Percorsi desiani - Comune di Desio

Transcript

Percorsi desiani - Comune di Desio
PREMESSA (NECESSARIA) AL TESTO
Oggi esiste uno spazio territoriale, abitato da quasi quarantamila individui, che
chiamiamo Desio e come tutte le località, anch'esso ha una storia. A questo
proposito esistono luoghi in cui i segni del passato sono marcatamente evidenti, altri
in cui essi sono diventati esigui fino a diventare quasi impercettibili, altri infine in
cui tutti gli elementi non rivelano nulla circa le tappe della presenza umana.
Desio, caso assolutamente normale in Italia, è un centro di antica origine e lungo
questi millenni l'uomo ha costantemente trasformato l'ambiente, consegnandocelo, nel
bene e nel male, come si presenta oggi .
Senza alcuna pretesa di voler esaurire l'argomento, in queste pagine si cercherà di
ripercorrere per sommi capi l'evoluzione dell'abitato, dei suoi abitanti e delle attività
produttive, esaminando i segni che l'uomo ha lasciato nel territorio, nei manufatti e
nella documentazione scritta. L'argomento di questa narrazione non sarà dunque una
Desio astratta, ma i Desiani ed il loro costante sforzo di modificare l'ambiente per
renderlo consono alle esigenze di ieri e di oggi.
Nei decenni passati sono stati già dati alle stampe due eccellenti testi che intendevano
riassumere le vicende storiche dell’abitato di Desio; a distanza di trentacinque anni
dalla pubblicazione del volume di Alberto Cappellini1 ed oltre quaranta da quello di
don Malberti2, giunge questa modesta opera che non ha l’ambizione di voler
competere con i lavori che l’hanno preceduta.
Il presente studio non intende essere un prodotto scientifico nel senso stretto del
termine, ma uno strumento di divulgazione che, si spera, possa avvicinare un
pubblico più vasto alla conoscenza della storia cittadina. Il presente lavoro
presuppone i due studi che l’hanno preceduto e le diverse pubblicazioni che hanno
visto la luce in questi decenni. Per coloro che desiderassero approfondire gli
argomenti qui accennati, le note che corredano il testo avranno la funzione di
indirizzare verso letture più approfondite e dettagliate.
Vista la natura di questo studio che non è articolato secondo la tradizionale scansione
cronologica degli avvenimenti, il lettore vorrà scusare qualche necessaria ripetizione
che incontrerà nello scorrere le pagine che seguono. Questa ripartizione concettuale
ha obbligato ad affrontare situazioni, temi o problemi che, come il lettore avrà modo
di vedere, sono stati trattati in modo abbastanza sbrigativo; questa scelta è stata
imposta dalla carenza assoluta di documenti (per assurdo questo accade per le epoche
più vicine a noi), in altri casi dalla sovrabbondanza di documentazione, in tutti i casi
dalla difficoltà di impostare per la prima volta l’argomento.
Come direbbe Qualcuno: Se fossimo riusciti ad annoiarvi (o disgustarvi) credete che
non s’è fatto apposta.
1
2
CAPPELLINI 1972.
MALBERTI 1961.
ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO
AATM
ACD
ACM
APD
ASL
AVFDM
BAM
BBM
BTM
CCL
CDL
HPM
MGH,SS
RISS
Archivio Antona Traversi, Meda
Archivio Comunale, Desio
Archivio Capitolare, Monza
Archivio Prepositurale, Desio
Archivio Storico Lombardo
Archivio veneranda Fabbrice del Duomo di Milano
Biblioteca Ambrosiana, Milano
Biblioteca Braidense, Milano
Biblioteca Trivulziana, Milano
Corpus Christianum Latinum
Codex Diplomaticus Langobardiae
Historiae Patrie Monumenta
Monumenta Germaniae Historica, Scriptores
Rerum Italicarum Scriptores
IL TERRITORIO
L’AMBIENTE NATURALE E LE RISORSE DEL SITO DI DESIO
É vero che la storia si fa con i documenti, ma quando ci si avvicina allo studio delle
vicende di una porzione di territorio delimitata come una storia cittadina, la
tentazione, tanto scorretta quanto ineliminabile, è quella di forzare la mano alla
documentazione e cercare di immaginare sotto il velo di tenui ipotesi le
caratteristiche dei primissimi insediamenti. Ovviamente non possiamo sapere chi
abbia per primo fissato la propria dimora in questo luogo che noi chiamiamo Desio,
però forse si può pensare al perché sia stato scelto un sito di questo genere.
Chiunque avrà osservato che l’attuale area occupata dalla Piazza è collocata
leggermente ribassata rispetto al zona settentrionale dell’abitato; infatti corso Italia e
le vie San Pietro e Boccaccio digradano lentamente verso il centro cittadino. Questo
lieve avvallamento naturale è sicuramente da far risalire all’avanzata di un estremo
lembo di ghiacciaio in epoche preistoriche.
Il piccolo dislivello, che il dilavamento continuo deve aver addolcito, ma che
anticamente doveva essere più marcato, sembrerebbe aver offerto le condizioni
idonee all’insediamento umano; infatti le acque, defluendo verso il basso si
raccoglievano nella parte dell’abitato corrispondente all’attuale area del centro,
assicurando così ai primi abitanti una riserva d’acqua utile per i bisogni alimentari,
per abbeverare gli animali e per la pratica agricola.
Nelle epoche più antiche possiamo dunque pensare ad una zona più umida nella parte
bassa dell’abitato ed a una zona “alta” dominata dalla foresta di latifoglie.
Verosimilmente una primissima comunità umana coltivava la zona attorno al primo
insediamento e traeva dalla foresta circostante risorse legnose, praticava la raccolta e
quasi sicuramente allevava suini i quali trovavano tra le querce il necessario alimento.
Anche la posizione dell’abitato sembra favorevole; infatti pure in epoche remote
doveva sussistere una pista che collegava i centri maggiori, un’antenata della vecchia
strada Valassina. La posizione, circa a mezza via tra Milano e Como, rendeva
l’insediamento umano oggi corrispondente a Desio idoneo allo scambio, anche in
considerazione del fatto che l’abitato si trovava a circa una giornata di cammino da
Milano in direzione nord.
L’ANTICHITA’
I CELTI
Allorché si studiano le vicende di un centro abitato, la domanda ricorrente è: “Chi
furono i primi abitanti?”
Alberto Cappellini nel suo ampio studio Desio e la sua pieve. ha collegato i primi
insediamenti umani a Desio con la civiltà ligure, evidenziando i rapporti tra la
comunità desiana e quella di san Giorgio al Lambro, località da dove sarebbero giunti
i primi abitanti della nostra città3. È evidente che la presunta provenienza dei primi
Desiani da San Giorgio al Lambro risulta indimostrabile; gli stretti rapporti tra un
centro minore ed il capo di pieve non sono certo l'argomentazione per sostenere una
filiazione diretta, infatti a questa stregua tale discorso varrebbe per qualsiasi altro
borgo del circondario.
Forse la realtà è molto più complessa, infatti il nostro territorio è sempre stato, data la
sua posizione, un luogo di passaggio e di scambio in quanto era posto su una delle
arterie che collegavano la pianura ai passi alpini ed in particolare allo Spluga che nei
secoli passati fu il valico più utilizzato.
Rispetto a qualche decennio fa, nuove prospettive hanno permesso di modificare
sensibilmente il quadro tradizionale della questione. Nell'area lombarda i ritrovamenti
più interessanti sono quelli relativi alla cosiddetta Cultura di Golasecca, termine
coniato per indicare manufatti riferibili a gruppi umani che avevano raggiunto un
discreto livello di sviluppo. Studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che tali
ritrovamenti non devono essere collegati a culture "locali", ma a gruppi di Celti
(chiamati Galli dai Romani) che abitarono il nostro territorio assai prima della famosa
invasione del 396 a.C.4. Come è stato appurato, comunità celtiche abitavano la,nostra
area da secoli e ad esse si sovrapposero nuove migrazioni provenienti d’Oltralpe alle
quali andrebbe fatta risalire la fondazione di Milano.
Forse nell’area di Desio ebbero ad incontrarsi gruppi appartenenti a diverse etnie; se
si può pensare a gruppi umani convenzionalmente denominati “Liguri”, non si deve
scordare l’apporto che diedero allo sviluppo dell’area a nord di Milano anche gli
Etruschi e soprattutto i Celti5.
I ROMANI
Se il primitivo insediamento celtico è avvolto nell’ombra delle ipotesi e delle
ricostruzioni, per l’epoca romana cominciano ad emergere dati oggettivi di sicuro
interesse.
Come lo stanziamento gallico nella Pianura Padana e nell'area brianzola non fu un
evento catastrofico e nemmeno di breve durata, altrettanto può dirsi per
3
CAPPELLINI 1972, pp.1-5. L’argomentazione di Cappellini si basa inoltre sulla frequenza dei toponimi in
“asco” o “asca” che sarebbe di origine ligure. Come osservato da uno studioso della levatura di Giampiero
Bognetti, non tutte tali terminazioni sono riconducibili a stazionamenti liguri; in molti casi vanno riferite a
proprietà collettive di epoca medioevale o, genericamente ad un suffisso indicante proprietà. Cfr.: BOGNETTI
1978, p.13.
4
GRASSI 1991, p.20; DE MARINIS 1991, pp.95ss.
5
Per la ricostruzione delle fasi più antiche della storia di Desio si veda: BRIOSCHI 1995.
l'insediamento romano e, conseguentemente, occorre parlare di un "processo" di
romanizzazione. Con le tribù galliche stanziate a nord del Po, cioè quelle degli
Insubri e dei Cenomani, divisi tra loro dal corso dell'Adda, i Romani non adottarono
la politica di annientamento condotta verso i Galli Boi e Senoni. Le legioni non
procedettero all'occupazione militare dei territori, ma si limitarono ad imporre
foedera, cioè forniture di uomini per le truppe di Roma e forse anche tributi.
A partire dalla metà del II secolo a.C. iniziò una profonda opera di romanizzazione
dei territori a nord del Po, i cui attori principali non furono i legionari, ma artigiani
che introdussero nell'area celtica manufatti, soprattutto metallici, di qualità superiore
a quelli comunemente in uso. Come sempre accade in situazioni di questo genere, il
gruppo tecnologicamente meno avanzato apre le porte ai nuovi manufatti
d'importazione e successivamente agli interessi ed alla mentalità del popolo
civilizzatore. Il processo proseguì per lungo tempo avvicinando utensili ed abitudini
delle aristocrazie galliche a quelle dei capi romani. Non a caso nelle sepolture di
quest'epoca sono stati rinvenuti numerosi pezzi di altissima qualità, considerati dai
proprietari celti autentici "status symbol" mutuati dal mondo romano6.
Nell'89 a.C. Cneo Pompeo Strabone concesse il Jus Latii che, pur comportando
l'ingerenza diretta di Roma sul territorio lombardo, manteneva immutate le gerarchie
sociali indigene, poste ora in grado di poter acquisire la cittadinanza romana. Nell'81
a.C. la Gallia Cisalpina diventò provincia; nel 49 fu concessa la cittadinanza romana
ed in tal modo le antiche colonie si trasformarono in municipi. Infine nel 42 a.C. il
nostro territorio fu aggregato al resto d'Italia ed inserito nell'undicesima regione, la
Transpadana7.
DESIO IN EPOCA GALLO-ROMANA
Il primo contatto diretto tra Galli e Romani nella nostra zona dovrebbe risalire al 196
a.C., quando il console Claudio Marcello effettuò una profonda offensiva nel
territorio degli Insubri, giungendo a conquistare Como che si arrese insieme a
ventotto località fortificate, fra le quali poteva anche trovarsi Desio8.
L'unico ritrovamento archeologico documentato a Desio è a carattere funerario e
risale verosimilmente alla metà del primo secolo d.C.. Nel 1965, in via Grigna fu
rinvenuto un corredo funebre in ceramica9. Poco distante furono rinvenuti altri
frammenti funerari che farebbero pensare ad una piccola necropoli. È da notare che la
località in questione è posta ad una discreta distanza dal centro cittadino, nei pressi
dell'antica strada per Seregno e Carate (= via Due Palme).
6
CASIRAGHI 1992, pp.76-82.
Per tutte le vicende relative ai rapporti tra Roma e la Gallia Cisalpina si veda: GRASSI 1991, pp.47ss.
8
LIVIO, XXXIII,34,8. Vedi anche GRASSI 1992, pp.111s.
9
La dichiarazione rilasciata dalla Soprintendenza descrive così il ritrovamento: "Nel mese di aprile u.s. è stata trovata a
Desio, in via Grigna, una tomba romana a cremazione. Questa era a circa cinquanta centimetri di profondità e constava
di un'anfora peduncolata, segata e coperta da un tegolone. Nell'interno di essa, oltre alle ossa combuste si è recuperato:
un'olpe intatta; una lucernetta a volute con beccuccio arrotondato, rotta, una patera ed una coppetta a vernice rossa di
tipo nord italico, scheggiata in alcuni punti ed una coppa, rotta, a pareti sottili con decorazione a foglie disposte ad
embrice. La tomba è databile al primo secolo d.C. e forse intorno alla metà, come proverebbero la lucernetta, la forma
dell'anfora ed in genere tutto il corredo ceramico. Dichiarazione rilasciata dalla Soprintendenza ai Monumenti della
Lombardia in data 2 settembre 1965, a firma della dott.sa Anna Maria Tamassia.
7
Un'ara di discrete dimensioni con un'interessante iscrizione è oggi collocata nel parco
comunale di Villa Tittoni. Il testo dell'epigrafe è il seguente:
J.O.M. CO.
EX PREMISSA
FULGURIS
POTESTATE
FLAVIUS VALENS
V.C. EX D. V.S.L.M.
D.P.
Come si è potuto però appurare, quest'ara non è da riferire a Desio; essa proviene da
Galliano in quanto fu acquistata dai Traversi per arricchire la loro collezione di
marmi antichi.
Di altre tre lapidi ci è giunto solo il testo, riportato da Mommsen. Le prime due erano
murate nel campanile, la terza sulla facciata di una casa:
HERC
ULI IN
VICTO
MYRIS
MOS
ET QUIN
TUS
V.S.L.M.
[Ad Ercole invitto. Mirismo e Quinto a diritto sciolsero volentieri il voto] 10
S. PLOIUS IIIII
MERCURIO
V.S.L.M.
[S.Ploio Quinto a diritto sciolse volentieri il voto a Mercurio] 11
MEM
C. CASSI
AGATHEME
RI
COLLEGIUM FABRUM
ET
[Ricordo di C.Cassio Agatemero del collegio dei fabbri e...] 12
Alcune osservazioni preliminari su queste lapidi ci offrono qualche informazione
interessante: le prime sono dedicate ad Ercole e Mercurio che erano tra le maggiori
divinità anche del pantheon celtico. Questo fatto ci testimonia fin dall'inizio una forte
componente gallica sul nostro territorio, perdurata a lungo e che l'invasore romano si
è limitato a latinizzare.
10
MOMMSEN, V, n.5759.
MOMMSEN, V, n.5760.
12
MOMMSEN, V, n.5761.
11
La lapide votiva dedicata a Mercurio è di un certo S.Ploio (=Plozio) Quinto, un nome
aristocratico di una famiglia di indubbia ascendenza celtica; siamo forse di fronte ad
un membro dell'aristocrazia indigena ormai inserito nel mondo culturale latino.
Sia Cappellini, sia Malberti e Barzaghi hanno messo in particolare evidenza
l'importanza dell'iscrizione commissionata da Cassio Agatemero che doveva essere il
"priore" del locale collegio dei fabbri. Il testo dell'iscrizione è bruscamente interrotto
e termina con un et; per primo il Rota ha ipotizzato che dovesse proseguire con
centonariorum, corporazione sempre legata nelle epigrafi a quella dei fabbri13.
Considerato che i centonari erano gli addetti all'allestimento degli accampamenti
militari, Cappellini ha correttamente dedotto l'esistenza di un centro fortificato di
discreta entità, visto che un'iscrizione del genere non è documentata nemmeno in un
centro delle dimensioni di Como14. A tale proposito bisogna però osservare che
questa posizione così drastica andrebbe forse rivista, in quanto sono state ritrovate
lapidi simili anche in centri di modesta entità come Casatenovo, Molteno e
Caponago.
Quello che invece preme sottolineare è la presenza stabile a Desio di un gruppo di
artigiani specializzati nella produzione di manufatti metallici che, come abbiamo
visto, furono i principali veicoli della romanizzazione del territorio. Località del
nostro circondario archeologicamente più ricche come Biassono o Palazzolo ci hanno
restituito alcuni prodotti assai ricercati che dovettero costituire per i loro antichi
proprietari un chiaro segno di ricchezza ed adesione al mondo culturale romano15.
Un recente studio ha permesso di identificare un pezzo di notevole interesse storico
che riveste un’importanza fondamentale per la nostra città. Nel giardino che affianca
la casa parrocchiale sono conservati tre cippi di pietra che sono stati comunemente
fatti risalire all’epoca romana16. E’ emerso che il primo cippo è in realtà un
basamento dall’utilizzo imprecisato che risale comunque ad epoche molto vicine alla
nostra. Il secondo è sicuramente un’aretta romana in serizzo, priva di iscrizioni, che
forse costituiva il basamento che nell’antica basilica sosteneva il fonte battesimale,
infatti il pezzo corrisponde esattamente alla descrizione fattane nel XVI secolo dal
visitatore apostolico; la parte superiore era stata scavata per accogliere la tazza in
laterizio destinata a raccogliere l’acqua destinata ai catecumeni.
Il terzo manufatto ha riservato sorprese, tanto interessanti, quanto inaspettate. Il cippo
è un’ara romana in serizzo (cm 83 x 43 x 30), risalente al primo secolo d.C., ornata
nella parte superiore con una doppia cornice aggettante e due volute laterali. Il pezzo,
pressoché integro, ha rivelato un’iscrizione distribuita su tre righe:
MATRONIS
V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito)
AMYNTAS L(ibertus)
[Il liberto Aminta a diritto scioglie volentieri il voto alle Matrone]
13
ROTA 1930. MALBERTI 1961, p.8.
CAPPELLINI 1972, p.14.
15
CASIRAGHI 1992, pp.76-82.
16
Le are sono analizzate in MALBERTI 1961, pp.6-9.
14
La nostra aretta è un ex voto dedicato alle Matrone, divinità preromane di probabile
ascendenza celtica. Esse sono frequentemente ricordate nelle epigrafi antiche anche
con altri nomi, come Signore (Dominae) oppure Adganae (figure mitologiche che
dovrebbero essere all’origine della folclorica Gibiana). Queste divinità erano legate
ai cicli naturali, all’acqua ed avevano un culto marcatamente cittadino in quanto
erano spesso identificate con un aggettivo ricalcato su nomi di località. In qualsiasi
caso i centri in cui sono state ritrovate iscrizioni alle matrone sono tutti in zone
agricole o comunque periferiche, sottolineando in tal modo la notazione rurale del
loro culto. Con l’avvento del cristianesimo queste antiche dee persero il loro rango
per restare confinate nell’ambito della religiosità popolare; sembrerebbe però che in
epoca cristiana il loro culto sia stato soppiantato da quello delle Tre Marie che,
almeno a livello iconografico, ne ricalcano diverse caratteristiche. Un dato
interessante è inoltre costituito dal dedicante che risulta essere un liberto, ossia uno
schiavo liberato. Tale provenienza sociale è frequente in altre iscrizioni e documenta
ulteriormente la caratteristica popolare del culto delle matrone. Il nome Aminta è
insolito ed è attestato una sola altra volta in tutta la Gallia Cisalpina; è evidente la sua
origine greca. É simpatico notare come il primo Desiano ricordato dalla storia sia un
extracomunitario ante-litteram17.
LA RETE VIARIA
È questo certamente uno degli aspetti della civilizzazione romana su cui si è
maggiormente scritto. Malgrado l'enorme quantità di studi, l’insieme della rete viaria
all'inizio della nostra era non è chiaro, né tanto meno completo.
Se il quadro è sufficientemente preciso per il tratto pedemontano18, non altrettanto
può dirsi per quello immediatamente a nord di Milano. Dal confronto dei dati a nostra
disposizione sembrerebbe emergere un quadro di questo genere. Ad est si aprivano
due strade, una che attraversava Monza e Biassono, l'altra Vimercate, e che si
congiungevano all'altezza di Brivio per procedere poi in direzione di Lecco. Da
Monza si diramava una via, la Busa, che proseguendo in direzione nord, passava da
Rus Cassiciacum e confluiva nella Pedemontana. Ad ovest invece si snodava la
Comasina, grosso modo corrispondente all'attuale tratto iniziale della Strada Statale
dei Giovi.
Tra questi due estremi era collocata la Valassina che attraversava il nostro borgo. Il
suo antico percorso è ricalcato dall'attuale linea tranviaria Milano-Desio-Carate;
giunta all'altezza di Paina, la strada si sdoppiava: da una parte piegava verso est in
direzione della Brianza storica, dall'altra puntava su Mariano, Cantù ed infine Como.
Finora il tentativo più preciso di ricostruzione del reticolo viario nel tratto che
interessa Desio è lo studio condotto da Ambrogio Palestra che ha delineato un quadro
completo dello sviluppo della rete stradale nel territorio della diocesi milanese19.
17
RESNATI 1995; BRIOSCHI 1999.
RIVA 1989, pp.83-96; 105-109; 121-128.
19
PALESTRA 1980, pp.7-42.
18
Il merito principale dello studioso è quello di aver ampiamente utilizzato la
toponomastica come fonte storica. In particolare Palestra ha analizzato la frequenza
del toponimo "Pilastrello"; questo termine è quasi sempre sinonimo di miliario, o
cippo miliare ed in prossimità di esso vennero in seguito edificate edicole sacre o
chiesette. Quest'abitudine deriverebbe dal culto della Madonna del Pilar a Saragozza
che gli Spagnoli avrebbero diffuso nel nostro territorio nei secoli XVI e XVII.
Occorre ricordare che la ricostruzione della rete viaria e delle relative distanze è nel
nostro caso di particolare importanza, vista l'opinione diffusa, secondo cui Desio
prenderebbe nome dal decimo miliare della strada Milano-Como. Palestra ricorda che
il solo Ignazio Cantù ha collegato Desio a Decimo e che tale toponimo è unicamente
riscontrabile sul tracciato della strada Milano-Pavia con la cascina Decima.
Secondo il menzionato autore, l'arteria principale che da Milano si dirigeva verso la
città lariana era la Comasina; essa iniziava presso l'omonima porta dove terminava la
via Broletto. Da lì proseguiva per via Ponte Vetero, corso di Porta Garibaldi, corso
Como, località Fontana, Affori, Ospitaletto. Sempre proseguendo in direzione Nord,
il ventunesimo miliare era evidenziato dalla cascina Pilastrello nei pressi di Figino,
poi la strada risaliva per Cantù, Senna, Albate ed infine Como.
Per giungere nella località lacustre sarebbe esistita una seconda arteria, la Valassina,
il cui tracciato interessa direttamente la nostra città. Riporto fedelmente il percorso
come è delineato dallo Studioso:
Miliare
Località
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
Bastioni di Porta Garibaldi
Via Lario, cascina Piastrello
Presso Ospedale Niguarda
Nord di Niguarda
Bresso, chiesa di S.Maria del Pilastrello
Cusano, oratorio di S.Maria del Pilastrello
A Nord di Milanino
Presso cascina Uboldi
Nova Milanese
Cascina Meda
Desio, Cappella del Pilastrello
Desio, località Bria
Località Isolabella
Seregno
Consonno
Tra Paina e Birone
A Sud di Giussano
Giussano, cascina Miè
Presso Arosio
Cascina Privo
Carreggia di Inverigo
Ponte delle Pioppette
Anzano del Parco
Alserio
Carcano Inferiore
XXVI
Innesto sulla strada pedemontana Como-Lecco
Un dato incontrovertibile contro la ricostruzione di Palestra è il fatto che dalla
cappella del Pilastrello, collocata anticamente allo sbocco di via Matteotti su via
Milano, alla Bria non c'è assolutamente un miglio romano (= km 1,478), bensì mezzo
miglio esatto. Inoltre il Pilastrello è posto a mezzo miglio romano a nord dell'incrocio
con la strada per Varedo (via Sabotino, altezza Consorzio Agrario). Queste semplici
osservazioni modificano completamente il quadro delineato da Palestra. Insomma
l'incrocio per Varedo dista esattamente un miglio dalla Bria e, a metà tra i due punti,
si trovava l'antica cappella del Pilastrello. Già questi intervalli regolari di distanze
devono far pensare ad un progetto organico di sistemazione del territorio e non ad un
intervento casuale. Quelli che oggi sono diventati nella percezione collettiva dello
spazio semplici semafori, dovevano essere punti di riferimento fissati in base ad una
precisa costruzione geometrica del territorio.
Come abbiamo potuto vedere, il tratto compreso tra la Bria e la strada per Varedo non
era un percorso casuale, ma era stato programmato in base a precisi intervalli. Tutto
ciò farebbe pensare ad un segmento viario di una certa importanza, munito di appositi
cippi miliari che la pietà popolare trasformò successivamente in luoghi di culto; ma a
quale strada apparteneva questo tratto? Tutti coloro che hanno parlato dell'argomento
hanno considerato questo segmento viario come parte dell'antica Valassina che,
proveniente da Nova, proseguiva in direzione nord.
Come si può notare dalla tavola [TAVOLA 1], in epoche precedenti allo sviluppo
urbano del nostro secolo non esisteva un collegamento diretto tra la strada
proveniente da Nova e quella discendente dalla Bria. Chi proveniva da sud, giunto
all'altezza dell'attuale via Sabotino, era costretto ad una deviazione per potersi
innestare sul tratto che conduceva al Pilastrello. Questa strana strozzatura è poco
concepibile lungo un percorso che, in mancanza di ostacoli naturali, doveva avere le
prerogative di un rettilineo.
Considerate tutte le ipotesi, sembra plausibile trovarsi dinnanzi all'incrociarsi di due
diversi percorsi. Attraversata Nova Milanese, l'antica Valassina non deviava affatto,
ma proseguiva in rettilineo, attraversava il borgo di Desio, superava la località di San
Pietro al Dosso e proseguiva in direzione di Seregno e Carate lungo l'asse dell'attuale
via Due Palme. Se invece ci si immetteva sul percorso segnato dal Pilastrello, si
aveva di fronte un breve tratto stradale che aveva inizio a Desio e proseguiva in
direzione nord.
La Valassina doveva avere uno snodo che andrebbe dunque collocato alla periferia
sud di Desio. L'arteria principale proseguiva verso Paina ed oltre, mentre il secondo
breve tracciato aveva a mio avviso unicamente lo scopo di congiungere alla Valassina
le strade provenienti da Cesano, Bovisio e Varedo.
Il tracciato della Valassina che ho descritto è inoltre confermato dalle distanze. Un
miliare cadeva alla periferia meridionale di Nova, il successivo all'altezza della
Cascina Meda (oggi località San Bernardo); esattamente un miglio oltre cadeva lo
snodo tra le due strade collocato all'altezza dell'attuale via Sabotino. Proseguendo per
un altro miglio si raggiungeva la località di San Pietro al Dosso, ed un miglio più
avanti cade il confine tra i comuni di Desio e Seregno in prossimità della frazione San
Giuseppe.
LA CENTURIAZIONE
I Romani sottoposero in molti casi i territori occupati al procedimento della
centuriazione. Il sistema consisteva nel tracciare con un apposito strumento, la
groma, una serie di linee perpendicolari che suddividevano le terre in tanti lotti di
uguale superficie da assegnare a coloni o veterani.
Malgrado a prima vista la cosa sembri impossibile, alcune tracce anche consistenti
della centuriazione sono sopravvissute all'incessante opera di trasformazione del
territorio, tanto da essere parzialmente visibili ancora oggi. L'impianto della
centuriazione si articolava su due assi fondamentali: il decumano (linea orizzontale)
ed il cardo (linea verticale) che si intersecavano perpendicolarmente formando
quadrati con il lato lungo circa 710 metri20.
Come giustamente rilevato da Cappellini, il decumano principale seguiva grosso
modo il percorso della strada vicinale della Bertasciola di Sopra per giungere alla
cappella della Madonna del Pilastrello. Il decumano segnava come vedremo il
margine settentrionale del borgo e proseguiva in direzione est fino ai confini
comunali21.
Il cardo maximus doveva corrispondere all'attuale tratto settentrionale di corso Italia;
giunto all'altezza di San Pietro, proseguiva lungo le vie Gavazzi e San Pietro,
segnando il confine orientale del borgo. Da piazza Castello, si inoltrava lungo via
Prati fino al territorio di Muggiò. Il termine di questa linea era segnato da un cippo
indicato nelle mappe catastali e che risulta già in una pergamena del XII secolo come
Crux de Prado22.
In posizione equidistante sono ravvisabili altri due cardi minori: uno all'incirca
corrispondente al sentiero che costeggia la massicciata ferroviaria ed un secondo che
dalla Bria discende verticalmente lambendo il Pilastrello, toccando la cascina
Ravanelli e proseguendo verso sud lungo la via Oslavia. [TAVOLA 2]
Come abbiamo visto, ricorre spesso nelle indicazioni stradali la cappella della
Madonna del Pilastrello. Questo piccolo edificio sacro sorgeva anticamente all'angolo
tra le attuali vie Matteotti e Milano; in seguito a lavori stradali, fu spostato poco più a
nord, allo sbocco di via Trento, dove tuttora sorge senza alcuna indicazione del suo
antico nome. Quest'edicola sacra sorta in prossimità del miliare romano sembrerebbe
così indicare il punto d'incontro tra cardo e decumano.
L’ALTO MEDIOEVO
20
CAPPELLINI 1972, pp.11s. Per la centuriazione nell’area brianzola: BITTO 1973. Si considerino in particolare le
tavole curate da L.Caramel e M.Mirabella Roberti.
21
Taluni hanno voluto trovare memoria dell’antico cardo nel toponimo Carendon, corrispondente all’attuale frazione
San Giorgio. L’ipotesi è assurda e priva di fondamento. Qualcuno è giunto addirittura ad ipotizzare la presenza di un
accampamento romano in tale località: MATTAVELLI 1988, pp.19ss.
22
1187 NOVEMBRE 4 . Muggiò Arderico, qui dicor Zaribanne ed il figlio Zanotino de loco Migio, di legge
longobarda, vendono a Martino, officiale della chiesa di San Giovanni alle Quattro Facce di Milano un campo ad
Crucem de Prado e una vigna in Vinea de Chigo entrambi posti nel territorio di Migio. “Vinea coheret a meridie
Sancti Syri de loco Dexio”. BAM, Codice Della Croce, X, F.207. Cit.: MALBERTI 1961, p.11.
I primi secoli dell’era cristiana non hanno conservato loro tracce sul territorio
cittadino. Si può presumere che il centro romano abbia conosciuto profonde
trasformazioni con il decadimento delle strutture difensive originali e il progressivo
affluire di cittadini milanesi che abbandonavano la città in cerca di maggiore
sicurezza nelle terre del contado. Tale processo di ruralizzazione deve avere avuto il
suo culmine all’epoca dei saccheggi di Milano operati dai dei Goti e dagli Unni.
I LONGOBARDI
Questa popolazione, proveniente dalla Boemia, giunse nella Pianura Padana negli
anni 568-569 attraverso il Friuli. Da lì dilagò per la penisola ed i capi tribù fissarono
la capitale a Pavia, mentre i singoli gruppi tribali (le fare) si disperdevano per il
territorio.
La dominazione longobarda ha profondamente segnato il nostro territorio, tanto da
dare il proprio nome alla nostra regione. Per quanto la nostra zona sia stata un’area
profondamente segnata dai Longobardi, (si pensi alla residenza Monzese della regina
Teodolinda) il suolo praticamente non ha reso manufatti di quest’epoca.
L’unico accenno è costituito da un ritrovamento effettuato nel 1852 nel giardino
parrocchiale. L’insieme dei reperti era un corredo funerario composto da due punte di
freccia e un morso equino che però sembrerebbe risalire, malgrado l’attribuzione
tradizionale, ad epoche più recenti23.
Viste le informazioni che possediamo circa la fondazione della basilica desiana, si
può pensare che l’abitato di Desio fosse stato occupato nella parte centrale dagli
arimanni longobardi di fede ariana o, molto più probabilmente, aderenti allo scisma
tricapitolino. Già Cappellini aveva ipotizzato che la popolazione romana originaria fu
espulsa dal centro e sottoposta in condizione servile ai nuovi dominatori; gli elementi
autoctoni, ridotti in servitù e dediti all’agricoltura si sarebbero concentrati nell’area
del quartiere della Vigana, stretti intorno all’oratorio cattolico di san Bartolomeo24.
Per tutto il corso dell’Alto Medioevo non abbiamo notizie relative alle vicende
dell’abitato ed è solo possibile fare parallelismi con situazioni analoghe nel territorio
circostante o rifarsi a inquadramenti generali dell’epoca Un discorso autonomo
merita invece la fondazione della basilica di Desio.
23
24
Il manufatto è conservato nel Palazzo Comunale di Desio.
CAPPELLINI 1972, pp.29s.
SAN GIOVANNI BONO
Arcivescovo di Milano e fondatore
della chiesa di Desio25
IL CRISTIANESIMO IN BRIANZA
Contrariamente a quanto comunemente
si pensa, la religione cristiana penetrò
nel nostro territorio con molte difficoltà
e solo in epoche assai tarde. Ancora
durante l'episcopato di Ambrogio (374397) il cristianesimo era una religione
eminentemente urbana, infatti nel
suburbio
e
nelle
campagne
permanevano i tradizionali culti pagani.
Nella poderosa opera di sant'Ambrogio
non è rintracciabile alcun riferimento
all'opera di evangelizzazione delle
campagne, né tantomeno ad una loro
organizzazione
ecclesiastica;
tale
problema dovette però stare assai a
cuore al presule milanese perché è noto
il suo appoggio a Vigilio, vescovo di
Trento, per l'evangelizzazione delle
popolazioni pagane della Val di Non26.
Già Ambrogio Palestra nel suo studio
sull'origine dell'istituzione pievana
aveva messo in luce questo fatto:
l'estrema insicurezza di quel periodo
caratterizzato da scorrerie e distruzioni
aveva spinto molti cittadini a spostarsi
nel contado, dando vita ad un forte
fenomeno di ruralizzazione che investì
direttamente anche la sfera religiosa27.
L'evangelizzazione delle campagne fu
dunque un processo lungo e soprattutto
non coordinato, legato alla presenza sul
territorio di proprietari cristiani che
furono all'origine di conversioni a
carattere episodico. L'erezione di
25
Il presente capitolo è un adattamento di BRIOSCHI
1995B.
26
CATTANEO 1989, pp.81-84.
27
PALESTRA 1963, p.379.
chiese in questo periodo iniziale è
dunque da ritenersi un fatto
occasionale, legato al desiderio dei
proprietari di avere un luogo di culto
sui propri fondi, anche in vista di una
conversione della popolazione rurale.
Naturalmente questo processo dovette
interessare le località più lontane dalla
chiesa cattedrale dove il battesimo
veniva amministrato unicamente dal
vescovo ed in occasione della Pasqua.
Non bisogna pertanto pensare ad un
piano preciso di organizzazione
ecclesiastica del contado, ma ad una
serie di iniziative indipendenti e legate
a situazioni ed ambiti particolari28.
I LONGOBARDI
A modificare il quadro intervennero i
Longobardi che nel 568 dilagarono per
la Pianura Padana; l'invasione in questa
prima fase fu molto drammatica e
caratterizzata da quelle immagini di
violenza e devastazione che in seguito
diverranno stereotipi diffusi29. Al
sopraggiungere
dei
Longobardi,
l'Arcivescovo ed il clero maggiore
abbandonarono Milano e si rifugiarono
a Genova, presidio bizantino e sede
vescovile soggetta all'autorità del
metropolita milanese. Questo fatto,
apparentemente secondario, risultò di
capitale importanza, perché fu alla base
dei futuri sviluppi delle istituzioni
ecclesiastiche milanesi e costituì la
28
PALESTRA 1963, pp.382s; MAJO 1981; Vedono il
sorgere delle pievi più antiche nel quinto secolo.
CATTANEO 1989, pp.81-84 non è della medesima
opinione e tende a fissare la creazione dell'istituto
pievano in epoche successive.
29
Per il quadro politico dell'epoca si vedano:
BOGNETTI 1954, pp.57-299. BARNI, 1975.
causa prossima della nascita del rito
ambrosiano30.
Malgrado la presenza di una minoranza
cattolica, la maggior parte degli
arimanni, corte compresa, era di fede
ariana, cioè negava la divinità di Cristo.
Questo fatto complicò le relazioni tra
Longobardi e cattolici, impedendo una
reale fusione tra le due componenti.
Nello stesso periodo ebbe luogo una
delle più complesse questioni politico
dottrinarie dell'intera storia della
chiesa: lo scisma dei Tre Capitoli.
Semplificando si potrebbe dire che il
clero padano non accettò la condanna
effettuata dall'imperatore bizantino e
dal Papa di una serie di asserzioni
formulate da tre teologi. Lo
scollamento divenne ancora più
profondo in seguito al rientro
nell'ortodossia
dell'arcivescovo
Lorenzo II (573-593) che non fu
seguito nella sua scelta dal clero
residente a Milano.
Malgrado la distanza che li separava
dalla loro sede, gli arcivescovi ed il
clero
maggiore
governarono
indirettamente la diocesi milanese e, a
quanto sembra, assunsero anche la
carica di amministratori di quella
genovese. In seguito all'accettazione
della condanna dei Tre Capitoli
effettuata dall'arcivescovo Lorenzo, si
ebbe uno strappo tra le gerarchie
ambrosiane ed il clero che era rimasto
in diocesi, favorevole ad una politica
più conciliante nei confronti della
monarchia longobarda.
In questi anni il pontefice Gregorio
Magno intrattenne un fitto contatto
epistolare con l'obiettivo di giungere ad
30
CATTANEO 1954, pp.615ss.; MAJO 1981, pp.7798; CATTANEO 1989, pp.100-148. Per il rito
ambrosiano si veda: CATTANEO 1978, pp.168-173.
una
soluzione
dello
scisma.
Sembrerebbe che per riavvicinare i
Longobardi ariani ed i cristiani
tricapitolini all'ortodossia romana,
Gregorio abbia inviato in Lombardia,
apparentemente come supporto al
clero, ma in realtà come autentici
missionari, i monaci irlandesi di san
Colombano che nel frattempo si erano
installati nel monastero di Bobbio31.
L'opera evangelizzatrice di Gregorio
proseguì con frequenti legazioni alla
corte di Teodolinda. Anche in seguito
alla partenza del vescovo scismatico
Secondo di Non, la regina si avvicinò
al cattolicesimo, senza però modificare
radicalmente le concezioni religiose del
suo popolo che in gran parte rimase
legato all'arianesimo32.
Come risulta dai cataloghi della chiesa
milanese,
ben
otto
arcivescovi
risedettero a Genova per un periodo di
circa ottanta anni. In conseguenza di
tale situazione si venne a creare un
profondo strappo tra il clero maggiore
residente a Genova (clero cardinale) e
quello diocesano (clero decumano),
sulle cui spalle gravò il peso della cura
d'anime in questi ottanta anni di
assenza del presule ambrosiano. Ad
acuire il dissidio intervennero anche i
diversi atteggiamenti nei confronti
della corte longobarda e la questione
dei Tre Capitoli che rimaneva il motivo
più grave di scontro tra Milano e
Genova33. I sacerdoti decumani
dovettero farsi carico del gravoso
problema dell'amministrazione dei
31
CATTANEO 1989, pp.118-126. CAPPELLINI 1972,
pp.21-23 collega senza fondamenti documentari
l'erezione in Desio dell'oratorio di san Pietro al Dosso
all'opera dei missionari di san Colombano.
32
CATTANEO 1989, pp.107-118. Si veda anche
PAOLO DIACONO, IV, passim.
33
MAJO 1981, p.90; CATTANEO 1989, pp.127s.
sacramenti e molto probabilmente
permisero che il battesimo fosse
amministrato in località diverse dalla
sede episcopale, tramite l'erezione di
battisteri e l'invio in loco di sacerdoti a
ciò deputati. Come risulta da uno
studio postumo di mons. Cattaneo, il
nesso tra chiesa battesimale e pieve non
è un dato assoluto ed incontrovertibile;
situazioni particolari portarono alla
creazione di un fonte in prossimità di
centri abitati, senza che questi luoghi
diventassero in seguito sedi pievane.
L'assenza del vescovo generò dunque
un processo di decentramento, la cui
conclusione fu nel secolo successivo
l'istituzionalizzazione di un dato di
fatto tramite la creazione delle pievi34.
All'opera di evangelizzazione dei
Longobardi condotta ai massimi livelli
da parte del papato, tramite legazioni
alla corte monzese, si affiancarono
dunque l'opera pastorale del clero
decumano e dei missionari irlandesi.
Alcuni studi hanno inoltre evidenziato
la presenza di sacerdoti orientali, giunti
nel nostro territorio per sfuggire
all'espansione islamica35.
Al centro di queste diverse iniziative si
trovava la corte longobarda che
oscillava tra posizioni di arianesimo
intransigente (corte di Pavia) e aperture
verso il cattolicesimo, in genere nella
versione tricapitolina (abate Secondo di
Non
e
corte
monzese);
successivamente, anche grazie agli
interventi
di
Gregorio
Magno,
l'elemento cattolico romano aumentò la
propria importanza.
Sembrerebbe che i rapporti tra le
diverse confessioni non fossero però
violenti; i vescovi ariani non attuarono
mai
politiche
di
conversione
dell'elemento cattolico e si astennero da
azioni aggressive. Una maggiore
tensione tra i gruppi dovette però
coincidere con l'ascesa al trono di
Rotari, sotto il cui regno, a dire di
Paolo Diacono, in ogni città c'era un
vescovo ariano ed uno cattolico36. La
situazione assunse una piega nuova nel
642-643 con l'invasione della Liguria
da parte del re longobardo. Ormai non
sussisteva alcun presupposto per
giustificare l'assenza del vescovo dalla
sua sede. Fu questo appunto l'atto più
importante compiuto dal nuovo
arcivescovo Giovanni Bono.
A questo punto della vicenda si colloca
la figura del santo arcivescovo che oltre
a riportare la sua sede a Milano, a detta
delle fonti, avrebbe eretto la chiesa di
Desio.
L'unico dato certo è la sua adesione alle
deliberazioni della sinodo romana del
649. Un altro gruppo di fonti, sulla cui
attendibilità possono essere avanzati
dei dubbi, è costituito dagli antichi
cataloghi dei vescovi di Milano e da un
componimento metrico in onore di san
Giovanni, denominato “ritmo”, dal
quale è stata ricavata la maggior parte
degli elementi riportati nelle biografie
successive. Il resto delle notizie che lo
riguardano è scarsamente attendibile e
maggiormente legato alla leggenda
piuttosto che alla storia. Il ritmo di cui
si è detto sembrerebbe essere stato
composto nell’undicesimo secolo in
34
CATTANEO
1989,
pp.81-84;
138-140.
Sull'argomento si veda anche PALESTRA 1960,
pp.74-88;
PALESTRA
1963,
pp.359-398;
CORADAZZI 1980; VIOLANTE 1982, pp.963-1158.
35
CATTANEO 1963, pp.215-247.
36
"Huius temporibus pene per omnes civitates regni
eius duo episcopi erant, unus catholicus et alter
arrianus". PAOLO DIACONO, IV, 42.
occasione del ritrovamento della
sepoltura del santo.
A partire da questo testo tutte le fonti
ascrivono all'operato di Giovanni la
fondazione della chiesa di Desio e
l'istituzione della circostante pieve37. I
dati a nostra disposizione sono però
molto limitati ed occorre un certo
sforzo per comprendere il senso e la
portata di questo atto. Il ritmo recita
così:
Januensis pontifex
Sancti Syri reliquias
Ducit ad Decium
Et ecclesiam aedificavit
Pii Johannis studium
Cui plebs sibi contulit
Primatus beneficium
Ut in chori pariete
Scriptura dat inditium
LA BASILICA ANTICA
Come apprendiamo dagli atti delle
visite pastorali del XVI secolo, a Desio
esisteva un luogo di culto anteriore alla
basilica dei santi Siro e Materno. Esso
era dedicato a san Giovanni Battista e
sorgeva grosso modo sull'area oggi
occupata dall'asilo Santa Maria. Nel
Cinquecento se ne vedevano solo le
fondamenta e, a dire del prevosto
Cermenati, le tegole e le travi
dell'edificio erano state vendute dai
suoi predecessori38.
La mancanza di documenti, sia
archivistici, sia archeologici,
è
pressoché totale, pertanto occorre
procedere cautamente per ipotesi e
37
Liber 1917, col.194A; CONFALONIERI 1982, p.38;
BESOZZO s.d., p.109; VAGLIANO 1715, p.154;
SASSI 1755, p.231; OLTROCCHI 1795, pp.540s.
38
A dextris autem ipsius cimiterii adsunt fundamenta
aequata solo ecclesiae alias vocatae S.Johannis et ibi
est congeries lapidum dictae ecclesiae, et dicit dominus
praepositus quod tegulas et ligna vendiderunt sui
praedecessores. Cfr.: MALBERTI 1961, pp. 124s.
confronti. L'intitolazione a san
Giovanni Battista è indicativa perché
questo Santo era particolarmente caro
ai Longobardi e non a caso anche la
basilica monzese era intitolata al
Battezzatore39.
L'analisi condotta a suo tempo da
Cappellini parte dal presupposto assai
verosimile che il centro del borgo di
Desio fosse occupato dagli arimanni,
mentre la popolazione romana, ridotta
allo stato servile, occupasse le zone
periferiche ed in particolar modo il
rione della Vigana, corrispondente
all'attuale via Lampugnani40.
Non sappiamo con sicurezza quando e
perché fu abbattuta la chiesa di san
Giovanni; ma essa dovrebbe essere
crollata agli inizi del quindicesimo
secolo in seguito ad eventi bellici41.
Non ci è dato conoscere con sicurezza
forma e struttura della basilica fondata
da san Giovanni Bono. Un'opinione
tanto diffusa quanto infondata sostiene
che l'edificio originario andò distrutto
all'epoca del Barbarossa42; non esiste
alcuna indicazione a tale proposito e
risulta assai difficile prestare fede ad
una
tale
affermazione.
