate ad alimentare una vasca con fontana; successivamente fu creato il famoso laghetto, la cui superfcie era di circa 6.000 mq.; le acque proseguivano azionando il mulino per poi perdersi nelle campagne al confine con Muggiò. Il tratto terminale era destinato ad alimentare la produzione di foraggio, tantoché la Roggia vi scorreva liberamente per tutto il periodo invernale, dall'Addolorata (15 settembre), fino all'Annunciazione (25 marzo). I LAVATOI I guadi erano spesso utilizzati anche come lavatoi; col tempo furono costruite alcune strutture talvolta coperte, dotate di pietre inclinate idonee per il lavaggio dei panni. Nel 1890 risultava il seguente elenco di lavatoi: Ponte alla lavatoi 1 sassi 8 Stazione Vicolo della lavatoi 1 sassi 3 Roggia Ponte di San lavatoi 2 sassi 4 Pietro Ponte di via lavatoi 2 sassi 8 Garibaldi Ponte degli Assi lavatoi 4 sassi 6 Camposanto lavatoi 1 sassi 2 Bria lavatoi 1 sassi 1 Contrariamente ai primi che erano pubblici, vi erano inoltre diciannove lavatoi con quarantaquattro sassi che si affacciavano sulla Roggia da proprietà private, il cui uso era naturalmente riservato ai domestici della famiglia. L'UTILIZZO DELLE ACQUE Come detto, fino all'ultimo periodo di esistenza della Roggia, i vari proprietari utilizzarono tutti gli strumenti che avevano a disposizione per garantire i loro diritti sulle acque. Il 30 novembre 1795 il Cusani acquistò i diritti sulla Roggia goduti dall'abbazia di Vertemate, diventando in tal modo l'unico proprietario di tutto il corso d'acqua. L'Utenza curò sempre che i quattrocento proprietari di fondi affacciantisi sulla Roggia potessero attingere dalle sue acque solo dietro consenso scritto della proprietà. Ci sono pervenuti numerosi permessi concessi dal Traversi nella seconda metà dell'Ottocento a contadini per abbeverare il bestiame, oppure nel 1867 al macellaio Caglio per raccogliere il ghiaccio o infine all'Arma dei Carabinieri per rifornire la locale caserma; tali permessi erano accordati in via precaria ed avevano comunque validità annuale. Nei riguardi di coloro che attingevano acqua senza autorizzazione, anche per semplici usi domestici, furono avviate numerose cause giudiziarie che costellarono la seconda metà del secolo scorso: causa Monticelli (1818), Comune di Desio (1825), Congregazione di Carità (1862), Minetti (1864), birraio Giovanni Malberti (1867), Opera Pia di Loreto (1877), Spinelli (1882), Arnaboldi (1884), Gavazzi (1894). Risulta particolarmente significativa una vertenza giudiziaria del 1878 tra l'avvocato Giovanni Antona Traversi ed il Comune di Desio. In prossimità dei ponti collocati in via Italia e via San Pietro esistevano due incastrini muniti di serratura, che alimentavano le foppe comunali di via Garibaldi e piazza Martiri di Fossoli. Il Sindaco, senza il consenso della proprietà, fece aprire le due bocche per fornire le pubbliche vasche. Immediatamente il Traversi avviò una pratica legale che, malgrado due sentenze favorevoli all'operato dell'Amministratore per aver unicamente agito in difesa dell'igiene pubblica, terminò nel 1882 in una terza sentenza del tribunale di Monza che ravvisava nel gesto del Sindaco un atto lesivo dei diritti di Casa Traversi. L'Utenza era disponibile a concedere, ma non a chi, anche in nome del bene pubblico, osava attentare ai suoi diritti. Un ultimo documento spiega bene a quale punto di tensione fosse giunto il problema dell'uso della Roggia. Il 2 marzo 1865 l'amministratore, Antonio Locatelli, informava il padrone di un grave scandalo occorso nei giorni precedenti; il camparo aveva sorpreso alcuni contadini intenti a riempire una "navazza" (carro munito di grosso recipiente per il trasporto dei liquidi) con l'acqua della Roggia. Ne era nata una vivace discussione che aveva fatto affluire molti contadini ed anche i carabinieri; la massa degli agricoltori, stanca della situazione, apostrofò violentemente il camparo, minacciandolo di provvedimenti più drastici e, con rammarico del fattore, la forza pubblica non intervenne, adducendo il pretesto della propria esiguità numerica. Il giorno seguente l'amministratore di Casa Traversi fu raggiunto dal sindaco Ravanelli che gli intimò di cedere alle richieste degli agricoltori; il desiderio del Comune era quello di evitare tumulti di qualsiasi natura e, come rivelò il Sindaco, i contadini, sobillati dagli altri proprietari, tramavano per tendere al camparo un'imboscata ed ucciderlo, o almeno condurlo con la forza a più miti atteggiamenti. Non conosciamo l'esito della vicenda, ma la lettera documenta benissimo gli atteggiamenti popolari nei confronti dei campari, categoria che aveva visto crescere consistentemente nell'ultimo periodo i propri guadagni, fino a comprendere la fornitura annuale di abiti, calzature e munizioni per il fucile di cui erano muniti. IL NOVECENTO Segno di una realtà economica che stava mutando, nel corso del secolo scorso le acque della Roggia fornirono anche alimento alle prime attività industriali. Inizialmente fu installata una lavanderia condotta da Ferdinando Nava e successivamente Achille Lucchini impiantò una segheria nell'antico stabile del Mulino del Cazzaniga; come sappiamo dai documenti giudiziari, le acque servirono anche alla birreria di Giovanni Malberti. Nell'anno 1901 morì il Traversi e la massa dei suoi beni, stimata diciotto milioni di lire, passò al nipote Antonio Tittoni. Durante quest'ultima fase certi drastici atteggiamenti dei predecessori si ammorbidirono e iniziò un periodo di parziale liberalizzazione nell'uso delle acque, mantenendo però inalterati nella forma le tradizionali prerogative dell'Utente. Non a caso il Traversi chiese ed ottenne di essere tumulato in un sepolcro disegnato dal Beltrami, posto proprio sopra quel corso d'acqua che aveva difeso a tutti i costi contro qualsiasi usurpatore. Nel 1906 le chiare acque della Roggia iniziarono a ricevere parte degli scarichi urbani; nuove vertenze si aprirono poi negli anni Venti con le due maggiori industrie cittadine, Gavazzi e Targetti, per lo scolo delle acque degli stabilimenti, imputati di aver causato la morte di alcuni capi di bestiame. L'ultimo atto importante riguardante la Roggia risale al 1922 quando diversi fontanili che alimentavano la Roggia furono inseriti nell'elenco delle acque pubbliche della provincia di Milano. Di fronte a tale provvedimento, il Tittoni insorse e chiamò in giudizio il Prefetto, conte Nasalli Rocca, di fronte al Regio Tribunale delle Acque Pubbliche presso la Corte d'Appello di Milano. Il ricorso del Tittoni faceva riferimento al carattere privato della Roggia che fu confermato dal Tribunale Superiore delle Acque. Il 30 maggio 1928 la causa ebbe termine con la sentenza definitiva della Corte di Cassazione che ordinava la cancellazione dei fontanili in questione dal novero delle acque pubbliche. Trasformatosi nel giro di pochi decenni il quadro economico della città, la Roggia era destinata dopo quasi seicento anni di vita ad un rapido declino. Al termine del secondo conflitto mondiale la proprietà Tittoni si dissolse e, sparito questo centro dotato di caratteri per molti versi ancora feudali, anche la Roggia scomparve ingloriosamente. Certamente il suo interramento fu una scelta corretta che ha risparmiato alla nostra città la presenza delle acque di un fiume altamente degradato come il Seveso. Resta però nella mente di molti l'immagine stereotipata di acque che scorrono placidamente tra filari di alberi, disturbati solo dal cicaleccio delle donne al lavatoio; l'unico rischio è quello che certe immagini del "buon tempo antico" facciano dimenticare secoli di lavoro e sofferenza dei nostri antenati153. 153 I documenti citati nel presente studio sono consultabili presso: APD, cart. 80-88. ASM, acque, p.a., 166-169; p.m.167. L’ETA’ MODERNA A livello urbanistico la novità di maggior importanza fu costituita dall’insediamento del convento francescano nell’area orientale del borgo. Nel Trecento fu eretto anche un piccolo castello ad opera di Bernabò Visconti, che in più occasioni vi dimorò con la sua corte. L’edificio, a detta di alcune fonti, fu eretto come “luogo di delizia” e doveva trovarsi nell’area dell’attuale Parco Comunale posta all’angolo tra le vie Piermarini e Roma. Questa costruzione verosimilmente decadde con la scomparsa di Bernabò ed in seguito i duchi di Milano donarono l’area ai frati del vicino convento. La presenza di questo nuovo polo attrasse nella parte orientale del borgo le famiglie del patriziato locale che, intorno allo slargo dell’attuale piazza Martiri di Fossoli, eressero una serie di abitazioni che si differenziavano nettamente da quelle coloniche per una migliore qualità abitativa; si era così venuta a creare una sorta di area residenziale contrapposta all’ammasso di case rustiche del centro. Anche i successivi sviluppi urbanistici avrebbero avuto come punto di avvio proprio questa zona dell’abitato. Nel 1777, in seguito alla soppressione del convento francescano, i beni del cenobio furono messi all’asta ed acquistati dal marchese Cusani. Da questo atto prese il via una profonda opera di aggregazione patrimoniale e riorganizzazione del territorio attraverso una serie di acquisti e permute di terreni; alla fine dei questo processo il Cusani diede il via alla creazione del complesso della residenza desiana, contornata da tutto l’apparato di insediamenti colonici e produttivi che la rendevano una struttura economica di primo livello. La scelta della dislocazione della villa in un’area marginale dell’abitato nacque anche dal desiderio del proprietario di collegare fisicamente la sua residenza lungo la strada per Monza in un ideale prolungamento del parco monzese e delle dimore signorili che lo ornavano. Alla metà dell’Ottocento questo insediamento sarà reso ancora più urbanisticamente significativo dall’intervento di Pelagio Palagi che trasformò radicalmente la tenuta desiana dei signori Traversi. Preme sottolineare che questo complesso costituiva anche fisicamente una realtà marginale e separata dal resto del borgo; l’isolamento del Traversi dalla realtà politica e sociale di Desio era sancita da questo defilamento della sua residenza rispetto al centro cittadino Il complesso si collocava su un’asse gravitante come visto verso Monza, ma soprattutto verso la novità del secolo costituita dalla ferrovia. Il progetto originario di Palagi avrebbe creato un percorso scenografico dalla stazione ferroviaria fino alla residenza del Traversi che avrebbe creato assi e prospettive completamente slegati dalla situazione preesistente. A partire dal XVII secolo si assiste ad un progressivo allargarsi degli insediamenti extraurbani. La cascina di Sant’Apollinare si sviluppò acquisendo le caratteristiche di una vera e propria frazione; acquistò maggiore importanza anche la cascina degli Arienti presso il confine con Seregno. Già nel Seicento i possidenti locali si premurarono di erigere insediamenti abitativi nella campagna per uno sfruttamento più intensivo del suolo. Il centro di maggiore importanza che nacque in questo periodo è sicuramente il complesso alla periferia nord orientale del borgo realizzato dal conte Ferrario. Si creò un consistente insediamento umano che comprendeva la dimora signorile e numerose abitazioni coloniche raggruppate intorno ad una corte. Il proprietario provvide poi a realizzare anche un elegante oratorio barocco dedicato a san Giuseppe. In epoche successive furono realizzati altri insediamenti rurali che però non raggiunsero dimensioni ed importanza di quelli precedentemente accennati. Il caso più macroscopico è costituto dalla grande cascina del questore Bolagnos. Soprattutto nel corso dell’Ottocento sorsero poi cascinali sparsi che in qualche caso si sono conservati fino ai nostri giorni pur perdendo l’originaria vocazione agricola. Occorre però sottolineare che questi insediamenti, abitualmente denominati cascine, non avevano nulla a che vedere con la fisionomia della classica cascina lombarda; esse erano perlopiù abitazioni rustiche isolate ma non avevano né la forma, né l’organizzazione capitalistica della tipica cascina della Bassa154. L’OTTOCENTO I primi sensibili mutamenti nella fisionomia dell’abitato si ebbero nel corso del XIX secolo quando, in seguito all’aumentata pressione demografica ed al flusso migratorio da aree marginali della Brianza verso gli opifici cittadini, Desio si allargò nella parte meridionale del borgo. Prese così corpo il quartiere gravitante intorno alle vie Carcano, Canonico Villa, e Galeno. Quest’area vide la creazione di insediamenti popolari con la costruzione di grandi corti. Probabilmente il degrado del quartiere diede origine al toponimo parzialmente usato ancora oggi di Cairo per indicare questa zona; probabilmente le cattive condizioni abitative lo facevano paragonare ad un quartiere mediorientale, una sorta di casbah cittadina. L’abitato a quella data aveva ancora una struttura compatta, articolata intorno all’antico centro. Malgrado il diffondersi dell’industrializzazione, la tipologia abitativa diffusa era sempre quella della “corte” in cui gli spazi destinati ad abitazione si affiancavano e si integravano con strutture destinate alla produzione agricola (aia, stalla, fienile). A cavallo del nuovo secolo anche a Desio si crea un quartiere “residenziale”; lungo l’asse della via Principe Umberto155, nella parte settentrionale dell’abitato sono erette in prossimità dell’oratorio di san Pietro una serie di abitazioni unifamiliari contornate da giardino che costituirono una novità di notevole pregio coniata sul modello delle “villette” cittadine. In questo spazio abitativo troverà la sua collocazione naturale la nascente borghesia locale e proprio in questi spazi vedrà la luce nel 1905 l’Esposizione di Desio156. IL NOVECENTO L’inizio del nuovo secolo fu contrassegnato dal dramma collettivo del primo conflitto mondiale che influì indirettamente anche sullo sviluppo della città. L’elevato numero di caduti desiani comportò indirettamente l’erogazione di altrettante pensioni di guerra che costitutirono per moltissime famiglie la prima possibilità di avere una disponibilità di liquidi. Queste somme furono spesso investite nella costruzione di 154 Forse l’unica eccezione in questo senso era costituita dalla casina Bonomi – Gavazzi che per organizzazione e struttura si discosta nettamente dalle altre presenti sul territorio. 155 Attuale corso Italia. Toponomastica 1977. 156 BRIOSCHI 2005. una abitazione. Si crearono così nuovi quartieri specie nella parte meridionale e settentrionale del borgo157. Nacquero abitazioni “filo strada” che celavano alla vista spazi interni destinati all’orticoltura, ma soprattutto ad attività legate alla pratica dell’artigianato o comunque a funzioni ancora connesse a modi di vita desunti dal mondo agricolo. Sempre in occasione del primo conflitto giunsero a Desio i primi immigrati provenienti da altre regioni, costituiti da profughi dalle zone del Veneto e del Friuli invase dalle armate austriache dopo la sconfitta di Caporetto. Questi nuovi arrivati e quelli che giungeranno per tutto il corso degli anni Venti e Trenta troveranno sistemazione nei grandi cortili del centro oppure nelle realtà periferiche delle cascine. Parallelamente, in ossequio al linguaggio architettonico del regime, furono eretti edifici che si ispiravano alla moda ed al linguaggio formale dell’epoca. Prevalgono linee “razionali” e semplificate nelle case economiche con la scomparsa di fregi ed ornamentazioni che avevano caratterizzato le abitazioni dei decenni precedenti. Vedono anche la luce edifici di maggior pregio che rivelano la ricerca di un diverso linguaggio espressivo; basti a questo proposito ricordare il Villino Giussani adiacente il complesso Autobianchi o gli edifici che fronteggiano corso Italia all’altezza di via XXIV maggio i quali giocano sull’alternanza cromatica tricolore 158 In questi anni prende corpo il progetto di rifacimento della facciata della Basilica che, nelle intenzioni di committenti e progettisti, avrebbe dovuto essere la prima parte di un grande e pregevole progetto di sistemazione del centro cittadino che avrebbe visto la dislocazione lungo i lati della piazza dei principali edifici pubblici eretti secondo i dettami dello stile dominante all’epoca. IL BOOM Il momento più significativo di trasformazione dell’abitato cittadino risale, come per tutta l’area lombarda, al secondo dopoguerra. Alla base del processo stavano le mutate condizioni economiche e le ondate migratorie che si dirigevano verso la nostra città. Tutto questo processo, salvo casi fortunati, si trasformò, in un turbinoso processo di crescita che comportò la distruzione di gran parte del tessuto sociale ed urbanistico del passato. In alcuni casi sporadici il progetto di sviluppo risultò ordinato e controllato. In questo modo videro la luce insediamenti realizzati dalla pubblica amministrazione nella zona adiacente il parco e nell’area nord. Purtroppo nella gran parte di casi si ebbe uno sviluppo caotico determinato dalle impellenti richieste abitative create dall’afflusso di manodopera verso gli opifici cittadini. La popolazione desiana, che per la prima volta si trovava nella disponibilità di acquistare un’abitazione propria, defluì dalle grandi corti del centro verso abitazioni unifamiliari oppure verso l’acquisto di appartamenti in condominio che erano ritenuti negli anni Cinquanta un bene dotato di notevole prestigio. La massa degli immigrati 157 Non a caso moltissime di queste nuove vie sono intitolate a personaggi o luoghi della campagna di Libia o alla Prima Guerra Mondiale. 158 Mattone rosso a vista, cornici bianche, serramenti verdi. Un omaggio all’ideologia nazionalista dell’epoca che costituisce senza dubbio un documento storico. proveniente dalle aree depresse del Triveneto o del Sud si indirizzò verso gli spazi rimasti vuoti nel centro cittadino oppure verso le periferie dove, intorno alle antiche cascine, nascevano nel modo più disordinato nuovi quartieri. Negli anni Cinquanta si provvide a creare nuove vie che a stento riuscivano a seguire l’impetuoso sviluppo edilizio. In queste aree periferiche videro la luce abitazioni unifamiliari a carattere economico e si crearono degli autentici quartieri: il rione San Vincenzo o Spaccone a sud, il quartiere Boschetto nelle adiacenze della cascina Bolagnos, la Corea a nord in prossimità dell’erigendo nuovo ospedale. Fortunatamente, salvo qualche rarissimo caso, la città non vide la costruzione di insediamenti abitativi di grandi dimensioni ed il paesaggio cittadino, al contrario di realtà anche vicine, non dovette sopportare la realizzazione dei famigerati “casermoni”. Il centro storico fu sottoposto ad un profondo stravolgimento. Lo spezzettamento delle grandi proprietà condusse alla parcellizzazione degli stabili. Interi cortili, ora divenuti proprietà di più famiglie, furono sottoposti ad interventi scoordinati che alterarono la fisionomia degli edifici. In alcuni casi le vecchie corti e cascine persero completamente le caratteristiche originali e abitazioni, anche di pregio, furono rase al suolo per costruire realtà abitative ritenute più idonee per le mutate esigenze abitative159. A questo processo si accompagnò l’intensificarsi dei problemi legati alla viabilità dopo il massiccio aumento delle autovetture circolanti. Il deflusso dei pendolari verso la città è ancora oggi garantito in gran parte dal trasporto su gomma lungo i due assi viari principali della Valassina e della superstrada Milano-Meda. L’OGGI A partire dagli anni Ottanta del Novecento la città è stata investita da un massiccio processo di deindustrializzazione. Desio, che solo dieci anni prima era risultata una delle realtà cittadine più industrializzate d’Italia, ora si trovava ad affrontare i problemi sorti dalla chiusura di opifici storici di piccole e grandi dimensioni. Questo fenomeno ha comportato profondi mutamenti economici, sociali ed urbanistici della città. Gli spazi precedentemente occupati dalle fabbriche, le aree dimesse, hanno lasciato il posto ad insediamenti produttivi più “leggeri”(generalmente nel settore terziario) ed a nuovi insediamenti abitativi di buona qualità. A causa degli elevati costi negli ultimi anni risulta superata la struttura abitativa della villetta unifamiliare a favore di insediamenti più articolati che in parte riprendono lo schema della corte. Il progressivo arretrare dell’industria ha lasciato spazio ad insediamenti economici del terziario anche in aree decentrate poste soprattutto lungo le vie di comunicazione intercomunali. L’aumentato volume del traffico, specie verso Milano, comporta una riorganizzazione del sistema dei trasporti con una maggiore interazione tra i sistemi di trasporto su gomma con quelli su rotaia. Resta un dato evidente lo sviluppo delle 159 Il caso più emblematico è costituito dalla distruzione di Villa Scotti in via Laghetto. direttrici di traffico in direzione nord – sud, mentre sono ancora carenti le direttrici lungo l’asse est-ovest. LE STRUTTURE POLITICHE IL TOPONIMO Come accade quasi sempre nella ricerca dell’origine e del significato di un toponimo cittadino, anche nel caso di Desio la sua origine è avvolta nel dubbio e pertanto la situazione nel corso del tempo ha spinto chi si è occupato dell’argomento a formulare congetture e soluzioni diverse. Prendendo in esame l'evoluzione del toponimo "Desio", si possono fissare le seguenti forme, documentate da scritture antiche: Dexio É la forma di uso normale nel basso medioevo; è presente in modo costante in atti pubblici e privati in espressioni del tipo: "in loco de Dexio", "N.N. de Dexio". Deuxio Compare in documenti dell'XI secolo, in particolare nell’atto di vendita di Alda fu Garibaldo del 1062160. Deusio Rilevabile in un atto del 997 nel quale una pia donna, Ciciria, dona alla chiesa di S.Ambrogio alcuni fondi posti in Dugnano, che confinano con proprietà della basilica "Sancti Sili sita Deusio"161. Deussio Una pergamena del 988 ricorda Adelberto "de vico Deussio" che è testimone ad un contratto di vendita redatto a Monza162. Altre due pergamene, una del 968163 ed una del 956164, testimoniano la stessa forma del toponimo165. 160 1062 agosto. Milano. Alda, vedova di Emione e figlia del fu Garibaldo de loco Deuxio, vende ad Ambrogio, prete officiale della chiesa di San Fedele in Milano, alcune case un mulino e una cappella edificata in onore di San Fedele situati nei luoghi di Triulzio e Morsenchio. Manoscritto in: BAM, Codice Della Croce, 3, f.111. Edito in: Gli Atti Privati, III, n.435, pp.174-177. Citato da: MALBERTI 1961, p.10. 161 997 aprile. Ciciria dona alla chiesa di Sant'Ambrogio beni a Dugnano, in località Limido, "ubi coheret a mane et montes sancti Sili, sita Deusio" Manoscritto nell’Archivio della Canonica di Sant’Ambrogio di Milano.Edito in:HPM, XIII, n.931, coll..1637-1638.Citato in: MALBERTI 1961, p.10; CAPPELLINI 1972, pp. 65; 41; 39; testo p.68. Altre pergamene che riportano il toponimo “Deusio” sono: 1014 febbraio, Monza. Permuta di beni fra Adelberto, arciprete e custode della chiesa ed abbazia di San Giovanni di Monza, ed Ariprando, diacono dell'ordine della stessa chiesa e figlio del fu Ildogino detto anche Oldo, che fu del luogo di Deusio. Manoscritto ACM, pergamena n.45. Edito in Gli Atti Privati, I, n.65, pp.149-151. Risulta essere stato redatto “in loco Deusio” il documento 1067 gennaio. Redaldo del fu Anselmo del luogo di Alzate e Mafalda, figlia di Giovanni, del luogo di Briosco, iugali di legge longobarda, vendono a Zenone sacerdote, officiale del monastero di San Protasio e figlio del fu Pietro della città di Milano, tutti i loro beni situati nel luogo di Cassina Farga. Manoscritto in AATM, sec.XI, n.18. Edito in: Gli Atti Privati, III, n.473, pp.240-242. 162 Adelberto "de vico Deussio" è teste in una vendita tra Giovanni ed Ariprando di Biassono. Manoscritto in ACM, Edito in: HPM,XIII, coll.1469s., n.841. Citato in: MALBERTI 1961, p.10; CAPPELLINI 1972, p.45. 163 Permuta di beni fra Ermengarda, badessa del monastero di San Vittore di Meda ed Ambrogio, prete della chiesa di san Siro "in loco Deussio". Manoscritto in AATM. Edito in CDL, 931, col.1637. Citato da: CAPPELLINI 1972, pp. 44; 65; p.49 Testo. MALBERTI 1961, p.9. 164 Permuta di beni fra Gaudenzio, arcidiacono dell'abbazia di san Giovanni di Monza e Fedele, prete del medesimo luogo. Alla col. 1052 del testo si dice che un campo posto all'interno dell'abitato di Monza: coheret Ainardi de loco L'elenco termina qui; non si conoscono altri documenti anteriori al 956 che riportino il nome del nostro borgo. Vediamo dunque le varie ipotesi che sono state avanzate per spiegarne il significato. DESIO = Dieci miglia da Milano E' un'ipotesi scartata da tutti gli studiosi di storia locale. Per primo il Rota fece notare che la nostra città non si trova a dieci miglia romane da Milano e, pertanto, quest'ipotesi risultava priva di fondamento166. Malgrado quanto è stato detto, questa etimologia è molto diffusa e la si incontra frequentemente in studi e nell’opinione comune. Malgrado sia impossibile far risalire il nostro Deusio a "Decimum", occorre però sottolineare che il tracciato preciso della rete viaria romana non è del tutto chiaro. Studi più recenti hanno parzialmente modificato la situazione; ad esempio è quasi sicuro che il decimo miliare non cadeva a Desio, vi si trovava sicuramente almeno l'undicesimo. Probabilmente questa forma è da far risalire ai notai della curia arcivescovile, che tentarono di latinizzare il toponimo Desio con un originario Decimum carico di valenze simboliche. DESIO = Decumanus Si riporta questa etimologia a puro titolo di curiosità, tanto è manifesta la sua infondatezza. E’ stata raccolta in cronache parrocchiali e risale al Settecento. Il Decumano in questione non è l’asse orizzontale della centuriazione romana, ma l’istituzione ecclesiastica del clero decumano, incaricata della cura d’anime nelle parrocchie. La cosa è chiaramente infondata in quanto tale terminologia ecclesiastica entrò in uso solo nel VIII secolo, mentre l’abitato di desio esisteva già da secoli. Il termine rimase però diffuso, tanto che nel primo Novecento il Bollettino parrocchiale era appunto intitolato “Il Decumano”. DESIO = Dessi E' opinione condivisa da diversi storici che l'origine del toponimo vada ricercata in un nome gentilizio, verosimilmente quello dei Dessi, documentato dal sigillo impresso sul fondo di alcune lucerete ritrovate durante gli scavi del sacello di San Vittore in Ciel D’Oro a Milano167. Anche il maggiore studioso di toponomastica lombarda, l’Olivieri, fa risalire il toponimo ad un gentilizio, senza però formulare un’ipotesi precisa, ma limitandosi ad ipotizzare un generico *Teuzo o *Deuzo; inutile dire che mancando i documenti, l’ipotesi risulta ancora inverificabile168. Deussio. Manoscritto in ACM. Edito in HPM, XIII, n.615, coll.1051-1053. Citato da: MALBERTI 1961, p.9. CAPPELLINI 1972, p.44. 165 Altro documento risale al dicembre 1021. Meda. Permuta di beni posti in "vico et fundo Deussio et Varadeo" tra la badessa del monastero di San Vittore, Berlina, ed Anselmo, iudex sacri palatii, figlio di Liuprando di buona memoria, del luogo di Deussio. Nel testo sono citate le località Cixinasca, Busxasca, Valedasca. Manoscritto in AATM. Edito in: Gli Atti Privati, I, pp.261-265, n.115. Citato in CAPPELLINI 1972, p.4; p.93, testo p.5. 166 ROTA 1930, pp.12ss. 167 MALBERTI 1961, pp.12s. 168 OLIVIERI 1961, p.212. DESIO = Deusdedit E' l'opinione formulata da Alberto Cappellini che identifica, sulla scorta di studi effettuati dallo Darmstädter, Desio con la "Curtis Deusdedit", dove abitualmente faceva sosta il convoglio dei rifornimenti diretto da Limonta alla corte pavese ricordata in una pergamena dell'835169. Deusdedit era in epoca longobarda un nome proprio assai diffuso; la località in questione potrebbe dunque essere qualsiasi centro rurale identificato con il nome dell’antico proprietario. DESIO = Deus Ipotesi cosi diverse fra loro non forniscono indicazioni sicure e lasciano il lettore dubbioso e tendenzialmente incline allo scetticismo o ad una scelta personale basata su motivi extrastorici. Il passaggio dal Deussio documentato nel X secolo a Decimo, Dessi o Deusdedit lascia indubbiamente perplessi. La soluzione più logica sembra vedere l’origine di Deussio in un semplice “Deus”. Il nome originario dell’abitato di Desio non sarebbe altro che quello del padre degli dei. Una conferma di questa ipotesi sembra giungere dall’analisi del toponimo “Varedo”. Come abbiamo visto, da Milano si diramavano in direzione nord diverse strade che erano collegate trasversalmente tra loro; una sorta di arco metteva in comunicazione i percorsi, unendo Vimercate, Arcore. Biassono e Desio. Uno dei punti più ravvicinati tra la Comasina e la Valassina è posto a Varedo; a quest’altezza è documentata l’esistenza di una via (attuale Strada della Valera) che metteva in contatto le due vie e che sfociava alla periferia di Desio. La forma antica del toponimo Varedo è Varadeo; se lo si scompone otteniamo Vara + Deo. La vara è in latino il cavalletto a forma di X utilizzato per segare i tronchi, oppure la lunga pertica terminante a forcella usata per stendere le reti ad asciugare o per tenere sollevata la corda del bucato. In questo senso Vara Deo significherebbe “forcella, bivio per Deus”. Quell’ipotetico Deus cui sembrava far pensare la documentazione scritta troverebbe una conferma diretta nella toponomastica, e dunque l’origine del toponimo Desio andrebbe ricercata in un originario Deus. 169 882 novembre 30, In placito Lemontae, habito coram Ariprando vicedomino mediolanensis ecclesie et Petro abbate monasterii sancti Ambrosii, advocatus eiusdem cenobii causam obtinet contra complures servos curtis Lemontae monasterio supradicto subiectae. Manoscritto conservato nell’archivio della chiesa di San Fedele a Milano. Edito in: HPM, XIII, coll.528-531, n.314; citato in CAPPELLINI 1972, pp. 42ss. L’ORGANIZZAZIONE PIEVANA DEL TERRITORIO É caratteristica costante dell'uomo quella di organizzare il territorio circostante in funzione delle proprie esigenze, pertanto è impossibile comprendere Desio avulsa dal suo contesto territoriale. Fin dai primi documenti a nostra disposizione, Desio risulta al centro di quell'organismo religioso, economico, politico e sociale che fu la pieve; un'entità che dall'Alto Medioevo ha unificato ed organizzato il territorio. Il termine Pieve deriva direttamente dal latino plebs, plebis = plebe. Plebei, in epoca romana, erano coloro che lavoravano la terra; in seguito, con l'espansione del cristianesimo con pieve fu indicata la comunità dei battezzati. Con le invasioni barbariche si verificò il graduale disfacimento delle strutture sociali, economiche ed amministrative dell'impero romano che furono man mano surrogate da figure elette in loco dalle popolazioni e, in genere, controllate e dirette dalla nascente gerarchia ecclesiastica cristiana. Le pievi divennero quindi territori, anche di vaste dimensioni, amministrate da persone che nulla avevano a che fare con l'autorità centrale civile. Il maggiore sviluppo della pieve si ebbe, ovviamente, in zone dove questa autorità centrale era più carente e questo si verificava soprattutto nei territori, di montagna, difficilmente accessibili e quindi lasciati meno difesi ma più liberi di autogestirsi. Con lo stanziamento dei Longobardi, "pieve" assunse un connotato diverso e divenne il segno distintivo delle popolazioni soggette, agricoltori che dovevano versare tasse e oboli ai guerrieri conquistatori, i quali, viceversa, si raggruppavano nella fara (accampamento), chiaro residuo organizzativo delle abitudini nomadi. Pieve divenne quindi la contrapposizione culturale e di appartenenza sociale fra "romani" e "barbari" dove, però, il connotato semantico intendeva sottolineare l'appartenenza delle popolazioni delle pievi alla condizione plebea, soggetta, imbelle. La diffusione delle pievi iniziò contemporaneamente alla progressiva affermazione della religione cristiana nelle aree di campagna e interessò i centri abitati di una certa importanza, o perché sedi di mercato, o in quanto sedi amministrative, o stazioni di posta oppure anche solo insediamenti agricoli di dimensioni maggiori. Attorno al decimo secolo, con la fusione delle popolazioni, cominciò l'utilizzazione delle termine pieve con significato di “circoscrizione ecclesiastica” in cui si potevano dividere le diocesi. Le pievi fungevano da punto centrale per l'aggregazione dei fedeli operanti nell'ampio territorio e facenti normalmente riferimento alle svariate cappelle sparpagliate nel distretto. Soprattutto nelle regioni dell'Italia settentrionale, con il termine pieve si arrivò ad indicare la chiesa sede battesimale che fungeva da riferimento per le chiese circostanti. Pieve prese il significato di "luogo di culto centrale"; così furono chiamate “pievi” anche le chiese vere e proprie. É argomento ancora dibattuto se la circoscrizione della pieve ricalchi o meno una precedente struttura civile. Sta di fatto però che la pieve di Desio appare come lo sforzo di organizzazione della fascia a nord di Milano, compresa tra il Seveso ed il Lambro. Secondo la tradizione sarebbe stata istituita nel VII secolo dall'arcivescovo san Giovanni Bono, allorché fece ritorno alla sede di Milano dopo un pluriennale esilio a Genova, ma pare che questa sia solo una leggenda fatta per ammantare di antichità le origini della capitolo della chiesa di Desio. L'istituzione della pieve è un fatto di fondamentale importanza perché, oltre ad organizzare la vita religiosa di un ampio territorio che si estendeva da Cinisello a Seregno, ricalca e nello stesso tempo modella ex novo i rapporti politici ed economici sul territorio. Già dai secoli più antichi Desio risulta un centro religioso (ritrovamento di epigrafi ed are romane) ed economico (presenza documentata di un mercato stabile fin dal XII secolo). Un ulteriore aspetto degno di nota è costituito dal fatto che nel territorio della pieve sorgevano tre località fortificate: Palazzolo, Biassono e Desio, poste a cavaliere di altrettante vie dirette verso nord. Dagli Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano redatti nel 1346 emerge che la pieve di Desio, percorsa dalle “strata da Monza, strata da Lissono o da Balsamo, strata da Dergano, strata da Niguarda” comprendeva: “el locho da Balsamo, el borgho da Biassona, el locho da Boyso, el locho da Cinesello, el locho da Cusano, el borgho de Desio, el locho da Dugnano, el locho Incirano, el borgho da Lissono, el locho de Machario, el locho da Mangiago, el borgho da Migiò, el locho da Nova, el locho de Paderno, el locho de Parazolo, el borgho de Seregnio, el locho da Varè, el borgho da Vedano”. Ancora negli estimi del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVII secolo risulta che la pieve oltre alle suddette località contava anche Cassina Aliprandi, Cassina Amata, Cassina Meda, Cassina Pelizoni, Cassina Savina, Grugno Torto. Dal Compartimento territoriale specificante le cassine del 1751 emerge che la pieve di Desio comprendeva i comuni di Balsamo, Biassono, Bovisio, Cassina di Giorgio Aliprandi, Cassina Amata, Cassina Savina, Cassinello, Cinisello, Cusano, Desio, Dugnano, Incirano, Lissone, Macherio, Masciago, Molino del Cantone, Molino del Salice, Muggiò, Nova, Paderno, Palazzuolo, San Giorgio al Lambro, Seregno, Varedo, Vedano. L’Indice delle Pievi e Comunità dello Stato di Milano del 1753 delinea invece chiaramente la politica di aggregazione di comuni, che fu ufficializzata quattro anni più tardi dall’editto teresiano del 10 giugno 1757 per il comparto territoriale dello stato milanese. Secondo tale indice il numero dei comuni che componevano la pieve veniva ridotto da ventidue a venti: Cassina San Giorgio al Lambro era aggregata a Biassono, Cassina Savina a Seregno, Molino del Salice e Molino del Cantone a Vedano. In origine il clero risiedeva presso la chiesa matrice o battesimale e da lì i sacerdoti si recavano nei giorni festivi nelle cappelle sparse sul territorio per la celebrazione dei sacramenti e la cura d’anime. In epoche più antiche sussisteva in genere un solo fonte battesimale per tutta la pieve. In seguito, grazie all’iniziativa di possidenti locali o di comunità cittadine, furono erette le prime cappelle che, dotatesi di una propria dotazione fondiaria, potevano provvedere al mantenimento di un sacerdote che, pur appartenendo formalmente al clero risiedente presso la chiesa matrice, abitava presso la sua cappella. In tal modo nacquero le figure dei rettori, naturale trasformazione dei primitivi cappellani. Nel basso medioevo le singole chiese divennero progressivamente sempre più autonome dal centro, fino a raggiungere la completa indipendenza attraverso la creazione delle parrocchie; questo processo appare pressoché concluso nel XV secolo quando tutte le antiche cappelle risultano strutture ecclesiastiche autonome. I rapporti con l’antico capopieve si limitavano ad alcune cerimonie (distribuzione degli oli sacri e delle palme) e a livello formale come ripartizione ecclesiastica del territorio. La pieve di Desio andò progressivamente sfaldandosi in seguito alla crescita demografica del secolo XIX che vide la trasformazione in realtà autonome delle antiche parrocchie che in qualche caso a loro volta divennero vicariati foranèi. In tempi recentissimi l’istituzione pievana è stata eliminata dall’introduzione dei decanati. Occorre ricordare però che dall’originaria dimensione religiosa, spesso la pieve venne ad assumere connotazioni civili, soprattutto quando in seguito all’infeudamento delle stesse, la pieve ed il feudo di Desio vennero a coincidere per lungo tempo. L’ORGANIZZAZIONE CIVILE Non ci è dato sapere con certezza se l'organizzazione ecclesiastica del territorio attraverso le pievi ricalcasse i confini di precedenti circoscrizioni civili. Nella sua opera Studi sulle origini del comune rurale, Giampiero Bognetti ha evidenziato come, pur con tutte le cautele del caso, sussiste un legame tra l'ordinamento amministrativo del territorio in epoca romana e quello ecclesiastico del Medioevo170. Non abbiamo a nostra disposizione documenti d'archivio utili a supportare questa ipotesi, ma l'analisi del territorio sembrerebbe indirizzare in questo senso. L'origine della nostra compagine territoriale sembrerebbe essere di natura politico-militare e forse anche economica, vista la presenza antica di un mercato nel capoluogo171. L'intervento arcivescovile modellò dunque la pieve sulla traccia di un organismo territoriale precedente di natura civile, destinato poi a perpetuarsi con l'infeudamento della pieve ed il conseguente installarsi nel capoluogo del dominus loci. Tendenzialmente si può dire che il centro di Desio era collocato nel contado della Brugaria, corrispondente all’attuale area brianzola. Data la sua posizione a non eccessiva distanza dal capoluogo, Desio fu in più occasioni considerato uno dei punti esterni di una sorta di fascia di rispetto intorno a Milano. In quest’area era vietato generalmente costruire fortificazioni che sarebbero potute servire da punto d’appoggio alle forze ostili alle istituzioni cittadine. Tale eventualità si presentò in occasione dei ripetuti scontri tra le forze viscontee e quelle torriane per il controllo della Città. Con la creazione del ducato, Desio dovette entrare a far parte direttamente del territorio amministrato dal Comune di Milano. Un cambiamento sensibile si ebbe inoltre nel 1476 con la donazione della pieve di Desio insieme a quella di Mariano a Lucia Mariani, favorita del duca Galeazzo Maria Sforza. In questo modo il territorio di Desio fu svincolato da ogni dipendenza dal Ducato di Milano 170 BOGNETTI 1978, pp.44; 93n. Già nel XII secolo esisteva a Desio un mercato che sorgeva su un'apposita superficie denominata area mercadera. 1158. Amizo, qui dicitur Umani, de loco Dexio ed Unia sua moglie donano alla chiesa di sant'Eusebio posta alla Brera del Guercio in Milano una terra posta in loco et fundo Dexio, ubi dicitur ara mercadera. Vedi: BBM, Codice Bonomi, Ae, XV, 32, f.72. Cit. MALBERTI 1961 p.11; CAPPELLINI 1972 p.66. 171 PODESTA’ DI DESIO172 6 marzo 1450 6 settembre 1450 Nob. Manfredus de Dugnano Antonius Porrus 6 settembre 1452 6 settembre 1454 6 settembre 1456 6 settembre 1458 1 ottobre 1462 1 ottobre 1464 1 ottobre 1466 1 gennaio 1468 1 gennaio 1471 1 gennaio 1472 1 gennaio 1479 Io Aluisius Maleta Zanonus de Strata Addam de Aliprandis Iacobus Rabia Andrea de Scarselis Iacobus de Rabiis Cristoforus Toscanus Franciscus de Seroldonibus Perrinus de Caravagio Iulianus de Orto Magister artium et medicine doctor Bonifortus de Arluno Iulianus de l’Orto Felix de Orto Iulianus de Horto Acursinus de Cuticis Io Antonio de Horto 4 gennaio 1482 1 gennaio 1484 1 gennaio 1493 1 gennaio 1497 1 gennaio 1499 172 SANTORO 1948, pp.210s. Lo sostituisce in sede Iulianus de Orto al quale succede dal 1452 Lucas de Pasqualibus lo stesso era podestà di Meda VICENDE DEL FEUDO DI DESIO173 Desio col suo vicariato consistente nelle terre della sua pieve ed in quelle della pieve di Bollate, cioè: Seregno, Lissone, Bovisio Masciago, Biassono, Macherio, Vedano, Molino del Salice, Molino San Giorgio, Varedo, Palazzolo, Incirano, Nova, Paderno, Dugnano, Cusano, Balsamo, Cinisello, Muggiò, Molino del Cantone, Bollate, Novate, Senago, Pinzano, Dergano, Castellazzo, Roserio, Vialba, Cassina sant’Apollinare, Cassina Meda, Cassina S.Giorgio, Cassina Savina, Cassina Aliprandi, Cassina Nuova, Cassina de Castiglioni, Cesate, Cassina Pertusella, Garbagnate, Baranzate e Villapizzone. 1476, 13 giugno Istromento rogato da Giovanni Antonio Gerardi, cancelliere ducale, di investitura data dal duca Galeazzo Maria Sforza a Lucia Visconti (Marliani), contessa di Melzo e Gorgonzola, della giurisdizione del borgo e pieve di Desio e del borgo e pieve di Mariano, coi dazi del pane, vino, carni, e imbottato per lei e per i maschi nati e nascituri da lei e dal duca. Investitura confermata il 5 settembre 1476. 1477, 14 gennaio Apprensione di beni e feudi della suddetta Lucia avuti dalla Camera Ducale. In seguito Luigi XII re di Francia eresse in contado il vicariato di Desio e ne investì il fisico Gabriele Pirovano per sé, eredi e successori. Questa concessione fu approvata dal Senato nel 1501. 1505 Lo stesso re investì del feudo. Stefano Pirovano, erede per testamento dell’anzidetto Gabriele. 