Quasi
sicuramente la basilica eretta da san
Giovanni, sia pure con modifiche e
ristrutturazioni, dovette sopravvivere
per un millennio; la chiesa descritta
negli atti delle visite pastorali di san
Carlo o dei suoi inviati dovrebbe essere
la basilica originaria.
L'edificio era collocato a cavaliere
dell'attuale tratto iniziale di via Pio XI.
Di dimensioni ridotte (m 21,4 x 16,6
circa), era articolata su tre navate,
39
PALESTRA 1960, p.80.
CAPPELLINI 1972, pp.28-30.
41
BRIOSCHI 1993, pp.58-64.
42
P.P. 1952, p.17.
40
scandite da colonne. Le navate laterali
si concludevano con due altari, mentre
altrettanti erano collocati nella sagrestia
ed in un locale di servizio. L'edificio
era preceduto dalla torre campanaria e
da una piccola costruzione il cui uso è
incerto; tutto intorno si stendeva l'area
cimiteriale43. Sciaguratamente, dopo la
costruzione nel XVIII secolo di una
chiesa di maggiori dimensioni, quella
precedente fu rasa al suolo e di essa
non rimase traccia, anche perché i
materiali ottenuti dalla demolizione
furono in parte riutilizzati nella nuova
fabbrica ed in parte venduti all'asta44.
Senza esplicitare la fonte da cui trasse
l'informazione, Sassi riferisce che la
basilica desiana fu costruita da
Giovanni a proprie spese45. Resta il
fatto che in epoca longobarda la
costruzione di un edificio di queste
dimensioni dovette costituire un evento
di notevole importanza; il solo fatto che
ci si preoccupò (caso unico) di
ricordare l'erezione di una basilica nel
contado è un chiaro indicatore
dell'importanza che i contemporanei
diedero all'avvenimento46.
Il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani
riferisce che Giovanni trasportò a
Desio le reliquie di san Siro, vescovo di
Genova; la notizia è stata poi ripresa e
riferita da molti autori successivi47. Sia
43
MALBERTI 1961, pp.125s. La disposizione degli
altari è identica a quella esistente nel Duecento, salvo
l'intitolazione a santi diversi da quelli venerati in epoca
borromaica. Cfr. : VIGOTTI 1974, p.203.
44
CAPPELLINI 1972, p.316.
45
SASSI 1755, p.231.
46
P.P.1952, p.17. La pieve di Desio godette sempre
particolari privilegi per la sua importanza; in occasione
delle processioni solenni nel Duomo di Milano, il clero
desiano occupava il posto d'onore, chiudendo la serie
delle delegazioni pievane e precedendo il capitolo della
cattedrale.
47
Hic duxit reliquias sancti Syri episcopi Ianuae. Liber
1917, col. 194A; OLTROCCHI 1795, pp.540s.
Malberti, sia Cappellini si sono sforzati
di smontare quest'opinione e hanno
dimostrato che il santo titolare della
basilica desiana non è il san Siro di
Genova, ma quello pavese48. In
particolare l'analisi dell'antico messale
della basilica, oggi conservato alla
Biblioteca Ambrosiana, ha dimostrato
che la festa liturgica del patrono cadeva
già ab antiquo il nove dicembre, giorno
in cui la chiesa commemora il primo
vescovo di Pavia49.
Sicuri che si tratti del santo pavese,
occorre ora chiedersi da dove abbia
avuto origine questa erronea opinione.
A mio giudizio la causa è di ordine
paleografico e sarebbe nata da
un'erronea trascrizione del ritmo.
Alcuni testi riportano la versione:
Januensis pontificis / Sancti Syri
reliquias / Duxit ad Decium50, mentre
altri presentano questa versione:
Januensis pontifex / Sancti Syri
reliquias / Duxit ad Decium 51.
Naturalmente nella prima versione
Januensis pontificis è riferito a san Siro
e dunque va tradotto: “Portò a Desio le
reliquie di san Siro vescovo di
Genova”. Nel secondo caso il
significato varia notevolmente; il testo
andrebbe tradotto:”Il vescovo genovese
(cioè Giovanni) portò a Desio le
reliquie di san Siro”. È così chiaro che
un fraintendimento del testo ha
condotto a ritenere che il ritmo
testimoniasse il culto del san Siro
genovese.
48
MALBERTI 1961, p.31; CAPPELLINI 1972, p.34.
BAM, H 269 p.inf. Il messale in questione fu
eseguito nel 1463 con la somma ottenuta dalla
comunità di Seregno dopo una vertenza giudiziaria per
questioni di decime.
50
BAM, cod.S.89.sup. Miscellanea Puricelli.
51
OLTROCCHI 1795, pp.543s.
49
L'intitolazione della basilica al santo
pavese risulta molto più congruente
anche
sotto
l'aspetto
politicoecclesiastico. Considerato che la
cappella reale nella capitale del regno
longobardo era dedicata a san Siro, la
scelta di Giovanni sembra quasi un
tentativo di avvicinamento al mondo
ariano, uno sforzo per rendere meno
difficile il trapasso alla nuova fede
cattolica.
Giampiero Bognetti ha sostenuto che il
passaggio al cattolicesimo della diocesi
pavese deve essere avvenuto durante
l'esilio genovese degli arcivescovi. In
tal modo il clero pavese si rivolse
direttamente al Pontefice per sancire
questo
passaggio,
svincolandosi
dall'autorità
del
metropolita52.
Scegliendo san Siro, Giovanni, oltre a
dimostrare apertura e sensibilità nei
confronti del mondo longobardo, volle
avocare a sé la gestione del culto del
patrono di una diocesi insofferente
all'autorità milanese. Non ci è dato
sapere chi fossero gli abitanti del centro
di Desio destinatari dell'iniziativa
dell'arcivescovo Giovanni. Anche se la
storiografia locale ha voluto ravvisare
negli abitatori del borgo arimanni
longobardi di fede ariana53, a mio
avviso gli arimanni desiani dovevano
aver già abbandonato da tempo
l'arianesimo puro. Vista la vicinanza
con Como e soprattutto con Monza,
dovevano essere cattolici aderenti allo
scisma tricapitolino. I signori abitanti a
Desio, come nella vicina Monza,
avevano deciso di dedicare la loro
chiesa a san Giovanni Battista, proprio
per
significare
il
passaggio
dall'arianesimo al cattolicesimo e,
52
53
BOGNETTI 1966, pp.29s.
CAPPELLINI 1972, p.156.
come a Monza, avrebbero abbracciato
la causa dei Tre Capitoli. Non a caso
Giovanni decise di dedicare la basilica
proprio a san Siro, un santo la cui
diocesi aveva abbandonato lo scisma
per ricongiungersi alla comunione
romana.
SAN MATERNO
Come tutti sanno, san Siro non è
l'unico titolare della basilica desiana;
gli è associato san Materno, un
arcivescovo di Milano vissuto agli inizi
del IV secolo, rappresentato nei
mosaici del sacello di san Vittore in
Ciel d'Oro.
Quando sia avvenuto tale abbinamento
non ci è dato sapere, forse addirittura
all'epoca della fondazione della
chiesa54. L'unico autore che ne parla
offre una versione dei fatti molto
semplice, che ha tutta l'apparenza di
una spiegazione creata a posteriori:
Goffredo da Bussero, il redattore del
Liber Notitiae Sanctorum Mediolani,
afferma che la basilica fu consacrata in
die sancti Materni, dunque il suo culto
fu associato a quello di san Siro per una
semplice coincidenza temporale 55.
In seguito l'intitolazione a san Materno
divenne più usuale di quella a san Siro,
tanto che diversi autori, parlando della
basilica desiana, la ricordano come
intitolata unicamente a san Materno56.
Il ritmo nel riferire la notizia della
fondazione della basilica, asserisce che
l'informazione è comprovata da
scritture nella parete del coro.
A.Cappellini
ha
interpretato
la
54
SCHUSTER 1952, p.6. Sembrerebbe contrario a
questa posizione perché sostiene che nel ritmo non vi è
alcun accenno.
55
Liber 1917, col.194A.
56
CONFALONIERI 1982, p.38. BESOZZO s.d., p.109.
Si veda inoltre: MALBERTI 1961, p.32.
testimonianza con la presenza di
“antichi versi attorno all'abside della
basilica”57. Se si fosse trattato di una
semplice iscrizione, penso che sarebbe
stata gelosamente conservata, se non
per amore del passato, almeno per
comprovare l'antichità dell'edificio e
del capitolo. Se mai esistita, questa
scriptura doveva consistere in una serie
di affreschi raffiguranti episodi della
vita del Santo accompagnati da
didascalie; un ciclo di questo genere mi
sembra che difficilmente possa essere
stato eseguito in una chiesa secondaria
e sarebbe perciò più ragionevole
pensarlo nella chiesa di san Michele in
Domo dove il Santo fu sepolto58.
Potrebbe però valere una spiegazione
del tutto diversa; per scriptura in chori
pariete potrebbe forse intendersi il
volume dell'ufficiatura posto nel coro
delle chiese, infatti la breve lettura
agiografica riportata nel breviario
ricorda appunto questo suo gesto. In
questo caso il ritmo non riporterebbe
nulla di nuovo, ma si limiterebbe a
riferire un'informazione verificabile
recandosi nel coro di qualsiasi chiesa.
L'ORGANIZZAZIONE PIEVANA
Sarà forse un fatto casuale, ma la pieve
di Desio è l'unica dell'intera
archidiocesi milanese ad avere una data
di fondazione59. È però necessario
ricordare che tutte le informazioni
relative a quest'argomento sono
desunte dal famoso ritmo e che questo
testo fu composto quasi mezzo
millennio dopo i fatti narrati. Se la
fondazione della chiesa da parte di
Giovanni è un dato indiscutibile, non è
altrettanto
dimostrato
che
l'Arcivescovo abbia anche istituito la
relativa pieve nelle strutture e
nell'estensione da noi conosciute; il
ritmo presenta una situazione religiosa
ed un quadro di organizzazione
ecclesiastica
che
è
quella
dell'undicesimo secolo, non è certo
detto che questo quadro rifletta
esattamente la situazione del settimo
secolo. È ingenuo pensare che in epoca
longobarda siano state create istituzioni
aventi le medesime caratteristiche
centinaia di anni dopo. Un dato è
comunque certo: l'opera di Giovanni si
inserì in un contesto religioso
preesistente
la
cui
natura
è
difficilmente interpretabile.
Riguardo
al
clero,
Giovanni
probabilmente dovette intervenire
istituzionalizzando un dato di fatto,
cioè la presenza di una comunità di
sacerdoti addetti alla cura d'anime nel
territorio circostante, un gruppo di
decumani o officiales, raccolto intorno
all'archipresbyter che più tardi diverrà
praepositus60.
Anni fa, quando si pensava che le pievi
milanesi fossero state istituite nel IV-V
secolo, quella di Desio risultava essere
una delle più recenti, anche per il fatto
di essere dedicata ad un Santo
confessore e non ad un martire61. Visto
lo sviluppo degli studi sulla questione,
forse la nostra pieve fu una delle prime
ad avere un'istituzionalizzazione del
fatto che i sacramenti fossero impartiti
autonomamente nel contado vista la
lontananza dell'Arcivescovo.
57
CAPPELLINI 1972, p.33.
OLTROCCHI 1795, p.544.
59
VIGOTTI 1974, p.204.
58
60
61
SCHUSTER 1952, p.5.
PALESTRA 1963, pp.383s.; 387.
I DUE FONTI BATTESIMALI
Se, come abbiamo visto, la presenza di
un fonte battesimale non è sempre
sinonimo di chiesa matrice, il discorso
è ancora più interessante nel caso
desiano perché qui sussistevano due
fonti battesimali. Negli atti della visita
pastorale effettuata nel 1567 da padre
Lionetto Clivone è ampiamente
descritto il fonte esistente nella
basilica62.
Successivamente
il
visitatore, ispezionando l'oratorio di
san Bartolomeo, collocato nella parte
orientale del borgo, annota che a fianco
dell'altare è inserito un fonte
battesimale utilizzato in epoche più
antiche63. Il gesuita evidenziò con
stupore la presenza di quest'elemento,
ritenendo la cosa in contrasto con la
consuetudine di utilizzare un solo
fonte.
Alberto Cappellini ha collegato questo
fatto ad una distinzione tra il fonte
ariano-longobardo della chiesa di san
Giovanni e quello cattolico-romano
nella contrada della Vigana64. L'ipotesi,
malgrado non sia suffragata da
documenti, mi sembra la spiegazione
più plausibile. Cappellini ha riferito
all'opera di conversione dei Longobardi
anche la costruzione dell'oratorio di san
Pietro al Dosso, eretto a suo giudizio
dai
monaci
irlandesi
di
san
65
Colombano . In questa prospettiva
62
Baptisterium adest in ingressu portae maioris factum
iuxta formam concilii, excepto quod vas ubi servatur
aqua est ex lateribus confectum et non potest servare
nisi parum aquae in parte inferiori quae est marmorea.
Vedi anche: MALBERTI 1961, pp.142-148.
63
Et alias ibi baptizabant et extat nunc sacrarium in
pariete a dextris altaris. MALBERTI 1961, pp.148150.
64
CAPPELLINI 1972, pp.29s.
65
CAPPELLINI 1972, pp.20-23. Anche G.P.Bognetti
ha delineato un lento avvicinarsi dell'elemento cattolico
alle fortezze longobarde. Si veda: BOGNETTI 1976,
pp.105-143.
saremmo di fronte ad un processo di
lenta cattolicizzazione che, partito dalla
periferia, raggiunse infine il centro del
borgo dove risiedevano gli arimanni.
L'esistenza di un progetto così studiato
lascerebbe intendere la presenza di un
nucleo
longobardo di
notevole
importanza, tale da spiegare l'erezione
di
Desio
a
capopieve.
IL BASSO MEDIOEVO
Malgrado quanto spesso si è detto, non abbiamo nessuna prova che il borgo di Desio
abbia dovuto subire particolari devastazioni all’epoca della distruzione di Milano ad
opera dell’imperatore Federico I Barbarossa. Possiamo invece pensare che anche
Desio fosse inserita in quel processo di progressiva trasformazione delle campagne
dopo il Mille che portò ad un netto miglioramento delle rese agricole.
Gli unici edifici di origine medioevale di cui possediamo qualche informazione
precisa sono le chiese. Come risulta dal famoso catalogo delle chiese ambrosiane
redatto alla fine del XIII secolo ed attribuito a Goffredo da Bussero66, Desio ospitava
sei chiese, ma solo tre erano collocate all'interno del borgo.
La chiesa primitiva, dedicata a san Giovanni Battista, sorgeva poco discosto
dall'attuale basilica, sull'area oggi occupata dall'asilo infantile Santa Maria. Come già
evidenziato dalla storiografia locale, questa chiesa doveva essere il centro religioso
della comunità longobarda ariana prima dell'erezione della basilica di san Giovanni
Bono. La distruzione di quest'edificio di culto risale a diversi secoli fa; già nel XVI
secolo restavano solo il pavimento e le fondamenta.
La Basilica, intitolata ai santi Siro e Materno, era collocata poco distante dall'attuale,
a cavaliere dell'imboccatura di via Pio XI. La costruzione dovette subire numerosi
rimaneggiamenti e poco sappiamo della struttura originaria; i primi documenti certi
sono gli atti delle visite pastorali degli arcivescovi di Milano che ci rendono
l'immagine di una chiesa a tre navate, della quale purtroppo non rimane più alcuna
traccia. Essa fu abbattuta nel XVIII secolo in quanto si era rivelata inutile dopo la
costruzione della nuova e più ampia basilica.
Di fronte alla chiesa plebana si apriva un ampio spazio occupato dal mercato che,
commisurato all'epoca ed alle dimensioni del luogo, doveva apparire davvero di
notevoli dimensioni.
E’ quasi certo che l'attuale campanile non sorgesse già nel XIII secolo; di certo
sappiamo che nel Cinquecento era collegato alla chiesa tramite un passaggio aereo
costituito da un piccolo ponte levatoio e che terminava con un'alta guglia in laterizi67.
Sappiamo che in epoche antiche sulla piazza sorgeva una torre le cui fondamenta
furono ritrovate ed asportate nel Settecento durante i lavori di costruzione della nuova
basilica. Molto probabilmente la torre dovette essere atterrata nel Duecento ad opera
dei Torriani che ordinarono lo smantellamento di tutte le strutture di difesa nel raggio
di dieci miglia dalla città di Milano per evitare che questi luoghi potessero diventare
punti d'appoggio per i Visconti ed i loro seguaci68.
Sempre sulla piazza sorgeva la chiesa di sant'Agata che una tradizione paesana
vorrebbe fatta erigere da Ottone Visconti per commemorare la vittoria di Desio del
1277. Molto probabilmente la notizia non è attendibile; infatti lo scontro avvenne il
giorno di sant'Agnese, la cui memoria si sovrappose a quella di sant'Agata, generando
cosi la falsa attribuzione dell'edificio.
66
SOLDI 1972.
BRIOSCHI 1993, pp. 58ss.
68
CAPPELLINI 1972, p.321
67
Sempre sulla piazza principale si affacciavano la Casa del Comune ed il conventoopificio degli Umiliati che possedevano una casa nella nostra città.
A nord-est della piazza sorgeva la canonica che ospitava il Prevosto ed i dodici
canonici che officiavano nelle numerose chiese della pieve. L'edificio fu poi distrutto
agli inizi del Cinquecento dai mercenari svizzeri che appiccarono il fuoco all'intero
borgo.
Dal XIV secolo si diffonde massicciamente l'abitudine di redigere per scritto i
contratti agricoli alla presenza di un notaio. Questo fatto ci permette di avere a
disposizione una discreta messe d'informazioni relativa al mondo agricolo.
Dai dati in nostro possesso emergono alcuni interessanti rilievi. Innanzi tutto non
esistevano ancora grandi cascine; è testimoniato solo qualche insediamento di media
grandezza a sud, in direzione di Nova Milanese, ed a nord-ovest verso Cesano.
La campagna desiana, malgrado non offrisse rese elevate, appare massicciamente
coltivata. Nelle pergamene trecentesche non sono menzionati boschi o brughiere
come in altri centri della zona per cui sembrerebbe di capire che quasi l’intera
superficie disponibile era stata messa a coltura. Il sintomo di questi lavori di
dissodamento traspare da alcuni toponimi come "Vignate Vecchio", ovviamente
contrapposto ad un "Nuovo", frutto dell'intervento dell'uomo medioevale69.
Le condizioni di vita dei nostri progenitori non dovevano essere certo delle migliori.
Le rese agricole, a livello generale, nel XIV secolo si aggiravano intorno ai quattro otto quintali per ettaro. La resa per il frumento era di 3,5/4 volte la semente e per le
granaglie (segale e miglio) si giungeva a 5-6 volte la quantità di semi consumati.
Nel corso del Trecento è testimoniata una crisi della piccola proprietà. Molti
contadini si trovarono costretti a vendere i loro poderi a grandi enti, generalmente
ecclesiastici (spicca tra questi la canonica di santa Tecla di Milano)70. L’Archivio
della Fabbrica del Duomo di Milano conserva una notevole massa di documenti
relativi ai possedimenti in Desio di tale Arditolo della Porta, il quale nel 1397 donoò
alla Fabbrica una notevole massa di beni in Desio; queste case e terreni furono poi
venduti nel 1404 per la somma di 1.132 fiorini71. I nuovi proprietari infrangono la
tradizionale abitudine di stipulare contratti illimitati, privilegiando quelli a breve
termine (molto spesso un anno). In questo modo il proprietario si trovava a poter
incamerare in breve tempo le migliorie effettuate dal colono che generalmente
consistevano nella piantumazione di filari di vite.
L'affitto documentato dalle fonti è identico a quello applicato altrove: uno staio (=1/8
del moggio = dm cubi 18,82) di miglio e di segale in parti uguali per ciascuna pertica
lavorata.
69
1173. Giovanni, qui dicor Sapius, trasferitosi da Desio alla Brera del Guercio in Milano, cede alla chiesa di
Sant'Eusebio l'usufrutto di un suo possedimento sito in Dexio in località Vignate Vecchio. BAM, codice della croce,
f.188. Cit.: MALBERTI 1961, p.11.
70
Si veda la serie di vendite effettuate ai primi del Trecento dalla famiglia Baffa e del canonico di Nerviano Imblanado
Biffi: ASM, religione, cart 170. La massa maggiore di terreni pervenne ai canonici in seguito ad una permeuta nel 1314
con i fratelli Giacomo ed Azione di Sesto. ASM, ibidem. Questa cartella contiene moltisismi documenti relativi alle
acquisizioni del Capitolo del Duomo e Desio ed alle successive vicende di questi fondi agricoli.
71
AVFDM, cart.320.
Chi fossero esattamente questi Desiani del Basso medioevo non ci è dato sapere con
sicurezza. Dal poco in nostro possesso possiamo arguire che erano persone tese a
strappare con intelligenza al territorio le risorse necessarie per la sopravvivenza. La
fine dell'epoca medioevale deve essere coincisa con un peggioramento diffuso delle
condizioni di vita; come sempre accade in casi come questo, tale situazione coincise
con la riorganizzazione del territorio e l'avvio di nuovi metodi di sfruttamento
dell'ambiente. Testimonianze ridotte ma efficaci di questo sforzo rimangono i nuovi
insediamenti agricoli e la novità di redigere per scritto i contratti; in seguito a tale
fatto compaiono timidamente i primi nomi di Desiani.
Vista la scarsità della documentazione non possiamo farci un’idea delle precise
condizioni di vita e della reale situazione degli abitanti; solo suggerimenti indiretti
aiutano a cogliere qualche squarcio di vita cittadina nel passato. Il fatto che già alla
metà del XIII secolo si fosse insediata a Desio una comunità francescana obbliga a
comprendere il perché di questa scelta. Occorre ricordare che la nostra area vedeva
una forte diffusione dell’eresia catara ed altre fonti sembrerebbero accennare alla
presenza in Desio di un insediamento ebraico72. Questi fattori possono aver
contribuito a favorire la scelta di installare sul nostro territorio i frati francescani per
combattere questi focolai eterodossi. I frati furono poi oggetto di donazioni da parte
di Francesco Sforza che donò loro 37 pertiche sull’area dell’antico castello73.
Già nel Duecento era attiva in Desio una casa di Umiliati. Quest’ordine religioso,
entrato nell’ortodossia dopo un esordio ereticale, affiancava alla vita di preghiera il
lavoro sul telaio74. Anzi, sembrerebbe che proprio uno dei primissimi documenti
riguardanti l’ordine sia stato redatto proprio a Desio. Gli Umiliati si dedicarono alla
lavorazione della lana destinata alla produzione di capi economici di vestiario
(chiamato panno berrettino); non siamo in grado di identificare con sicurezza
l’ubicazione della loro casa ma quasi verosimilmente andrebbe identificata nel
complesso della casa Colleoni di via Pozzo Antico. Da quanto sembrerebbe di capire,
l’antico oratorio di sant’Agata dovrebbe risalire alla presenza degli Umiliati e il
locale Luogo Pio delle Sante Maria ed Agata sembra fosse una filiazione della
comunità degli Umiliati di Monza75.
Con l’avvento delle dinastia viscontea Desio appare inserita nell’orbita di questa
famiglia. Già prima della famosa battaglia del 1277 Ottone Visconti, secondo la
tradizione, avrebbe fatto parte del capitolo della chiesa desiana ed anche in seguito
diversi prevosti proverranno da questa famiglia.
Intorno al complesso del castello edificato da Bernabò nella parte orientale del borgo
si svilupparono le cacce ducali, un’ampia riserva demaniale che doveva fornire
occasione di svago al signore di Milano ed alla sua corte76. Il nostro borgo divenne
72
BRIOSCHI 1998.
ASM, Esenzioni, 154.
74
ZANONI 1911.
75
La chiesa monzese degli Umiliati era appunto intitolata alle sante Maria ed Agata.
76
1393. Editto di Giangaleazzo Visconti che indica i territori inclusi nelle sue riserve ed impone proibizioni a favore
della selvaggina. Il primo della lista è Desio. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.90.
73
una delle residenze preferite dei Visconti, ma questo fatto fece notevolmente
peggiorare le condizioni di vita degli abitanti. La presenza delle cacce ducali impedì
la tradizionale raccolta di prodotti boschivi e della cattura di selvaggina di piccolo
taglio; prodotti che per secoli avevano fornito un necessario complemento alla magra
alimentazione contadina77. Così si esprimeva la cancelleria sforzesca: Ch’el non sia
persona alcuna grande o piccola de qualle stato, grado o condicione se vogli o sia,
che da questa hora inanzo de dì ne’ de nocte ossa ne presuma caciar ne’ fare caciare
suso la campagna de Monza del Lambro per fin ad Milano, cum rette, lacii, ne’ altri
artificii DA prendere ucelli, ne’ animali, o salvadicina de quale mayneria se vuoglia,
apti a dare piacceri al nostro illustrissimo signore et alla illustre domina Biancha
sua consorte, sotto pena de floreni XXV, che vadano alla camera del preferto nostro
signore, per ogni volta che serano trovati a caciare cum dicti artificii, o in acto de
caciare fuora de strata a zascaduno che contra farà. Et ciascuna persona possa
accusare et haverà la mitade dela condamnazione et serà tenuto secreto s’il
contrfaciente serà apto a pagare, se no gli seranno dati 4 squasi de corda senza
remissione et perdonanza alcuna, et sia chi se voglia78.
Se a tutto ciò si aggiungono nutrimento ed alloggio dovuto a cani, cavalli e all'intera
corte ducale quando faceva soggiorno a Desio, possiamo capire che questo fatto pesò
notevolmente sullo sviluppo del borgo, favorendo i centri vicini che videro aumentare
la propria popolazione con gente che sfuggiva ad una situazione intollerabile79. La
crisi del mondo contadino è anche documentata da numerosi atti di vendita a favore
di enti ecclesiastici milanesi, soprattutto al capitolo della basilica di santa Tecla; in tal
modo assistiamo alla progressiva compressione della piccola proprietà locale a favore
delle grandi istituzioni religiose.
A limitare in parte i danni prodotti da questi provvedimenti, Bernabò fece scavare un
canale che conduceva le acque del lago di Montorfano fino alla sua residenza desiana,
allietando così il suo soggiorno. Questo piccolo corso d'acqua ebbe però
un'importanza economica non indifferente; infatti per secoli fu l'unico strumento di
irrigazione per i campi in una pianura estremamente permeabile. Tra continue liti,
perizie e cause giudiziarie per l'utilizzo delle sue acque, la Roggia sopravvisse fino a
pochi decenni or sono, quando, persa la funzione economica, fu interrata80. Molto
probabilmente la residenza desiana di Bernabò, della quale non sussistono avanzi,
dovette servire come soggiorno per la favorita del Duca, Donnetta Porro. Non a caso
lo scavo della Roggia permise, nel tratto iniziale dove le sue acque uscivano dal fiume
Seveso, di favorire i Porro, signori del luogo, che in tal modo si videro provvisti di
una copiosa fornitura d'acqua. I diversi signori che si succedettero considerarono fino
al nostro secolo questo canale alla stregua di un bene privato delle cui acque non si
77
1450, agosto 28. Lodi. Si intima al podestà di Marliano di pubblicare la grida allegata perché nessuno osi danneggiare
i possedimenti fatti per li piaceri nostri e della illustre consorte nostra madonna Biancha. Archivio ducale sforzesco,
registri delle missive, II, pp.132-133.
78
1451, gennaio, 2. Documento di contenuto identico a quello emesso in data 28.08.1450 ad eccezione dei seguenti
punti: si vieta soprattutto la caccia notturna ed in periodi di neve; la multa è portata a 26 fiorini. Archivio ducale
sforzesco, registri delle missive, II, pp.848-850.
79
CAPPELLINI 1972, pp.83ss.
80
BRIOSCHI 1994.
poteva fare libero utilizzo. Lo scavo della Roggia, invece di far decollare 1'agricoltura
locale, si limitò a favorire pochi signori che godevano del diritto di poter attingere
acqua dal suo corso.
Nel 1476 1'intera pieve di Desio, congiuntamente a quella di Mariano, fu offerta in
dono dal duca Galeazzo Maria Sforza alla propria favorita, Lucia Marliani, moglie di
Ambrogio Roverti. Questo fatto dovette costituire un leggero miglioramento nelle
condizioni di vita della popolazione, in quanto Desio fu slegata dal resto del Ducato,
riuscendo ad evitare alcuni carichi fiscali. La contessa Lucia rimaneva in pratica
l'appaltatrice dei dazi su pane, vino, carne e imbottato81.
Segno di una maggiore industriosità e spirito d'iniziativa resta il fatto che nel
Quattrocento appaiono sempre più numerosi nei documenti visconteo-sforzeschi i
nomi di cittadini desiani. La presenza ricorrente a Desio di Bernabò Visconti,
comportò la presenza di un demanio spesso asfissiante, ma può aver favorito
l'inserimento di Desiani nelle strutture del ducato. In tal modo incontriamo
personaggi come Filippolo, membro dell'entourage ducale, fino al buffone di corte
Medesina di Desio.
A riprova di una timida ripresa economica, nelle pergamene del primo Quattrocento
cominciano a comparire i nomi di artigiani come Salio Carcassola, filatore di lana ed
il sarto Pietro Somasca. Sempre nel XV secolo è documentata la presenza stabile a
Desio di un notaio, Giovanni Marudo, cui fecero seguito la dinastia dei Carcano e dei
Confalonieri. Alla fine del secolo un desiano, Giovanni Ferrari, è uno dei più
rinomati fabbricanti di lame di Milano.
La canonica accoglieva il Prevosto e, almeno nominalmente, dodici canonici che in
modo quasi diretto assicuravano l'assistenza religiosa a quelle cappelle della pieve
che non si erano ancora trasformate in parrocchie autonome.
A questi pochi individui che sono riusciti a far giungere fino ad oggi almeno il
ricordo del nome, si contrappone la marea degli anonimi agricoltori che, nonostante
tutto, compaiono timidamente tra le righe di aridi formulari notarili, occupati a
strappare al territorio il proprio sostentamento.
81
CAPPELLINI 1972, p.114.
LA BATTAGLIA DI DESIO82
LA SIGNORIA TORRIANA
L'inizio dell'ascesa politica dei Torriani
coincide con la battaglia di Cortenuova
nel 1237 quando le truppe imperiali di
Federico II inflissero una pesante
sconfitta ai Comuni lombardi. I reduci
della battaglia furono accolti e protetti
dai Della Torre o Torriani, una nobile
famiglia di origine valtellinese. I
Milanesi, memori dell'accoglienza e dei
supporti ricevuti in un momento così
difficile, elessero nel 1240 a Capitano
del Popolo, Pagano della Torre. Sette
anni più tardi un suo congiunto,
Martino, diventerà Podestà della
metropoli lombarda. Il potere della
famiglia andrà così crescendo, fino a
culminare con la nomina di Napo o
Napoleone a Vicario Imperiale,
legittimando in tal modo un potere che
si era venuto lentamente consolidando
nelle mani della potente famiglia.
I Torriani, per molti versi, possono
essere considerati come uno dei primi
esempi di signoria regionale. Il
ventennale processo di ascesa politica
si andrà formando lungo due direttrici
convergenti: da un lato l'occupazione
dei centri di potere senza intaccare le
antiche
magistrature
comunali
(consolato, capitanato, Credenza di
sant'Ambrogio), dall'altro la cura nel
collocare in posizioni di prestigio
membri della stessa famiglia.
La politica torriana, pur con tutte le
ambiguità di un termine moderno
applicato ad un'epoca così diversa, può
certamente dirsi democratica. Prova ne
sia la realizzazione di opere di pubblica
82
Il testo del capitolo è ripreso da BRIOSCHI 1992.
utilità che coincide con una forte
compressione dei poteri aristocratici.
Per tutto il trentennio di indiscusso
predominio che Martino ed i suoi
successori ebbero su Milano, i Torriani
godettero di un forte consenso popolare
che in seguito andò scemando, fino alla
loro definitiva disfatta, sia a causa di
violenze e prevaricazioni compiute su
numerosi avversari, sia soprattutto per
il pesante carico fiscale a cui i cittadini,
ed in particolar modo gli abitanti del
contado, furono sottoposti. le ragioni
ultime del loro fallimento politico
vanno però ritrovate nell'atteggiamento
intransigente nei confronti della nobiltà
e nel non essere stati in grado di
contemperare le esigenze dei diversi
ceti.
I PRODROMI DELLO SCONTRO
Nel 1257 morì l'arcivescovo Leone da
Perego ed iniziò così un lungo periodo
di sede vacante, durante il quale si
affrontarono le diverse fazioni per la
lotta alla successione della cattedra di
sant'Ambrogio. Nel 1259 il principale
sostenitore della fazione aristocratica,
Ezzellino da Romano, fu sconfitto a
Cassano d'Adda; Martino si trovò in tal
modo padrone quasi incontrastato della
città; per consolidare il suo potere, il
podestà torriano nominò capitano
generale il feroce Uberto Pelavicino
(Pallavicini). La scelta di Uberto, noto
esponente ghibellino e sospetto di
eresia, non piacque al Pontefice, tanto
che nel 1262 papa Urbano IV destinò
alla sede arcivescovile milanese Ottone
Visconti,
esponente
aristocratico,
strettamente legato alla figura del
cardinale Ottaviano degli Ubaldini, del
quale fu per lungo tempo collaboratore.
Le notizie su Ottone sono piuttosto
confuse ed approssimative; nato nel
1207 ad Invorio, entrò giovanissimo al
seguito del cardinale Ottaviano e,
secondo alcuni autori, godette di un
beneficio ecclesiastico nella chiesa
desiana. Malgrado non siano stati
ancora identificati documenti probanti
di epoca coeva, la notizia appare
verosimile,
perché
anche
successivamente al 1277 la prevostura
di Desio appare quasi come un
possesso personale dei Visconti.
Per compensare parzialmente la
mancata nomina, il candidato torriano,
Raimondo, fu insediato a Como ed un
suo congiunto, Manfredo, divenne
arciprete di Monza. Alla notizia
dell'elezione di Ottone, Martino ed
Oberto Pelavicino sequestrarono tutti i
beni arcivescovili, costringendo il
pontefice a lanciare l'interdetto, una
sorta di scomunica collettiva sulla città
di Milano. Il nuovo podestà, Filippo
(naturalmente Torriani), nell'intento di
far recedere papa Clemente IV dal
provvedimento
preso
dal
suo
predecessore, iniziò una politica
distensiva licenziando il Pelavicino.
INIZIA LA RESISTENZA
I nobili milanesi che erano stati
costretti ad abbandonare la città nel
frattempo riuscirono ad organizzare
militarmente le loro forze, anche grazie
agli appoggi offerti dalla popolazione
rurale. Ottone, raccolte le truppe degli
esuli, il primo aprile 1263 occupò
Arona, ma fu costretto ad una rapida
fuga nel Novarese in seguito
all'intervento delle milizie comunali. Il
24 dicembre 1265 Napo Torriani fu
eletto console e, come primo problema,
dovette affrontare le continue scorrerie
di Ottone e dei suoi uomini.
È proprio in questo periodo,
esattamente nel 1265, che compare nei
documenti il nome di Leonardo,
prevosto di Desio, cui fu affidato il
delicato incarico di riscuotere le
somme di un'imposta speciale gravante
sul clero piemontese che sarebbe
ovviamente servita a finanziare le
azioni militari dell'Arcivescovo83. Vista
la
posizione
goduta,
è
assai
improbabile che il prevosto Leonardo
risiedesse fisicamente nella cura di
Desio, ma sembra più logico vederlo al
fianco di Ottone nel suo sforzo di
entrare in possesso della sede
arcivescovile.
La fine degli anni Sessanta vide una
continua serie di sanguinosi scontri tra
le opposte fazioni, senza giungere a
risultati decisivi. Complessivamente la
situazione
appare
maggiormente
favorevole per i Torriani; bloccate la
azioni di Ottone, nel 1266 Napo riuscì
a far revocare l'interdetto papale
mediante un giuramento collettivo di
fedeltà del popolo milanese alla Sede
Apostolica. Può essere interessante
ricordare a questo punto che il testo del
giuramento fu pubblicato dal nostro più
illustre concittadino, Pio XI, quando
era prefetto alla Biblioteca Ambrosiana
di Milano.
Nella sua politica di conciliazione
verso il Papato, Napo accettò la
presenza in città di un vicario generale
che amministrasse i beni della mensa
arcivescovile, ma fu irremovibile
83
1265 ottobre 11. Perugia. Episcopo et clero
dioecesis taurinensis virtute litterarum Clementis
papae quarto, mandat quatenus CL libras viennenses
procurationis nomine pro anno presenti Leonardo,
preposito plebis Dexii, vicario vercellensi, suo
nomine assignari curent. CAPPELLINI 1972, p.74.
nell'opporsi all'ingresso in città di
Ottone; evidentemente il suo scopo era
quello
di
prendere
tempo,
avvicinandosi al Papato nella speranza
che il Pontefice provvedesse ad una
nuova nomina gradita ai signori di
Milano.
Nel 1268 Ottone, politicamente
sconfitto, si ritirò a Viterbo presso la
curia papale, nel frattempo i Torriani,
divenuti i capifila della lega guelfa nel
Nord Italia, godevano di un benefico
non-intervento papale nella questione.
Dopo un memorabile conclave, nel
1271 fu eletto papa Tebaldo Visconti
che prese il nome di Gregorio X. Il neo
Pontefice, sensibilissimo ai problemi
della Terrasanta, meditava una nuova
crociata e perciò varò una vasta politica
di pacificazione nella cristianità. Napo
approfittò della situazione favorevole,
giungendo addirittura a far eleggere
podestà di Milano il fratello del Papa,
Visconte Visconti. Nel 1274, durante il
viaggio per recarsi al concilio di Lione,
Gregorio X entrò trionfalmente in
Milano ma senza Ottone che fu lasciato
per
precauzione
a
Piacenza.
Favorevolmente
impressionato
dall'accoglienza ricevuta e conscio di
avere nei Torriani degli alleati fedeli,
Gregorio al ritorno da Lione si fermò
nuovamente a Milano ed impose
d'autorità ad Ottone di rimanere
"confinato" a Biella.
RIPRESA DELLE OSTILITÀ
Alla morte di Gregorio X, Ottone uscì
dal suo isolamento e, recatosi a
Vercelli, radunò forze locali e
valligiani
novaresi,
uomini
tradizionalmente soggetti alla sua
famiglia.
L'Arcivescovo
venne
nuovamente sconfitto ad Aicurzio e
Tabiago, perciò, consapevole della
necessità di nuovi appoggi, si alleò con
Alfonso re di Castiglia, che dopo molto
tempo inviò alcuni contingenti guidati
da
Guglielmo,
marchese
del
Monferrato. Seguendo la ricostruzione
del Corio, successivamente ripresa ed
ampliata da Giulini, sappiamo che le
forze nobiliari nel marzo 1275
scatenarono un'ampia offensiva nei
territori del Seprio e della Martesana,
riuscendo ad occupare senza eccessive
difficoltà Cantù, Mariano, Seregno
Meda, Vimercate ed il borgo di Carate,
la cui custodia era stata affidata a
milizie milanesi e provenzali. Dal
racconto del Corio emerge chiaramente
che Desio era nelle mani dei Torriani;
infatti proprio da questa base prese il
via la successiva spedizione torriana
guidata da Napo e Francesco, che riuscì
in
breve
tempo
a
riportare
all'obbedienza tutta la Martesana.
In seguito a tali avvenimenti, Napo
ordinò la distruzione di torri e sistemi
di difesa posti a più di dieci miglia da
Milano, per evitare che potessero
fungere da base d'appoggio ai
Viscontei. Visto che le fortificazioni
cittadine appaiono funzionanti nel
1277, è chiaro che tale provvedimento
non interessò Desio. Già alcuni decreti
legislativi del podestà Visconte
Visconti testimoniano che l'area
extraurbana fino a dieci miglia (Desio
compresa) era considerata parte
integrante del territorio cittadino e
pertanto soggetta direttamente al potere
centrale. Nel '76 Arona ed Angera
caddero
sotto
il
controllo
dell'Arcivescovo, ma il sopraggiungere
delle milizie comunali sfociò in un
cruento scontro a Guassa che si
concluse con la sconfitta di Ottone che
vide cadere sul campo una trentina dei
suoi congiunti.
Subita questa nuova sconfitta, Ottone si
rifugiò nel Canton Ticino, a Zornico.
Raccolte nuove forze, organizzò sul
Lago Maggiore una flotta di battelli che
attaccò e sconfisse quella nemica nei
pressi di Germignaga. La "flotta"
viscontea guidata da Simone da
Locarno puntò su Arona dal lago,
mentre Riccardo di Langosco assediava
il centro novarese da terra.
Un tempestivo intervento di Napo
costrinse nuovamente Ottone alla fuga
verso Como, dove il presule godeva
dell'appoggio del vescovo locale,
Giovanni degli Avogadri. Forte di
nuovi appoggi raccolti nella città
lariana, il comandante delle truppe,
Simone da Locarno, riuscì a prendere
possesso di Lecco, Civate e dintorni.
Ottone mosse così alla volta di Milano
attestandosi nel castrum di Mariano.
Frattanto Napo della Torre, uscito da
Milano con gran parte della cavalleria,
si rinchiuse con le sue soldatesche
entro le difese del borgo di Desio il 20
gennaio 1277.
LA BATTAGLIA: LE FONTI
Siamo così giunti al punto focale della
vicenda. Occorre però a questo punto
analizzare quantità e qualità delle fonti
a nostra disposizione per ricostruire le
fasi della battaglia. La maggior parte
delle ricostruzioni è assai posteriore e
risale all'epoca moderna (Corio, Calco,
Giovio); le informazioni offerte sono
spesso generiche e presentano sempre
una versione dei fatti ufficiale, tesa a
sottolineare le glorie viscontee.
L'unica fonte coeva ampiamente
analizzata e ricca di dettagli è il Liber
de gestis in civitate Mediolani, opera di
Stafanardo da Vimercate. L'Autore, un
frate domenicano del convento di
sant'Eustorgio vissuto nel XIII secolo,
scrive quest'opera con un tono
decisamente celebrativo, esaltando in
modo scopertamente elogiativo le
imprese del Visconti. L'opera, un
ampio testo in poesia, presenta lo
scontro in toni epici, deformando, ma
non più di quanto si possa credere, la
dinamica dei fatti. Osservazioni simili
devono essere fatte per il tardivo e non
sempre attendibile Manipulus Florum
di Galvano Fiamma che, essendo come
l'autore precedente frate domenicano a
sant'Eustorgio, è ampiamente debitore
dell'opera di Stefanardo, tanto da
giungere talvolta a citarne per esteso
interi brani. Si può dunque capire che
non abbiamo a disposizione fonti
qualitativamente e quantitativamente
adatte per una ricostruzione organica
degli avvenimenti.
Ad arricchire il quadro della situazione
contribuisce però una fonte che non è
mai stata adeguatamente considerata
dalla storiografia locale. Nel Duecento
il podestà di Piacenza, Muzio da
Modoetia (Monza), redasse gli Annales
Placentini Gibellini, ossia la cronaca
della città emiliana, facendo ampi
riferimenti a fatti generali che
interessano l'area centro-settentrionale
della Penisola. Uomo di sicura fede
ghibellina e dotato di ottime capacità
politico-amministrative, Muzio fu
capitano del popolo a Novara, podestà
ad Alessandria, Vercelli e Piacenza,
rifiutò invece la podesteria di Alba,
Fabriano e Perugia; nel settembre 1298
fu infine creato miles a Verona da
Alberto della Scala. Le notizie che
Muzio ci offre sono davvero
interessanti
ed
uniche
perché
inizialmente egli narra gli avvenimenti
desumendoli da propri informatori, poi
riporta la comunicazione ufficiale della
vittoria, il cui testo dovrebbe risalire
verosimilmente
alla
cancelleria
viscontea. Ci troviamo dunque di fronte
ad una testo che presenta due chiavi di
lettura del medesimo avvenimento: uno
informale, l'altro ufficiale. Si procederà
pertanto alla ricostruzione delle fasi
della battaglia tenendo a confronto i
vari testi, integrandoli reciprocamente
ed evidenziando eventuali divergenze.
LA BATTAGLIA
Occorre precisare che i Torriani chiusi
in Desio erano solo una parte delle
forze cittadine. Erano stati predisposti
due contingenti di cavalleria composti,
a quanto pare, da cinquecento uomini
ciascuno (il beneficio d'inventario per
tutte le cifre è obbligatorio in questi
casi). Un primo gruppo formato da
cavalieri tedeschi era guidato da
Cassone e Godofredo della Torre e si
portò a Cantù. Il secondo gruppo,
quello che si stanziò a Desio, era
condotto da Napo in persona e
comprendeva tutta l’élite torriana.
Secondo i progetti, il giorno seguente
le truppe di stanza a Desio sarebbero
state
raggiunte
dal
console
Oldeprandino
Tangentino
che
comandava la fanteria accompagnata
dal Carroccio.
Secondo alcune fonti le truppe di
Ottone mossero da Mariano, secondo
altre da Carate. Le due informazioni mi
sembrano
conciliabili
tra
loro
considerando
il
fatto
che
il
sopraggiungere della colonna di
Cassone a Cantù potrebbe aver
costretto l'Arcivescovo ad abbandonare
Mariano per portarsi in posizione più
sicura a Carate.
A partire dal Corio tutta la storiografia
lombarda è concorde nel sostenere che
un chierico desiano, generalmente
indicato nel prevosto Leonardo, si recò
nottetempo da Ottone, informandolo
che le milizie torriane erano
numericamente ridotte e che era
necessario
attaccare
prima
del
sopraggiungere della colonna canturina
o del grosso della fanteria. La notizia di
questo tradimento non è documentata
da nessuna delle fonti ufficiali
milanesi. Mi sembra che il Corio abbia
potuto
sostenere
tale
ipotesi
collegandosi alla tradizione secondo
cui Ottone sarebbe stato canonico a
Desio e, pertanto, avrebbe avuto stretti
contatti con il clero locale.
Gli Annales Placentini di Muzio
forniscono un'ulteriore versione dei
fatti. Secondo questo testo gli abitanti
del borgo di Seregno, volendo
consegnarsi ai Viscontei, presero
contatti con un tale Malexartis.