1518 Il suddetto Stefano, previo assenso sovrano, cedette in permuta il contado ad Ottaviano Rho 1521 Apprensione a danno del Rho come seguace dei Francesi. Il duca Francesco II Sforza concedette poi il feudo a Galeazzo Ferreri ed essendo questo morto senza maschio al cavaliere Vespasiano Roadino. 1530, 10 settembre Diploma del suddetto duca, interinato il 16 dello stesso mese, per l’investitura del feudo coi dazi, la notaria ecc a Giacomo Gallarati 1580 Apprensione per la morte senza discendenza del conte Guido Gallarati. Il feudo consisteva allora in 1317 fuochi. 1580 7 maggio Istrumento a rogito Marco Antonio Bigarola cancelliere ducale di investitura a Giorgio Manriquez per il prezzo di lire 63.000. 1580 23 dicembre Diploma del re Filippo II interinato il 9 novembre 1581, per l’approvazione dell’anzidetta vendita. 1613, 29 maggio 173 Notizie desunte da CASANOVA 1930, pp. 42s. Diploma del re Filippo III a favore del conte Andrea Manriquez de Mendozza de suddetto Giorgio, per l’elevazione del contado di Desio in marchesato. I Manriquez vendono: 1674 Novate e Roserio ai Pogliaghi 1675 Vedano agli Scotti 1675 Garbagnate ai Po 1675 Cusano agli Omodei 1675 Balsamo agli Zanatta 1675 Biassono con Cassina san Giorgio e Molino san Giorgio ai Crevenna 1676 Varedo e Masciago ai Crivelli 1677 Vialba con Villapizzone ai Resta 1680 Macherio ai Pallavicini 1683 Paderno al questore Antonio Calderari 1683 Palazzolo e Incirano a Giulio Calderari 1683 Dugnano ai Dugnani 1697 Cascina Amata con Cascina Nuova, Dergano e Derganino agli Imbonati 1713 Seregno ai Castelli 1715 Baranzate ad Antonio Maria Molossi 1715 Pinzano ad Ottavia Ugolani Molossi 1715 Cesate con Cascina Pertusella ai Gozzi 1732 Nova ai Rovelli 1733 Bollate ai Citterio 1799, 29 novembre Diploma dell’imperatrice Maria Teresa, interinato il 13 marzo 1780, per la concessione dell’eventuale trapasso del feudo di Desio, come era allora ridotto (cioè Desio fuochi 449, Lissone 200, Muggiò 106, cascina Aliprandi 18, Bovisio 66, Senago e Senaghino 181, Castellazzo 56, Cinisello 210) qualora il marchese Lodovico Manriquez de Mendozza morisse senza maschio, al consigliere conte Pietro Secco Comneno, genero di lui, in quanto coniuge di Laura Manriquez. 1791, 24 gennaio Morte di Ludovico Manriquez 1795, 28 novembre Istrumento rogito Pietro Ambrogio Tarantola not. Camerale, per il possesso al Secco Comneno IL COMUNE L’esistenza di un ordinamento comunale a Desio è testimoniata da un documento datato 15 febbraio 1260, in cui Desio è citato come comune ed è segnalata la presenza del console174. I nomi dei primi amministratori: Dionisio Astexano, Antonio de la Strata, Cristoforo de Pessina, Johannolo Bellonio sono cittai negli atti relativi ad una controversia nel 1387 tra Ardigolo della Porta ed il Comune di Desio per alcune requisizioni contestate175. Capoluogo di una vasta pieve, il nostro era uno dei borghi più densamente popolati: nel corso dei secoli dell’età moderna esso era infatti andato registrando notevoli aumenti demografici, passando dalle 398 anime numerate nel “Summarium descriptionis facte in locis plebis Dexii” inviato al magistrato delle entrate ducali nel 1530, alle 700 registrate intorno alla metà del Cinquecento in un altro “Summarium” ed infine alle 2.011 anime registrate nelle risposte ai quarantacinque quesiti della giunta del censimento del 1751. L’assemblea dei capi famiglia, radunata nei primi giorni di ogni anno per le nomine delle diverse cariche municipali e per l’approvazione del bilancio consuntivo e preventivo della comunità, rappresentava l’organo decisionale del borgo. Le modalità di convocazione dell’assemblea erano quelle comunemente prescritte nel diritto consuetudinario milanese: la Universitas Communitatis et Hominum burgi Dexii era radunata sulla pubblica piazza al suono della campana ad istanza del console e dei sindaci e su mandato ed imposizione del pretore o del suo luogotenente, che ne presiedevano i lavori. All’assemblea dei capi famiglia faceva riscontro un più ristretto organo esecutivo composto da “sindaci reggenti” e da “sopraeletti”, nominati annualmente dall’assemblea stessa, in numero che, nel corso del XVI, secolo variò tra i sedici ed i sei componenti. I sindaci “reggenti” erano impegnati in mansioni legate a problemi di ordinaria amministrazione, ai sindaci “sopraeletti” erano invece demandate funzioni di controllo e di intervento nelle questioni di maggiore rilievo. Compiti di polizia locale erano infine raccomandati al console di Desio, nominato annualmente sempre dall’assemblea, secondo il comune criterio di scelta che affidava l’incarico a colui che si impegnava a svolgere tale servizio al minore costo. Dalle risposte ai quarantacinque quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge che l’intero apparato amministrativo del borgo era ancora costituito dall’assemblea dei capi di casa e da un consiglio ristretto composto da tre sindaci, “che sono capi di tre classi di persone, cioè un nobile per i nobili, un mezzano per li mezzani ed un povero per li poveri”. Ai tre sindaci (eletti il nobile da un particolare consiglio di primi estimati “nobili” e gli altri due a voto segreto da tutto il popolo radunato in piazza) era raccomandata la gestione degli interessi della comunità ma soprattutto “la vigilanza sopra la giustizia dei riparti pubblici”. A completare l’organizzazione amministrativa della comunità vi erano un cancelliere ed un esattore: al primo, 174 175 BARONI 1987 AVFDM, AS, 320. residente per la maggior parte dell’anno in Milano ma rappresentato in loco da un suo intendente, erano raccomandate la compilazione e ripartizione delle imposte annuali e la custodia delle scritture pubbliche, libri dei riparti compresi; al secondo, nominato “a pubblico incanto”, erano delegate le operazione di riscossione dei tributi, le quali potevano essere compiute solo dopo essere state approvate e firmate dai tre sindaci suddetti. Compiti di polizia continuavano infine ad essere attribuiti al console, nominato sempre a “pubblico incanto” A metà del XVIII secolo il comune, aveva il podestà feudale, residente in Milano, ma rappresentato in loco da un luogotenente, a cui la comunità corrispondeva un onorario a “titolo di podestaria”, ed era anche sottoposto “per il Maggior Magistrato” all’ufficio del capitano di giustizia di Milano, presso i quali il console, in quanto tutore dell’ordine pubblico, era tenuto a prestare ogni anno l’ordinario giuramento Nel 1771 il comune contava 2.448 abitanti. Con la successiva suddivisione del 1786 della Lombardia austriaca in otto province Desio e la sua pieve furono inclusi nella provincia di Milano. In seguito al nuovo compartimento territoriale per l’anno 1791, Desio risulta ancora a capo della pieve omonima, inserito nel XII distretto censuario della provincia di Milano. Con la legge 27 marzo 1798 di organizzazione del dipartimento del Lario (legge 7 germinale anno VI) Desio fu designata come capoluogo di distretto. Tale rimase anche in seguito alla riforma del settembre successivo. Il comune, in forza della legge 13 maggio 1801 di ripartizione territoriale della Repubblica Cisalpina (legge 23 fiorile anno IX), fu poi inserito nel distretto I del dipartimento d’Olona, con capoluogo Milano. Con l’attivazione del compartimento territoriale del Regno d’Italia (1805) Desio rimase nel distretto I di Milano, come capoluogo del cantone VII: comune di terza classe, contava 2.050 abitanti. In forza del decreto di aggregazione e unione dei comuni del dipartimento d’Olona (1809) il comune di Desio fu incluso nel distretto I di Milano, cantone VI di Milano e con il successivo decreto di concentrazione e unione dei comuni del dipartimento d’Olona (1811), Desio fu trasportato nel distretto III di Monza, compreso nel cantone IV di cui era capoluogo: la sua popolazione era nel frattempo salita a 2.673 unità. Con il compartimento territoriale delle province lombarde del Regno LombardoVeneto (notificazione del 1816) il comune di Desio fu inserito nella provincia di Milano, distretto V di Barlassina. Il comune, che aveva convocato generale, rimase nel distretto V di Barlassina anche in seguito al successivo compartimento territoriale delle province lombarde (1844). Nel compartimento territoriale della Lombardia (1853) Desio, dotata di consiglio comunale privo di ufficio proprio, risulta ancora compreso nella provincia di Milano, distretto VIII di Barlassina. La sua popolazione ammontava a 4.992 abitanti. In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Desio con 5.350 abitanti, retto da un consiglio di venti membri e da una giunta di quattro membri, fu incluso nel mandamento III di Desio, circondario III di Monza, provincia di Milano. Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il Comune aveva una popolazione residente di 5.677 abitanti (Censimento 1861). In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune era amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il Comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867). Popolazione residente nel comune: abitanti 5.874 (Censimento 1871); abitanti 6.798 (Censimento 1881); abitanti 10.182 (Censimento 1901); abitanti 11.949 (Censimento 1911); abitanti 11.333 (Censimento 1921). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Monza della provincia di Milano. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Popolazione residente nel comune: abitanti 12.911 (Censimento 1931); abitanti 13.499 (Censimento 1936). In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1946 il comune di Desio risultava amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Popolazione residente nel comune: abitanti 16.824 (Censimento 1951); abitanti 23.750 (Censimento 1961); abitanti 30.499 (Censimento 1971). LE RIPARTIZIONI TERRITORIALI Distretto di Desio 1798 In base alla legge 27 marzo 1798 di organizzazione del dipartimento del Lario (legge 7 germinale anno VI) il distretto di Desio, contrassegnato con il numero 13, risultava formato dai comuni di Balsamo, Biassono, Bovisio, Cassina Amata, Cassina di Giorgio Aliprandi, Cassina Savina, Cinisello, Cusano, Desio, Dugnano, Incirano, Lissone, Macherio, Masciago, Muggiò, Nova, Paderno, Palazzuolo, Seregno, Varedo, Vedano. Distretto XXXI di Desio 1798 – 1801 Nella legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona, Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 vendemmiale anno VII), il distretto di Desio, qualificato come XXXI distretto del dipartimento d’Olona, risulta formato dai diciassette comuni seguenti: Albiate, Balsamo, Cassina di Giorgio Aliprandi, Cinisello, Desio, Dugnano, Incirano, Lissone, Macherio con Cassina Torretta, Muggiò con Cassina Scorpiona, Nova con Cassina Meda e Grugnotorto, Paderno, Palazzuolo, Seregno, Sovico, Triuggio con Rancate e Boffalora, Varedo. La popolazione ammontava a 17.600 abitanti. Cantone VII di Desio 1805 – 1809 In base al compartimento territoriale del Regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805) il cantone VII di Desio, compreso nel distretto I del dipartimento d’Olona, includeva i seguenti comuni: Barlassina, Binzago, Birago, Bovisio, Cassina Aliprandi, Cassina Amata, Cassina Savina, Ceriano, Cesano Maderno, Cogliate, Copreno, Desio, Lazzate, Lentate, Limbiate, Masciago, Meda, Misinto, Palazzuolo, Seregno, Seveso, Solaro, Varedo. La popolazione complessiva era di 19.004 abitanti.In seguito il cantone VII di Desio fu soppresso ed i comuni che ne facevano parte furono inseriti nel cantone VI di Milano (decreto 4 novembre 1809). Cantone IV di Desio 1811 – 1815 In base al decreto di concentrazione e unione dei comuni del dipartimento d’Olona (decreto 8 novembre 1811) Desio, che in precedenza era inserita nel cantone VI di Milano, tornò ad essere capoluogo di cantone, il IV del distretto III di Monza, di cui facevano parte nove comuni: Barlassina, Cesano, Desio, Lentate, Limbiate, Meda, Senago, Seregno, Varedo. Gli abitanti erano complessivamente 21.041 GLI ORGANISMI STATALI Ufficio del Registro di Desio Organo dell'amministrazione periferica statale del ministero delle finanze, dipendente dall'Intendenza di finanza e competente nel territorio del mandamento di Desio. E’ attivo sul territorio dal 1859. Ufficio Distrettuale delle Imposte di Desio Ufficio dell’amministrazione periferica statale, previsto in base al regio decreto 24 agosto 1877, n. 4021, già Agenzia delle Tasse e Imposte Dirette in base al regio decreto 29 agosto 1866, dipendente dal ministero dell’interno; competente nel territorio del distretto di Desio. E’ attivo sul territorio dal 1877. Pretura Istituita in epoca napoleonica come giudicatura di pace in sostituzione dell’antica pretura feudale. Fu eretta in pretura nel 1818 ed operò fino alla recente riforma che l’ha elevata a rango di tribunale176. Le carceri erano anticamente collocate a fianco degli uffici della pretura nel palazzo di piazza Conciliazione. Con la creazione dei nuovi uffici nel 1964, le carceri furono trasferite alla periferia meridionale dell’abitato. 176 Le vicende della Pretura sono state ricostruite da: CAPPELLINI 1972 1994. LE STRUTTURE ECCLESIASTICHE IL CAPITOLO La vita religiosa di Desio fu caratterizzata dalla presenza presso la Basilica di un gruppo di sacerdoti denominato “capitolo”. Questa è una delle istituzioni desiane di più antica fondazione e sicuramente la meglio documentata; essa ha avuto in passato un profondo influsso nelle vicende storiche di Desio. Pur essendo un’istituzione religiosa, il capitolo ha rivestito un ruolo economico di notevole importanza e lo studio delle modalità di conduzione dei suoi possedimenti offre un quadro molto articolato, idoneo a comprendere le caratteristiche dell’agricoltura nella nostra zona in epoca preindustriale. CARATTERISTICHE Giova a questo punto presentare sinteticamente le caratteristiche di un capitolo. Esso è costituito da un collegio di sacerdoti che si riuniscono regolarmente per la recita comunitaria dell’ufficio divino (breviario) e la celebrazione della messa. Questi sacerdoti, per il fatto di essere legati al rispetto di una regola di vita comune, erano detti regolari. Al contrario, i canonici privi di un regolamento specifico che li avrebbe avvicinati alle comunità monastiche, erano detti secolari. Creati ad imitazione del capitolo della chiesa cattedrale, i capitoli forési (cioè quelli distribuiti sul territorio della diocesi) erano presieduti da un prevosto. I canonici potevano essere di tre tipologie differenti: • I prebendati o titolari avevano un posto nel coro, potevano ricoprire incarichi e votare le diverse proposte. In particolare erano titolari di una prebenda, ossia un complesso di beni fondiari per provvedere al mantenimento della propria persona. La prebenda godeva di personalità giuridica propria, pertanto, con linguaggio di oggi, potrebbe essere assimilata ad una fondazione. • I soprannumerari godevano degli stessi diritti dei primi, ma non erano titolari di una prebenda, pertanto per il proprio mantenimento dovevano affidarsi alle distribuzioni corali o ad attività prive di regolarità (celebrazione di messe, novene, ecc. per conto del capitolo, di altre chiese e soprattutto di privati). • Gli onorari avevano posto in coro ma non godevano di voce in capitolo. Spesso tale carica era riservata agli anziani che avessero prestato il loro servizio nella stessa chiesa per quaranta anni. Potevano sedere in capitolo anche coloro che, pur ascritti allo stato clericale, non erano sacerdoti o non erano ancora stati ordinati177. Il capitolo, essendo un’istituzione di tipo collegiale, aveva le caratteristiche giuridiche di una corporazione178. I beni temporali potevano dunque essere di duplice natura. Le prebende spettavano al solo canonico titolare che in tal modo godeva di una rendita sicura. C’erano inoltre beni immobili che erano comuni a tutto il capitolo (massa capitolare); i frutti di questi possedimenti venivano utilizzati per assegnare quelli che oggi chiameremmo gettoni di presenza. Ogni canonico riceveva un compenso stabilito per ogni azione liturgica cui partecipava (mattutino, lodi, messa, 177 178 Nel caso di Desio si cercò di scoraggiare questa possibilità. RUFFINI 1930, pp.862s. terza, sesta, nona, vespri, compieta). Nel caso di Desio, come vedremo, i frutti erano divisi in parti uguali fra tutti i canonici, salvo il prevosto cui spettava una quota doppia rispetto alle altre. Giova fin d’ora evidenziare che compito principale dei canonici era la celebrazione dell’ufficio e non la pratica pastorale, la quale era invece demandata al prevosto e ad un canonico che aveva la funzione specifica di coadiutore. LE ORIGINI La tradizione locale, spesso assorbita da quella diocesana, ha sempre fatto risalire l’istituzione del capitolo desiano all’opera di san Giovanni Bono, arcivescovo di Milano, che verso il 650 fondò la chiesa di Desio, dotandola del clero necessario all’amministrazione dei sacramenti nelle chiese del distretto pievano179. Pur sostanzialmente vera e suffragata dai documenti, questa versione richiede alcune integrazioni. Se da un lato è sicuro che san Giovanni Bono fondò la chiesa di Desio, dall’altro nulla sappiamo sull’organizzazione che egli diede al clero locale. I sacerdoti desiani dei secoli seguenti, con il chiaro scopo di nobilitare l’istituzione capitolare, fecero risalire la nascita di questo collegio sacerdotale all’azione di San Giovanni, ma, a ben vedere, risulta assai improbabile che in epoca longobarda si fosse creata una comunità religiosa con le stesse caratteristiche organizzative e giuridiche documentate nel XVIII secolo. In passato la fondazione del capitolo assunse toni spesso leggendari, riconducibili alla volontà di dare maggior prestigio alla locale istituzione ecclesiastica180. LA RIFORMA CANONICALE Nel contado la vita comune del clero non fu determinata da un desiderio di perfezione, bensì dettata da un’esigenza contingente che si era venuta creando nel corso del tempo. Il progressivo aumento della popolazione ed il conseguente sviluppo dei centri rurali aveva portato alla creazione di chiese e cappelle nei singoli villaggi. Questo processo, che culminerà nella creazione delle parrocchie, comportò lo sgretolamento dei vecchi sistemi di organizzazione ecclesiastica. In particolare l’istituzione della pieve conobbe una profonda crisi; i sacerdoti residenti presso la chiesa matrice videro in tal modo perdere la propria importanza in quanto la loro presenza nei singoli centri era soppiantata da cappellani, spesso nominati da un signore locale con il meccanismo giuridico del juspatronato181. Lo sgretolamento della pieve non era dunque solo un processo di decentramento organizzativo, ma costituiva un serio problema di natura economica. Infatti ora gli abitanti di un villaggio provvedevano autonomamente al mantenimento del proprio clero, pertanto il pagamento alla chiesa matrice di imposte ecclesiastiche come le decime risultava ormai superato. 179 Per la figura del Santo si veda: BRIOSCHI 1995 B, pp.51-91. Cfr.: BRIOSCHI 1998 A, passim. Il cronista giunge addirittura a riportare un autentico dialogo tra l’Arcivescovo e la regina Teodolinda in merito alla fondazione delle chiese di Desio e Monza. 181 PALESTRA 1959, pp.142-149. 180 Molto probabilmente il clero residente presso le chiese pievane provvide a darsi una figura giuridica che permettesse di sottolineare la propria superiorità rispetto alle chiese circonvicine e, contemporaneamente, garantire alcune fonti di entrata, costituite principalmente dall’esazione delle decime. Sembrerebbe che a Desio il capitolo abbia avuto origine solo nel XII secolo per salvaguardare i diritti del clero residente presso la chiesa matrice contro il processo disgregativo dell’intero sistema pievano. GLI STATUTI Un documento fondamentale per la storia dei capitolo desiano sono gli statuti del primo marzo 1442. Come risulta dall’atto notarile redatto dal notaio Ambrogio de Belabuchis, di Porta Ticinese, un gruppo di quattro canonici, anche a nome di altri due, si recò innanzi al vicario dell’arcivescovo Francesco Piccolpasso, presentando il testo degli statuti da loro precedentemente sottoscritti. Il documento è composto da ventisette capitoli che abbracciano tutti gli aspetti della vita in comune del clero desiano. Questo documento riveste particolare importanza perché, a quanto si è potuto appurare, è tra i più antichi nel suo genere; nemmeno il capitolo monzese ha conservato documentazione anteriore al XVI secolo182. L’ETA’ MODERNA Nel corso del XVI secolo i documenti conservati aumentano in modo impressionante e documentano soprattutto la gestione economica dei fondi appartenenti al capitolo desiano. La qualità del clero non risultava però molto elevata e san Carlo Borromeo dovette intervenire in ripetute occasioni per riportare i canonici a comportamenti più consoni allo stato ecclesiastico, ma soprattutto a sedare le frequenti liti interne, specie con il prevosto Francesco Bernardino Cermenati che rappresenta la figura di maggior, spessore spirituale. Anche a causa della natura dei documenti, la maggior parte delle carte capitolari hanno proprio natura legale e testimoniano frequenti scontri tra i canonici, salvo riappacificazioni per sancire i diritti del capitolo contro chiunque avesse osato limitarli. Un caso emblematico è nel 1740 la protesta dei canonici che impedirono al sacerdote Francesco Bellebuono di accedere al coro in quanto la sua nomina, contrariamente alle consuetudini, era avvenuta mediante nomina diretta dell’arcivescovo. Arrivava così anche a Desio l’epoca dei Lumi, che si espresse generalmente in un riordino del sistema organizzativo dello stato per garantire una più razionale ripartizione delle imposte. Già nel 1727 perveniva una circolare che imponeva carichi fiscali sulle distribuzioni corali. Ormai la marea delle soppressioni stava per colpire anche Desio, ma i canonici continuavano indisturbati le loro attività pensando che nessuno avrebbe mai osato abbattersi sul loro capitolo. 182 Gli statuti del capitolo desiano, per quanto si è potuto appurare, sono i più antichi tra quelli giunti fino a noi in tutte le chiese collegiate del circondario. Probabilmente nelle chiese foresi prevaleva il diritto consuetudinario senza ricorrere a statuti scritti. Monza stessa conserva solo alcune tracce di statuti risalenti agli anni 1481 e 1497. La prima redazione completa risale all’epoca di San Carlo Borromeo ed il testo è molto simile sia nella struttura, sia nei contenuti, agli statuti desiani. Vedi: BCM, cart.9b. Gli antichi statuti del 1442 nel corso del tempo si erano ormai rivelati desueti. Soprattutto dopo la creazione della figura del teologo, le differenze di funzione e di dignità tra i canonici si erano venute sviluppando, creando forti tensioni. Per ovviare a questi problemi i canonici si risolsero a riformulare nuovi statuti tenendo in considerazione le mutate strutture organizzative183. La versione definitiva fu approvata prima dall’arcivescovo il 5 ottobre 1765, e poi dall’assemblea capitolare il 31 luglio 1766184. LE ORDINAZIONI La gestione degli affari del capitolo necessitava di un apposito strumento assembleare. Fino al Cinquecento non abbiamo documentazione esplicita relativa a riunioni capitolari, è ovvio però che, almeno per azioni con valore legale di particolare rilevanza, si riunisse l’intero collegio. Anche per pressione degli arcivescovi, nel XVIII secolo abbiamo due tipi di capitoli: quello spirituale e quello temporale. Il capitolo spirituale, istituito nel 1596, si riuniva ogni venerdì ed aveva come argomento il culto, la liturgia e tutto quanto spettava all’organizzazione della chiesa. In considerazione maggiore erano invece tenuti i capitoli temporali in cui si discutevano tutte le questioni relative all’amministrazione dei beni. La partecipazione era completa anche se non era prevista alcuna ammenda per le assenze. LA SOPPRESSIONE DEL CAPITOLO Il capitolo per secoli aveva gestito una discreta massa fondiaria, senza effettuare investimenti significativi e limitandosi a raccogliere i magri frutti di un’economia stentata, quasi di sussistenza. Alla fine del Settecento il capitolo fu soppresso per disposizione dell’amministrazione napoleonica, ma all’intervento esterno si devono aggiungere altre due cause altrettanto importanti: un processo endogeno di sfaldamento e, a livello economico, l’impossibilità di gestire la struttura con le magre risorse a disposizione. Il colpo mortale fu inferto dalle pesanti contribuzioni di guerra imposte da Napoleone. L’unica voce che ricorda i fatti con dovizia di particolari è il cronista Aliprandi, quasi contemporaneo degli avvenimenti, che annota la vicenda con stile quasi teatrale. Secondo il racconto del cronista, dopo le prime soppressioni, anche i canonici di Desio cominciarono a temere per la loro fine, ma qualcuno di loro, ingenuamente, pensava che non si sarebbe osato toccare il collegio sacerdotale desiano a motivo della sua presunta antichità. Nel 1797 giunsero a Desio i funzionari ministeriali incaricati di requisire tutta la documentazione relativa ai possessi del capitolo; gran parte delle carte fu così trasferita a Milano185. Lascio ora la parola all’Aliprandi che descrive in tono melodrammatico il momento della soppressione: “...Nell’anno 1798, maggio, in una domenica dopo il vespero, senza previo aviso, comparvero alchuni delegati governativi nella solita sacrestia capitolare, dove erano 183 Già nel 1611 il visitatore apostolico aveva invitato a riformare gli statuti della collegiata per uniformarli ai dettami del Concilio Tridentino. 184 ASM, religione, 2500. Il testo degli statuti è inserito nel verbale della seduta. 185 Si tratta delle carte oggi conservate nel fondo culto dell’Archivio di Stato di Milano. soliti i capittolari a fare consili e decisioni della loro disciplina ed altro. Così uno de’ delegati apre il decreto reale e lo legge alla presenza del venerando capitolo, e si esprime in questo modo: “Voi, signor prevosto cittadino, non sarete più inavanti capo del capitolo, ma bensì capo de’ sacerdoti. E non avrete più dirito de’ beni che posedete come capo del capitolo, ma bensì la somma di scudi duecento come parroco e prevosto, e non sarete obligato in avenire ad andare al coro quottidianamente perché questo viene proibito dal presente decreto. Così a voi si concede la vuostra insigna cappa magna per vuostra divisa come prevosto di detta basilica di Desio e sua pieve. Notate che il sudetto delegato era un parente del medesimo signor prevosto don Carlo Terzolli186. In seguito si rivolge ai reverendi capittolari. Si esprime in questo modo: Voi, signori canonici, da qui in avanti, non sarete più obbligati al coro; ne’ pure avrete il diritto de’ fondi, ossia rendite, che sin ora avete goduto, solo avrette per vuostra pensione la somma di lire 600 cadauno sino alla morte. E tutti i diritti che avete avuto sinora, tanto di funebre ed altro, cessano in questo giorno innavanti. E questi sono riserbati al signor prevosto e coaditore curato. Così pure se aveste la insegna di canonico, restano proibite in avanti, e solo si permette al signor prevosto. Così facio scusa a questo rispettabile ex capittolo, compatiranno della notizia che noi abbiamo anunciato, e non abbiamo fatto altro che eseguire il presente decretto universale, a riserva della Metropolitana e Monza, per privilegio, e quelli di jus padronali”. Sembrerebbe che dopo la soppressione ci sia stato, come in altri luoghi, un momento di confusione e sbando. Probabilmente alcuni ex canonici tornarono alle loro case a godersi il vitalizio loro concesso; altri, alla chetichella, ripresero a frequentare privatamente le funzioni in basilica. Chi deve aver reagito in maniera decisa a quest’intervento alla soppressione sembra essere stata la popolazione desiana. Avere nella propria chiesa un capitolo era sempre stato per i Desiani un motivo di vanto e di orgoglio nei confronti dei paesi vicini; ora essere privi di quest’espressione fisica della fede dovette costituire sicuramente un dramma. Non era stato minato il complesso fondiario della chiesa, ma l’orgoglio civico. Iniziò così una serie di richieste per ottenere il ripristino del capitolo. Con la definitiva caduta di Napoleone potevano riprendere fiato le speranza di ricostituzione del capitolo e la cosa avvenne mediante un accordo per cui i canonici, privati delle rendite, si sarebbero mantenuti con i proventi della cassa dei funerali. Il neoparroco Villa propose successivamente ai canonici una sorta di autolicenziamento dietro la corresponsione vita natural durante di un decimo delle entrate della sagrestia. Nel 1820 giunse a Desio il nuovo parroco Paolo Nardi che non sopportava la presenza degli ultimi sacerdoti e li licenziò definitivamente. 186 Aliprandi è l’unico ad offrire questa precisazione che deve aver evidentemente desunto da un’informazione orale. LA PARROCCHIA Con il definitivo scioglimento del capitolo nel 1820 la chiesa di Desio si organizzò con le modalità e le strutture che normalmente assegniamo alle parrocchie. Il parroco mantenne l’antica denominazione di prevosto ed i pochi sacerdoti rimasti assunsero la qualifica di coadiutori immediatamente sottoposti all’autorità del parroco. Nel corso del XIX secolo le istituzioni religiose andarono riacquistando il prestigio incrinato dalle riforme e dagli attacchi del processo di laicizzazione portato dalla rivoluzione e dalle armate napoleoniche; poco alla volta si andava formando la cosiddetta “parrocchia sociale” ossia una rete di attività ed istituzioni facenti capo al clero locale che praticamente copriva tutti gli aspetti sia della vita religiosa, sia dei diversi momenti associativi. Spiccano in questa dinamica tutti gli interventi per gestire il tempo libero degli adulti, ma soprattutto dei ragazzi con la creazione degli oratori cittadini. Con una forte coerenza di intenti e di scelte il clero locale seppe interagire con le varie amministrazioni comunali e presentare l’istituzione ecclesiale cittadina come la depositaria dell’animo civico. Malgrado la crescita senza precedenti degli abitanti, sino alla fine degli anni Cinquanta si evitò in ogni modo di smembrare l’unità della parrocchia. Per garantire il servizio religioso anche nei quartieri periferici si provvide inizialmente alla creazione di chiese secondarie; prima tra tutte sorse la chiesa intitolata a San Pio X, il cui progetto prese avvio nel 1944 con l’intenzione di intitolarla al pontefice rinascimentale san Pio V. Occorre ricordare che in questi anni la gestione di alcune chiese periferiche era praticamente affidata a religiosi: a San Giorgio officiavano i padri Olivetani di Seregno; in altre chiese i padri Saveriani. Agli inizi degli anni Sessanta del Novecento la situazione era divenuta insostenibile, cosicché si provvide alla formazione nel corso di pochi anni di ben quattro nuove parrocchie tutte ottenute dallo smembramento dell’ antica parrocchia dei santi Siro e Materno di Desio. Tutte le parrocchie desiane furono aggregate al vicariato foraneo di Desio nella regione IV della diocesi. Con la revisione della struttura territoriale attuata tra il 1971 e il 1972 sono state attribuite al decanato di Desio nella zona pastorale V di Monza. • Parrocchia di San Giorgio Martire eretta con decreto 6 aprile dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini • Parrocchia di San Pio X eretta con decreto 21 maggio dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini • Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo eretta con decreto 23 aprile dell’arcivescovo Giovanni Colombo, • Parrocchia di San Giovanni Battista eretta con decreto 24 giugno dell’arcivescovo Giovanni Colombo 1963 1963 1965 1966 Negli anni più recenti le parrocchie cittadine, oltre alla loro funzione di “cura d’anime” si sono fatte carico di numerose. Nella scia di una secolare tradizione ambrosiana, la parrocchia è divenuta un centro di attrazione con attività che vanno dalla pratica religiosa agli aspetti formativi, fino alla proposta di iniziative che interessano l’intera cittadinanza. Non a caso svariate attività sociali e culturali operanti sul territorio cittadino trovano la loro sede fisica nel Centro Parrocchiale di via Conciliazione. Va infine ricordata la visita compiuta a Desio nel 1983 del Papa Giovanni Paolo II. Per la città nella sua interezza è stato un evento “storico” che ha collegato il presente al passato nel ricordo della figura del concittadino Pio XI. ORDINI, CONGREGAZIONI ED ISTITUTI RELIGIOSI Dalla documentazione disponibile si può sommariamente riassumere che in Desio nel corso del tempo hanno operato i seguenti sodalizi religiosi: MASCHILI • Frati Umiliati hanno operato in epoca basso medioevale. • Frati Minori Conventuali operanti dal 1250 circa al 1777 nel convento di piazza Castello. • Servi di Maria, documentati dal 1504 nel convento di san Pietro al Dosso fino a data imprecisata. • Concezionisti gestivano l’Orfanotrofio Maschile posto nella casa natale di Pio XI. • Passionisti operanti sino a pochi anni or sono nel santuario del Santo Crocifisso. • Saveriani (Istituto Saveriano delle Missioni Estere di Parma) Hanno avuto un ruolo specifico e meritorio nella storia cittadina. Giunti a Desio nel 1947 posero la sede del loro liceo per seminaristi nei locali di Villa Tittoni, rimanendovi fino al 1975 quando fu creata la nuova sede di via per Binzago. I padri Saveriani, oltre ad arricchire il tessuto spirituale della città con la loro esperienza missionaria, negli anni Cinquanta-Sessanta hanno contribuito alla formazione delle parrocchie assumendo in proprio la pastorale di quartieri periferici, spesso scollegati ed isolati dal centro cittadino. • FEMMINILI • Suore di Maria Bambina erano ospitate nell’attuale oratorio femminile dove avevano attivato un asilo ed una scuola di ricamo. A causa di dissapori con la parrocchia abbandonarono Desio agli inizi del Novecento. • Suore Ancelle della Carità giunsero a Desio in sostituzione delle precedenti religiose e ne proseguirono l’attività. Assunta la vecchia Villa Gavazzi, la trasformarono in casa provincializza dell’Istituto affiancandole asilo d’infanzia e scuola privata. Hanno prestato la loro opera presso il locale ricovero per anziani e presso l’ospedale. • Suore di Santa Gemma attive presso l’Istituto Saveriano. LE CHIESE LA BASILICA DEI SANTI SIRO E MATERNO La prima basilica La chiesa primitiva di Desio, intitolata ai Santi Siro e Materno fu edificata nel VII secolo dall’arcivescovo di Milano San Giovanni Bono per sancire molto probabilmente il passaggio della popolazione longobarda dallo Scisma dei Tre Capitoli al cattolicesimo. L'antica basilica sorgeva sull'area oggi occupata dal tratto iniziale della Via Pio XI, compresa tra la torre campanaria ed il giardino prepositurale. L'edificio, orientato sull'asse est-ovest, era articolato su tre navate, ciascuna delle quali scandita da quattro colonne. Le navate laterali terminavano con due altari che nel XIII secolo risultano dedicati a san Giovanni Apostolo ed a san Vittore. La navata settentrionale era più corta dell'altra perché il tratto terminale era occupato dalla sagrestia, ove, oltre agli armadi, era collocato un altare dedicato alla Vergine. La zona absidale, rialzata di poco dal resto dell'edificio, ospitava l'altare maggiore; dietro di essa era sistemato il coro ed il catino absidale era affrescato con figure di santi. Esternamente era collocata la torre campanaria originaria (crollata nel 1410 in seguito ad un incendio), un edificio quadrato, utilizzato solo a partire dal Cinquecento come battistero, la canonica e l’area cimiteriale che si snodava tutt’intorno alla basilica. L’edificio, descritto dettagliatamente negli atti delle Visite Pastorali cinquecentesche, continuò a funzionare fino al terzo decennio del XVIII secolo, quando, resosi inutile per la costruzione della nuova basilica, fu malauguratamente demolito. La seconda basilica I lavori per la nuova basilica iniziarono materialmente nel 1652. Il progettista dell’edificio l’ing. Camillo Ciniselli, riutilizzò forse un primitivo disegno del grande architetto Pellegrino Tibaldi. I lavori, data anche la difficile situazione economica, proseguirono con tempi lunghissimi e soste prolungate. Solo nel 1726 i lavori ripresero con continuità sotto la guida dell’ing. Giuseppe Merlo e si provvide alla copertura dell’edificio ed alla realizzazione della grande volta. La nuova basilica fu aperta al culto il 31 ottobre 1736. La consacrazione ebbe luogo solo dopo la realizzazione della parte decorativa ad opera dell’arcivescovo Pozzobonelli il 26 agosto 1744. Tra il 1764 ed il 1785 fu curata la sistemazione del sagrato e la costruzione della facciata, opera dell’architetto Giulio Galiori. La terza basilica In seguito alla sensibile crescita demografica, alla fine dell’Ottocento la vecchia basilica risultava insufficiente per le necessità spirituali di un’accresciuta popolazione. Il prevosto Cesare Mossolini, coadiuvato da don Enrico Pirotta e dagli industriali Egidio e Pio Gavazzi, si fece promotore dell’iniziativa di allargare l’antico edificio. Tra le varie soluzione prospettate dal progettista desiano Domenico Laveni, fu scelta quella che prevedeva l’abbattimento dell’abside e l’allargamento in direzione est con la creazione di un grande transetto. Anche su suggerimento del Prevosto, il progetto iniziale subì alcune modifiche, consistenti tra l’altro nella costruzione della grande cupola. La prima pietra del nuovo edificio fu posta 19 aprile 1891.Anche grazie al generoso contributo della cittadinanza con offerte e giornate lavorative, i lavori proseguirono celermente sotto la direzione dell’arch. Paolo Cesa Bianchi e dell’ing. Giuseppe Buttafava. I capimastri esecutori dell’opera. Clapis e Bernasconi, portarono a compimento il cantiere nel giro di soli tre anni, infatti il 4 ottobre 1894 il Parroco benedisse solennemente l’edificio e, concluse le opere secondarie, il 26 agosto 1895 la basilica fu consacrata dal card. Ferrari. Nel nostro secolo l’edificio sacro è stato oggetto di numerosi interventi decorativi, culminati negli anni 1928-1929 nella decorazione pittorica eseguita quasi interamente dal prof. Giuseppe Riva di Bergamo187. San Giovanni Battista Su questa chiesa possediamo pochissime informazioni. Sappiamo che esisteva nel Duecento ed era collocata a fianco della chiesa prepositurale, nell’area oggi corrispondente all’asilo Santa Maria. Alla metà del Cinquecento essa risultava completamente atterrata e se ne vedeva solo il pavimento; molto probabilmente i materiali furono reimpiegati per la costruzione del campanile. Sant’Agata É documentata alla fine del Duecento. Probabilmente la sua origine è da collegare alla presenza degli Umiliati a Desio. Era posta all’attuale angolo tra la via Pozzo Antico e la Piazza Conciliazione. L’edificio era composto da un unico ambiente terminante con un’abside semicircolare (metri 10,30 x 4,93). Vi si celebrava una sola volta l’anno in occasione della festa della Patrona e l’amministrazione dell’edificio era a carico della locale Scuola delle Sante Maria ed Agata. La chiesa, oltre a servire da sede per il Luogo Pio, fungeva anche da ambiente di raduno per i confratelli del Santissimo Sacramento. Costoro poco alla volta si appropriarono dell’edificio fino a decidere di abbattere l’antica chiesa e reimpiegare i materiali nella costruzione dell’oratorio di santa Maria (1744). La documentazione d’archivio ci offre informazioni sulle vicende dell’oratorio e si evince una descrizione sommaria dell’edificio dagli atti delle visite pastorali. Santa Maria L’oratorio di Santa Maria fu eretto per iniziativa della locale confraternita del Santissimo Sacramento. L’edificio doveva servire come luogo di raduno per gli aderenti al sodalizio ma anche come spazio per la celebrazione dei sacramenti quando la basilica veniva chiusa al pubblico per le ricorrenti evacuazioni dei sepolcri interni. La chiesa fu consacrata nel 1744 insieme alla nuova Prepositurale per mano di monsignor Verri. L’edificio ha subito una profonda trasformazione in occasione della visita papale del 1983. Al suo interno sono conservate alcune tele di notevole pregio e 187 Per tutte le vicende dell’edificio si veda: BRIOSCHI 1998. un fonte battesimale ricavato dall’acquasantiera dell’antica chiesa di san Francesco risalente agli inizi del XVI secolo. San Bartolomeo – Santo Crocifisso È una chiesa di antichissima fondazione che risulta presente fin dai primi documenti conservatisi. Sembrerebbe che la sua erezione sia coeva a quella della basilica come luogo di raduno per la popolazione cattolica ridotta in stato servile dai Longobardi. L’oratorio originale era posto parallelamente alla via Lampugnani in direzione estovest ed era preceduto da un piccolo slargo. Nel Cinquecento dovette subire alcune trasformazioni, infatti in quell’epoca vi fu sistemato il Crocifisso ligneo che sembrerebbe coevo ai lavori di sistemazione dell’edificio. Successivamente si costituì la Confraternita dei Disciplini i cui membri provvidero ad allungare l’oratorio costruendo la sagrestia ed un ambiente destinato alla recita comunitaria dell’ufficio nello spazio retrostante l’altare. In seguito a questi interventi la lunghezza dell’edificio passò da 11,5 a 21 metri. Nel corso dell’Ottocento furono effettuati diversi interventi di sistemazione che culminarono nella sostituzione dell’antico altare ligneo con uno in marmo disegnato dall’ing. Villoresi. Questo pezzo in seguito fu ceduto alla chiesa di Muggiò ed è ancora oggi presente nella chiesa parrocchiale del vicino Comune. Ritenendo l’antichissimo edificio inadatto alle esigenze di una nuova chiesa più ampia e con linee più solenni, nel 1912 si decise di passare alla distruzione dell’antico oratorio. Sulla sua area fu costruito l’attuale santuario in forme neogotiche progettato dal sacerdote ingegnere Spirito Maria Chiappetta. L’edificio, consacrato nel 1913, è disposto perpendicolarmente alla via e si allungava nella parte posteriore nel giardino di casa Gavazzi. La cessione della superficie fu compensata con l’assegnazione temporanea alla famiglia donatrice di una tribuna nella chiesa188. San Francesco Durante la signoria torriana su Milano, si insediò a Desio una comunità francescana. Il complesso monastico occupava il lato orientale dell'attuale piazza Martiri di Fossoli. La prima descrizione analitica dell’edificio risale al 1777. Da questo documento sappiamo che il chiostro era articolato su tre arcate per lato e che c’era una stalla capace di ospitare cinque cavalli; il complesso occupava una superficie complessiva di circa quaranta pertiche. La chiesa era a navata unica e lungo il lato Nord si aprivano tre cappelle. Nel Trecento uno di questi altari era dedicato a San Bernardo. La cappella dell’Immacolata fu iniziata nel 1531 dal conte Galeazzo Ferrario e terminata nel 1568. Nel XVIII secolo gli altari erano dedicati a San Francesco, Sant’Antonio e all’Immacolata. La costruzione era completata da un campanile che crollò nel XVIII secolo. La chiesa aveva un ossario per i frati ed una sepoltura comune. Erano inoltre presenti alcune sepolture nobiliari, ossia quelle delle famiglie Strada, Pecchio, Lecchi, Sanvitali, Del Pozzo, Sala Giuderini, Formentoni, Briani, Ferrario e Giussani. 