Raggiunti da un nipote del vescovo di
Como, i Seregnesi avrebbero riferito la
scarsa consistenza numerica del
nemico. È sicuramente possibile che
Ottone abbia goduto dell'appoggio di
un cittadino di Desio, chierico o laico
che fosse, ma la versione offertaci dagli
Annales Placentini Gibellini non può
essere messa in secondo piano. La
presenza di più informatori testimonia
soprattutto l'insofferenza del contado
verso la signoria torriana ed i suoi
gravami fiscali.
LE FORZE IN CAMPO
Chiusa tra le mura, la popolazione
maschile di Desio (forse cinquecento
uomini) che possiamo immaginare
male armata e irreggimentata all'ultimo
momento, attendeva lo scontro insieme
ad un cospicuo numero di cavalieri
ristretti
in
poco
spazio
ed
impossibilitati alla manovra.
Certamente Ottone fu molto favorito
dall'attacco a sorpresa che colse
impreparati i Torriani, ma l'obiettivo di
Napo fu certamente quello di resistere
in attesa della colonna di Cassone e
della fanteria cittadina; apparirebbe
altrimenti illogica la scelta di tenere
chiuse in uno spazio angusto truppe a
cavallo che avrebbero potuto volgere in
ben altro senso gli esiti dello scontro se
avessero avuto a disposizione un
adeguato spazio di manovra.
Dalla parte dell'Arcivescovo militavano
numerosi nobili comaschi e pavesi con
i loro seguiti, ma il grosso era costituito
da valligiani e contadini raccolti
durante la marcia da Como a Milano.
Come riferisce Muzio, i cavalieri
viscontei, vedendo che il nemico non
intendeva affrontarli in campo aperto,
decisero di attaccare direttamente il
borgo; cioè mandare allo sbaraglio le
raccogliticce forze di fanteria che
avevano a disposizione.
La descrizione dello scontro che
ritroviamo in Stefanardo rende
benissimo la situazione venutasi a
creare. Sotto un fitto tiro di frecce e
proiettili da entrambe le parti, i
Viscontei dovettero risalire il vallo che
cingeva il borgo e superare il terrapieno
seguente dove i Torriani organizzarono
la difesa per non far avvicinare il
nemico alle mura.
Si noti che anche il frate domenicano,
pur filo-visconteo, non accenna una
sola volta all'intervento armato dei
cavalieri aristocratici al seguito di
Ottone; furono montanari e contadini
armati di frecce e scuri a dover
sfondare le linee nemiche. Dopo un
iniziale assalto vittorioso che li aveva
portati fin sotto le mura, i Viscontei
furono
costretti
a
recedere
abbandonando
le
posizioni
faticosamente conquistate; spinti dalle
lance torriane, si ritirarono rovinando
nel vallo difensivo.
A questo punto emerge nel racconto di
Stefanardo un dettaglio che, per quanto
secondario, mostra chiaramente come
lo scontro dovette essere sostenuto da
popolani per risparmiare le vite
dell'aristocrazia viscontea. La massa
degli assalitori batté in ritirata, ma si
trovò puntate contro le lame delle
spade dei nobili che li costrinsero a
ricomporre i ranghi ed a ritentare
l'assalto. Analizzando il testo di
Stefanardo si avverte il desiderio dei
nobili di salvare le proprie persone, ma
anche un disprezzo aristocratico per un
tipo di combattimento ritenuto indegno.
Sotto una pioggia di proiettili "a guisa
di grandine", i Comaschi riuscirono a
raggiungere una porta del borgo che fu
abbattuta a colpi di scure. Solo a questo
punto le forze viscontee ebbero la
meglio e riuscirono a dilagare per le vie
del borgo bloccando qualsiasi tipo di
resistenza.
A questo punto la cronaca piacentina
offre un'informazione che ribalta la
versione generalmente diffusa circa gli
sviluppi dello scontro.
I Desiani, probabilmente per evitare
ulteriori danni alle loro case ed in
risposta ad un potere mal tollerato "si
riunirono ed aggredirono i Torriani;
dapprima uccisero Francesco della
Torre e successivamente catturarono ed
eliminarono tutti gli altri".
Un particolare secondario suffraga
questa versione e nel contempo rivela
la disperazione di quei momenti.
Secondo Muzio, Francesco della Torre
cadde sotto i colpi dei Desiani; fonti
secondarie ricordano che Francesco,
prima di essere disarcionato ed ucciso,
con un colpo di spada staccò le mani ad
un uomo disarmato che gli aveva
afferrato il cavallo per le briglie.
Possiamo dunque riconoscere un nostro
antico concittadino nell'autore di quella
disperata iniziativa.
Ovviamente la notizia di questo
intervento dei Desiani non è riportata
da alcuna fonte ufficiale; meriti e glorie
sono naturalmente attribuite ad Ottone
ed ai suoi uomini, tacendo i sacrifici di
tanti anonimi, Desiani e non, che
contribuirono alla loro vittoria.
GLI ESITI DELLO SCONTRO
Come per tutte le fonti antiche, risulta
difficile calcolare con esattezza l'entità
numerica delle forze in campo; solo
Muzio riporta alcune cifre indicative.
L'armata torriana doveva essere
composta da circa 1.400 uomini, ma
quelli presenti a Desio dovettero essere
solo cinquecento, quasi tutti cavalieri
armati
pesantemente.
Le
forze
viscontee, al contrario, erano molto
eterogenee: 400 arcieri, 150 fanti
comaschi, 300 mercenari stipendiati
dall'Arcivescovo, 200 fanti pavesi, per
un totale di circa 1.200 uomini.
Quante furono le perdite su entrambi i
fronti non ci è dato sapere con
esattezza. Non è ricordata la morte di
nessun nobile visconteo (vista la
dinamica dei fatti la cosa non risulta
così assurda). Sul fronte nemico Muzio
ricorda che furono catturati seicento
cavalli. La fonte piacentina informa
inoltre che nello scontro caddero una
ventina di maggiorenti torriani tra cui:
il podestà Ponzio degli Amati,
Napoleone da Crema, Manfredo da
Tabiago,
Guglielmo
Lamberti,
Francesco ed Andreotto della Torre le
cui teste mozzate vennero presentate al
capitano visconteo Riccardo di
Langosco.
Napo, dopo un duello con il podestà di
Como, venne catturato. Secondo
Stefanardo, Ottone, con un gesto di
clemenza lo salvò dall'ira del conte
Riccardo intenzionato a vendicare la
morte del fratello. Molto probabilmente
Napo fu salvato da morte certa solo per
essere sottoposto ad una fine più
tormentosa e disonorante. Consegnato
ai Comaschi, fu chiuso con cinque
congiunti in una gabbia di ferro che
venne appesa sulla parete esterna della
torre del Baradello della città lariana.
Napo morì il 16 agosto dell'anno
seguente e, come ricordano alcune
fonti, fu sepolto sotto un albero di fico
ai piedi della torre. Altri esponenti
della famiglia furono catturati e tradotti
in carcere, ma non abbiamo
informazioni sulla loro sorte.
La notizia dell'improvvisa disfatta
dovette giungere velocemente a
Milano. Il podestà Oldeprandino
Tangentino ed i mercenari parmensi e
cremonesi fuggirono scompigliando le
fila del contingente di fanteria. Cassone
e Godofredo con un nutrito stuolo di
cavalieri la sera del ventuno puntarono
su Milano, ma furono cacciati dalla
popolazione che li assalì e li costrinse
alla fuga; solo dopo una lunga
peregrinazione trovarono rifugio a
Parma che offrì loro accoglienza e
protezione. Nel frattempo, senza alcun
ordine del Comune, la cittadinanza
milanese assalì e distrusse le abitazioni
dei Torriani; a ricordo, il luogo è
ancora oggi denominato via Case
Rotte.
Una delegazione di maggiorenti
cittadini raggiunse Ottone e gli offrì le
chiavi della città, cosicché il giorno
seguente l'Arcivescovo poté entrare
trionfalmente in città e prendere
possesso del potere religioso e civile.
L'EREDITÀ DELLA BATTAGLIA
Nella memoria collettiva della dinastia
visconteo-sforzesca la battaglia di
Desio assunse la fisionomia di una data
capitale, coincidente con l'affermazione
della famiglia sull'area lombarda. Non
a caso l'opera di Stefanardo si conclude
con l'ingresso di Ottone in città,
ponendo quindi il 21 gennaio 1277
come la data conclusiva di una lotta
pluridecennale per il ristabilimento
della giustizia.
Agnese, la santa ricordata il 21 gennaio
ebbe sempre particolari onori da parte
dei Visconti. Ottone nel suo testamento
legò una forte somma per l'erezione di
una cappella in suo onore nella chiesa
di Sana Maria Maggiore (l'antico
duomo di Milano). Ancora a secoli di
distanza l'ufficio della Santa veniva
celebrato al suono delle chiarine
d'argento del Comune.
Forse questa particolare devozione di
Ottone per sant'Agnese andava ben
oltre la semplice ricorrenza di una data
fortunata. L'Arcivescovo poté ravvisare
un parallelismo tra la sua vicenda e
quella di papa Liberio che nel 358 si
rifugiò proprio nella basilica di
sant'Agnese prima di prendere possesso
della sua sede occupata dall'antipapa
Felice.
A Desio, oltre all'annuale ufficio
funebre, non rimase alcun ricordo dello
scontro. Il canonico Curione, autore di
un interessante volume manoscritto di
memorie parrocchiali, ricorda che
quando fu abbattuto l'oratorio di
sant'Agata (1745) "si rinvenne una
grande quantità di tibie e di crani
spezzati".
Ovviamente
l'area
circostante il piccolo edificio di culto
accolse i resti dei caduti della battaglia
che
vennero
trasportati
successivamente all'ossario comune
detto "foppone". In quell'occasione gli
avanzi di indumenti e le parti
metalliche furono raccolti in un cumulo
a parte che affiorò durante lavori di
scavo in epoche molto più recenti.
La tradizione secondo cui l'oratorio in
questione sarebbe stato eretto da
Ottone Visconti a ricordo della
battaglia è priva di qualsiasi
fondamento; infatti già dalla fine del
Duecento l'oratorio risulta dedicato a
sant'Agata (5 febbraio).
Per Desio la battaglia ebbe come
effetto durevole l'intensificarsi dei
rapporti con la corte episcopale
viscontea. Non a caso nei primissimi
anni del XIV secolo la chiesa
metropolitana di Milano risulta tra i
maggiori proprietari del luogo. Le carte
più antiche riguardanti possessi
fondiari del Duomo riguardano proprio
Desio e vi risulta spesso il nome di
Onrico Scaccabarozzi; una grande
figura di liturgista, autore di numerosi
testi. Indice di fitti rapporti tra Desio ed
il Duomo è inoltre la presenza al fianco
dello Scaccabarozzi di collaboratori
quali Bernardo Strada e Giovanni
Baffa, i cui cognomi rivelano la
provenienza desiana. Il secondo fu
valente miniatore, autore del "Beroldo
Nuovo", uno dei maggiori testi liturgici
della chiesa milanese.
Unica immagine dellla battaglia resta il
ciclo di affreschi che adorna la sala
maggiore, detta dello Zodiaco, nella
Rocca di Angera. Tali dipinti furono
fatti eseguire tra il 1342 ed il 1346
dall'arcivescovo Giovanni Visconti per
commemorare le glorie del suo
predecessore Ottone, Secondo la
critica, l'esecuzione degli affreschi
dovrebbe risalire all'opera di alcuni
maestri d'Oltralpe, specializzati nella
miniatura e venuti a Milano per
decorare i numerosi volumi della
biblioteca viscontea dedicati ai cicli
cavallereschi.
Per nostra sfortuna tutta la decorazione
della parete su cui era raffigurata la
Battaglia di Desio è andata persa; sono
unicamente
visibili
nella
parte
superiore le punte delle lance e degli
stendardi. Rimane sopra l'ingresso
l'affresco
raffigurante
la
scena
dell'incontro tra Ottone e Napo.
L'Arcivescovo a cavallo, avvolto in una
cappa scura, interviene con un gesto
assolutorio per salvare il nemico in
ginocchio che sta per cadere sotto i
colpi di numerosi avversari inferociti.
La narrazione prosegue con il corteo
dell'Arcivescovo che fa ingresso in
Milano, scortato dalle sue truppe ed
accolto da clero, magistrati e popolo
festanti.
Il ciclo di Angera è uno dei primi
esempi di pittura ad affresco a soggetto
profano; non a caso stupisce la laicità
della narrazione. Non una volta emerge
il senso di una giustizia superiore che
regoli gli avvenimenti; sul fondo della
parete
campeggia
la
grande
raffigurazione simbolica della ruota
della fortuna che innalza o fa decadere
i potenti senza distinzioni.
Il ciclo in questione sembra parafrasare
le parole di Ottone di fronte a Napo
immaginate da Stefanardo:
O fortuna ingannevole,
Quante volte atterri chi sta in alto!
Ecco, si ravvoltola nel fango
Colui che toccava le stelle splendenti.
La tua gloria è un fiore vano.
Tutti gli eventi narrati lungo le pareti
sono dominati dall'alto della volta dai
simboli zodiacali, unici arbitri delle
azioni umane e dell'alterna fortuna.
Viene naturale a questo punto volgere
il pensiero ai valligiani novaresi, ai
contadini comaschi, ai Desiani che non
sono mai riusciti a risalire la ruota della
fortuna, ma hanno sempre collaborato e
sofferto
nell'innalzare
alcuni
e
84
precipitare
altri .
84
Per la Battaglia di Desio si vedano:
Fonti: STEPHANARDI, GALVANEI FLAMMAE,
coll.703s. Annales Placentini, pp.564s.
Studi antichi e moderni: GIOVIO 1558; CALCO 1627;
CORIO, 1646; GIULINI 1760; VERRI 1783;
VAGLIANO 1715; FRANCESCHINI 1954, pp.115392; CATTANEO 1968, pp.129-165; BOSISIO 1978.
Per una lettura distensiva ma proficua: BELLONCI
1972.
L’ETA’ MODERNA
Nel Quattrocento ebbe inizio una dinamica che si perpetuerà almeno fino al XVIII
secolo: alle continue guerre con il loro, strascico di distruzioni consegue un aumento
della pressione fiscale per sovvenzionare le aumentate spese militari. La carenza di
denaro e le distruzioni apportate al paesaggio agricolo determinano situazioni di
carestia che comportano fame e povertà. La popolazione, indebolita da questa
situazione, risulta più esposta alle epidemie che infieriscono senza conoscere alcuna
forma di contrasto.
Nel 1410 Desio fu teatro di uno scontro tra le opposte fazioni per il controllo del
Ducato. Essendo divenuta la nostra città il centro di raccolta delle forze anti
viscontee, Facino Cane diede alle fiamme il campanile bruciandovi tutti coloro che vi
si erano asserragliati. Le operazioni militari proseguirono poi contro i fratelli Filippo,
Antonio e Maffiolo da Desio che occupavano Melegnano85.
Ne1409 la Roggia fu venduta a Giacomo Fossano e nel 1429 al conte Paolo Rho che,
a quanto sembrerebbe di capire, si trasferì personalmente a Desio per governare
direttamente l’amministrazione del complesso fondiario ivi posseduto.
In questi anni di confusione e crisi i canonici provvidero alla loro riorganizzazione
interna con le stesura degli statuti capitolari. Ovviamente si dovette procedere alla
ricostruzione del campanile crollato e nel 1480 fu commissionata al pittore Stefano
de Fedeli la realizzazione di una pala per l’altare maggiore della basilica86. Era stato
inoltre realizzato un prezioso messale ambrosiano la cui esecuzione fu resa possibile
anche dai proventi avuti dalla causa contro la comunità di Seregno per il pagamento
delle decime87
Dal 1450, anno dell’avvento della signoria sforzesca, Desio tornò ad avere un podestà
invece del vicario e se ne susseguirono diciannove fino al 1500. L’aggravarsi della
situazione economica e demografica è documentato anche dalla presenza dei lupi che
devastavano la selvaggina delle cacce ducali costringendo i duchi ad emanare grida
per tentarne l’eliminazione dal territorio88. L’esazione dei dazi era stata ceduta dalla
corte ducale a Tommaso Tebaldo Bonomia che morì nel 1574; costui aveva ufficio e
forse anche residenza in via Portichetto89.
La situazione di Desio e del territorio in generale era gravissima. La corte ducale
provvedeva a imporre nuove contribuzioni per sostenere le spese belliche mentre in
città imperversavano i ladri e la miseria era ampiamente diffusa. Malgrado alcuni
timidi tentativi di ripresa economica, il peso del mantenimento delle truppe si fece
85
CAPPELLINI 1972, p.95.
BELTRAMI 1926. Non sappiamo dove quest'opera si trovi; probabilmente andò alienata nel XIX secolo e
perciò probabilmente giace ancora oggi, forse smembrata, nei depositi di un museo o in collezioni private, priva
di un'identificazione certa dell'autore.
87
BAM, n.269, p.inf.
88
1462, luglio2. Al capitano della Martesana perché organizzi battute di caccia al lupo. Altra missiva dello stesso tenore
25.07.1462. ASM, Arch. Ducale Sforzesco, cart.673.
89
CAPPELLINI 1972, p.102.
86
sempre più pesante, costringendo gli artigiani più validi ad emigrare verso zone più
sicure.
DESIANI INURBATI A MILANO RICORDATI DALLE FONTI
• 1146. Jacobus de Dexio è console di giustizia90.
• 1162 Bellotto de Deuxo de Mediolano è investito dal vescovo di Lodi di un fondo91.
• 1196. Jacobi de Dexio è console di giustizia a Milano92.
• 1196 Ferro di Desio è teste nella pace fra Milano e Como93.
• Sec. XIII. Guglielmo de Dexio è notaio generale del palazzo della città di Milano94.
• 1215. Albergato de Dexio fa parte del consiglio comunale di Milano95.
• 1284. Bernardo della Strada è lettore della chiesa milanese ed è familiare dello
Scaccabarozzi96.
• 1286 Benino de Dexio è rappresentante dei lettori della chiesa maggiore di Milano97.
• 1288. Francesco de Dexio è console di giustizia di Milano98.
• 1290. Petrus Gariboldus de burgo Dexio è proprietario a Dergano; suo figlio Anselmino è
cittadino di Milano e notaio99.
• 1292. Giacomo de Dexio è servitore del comune di Milano100.
• 1298 Johannes fq Laurentii Dexii è fideiussore dell’Ospedale del brolo di Milano101.
• XIV sec. Balzaro de Dexio è procuratore di Matteo Visconti102.
• 1305. Frater Benus de Dexio è membro del capitolo del convegno del terz’ordine degli
Umiliati di Milano103
• 1313. Vassallo da Desio salva la vita al conte Langosco104.
• 1350. Francesco de Dexio è prevosto della chiesa di Sant’Ambrogio a Milano105.
• 1353-1378. Filippolo de Dexio è familiare ducale.
• 1353. Regino de Dexio era castellano della rocca di Brescia.
• 1380 Francischino de Dexio è capitano delle truppe viscontee.
• 1402. Jacobus de Dexio sostiene il feretro di Giangaleazzo Visconti.
• 1402. Francescolo de Dexio è procuratore del Comune, Ducato e Diocesi di Milano.
• 1450. Antonio de Dexio è familiare ducale106.
• 1450-1451. Tristano de Dexio è familiare ducale107.
• 1495. Giovanni Antonio da Desio scopre le miniere di Dongo108.
• 1496 Mastro Giovanni Antonio da Desio forse esegue la sepoltura di Giangaleazzo Visconti.
90
GIULINI, sub anno; MALBERTI 1961, p.11.
ED.: Codice Diplomatico Laudunense, a cura di C.VIGNATI, in Biblioteca Historica Italica, III, 1, Milano1879,
n.11, pp.15s.
92
GIULINI, IV, sub anno. CAPPELLINI 1972, p.73.
93
In: ATTI, N.194, PP.272-279
94
BAM, carte pagenses, n.7207. Cit. CAPPELLINI 1972, p.84.
95
Atti, n.387, pp.507-511.
96
GIULINI, sub anno. CAPPELLINI 1972, p.84.
97
Atti, III, n.157, p.439.
98
Atti, III, n.461, pp.496-498.
99
Atti, III, n.523, pp.538-548.
100
Atti, III, n.562, pp.598-599.
101
Atti, III, n.747, pp.774-776.
102
CAPPELLINI, 1972, p.84.
103
ZANONI 1911, pp.279s.
104
GIULINI, Sub anno. CAPPELLINI 1972, p.84.
105
ACM, cart. 7.
106
Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.160-161
107
Archivio ducale sforzesco, registri delle missive, II, pp.298-300.
108
CAPPELLINI, 1972, p.104.
91
MISCELLANEA DI PERGAMENE DESIANE
1160. Alberto de loco Dexio offre alla basilica di sant'Eusebio un appezzamento di terreno in
località Roncore109.
1250 gennaio 13. Desio. Alla presenza di Gerardo Tignoso, console di giustizia di Milano, Rica,
vedova di Giovannibello Tizone fq Uberto, dona ad Albergato Gariboldo di Desio libras
septuaginta quinque tertiolorum. Interfuerunt ibi testes: Mainfredus fq Alberti Rubei et Marchixius
f. Zanebelli Burdigatii et Piscis fq Johannesbelli Bonefemine et Zanebellus fq Petri de Aliate et
Guido f. Cortixii Arimondi, omnes de burgo Dexio noti eis; et pronotario secundo, tertio et quarto
fuerunt Pinamons f. Anselmi Piscis et Johannesbellus f. Moroelli Beloni et Johannes f. Beni de
Prato, de suprascripto burgo omnes. Actum in burgo Dexio, in domo suprascripti Albergati110.
1260 gennaio 30. Rodolfo Maderno, console di giustizia di Milano, stabilisce i termini entro i quali
Ambrogio, Marzio, Pietro, Guglielmo, Mazo e Petrolo detti Zaconagi de Dexio devono consegnare
un terreno in Desio appartenente alla chiesa di S.Eusebio di Milano111.
1260 febbraio 15. Desio. Alla presenza di Giacomo Grasso, servitore del comune di Milano,
Ambrogio, Pietro, Castello e Guglielmo detti Zaconagi consegnano un terreno sito in Desio, di
proprietà della chiesa di S.Eusebio di Milano. Citato documento di Giovanni Sapio del 1173:
“nono mensis aprilis per Gualdricum Palliarium notarium, praecepto suprascripti domini Redulfi
consulis, presente Jacobo Grasso servitore communis Mediolani et precepto et voluntate consulum
et communis dicti burgi de Dexio”. Testi: Bonfado f. Attonis de la Strada, Barazia fq Anrici
Pansici, Bagino fq Garitini Buriligatii, omnes de burgo Dexio.Ego Albertus fq Guilielmi de Nava
de burgo Dexio notarius sacri palatii hanc cartam tradidi et scripsi112.
1261 ottobre 20. Desio. Su precetto di Vassallo Bossi, console di giustizia di Milano ed alla
presenza di Dalmazio de Dalmaxiis, servitore del comune, Alberico del fu Teodoldo de Georgiis di
Desio determina i confini di un terreno appartenente alla chiesa di Sant'Eusebio di Milano nel
borgo di Desio. Consoli di Desio: Guidotus Carpanus e Arnoldus Birianus. Rilevatore: Albrico fq
Tedoldi de Georgiis. Testi: Galdinus fq Pauli de Carate, Lanfrancus f. Anselmi Camparii, Andreas
f. Jacobi Burdigatii, Ambroxius fq Pingirolli de Georgiis, omnes de burgo Dexio113.
1287 giugno 1. Desio. Protasio Sadono, servitore del comune di Milano, su mandato di Beltramo
Pestapanico, giudice ed assessore del podestà si reca nel territorio di Desio per ordinare la
misurazione e la consegna delle terre del monastero di Santa Margherita di Milano. Nomina
eorum qui consignaverunt et iuraverunt sunt hec videlicet: Petratius de Carate, Anselmus de
Solario, frater Jacobus Baffa, omnes de suprascripto burgo Dexio, qui dati et ellecti fuerunt per
consules dicti burgi. Consegnato un fondodi sette pertiche al Bosco o alla Levata, lavorato da
Beltramus Tuttobene qui dicitur Corvus de burgo Dexio. Consegnato anche un sedime in
Bruxascha sedimen con haedifitiis divisum in duabus partibus cum curte et orto. Sono ricordati
come confinanti: Rugerius Lanterius, Azollus de Solario, Antonius de Solario, Ambrosius Carate,
Benacorti Vincemare. Il sedime è tenuto da Filippo, nipote di frate Giacomo Baffa. Confinanti:
Ugone de Pissis, Antonio Baffa, Stefano Baffa qui dicitur Cavalle. Actum in burgo Dexio, in
domo habitationis Anselmi de Sollario114.
109
BBM, Codice. Bonomi, AE, XV, 32, f.73. Cit. MALBERTI 1961, p.11.
Atti, n.502, pp.732-733.
111
Atti, n.259, p.299.
112
Atti, II, 1, n.260, pp.299s.
113
Atti, II, n.313, pp.333s.
114
Atti, III, n.176, pp.462-463.
110
REGESTI DI PERGAMENE RIGUARDANTI L’OSPEDALE DI SAN GIORGIO
1141 ottobre 13. Bolla di papa Innocenzo II che pone sotto la diretta giurisdizione papale l'ospedale
di San Giorgio115.
1191 febbraio. Montenario de Dexio rinuncia ai suoi diritti sui beni dell'ospedale di San Giorgio in
Carendone116.
1233. Gregorio IX trasferisce la gestione dell'ospedale di San Giorgio al monastero di
Sant'Apollinare117.
1236. Lettera di papa Gregorio IX118.
1246. Rescritto dell'arcivescovo Leone da Perego che, con il consenso del legato pontificio
Gregorio e del capitolo ambrosiano, dona alle clarisse di Sant'Apollinare i beni dell'ospedale di
San Giorgio119.
1246, 18 dicembre. Lione. Innocenzo IV si rivolge alla badessa del monastero di S.Apollinare,
ordinis sancti Damiani, per confermare la donazione dell’ospedale di san Giorgio in Caradon di
Desio di pertinenza arcivescovile fatta alle damianite da Leone da Perego arcivescovo di Milano
e Gregorio da Montelongo, legato della sede apostolica120.
1293 aprile 26. Milano. Francesco fu Damiano de Desio di Porta Orientale dona alle figlie
Catellina e Allegranzina, monache nel monastero di Sant'Apollinare, un fitto annuo perpetuo ed un
sedime sito in Porta Orientale121.
XIV sec. Breve di Bonifacio VIII che chiede al podestà di Desio di far restituire alle monache di
Sant'Apollinare i beni tolti all'Ospedale di San Giorgio122.
1351. Le monache di Sant’Apollinare acquistano un campo in Carendone di pertiche 18.6123.
115
Cit: MALBERTI 1961, p.45.
BAM, inv. Perg., n. 4484. CAPPELLINI 1972, pp.62s.
117
MALBERTI 1961, p.46.
118
MALBERTI 1961, p.12.
119
BAM, Sormani, Codice Diplomatico, IV, p.286. Cit.: MALBERTI 1961, p.12; 46. CAPPELLINI 1972, p.60.
120
BTM, Fondo Belgioioso, cart.281, fasc.1, n.17. Ed.: GIULINI, VII, pp.172s.
121
Atti, III, n.582, pp.613-614.
122
CAPPELLINI 1972, p.60.
116
123
ASM, religione, Monastero S.Apollinare, 1761.
Le vicende cittadine, salvo poche eccezioni, presentano per tutta l’epoca moderna
un quadro molto omogeneo e pressoché simile a quello presente nelle altre località
dell’area a nord di Milano. Un primo dato che balza agli occhi è il periodico
ripresentarsi della peste; nel solo XV secolo è documentata sul nostro territorio per
ben cinque volte124, e l’ultima sembra avere avuto particolare virulenza. Malgrado
l’elevato tasso di natalità, queste ricorrenti epidemie decimavano la popolazione che
si ridusse a poche centinaia di individui. Le pessime condizioni igienico sanitarie,
unite alla cronica carenza alimentare, contribuivano a creare un quadro desolante. In
alcuni casi la pestilenza aveva talmente ridotto la popolazione che era venuta a
mancare la stessa forza lavoro,obbligando così a destinare parti del territorio a
bosco in quanto mancavano uomini e animali per lavorare l’intera superficie prima
coltivata.
Lo studio di Alberto Cappellini Desio e la sua pieve ha delineato in modo puntuale e
dettagliato le misere condizioni di vita della popolazione in questi secoli. Per
l’approfondimento dei temi qui solo accennati si fa riferimento a quelle pagine.
Malgrado questa situazione di ristagno economico e demografico, i signori di Milano
proseguirono nei loro disegni egemonici che prevedevano un ampio ricorso a truppe
mercenarie. La continua esigenza di liquidi per pagare i mercenari e valersi delle
prime bocche di artiglieria, costrinse i signori di Milano ad imporre
un’impressionante quantità di imposizioni fiscali agli abitanti del contado. Alle tasse
di natura statale si sommavano poi quelle ecclesiastiche e, prima tra tutte, la decima.
Il capitolo desiano, per garantire il proprio sostentamento percepiva una parte dei
frutti della terra che erano regolarmente raccolti da un appaltatore d’imposta. Viste le
profonde trasformazioni causate dalle epidemie, il capitolo decise di chiarire la
situazione per evitare abusi e fare in modo che nessuno sfuggisse alle imposte dovute.
Così nel 1515 fu realizzato un catasto completo del territorio comunale indicando per
ciascun fondo: proprietario, conduttore, superficie, coerenze ed utilizzo del suolo.
Questo documento riveste particolare importanza perché ci offre un quadro pressoché
completo sulla vita economica e sociale del borgo125.
A completare il già desolante quadro sopraggiunse il fuoco. Nel 1511 una colonna di
mercenari svizzeri che lasciava l'assedio di Milano saccheggiò il borgo e diede fuoco
alle case. Testimone d'eccezione dell'avvenimento fu Leonardo da Vinci che, giunto
da Vaprio d'Adda, schizzò su un foglio oggi conservato a Londra la veduta del borgo
avvolto dalle fiamme. In quell'incendio andò distrutta tra l'altro anche la canonica che
sarà ricostruita solo molto più tardi126.
Agli inizi del XVI secolo il feudo desiano passò alla famiglia Pirovano; nel 1515
divenne di Bartolomeo Ferrario per poi passare ad Ottaviano Rho che però mantenne
124
La peste si presentò negli anni 1406, 1451, 1477, 1485, 1497; ASM, Reg.Arch.Panigarola, EE 1490-1501, n.23,
p.314, n.283.
125
BRIOSCHI 1993A.
126
BRIOSCHI 1995C, pp. 95ss.
per poco l’incarico a causa delle sue simpatie filofrancesi; subentrò al suo posto
Galeazzo Ferrario che morì nel 1531 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco.
Nel corso del XVI secolo furono ordinati due censimenti che ci offrono in quadro
delle disastrose condizioni di vita e del profondo stato di prostrazione economica e
demografica del territorio.
Nel 1530 Desio Risultava composta da 136 nuclei familiari o “fuochi”. Le “bocche”
(ossia gli abitanti) erano 348 rurali e 50 nobili. I campi erano arati da 35 coppie di
bovini e su una superficie complessiva di 16.242 pertiche ne risultavano lavorate solo
6.375 (39% circa del totale)127.
Sedici anni dopo gli abitanti erano saliti a 711; la superficie risultava coltivata a
frumento, segale, miglio, melega, panigo, legumi e avena. Il dato più importante è
che, malgrado l’aumento demografico, il vicino centro di Seregno aveva superato
Desio raggiungendo quota 851 abitanti. É la prima volta che risulta documentato un
fatto anomalo nella storia del territorio; ossia il caso di un centro “minore” che aveva
raggiunto una popolazione numericamente superiore a quella del capopieve128.
Tra le numerose famiglie della nobiltà milanese che avevano posto residenza in Desio
occorre ricordare i Lampugnani, il cui esponente più noto, Giovanni Maria, creò
un'istituzione benefica che caratterizzò per secoli la vita cittadina. Reduce da alcune
avventure commerciali a Roma, Giovanni Maria Lampugnani acquistò nel 1546 una
"casa da nobile" in Desio e successivamente altri beni immobili, allargando
cospicuamente le proprietà della famiglia.
Con documento datato 3 marzo 1547, il Lampugnani istituì una sorta di fondazione
destinata principalmente all'istruzione dei fanciulli. Nacque così la "Scuola dei Poveri
Putti" che in vario modo funzionò fino al secolo scorso.
Il Lampugnani dotò quest'istituzione di ampie rendite (603 pertiche di terreno e tre
case) che le permettessero di provvedere ad una serie di servizi finalizzati al
miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più umili. Va inoltre rilevato che la
scuola assolse un'importante funzione creditizia, finanziando nel tempo le maggiori
spese a cui la comunità cittadina dovette far fronte. Lasciate le sue sostanze all'opera
da lui fondata, il Lampugnani si spense il 27 marzo 1563 e volle un funerale assai
austero. I suoi resti riposano ancora oggi sotto il sagrato della Basilica129.
Nel Cinquecento prese avvio la vasta opera di riorganizzazione interna della chiesa
che prende il nome di Controriforma. Il migliore rappresentante di questo sforzo fu
certamente l'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che cercò di eliminare abusi e
dare una nuova impostazione alla vita religiosa della diocesi.
La modalità privilegiata da san Carlo per controllare la vita della diocesi fu la visita
pastorale. La più antica è quella effettuata da padre Lionetto da Clivone, che nel 1567
ispezionò la basilica, le chiese secondarie e la canonica. Il quadro che emerge dalla
relazione è per molti versi desolante. La cura degli edifici sacri, basilica compresa,
127
ASM, censo, cart. 1105.
ASM, censo, cart. 1105.
129
CAPPELLINI 1963.
128
risultò carente. La situazione più grave era però quella del clero che, irrispettoso degli
statuti capitolari redatti nel 1442, risultò scarsamente istruito, poco osservante delle
norme canoniche, unicamente preoccupato da rivalità interne ed in perpetua lotta con
il prevosto Francesco Bernardino Cermenati che risulta sicuramente la figura più
esemplare in questo quadro.
Il Visitatore, e anni dopo lo stesso san Carlo, imposero severe ordinanze per
reprimere abusi e ridare ordine alla pratica religiosa, ma incontrarono forti resistenze
sia nel clero che nella popolazione. In particolare risultava sgradito l'intervento
dell'Arcivescovo che vietava l'apertura delle osterie e la pratica della danza negli
orari in cui si teneva la dottrina. In una successiva visita compiuta personalmente da
san Carlo, il Cardinale fu interrotto dalle donne del borgo che si misero a danzare
per protesta contro il sermone arcivescovile, tendente a limitare la pratica della
danza, soprattutto la domenica pomeriggio ed in Quaresima. Malgrado le forti
resistenze incontrate, il modello proposto dall'autorità ebbe corso, trasformando
profondamente le strutture ecclesiastiche (e non solo quelle), in base a criteri di
disciplina ed organizzazione. La chiesa divenne in tal modo il centro vitale della
comunità cittadina, capace di creare attività che andavano ben oltre la semplice pietà
religiosa.
Una nuova epidemia di peste, quella detta di “San Carlo” imperversò sul nostro
territorio nel 1576-1577. Il sette maggio 1580 il feudo di Desio passò a Giorgio
Manriquez Mendoza de Leyva; a quella data il feudo comprendeva le pievi di Desio e
Bollate, composte da quaranta comuni con un complesso di 1.768 nuclei familiari.
san Carlo nel 1579 aveva trovato a Desio 1.020 abitanti, il visitatore apostolico del
1596, Baldassarre Cipolla, ne trovò 1.531.
La pietà religiosa costituiva l’unico rimedio conosciuto contro il dilagare delle
epidemie. In particolare furono sciolti voti civici a san Teodoro e a san Carlo; si tenne
anche un pellegrinaggio cittadino che portò a piedi tutti in Desiani fino alle basiliche
milanesi. Nel 1630 fu proclamato un nuovo solenne voto che è alla base della festa
cittadina dell’Ufficio quaresimale.
Nel nome del Signore. Nell’anno dalla
Natività millesimo, seicentesimo, trentesimo,
nel giorno di martedì, ventunesimo del mese
di maggio.
Bartolomeo Motta fu Domenico, console del
borgo di Desio
Gio Angelo Briani fu Stefano e Gerolamo
Pansecchi fu Gerolamo, entrambi sindaci del
Comune del detto borgo di Desio
Francesco Baffa fu Antonio, Giuseppe Briani
fu Cristoforo e Pietro Maria Malberti fu
Alberto, tutti sopraeletti del detto Comune del
borgo di Desio, tutti abitanti nel detto borgo
di Desio, capo di pieve, Ducato di Milano
[…]
Fecero e fanno voto, i detti console, sindaci e
sopraeletti e quasi tutto il popolo del borgo di
Desio in ginocchio davanti all’altare maggiore
nella chiesa collegiata dei santi Siro e
Materno del detto borgo di Desio, a cusa della
peste, innanzi all’Onnipotente Dio, alla Beata
Vergine Maria e a tutti i Santi nel modo e
nella forma che è descritta nei seguenti
capitoli, il cui contenuto è il seguente:
Capitoli stabiliti nella congregatione fatta
dalli signori Prevosto, canonici e capitolo,
gentilhomini, sindici et molti altri di maggior
estimo della terra di Desio. Adì 19 maggio
1630, per occasione del mal contagioso
presente, per impetrar da Dio Signor Nostro il
Suo divino aiuto, fatta in casa del signor
Prevosto.
1. Che la Communità confermi et di nuovo si
obblighi con voto perpetuo di far la
processione annuale alla chiesa di San
Gerardo fuora di Monza, qualsi suol far
ordinariamente la seconda festa della
Pentecoste, o in altro giorno essendovi in
quella impedimento, offerendo alla detta
chiesa libbre tre cera a spese della detta
Communità per cantar la messa. Qual per
antica tradizione fu voto perpetuo fatto
dalla detta Communità per simile pericolo
di peste.
2. Che la Communità sudetta confermi, et di
nuovo si obblighi con voto perpetuo, di far
la festa di san Theodoro martire ogn’anno,
alli 26 di maggio, e di far l’obblatione del
cereo grande et torchie di peso cera tutti di
libbre 59 all’altare di san Theodoro eretto
nella chiesa colleggiata de Santi Siro e
Materno del detto borgo di Desio,
ogn’anno il giorno della festa del detto
Santo come sopra, nell’atto che dal molto
reverendo capitolo della detta collegiata si
canta la messa al detto altare ad honore del
detto Santo. Il qual voto fu fatto
anticamente dalla detta Communità in
perpetuo per causa della tempesta, a spese
della detta communità eccetto per il cantar
la messa.
3. Che la detta Communità renovi la
devotione di far la festa di San Carlo
arcivescovo di Milano ogn’anno, in
perpetuo, et il voto d’offerire a spese della
detta Communità libbre due cera al sacro
sepolcro di detto Santo nella chiesa
maggior di Milano ogn’anno. Quali
devotione e voto furono fatti dalla detta
Communità l’anno 1604 passato per causa
d’infirmità pericolosa et continua che
occorse in quell’anno nella detta terra di
Desio.
4. Che per il presente pericolo della peste,
che va serpendo con qualche danno nella
detta terra di Desio, la detta Communità
facci voto di far una processione generale
ogn’anno il giorno della festa di San
Giuseppe, sposo della B.Vergine e doppo
la processione far cantar una messa ad
honore del detto Santo all’altare della
Beata Vergine del Rosario nella sudetta
collegiata perpetuamente. La qual messa il
molto reverendo capitolo della detta
collegiata ha accettato il carico di cantarla
gratis, offerendo la detta Communità la
cera competente per cantarla. Et che la
detta Communità a sue spese facci di
presente fabricare un quadro con l’imagine
di San Giuseppe, honorevole et di buona
mano, a olio, da collocarsi nella detta
capella della Beata Vergine del Rosario, o
se all’avvenire fosse fabricato nella detta
collegiata altare, o capella ad honore di
San Giuseppe, di collocarvelo sopra, o
dentro, et ivi poi cantar la detta messa
perpetuamente dopo la detta processione.
5. Ultimo. Che si facci voto perpetuo di
santificar la festa di San Francesco ed il
giorno della detta festa ogn’anno in
perpetuo offerire alla chiesa de Padri
Conventuali della detta terra di Desio a
spese della Communità sudetta libbre
cinque cera per uso dell’altare per cantar la
messa in quel giorno.
[…]
Tutte queste cose furono decise essendo
presenti inoltre:
i molto reverendi signor prevosto e canonici
della detta chiesa collegiata dei santi Siro e
Materno del detto borgo di Desio, ossia il
reverendo prete Antonio Strada, dottore in
sacra teologia, prevosto della detta collegiata,
il prete Carlo Francesco Theoldo, il prete
Antonio Luini, il prete Giovanni Antonio
Trabattoni, il prete Giovanni Battista
Aliprandi, il prete Camillo Borgonovo, il
prete Francesco Carati, il prete Cristoforo
Cerruti, il prete Melchiorre Carcassola et il
prete Carlo Antonio Daverio, tutti canonici
residenti nella detta chiesa collegiata, ed
abitanti nel medesimo borgo, perché si
degnino di pregare per il popolo desiano
presso Dio, Nostro Signore Gesù Cristo e la
Beata Vergine Maria eiusque B.V.Maria
perché difendano il detto popolo dal detto
contagio e d aogni male […]
Fatto nella detta collegiata posta nel detto
borgo di Desio. Alla presenza di Agostino
Briani, figlio di Angelino e Adamo
Castelletto, fu Alessandro, entrambi abitanti
di Desio e pronotarii. Testi: il medico
Giacomo Filippo Corneo fu Ludovico,
Gerolamo Triulzi fu Daniele, entrambi
abitanti nel detto borgo di Desio, e Gio Pietro
Vera fu Giacomo, abitante nel luogo di
Stanno, della Valle di Lugano, tutti testi
idonei.
Notaio Romerio Valentino Scaramuzza fu
Giovanni Battista, abitante nel borgo di
Desio.
I secoli XVI-XVII nel nostro territorio sono caratterizzati da fasi alterne di
depressione demografica dovuta alle ricorrenti epidemie ed altrettanti cicli di ripresa
economica. Nel 1567 fu istituita la confraternita del Santissimo Sacramento e
successivamente quella dei Disciplini o del Crocifisso. In seguito fu creata quella del
Santo Rosario, poi unita a quella del Crocifisso. Dietro a queste associazioni a
carattere religioso si celavano però forti tensioni campanilistiche tra quartieri diversi
che si mescolavano ad attriti sociali tra i contadini della Vigana ed i "signori" della
Piazza. Si ebbe una pluriennale vertenza giudiziaria perché i confratelli del Crocifisso
pretendevano la piena proprietà dell’oratorio di San Bartolomeo; altre tensioni
emergevano poi ricorrentemente per i diritti di precedenza tra i diversi sodalizi in
occasione delle processioni.
Dal 1550 la continua pressione fiscale per finanziare gli alloggiamenti delle truppe
spagnole costrinse molti proprietari ad indebitarsi, favorendo così l'allargamento della
grande proprietà aristocratica. Il calo demografico aveva ridotto allo stremo anche le
attività economiche: nel 1613 erano infatti installati a Desio solo sei telai. Le
continue difficoltà finanziarie costrinsero il Comune a contrarre nuovi mutui per far
fronte alle spese relative ai frequenti alloggiamenti di soldati. Il quadro della grande
proprietà locale ebbe un drastico mutamento nel 1638 con il sequestro dei beni del
conte Alessandro Rho, motivato dalle sue simpatie francesi. I beni del conte, che
comprendevano fra l'altro il corso della Roggia, furono alienati a favore del marchese
Mario Visconti che, di lì a poco, li cedette ad Ottaviano Cusani.
LA NUOVA CHIESA
Malgrado le croniche difficoltà economiche nel 1652 prese il via il progetto per la
costruzione di una nuova chiesa che, a suo tempo, era già stato caldeggiato da san
Carlo Borromeo130 e forse Pellegrino Tibaldi aveva già predisposto un progetto di
massima per l’edificio.
Il progetto fu affidato all'architetto del duomo di Milano Camillo Ciniselli, mentre i
lavori furono eseguiti sotto la direzione del capomastro Pietro Pozzi. Per sostenere gli
oneri dei lavori la fabbriceria ricevette numerosi lasciti da parte della nobiltà locale.
Contemporaneamente il fervore edilizio si espresse nella ricostruzione della chiesa
della frazione san Giorgio con i lasciti di don Filippo Bareggi131. Un nuovo edificio di
culto veniva anche eretto nel 1676 nella frazione san Giuseppe per iniziativa del
conte Gio Antonio Ferrario.
130
Per tutte le vicende della fabbrica della nuova chiesa si veda: BRIOSCHI 1998.
A san Giorgio fu affiancato sant’Apollinare in quanto la cascina era passata sotto la proprietà dell’omonimo
monastero milanese delle clarisse. MATTAVELLI 1988.
131
Molti nobili locali provvidero alla loro morte a testare a favore di enti di beneficenza.
Nel 1699 Marco Antonio Carcassola designò sua erede la Scuola dei Poveri Putti, il
Bareggi lasciò i suoi beni all’Ospedale Maggiore e nel 1732 morì conte Bolagnos e
testò anch’egli a favore della Cà Granda.
I lavori per la nuova chiesa andarono per le lunghe; a complicare la situazione
intervenne un furiosa tempesta che nel 1674 distrusse gran parte dei raccolti,
riducendo ancor maggiormente le già magre finanze del borgo.
Sempre con il massiccio intervento della nobiltà locale che in queste operazioni mise
da parte anche il Parroco, nella prima metà del XVIII secolo ripresero con maggiore
solerzia i lavori per terminare la fabbrica della nuova chiesa. L'opera fu conclusa
dall'architetto Merli, mentre l'esecuzione della facciata fu affidata al Galiori,
coadiuvato dal Piermarini. Il 25 agosto 1744 la basilica fu consacrata dal cardinale di
Milano Giuseppe Pozzobonelli, ma i lavori di abbellimento e di rifinitura
continuarono fino al 1785.