188 L’oratorio è stato analizzato in: BRIOSCHI 1995. Purtroppo abbiamo poche notizie sulle attività svolte dai conventuali. Sappiamo che questi frati erogavano crediti con interesse del 3,5 - 4% e che ebbero frequenti liti con il capitolo della Basilica. Questi frati erano strettamente legati alla nobiltà locale e tale fatto è testimoniato dall’elevato numero di sepolture aristocratiche nella loro chiesa. Grazie a tali frequentazioni il convento possedeva un discreto patrimonio fondiario. Era dato particolare rilievo alla ricorrenza di sant’Antonio da Padova e vi si celebrava la festa del Perdono d’Assisi. La chiesa ospitava inoltre la locale confraternita dell’Immacolata. Sempre nella chiesa francescana era sciolto un voto civico che prevedeva l’offerta annuale di cinque libbre di cera. Al momento della soppressione nel 1777 il convento ospitava cinque sacerdoti e due frati laici; l’ultimo priore fu Giuseppe Antonio Beretta. Negli anni 1830-1840 gli antichi edifici furono sottoposti ad un profondo processo di ristrutturazione. Il Traversi, nuovo proprietario del complesso, affidò all’architetto bolognese Pelagio Palagi l’incarico di progettare una risistemazione degli ambienti. Appoggiandosi alle antiche strutture, fu realizzata una fantasiosa torre in stile neogotico. Nei progetti iniziali il complesso avrebbe dovuto avere due torri simmetriche. L’accesso al parco della Villa era assicurato da un grande arco trionfale in stile classicheggiante ornato con una larga fascia di cotto raffigurante putti che reggono festoni vegetali. A fianco di questa costruzione, avrebbe dovuto sorgere un eclettico mausoleo in forma di torre destinato ad ospitare le spoglie mortali del Traversi. Negli anni Settanta del secolo scorso il complesso è stato profondamente trasformato con la creazione del Museo di Mineralogia del concittadino Pio Mariani che costituisce una collezione di primaria importanza a livello internazionale. San Pietro al Dosso In mancanza di un rilievo nel manto stradale, l’insolito nome sembrerebbe derivare da San Pietro “ad deorsum” ossia “all’ingiù” e tale denominazione prenderebbe origine dalla modalità con cui il santo fu martirizzato. Cappellini ha ipotizzato che il complesso sia stato fondato dai monaci di San Colombano ma non esiste nessuna indicazione oggettiva in questo senso. L’edificio risulta nel catalogo di Goffredo da Bussero. Nel 1504 la comunità cittadina donò il complesso ai frati Serviti che si insediarono nel piccolo convento annesso all’oratorio189, ma la presenza di questi religiosi dovette essere non molto continuativa. In alcuni casi risulta residente in loco un solo religioso. Nel XVIII sec. l’edificio era in stato di abbandono e lasciato alle cure dei fedeli. Fu utilizzato dalla parrocchia per svariate usi come cappella secondaria (misurava metri 11 x 7). Qui si tennero i primi raduni del nascente oratorio maschile e durante il primo conflitto mondiale era allestita la camera ardente dei desiani caduti al fronte. L’edificio fu alienato a privati e completamente trasformato fino a rendere impossibile il riconoscimento delle strutture originali dell’edificio. Del complesso si è conservata la pala d’altare conservata nella sagrestia della Basilica. 189 ASM, Esenzioni, pa, cart. 154 Sant’Apollinare e Giorgio La piccola chiesa sorge nella frazione San Giorgio. La costruzione dell’edificio originale sembra risalire al XV secolo; negli atti delle visite dei Borromei la chiesuola risulta in stato di abbandono e diroccata, tanto che San Carlo ne ordinò l’abbattimento. Alla metà del XVII secolo don Giovanni Ambrogio Bareggi curò la costruzione dell’edificio con il bell’altare barocco ornato dal gruppo statuario della deposizione. Nel 1696 un altro sacerdote della famiglia, Giacomo Filippo dono tutti i suoi beni, compresa la cappella, all’Ospedale Maggiore. L’antico edificio di culto è ora di proprietà privata. Santuario della Madonna Pellegrina Sorge nella parte settentrionale dell’abitato lungo la via Milano. La chiesa fu eretta per iniziativa privata tra il 1951 ed il 1952. La solenne benedizione dell’edificio avvenne il 14 settembre 1952 per mano di mons. Bandera. L’edificio, disegnato dall’arch. Bugatti, ospita un simulacro mariano donato dai Cavalieri del Santo Sepolcro. Nel 1965 la chiesa fu sede provvisoria della neocostituita parrocchia dei santi Pietro e Paolo. Oratorio di San Giuseppe È annesso alla residenza della famiglia Ferrario-Brambilla-Buttafava posta all’estremità settentrionale dell’abitato al confine con Seregno. L’edificio risale al XVII secolo ed è costruito in forme barocche. La chiesa costituisce il centro religioso della sagra che si svolge ogni anno in occasione della festività del patrono. Altri edifici di culto non parrocchiali risalenti al XX secolo sono: • Chiesa B.V.I. dell’oratorio maschile • Cappella del Centro parrocchiale • Chiesa Sacro Cuore • Chiesa San Francesco • Cappella di San Rocco alla cascina Bolagnos • Cappella dell’Ospedale Rimane qualche esempio di cappelle annesse a residenze private: • Cappella della Villa Tittoni (sistemazione attuale risalente al 1860) • Cappelle delle due Ville Longoni di via Achille Grandi (una del XVIII, l’altra del XX sec). CAPPELLE ED EDICOLE SACRE Come detto, parte di esse sorge sopra punti di riferimento nell’organizzazione del territorio cittadino. In particolare S.Liberata e la cappella antistante il camposanto sono collocate su una direttrice lineare, infatti, anche se non è sempre ben evidente, viale delle Rimembranze è la prosecuzione rettilinea di via Pozzo Antico. Particolare interessante, che denota l’antichità delle originarie ubicazioni, è il fatto che le due cappelle sono poste alla distanza di un miglio romano esatto. La cappelletta della Madonna dei Boschi è invece una costruzione più tarda, infatti, contrariamente a tutte le altre edicole, non rispetta in alcun modo la struttura della centuriazione romana. Santa Liberata(via Pozzo Antico) La decorazione pittorica interna con figure di Santi sembra risalire al XVI secolo. Una leggenda cittadina vuole che la statua mariana posta nell’edificio sia stata trovata casualmente durante operazioni di aratura, pertanto essa sarebbe stata “liberata” dal terreno. E’ ovvio che questo racconto ha carattere eziologico e sembra creato appositamente per spiegare l’insolita intitolazione della cappella. Questa statua non è l’originale, che doveva essere invece quella della Santa su cui sono sorte controverse leggende. Stando alla documentazione esistente, la cappella non sembra essere stata oggetto di specifiche azioni di culto, eccettuati naturalmente gli atti di devozione privata e le rogazioni. Anticamente l’edificio sorgeva su area privata per cui nel 1882 fu acquistato dalla chiesa tramite la mediazione del sac. Enrico Pirotta. Cappella esterna del Camposanto (viale Rimembranze) É sicuramente di origine antichissima. Intorno ad essa vennero effettuate numerose sepolture fino alla fine del Settecento, quando l’area circostante fu cintata ed adibita a cimitero comunale. Forse ospitò sepolture comuni in epoche di peste, ma sicuramente vi venivano portati i resti esumati dalle sepolture poste anticamente intorno alla chiesa. In prossimità di questo luogo era collocato uno dei lazzaretti allestiti durante la peste del 1630. La struttura attuale sembrerebbe risalire al 1807, quando l’edificio, in seguito a minaccia di crollo, fu risistemato. In tale occasione fu costruito anche il portichetto antistante che fungeva da ponte per scavalcare il corso della Roggia. Foppone dei Boschi (via Agnesi) E’ un edificio a carattere eminentemente funerario edificato nelle forme attuali nel Settecento. Tutte le cronache concordano nel riferire che esso servì per le sepolture degli appestati. La cappella era una delle tappe delle rogazioni. La Santa Messa, stando alla documentazione d’archivio, vi fu celebrata per la prima volta solo nel 1944. Da alcune fonti sembrerebbe di capire che questo “foppone” servì per la sepoltura degli appestati non solo di Desio, ma anche di Bovisio e Varedo; vista la particolare ubicazione al confine con gli altri due paesi, la cosa non è affatto inverosimile Santa Eurosia (via Lombardia) Fisionomia e struttura dell’edificio originario ci sono sconosciute. Come alcuni anziani ancora oggi ricordano l’edificio antico sorgeva in posizione poco distante da quella attuale. Possiamo però dire che il piccolo luogo di culto fissato nella memoria di alcuni non è esattamente quello originale. Infatti alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il prevosto Mossolini mise alla prova le capacità dell’arch. Domenico Laveni per poi affidargli l’incarico ben più impegnativo dell’esecuzione del progetto della nuova basilica. A tale scopo il prevosto gli commissionò l’incarico di realizzare la ristrutturazione dell’antico edifico ormai fatiscente. Questi interventi alla fine degli anni trenta del nostro secolo risultarono però insufficienti; l’edificio necessitava di un appropriato intervento di sistemazione. Nel 1937 quando la fabbriceria, constatato che il suolo occupato dalla cappella avrebbe permesso l’allargamento della vicina proprietà Giussani, propose al locale industriale una permuta di terreno che prevedeva la cessione del suolo occupato dal piccolo edificio in cambio di una pari superficie prospiciente via dei Reali190. La ditta Giussani, considerato l’aumentato valore immobiliare della proprietà, provvide a realizzare a proprie spese la nuova cappella. L’esecuzione del lavoro fu affidata all’impresa costruttrice A. Schiatti su disegno dell’ing. Attilio Pissavini. La decorazione interna fu eseguita dal pittore Gersam Turri. Sotto l’edificio è situato un sepolcreto che accoglie i resti di numerosi defunti, compresi alcuni che furono qui traslati nel 1777 al momento dell’evacuazione dei sepolcri nella sconsacrata chiesa francescana. Santa Eurosia, come ricorda l’affresco nella piccola abside, era invocata per proteggere le messi dalle intemperie estive. Madonna del Piastrello (via Trento, angolo via Milano) Tra tutte le cappelle qui descritte quella del Pilastrello è sicuramente la più piccola, tanto da risultare quasi un'edicola in rilievo, appena sufficiente ad accogliere un minuscolo altare. Malgrado le ridotte dimensioni, questo edifico dovrebbe quasi sicuramente essere il più antico fra quelli considerati e la denominazione tradizionale di Madonna del Pilastrello rivela che la sua fondazione risale all’inizio dell’era cristiana e, molto probabilmente, è da collegare a consuetudini di epoca romana. Sembra che l’edicola sorgesse in corrispondenza dell’undicesimo cippo miliare. L’edicola originariamente era collocata poco più a sud all’angolo tra la via Matteotti e la via Milano 190 Attuale via Lombardia. LE CONFRATERNITE Le locali confraternite hanno caratterizzato la vita cittadina dal Cinque al Settecento anche per motivi estranei alla pietà religiosa. LA CONFRATERNITA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE Sussiste solo qualche traccia documentaria di questo sodalizio che sembrerebbe aver avuto origine nel XV secolo. I suoi scolari provvidero a far eseguire la bella croce in lamina d’acciaio ancora oggi conservata in Basilica191. La scuola negli ultimi anni di vita risultava operante nella chiesa dei Padri Francescani con un reddito irrisorio. Viene visitata nel 1688 e nel 1692. Nel 1733 i frati cercarono di impedire che il visitatore avesse accesso alla cappella ed ai libri contabili provocando la reazione dell’ispettore ecclesiastico192. LA CONFRATERNITA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO Fu istituita da San Carlo in occasione della visita pastorale del 1567. Nel 1584 la Scuola ebbe riconoscimento canonico e fu aggregata all’arciconfraternita della Minerva avente sede in Roma193. Gli aderenti, in ossequio al rito ambrosiano, indossavano abito rosso ed avevano come compito la diffusione del culto eucaristico e l’impegno di solennizzare con la loro presenza le processioni dedicate al Corpo di Cristo. La Confraternita aveva amministrazione propria in quanto era autorizzata a porre una cassa per le offerte in chiesa in quanto contribuiva per un terzo a tutte le spese per gli arredi liturgici della chiesa194. Di questa confraternita rimangono gli atti giudiziari che produsse contro i disciplini del Crocifisso. Una notevole qualtità di atti riguarda pure le liti per i diritti di precedenza in occasione delle processioni. Il sodalizio fu soppresso in seguito alle norme emanate da Giuseppe II. LA CONFRATERNITA DEL SANTISSIMO ROSARIO Fueretta all’alltare della Madonna in basilica nel 1604. Aveva come scopo la diffusine della pratica del rosario ed in generale la pratica della devozione mariana. Il sodalizio , fondato nel 1604, fu in seguito unito alla Scuola dei Disciplini. I DISCIPLINI O CONFRATERNITA DEL SANTO CROCIFISSO Un aspetto interessante delle vicende cittadine in epoca spagnola è costituito dalla perpetua rivalità tra le due locali confraternite. In un secolo in cui era impossibile esprimere il diffuso malessere, l'unico ambito in cui potevano manifestarsi i disagi era quello religioso, cosicché si crearono situazioni in cui 191 L’iscrizione sul manufatto recita: Opus Scolarium Capelle Conceptionis Virginis Mariae, site in templo divor Siri Materni Burgi Desii. Per l’analisi dell’oggetto si veda: BRIOSCHI 1998, pp. 121-123. 192 APD, cart.6. 193 MALBERTI 1961, pp.278ss.; CAPPELLINI 1972, pp.178s. 194 Le altre parti erano pagate dal Comune e dalla Scuola delle sante Maria ed Agata. In altre occasioni interverrà anche la sagrestia. orgoglio campanilistico, tensioni sociali e pietà religiosa si mescolarono profondamente e si espressero in modi esasperati. Dopo la visita del 1567 che trovò l’oratorio di san Bartiolomei in stato pietoso, ebbe inizio una raccolta di fondi che permise il restauro dell'edificio. San Carlo autorizzò inoltre la fondazione della Scuola dei Disciplini che iniziò la sua attività nel 1570 ed elesse a proprio priore Giovanni Sala, figlio di Pietro detto Giuderino. Fin dall'inizio ebbero luogo scontri e rivalità con la confraternita del Santissimo Sacramento. Ottenuto il riconoscimento canonico, il pio sodalizio aderì alla confraternita romana del Santo Crocifisso e San Marcellino e successivamente intentò contro i canonici e la confraternita rivale una lunga a complicata causa giudiziaria. I confratelli desideravano ottenere la piena autonomia dalla Piazza e chiedevano specificatamente: il possesso giuridico dell'oratorio che era stato restaurato a loro spese, lo svincolamento da qualsiasi rapporto di subordinazione rispetto alla parrocchia, la possibilità di effettuare autonomamente collette ed il diritto a nominare direttamente un sacerdote cui affidare la cura dell'oratorio, senza ricorrere al canonico della Basilica titolare del beneficio di san Bartolomeo. La causa giunse fino a Roma con una sentenza favorevole ai canonici; proseguendo la diatriba, si giunse ad un compromesso secondo cui furono formalmente riconosciuti ai canonici i loro diritti, ma l'oratorio della Vigana risultava praticamente svincolato dalla loro autorità. Altra divergenza che dominò il periodo fu la questione relativa a quale confraternita dovesse occupare il posto d'onore durante le processioni. Anche in questo caso si giunse ad una transazione nel 1616, rinnovata poi nel 1635, in base alla quale furono mantenute le vigenti consuetudini, mentre fu regolamentata la disposizione in occasione dei funerali e di alcune festività. A complicare la situazione ed a riaccendere gli animi mai placati sopraggiunsero i decreti dell'imperatore Giuseppe II che prevedevano lo scioglimento di tutte le confraternite. Quella del Crocefisso fu immediatamente disciolta, mentre quella del Santissimo Sacramento fu tenuta in vita, seppure sotto altra denominazione. Questo fatto scatenò la reazione degli uomini della Vigana che, recatisi appositamente dal conte Litta, ottennero la soppressione della rivale. Per tenere sotto controllo la situazione, in occasione della processione del Corpus Domini si dovette procedere all'utilizzo di quindici fanti armati per evitare scontri. Nell'intento di evitare tumulti, fu presa la decisione di eliminare i tradizionali abiti rossi (Piazza) o neri (Vigana) a favore di una divisa neutra di colore bianco (come nel rito romano). Il fatto scatenò ulteriormente gli animi di entrambi i contendenti che nel 1795 assalirono fisicamente le persone addette a reggere il baldacchino durante la processione del Corpus Domini195. 195 BRIOSCHI 1995 D, pp.14s. Altre notizie sulla rivalità tra le due scuole sono ritrovabili in BRIOSCHI 1998 A, pp.104ss. LE STRUTTURE SOCIALI LA POPOLAZIONE La popolazione di Desio nel corso dei secoli ha subito trasformazioni assai profonde. Le famiglie che posso “vantare” una presenza sul territorio a partire dal Basso Medioevo, ossia da quando inizia la documentazione scritta, sono davvero poche. Certi cognomi , anche se diffusissimi, non sono originari del territorio desiano, ma provengono da fenomeni migratori del passato, motivati anche dai frequenti spostamenti di agricoltori alla ricerca di contratti più vantaggiosi. Un registro di decime risalente al 1642 traccia un quadro abbastanza completo della popolazione di Desio e permette di percepire l’articolarzione in quartieri e la presenza di cascine sul territorio. Viene qui riportata di seguito la composizione dei singoli rioni con i cognomi delle famiglie che lo abitavano196. Vigana Arienti, Arosio, Baffa, Barna, Boffi, Briani, Buzzi, Capra, Carcassola, Carimati, Caspani, Cattaneo, Cavallino, Consonni, Deponti, Formentoni, Fumagalli, Galbiati, Galimberti, Giussani, Guidi, Lanzani, Luraghi, Motta, Mussi, Pansecchi, Pessina, Resnati, Ricardo, Sala (Folchietta-GiuderiniRampini), Tagliabue, Tunica, Vallassina, Vergani. San Pietro Baffa, Bianchi, Briani, Capra, Castiglioni, Corneo, Figliodoni, Formentoni, Minonzio, Motta, Oliva, Pansecchi, Pessina, Sala, Somasca, Varè, Zucca. Nella stretta dopo il mercato Cairate, Capra, Carante, Carcassola, Cerreti, Fino, Fossato, Giussano, Guido, Moto, Pansecchi, Sala, Solaro, Sommascha In Strada Appiani, Arienti, Bergomi, Biffo, Cantore, Capra, Carcassola, Castiglione, Crotto, Galbiato, Guenzato, Lavizari, Malberti. Maspoli, Massaggia, Pozzo, Reposso, Riva, Sala, Sommasca, Tagliabò, Trabbatono, Triulcio, Vergano. In Piazza Arienti, Bergami, Borgonovo, Briani, Carcassola, Elli, Guenzati, Guidi, Motta, Oliva, Sala, Solaro. In Bovisasca Arienti, Baffa, Bistorgio, Buzzi, Cantone, Carcano, Crotti, Dell’Orto, Galimberti, Lanzani, Leveni, Longoni, Meda, Pessi, Pozzi, Rusnigo, Sala, Santambrogio, Strada, Tagliabò, Villa. Nella Cassina di Georgio Aliprando detta la Cassina Bianca Aliprandi, Brivio, Tramatone. 196 Manoscritto in APD. Nella Cassina detta l’Alipranda Vimercati Nella Cassina detta del Santo Georgio Oreno Nella Cassina detta di Santo Apollinare Meda, Rivolta. Nella Cassinaccia o Cassina Bruggiata Giussano, lenttai, Sancto Ambrosio. Nella Cassina Nova vicina al Molino Rotto Sancto Ambrosio. Nel Molin di Scernasca detto il Molin Rotto Gaiano Nella Cassina delli Arienti di Sopra Arienti, Castaldi, Mariani. Nella Cassina delli Arienti di Sotto Arienti A questi gruppi familiari sono andati via via aggiungendosi quelli provenienti da altre zone della Brianza, poi da altre regioni d’Italia ed in tempi recentissimi anche quelli da paesi lontani. In questo lungo processo non c’è alcuna soluzione di continuità; è l’unica storia di una realtà cittadina che si allarga ad ambiti sempre più vasti. I SURANÒMM Occorre precisare che in passato, anche per ovviare ai frequenti casi di omonimia, si ricorreva ad un soprannome che qualificava meglio la persona. Questo “suranòmm” non era individuale, ma apparteneva ad un sottogruppo dell’insieme delle persone che portavano lo stesso cognome. Il soprannome non era trasmesso necessariamente per via paterna; molto spesso lo si acquisiva dalla madre se questa apparteneva ad un gruppo socialmente più rilevante o meglio conosciuto. L’origine di questi termini è molto varia; alcune volte è una deformazione di un nome di persona, più spesso indicano la provenienza, la professione o una qualità fisica del “capostipite”, ma molto spesso l’origine è un piccolo mistero. Si riporta di seguito una deliziosa poesia del compianto Giuseppe Rusnigo su questo argomento che qui assume il valore di un autentico documento storico. LA BALADA DI SURANOMM Chi, in del paés de Dés, ai temp indrée, ciamàss cun ul cugnòmm, l’era nò assée; perché se dava ‘l cas, putost de spèss, de tròpp famili cul cugnòmm instèss. Sto fàcc, al custringeva i galantòmm, a purtà a spàssa almen un suranòmm. Gh’era i Fulcéta, i Baregia, i Rubarèj, l Lavapècc, i Paja, i Bagiutèj, i Richìtt, i Manara, i Martinìtt, i Mataza, i Dunara, i Muretìtt, i Mazètt, i Busèta, i Lügüzzoeu, i Cabi, i Canelìtt, i Campiroeu. I Giorg, i Lanzan, i Lavandèe, i Mentìtt, i Pascenza ed i Furèe, i Suighètt, i Tubia, i Pulissana, i Puléja, i Teciàtt e poeu i Rusana, i Sarònn, i Zurìtt, i Parazzoeu, i Puldìtt, Resegòtt, Muj e Casgnoeu. I Baldissar, i Pucèla e i Pettenun, i Ceschìtt, i Barbaj e i Marangun, i Zupìtt, i Mistrangia e i Murnatèj, i Didoeu, i Pulògn, Musè e Nièj, i Medoeu, i Vasòtt, i Mezzgüstìtt, i Bidèj, i Gabòtt, i Bindelìtt.. I Brasàa, i Cassinée, i Viurìtt, i Levèsc, i Giulitti, i Liprandìtt, i Magnan, i Cassòtt, i Cavigioeu, i Ciceèj, i Zariìtt, i Poliroeu, i Lacìtt, i Brianza, i bagòtt, i Caterina, i Cunvègn, i Lia, i Bugiòtt. I Bregnan, i Pulòtt, i Cavagnìtt, i Valéra, i Biassòn, Bastée, Damìtt, Generai, Froselìtt, Agnées, Restoeu, Niculìtt, Maddalèna, Isèj, Gioustoeu, i Negrètt, Paradur, Noeuva, Binàj, i Silv’tt, i Spacun, Cabriìtt, Bagiaj. I Bèlfiur, Cechinètt, Majun, Curnèj, i Falzìtt, i Fanètt, I Cinisej, i Felìtt, i Panscèta, i Pergulìtt, i Ramètt, i Pinun, i Culumbìtt, i Milètt, Muntavégia, Luàcc, Mascèj, i Murun, i Pajna, i Magnanèj. I Mighèla, i Pulòra, i Lurenzìtt, i Ratun, i Peciana, i Reseghìtt, i Perìtt e poeu i Costa, Dòss, Turcée, i Savina, i Verzìtt, Paroeu, Murnée, Materassée, Figìtt, Zépitt, Balìtt, per finì cui Lujètt e cui Melìtt. Se è restàa foeu ‘n quei vun, feggh nanca a ment, al prossim turnu, vedum de mèttel dent, magari al post d’unur, a meno chè, vèss milzunàa, che faga nò piesè. Per pientà lì, e mètt a post tuscòss Ciamèmei tucc cul suranomm de Gòss. Persunalment, a mì, m’è cungenial Pù ‘l suranòmm, che ‘l codice fiscal. ASSISTENZA E BENEFICENZA In epoche passate tutti gli interventi a carattere socio – sanitario erano demandati all’iniziativa filantropica privata che in Desio ha preso corpo con l’istituzione di due Scuole, ossia sodalizi di natura religiosa paragonabili ad odierne fondazioni, che avevano come fini istituzionali quello di contribuire ad alleviare le condizioni di vita dei ceti più poveri. LA SCUOLA DELLE SANTE MARIA ED AGATA Occorre preliminarmente precisare che il termine “Scuola” non deve essere assolutamente preso nel senso che oggi noi diamo a questa parola. La Scuola delle Sante Maria ed Agata non aveva alcuna funzione a carattere educativo; essa era un sodalizio che gestiva un patrimonio fondiario ed i ricavati di queste attività erano finalizzati alla beneficenza. La data di fondazione della Scuola è ignota. Alla fine del Settecento gli amministratori dell’ente, in occasione del rendiconto annuale alle autorità superiori indicavano il fondatore del luogo pio nell’arcivescovo Ottone Visconti che avrebbe eretto l’oratorio a ricordo della sua vittoria sui Torriani nel 1277. Considerato però che la casa monzese degli Umiliati era appunto dedicata alle Santa Maria ed Agata sembrerebbe lecito collegare la scuola desiana alla presenza degli Umiliati sul nostro territorio. LA “SCHOLA” Non sussistono documenti oggettivi per stabilire la data esatta in cui iniziò ad operare ma sembrerebbe di capire che gli esordi dell’ente possono essere collocati con discreta sicurezza nei primissimi anni del XV secolo. L’amministrazione della Scuola era garantita da un consiglio formato da un priore e tre deputati nominati per cooptazione. Formalmente il presidente dell’assemblea era il prevosto, ma costui partecipava saltuariamente operando una sorta di sorveglianza sulle scelte del consiglio; il parroco appare quasi sempre presente al momento della nomina del priore ed in occasione della revisione dei conti. La parte esecutiva era affidata a due figure di rilievo: il cancelliere ed il cassiere. Il primo redigeva i verbali delle sedute, curava la tenuta dell’archivio e preparava tutte le pratiche giuridiche e notarili. Il secondo provvedeva alla riscossione delle entrate ed ai pagamenti. Normalmente costui gestiva in prima persona i fondi della Scuola senza distinzione tra la cassa dell’ente ed gli averi personali. Quando al termine del suo mandato presentava il rendiconto amministrativo egli versava alla cassa della Scuola quanto ancora si trovava in suo possesso197. Le assemblee erano generalmente tenute nell’oratorio di Sant’Agata, ma molto spesso anche nella casa d’abitazione del priore o del cancelliere. Negli ultimi decenni di vita della Scuola lo spazio preferito per le assemblee risulta un luogo denominato “coretto”, del quale si dice esplicitamente che era posto sopra la cappella di 197 Poteva anche avvenire che il cassiere utilizzasse i fondi per uso personale ed alla resa dei conti mancassero i liquidi. Accadde così nel 1626; alla sua morte il cassiere Gio Briani risultò debitore verso la Scuola di duecento lire. Gli eredi impiegarono sette anni a restituire l’importo che era stato gravato di un interesse del 5% annuo. sant’Agata in basilica. Dato che sopra l’attuale cappella non esiste alcuno spazio usufruibile a tale scopo, il coretto deve essere identificato con la loggia posta sopra l’attuale cappella del Getsemani che verosimilmente all’epoca doveva ospitare l’altare di Sant’Agata198. Nessun deputato riceveva alcun compenso per il proprio operato. Erano invece compensati con una cifra versata in soluzione unica a fine d’anno il cancelliere ed il cassiere199. Unica forma di “compenso” per gli amministratori era un pranzo in comune che si teneva in occasione del rendiconto amministrativo annuale, che generalmente aveva luogo nella settimana successiva alla festa di Sant’Agata. Come per la Scuola dei Poveri Putti, anche presso la nostra Scuola i deputati avevano una competenza territoriale, ossia provvedevano all’erogazione dei buoni ed alla proposte di assistenza per gli abitanti di un determinato quartiere (Piazza, Vigana, Foppa). Ognuno di essi aveva una determinata quota di elemosine che poteva erogare nel corso dell’anno. Per contributi di maggiore entità la decisione spettava invece al consiglio della Scuola. Il priore aveva invece a disposizione una quota maggiore con la facoltà di intervenire a suo “piacere e coscienza”. La modalità normale era quella di assegnare ai poveri dei buoni controfirmati, detti “segni”, che potevano essere spesi nell’acquisto di generi alimentari. La Scuola delle Sante Maria ed Agata non ebbe sulla vita sociale del borgo il medesimo impatto di quella dei Poveri Putti. Senza dubbio il Lampugnani ebbe modo di osservare le modalità organizzative della nostra Scuola e di evitare quelle dinamiche che avrebbero potuto impedire un funzionamento efficace dell’istituzione. Il benefattore colse il limite strutturale della Scuola delle Sante Maria ed Agata nel fatto che questo sodalizio aveva caratteristiche marcatamente parrocchiali. Non a caso Lampugnani operò delle scelte organizzative che ponevano la sua nuova istituzione completamente al di fuori del controllo ecclesiastico rendendola una struttura di ispirazione cristiana ma completamente laica negli aspetti giuridici ed organizzativi. La Scuola delle Sante Maria ed Agata era un ente sottoposto all’autorità del prevosto e sembrerebbe di capire che il priore fosse scelto personalmente dal parroco. L’autorità ecclesiastica presiedeva alle decisioni importanti, controllava la gestione economica ed in molti casi il prevosto sedeva fisicamente nell’assemblea. Forse Lampugnani volle evitare che i redditi della sua scuola non fossero finalizzati ad interventi di beneficenza ed assistenza, ma finissero per contribuire alle opere parrocchiali. Infatti buona parte delle entrate della nostra Scuola erano utilizzate a fini di culto o di gestione degli edifici religiosi. La Scuola contribuiva con la quarta parte delle spese per l’organista e l’alzamantici; pagava il predicatore quaresimale e, oltre a curare gestione e restauri dell’oratorio di Sant’Agata, contribuiva in occasioni straordinarie ad interventi di abbellimento della chiesa prepositurale. Una volta scomparso l’antico oratorio, la Scuola si fece carico delle spese relative alla costruzione ed all’abbellimento della cappella dedicata a Sant’Agata nella nuova 198 La sistemazione attuale della cappella risale al 1830. Nel 1618 i loro compensi annuali erano rispettivamente di 12 e 28 lire. Nel 1769 il salario del cassiere, vista la mole di lavoro, era salito a quaranta lire. 199 chiesa prepositurale200. Le spese per la nuova cappella erano tanto ingenti ed urgenti che il priore provvide a fornire personalmente le somme necessarie; l’importo gli fu poi reso ratealmente dalla Scuola. I BENI I beni posseduti dalla scuola erano una quota ingente del perticato complessivo. In occasione del catasto del 1511 la Scuola possedeva 534,3 pertiche di arativo, 41 di vigna oltre ad altre ventotto godute insieme alla Chiesa di Santa Tecla o al Convegno degli Umiliati di Monza, tanto che il suo complesso fondiario risultava per estensione il quinto del borgo dopo quello delle famiglie Dell’Orto, Malcalzati, Ferrario e del Capitolo201. Questa massa fondiaria agli inizi del XVI secolo dovette conoscere un periodo di cattiva amministrazione se, come ricordano gli atti della visita pastorale del 1567: La Scuola gode di un capitale che impiegano in elemosine a favore dei poveri. Dicono che furono alienati molti beni, che erano circa il doppio di quegli attuali. Un tempo questa scuola, come è stato detto, è stata male amministrata, al presente invece mediante la lodevole opera del reverendo Signor Prevosto, i libri sono tenuti regolarmente e si procede regolarmente. Inoltre, è stato ispezionato il libro di detti scolari nel quale sono descritte nei dettagli le elemosine e a chi sono date202. La Scuola risultava inoltre proprietaria di due case: una alla Pissina Morniga (piazza Cavour) l’altra, detta del Comune posta davanti alla facciata della basilica antica. Proprio per dare maggiore ariosità all’edificio sacro tale abitazione fu demolita nel 1629203. Un’altra casa in Borghetto fu acquistata nel 1728. Il grosso dei beni era costituito da terreni arativi seminati a cereali ed alcune pertiche di vigna. Come documentabile anche nell’amministrazione della Scuola dei Poveri Putti o dei beni del Capitolo, i deputati provvedevano a diversificare i canoni in base alle esigenze momentanee del mercato; per cui per determinati fondi si percepiva un fitto in denaro, per altri in natura qualora il prodotto garantisse un margine di guadagno significativo una volta immesso sul mercato. L’ASSISTENZA Mentre la maggior parte delle erogazioni della Scuola dei Poveri Putti erano finalizzate a concedere doti alle “nubende povere” o al mantenimento di maestro e medico, la nostra Scuola sembra essere stata destinata a tamponare emergenze sociali immediate, infatti la maggior parte dei contributi era costituita da piccole somme erogate a persone in difficoltà. Nei primi decenni del Seicento la quota destinata alle doti per le fanciulle povere è minima rispetto alle cifre destinate ai poveri. L’entità della dote era comunque molto ridotta in quanto era di sei lire . I beneficiari di queste elemosine spicciole erano quasi sempre donne, molte delle quali in condizione di emarginazione (vedovanza, malattie croniche). In qualche caso, 200 Il nuovo altare fu benedetto il 5 febbraio 1746 BRIOSCHI 1993 A. 202 Purtroppo questi registri sono andati dispersi. 203 L’affitto delle case, nel 1617, era di cinque lire annue. 201 in seguito ad una richiesta motivata, si poteva avere un contributo per un problema specifico. Valgano ad esempi nel 1622 sette lire per vestire Laura che va monaca, o tre lire alla moglie di Donato Buzzi per togliere di prigione il marito204. Altre erogazioni curiose risultano nel 1683 ad un pellegrino che se ne viene di San Giacomo in Galizia e due “mance” ad ebrei che si erano fatti battezzare rispettivamente nel 1665 e nel 1682. Un’occasione purtroppo ricorrente in cui la Scuola era chiamata ad erogare somme erano i frequenti passaggi di truppe. In qualche caso si acquistava pane da distribuire alla popolazione stremata dopo il mantenimento dei soldati, altre volte si arrivò ad autentici episodi di corruzione per convincere i comandanti ad acquartierarsi altrove (di solito a Seregno). La situazione economica sembra peggiorare nel terzo decennio del Seicento. Già nel 1626 per avere dei soccorsi un contadino si trovava in condizione di dare in pegno due pali di ferro ed una caldera205. La situazione alimentare precipitò però nell’anno 1629, documentata da un sensibile aumento dei segni distribuiti. Nel giugno 1629 fu trovata morta una donna al Dosso di San Pietro; la Scuola provvide al trasporto della salma, alle esequie ed alla sepoltura206. Nel corso del 1630 furono spese oltre 217 lire in vitualia (viveri) cioè risso, salle, lardo, butér, late et utensili et legna e mercedi di chi a cucinato la minestra che ogni giorno in tutto il sudetto tempo si è data la minestra alli infetti et sospetti di peste che si trovavano sequestrati nel lazzaretto in campagna lanno presente 1630207. Dunque per il periodo dal 22 maggio al 29 novembre abbiamo l’informazione che ammalati e sospetti di contagio erano isolati forzosamente in un lazzaretto che era posto probabilmente dove ora sorge la Cappella dei Boschi. Forse sfruttando la pausa concessa dal contagio in occasione dell’inverno, i reclusi poterono fare ritorno alle case, ma già nel mese di marzo dell’anno successivo era di nuovo operante il lazzaretto e restò tale almeno fino al 20 luglio. Ancora una volta la Scuola provvide a somministrare la minestra e si specifica inoltre che il lazzaretto era posto nelli campi del Gio Ferero e Mateo Somasca, detti alla Poncieta del Molino di San Pietro, vicino alla Rogia e ad altre persone sequestrate per sospetto in altri diversi luoghi in campagna208. La località di cui si parla è quasi sicuramente il punto in cui ora sorge la cappella esterna del camposanto; l’ossario sembrerebbe dunque sorgere sopra una fossa comune per gli appestati. L’opera della nostra Scuola era affiancata da quella dei Poveri Putti che provvedeva a dare oltre a vino e legna, pane alli poveri a le chapane; un incaricato della Scuola provvedeva a prelevare il pane dai fornai cittadini ed a distribuirlo agli internati. Lo speziale Ambrogio Corte forniva i medicinali ed era operante il medico Gerolamo Teuleio stipendiato dai Poveri Putti. I due enti provvedevano inoltre a pagare le sepolture dei poveri come attestano laconiche frasi come la seguente: Per far sepelire Iulia, scavata e coperta la fossa. 204 Stessa motivazione a favore di Bartolomeo Solaro nel 1652. ACD, Registro A2, p.120. 206 ACD, Registro S2, pp.188;120. 207 ACD, Registro A2, p.221. 208 ACD, Ibidem. 205 Alla seduta del consiglio per l’approvazione del bilancio del 15 gennaio 1631 sedeva al tavolo il prevosto Fabrizio Malberti; era succeduto a Antonio Strada vittima dell’epidemia. Nelle fonti si accenna ancora a vettovagliamenti agli appestati fino al 22 ottobre 1631; le ultime spese ebbero luogo in giugno e luglio 1632, mentre già da febbraio Milano era stata dichiarata libera dalla peste. ATTIVITÁ CREDITIZIA La conservazione dei verbali del capitolo nel XVIII secolo permette di inquadrare meglio l’attività creditizia svolta dalla Scuola. Considerato che la concessione di crediti era subordinata all’approvazione del consiglio, i verbali ci restituiscono con sufficiente completezza cifre e personaggi cui erano erogate queste somme. Normalmente erano accantonate alcune some a questo scopo e quando il capitale era restituito il consiglio provvedeva a reimpiegarla presso un altro destinatario. Gli interessi richiesti dalla Scuola risultano abbastanza costanti. Fino alla metà del XVII secolo è richiesto abitualmente un 5% mentre dal 1650 l’interesse passivo si attesta sul 4% e si mantiene costante per tutto il XVIII secolo. La fine della scuola va ricondotta al massiccio intervento dello stato che dapprima dissanguò le finanze dell’ente mediante la richiesta di un prestito forzoso nel 1794. Il colpo di grazia sarebbe giunto con l’epoca napoleonica e le soppressioni di tutti gli enti di assistenza e beneficenza. Gli ultimi atti dell’ente risalgono al 1808; dopo quella data tutti i suoi beni come quelli della Scuola dei poveri Putti e delle soppresse confraternite confluiranno nella neonata Congregazione di Carità. LA SCUOLA DEI POVERI PUTTI IL FONDATORE Giovanni Maria Lampugnani nacque in data imprecisata a Milano, da Giovanni Antonio e Paola Bicchieri. Già il padre possedeva alcuni beni a Desio; nel censimento cittadino del 1515 egli risulta proprietario di una casa e 182 pertiche di terreno209 e sembrerebbe che la permanenza del Lampugnani a Desio sia stata abbastanza regolare; egli avrebbe utilizzato la casa desiana come una sorta di residenza fuori porta ove trascorrere i periodi di riposo e dove controllare i momenti forti dell’annata agricola. Appartenente ad una famiglia di antico lignaggio, il Lampugnani, denominato nei documenti con il titolo di “magnificus dominus”, esercitava l'attività di mercante. Proprietario di botteghe e negozi a Milano, egli intratteneva un’ampia serie di relazioni economiche con città del centro sud ed in particolare modo svolse la sua attività economica a Roma e Napoli. Di particolare importanza fu l’acquisto nell’aprile del 1546 dal conte Gallarati, feudatario di Desio, di una casa da nobile posta nella contrada Bononia.210 I suoi acquisti immobiliari non si limitarono a Desio; infatti acquistò anche la cascina con fornace denominata "La Gogna" in Gorgonzola della superficie di 180 pertiche.211 Sposato con Ippolita Casati che era titolare di una rendita amministrata dal fratello, il benefattore non ebbe figli e forse questo fatto fu determinante nella scelta di beneficiare i fanciulli poveri di Desio. Sedici anni prima di morire provvide ad istituire la Scuola, nominare i deputati, redigere lo statuto e dotare l’ente dei beni necessari per il funzionamento. Morì a Milano il 27 marzo 1563 e fu sepolto all'ingresso della chiesa di Desio. LA SCUOLA DEI POVERI PUTTI La fondazione della Scuola risale ad un atto rogato dal notaio Giacomo Antonio Martignoni a Milano il 3 marzo 1547.212 Già dalle prime righe del testo emerge chiaramente che l'intenzione principale del donatore non era quella di fondare un generico istituto di beneficenza, ma quella di creare una autentica scuola. Tutte le attività assistenziali erogate dalla Scuola nella mente del fondatore appaiono secondarie e realizzabili solo in presenza di fondi idonei. La constatazione è che i figli dei contadini desiani sono privi di un “preceptore quale insegna a essi puti il principio dele littere, legere et scribere et con un pocho di abbacco, cioè somare, restare, multiplicare e partire". Per il raggiungimento di questi scopi il fondatore nomina di conseguenza una “compagnia” formata da sette persone di sua fiducia che si caratterizzano soprattutto in questa prima fase per lo stretto legame che essi hanno col territorio essendo infatti tutti abitanti del borgo. 209 La casa era collocata nella contrada Bovisasca e risulta appartenente al padre del Lampugnani già nel 1499. BRIOSCHI 1993 A. 210 A.S.M, notarile, filza 7351, documento 10 aprile 1546. 211 A.S.M., notarile, filza 7352, documento 9 dicembre 1547. 