Sciaguratamente, anche per finanziare le ingenti spese che erano state sostenute e per
disfarsi di edifici ormai inutili, si procedette la demolizione della vecchia basilica
plebana i cui materiali di recupero furono venduti all'asta. Si passò anche
all'abbattimento dell'antico oratorio di sant'Agata che sorgeva sul lato meridionale
della Piazza. Alla santa siciliana fu dedicato un altare nella nuova prepositurale e nel
1739 fu deciso di erigere un nuovo oratorio dedicato a santa Maria per ospitare gli
incontri della locale confraternita; l'edificio con i successivi ampliamenti sussiste
ancora a lato della chiesa parrocchiale.
L'EPOCA DELLE RIFORME
A partire dal 1707 la Lombardia passò sotto l'amministrazione asburgica. Nella prima
metà del secolo la situazione era davvero grave; la peste bovina aveva falcidiato il
bestiame ed il Comune era stato costretto a contrarre nuovi mutui per coprire le
continue spese militari. Ad inizio secolo il borgo ospitava 144 case e per la campagna
erano sparsi quindici cascinali; la popolazione superava di poco le millesettecento
unità, ma alla metà del secolo aveva ampiamente superato le duemila anime. In
questa situazione di miseria diffusa trovarono terreno fertile le riforme di Carlo VI e
di Maria Teresa per un'organizzazione razionalizzata del territorio, volta al
superamento di antichi abusi e privilegi. Il segno tangibile di questo nuovo clima fu la
realizzazione del catasto, uno strumento fondamentale per stabilire la quantità di beni
immobili posseduti da ciascun proprietario in vista di un’equa ripartizione del carico
fiscale.
Nel 1774 l'arciduca Ferdinando e la consorte fecero visita al convento francescano
per lucrare l'indulgenza del Perdono d'Assisi. Altra visita reale fu effettuata undici
anni dopo, quando i reali di Napoli si recarono a visitare la Villa Cusani.
Tra continue recrudescenze epidemiche che causarono numerose vittime, giunse
l'editto imperiale che imponeva la soppressione del convento francescano (1777). La
sconsacrazione dell'edificio di culto fu effettuata alle quattro di notte per evitare
tumulti popolari e fu eseguita dal parroco che, possiamo immaginare, compì l'opera
senza eccessivi rimpianti visti i rapporti non sempre amichevoli tra il clero regolare e
la comunità monastica.
Altri provvedimenti dell'imperatore Giuseppe II colpirono la confraternita del
Crocefisso. Sopravvisse invece quella del Santissimo Sacramento eretta nella chiesa
parrocchiale, ma per intervento dei confratelli del Crocefisso che si ritenevano
vittime di un'ingiustizia, fu soppressa anche la seconda.
Nel 1791 furono interrotte le sepolture nella chiesa e si iniziò ad inumare le salme nel
nuovo camposanto annesso al vecchio Foppone. Sempre verso la fine del secolo, si
estinse la casata dei Manriquez ed il feudo passò al conte Pietro Secco Comneno, che
di lì a poco sarebbe stato travolto dalla bufera napoleonica.
Lo scorcio finale del diciottesimo secolo fu contrassegnato dalle rivalità di quartiere,
sfociate in una furibonda rissa nel 1795 durante la processione del Corpus Domini; il
pretesto fu offerto dalla decisione governativa di abolire i tradizionali abiti dei
confratelli, imponendo d'ufficio il colore bianco in uso nelle località di rito romano e
urtando violentemente di conseguenza le secolari tradizioni religiose del popolo.
A partire dal 1777 il Cusani iniziò una vasta opera di risistemazione della sua
residenza desiana. L'incarico di rinnovare la dimora signorile fu affidato a Giuseppe
Piermarini che trasformò l'edificio secondo i dettami di un rigoroso impianto
classicheggiante.
IL PRIMO OTTOCENTO
Il 15 giugno 1796 Napoleone faceva ingresso in Milano, istituendo la Repubblica
Cisalpina. Come nel resto della Lombardia, anche a Desio la notizia fu accolta con
soddisfazione, sperando che il cambio al potere comportasse un mutamento radicale
delle condizioni di vita. In realtà la presenza napoleonica in breve tempo si rivelò in
tutta la sua durezza. La municipalità fu mantenuta a patto che giurasse fedeltà al
nuovo governo; furono particolarmente colpite le proprietà e le istituzioni
ecclesiastiche, fino a culminare il 10 luglio 1798 nella soppressione del capitolo. I
beni della basilica furono sequestrati e messi all'asta; i relativi documenti furono
trasferiti a Milano, provocando uno sciagurato smembramento dell'archivio
prepositurale. Il marchese Ferdinando Cusani era fuggito a Vienna ma fu costretto a
rientrare sotto la minaccia della confisca di tutti i suoi beni132.
Parte dei provvedimenti contro le chiese fu revocato con il ritorno delle armate
austriache (ripristino del capitolo e delle confraternite), ma la pressione fiscale
aumentò sensibilmente, rendendo egualmente insopportabile la nuova
amministrazione.
Per questo motivo, quando i Francesi fecero ritorno nel giugno 1800, non furono
male accolti. La popolazione, presa dai problemi quotidiani del sostentamento, era
molto sensibile ai problemi religiosi e rimase colpita dalla trasformazione
dell'oratorio di santa Maria in caserma per i coscritti; l’oratorio di san Bartolomeo fu
invece acquistato da un privato per evitare che fosse destinato ad usi profani.
Numerosi cittadini desiani entrarono a far parte delle armate napoleoniche ed alcuni
132
Per questo periodo si veda anche: CAPPELLINI 1972, pp. 361ss.
di loro caddero in occasione della disastrosa campagna di Russia (1812). Le varie
istituzioni cittadine furono trasformate dall'amministrazione francese; in particolare la
Scuola dei Poveri Putti, la Scuola delle Sante Maria ed Agata ed i beni delle
soppresse confraternite confluirono nella nuova Congregazione di Carità che avrebbe
dovuto predisporre gli interventi in campo sanitario ed assistenziale. Il frutto più
importante di questo periodo resta però l'ospedale, la cui erezione fu autorizzata nel
1813, ma a causa della scarsità di mezzi, i lavori procedettero fino al 1820 ed infine
completato con i proventi del cospicuo lascito stabilito dal canonico Villa. Anche con
il ritorno delle armate austriache furono mantenuti tutti quei provvedimenti varati da
Napoleone che garantivano una efficiente amministrazione del territorio. Occorre
ricordare che risale all’epoca napoleonica l’istituzione in Desio dell’ufficio Postale133.
Il tramonto dell'astro napoleonico coincise con un periodo di profonda crisi: la scarsità
di pioggia provocò due cattive annate agricole consecutive, riducendo alla fame gran
parte delle famiglie. Come sempre accade in situazioni di questo genere subentrò ad
aggravare la situazione una grave epidemia di tifo.
Il definitivo ritorno dell'Austria coincise con una fase di sviluppo demografico che
mise in evidenza i limiti dell'economia tradizionale. Molti capifamiglia furono
costretti ad affiancare alla tradizionale coltura dei campi attività a carattere artigianale,
soprattutto nel settore del legno. Sintomo indubbio di una ripresa difficile sono i
numerosi furti, anche a danno delle chiese, e le impiccagioni di rapinatori che in questi
periodi erano frequenti, tanto che si diceva: "Méda, Paìna e Mariàn a mantégnen el
bòia de Milàn". Nell'epoca della Restaurazione cessò definitivamente di esistere
l'antica giurisdizione feudale; l'amministrazione della giustizia fu affidata alla locale
Giudicatura di Pace e, dal 1818, alla Pretura.
Per venire incontro ai problemi causati dalla diffusa povertà, il Comune varò una
serie di lavori pubblici a partire dal 1821, consistenti nella lastricatura delle strade
principali. Nel 1829 fece visita a Desio il re di Napoli e nel giugno dello stesso anno
l'imperatore Ferdinando I d'Austria.
Tra le mille difficoltà causate da un'agricoltura improduttiva ed un artigianato
nascente si colgono però i sintomi di una ripresa lenta ma costante. Nel 1831 fu
istituita la scuola elementare femminile e, negli stessi anni, prese il via il tormentato
progetto di ricostruzione delle campane che purtroppo comportò nel 1830 la
distruzione della guglia del campanile e il suo adattamento alle forma architettoniche
che possiamo vedere oggi. Una epidemia di colera causò numerosi decessi, tra cui
quello del medico condotto Borsotti. La vita di quegli anni, come d'altro canto anche
in passato, appare scandita da ricorrenti epidemie, processioni solenni per impetrare
la pioggia o scongiurare la grandine134. Segno di tempi nuovi che si stanno avviando,
l’Ente Locale comincio ad avviare alcune migliorie urbanistiche legate innanzitutto
alla lastricatura delle strade ed allo scolo delle acque.
Nel 1830 pose stanza a Desio lo stato maggiore austriaco e il territorio del Comune
ospitò
in
diverse
occasioni
manifestazioni
pubbliche
solennizzate
dall’accompagnamento dei soldati e della gendarmeria. L’imperatore Ferdinando I
133
134
Ordinanza 18 settembre 1812, num. 7725 della Direzione delle Poste. BRIOSCHI 1998 B.
Nei casi di siccità prolungata era abitudine di portare processionalmente il Crocifisso di san Bartolomeo in Basilica.
transitò da San Giorgio mentre si recava a Milano per la cerimonia
dell’incoronazione (1837) e tornò l’anno seguente a Desio, ospite dell’avvocato
Traversi.
Il marchese Ferdinando Cusani aveva proseguito nell’opera di abbellimento della sua
residenza desiana con l’acquisto di una copiosa serie di marmi antichi provenienti in
gran parte da chiese milanesi soppresse nel decenni precedenti135. Questi acquisti ed
in generale l’elevato dispendio imposto dal tenore di vita aristocratico, costrinsero
Cusani a contrarre una notevole serie di debiti. Nel 1816 il marchese morì e gli
subentrò nella proprietà il figlio Luigi. Costui non aveva alcun legame con Desio in
quanto aveva trasferito la sua residenza a Roma e, trovandosi nella necessità di
soddisfare gli impegni assunti da suo padre, alienò i beni di Desio al maggiore
creditore, l'avvocato Giovanni Battista Traversi.
Nel 1840 la villa Traversi fu sottoposta ad un completo rifacimento, trasformando la
precedente abitazione piermariniana in un grandioso complesso in stile eclettico. Il
progetto fu curato dall'artista bolognese Pelagio Palagi il quale, oltre alla
ristrutturazione della villa, eresse nell'annesso parco un’originale torre in stile
neogotico. L’insolita costruzione ospitava la collezione di marmi antichi dell'avv.
Traversi e probabilmente doveva fungere da studio per l’artista. La villa desiana
divenne un ameno luogo di soggiorno che ospitò fra gli altri l'imperatore Ferdinando I,
Stendhal e Vincenzo Bellini. Nel frattempo fu affidato ad Antonio Villoresi il compito
di ridisegnare il vasto spazio boschivo che contornava la villa e di scegliere le specie
arboree da piantumarvi. Il Villoresi, oltre a questa attività di architetto-botanico, fu
spesso utilizzato per disegnare scenografie, archi e fondali in occasione di visite
ufficiali e festività solenni.
Nel 1843 ebbe definitivamente fine la pluriennale disputa relativa alle campane. Per
interessamento del prevosto Corbella fu affidato l'incarico della fusione del nuovo
concerto alla ditta Felice Bizzozero di Varese. Il 20 agosto le nuove campane furono
condotte a Desio con festeggiamenti principeschi.
L'istituzione di alcune aziende agricole capitalistiche permise un sensibile aumento
delle rese agricole, cui non corrispose però un adeguato miglioramento nelle
condizioni di vita degli agricoltori. Le latenti tensioni sociali esplosero in occasione
della cattiva annata agricola del 1847. Un gruppo di contadini, esasperati in seguito
ad un aumento dei canoni, mise a sacco l'abitazione del Bonomi, un noto possidente
locale, cercando addirittura di linciarlo. L'intento non riuscì in seguito all'intervento
della gendarmeria locale e l'iniziativa costò ad otto agitatori alcuni anni di carcere
duro nelle prigioni di Mantova.
La comunità desiana partecipò all’insurrezione milanese del Quarantotto inviando
alcuni volontari (tra cui il medico Zuffi) e acquistando un cavallo e centocinquanta
fucili per gli insorti. Il borgo fu però interessato solo marginalmente alle azioni
belliche in occasione del passaggio di una colonna garibaldina.
135
Per le vicende della collezione di marmi si veda:
Gli Austriaci al loro ritorno instaurarono un rigido sistema poliziesco, sottoponendo
case, ville patrizie e chiese a perquisizioni e controlli per scovare depositi clandestini
di armi. Nel 1851 un Desiano, il falegname Malberti, fu arrestato per aver apostrofato
dei soldati austriaci “birbanti, porchi e animali”; ad Antonio Corbetta furono inflitte
sei settimane di carcere perché gli furono trovate in casa delle armi utilizzate durante
l’insurrezione del Quarantotto. Nello stesso anno, fra l'indifferenza generale, transitò
per la stazione ferroviaria l'imperatore Francesco Giuseppe. Per giungere ad una
sistemazione definitiva, il Comune assunse un prestito di duemila lire per acquistare
nel 1853 dall’ingegner Agostino della Torre un fabbricato nel quale trovarono sede la
pretura, le carceri ed in seguito anche il municipio; questa sede ospitò le strutture
politico-amministrative del territorio fino alla costruzione del nuovo edificio
comunale di corso Italia nel 1964.
Nel 1849, in seguito ad un incidente morì il prevosto don Giusto Corbella e l’anno
seguente giunse a Desio il nuovo parroco don Filippo de Bernardi. Questo sacerdote
era autore di numerose pubblicazioni e possedeva una prestigiosa collezione d’arte.
Alla morte destinò tutti i suoi beni alla realizzazione di due affreschi da collocare ai
lati dell’altare maggiore. Queste pitture, ancora oggi visibili, furono eseguito alla fine
degli anni Cinquanta dal pittore Mauro Conconi e rappresentano L’ingresso di Gesù
in Gerusalemme e Gesù ed i fanciulli136.
Nel 1850 intanto era stata realizzata un’opera pubblica di fondamentale importanza
che avrebbe trasformato radicalmente le dinamiche sociali e produttive del Comune:
l’apertura della linea ferroviaria da Monza a Camnago. La vita amministrativa del
Comune era controllata dall’assemblea degli estimati, ossia dei cittadini più abbienti
che pagavano l’imposta fondiaria; costoro, dovendo provvedere direttamente coi loro
mezzi ai bisogni del territorio, cercavano di limitare al massimo le spese,
dilazionando acquisti o cercando di evitare la realizzazione di opere pubbliche. Dal
1850 si passò dal vecchio sistema degli estimati alla creazione di un Consiglio
Comunale retto da due deputati; restava sempre però salvo il principio che gli
amministratori dovessero essere possidenti o proprietari di rilevanti imprese
industriali o commerciali. La prima seduta del consiglio comunale fu tenuta il tredici
febbraio 1851137.
Nel 1854 morirono due esponenti di primo piano dell’aristocrazia locale: il conte
Paolo Greppi e l’avvocato Giovanni Battista Traversi. Quest’ultimo nominò
usufruttuaria dei suoi beni la vedova Francesca Milesi ed erede il nipote Giovanni
Antona Cordara che, per onorare la memoria dello zio, assunse il cognome Antona
Traversi. Per ottemperare alle disposizioni testamentarie egli dovette ricostruire
l’antico oratorio della villa che assunse l’attuale fisionomia verso il 1860.
Una grave epidemia di colera colpì Desio nel 1855, si distinsero nell’assistenza ai
colpiti dal contagio i medici Giovanni Ballerio e Antonio Vitali ed il parroco De
Bernardi che fu premiato con una onorificenza predisposta dal Comune.
Alla metà del secolo la popolazione desiana era salita a 5.268 anime (2.653 maschi e
2.633 femmine). Si ricorda che in quegli anni, precisamente il 31 maggio 1857,
136
137
Per la biografia del De Bernardi e le vicende dei due affreschi si veda: BRIOSCHI 2004.
ACD, 6, 89.
nacque a Desio nell'abitazione posta nell'antica contrada della Prepositurale, Achille
Ratti, futuro Dottore della Biblioteca Ambrosiana, arcivescovo di Milano e, nel 1922,
Sommo Pontefice con il nome di Pio XI.
Nel 1859, in occasione della Seconda Guerra d'Indipendenza, Desio fu attraversata da
una colonna di quattromila Austriaci in ritirata. La nostra città diede il suo contributo
all'unificazione nella figura di Romeo Vaj, volontario garibaldino, caduto a
Calatafimi il 15 maggio 1860138.
IL SECONDO OTTOCENTO
Nel 1861, in occasione del primo censimento, Desio contava 5.431 abitanti, 2.699
maschi e 2.732 femmine. Malgrado le difficoltà economiche causate dal difficile
periodo, lo sviluppo demografico ed economico era costante. Segno di nuove
esigenze, furono installati i primi quindici lampioni, creata una scuola serale per
favorire l’afflusso degli alunni e nel 1869 fu deliberata la creazione dell'asilo
infantile che fu attivato solo pochi anni dopo. La classe politica locale di questa fase
immediatamente seguente all’unificazione appare contrassegnata da una marcata
adesione ai principi liberali; i valori dominanti risultarono l’adesione incondizionata
ai principi liberistici e il tentativo di compressione delle richieste clericali. I primi
Sindaci provenivano dalle fila della borghesia imprenditoriale: Ravanelli (fattore di
Casa Antona), Scannagatta, Cereda e Rossi. Le strutture politiche ed amministrative
non mutarono così rapidamente come la realtà esigeva; alcuni possidenti riuscirono a
superare i rivolgimenti politici, mantenendo intatti i propri privilegi. La principale
novità fu l'allargamento nel numero dei notabili locali; sull'onda del nuovo stato
unitario alcuni individui particolarmente intraprendenti riuscirono a consolidare la
propria posizione in campo economico e sociale, utilizzando poi il prestigio
acquisito in ambito politico.
Nell’ anno 1869 iniziò la sua attività una delle più prestigiose ditte del secolo passato:
la tessitura serica Pietro Gavazzi. L'opificio iniziò la produzione con un parco
macchine di dodici telai meccanici sui quali lavorò la gran parte della manodopera
femminile del borgo. La tessitura Gavazzi fu affiancata da altri insediamenti
industriali del settore tessile: la scialleria Ercole Trezzi, la filatura Gavazzi ed il
Lanificio Nazionale.
Il decollo industriale, seppure in un settore che già mostrava segni di crisi,
proseguì senza soste, modificando il quadro economico della città. In particolare
va sottolineata la forte componente femminile nelle fabbriche; nella ditta
Gavazzi lavoravano 2500 donne, tra cui moltissime minorenni, e solo 500
uomini. Questo fatto è spiegabile naturalmente con la semplificazione delle
operazioni in seguito alla meccanizzazione, ma anche con il fatto che le paghe
femminili erano nettamente inferiori a quelle degli uomini. Alla fine del secolo
un operaio riceveva per 10-12 ore di lavoro un compenso di lire 1,80 giornaliere,
mentre una donna aveva un salario di 35-40 centesimi, cifra che bastava a
comperare un chilogrammo di pane.
138
BRIOSCHI 1998 C. In precedenta il desiano Luigi Ballabio aveva combattuto nella Repubblica Romana ed aveva
fatto parte del gruppo che seguì Graibaldi nell’inutile tentativo di portarsi a Venezia nel 1849.
Situazione non migliore attraversavano i numerosi Desiani che erano ancora
legati all'agricoltura. I fortunati possessori di un fazzoletto di terra si trovavano
costretti a dedicarsi ad attività secondarie, soprattutto artigianali, per far
quadrare il misero bilancio familiare. Sorte peggiore avevano coloro che, privi
di terra propria, erano costretti a condurre fondi altrui; generalmente il canone
d'affitto era nella misura del 50% del prodotto finale. Intorno alla dimora
Traversi-Tittoni gravitava un mondo che presentava tratti del mondo feudale.
Pur avendo introdotto nei loro possedimenti notevoli migliorie, i Traversi
mantennero in vigore contratti agrari che ricordavano il passato; oltre a versare il
canone, gli agricoltori erano tenuti a prestare alcune giornate lavorative
semigratuite negli orti e nel giardino della villa, effettuando in tal modo delle
autentiche corvees feudali. Tutte queste attività erano coordinate dal giudizio
insindacabile di un fattore che curava la gestione della proprietà; questa figura
andò crescendo d'importanza, tanto che il primo sindaco di Desio in epoca
unitaria fu Luigi Ravanelli, fattore di casa Traversi.
Per finanziare i tentativi di prima industrializzazione nel 1873 fu istituita una filiale
della Cassa di Risparmio.
In seguito alla soppressione della Guardia Nazionale, il Comune si vide privato della
possibilità di accompagnare musicalmente le diverse manifestazioni pubbliche sia
civili, sia religiose. Pertanto prese corpo il progetto di istituzione di un corpo
musicale cittadino139.
Nel 1878 fu inaugurato il nuovo edificio delle scuole elementari e del teatro intitolato
a Vittorio Emanuele II. L'edificio, oggi demolito, ospitò in più occasioni le recite del
grande attore milanese Edoardo Ferravilla che da tempo aveva instaurato con Desio
un rapporto privilegiato.
L'ultimo quarto del secolo fu dominato dalle figure del sindaco Gavazzi e del
prevosto Mossolini che trasformarono l'immagine tradizionale del borgo rurale,
creando quella di un centro attivo, ma per molti versi isolato dalla realtà economica
circostante. Mentre nei comuni del circondario si era diffusa in modo massiccio
l’artigianato, specie nel settore del mobile, a Desio prevalse a livello economico la
grande industria che determinò quadri sociali ed economici completamente diversi da
quelli della realtà circostante. Don Cesare Mossolini era giunto da Milano a Desio nel
1879 e l’ing. Gavazzi era divenuto sindaco nel 1883.
Il decollo industriale, seppure in un settore che già mostrava segni di crisi, proseguì
senza soste, modificando il quadro economico della città. Dietro le proprietà
Traversi e Gavazzi si celavano due differenti modelli di sviluppo, uno agrario, 1'altro
industriale, ma entrambi accomunati dall’adesione incondizionata alle leggi
economiche del liberismo classico. Queste rivalità si perpetuarono poi nel tempo,
contrassegnando negativamente il futuro sviluppo del borgo. Le peggiorate
condizioni di vita dei ceti più umili favorirono il rapido diffondersi tra la
popolazione delle idee socialiste, contro cui intervennero il clero ed i ceti dirigenti
dell’epoca.
139
Per le vicende del corpo musicale si veda: BRIOSCHI 2002.
La fine del secolo vide la realizzazione di opere pubbliche in una quantità mai prima
conosciuta. Furono costruiti lo scalo ferroviario e gli oratori cittadini, fu inaugurata la
caserma dei carabinieri e l'ufficio telegrafico; il borgo fu dotato del servizio di acqua
potabile e nel 1895 fu realizzata la caserma dei Vigili del Fuoco, mentre le vie del
borgo furono lastricate ed illuminate da sessanta lampioni a gas. Per facilitare le
comunicazioni era stata inoltre realizzata una tramvia a vapore realizzata dalla società
inglese Tramways and General Worhs Company.
Va ricordato che nel 1892 il famoso pittore Giovanni Segantini si stabilì a Desio,
abitandovi per un biennio e realizzando nella nostra città alcune delle sue opere più
famose.
In diverse occasioni la vecchia Basilica seicentesca si era rivelata inadatta ad
accogliere la popolazione che era notevolmente aumentata; nacque così il progetto di
ampliamento della struttura esistente. Alla fine si decise di allungare l'edificio in
direzione est, inglobando nella fabbrica strutture preesistenti ed aree pubbliche. Il
Comune approvò l'iniziativa e sostenne l'opera con un forte contributo. Anche in
seguito alle proteste di alcuni possidenti marcatamente laici, la fabbriceria decise in
tono polemico di modificare il disegno con l'erezione di una grandiosa cupola,
progettata dagli architetti Cesa Bianchi e Buttafava, certa che questa scelta avrebbe
solleticato le ambizioni campanilistiche dei Desiani. Su iniziativa del prevosto
Mossolini, i lavori presero il via il 19 aprile 1891 quando fu posta la prima pietra della
nuova costruzione da parte di mons. Ballerini, patriarca d'Alessandria d'Egitto, allora
residente a Seregno.
A finanziare l'opera concorsero l'Ente Locale, la Fabbriceria, la Curia Arcivescovile
ed i notabili locali, ma soprattutto la folla anonima dei Desiani che, impossibilitati a
contribuire economicamente, offrirono il proprio lavoro per cavare la ghiaia e
trasportare i materiali. Inoltre tutti gli operai contribuirono all'opera versando il
corrispettivo delle giornate di lavoro effettuate durante le festività infrasettimanali.
Grazie alla collaborazione di tutta la cittadinanza, che vide nell'erezione della cupola
un simbolo di prestigio nei confronti dei borghi circonvicini, in meno di quattro anni
furono eseguiti i lavori di ampliamento ed il 24 agosto 1894 l'arcivescovo di Milano,
Andrea Carlo Ferrari riconsacrò solennemente la Basilica140; la grande cupola
coronava finalmente le ambizioni dei Desiani e costituiva un segno di cambiamento e
sviluppo.
Parallelamente a questi grandi lavori, prendevano corpo altre istituzioni locali, in
special modo quelle a carattere religioso. Nell'ultima parte del secolo presero corpo e
fisionomia i locali oratori: quello femminile inizialmente curato dalle suore di Maria
Bambina e quello maschile con le sue svariate attività a carattere formativo e
ricreativo, le cui origini vanno fatte risalire all'opera di don Villoresi, figlio del
botanico di casa Traversi.
IL NOVECENTO
140
BRIOSCHI 1998.
Agricoltura ed industria avevano avuto un sensibile sviluppo permettendo un notevole
accumulo di capitali, ma le condizioni di vita della popolazione erano rimaste
immutate, anzi in molti casi avevano conosciuto un peggioramento in occasione della
grande crisi di fine Ottocento. Le strutture politiche ed amministrative erano rimaste
sostanzialmente le stesse del periodo precedente; allo sviluppo economico che aveva
interessato solo i ceti dirigenti non era corrisposto un miglioramento nelle condizioni
di vita di operai e contadini. A Desio la situazione era complicata da una realtà tutta
particolare. I lavori di ampliamento della chiesa avevano avuto come promotrice la
famiglia Gavazzi che aveva costituito il perno organizzativo e propulsivo dell'opera.
Questo ruolo di primaria importanza comportò un allineamento del clero locale, ed in
particolar modo del prevosto Mossolini, sulle posizioni politiche dei patroni
dell’impresa. La situazione era aggravata dalla proibizione papale ai cattolici di
partecipare alla vita politica in uno stato che si presentava con atteggiamenti laicisti.
Malgrado le posizioni ufficiali, il clero desiano si schierò apertamente a fianco dei
candidati locali; in particolare emerse il contrasto tra i giovani del Fascio di Azione
Cattolica che sostenevano il divieto papale e gli aderenti alla Associazione della Sacra
Famiglia controllata direttamente dal parroco141.
Il nuovo secolo iniziò per Desio con un graduale processo di sviluppo, che si esplicò
nell’associazionismo popolare. I ceti operai e contadini, raccolti in organizzazioni
sindacali di diversa matrice, chiesero ed in parte ottennero miglioramenti nelle
condizioni di lavoro. Nacque una battagliera Società Operaia, la Società di Mutuo
Soccorso fra operai e contadini, cui fu contrapposta la moderata "Fratellanza". Tra
scontri ed incomprensioni reciproche prendeva corpo un vasto associazionismo
cattolico finalizzato ad attività sociali.
L’importanza economica del Comune era andata crescendo: agli inizi del Novecento
la popolazione aveva superato le diecimila unità. Gli opifici cittadini assorbivano la
manodopera locale (specie femminile) e costituivano un elemento di richiamo nei
confronti di aree meno sviluppate della Brianza, per cui Desio divenne la meta di
fenomeni migratori locali. Nel novembre 1895 il setificio Egidio e Pio Gavazzi
inaugurò una motrice della potenza di cinquecento cavalli. Intervennero
all’inaugurazione il re Umberto e la regina Margherita; lo stabilimento a quella data
impiegava oltre duemila addetti.
Nell’anno 1900 era morto l’Antona Traversi, il quale aveva precedentemente chiesto
ed ottenuto di essere sepolto nel parco della sua villa; provvide all’esecuzione del
monumento sepolcrale l’architetto Luca Beltrami che progettò una sorta di ponte
sopra il corso della roggia. Il complesso desiano passò alla figlia del defunto, Bice,
che era sposa del prefetto di Perugia Tommaso Tittoni, il quale sarebbe divenuto
ministro degli esteri.
Tommaso Tittoni (Roma, 16 novembre 1855 - Roma, 7 febbraio 1931)
141
BRIOSCHI 2004A.
Diplomatico italiano, uomo politico e Presidente del Consiglio dei Ministri dal 12
marzo 1905 al 27 marzo 1905.
Studiò legge e poi entrò in politica nell'ala conservatrice. Fu eletto alla Camera dei
deputati dal 1886 al 1897, fu poi nominato senatore dal Re Vittorio Emanuele III di
Savoia nel 1902. Dal 1898 al 1903 fu Prefetto, prima a Perugia fino al 1900, e poi a
Napoli.
Fu Ministro degli Esteri dal 1903 al 1905 e brevemente Presidente del Consiglio dei
Ministri per soli quindici giorni dal 12 marzo al 27 marzo 1905.
Ambasciatore Italiano a Londra (dal febbraio al maggio 1906), tornò alla carica di
Ministro degli Esteri nel Governo Giolitti III e poi fu Ambasciatore a Parigi (aprile
1910 - novembre 1916). Fu per la terza volta Ministro degli Esteri nel Governo Nitti
dal 23 giugno 1919, e fu anche Capo della Delegazione Italiana alla Conferenza di
Pace di Parigi fino alle dimissioni del Governo il 25 novembre 1919. Dal 1 dicembre
1919 al 21 gennaio 1929 fu Presidente del Senato.
Dopo la Marcia su Roma, Tittoni appoggiò Mussolini; divenne il primo Presidente
dell'Accademia d'Italia (28 ottobre 1929 - 16 settembre 1930. L'8 aprile 1923 fu
nominato Cavaliere dell'Annunziata dal Re Vittorio Emanuele III di Savoia.
I primi anni del secolo furono teatro di furiosi scontri politici tra i candidati del
mondo liberale appoggiato dal clero locale da una parte e gli esponenti del nascente
movimento socialista dall’altra. Queste tensioni ebbero il merito di avvicinare
lentamente la popolazione alla vita politica, specie dopo l’introduzione del suffragio
universale. Nel 1903 fu costituita la Lega dei Lavoratori e la Cooperativa Agraria
Libera di ispirazione socialista. Per contrasto nel 1905 prese corpo invece il
“Consorzio Agricolo fra contadini di Desio” di tendenze moderate con lo scopo di
condurre terreni, migliorare la condizione morale, religiosa, sociale ed economica dei
soci, acquistare e vendere prodotti, acquistare attrezzi. Mentre nello stabilimento
Gavazzi prendeva corpo “La Fratellanza”, nel vicino Targetti nasceva “La Società di
Mutuo Soccorso fra agricoltori e operai di Desio” cui segui l’omonima cooperativa.
Un momento di particolare prestigio per Desio fu la realizzazione di una esposizione
“allo scopo di diffondere le norme scientifiche per la coltivazione dei campi”. La
manifestazione ebbe luogo dal 7 al 22 ottobre 1905 e fu inaugurata dal ministro
Tittoni142. Per l’evento era stato allestito uno spazio espositivo con pittoreschi
padiglioni nel parco della villa di Achille Lucchini, noto commerciante di legname.
I segni di miglioramento si moltiplicavano; nel 1903 erano attive le società per la
fornitura del gas e dell’energia elettrica. Agli inizi del secolo fu costruito un primo
tratto di fognatura dal ponte sulla Roggia alla via Manzoni; da questo primo
intervento ne seguirono altri per evitare che le strade, come avveniva da secoli,
142
Esposizione 1905.
divenissero il naturale alveo di deflusso delle acque. Anche per combattere i
ricorrenti casi di tifo, furono aperte al pubblico alcune fontane che garantivano
gratuitamente acqua potabile. Era inoltre avviato il servizio telefonico, si era assunto
un secondo portalettere e il comune era attraversato da una seconda linea tranviaria
che collegava Meda a Monza.
Il Tittoni, divenuto ministro degli esteri, utilizzò in diverse occasioni la sua residenza
desiana come sede per incontri diplomatici d’alto livello con i rappresentanti delle
varie potenze dell’epoca. Nel 1907 fu accolto il barone D’Aehrenthal, ministro degli
esteri d’Austria. Lo stesso anno giunse a Desio una missione diplomatica dell’Impero
d’Etiopia. L’anno successivo giunse il ministro russo Iswolsky143.
Nel 1910 morì l’ingegner Gavazzi e l’anno successivo don Enrico Pirotta, sacerdote
che aveva affiancato il prevosto nel progetto di ampliamento della chiesa e che da
ultimo lasciò i suoi beni in un legato che, insieme a quello disposto dalla signora
Righini contribuì alla realizzazione della Casa di Riposo.
La città aveva contribuito alla Campagna di Libia con la morte di tre Desiani144 ed
altrettanti erano precedentemente caduti in occasione della campagna d’Africa nella
battaglia di Abba Garima145. Nel 1913 la Villa Tittoni fu sede del comando operativo
in occasione delle grandi manovre; fu presente alle operazioni anche il re Vittorio
Emanuele III. Nello stesso anno fu demolito l’antico oratorio di San Bartolomeo ed al
suo posto, su disegno dell’ing. Sac. Spirito Chiappetta fu eretto in forme neogotiche
l’attuale Santuario del Santo Crocifisso.
Un netto arresto del processo di sviluppo economico e sociale si ebbe in
corrispondenza con il primo conflitto mondiale che si tradusse per la popolazione
nella perdita di numerose vite al fronte, nella trasformazione dell’industria locale ed
in un netto peggioramento delle condizioni di vita.
L'intervento italiano nel conflitto mondiale fu ricordato nella seduta del consiglio
comunale del 25 maggio 1915 con i toni retorici ed enfatici dell'epoca. Malgrado la
linea di combattimento si trovasse a centinaia di chilometri di distanza, gli effetti del
conflitto si fecero sentire pesantemente sulla popolazione; donne e anziani sostituirono
le forze giovanili che si stavano consumando nella "inutile strage". Villa Tittoni fu
adibita ad ospedale militare e fu istituita una scuola per infermiere. Intanto le
condizioni di vita peggioravano con il progressivo rincaro dei generi di prima
necessità.
Soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, la città aprì le sue porte a numerosi
profughi provenienti dalle zone del Friuli e del Veneto invase dalle truppe nemiche.
Neppure in quei giorni cessarono le antiche rivalità. Da una parte gli esponenti
socialisti soffiavano sul fuoco mettendo in evidenza situazioni in cui il peso della
guerra veniva a gravare sui ceti più umili, dall'altro perdurava la rivalità tra
"gavazziani" e "tittoniani", conclusasi con la chiusura dell'ospedale nei locali della
Villa Tittoni; in tal modo questi ultimi vennero privati di una evidente nota di
143
CAPPELLINI 1972, pp.451-455.
Buzzi Edoardo, Casati Egidio e Riva Giuseppe.
145
Allievi Leonardo, Trabattoni Giovanni e Zappa Natale.
144
benemerenza. Non rimase indifferente alle critiche anche il clero locale, ed in
particolar modo il Prevosto, denominato dagli oppositori "don" Rovagnati, accusato
di essersi schierato apertamente in una posizione subalterna alle decisioni dei
notabili cittadini.
Quando giunse la notizia dell'armistizio, la città aveva pagato un altissimo tributo di
sangue; oltre centocinquanta Desiani non fecero ritorno alle loro case. I reduci
trovarono una situazione notevolmente peggiorata; la guerra aveva colpito anche
coloro che erano rimasti lontani dal fronte.
Per fare fronte alla difficile situazione riprese corpo l’associazionismo con la
fondazione della Cooperativa Pro Desio, con il principale scopo di fornire alloggi a
costo contenuto per le coppie di nuova formazione. Il caro vita aveva inoltre
suggerito la creazione di spacci alimentari a prezzo contenuto. Le tensioni sociali si
riaccesero nel primo dopoguerra e culminarono in una forte ondata di scioperi che
videro l’intervento delle squadre fasciste per colpire le organizzazioni operaie locali.
Nel 1922 Desio fu allietata dall’elevazione a Pontefice del suo concittadino Achille
Ratti; anche in considerazione di questo fatto, nel 1929, all’antico borgo fu concesso
il titolo di città.
La prima iniziativa volta ad ottenere per Desio il titolo di Città risale al 1911. La
domanda era supportata da una serie di constatazioni che sottolineavano come Desio
negli ultimi decenni si fosse arricchita di numerosi servizi pubblici e costituisse un
fiorente centro industriale che aveva conosciuto un consistente sviluppo demografico.
La domanda, pare per difficoltà frapposte dalla Consulta Araldica, non ebbe seguito.
La proposta fu rinnovata con una più ampia e dettagliata serie di argomentazioni nel
luglio 1923. In questa seconda richiesta, indirizzata al Presidente del Consiglio, si
evidenziava soprattutto il fatto che a Desio erano strettamente legate due altissime
autorità: il Pontefice Pio XI ed il Presidente del Senato Tommaso Tittoni.
L’annuncio dell’avvenuta concessione del titolo di Città fu comunicato ai Desiani il
25 gennaio 1924 da un manifesto che recava la firma del commissario prefettizio avv.
Ugo Spadini. La cerimonia solenne della concessione dell’ambito riconoscimento,
attribuito con decreto del 24 febbraio 1924, ebbe luogo nel primo pomeriggio del 24
marzo. In quell’occasione fu presentata la Regia Patente del 20 marzo che assegnava
a Desio il rango di Città; dopo il discorso ufficiale del Commissario, le signore di
Desio donarono al Comune il gonfalone sul quale campeggiava lo stemma civico
finalmente sormontato dalla corona turrita.
Il quadro economico e produttivo nel corso degli anni Trenta si andò arricchendo con
la creazione di numerose botteghe artigiane, impianti industriali ed esercizi
commerciali. Il dato più importante fu però l’intensificarsi dei rapporti ed il rapido
avvicinamento alla realtà economica e produttiva di Milano. Occorre sottolineare che
il regime fascista a Desio non assunse mai tinte particolarmente violente o fanatiche
in quanto, anche durante il ventennio, il potere fu mantenuto da gruppi sociali di
matrice liberale legati al vecchio sistema; pertanto gli elementi più “arrabbiati” non
trovarono spazio di espressione.
I momenti di scontro politico aperto furono sostanzialmente limitati al periodo 19191922 e generalmente furono opera di elementi venuti dall’esterno146. I rappresentanti
del fascio desiano non assunsero mai atteggiamenti particolarmente aggressivi; tutt’al
più il fascismo fornì l’occasione di emergere a gruppi della nascente borghesia
cittadina, la quale trovò nell’adesione all’ideologia del regime il coronamento delle
proprie ambizioni. Va inoltre ricordato che il fascismo non godette tra i Desiani di un
consenso diffuso principalmente per due motivi. Dapprima occorre ricordare che la
questione sociale con una maggioranza di lavoratori addetti nell’industria aveva
spostato a sinistra l’elettorato, tanto che nelle elezioni politiche del 1919 e del 1921
aveva prevalso il Partito Socialista, subito seguito dalle correnti progressiste del
Partito Popolare. Un secondo motivo è riconducibile alla presenza in città del
prevosto Bandera, un sacerdote che mal tollerava le ambizioni totalitarie del fascismo
e proprio per questo fatto era costantemente controllato dalla questura. L’elezione a
Pontefice di Pio XI aveva inoltre reso la parrocchia di Desio una sorta di enclave
papale che sganciava il mondo cattolico dal controllo delle autorità fasciste.
Va ricordato che un Desiano d’adozione, Fabrizio Lantini, figlio del capostazione
delle ferrovie, aveva percorso una rapida carriera nel partito fascista, divenendo
ministro per le corporazioni dal giugno 1936 all’ottobre 1939. Non è cosa gradita ma
altrettanto necessaria ricordare che le leggi razziali del 17 novembre 1938 recano
anche la firma di questo nostro concittadino147.
Durante il secondo conflitto mondiale la città, salvo alcune incursioni sulla linea
ferroviaria, non fu teatro di operazioni belliche. Le condizioni di vita durante il
conflitto furono molto simili a quelle del territorio circostante. Il numero di dispersi e
caduti militari e civili fu la metà di quelli della prima guerra mondiale; questo fatto va
ricondotto sia al minor numero di caduti militari italiani nel secondo conflitto, ma
anche al fatto che la realtà economica del territorio si era profondamente trasformata,
per cui molti Desiani erano impiegati in attività industriali ritenute di primaria
importanza per lo sforzo bellico e quindi tenuti lontani dalla prima linea.
Negli anni di guerra l’amministrazione comunale ebbe frequenti ricambi al vertice
anche in seguito agli sconvolgimenti politici nazionali. Nell’estate-autunno del 1943
si avvicendarono due commissari prefettizi, fino alla nomina definitiva del console
Adolfo Serbolonghi, rappresentante della neocostituita Repubblica Sociale Italiana. Il
periodo 1943-1945, come per tutto il centro-nord, rappresentò il momento di
maggiore difficoltà. Il progressivo avvicinamento del fronte aveva causato un netto
peggioramento delle condizioni di vita. L’ampia documentazione del periodo
testimonia la drammatica penuria di generi alimentari e combustibili unite
all’incertezza della situazione politico – militare. Ad aggravare la situazione contribuì
l’afflusso di elementi fascisti provenienti dalle zone occupate dagli anglo-americani
e, soprattutto, la massa degli sfollati milanesi rimasti senza tetto in seguito alle
incursioni aeree alleate. Primi tra tutti, gli edifici scolastici cessarono la loro attività e
146
Si vedano ad esempio lincendio della Cooperativa “Emancipazione” o gli scontri in occasione dell’inaugurazione
della cappella dei caduti nel 1922. CAPPELLINI 1972, p.484.
147
Il documento legislativo porta le firme di : Vittorio Emanuele, Mussolini, Ciano, Solmi, Di Revel e Lantini.
furono trasformati in ricoveri di fortuna per le famiglie fuggite da Milano; molte
famiglie trovarono sistemazione in locali requisiti d’autorità a chi possedeva un
appartamento di discrete dimensioni. Le autorità militari avevano provveduto a
sequestrare le abitazioni più ampie per dislocarvi la truppa; Villa Giussani fu sede del
comando tedesco e fu ridotta a casermaggio anche la Villa Longoni Severina di via
Lampugnani. Nella sede di Villa Tittoni già prima dell’8 settembre era dislocato un
reparto autieri e successivamente l’edificio divenne sede di reparti dell’aviazione
repubblicana.
Anche nel nostro territorio cominciavano ad emergere nella popolazione
atteggiamenti di ostilità nei confronti dei tedeschi e dei loro alleati italiani. Ad un
livello più semplice ma efficace si diffusero tra tutti gli strati sociali gesti di
solidarietà, appoggio ed aiuto verso soldati sbandati, renitenti, disertori o prigionieri
evasi dopo l’armistizio ed in cerca di una via di fuga verso il vicino confine elvetico.
In alcuni casi l’ostilità si espresse in aperta ribellione ed iniziarono così ad operare
squadre partigiane contro cui si scatenò la repressione, culminata in alcuni casi nella
deportazione o nella fucilazione.
Alla fine del conflitto giunsero a Desio gli Alleati rappresentati da reparti
neozelandesi cui seguirono i Polacchi che si insediarono nella sede di Villa Tittoni.
Nei giorni immediatamente seguenti la Liberazione ebbero luogo episodi di violenza
contro veri o presunti esponenti fascisti, culminati nell’esecuzione ad opera di gruppi
partigiani autonomi di elementi detenuti nelle locali carceri.
Nei giorni seguenti il 25 aprile l’amministrazione locale era stata assunta dal
Comitato di Liberazione che elesse alla guida del Comune un esponente di indiscussa
autorità e moralità. Enrico Novati che fu il primo Sindaco della Liberazione148.
Anche grazie all’impegno delle maestranze, l’apparato produttivo locale era passato
indenne attraverso la bufera bellica e, una volta avuta la possibilità di avere
nuovamente a disposizione combustibili e materie prime, la produzione riprese
tornando in breve tempo ai livelli prebellici e superandoli ampiamente. Nel
frattempo, anche grazie agli aiuti del piano Marshall, il livello di vita andava
lentamente migliorando giungendo a condizioni soddisfacenti all’alla fine degli anni
Quaranta.
IL SECONDO DOPOGUERRA
Per tutto il secolo era andato accelerando un processo di crescita demografica, dovuto
in gran parte all’afflusso di numerosi immigrati. Già dai primi del Novecento Desio
era diventata un punto di riferimento per gli abitanti dei centri minori dei dintorni che
erano attratti dalle opportunità lavorative offerte dagli opifici cittadini. In seguito
giunsero numerosi immigrati da aree allora meno sviluppate della regione ed in
special modo dalla Lombardia orientale. Con gli anni Cinquanta il processo conobbe
un incremento senza precedenti; migliaia di lavoratori, sfruttando le nuove
opportunità di lavoro offerte dalla crescita economica, giunsero a Desio dal Veneto e
148
ACD, 14, 22.
da molte zone del Meridione d’Italia. Il quadro produttivo del territorio affiancava
così alla tradizionale industria tessile, numerose officine metallurgiche e grandi
complessi come lo stabilimento Autobianchi.
Nel volgere di un breve arco di anni, Desio conobbe una crescita demografica, ma
soprattutto urbanistica e viaria senza precedenti. Insieme ad un netto miglioramento
delle condizioni di vita, le rapide trasformazioni provocarono anche il dissolvimento
delle strutture sociali che avevano retto per lunghissimo tempo la vita cittadina. La
rete di rapporti costituita dai grandi cortili del centro si parcellizzò nell’anonimato dei
grandi condomini o nella creazione di abitazioni unifamiliari. L’economia si
trasformò velocemente e l’agricoltura che per secoli era stata la maggiore fonte di
reddito del territorio cedette il passo a realtà nuove, basate essenzialmente sulla
grande industria e lo stretto collegamento con i centri vicini, soprattutto Milano che
attirava un sempre maggiore numero di pendolari.