212 Del documento esistono diverse copie. Interessante è una copia settecentesca con fregi ed ornati conservata in ACD, ECA, 17,3. Il documento di fondazione riporta i nomi del priore, scelto personalmente da Lampugnani, il sindaco del borgo Adamo Castelletto, ed il nome dei sei deputati: Pellando Briani che rinuncia a favore del figlio Cristoforo, Pietro Sala Giuderini, Francesco Resnati, Bernardino Baffa, Giovanni Bergomi, Francesco Solaro. Ad eccezione del priore, tutti i deputati sono di estrazione non nobile. Essi provenivano dal ceto dei piccoli proprietari appartenenti alle famiglie più antiche del borgo; li potremmo in qualche modo definire dei “boni homines” ricchi unicamente del prestigio sociale goduto all’interno della comunità.213 Il fondatore prevede inoltre che il “capitolo”214 proceda alla surroga dei membri defunti o decaduti attraverso la pratica della cooptazione, riservando sempre al priore un duplice voto. I deputati eletti dovranno sempre essere del borgo di Desio. Nominato il gruppo dirigente, il fondatore passa poi a destinare alla Scuola una quantità di beni e, conscio della possibilità di abusi nella gestione del patrimonio, il Lampugnani vieta espressamente sotto pena di nullità del contratto qualsiasi atto volto alla vendita, obbligazione, permuta e pignoramento dei beni assegnati alla Scuola.215 L’attenzione del fondatore si appunta sugli eventuali abusi che potrebbero insorgere relativamente alla figura del maestro. Egli precisa che la carica non potrà essere ricoperta da un sacerdote titolare di altro beneficio, perché altrimenti le sue attenzioni sarebbero assorbite da altre cure. Il maestro non potrà pretendere dagli studenti "alchuna cossa né in premio né in dono" oltre il salario; se per caso ricevesse doni superiori a dodici soldi in un anno, tale somma gli sarà trattenuta sul compenso. Proprio per garantire la sua continua presenza, il maestro dovrà risiedere nella casa che gli sarà assegnata dalla Scuola. Le spese per eventuali lavori di miglioria che farà per la casa, saranno detratte dal suo stipendio. Istituita la Scuola, probabilmente nella mente del Lampugnani prese corpo il progetto di ampliare la quantità dei beni di questa fondazione per poter offrire una maggiore gamma di servizi alla popolazione rurale. Prende così corpo il testamento redatto il 15 giugno 1547 a rogito del medesimo notaio Giacomo Antonio Martignoni, con il quale il Lampugnani nomina la Scuola dei Poveri Putti erede unica di tutto il suo patrimonio. Salva la primarietà dell’intervento nel campo scolastico, la Scuola dovrà inoltre mettere a disposizione dei poveri di Desio alcuni importanti servizi: medico, medicinali, barbiere, contributi affinché fosse loro assicurato un dignitoso funerale, elemosine alle vedove, agli orfani, ai mendicanti di passaggio, doti. É anche stabilita l’eventualità di elargire doti per le ragazze di Desio "si de quelle de bona vita e fama aciò che le bone se conservano in la sua bontà et le cative se fazano bone ad honore et gloria de Dio". Lampugnani fissa l'entità di ciascuna dote in 213 Nei verbali della visita pastorale di Padre Lionetto da Clivone del 1567, essi sono definiti “ rurales”. APD, cart.6. Il termine spesso usato per indicare questo gruppo deliberante è coniato sul modello del capitolo della prepositurale di Desio. Il Lampugnani trovandosi a costituire un’istituzione a carattere collegiale mutuò le strutture organizzative dall’unico esempio che poteva avere: il capitolo della chiesa collegiata di Desio dove i canonici, con il prevosto, decidevano collegialmente le strategie di intervento e le modalità di gestione del capitale immobiliare. 215 La vendita era ammessa solo nel caso straordinario di soccorsi alimentari a favore dei poveri in gravissima situazione. 214 cinquanta lire imperiali con la possibilità per il capitolo di aumentare o diminuire tale somma. Il benefattore precisa che destinatarie delle doti siano non solo le ragazze virtuose, ma anche quelle di cattiva fama e ciò costituisce, per i tempi, un atto inedito e coraggioso a giustificazione del quale c'è la sua profonda umanità e religiosità. Nel paragrafo successivo il testatore stabilisce l’unico caso in cui sarà ammessa la vendita di beni della Scuola. Ciò potrà avvenire solo in caso di “orrende peste, calestrie, tempeste et guerre”, ossia situazioni in cui sia a repentaglio la sopravvivenza dei cittadini. Il passo successivo riveste particolare importanza perché il Lampugnani vieta espressamente agli amministratori della Scuola di utilizzare gli utili acquisiti per scopi che non siano strettamente connessi al beneficio dei poveri. In questo modo egli stabilisce l’impossibilità di speculazioni e movimenti di capitale. LE MODALITÁ ORGANIZZATIVE DELLA SCUOLA Il gruppo, che si autodefinisce “capitolo”, risulta composto da nove membri: in primo luogo dal priore che lo presiede ed è il maggior rappresentante dell'organismo, da sei deputati, dal cancelliere e dal cassiere. Nelle riunioni degli inizi del Seicento le delibere riguardano quasi esclusivamente la nomina di membri del Capitolo, la concessione delle doti o qualche intervento particolare.216 Progressivamente il gruppo acquisisce maggiori competenze avocando a sé ruoli e libertà prima concesse ai singoli deputati217. In questo modo il Capitolo si ritrova verso la fine del XVII secolo anche a deliberare su stipendi e spese varie, cosicché le competenze del cassiere risultano limitate e questa figura diventa un esecutore delle decisioni collegiali. Come si è visto, il fondatore nominò in prima persona il primo priore e i sei deputati. In seguito il gruppo provvide a effettuare altre nomine mediante il meccanismo della cooptazione.218 Dai verbali non risulta nessuna interferenza esterna, specie dell’autorità religiosa, nella scelta dei nuovi deputati. Un particolare interessante è però il fatto che i singoli deputati erano scelti in quanto residenti in uno dei quartieri del borgo ; ognuno di essi è legato ad un rione e si occupa degli assistiti della contrada. Ovviamente la carica di priore era affidata a personaggi di un ceto sociale ed economico più elevato; non a caso in più occasioni questa carica fu trasmessa di padre in figlio proprio per sottolineare il ruolo dirigenziale di alcune famiglie quali i Castelletto, gli Strada, i Belingeri. Nella mente del fondatore il gruppo dirigente doveva essere formato da un priore e sei deputati, senza prevedere nessuna figura dotata di funzioni specifiche. Nel corso 216 Delibere su interventi particolari, quali: contributi per spese di mantenimento delle truppe tedesche (delibera del 1610); fornitura di pane di frumento ai poveri del borgo (delibere del 1611, 1613, 1618); elemosine per acquisto di medicinali (delibere del 1614, 1617, 1619); rimborso danni per tempesta (delibere del 1619, 1622). 217 Nel 1637 sono stabilite nuove norme per le doti che non potranno più essere richieste privatamente ai singoli deputati, ma dovranno essere deliberate dal Capitolo. Nel 1686 viene regolamentata l’attività del cassiere: tutte le spese dovranno essere effettuate su mandato del Capitolo, il cassiere non potrà più fare elemosine in natura se non prima deliberate, non potrà concedere sconti sulle consegne dei grani senza il consenso del Capitolo, dovrà registrare sul libro cassa anche i prodotti in natura (grano e vino). 218 Una prima surroga di due deputati ebbe luogo quando il Lampugnani era ancora in vita. ASM, notarile, filza 8566, atto 11 giugno 1555. del tempo si sentì però la necessità di istituire due figure ben distinte: il cancelliere ed il cassiere. Al primo era demandato il compito di curare la correttezza formale degli atti, di gestire l’archivio, di seguire le pratiche notarili e redigere i verbali delle sedute annotandoli nel libro delle ordinazioni. Il cassiere–fattore, eletto dal capitolo, doveva invece amministrare la cassa e custodire il solaio e la cantina. Come fattore della Scuola era tenuto a vigilare affinché i terreni fossero ben coltivati dai massari, a visitare le loro case ed a provvedere ad eventuali riparazioni sia delle suddette case che degli stabili della Scuola. Doveva dar conto al Capitolo dei grani e del vino, non poteva effettuare pagamenti senza il mandato del Capitolo o di almeno quattro deputati. Una volta all'anno doveva relazionare su tutto ciò che aveva riscosso, pagato ed amministrato. I DIPENDENTI il maestro La carica di maestro era generalmente svolta da un ecclesiastico, ma il Lampugnani precisa nell'atto di fondazione che costui non dovesse godere di benefici, poiché riteneva che la cura di questi impegni avrebbe potuto distogliere la sua attenzione e dedizione dall’insegnamento.219 Generalmente il ricambio del corpo insegnante era frequente, dal 1574 al 1764 si succedettero, infatti, quarantanove maestri; questo può essere spiegato con il salario poco consistente e soprattutto con il fatto che tale mansione poteva interessare a giovani chierici; quando questi avessero ottenuto un beneficio più consistente, la mansione di maestro veniva abbandonata.220 Il maestro doveva risiedere nella casa assegnatagli dalla Scuola. Durante l’anno scolastico non poteva allontanarsi dal borgo senza licenza dei deputati, non poteva tenere messa durante le ore di lezione né partecipare a nessun uffizio se non nei giorni festivi. La sua condotta doveva essere “esemplare senza dare scandalo di sorte alcuna”, doveva tenere ubbidienti i suoi scolari e che “non habbino a giocare a nissun gioco et debbano attendere solo a leggere, scrivere ed imparare”. Dovrà essere quindi completamente dedito all’impegno assunto, presente di primo mattino “incomminciando la scuola quando si dice la messa del mattutino a Santo Materno”, decoroso nel comportamento. In questo lavoro potrà essere assistito da “duoi donzellanti”.221 il medico In una posizione sicuramente migliore di quella del maestro appare la figura del “fisico”, che risulta avere uno stipendio doppio rispetto a quello dell’insegnante.222 Dai documenti non trapela nulla circa l’attività di questo medico e, nella fase iniziale, esso non era neppure tenuto a risiedere a Desio. Nel 1574 la mansione di fisico della Scuola era infatti svolta da un medico di Monza, a cui ne successero altri 219 ACD, Atto di fondazione della Scuola dei Poveri Putti di Desio, 3 marzo 1547. ACD, 1,1, inventario 1741. 221 ACD, documento del 22 ottobre 1691. Contratto tra la Scuola dei Poveri Putti di Desio ed il maestro. 222 ACD, delibera del 1691 e successive. 220 due entrambi risiedenti nel capoluogo brianzolo. Il primo medico che risulta stabilmente dimorante a Desio fu Gerolamo Pellegrini nel 1593.223 il barbiere - chirurgo Denominato anche “chirurgo”, aveva la funzione principale di medicare ferite e praticare salassi, sempre operando dietro indicazione del fisico. Era tenuto a medicare i poveri rurali, il priore, i deputati con le loro famiglie e "tutti li ministri della scuola". Doveva inoltre prestare cura ai feriti durante le risse e qualora le stesse persone si fossero presentate alla seconda o terza visita ancora con ferite da rissa, doveva avvertire il Capitolo che avrebbe deciso sul da farsi. Il suo rapporto di lavoro era esclusivo per cui non poteva accettare altri incarichi nel borgo. Il suo salario era pagato dalla Scuola e parte di esso poteva essere sostituito con grano, vino o legna. Come i precedenti, questo dipendente aveva un’abitazione fornita dalla scuola. il farmacista Tra i vari interventi pensati dal Lampugnani vi fu anche la creazione di una farmacia che avrebbe dovuto fornire gratuitamente i medicinali ai poveri assistiti dalla Scuola e garantire un servizio di prima necessità a tutta la comunità borghigiana. Tale servizio risulta già operante nel 1582, quando la farmacia era gestita dal dottor Filippo Caranti. Tale servizio fu in seguito assunto dalla famiglia Erba che mantenne generazione dopo generazione tale incarico dal 1661 fino all’istituzione della Congregazione di Carità ai primi del XIX secolo.224 LE DOTI Nel suo testamento, Lampugnani previde la possibilità di erogare, stante la liquidità necessaria, doti alle nubende povere del borgo di Desio nella misura di cinquanta lire imperiali. Nel corso del tempo, questa, che doveva essere nella mente del testatore una delle attività secondarie rispetto all’insegnamento, divenne l’oggetto principale di discussione nelle sedute del Capitolo ed assorbì buona parte dei redditi della scuola. La concessione delle doti risulta sempre subordinata al parere favorevole del capitolo. In una fase iniziale le famiglie contattavano direttamente il deputato di quartiere che patrocinava la loro causa innanzi al capitolo. Con i priori Strada si passò invece alla pratica di presentare una richiesta formale di contributo che era oggetto di discussione da parte del consiglio.225 LE ELARGIZIONI Oltre ai servizi di cui si è detto (medico, barbiere, maestro, farmacista, doti) la Scuola erogava un’ampia gamma di contributi per far fronte a necessità contingenti. Ogni deputato aveva inizialmente a disposizione un “budget” personale che poteva utilizzare per aiuti a bisognosi. Nel corso del tempo alcune delibere modificarono questa pratica onde evitare abusi o clientelismi. Ogni deputato poteva ora assistere solo poveri del proprio quartiere e, in caso di malattia il provvedimento doveva 223 ACD, 1,1, inventario 1741. ACD, 1,1, inventario 1741. 225 ACD,delibera del 1637. 224 essere sottoscritto da almeno due altri deputati.226 In seguito fu previsto che tutti i “biglietti” per la fornitura di cibo e medicinali fossero firmati dal solo cassiere.227 Questi biglietti erano costituiti da buoni acquisto che il beneficiato poteva spendere presso esercenti del luogo. Una delibera del 1688228 prevedeva che tali biglietti fossero intestati al capofamiglia, in quando si era verificato il caso di donne o minori che avevano acquistato generi alimentari all’insaputa del padre o del marito; si specifica inoltre che questi documenti non potevano superare il valore di sei soldi. Da ultimo si deliberò che potevano accedere alle erogazioni solo i poveri censiti in un apposito elenco.229 Un discorso a parte merita la fornitura di farmaci. I poveri assistiti ricevevano gratuitamente medicinali dal farmacista, che poi provvedeva a presentare il proprio conto al Capitolo della Scuola. Da una nota meglio dettagliata del consueto, risalente al 1690,230 si rileva che in un quadrimestre cinquantaquattro persone avevano usufruito di questo servizio. Alla fine del XVII secolo è documentato l'uso della Scuola di provvedere al trasporto dei malati bisognosi presso gli ospedali milanesi.231 Una sola delibera accenna ad un servizio espressamente stabilito dal Lampugnani: le esequie dei poveri. Esso doveva essere stato sempre offerto, ma a fine Seicento sembrò necessario diminuirne il costo: nel 1694 si stabilì che, se i famigliari avessero usato più di due candele durante le esequie, avrebbero perso il contributo della Scuola,232 altre necessità apparivano più urgenti. LE VICENDE DELLA SCUOLA Nel periodo iniziale la Scuola operò sotto il diretto controllo del fondatore, che sicuramente vigilò sul suo buon funzionamento. Dopo la morte del Lampugnani si rilevarono abusi o deviazioni dalla volontà del testatore, principalmente in merito al compenso per i deputati.233 Nel 1567 la Scuola fu ispezionata dal visitatore pastorale padre Lionetto da Clivone. Egli analizza i beni posseduti dalla Scuola e rileva che hanno un valore complessivo di circa tremila scudi d'oro. Un documento del 1568 rileva che la Scuola era in "tanto disordine e rovina".234 Molto probabilmente questa accusa era infondata ed era nata nell'ambiente ecclesiastico desiano, desideroso di controllare la gestione della Scuola. Non a caso nel 1572 l'autorità ecclesiastica impose un'ispezione di cassa operata, alla presenza dei deputati, dal prevosto e da un delegato della Curia Arcivescovile.235 226 ACD, delibera del 1628. ACD, delibera del 1663. 228 ACD, delibera del 1688. 229 ACD, delibera del 1697. 230 ACD, delibera del 1690. 231 ACD, delibera del 1698. 232 ACD, delibera del 1694. 233 Il Capitolo provvide in più occasioni ad emanare disposizioni contro i deputati che risultavano debitori nei confronti della Scuola, giungendo ad ordinarne il decadimento dall’incarico in caso di mancato pagamento. ACD, delibere del 1689 e 1696. 234 ASM, religione, 2500. 235 ACD, 17, documento 21 aprile 1572. 227 Nel 1579 la Scuola fu visitata da San Carlo Borromeo che trovò le scritture in ordine e l’amministrazione regolare. L'arcivescovo impose due provvedimenti che non furono mai rispettati: la convocazione regolare delle sedute e l'assenso ecclesiastico ad eventuali vendite di immobili. La volontà dell'arcivescovo era quella di considerare la Scuola di Desio alla stregua di un luogo pio sottoposto al controllo ecclesiastico. Gli amministratori rivendicarono l'autonomia della loro istituzione da qualsiasi intervento esterno, cosicché giunsero a trascinare la causa innanzi al papa Gregorio XIII. Alessandro Lucini, vicario generale di Como e delegato apostolico "ad rem", emise nel 1588 una sentenza favorevole alla Scuola.236 In ambito ecclesiastico le accuse di malgoverno nei confronti degli amministratori continuavano; nel 1587 si lamentava la "delapidazione che s' è fatta dei beni della 237 povera scuola". Malgrado queste accuse, nel 1588 il capitale della Scuola era di 35.102,10 lire, come risulta dal bilancio presentato dal cassiere Francesco Malberti.238 Nel 1589 i beni della Scuola aumentarono con il lascito di Melchiorre Somasca che, tra le altre cose, istituì una dote di cinquanta lire per le nubende povere appartenenti al suo casato.239 In diverse occasioni si assiste alla concessione di prestiti alla Comunità di Desio. La Scuola, e i padri di San Francesco di Desio, furono tra i principali erogatori di liquidi all'ente locale: lire 3.000 nel 1628, lire 4.000 nel 1636, lire 5.550 nel 1682240, lire 7.000 nel 1686.241 Con i capitali ottenuti dalla vendita della possessione di Gorgonzola, la Scuola concesse al Comune nel 1696 un prestito di lire 10.000 al 4% per eliminare altri prestiti più gravosi contratti con i francescani e s’intendeva fondere in uno solo i due prestiti precedenti effettuati dalla Scuola al Comune.242 Ad impinguare le risorse della Scuola giunsero alcuni testamenti di possidenti locali che vollero così imitare il gesto del Lampugnani. Dapprima il canonico Castelletti, poi Marcantonio Carcassola ed infine Ottaviano Belingeri per citare solo i più generosi. Anche con il XVIII secolo la Scuola proseguì le sue attività fino all'epoca napoleonica; la scuola fu soppressa nel 1808 ed inglobata nella Congregazione di Carità, insediata dal sindaco Giuseppe Zucchelli. 236 Tutti gli atti della vertenza sono conservati in: ACD, 1,1. ASM, Religione, 2500, documento 17 novembre 1587. 238 Non è stato possibile rintracciare questo documento menzionato negli indici d’archivio. 239 ACD, 18,1; 66,1, documento 24 febbraio 1589. 240 ACD, 17, documento 8 agosto 1682. 241 ACD, 21, documento 12 agosto 1686. 242 ACD, 21, 1, documento del 1696. 237 ATTO DI FONDAZIONE DELLA SCUOLA DEI POVERI PUTTI243 Milano, 3 marzo 1547 Notaio Giacomo Antonio Martignoni In nomine Domini. Anno a nativitate eiusdem millessimo quingentessimo quadragessimo septimo, indictione quinta, die iovis, tertio mensis Martii. Cum sit quod infrascriptus magnificus dominus Iohannes Maria Lampugnanus deliberaverit errigere et fondare unam scholam artis litterarum, gramatice et scribendi et calcula fatiendi, modo et forma infrascriptis, in burgo Dexii, capite plebis, ducatus Mediolani, et elligere priorem et deputatos superinde et hoc in omnibus et per omnia prout in infrascripta lista et capitulis vulgari sermone redactis continetur. Que lista et que capitula sunt subscripta et firmata manu propria ipsius magnifici domini Iohannis Mariae, tenoris huiusmodi videlicet. Al nome de Dio Padre, Fiolo et Spiritu Sancto et dela Sancta individua Trinità. Considerando il magnifico domino Iohanne Maria de Lampugnano, fiolo del magnifico quondam domino Iohanne Antonio, citadino de Milano, de la parochia de Sancto Iohanne a Quatro Face de Porta Comasina, de quanto utile sia il sapere, el quale se acquista con la scalla de le lettere, le quale lettere a tutte le arte dano la luce e facilitare e pratichando esso magnifico domino Iohanne Maria nel borgo de Dexio, capo di piè, fora de Porta Comasina per dece millia vel circa, dove alchuni beni aluii concessi per Dio gratia, a compreso essere in dicto loco et borgo gran copia de puti deli poveri massari et agricoltori et brazanti e pisonanti, a li quali mancha il preceptore, quale insegna a essi puti il 243 ACD, 17,3; 67,1. principio dele littere, legere et scrivere, con uno pocho di abbacco, cioè somare, restare, multiplicare e partire. E volendo a tale cossa dil suo proprio, cioè de soi beni aluii per Dio concessi in dicto borgo et territorio succorrere, ha stabilito et ordinato di erregere fare e fondare una compagnia per tale effecto, quale habia essere e fare e durare nel modo et forma infrascripti. Et primo ellege et deputa seii homini del ditto comune del ditto borgo de Dexio per deputati et compagni, et oltra essi seii uno priore del ditto borgo, cioè misér Addam de Castelleto. Et li sei deputati sono questi cioè: Pellando Briano et pose luii Christoforo suo fiolo, Pedro de Salla dicto Judarino, Francesco Resnato, Bernardino Baffa, Iohanne de Bergamo et Francescho da Sollaro, li quali tuti priore et deputati, ellecti ut supra, sono tutti del ditto borgo de Dexio. Item, che manchando uno o duii o più de dicti deputati et compagni, che li altri possano ellegere altri tanti sino al dicto numero de seii oltra el dicto priore. El quale priore habia inciò et etiam circa le suprascripte et infrascripte cosse due voce. Et essendo discordia circa ditta ellectione, o in caso de negligentia che in dicti casi o laltro per altre de loro, chel sia licito a quelli dela magnifica familia et parentella de Lampugnano fare tale ellectione de tali che mancharano. Et che tali da essere ellecti siano del dicto borgo de Dexio, et questo sino al dicto numero sei oltra el dicto priore. La quale scola et deputati et compagnia nel modo predicto et infrascripto habia a durare sino in perpetuo. Ala quale scola et priore et deputati et compagni a nome de ditta scola tanto esso magnifico Iohanne Maria li dona,et dà et asegna per fare lo ditto effecto tanto li infrascripti beni immobili et ragione. Cioè una caxa qual gode esso magnifico misér Iohanne Maria, situata nel dicto borgo de Dexio, per luii acquistata dal signore Francesco da Gallarà, conte de Dexio, dove si dice in Bononia , como appare per instrumento rogato per domino Iacomo Antonio Martignono notaro a dì deci aprille mille cinque cento quaranta sei, ala quale coherentia da due parte strata, da unaltra el prefato signor conte Francesco et da laltra el signor Ludovico Longono. Item, peza una de vigna, situata nel territorio del ditto borgo de Dexio, pertighe dece vel circha; coherentia da una parte strata, da una altra Andrea di Carchasoli ditto Rofino, da una altra esso magnifico domino Iohanne Maria Lampugnano in parte et in parte Togneto de Salla et in parte sancta Tegia de Millano et da laltra li heredi de Bernardino Danono. Item, peza una di campo, situata ut supra, perteghe nove vel circha; coherentia da una parte la suprascritta giesa de Sancta Tegia de Millano in parte et in parte Togneto de Salla, da una altra esso magnifico domino Iohanne Maria in parte et in parte Andrea Carchasola ditto Rofino, da una altra Iohanne et fratelli di Pissi et da laltra strata. Item, peza una de campo, situata ut supra, perteghe octo vel circha; coherentia da una parte Galeazo Orenexe, da una altra esso magnifico domino Iohanne Maria Lampugnano, da un altra la giesa de Sancta Tegia de Millano in parte et in parte strata. Item, peza una de campo situata ut supra, ubi dicitur in strata Brige, perteghe vinti o cercha; coherentia da una parte quelli di Predelli, da una altra strada, da una altra li heredi de Ambrosio de Pradello et da laltra strada. Salvo sempre lo errore dele coherentie et del vero numero dele perteghe se li fusse. Con conditione perhò che dando esso magnifico misér Iohanne Maria altre tante perteghe quaranta sette de terra in dicto territorio, chel possa rescoder ad suo piacere le dicte perteghe quarantasette date et assignate ut supra, et eo casu le dicte perteghe quaranta sette ut supra siano liberate. Item, li dà et assegna un reditto de scudi vintiocto vel circa ogni anno, qual esso magnifico domino Iohanne Maria exigisse dal loco chiamato Monte dela Fede de Roma, aquistato como appare per instrumento rogato per domino Bartholomeo Capella, notaro in Roma, adì sedeci aprille per mezo de mano sensale de offitii. Et ancora como appare per instrumento de protesta facta per lo magnifico domino Iohanne de Prato in favore de esso magnifico domino Iohanne Maria, como appare per instrumento rogato per domino Iacomo Antonio Martignono, notaro de Millano, adì ultimo febraro prossimo passato. Con conditione perhò che esso magnifico misér Iohanne Maria possa rescodere seu retenire la ditta intrata, dando ala ditta scola altratanta intrata quanto importano li dicti scudi vintiocto, o vero lo valore in arbitrio de esso magnifico misér Iohanne Maria. La quale caxa et perteghe quaranta sette de terra et intrata ut supra ne ancora quello che darà per scontro ut supra non se possano per modo alchuno, né per dirrecto, né indirrecto, ne per alchuna causa impegnare, vendere, obligare, pignorare nè permutare sotto pena de nullità de qualuncha contracto quale se facesse in contrario, ma che restano in perpetuo a dicta scola per dicto effecto. Item, che li prefati priore et deputati et compagni, o la magior parte de lori, siano tenuti et possano elleger uno preceptore, quale habia da insegnare legere, de gramatica et scrivere et ancora uno pocho de abbacho, como di sopra a li suprascripti poveri puti fioli de dicti massari agricoltori, brazanti et pisonanti del ditto borgo di Dexio che vorano imparare et andare alla ditta scolla; et questo insino al numero de scolari cinquanta al più da essere nominati per lo priore et dicti seii deputati o per la magior parte de lori la quale scola si facia in dicta caxa ut supra. Item, che essi priore et scolari diano al dicto preceptore quale sarà deputato et ellecto per lori nel modo soprascritto per sua mercede lo uso et habitatione di dicta caxa dove se farà la ditta scolla como di sopra, et ancora lo usufructo et gaudimento dele ditte perteghe quarantasette de terra assignate ut supra, et ancora lo usofructo del ditto reddito deli dicti scudi vinti octo vel circa ogni anno et questo alla ratta del tempo, secondo che esso preceptore servirà. Et che essi priore et deputati possano scodere lori la intrata de ditte perteghe quarantasette et la intrata deli scudi vinti octo et darla al ditto preceptore. Et che essi priore et deputati o magior parte de lori possano mudare preceptore ancora che non fusse fornito l'anno quando cossì a lori piacessi o per causa che se trovasse non facesse il debito suo o altramente. Item, che essi priore et deputati advertiscano de non ellegere in preceptore niuno prete de cura o beneficiato, adciò non habia causa de perdere el tempo circa ciò, et adciò sia esso preceptore persona che possa attendere alla ditta scola ad insegnare nel modo soprascritto. Item, che detto maistro se acontenta dela ditta intrata, la quale li è assignata nel modo suprascritto, né possa tore a ditti putti alchuna cossa né in premio né in dono, ma se contenta de insegnarli per il ditto suo stippendio et pagamento ut supra et cossì giura et facia como di sopra. Et achadendo che detto preceptore per qualche modo tolesse qualche cossa che importasse più de soldi dodeci in tutto in uno ano da qualchi scolari o soii agenti, che li siano retenuti et compensati sopra la sua mercede. Item, accadendo fare qualche spexa in ditta caxa et beni assignati ut supra, che in quello anno et tempo quale accaderà fare dicta spexa che se piglia dela ditta intrata et reddito de quello anno nel quale accaderà fare la ditta spexa ut supra; et cossì se faza de anno in anno secondo il bisogno alo arbitrio deli prefati priore et deputati ut supra et de soii successori. Item, et che li puti poi che saperano il Pater et lavemaria, ogni dì una volta ciaschuno de loro dichano in la ditta scola avante la imagine dela Sancta Trinità che li sarà data pincta in ditta scola, et cossì facia il preceptore in sua compagnia; el quale preceptore ancora una volta lanno, in più volte, legia il salterio comune della Sancta Madre Giesa. Io Iohanne Maria Lampugnano soprascripto affermo quanto de sopra si contiene et per fede o sottoscritto de mia propria mano, adì tri martio millecinquecentoquarantasette, in Milano. Modo autem prefatus magnificus dominus Johannes Maria Lampugnanus, filius quondam magnifici domini Johannis Antonii, Portae Cumane, parrochie Sancti Iohannis ad quatuor Faties Mediolani, pro executione premissorum etiam ad petitionem, instantiam et requisitionem prefatorum prioris et scolarium ut supra, ibi presentium et nomine dicte scole stipulantium, necnon etiam ad petitionem ut supra mei notarii infrascripti, persone publice stippulantis et recipientis nomine dicte scole et etiam stippulantis nomine cuiuslibet alterius persone cui interest,et intererit seu interesse potest et poterit quomodo libet in futurum. Affirmavit et affirmat, et fecit et facit ac elligit et elligit suprascriptos priorem et deputatos ac executores premissorum. In omnibus et per omnia et de verbo ad verbum prout in suprascripta lista et suprascriptis capitulis continetur Et ad dictum effectum assignavit et assignat suprascriptis priori et deputatis ut supra ibi presentibus ut supram suprascriptam domum et suprascriptas pertichas quadraginta septem vel circa terre et suprascriptum redditum de quibus supra. Et hoc modo a forma prout super et non aliter nec alio modo et pro maiori premissorum corroboratione transtulit et transfert prefatus magnificus dominus Iohannes Maria in dictam scolam necnon in dictos priorem et deputatos, nomine dicte scole presentes ut supra, necnon indictum me notarium infrascriptum nomine dicte scole stippulantem ut supra dominium et posessionem dicte domus et dictarum perticarum quadraginta septem terre, de quibus supra, et dicti redditus ut supra, cum iure,et facultate ea bona locandi et eorum redditus et etiam redditus dictorum scutorum vigintiocto auri omni anno percipiendi, et hiis modo et forma prout facere poterat ipse magnificus dominus Johannes Maria ante presens instrumentum, et hoc ad dictos effectus de quibus supra, non intendens tamen prefatus magnificus dominus Iohannes Maria per suprascripta aliquo modo obligare aliqua alia sua bona mobilia nec immobilia, nec credita, nec iura presentia nec futura quovismodo tacite nec expressa. Promitens prefatus magnificus dominus Iohannes Maria, obligando suprascripta bona ut supra expressa et non aliqua alia bona pignori dictis priori et deputatis ibi presentibus et nomine dicte scole stippulantibus necnon et dicto mihi notario nomine dicte scole stippulanti ut supra, et etiam stippulanti nomine aliorum quorum interest et intererit ut supra habere rata, grata et firma omnia et singula suprascripta, et omnia contenta in suprascripta lista et capitulis tenoris suprascripti, et nullo tempore aliquo modo contrafacere nec venire aliqua occasione, ratione vel modo de iure, nec de facto in iuditio nec extra. Et de predictis prefactus magnificus dominus Johannes Maria rogavit me Iacobum Antonium Martignonum notarium infrascriptum ut de predictis publicum confitiam instrumentum unum et plura tenoris eiusdem etiam de capitulo in capitulum prout expediens fuerit. Actum in domo habitationis magnifici iureconsulti domini Andree Roberti, sita in canonica reverendorum dominorum ordinariorum ecclesie maioris Mediolani, presentibus Johanne Gaspare de Putheobonello, filio domini Aluisii,porte Ticinensis, parrochie Sancti Petri in Caminadella Mediolani et Antonio de Grassis, filio domini Iohannis Petri, Porte Nove, parochie sancti Eusebii Mediolani, ambobus Mediolani, notariis et pronotariis. Interfuerunt ibi.testes prefatus magnificus dominus Andreas Robertus, filius quondam magnifici domini Cesaris, habitans in dicta canonica ut supra, reverendus dominus presbiter Donatus de Carchasolis, filius quondam domini Pauli, Porte Romane, parrochie Sancti Michaelis ad Murum Ruptum Mediolani et dominus Hector de Madiis, filius quondam domini Baptiste, familiaris prefati magnifici domini Andree et habitans in eius domo habitationis sita ut supra. Omnes noti et idoneii ac ad premissa spetialiter vocati et rogati. Ego Iacobus Antonius Martignonus, filius quondam domini Iohannis Marci, civitatis Mediolani, Porte Verceline, parrochie Sancti Victoris ad Theatrum, publicus imperiali auctoritate notarius rogatus tradidi et subscripsi. TESTAMENTO DI GIOVANNI MARIA LAMPUGNANI244 Milano, 15 giugno 1547 Notaio Giacomo Antonio Martignoni In nomine Domini. Anno a Nativitate eiusedem millesimo quingentessimo quadragessimo septimo indictione quinta, die merchurii, quinto decimo mensis iunii. Conciosia cosa che la vita e la morte siano in mano de Dio Onnipotente e più presto siamo sotto speranza de morere che di vivere et venire a subitanea morte. Perhò nel nome de Dio e de la gloriosa Vergine Maria, mi Gio Maria de Lampugnano, fiolo del quondam domino Io Antonio, dela parrochia de Sancto Iohanne a quatro Faze de Porta Comasina de Milano, che sono sano per Dio gratia de mente, intelecto et de buona memoria, timendo il iuditio di Dio, et vedendo et considerando che niuna cosa è più certa dela morte, non volendo morir senza testamento, ne' lassar le mie cose et beni inordinati, ho deliberato di fare et così fazo lo mio presente testamento et ordinamento, quale voglio chel valia per via de testamento nuncupativo senza scripto. E in caso chel non valesse ne tenesse per via de testamento nuncupativo senza scripto, voglio chel vaglia per via de codicillo, et in caso chel non valesse per via de codicillo voglio chel vaglia per via de legato, e in caso chel non valesse per via di legato, voglio che valia per via de donatione per causa de morte, la qual fazo a ti notaro infrascripto como persona publica che stippula a nome deli infrascripti miei heredi et legatarii et etiam a nome de qualuncha altra persona la quale havesse interesse in le infrascripte cose, e in caso chel non valesse per via de donatione per causa de morte, voglio chel vaglia per causa dela mia ultima bona voluntà et per ogni altra miglior via e modo e forma chel po meglio valere. 244 ACD, 17,3; 67,1. In prima ricomando l'anima mia e lo spirito mio alo Altissimo Creatore et ad tutta la corte celestialle. Ancora a petitione de ti notaro che stipula et receve a nome deli infrascripti mei heredi et legatarii, et ancora a nome de qualuncha altra persona che havesse o possesse havere interesse in le infrascripte cose, dicto et protesto haver fatto duii altri testamenti codicilli legati et donazione per causa de morte, rogati per ti notaro li anni et di che se conteneno in quelli li quali testamenti codicilli, legati et donatione per causa de morte, et tutto quello che in essi se contene et ancora ogni altri testamenti, codicilli et legati quali se ritrovasseno per qualche modo per mi fatti, per tenore de questo mio presente testamento et ultima mia volontà, li casso, revoco et anullo, et voglio che non habiano effecto alchuno, et voglio che siano tanto quanto non fusseno mai stati fatti per che così è la mia bona et ultima voluntà, ancora chel fusse necessario fare mentione de qualche cosa in specialità in questo mio presente testamento perché voglio che questo mio presente testamento habia effecto et sia derogatario a tutti li altri. Ancora voglio et ordeno che ritrovandosi qualche cosa male acquistata essere pervenuta in mi per qualche modo, che siano restituite a quelle persone quale doverano essere restituite de ragione. Ancora voglio et ordeno che circa la sepultura del corpo mio et ancora circa le exequie che se faza et seguita secondo lordine, quale sara per me dato et ordinato sopra una lista particulare de questo, et non più oltra la quale lista sarà scripta et sotoscripta de mia propria mano, quale se dara a ti notaro o vero ali mei heredi o vero alla mia consorte. Ancora voglio et ordeno che, passato lo primo anno di poii la morte mia, li mei heredi siano obligati ogni anno sino in perpetuo far fare uno offitio da morto de messe dodece piccole et una messa granda, con una croce sola de legno sopra la quale li siano accese cinque candelle, et ancora siano accese due candelle per ciaschuno altare dove se diranno le messe piccole, et quatro candele alo altare dove se cantarà la messa granda e non più e voglio che tale offitio se faza ogni anno lo primo varnedì de marzo dopo la morte mia et ubi che tale vernedì fusse de quadragessima o vero che non se facesse offitio in tale giorno, in quello caso voglio se faza lo primo mercoldì seguente el quale offitio voglio se faza ad honore et gloria de Dio et in mercede de quelle anime trapasssate che ne haverano bisogno. Et tale offitio se possa fare in quale giesa se voglia et transmutare la giesia tante volte quante parirà ali infrascipti mei heredi. Ancora voglio et ordino che fosse la mia morte ogni anno sino in perpetuo nel giorno dela Transfiguratione del nostro Signore Yhesu Christo quale se celebra del mese de augusto, voglio che se celebrano mese dodece computata una messa granda in una dele giese dela terra de Dexio dove parirà ali mei heredi, et voglio sia satisfacto ali sacerdoti quali celebrarano tale messe la lori mercede et questo ad honore et gloria de Dio et del misterio de tale giorno. Ancora voglio et ordeno che acadendo che in la deputatione per me facta deli poveri puti scolari dela dicta terra de Dexio, como appare per instrumento rogato per ti notaro adì tri del mese de marzo proximo passato, havesse manchato che accadendo che in la dicta terra de Dexio non li fussi al compimento de cinquanta scolari poveri, voglio et ordeno che li deputati sopra ciò che sono de presente et che sarano per lo avenire possano tore sino al ditto numero de cinquanta poveri puti per scolari deli lochi vicini ala ditta terra de Dexio per due millia vel circa, andando sempre iustamente non per favore, ma sempre preferendo li puti poveri de ditta terra de Dexio et poii quelli mancharano dele altre terre vicine sino al ditto numero de cinquanta. Et ancora voglio et ordino che accadendo che quelli beni e intrata ho lassato ala dicta scola per mercede de insegnare ali dicti puti sino al ditto numero de cinquanta non fusseno sufficienti a mantenire lo magistro, voglio che la mia heredità sia obligata per ditta causa ad ciò che sempre se mantenga la ditta scola et lo resto dela intrata dela mia heredità voglio se dia et se distribuischa per amore de Dio et in altre cosse secondo che qua de sotto se dirà. Ancora accadendo che poscia mia morte non fusse maritata Caterina fiola de misser Io Stephano de Pozzobonello e fiola de madonna Romana di Malcalzati, in quello caso li lego et iudico et voglio et ordeno li siano donate et date per amor de Dio libra milla imperiali per maritarla temporalmente o spiritualmente, e non altramente et voglio sia satisfatta in denari trovandosi alhora tanti dinari o vero quella parte la quale alhora se ritrovarà, et manchando tutti o parte voglio promettano ditti mei heredi de satisfarla dele prime intrate se cavarano dela mia heredità. Ancora acadendo che poscia mia morte non fusse maritata Angela fiola de messer Augustino de Monte et fiola de madonna Clara di Malcalzati, in quel caso li lego et iudico et voglio et ordeno li siano donate et date per amor de Dio libra milla imperiali per maritarla temporalmente o spiritualmente e non altramente et voglio sia satisfatta in denari trovandosi alhora tanti dinari o vero quella parte la quale alhora se ritrovarà, et manchando tutti o parte voglio promettano ditti mei heredi de satisfarla dele prime intrate se cavarano dela mia heredità. Ancora voglio et ordeno che al tempo dela mia morte tutto quello se ritrovarà in debitori et mercantie se scodeno, et le mercantie se vendano et deli dinari se scoderano et cavarano voglio et ordeno se ne compra per ditti mei heredi tanti beni stabili o intrata insieme con li dinari se ritrovarano alhora in cassa et voglio che le intrate se cavarano da essi beni seu intrata se diano tutti per amor de Dio in executione del presente mio testamento. Ancora voglio et ordeno che dele intrate reusirano dela mia heredità se ne dispensa ali poveri infermi seu amalati de ditta terra de Dexio e a quelli pagarli lo medico le medicine lo barbè per solassi et ventose et darli ancora qualchi dinari per comprarse qualche cosa per sustentatione de dicti infirmi, et se qualchi poveri de dicta terra domandarano per lamore de Dio aiuto de sepellire li soii morti voglio li pagano la spesa de farli il corpo cioè de duii preti del sataratore et de una croce de legno con cinque candelle de cera sopra accexe, e similmente voglio diano aiuto de elemosina ale povere vidue con li soi figliolini et ali poveri puti orphani de patre et matre, intendendo però deli fioli pizinini che non fanno ne ponno fare arte alcuna, et ancora voglio se maridano dele putte de ditta terra de Dexe, si de quelle de bona vita e fama como ancora de quelle de malla vita et fama aciò che le bone se conservano in la sua bontà et le cative se fazano bone ad honore et gloria de Dio, et voglio che ditti miei heredi li diano per ciaschuna de lori libre cinquanta imperiale et quello più e mancho parirà a essi miei heredi, e similmente perché in poveri gentilhomini et altri ale volte per non haver il modo compìto de maritare le sue fiole restano incasa vege inubile, voglio et ordeno che in tale caso advertischano dicti mei heredi, et veduto et cognosciuto in facto il bisogno voglio che ditti mei heredi li diano aiuto secretamente per aiutarle ad maritare et darli quello che a essi mei heredi parerà havendo consideratione alla qualità dele persone et secondo lessere suo, advertendo ancora che ale volte restarano dele pute quale sarano de maritare o apressa il tempo como sarebe de anni dece octo vel circa le quale restarano senza padre et matre, non obstante habiano qualche cosa, ad queste tale agravo li mei heredi per amor de Dio ad usarli bona diligentia da collocarle in casa de qualche persona da bene, et essendo bisogno voglio li sia dato qualche aiuto per lo vivere et vestire sino atanto siano maritate et questo sia in arbitrio de dicti mei heredi. Ancora voglio che acadendo che Dio ne mandasse qualche orrende peste, calestrie, tempeste et guerre per la quale cosa molte persone vengano alo extremo dela morte, voglio et ordino che a tali poveri del ditto loco de Dexio ali quali accaderà tale cose o alchune de quelle li sia subvenuto in quello li sarà bisogno, aciò che per tale cause o alchune de quelle non morano de fame, et non essendo modo di poterli subvenire dele intrate de mei beni voglio et ordeno che in tale necessitate se possa vendere o impegnare qualchi beni de mei beni per sustentatione de quelli poveri quali si si ritrovarano in tale miseria et calamità et in altro effecto non voglio se possa vendere. Ancora acadendo passare per pasagio per la ditta terra de Dexio qualchi poveri mendichi, voglio sia subvenuto de qualche elemosina adciò possano andare a casa sua per lamore de Dio. Ancora voglio et ordeno che tutto questo bene et tutti suprascritti legati se fazano prima alle persone povere habitante in la ditta terra de Dexio e poii alli altri convicini poveri a la ditta terra e poii ancora ad altri de altre parte et lochi se si poterà dove parrà a mei heredi sia bisogno, ma voglio et ordeno in ogni caso che li legati facti de maritare quelle due pute de Pozobonello et De Monte