Le rapide trasformazioni provocarono anche il dissolvimento dei riferimenti culturali
del passato. In breve tempo il dialetto è scomparso dalla pratica quotidiana; feste,
valori, tradizioni del retaggio contadino hanno lasciato il posto a ritualità sempre più
laiche e universali mediate attraverso i grandi mezzi di comunicazione di massa.
A livello politico in occasione delle elezioni del 1948, la Democrazia Cristiana si
presentò come il partito di maggioranza sullo scenario locale e nazionale. Le realtà
politico-amministrativa del Comune si caratterizzò per una preponderanza dei due
maggiori partiti di massa (D.C. e P.C.I.), malgrado l’amministrazione restasse
saldamente nelle mani dell’elemento moderato.
Negli anni del cosiddetto boom economico Desio ha conosciuto uno sviluppo senza
precedenti ed in special modo durante l’amministrazione guidata dal sindaco Lissoni
fu realizzata una quantità impressionante di opere pubbliche cha hanno radicalmente
trasformato l’immagine della città. Basti citare a titolo di esempio l’inaugurazione del
nuovo palazzo comunale che ospitava oltre agli uffici comunali la Pretura e l’Ufficio
Postale. Contemporaneamente erano attivati la caserma del Vigili del Fuoco, la
Scuola Media Unificata e le Scuole Elementari di via Prati e via Agnesi.
Questo quadro ha conosciuto un assestamento negli anni Settanta del Novecento,
quando in seguito a nuove ondate migratorie si è avuto un ulteriore aumento di
servizi ed abitazioni. A partire dagli anni Ottanta del secolo appena concluso il
quadro socio economico di Desio ha subito una nuova ed inaspettata trasformazione.
Le grandi aziende (Autobianchi, Gavazzi, Tilane) e molti opifici di dimensioni
medio-piccole hanno chiuso i battenti. Desio, che solo un decennio prima risultava la
città più industrializzata d’Italia, ha perso questa vocazione all’industria.
Contemporaneamente si è riscontrata una forte crescita edilizia che ha richiamato sul
territorio desiano numerose famiglie, soprattutto provenienti dalla grande città.
Alla scomparsa dell’industria è corrisposto uno sviluppo solo parziale in altri settori,
soprattutto nel terziario. Sono cresciute nuove realtà produttive legate al commercio,
all’artigianato, al credito, alla produzione di servizi, senza però richiedere un numero
di occupati pari a quello che impiegavano le grandi aziende.
Desio oggi risulta una realtà in trasformazione che, da una parte cerca di recuperare
gli elementi positivi del proprio passato, sia a livello culturale che produttivo, ma
dall’altro non vede ancora la conclusione di questo processo, chiusa fra l’ipotesi di
diventare un città dormitorio legata alla grande città, oppure un centro autonomo
inserito nella realtà della Brianza. L’utilizzo razionale delle aree dismesse
dall’industria si sta connotando come la chiave di volta per affrontare le scommesse
sociali ed economiche di un futuro dai tratti incerti.
L’ABITATO E LA SUA EVOLUZIONE URBANISTICA
ALL’INIZIO
Una veduta aerea dell’abitato attuale di Desio rivela immediatamente al suo centro, in
corrispondenza della Piazza un primitivo insediamento in cui le abitazioni e le strade
erano disposte formando un cerchio ben delineato. Questa forma tondeggiante rivela
una struttura abitativa non ascrivibile ai Romani, ma sicuramente a popolazioni
celtiche. Vista la struttura regolare, possiamo pensare ad un villaggio contornato da
palizzata adiacente alla strada principale che corrispondeva all’asse delle attuali via
Garibaldi e corso Italia. Il cuore di questo insediamento, corrispondente all’attuale
piazzetta antistante la chiesa di Santa Maria, sembra essere costituito dall’acqua che
qui dava origine a diversi pozzi utilizzati fino ad epoche recenti.
IL "CASTRUM”
Il sistema viario precedentemente descritto è quello risalente all'epoca romana, ma a
fianco di questo tracciato sembra però possibile rilevarne un secondo. Guardando la
tavoletta dell'Istituto Geografico Militare risalente alla fine del secolo scorso, è
evidente che Desio sorgeva nell'angolo compreso tra la strada Milano-Nova-Carate e
quella proveniente da Cinisello e Muggiò che proseguiva poi per Seregno lungo
l'attuale corso Italia; proprio nel punto d'incontro dei due segmenti era collocata la
località di San Pietro al Dosso [TAVOLA 3]
La dislocazione "strategica" dell'abitato sembrerebbe sottolineata anche da una
struttura urbana molto interessante. Se si osserva con attenzione la fisionomia del
borgo come raffigurato nella mappa settecentesca [TAVOLA 4], si noterà
sicuramente una disposizione delle vie che forma un quadrilatero oggi non più
esistente. La struttura è molto regolare e non sembra affatto fortuita, vista la linearità
e la coerenza urbanistica del progetto.
Il perimetro del quadrilatero corrisponde alle attuali vie Portichetto, Case Nuove,
Belingeri, piazza Martiri di Fossoli, Roma e Ghiacciaia; quest'ultima si ricongiungeva
al punto di partenza con un tratto oggi compreso nel giardino della Casa
Provincializia. La struttura interna, semplicissima, è data da due vie che si incontrano
perpendicolarmente in prossimità di piazza Cavour. Tutto l'insieme farebbe pensare
ad un centro fortificato; la linearità del percorso sembrerebbe rivelare la presenza di
un centro abitato di piccole dimensioni, chiuso da un sistema difensivo, la cui
eliminazione ha lasciato nella disposizione delle vie il ricordo dell'antico perimetro
urbano. Forse è questo un successivo nucleo urbano costituitosi con l’arrivo dei
Romani: piccolo, regolare ed articolato intorno ad uno spiazzo centrale munito di
fossa per la raccolta delle acque.
IL BORGO
Sia consultando carte storiche, sia osservando direttamente la dislocazione di vie ed
edifici, è possibile ancora oggi individuare come doveva presentarsi la forma del
borgo alle soglie dell’età moderna [tavola 5]. Come si può ben vedere dalla riprese
del satellite vediamo il quadrilatero “romano” semplicemente accostato all’antico
“cerchio” celtico. Nuove situazioni, penso legate allo sviluppo sociale e demografico
imposero una nuova sistemazione dell’abitato.
Esattamente come successe nella Milano imperiale, l’abitato prese una forma
trapezoidale. In tal modo si creò un borgo con una struttura che si conservò fino al
XVIII secolo. Nella parte sinistra dell’abitato che sommava i precedenti insediamenti
si concentrarono tutti i servizi e le attività artigianali, mentre in quella orientale,
aperta, trovano sistemazione le abitazioni dei servi dando origine al quartiere della
Vigana.
Alcuni studi hanno permesso di stabilire che la struttura dell’abitato era stata
disegnata in funzione del reticolo della centuriazione romana e in alcuni punti di
snodo del reticolo territoriale dovettero essere posti dei cippi di riferimento. Questi
punti in seguito furono trasformati dalla pietà popolare in località di natura religiosa
con la costruzione di cappelle che un tempo costellavano la campagna. San Pietro al
Dosso, il Foppone del camposanto, la Bria, la cappella di santa Eurosia risultano così
occupare spazi non casuali ma legati all’antica ripartizione del territorio149.
Percorsi di una certa importanza dovevano essere il prolungamento di via Pozzo
Antico e la via che passava dalla cappella di santa Eurosia che proseguiva verso Nord
lungo le attuali vie Milite Ignoto e Tarra che allora, come possiamo vedere dalla
carta, [TAVOLA 6] erano congiunte e proseguivano rettilinee fino a congiungersi
con la via Due Palme. Il fatto interessante è che al punto d'incrocio delle due strade si
trova via Grigna, il luogo dove sono stati recuperati i resti di un antico sepolcreto,
posto dunque in un luogo non casuale.
LA VIGANA
Il quartiere orientale, conosciuto da tutti come Dügana, è documentato nelle carte più
antiche nella forma di Vigana. Come sappiamo dagli storici antichi, i Galli non
risiedevano in centri fortificati, ma perlopiù in villaggi aperti denominati vici. È
proprio nel termine vicus = luogo aperto che va ritrovata l'etimologia del toponimo
Vigana: un nucleo abitativo aperto in contrapposizione con una parte fortificata =
pagus, burgus, castrum. Forse in questo modo si spiegano finalmente le tensioni tra
Piazza e Vigana che hanno caratterizzato per secoli la vita cittadina. Desio risulta
essenzialmente la somma di due quartieri, quello fortificato dei padroni Celti,
Romani, Longobardi o altri che fossero e quello dei servi abitanti sulle proprietà
comuni dei possessores loci, denominate appunto Vigana, cioè "beni comuni".
Due gruppi in rivalità, due chiese spesso in aperto conflitto tramite le locali
confraternite. Le tensioni tra abitanti della Piazza e della Vigana nascerebbero
dunque da un'antica divisione urbanistica e sociale degli abitanti di Desio.
IL MEDIOEVO
La funzione di controllo e difesa rivestita dalla pieve medioevale, contribuisce a
formare un'immagine indicativa della nostra città. Anche le fonti relative alla
149
BRIOSCHI 1995, pp.11ss.
battaglia di Desio ci sostengono in questa opinione: Desio nel XIII secolo era
circondata da un rudimentale sistema difensivo150.
La palizzata che cingeva le abitazioni era preceduta da una trincea e la terra di riporto
ottenuta dallo scavo era posta lungo un lato, creando così dapprima un avvallamento
(vallum) e successivamente un rialzo (agger), utile ad ostacolare l'avvicinarsi di
truppe ostili ed a bloccare cariche di cavalleria. Non bisogna però pensare che il
sistema di fortificazione fosse molto sofisticato; probabilmente consisteva in una
palizzata, rinforzata alla base da un ammasso di pietre. A detta di alcune fonti che
ricostruiscono la dinamica della battaglia, la difesa era assicurata da un
camminamento che correva lungo il perimetro della fortificazione e da altane
angolari, utili per la difesa e l'osservazione151.
Nella cinta si aprivano quattro accessi principali o porte. La Porta Domasca di Sopra,
a nord, sorgeva nel tratto finale di corso Italia, all'altezza di via Roggia Traversi. Sul
versante opposto, quello sud, l'accesso era garantito dalla Porta Domasca di Sotto,
posta in prossimità dello slargo tuttora denominato "Foppa". Il lato ovest risultava
molto più breve, in quanto la porta verosimilmente denominata "Bovisasca" si
trovava presso lo slargo iniziale di via Matteotti. L'accesso orientale era invece
garantito da una porta collocata in piazza Cavour, località denominata nei documenti
quattrocenteschi "Ponte delle Assi" o "Pissina Morniga".
Molto probabilmente nella palizzata dovevano aprirsi due aperture secondarie
(pusterle): allo sbocco di via Pozzo Antico, in direzione della cappelletta di santa
Liberata, ed allo sbocco della via Portichetto che originariamente si congiungeva con
vicolo Ghiacciaia. É inutile ricordare che di queste strutture (mura e porte) non è
rimasta alcuna traccia; la loro ubicazione è ricavabile solo in via ipotetica dall'analisi
della disposizione delle vie o dai confini delle proprietà desumibili da mappe antiche.
Il reticolo viario interno al borgo era naturalmente molto semplice. Le quattro vie che
si diramavano dalle porte (Italia, Matteotti, Garibaldi, Pio XI) si incrociavano sulla
piazza principale. Solo poche altre vie collegavano le zone interne del borgo (XXIV
maggio, Pozzo Antico, Mercato, Portichetto) oppure seguivano il perimetro della
cinta (Belingeri, Case Nuove, Olmetto, Forno Vecchio). L'asse viario principale
rimaneva quello costituito dalle vie Italia-Garibaldi che metteva in comunicazione
con Milano. Molto probabilmente in epoche successive fu realizzata la via che ancora
nel nostro secolo portava il nome di Circonvallazione (=via Grandi).
Mancano indicazioni sul tracciato preciso della via Milano, ma a quanto sembra
doveva esistere anche in secoli assai lontani, infatti, come abbiamo visto, nella
cappellina dedicata alla Madonna del Pilastrello si deve ravvisare il ricordo di una
colonna miliare romana. Dalle arterie principali si diramava una serie di percorsi
secondari che mettevano in comunicazione con i centri vicini. Questi tracciati oggi
sono diventate ampie strade asfaltate o si sono ridotti al rango di sentieri campestri.
Non tutti gli abitanti del borgo vivevano all'interno della cinta; già i documenti più
antichi attestano la presenza di insediamenti in zone periferiche. A nord un primo
150
151
La struttura dell’abitato in epoca medioevale è stata analizzata da: BRIOSCHI 1991.
Annales Placentini, pp.564s
centro era costituito dalla chiesa di san Pietro al Dosso e dall'annesso piccolo
convento dei frati Serviti posto sulla via Due Palme, in prossimità della confluenza
con corso Italia.
Il nucleo extraurbano più importante risultava però essere la contrada Vigana =
Dogana, cresciuta attorno alla chiesa di san Bartolomeo e centro della popolazione
dedita ai lavori rurali. Poco discosto dalla Vigana si insediarono nel XIII secolo i frati
Minori Conventuali di san Francesco che costruirono un piccolo convento, eretto,
secondo la tradizione, dallo stesso sant'Antonio da Padova.
La testimonianza della presenza di abitazioni fuori dalle mura è inoltre testimoniata
dal toponimo "Borghetto" che nel Medioevo indicava appunto tali tipi di
insediamenti. Più distante si era insediata la comunità di san Giorgio, stretta intorno
all'antico ospedale. A questo proposito vorrei osservare che voler derivare il
toponimo "Carendone" da "cardo" e da qui dedurre un insediamento romano come
qualcuno ha proposto è assolutamente infondato ed arbitrario. Sembrerebbe più
verosimile un'etimologia vicina a "strada dei carri" o "carrabile".
La toponomastica cittadina per il periodo anteriore al XIX secolo è molto ridotta;
oltre ai nomi di alcune porte troviamo in due pergamene quattrocentesche i termini
Vigana e Foppa, rimasti inalterati fino ai giorni nostri. Documenti più antichi
attestano invece l’esistenza della contrada detta comunemente Büsasca. Più
complessa risulta la toponomastica rurale: molte delle località ricordate nei contratti
agricoli non possono essere localizzate con sicurezza: Scernasca, Vignate, Prato
Casale, Gazinago, Brugaria, Ronchetti, Noce di San Giovanni, Roncore.
LA FINE DEL BORGO
Quando sia stata eliminata la palizzata, passando da un borgo chiuso all'attuale
struttura aperta, non ci è dato sapere con sicurezza. Molto probabilmente questo
importante cambiamento va collegato ad un altro fatto parimenti radicale se
proporzionato all'epoca: la costruzione della Roggia. Questo modesto canale fu
realizzato alla fine del XIV secolo da Bernabò Visconti per favorire territori soggetti
a famiglie sue alleate, ma l'acqua della Roggia permise per secoli ai contadini di
irrigare i campi sotto lo stretto controllo dei proprietari.
Il corso d'acqua in questione abbracciava anche il quartiere periferico della Vigana,
rendendo superflua la vecchia cinta. Molto probabilmente per lo scavo fu utilizzato il
tratto Nord della trincea e pertanto le altre parti furono interrate, trasformandosi in
alcuni casi in vie (San Pietro, Laghetto).
Questa nuova organizzazione del territorio è ancora più interessante perché
documenta l'espandersi del territorio demaniale. Per tutto il Trecento si assiste al
progressivo allargarsi della grande proprietà terriera, specialmente quella
ecclesiastica, e del demanio che trasformò il territorio in riserva di caccia.
Questo fatto comportò l'espandersi delle aree incolte o boschive, forse anche per la
contrazione della popolazione in seguito alle epidemie del Trecento. L'istituzione
della riserva ducale di caccia condizionò pesantemente l'economia desiana,
costringendo i contadini, come testimonia una grida quattrocentesca, a cacciare di
frodo gli uccelli per sfamarsi durante i mesi invernali.
Da questa situazione per molti versi contraddittoria si origineranno quelle dinamiche
che porteranno ad un lento ma progressivo sviluppo nel secolo seguente.
LA ROGGIA DI DESIO
Note storiche152
CHIARE, FRESCHE E DOLCI
ACQUE
L'immagine di un corso d'acqua che
fluisce attraverso la campagna evoca
generalmente idee di pace e libertà; se
questo è vero in generale, non si può
dire altrettanto nel nostro caso. Per
quasi seicento anni le nostre campagne
sono state attraversate da un canale
artificiale, la Roggia, la cui importanza
economica e giuridica contrastava
violentemente con la sua effettiva entità.
Durante questi sei secoli la Roggia di
Desio, forse, più che di acque, è stata
una fonte inesauribile di controversie
giudiziarie lunghissime. Anche se a
prima vista può sembrare impossibile, la
copiosa mole di documenti che la
riguardano è esclusivamente di natura
giuridica e forse le sue acque più che
arricchire i raccolti, hanno contribuito
ad impinguare gli onorari dei tanti
avvocati, notai e tecnici che si sono
occupati di questa intricata vicenda.
In queste poche pagine cercheremo di
comprendere le vicende che portarono
al suo scavo; l'utilizzo e gli abusi che se
ne fecero ed infine il suo progressivo
declino fino alla definitiva scomparsa
nel nostro secolo. Invito solo il paziente
lettore a cogliere in questo marasma di
carte bollate lo sforzo costante dei
Desiani che furono, di contrastare gli
egoistici interessi dei detentori di questa
risorsa, per donare all'acqua la sua vera
essenza di bene naturale ed usufruibile
da tutti.
IL CORSO
152
Il capitolo riprende BRIOSCHI 1994.
Come si è potuto stabilire, oltre
all'utilizzo, il corso stesso della Roggia
subì profonde trasformazioni nel tempo.
A partire dal secolo scorso la Roggia
era rifornita di acque da una ventina di
sorgenti.
Un primo gruppo era composto dalle
fonti denominate Acqua Negra, Prada,
Segrada, Bassone, Fontanile di
Novedano e Fontanile di Casnate, che
unitamente ad altre secondarie, davano
vita ad un primo tronco detto dell'Acqua
Negra. Invece le sorgenti Luisaga,
Fontanone e Fontana Rossa creavano il
ramo detto Luisaga. Questi due tronconi
iniziali poi confluivano creando la
Roggia propriamente detta.
Per aumentare la portata del canale nei
secoli XVII e XVIII furono creati degli
incastri in modo che la Roggia
confluisse per ben otto volte nel fiume
Seveso, per poi uscirne arricchita di
acque altrettante volte. Dall'ultima
uscita, quella di Lentate, le acque della
Roggia si staccavano definitivamente
dal Seveso e fluivano lentamente fino
alla periferia meridionale di Desio dove
irrigavano una vasta area denominata
Prati, il cui nome è chiaro indice
dell'utilizzo del suolo a foraggio.
Originariamente la Roggia, oltre alle
venti sorgenti, utilizzava un'altra fonte
di maggiori dimensioni: il lago di
Montorfano; le acque del lago,
fuoriuscenti da un'apposita apertura,
scendevano alimentando il cavo della
fontana Segrada e successivamente
quello dell'Acqua Negra.
Tale fonte di approvvigionamento
venne meno in quanto i conti Mandelli,
proprietari del lago, si rifiutavano di
fornire gratis le loro acque agli utenti
della
Roggia.
Malgrado
una
convenzione stipulata in proposito nel
1704 tra i signori del luogo ed il conte
Cusani, l'erogazione terminò già nei
primi anni del XVIII secolo ed i vari
fontanili rimasero le uniche sorgenti
della Roggia. A riprova di tale origine,
l'ingegner Ferrari ricorda che nei primi
dell'Ottocento furono asportati due stivi
collocati sui bordi del lago, in
prossimità di una cascina detta appunto
dell'
Incastro.
La Roggia, dotata di un corso più
precipitoso nel tratto iniziale, inoltratasi
nel territorio, rallentava gradatamente la
sua corsa anche in seguito al fatto che
l'immissione nelle acque del Seveso
provocava lo spostamento di ghiaia e
materiale vario, tanto da rendere più
lento il suo corso. Tale fatto fu indicato
come uno dei maggiori inconvenienti ad
un razionale utilizzo delle acque, che in
tal modo perdevano velocità e potenza
per azionare i numerosi mulini esistenti
lungo il suo corso. La larghezza
dell'alveo era molto irregolare; variava
da due metri e mezzo nel tratto iniziale
ad un metro nel territorio di Cesano. La
lunghezza totale, dopo gli interventi del
secolo scorso, era di ventiquattro
miglia, pari a circa quarantadue
chilometri.
LE ORIGINI
I diversi ingegneri che effettuarono
relazioni tecniche sulla Roggia nel
corso dei secoli XVIII e XIX
dedicarono il primo capitolo della loro
opera alla storia del canale. Citando
ampiamente l'uno dall'altro, tutti i
documenti fanno risalire la costruzione
della Roggia all'opera di Bernabò
Visconti, che avrebbe portato a termine
i lavori nel 1383.
Questa informazione, suffragata anche
dal grande storico milanese Giorgio
Giulini, non indica il motivo per cui fu
realizzata quest'opera che, considerata
l'epoca, dovette costituire un indubbio
impegno economico e tecnico. Nelle
relazioni dei periti la motivazione
dell'impresa,
rifacendosi
ad
un
documento del 1642, viene ricondotta al
desiderio di allietare i soggiorni desiani
del Duca e della corte. La presenza di
Bernabò a Desio è storicamente
documentata, ma fissare con esattezza
l'ubicazione della sua residenza è ardua
impresa. In passato si sono voluti
erroneamente identificare i resti del
castello visconteo in alcuni falsi ruderi
posti nell'attuale parco comunale, ma in
qualsiasi caso, la residenza doveva
trovarsi in un punto compreso tra il
parco e la piazza Martiri di Fossoli.
L'ingegner Ferrari nella relazione del
1811, lascia addirittura intendere che la
piazza
in
questione
fosse
originariamente uno specchio d'acqua,
rifornito da una fossa ricordata dal
toponimo via Laghetto.
Esigenze estetiche o ricreative ebbero
certamente il loro peso, ma la vera
natura di questo corso d'acqua mi
sembra debba essere cercata altrove. Il
fatto più importante è che questo canale
fin dalle origini ebbe una natura
ambigua;
realizzato
dall’autorità
pubblica, sicuramente con l'apporto
economico e materiale dei contribuenti,
fu sempre sfruttato dagli utenti come un
bene privato del quale furono sempre
gelosamente conservati i diritti.
Già dai primi documenti che risalgono
agli inizi del Quattrocento, emergono i
poteri detenuti dai signori locali
sull'utilizzo delle acque per irrigare i
propri fondi e, naturalmente, impedire
ad altri di fare altrettanto. Tra coloro
che ebbero maggiori vantaggi dalla
costruzione della Roggia ci furono i
Porro, feudatari di Lentate, località in
cui
la
Roggia
si
distaccava
definitivamente dal fiume Seveso.
Sappiamo che nel 1408 Antonio Porro
utilizzava ampiamente le acque della
Roggia per irrigare i suoi prati; lo scavo
sembra
proprio
aver
favorito
direttamente questa potente famiglia e,
visti gli strettissimi rapporti tra i Porro e
la
corte
viscontea,
un
atto
deliberatamente pensato in loro favore
appare un dato verosimile. Se si
considera un ulteriore particolare, il
quadro della vicenda apparirà ancora
più chiaro: la favorita del duca,
Donnetta, era appunto una Porro ed un
gesto di estrema benevolenza nei loro
confronti appare alquanto naturale.
Controllando le lettere ducali date da
Desio, si può notare che Bernabò si
portava frequentemente nella nostra
città, ma per periodi brevissimi,
perlopiù di una giornata, in quanto il
giorno precedente e quello successivo il
Duca risultava in altri luoghi. Una
spiegazione, forse semplice, ma
verosimile è che Desio possa essere
stata la dimora abituale di Donnetta. In
tal modo si spiegherebbero le frequenti
e rapide visite di Bernabò e pertanto la
Roggia, oltre ad abbellire la residenza di
Donnetta, ebbe a favorire enormemente
la sua famiglia, rendendo irrigui molti
fondi di loro proprietà.
Ravvisare lo stretto legame tra Bernabò
e Desio in una figura femminile,
potrebbe inoltre spiegare il fatto che i
successivi duchi di Milano non ebbero
mai a soggiornare nella nostra città.
Certamente
per
una
semplice
coincidenza questo strano legame tra i
duchi di Milano, le loro favorite e Desio
ebbe a ripetersi nel 1476, quando
Galeazzo Maria Sforza fece dono alla
contessa Lucia Mariani delle pievi di
Desio e Mariano, ma nel 1386 Gian
Galeazzo Visconti donò alla moglie
Caterina il castello di Carimate ed i
relativi diritti sulla Roggia.
Prescindendo da quanto detto, lo scavo
della Roggia deve essere considerato
nel contesto più ampio dell'economia
tardo trecentesca. Il forte calo
demografico dovuto alle ricorrenti
epidemie e la massiccia richiesta di
manufatti lanieri spiegano l'esigenza di
sostituire
le
colture
cerealicole
tradizionali (frumento, segale, miglio),
idonee per suoli asciutti come il nostro,
con la produzione di foraggio; infatti i
documenti concordano nel riferire che
le acque della Roggia erano lasciate
fluire a rotazione nei campi per favorire
la
crescita
dell'erba
destinata
all'alimentazione animale. Ovviamente,
data la limitatezza dell'opera, questa
iniziativa non mutò radicalmente i
sistemi produttivi tradizionali, ma
contribuì a variegare il quadro
economico della zona, permettendo
l'allevamento di alcuni capi di bestiame.
Bisogna inoltre sottolineare che i vari
signori del luogo, in seguito allo scavo
della Roggia, investirono i loro capitali
nella costruzione di numerosi mulini.
Come in altri luoghi, la macinatura
privata delle granaglie dovette essere
vietata, obbligando in tal modo i
contadini a servirsi del mulino signorile
ed a pagare tale prestazione con
un'ulteriore quota del raccolto. Inutile
aggiungere che in un'epoca in cui i
feudatari esercitavano sul territorio
diritti e prerogative di natura pubblica,
il controllo delle operazioni di molitura
forniva un sicuro strumento per
verificare il reddito dei contribuenti e di
conseguenza l’entità del loro gettito
fiscale.
IN CLIMA DI PRIVATIZZAZIONI
Il duca di Milano Giovanni Maria
Visconti nella costante ricerca di liquidi
per sostenere le continue spese, ricorse
alla pratica di alienare beni pubblici a
privati. Il 22 aprile 1409 la Roggia di
Desio e il fiume Seveso furono venduti
a Giovanni Fossano; la Roggia cessava
così di essere un corso d'acqua almeno
formalmente pubblico per rientrare nella
sfera del diritto privato. La cessione fu
poi confermata ai fratelli Fossano, eredi
di Giovanni, da parte di Filippo Maria
Visconti nel maggio 1416.
Nel 1429 avviene un nuovo e
significativo passaggio: la Roggia passò
ai conti Rho che la conservarono fino al
1638; questa famiglia, desiderosa di
sfruttare appieno il possesso, intentò
una copiosa serie di cause per
preservare ed allargare i diritti goduti.
Nel 1429 Francesco Rho fece sancire
dalla magistratura i suoi diritti di
allargare e spurgare l'alveo e ribadì di
essere l'unico utente autorizzato a porre
in opera chiuse od incastri di qualsiasi
genere. L'ossessivo ripetersi nei
documenti di espressioni del tipo:
Riportare la Roggia allo stato in cui
trovavasi al tempo in cui fu costruita da
Bernabò Visconti denota che in quei
decenni erano state realizzate numerose
opere abusive da parte dei possessori
dei fondi affacciantisi sulla Roggia.
I medesimi diritti furono ribaditi nel
1442 all'erede, il conte Paolo Rho, che
intentò numerose cause per l'uso delle
acque anche contro altri signori come i
Porro, i Visconti o l'abbazia di
Vertemate.
Non conosciamo con precisione i
dettagli, ma il conte Paolo aveva
l'intenzione di trasformare radicalmente
il corso della Roggia per utilizzarla in
modo più sistematico per i propri fini. Il
progetto
prevedeva
molto
verosimilmente la costruzione di diversi
mulini che avrebbero ridotto il volume
d'acqua fluente nell'ultima parte del
canale. I comuni di Meda, Cesano,
Seregno, Baruccana, Desio, Lissone,
Muggiò e Nova, rappresentati dai
rispettivi Sindaci, inviarono una
supplica al duca Filippo Maria Visconti,
invitandolo a voler far desistere il conte
Paolo dal progetto di trasformazione
della Roggia. Le motivazioni addotte
erano quanto mai semplici ed efficaci: I
detti supplicanti hanno ora inteso che
dal detto Paolo si costruiscono alcuni
mulini sulla detta Roggia, la quale se
non scorresse più sono diecimila
pertiche e più di terra le quali
rimangono incolte, che non possono
essere lavorate a causa dell’aridità e
della siccità che domina, né'le persone
possono vivere a causa di ciò; inoltre i
Vostri frutti se non si lavorano e non si
può produrre fieno per dare alle bestie
et le entrate dei dazi della dominazione
Vostra diminuiscono ogni giorno se non
vi sono biade e grani.
Nel novembre del 1441 si giunse così
ad una convenzione tra il conte, i
comuni e la Camera Ducale circa
l'utilizzo della Roggia. Inutile dire che il
Rho,
avvalendosi
della
propria
posizione, riuscì a vendere la rinuncia al
suo progetto con accordi e condizioni
che ne sancivano ulteriormente il
prestigio e l'autorità.
In base al principio dell'immunità attiva,
Paolo Rho, dietro il versamento di
sessantaquattro lire imperiali, ottenne
l'esenzione fiscale completa per tutto il
fieno prodotto con le acque della
Roggia e per tutti i cereali macinati nei
mulini posti lungo il suo corso.
Naturalmente questo diritto ceduto dallo
stato veniva esercitato dal Rho che
poteva imporre in proprio a tutti i
contadini il pagamento di tali imposte.
L'esenzione non riguardava solo il
grano macinato, ma anche le persone
fisiche dei mugnai, rendendo pertanto la
costruzione di nuovi mulini un lucroso
investimento, libero da carichi fiscali di
alcuna sorta.
In riferimento ad una precedente
sentenza del 1436 fu sancito il divieto
assoluto di prelevare acqua dalla Roggia
senza il consenso del Rho ed un
conseguente esborso. Risulta ancora più
scandaloso il fatto che lo stato si limitò
a tutelare i propri interessi, consentendo
il libero prelievo di acque alla comunità
di Carimate perché appartenente alla
camera Ducale, cioè al demanio; in tal
modo l'amministrazione pubblica lasciò
mano libera al Rho, riservandosi una
discreta quota di profitti.
Per il controllo degli accordi presi fu
istituita la figura del camparo, un
pubblico ufficiale, stipendiato dal Rho,
che aveva l'incarico di individuare
eventuali abusi e denunciarli all’autorità
competente. Le sue relazioni dovevano
essere corredate dalla deposizione di un
testimone che non fosse un camparo; le
multe eventualmente inflitte andavano
divise a metà tra il Rho e la Camera
Ducale.
Un esempio ulteriore di asservimento
del pubblico al privato è la questione
dei ponti. Le strade, uno dei maggiori
servizi collettivi, vennero considerate
unicamente degli inconvenienti che
attraversavano la proprietà della
Roggia, pertanto la costruzione e la
manutenzione di tutti i ponti sulla
Roggia erano a totale carico dei comuni
interessati.
Ancora nel 1476 le comunità di Desio,
Seregno e Cesano inoltrarono una
supplica per ottenere di poter prelevare
acqua dalla Roggia, ma non ebbero
risposta positiva. Chiuso nella difesa dei
propri privilegi, il consorzio degli utenti
non si fermò neppure di fronte al clero;
nel 1577 intentò contro i canonici
l'ennesimo processo per prelievo
abusivo di acque. Nel corso di
numerose deposizioni, i canonici
cercarono di dimostrare che fin dagli
inizi del secolo l'accesso alle acque
della Roggia era libero; non conosciamo
l'esito della vicenda giudiziaria, anche
se
sembrerebbe
maggiormente
probabile una sentenza sfavorevole ai
membri della collegiata.
Nel 1635 fu pubblicato un editto che fa
ben comprendere a quale punto fosse
giunto il desiderio ostinato di voler
preservare privilegi e immunità. Il
documento in questione stabiliva le
pene a cui erano soggetti coloro che
avessero infranto le norme relative
all'utilizzo delle acque della Roggia. Per
il prelievo abusivo era prevista una pena
di trecento scudi, da destinarsi per due
terzi al fisco e per la restante parte
all'accusatore. Qualora il contravventore
avesse usato la forza, erano previsti tre
anni di detenzione sulle galere. Per
danni, verosimilmente frane dovute al
passaggio dei carri, era stabilita
un'ammenda di dieci scudi per le
persone e cinque per gli animali.
Questi
provvedimenti
penali
rappresentarono
un
notevole
deterioramento del diritto, perché non
era più ritenuta necessaria
la
deposizione di un testimone, in quanto
faceva testo la sola deposizione del
camparo; possiamo certo immaginare
quali abusi poté produrre una modifica
di questo genere. Per eventuali offese al
camparo nell'esercizio delle sue
funzioni era prevista un'ammenda di
cinquanta scudi o tre tratti di corda;
quest'ultima indicazione ci mostra
inequivocabilmente quanto spesso le
persone coinvolte in discussioni con i
campari fossero poveri agricoltori privi
dei mezzi per pagare multe. Qualora i
contravventori fossero stati inabili o
donne, era previsto l'esilio o la
fustigazione.
CONFISCHE E PRIVATIZZAZIONI
Il 23 agosto 1638 moriva senza eredi
diretti il conte Alessandro Rho. Come
prescritto dalla normativa vigente,
subentrò l’autorità pubblica che
incamerò tutti i beni del defunto; in tal
modo la Roggia dopo più di duecento
anni tornava ad essere un bene
pubblico. Questo fatto non migliorò
affatto la situazione; per prima cosa
vennero rinnovate con un editto a
stampa tutte le sanzioni pecuniarie e
corporali di cui si è detto. Approfittando
anche della mancanza di un controllo
efficace in loco, i vari possidenti si
legarono in una sorta di corporazione,
gli Utenti, che si sostituì ai Rho,
esercitandone i diritti con la medesima
spietatezza.
Nel gennaio 1639 il comune di Desio
chiese di poter liberamente prelevare
acqua dalla Roggia, ma per tutta
risposta nell'aprile dello stesso anno il
Magistrato Camerale invitò l'ingegner
Cesare Osio ad ispezionare la Roggia.
L'obiettivo dell'Amministrazione era
quello di ripristinare la situazione
precedente, eliminando tutti gli abusi
effettuati durante il periodo in cui era
mancato un controllo efficace. Fu così
effettuata una prima ispezione che mise
in luce le migliorie più urgenti, stimate
in 2.300 lire, regolarmente appaltate e
dedotte dall'eredità. Ovviamente lo
scopo era quello di presentare un
prodotto da collocare sul mercato che
potesse fruttare in modo adeguato.
Per regolarizzare la situazione ed
estirpare gli abusi, fu indetto un
convocato di tutti gli utenti della
Roggia, dove gli interessati avrebbero
dovuto produrre la documentazione
relativa ai loro diritti; per tutti i
contumaci fu ordinata l'immediata
otturazione delle prese di acqua da loro
utilizzate. Nel 1642 la vertenza fu
conclusa in modo tale da sembrare
definitivo. la Roggia ducale fu
dichiarata solennemente de regalibus e
pertanto appartenente al fisco che ne
sottopose
l'amministrazione
al
magistrato ordinario nella persona del
questore
Dugnani,
coadiuvato
dall'ingegner Osio. Furono riconosciuti i
diritti vantati da molti possidenti; tra
quelli del tratto superiore (dalle fonti a
Lentate) risultarono: il barone Porta,
Plinio Odescalchi, i fratelli Raimondi, il
prevosto di Fino, il Collegio Gallio,
Francesco Camucio, Ottaviano e
consorti Visconti di Carimate, gli
Odescalchi, il rev. Porro ed i Padri
Predicatori di san Pietro Martire. Come
utenti
inferiori
vennero
invece
riconosciuti: Pietro Antonio Porro, i
fratelli Arese, il monastero di san
Francesco di Desio, Giulio Fererio,
Pietro Antonio Marchesini cui successe
l'Ospedale Maggiore di Milano, i fratelli
Confalonieri ed infine il conte Carlo
Borromeo.
Furono annullati i presunti diritti
dell'Ospedale di Como e si stabilì che le
acque della fontana dell'Acqua Negra
facevano parte integrante della Roggia e
pertanto cadevano i diritti vantati su di
essa dai Padri di san Carpoforo di
Como. Tutti gli utenti furono chiamati a
contribuire proporzionalmente alle
spese di mantenimento, mentre ogni
mulino avrebbe dovuto fornire dodici
giornate di manovale. L'anno seguente
gli Utenti nominarono Giulio Gaggiano
camparo per il tratto superiore e per
quello inferiore Pietro Consonni, al
quale subentrò nel 1676 Giovanni
Battista Tagliabò di Desio. Inizialmente
i due campari erano stipendiati
direttamente dalla Camera Ducale, ma
solo dopo pochi anni, in seguito
all'alienazione, tale onere fu a carico
degli utenti
L'intervento pubblico sortì l'effetto di
dividere i possidenti in due gruppi
perennemente in contrasto tra loro; in
particolare
gli
utenti
inferiori
denunciavano abusi da parte dei
proprietari affacciantisi sul tratto
superiore della Roggia che a loro dire,
con un uso immoderato delle acque,
privavano soprattutto Cesano e Desio di
una risorsa così importante. I contrasti
degenerarono fino all'arresto del
mugnaio del Collegio Gallio e di
Stefano Ballino, mugnaio del barone
Porta. Venne inoltre regolamentato
l'utilizzo della chiusa di Carimate, in
quanto gli uomini del borgo avevano
preso alla lettera gli accordi del 1441
che li autorizzavano a prelevare
liberamente le acque.
Nel 1651 la questione ebbe una svolta
decisiva: la Regia Camera mise
all'incanto i beni dell'eredità Rho. È da
notare che il bando dell'asta fu
pubblicato dodici anni prima; questo
lungo intervallo di tempo è forse
spiegabile
con
il
tentativo
dell'amministrazione centrale di offrire
all'eventuale acquirente un bene
razionalizzato ed economicamente
appetibile. La gara fu vinta da Hermes
Visconti che acquistò per la cifra di
75.000 lire la massa dei beni Rho,
comprendente 1.050 pertiche di terra, la
casa da nobile, due mulini e le acque
della Roggia di cui però il tribunale si
riservò l'amministrazione. Entro l'anno
tutti i beni descritti passarono in
proprietà al marchese Ferdinando
Cusani.
PUBBLICO O PRIVATO ?
Con l'amministrazione Cusani la
vicenda si complicò ulteriormente,
creando una situazione estremamente
ambigua, destinata poi a perpetuarsi. La
Roggia era un bene privato, ma
formalmente
soggetto
all'amministrazione dello stato; in tal
modo i proprietari tendevano a sfruttare
le acque e ad ampliare i loro diritti,
mentre d'altro canto riversavano
sull'amministrazione centrale una marea
tale di problemi e controversie da
rendere letteralmente impossibile la
gestione.
Su richiesta degli utenti inferiori, nel
1680 fu effettuata una nuova relazione
tecnica condotta dal conte di Vailate e
dall'ingegnere camerale Andrea Bigatti.
Naturalmente l'ispezione portò alla
scoperta di numerose bocche abusive
realizzate con tutti i mezzi, compresi
canaletti sospesi in legno. Le
disposizioni che furono emanate
rimasero praticamente lettera morta;
tutti gli utenti accamparono scusanti e,
come il prevosto di Fino, negarono di
aver introdotto novità e fecero
riferimento a consuetudini precedenti
per giustificare il loro operato.
Insoddisfatti dei risultati ottenuti, gli
utenti inferiori, Cusani e Borromeo in
testa, organizzarono a proprie spese una
nuova ispezione condotta dall'ingegnere
Agostino
Regaglia
nel
1687.
L'operazione fu poi ripetuta nel maggio
1700 dall'ingegner Robecchi che lasciò
un voluminoso manoscritto con i
risultati del rilevamento. Forti della
documentazione scritta, gli utenti
inferiori denunciarono a più riprese la
riapertura di incastri abusivi già
precedentemente otturati.
In base ai dati raccolti si poté stabilire
che originariamente la Roggia defluiva
dal Lago di Montorfano; in tal modo si
aprì una cavillosa vertenza con i conti
Mandelli, proprietari dello specchio
lacustre per ottenere la riapertura delle
chiuse otturate da tempo.
Malgrado
una
prima
sentenza
sfavorevole che lo obbligò a riaprire le
bocche del lago ed una convenzione con
il Cusani, il conte Mandelli riuscì in
breve tempo a riportare la situazione
allo stato precedente. Con una sentenza
degna di Pilato, il 13 luglio 1707 il
tribunale dichiarò che tutti i diritti
goduti dagli utenti inferiori prima
dell'alienazione dei beni Rho erano
decaduti, pertanto la Roggia avrebbe
dovuto continuare ad essere alimentata
solo dalle sorgenti e non dalle acque del
lago. Il giudice sanzionò un dato di
fatto; il fisco non aveva più alcun
interesse diretto nella vicenda della
Roggia, quindi la sua gestione fu
delegata agli utenti riuniti in consorzio,
salvo restando l'impegno assunto dal
Cusani al momento dell'acquisto di
fornire acqua a tutti. Senza eccessivi
strappi, gli utenti si trovarono così a
disporre liberamente di un bene che,
almeno formalmente, era gestito dal
demanio, come sancito in una sentenza
di soli due anni prima. Agli inizi del
XVIII secolo il consorzio tra i
proprietari della Roggia comprendeva
ventidue membri:
Utenti superiori: eredi di Gio
Gabellerio detto il Todesco; eredi di
Zanino Volta, eredi del barone
Francesco Porta; eredi di Plinio
Odescalchi; eredi di Gio Pietro Suano;
eredi di Carlo Raimondi; il Collegio
Gallio; l'abbazia di Vertemate; le
monache di Cantù; i Visconti di
Carimate; Anna Gagia; i Padri Gesuiti
di Como; le monache di Meda; i
consorti Porro di Lentate ed i frati
Domenicani di san Pietro Martire.
Utenti inferiori: il conte Benedetto
Arese; i Francescani di Desio; il
marchese Del Pozzo successo a Giulio
Ferrario; il senatore conte Bolagnos
successo all'Ospedale Maggiore di
Milano, il conte Carlo Borromeo
successo ai Confalonieri, Giuseppe e
fratelli del conte, Luigi Cusani.
A seguto di acquisti ed accorpamenti, il
numero degli utenti nel corso del tempo
si restrinse radicalmente, tanto che agli
inizi del XVIII secolo gli unici
proprietari erano l'abbazia di Vertemate
ed il marchese Cusani, padrone quasi
assoluto della Roggia e delle sue acque.
IL MONOPOLIO
A partire dal Settecento la Roggia venne
dunque gestita in regime di monopolio,
prima dai Cusani, a partire dal 1817 dai
Traversi e dai Tittoni.
Siamo informati che nel 1712 il
camparo Giuseppe Donati percepiva per
le sue prestazioni compensi così
ripartiti:
Salario
200 lire
4 brente di vino
40
6 moggia mistura
72
Casa, orto e legna
50
10 pertiche terreno
80
A tale cifra andavano poi aggiunte le
indennità per le missioni effettuate.
Ridottosi il numero degli utenti, la
Roggia divenne agli occhi dei suoi
ultimi proprietari un segno distintivo di
potenza e prestigio; le sue acque
potevano essere concesse in precario a
chiunque, ma nessuno avrebbe potuto
avanzare diritti su di esse. Nel 1727 fu
concesso alla fabbriceria di estrarre
l'acqua occorrente per il cantiere della
nuova basilica e notabili locali
ottennero il diritto di prelevare acqua
per annaffiare orti e giardini, ma
l'Utenza fu ferrea nei confronti di chi
attingeva indebitamente per irrigare un
campicello. Caso emblematico fu quello
del mugnaio Cazzaniga che per irrigare
un suo fondo aprì una presa abusiva;
scoperto dal camparo Francesco Donati,
fu condotto davanti al Pretore che lo
condannò ad una multa di cinquanta
scudi. Non essendo recidivo e
soprattutto privo dei mezzi per pagare la
somma, il Cazzaniga chiese di essere
assolto dal pagamento della penale,
sostenuto dalla petizione del parroco
Terzoli e dal conte Arese. Non
sappiamo come finì la vicenda, ma essa
è certo emblematica di un mondo
segnato dalla miseria e dalla
sopraffazione.
Da un rilievo effettuato nel 1775
emerge il seguente quadro delle opere
esistenti sulla Roggia:
53 bocche 30
40
16
chiuse d'estrazione mulini scaricatoi
53
2 tombe
4 canali 72 guadi
ponti
Ancora nel 1785 venne pubblicato un
editto a stampa a firma don Alessandro
Oltolina, delegato per la Roggia, che
sanciva tutti gli usuali divieti di
attingere acqua o effettuare aperture,
minacciando pesanti pene pecuniarie ai
contravventori.
Una vera e propria corvée di sapore
feudale obbligava tutti gli uomini che
lavoravano i fondi a prestare
gratuitamente una giornata di lavoro
all'anno per spurgare l'alveo del canale.
In seguito alle lamentele degli
interessati, il consiglio comunale
presieduto dal sindaco Zucchelli
concordò con l'Utenza la trasformazione
della prestazione di lavoro in un canone
in denaro da ripartirsi tra gli interessati.
naturalmente il comune si accordò per
ottenere l'esenzione da tale onere per i
fondi di sua proprietà, contribuendo in
tal modo a far lievitare la cifra dovuta
dai singoli coloni. Ci si accordò per un
contributo alle spese di spurgo nella
misura di lire 115,13 che, come recita la
convenzione, dovevano essere pagate
solo in moneta d'oro o d'argento.