siano exeguiti nel modo stano ditti legati. Ancora ordeno et voglio che exeguite le suprascritte cose, accadendo se avanzassi de la intrata voglio et ordeno in tale caso che tuto quello se avanzarà sia impiegato ad beneficio de ditti poveri et in exeguire la mia voluntà. Ancora voglio et ordeno che exeguite le suprascritte et infrascritte cose, acadendo se avanzasse de la intrata de mei beni si deli beni lassarò al tempo dela mia morte como de le intrate se aquistaranno deli dinari, se scoderano da debitori et deli dinari dele mercantie se venderano et deli dinari se ritrovarano in cassa, in tale caso voglio et ordeno che tale sopra più de ditta intrata sia impiegata, et in tale caso voglio et ordeno siano sallariati uno medico et uno barbero et datoli quello salario sarà ordinato per mei heredi li quali medico et barbero stiano et habitano in ditta terra de Dexio. Li quali medico et barbero siano tenuti medicare amore Dei li poveri de ditta terra de Dexio et ancora li altri poveri vicini alla ditta terra per tre millia et ancora de li altri poveri secundo ordinarano li mei heredi. Et ancora voglio et ordeno che possendo detti nei heredi far fare una speciarìa per dare le medicine ali ditti poveri voglio se faza per magior comodità de ditti poveri la quale speciarìa farà ancora comodità ale altre persone non povere habitante in ditta terra, et in ogni caso voglio et ordeno se faza ditto effetto ritornato che sia in la heredità lo infrascritto usufructo fatto alla mia consorte del quale usufructo qua de sotto se ne parlarà. Ancora voglio et ordeno che ultra le suprascritte et infrascritte cose, se seguischa et exeguischa tutto quello che per me sarà notato et scripto de mia propria mano sopra una lista quale sarà apressa de ti notaro, o vero de madonna Hippolita mia consorte, o vero de mei heredi tanto in maritare quelle fiole nominate in ditta lista, quanto in altre cose quale sarano descripte in ditta lista. Ancora e lego e indico e lasso a madona Hyppolita de Caxà mia consorte, fiola del quondam domino Aluisio, lo usufructo dela mia caxa granda dove habito de presente, situata in Porta Comasina, parrochia de Sancto Johanne a Quatro Faze de Milano. Et questo in vita sua tanto così stando vidua como remaridandose, con il caricho perhò ala ditta mia consorte de pagare libre cinquanta sette, soldi deci imperiali ogni anno alla scola de santa Corona de Milano durante lo ditto suo usufructo. Et voglio et ordeno, che accadendo che la prefata mia consorte non possesse godere la ditta casa in vita sua como de sopra per qualche caso quale occorresse sopra ditta casa, che in tal caso voglio et ordeno che li siano date per li infrascritti mei heredi libre ducento imperiale ogni anno in vita sua per scontro delo usufructo de ditta casa, oltra le libre cento ogni anno li lasso como qua de sotto se dirà. Et ancora lasso alla ditta mia consorte libre cento imperiale ogni anno in vita sua videlicet, quale voglio li siano date ogni anno per li mei heredi et in principio de lanno adciò non patischa et ancora voglio et ordeno che la ditta mia consorte possa de sua propria autorità retenire et tore liberamente ad suo piacere tute le sue veste et collane et zoiie per mi a leii date et donate. Et ancora lasso alla ditta mia consorte liberamente tutti li mei beni mobili et utensilii de casa quali lassarò al tempo dela mia morte, sì in Milano quanto fora in villa, excepto perhò alchuni pochi mobili quali lasso ali mei heredi, li quali ho expresso abocha alla ditta mia consorte, et deli quali mobili exceptuati ne appare una notta scripta de mia propria mano aleii lassata, li quali mobili et utensilii lassati alla ditta mia consorte voglio li possa tore de sua propria auctorità senza adomandarli alli heredi. Et ancora li lasso tanto vino et fromento per uso suo et de una serviente et de uno servitore del vino et fromento quale se ritrovarà in casa al tempo dela mia morte adciò possa vivere sino venga al novello; et voglio habia tuta la legna et altre monitione cibarie quale se ritrovarano in caxa al tempo dela mia morte. Et ancora elego et iudico et lasso ala prefata madona Hippolita mia consorte ultra le suprascritte cose lo usufrutto et gaudimento dela mia possessione dela Gogna, plebe de Gorgonzola, in vita sua ut supra, insiema con la scorta ha lo massaro et ancora tutte le tine, navaze e vaselli et altri utensilii quali al tempo dela mia morte se ritrovarano in dicto loco dela Gogna, quali utensilii voglio non siano mosi, in modo alchuno per alchuna persona, per che voglio che tali utensilii siano per uso de ditta mia consorte in vita sua ut supra, et pose sua morte voglio siano ritornati a mei heredi in quello grado che alhora se ritrovarano e similmente la scorta del massaro sia restituita finito ditto usufrutto nel modo se ritroverà alhora. Et ancora voglio habia ditta mia consorte in vita sua lo usufrutto dela caxa granda de Dexio et del brolio con la caxa dove de presente habita Gulielmino Carchasola, et ancora lo usufrutto de pertege due ogni anno de boscho de taiiare del più grosso, et acadendo habitasse ditta mia consorte in ditta terra de Dexio, et non havesse bisogno de più, voglio li sia dato per uso non stando videlicet et acadendo che io vendesse la ditta possessione dela Gogna lassata per usufruto alla ditta mia consorte videlicet in tale caso voglio che ditta mia consorte per scontra de ditta possessione habia lo usufruto de pertege cento ottanta de terra, parte avidata et parte campina in lo ditto territorio de Dexio insiema con la ditta caxa granda et lo ditto brolio et la caxa dove de presente habita ditto Gulielmino Carcasola et pertege quatro de boscho ogni anno dele megliore, adciò possa havere legne per suo uso et ditti mei heredi siano tenuti asignare alla ditta mia consorte li ditti beni ad godere ut supra, li quali legati fati alla prefata madona Hyppolita mia consorte intendo et voglio et ordeno siano ultra losuo livello de libre ducento ogni anno quale paga lo reverendo monsignore de Caxa portato in dota per ditta mia consorte el quale è suo. Et ancora voglio et ordeno che per modo alcuno directo, ne’ per indirecto sia molestata la prefata mia consorte dali mei heredi ne da altre persone per causa deli suprascripti legati ad leii fati, et ancora voglio che in modo alchuno non sia constretta ditta mia consorte ad fare inventario alchuno de alchuna cosa quale leii habia da restituire alli mei heredi, pose sua morte fornito dito usufrutto ut supra. Et perché ditta mia consorte ultra lo ditto suo livello de libre ducento lanno importo de cuntante libre seiicento imperiale la quale lei se acontenta de donarle seu lassarle a ditti mei heredi ad effecto che siano dispensate per amor de Dio insiema conla mia heredità, per tanto voglio et ordeno che accadendo che leii domandasse a ditti mei heredi le ditte libre seiicento imperiale, in tale caso voglio et ordeno che tutti li legati ad leii per me fatti et li usufrutti per leii golduti da mei heredi voglio et ordeno siano per leii ritornati ad mei heredi e i tal caso ditti mei heredi li restituiscano le ditte libre seiicento imperiale, et non domandando ditta mia consorte le ditte libre seiicento Et che essa mia consorte pose sua morte lasasse fioli o fioli legiptimi et de legiptimo matrimonio procreati, in tale caso voglio et ordeno li sia lassato godere a ditti fioli o fiole ut supra per uno anno tanto et non più oltra pose sua morte tutto quello goldeva essa mia consorte per causa de questo mio testamento. Ancora voglio et ordeno che la prefata mia consorte pose mia morte consegna ali mei heredi tutti quelli dinari quali alhora se ritrovarano in capsa et li libri et tutte le scripture et pegni et mercanthia et polizia et scripti et quale se voglia altra cosa quale non partenesse a leii per causa deli detti soii legati ut supra, et per executione de questo mio legato agravo la conscientia de ditta mia consorte. Ancora ricomando ditta mia consorte a ditti et infrascritti mei heredi et non voglio per quale se voglia differentia se havesse con leii se faza litigio alchuno, ma acordarse bonamente senza litigio retenendoa leii ogni cosa in sua bona discritione. Et ancora voglio che tutti li legati ad essa mia consorte fatti siano de prima exeguiti, et non voglio che per niuna altra cosa quale sia scripta in questo mio presente testamento siano retardati li ditti soii legati, ma voglio siano exeguiti de prima senza exceptione alchuna per che così la mia voluntà. In tutti li altri mei beni immobili et ragione et instrumenti et scripture et libri et nome de debitori et crediti quali ho et lo giorno dela mia morte abandonarò, ho istituito et instituisco et fazo mia herede nominando con la mia propria bocha la mia scola de insegnare a puti poveri per mi constituita et fatta et deputata nella terra suprascritta de Dexio et lo Priore et deputati per mi constituiti ala detta scola che sono de presente et che sarano per lo avenire a nome de ditta scola li quali similmente li ho nominati et li nomino con la mia propria bocha dela quale deputatione de ditta scola ne ho fatto uno instrumento rogato per ti notaro al ditto dì tri marzo proximo passato et questo con il caricho de exeguire li suprascripti legati per mi fatti ut supra, et etiam da exeguire quanto in lo presente mio testamento se contene et ancora tutto quello che per me sarà notato et scripto de mia propria mano sopra dette liste quale sarano presso de ti notaro, o dela detta mia consorte, o deli detti mei heredi tanto in maritare quelle fiole quale sarano nominate in dette liste, quanto in altre cose quale sarano descripte in ditta lista ali quali priore et deputati ut supra che sono de presente et che sarano per lo avenire prohibischo la alienatione de mei beni, salvo perhò per exeguire quello capitulo qual comenza ancora voglio che accadendo che Dio ne mandasse qualche orrende peste, calestrie, tempeste et guerre che in tal caso voglio se possano vendere nel modo se contene in ditto capitulo et non altramente. Et ancora voglio et ordeno che quando mei heredi ut supra farano qualchi instrumenti per causa dela mia heredità voglio che dichano et faciano scrivere nel modo infrascritto Prior et deputati scole deli poveri putti de imparare legere de la terra de Dexio. Ancora de novo replicho che voglio che li legati fatti ala ditta mia consorte siano exeguiti de prima como de sopra ho ditto. Et perché l’anima mia è stata creata dal magno e potente e grande Idio mio Signore e così dala Maiestà Sua è proceduto tutti li beni temporali che io tengo, et alla maiestà Sua a leii piacendo voglio renderli il tutto, et per questo ho fatto questo mio testamento a laude, honore et gloria Sua et del Suo caro et unico Fiolo Yehsu Christo nostro Redemptore et Salvatore, quale prego humilmente che per la sua santa misericordia et per la sua sancta sacrata passione habia pietà et misericordia a lanima mia, et al suo tempo mi faza gratia del suo santo regno. Ancora prohibisco a ti notaro infrascritto che tu non rubricare a loffitio di Panigaroli de Milano questo mio testamento sino che vivo. E dele suprascritte cose richedo et prego ti Jacobo Antonio Martignono notaro publico milanese mio cognoscente già molti anni passati, che de questo mio testamento et de le suprascritte tutte cose ne vogli rogare uno instrumento et più essendo necessario ancora de capitulo in capitulo secondo sarà expediente. Subscripta Io Gioane Maria Lampugnano afermo quanto de sopra se contene et de mia propria mane o sottoscripto adì soprascripto . El quale testamento et le quale tutte cose suprascripte sono state fatte alla presentia del magnifico de luna et laltra lege doctore domino Andrea Roberto, fiolo del magnifico quondam domino Cesare, in la sua salla dela audientia dela sua casa dela habitatione siituata in curia arcivescovile, cioè in la canonica deli reverendi ordinarii dela gesa mazor de Milano, apressa la ditta gesa magior presenti per secondi notari Jo Antonio de Sessa, fiolo de domino Alexandro, che habita in porta Vercelina, parrochia de Sancta Maria a Porta de Milano, et presente Jo Francesco di Mazi similmente per secondo notaro, fiolo de domino Io Antonio de Porta Vercelina, parrochia de Sancto Victore a Trenno de Milano tutti duii cognoscenti del ditto domino Jo Maria et ad questo specialmente dimandati et pregati, et ancora presente el prefato magnifico doctore domino Andrea Roberto per testimonio et ancora presente per testimoni li nobili domini Felixio et Io Ambrosio fratelli di Campsiraghi, fioli del nobile domino Io Iacobo, tutti duii habitanti in Porta Romana, parrochia de Sancto Johanne in Concha de Milano, et anchora presente per testimonio domino Sebastiano Martignono, fiolo del quondam domino Jo Marcho, che habita in Porta Vercelina, parrochia de Sancto Victore a Treno de Milano, et ancora presente lo nobile domino Jo Ambrogio Calvo per testimonio, fiolo del quondam domino Benedeto, che habita in Porta Horientale, parrochia de Sancto Stefanino in Bregogna de Milano tutti, cinque testimonii noti et cognoscenti del magnifico domino Jo Maria et idoneii et ad questo specialmente domandati et pregati. Ego Sebastianus Martignonus, filius quondam domini Johannis Marci, porte Verceline, parrochie sancti Victoris ad Theatrum mediolani, publicus imperiali auctoritate notarius suprascriptum instrumentum testamenti rogatum per suprascriptum dominum Jacobum Antonium Martignonum, olim fratrem meum qui illud propter eius mortis interventu explere non potuit expleri, auctoritate mihi concessa per magnificos dominos abbates venerandi collegii dominorum notariorum Mediolani, ut apparet ordinatione de qua rogatus fuit nunc quondam dominus Jo Albertus dela Cruce, tunc canzelarius prefati collegii, die trigesimo augusti in vespris 1565 Et affirmo in imbreviatura suprascripti testamenti factas fuisse subscriptiones requisitas ex forma statutorum comunis Mediolani. Affirmo etiam quod in imbreviatura dicti testamenti adesse copia unam infrascipte liste, scripta manu propria prefati quondam domini Jacobi Antonii, et in fide premissorum subscripsi. Con il nome de Idio io Gio Maria Lampugnano, morendo in Milano, desidero che il corpo mio sia sepelito in Sancto Materno in Dexio che fora dela porta granda in terra pura, et non sia fatto monumento solo con cinque preti con una candella in mano per uno accesa et una sola croce de legno con cinque candelle sopra accese e non più ultra. Item quello che mi sepelirà in ditto loco sia vestito da capo a pede dela mia vestimenta e manchandone siano comprate de nove cioè una camixa, una berreta, uno zupone, uno paro de calze, uno sagho, una cappa e tutto per l’amor de Dio. Item lo giorno seguente che sarò sepelito il corpo mio in ditto locho se facia dire trenta messe, computata una granda et lofficio da morte con una sola croce de legno con cinque candelle de sopra accese, et alaltare grande seii candelle et alli altri altari due candelle accese sino sia fornito lofficio e le messe e non più oltre. Item lo ditto giorno se dia a poveri uno mogio de pane de fromento et brente due vino bono per lamore de Idio. Item lo octavo giorno et il trentesimo giorno et al capo de lanno dela morte mia, se facia dire uno officio da morte con tredeci messe, computata una granda con una sola croce di legno con le candelle sopra accese et le candelle ali altari in al modo sopra dito per lo Capitolo in ditta gesa. Item tutte le presente cose ad honore de Idio et a salute de lanima mia e così è mia voluntà. Item questa sia la lista fatta de mia mano la quale ho nominato nel mio testamento la quale se habia de observare. Fatta alli 26 genaro 1548 in Mediolano in la mia caxa sottoscritta io Gio Maria Lampugnano ho scritto et sottoscritto de mia mano propria. Con il nome de Idio questa serà la lista dele pute che sarano da maridare trovandosi in tempo do poi mia morte si como dico in uno mio capitulo in el mio testamento, et ho a caro siano più presto maritate queste prima che altre, eccetto però le due seconde mie nepote che in detto mio testamento ho ditto. Prima le figliole del quondam Ludovico Malcalzato, figliolo che fu de messer Ambrosio Malcalzato habitante in Desio. Item le figliole de messer Hieronimo de Ho o sia de Vo, figliole de sua consorte habita de presente in Balzoioso, nominata madonna Antonia. Item le figliole del quondam messer Thomase de Vo, fratello del suprascripto messer Hieronimo, quale habitano al Carrobio de presente in sua casa. Item gli donate quello più possese voii heredi meii e tenirne bono cuncto la sopra ditta lista gliè nominate quelle figliole che in ditto mio testamento desiderava nominar. Et per fede ho scritto et sottoscritto de mano propria, adì 26 genaro 1548 in Milano, in mia caxa, sottoscrittta io Gio Maria Lampugnano ho scritto e sottoscritto de mia mano la sopradetta lista. Nota dele robe che mia consorte madonna Hippolita de Casate ha de consignare ali mei heredi, si come ho ditto nel mio testamento et a leii a bocha et qui sia notate per suo ricordo. Et in prima uno cassono de noce di dinari, et una cassa di noce la più grande, duii tapedi turcheschi rossi e gialdi seu pagliati, una tavola con li trispidie, uno banchale de lana sopra la tavola, due maiestà in suo tellari quale aleii piacerà, et se aleii piacerà darghi altro sia in suo arbitrio. Sottoscritta Io Gio Maria Lampugnano ho notato di mane mia le suprascripte robe si hanno a dare alli heredi meii, et per fede ho sottoscritto de mia propria mano, adì 26 zenaro 1548, in Mediolano, in la mia casa. E perché la facultà mia de mi Gio Maria Lampugnano, quondam Gio Antonio, dapoii fatto el mio testamento ultimo mi è manchato la facultà dela mittà per causa de Francesco Andrioso in Napoli, mela confirmata como per gli obligi et li conti soii si posseno vedere, perhò bisogna habia paciencia e voii heredi meii fate quello possete di quanto vi ho lassato de fare in el mio testamento et il Signore piglia la mia bona voluntà vi ho fatto a voii heredi questi pochi versi per non far altro codicillo. In Milano adì 20 genaro 1550 Sottoscritta io Gio Maria Lampugnano ho fatto de man propria li sopradetti versi quali voglio siano observati. PRIORI DELLA SCUOLA245 1574 1584 1614 1637 1665 1689 1694 1721 1721 1761 1787 1794 1795 1808 Adamo Castelletto Cristoforo Castelletto Giovanni Stefano Strada Antonio Strada Fiscale Carlo Stefano Strada Sindaco Generale Alfonso Belingeri Regio segretario Francesco Belingeri, Fiscale don Ottaviano Belingeri Don Pietro Belingeri Don Carlo Strada Rev. Giuseppe Volonterio246 Rev. Giuseppe Volonterio247 Don Guido Delfinoni248 Congregazione di Carità249 1580 1616 1651 1677 1690 1741 1778 1780 1783 1796 1796 Francesco Malberti Angelo Briani Gerolamo Lavizzari Francesco Pessina Carlo Antonio Pessina250 Rev. Pietro Curione251 Antonio Villa Giovanni Beretta Pietro Antonio Pessina Giuseppe Carozzi252 Giovanni Battista Beretta253 1574 1578 1581 1581 1583 1584 1592 1593 1594 1594 Antonio Del Conte Battista Porro Rev. Francesco Bergamo Arrigo da Basilea Rev. Giovanni Maria Bertoja Bartolomeo Toscano254 Francesco Malberti255 Gaspare della Somaglia Rev. Giovanni Battista Carcassola Giovanni Battista Faggi256 CANCELLIERI DELLA SCUOLA MAESTRI DELLA SCUOLA 245 Desunto da ACD, 1,1, Inventario 1741. Prevosto di Desio e amministratore interinale. 247 Eletto a priore dal pubblico convocato generale dopo la riapertura della Scuola. 248 Eletto in seguito a rinuncia del precedente. 249 Installata il 7 giugno. Erano membri di diritto il Sindaco ed il Prevosto pro tempore di Desio e sei amministratori nominati dal Sindaco e confermati dalla Prefettura d'Olona. 250 Figlio del precedente. In seguito divenne canonico della Collegiata di Desio. 251 Canonico della Collegiata di Desio dal 1748. 252 Residente a Milano. 253 Procancelliere. 254 Morto a Desio nel 1592. 255 Cancelliere e deputato, supplì anche da maestro. 256 Fu autore dell’opera “La Costanza di Sinforosa”. 246 1601 1601 1604 1605 1605 1609 1611 1615 1618 1622 1623 1624 1626 1627 1628 1629 1629 1631 1632 1633 1634 1680 1691 1694 1696 1697 1704 1706 1707 1708 1718 1722 1723 1726 1726 1729 1734 1746 1764 Rev. Fabrizio Malberti257 Giovanni Giacomo Minerva258 Francesco Besozzo Rev. Giovanni Pietro Chionno Giulio Cesare Quadro Don Mario Villanova Rev. Giovanni Battista Ciravalle259 Giovanni Antonio Brenna Don Francesco Castelletti Rev. Domenico Gavarino Don Francesco Porta Rev. Carlo Antonio Consonni Frate Lelio260 Don Orazio Pirovano Rev. Carlo Antonio Daverio Rev. Melchiorre Carcassola Chierico Ambrogio Bergamo Rev. Filippo Motta Don Orazio Pirovano Donato Antonio Maria Zuccone Rev. Domenico Ratti Rev. Giovanni Briani Rev. Francesco Figliodoni261 Rev. Giuseppe Pinciroli Rev. Andrea Reali Rev. Bartolomeo Gaetti Chierico Giovanni Battista Leveni Rev. Cristoforo Strada Rev. Leonardo Rossi Rev. Giovanni Antonio Bastita Rev. Carlo Antonio Pessina262 Rev. Giambattista Silvestri Rev. Giambattista Formentoni263 Rev. Pietro Francesco Pavia Rev. Giambattista Silvestri Rev. Giulio Curione264 Rev. Giacomo Antonio Ponti265 Rev. Pietro Fabiani266 DOTTORI IN MEDICINA 257 Poi prevosto di Desio. Di nazionalità fiamminga. 259 Canonico della collegiata di Desio. 260 Religioso dell'ordine dei Serviti, residente nel convento desiano di San Pietro al Dosso. 261 In seguito curato di Lissone. 262 Contemporaneamente era cancelliere della Scuola. 263 Supplente per due mesi e mezzo. 264 Passato nel 1745 alla cura di Vanzago nella pieve di Nerviano. 265 Desiano, in seguito divenuto canonico della collegiata. 266 Fiorentino. 258 1574 1582 1587 1593 1594 1595 1598 1650 1693 1707 1721 1728 1740 1745 1754 1794 1795 Il medico di Monza Giovanni Battista Pocobello267 Alessandro Casteno268 Gerolamo Peregrino269 Ortensio Pallavicini Giovanni Paolo Lesmo270 Giacomo Filippo Corneo Francesco Sminzi Giovanni Battista Confalonieri Giacono Filippo Corneo Luigi Arezzonico Felice Sangalli271 Giovanni Maria Berlucchi272 Giuseppe Tenca273 Giuseppe Pintori274 Giovanni Orta Giambattista Campi275 1580 1595 1601 1622 1658 1686 1715 1741 1786 1793 Giuseppe Viganorio Francesco Menni Francesco Bosetto Gerolamo Triulzi Carlo Maria Triulzi276 Paolo Antonio Triulzi Carlo Maria Formentoni Pietro Formentoni Francesco Maria Antonietti Giuseppe Perroncini 1582 1588 1618 1623 1651 1661 1685 1692 1731 Filippo Caranti Giovanni Pietro Francesco Castelletti Giovanni Battista Tornielli Giacomo Antonio Corti Giovanni Stefano Repossi Giovanni Battista Erba277 Antonio Erba278 Giuseppe Erba279 Carlo Giovanni Erba280 CHIRURGHI DELLA SCUOLA SPEZIALI DELLA SCUOLA 267 Medico di Monza. Medico di Monza. 269 Primo medico residente in Desio. 270 Medico in Monza. 271 In seguito ordinato sacerdote. 272 Morto a Desio nel 1745. 273 Morto a Desio nel 1754. 274 Morto a Desio nel 1793. 275 Eletto in seguito alle dimissioni dl precedente. 276 Figlio del precedente. 277 Precedentemente speziale a Milano. 278 Figlio del precedente e cassiere della Scuola. 279 Figlio del precedente. 268 1784 280 281 Pietro Erba281 Figlio del precedente. Figlio del precedente. L’OSPEDALE Nel 1808 i beni delle soppresse scuole confliuirono nella neocostituita Congregazione di Carità presieduta dal dott. Don Carlo Villa. Nel frattempo aveva preso corpo il progetto di edificare aDesio un Ospedale282; a questo proposito già nel 1806 era stato contattato il famoso archietto Pollak, ma a causa dei costi elevati la proposta fu abbandonata. Nel 1811 fu accettato il progetto redatto dall’ing. Innocente Domenico Gatti. Per limitare i costi non si realizzò una struttura a croce ma un edificio con una loggia a quattro archi sormontata da un timpano e preceduta da una gradinata. Al centro seorgeva la cappella che divideva due infermerie (uomini e donne) con sedici letti ciascuna. L’edificio si allungava in due brevi corpi di fabbrica laterali; quello settentrionale sarebbe servito come abitazione dell’economo e del sacerdote, quello meridionale sarebbe servito allo speziale283. Questa struttura originaria andò via via perfezionandosi di quei ritrovatoi che la scienza medica del tempo riteneva idonei alla medicina. Ad esempio nel 1842 furonno ricavate nello scantinato quattro vasche per i bagni che si riteneva fossero utili nella terapia contro la pellagra. L’Ospedale era pensato come un’istituzione destinata ai poveri e nel secondo Ottocento due terzi della popolazione desiana rientrava in questa categoria. Inaugurato nel 1820, l’Ospedale nel 1828 ricevette il lascito del canonico Villa che lasciava la cifra di 67.188 lire netta, una somma pari a quanto era stato speso per la costruzione dell’intero ospedale. Il presidente della Congregazione, il nobile don Tiberio Confalonieri, dovette sostenere una lunga causa contro i parenti del Villa che intendevano impugnare il testamento del sacerdote. Una seconda causa vide contrapposta dal 1823 al 1831 la Congregazione contro il Comune in merito agli oneri spettanti all’obbligo dell’istruzione elementare. Al Confalonieri successe il sac. prof. cav. Enrico Pirotta che morì nel febbraio 1911 lasciando alla Congregazione case e 126 pertiche di terra e unh legato per la costruzione di un ricovero per i vecchi cronici. Nel corso del Novecento l’Ospedale si è andato arricchendo di padiglioni ed attrezzature sempre più adeguate ai tempi, ma solo nel 1930 è diventato una realtà autonoma dalla Congregazione. Il 26 aprile 1938 per l’inaugurazione del padiglione di pediatria e maternità giunse aDesio il principe Umberto di Savoia. Divenuta ormai insufficiente e superata l’antica sede di Corso Italia fu abbandonata per la nuova sede di via Mazzini inaugurata da Aldo Moro nel 1968. Il resto è storia dell’oggi di una realtà in continua trasformazione per migliorare la qualità dei servizi al malato. In margine va ricordato che l’iniziativa filantropica dei Desiani si è espressa in molteplici modi. Alcune realizzazioni furonogli orfanotrofi maschile e femminile e la Casa di Riposo Pio e Ninetta Gavazzi che continua ancora oggi la sua meritoria opera284. 282 Per le vicende dell’Ospedale si veda: GATTI 1996. In seguito vi fu invece ricavata l’abitazione del medico primario. 284 Per le vicende dell’Istituto si veda: Ricovero 1992. 283 L’ISTRUZIONE Come si è visto a Desio era presente una struttura scolastica elementare ben prima della famosa legge Casati che introdusse l’istruzione elementare obbligatoria nel neocostituito stato italiano. La qualità dell’insegnamento fornita agli alunni della scuola dei Poveri Putti non doveva essere certo elevatissima e risentiva dei metodi autoritari imperanti all’epoca285. Gli inizi della scuola pubblica a Desio ebbero vita travagliata perché la Congregazione di Carità aveva assorbito anche beni e fondi lascitati da Lampugnani che sarebbero dovuti servire per garantire la presenza di un maestro; questo fatto fu alla base di un prolungato contenzioso legale al termine del quale il Comune si trovò costretto ad assumersi in proprio l’onere dell’istruzione. Negli anni Trenta la scuola fu allargata anche alle bimbe e ben presto si dovettero allargare gli spazi destinati alla scuola. Le lezioni avvenivano ancora nell’antico edificio di via Portichetto dove apprese i primi rudimenti dell’istruzione il giovane Achille Ratti sotto la guida del maestro Volonterio. A partire dal 1870 cominciano ad emergere i documenti relativi ai primi insegnanti stipendiati direttamente dall’Ente Locale286.Nel 1877 era pure istituita una scuola elementare nella frazione San Carlo consorziata col Comune di Seregno287. Il processo di crescita demografica obbligo a costruire sempre nuove aule; cosicché dapprima furono sistemate nel Palazzo Vittorio Emanuele II e negli anni Trenta del Novecento nella nuoma e moderna sede delle Scuole elementari Giulio Gavazzi. Nel periodo prebellico erano state attivate due scuole “rurali” anche nelle frazioni di san Giuseppe e San Giorgio. Con il boom economico e le conseguenti trasformazioni sono state realizzati nuovi edifici fino a giungere alla cifra complessiva di sei scuole elementari pubbliche. La trasformazione del quadro economico cittadino alla metà dell’Ottocento aveva determinato l’ingresso in fabbrica di manodopera prevalentemente femminile. Questo fatto aveva determinato la necessità di cerare strutture idonee ad accogliere i bimbi in età prescolare durante l’orario di lavoro dei genitori. Il problema fu subito sentito a Desio e già negli anni Sessanta era attivo un Asilo d’Infanzia. Nei decenni seguenti le iniziative in questo settore si sono moltiplicate con la creazione di asili statali, comunali o privati. La storia dell’istruzione a Desio è stata profondamente caratterizzata dalla presenza di due grandi istituti privati: gli attuali collegi Pio XI e Paola di Rosa. Queste due istituzioni hanno offerto un’occasione ai ragazzi che intendevano proseguire il loro ciclo di studi al termine della scuola elementare. La presenza di questi Istituti ha bloccato fino all’introduzione della Scuola Media Unificata la possibilità di creare un ciclo di istruzione superiore a Desio. Questo fatto era anche motivato dal fatto che in quegli anni il bagaglio culturale richiesto al ragazzo che entrava negli opifici cittadini 285 Si veda il gustosissimo racconto riportato in: BRIOSCHI 2001. ACD, 88. 287 ACD, 90, 59. 286 era molto ridotto per cui non era sentita e nemmeno offerta la possibilità di qualificare il processo di formazione con un ciclo di istruzione superiore. Nella migliore delle ipotesi, se motivato, un ragazzo aveva la possibilità di frequentare la scuola di disegno parrocchiale o le scuole tecniche comunali che avevano lo scopo di preparare maestranze qualificate da inserire nelle aziende cittadine. Il tratto costante fino al 1963 è dunque costituito da un basso livello d’istruzione determinato, sia dalla scarsa domanda, ma soprattutto dalla volontà di non offrire alternative allo status quo. Una conseguenza diretta di quanto detto è il fatto che i primi studenti universitari desiani si ebbero solo nel secondo dopoguerra e che tutti i quadri dirigenziali cittadini per buona parte del Novecento sono stati formati da “forestieri”. Negli ultimi decenni la situazione si è rovesciata ed oggi il territorio desiano offre un’ampia gamma di proposte formative. La Scuola dell’Infanzia è presente in varie forme, sono presenti tre Istituti Comprensivi ed Istituti Superiori tra cui spiccano il Liceo Classico, il Liceo Scientifico e l’Istituto Tecnico Industriale. LE STRUTTURE ECONOMICHE L’AGRICOLTURA Fino a pochi decenni or sono il quadro economico del territorio di Desio era caratterizzato da una forte componente agricola che si è conservata dalle epoche più antiche fino agli anni Cinquanta del XX secolo. La produzione agricola del territorio era strettamente legata alle caratteristiche geomorfologiche del suolo. L’area di Desio è collocata nella cosiddetta pianura asciutta, ossia un’area in cui lo strato di terreno utile all’agricoltura è estremamente sottile, mentre nelle parti più basse la presenza di ciottolato e ghiaia causa una veloce perdita di acqua nel sottosuolo. In tal modo la superficie rimane costantemente asciutta; tale fatto era aggravato inoltre dalla mancanza di corsi d’acqua artificiali (ovviamente fino allo scavo della Roggia nel XIV secolo). In tal modo l’unico modo per avere irrigazione era l’affidarsi alle precipitazioni atmosferiche; di conseguenza le uniche colture possibili risultavano quelle dei cereali. L’elevata presenza umana documentata fin dalle epoche più antiche deve aver comportato la distruzione del patrimonio boschivo per avere un pieno sfruttamento dei suoli. Nel corso del medioevo e dell’età moderna le coltivazioni prevalenti risultano essere quelle di frumento, miglio e segale. La coltivazione integrale del mais che caratterizzerà l’alimentazione contadina comincerà in modo sistematico solo dalla seconda metà del Settecento fino alla definitiva scomparsa dell’agricoltura. Sempre dal XVII secolo prese piede la coltivazione della patata, spesso utilizzata anche come integratore per l’alimentazione animale288. Seguendo il flusso dell’annata agricola, in determinate occasioni era coltivata anche l’avena. Come integratore alimentare erano coltivate le leguminose tra cui bisogna ricordare il lupino usato come ultima risorsa nelle annate di particolare carestia. A partire dal XIV secolo è documentata una consistente produzione vinicola. Questo tipo di produzione appare particolarmente impiegata nei fondi di ragione del Capitolo del Duomo ed il prodotto non era utilizzato per il fabbisogno locale, ma per essere commercializzato sul mercato milanese dove garantiva una sicura possibilità di guadagno. Ancora nel XVIII secolo risulta evidente che i terreni adiacenti alla Roggia, ossia gli unici irrigui, erano destinati alla coltivazione della vite che pertanto risulta essere una coltivazione di pregio. Prima della definitiva scomparsa nella seconda metà del XIX secolo a causa della fillossera, i terreni di Desio fornivano di vino anche la mensa dell’avv. Traversi che conservava i vini prodotti a Desio nella sua residenza di città. La produzione appare incentrata su vini a forte acidità, specialmente bianchi; anche il Porta declamò (forse con esagerazione) la qualità dei vini prodotti a Desio. Altra coltivazione di spicco risultava quella del gelso. Questa specie era coltivata sul nostro territorio già nel XVI secolo e le si riservava particolare importanza. 288 Il pedagogo di casa Cusani, Carlo Amoretti, pubblicò proprio uno studio sulla coltivazione razionale delle patate. Cfr.: AMORETTI 1801. Sappiamo inoltre che lo studioso aveva iniziato a Desio la coltivazione sistematica dei funghi che poi fu applicata anche nel palazzo Cusani di Milano. Per le conseguenze dell’alimentazione maidica si veda: CAVAGNIS 1883. Numerose sono le vertenze relative alla foglia dei gelsi posti sulla piazza e giova ricordare che ancora nel Cinquecento i canonici di Desio utilizzavano già forme di contratto misto che prevedevano la consegna di una consistente quantità di foglia al proprietario del fondo come era di prassi nel corso dell’Ottocento e del primissimo Novecento. Tracce di una superficie boschiva compaiono per la prima volta nel catasto desiano del 1515 e da questo documento si evince che questi boschi erano stati piantumati da pochi anni in occasione di una forte epidemia di pestilenza che aveva sensibilmente ridotto la popolazione impedendo di avere una forza lavoro necessaria alla coltura integrale del suolo. Questa superficie boschiva andò nel tempo assestandosi, specie nella zona orientale dell’abitato e si conservò fino a pochi decenni or sono289. Parimenti ridotta risulta la superficie destinata al prato. L’alimentazione dello scarso bestiame era garantito dalla raccolta di erbaggi nelle aree marginali. Le uniche superfici di pregio erano costituite, dopo lo scavo della Roggia, dalla zona denominata indicativamente Prati, posta al confine con Muggiò. Quest’area costituisce un unicum nella nostra zona in quanto era l’unica superficie che poteva essere allagata artificialmente por poter avere una produzione continua di foraggio utile per l’allevamento. Era pratica comune inframmezzare i campi coltivati con colture legnose; oltre al gelso di cui si è detto, dal ‘700 prese piede la coltivazione della robinia che permetteva una rapida produzione di legna da ardere e alberi da frutta (in passato erano rinomate alcune produzioni di pesche). In campo economico l’allevamento non ha mai avuto il peso e l’importanza che ebbe in altre zone. L’allevamento bovino risulta scarsamente praticato principalmente a causa della mancanza di foraggio. Questo fatto, oltre a limitare la disponibilità alimentare, comprometteva anche la disponibilità di concimi naturali. Data anche la ridotta superficie delle singole proprietà era assai difficile incontrare contadini proprietari di buoi, mentre più comunemente per il traino agricolo e l’aratura si utilizzavano cavalli e asini. Complemento integrante dell’alimentazione era il maiale allevato ovunque ed in tutte le epoche principalmente per la riserva di grassi che esso offriva più che per la carne. Va ricordato che lardo e strutto costituivano in passato la naturale riserva di grassi in un’alimentazione povera da cui mancava quasi completamente il condimento vegetale. L’olio di oliva era praticamente inesistente ed era usato per alimentare le lampade che ardevano innanzi al Santissimo nelle chiese. Erano diffusi olio di bassa qualità ottenuti dalla torchiatura di alcune specie vegetali (ravizzone innanzitutto). Come in tutta l’area aveva una certa importanza nell’economia domestica l’allevamento di animali da cortile che costituivano l’oggetto di tanti dei famosi appendizi e principalmente la fornitura di uova e del cappone di manzoniana memoria che doveva onorare la tavola natalizia dei proprietari. 289 BRIOSCHI 1993 A. ARTIGIANATO L’artigianato in senso stretto fu una pratica praticamente sconosciuta fino alla fine del Settecento. Tale fatto è da imputarsi alla presenza delle grandi corporazioni milanesi le quali impedivano che nel contado si diffondessero attività produttive concorrenziali a quelle praticate dalle botteghe degli artigiani di città. Nelle epoche più antiche l’unica attività produttiva documentata sono alcuni produttori di panni o degli armaioli290. Nel migliore dei casi questi proto artigiani erano in realtà degli agricoltori che praticavano alcuni semplici lavori nei momenti di riposo dell’annata agricola. Anche grazie all'aumento della documentazione disponibile, agli inizi dell’Ottocento compaiono artigiani indispensabili per il mantenimento delle attività produttive del borgo (muratori, carradori, fabbro maniscalco). Una minima diffusione dell'attività artigianale fu resa possibile solo alla fine del XVIII secolo con la soppressione delle corporazioni ad opera dell'amministrazione asburgica. Questa dinamica però fu bruscamente interrotta dal rapido nascere dell’industria; questa dinamica bloccò lo sviluppo dell’artigianato rendendo così Desio un caso nettamente diverso rispetto alla realtà economica del circostante territorio brianzolo. Al contrario di centri vicini come Cesano, Lissone e Meda, Desio non conobbe l’industria del mobile e dei settori connessi (vetrerie, minuterie metalliche, tappezzerie). La presenza della grande industria, prima tessile, poi meccanica, rese sempre l’attività artigianale un settore marginale nell’economia cittadina. Tale fatto condizionò pesantemente fino ai giorni nostri le dinamiche produttive locali. Malgrado i limiti di cui si è detto, una presenza dell'artigianato sul nostro risulta sicuramente documentabile, ma sicuramente in posizione subalterna rispetto al predominio incontrastato della grande industria. Nuove prospettive per questo settore si sono avviate negli ultimi decenni quando la città si è avviata in una fase decisamente postindustriale. INDUSTRIA Pur nella scarsità di documentazione storica, è possibile affermare che l'industria, ed in particolar modo la grande industria, costituisce il fenomeno che ha maggiormente caratterizzato la realtà di Desio fino a renderla un unicum rispetto al territorio circostante. Occorre però anche constatare la quasi totale scomparsa della documentazione scritta, tanto che chi volesse tentare una storia degli insediamenti industriali sul territorio desiano si troverebbe in grave difficoltà. Il territorio desiano ha ospitato alcuni tra i primissimi insediamenti industriali a livello nazionale. Tra tutti il più rinomato e storicamente rilevante fu la Tessitura meccanica di seta dei fratelli Egidio e Pio Gavazzi. L'opificio iniziò la sua attività nel 1869 con i primi dodici telai meccanici che salirono a cento nel 1876. Nel 1895 fu installata la macchina motrice, nota con il nome di "Regina Margherita" che ora fa bella mostra di sé all'ingresso del Museo della Scienza e della tecnica di Milano. Agli inizi del Novecento la società aveva altri due stabilimenti rispettivamente a Melzo e 290 Fabbricazione di verrettoni (frecce per balestra) agli inizi del XVI secolo. Sabbioncello con una forza lavoro complessiva di 4.000 operai. La fabbrica desiana era specializzata nella produzione di seta per ombrelli, poi affiancata da quella nera o colorata per abiti ed infine, in epoca bellica, dalla pregiata seta per i paracadute. Il setificio Gavazzi aveva anche assorbito la vecchia filanda Bozzotti e preso in affitto vari locali sparsi per il paese. All’originaria attività di tessitura si affiancò quella della tintoria che comportò un sensibile aumento della manodopera. A Desio era operante un filatura di seta di Pietro Gavazzi situata nel fabbricato di via Garibaldi. L'opificio dava lavoro a settecento operai, ma la fabbrica desiana faceva parte di un gruppo industriale che comprendeva venti stabilimenti con una manodopera complessiva di 4.500 unità. A fianco di questi due insediamenti storici, era operante il grande Lanificio Nazionale (divenuto in seguito Tilane). L’impresa era stata avviata da Dario Trezzi che trasformò l’azienda in lanificio nazionale con capitale sociale di due milioni e mezzo di lire. Dopo un periodo di crisi il valore delle azione si dimezzò, per cui il consiglio d’amministrazione licenziò Trezzi e chiamò da Prato Raimondo Targetti291. A Desio era pure attiva alla periferia meridionale del borgo una filiale dello stabilimento principale di via Bovisasca. Lo stabilimento Targetti nel 1939 impiegava 2.000 operai ed era famigerato per aver accolto elementi filosocialisti perseguitati o controllati dal regime fascista. Agli inizi del Novecento operava inoltre una ditta che produceva scialli in lana pettinata. L'opificio era di proprietà del sig. Ercole Trezzi al quale è stata intitolata una via cittadina. Altri opifici nel settore tessile erano il Linificio Deponti in via Borghetto sorto nel 1912, il Cotonificio Pallavicini in via Spinelli e la tessitura Gola in via Umberto I. Verso gli anni Venti del Novecento all'originaria vocazione tessile, Desio affiancò la creazione di diverse industrie nel settore meccanico. La mancanza in loco di una documentazione d’archivio impedisce di cogliere le dimensioni e la portata di insediamenti industriali come la Vigorelli. Nel 1906 prese avvio in via Volta la ditta del tedesco Kromprinz per la lavorazione di cerchi metallici per cicli e auto; la fabbrica conobbe un notevole sviluppo in periodo bellico ed in seguito fu amministrata dal sindaco Giuseppe Scalfi. L’attività fu proseguita dalla ditta milanese Bianchi, fino a trasformarsi in Autobianchi ed infine venne l’assorbimento nel grande gruppo FIAT che rese lo stabilimento di Desio un’industria di livello internazionale fino alla chiusra degli impianti nei primi anni Ottanta. Va inoltre ricordata la Gubra di Guglielmo Brauns, il calzificio Elgi292 di via Grandi, la SIBI targhe e la SIS di via dei Reali293 Negli anni Sessanta del secolo arriveranno altre industrie come la profilati metallici a freddo Brollo, la Worthington (pompe e compressori), la Corinzia legnami e l’Abrasivi Metallici. Negli ultimi decenni quasi tutte queste aziende hanno chiuso o trasferito gli impianti causando, almeno inizialmente, seri problemi al quadro occupazionale del territorio 291 Raimondo Targetti nacque a Firenze nel 1869. A Desio fu anche amministratore dell’Ospedale. Eletto senatore, morì il 15 giugno 1942. 