Dopo quella del Robecchi furono
effettuate altre due relazioni sulla
Roggia nel corso del XVIII secolo: una
nel 1710 condotta da Malatesta ed una
seconda nel 1775 da Bozzolo. Negli
ultimi anni della sua residenza a Desio,
precisamente nel 1811, il Cusani
commissionò all'ingegner Carlo Ferrari
l'ennesima relazione tecnica sulla
Roggia. Il pregevole lavoro, presentato
sotto forma di volume rilegato in pelle
con titoli in oro, delinea un quadro
fedelissimo
del
corso
d'acqua,
corredandolo per la prima volta con una
mappa dettagliata. Sintomo di un'epoca
nuova, l'opera del Ferrari non mirò tanto
ad individuare e colpire gli abusi lesivi
di un'autorità di tipo feudale, ma a
razionalizzare, a trovare tutti quei
dettagli che con lievi accorgimenti
potevano contribuire ad un utilizzo
maggiormente proficuo della Roggia.
L'epoca Cusani terminò nel 1817,
quando
il
marchese
vendette
all'avvocato Giovanni Traversi tutti i
beni posti in Desio ed i diritti sulla
Roggia.
L'AMMINISTRAZIONE TRAVERSITITTONI
Nei secoli precedenti, come abbiamo
potuto vedere, la Roggia consisteva in
una bene privato di natura particolare;
invece di essere localizzata in un punto,
essa si snodava attraverso la campagna
ed
i
borghi.
Essa
costituiva
essenzialmente un corpo estraneo ed
autonomo, dotato di amministrazione
autonoma, dotato di vita propria;
scorreva quasi autonomamente dalle
realtà umane ed economiche che la
circondavano.
A partire dal secolo scorso appare
evidente un lento ma costante processo
di integrazione tra le acque della Roggia
ed il territorio circostante. Questa
dinamica fu innescata dal progressivo
ridursi degli utenti e, soprattutto, dallo
smorzarsi di taluni atteggiamenti dei
proprietari che ricordavano da vicino i
sistemi feudali. Un ulteriore elemento
da tenere presente per comprendere tale
mutamento fu il lento trapasso da
un'economia fondata sull'agricoltura ad
un quadro produttivo più articolato;
l'insediamento di laboratori, botteghe
artigianali e delle prime industrie
costrinse l'Utenza a modificare i
rapporti tradizionali. Da ultimo occorre
ricordare che, a partire dalla seconda
metà del secolo scorso, l'Utenza
rappresentata dalle figure del Traversi e
Tittoni, videro limitata la loro
indiscussa autorità dalla presenza di
altri personaggi dotati di forte prestigio
(vedi famiglia Gavazzi) e dalla
progressiva crescita di importanza
dell'Ente Locale che, pur con molte
ambiguità, cercò di conciliare i
tradizionali diritti dell'Utenza con le
esigenze della collettività cittadina.
In quest'ultima parte del lavoro verrà
dunque
abbandonata
l'esposizione
cronologica degli avvenimenti che si
ridurrebbe ad un semplice elenco di
documenti notarili, per cogliere alcuni
aspetti che ritengo utili e significativi
per la comprensione di quest'ultimo
periodo di vita della Roggia.
I MULINI
Alla fine del Settecento le acque della
Roggia azionavano trentadue mulini.
Nel territorio di Desio ne esistevano
originariamente due, entrambi di
proprietà Cusani-Traversi. Il primo,
denominato "Del Cazzaniga", era
collocato
al
termine
di
viale
Rimembranze. Esso risultava demolito
agli inizi del secolo scorso, ma restava
ancora il caseggiato e la cascata d'acqua
che muoveva originariamente le ruote.
La relazione Ferrari del 1811 ricorda
inoltre un secondo mulino, detto "Del
Sormani", anch'esso abbandonato e
ricostruito nel tratto terminale della
Roggia. Agli inizi del secolo scorso
risultava già funzionante il mulino
tuttora esistente in via Giusti che fu
edificato nel 1809. Dotato di due ruote,
la prima serviva per la macinatura dei
cereali, la seconda per azionare il
torchio, indice di una fiorente
produzione vinicola.
I PONTI
Esistono numerosi documenti a questo
riguardo a causa delle frequenti
vertenze tra l'Amministrazione della
Roggia e l'Ente Locale circa la loro
manutenzione. Nel secolo scorso ho
potuto rilevare la presenza nel territorio
comunale di otto ponti prima
dell'immissione della Roggia nel
giardino Traversi.
Un primo ponte era quello della Bria;
era in mattoni ed era largo circa quattro
metri e mezzo. Fu edificato nel 1796,
ma fu ampiamente ristrutturato nel
1865.
Un secondo ponte, tuttora esistente nella
sua integrità, dava accesso alla cappella
posta all'esterno del cimitero. Alcune
lastre di vivo, collocate per una
larghezza complessiva di m 4,20
permettevano l'accesso al Camposanto.
Nel
tratto
terminale
di
viale
Rimembranze esisteva un ponte che
consentiva l'accesso al mulino del
Cazzaniga. Denominato Ponte delle
Assi, era ovviamente in legno, ma aveva
le spalle in cotto. Largo poco più di tre
metri, già nel secolo scorso era
praticamente inservibile per la sua
precaria stabilità.
Il ponte di maggiori dimensioni era
quello che attraversava la strada
principale nel punto oggi segnato
dall'intersecarsi delle vie Italia, Fratelli
Cervi
e
Roggia
Traversi.
Verosimilmente, data l'importanza della
strada che attraversava, doveva essere il
più antico; edificato in pietra, era lungo
m. 7,20 ed era largo m 4,20.
Il ponte successivo attraversava la via
San Pietro. Aveva un larghezza di circa
quattro metri ed era in pietra. Nel tratto
precedente
l'ingresso
nel
parco
padronale erano collocati altri due
passaggi sulle strade verso San Giorgio
e Lissone; costruiti in vivo, misuravano
entrambi tre metri in larghezza e la loro
lunghezza superava di poco i quattro
metri. Facendo riferimento agli accordi
del 1441, gli Utenti cercarono sempre di
accollare le spese relative alla
costruzione ed alla manutenzione dei
ponti all'Amministrazione Comunale.
Sfruttando il prestigio sociale ed
economico di cui godevano, i Cusani
riuscirono sempre nel loro intento,
giungendo perfino a far ricostruire a
spese del comune il ponte delle Assi che
conduceva al mulino padronale. Questa
operazione fu ovviamente condotta
celando i documenti che testimoniavano
come per tradizione le spese fossero
sostenute dal solo proprietario, visto che
tale costruzione serviva unicamente per
uso privato.
Un chiaro indice dell'asservimento
dell'amministrazione locale di quei
tempi all'Utenza è il fatto che in altri
comuni
dove
il
legame
tra
amministrazione e famiglia Cusani era
meno forte, gli enti locali riuscirono ad
imporre
la
costruzione
e
la
manutenzione dei manufatti esistenti
sulla Roggia.
L'attraversamento del canale era
assicurato anche da altri espedienti.
Passerelle e semplici travi sono spesso
citati per l'attraversamento pedonale; i
numerosi guadi permettevano inoltre il
passaggio dei carri agricoli. Le uniche
eccezioni erano costituite dal ponte
sulla strada principale che era a carico
dell'Amministrazione centrale e da
quello antistante la cappella esterna del
cimitero la cui manutenzione era a
carico della chiesa.
LA PARTE PADRONALE
Prima di entrare nel parco di Villa
Traversi, la Roggia passava sotto
l'abitazione del giardiniere, edificio
originariamente adibito a mulino.
Entrata nel parco, si diramava in canali
secondari attraversati da ponticelli e
dava luogo ad effetti scenografici. Le
sue acque già nel 1755 furono destinate
ad alimentare una vasca con fontana;
successivamente fu creato il famoso
laghetto, la cui superfcie era di circa
6.000 mq.; le acque proseguivano
azionando il mulino per poi perdersi
nelle campagne al confine con Muggiò.
Il tratto terminale era destinato ad
alimentare la produzione di foraggio,
tantoché la Roggia vi scorreva
liberamente per tutto il periodo
invernale,
dall'Addolorata
(15
settembre), fino all'Annunciazione (25
marzo).
I LAVATOI
I guadi erano spesso utilizzati anche
come lavatoi; col tempo furono
costruite alcune strutture talvolta
coperte, dotate di pietre inclinate idonee
per il lavaggio dei panni. Nel 1890
risultava il seguente elenco di lavatoi:
Ponte
alla lavatoi 1
sassi 8
Stazione
Vicolo
della lavatoi 1
sassi 3
Roggia
Ponte di San lavatoi 2
sassi 4
Pietro
Ponte di via lavatoi 2
sassi 8
Garibaldi
Ponte degli Assi lavatoi 4
sassi 6
Camposanto
lavatoi 1
sassi 2
Bria
lavatoi 1
sassi 1
Contrariamente ai primi che erano
pubblici, vi erano inoltre diciannove
lavatoi con quarantaquattro sassi che si
affacciavano sulla Roggia da proprietà
private, il cui uso era naturalmente
riservato ai domestici della famiglia.
L'UTILIZZO DELLE ACQUE
Come detto, fino all'ultimo periodo di
esistenza della Roggia, i vari proprietari
utilizzarono tutti gli strumenti che
avevano a disposizione per garantire i
loro diritti sulle acque. Il 30 novembre
1795 il Cusani acquistò i diritti sulla
Roggia
goduti
dall'abbazia
di
Vertemate, diventando in tal modo
l'unico proprietario di tutto il corso
d'acqua.
L'Utenza curò sempre che i quattrocento
proprietari di fondi affacciantisi sulla
Roggia potessero attingere dalle sue
acque solo dietro consenso scritto della
proprietà. Ci sono pervenuti numerosi
permessi concessi dal Traversi nella
seconda metà dell'Ottocento a contadini
per abbeverare il bestiame, oppure nel
1867 al macellaio Caglio per
raccogliere il ghiaccio o infine all'Arma
dei Carabinieri per rifornire la locale
caserma; tali permessi erano accordati
in via precaria ed avevano comunque
validità annuale.
Nei riguardi di coloro che attingevano
acqua senza autorizzazione, anche per
semplici usi domestici, furono avviate
numerose cause giudiziarie che
costellarono la seconda metà del secolo
scorso: causa Monticelli (1818),
Comune
di
Desio
(1825),
Congregazione di Carità (1862), Minetti
(1864), birraio Giovanni Malberti
(1867), Opera Pia di Loreto (1877),
Spinelli (1882), Arnaboldi (1884),
Gavazzi (1894).
Risulta particolarmente significativa
una vertenza giudiziaria del 1878 tra
l'avvocato Giovanni Antona Traversi ed
il Comune di Desio. In prossimità dei
ponti collocati in via Italia e via San
Pietro esistevano due incastrini muniti
di serratura, che alimentavano le foppe
comunali di via Garibaldi e piazza
Martiri di Fossoli. Il Sindaco, senza il
consenso della proprietà, fece aprire le
due bocche per fornire le pubbliche
vasche. Immediatamente il Traversi
avviò una pratica legale che, malgrado
due sentenze favorevoli all'operato
dell'Amministratore
per
aver
unicamente agito in difesa dell'igiene
pubblica, terminò nel 1882 in una terza
sentenza del tribunale di Monza che
ravvisava nel gesto del Sindaco un atto
lesivo dei diritti di Casa Traversi.
L'Utenza era disponibile a concedere,
ma non a chi, anche in nome del bene
pubblico, osava attentare ai suoi diritti.
Un ultimo documento spiega bene a
quale punto di tensione fosse giunto il
problema dell'uso della Roggia. Il 2
marzo 1865 l'amministratore, Antonio
Locatelli, informava il padrone di un
grave scandalo occorso nei giorni
precedenti; il camparo aveva sorpreso
alcuni contadini intenti a riempire una
"navazza" (carro munito di grosso
recipiente per il trasporto dei liquidi)
con l'acqua della Roggia. Ne era nata
una vivace discussione che aveva fatto
affluire molti contadini ed anche i
carabinieri; la massa degli agricoltori,
stanca della situazione, apostrofò
violentemente
il
camparo,
minacciandolo di provvedimenti più
drastici e, con rammarico del fattore, la
forza
pubblica
non
intervenne,
adducendo il pretesto della propria
esiguità numerica. Il giorno seguente
l'amministratore di Casa Traversi fu
raggiunto dal sindaco Ravanelli che gli
intimò di cedere alle richieste degli
agricoltori; il desiderio del Comune era
quello di evitare tumulti di qualsiasi
natura e, come rivelò il Sindaco, i
contadini,
sobillati
dagli
altri
proprietari, tramavano per tendere al
camparo un'imboscata ed ucciderlo, o
almeno condurlo con la forza a più miti
atteggiamenti.
Non conosciamo l'esito della vicenda,
ma la lettera documenta benissimo gli
atteggiamenti popolari nei confronti dei
campari, categoria che aveva visto
crescere consistentemente nell'ultimo
periodo i propri guadagni, fino a
comprendere la fornitura annuale di
abiti, calzature e munizioni per il fucile
di cui erano muniti.
IL NOVECENTO
Segno di una realtà economica che stava
mutando, nel corso del secolo scorso le
acque della Roggia fornirono anche
alimento alle prime attività industriali.
Inizialmente fu installata una lavanderia
condotta da Ferdinando Nava e
successivamente
Achille
Lucchini
impiantò una segheria nell'antico stabile
del Mulino del Cazzaniga; come
sappiamo dai documenti giudiziari, le
acque servirono anche alla birreria di
Giovanni Malberti.
Nell'anno 1901 morì il Traversi e la
massa dei suoi beni, stimata diciotto
milioni di lire, passò al nipote Antonio
Tittoni. Durante quest'ultima fase certi
drastici atteggiamenti dei predecessori
si ammorbidirono e iniziò un periodo di
parziale liberalizzazione nell'uso delle
acque, mantenendo però inalterati nella
forma le tradizionali prerogative
dell'Utente. Non a caso il Traversi
chiese ed ottenne di essere tumulato in
un sepolcro disegnato dal Beltrami,
posto proprio sopra quel corso d'acqua
che aveva difeso a tutti i costi contro
qualsiasi usurpatore.
Nel 1906 le chiare acque della Roggia
iniziarono a ricevere parte degli scarichi
urbani; nuove vertenze si aprirono poi
negli anni Venti con le due maggiori
industrie cittadine, Gavazzi e Targetti,
per lo scolo delle acque degli
stabilimenti, imputati di aver causato la
morte di alcuni capi di bestiame.
L'ultimo atto importante riguardante la
Roggia risale al 1922 quando diversi
fontanili che alimentavano la Roggia
furono inseriti nell'elenco delle acque
pubbliche della provincia di Milano. Di
fronte a tale provvedimento, il Tittoni
insorse e chiamò in giudizio il Prefetto,
conte Nasalli Rocca, di fronte al Regio
Tribunale delle Acque Pubbliche presso
la Corte d'Appello di Milano. Il ricorso
del Tittoni faceva riferimento al
carattere privato della Roggia che fu
confermato dal Tribunale Superiore
delle Acque. Il 30 maggio 1928 la causa
ebbe termine con la sentenza definitiva
della Corte di Cassazione che ordinava
la cancellazione dei fontanili in
questione dal novero delle acque
pubbliche.
Trasformatosi nel giro di pochi decenni
il quadro economico della città, la
Roggia era destinata dopo quasi
seicento anni di vita ad un rapido
declino. Al termine del secondo
conflitto mondiale la proprietà Tittoni si
dissolse e, sparito questo centro dotato
di caratteri per molti versi ancora
feudali, anche la Roggia scomparve
ingloriosamente.
Certamente il suo interramento fu una
scelta corretta che ha risparmiato alla
nostra città la presenza delle acque di un
fiume altamente degradato come il
Seveso.
Resta però nella mente di molti
l'immagine stereotipata di acque che
scorrono placidamente tra filari di
alberi, disturbati solo dal cicaleccio
delle donne al lavatoio; l'unico rischio è
quello che certe immagini del "buon
tempo antico" facciano dimenticare
secoli di lavoro e sofferenza dei nostri
antenati153.
153
I documenti citati nel presente studio sono
consultabili presso: APD, cart. 80-88. ASM,
acque, p.a., 166-169; p.m.167.
L’ETA’ MODERNA
A livello urbanistico la novità di maggior importanza fu costituita dall’insediamento
del convento francescano nell’area orientale del borgo. Nel Trecento fu eretto anche
un piccolo castello ad opera di Bernabò Visconti, che in più occasioni vi dimorò con
la sua corte. L’edificio, a detta di alcune fonti, fu eretto come “luogo di delizia” e
doveva trovarsi nell’area dell’attuale Parco Comunale posta all’angolo tra le vie
Piermarini e Roma. Questa costruzione verosimilmente decadde con la scomparsa di
Bernabò ed in seguito i duchi di Milano donarono l’area ai frati del vicino convento.
La presenza di questo nuovo polo attrasse nella parte orientale del borgo le famiglie
del patriziato locale che, intorno allo slargo dell’attuale piazza Martiri di Fossoli,
eressero una serie di abitazioni che si differenziavano nettamente da quelle coloniche
per una migliore qualità abitativa; si era così venuta a creare una sorta di area
residenziale contrapposta all’ammasso di case rustiche del centro.
Anche i successivi sviluppi urbanistici avrebbero avuto come punto di avvio proprio
questa zona dell’abitato. Nel 1777, in seguito alla soppressione del convento
francescano, i beni del cenobio furono messi all’asta ed acquistati dal marchese
Cusani. Da questo atto prese il via una profonda opera di aggregazione patrimoniale e
riorganizzazione del territorio attraverso una serie di acquisti e permute di terreni;
alla fine dei questo processo il Cusani diede il via alla creazione del complesso della
residenza desiana, contornata da tutto l’apparato di insediamenti colonici e produttivi
che la rendevano una struttura economica di primo livello. La scelta della
dislocazione della villa in un’area marginale dell’abitato nacque anche dal desiderio
del proprietario di collegare fisicamente la sua residenza lungo la strada per Monza in
un ideale prolungamento del parco monzese e delle dimore signorili che lo ornavano.
Alla metà dell’Ottocento questo insediamento sarà reso ancora più urbanisticamente
significativo dall’intervento di Pelagio Palagi che trasformò radicalmente la tenuta
desiana dei signori Traversi. Preme sottolineare che questo complesso costituiva
anche fisicamente una realtà marginale e separata dal resto del borgo; l’isolamento
del Traversi dalla realtà politica e sociale di Desio era sancita da questo defilamento
della sua residenza rispetto al centro cittadino Il complesso si collocava su un’asse
gravitante come visto verso Monza, ma soprattutto verso la novità del secolo
costituita dalla ferrovia. Il progetto originario di Palagi avrebbe creato un percorso
scenografico dalla stazione ferroviaria fino alla residenza del Traversi che avrebbe
creato assi e prospettive completamente slegati dalla situazione preesistente.
A partire dal XVII secolo si assiste ad un progressivo allargarsi degli insediamenti
extraurbani. La cascina di Sant’Apollinare si sviluppò acquisendo le caratteristiche di
una vera e propria frazione; acquistò maggiore importanza anche la cascina degli
Arienti presso il confine con Seregno. Già nel Seicento i possidenti locali si
premurarono di erigere insediamenti abitativi nella campagna per uno sfruttamento
più intensivo del suolo. Il centro di maggiore importanza che nacque in questo
periodo è sicuramente il complesso alla periferia nord orientale del borgo realizzato
dal conte Ferrario. Si creò un consistente insediamento umano che comprendeva la
dimora signorile e numerose abitazioni coloniche raggruppate intorno ad una corte. Il
proprietario provvide poi a realizzare anche un elegante oratorio barocco dedicato a
san Giuseppe. In epoche successive furono realizzati altri insediamenti rurali che però
non raggiunsero dimensioni ed importanza di quelli precedentemente accennati. Il
caso più macroscopico è costituto dalla grande cascina del questore Bolagnos.
Soprattutto nel corso dell’Ottocento sorsero poi cascinali sparsi che in qualche caso si
sono conservati fino ai nostri giorni pur perdendo l’originaria vocazione agricola.
Occorre però sottolineare che questi insediamenti, abitualmente denominati cascine,
non avevano nulla a che vedere con la fisionomia della classica cascina lombarda;
esse erano perlopiù abitazioni rustiche isolate ma non avevano né la forma, né
l’organizzazione capitalistica della tipica cascina della Bassa154.
L’OTTOCENTO
I primi sensibili mutamenti nella fisionomia dell’abitato si ebbero nel corso del XIX
secolo quando, in seguito all’aumentata pressione demografica ed al flusso migratorio
da aree marginali della Brianza verso gli opifici cittadini, Desio si allargò nella parte
meridionale del borgo. Prese così corpo il quartiere gravitante intorno alle vie
Carcano, Canonico Villa, e Galeno. Quest’area vide la creazione di insediamenti
popolari con la costruzione di grandi corti. Probabilmente il degrado del quartiere
diede origine al toponimo parzialmente usato ancora oggi di Cairo per indicare
questa zona; probabilmente le cattive condizioni abitative lo facevano paragonare ad
un quartiere mediorientale, una sorta di casbah cittadina.
L’abitato a quella data aveva ancora una struttura compatta, articolata intorno
all’antico centro. Malgrado il diffondersi dell’industrializzazione, la tipologia
abitativa diffusa era sempre quella della “corte” in cui gli spazi destinati ad abitazione
si affiancavano e si integravano con strutture destinate alla produzione agricola (aia,
stalla, fienile).
A cavallo del nuovo secolo anche a Desio si crea un quartiere “residenziale”; lungo
l’asse della via Principe Umberto155, nella parte settentrionale dell’abitato sono erette
in prossimità dell’oratorio di san Pietro una serie di abitazioni unifamiliari contornate
da giardino che costituirono una novità di notevole pregio coniata sul modello delle
“villette” cittadine. In questo spazio abitativo troverà la sua collocazione naturale la
nascente borghesia locale e proprio in questi spazi vedrà la luce nel 1905
l’Esposizione di Desio156.
IL NOVECENTO
L’inizio del nuovo secolo fu contrassegnato dal dramma collettivo del primo conflitto
mondiale che influì indirettamente anche sullo sviluppo della città. L’elevato numero
di caduti desiani comportò indirettamente l’erogazione di altrettante pensioni di
guerra che costitutirono per moltissime famiglie la prima possibilità di avere una
disponibilità di liquidi. Queste somme furono spesso investite nella costruzione di
154
Forse l’unica eccezione in questo senso era costituita dalla casina Bonomi – Gavazzi che per organizzazione e
struttura si discosta nettamente dalle altre presenti sul territorio.
155
Attuale corso Italia. Toponomastica 1977.
156
BRIOSCHI 2005.
una abitazione. Si crearono così nuovi quartieri specie nella parte meridionale e
settentrionale del borgo157. Nacquero abitazioni “filo strada” che celavano alla vista
spazi interni destinati all’orticoltura, ma soprattutto ad attività legate alla pratica
dell’artigianato o comunque a funzioni ancora connesse a modi di vita desunti dal
mondo agricolo.
Sempre in occasione del primo conflitto giunsero a Desio i primi immigrati
provenienti da altre regioni, costituiti da profughi dalle zone del Veneto e del Friuli
invase dalle armate austriache dopo la sconfitta di Caporetto. Questi nuovi arrivati e
quelli che giungeranno per tutto il corso degli anni Venti e Trenta troveranno
sistemazione nei grandi cortili del centro oppure nelle realtà periferiche delle cascine.
Parallelamente, in ossequio al linguaggio architettonico del regime, furono eretti
edifici che si ispiravano alla moda ed al linguaggio formale dell’epoca. Prevalgono
linee “razionali” e semplificate nelle case economiche con la scomparsa di fregi ed
ornamentazioni che avevano caratterizzato le abitazioni dei decenni precedenti.
Vedono anche la luce edifici di maggior pregio che rivelano la ricerca di un diverso
linguaggio espressivo; basti a questo proposito ricordare il Villino Giussani adiacente
il complesso Autobianchi o gli edifici che fronteggiano corso Italia all’altezza di via
XXIV maggio i quali giocano sull’alternanza cromatica tricolore 158
In questi anni prende corpo il progetto di rifacimento della facciata della Basilica che,
nelle intenzioni di committenti e progettisti, avrebbe dovuto essere la prima parte di
un grande e pregevole progetto di sistemazione del centro cittadino che avrebbe visto
la dislocazione lungo i lati della piazza dei principali edifici pubblici eretti secondo i
dettami dello stile dominante all’epoca.
IL BOOM
Il momento più significativo di trasformazione dell’abitato cittadino risale, come per
tutta l’area lombarda, al secondo dopoguerra. Alla base del processo stavano le
mutate condizioni economiche e le ondate migratorie che si dirigevano verso la
nostra città. Tutto questo processo, salvo casi fortunati, si trasformò, in un turbinoso
processo di crescita che comportò la distruzione di gran parte del tessuto sociale ed
urbanistico del passato.
In alcuni casi sporadici il progetto di sviluppo risultò ordinato e controllato. In questo
modo videro la luce insediamenti realizzati dalla pubblica amministrazione nella zona
adiacente il parco e nell’area nord. Purtroppo nella gran parte di casi si ebbe uno
sviluppo caotico determinato dalle impellenti richieste abitative create dall’afflusso di
manodopera verso gli opifici cittadini.
La popolazione desiana, che per la prima volta si trovava nella disponibilità di
acquistare un’abitazione propria, defluì dalle grandi corti del centro verso abitazioni
unifamiliari oppure verso l’acquisto di appartamenti in condominio che erano ritenuti
negli anni Cinquanta un bene dotato di notevole prestigio. La massa degli immigrati
157
Non a caso moltissime di queste nuove vie sono intitolate a personaggi o luoghi della campagna di Libia o alla Prima
Guerra Mondiale.
158
Mattone rosso a vista, cornici bianche, serramenti verdi. Un omaggio all’ideologia nazionalista dell’epoca che
costituisce senza dubbio un documento storico.
proveniente dalle aree depresse del Triveneto o del Sud si indirizzò verso gli spazi
rimasti vuoti nel centro cittadino oppure verso le periferie dove, intorno alle antiche
cascine, nascevano nel modo più disordinato nuovi quartieri.
Negli anni Cinquanta si provvide a creare nuove vie che a stento riuscivano a seguire
l’impetuoso sviluppo edilizio. In queste aree periferiche videro la luce abitazioni
unifamiliari a carattere economico e si crearono degli autentici quartieri: il rione San
Vincenzo o Spaccone a sud, il quartiere Boschetto nelle adiacenze della cascina
Bolagnos, la Corea a nord in prossimità dell’erigendo nuovo ospedale.
Fortunatamente, salvo qualche rarissimo caso, la città non vide la costruzione di
insediamenti abitativi di grandi dimensioni ed il paesaggio cittadino, al contrario di
realtà anche vicine, non dovette sopportare la realizzazione dei famigerati
“casermoni”.
Il centro storico fu sottoposto ad un profondo stravolgimento. Lo spezzettamento
delle grandi proprietà condusse alla parcellizzazione degli stabili. Interi cortili, ora
divenuti proprietà di più famiglie, furono sottoposti ad interventi scoordinati che
alterarono la fisionomia degli edifici. In alcuni casi le vecchie corti e cascine persero
completamente le caratteristiche originali e abitazioni, anche di pregio, furono rase al
suolo per costruire realtà abitative ritenute più idonee per le mutate esigenze
abitative159.
A questo processo si accompagnò l’intensificarsi dei problemi legati alla viabilità
dopo il massiccio aumento delle autovetture circolanti. Il deflusso dei pendolari verso
la città è ancora oggi garantito in gran parte dal trasporto su gomma lungo i due assi
viari principali della Valassina e della superstrada Milano-Meda.
L’OGGI
A partire dagli anni Ottanta del Novecento la città è stata investita da un massiccio
processo di deindustrializzazione. Desio, che solo dieci anni prima era risultata una
delle realtà cittadine più industrializzate d’Italia, ora si trovava ad affrontare i
problemi sorti dalla chiusura di opifici storici di piccole e grandi dimensioni. Questo
fenomeno ha comportato profondi mutamenti economici, sociali ed urbanistici della
città.
Gli spazi precedentemente occupati dalle fabbriche, le aree dimesse, hanno lasciato il
posto ad insediamenti produttivi più “leggeri”(generalmente nel settore terziario) ed a
nuovi insediamenti abitativi di buona qualità. A causa degli elevati costi negli ultimi
anni risulta superata la struttura abitativa della villetta unifamiliare a favore di
insediamenti più articolati che in parte riprendono lo schema della corte. Il
progressivo arretrare dell’industria ha lasciato spazio ad insediamenti economici del
terziario anche in aree decentrate poste soprattutto lungo le vie di comunicazione
intercomunali.
L’aumentato volume del traffico, specie verso Milano, comporta una
riorganizzazione del sistema dei trasporti con una maggiore interazione tra i sistemi
di trasporto su gomma con quelli su rotaia. Resta un dato evidente lo sviluppo delle
159
Il caso più emblematico è costituito dalla distruzione di Villa Scotti in via Laghetto.
direttrici di traffico in direzione nord – sud, mentre sono ancora carenti le direttrici
lungo l’asse est-ovest.
LE STRUTTURE POLITICHE
IL TOPONIMO
Come accade quasi sempre nella ricerca dell’origine e del significato di un toponimo
cittadino, anche nel caso di Desio la sua origine è avvolta nel dubbio e pertanto la
situazione nel corso del tempo ha spinto chi si è occupato dell’argomento a formulare
congetture e soluzioni diverse. Prendendo in esame l'evoluzione del toponimo
"Desio", si possono fissare le seguenti forme, documentate da scritture antiche:
Dexio
É la forma di uso normale nel basso medioevo; è presente in modo costante in atti
pubblici e privati in espressioni del tipo: "in loco de Dexio", "N.N. de Dexio".
Deuxio
Compare in documenti dell'XI secolo, in particolare nell’atto di vendita di Alda fu
Garibaldo del 1062160.
Deusio
Rilevabile in un atto del 997 nel quale una pia donna, Ciciria, dona alla chiesa di
S.Ambrogio alcuni fondi posti in Dugnano, che confinano con proprietà della basilica
"Sancti Sili sita Deusio"161.
Deussio
Una pergamena del 988 ricorda Adelberto "de vico Deussio" che è testimone ad un
contratto di vendita redatto a Monza162. Altre due pergamene, una del 968163 ed una
del 956164, testimoniano la stessa forma del toponimo165.
160
1062 agosto. Milano. Alda, vedova di Emione e figlia del fu Garibaldo de loco Deuxio, vende ad Ambrogio,
prete officiale della chiesa di San Fedele in Milano, alcune case un mulino e una cappella edificata in onore di San
Fedele situati nei luoghi di Triulzio e Morsenchio. Manoscritto in: BAM, Codice Della Croce, 3, f.111. Edito in:
Gli Atti Privati, III, n.435, pp.174-177. Citato da: MALBERTI 1961, p.10.
161
997 aprile. Ciciria dona alla chiesa di Sant'Ambrogio beni a Dugnano, in località Limido, "ubi coheret a mane et
montes sancti Sili, sita Deusio" Manoscritto nell’Archivio della Canonica di Sant’Ambrogio di Milano.Edito
in:HPM, XIII, n.931, coll..1637-1638.Citato in: MALBERTI 1961, p.10; CAPPELLINI 1972, pp. 65; 41; 39; testo
p.68.
Altre pergamene che riportano il toponimo “Deusio” sono:
1014 febbraio, Monza. Permuta di beni fra Adelberto, arciprete e custode della chiesa ed abbazia di San Giovanni
di Monza, ed Ariprando, diacono dell'ordine della stessa chiesa e figlio del fu Ildogino detto anche Oldo, che fu del
luogo di Deusio. Manoscritto ACM, pergamena n.45. Edito in Gli Atti Privati, I, n.65, pp.149-151.
Risulta essere stato redatto “in loco Deusio” il documento 1067 gennaio. Redaldo del fu Anselmo del luogo di
Alzate e Mafalda, figlia di Giovanni, del luogo di Briosco, iugali di legge longobarda, vendono a Zenone sacerdote,
officiale del monastero di San Protasio e figlio del fu Pietro della città di Milano, tutti i loro beni situati nel luogo di
Cassina Farga. Manoscritto in AATM, sec.XI, n.18. Edito in: Gli Atti Privati, III, n.473, pp.240-242.
162
Adelberto "de vico Deussio" è teste in una vendita tra Giovanni ed Ariprando di Biassono. Manoscritto in ACM,
Edito in: HPM,XIII, coll.1469s., n.841. Citato in: MALBERTI 1961, p.10; CAPPELLINI 1972, p.45.
163
Permuta di beni fra Ermengarda, badessa del monastero di San Vittore di Meda ed Ambrogio, prete della chiesa
di san Siro "in loco Deussio". Manoscritto in AATM. Edito in CDL, 931, col.1637. Citato da: CAPPELLINI 1972,
pp. 44; 65; p.49 Testo. MALBERTI 1961, p.9.
164
Permuta di beni fra Gaudenzio, arcidiacono dell'abbazia di san Giovanni di Monza e Fedele, prete del medesimo
luogo. Alla col. 1052 del testo si dice che un campo posto all'interno dell'abitato di Monza: coheret Ainardi de loco
L'elenco termina qui; non si conoscono altri documenti anteriori al 956 che riportino
il nome del nostro borgo. Vediamo dunque le varie ipotesi che sono state avanzate
per spiegarne il significato.
DESIO = Dieci miglia da Milano
E' un'ipotesi scartata da tutti gli studiosi di storia locale. Per primo il Rota fece notare
che la nostra città non si trova a dieci miglia romane da Milano e, pertanto,
quest'ipotesi risultava priva di fondamento166. Malgrado quanto è stato detto, questa
etimologia è molto diffusa e la si incontra frequentemente in studi e nell’opinione
comune. Malgrado sia impossibile far risalire il nostro Deusio a "Decimum", occorre
però sottolineare che il tracciato preciso della rete viaria romana non è del tutto
chiaro. Studi più recenti hanno parzialmente modificato la situazione; ad esempio è
quasi sicuro che il decimo miliare non cadeva a Desio, vi si trovava sicuramente
almeno l'undicesimo.
Probabilmente questa forma è da far risalire ai notai della curia arcivescovile, che
tentarono di latinizzare il toponimo Desio con un originario Decimum carico di
valenze simboliche.
DESIO = Decumanus
Si riporta questa etimologia a puro titolo di curiosità, tanto è manifesta la sua
infondatezza. E’ stata raccolta in cronache parrocchiali e risale al Settecento. Il
Decumano in questione non è l’asse orizzontale della centuriazione romana, ma
l’istituzione ecclesiastica del clero decumano, incaricata della cura d’anime nelle
parrocchie. La cosa è chiaramente infondata in quanto tale terminologia ecclesiastica
entrò in uso solo nel VIII secolo, mentre l’abitato di desio esisteva già da secoli. Il
termine rimase però diffuso, tanto che nel primo Novecento il Bollettino parrocchiale
era appunto intitolato “Il Decumano”.
DESIO = Dessi
E' opinione condivisa da diversi storici che l'origine del toponimo vada ricercata in un
nome gentilizio, verosimilmente quello dei Dessi, documentato dal sigillo impresso
sul fondo di alcune lucerete ritrovate durante gli scavi del sacello di San Vittore in
Ciel D’Oro a Milano167. Anche il maggiore studioso di toponomastica lombarda,
l’Olivieri, fa risalire il toponimo ad un gentilizio, senza però formulare un’ipotesi
precisa, ma limitandosi ad ipotizzare un generico *Teuzo o *Deuzo; inutile dire che
mancando i documenti, l’ipotesi risulta ancora inverificabile168.
Deussio. Manoscritto in ACM. Edito in HPM, XIII, n.615, coll.1051-1053. Citato da: MALBERTI 1961, p.9.
CAPPELLINI 1972, p.44.
165
Altro documento risale al dicembre 1021. Meda. Permuta di beni posti in "vico et fundo Deussio et Varadeo" tra
la badessa del monastero di San Vittore, Berlina, ed Anselmo, iudex sacri palatii, figlio di Liuprando di buona
memoria, del luogo di Deussio. Nel testo sono citate le località Cixinasca, Busxasca, Valedasca. Manoscritto in
AATM. Edito in: Gli Atti Privati, I, pp.261-265, n.115. Citato in CAPPELLINI 1972, p.4; p.93, testo p.5.
166
ROTA 1930, pp.12ss.
167
MALBERTI 1961, pp.12s.
168
OLIVIERI 1961, p.212.
DESIO = Deusdedit
E' l'opinione formulata da Alberto Cappellini che identifica, sulla scorta di studi
effettuati dallo Darmstädter, Desio con la "Curtis Deusdedit", dove abitualmente
faceva sosta il convoglio dei rifornimenti diretto da Limonta alla corte pavese
ricordata in una pergamena dell'835169. Deusdedit era in epoca longobarda un nome
proprio assai diffuso; la località in questione potrebbe dunque essere qualsiasi centro
rurale identificato con il nome dell’antico proprietario.
DESIO = Deus
Ipotesi cosi diverse fra loro non forniscono indicazioni sicure e lasciano il lettore
dubbioso e tendenzialmente incline allo scetticismo o ad una scelta personale basata
su motivi extrastorici. Il passaggio dal Deussio documentato nel X secolo a Decimo,
Dessi o Deusdedit lascia indubbiamente perplessi. La soluzione più logica sembra
vedere l’origine di Deussio in un semplice “Deus”. Il nome originario dell’abitato di
Desio non sarebbe altro che quello del padre degli dei.
Una conferma di questa ipotesi sembra giungere dall’analisi del toponimo “Varedo”.
Come abbiamo visto, da Milano si diramavano in direzione nord diverse strade che
erano collegate trasversalmente tra loro; una sorta di arco metteva in comunicazione i
percorsi, unendo Vimercate, Arcore. Biassono e Desio. Uno dei punti più ravvicinati
tra la Comasina e la Valassina è posto a Varedo; a quest’altezza è documentata
l’esistenza di una via (attuale Strada della Valera) che metteva in contatto le due vie e
che sfociava alla periferia di Desio.
La forma antica del toponimo Varedo è Varadeo; se lo si scompone otteniamo Vara +
Deo. La vara è in latino il cavalletto a forma di X utilizzato per segare i tronchi,
oppure la lunga pertica terminante a forcella usata per stendere le reti ad asciugare o
per tenere sollevata la corda del bucato. In questo senso Vara Deo significherebbe
“forcella, bivio per Deus”. Quell’ipotetico Deus cui sembrava far pensare la
documentazione scritta troverebbe una conferma diretta nella toponomastica, e
dunque l’origine del toponimo Desio andrebbe ricercata in un originario Deus.
169
882 novembre 30, In placito Lemontae, habito coram Ariprando vicedomino mediolanensis ecclesie et Petro
abbate monasterii sancti Ambrosii, advocatus eiusdem cenobii causam obtinet contra complures servos curtis
Lemontae monasterio supradicto subiectae. Manoscritto conservato nell’archivio della chiesa di San Fedele a
Milano. Edito in: HPM, XIII, coll.528-531, n.314; citato in CAPPELLINI 1972, pp. 42ss.
L’ORGANIZZAZIONE PIEVANA DEL TERRITORIO
É caratteristica costante dell'uomo quella di organizzare il territorio circostante in
funzione delle proprie esigenze, pertanto è impossibile comprendere Desio avulsa dal
suo contesto territoriale.
Fin dai primi documenti a nostra disposizione, Desio risulta al centro di
quell'organismo religioso, economico, politico e sociale che fu la pieve; un'entità che
dall'Alto Medioevo ha unificato ed organizzato il territorio. Il termine Pieve deriva
direttamente dal latino plebs, plebis = plebe. Plebei, in epoca romana, erano coloro
che lavoravano la terra; in seguito, con l'espansione del cristianesimo con pieve fu
indicata la comunità dei battezzati. Con le invasioni barbariche si verificò il graduale
disfacimento delle strutture sociali, economiche ed amministrative dell'impero
romano che furono man mano surrogate da figure elette in loco dalle popolazioni e, in
genere, controllate e dirette dalla nascente gerarchia ecclesiastica cristiana. Le pievi
divennero quindi territori, anche di vaste dimensioni, amministrate da persone che
nulla avevano a che fare con l'autorità centrale civile. Il maggiore sviluppo della
pieve si ebbe, ovviamente, in zone dove questa autorità centrale era più carente e
questo si verificava soprattutto nei territori, di montagna, difficilmente accessibili e
quindi lasciati meno difesi ma più liberi di autogestirsi.
Con lo stanziamento dei Longobardi, "pieve" assunse un connotato diverso e divenne
il segno distintivo delle popolazioni soggette, agricoltori che dovevano versare tasse e
oboli ai guerrieri conquistatori, i quali, viceversa, si raggruppavano nella fara
(accampamento), chiaro residuo organizzativo delle abitudini nomadi.
Pieve divenne quindi la contrapposizione culturale e di appartenenza sociale fra
"romani" e "barbari" dove, però, il connotato semantico intendeva sottolineare
l'appartenenza delle popolazioni delle pievi alla condizione plebea, soggetta, imbelle.
La diffusione delle pievi iniziò contemporaneamente alla progressiva affermazione
della religione cristiana nelle aree di campagna e interessò i centri abitati di una certa
importanza, o perché sedi di mercato, o in quanto sedi amministrative, o stazioni di
posta oppure anche solo insediamenti agricoli di dimensioni maggiori. Attorno al
decimo secolo, con la fusione delle popolazioni, cominciò l'utilizzazione delle
termine pieve con significato di “circoscrizione ecclesiastica” in cui si potevano
dividere le diocesi. Le pievi fungevano da punto centrale per l'aggregazione dei fedeli
operanti nell'ampio territorio e facenti normalmente riferimento alle svariate cappelle
sparpagliate nel distretto. Soprattutto nelle regioni dell'Italia settentrionale, con il
termine pieve si arrivò ad indicare la chiesa sede battesimale che fungeva da
riferimento per le chiese circostanti. Pieve prese il significato di "luogo di culto
centrale"; così furono chiamate “pievi” anche le chiese vere e proprie.
É argomento ancora dibattuto se la circoscrizione della pieve ricalchi o meno una
precedente struttura civile. Sta di fatto però che la pieve di Desio appare come lo
sforzo di organizzazione della fascia a nord di Milano, compresa tra il Seveso ed il
Lambro. Secondo la tradizione sarebbe stata istituita nel VII secolo dall'arcivescovo
san Giovanni Bono, allorché fece ritorno alla sede di Milano dopo un pluriennale
esilio a Genova, ma pare che questa sia solo una leggenda fatta per ammantare di
antichità le origini della capitolo della chiesa di Desio.
L'istituzione della pieve è un fatto di fondamentale importanza perché, oltre ad
organizzare la vita religiosa di un ampio territorio che si estendeva da Cinisello a
Seregno, ricalca e nello stesso tempo modella ex novo i rapporti politici ed economici
sul territorio. Già dai secoli più antichi Desio risulta un centro religioso (ritrovamento
di epigrafi ed are romane) ed economico (presenza documentata di un mercato stabile
fin dal XII secolo). Un ulteriore aspetto degno di nota è costituito dal fatto che nel
territorio della pieve sorgevano tre località fortificate: Palazzolo, Biassono e Desio,
poste a cavaliere di altrettante vie dirette verso nord.
Dagli Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano redatti nel 1346 emerge
che la pieve di Desio, percorsa dalle “strata da Monza, strata da Lissono o da
Balsamo, strata da Dergano, strata da Niguarda” comprendeva: “el locho da Balsamo,
el borgho da Biassona, el locho da Boyso, el locho da Cinesello, el locho da Cusano,
el borgho de Desio, el locho da Dugnano, el locho Incirano, el borgho da Lissono, el
locho de Machario, el locho da Mangiago, el borgho da Migiò, el locho da Nova, el
locho de Paderno, el locho de Parazolo, el borgho de Seregnio, el locho da Varè, el
borgho da Vedano”. Ancora negli estimi del ducato di Milano del 1558 e nei
successivi aggiornamenti del XVII secolo risulta che la pieve oltre alle suddette
località contava anche Cassina Aliprandi, Cassina Amata, Cassina Meda, Cassina
Pelizoni, Cassina Savina, Grugno Torto.
Dal Compartimento territoriale specificante le cassine del 1751 emerge che la pieve
di Desio comprendeva i comuni di Balsamo, Biassono, Bovisio, Cassina di Giorgio
Aliprandi, Cassina Amata, Cassina Savina, Cassinello, Cinisello, Cusano, Desio,
Dugnano, Incirano, Lissone, Macherio, Masciago, Molino del Cantone, Molino del
Salice, Muggiò, Nova, Paderno, Palazzuolo, San Giorgio al Lambro, Seregno,
Varedo, Vedano. L’Indice delle Pievi e Comunità dello Stato di Milano del 1753
delinea invece chiaramente la politica di aggregazione di comuni, che fu
ufficializzata quattro anni più tardi dall’editto teresiano del 10 giugno 1757 per il
comparto territoriale dello stato milanese. Secondo tale indice il numero dei comuni
che componevano la pieve veniva ridotto da ventidue a venti: Cassina San Giorgio al
Lambro era aggregata a Biassono, Cassina Savina a Seregno, Molino del Salice e
Molino del Cantone a Vedano.
In origine il clero risiedeva presso la chiesa matrice o battesimale e da lì i sacerdoti si
recavano nei giorni festivi nelle cappelle sparse sul territorio per la celebrazione dei
sacramenti e la cura d’anime. In epoche più antiche sussisteva in genere un solo fonte
battesimale per tutta la pieve. In seguito, grazie all’iniziativa di possidenti locali o di
comunità cittadine, furono erette le prime cappelle che, dotatesi di una propria
dotazione fondiaria, potevano provvedere al mantenimento di un sacerdote che, pur
appartenendo formalmente al clero risiedente presso la chiesa matrice, abitava presso
la sua cappella. In tal modo nacquero le figure dei rettori, naturale trasformazione dei
primitivi cappellani. Nel basso medioevo le singole chiese divennero
progressivamente sempre più autonome dal centro, fino a raggiungere la completa
indipendenza attraverso la creazione delle parrocchie; questo processo appare
pressoché concluso nel XV secolo quando tutte le antiche cappelle risultano strutture
ecclesiastiche autonome.