292 Il nome trae origine da El Gi(üsèpp) Longoni, proprietario dello stabilimento. 293 Società Italiane Serrature di Giussani. che ora sembra essersi riassestato con fenomeni molto marcati di pendolarismo in direzione dei centri vicini, ma soprattutto di Milano. COMMERCIO Il commercio non ha mai assunto a Desio particolare rilevanza nel quadro dell’economia locale. Fin dalle epoche più antiche gli scambi avvenivano in occasione del mercato che si teneva già dal XII secolo sulla piazza principale del Borgo. Sin da quando inizia la documentazione scritta non sono documentate botteghe di pregio; i negozi operanti sul territorio risultano essere rivendite di pane e le immancabili osterie. L’unico esercizio di rilevanza non presente in borghi del vicinato era la farmacia gestita dalla Scuola dei Poveri Putti e successivamente dal Luogo Pio che mantenne immutata questa denominazione fino alla scomparsa della farmacia dell’esercizio che si affacciava su Piazza Conciliazione. Il numero degli esercizi cominciò a crescere lentamente in corrispondenza dello sviluppo economico e demografico della seconda metà del XIX secolo. Un elenco di fine Ottocento riporta le seguenti attività: tre prestinai per pane bianco, un prestinaio per pane bianco e giallo, due prestinai per pane giallo, tre macellai di carni bovine, otto salumieri con drogheria, un droghiere, quattro alberghi, dodici osterie e trattorie, una farmacia, nessuna polleria, quattro privative, due commercianti di stoffe, uno di scarpe, uno di cappelli, un negozio di chincaglierie, due cartolai, tre fruttivendoli, due merciai, tre falegnami di mobili, quattro carpentieri, sei sarti di cui quattro per uomo e due per donna294. Con il boom economico il numero degli esercizi è andato crescendo ma per la stragrande maggioranza si trattava di esercizi di ridotte dimensioni che non hanno saputo rispondere alla sfida della grande distribuzione. In concomitanza con la diffusione sul territorio di supermercati e centri commerciali la maggior parte di questi esercizi ha cessato l’attività. Mantengono una certa vivacità gli esercizi commerciali del centro o quelli posti lungo le vie di maggiore traffico che hanno saputo ammodernarsi e rispondere meglio alle esigenze del mercato. SERVIZI E LIBERE PROFESSIONI Nei secoli passati le attività legate al settore terziario erano praticamente sconosciute eccezion fatta per osti e cavallanti; dal XV secolo si ha notizia di notai295. Questo settore è andato crescendo nel corso dell’Ottocento fino a diventare oggi l’area produttiva che impiega il maggior numero di addetti. Hanno controiibuito allo sviluppo di questo settore l’Ospedale, le istituzioni scolastiche, l’Ente Locale, gli uffici pubblici e privati, il credito, cui si sono affiancati gli adetti ai trasporti ed al commercio. 294 Quaderno manoscritto in APD. Carcano rev.do Beltramino quondam Giacomino (1403-1442); Maruti Giovanni quondam Giacomo (1431-1456); Confalonieri Battista quondam Alberto (1467-1515); Confalonieri Cristoforo quondam Battista (1503-1521). 295 PERCORSI NELL’ARTE LA BASILICA FACCIATA Il sagrato e la scalinata furono realizzati su disegno di Giulio Galiori nel 1764. Il medesimo architetto progettò nel 1771 la facciata dell’edificio, la cui realizzazione spetta a mastro Bollino negli anni 1780-1785. La sistemazione attuale, dono dell’avv. Mario Longoni, è stata curata nel 1935 dall'architetto Ottaviano Cabiati. Le statue laterali, rappresentanti i santi Siro e Materno, sono opera dello scultore Cristoforo Bossi di Porto Ceresio, 1862. TOMBA LAMPUGNANI All'ingresso centrale è collocata la tomba del benefattore Giovanni Maria Lampugnani, morto nel 1563, fondatore della Scuola dei Poveri Putti. La salma fu traslata dalla basilica antica dove era collocata nella medesima posizione. La bussola dell'ingresso fu realizzata nel 1936 da artigiani locali. NAVATA PAVIMENTO Pavimento policromo con stemma pontificale di Pio XI eseguito su disegno dell'ing. don Spirito Maria Chiappetta. Marmi di Giuseppe Remuzzi, Bergamo, 1935. Acquasantiere marmoree del 1634. VOLTA Affresco centrale di Giuseppe Riva, Gloria di san Giovanni Bono, 1928. Sugli archi e nelle vele: Giuseppe Riva, Virtù cardinali e Virtù teologali, 1928. STUCCHI Amedeo Butti, Dieci profeti e putti con festoni, 1934. VETRATE Opera della ditta Bertuzzi, 1950. Nella controfacciata: vetrata dell'Assunzione, cm 420 x 150, 1950. BATTISTERO Vasca battesimale in marmo sormontata da piramide intagliata in legno di noce raffigurante il Battesimo di Cristo, 1756. Affreschi: Battesimo di Cristo sulla parete di fondo e Dio Padre Benedicente, sulla volta, opera di Giuseppe Riva, 1918. Cancelletto su disegno di Spirito Maria Chiappetta. Busto di Pio XI opera di Alessandro Piazza, Carrara, 1926. Busto di mons. Celestino Cattaneo, 1956. CAPPELLA SACRO CUORE Altare barocchino di Camillo Remuzzi, 1918. Decorazione del bergamasco Terragni, 1918. Statua lignea del Sacro Cuore, h. cm 200, artigianato della Valgardena, 1918. Cappella consacrata il 20 aprile 1925 da mons. Celestino Cattaneo. CAPPELLA SANT'AGATA Eretta a ricordo dell'antico oratorio dedicato alla santa, demolito nel Settecento per reimpiegarne i materiali nella costruzione della Basilica. Marmi del Pirovano, 1830. Tavola: Giuseppe Riva, san Pietro visita in carcere sant' Agata, cm 200 x 120, 1920. CAPPELLA DELL'ADDOLORATA Altare marmoreo del XVIII secolo. Decorazione pittorica alle pareti di Osvaldo Bignami, 1906. Statua lignea dell'Addolorata, h. cm 200, 1768. Urna con statua lignea del Cristo morto, 1817. VIA CRUCIS Olio su tela, cm 120 x 100, opera del pittore piemontese attivo a Milano Giovanni Battista Zali, 1845. CAPPELLA SANT'ANTONIO Altare marmoreo proveniente da Castiglione Olona, qui collocato nel 1935. Affreschi laterali: sant' Antonio che parla ai pesci e Miracolo della mula. Statua lignea del santo, h. cm 200, 1665. CAPPELLA SAN CARLO Marmi del milanese Nicola Pirovano, 1830. Pala: Narducci, San Carlo Borromeo amministra la Prima Comunione a san Luigi Gonzaga, cm 200 x 120, 1830. CAPPELLA SAN GIOVANNI BONO Altare barocchino di Camillo Remuzzi, 1918. Decorazione del bergamasco Terragni, 1918: la chiesa antica e la canonica. Statua lignea del Santo, artigianato Valgardena, h. cm 200, 1919. Cappella consacrata il 20 aprile 1925 da mons. Celestino Cattaneo. CAPPELLA GESU' NELL'ORTO Statue lignee policrome di Gesù nell'Orto degli Ulivi e di un angelo in volo che reca il calice della passione, artigianato della Valgardena, 1923. Cancellata e balaustra di Spirito Maria Chiappetta. Decorazione di fondo attuale dei pittori desiani Galliani e Sala (1996). Cappella benedetta nel 1926. CONTROFACCIATA Giuseppe Riva, La fondazione della Basilica, 1929. Giuseppe Riva, La fondazione della canonica, 1929. TRANSETTO CAPPELLA MADONNA DEL ROSARIO Progettazione dell'arch. Cesa Bianchi. L'altare è quasi sicuramente quello trasportato a Desio nel 1733 da Paderno ed acquistato con il lascito di don Barzana, parroco di Varedo. La collocazione dell'altare fu curata dallo scultore Carlo Nava. Puttini dell'Antignati, 1734. Tabernacolo del 1735. Affreschi laterali di Osvaldo Bignami, 1907, con storie della Madonna: Annunciazione, Visitazione, Presentazione al Tempio, Maria al Calvario. Nel catino: Incoronazione della Vergine. Statua lignea, h. cm 200, 1745. AFFRESCHI TRANSETTO NORD Giuseppe Riva, san Siro punisce l' Ebreo blasfemo, 1903. Ponziano Loverini, Il Sacro Cuore appare a S.Maria Margherita Alacoque, 1898. AFFRESCHI TRANSETTO SUD Ponziano Loverini, La Sacra Famiglia, 1901. Giuseppe Riva, san Materno di fronte all' imperatore Massimiano, 1911. CAPPELLA SAN GIUSEPPE Progettazione dell'arch. Cesa Bianchi. Altare del XVIII secolo. Statua lignea del santo che regge un libro, 1920. Affreschi laterali di Osvaldo Bignami, 1908, con storie di san Giuseppe: Sposalizio, Natività, Apparizione dell' angelo, Transito. Nel catino: La gloria di san Giuseppe tra i santi del paradiso. PRESBITERIO ALTARE MAGGIORE Realizzato su disegno dell'arch. Giuseppe Merlo e consacrato dall'Arcivescovo Pozzobonelli il 26 agosto 1744. Parti marmoree opera dello scultore Carlo Nava. Statue lignee di Giuseppe Antignati, 1746. Tabernacolo di Giovanni Battista Guzzi. Capitelli bronzei di Carlo Domenico Pozzi. URNA Urna contenente le reliquie di san Vittore, eseguita nel 1933 su disegno di Saronni. La sistemazione attuale risale al 1960. CORO Stalli in legno di noce, m 3,50 x 12, 1743. Anta centrale con croce-reliquiario del 1854. Mobile laterale con mensola, XVIII sec., m 3,20 x 2,50. Mobile laterale con sedile, XVIII sec., m 3,00 x 2,50. VETRATE LATERALI Santi Siro e Materno, ditta Tevarotto, Milano, 1938. BALAUSTRA Realizzata su disegno di Giuseppe Merlo; marmi Giacomo Pellegatta di Viggiù, 1761. Modifiche nel 1983. ORGANO Ditta Tamburini, Crema, 1957. AFFRESCHI LATERALI Destra: Mauro Conconi, Gesù entra in Gerusalemme, 1861 Sinistra: Mauro Conconi, Gesù e i fanciulli, 1858. Dipinti eseguiti con i ricavati del lascito effettuato da Filippo De Bernardi, prevosto di Desio, dal 1850 al 1856. Le due opere furono staccate nel 1891 dall'originaria ubicazione e riportate su tela dallo Stefanoni. Restauri: conte Pallavicini (1934), Verga e Savelli (1996). PULPITI Disegno dell'architetto Giacomo Moraglia, 1851. Esecuzione curata dall'artigiano desiano Gaetano Malberti e dall’intagliatore milanese Vitale Regola. Doratura di Gaetano Mariani. CUPOLA Benedetto Cazzaniga, Crocifisso sorretto da angeli, cm 350 x 120, 1783. STUCCHI Amedeo Butti, 1934, stucchi in rilievo raffiguranti i padri della chiesa latina: sant'Ambrogio, sant'Agostino, san Gerolamo e san Gregorio Magno. AFFRESCHI Giuseppe Riva, 1929, affreschi nei pennacchi raffiguranti i quattro Evangelisti. Interno cupola: Giuseppe Riva (con gli aiuti di Dossena, Poloni e Carrara), 1929, I santi Siro e Materno nella gloria del paradiso. LAPIDI CONTROFACCIATA Grande lapide che commemora la riconsacrazione della Basilica ad opera del cardinal Ferrari il 26 agosto 1895. NAVATA Lapide commemorativa prevosto Filippo De Bernardi, 1860. Lapide commemorativa prevosto Cesare Mossolini, 1913. ALTARE DI SANT'ANTONIO Sepoltura di mons. Erminio Rovagnati (1935) TRANSETTO SUD Lapide commemorativa benefattori ampliamento chiesa. USCITA LATERALE NORD Lapide Tunica (1681) Lapide Ferrario (1733) USCITA LATERALE SUD Lapide Lampugnani Lapide Castelletto CRIPTA E' costituita da un ambiente sotterraneo, destinato alle sepolture ecclesiastiche, posto al centro della chiesa, ai piedi dell'antico altare. Lungo tre lati del ristretto vano sono collocati nove sedili in laterizio, sui quali sembra che venissero poste le salme dei prevosti e dei canonici, assicurate al sedile con catene di cui rimane qualche traccia. A fianco sussiste un secondo ambiente ad uso ossario. Originariamente la cripta era affiancata da due altri sepolcri, oggi manomessi, uno a nord per i confratelli, l'altro a sud per i fabbricieri. Queste ed altre sepolture oggi scomparse furono eseguite nel 1733. Non esiste nessun documento coevo relativo all'utilizzo di quest'ambiente. La documentazione d'archivio attesta un'ultima evacuazione dei sepolcri nel 1781. L'ambiente è stato ripristinato e reso agibile con un recentissimo intervento (1996) che ha trasformato l'antico sepolcro in un reliquiario. SAGRESTIA NORD VOLTA L' Agnello Mistico attorniato da figure che reggono gli oggetti liturgici della Basilica. Affresco restaurato nel 1996. ARMADI Armadi in legno di noce, XVIII sec., altezza m 5 x 25. QUADRI • Osvaldo Bignami, I santi Siro e Materno, 1904. • Madonna in trono col Bambino, cm 180 x 120, proveniente dall'oratorio di san Pietro al Dosso. • Martirio di una santa (S.Agata ?), olio su tela, cm 200 x 130 cm, XVIII sec. • Santa Cecilia, olio su tela, cm 220 x 220, XVII sec. Lavamano marmoreo, 1734. Tra gli oggetti liturgici sono degni di nota • • • • • • • Croce processionale in lamina d'acciaio, realizzata agli inizi XVI secolo di Giovanni Pietro Carcassola Stendardo processionale con i Santi Patroni e la Vergine risalente al XVII secolo, ricamo su seta Stendardo processionale con san Giuseppe ed il Bambino risalente al XVII secolo, ricamo su seta Madonna col Bambino in trono, tempera su tavola, m 2,5 x 1 circa, proveniente dall'antica chiesetta di san Pietro al Dosso Due croci processionali, XV-XVI sec., rame dorato Busto reliquiario di santa Caterina, legno policromo, XVI secolo Cristo coronato di spine, statua a tutto tondo in legno policromo, altezza 1m circa, XVII secolo. IL CAMPANILE Il campanile è una massiccia costruzione a base quadrata, eretta in forme goticheggianti, la cui data di erezione ci è ignota. In base ad analisi di tipo strettamente architettonico, tradizionalmente la sua costruzione è fatta risalire verso il Mille ad opera dei Maestri Comacini. Questa conclusione non è certo insindacabile; l'antico campanile fu bersaglio di diverse azioni a carattere militare, tanto che nel Quattrocento fu dato alle fiamme; è improbabile che l'edificio abbia potuto reggere ad un incendio. La sua costruzione dovrebbe perciò essere ritardata di alcuni secoli ed essere più verosimilmente posta verso la metà del quindicesimo secolo, quando, utilizzando le macerie dell’antica torre, fu edificato il campanile che possiamo vedere oggi. Il campanile era in posizione avanzata rispetto alla chiesa e non era addossato ad essa lungo nessun lato. La torre non aveva ingressi a livello del suolo; comunicava con la basilica tramite un passaggio sospeso all'altezza di circa quattro metri. Nel 1830, per fare posto al nuovo concerto, fu distrutta la trifora oggi posta all’altezza dell’orologio ed inoltre fu abbattuta la guglia in laterizio per dare spazio ai quattro grandi archi che ancora oggi ospitano le campane. Malgrado i pesanti rimaneggiamenti subiti che ne hanno trasformato la fisionomia, il campanile di Desio è una costruzione degna di nota ed è l’edificio più antico della città. LE CAMPANE La chiesa di Desio ebbe sempre particolare attenzione per le campane. Contrariamente ad altre chiese del circondario, già nel Cinquecento la basilica aveva tre bronzi. Nel Settecento furono effettuati alcuni tentativi per aumentare la consistenza dei manufatti, ma il primo vero concerto fu eseguito nel 1799 e comprendeva cinque pezzi del peso complessivo di 34,82 quintali. Anche in seguito ad una dimostrazione popolare, nell’ottobre 1821 fu realizzato dal fonditore Michele Comerio un nuovo concerto di sei campane del peso complessivo di quintali 77,35, ma una perizia tecnica evidenziò alcuni difetti strutturali, cosicché, sempre ad opera del Comerio, le campane furono rifuse e nel 1830 fu innalzato un nuovo concerto. Anche in questo caso l'esito della perizia condotta dal maestro Lavigna fu negativo. Dopo una lunga vertenza giuridica, nel 1835, per porre fine alla questione, il fonditore rinunciò a riscuotere il credito che vantava nei confronti della fabbriceria. Il 7 marzo 1843 si giunse alla stesura del contratto definitivo di rifusione delle campane, la cui esecuzione fu affidata al fonditore varesino Felice Bizzozero. Le fusioni furono ultimate il 6 agosto 1843 ed il 16 dello stesso mese le campane erano pronte. Già il giorno seguente, partì alla volta di Varese il convoglio dei carri per il trasporto a Desio dei sacri bronzi. Tra il tripudio cittadino e l’ammirazione dei forestieri giunti da tutto il circondario per godersi lo spettacolo, il 20 agosto 1843 le campane, precedute da soldati di cavalleria e dalla banda militare, fecero solenne ingresso nel borgo. La piazza non riusciva a contenere tutti gli intervenuti, smaniosi di sentire finalmente il tanto sospirato concerto. Alzate su un telaio appositamente allestito sul sagrato, le campane furono solennemente benedette dal prevosto dell’epoca, don Giusto Corbella. Il 28 agosto si procedette all'innalzamento sulla torre e dovette intervenire la gendarmeria per mantenere l'ordine tra il numeroso pubblico. Il consenso all’opera eseguita fu unanime; in tal modo ebbe fine una controversia cittadina durata per quasi cinquanta anni. Nello stesso anno 1843 il fabbro Silvestro Missaglia realizzò l'impianto di campane a festa; agli inizi del nostro secolo, la ditta Barigozzi di Milano realizzò l’attuale incastellatura che sostutì quella antica in legno. Nel 1938 la ditta Fonotipia di Milano curò la prima incisione discografica del concerto. Seguendo l’evoluzione tecnica dei sistemi di riproduzione sonora, nel tempo seguirono altre tre registrazioni: la prima su disco a 45 giri, la seconda su disco a 33 giri, fino a giungere alla presente su compact disc. In tal modo le campane di Desio hanno raggiunto località anche lontanissime, facendo udire le loro note fino nelle terre di missione. La monumentalità del concerto e, soprattutto, l’altissima qualità sonora del bronzo hanno reso le campane di Desio giustamente famose ovunque. Questo lusinghiero risultato è stato ottenuto, malgrado le innovazioni tecnologiche, anche grazie all’attività del gruppo campanari, che da oltre centocinquanta anni continua a far apprezzare la perfetta fusione fra materiali e tecniche. Descrizione delle campane N. peso q.li diametro m. nota Santo titolare 8 7 6 5 4 3 2 1 34,360 21,215 17,400 14,550 10,620 6,940 4,760 4,110 1,75 1,60 1,40 1,30 1,15 1,00 0,90 0,83 lab sib do reb mib fa sol lab SS. Siro e Materno Beata Vergine Maria San Giovanni Bono San Giuseppe Angelo Custode Sant’Agata San Carlo San Luigi LA CHIESA DI SANTA MARIA L’altare è in legno dorato e risale al XVII secolo con pesanti interventi di restauro ed integrazione effettuati all’inizio del nostro secolo. L’immagine della Vergine (1900) è copia della statua in legno, opera dello scultore Antonini, posta nella chiesa milanese di santa Maria Segreta. Il paliotto in lamina d’argento (ora rimosso) è opera di Marco Magistretti. Il corredo dell’altare è arricchito da alcuni pezzi in lamina d’argento risalenti al XVIII secolo: quattro candelieri e una croce processionale; la coppia di lampade pendenti risale invece al secolo scorso. Il fonte battesimale è costituito dall’acquasantiera della soppressa chiesa di San Francesco. Secondo alcuni sull’orlo sarebbe incisa la data 11 gennaio 1061, ma una lettura più coerente farebbe pensare che l’anno debba essere interpretato come 1511. Lungo il perimetro del manufatto è incisa la seguente iscrizione: Aqua benedicta deleantur nostra delicta - AVE + DNE + JHU + SPE [i nostri peccati sono cancellati dall’acqua benedetta - Salve Signore Gesù Speranza]. Come ci informa il testo, l’opera fu eseguita a spese di tale Giovanni Evangelista Cantono. La chiesa costituisce una sorta di quadreria dove sono state depositate diverse tele generalmente provenienti dalla Basilica. Di particolare interesse risultano due pitture, poste una di fronte all’altra che rappresentano lo Sposalizio della Vergine e la Cacciata di Gioacchino dal Tempio (o il profanatore). Le due opere, che si rifanno al racconto dei vangeli apocrifi, sono citate per la prima volta in un inventario del 1863 quando risultavano poste nel coro della basilica. Le opere sono ad olio su tela e la prima delle due reca la data 1612 e lo stemma di Giovanni Angelo Galli, presumibilmente il committente dell’opera. Quattro oli su tela risalenti al XVIII secolo raffigurano la Vergine col Bambino, San Carlo Borromeo, Sant'Antonio Abate e San Francesco da Paola. Ai lati dell’altare sono collocate due belle tele seicentesche raffiguranti i profeti Ezechiele ed Isaia. Le vetrate hanno per soggetto l’Annunciazione e la Visitazione e sono opera dei fratelli Pace. La Via Crucis è composta da quattordici rilievi in terracotta eseguiti nel 1979 da S.Recchioni Pierangelini. La sagrestia antica era originariamente collocata sul lato meridionale. Fu sistemata a Nord nelle forme attuali nel 1868 con la creazione di un piano superiore che fungeva anche da deposito per i cereali raccolti dalla confraternita. Al piano terreno è conservato un bell’armadio risalente al XVIII secolo. Come documentato da una targa posta sulla parete settentrionale, il campanile fu terminato nel 1770. Alla sua sommità sono collocate due campane di provenienza ed epoca diverse. SANTUARIO DEL SANTO CROCIFISSO Nel Santuario è conservato un olio su tavola del XVII secolo raffigurante S.Bartolomeo. L'opera, di anonimo, fu donata alla chiesa nel 1913 dalla famiglia Gavazzi. Sempre nella stessa chiesa è conservata una copia accademica del Polittico di San Luca del Mantegna conservato alla Pinacoteca di Brera. Nella sagrestia spicca un bell’armadio settecentesco e reliquiari lignei della medesima epoca. CAMPOSANTO, CAPPELLA CENTRALE Affresco raffigurante Cristo Risorto opera di Marco Magistretti (1897). PARCO COMUNALE Nella zona dei giochi è collocata un'ara votiva di epoca romana in pietra alta 120cm. Il manufatto non è riferibile a Desio, ma proviene da Galliano (Cantù). Nella parte alta è inciso un simbolo a forma di tridente; segue poi un'iscrizione in scrittura capitale: J.O.M. CO EX PREMISSA FULGURIS POTESTATE FLAVIUS VALENS V.C. EX D. V.S.L.M. D.P. CORTILE BIBLIOTECA Statua marmorea di Arnaldo da Brescia. L’opera rappresenta il riformatore religioso del XII secolo Arnaldo da Brescia ed è accompagnata sul basamento da una citazione del Guerrazzi. L'opera fu commissionata dal Traversi, noto esponente anticlericale, allo scultore milanese A. Tantardini che firmò la sua opera apponendovi anche la data (1866). PALAZZO MUNICIPALE Tra i corridoi del Municipio è possibile ritrovare alcuni pezzi di discreto interesse. Morso di cavallo e due punte di freccia Questi tre pezzi fanno parte di un ritrovamento più cospicuo (oggi disperso) effettuato nel 1852 dal prevosto Filippo de Bernardi nel giardino della casa prepositurale. Secondo taluni specialisti l’oggetto sarebbe un morso bovino e risalirebbe ad epoche più vicine alla nostra. Crocifisso ligneo, altezza m.2,5 circa. L'opera presenta al recto la figura del Cristo ed al verso una decorazione sommaria, pertanto non era pensato per essere addossato ad una parete, ma doveva essere utilizzato durante le processioni. Dalla fattura sembrerebbe risalire al XVII secolo. Se ne ignora la provenienza ma, vista la collocazione in ambiente del Comune dovrebbe essere appartenuto alla Scuola dei Poveri Putti oppure faceva parte dell’arredo della cappella un tempo annessa alle carceri. Mappa censuaria di Desio Attualmente sottoposto a restauro, il pezzo documenta visivamente la forma dell'abitato e l'utilizzo dei suoli. La mappa, risalente al XVIII secolo è ancora fissata ai cilindri lignei originali usati per avvolgerla. Le fanno da corredo una trentina di altre mappe con i comuni del circondario.Tutti i pezzi provengono dall’archivio dell’Agenzia delle Entrate. OSPEDALE Negli ambienti dell'Ospedale sono conservate alcune tele di notevole interesse storico cittadino. Queste opere costituivano una sorta di piccola "quadreria" sul modello di quella dell'Ospedale Maggiore di Milano, che serviva a ricordare i maggiori benefattori delle opere caritative ed assistenziali. San Carlo pone sotto la protezione della Vergine il Lampugnani e la sua Scuola. L’opera che misura circa due metri per due, fu realizzata nel 1699 dal pittore milanese Francesco della Croce. L’opera gli fu commissionata dai deputati della Scuola dei Poveri Putti. Il quadro è di estremo interesse per la storia locale. Nella parte centrale sono raffigurati san Carlo ed il Lampugnani; intorno a loro vi sono altri personaggi che forse costituiscono dei veri e propri ritratti di contemporanei. Il Lampugnani, inginocchiato insieme a due bambini (uno ricco e uno povero), offre al Santo gli statuti della sua Scuola e san Carlo pone l'istituzione caritativa sotto la protezione divina. Di particolare bellezza la figura della Vergine col Bambino che si affaccia dalle nuvole .Sul lato sinistro è visibile la sede della Scuola con alcune figure che si dedicano ad opere di carità. La struttura architettonica dell'edificio corrisponde all'attuale casa Brighenti (angolo vie Portichetto Pio XI). Sullo sfondo è ravvisabile la porta del borgo collocata in prossimità dell'attuale piazza Cavour. Inutile dire che questa tela è l'unica opera che rappresenti visivamente parte dell'abitato in epoca antica e pertanto riveste particolare interesse per la storia cittadina. Ritratto del principe Ottaviano Belingeri Tela di anonimo del XVIII secolo, metri 1 x 2 circa La grande tela presenta la figura intera del principe Belingeri che ricoprì diverse cariche nella nostra comunità cittadina e che si distinse per le cospicue donazioni alle istituzioni caritative ed assistenziali. L'opera, di mediocre fattura, allude alle cariche militari ricoperte dal nobile. Il Belingeri è collocato con tanto di corazza, a fianco di un pezzo di artiglieria ed addita scene guerriere ravvisabili dietro un tendaggio. Ritratto di Giacomina Righini ved. Villa Anonimo, olio su tela, inizi del XX secolo, m 1 x 2 circa L'opera è da ascrivere ad un capace ritrattista operante agli inizi del nostro secolo. La tela raffigura la dama in età avanzata. La Righini fu una delle principali benefattrici di tutte le istituzioni caritative ed assistenziali cittadine (In particolare la Casa di Riposo). Essa morì nel 1903 ed è ricordata anche con una lapide collocata sotto il portichetto annesso alla cappella esterna del cimitero. In vari ambienti dell’Ospedale sono inoltre conservati: San Giovanni Evangelista (?) che legge, tela di anonimo del tardo XVII secolo Madonna col Bambino sant'Anna, san Gioachino e san Giovannino, tela di ignoto del XVI secolo Madonna col Bambino, olio su tela, cm 120 x 180 circa, pregevolissima opera di ignoto del XVIII secolo. MUSEO PIO XI Al primo piano della casa natale del Pontefice sono collocate alcune sale che costituiscono il Museo dedicato a Pio XI. La collezione, recentemente risistemata, raccoglie arredi e cimeli del nostro concittadino donati principalmente dalla Santa Sede. I pezzi piu significativi del Museo sono: • l’arredo originale dello studio donato all’arcivescvo Ratti dalla Cooperativa dei falegnami brianzoli. • Indumenti cardinalizi e papali • oggetti di uso quotidiano appartenuti al Pontefice • oggetti devozionali o liturgici (tra cui il martello usato durante la cerimonia di apertura dell'Anno santo 1933); • medaglie commemorative • produzione filatelica del pontificato di Pio XI • oggetti inerenti alle imprese alpinistiche del Ratti Il pezzo più' pregiato è costituito dall'apparecchio radiofonico donato da Guglielmo Marconi al Pontefice. VILLE DESIANE A partire dalla seconda metà del XVIII secolo l’aristocrazia milanese ha amato costruire, specialmente nell’area a nord di Milano, residenze dotate di particolare prestigio. È nata così l’età delle ville che ha trasformato profondamente il territorio e ne ha caratterizzato i futuri sviluppi. A Desio, soprattutto nel corso del XIX secolo la nascente borghesia dedicò particolare cura nel creare abitazioni di pregio, consone alle ambizioni dei committenti ed in sintonia con lo stile dell’epoca, oppure nei casi più fortunati ci si collegò direttamente alla traduzione aristocratica, riprendendo ed ammodernando residenze risalenti al Sei-Settecento. Le abitazioni private di un certo pregio a Desio erano numericamente significative, ma gli interventi successivi hanno portato alla loro trasformazione profonda oppure alla completa distruzione. Tra le Ville di più antica fondazione vanno ricordate: la Villa Buttafava nella frazione San Giuseppe, Villa Klinkmann di Piazza Castello, la Villa Bonomi – Cereda _ Gavazzi Pio – Aliprandi. Tutti questi edifici risalgono al Seicento, ma sono stati tutti sottoposti a profonde opere di trasformazione specie nel corso del Novecento. Al Diciottesimo secolo sembrano risalire la demolita Villa Confalonieri di via Portichetto, la casa dal Pozzo di via Matteotti, Villa Stampa Soncino – Gavazzi Egidio e la Villa Greppi – Lecchi – Longoni. L’epoca d’oro delle residenze borghesi è l’Ottocento che vede a Desio la costruzione delle ville Labus (arch. Sèves 1834), Longoni Severino, Lucchini (demolita), Ravanelli Scotti (demolita) Arienti Lissoni e Paleari in via Borghetto. VILLA TITTONI – TRAVERSI296 La Villa che però emerge sopra tutte le altre per dimensioni, qualità ed importanza è sicuramente la Villa Tittoni Traversi che ha una complessa vicenda storico artistica. La Villa era essenzialmente il centro di un vasto complesso produttivo fondiario, basato su un’agricoltura di tipo tradizionale; in questo senso la si potrebbe considerare una vera e propria azienda. Infatti, attorno all’abitazione signorile, si stendeva un complesso di residenze destinate agli agricoltori; queste case, generalmente raccolte in corti, se non sempre dal punto di vista architettonico, sicuramente da quello economico, costituivano una realtà unitaria con il complesso della Villa vera e propria. A fianco delle abitazioni, occorre però ricordare la presenza di vasti ambienti destinati a servizi di varia natura (stalle, torchio, forno, mulino, magazzini, rimesse) che costituivano il necessario prolungamento degli edifici di cui si è detto. Da ultimo, allargando ulteriormente la prospettiva, ci si accorgerà che la Villa era inserita al centro di un vasto complesso fondiario che comprendeva una larga fascia di territorio destinato alla produzione agricola. La costruzione originaria sorgeva nell’area oggi occupata dal cortile antistante la Villa. Nel 1777 il marchese Cusani acquistò i beni del soppresso convento di san Francesco e tramite un’ampia serie di acquisti e di permute riuscì a compattare 296 Il complesso è stato oggetto di numerosi studi o pubblicazioni a carattere divulgativo. Finora un tentativo di ricostruzione organica dell’insieme è costituito da: BRIOSCHI 1998 D. intorno a questa zona i suoi possessi. La scelta di edificare una villa di notevole prestigio a Desio nacque dal desiderio del Cusani di collegarsi alle residenza signorili presenti nel non molto distante parco monzese; non a caso la villa sorge lungo l’antica strada per Monza. Quest’intendimento è ancora più evidente considerando che per realizzare quest’opera fu chiamato a Desio l’architetto Piermarini che proprio nel 1777 aveva dato inizio ai lavori per la Villa Reale di Monza. La trasformazione dell’antico edificio determinerà un significativo salto qualitativo e la rottura della connessione con il borgo. Proprio per sottolineare la nuova valenza assunta dall’edificio, il corpo di fabbrica è preceduto da un largo spiazzo che, pur possedendo anche finalità di natura eminentemente pratica, serve soprattutto a sottolineare il distacco dell’edificio (e del proprietario) dal contesto urbano, creando una visione prospettica, destinata a sottolineare la monumentalità dell’edificio. La netta differenziazione economica tra il Cusani e gli altri potentati locali si trasforma in una speculare differenziazione architettonica ed urbanistica. La Villa assume una dignità formale impensabile per le altre residenze e si colloca in uno spazio nettamente diverso da quello occupato da altre famiglie nobili e dai centri amministrativi e religiosi. La tradizione indicava il progettista di quest’intervento sulla Villa nell’architetto folignate Giuseppe Piermarini (1734-1808. Tra le carte dell’artista, oggi conservate a Foligno, esiste un disegno relativo ad un Casa Cusani, la cui identificazione con la costruzione di Desio poneva seri dubbi, infatti secondo alcuni si trattava di un progetto per la residenza milanese dei Cusani. Recenti studi e l’identificazione di nuovi documenti hanno permesso di attribuire con sicurezza il disegno piermariniano alla residenza di Desio. L’edificio originario comprendeva una struttura a tre livelli con undici finestre per piano, una delle quali fungeva da porta con apertura sul piano terreno. Doppie liste di bugne delimitavano gli spigoli dell’edificio, sormontato da un semplice cornicione e, al centro, da una parte rialzata con otto vasi ornamentali. All’interno la decorazione comprende alcune pitture a soggetto egizio ed altre che attingono alla mitologia classica. Mentre nel complesso architettonico della Villa originaria vigevano incontrastate le più ferree regole della simmetria, nel parco tali leggi sono completamente infrante, dando luogo ad uno spazio che imita artificialmente la naturalità del paesaggio. Il parco si differenzia dunque nettamente dal coltivo circostante, per diventare una sorta di regno della natura, entro cui inserire costruzioni di diversa fattura. In questo contesto il parco si arricchisce di numerosi elementi. Alle aree tradizionalmente destinate alla coltivazione floreale, il parterre, se ne affiancano altre in cui prevalgono gli alberi d’alto fusto. Alcune zone sono espressamente destinate a cervi ed altri animali, mentre sono presenti in gran numero varietà arboree provenienti da luoghi lontani come il Nord America o l’Estremo Oriente. La presenza inoltre dell’antico convento francescano stimolò la creazione di edifici carichi di valenze culturali: viene costruito il tempietto d’Imene sorretto da otto colonne ioniche, il Caffehaus, la grotta del Tasso che esternamente si presentava come una rozza capanna, mentre all’interno era un lussuoso ambiente arricchito con pitture raffiguranti episodi della Gerusalemme Liberata; da ultimo viene anche eretto un finto rudere di torrione medioevale, impropriamente collegato in epoche recenti ai resti dell’antico castello di Bernabò. La fama del giardino, si diffuse ampiamente, tanto da costituire un modello per altre realizzazioni, soprattutto dopo che Ercole Silva nella sua fondamentale opera Dell’arte dei giardini inglesi, citò il complesso desiano come uno dei migliori esistenti e ne documentò le caratteristiche con due splendide tavole. Un minuzioso catalogo delle specie vegetali presenti nel parco ci informa che nel 1817 esistevano quasi dodicimila alberi; una cifra davvero ragguardevole alla quale però bisogna affiancare una necessaria osservazione. La gran parte di queste essenze, contrariamente a quanto potremmo pensare, non ha funzione decorativa ma eminentemente produttiva. Il giardino ammirato da tanti visitatori e proposto come modello dal Silva era principalmente composto da alberi da frutto, in special modo da viti che costituivano la metà della cifra totale (6.625 gambe). Lo stesso Parco si presenta dunque in una veste marcatamente economica che collega lo spazio verde alle esigenze economiche del complesso padronale297. La Villa di Desio è ricordata in tutte le guide per i viaggiatori dell’epoca, come quella del Perpenti dedicata a Monza ed i suoi dintorni. Già nel 1789, Arthur Young, ministro inglese dell’agricoltura nel governo Pitt, così descrive l’abitazione: Mi fermai a Desio, casa di campagna del marchese Cusani, che è d’un genere che mi piace. La casa non è eccessivamente vasta ed è finita ed arredata di conseguenza. Le camere sono più eleganti che magnifiche e più gradevoli che brillanti. C’è un appartamento dipinto all’encausto che viene considerato il più bello d’Italia. Al secondo piano ci sono tredici stanze da letto, ognuna con la camera per la servitù e un gabinetto. Tutte hanno un’aria di comodità e di pulizia veramente inglesi. D’altronde sono così ben tenute che mi sarei creduto al mio paese. Ho letto resoconti di viaggi che dicevano che non c’era in Italia una casa pulita; se è stato così un tempo, le cose sono ben cambiate. Piace molto di più a me questa casa di campagna che al suo proprietario, perché questi non ci passa mai più di quindici giorni per volta, e anche questo non capita spesso. Il testo prosegue con alcune osservazioni relative alla vegetazione: I giardini sono superbi nel loro fiorire. Pergolati di limoni alti venti piedi e spalliere d’aranci coperte di frutti producono un effetto strano all’occhio di un nordico; ma d’inverno sono tutti coperti di vetro. C’è anche un bosco di pini. Gustosa l’osservazione relativa all’abitato di Desio: Desinai nel villaggio dove mi diedero delle trote del Lago di Como a trenta lire la libbra di ventotto once. Per mantenere questo sfarzo il Cusani incorse in numerosi debiti ed il suo successore, il figlio Luigi, che aveva ormai interessi in altre regioni, provvide a vendere il 1 dicembre 1817 il complesso di Desio al maggiore creditore di suo padre, l’Avvocato Giovanni Battista Traversi. Costui era un esponente dell’alta borghesia milanese, sposato con donna Francesca Milesi, una dama attorno cui si stringevano gli elementi più in vista della società milanese dell’epoca. 