I rapporti con l’antico capopieve si limitavano ad alcune cerimonie (distribuzione
degli oli sacri e delle palme) e a livello formale come ripartizione ecclesiastica del
territorio. La pieve di Desio andò progressivamente sfaldandosi in seguito alla
crescita demografica del secolo XIX che vide la trasformazione in realtà autonome
delle antiche parrocchie che in qualche caso a loro volta divennero vicariati foranèi.
In tempi recentissimi l’istituzione pievana è stata eliminata dall’introduzione dei
decanati.
Occorre ricordare però che dall’originaria dimensione religiosa, spesso la pieve venne
ad assumere connotazioni civili, soprattutto quando in seguito all’infeudamento delle
stesse, la pieve ed il feudo di Desio vennero a coincidere per lungo tempo.
L’ORGANIZZAZIONE CIVILE
Non ci è dato sapere con certezza se l'organizzazione ecclesiastica del territorio
attraverso le pievi ricalcasse i confini di precedenti circoscrizioni civili. Nella sua
opera Studi sulle origini del comune rurale, Giampiero Bognetti ha evidenziato come,
pur con tutte le cautele del caso, sussiste un legame tra l'ordinamento amministrativo
del territorio in epoca romana e quello ecclesiastico del Medioevo170. Non abbiamo a
nostra disposizione documenti d'archivio utili a supportare questa ipotesi, ma l'analisi
del territorio sembrerebbe indirizzare in questo senso. L'origine della nostra
compagine territoriale sembrerebbe essere di natura politico-militare e forse anche
economica, vista la presenza antica di un mercato nel capoluogo171. L'intervento
arcivescovile modellò dunque la pieve sulla traccia di un organismo territoriale
precedente di natura civile, destinato poi a perpetuarsi con l'infeudamento della pieve
ed il conseguente installarsi nel capoluogo del dominus loci.
Tendenzialmente si può dire che il centro di Desio era collocato nel contado della
Brugaria, corrispondente all’attuale area brianzola. Data la sua posizione a non
eccessiva distanza dal capoluogo, Desio fu in più occasioni considerato uno dei punti
esterni di una sorta di fascia di rispetto intorno a Milano. In quest’area era vietato
generalmente costruire fortificazioni che sarebbero potute servire da punto
d’appoggio alle forze ostili alle istituzioni cittadine. Tale eventualità si presentò in
occasione dei ripetuti scontri tra le forze viscontee e quelle torriane per il controllo
della Città.
Con la creazione del ducato, Desio dovette entrare a far parte direttamente del
territorio amministrato dal Comune di Milano. Un cambiamento sensibile si ebbe
inoltre nel 1476 con la donazione della pieve di Desio insieme a quella di Mariano a
Lucia Mariani, favorita del duca Galeazzo Maria Sforza. In questo modo il territorio
di Desio fu svincolato da ogni dipendenza dal Ducato di Milano
170
BOGNETTI 1978, pp.44; 93n.
Già nel XII secolo esisteva a Desio un mercato che sorgeva su un'apposita superficie denominata area mercadera.
1158. Amizo, qui dicitur Umani, de loco Dexio ed Unia sua moglie donano alla chiesa di sant'Eusebio posta alla
Brera del Guercio in Milano una terra posta in loco et fundo Dexio, ubi dicitur ara mercadera. Vedi: BBM, Codice
Bonomi, Ae, XV, 32, f.72. Cit. MALBERTI 1961 p.11; CAPPELLINI 1972 p.66.
171
PODESTA’ DI DESIO172
6 marzo 1450
6 settembre 1450
Nob. Manfredus de Dugnano
Antonius Porrus
6 settembre 1452
6 settembre 1454
6 settembre 1456
6 settembre 1458
1 ottobre 1462
1 ottobre 1464
1 ottobre 1466
1 gennaio 1468
1 gennaio 1471
1 gennaio 1472
1 gennaio 1479
Io Aluisius Maleta
Zanonus de Strata
Addam de Aliprandis
Iacobus Rabia
Andrea de Scarselis
Iacobus de Rabiis
Cristoforus Toscanus
Franciscus de Seroldonibus
Perrinus de Caravagio
Iulianus de Orto
Magister artium et medicine
doctor Bonifortus de Arluno
Iulianus de l’Orto
Felix de Orto
Iulianus de Horto
Acursinus de Cuticis
Io Antonio de Horto
4 gennaio 1482
1 gennaio 1484
1 gennaio 1493
1 gennaio 1497
1 gennaio 1499
172
SANTORO 1948, pp.210s.
Lo sostituisce in sede Iulianus
de Orto al quale succede dal
1452 Lucas de Pasqualibus
lo stesso era podestà di Meda
VICENDE DEL FEUDO DI DESIO173
Desio col suo vicariato consistente nelle terre della sua pieve ed in quelle della pieve di Bollate,
cioè: Seregno, Lissone, Bovisio Masciago, Biassono, Macherio, Vedano, Molino del Salice, Molino
San Giorgio, Varedo, Palazzolo, Incirano, Nova, Paderno, Dugnano, Cusano, Balsamo, Cinisello,
Muggiò, Molino del Cantone, Bollate, Novate, Senago, Pinzano, Dergano, Castellazzo, Roserio,
Vialba, Cassina sant’Apollinare, Cassina Meda, Cassina S.Giorgio, Cassina Savina, Cassina
Aliprandi, Cassina Nuova, Cassina de Castiglioni, Cesate, Cassina Pertusella, Garbagnate,
Baranzate e Villapizzone.
1476, 13 giugno
Istromento rogato da Giovanni Antonio Gerardi, cancelliere ducale, di investitura data dal duca
Galeazzo Maria Sforza a Lucia Visconti (Marliani), contessa di Melzo e Gorgonzola, della
giurisdizione del borgo e pieve di Desio e del borgo e pieve di Mariano, coi dazi del pane, vino,
carni, e imbottato per lei e per i maschi nati e nascituri da lei e dal duca. Investitura confermata il 5
settembre 1476.
1477, 14 gennaio
Apprensione di beni e feudi della suddetta Lucia avuti dalla Camera Ducale. In seguito Luigi XII re
di Francia eresse in contado il vicariato di Desio e ne investì il fisico Gabriele Pirovano per sé, eredi
e successori. Questa concessione fu approvata dal Senato nel 1501.
1505
Lo stesso re investì del feudo. Stefano Pirovano, erede per testamento dell’anzidetto Gabriele.
1518
Il suddetto Stefano, previo assenso sovrano, cedette in permuta il contado ad Ottaviano Rho
1521
Apprensione a danno del Rho come seguace dei Francesi. Il duca Francesco II Sforza concedette
poi il feudo a Galeazzo Ferreri ed essendo questo morto senza maschio al cavaliere Vespasiano
Roadino.
1530, 10 settembre
Diploma del suddetto duca, interinato il 16 dello stesso mese, per l’investitura del feudo coi dazi, la
notaria ecc a Giacomo Gallarati
1580
Apprensione per la morte senza discendenza del conte Guido Gallarati. Il feudo consisteva allora in
1317 fuochi.
1580 7 maggio
Istrumento a rogito Marco Antonio Bigarola cancelliere ducale di investitura a Giorgio Manriquez
per il prezzo di lire 63.000.
1580 23 dicembre
Diploma del re Filippo II interinato il 9 novembre 1581, per l’approvazione dell’anzidetta vendita.
1613, 29 maggio
173
Notizie desunte da CASANOVA 1930, pp. 42s.
Diploma del re Filippo III a favore del conte Andrea Manriquez de Mendozza de suddetto Giorgio,
per l’elevazione del contado di Desio in marchesato.
I Manriquez vendono:
1674
Novate e Roserio ai Pogliaghi
1675
Vedano agli Scotti
1675
Garbagnate ai Po
1675
Cusano agli Omodei
1675
Balsamo agli Zanatta
1675
Biassono con Cassina san Giorgio e Molino san
Giorgio ai Crevenna
1676
Varedo e Masciago ai Crivelli
1677
Vialba con Villapizzone ai Resta
1680
Macherio ai Pallavicini
1683
Paderno al questore Antonio Calderari
1683
Palazzolo e Incirano a Giulio Calderari
1683
Dugnano ai Dugnani
1697
Cascina Amata con Cascina Nuova, Dergano e
Derganino agli Imbonati
1713
Seregno ai Castelli
1715
Baranzate ad Antonio Maria Molossi
1715
Pinzano ad Ottavia Ugolani Molossi
1715
Cesate con Cascina Pertusella ai Gozzi
1732
Nova ai Rovelli
1733
Bollate ai Citterio
1799, 29 novembre
Diploma dell’imperatrice Maria Teresa, interinato il 13 marzo 1780, per la concessione
dell’eventuale trapasso del feudo di Desio, come era allora ridotto (cioè Desio fuochi 449, Lissone
200, Muggiò 106, cascina Aliprandi 18, Bovisio 66, Senago e Senaghino 181, Castellazzo 56,
Cinisello 210) qualora il marchese Lodovico Manriquez de Mendozza morisse senza maschio, al
consigliere conte Pietro Secco Comneno, genero di lui, in quanto coniuge di Laura Manriquez.
1791, 24 gennaio
Morte di Ludovico Manriquez
1795, 28 novembre
Istrumento rogito Pietro Ambrogio Tarantola not. Camerale, per il possesso al Secco Comneno
IL COMUNE
L’esistenza di un ordinamento comunale a Desio è testimoniata da un documento
datato 15 febbraio 1260, in cui Desio è citato come comune ed è segnalata la
presenza del console174. I nomi dei primi amministratori: Dionisio Astexano,
Antonio de la Strata, Cristoforo de Pessina, Johannolo Bellonio sono cittai negli atti
relativi ad una controversia nel 1387 tra Ardigolo della Porta ed il Comune di Desio
per alcune requisizioni contestate175.
Capoluogo di una vasta pieve, il nostro era uno dei borghi più densamente popolati:
nel corso dei secoli dell’età moderna esso era infatti andato registrando notevoli
aumenti demografici, passando dalle 398 anime numerate nel “Summarium
descriptionis facte in locis plebis Dexii” inviato al magistrato delle entrate ducali nel
1530, alle 700 registrate intorno alla metà del Cinquecento in un altro “Summarium”
ed infine alle 2.011 anime registrate nelle risposte ai quarantacinque quesiti della
giunta del censimento del 1751.
L’assemblea dei capi famiglia, radunata nei primi giorni di ogni anno per le nomine
delle diverse cariche municipali e per l’approvazione del bilancio consuntivo e
preventivo della comunità, rappresentava l’organo decisionale del borgo. Le modalità
di convocazione dell’assemblea erano quelle comunemente prescritte nel diritto
consuetudinario milanese: la Universitas Communitatis et Hominum burgi Dexii era
radunata sulla pubblica piazza al suono della campana ad istanza del console e dei
sindaci e su mandato ed imposizione del pretore o del suo luogotenente, che ne
presiedevano i lavori. All’assemblea dei capi famiglia faceva riscontro un più ristretto
organo esecutivo composto da “sindaci reggenti” e da “sopraeletti”, nominati
annualmente dall’assemblea stessa, in numero che, nel corso del XVI, secolo variò tra
i sedici ed i sei componenti. I sindaci “reggenti” erano impegnati in mansioni legate a
problemi di ordinaria amministrazione, ai sindaci “sopraeletti” erano invece
demandate funzioni di controllo e di intervento nelle questioni di maggiore rilievo.
Compiti di polizia locale erano infine raccomandati al console di Desio, nominato
annualmente sempre dall’assemblea, secondo il comune criterio di scelta che affidava
l’incarico a colui che si impegnava a svolgere tale servizio al minore costo.
Dalle risposte ai quarantacinque quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge
che l’intero apparato amministrativo del borgo era ancora costituito dall’assemblea
dei capi di casa e da un consiglio ristretto composto da tre sindaci, “che sono capi di
tre classi di persone, cioè un nobile per i nobili, un mezzano per li mezzani ed un
povero per li poveri”. Ai tre sindaci (eletti il nobile da un particolare consiglio di
primi estimati “nobili” e gli altri due a voto segreto da tutto il popolo radunato in
piazza) era raccomandata la gestione degli interessi della comunità ma soprattutto “la
vigilanza sopra la giustizia dei riparti pubblici”. A completare l’organizzazione
amministrativa della comunità vi erano un cancelliere ed un esattore: al primo,
174
175
BARONI 1987
AVFDM, AS, 320.
residente per la maggior parte dell’anno in Milano ma rappresentato in loco da un suo
intendente, erano raccomandate la compilazione e ripartizione delle imposte annuali e
la custodia delle scritture pubbliche, libri dei riparti compresi; al secondo, nominato
“a pubblico incanto”, erano delegate le operazione di riscossione dei tributi, le quali
potevano essere compiute solo dopo essere state approvate e firmate dai tre sindaci
suddetti. Compiti di polizia continuavano infine ad essere attribuiti al console,
nominato sempre a “pubblico incanto” A metà del XVIII secolo il comune, aveva il
podestà feudale, residente in Milano, ma rappresentato in loco da un luogotenente, a
cui la comunità corrispondeva un onorario a “titolo di podestaria”, ed era anche
sottoposto “per il Maggior Magistrato” all’ufficio del capitano di giustizia di Milano,
presso i quali il console, in quanto tutore dell’ordine pubblico, era tenuto a prestare
ogni anno l’ordinario giuramento
Nel 1771 il comune contava 2.448 abitanti. Con la successiva suddivisione del 1786
della Lombardia austriaca in otto province Desio e la sua pieve furono inclusi nella
provincia di Milano. In seguito al nuovo compartimento territoriale per l’anno 1791,
Desio risulta ancora a capo della pieve omonima, inserito nel XII distretto censuario
della provincia di Milano. Con la legge 27 marzo 1798 di organizzazione del
dipartimento del Lario (legge 7 germinale anno VI) Desio fu designata come
capoluogo di distretto. Tale rimase anche in seguito alla riforma del settembre
successivo. Il comune, in forza della legge 13 maggio 1801 di ripartizione territoriale
della Repubblica Cisalpina (legge 23 fiorile anno IX), fu poi inserito nel distretto I
del dipartimento d’Olona, con capoluogo Milano. Con l’attivazione del
compartimento territoriale del Regno d’Italia (1805) Desio rimase nel distretto I di
Milano, come capoluogo del cantone VII: comune di terza classe, contava 2.050
abitanti.
In forza del decreto di aggregazione e unione dei comuni del dipartimento d’Olona
(1809) il comune di Desio fu incluso nel distretto I di Milano, cantone VI di Milano
e con il successivo decreto di concentrazione e unione dei comuni del dipartimento
d’Olona (1811), Desio fu trasportato nel distretto III di Monza, compreso nel cantone
IV di cui era capoluogo: la sua popolazione era nel frattempo salita a 2.673 unità.
Con il compartimento territoriale delle province lombarde del Regno LombardoVeneto (notificazione del 1816) il comune di Desio fu inserito nella provincia di
Milano, distretto V di Barlassina. Il comune, che aveva convocato generale, rimase
nel distretto V di Barlassina anche in seguito al successivo compartimento territoriale
delle province lombarde (1844). Nel compartimento territoriale della Lombardia
(1853) Desio, dotata di consiglio comunale privo di ufficio proprio, risulta ancora
compreso nella provincia di Milano, distretto VIII di Barlassina. La sua popolazione
ammontava a 4.992 abitanti.
In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in
base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di
Desio con 5.350 abitanti, retto da un consiglio di venti membri e da una giunta di
quattro membri, fu incluso nel mandamento III di Desio, circondario III di Monza,
provincia di Milano.
Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il Comune aveva una popolazione
residente di 5.677 abitanti (Censimento 1861). In base alla legge sull’ordinamento
comunale del 1865 il comune era amministrato da un sindaco, da una giunta e da un
consiglio. Nel 1867 il Comune risultava incluso nello stesso mandamento,
circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867). Popolazione residente
nel comune: abitanti 5.874 (Censimento 1871); abitanti 6.798 (Censimento 1881);
abitanti 10.182 (Censimento 1901); abitanti 11.949 (Censimento 1911); abitanti
11.333 (Censimento 1921). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di
Monza della provincia di Milano. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale
disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Popolazione
residente nel comune: abitanti 12.911 (Censimento 1931); abitanti 13.499
(Censimento 1936). In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel
1946 il comune di Desio risultava amministrato da un sindaco, da una giunta e da un
consiglio. Popolazione residente nel comune: abitanti 16.824 (Censimento 1951);
abitanti 23.750 (Censimento 1961); abitanti 30.499 (Censimento 1971).
LE RIPARTIZIONI TERRITORIALI
Distretto di Desio 1798
In base alla legge 27 marzo 1798 di organizzazione del dipartimento del Lario (legge
7 germinale anno VI) il distretto di Desio, contrassegnato con il numero 13, risultava
formato dai comuni di Balsamo, Biassono, Bovisio, Cassina Amata, Cassina di
Giorgio Aliprandi, Cassina Savina, Cinisello, Cusano, Desio, Dugnano, Incirano,
Lissone, Macherio, Masciago, Muggiò, Nova, Paderno, Palazzuolo, Seregno, Varedo,
Vedano.
Distretto XXXI di Desio 1798 – 1801
Nella legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona,
Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 vendemmiale anno VII), il distretto di Desio,
qualificato come XXXI distretto del dipartimento d’Olona, risulta formato dai
diciassette comuni seguenti: Albiate, Balsamo, Cassina di Giorgio Aliprandi,
Cinisello, Desio, Dugnano, Incirano, Lissone, Macherio con Cassina Torretta,
Muggiò con Cassina Scorpiona, Nova con Cassina Meda e Grugnotorto, Paderno,
Palazzuolo, Seregno, Sovico, Triuggio con Rancate e Boffalora, Varedo. La
popolazione ammontava a 17.600 abitanti.
Cantone VII di Desio 1805 – 1809
In base al compartimento territoriale del Regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805) il
cantone VII di Desio, compreso nel distretto I del dipartimento d’Olona, includeva i
seguenti comuni: Barlassina, Binzago, Birago, Bovisio, Cassina Aliprandi, Cassina
Amata, Cassina Savina, Ceriano, Cesano Maderno, Cogliate, Copreno, Desio,
Lazzate, Lentate, Limbiate, Masciago, Meda, Misinto, Palazzuolo, Seregno, Seveso,
Solaro, Varedo. La popolazione complessiva era di 19.004 abitanti.In seguito il
cantone VII di Desio fu soppresso ed i comuni che ne facevano parte furono inseriti
nel cantone VI di Milano (decreto 4 novembre 1809).
Cantone IV di Desio 1811 – 1815
In base al decreto di concentrazione e unione dei comuni del dipartimento d’Olona
(decreto 8 novembre 1811) Desio, che in precedenza era inserita nel cantone VI di
Milano, tornò ad essere capoluogo di cantone, il IV del distretto III di Monza, di cui
facevano parte nove comuni: Barlassina, Cesano, Desio, Lentate, Limbiate, Meda,
Senago, Seregno, Varedo. Gli abitanti erano complessivamente 21.041
GLI ORGANISMI STATALI
Ufficio del Registro di Desio
Organo dell'amministrazione periferica statale del ministero delle finanze, dipendente
dall'Intendenza di finanza e competente nel territorio del mandamento di Desio. E’
attivo sul territorio dal 1859.
Ufficio Distrettuale delle Imposte di Desio
Ufficio dell’amministrazione periferica statale, previsto in base al regio decreto 24
agosto 1877, n. 4021, già Agenzia delle Tasse e Imposte Dirette in base al regio
decreto 29 agosto 1866, dipendente dal ministero dell’interno; competente nel
territorio del distretto di Desio. E’ attivo sul territorio dal 1877.
Pretura
Istituita in epoca napoleonica come giudicatura di pace in sostituzione dell’antica
pretura feudale. Fu eretta in pretura nel 1818 ed operò fino alla recente riforma che
l’ha elevata a rango di tribunale176.
Le carceri erano anticamente collocate a fianco degli uffici della pretura nel palazzo
di piazza Conciliazione. Con la creazione dei nuovi uffici nel 1964, le carceri furono
trasferite alla periferia meridionale dell’abitato.
176
Le vicende della Pretura sono state ricostruite da: CAPPELLINI 1972 1994.
LE STRUTTURE ECCLESIASTICHE
IL CAPITOLO
La vita religiosa di Desio fu caratterizzata dalla presenza presso la Basilica di un
gruppo di sacerdoti denominato “capitolo”. Questa è una delle istituzioni desiane di
più antica fondazione e sicuramente la meglio documentata; essa ha avuto in passato
un profondo influsso nelle vicende storiche di Desio. Pur essendo un’istituzione
religiosa, il capitolo ha rivestito un ruolo economico di notevole importanza e lo
studio delle modalità di conduzione dei suoi possedimenti offre un quadro molto
articolato, idoneo a comprendere le caratteristiche dell’agricoltura nella nostra zona
in epoca preindustriale.
CARATTERISTICHE
Giova a questo punto presentare sinteticamente le caratteristiche di un capitolo. Esso
è costituito da un collegio di sacerdoti che si riuniscono regolarmente per la recita
comunitaria dell’ufficio divino (breviario) e la celebrazione della messa. Questi
sacerdoti, per il fatto di essere legati al rispetto di una regola di vita comune, erano
detti regolari. Al contrario, i canonici privi di un regolamento specifico che li avrebbe
avvicinati alle comunità monastiche, erano detti secolari. Creati ad imitazione del
capitolo della chiesa cattedrale, i capitoli forési (cioè quelli distribuiti sul territorio
della diocesi) erano presieduti da un prevosto. I canonici potevano essere di tre
tipologie differenti:
• I prebendati o titolari avevano un posto nel coro, potevano ricoprire incarichi e
votare le diverse proposte. In particolare erano titolari di una prebenda, ossia un
complesso di beni fondiari per provvedere al mantenimento della propria persona.
La prebenda godeva di personalità giuridica propria, pertanto, con linguaggio di
oggi, potrebbe essere assimilata ad una fondazione.
• I soprannumerari godevano degli stessi diritti dei primi, ma non erano titolari di
una prebenda, pertanto per il proprio mantenimento dovevano affidarsi alle
distribuzioni corali o ad attività prive di regolarità (celebrazione di messe, novene,
ecc. per conto del capitolo, di altre chiese e soprattutto di privati).
• Gli onorari avevano posto in coro ma non godevano di voce in capitolo. Spesso
tale carica era riservata agli anziani che avessero prestato il loro servizio nella
stessa chiesa per quaranta anni. Potevano sedere in capitolo anche coloro che, pur
ascritti allo stato clericale, non erano sacerdoti o non erano ancora stati ordinati177.
Il capitolo, essendo un’istituzione di tipo collegiale, aveva le caratteristiche
giuridiche di una corporazione178. I beni temporali potevano dunque essere di duplice
natura. Le prebende spettavano al solo canonico titolare che in tal modo godeva di
una rendita sicura. C’erano inoltre beni immobili che erano comuni a tutto il capitolo
(massa capitolare); i frutti di questi possedimenti venivano utilizzati per assegnare
quelli che oggi chiameremmo gettoni di presenza. Ogni canonico riceveva un
compenso stabilito per ogni azione liturgica cui partecipava (mattutino, lodi, messa,
177
178
Nel caso di Desio si cercò di scoraggiare questa possibilità.
RUFFINI 1930, pp.862s.
terza, sesta, nona, vespri, compieta). Nel caso di Desio, come vedremo, i frutti erano
divisi in parti uguali fra tutti i canonici, salvo il prevosto cui spettava una quota
doppia rispetto alle altre. Giova fin d’ora evidenziare che compito principale dei
canonici era la celebrazione dell’ufficio e non la pratica pastorale, la quale era invece
demandata al prevosto e ad un canonico che aveva la funzione specifica di
coadiutore.
LE ORIGINI
La tradizione locale, spesso assorbita da quella diocesana, ha sempre fatto risalire
l’istituzione del capitolo desiano all’opera di san Giovanni Bono, arcivescovo di
Milano, che verso il 650 fondò la chiesa di Desio, dotandola del clero necessario
all’amministrazione dei sacramenti nelle chiese del distretto pievano179. Pur
sostanzialmente vera e suffragata dai documenti, questa versione richiede alcune
integrazioni. Se da un lato è sicuro che san Giovanni Bono fondò la chiesa di Desio,
dall’altro nulla sappiamo sull’organizzazione che egli diede al clero locale. I
sacerdoti desiani dei secoli seguenti, con il chiaro scopo di nobilitare l’istituzione
capitolare, fecero risalire la nascita di questo collegio sacerdotale all’azione di San
Giovanni, ma, a ben vedere, risulta assai improbabile che in epoca longobarda si
fosse creata una comunità religiosa con le stesse caratteristiche organizzative e
giuridiche documentate nel XVIII secolo. In passato la fondazione del capitolo
assunse toni spesso leggendari, riconducibili alla volontà di dare maggior prestigio
alla locale istituzione ecclesiastica180.
LA RIFORMA CANONICALE
Nel contado la vita comune del clero non fu determinata da un desiderio di
perfezione, bensì dettata da un’esigenza contingente che si era venuta creando nel
corso del tempo. Il progressivo aumento della popolazione ed il conseguente sviluppo
dei centri rurali aveva portato alla creazione di chiese e cappelle nei singoli villaggi.
Questo processo, che culminerà nella creazione delle parrocchie, comportò lo
sgretolamento dei vecchi sistemi di organizzazione ecclesiastica. In particolare
l’istituzione della pieve conobbe una profonda crisi; i sacerdoti residenti presso la
chiesa matrice videro in tal modo perdere la propria importanza in quanto la loro
presenza nei singoli centri era soppiantata da cappellani, spesso nominati da un
signore locale con il meccanismo giuridico del juspatronato181. Lo sgretolamento
della pieve non era dunque solo un processo di decentramento organizzativo, ma
costituiva un serio problema di natura economica. Infatti ora gli abitanti di un
villaggio provvedevano autonomamente al mantenimento del proprio clero, pertanto
il pagamento alla chiesa matrice di imposte ecclesiastiche come le decime risultava
ormai superato.
179
Per la figura del Santo si veda: BRIOSCHI 1995 B, pp.51-91.
Cfr.: BRIOSCHI 1998 A, passim. Il cronista giunge addirittura a riportare un autentico dialogo tra l’Arcivescovo e la
regina Teodolinda in merito alla fondazione delle chiese di Desio e Monza.
181
PALESTRA 1959, pp.142-149.
180
Molto probabilmente il clero residente presso le chiese pievane provvide a darsi una
figura giuridica che permettesse di sottolineare la propria superiorità rispetto alle
chiese circonvicine e, contemporaneamente, garantire alcune fonti di entrata,
costituite principalmente dall’esazione delle decime. Sembrerebbe che a Desio il
capitolo abbia avuto origine solo nel XII secolo per salvaguardare i diritti del clero
residente presso la chiesa matrice contro il processo disgregativo dell’intero sistema
pievano.
GLI STATUTI
Un documento fondamentale per la storia dei capitolo desiano sono gli statuti del
primo marzo 1442. Come risulta dall’atto notarile redatto dal notaio Ambrogio de
Belabuchis, di Porta Ticinese, un gruppo di quattro canonici, anche a nome di altri
due, si recò innanzi al vicario dell’arcivescovo Francesco Piccolpasso, presentando il
testo degli statuti da loro precedentemente sottoscritti. Il documento è composto da
ventisette capitoli che abbracciano tutti gli aspetti della vita in comune del clero
desiano. Questo documento riveste particolare importanza perché, a quanto si è
potuto appurare, è tra i più antichi nel suo genere; nemmeno il capitolo monzese ha
conservato documentazione anteriore al XVI secolo182.
L’ETA’ MODERNA
Nel corso del XVI secolo i documenti conservati aumentano in modo impressionante
e documentano soprattutto la gestione economica dei fondi appartenenti al capitolo
desiano. La qualità del clero non risultava però molto elevata e san Carlo Borromeo
dovette intervenire in ripetute occasioni per riportare i canonici a comportamenti più
consoni allo stato ecclesiastico, ma soprattutto a sedare le frequenti liti interne, specie
con il prevosto Francesco Bernardino Cermenati che rappresenta la figura di maggior,
spessore spirituale. Anche a causa della natura dei documenti, la maggior parte delle
carte capitolari hanno proprio natura legale e testimoniano frequenti scontri tra i
canonici, salvo riappacificazioni per sancire i diritti del capitolo contro chiunque
avesse osato limitarli. Un caso emblematico è nel 1740 la protesta dei canonici che
impedirono al sacerdote Francesco Bellebuono di accedere al coro in quanto la sua
nomina, contrariamente alle consuetudini, era avvenuta mediante nomina diretta
dell’arcivescovo.
Arrivava così anche a Desio l’epoca dei Lumi, che si espresse generalmente in un
riordino del sistema organizzativo dello stato per garantire una più razionale
ripartizione delle imposte. Già nel 1727 perveniva una circolare che imponeva carichi
fiscali sulle distribuzioni corali. Ormai la marea delle soppressioni stava per colpire
anche Desio, ma i canonici continuavano indisturbati le loro attività pensando che
nessuno avrebbe mai osato abbattersi sul loro capitolo.
182
Gli statuti del capitolo desiano, per quanto si è potuto appurare, sono i più antichi tra quelli giunti fino a noi in tutte
le chiese collegiate del circondario. Probabilmente nelle chiese foresi prevaleva il diritto consuetudinario senza ricorrere
a statuti scritti. Monza stessa conserva solo alcune tracce di statuti risalenti agli anni 1481 e 1497. La prima redazione
completa risale all’epoca di San Carlo Borromeo ed il testo è molto simile sia nella struttura, sia nei contenuti, agli
statuti desiani. Vedi: BCM, cart.9b.
Gli antichi statuti del 1442 nel corso del tempo si erano ormai rivelati desueti.
Soprattutto dopo la creazione della figura del teologo, le differenze di funzione e di
dignità tra i canonici si erano venute sviluppando, creando forti tensioni. Per ovviare
a questi problemi i canonici si risolsero a riformulare nuovi statuti tenendo in
considerazione le mutate strutture organizzative183. La versione definitiva fu
approvata prima dall’arcivescovo il 5 ottobre 1765, e poi dall’assemblea capitolare il
31 luglio 1766184.
LE ORDINAZIONI
La gestione degli affari del capitolo necessitava di un apposito strumento
assembleare. Fino al Cinquecento non abbiamo documentazione esplicita relativa a
riunioni capitolari, è ovvio però che, almeno per azioni con valore legale di
particolare rilevanza, si riunisse l’intero collegio. Anche per pressione degli
arcivescovi, nel XVIII secolo abbiamo due tipi di capitoli: quello spirituale e quello
temporale. Il capitolo spirituale, istituito nel 1596, si riuniva ogni venerdì ed aveva
come argomento il culto, la liturgia e tutto quanto spettava all’organizzazione della
chiesa. In considerazione maggiore erano invece tenuti i capitoli temporali in cui si
discutevano tutte le questioni relative all’amministrazione dei beni. La partecipazione
era completa anche se non era prevista alcuna ammenda per le assenze.
LA SOPPRESSIONE DEL CAPITOLO
Il capitolo per secoli aveva gestito una discreta massa fondiaria, senza effettuare
investimenti significativi e limitandosi a raccogliere i magri frutti di un’economia
stentata, quasi di sussistenza. Alla fine del Settecento il capitolo fu soppresso per
disposizione dell’amministrazione napoleonica, ma all’intervento esterno si devono
aggiungere altre due cause altrettanto importanti: un processo endogeno di
sfaldamento e, a livello economico, l’impossibilità di gestire la struttura con le magre
risorse a disposizione.
Il colpo mortale fu inferto dalle pesanti contribuzioni di guerra imposte da
Napoleone. L’unica voce che ricorda i fatti con dovizia di particolari è il cronista
Aliprandi, quasi contemporaneo degli avvenimenti, che annota la vicenda con stile
quasi teatrale. Secondo il racconto del cronista, dopo le prime soppressioni, anche i
canonici di Desio cominciarono a temere per la loro fine, ma qualcuno di loro,
ingenuamente, pensava che non si sarebbe osato toccare il collegio sacerdotale
desiano a motivo della sua presunta antichità. Nel 1797 giunsero a Desio i funzionari
ministeriali incaricati di requisire tutta la documentazione relativa ai possessi del
capitolo; gran parte delle carte fu così trasferita a Milano185. Lascio ora la parola
all’Aliprandi che descrive in tono melodrammatico il momento della soppressione:
“...Nell’anno 1798, maggio, in una domenica dopo il vespero, senza previo aviso,
comparvero alchuni delegati governativi nella solita sacrestia capitolare, dove erano
183
Già nel 1611 il visitatore apostolico aveva invitato a riformare gli statuti della collegiata per uniformarli ai dettami
del Concilio Tridentino.
184
ASM, religione, 2500. Il testo degli statuti è inserito nel verbale della seduta.
185
Si tratta delle carte oggi conservate nel fondo culto dell’Archivio di Stato di Milano.
soliti i capittolari a fare consili e decisioni della loro disciplina ed altro. Così uno de’
delegati apre il decreto reale e lo legge alla presenza del venerando capitolo, e si
esprime in questo modo: “Voi, signor prevosto cittadino, non sarete più inavanti
capo del capitolo, ma bensì capo de’ sacerdoti. E non avrete più dirito de’ beni che
posedete come capo del capitolo, ma bensì la somma di scudi duecento come parroco
e prevosto, e non sarete obligato in avenire ad andare al coro quottidianamente
perché questo viene proibito dal presente decreto. Così a voi si concede la vuostra
insigna cappa magna per vuostra divisa come prevosto di detta basilica di Desio e
sua pieve. Notate che il sudetto delegato era un parente del medesimo signor prevosto
don Carlo Terzolli186. In seguito si rivolge ai reverendi capittolari. Si esprime in
questo modo: Voi, signori canonici, da qui in avanti, non sarete più obbligati al coro;
ne’ pure avrete il diritto de’ fondi, ossia rendite, che sin ora avete goduto, solo
avrette per vuostra pensione la somma di lire 600 cadauno sino alla morte. E tutti i
diritti che avete avuto sinora, tanto di funebre ed altro, cessano in questo giorno
innavanti. E questi sono riserbati al signor prevosto e coaditore curato. Così pure se
aveste la insegna di canonico, restano proibite in avanti, e solo si permette al signor
prevosto. Così facio scusa a questo rispettabile ex capittolo, compatiranno della
notizia che noi abbiamo anunciato, e non abbiamo fatto altro che eseguire il presente
decretto universale, a riserva della Metropolitana e Monza, per privilegio, e quelli di
jus padronali”.
Sembrerebbe che dopo la soppressione ci sia stato, come in altri luoghi, un momento
di confusione e sbando. Probabilmente alcuni ex canonici tornarono alle loro case a
godersi il vitalizio loro concesso; altri, alla chetichella, ripresero a frequentare
privatamente le funzioni in basilica. Chi deve aver reagito in maniera decisa a
quest’intervento alla soppressione sembra essere stata la popolazione desiana. Avere
nella propria chiesa un capitolo era sempre stato per i Desiani un motivo di vanto e di
orgoglio nei confronti dei paesi vicini; ora essere privi di quest’espressione fisica
della fede dovette costituire sicuramente un dramma. Non era stato minato il
complesso fondiario della chiesa, ma l’orgoglio civico. Iniziò così una serie di
richieste per ottenere il ripristino del capitolo.
Con la definitiva caduta di Napoleone potevano riprendere fiato le speranza di
ricostituzione del capitolo e la cosa avvenne mediante un accordo per cui i canonici,
privati delle rendite, si sarebbero mantenuti con i proventi della cassa dei funerali. Il
neoparroco Villa propose successivamente ai canonici una sorta di autolicenziamento
dietro la corresponsione vita natural durante di un decimo delle entrate della
sagrestia. Nel 1820 giunse a Desio il nuovo parroco Paolo Nardi che non sopportava
la presenza degli ultimi sacerdoti e li licenziò definitivamente.
186
Aliprandi è l’unico ad offrire questa precisazione che deve aver evidentemente desunto da un’informazione orale.
LA PARROCCHIA
Con il definitivo scioglimento del capitolo nel 1820 la chiesa di Desio si organizzò
con le modalità e le strutture che normalmente assegniamo alle parrocchie. Il parroco
mantenne l’antica denominazione di prevosto ed i pochi sacerdoti rimasti assunsero la
qualifica di coadiutori immediatamente sottoposti all’autorità del parroco.
Nel corso del XIX secolo le istituzioni religiose andarono riacquistando il prestigio
incrinato dalle riforme e dagli attacchi del processo di laicizzazione portato dalla
rivoluzione e dalle armate napoleoniche; poco alla volta si andava formando la
cosiddetta “parrocchia sociale” ossia una rete di attività ed istituzioni facenti capo al
clero locale che praticamente copriva tutti gli aspetti sia della vita religiosa, sia dei
diversi momenti associativi. Spiccano in questa dinamica tutti gli interventi per
gestire il tempo libero degli adulti, ma soprattutto dei ragazzi con la creazione degli
oratori cittadini. Con una forte coerenza di intenti e di scelte il clero locale seppe
interagire con le varie amministrazioni comunali e presentare l’istituzione ecclesiale
cittadina come la depositaria dell’animo civico.
Malgrado la crescita senza precedenti degli abitanti, sino alla fine degli anni
Cinquanta si evitò in ogni modo di smembrare l’unità della parrocchia. Per garantire
il servizio religioso anche nei quartieri periferici si provvide inizialmente alla
creazione di chiese secondarie; prima tra tutte sorse la chiesa intitolata a San Pio X, il
cui progetto prese avvio nel 1944 con l’intenzione di intitolarla al pontefice
rinascimentale san Pio V. Occorre ricordare che in questi anni la gestione di alcune
chiese periferiche era praticamente affidata a religiosi: a San Giorgio officiavano i
padri Olivetani di Seregno; in altre chiese i padri Saveriani.
Agli inizi degli anni Sessanta del Novecento la situazione era divenuta insostenibile,
cosicché si provvide alla formazione nel corso di pochi anni di ben quattro nuove
parrocchie tutte ottenute dallo smembramento dell’ antica parrocchia dei santi Siro e
Materno di Desio. Tutte le parrocchie desiane furono aggregate al vicariato foraneo di
Desio nella regione IV della diocesi. Con la revisione della struttura territoriale
attuata tra il 1971 e il 1972 sono state attribuite al decanato di Desio nella zona
pastorale V di Monza.
• Parrocchia di San Giorgio Martire eretta con decreto 6 aprile
dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini
• Parrocchia di San Pio X eretta con decreto 21 maggio
dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini
• Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo eretta con decreto 23 aprile
dell’arcivescovo Giovanni Colombo,
• Parrocchia di San Giovanni Battista eretta con decreto 24 giugno
dell’arcivescovo Giovanni Colombo
1963
1963
1965
1966
Negli anni più recenti le parrocchie cittadine, oltre alla loro funzione di “cura
d’anime” si sono fatte carico di numerose. Nella scia di una secolare tradizione
ambrosiana, la parrocchia è divenuta un centro di attrazione con attività che vanno
dalla pratica religiosa agli aspetti formativi, fino alla proposta di iniziative che
interessano l’intera cittadinanza. Non a caso svariate attività sociali e culturali
operanti sul territorio cittadino trovano la loro sede fisica nel Centro Parrocchiale di
via Conciliazione.
Va infine ricordata la visita compiuta a Desio nel 1983 del Papa Giovanni Paolo II.
Per la città nella sua interezza è stato un evento “storico” che ha collegato il presente
al passato nel ricordo della figura del concittadino Pio XI.
ORDINI, CONGREGAZIONI ED ISTITUTI RELIGIOSI
Dalla documentazione disponibile si può sommariamente riassumere che in Desio nel
corso del tempo hanno operato i seguenti sodalizi religiosi:
MASCHILI
• Frati Umiliati hanno operato in epoca basso medioevale.
• Frati Minori Conventuali operanti dal 1250 circa al 1777 nel convento di
piazza Castello.
• Servi di Maria, documentati dal 1504 nel convento di san Pietro al Dosso fino
a data imprecisata.
• Concezionisti gestivano l’Orfanotrofio Maschile posto nella casa natale di Pio
XI.
• Passionisti operanti sino a pochi anni or sono nel santuario del Santo
Crocifisso.
• Saveriani (Istituto Saveriano delle Missioni Estere di Parma) Hanno avuto un
ruolo specifico e meritorio nella storia cittadina. Giunti a Desio nel 1947
posero la sede del loro liceo per seminaristi nei locali di Villa Tittoni,
rimanendovi fino al 1975 quando fu creata la nuova sede di via per Binzago. I
padri Saveriani, oltre ad arricchire il tessuto spirituale della città con la loro
esperienza missionaria, negli anni Cinquanta-Sessanta hanno contribuito alla
formazione delle parrocchie assumendo in proprio la pastorale di quartieri
periferici, spesso scollegati ed isolati dal centro cittadino.
•
FEMMINILI
• Suore di Maria Bambina erano ospitate nell’attuale oratorio femminile dove
avevano attivato un asilo ed una scuola di ricamo. A causa di dissapori con la
parrocchia abbandonarono Desio agli inizi del Novecento.
• Suore Ancelle della Carità giunsero a Desio in sostituzione delle precedenti
religiose e ne proseguirono l’attività. Assunta la vecchia Villa Gavazzi, la
trasformarono in casa provincializza dell’Istituto affiancandole asilo d’infanzia
e scuola privata. Hanno prestato la loro opera presso il locale ricovero per
anziani e presso l’ospedale.
• Suore di Santa Gemma attive presso l’Istituto Saveriano.
LE CHIESE
LA BASILICA DEI SANTI SIRO E MATERNO
La prima basilica
La chiesa primitiva di Desio, intitolata ai Santi Siro e Materno fu edificata nel VII
secolo dall’arcivescovo di Milano San Giovanni Bono per sancire molto
probabilmente il passaggio della popolazione longobarda dallo Scisma dei Tre
Capitoli al cattolicesimo.
L'antica basilica sorgeva sull'area oggi occupata dal tratto iniziale della Via Pio XI,
compresa tra la torre campanaria ed il giardino prepositurale. L'edificio, orientato
sull'asse est-ovest, era articolato su tre navate, ciascuna delle quali scandita da quattro
colonne. Le navate laterali terminavano con due altari che nel XIII secolo risultano
dedicati a san Giovanni Apostolo ed a san Vittore. La navata settentrionale era più
corta dell'altra perché il tratto terminale era occupato dalla sagrestia, ove, oltre agli
armadi, era collocato un altare dedicato alla Vergine. La zona absidale, rialzata di
poco dal resto dell'edificio, ospitava l'altare maggiore; dietro di essa era sistemato il
coro ed il catino absidale era affrescato con figure di santi.
Esternamente era collocata la torre campanaria originaria (crollata nel 1410 in seguito
ad un incendio), un edificio quadrato, utilizzato solo a partire dal Cinquecento come
battistero, la canonica e l’area cimiteriale che si snodava tutt’intorno alla basilica.
L’edificio, descritto dettagliatamente negli atti delle Visite Pastorali cinquecentesche,
continuò a funzionare fino al terzo decennio del XVIII secolo, quando, resosi inutile
per la costruzione della nuova basilica, fu malauguratamente demolito.
La seconda basilica
I lavori per la nuova basilica iniziarono materialmente nel 1652. Il progettista
dell’edificio l’ing. Camillo Ciniselli, riutilizzò forse un primitivo disegno del grande
architetto Pellegrino Tibaldi. I lavori, data anche la difficile situazione economica,
proseguirono con tempi lunghissimi e soste prolungate. Solo nel 1726 i lavori
ripresero con continuità sotto la guida dell’ing. Giuseppe Merlo e si provvide alla
copertura dell’edificio ed alla realizzazione della grande volta. La nuova basilica fu
aperta al culto il 31 ottobre 1736. La consacrazione ebbe luogo solo dopo la
realizzazione della parte decorativa ad opera dell’arcivescovo Pozzobonelli il 26
agosto 1744. Tra il 1764 ed il 1785 fu curata la sistemazione del sagrato e la
costruzione della facciata, opera dell’architetto Giulio Galiori.
La terza basilica
In seguito alla sensibile crescita demografica, alla fine dell’Ottocento la vecchia
basilica risultava insufficiente per le necessità spirituali di un’accresciuta
popolazione. Il prevosto Cesare Mossolini, coadiuvato da don Enrico Pirotta e dagli
industriali Egidio e Pio Gavazzi, si fece promotore dell’iniziativa di allargare l’antico
edificio. Tra le varie soluzione prospettate dal progettista desiano Domenico Laveni,
fu scelta quella che prevedeva l’abbattimento dell’abside e l’allargamento in
direzione est con la creazione di un grande transetto. Anche su suggerimento del
Prevosto, il progetto iniziale subì alcune modifiche, consistenti tra l’altro nella
costruzione della grande cupola.
La prima pietra del nuovo edificio fu posta 19 aprile 1891.Anche grazie al generoso
contributo della cittadinanza con offerte e giornate lavorative, i lavori proseguirono
celermente sotto la direzione dell’arch. Paolo Cesa Bianchi e dell’ing. Giuseppe
Buttafava. I capimastri esecutori dell’opera. Clapis e Bernasconi, portarono a
compimento il cantiere nel giro di soli tre anni, infatti il 4 ottobre 1894 il Parroco
benedisse solennemente l’edificio e, concluse le opere secondarie, il 26 agosto 1895
la basilica fu consacrata dal card. Ferrari. Nel nostro secolo l’edificio sacro è stato
oggetto di numerosi interventi decorativi, culminati negli anni 1928-1929 nella
decorazione pittorica eseguita quasi interamente dal prof. Giuseppe Riva di
Bergamo187.
San Giovanni Battista
Su questa chiesa possediamo pochissime informazioni. Sappiamo che esisteva nel
Duecento ed era collocata a fianco della chiesa prepositurale, nell’area oggi
corrispondente all’asilo Santa Maria. Alla metà del Cinquecento essa risultava
completamente atterrata e se ne vedeva solo il pavimento; molto probabilmente i
materiali furono reimpiegati per la costruzione del campanile.