297 Manoscritto in APD, fondo Tittoni. Fino a questo punto della sua vicenda, la Villa era sempre stata una proprietà nobiliare. Da questo momento passa nelle mani di una famiglia borghese che, seppure ricchissima, non aveva un blasone da esibire. Questo fatto che oggi può sembrare forse secondario, all’epoca rivestiva un’importanza fondamentale, tanto da modificare anche le vicende artistiche del complesso. La residenza nobiliare classica si qualificava come tale per la monumentalità dell’edificio, ma soprattutto per l’eleganza e le proporzioni del fabbricato. Il decoro di una casa signorile si misura non tanto sulla sua imponenza o ricchezza, ma sull’adozione di moduli stilistici classicheggianti che denotano immediatamente il livello sociale del possessore. Nell’Ottocento, con l’ascesa della borghesia, la sensibilità muta notevolmente. Per un borghese arricchitosi e giunto alla possibilità di mantenere un tenore di vita pari o addirittura superiore a quello di un aristocratico, l’importante è mettere in mostra la propria ricchezza e la potenza acquisita. Pertanto l’importante è creare qualcosa di estremamente monumentale che stupisca e mostri in modo inequivocabile l’altissimo prestigio sociale del proprietario. Solo in questo senso possono essere compresi gli interventi ai quali fu sottoposta la Villa desiana nel corso degli anni Quaranta del secolo scorso. I lavori di trasformazione degli elementi spaziali (piazza, cortile, atrio, saloni interni, giardino) furono affidati all’architetto Pelagio Palagi (Bologna 1775 - Torino 1860). L’intervento di questo progettista fu determinante in quanto l’assetto attuale della Villa corrisponde quasi interamente al suo progetto, che non si limitava alle opere di fabbrica, ma si estendeva anche alla sistemazione delle opere interne, comprese le parti decorative e pittoriche. Malgrado alcuni recenti tentativi di riqualificazione, oggi la figura del Palagi non ha grande fama, mentre fu uno dei più ricercati artisti della sua epoca, infatti ebbe commissioni prestigiose, soprattutto dalla corte sabauda, per la quale realizzò la risistemazione di Palazzo Reale e del Castello di Racconigi. Lo stile palagiano è indubbiamente classicheggiante, ma i moduli antichi vengono riproposti in forma nuova, accentuandone l’aspetto di ricchezza e monumentalità. Mentre gli artisti romantici reinterpretano il passato proponendo ideali e valori civili, Palagi costituisce l’interprete ideale delle ambizioni dei ceti borghesi più tradizionalisti, desiderosi di rivestire le proprie velleità con una patina classicheggiante, socialmente ritenuta indice di ricchezza e sinonimo di gusto aristocratico. Tramite la risistemazione della Villa, Traversi volle assumere i linguaggi comunicativi di un mondo aristocratico che, almeno nel tenore di vita, aveva ampiamente raggiunto e superato. Non è superfluo ricordare che la Villa Traversi rappresenta l’ultima esempio di abitazione in forme auliche e monumentali realizzata in territorio brianteo. La dimora desiana risulta indubbiamente un ottimo esempio di casa dell’alta borghesia: spazi solenni, ma non troppo ampi, destinati al pubblico, contrapposti ad ambienti privi di particolari pregi per la vita privata. L’articolazione stessa dell’edificio rispetta questa gerarchia: piano terreno per la dimensione sociale, primo piano per gli affetti familiari, piani superiori per la servitù. L’obiettivo dell’ostentazione pubblica della ricchezza prevale nettamente su qualsiasi altro aspetto. Ulteriore elemento da considerare è la mancanza di uno stile unitario per la decorazione degli spazi interni. Nelle sale del pianterreno sono adottati svariati modelli stilistici (moresco, neoclassico, neorinascimentale, neogotico etc.). Questo fatto è sicuramente riconducibile ad un certo gusto eclettico dell’epoca, ma la vera spiegazione è riconducibile alla volontà di voler stupire il visitatore che, passando da una stanza all’altra, rimaneva e rimane colpito dalla varietà e dall’alternanza di stili. In ultima analisi, Cusani poteva anche utilizzare modelli stilistici dimessi, perché il fondamento del suo prestigio risiedeva nel possesso di un titolo che lo distingueva nettamente dagli altri maggiorenti del borgo. Al contrario Traversi non aveva a disposizione un blasone, pertanto fu costretto ad adottare soluzioni strutturali e decorative che avevano lo scopo di stupire e lasciare ammirato il visitatore. Mentre per il mondo aristocratico il consenso alle proprie ambizioni è scontato, per la borghesia esso diviene una conquista da conseguire, anche attraverso un’oculata sistemazione degli spazi. Ovviamente il Traversi, pur avendo raggiunto livelli sociali altissimi, non dimenticò mai un attimo la propria natura borghese concentrata sul processo di produzione, pertanto la sistemazione dell’edificio non escluse il riordino degli spazi secondari destinati alle attività agricole. Su disegno del Palagi furono innalzati i corpi di fabbrica che circondano la piazza posta oltre la ricca cancellata in ghisa ornata da statue di marmo Carrara raffiguranti le diverse attività umane. Come detto, Palagi progettò la decorazione interna e modellò la composizione del trionfo di Cibele, posta sul timpano sormontante la facciata verso il parco. Il tetto dell’edificio fu poi arricchito con una serie di statue, raffiguranti le divinità dell’Olimpo, che divennero uno degli elementi di maggiore efficacia visiva dell’intero fabbricato. Il desiderio di nobilitare l’edificio non poteva essere più evidente; esso si trasforma in una sorta di reggia divina, sui cui timpani laterali spiccano le immagini ultraclassicheggianti delle vittorie in volo che reggono i tondi con i profili dei proprietari. La residenza del Traversi divenne una meta obbligata per quei viaggiatori romantici in cerca di emozioni fuori porta, tanto che in tutte le guide della Lombardia la Villa è sempre ricordata come un ottimo esempio di connubio tra opere architettoniche e paesaggio naturale. Non a caso essa ebbe anche ospiti illustri come il re di Napoli, l’imperatore Francesco I, Stendhal, ed il compositore Vincenzo Bellini. Il 30 aprile 1824 il Traversi acquistò dal Comune di Desio un tratto della Via San Francesco. Al termine del breve vicolo il Palagi eresse una curiosa costruzione, una sorta di arco trionfale ornato da figure in rilievo di putti che reggono festoni. Questo manufatto, detto anche Porta del Dazio, segna un rinnovato interesse per la zona anticamente occupata dal complesso conventuale francescano. In quest’area si era anche ammassata un’ingente quantità di marmi generalmente provenienti da chiese e monasteri soppressi di Milano. Per dare ordine a questa collezione, tanto vasta quanto eterogenea, il Palagi progettò una costruzione assai singolare. Appoggiandosi all’antico refettorio francescano, l’architetto eresse una costruzione in stile neogotico che culminava con un’alta torre, denominata ancora oggi del Palagi. Altro elemento costitutivo del complesso risultava essere l’acqua. Il corso della Roggia, severamente controllato da campari armati stipendiati dal Traversi, da un lato era intensamente sfruttato per azionare mulini ed alcune piccole attività proto- industriali, dall’altro, prima di irrigare la zona dei Prati, serviva ad alimentare una fitta rete idrica per abbellire il parco. Come risulta chiaramente dalle diverse descrizioni della Roggia, questo canale alimentavano anche un lago della superficie di 6.000 mq. Al centro dello specchio d’acqua, su un isolotto, sorgeva un tempietto classicheggiante, e lungo le sponde si trovavano i finti ruderi del torrione, utilizzati per ricovero delle barche. Questo fervore di opere proseguì ben oltre la data del 1844 posta sulla facciata dell’edificio. Nel 1858 si provvide all’abbattimento di alcuni corpi di fabbrica laterali per dare maggiore ariosità alla monumentale costruzione, la cui imponenza era inoltre sottolineata dalla superficie inclinata della facciata che aumentava, come una sorta di quinta teatrale, la maestosità dell’edificio. A partire dagli anni Quaranta proseguì la sistemazione dello slargo antistante la Villa, denominato Piazza Traversi. In seguito alla morte di Giovanni Traversi, avvenuta nel 1854, il complesso desiano passò al nipote, Giovanni Antona Cordara, il quale, per ricordare il munifico zio, con regio decreto 27 febbraio 1856 assunse il cognome Antona Traversi. Questo passaggio segna una battuta d’arresto nei cantieri e, fino alla fine del secolo, non furono eseguite altre opere di rilievo. Tutta la proprietà passò al genero del Traversi, il prefetto di Perugia Tommaso Tittoni, che diede incarico a Luca Beltrami di ultimare lo scalone principale ed erigere la tomba, recentemente ricomposta, di Giovanni Traversi. Il passaggio ai Tittoni segna un forte scollamento tra i proprietari della Villa e la città. Politicamente indifferente al borgo in quanto aveva il suo feudo elettorale a Massafra, Tittoni limitò notevolmente le sue presenze a Desio. Questa lontananza comportò l’affido della gestione del vasto complesso ad un fattore che vide in tal modo aumentare la propria autorità rispetto ai suoi predecessori, fino a diventare uno dei notabili locali più in vista. Risale al 3 aprile 1914 un documento che accenna ad una permuta di stabili fra il Comune di Desio ed il sig. ing. Antonio Tittoni di Tommaso per l’apertura di un rettifilo che da piazza Traversi deve incontrare la nuova strada di accesso alla stazione ferroviaria. Nel documento è inoltre ricordato il progetto del Tittoni di edificare un arco che avrebbe dovuto riunire tutti gli edifici circolari disposti lungo la piazza. L’ingresso dell’Italia nel conflitto e le trasformazioni in atto nella società desiana bloccheranno queste iniziative. Al termine del conflitto iniziò per la Villa un periodo di rapido declino. Parte della superficie del parco fu lottizzata e venduta per la realizzazione di abitazioni, riducendo in tal modo l’area verde a quella oggi occupata dal parco comunale. Ad aggravare la situazione sopraggiunsero la dispersione dell’arredo della Villa e la distruzione dei manufatti presenti nel Parco. Sorte analoga subì l’archivio. Da ultimo intervenne il Comune di Milano che acquistò i pezzi migliori della collezione di marmi antichi appartenuta al Traversi. Alcune di queste opere purtroppo hanno preso la via di musei stranieri, alcune, in attesa di sistemazione, giacciono nei magazzini comunali, mentre altre fanno bella mostra di sé nel museo del Castello Sforzesco. La Villa invece passò dalla famiglia Tittoni all’Istituto Saveriano per le Missioni Estere di Parma che adibì l’edificio a seminario per i propri studenti. Nel 1975 la Villa è stata acquistata dal Comune di Desio che, nel corso del tempo, ha iniziato alcuni interventi di restauro. Il resto è storia dell’oggi. Piano Terreno Atrio e Sala Neoclassica: Costituiscono un doppio ambiente che poteva essere utilizzato unitariamente per ricevimenti con numerosi invitati. La decorazione dell’atrio è opera dello Scrosati. Il riquadro nella parte centrale della sala neoclassica avrebbe dovuto essere ornato d auna tela di hayez. Il busto nella nicchia lungo la parete est ritrae il Traversi. Sala Barocca Era il salotto per gli uomini. La ricca decorazione ed il pavimento sono di , che proseguì la direzione dei lavori dopo la partenza di Palagi alla volta di Torino. Sala Gotica Era la sala da pranzo della famiglia. Caratterizzata da una insolita decorazione il legno intagliato. La decorazione della volta è opera del pittore Mauro Conconi. Un tempo le finsetre erano arricchite da vetri policromi, opera del Bestini, che raffiguravano i poeti italiani e le loro donne. Sala Moresca Opera del . Prende Aveva funzione di salotto. Sala delle Colonne Era l’ambiente di maggiore rappresentanza dell’edificio. La sala è stata completamente rifatta dopo un furioso incendio che l’aveva completamente distrutta. I lacunari della volta erano ornati con figure di putti intenti a diversi giochi. Scalone Eretto nel 1904 da Luca Feltrami. Per realizzarlo furono eliminati una scala precedente ed un ambiente a pian terreno destinato alla conservazione della stoviglieria. Sale primo piano Le sale del piano superiore sono caratterizzate da una minore ricercatezza nella decorazione. L’ambiente in capo alle scale era anticamente destinato ad archivio; quello speculare verso il parco costituiva invece un soggiorno per le ore serali. Ai lati si aprivano le camere che però hanno subito profonde opere di trasformazione. Nella camera padronale si vedono decorazioni floreali sul modello di quelle dello Scrosati nell’atrio. Cappella Questo ambiente in stile neorinascimentale fu sistemato nella forma attuale verso il 1860 dall’Antona per adempiere alle disposizioni testamentarie dello zio. La decorzazione è opera del pittore Mercanti. Facciata Le statue che coronano il tetto raffigurano le divinità olimpiche e sono opera dello scultore varesino Butti. Cancellata Di notevole pregio è la cancellata disegnata da Palagi e realizzata dal fonditore Viscardi. Il disegno del manufatto anticipa la decorazione della grandiosa cancellata che Palagi realizzò poi a Torino per il Palazzo reale. Le state sono in marmo di Carrara e rappresentano le attività umane. La Biblioteca è ospitata negli ambienti un tempo destianati alle serre. L’ala est dell’edificio era invece destinata a rimesse e depositi. Tutte le strutture architettoniche che arricchivano il parco sono state smantellate. Unico avanzo è la tomba del Traversi e dell’Antona disegnata da Luca Beltrami. L’unico angolo del parco che rispetta ancora la struttura originaria è il trivio di viali adiacente il viale dei Cavalieri di Vittorio Veneto; il sentieri centrala formava un lungo cannocchiale al termine del quale sorgeva il Mulino Traversi con le sue forme neoclassiche. PERCORSI NELLA MEMORIA FESTE Festa Patronale La festa patronale è di origine incerta. Anticamente cadeva il 18 luglio giorno di san Materno. Questa ricorrenza però era solennizzata in un periodo poco idoneo in quanto le feste erano occasione di incontro ed anche di scambio delle merci, ma per la fiera occorreva che fosse già terminata l’annata agricola per poter avere beni di scambio anche in vista delle scorte invernali. Per questo motivo la festa cittadina fu spostata alla prima domenica di ottobre in un periodo più congruo per gli scambi. Come risulta dalla scarna documentazione, la festa della Madonna del Rosario era già solennizzata prima che fosse sancita ufficialmente in seguito alla vittoriosa conclusione della battaglia di Lepanto; la processione con il simulacro mariano divenne il cuore religioso della festività. Ufficio Questa festa nasce dalla somma di due diverse occasioni. L’ufìzi propriamente detto prende origine dall’introduzione verso il 1820 di un ufficio funebre solenne per tutti i defunti della parrocchia. Sagra di san Giuseppe La sua origine è da collegare al voto cittadino del 1630. In seguito la festa fu spostata alla domenica seguente alla ricorrenzae ed infine alla terza domenica di quaresima. A questo punto la commemorazione del voto si è saldata con l’officiatura funebre di cui si è detto al punto precedente formando un’unica ricorrenza298. Festa del Crocifisso La festa del Santuario del Crocifisso originariamente era celebrata l’undici maggio in ricordo di una pioggia miracolosa caduta in seguito al trasporto del simulacro nel 1817. Dal 1820 fu fissato un triduo nei giorni 9-11 maggio. Dopo poco tempo la festa fu trasportata alla quarta domenica di ottobre e doveva costituire una sorta di festa del ringraziamento per l’annata agricola. 298 BRIOSCHI 1998 A, pp. 112ss. IL PALIO Da diciotto anni Desio ospita una manifestazione storico-folcloristica, il Palio degli Zoccoli, che poco alla volta, è uscita dall’ambito strettamente cittadino, per interessare un numero sempre maggiore di persone, divenendo una delle manifestazioni più significative della provincia di Milano. Il Palio degli Zoccoli affonda le sue radici in un episodio remoto della storia cittadina, lo scontro del 21 gennaio 1277 tra le forze di Ottone Visconti e Napo della Torre per il controllo della città di Milano, conclusosi con la vittoria del primo, che riuscì ad imporre sulla città la signoria della sua famiglia. Naturalmente, come sempre avviene in casi di questo genere, la fantasia ha sopperito alle inevitabili lacune della storia, così l’episodio militare si è trasformato in un momento di rievocazione e confronto agonistico tra le undici antiche contrade del borgo. Secondo la tradizione, Ottone Visconti, compensò i Desiani per l’aiuto ricevuto durante la battaglia concedendo agli abitanti del borgo di poter calzare zoccoli di legno, cosa prima vietata, perché il rumore prodotto dalle calzature disturbava la caccia dei signori nella riserva ducale: ...disponiamo che nelle terre del borgo di Desio sia fatto divieto a chiunque, nobile o plebeo, di recarsi in qualunque modo a caccia, e di attraversare dette terre calzando ai piedi zoccoli o altre calzature con suola di legno, pena l’ammenda di cinque terzuoli di buona mistura; nel caso di recidiva vengano inflitti cinque tratti di corda se uomo, o la pubblica fustigazione se femmina... In una giornata domenicale, generalmente compresa tra maggio e giugno, ha luogo la disputa del Palio. Dalla prestigiosa sede della Villa Traversi-Tittoni si snoda un lunghissimo corteo, composto da oltre cinquecento figuranti, che presenta fedelmente personaggi anonimi o famosi della vicenda. Ciascuna delle contrade sfila con il proprio gonfalone ed un buon numero di sfilanti che illustrano le attività o personaggi dell’antico quartiere. Le undici contrade sono le seguenti: Contrada Personaggi Colori Bassa San Giovanni Dügana Büsasca San Pietro al Dosso Foppa San Carlo San Giorgio Piazza Prati SS.Pietro e Paolo Commercianti Cacciatori Contadini Umiliati Frati di San Colombano Notabili Soldati Gerosolomitani Canonici Francescani Boscaioli verde e arancio marrone e giallo rosso e oro rosa antico e grigio verde e nero bianco e azzurro azzurro e grigio bianco e nero bianco e lilla bianco e viola verde e giallo ocra Conclude la sfilata il corteo storico che, nella ricchezza dell’abbigliamento e della scenografia, rievoca i fasti della corte viscontea. Da ultimo gli armigeri conducono, chiuso in una gabbia, lo sconfitto Napo Torrioni; chiude il corteo l’arcivescovo Ottone trionfante sul nemico. Una volta giunti sulla piazza antistante la secolare Basilica, è disputato il Palio vero e proprio, che consiste in una corsa a staffetta, disputata tra ventidue contradaioli che, invece di comode scarpe sportive, hanno ai piedi i famosi zoccoli oggetto della concessione di Ottone Visconti. La manifestazione, nata nel 1989, ha riscontrato un crescente interesse di pubblico ed oggi è ormai diventata una scadenza fissa del calendario cittadino. Nelle ultime edizioni è stata riscontrato un notevole afflusso di pubblico, calcolato nella misura di oltre trentamila persone. In margine alla disputa del Palio vero e proprio, sono tenute varie manifestazioni a carattere ricreativo-culturale, che preparano degnamente alla manifestazione. Il Palio si è diventato una scadenza importantissima per la vita cittadina, capace di aggregare persone della più varia età e provenienza intorno ad un progetto comune, offrendo uno spettacolo qualitativamente assai curato e di sicuro effetto. TRADIZIONI IN CUCINA Occorre premettere che in questo campo non esiste un piatto specificatamente desiano; usi ed abitudini alimentari in vigore a Desio in passato non erano molto dissimili da quelli riscontrabili nella Bassa Brianza. In secondo luogo occorre accennare a due fattori che non hanno permesso un particolare sviluppo di quest’arte. Innanzitutto il territorio offriva magre risorse alimentari e, in aggiunta le donne, tradizionali vestali di queste tradizioni, furono impegnate già al secolo scorso nelle prime fabbriche tessili, obbligandole alla preparazione di piatti semplici, veloci e, soprattutto, economici. L’austerità era il tratto dominante dell’alimentazione contadina del passato. Il piatto quotidiano era costituto dalla polenta. A suo fianco possiamo trovare il pumiàa, zuppa di pane giallo condita col lardo. In alternativa c’era la pult, una sorta di poltiglia ottenuta bollendo acqua o latte con l’aggiunta di farina di granoturco non abburattata. Altro piatto abituale era la minestra di riso con orzo, legumi e per secondo, quando possibile, uova o formaggio; più raramente compariva una salacca (pesce conservato sotto sale). Per cena compariva sempre la polenta col latte. Questo austero rigore alimentare conosceva qualche arricchimento in occasione delle diverse festività che costellavano il calendario contadino. A Capodanno erano, e sono, comuni le lenticchie con la mortadella di fegato. Frittelle per Sant’Antonio e risotto con la luganega l’ultimo giovedì di gennaio. Per Pasqua le tante uova che si erano accumulate in conseguenza dei divieti alimentari quaresimali e la famosa torta paesana (che di paesano ha solo il nome): pane, latte, amaretti, uvetta passa, pinoli, cioccolato fondente, cacao e zucchero. La domenica, per gli uomini, nelle osterie c’è la pìcula, uno spezzatino di carne e patate, generosamente annaffiate con vino robusto. Nelle calde giornate estive faceva la sua comparsa il pan muìn, una zuppa in acqua fredda con un cucchiaio di aceto, pochissimo zucchero e croste di pane giallo; un rimedio più efficace per la sete che per la fame. I piatti più interessanti e sicuramente robusti erano riservati al tardo autunno quando si procedeva alla macellazione del maiale. Per Ognissanti è tradizionale la témpia, maialino da latte bollito con verdure, o la cazzoeula, costine o parti meno nobili come cotenne e pescioeu (zampetto) di maiale cucinate con verze. Altro piatto forte, giunto fino a noi, era la büsècca, trippa di manzo in un brodo di verdure dove prevalgono i fagioli. Per Natale era invece d’obbligo il cappone di manzoniana memoria che era stato allevato con cura fin dall’estate precedente. Forse l’alimento più specificatamente desiano, in quanto limitato ad un’area molto circoscritta, è il papurògiu, un bambolotto di pasta dolce (pasta da veneziana), con tre chicchi d’uva che mettono in evidenza gli occhi e l’ombelico. In una società povera ed austera come quella del nostro passato era una autentica festa per tutti i bimbi il giorno dell’Epifania o, meglio, dei re Magi. I QUARTIERI ANTICHI DI DESIO - STORIA E ARTE Città e quartieri Una comunità cittadina è un fitto intrecciarsi di rapporti; in tal modo le strutture sociali ed economiche si collegano strettamente a quelle politiche e culturali, fino a creare una realtà unitaria spesso dotata di caratteristiche specifiche che la differenziano da altre comunità, magari insediate in un tratto di territorio distante pochi chilometri. L’intreccio dei legami che stringono in Comune gli abitanti di una città si esplicano anche nella ripartizione del territorio, suddiviso in gruppi umani che si organizzano in spazi fisici: i quartieri. Anche Desio è caratterizzata da questa dinamica e, ieri come oggi, i quartieri cittadini rappresentano una realtà fattiva. Il crescere dell’abitato ha comportato in tempi recenti la formazione di nuovi quartieri, che poco alla volta si sono in gran parte saldati al centro cittadino grazie all’enorme sviluppo edilizio. Malgrado oggi Desio presenti una discreta omogeneità territoriale, queste realtà permangono e fanno sentire tutta la loro importanza. In passato le differenze erano molto più vistose e per un Desiano d’altri tempi i criteri di identificazione erano essenzialmente quattro: a) l’essere un gôs, b) l’appartenere ad un gruppo familiare, c) avere un ruolo economico-produttivo ed infine d) risiedere in un determinato quartiere. Non è certo un carattere specifico desiano, ma la presenza e talvolta la costante rivalità tra i quartieri sono stati una caratteristica dominante della storia cittadina. Ovviamente la fisionomia dei quartieri in epoche passate era ben diversa da quella attuale. Un buon indicatore può essere in questo senso un registro di decime redatto nel 1642299. Il documento in questione cataloga gli abitanti del borgo di Desio in cinque quartieri: • Vigana (=Dügana) • Bovisasca • Contrada Pretoria (via Garibaldi) • Stretta dopo il Mercato (via Olmetto e adiacenti) • Piazza. A questi gruppi sono poi affiancate le zone extraurbane: San Pietro al Dosso, San Giorgio, Cascina del Maffiolo (=San Carlo). Piazza Dügana 299 Piazza Dügana Volume manoscritto in APD. E’ il cuore antico dell’abitato. La Dügana è forse il quartiere meglio caratterizzato di Desio. Costituisce un autentico quartiere storico della città connotato da un forte senso di appartenenza al territorio. Oltre ad avere una fisionomia precisa (via Lampugnani e limitrofe), aveva una precisa connotazione sociale, essendo formato per la stragrande maggioranza da agricoltori. Il nome documentato nelle scritture antiche è Vigana, toponimo che risulta indiscutibilmente derivare da vicana, Piazza Castello Castèll Büsasca Büsasca Convegno Cunvègn Pilastrello Foppa Fòpa ossia beni comuni. Traccia di questa antica denominazione è rimasta nella via Sovicana, erede di un antico Suvigana, cioè oltre la Vigana. Sono sicuramente errate le etimologie che fanno risalire il toponimo a dogana (pesa pubblica) od al termine dialettale üga. Questa piazza nel corso del tempo ha mutato denominazione diverse volte. Anticamente era detta Piazza Castello; nel 1941 fu intitolata a Tommaso Tittoni. Con la fine della guerra le forze della Liberazione provvidero ad eliminare tutti i toponimi che in qualche modo ricordassero il passato regime; forse in maniera eccessiva nel 1945 il nome del senatore Tittoni fu sostituito con la denominazione Piazza Martiri di Fossoli. Il toponimo Piazza Castello è però rivelatore della presenza di una costruzione che le fonti ci dicono fatta erigere da Bernabò Visconti verso il negli stessi anni dello scavo della Roggia (1370 circa). Quest’area era di natura privata ma soggetta a pubblico passaggio. Nell’ottobre 1924 la famiglia Klinkman decise di cederla definitivamente al Comune. A completamento dell’opera il donatore volle erigere un monumento al defunto sovrano Umberto I. La contrada Büsasca corrisponde all’attuale via Matteotti che assunse quest’ultima denominazione solo nel 1945. Tradizionalmente chiamata via Bovisasca, fu trasformata nel 1909 in via Bovisio e nel 1931 divenne via del Littorio. Secondo l’opinione comune il termine Büsasca sarebbe una corruzione dialettale di Bovisasca, ossia Strada per Bovisio. Questa ipotesi ha una sua coerenza e risulta plausibile, ma sussistono anche altre etimologie. Centro religioso della contrada era l’oratorio privato della famiglia Del Pozzo la cui costruzione dovrebbe essere collegata alla messa quotidiana istituita dalla marchesa Caterina Del Pozzo nel 1685. I pochi documenti informano che l’oratorio misurava circa dieci metri per sei; il coro era coperto da volta e la piccola navata da tavole lignee. Divenuto proprietà della famiglia Taglioretti, l’oratorio era ancora presente alla metà del secolo scorso; in seguito scomparve senza lasciare nessuna traccia. L’origine di questo toponimo è legata agli Umiliati; occorre però precisare che non si trattava di un edificio ma di un fondo agricolo appartenente al Convenium degli Umiliati di Monza. Sempre nel territorio della contrada Büsasca è collocata l’edicola detta Madonna del Pilastrello. Essa era anticamente collocata poco più a sud e, come sembrerebbe, corrispondeva all’undicesimo miliare della strada romana proveniente da Milano. Il quartiere in questione è relativamente recente in quanto ha visto il suo sviluppo edilizio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Un primo insediamento risale però all’epoca bassomedioevale ed era collocato nello slargo antistante la Borghetto Burghètt Bassa Bassa Aurora Spiazzètt Prati Pràa Cairo Pùnt Pùntell Brìa San Pietro San Pèdar San Giorgio San Giòrg Porta Domasca di Sotto. Il termine Foppa deriva dal latino fovea (fossa) che ricorda una vasca per la raccolta delle acque rimasta in uso fino a tempi abbastanza recenti. Toponimo di particolare interesse in quanto attesta la presenza di un nucleo abitativo fuori dalle mura dell’abitato antico. Raggruppa la parte meridionale dell’abitato raccolta lungo la via Garibaldi. Stretto intorno alla chiesa di San Pio X, il quartiere prende nome ovviamente dalla sua posizione nella parte bassa dell’abitato. Estremità meridionale dell’abitato. La zone prende il nome dalla sede dell’omonima Società Sportiva. Nome tradizionalmente assegnato dai Desiani d’antica data a Piazza Cavour. Il toponimo ovviamente deriva da “piccolo spiazzo”. Ampia zona agricola al confine tra Desio e Muggiò. Prende nome dalla presenza di spazi destinati alla coltivazione del foraggio. La superficia costituiva una pianura irrigua mediante le acque della Roggia. Area corrispondente alla via canonico Villa. Il toponimo popolare trae origine dalla cattiva qualità delle abitazioni che facevano somigliare il quartiere ad una sorta di casbah cittadina. Il “Ponte” sulla Roggia per eccellenza era quello che dava accesso all’abitato antico. Era in corso Italia all’altezza di via Fratelli Cervi-Roggia Traversi. Il “ponte piccolo” era quello che permette alla ferrovia di passare sopra via Lampugnani. Nome della zona posta intorno all’incrocio tra la via Milano e la via Per Cesano. Il toponimo risale al tardo medioevo e prende origine da un termine agricolo: braida. L’antica chiesa non ha nulla a che vedere con i frati di San Colombano. Il complesso fu donato nel 1504 all’ordine dei Servi di Maria o Serviti che abitarono saltuariamente il convento. La chiesa era essenzialmente un centro di devozione popolare e i Desiani vi chiamavano a celebrare religiosi o canonici della Basilica. Malgrado una proposta avanzata nel 1944 di insediarvi una comunità benedettina olivetana, il complesso ha subito un processo di secolarizzazione che ha condotto alla completa trasformazione del fabbricato. Agli inizi del Novecento costituiva il quartiere “residenziale” dell’abitato L’abitato di san Giorgio si sviluppò intorno all’antico ospedale detto del Carendon. Occorre ricordare che l’antico ospedale di san Giorgio era un luogo di sosta per viandanti, pellegrini e penitenti; garantiva essenzialmente riparo e nutrimento e, solo in determinati casi, offriva alcune prestazioni di carattere sanitario. Circa l’origine di questo insediamento abitativo c’è la massima confusione. Con assoluta certezza l’origine del nome non è riconducibile a San Carlo San Càrlu Murìn kardo e non è assolutamente documentata la presenza di frati dell’ordine gerosolomitano. L’ospedale dovrebbe risalire alla filiazione di qualche istituto religioso monzese. L’ospedale fu donato nel 1246 dall’arcivescono alle monache di Sant’Apollinare. La parte dell’abitato spettante al comune di Desio era detta anticamente cascina del Maffiolo, poi Cascina Arienti. Il toponimo attuale è relativamente recente e prese corpo dall’intitolazione della chiesa. Così era indicata la zona circostante il Mulino Traversi di via Giusti. CASCINE300 1. Arienti 2. Americana 3. Baffa 4. Beretta Mariani 5. Beretta Radice 6. Bolagnos 7. Bonomi Gavazzi 8. Brambilla 9. Bria 10. Colombo 11. Corbetta 12. Galbiati 13. Lecchi 14. Nava 15. Ornaghi 16. Prada 17. Pellegatta 18. Pellizzoni 19. penati 20. Pirotta 21. Primavera 22. Ribaldi 23. Rosanna 24. S. Antonio 25. S.Caterina 26. S.Giorgio di Sopra 27. S.Giorgio di Sotto 28. S.Vincenzo 29. Sole (del) 30. Somaschini 31. Vasone – Belvedere 32. Viganò 300 Informazioni desunte da uno stradario cittadino realizzato dalle ACLI nel 1962. PIO XI E DESIO ITER ECCLESIASTICO Ambrogio Damiano Achille Ratti nacque a Desio, quartogenito di Francesco e Teresa Galli, in una famiglia benestante di industriali serici i cui antenati risiedevano già da lunghissimo tempo in Brianza. A dieci anni entrò nel seminario arcivescovile di Seveso e si mise subito in luce per le sue particolari doti intellettuali, tanto che l'allora arcivescovo di Milano, Luigi Nazari di Calabiana, lo notò e lo ebbe a definire un giovane vecchio 301. Ordinato sacerdote nel dicembre 1879, decise a malincuore di non recarsi a Torino per proseguire gli studi di matematica, ma di restare a Roma, dove, tre anni più tardi conseguì le lauree in teologia, diritto canonico e filosofia. Al suo ritorno nella diocesi milanese tenne la cattedra di eloquenza sacra al seminario teologico; durante questo periodo, nel 1882, fu inviato per un brevissimo ministero parrocchiale a Barni, in Valsassina, dove rimase solo tre mesi. Nel 1888 chiese ed ottenne di poter essere ammesso alla Biblioteca Ambrosiana dove trascorse lunghi anni, prima come Dottore, poi come Prefetto, dedicandosi ad eruditissime ricerche che abbracciavano i campi della filologia, della storia e dell'arte. Valente paleografo, fu membro di diverse accademie letterarie e scientifiche ed autore di oltre settanta studi che riguardano principalmente le vicende storico-ecclesiastiche della diocesi milanese 302. E' interessante sapere che in questo periodo Ratti si recava a lezione di ebraico dal rabbino capo di Milano, Alessandro di Fano, con il quale intrattenne una pluriennale amicizia, durata anche dopo l'elezione a Pontefice. La sua sola evasione allo studio fu la montagna. Alpinista provetto, nel 1889 compì la traversata del Monte Rosa per il colle dello Zumstein trascorrendo la notte a 4600 metri e scalando nella medesima ascensione anche il Cervino. L'anno seguente affrontò il Monte Bianco tentando una via nuova, il ramo occidentale del ghiacciaio del Dòme verso Curmayeur; tale tracciato è ancora oggi chiamato via Ratti. Da amante della montagna quale era, decise di trascorrere l'ultima notte del secolo scorso sulla cima del Vesuvio, attendendo da quell'altezza il sorgere del sole del nuovo secolo. Non a caso, quando divenne Papa, nominò san Bernardo da Mentone patrono degli alpinisti ed ebbe parole di elogio per questa pratica sportiva: "Fra tutti gli esercizi di onesto diporto, nessuno più di questo, quando si schivi la temerità, può dirsi giovevole alla sanità dell' anima nonché del corpo" 303. L'attività d'archivio proseguì poi con la sua partenza alla volta di Roma per affiancare (1911) e poi sostituire (1914) il cardinale gesuita Franz Ehrle nel prestigioso incarico di Prefetto della Biblioteca Vaticana. In questo nuovo e importante ruolo il Ratti proseguì nelle sue ricerche storiche e diede impulso alle attività della biblioteca, in particolar modo potenziando il laboratorio di restauro dei manoscritti antichi. Il primo atto "pubblico" della sua vicenda fu la nomina a Nunzio Apostolico in Polonia in uno dei momenti più gravi della storia di questo paese. Unico diplomatico, rimase a Varsavia anche quando le truppe russe stavano per occupare il paese e, dopo la soluzione del conflitto, con una serie di accordi con i governi locali riuscì a rafforzare la presenza cattolica non solo in Polonia, ma in tutta l'area baltica. In particolare seppe schierarsi al fianco del popolo polacco nel momento del maggiore pericolo, attirando sulla chiesa cattolica la simpatia della popolazione e del governo, in tal modo seppe presentare l'identità cristiana come fattore coagulante della nazione e, indirizzando il nazionalismo del maresciallo Pilsudski, seppe rafforzare la posizione della chiesa 304. 301 Persone che gli furono vicine lo ebbero anche a definire italiano per indole e temperamento, ma tedesco conoscenze e tendenze culturali. 302 La sua opera di maggiore impegno fu la pubblicazione degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, iniziata nel 1890. 303 Ratti scrisse pagine affascinanti dedicate alla montagna. Si veda: G.BOBBA - F.MAURO, Scritti alpinistici del sac. Dott. Achille Ratti, ora S.S. Pio XI, Milano 1923. Si veda anche: L.BANDERA, Pio XI il Papa alpinista, Desio 1966. L’opera presenta in modo sistematico tutte le imprese alpinistiche del futuro Pio XI. 304 Promosso Nunzio, ricevette la solenne consacrazione episcopale a Varsavia il 28 ottobre 1919. Ottimo strumento per la conoscenza di questa delicata missione è il volume: N.STORTI, Lettere dalla Polonia di Mons. Achille Ratti, Lissone 1990. Questi risultati, che poi gli frutteranno la porpora cardinalizia, non sarebbero stati ottenuti se egli non avesse saputo cogliere con estrema lungimiranza diplomatica l'occasione unica che gli veniva offerta in quel momento. Gli stravolgimenti politici dell'epoca avevano infatti posto le condizioni per un profondo mutamento dei rapporti stato-nazione-chiesa. Nel 1921, anche come ricompensa per i significativi risultati raggiunti durante la sua permanenza nell'Est, fu destinato a reggere la maggiore diocesi italiana, quella ambrosiana, in un momento caratterizzato da tensioni sociali e grave confusione creatasi dopo la morte del cardinal Ferrari. Si sono spesso taciuti gli attriti e la differenza che correvano tra i due pastori, sfociata talvolta in atteggiamenti di contrasto. Ferrari e Ratti avevano due visioni pastorali per molti versi opposte; mentre Ferrari credeva in un'impostazione "pastorale", basata sulla formazione di un laicato attivo e responsabile, Ratti riteneva più idonea una prospettiva "diplomatica" che, salvando il prestigio dell'autorità ecclesiastica, permettesse il consolidamento dell'elemento cattolico nella società. Anche durante gli anni della sua permanenza alla Vaticana, Ratti ebbe sempre stretti rapporti con Milano, dove si recava ogni fine settimana per svolgere la sua funzione di cappellano in un istituto religioso femminile che curava la formazione delle future elites cittadine. Durante questo periodo si impegnò inoltre con successo per veder accettata la presenza dei sacerdoti come insegnanti nelle scuole comunali milanesi. Nel suo nuovo ruolo Ratti ebbe modo di sancire l'autorità dell'Arcivescovo di fronte ai fermenti che si agitavano nel mondo cattolico. Il futuro Pio XI impostò tutta la sua azione sul modello dei due Borromei, dedicandosi attivamente all'opera organizzativa e tutelando il prestigio, qualche volta offuscatosi, dell'Arcivescovo. All'epoca provocò vivaci reazioni l'omelia tenuta in Duomo in occasione del suo solenne ingresso (8 settembre 1921) in cui ebbe a dire che "Il Papa è il più grande decoro dell' Italia. Per Lui tutti i milioni di cattolici che sono nell' universo mondo si rivolgono all' Italia come ad una seconda patria, per lui Roma è veramente la capitale del mondo e bisogna chiudere gli occhi all' evidenza per non vedere quel prestigio e quali vantaggi potrebbero dalla sua presenza derivare al nostro Paese, quando fosse tenuto nel debito conto del suo essere internazionalmente e sopranazionalmente sovrano. Nel luglio dello stesso anno l'uomo nuovo della politica italiana, Mussolini, aveva detto: Penso che la tradizione latina e la tradizione di Roma siano rappresentate dal cattolicismo...lo sviluppo del cattolicismo conduce fatalmente centinaia di milioni di uomini a guardare a Roma. In tal modo si prospettava in maniera già evidente il riavvicinamento della Chiesa allo Stato italiano, dando per superate tante reciproche incomprensioni del passato. Il nuovo Arcivescovo adottò come stemma quello di una famiglia Ratti (tre sfere sormontate dall'aquila), corredato dall'insolito motto Raptim Transit (passa velocemente), dove scherzosamente si equivocava sull'assonanza Raptim/Ratti e sull'equiparazione Ratti/ratto, paragone insolito sul quale tornò anche una volta diventato Pontefice 305. Il motto Passa velocemente doveva però risultare quasi profetico; solo dopo pochi mesi dal suo solenne ingresso a Milano, il cardinal Ratti dovette partire alla volta di Roma per partecipare al conclave dal quale sarebbe uscito rivestito della tiara pontificia. IL PONTIFICATO Un primo dato che colpisce nell'affrontare la vicenda e la personalità di Pio XI è la mancanza di biografie "equilibrate" del nostro Personaggio. Fatte poche debite eccezioni, Pio XI sembra aver avuto solo detrattori od adulatori. Moltissime opere, nate in contesti ideologizzati di qualche decennio fa, hanno espresso pesanti giudizi sul suo pontificato, evidenziando in maniera marcata i rapporti col regime fascista sfociati nella firma dei Patti del Laterano. Sul versante opposto, sono assai numerose le biografie a carattere agiografico-adulatorio che purtroppo risultano poco utili in sede di analisi storica. Giova qui ricordare che Papa Ratti non avrebbe gradito ne' gli uni ne' gli altri. Uomo energico com'era, non avrebbe tollerato critiche, ma di sicuro non sopportava piaggeria ed adulazione; 305 Rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini desiani ebbe a dire che, da bravo ratto, sarebbe riuscito a fuggire per un giorno dalla gabbia in cui l’avevano chiuso (il Vaticano) per rivedere il paese natio. emblematico il caso di un importante visitatore che lo importunava in continuazione con banalità dettate da servilismo, al quale il Papa confessò la sua predilezione tra tutti gli animali per i pesci rossi, "perché non parlano mai". Il 22 gennaio 1922 moriva dopo soli sette anni di intenso e difficile pontificato Benedetto XV, il Pontefice che aveva più volte levato la voce contro l'inutile strage del primo conflitto mondiale. Il due febbraio, 53 cardinali, di cui trenta italiani, si chiusero nella Cappella Sistina per il conclave che avrebbe dovuto eleggere un successore. Inizialmente le scelte caddero su Merry del Val (già segretario di Stato con Pio X) e Maffi, presule di Pisa. Al terzo giorno di seduta rimasero in lizza i cardinali Gasparri, segretario di Stato del defunto Papa, ed il patriarca di Venezia La Fontaine (italiano malgrado il cognome). Visto l'insanabile dissidio si puntò su un uomo di compromesso, cioè un italofilo che non appartenesse a nessuna delle due correnti ed avesse registrato una discreta convergenza di voti. La soluzione ebbe luogo il 6 febbraio, dopo il quattordicesimo scrutinio, quando il cardinale Ratti risultò eletto con 42 voti su 53 e scelse il nome Pio perché egli era diventato sacerdote sotto Pio IX e Pio X lo aveva chiamato a Roma. Fin dal primo giorno ebbe luogo una significativa svolta. Il neoeletto Pontefice impartì la solenne benedizione non dal balcone rivolto sul cortile interno come avevano fatto i suoi predecessori dopo la presa di Roma da parte dei Piemontesi, ma da quello principale che si affacciava sulla piazza San Pietro gremita di gente. Questo gesto mise in luce dall'inizio l'intento del nuovo Papa di porre fine alla pluridecennale Questione Romana e, conseguentemente, stabilire il ruolo internazionale del Vaticano. Con il pontificato di Pio XI si ebbe una svolta radicale nell'atteggiamento della Santa Sede nei confronti del mondo. Chi lo aveva preceduto sulla cattedra di San Pietro aveva ancora creduto in un sistema teocratico legato alla christianitas di natura medioevale, per cui i confini dell'orbe cattolico coincidevano con gli stati tradizionalmente legati alla Santa Sede, all'interno dei quali l'elemento cristiano risultava il fattore principale ed unificante della società. Pio XI ebbe perfettamente chiaro che la realtà era mutata, si era ormai avviata una generalizzata secolarizzazione che aveva allontanato milioni di individui dalla pratica religiosa e si erano diffuse dottrine apertamente ostili ai dogmi del cristianesimo ed in generale ai valori religiosi. Inoltre il messaggio cristiano, sulla scia dei colonizzatori, aveva superato i confini della vecchia Europa e si era ampiamente diffuso nei territori d'Oltreoceano, entrando in contatto con altre religioni e confrontandosi con le missioni protestanti 306. Sostanzialmente la linea guida del pontificato di Pio XI fu quella di non lasciare isolata la chiesa dall'evoluzione che si era avuta a partire dal secondo Ottocento, ma di trovare tutte quelle modalità per un suo inserimento a pieno titolo nella società moderna e per molti versi scristianizzata, anche attraverso la formazione di un laicato attivo e la creazione di idonee strutture organizzative. Questa nuova e lucida sensibilità gli provenivano dal lungo apprendistato culturale di tipo storico che aveva condotto per decenni alla Biblioteca Ambrosiana ed alla breve esperienza diplomatica nei paesi Baltici. Proprio dall'analisi del passato Pio XI mutuò questa sensibilità a cogliere qualsiasi opportunità per entrare in rapporto con le singole realtà nazionali, prescindendo dalla natura del loro regime politico. Ratti era davvero un uomo nuovo, estraneo alle alchimie di curia ed a certi integralismi del passato, riuscì a sfruttare tutte le occasioni propizie per consolidare la presenza del cattolicesimo in numerosissimi paesi, avvalendosi tra l'altro delle repentine mutazioni politiche che avevano portato al potere in Europa regimi autoritari. Al centro delle sue attenzioni fu anche il mondo della Europa orientale e, se da un lato condannò l'ideologia marxista nell'enciclica Divini Redemptoris 307, nel 1929 fondò il Russicum, istituto che progettava il recupero al cattolicesimo dell'Unione Sovietica. L'atto più famoso del suo pontificato è costituito dai Patti del Laterano che nacquero dall'esigenza di dare risposta a due ordini di problemi. Innanzitutto il Concordato regolò la presenza della Chiesa 306 Per il tema missionario si veda: E.COLLI, Pio XI Papa missionario, Desio 1957. Parole di condanna per l’ideologia comunista sono presenti nell’enciclica Acerba animi (1932) che criticava gli eccessi del governo messicano. 307 nell'ambito italiano, ed inoltre il riconoscimento fisico della Santa Sede permise al Vaticano la piena autonomia per raggiungere senza ostacoli di sorta tutti gli angoli dell'orbe cattolico. Quest'atto è stato variamente valutato e non è questa la sede idonea per analizzare le molteplici valenze della Conciliazione, preme però sottolineare, nel tentativo di ricostruire la personalità del Pontefice, la necessità di cogliere quali aspetti della sua formazione e della sua esperienza abbiano influito sulla scelta di rompere col passato e giungere ad un accordo definitivo con lo Stato Italiano. Mons. Ratti era un brianzolo e come tale un uomo estremamente pragmatico, abituato a chiamare le cose col proprio nome, a considerare la realtà per quella che è effettivamente e, conseguentemente, a trattare con l'interlocutore del momento perché è l'unico in grado di risolvere il problema contingente. In secondo luogo mons. Ratti era un uomo di cultura, profondo conoscitore del suo tempo, ma anche delle vicende storico-ecclesiastiche del passato. Considerato che praticamente non resse mai una parrocchia, Ratti non ebbe una formazione di tipo pastorale, ma di tipo storico. Questa sua sensibilità deve averlo condotto ad esaminare il rapporto Stato-Chiesa sotto una prospettiva diversa da quelle utilizzate fino a quel momento. Ampio conoscitore delle vicende ecclesiastiche, ed in particolare di quelle milanesi, Ratti pensò sempre ai rapporti stato-chiesa nei termini offerti dalla storia. Era evidente ai suoi occhi il fatto che la Chiesa era sempre riuscita a mantenere libertà di azione e sufficiente autonomia in virtù delle proprie strutture diplomatiche e, sotto questa luce, un concordato non sarebbe stato altro che la continuazione di millenni di storia ecclesiastica. Una soluzione di questo genere agli occhi del maturo studioso di storia era l'unica in grado di consentire alla Chiesa la necessaria autonomia per espletare la propria missione religiosa. Per uno strano paradosso la Chiesa riusciva ad essere maggiormente libera da condizionamenti di qualsiasi natura, proprio nella misura in cui "scendeva a patti" con l'interlocutore del momento. Il problema della libertà della Chiesa si poneva dunque nei termini di un'autonomia dalle strutture secolari; occorreva pertanto creare a tale scopo organismi organizzativi autonomi, riconosciuti e rispettati dai diversi sistemi politici. E' ovvio che una lettura di questo genere poteva nascere solo in un uomo che conosceva più che profondamente la storia della chiesa, ma che nello stesso tempo fosse un abile diplomatico, capace di saper fissare margini di autonomia sufficientemente robusti per resistere alle pressioni esterne, ma tuttavia elastici per sapersi adattare alle varie congiunture storiche. Innanzitutto occorre, se ce n'è ancora bisogno, sottolineare l'assoluta estraneità di Pio XI all'ideologia fascista. Come ebbe modo di dimostrare in altre occasioni, Papa Ratti non aveva simpatie per un regime totalitario basato essenzialmente sul culto del capo e dello stato che più tardi ebbe a definire statolatria pagana. Già in Polonia il nunzio Ratti si era già confrontato con uno statista, il maresciallo Pilsudski, la cui ideologia è per molti versi accostabile al fascismo italiano e, in quell'occasione Ratti ebbe modo di trattare francamente e giungere ad accordi diplomatici che, senza implicare l'adesione ideologica alle teorie dell'interlocutore, permisero il conseguimento degli obiettivi di natura politico-religiosa prefissati. In questo senso la famosa espressione dell'uomo mandato dalla Provvidenza, espressa nei riguardi di Mussolini, acquista significato ben diverso da quello che le si è abitualmente attribuito. Nella continuazione del testo, Pio XI ricorda come "merito" di quest'uomo l'aver saputo superare certe prospettive dell'ideologia liberale. Occorre ricordare che il futuro Papa aveva avuto la sua formazione nel periodo di trionfo di un liberalismo che si era espresso nella chiusura al cattolicesimo. Ora questa pregiudiziale veniva meno per la prima volta, anche se sappiamo benissimo che il fascismo scelse la strada concordataria per fini esclusivamente propagandistici, presentandosi come il solutore di una questione che nessuno dei governi precedenti era riuscito a dipanare 308. Bisogna inoltre ricordare che Pio XI identificò nello strumento concordatario l'espediente per regolare i rapporti stato-chiesa in numerosi casi, tanto che vennero stretti parecchi accordi di questo 308 Per il tema del Concordato e, più in generale, sui rapporti tra Santa Sede e fascismo, si veda: F.MOLINARI V.NERI, Olio santo e olio di ricino, Torino 1976, pp.91ss. tipo anche con altri governi. Quello con lo Stato Italiano è sicuramente il più importante perché, oltre a disciplinare questi rapporti, significò il riconoscimento dell'autonomia fisica e territoriale della Santa Sede. Parafrasando un'espressione oggi di moda potremmo dire che esso fu "il padre di tutti i concordati". In questo modo la Santa Sede coronò il suo obiettivo di politica internazionale perseguito per più lungo tempo e con la maggiore tenacia: l'autonomia del proprio territorio, garanzia insostituibile di indipendenza e libertà d'azione nell'opera apostolica. Non a caso già durante le trattative tra Germania e Italia per il non intervento di quest'ultima durante il primo conflitto mondiale, la Santa Sede si offrì come mediatrice e, in base ad accordi di massima, come compenso per questo suo intervento era stata chiesta la sovranità sul corso del Tevere fino al mare per garantire una via di comunicazione autonoma 309. * * * Papa Ratti non aveva particolare interesse per la tecnica. Sulla sua scrivania spiccava uno degli ultimi modelli di apparecchio telefonico, ma i cavi erano staccati e fungeva da semplice soprammobile. Pio XI cercava di limitare al minimo l'uso del telefono e, di fronte a sperimentatori che illustravano i pregi della nuova invenzione, Ratti si rifiutò di incidere la propria voce su un magnetofono, invitando, con una sorta di ostilità verso la macchina, i suoi ospiti a provare il funzionamento dell'apparecchio. Malgrado la diffidenza innata dell'umanista per la tecnica, si impegnò a fondo perché la Santa Sede si giovasse di quei ritrovati della scienza moderna che avrebbero permesso alla Chiesa di far giungere la propria voce in tutto il mondo. In base agli accordi del Laterano lo Stato della Città del Vaticano poteva munirsi di un sistema autonomo di comunicazioni che comprendeva una rete postale, una centrale elettrica, la linea ferroviaria ed un impianto telegrafico. Dato più importante, fu affidato a Guglielmo Marconi l'incarico di realizzare un impianto radiotelegrafico ad onde corte (il primo nel mondo) ed il 12 febbraio 1931 fu inaugurata la Stazione della Radio Vaticana che costituisce ancora oggi uno strumento insostituibile per l'azione della Chiesa. Quanto questo aspetto sia stato importante agli occhi del Pontefice lo dimostra il fatto che Marconi fu ricevuto in Vaticano solo quattro giorni dopo la stipula del Concordato per provvedere agli accordi iniziali per la realizzazione di quest'opera che, oltre a diffondere la voce del Pontefice attraverso l'etere, avrebbe permesso la comunicazione diretta con le diverse nunziature apostoliche e, almeno agli inizi, l'emittente radiofonica, oltre ad uno strumento di comunicazione, fu considerata una sorta di laboratorio scientifico per utilizzare e conoscere meglio le applicazioni dell'invenzione marconiana 310. Il 6 febbraio 1931 fu inaugurata la centrale elettrica vaticana, necessaria premessa, al varo dell'emittente. In quell'occasione il Pontefice, riferendosi all'ormai imminente avvenimento, ebbe a pronunciare le seguenti parole: "Per il domani è già annunciata e già matura e sempre più perfetta un' altra meraviglia dovuta alle geniali cure e sollecitudini del marchese Marconi, meravigliosa davvero, che permetterà al vicario di Gesù Cristo d' estendere la sua conversazione all' universo intero". E' interessante sottolineare questo atteggiamento universalistico di Pio XI che, tramite la radio, si porrà in "conversazione" con il mondo intero; questo ritrovato permise per la prima volta alla Chiesa di far giungere la sua voce, ma anche di raccogliere gli stimoli provenienti dagli angoli della cristianità. * * * Indubbiamente Pio XI fu un uomo infaticabile che durante il suo pontificato compì una profonda revisione della Chiesa e la esplicò in una notevole serie di atti destinati a trasformare le strutture ecclesiastiche. Pubblicò trenta encicliche, creò 74 nuovi cardinali in diciassette concistori e centinaia di vescovi, innalzò alla gloria degli altari 33 santi (tra cui Don Bosco che aveva conosciuto personalmente a Torino, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Teresa di Lisieux e Tommaso 309 310 A.MONTICONE, La Germania e la neutralità italiana: 1914-1915, Bologna 1971, p.168. Per la fondazione della Radio Vaticana si veda: N.STORTI, op.cit., pp.303-314. Moro) e 500 beati, solennizzò anni giubilari, curò la fondazione di istituti e scuole speciali ( di primaria importanza l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), costituì 128 sedi residenziali vescovili ed arcivescovili e 113 prefetture apostoliche Stipulò inoltre 18 concordati i più importanti dei quali furono quelli con la Lettonia (1922), Romania (1927), Lituania (1927), Italia (1929), Germania (1933), Austria (1933), Iugoslavia (1937) e Polonia (1939). Da uomo di cultura quale era, Pio XI prestò la massima attenzione per il potenziamento delle attività scientifico-culturali. Provvide alla ricostituzione della Pontificia Accademia delle Scienze che raccolse settanta uomini di ogni provenienza ideologica o religiosa purché interessati alla ricerca del Vero. Si deve alla sua opera la risistemazione dei Musei Vaticani e la fondazione del Museo Etnologico, chiaro indice di una nuova prospettiva universalistica che papa Ratti curò e sostenne. Durante il suo pontificato fu inoltre ampliata la Specola Vaticana ed istituite le commissioni per l'Arte Sacra e per l'Archeologia. Pio XI soleva ricordare che i sacramenti della Chiesa sono sette, ma ne esiste anche un ottavo: quello della scienza. Manifestò il suo amore per le comunicazioni anche attraverso la proclamazione di san Francesco di Sales a patrono dei giornalisti 311 . Spesso Pio XI è giustamente indicato come il Papa delle missioni o il Papa dell' Azione Cattolica. Durante il Suo pontificato ebbe notevole sviluppo l’attività missionaria coordinata dal nuovo collegio di Propaganda Fide del quale aveva posto la prima pietra e furono consacrati i primi vescovi indigeni, segno di un mutato atteggiamento della Chiesa nei confronti delle giovani chiese d'Oltremare. Curò inoltre di coordinare l'attività ad gentes con l'istituzione delle Pontificie Opere Missionarie e della Giornata Missionaria Mondiale. Nel suo sforzo di mettersi al passo coi tempi, Pio XI potenziò inoltre le strutture organizzative dell'Azione Cattolica, indirizzando verso la famosa scelta religiosa che ha retto per anni gli sforzi di quest'organizzazione. Questa scelta va correttamente collegata agli accordi del Laterano in base ai quali l'A.C. era l'unica organizzazione giovanile non controllata dal regime, il quale perseguiva l'indottrinamento dei ragazzi tramite l'Opera Nazionale Balilla. In base ai patti del 1929, l'A.C. avrebbe potuto perseguire solo finalità di natura schiettamente religiosa ma, come presto avvenne, sotto la sua ala si rifugiarono tutti gli elementi antifascisti del mondo cattolico che iniziarono ad organizzare anche attività di tipo politico-sindacale. La situazione portò nel 1931 ad un clamoroso strappo quando fu impartito ai prefetti di requisire tutte le sedi dell'Azione Cattolica. Come risulta da numerose testimonianze, la reazione del Pontefice fu furibonda in quanto egli vedeva in questo sodalizio il modo per garantire una reale presenza dei cattolici nella società italiana senza essere fagocitati dalle strutture organizzative del regime. Pio XI, in uno scatto d'ira ebbe a dire all'ambasciatore italiano: Gli vada a dire al signor Mussolini, allora, che con i sistemi che usa e i fini che si propone mi fa schifo! Di fronte al rifiuto del diplomatico di riferire un'affermazione simile, Papa Ratti si aggiustò lo zucchetto e proseguì alzando il tono: Ah, non le piace? Questa poi è curiosa...allora gli dica: nausea, vomito!. Tramite la mediazione del gesuita Tacchi Venturi si giunse nel mese di settembre ad un accordo che riappianò, almeno formalmente, la situazione. In base a queste decisioni l'Azione Cattolica veniva qualificata come un'associazione a carattere diocesano che si prefiggeva la formazione religiosa degli aderenti, rinunciando tra l'altro ad organizzare manifestazioni ginnico-sportive che erano di esclusiva competenza dell'Opera Nazionale Balilla. Questo accordo risultò indubbiamente una vittoria per il regime fascista che, imponendo la struttura diocesana dell'associazione, frantumò il fronte avversario, impedendo la formazione di un'entità unica capace di opporre qualsiasi resistenza. Verranno poi gli anni dell'impero e del consenso di massa, quando purtroppo anche molti vescovi si schierarono più o meno apertamente a favore del regime, impedendo all'Azione Cattolica qualsiasi iniziativa che potesse risultare in disaccordo con le direttive del regime. Collocato a spartiacque tra cristianità medioevale e società moderna secolarizzata, Pio XI aveva cercato con i Patti Lateranensi di cattolicizzare il fascismo e l'intera società italiana, ma ben presto 311 Indice delle sue premure per la pastorale nel settore delle comunicazioni è la pubblicazione dell’enciclica Vigilanti cura (1936) dedicata al cinema. si dovette rendere conto dell'inutilità di questo sforzo. Gli accordi del 1929 non furono certamente l'avvicinamento tra due posizioni inconciliabili tra loro, ma un autentico instrumentum regni attraverso il quale ciascuno dei contraenti cercò di trarre il maggior profitto possibile. Resta il fatto che già a partire dal 1931 si rese evidente l'irrealtà di una convivenza tra due visioni del mondo, entrambe totalizzanti ed autoritarie; si trattava dello scontro tra un'assolutismo dell'anima contrapposto a quello dello Stato. I rapporti con il Governo italiano proseguirono in modo formalmente tranquillo e l'unica occasione di appoggio aperto del Vaticano al regime fu in occasione della Guerra Civile Spagnola, non tanto per adesione ai programmi franchisti (il concordato con la Spagna arriverà solo nel 1953), ma per timore degli eccessi anticlericali delle forze rivoluzionarie. Gli ultimi anni del suo pontificato furono amareggiati dalla constatazione delle fosche conseguenze create dall'avvento di regimi dittatoriali in Italia e Germania. In particolare generò seri dubbi l'adozione delle leggi razziali, tanto che Pio XI ebbe a dire che era stato ferito lo spirito stesso del concordato, introducendo delle norme discriminanti che urtavano violentemente con il principio evangelico della fratellanza di tutti gli uomini 312. Non a caso, di fronte al dilagare di ideologie totalizzanti, Papa Ratti istituì la festa di Cristo Re, unico signore dell'universo. Tali temi, già enunciati parzialmente nelle due encicliche Non abbiamo bisogno e Mi brennender Sorge, avrebbero dovuto avere piena esplicitazione in un suo discorso teso a denunciare le violazioni dei Patti Lateranensi, le persecuzioni razziali ed i preparativi tedeschi al conflitto. Di questo testo sono rimaste solo alcune parti, pubblicate nel 1959 da Giovanni XXIII; sembrerebbe però di capire che il discorso non consistesse in una condanna formale delle dittature, ma in una denuncia delle violazioni degli accordi concordatari. Tale intervento, programmato per il 12 febbraio 1939, non poté aver luogo. Il 10 febbraio Pio XI spirava per un attacco cardiaco. Lungo gli anni di questo Pontificato operarono parecchie personalità che, in modi diversi, prepararono il terreno su cui poi sarebbe germogliato il Concilio Vaticano II. Soprattutto in Francia si ebbe una intensa stagione di fervore culturale che vide il contributo di parecchi filosofi e scrittori cristianamente ispirati: Bernaros, Bloy, Peguy, Maritain, Gilson, Mounier, Guitton, fino a giungere alle speculazioni scientifiche del gesuita Teilhard de Chardin. Purtroppo ben poco di questi contributi giunse in un’Italia autarchica ed ostile verso qualsiasi novità giungesse d’oltralpe. Pur intravedendo il futuro, anche Pio XI, lontano per sensibilità e formazione da questi nuovi stimoli, non seppe recepire le novità. Gravi colpi ricevette anche il dialogo ecumenico che conobbe una battuta d’arresto con l’enciclica Mortalium animos del 1928. In ambito strettamente italiano si ebbe il divieto a far circolare in conventi, seminari e circoli cattolici la Storia di Cristo del convertito Giovanni Papini che non si vide capito e garantito come apologeta sincero della religione. Aspetti ben più drammatici ebbe la condanna di Ernesto Bonaiuti. Nel 1934 il Sant’Uffizio proibì la diffusione e ristampa de La più bella avventura di don Primo Mazzolari 313. La stagione del rinnovamento conciliare era ancora lontana, ma essa forse non avrebbe potuto aver luogo senza la creazione delle strutture organizzative create dal Papa brianzolo. 312 In occasione della visita di Hitler a Roma nel 1938, Pio XI si portò a Castel Gandolfo per evitare l’imbarazzante incontro. 313 La revoca del provvedimento contro l’opera del parroco di Bozzolo giungerà solo nel 1962. CRONOLOGIA 31 maggio 1857, nasce a Desio (Milano). ottobre 1867, entra nel seminario arcivescovile di Seveso. 20 dicembre 1879, viene ordinato sacerdote a Roma. 1882, consegue le lauree in teologia, diritto canonico e filosofia. 1882-1888, insegna nel Seminario maggiore di Milano. 1882-1912, è cappellano presso l'Istituto N.S. del Cenacolo di Milano. 8 novembre 1888, è dottore alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. 31 luglio 1889, scala la punta Dufour (m 4.638). 1907, viene nominato Prefetto della Biblioteca Ambrosiana. 8 novembre 1912, è nominato Vice Prefetto della Biblioteca Vaticana. 1914, diventa Prefetto della Vaticana ed è nominato protonotario apostolico. 25 aprile 1918, Visitatore Apostolico per la Polonia e la Lituania. 6 giugno 1919, viene inviato come Nunzio Apostolico in Polonia 28 ottobre 1919, è consacrato arcivescovo di Lepanto. 1921, è Alto Commisario Ecclesiastico per il plebiscito in Alta Slesia. 13 giugno 1921, è nominato arcivescovo di Milano e Cardinale. 8 settembre 1921, solenne ingresso a Milano. 6 febbraio 1922, eletto Sommo Pontefice, assume il nome di Pio XI 12 febbraio 1922, solenne incoronazione nella basilica di San Pietro. 11 febbraio 1929, Concordato con lo Stato Italiano. 31 dicembre 1930, pubblica l'enciclica Casti Connubii. 12 febbraio 1931, inaugurazione della Stazione Radio Vaticana. 15 maggio 1931, pubblica l'enciclica Quadragesimo anno. 29 giugno 1931, pubblica l'enciclica Non abbiamo bisogno. 20 luglio 1933, concordato con la Germania. 14 marzo 1937, pubblica l'enciclica Mit Brennender Sorge "Con cocente dolore". 19 marzo 1937, pubblica l’enciclica Divini Redemptoris. 10 febbraio 1939, muore per attacco cardiaco. Encicliche di Pio XI Ubi Arcano Dei Consilio 23 dicembre 1922 Rerum Omnium Perturbationem 26 gennaio 1923 Maximam Gravissimamque 18 gennaio 1924 Quas primas Rerum Ecclesiae Rite expiatis Iniquis Afflictisque 11 dicembre 1925 28 febbraio 1926 30 aprile 1926 18 nobembre 1926 Mortalium Animos Miserentissimus Redemptor Mens Nostra 6 gennaio 1928 8 maggio 1928 20 dicembre 1929 Divini Illius Magistri 31 dicembre 1929 Casti Connubii Quadragesimo Anno 31 dicembre 1930 15 Maggio 1931 sulla Pace di Cristo nel Regno di Cristo. su san Francesco di Sales sulle Associazioni Diocesane in Francia sulla Regalità di Cristo sulle missioni cattoliche su san Francesco d'Assisi sulla persecuzione della Chiesa in Messico sull'unità religiosa sulla riparazione al Sacro Cuore sulla promozione degli esercizi spirituali sull'educazione cristiana della gioventù sul matrimonio cristiano nel quarantesimo anniversario della Rerum Novarum Non Abbiamo Bisogno Nova Impendet Caritate Christi Compulsi Acerba Animi 29 giugno 1931 2 ottobre 1931 3 maggio 1932 29 settembre 1932 Dilectissima nobis 3 giugno 1933 Ad catholici sacerdotii Vigilanti cura Mit Brennender Sorge Divini Redemptoris Nos Es Muy Conocida 20 dicembre 1935 29 giugno 1936 14 marzo 1937 19 marzo 1937 28 marzo 1937 Ingravescentibus malis 29 settembre 1937 sull'Azione Cattolica in Italia sulla crisi economica sul Sacro Cuore sulla persecuzione della Chiesa in Messico sull'oppressione della Chiesa in Spagna sul sacerdozio cattolico. sul cinema. sulla Chiesa e il Reich tedesco sul comunismo ateo sulla situazione religiosa in Messico sul Rosario ELENCO DEI PREVOSTI PARROCI DI DESIO RICORDATI DALLE FONTI Ambrogio f.Rasperto Anselmo314 Pietro Leonardo Maffeo Visconti315 Francino Visconti316 Francino de Turchi Francesco de Tritis317 Florio de Dardanoni Beltramino da Nova318 Bartolomeo da Giussano Ottone Castigioni Lorenzo de La Strada Giovanni Antonio de la Strada Francesco Bernardino Cermenati Antonio Strada Fabrizio Malberti Ippolito Francesco Ferrandi Giuseppe Mauro Bendone Giuseppe Pedroni Francesco Daffino Melchiorre Zucchelli Giuseppe Volonterio Carlo Giuseppe Terzoli Giuseppe Villa Paolo Nardi Bernardo Bassi Giusto Corbella Filippo de Bernardi Giuseppe Lattuada Cesare Mossolini 314 968 1084 1125 1265 1282 1335 1336 1360 1417 1471 1480 1519 1530 1548 1564 1595 1651 1652 1673-1722 1723-1725 1726-1743 1744-1770 1770-1796 1796-1815 1816-1820 1820-1832 1832-1835 1836-1849 1850-1856 1857-1877 1877-1912 1084 Febbraio. Monza. Adamo del fu Azone Blaco, che era del luogo di Biassono, fa divisione di beni posti in Desio fra le chiese di San Giovanni Battista di Monza, San Siro di Desio e Santo Stefano di Vedano. “Da parte Sancti Sili Anselmo presbyter et Petrus idem presbyter...Sancto Silo...sita loco Deussio”. ACM, perg.72. Ed.: Gli Atti Privati, IV, n.649, p.182. Cit.: CAPPELLINI 1972, pp.41s., 74, Testo pp.75s. 315 1282 dicembre 11. Maffeo Visconti, prevosto di Desio e canonico di Monza, arciprete avvocato degli avvocati e sapiente, è invitato di visitare il monastero di San Maurizio di Monza. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.84. 1282 settembre 20. Alessandro Cavallo, giudice ed assessore del podestà di Milano, ordina a Rivabene Brema, servitore del comune, a seguito della petizione della chiesa di San Giovanni di Monza e della chiesa di Desio di recarsi dove richiesto per procedere contro i debitori delle due chiese. “nomine domini Mafei Vicecomitis, canonici dicte ecclesie (San Giovanni di Monza) et prepositi ecclesie de Dexio et nomine capituli dicte ecclesie de Dexio”. Atti, III, n.219, pp.239s. 316 1336 febbraio 22. Prepositura di San Materno di Desio vacante per la morte di Francino Visconti, successore Francesco de Turchi, canonico di Santo Stefano in Brolio. CAPPELLINI 1972, p.493. 317 1357 luglio 11. Girardolo de la Pusterla, referendario del magnifico signor Bernabò Visconti, delega Francesco, prevosto della chiesa di San Materno di Desio, a decidere la causa che verteva tra Paolo, vescovo di Lodi e Rinaldo Riccardi e Oldrano del Popolo. MALBERTI 1961, p.32; CAPPELLINI 1972, p.86. 318 1471, 30 giugno. Il prevosto Beltramino de Nova ottiene il consenso ducale a cedere la titolarità della prepositura a Bartolomeo da Giussano in cambio del beneficio nella chiesa di san Giovanni Evangelista in Baragia della pieve di Agliate. ASM, Arch. Ducale Sforzesco, cart 902. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.101. Rovagnati mons. Erminio Bandera mons. Giovanni Castelli mons. Luigi Galli mons. Piero Edmondo Burlon mons. Elio 1913-1935 1935-1967 1967-1981 1981- ELENCO DEI SINDACI DI DESIO DAL 1861 [La documentazione carente non ha permesso di ricostruire una cronologia completa. I “buchi sono riconducibili a mancanza di documenti o a periodi in cui il Comune fu retto da commissari] Ravanelli Luigi Scannagatta Baldassarre Ravanelli Luigi Cereda Carlo Rossi Guglielmo Gavazzi Egidio Gavazzi Pio Scalfi Giuseppe Gavazzi Giulio Gavazzi Antonio Colleoni Antonio Novati Enrico Lissoni Riva Colombo Desiderati Rampi Fontana Mariani Luigi Pugliese Salvatore Mariani Giampiero 1861 1866 1870 1874 1877 1882 1910 1920 1926 1932 1941 1866 1870 1876 1882 1910 1919 1923 1932 1941 1943 Descrizione Araldica dello Stemma Bandato d'argento e di rosso di sei pezzi Origini e simbologia dello stemma Lo stemma del Comune di Desio deriva direttamente dallo stemma dell'antica famiglia lombarda dei da Dexio, che ha tratto denominazione e origine proprio da questa terra. Lo stemma di questa famiglia, miniato a pagina 130 dello Stemmario Trivulziano, risulta così blasonato: Bandato di rosso e d' argento. Considerato che lo stemma del Comune di Desio è, invece, un bandato d'argento e di rosso, ne consegue che lo stemma del Comune ha voluto differenziarsi leggermente dallo stemma di quell'antica, omonima famiglia, senza peraltro volersene troppo allontanare. In araldica queste lievi differenziazioni prendono il nome di "brisure", o di "spezzature", come se si volesse spezzare lo stemma primitivo con l'introduzione, nel suo interno, di un elemento differenziatore. Per completezza di informazione, si osserva peraltro che i due colori del bandato, utilizzati oggi nello stemma comunale, risultano essere invertiti rispetto a quelli descritti nelle RR.LL.PP.di riconoscimento del 20 marzo 1924. Con Regio Decreto 24 febbraio 1924, al Comune di Desio è stato concesso il titolo di Città. GUIDA AGLI ARCHIVI DI DESIO Con la parziale eccezione degli archivi parrocchiali, la massa dei documenti prodotti nel passato è stata dai più considerata un pesante fardello di difficile gestione, destinato ad essere unicamente accatastato in un angolo nell'attesa che l'azione disgregatrice del tempo compisse la sua opera. In qualsiasi caso la consultazione delle carte da parte di studiosi o laureandi era difficoltosa a causa dell’inadeguatezza degli spazi e della mancanza di personale idoneo. Fortunatamente negli ultimi anni si è avuta una certa inversione di tendenza cosicché risultano più frequenti i casi di Enti, Amministrazioni o semplici privati che investono nella conservazione e nella consultazione del materiale d'archivio, che viene ora finalmente percepito come una fondamentale risorsa culturale. La nostra realtà territoriale, grazie ad alcuni recenti interventi, ha effettuato un profondo cambiamento di rotta garantendo la conservazione e permettendo la consultazione degli atti relativi alle vicende storiche cittadine. Il patrimonio archivistico desiano, laico ed ecclesiastico, risulta di discreta consistenza e copre un arco temporale piuttosto ampio (secoli XVI-XX). Ora è possibile consultare la documentazione raccolta sia dalla parrocchia sia dall'amministrazione comunale. In tutti questi casi fortunati le carte sono adeguatamente conservate e catalogate. In altri casi invece i documenti sono in collocazioni provvisorie e necessitano di un adeguato riordino. Non è improbabile che nel prossimo futuro sia possibile consultare anche materiale proveniente dal altri enti o, si spera, anche da privati (si pensi solo all'importanza degli archivi aziendali). ARCHIVIO E.C.A. STORIA I locali dell'Archivio Storico Comunale ospitano anche i documenti appartenenti all'Ente Comunale di Assistenza al quale erano demandati sino a non molti decenni fa gli interventi in campo socioassistenziale. Questa istituzione cittadina ha "ereditato" tutta la documentazione relativa a possedimenti ed amministrazione di antichi enti a carattere assistenziale. La base è costituita dalle carte dell'Antica Scuola dei Poveri Putti risalente al 1547 ed istituita dal Benefattore Giovanni Maria Lampugnani. Le carte conservate documentano i possessi della fondazione e le diverse attività volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione. L'istituto benefico fu poi arricchito con i beni (e naturalmente con i relativi documenti) di pii sodalizi come la Scuola delle Sante Agata e Maria. Nell’Ottocento tutti questi beni furono riuniti nella Congregazione di Carità che coordinò gli interventi a carattere sociale, ed in special modo la gestione del neoistituito Ospedale. A partire dal 1932 il locale Nosocomio ebbe vita autonoma, cosicché i documenti conservati si limitano all'amministrazione del copioso patrimonio immobiliare E.C.A. ed agli interventi a favore di persone in difficoltà. L'archivio ha patito numerose peripezie ed è quello che ha subito il maggior numero di traslochi. Dalla sede originaria di via Portichetto (Scuola Poveri Putti) e della Basilica (Scuole delle Sante Maria ed Agata), le carte furono trasferite nel neonato ospedale, poi nella sede di via Matteotti, infine nel palazzo comunale dove sono rimaste, tranne una breve parentesi in Villa Tittoni, dove qualche cartella è stata danneggiata da un principio d'incendio. Ora la documentazione ha avuto una collocazione, finalmente accessibile al pubblico, nei locali dell'Archivio Storico Cittadino. NATURA DOCUMENTI I documenti in questione rivestono particolare interesse e coprono un arco di tempo molto vasto. Le pergamene più antiche risalgono al XIII secolo ma riguardano generalmente i possedimenti della Scuola del Lampugnani collocati a Mezzate località fra Linate e Peschiera Borromeo. Le carte permettono una ricostruzione completa dell'evoluzione delle strutture socio-assistenziali sul nostro territorio, documentando il lento passaggio da attività benefiche effettuate da privati, fino alla loro progressiva istituzionalizzazione. CATALOGAZIONE L'attuale sistemazione dell'Archivio risale al 1954; il materiale è stato ordinato in modo egregio. In tale occasione è stato anche realizzato un comodo inventario dattiloscritto dei documenti. Il materiale qui descritto costituisce l'archivio di deposito ed è distinto da quello corrente che, essendo troppo recente, ha altra collocazione. Si sta provvedendo ad una catalogazione su supporto magnetico, permettendo una veloce opera di consultazione e ricerca attraverso il computer. CLASSIFICAZIONE Il materiale è articolato nel seguente modo: Categoria I: Amministrazione 1. Circolari e corrispondenza; regolamento e statuto; decreti e variazioni. 2. Cause e vertenze; deliberazioni; procure varie. 3. Amministratori. 4. Impiegati e salariati. 5. Impiegati e salariati: cassa previdenza. Categoria II: Archivio 1. Disposizioni. 2. Memorie storiche. Categoria III: Economato 1. Disposizioni e corrispondenza. 2. Varie. 3. Forniture varie. Categoria IV: Patrimonio 1. Acque, boschi, catasto, inventario. 2. Fabbricati: opere relative. 3. Eredità: documenti relativi; acquisti, alienazioni, convenzioni, precari. 4. Legati e donazioni; affrancazione legati, decime e affrancazioni; livelli attivi e passivi. 5. Mutui e prestiti; ipoteche. 6. Affitti e censi. 7. Decentramenti e concentramenti. Categoria V: Sanità e igiene 1. Ospedale: personale sanitario, infermieri. 2. Pratiche pensioni. 3. Farmacie. 4. Igiene pubblica. Categoria VI: Culto 1. Assistenza spirituale. 2. Legati per messe. Categoria VII: Educazione 1. Generalità. 2. Maestri. Categoria VIII: Assistenza 1. Benefattori. 2. Esposti. 3. Ricoveri - sussidi. Categoria IX: Contabilità 1. Generalità. 2. Assicurazioni. 3. Esattoria - tesoreria; Tasse e tributi. L'inventario elenca 78 faldoni ai quali ne va aggiunta un'altra decina riguardante le vicende dell'Ente negli anni '50-'60. Questo materiale è arricchito da una copiosa serie di registri, generalmente di natura economica, che testimoniano minutamente l'attività dei diversi enti confluiti poi nell'E.C.A. Scuola Poveri Putti: 39 volumi dal 1567 al 1821. Scuola S.Agata: 18 volumi dal 1637 al 1807. Congregazione di Carità: 7 volumi dal 1778 al 1937. E.C.A.: 5 volumi dal 1943 al 1951. Il catalogo-inventario del 1954 ricorda poi la presenza di 124 pezzi relativi ai conti consuntivi di ciascun anno a partire dal 1737. Questo materiale è oggi irreperibile. STATO CONSERVAZIONE E' sicuramente molto buono. Le carte sono prive di muffe e non presentano pieghe o strappi dovuti ad incuria. Qualche problema sussiste per i registri che hanno ancora le legature originali in cartone e cuoio. In particolare la sovraccoperta di un registrino è stata ricavata da una pergamena manoscritta del XV secolo. ARCHIVIO COMUNALE - parte antica STORIA L'archivio raccoglie la documentazione rimasta relativa alle varie attività svolte dall'Ente Locale. Esso ha seguito i vari spostamenti degli Uffici comunali ed ora è sistemato nei locali dell'Archivio Storico Cittadino. Seppure ordinata in modo egregio, la documentazione è assai lacunosa; anche in tempi recenti l'archivio è stato vittima di allagamenti che hanno distrutto buona parte del materiale. NATURA DEI DOCUMENTI Le carte in questione coprono una gamma molto vasta di settori ma, a causa delle lacune di cui si è detto, in molti casi non è possibile analizzare un tema lungo la sua evoluzione storica. Una discreta continuità si ha solo a partire dagli anni Venti del nostro secolo; più si retrocede nel tempo, maggiori sono i vuoti, tanto che i pezzi anteriori al XIX secolo si possono contare sulle dita di una mano. Lacune molto consistenti sono inoltre presenti per gli anni 1880-1910. CATALOGAZIONE In tempi recentissimi tutto il materiale è stato riordinato e catalogato in modo egregio. In particolare è stato realizzato un inventario molto dettagliato che permette la localizzazione precisa degli atti. I documenti sono stati inseriti in robuste cartellette che mantengono distese le carte ed inoltre i faldoni utilizzati risultano idonei per proteggere dalle polveri. Si sta provvedendo ad una catalogazione su supporto magnetico, permettendo una veloce opera di consultazione e ricerca attraverso il computer. CLASSIFICAZIONE Il materiale è catalogato secondo i criteri previsti dalla normativa e, per la parte antica (quella dal 1776 al 1945) è così suddiviso: TITOLO CARTELLE OGGETTO FASCICOLI DAL AL I 1-16 Amministrazione 136 1854 1945 II 17-23 Assistenza 168 1795 1945 pubblica III 24-25 Polizia urbana e 26 1876 1945 rurale IV 26-37 Sanità e igiene 196 1836 1945 V 38-51 Finanze 199 1776 1945 VI 52-54 Governo 36 1860 1945 VII 55-63 Grazia, Giustizia e 69 1848 1945 Culto VIII 64-87 Leva, truppe 103 1851 1945 IX 88-93 Istruzione 108 1825 1945 X 94-120 Lavori pubblici XI 121-137 Agricoltura, 224 1847 1945 industria, commercio XII 138-179 Stato civile 174 1866 1945 XIII 180 Varie 142 1877 1945 XIV 0 6 1901 1945 XV 181-186 Sicurezza 0 pubblica 51 1885 1945 A questo elenco va aggiunto il materiale privo di catalogazione, cioè tutti i registri. Non si sono conservati i verbali dei consigli comunali anteriori al 1880 che possono però essere parzialmente ricostruiti attraverso gli estratti delle deliberazioni. Esistono diversi registri di varia natura costituiti essenzialmente da inventari, o pratiche anagrafiche di immigrazione o emigrazione. Di notevole interesse è la collezione completa di tutte le leggi del Regno d'Italia dal 1860 al 1946. Tutti i fascicoli sono opportunamente rilegati. STATO DI CONSERVAZIONE L'archivio storico propriamente detto è in condizioni ottimali e non necessita di alcun intervento (esclusa la catalogazione su adeguato supporto). ARCHIVIO FOTOGRAFICO Negli anni Settanta il compianto dott. Alberto Cappellini provvide a raccogliere parecchia documentazione fotografica relativa al passato della città ed alle principali manifestazioni civili. L'umidità ha provocato danni enormi ed osa si sta cercando di riparare ai danni che l'archivio ha dovuto patire. Il materiale rimasto è stato integrato con foto d'epoca acquisite dall'Amministrazione ed altre raccolte dal Circolo Fotografico Desiano. Nei prossimi mesi sarà possibile consultare tutto questo materiale e riprodurlo facilmente grazie all'opera di conversione in formato digitale delle immagini. ARCHIVIO PREPOSITURALE STORIA L'Archivio Prepositurale raccoglie una cospicua mole di materiale cartaceo che documenta l'evoluzione delle istituzioni ecclesiastiche cittadine con ampi riferimenti alle vicende civili, soprattutto per i periodi più antichi. I pezzi anteriori al XVI secolo si possono contare sulla punta delle dita; è solo con san Carlo Borromeo che venne creato un archivio stabile, incaricato di documentare le vicende della parrocchia. Molto probabilmente parte delle carte più antiche dovette andare distrutta nell'incendio della canonica appiccato dal lanzichenecchi nel 1511. Il grosso fu però asportato dai funzionari napoleonici che trasferirono a Milano la documentazione riguardante i beni del soppresso capitolo; questi documenti, o quelli rimasti, sono oggi consultabili presso il fondo di religione dell'Archivio di Stato di Milano. Nel 1828 alcuni documenti non meglio specificati vennero immessi sul mercato antiquario. Purtroppo, dopo la sistemazione generale avvenuta nel 1965, non sono stati effettuati altri interventi, cosicché non esiste documentazione ordinata dell'ultimo trentennio, ed in generale i documenti relativi al nostro secolo sono numericamente scarsi e slegati fra loro. NATURA DEI DOCUMENTI Le carte dell'APD documentano principalmente: * * * * * * proprietà immobiliari vicende degli edifici di culto vicende personali di prevosti e canonici legati ed oneri di culto pratiche amministrative e contabili registri anagrafici CATALOGAZIONE Nel 1965 è stato effettuato un profondo riordino del materiale ad opera di don Eugenio Cazzani che ha anche redatto un comodo indice-inventario dei documenti, riordinandoli in 92 cartelle. L'intervento ha offerto una chiara catalogazione del materiale, ma non ha tenuto conto della situazione precedente, alterando completamente la fisionomia e la struttura dell'antico archivio. In particolare tutte le carte provenienti dalla disciolta proprietà Traversi-Tittoni, originariamente conservate in un fondo autonomo, poiché non avevano natura religiosa, sono state disperse sotto vari titoli. Attualmente è in corso un lavoro di sistemazione del materiale che prevede, nei limiti del possibile, di ricostruire la fisionomia originale. Inoltre si sta provvedendo alla catalogazione tramite supporti informatici ed alla trascrizione dei documenti più usurati dal tempo. Il materiale risulta così ripartito: cartelle 1-5 cartelle 6-7 cartelle 8-16 cartelle 17-20 cartelle 21-23 cartella 24 cartella 25 Circolari di potestà laiche ed ecclesiastiche Visite Chiesa Parrocchiale Affittuari Consuntivi Reliquie e indulgenze Campane e campanile cartella 26 cartella 27 cartelle 28-36 cartella 37 cartelle 38-42 cartelle 43-63 cartelle 64-65 Cartella 66 cartelle 67-71 cartelle 72-73 cartelle 74-77 cartella 78 cartella 79 cartelle 80-81 cartelle 82-83 cartelle 84-88 cartelle 89-92 Casino Missioni Prevosti Capitolo e canonici Decime Fabbriceria Legati Confraternite Scuola dei Poveri Putti Chiese sussidiarie Convento San Francesco Pieve Collegi, istituti e ospedale Pio XI Roggia Comune Famiglie Miscellanea Esiste poi una cospicua serie di registri manoscritti: * * * * * * registri contabili ed amministrativi registri verbali assemblee del clero registri anagrafici: - nascite dal 1568 - matrimoni dal 1586 - morti dal 1708 memorie storiche inventari registri di varia natura Esclusi quelli anagrafici, l'APD, per il periodo anteriore al nostro secolo, conserva i seguenti registri: : Capitolo Amministrazione della chiesa Cassa della chiesa Cassa sagrestia Legati Scuola del Santissimo Sacramento Fabbrica Indici Archivio Decime Congregazioni del clero Visite Opere storico-cronachistiche 1701-1764 1815-1871 1795-1866 1736-1847 1723-1815 1595-1797 1661-1795 1512-1844 1642-1651 1604-1771 1604-1756 1768-1961 STATO DI CONSERVAZIONE Tutti i documenti sono in ottimo stato di conservazione. Le carte sono collocate in ambiente protetto dall'umidità e dalle polveri. L'archivio è collocato nel locale dell'ufficio parrocchiale e vi si accede dietro autorizzazione, presentazione di un documento di identità e giustificazione del motivo della ricerca. La consultazione dei documenti è possibile in giorni prestabiliti, alla presenza di un incaricato che provvede a fornire tutte le informazioni necessarie alla ricerca. ARCHIVIO STORICO COMUNALE APERTURA Lunedì e giovedì pomeriggio dalle 15,00 alle 18,00. L'archivio è chiuso nel mese di agosto e durante le vacanze natalizie e pasquali FOTOCOPIE Possibili al costo di lire 100 cadauna. Registri e mappe possono essere riprodotti sono con apparecchiatura fotografica predisposta dal richiedente. MODALITA’ DI ACCESSO Gli studiosi (ricercatori di storia locale e laureandi), per accedere alla documentazione dovranno compilare un apposito modulo indicante: • generalità • motivo della ricerca • indicazione dei pezzi consultati • impegno a fornire all’Archivio copia dell’eventuale ricerca, tesi o pubblicazione. LOCALI L’Archivio Storico Cittadino è collocato in due locali dell’ala Est della Villa Tittoni, adiacenti gli uffici del Sistema Bibliotecario e prospicienti la via Lampugnani e l’ingresso della Villa. L’accesso agli ambienti è posto sulla via Lampugnani. PERSONALE Gli incaricati identificati dal circolo Lazzati provvedono, nei giorni e negli orari previsti, a fornire le seguenti prestazioni: • offrire, nei limiti del possibile, indicazioni di ricerca agli studiosi • consegnare il materiale dopo aver registrato le generalità del ricercatore • controllare la manipolazione e la riconsegna dei documenti. ARCHIVIO PREPOSITURALE APERTURA Mercoledì pomeriggio dalle 15,00 alle 18,00. L'archivio è chiuso nel mese di agosto e durante le vacanze natalizie e pasquali FOTOCOPIE Non sono previste. Tutto il materiale può essere riprodotto solo con apparecchiatura fotografica predisposta dal richiedente. MODALITA’ DI ACCESSO Gli studiosi (ricercatori di storia locale e laureandi), per accedere alla documentazione dovranno compilare un apposito modulo indicante: • generalità • motivo della ricerca • indicazione dei pezzi consultati • impegno a fornire all’Archivio copia dell’eventuale ricerca, tesi o pubblicazione. LOCALI L’Archivio Prepositurale è collocato presso l'Ufficio Parrocchiale di via Conciliazione. PERSONALE L'incaricato provvede, nei giorni e negli orari previsti, a fornire le seguenti prestazioni: • offrire, nei limiti del possibile, indicazioni di ricerca agli studiosi • consegnare il materiale dopo aver registrato le generalità del ricercatore • controllare la manipolazione e la riconsegna dei documenti. AA.VV. 1969 AA.VV. 1977 AMORE 1951 AMORETTI 1801 Annales Placentini BARNI 1953 BARNI 1955 BARNI 1975 BELLONCI 1972 BELTRAMI 1926 BERTETTO 1960 BERTOLINI 1967 BESOZZO s.d. BITTO 1973 BOGNETTI 1954 BOGNETTI 1966 BOGNETTI 1976 BOGNETTI 1978 BOSISIO 1978 BRIOSCHI 1991 BRIOSCHI 1992 BRIOSCHI 1993 BRIOSCHI 1993A BRIOSCHI 1994 BRIOSCHI 1994 A BRIOSCHI 1995 A BRIOSCHI 1995 B BRIOSCHI 1995 C BRIOSCHI 1995 D Gli atti del Comune di Milano fino all' anno 1216, a cura di C.MANARESI, Milano 1919. Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, a cura di M.F.BARONI, I (1217-1250), Milano 1976. 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Presentazione del Sindaco Prefazione Elenco abbreviazioni Elenco illustrazioni 1 IL TERRITORIO 2 L’ANTICHITA’ 3 STRUTTURE POLITICHE 4 STRUTTURE ECCLESIASITICHE 5 STRUTTURE SOCIALI 6 STRUTTURE ECONOMICHE 7 PERCORSI NELL’ARTE 8 IL NOVECENTO 9 PERCORSI NELLA MEMORIA 10 11 PIO XI I DESIANI APPENDICI Bibliografia Indici L’ambiente naturale Le risorse ambientali Il toponimo L’insediamento primitivo Evoluzione urbanistica L’organizzazione territoriale Il feudo Il Comune Le strutture statali La pieve Il capitolo Ordini religiosi Confraternite La popolazione Beneficenza ed assistenza La scuola dei Poveri Putti Istruzione Sanità Agricoltura Artigianato Industria Commercio La Villa Traversi – Tittoni Ville secondarie La Basilica Chiese sussidiarie Il Complesso del Palagi Un tentativo di interpretazione storica L’identità cittadina Vita sociale tra XIX e XX secolo Folclore cittadino palio Desiani per il mondo Desiani d’adozione Lo stemma comunale I Sindaci I Prevosti Il patrimonio archivistico Gli studi storici su Desio