Sant’Agata
É documentata alla fine del Duecento. Probabilmente la sua origine è da collegare
alla presenza degli Umiliati a Desio. Era posta all’attuale angolo tra la via Pozzo
Antico e la Piazza Conciliazione. L’edificio era composto da un unico ambiente
terminante con un’abside semicircolare (metri 10,30 x 4,93). Vi si celebrava una sola
volta l’anno in occasione della festa della Patrona e l’amministrazione dell’edificio
era a carico della locale Scuola delle Sante Maria ed Agata. La chiesa, oltre a servire
da sede per il Luogo Pio, fungeva anche da ambiente di raduno per i confratelli del
Santissimo Sacramento. Costoro poco alla volta si appropriarono dell’edificio fino a
decidere di abbattere l’antica chiesa e reimpiegare i materiali nella costruzione
dell’oratorio di santa Maria (1744). La documentazione d’archivio ci offre
informazioni sulle vicende dell’oratorio e si evince una descrizione sommaria
dell’edificio dagli atti delle visite pastorali.
Santa Maria
L’oratorio di Santa Maria fu eretto per iniziativa della locale confraternita del
Santissimo Sacramento. L’edificio doveva servire come luogo di raduno per gli
aderenti al sodalizio ma anche come spazio per la celebrazione dei sacramenti quando
la basilica veniva chiusa al pubblico per le ricorrenti evacuazioni dei sepolcri interni.
La chiesa fu consacrata nel 1744 insieme alla nuova Prepositurale per mano di
monsignor Verri. L’edificio ha subito una profonda trasformazione in occasione della
visita papale del 1983. Al suo interno sono conservate alcune tele di notevole pregio e
187
Per tutte le vicende dell’edificio si veda: BRIOSCHI 1998.
un fonte battesimale ricavato dall’acquasantiera dell’antica chiesa di san Francesco
risalente agli inizi del XVI secolo.
San Bartolomeo – Santo Crocifisso
È una chiesa di antichissima fondazione che risulta presente fin dai primi documenti
conservatisi. Sembrerebbe che la sua erezione sia coeva a quella della basilica come
luogo di raduno per la popolazione cattolica ridotta in stato servile dai Longobardi.
L’oratorio originale era posto parallelamente alla via Lampugnani in direzione estovest ed era preceduto da un piccolo slargo. Nel Cinquecento dovette subire alcune
trasformazioni, infatti in quell’epoca vi fu sistemato il Crocifisso ligneo che
sembrerebbe coevo ai lavori di sistemazione dell’edificio. Successivamente si costituì
la Confraternita dei Disciplini i cui membri provvidero ad allungare l’oratorio
costruendo la sagrestia ed un ambiente destinato alla recita comunitaria dell’ufficio
nello spazio retrostante l’altare. In seguito a questi interventi la lunghezza
dell’edificio passò da 11,5 a 21 metri.
Nel corso dell’Ottocento furono effettuati diversi interventi di sistemazione che
culminarono nella sostituzione dell’antico altare ligneo con uno in marmo disegnato
dall’ing. Villoresi. Questo pezzo in seguito fu ceduto alla chiesa di Muggiò ed è
ancora oggi presente nella chiesa parrocchiale del vicino Comune.
Ritenendo l’antichissimo edificio inadatto alle esigenze di una nuova chiesa più
ampia e con linee più solenni, nel 1912 si decise di passare alla distruzione
dell’antico oratorio. Sulla sua area fu costruito l’attuale santuario in forme neogotiche
progettato dal sacerdote ingegnere Spirito Maria Chiappetta. L’edificio, consacrato
nel 1913, è disposto perpendicolarmente alla via e si allungava nella parte posteriore
nel giardino di casa Gavazzi. La cessione della superficie fu compensata con
l’assegnazione temporanea alla famiglia donatrice di una tribuna nella chiesa188.
San Francesco
Durante la signoria torriana su Milano, si insediò a Desio una comunità francescana.
Il complesso monastico occupava il lato orientale dell'attuale piazza Martiri di
Fossoli. La prima descrizione analitica dell’edificio risale al 1777. Da questo
documento sappiamo che il chiostro era articolato su tre arcate per lato e che c’era
una stalla capace di ospitare cinque cavalli; il complesso occupava una superficie
complessiva di circa quaranta pertiche.
La chiesa era a navata unica e lungo il lato Nord si aprivano tre cappelle. Nel
Trecento uno di questi altari era dedicato a San Bernardo. La cappella
dell’Immacolata fu iniziata nel 1531 dal conte Galeazzo Ferrario e terminata nel
1568. Nel XVIII secolo gli altari erano dedicati a San Francesco, Sant’Antonio e
all’Immacolata. La costruzione era completata da un campanile che crollò nel XVIII
secolo. La chiesa aveva un ossario per i frati ed una sepoltura comune. Erano inoltre
presenti alcune sepolture nobiliari, ossia quelle delle famiglie Strada, Pecchio,
Lecchi, Sanvitali, Del Pozzo, Sala Giuderini, Formentoni, Briani, Ferrario e Giussani.
188
L’oratorio è stato analizzato in: BRIOSCHI 1995.
Purtroppo abbiamo poche notizie sulle attività svolte dai conventuali. Sappiamo che
questi frati erogavano crediti con interesse del 3,5 - 4% e che ebbero frequenti liti con
il capitolo della Basilica. Questi frati erano strettamente legati alla nobiltà locale e
tale fatto è testimoniato dall’elevato numero di sepolture aristocratiche nella loro
chiesa. Grazie a tali frequentazioni il convento possedeva un discreto patrimonio
fondiario. Era dato particolare rilievo alla ricorrenza di sant’Antonio da Padova e vi
si celebrava la festa del Perdono d’Assisi. La chiesa ospitava inoltre la locale
confraternita dell’Immacolata. Sempre nella chiesa francescana era sciolto un voto
civico che prevedeva l’offerta annuale di cinque libbre di cera. Al momento della
soppressione nel 1777 il convento ospitava cinque sacerdoti e due frati laici; l’ultimo
priore fu Giuseppe Antonio Beretta.
Negli anni 1830-1840 gli antichi edifici furono sottoposti ad un profondo processo di
ristrutturazione. Il Traversi, nuovo proprietario del complesso, affidò all’architetto
bolognese Pelagio Palagi l’incarico di progettare una risistemazione degli ambienti.
Appoggiandosi alle antiche strutture, fu realizzata una fantasiosa torre in stile
neogotico. Nei progetti iniziali il complesso avrebbe dovuto avere due torri
simmetriche. L’accesso al parco della Villa era assicurato da un grande arco trionfale
in stile classicheggiante ornato con una larga fascia di cotto raffigurante putti che
reggono festoni vegetali. A fianco di questa costruzione, avrebbe dovuto sorgere un
eclettico mausoleo in forma di torre destinato ad ospitare le spoglie mortali del
Traversi.
Negli anni Settanta del secolo scorso il complesso è stato profondamente trasformato
con la creazione del Museo di Mineralogia del concittadino Pio Mariani che
costituisce una collezione di primaria importanza a livello internazionale.
San Pietro al Dosso
In mancanza di un rilievo nel manto stradale, l’insolito nome sembrerebbe derivare
da San Pietro “ad deorsum” ossia “all’ingiù” e tale denominazione prenderebbe
origine dalla modalità con cui il santo fu martirizzato. Cappellini ha ipotizzato che il
complesso sia stato fondato dai monaci di San Colombano ma non esiste nessuna
indicazione oggettiva in questo senso. L’edificio risulta nel catalogo di Goffredo da
Bussero. Nel 1504 la comunità cittadina donò il complesso ai frati Serviti che si
insediarono nel piccolo convento annesso all’oratorio189, ma la presenza di questi
religiosi dovette essere non molto continuativa. In alcuni casi risulta residente in loco
un solo religioso. Nel XVIII sec. l’edificio era in stato di abbandono e lasciato alle
cure dei fedeli. Fu utilizzato dalla parrocchia per svariate usi come cappella
secondaria (misurava metri 11 x 7). Qui si tennero i primi raduni del nascente
oratorio maschile e durante il primo conflitto mondiale era allestita la camera ardente
dei desiani caduti al fronte. L’edificio fu alienato a privati e completamente
trasformato fino a rendere impossibile il riconoscimento delle strutture originali
dell’edificio. Del complesso si è conservata la pala d’altare conservata nella sagrestia
della Basilica.
189
ASM, Esenzioni, pa, cart. 154
Sant’Apollinare e Giorgio
La piccola chiesa sorge nella frazione San Giorgio. La costruzione dell’edificio
originale sembra risalire al XV secolo; negli atti delle visite dei Borromei la chiesuola
risulta in stato di abbandono e diroccata, tanto che San Carlo ne ordinò
l’abbattimento. Alla metà del XVII secolo don Giovanni Ambrogio Bareggi curò la
costruzione dell’edificio con il bell’altare barocco ornato dal gruppo statuario della
deposizione. Nel 1696 un altro sacerdote della famiglia, Giacomo Filippo dono tutti i
suoi beni, compresa la cappella, all’Ospedale Maggiore. L’antico edificio di culto è
ora di proprietà privata.
Santuario della Madonna Pellegrina
Sorge nella parte settentrionale dell’abitato lungo la via Milano. La chiesa fu eretta
per iniziativa privata tra il 1951 ed il 1952. La solenne benedizione dell’edificio
avvenne il 14 settembre 1952 per mano di mons. Bandera. L’edificio, disegnato
dall’arch. Bugatti, ospita un simulacro mariano donato dai Cavalieri del Santo
Sepolcro. Nel 1965 la chiesa fu sede provvisoria della neocostituita parrocchia dei
santi Pietro e Paolo.
Oratorio di San Giuseppe
È annesso alla residenza della famiglia Ferrario-Brambilla-Buttafava posta
all’estremità settentrionale dell’abitato al confine con Seregno. L’edificio risale al
XVII secolo ed è costruito in forme barocche. La chiesa costituisce il centro religioso
della sagra che si svolge ogni anno in occasione della festività del patrono.
Altri edifici di culto non parrocchiali risalenti al XX secolo sono:
• Chiesa B.V.I. dell’oratorio maschile
• Cappella del Centro parrocchiale
• Chiesa Sacro Cuore
• Chiesa San Francesco
• Cappella di San Rocco alla cascina Bolagnos
• Cappella dell’Ospedale
Rimane qualche esempio di cappelle annesse a residenze private:
• Cappella della Villa Tittoni (sistemazione attuale risalente al 1860)
• Cappelle delle due Ville Longoni di via Achille Grandi (una del XVIII, l’altra
del XX sec).
CAPPELLE ED EDICOLE SACRE
Come detto, parte di esse sorge sopra punti di riferimento nell’organizzazione del
territorio cittadino. In particolare S.Liberata e la cappella antistante il camposanto
sono collocate su una direttrice lineare, infatti, anche se non è sempre ben evidente,
viale delle Rimembranze è la prosecuzione rettilinea di via Pozzo Antico. Particolare
interessante, che denota l’antichità delle originarie ubicazioni, è il fatto che le due
cappelle sono poste alla distanza di un miglio romano esatto. La cappelletta della
Madonna dei Boschi è invece una costruzione più tarda, infatti, contrariamente a tutte
le altre edicole, non rispetta in alcun modo la struttura della centuriazione romana.
Santa Liberata(via Pozzo Antico)
La decorazione pittorica interna con figure di Santi sembra risalire al XVI secolo. Una
leggenda cittadina vuole che la statua mariana posta nell’edificio sia stata trovata
casualmente durante operazioni di aratura, pertanto essa sarebbe stata “liberata” dal
terreno. E’ ovvio che questo racconto ha carattere eziologico e sembra creato
appositamente per spiegare l’insolita intitolazione della cappella. Questa statua non è
l’originale, che doveva essere invece quella della Santa su cui sono sorte controverse
leggende. Stando alla documentazione esistente, la cappella non sembra essere stata
oggetto di specifiche azioni di culto, eccettuati naturalmente gli atti di devozione
privata e le rogazioni. Anticamente l’edificio sorgeva su area privata per cui nel 1882
fu acquistato dalla chiesa tramite la mediazione del sac. Enrico Pirotta.
Cappella esterna del Camposanto (viale Rimembranze)
É sicuramente di origine antichissima. Intorno ad essa vennero effettuate numerose
sepolture fino alla fine del Settecento, quando l’area circostante fu cintata ed adibita
a cimitero comunale. Forse ospitò sepolture comuni in epoche di peste, ma
sicuramente vi venivano portati i resti esumati dalle sepolture poste anticamente
intorno alla chiesa. In prossimità di questo luogo era collocato uno dei lazzaretti
allestiti durante la peste del 1630. La struttura attuale sembrerebbe risalire al 1807,
quando l’edificio, in seguito a minaccia di crollo, fu risistemato. In tale occasione fu
costruito anche il portichetto antistante che fungeva da ponte per scavalcare il corso
della Roggia.
Foppone dei Boschi (via Agnesi)
E’ un edificio a carattere eminentemente funerario edificato nelle forme attuali nel
Settecento. Tutte le cronache concordano nel riferire che esso servì per le sepolture
degli appestati. La cappella era una delle tappe delle rogazioni. La Santa Messa,
stando alla documentazione d’archivio, vi fu celebrata per la prima volta solo nel
1944.
Da alcune fonti sembrerebbe di capire che questo “foppone” servì per la sepoltura
degli appestati non solo di Desio, ma anche di Bovisio e Varedo; vista la particolare
ubicazione al confine con gli altri due paesi, la cosa non è affatto inverosimile
Santa Eurosia (via Lombardia)
Fisionomia e struttura dell’edificio originario ci sono sconosciute. Come alcuni
anziani ancora oggi ricordano l’edificio antico sorgeva in posizione poco distante da
quella attuale. Possiamo però dire che il piccolo luogo di culto fissato nella memoria
di alcuni non è esattamente quello originale. Infatti alla fine degli anni Ottanta del
secolo scorso il prevosto Mossolini mise alla prova le capacità dell’arch. Domenico
Laveni per poi affidargli l’incarico ben più impegnativo dell’esecuzione del progetto
della nuova basilica. A tale scopo il prevosto gli commissionò l’incarico di realizzare
la ristrutturazione dell’antico edifico ormai fatiscente. Questi interventi alla fine degli
anni trenta del nostro secolo risultarono però insufficienti; l’edificio necessitava di un
appropriato intervento di sistemazione.
Nel 1937 quando la fabbriceria, constatato che il suolo occupato dalla cappella
avrebbe permesso l’allargamento della vicina proprietà Giussani, propose al locale
industriale una permuta di terreno che prevedeva la cessione del suolo occupato dal
piccolo edificio in cambio di una pari superficie prospiciente via dei Reali190. La ditta
Giussani, considerato l’aumentato valore immobiliare della proprietà, provvide a
realizzare a proprie spese la nuova cappella. L’esecuzione del lavoro fu affidata
all’impresa costruttrice A. Schiatti su disegno dell’ing. Attilio Pissavini. La
decorazione interna fu eseguita dal pittore Gersam Turri.
Sotto l’edificio è situato un sepolcreto che accoglie i resti di numerosi defunti,
compresi alcuni che furono qui traslati nel 1777 al momento dell’evacuazione dei
sepolcri nella sconsacrata chiesa francescana. Santa Eurosia, come ricorda l’affresco
nella piccola abside, era invocata per proteggere le messi dalle intemperie estive.
Madonna del Piastrello (via Trento, angolo via Milano)
Tra tutte le cappelle qui descritte quella del Pilastrello è sicuramente la più piccola,
tanto da risultare quasi un'edicola in rilievo, appena sufficiente ad accogliere un
minuscolo altare. Malgrado le ridotte dimensioni, questo edifico dovrebbe quasi
sicuramente essere il più antico fra quelli considerati e la denominazione tradizionale
di Madonna del Pilastrello rivela che la sua fondazione risale all’inizio dell’era
cristiana e, molto probabilmente, è da collegare a consuetudini di epoca romana.
Sembra che l’edicola sorgesse in corrispondenza dell’undicesimo cippo miliare.
L’edicola originariamente era collocata poco più a sud all’angolo tra la via Matteotti
e la via Milano
190
Attuale via Lombardia.
LE CONFRATERNITE
Le locali confraternite hanno caratterizzato la vita cittadina dal Cinque al Settecento
anche per motivi estranei alla pietà religiosa.
LA CONFRATERNITA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE
Sussiste solo qualche traccia documentaria di questo sodalizio che sembrerebbe aver
avuto origine nel XV secolo. I suoi scolari provvidero a far eseguire la bella croce in
lamina d’acciaio ancora oggi conservata in Basilica191. La scuola negli ultimi anni di
vita risultava operante nella chiesa dei Padri Francescani con un reddito irrisorio.
Viene visitata nel 1688 e nel 1692. Nel 1733 i frati cercarono di impedire che il
visitatore avesse accesso alla cappella ed ai libri contabili provocando la reazione
dell’ispettore ecclesiastico192.
LA CONFRATERNITA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO
Fu istituita da San Carlo in occasione della visita pastorale del 1567. Nel 1584 la
Scuola ebbe riconoscimento canonico e fu aggregata all’arciconfraternita della
Minerva avente sede in Roma193.
Gli aderenti, in ossequio al rito ambrosiano, indossavano abito rosso ed avevano
come compito la diffusione del culto eucaristico e l’impegno di solennizzare con la
loro presenza le processioni dedicate al Corpo di Cristo.
La Confraternita aveva amministrazione propria in quanto era autorizzata a porre una
cassa per le offerte in chiesa in quanto contribuiva per un terzo a tutte le spese per gli
arredi liturgici della chiesa194.
Di questa confraternita rimangono gli atti giudiziari che produsse contro i disciplini
del Crocifisso. Una notevole qualtità di atti riguarda pure le liti per i diritti di
precedenza in occasione delle processioni. Il sodalizio fu soppresso in seguito alle
norme emanate da Giuseppe II.
LA CONFRATERNITA DEL SANTISSIMO ROSARIO
Fueretta all’alltare della Madonna in basilica nel 1604. Aveva come scopo la
diffusine della pratica del rosario ed in generale la pratica della devozione mariana. Il
sodalizio , fondato nel 1604, fu in seguito unito alla Scuola dei Disciplini.
I DISCIPLINI O CONFRATERNITA DEL SANTO CROCIFISSO
Un aspetto interessante delle vicende cittadine in epoca spagnola è costituito
dalla perpetua rivalità tra le due locali confraternite. In un secolo in cui era
impossibile esprimere il diffuso malessere, l'unico ambito in cui potevano
manifestarsi i disagi era quello religioso, cosicché si crearono situazioni in cui
191
L’iscrizione sul manufatto recita: Opus Scolarium Capelle Conceptionis Virginis Mariae, site in templo divor Siri
Materni Burgi Desii. Per l’analisi dell’oggetto si veda: BRIOSCHI 1998, pp. 121-123.
192
APD, cart.6.
193
MALBERTI 1961, pp.278ss.; CAPPELLINI 1972, pp.178s.
194
Le altre parti erano pagate dal Comune e dalla Scuola delle sante Maria ed Agata. In altre occasioni interverrà anche
la sagrestia.
orgoglio campanilistico, tensioni sociali e pietà religiosa si mescolarono
profondamente e si espressero in modi esasperati.
Dopo la visita del 1567 che trovò l’oratorio di san Bartiolomei in stato pietoso,
ebbe inizio una raccolta di fondi che permise il restauro dell'edificio. San Carlo
autorizzò inoltre la fondazione della Scuola dei Disciplini che iniziò la sua
attività nel 1570 ed elesse a proprio priore Giovanni Sala, figlio di Pietro detto
Giuderino.
Fin dall'inizio ebbero luogo scontri e rivalità con la confraternita del Santissimo
Sacramento. Ottenuto il riconoscimento canonico, il pio sodalizio aderì alla
confraternita romana del Santo Crocifisso e San Marcellino e successivamente
intentò contro i canonici e la confraternita rivale una lunga a complicata causa
giudiziaria. I confratelli desideravano ottenere la piena autonomia dalla Piazza e
chiedevano specificatamente: il possesso giuridico dell'oratorio che era stato
restaurato a loro spese, lo svincolamento da qualsiasi rapporto di
subordinazione rispetto alla parrocchia, la possibilità di effettuare
autonomamente collette ed il diritto a nominare direttamente un sacerdote cui
affidare la cura dell'oratorio, senza ricorrere al canonico della Basilica titolare
del beneficio di san Bartolomeo. La causa giunse fino a Roma con una sentenza
favorevole ai canonici; proseguendo la diatriba, si giunse ad un compromesso
secondo cui furono formalmente riconosciuti ai canonici i loro diritti, ma
l'oratorio della Vigana risultava praticamente svincolato dalla loro autorità.
Altra divergenza che dominò il periodo fu la questione relativa a quale
confraternita dovesse occupare il posto d'onore durante le processioni. Anche in
questo caso si giunse ad una transazione nel 1616, rinnovata poi nel 1635, in
base alla quale furono mantenute le vigenti consuetudini, mentre fu
regolamentata la disposizione in occasione dei funerali e di alcune festività.
A complicare la situazione ed a riaccendere gli animi mai placati
sopraggiunsero i decreti dell'imperatore Giuseppe II che prevedevano lo
scioglimento di tutte le confraternite. Quella del Crocefisso fu immediatamente
disciolta, mentre quella del Santissimo Sacramento fu tenuta in vita, seppure
sotto altra denominazione. Questo fatto scatenò la reazione degli uomini della
Vigana che, recatisi appositamente dal conte Litta, ottennero la soppressione
della rivale. Per tenere sotto controllo la situazione, in occasione della
processione del Corpus Domini si dovette procedere all'utilizzo di quindici fanti
armati per evitare scontri.
Nell'intento di evitare tumulti, fu presa la decisione di eliminare i tradizionali
abiti rossi (Piazza) o neri (Vigana) a favore di una divisa neutra di colore bianco
(come nel rito romano). Il fatto scatenò ulteriormente gli animi di entrambi i
contendenti che nel 1795 assalirono fisicamente le persone addette a reggere il
baldacchino durante la processione del Corpus Domini195.
195
BRIOSCHI 1995 D, pp.14s. Altre notizie sulla rivalità tra le due scuole sono ritrovabili in BRIOSCHI 1998 A,
pp.104ss.
LE STRUTTURE SOCIALI
LA POPOLAZIONE
La popolazione di Desio nel corso dei secoli ha subito trasformazioni assai profonde.
Le famiglie che posso “vantare” una presenza sul territorio a partire dal Basso
Medioevo, ossia da quando inizia la documentazione scritta, sono davvero poche.
Certi cognomi , anche se diffusissimi, non sono originari del territorio desiano, ma
provengono da fenomeni migratori del passato, motivati anche dai frequenti
spostamenti di agricoltori alla ricerca di contratti più vantaggiosi.
Un registro di decime risalente al 1642 traccia un quadro abbastanza completo della
popolazione di Desio e permette di percepire l’articolarzione in quartieri e la presenza
di cascine sul territorio. Viene qui riportata di seguito la composizione dei singoli
rioni con i cognomi delle famiglie che lo abitavano196.
Vigana
Arienti, Arosio, Baffa, Barna, Boffi, Briani, Buzzi, Capra, Carcassola, Carimati, Caspani, Cattaneo,
Cavallino, Consonni, Deponti, Formentoni, Fumagalli, Galbiati, Galimberti, Giussani, Guidi,
Lanzani, Luraghi, Motta, Mussi, Pansecchi, Pessina, Resnati, Ricardo, Sala (Folchietta-GiuderiniRampini), Tagliabue, Tunica, Vallassina, Vergani.
San Pietro
Baffa, Bianchi, Briani, Capra, Castiglioni, Corneo, Figliodoni, Formentoni, Minonzio, Motta, Oliva,
Pansecchi, Pessina, Sala, Somasca, Varè, Zucca.
Nella stretta dopo il mercato
Cairate, Capra, Carante, Carcassola, Cerreti, Fino, Fossato, Giussano, Guido, Moto, Pansecchi,
Sala, Solaro, Sommascha
In Strada
Appiani, Arienti, Bergomi, Biffo, Cantore, Capra, Carcassola, Castiglione, Crotto, Galbiato,
Guenzato, Lavizari, Malberti. Maspoli, Massaggia, Pozzo, Reposso, Riva, Sala, Sommasca,
Tagliabò, Trabbatono, Triulcio, Vergano.
In Piazza
Arienti, Bergami, Borgonovo, Briani, Carcassola, Elli, Guenzati, Guidi, Motta, Oliva, Sala, Solaro.
In Bovisasca
Arienti, Baffa, Bistorgio, Buzzi, Cantone, Carcano, Crotti, Dell’Orto, Galimberti, Lanzani, Leveni,
Longoni, Meda, Pessi, Pozzi, Rusnigo, Sala, Santambrogio, Strada, Tagliabò, Villa.
Nella Cassina di Georgio Aliprando detta la Cassina Bianca
Aliprandi, Brivio, Tramatone.
196
Manoscritto in APD.
Nella Cassina detta l’Alipranda
Vimercati
Nella Cassina detta del Santo Georgio
Oreno
Nella Cassina detta di Santo Apollinare
Meda, Rivolta.
Nella Cassinaccia o Cassina Bruggiata
Giussano, lenttai, Sancto Ambrosio.
Nella Cassina Nova vicina al Molino Rotto
Sancto Ambrosio.
Nel Molin di Scernasca detto il Molin Rotto
Gaiano
Nella Cassina delli Arienti di Sopra
Arienti, Castaldi, Mariani.
Nella Cassina delli Arienti di Sotto
Arienti
A questi gruppi familiari sono andati via via aggiungendosi quelli provenienti da altre
zone della Brianza, poi da altre regioni d’Italia ed in tempi recentissimi anche quelli
da paesi lontani. In questo lungo processo non c’è alcuna soluzione di continuità; è
l’unica storia di una realtà cittadina che si allarga ad ambiti sempre più vasti.
I SURANÒMM
Occorre precisare che in passato, anche per ovviare ai frequenti casi di omonimia, si
ricorreva ad un soprannome che qualificava meglio la persona. Questo “suranòmm”
non era individuale, ma apparteneva ad un sottogruppo dell’insieme delle persone che
portavano lo stesso cognome.
Il soprannome non era trasmesso necessariamente per via paterna; molto spesso lo si
acquisiva dalla madre se questa apparteneva ad un gruppo socialmente più rilevante o
meglio conosciuto.
L’origine di questi termini è molto varia; alcune volte è una deformazione di un nome
di persona, più spesso indicano la provenienza, la professione o una qualità fisica del
“capostipite”, ma molto spesso l’origine è un piccolo mistero.
Si riporta di seguito una deliziosa poesia del compianto Giuseppe Rusnigo su questo
argomento che qui assume il valore di un autentico documento storico.
LA BALADA DI SURANOMM
Chi, in del paés de Dés, ai temp indrée,
ciamàss cun ul cugnòmm, l’era nò assée;
perché se dava ‘l cas, putost de spèss,
de tròpp famili cul cugnòmm instèss.
Sto fàcc, al custringeva i galantòmm,
a purtà a spàssa almen un suranòmm.
Gh’era i Fulcéta, i Baregia, i Rubarèj,
l Lavapècc, i Paja, i Bagiutèj,
i Richìtt, i Manara, i Martinìtt,
i Mataza, i Dunara, i Muretìtt,
i Mazètt, i Busèta, i Lügüzzoeu,
i Cabi, i Canelìtt, i Campiroeu.
I Giorg, i Lanzan, i Lavandèe,
i Mentìtt, i Pascenza ed i Furèe,
i Suighètt, i Tubia, i Pulissana,
i Puléja, i Teciàtt e poeu i Rusana,
i Sarònn, i Zurìtt, i Parazzoeu,
i Puldìtt, Resegòtt, Muj e Casgnoeu.
I Baldissar, i Pucèla e i Pettenun,
i Ceschìtt, i Barbaj e i Marangun,
i Zupìtt, i Mistrangia e i Murnatèj,
i Didoeu, i Pulògn, Musè e Nièj,
i Medoeu, i Vasòtt, i Mezzgüstìtt,
i Bidèj, i Gabòtt, i Bindelìtt..
I Brasàa, i Cassinée, i Viurìtt,
i Levèsc, i Giulitti, i Liprandìtt,
i Magnan, i Cassòtt, i Cavigioeu,
i Ciceèj, i Zariìtt, i Poliroeu,
i Lacìtt, i Brianza, i bagòtt,
i Caterina, i Cunvègn, i Lia, i Bugiòtt.
I Bregnan, i Pulòtt, i Cavagnìtt,
i Valéra, i Biassòn, Bastée, Damìtt,
Generai, Froselìtt, Agnées, Restoeu,
Niculìtt, Maddalèna, Isèj, Gioustoeu,
i Negrètt, Paradur, Noeuva, Binàj,
i Silv’tt, i Spacun, Cabriìtt, Bagiaj.
I Bèlfiur, Cechinètt, Majun, Curnèj,
i Falzìtt, i Fanètt, I Cinisej,
i Felìtt, i Panscèta, i Pergulìtt,
i Ramètt, i Pinun, i Culumbìtt,
i Milètt, Muntavégia, Luàcc, Mascèj,
i Murun, i Pajna, i Magnanèj.
I Mighèla, i Pulòra, i Lurenzìtt,
i Ratun, i Peciana, i Reseghìtt,
i Perìtt e poeu i Costa, Dòss, Turcée,
i Savina, i Verzìtt, Paroeu, Murnée,
Materassée, Figìtt, Zépitt, Balìtt,
per finì cui Lujètt e cui Melìtt.
Se è restàa foeu ‘n quei vun, feggh nanca a ment,
al prossim turnu, vedum de mèttel dent,
magari al post d’unur, a meno chè,
vèss milzunàa, che faga nò piesè.
Per pientà lì, e mètt a post tuscòss
Ciamèmei tucc cul suranomm de Gòss.
Persunalment, a mì, m’è cungenial
Pù ‘l suranòmm, che ‘l codice fiscal.
ASSISTENZA E BENEFICENZA
In epoche passate tutti gli interventi a carattere socio – sanitario erano demandati
all’iniziativa filantropica privata che in Desio ha preso corpo con l’istituzione di due
Scuole, ossia sodalizi di natura religiosa paragonabili ad odierne fondazioni, che
avevano come fini istituzionali quello di contribuire ad alleviare le condizioni di vita
dei ceti più poveri.
LA SCUOLA DELLE SANTE MARIA ED AGATA
Occorre preliminarmente precisare che il termine “Scuola” non deve essere
assolutamente preso nel senso che oggi noi diamo a questa parola. La Scuola delle
Sante Maria ed Agata non aveva alcuna funzione a carattere educativo; essa era un
sodalizio che gestiva un patrimonio fondiario ed i ricavati di queste attività erano
finalizzati alla beneficenza.
La data di fondazione della Scuola è ignota. Alla fine del Settecento gli
amministratori dell’ente, in occasione del rendiconto annuale alle autorità superiori
indicavano il fondatore del luogo pio nell’arcivescovo Ottone Visconti che avrebbe
eretto l’oratorio a ricordo della sua vittoria sui Torriani nel 1277. Considerato però
che la casa monzese degli Umiliati era appunto dedicata alle Santa Maria ed Agata
sembrerebbe lecito collegare la scuola desiana alla presenza degli Umiliati sul nostro
territorio.
LA “SCHOLA”
Non sussistono documenti oggettivi per stabilire la data esatta in cui iniziò ad operare
ma sembrerebbe di capire che gli esordi dell’ente possono essere collocati con
discreta sicurezza nei primissimi anni del XV secolo.
L’amministrazione della Scuola era garantita da un consiglio formato da un priore e
tre deputati nominati per cooptazione. Formalmente il presidente dell’assemblea era il
prevosto, ma costui partecipava saltuariamente operando una sorta di sorveglianza
sulle scelte del consiglio; il parroco appare quasi sempre presente al momento della
nomina del priore ed in occasione della revisione dei conti.
La parte esecutiva era affidata a due figure di rilievo: il cancelliere ed il cassiere. Il
primo redigeva i verbali delle sedute, curava la tenuta dell’archivio e preparava tutte
le pratiche giuridiche e notarili. Il secondo provvedeva alla riscossione delle entrate
ed ai pagamenti. Normalmente costui gestiva in prima persona i fondi della Scuola
senza distinzione tra la cassa dell’ente ed gli averi personali. Quando al termine del
suo mandato presentava il rendiconto amministrativo egli versava alla cassa della
Scuola quanto ancora si trovava in suo possesso197.
Le assemblee erano generalmente tenute nell’oratorio di Sant’Agata, ma molto spesso
anche nella casa d’abitazione del priore o del cancelliere. Negli ultimi decenni di vita
della Scuola lo spazio preferito per le assemblee risulta un luogo denominato
“coretto”, del quale si dice esplicitamente che era posto sopra la cappella di
197
Poteva anche avvenire che il cassiere utilizzasse i fondi per uso personale ed alla resa dei conti mancassero i liquidi.
Accadde così nel 1626; alla sua morte il cassiere Gio Briani risultò debitore verso la Scuola di duecento lire. Gli eredi
impiegarono sette anni a restituire l’importo che era stato gravato di un interesse del 5% annuo.
sant’Agata in basilica. Dato che sopra l’attuale cappella non esiste alcuno spazio
usufruibile a tale scopo, il coretto deve essere identificato con la loggia posta sopra
l’attuale cappella del Getsemani che verosimilmente all’epoca doveva ospitare
l’altare di Sant’Agata198.
Nessun deputato riceveva alcun compenso per il proprio operato. Erano invece
compensati con una cifra versata in soluzione unica a fine d’anno il cancelliere ed il
cassiere199. Unica forma di “compenso” per gli amministratori era un pranzo in
comune che si teneva in occasione del rendiconto amministrativo annuale, che
generalmente aveva luogo nella settimana successiva alla festa di Sant’Agata.
Come per la Scuola dei Poveri Putti, anche presso la nostra Scuola i deputati avevano
una competenza territoriale, ossia provvedevano all’erogazione dei buoni ed alla
proposte di assistenza per gli abitanti di un determinato quartiere (Piazza, Vigana,
Foppa). Ognuno di essi aveva una determinata quota di elemosine che poteva erogare
nel corso dell’anno. Per contributi di maggiore entità la decisione spettava invece al
consiglio della Scuola. Il priore aveva invece a disposizione una quota maggiore con
la facoltà di intervenire a suo “piacere e coscienza”. La modalità normale era quella
di assegnare ai poveri dei buoni controfirmati, detti “segni”, che potevano essere
spesi nell’acquisto di generi alimentari.
La Scuola delle Sante Maria ed Agata non ebbe sulla vita sociale del borgo il
medesimo impatto di quella dei Poveri Putti. Senza dubbio il Lampugnani ebbe modo
di osservare le modalità organizzative della nostra Scuola e di evitare quelle
dinamiche che avrebbero potuto impedire un funzionamento efficace dell’istituzione.
Il benefattore colse il limite strutturale della Scuola delle Sante Maria ed Agata nel
fatto che questo sodalizio aveva caratteristiche marcatamente parrocchiali. Non a
caso Lampugnani operò delle scelte organizzative che ponevano la sua nuova
istituzione completamente al di fuori del controllo ecclesiastico rendendola una
struttura di ispirazione cristiana ma completamente laica negli aspetti giuridici ed
organizzativi. La Scuola delle Sante Maria ed Agata era un ente sottoposto
all’autorità del prevosto e sembrerebbe di capire che il priore fosse scelto
personalmente dal parroco. L’autorità ecclesiastica presiedeva alle decisioni
importanti, controllava la gestione economica ed in molti casi il prevosto sedeva
fisicamente nell’assemblea. Forse Lampugnani volle evitare che i redditi della sua
scuola non fossero finalizzati ad interventi di beneficenza ed assistenza, ma finissero
per contribuire alle opere parrocchiali. Infatti buona parte delle entrate della nostra
Scuola erano utilizzate a fini di culto o di gestione degli edifici religiosi. La Scuola
contribuiva con la quarta parte delle spese per l’organista e l’alzamantici; pagava il
predicatore quaresimale e, oltre a curare gestione e restauri dell’oratorio di
Sant’Agata, contribuiva in occasioni straordinarie ad interventi di abbellimento della
chiesa prepositurale.
Una volta scomparso l’antico oratorio, la Scuola si fece carico delle spese relative
alla costruzione ed all’abbellimento della cappella dedicata a Sant’Agata nella nuova
198
La sistemazione attuale della cappella risale al 1830.
Nel 1618 i loro compensi annuali erano rispettivamente di 12 e 28 lire. Nel 1769 il salario del cassiere, vista la mole
di lavoro, era salito a quaranta lire.
199
chiesa prepositurale200. Le spese per la nuova cappella erano tanto ingenti ed urgenti
che il priore provvide a fornire personalmente le somme necessarie; l’importo gli fu
poi reso ratealmente dalla Scuola.
I BENI
I beni posseduti dalla scuola erano una quota ingente del perticato complessivo. In
occasione del catasto del 1511 la Scuola possedeva 534,3 pertiche di arativo, 41 di
vigna oltre ad altre ventotto godute insieme alla Chiesa di Santa Tecla o al Convegno
degli Umiliati di Monza, tanto che il suo complesso fondiario risultava per estensione
il quinto del borgo dopo quello delle famiglie Dell’Orto, Malcalzati, Ferrario e del
Capitolo201. Questa massa fondiaria agli inizi del XVI secolo dovette conoscere un
periodo di cattiva amministrazione se, come ricordano gli atti della visita pastorale
del 1567: La Scuola gode di un capitale che impiegano in elemosine a favore dei
poveri. Dicono che furono alienati molti beni, che erano circa il doppio di quegli
attuali. Un tempo questa scuola, come è stato detto, è stata male amministrata, al
presente invece mediante la lodevole opera del reverendo Signor Prevosto, i libri
sono tenuti regolarmente e si procede regolarmente. Inoltre, è stato ispezionato il
libro di detti scolari nel quale sono descritte nei dettagli le elemosine e a chi sono
date202.
La Scuola risultava inoltre proprietaria di due case: una alla Pissina Morniga (piazza
Cavour) l’altra, detta del Comune posta davanti alla facciata della basilica antica.
Proprio per dare maggiore ariosità all’edificio sacro tale abitazione fu demolita nel
1629203. Un’altra casa in Borghetto fu acquistata nel 1728.
Il grosso dei beni era costituito da terreni arativi seminati a cereali ed alcune pertiche
di vigna. Come documentabile anche nell’amministrazione della Scuola dei Poveri
Putti o dei beni del Capitolo, i deputati provvedevano a diversificare i canoni in base
alle esigenze momentanee del mercato; per cui per determinati fondi si percepiva un
fitto in denaro, per altri in natura qualora il prodotto garantisse un margine di
guadagno significativo una volta immesso sul mercato.
L’ASSISTENZA
Mentre la maggior parte delle erogazioni della Scuola dei Poveri Putti erano
finalizzate a concedere doti alle “nubende povere” o al mantenimento di maestro e
medico, la nostra Scuola sembra essere stata destinata a tamponare emergenze sociali
immediate, infatti la maggior parte dei contributi era costituita da piccole somme
erogate a persone in difficoltà. Nei primi decenni del Seicento la quota destinata alle
doti per le fanciulle povere è minima rispetto alle cifre destinate ai poveri. L’entità
della dote era comunque molto ridotta in quanto era di sei lire .
I beneficiari di queste elemosine spicciole erano quasi sempre donne, molte delle
quali in condizione di emarginazione (vedovanza, malattie croniche). In qualche caso,
200
Il nuovo altare fu benedetto il 5 febbraio 1746
BRIOSCHI 1993 A.
202
Purtroppo questi registri sono andati dispersi.
203
L’affitto delle case, nel 1617, era di cinque lire annue.
201
in seguito ad una richiesta motivata, si poteva avere un contributo per un problema
specifico. Valgano ad esempi nel 1622 sette lire per vestire Laura che va monaca, o
tre lire alla moglie di Donato Buzzi per togliere di prigione il marito204. Altre
erogazioni curiose risultano nel 1683 ad un pellegrino che se ne viene di San
Giacomo in Galizia e due “mance” ad ebrei che si erano fatti battezzare
rispettivamente nel 1665 e nel 1682.
Un’occasione purtroppo ricorrente in cui la Scuola era chiamata ad erogare somme
erano i frequenti passaggi di truppe. In qualche caso si acquistava pane da distribuire
alla popolazione stremata dopo il mantenimento dei soldati, altre volte si arrivò ad
autentici episodi di corruzione per convincere i comandanti ad acquartierarsi altrove
(di solito a Seregno).
La situazione economica sembra peggiorare nel terzo decennio del Seicento. Già nel
1626 per avere dei soccorsi un contadino si trovava in condizione di dare in pegno
due pali di ferro ed una caldera205. La situazione alimentare precipitò però nell’anno
1629, documentata da un sensibile aumento dei segni distribuiti.
Nel giugno 1629 fu trovata morta una donna al Dosso di San Pietro; la Scuola
provvide al trasporto della salma, alle esequie ed alla sepoltura206. Nel corso del 1630
furono spese oltre 217 lire in vitualia (viveri) cioè risso, salle, lardo, butér, late et
utensili et legna e mercedi di chi a cucinato la minestra che ogni giorno in tutto il
sudetto tempo si è data la minestra alli infetti et sospetti di peste che si trovavano
sequestrati nel lazzaretto in campagna lanno presente 1630207. Dunque per il periodo
dal 22 maggio al 29 novembre abbiamo l’informazione che ammalati e sospetti di
contagio erano isolati forzosamente in un lazzaretto che era posto probabilmente dove
ora sorge la Cappella dei Boschi. Forse sfruttando la pausa concessa dal contagio in
occasione dell’inverno, i reclusi poterono fare ritorno alle case, ma già nel mese di
marzo dell’anno successivo era di nuovo operante il lazzaretto e restò tale almeno
fino al 20 luglio. Ancora una volta la Scuola provvide a somministrare la minestra e
si specifica inoltre che il lazzaretto era posto nelli campi del Gio Ferero e Mateo
Somasca, detti alla Poncieta del Molino di San Pietro, vicino alla Rogia e ad altre
persone sequestrate per sospetto in altri diversi luoghi in campagna208. La località di
cui si parla è quasi sicuramente il punto in cui ora sorge la cappella esterna del
camposanto; l’ossario sembrerebbe dunque sorgere sopra una fossa comune per gli
appestati. L’opera della nostra Scuola era affiancata da quella dei Poveri Putti che
provvedeva a dare oltre a vino e legna, pane alli poveri a le chapane; un incaricato
della Scuola provvedeva a prelevare il pane dai fornai cittadini ed a distribuirlo agli
internati. Lo speziale Ambrogio Corte forniva i medicinali ed era operante il medico
Gerolamo Teuleio stipendiato dai Poveri Putti. I due enti provvedevano inoltre a
pagare le sepolture dei poveri come attestano laconiche frasi come la seguente: Per
far sepelire Iulia, scavata e coperta la fossa.
204
Stessa motivazione a favore di Bartolomeo Solaro nel 1652.
ACD, Registro A2, p.120.
206
ACD, Registro S2, pp.188;120.
207
ACD, Registro A2, p.221.
208
ACD, Ibidem.
205
Alla seduta del consiglio per l’approvazione del bilancio del 15 gennaio 1631 sedeva
al tavolo il prevosto Fabrizio Malberti; era succeduto a Antonio Strada vittima
dell’epidemia. Nelle fonti si accenna ancora a vettovagliamenti agli appestati fino al
22 ottobre 1631; le ultime spese ebbero luogo in giugno e luglio 1632, mentre già da
febbraio Milano era stata dichiarata libera dalla peste.
ATTIVITÁ CREDITIZIA
La conservazione dei verbali del capitolo nel XVIII secolo permette di inquadrare
meglio l’attività creditizia svolta dalla Scuola. Considerato che la concessione di
crediti era subordinata all’approvazione del consiglio, i verbali ci restituiscono con
sufficiente completezza cifre e personaggi cui erano erogate queste somme.
Normalmente erano accantonate alcune some a questo scopo e quando il capitale era
restituito il consiglio provvedeva a reimpiegarla presso un altro destinatario. Gli
interessi richiesti dalla Scuola risultano abbastanza costanti. Fino alla metà del XVII
secolo è richiesto abitualmente un 5% mentre dal 1650 l’interesse passivo si attesta
sul 4% e si mantiene costante per tutto il XVIII secolo.
La fine della scuola va ricondotta al massiccio intervento dello stato che dapprima
dissanguò le finanze dell’ente mediante la richiesta di un prestito forzoso nel 1794. Il
colpo di grazia sarebbe giunto con l’epoca napoleonica e le soppressioni di tutti gli
enti di assistenza e beneficenza. Gli ultimi atti dell’ente risalgono al 1808; dopo
quella data tutti i suoi beni come quelli della Scuola dei poveri Putti e delle soppresse
confraternite confluiranno nella neonata Congregazione di Carità.
LA SCUOLA DEI POVERI PUTTI
IL FONDATORE
Giovanni Maria Lampugnani nacque in data imprecisata a Milano, da Giovanni
Antonio e Paola Bicchieri. Già il padre possedeva alcuni beni a Desio; nel
censimento cittadino del 1515 egli risulta proprietario di una casa e 182 pertiche di
terreno209 e sembrerebbe che la permanenza del Lampugnani a Desio sia stata
abbastanza regolare; egli avrebbe utilizzato la casa desiana come una sorta di
residenza fuori porta ove trascorrere i periodi di riposo e dove controllare i momenti
forti dell’annata agricola.
Appartenente ad una famiglia di antico lignaggio, il Lampugnani, denominato nei
documenti con il titolo di “magnificus dominus”, esercitava l'attività di mercante.
Proprietario di botteghe e negozi a Milano, egli intratteneva un’ampia serie di
relazioni economiche con città del centro sud ed in particolare modo svolse la sua
attività economica a Roma e Napoli. Di particolare importanza fu l’acquisto
nell’aprile del 1546 dal conte Gallarati, feudatario di Desio, di una casa da nobile
posta nella contrada Bononia.210 I suoi acquisti immobiliari non si limitarono a Desio;
infatti acquistò anche la cascina con fornace denominata "La Gogna" in Gorgonzola
della superficie di 180 pertiche.211
Sposato con Ippolita Casati che era titolare di una rendita amministrata dal fratello, il
benefattore non ebbe figli e forse questo fatto fu determinante nella scelta di
beneficiare i fanciulli poveri di Desio. Sedici anni prima di morire provvide ad
istituire la Scuola, nominare i deputati, redigere lo statuto e dotare l’ente dei beni
necessari per il funzionamento. Morì a Milano il 27 marzo 1563 e fu sepolto
all'ingresso della chiesa di Desio.
LA SCUOLA DEI POVERI PUTTI
La fondazione della Scuola risale ad un atto rogato dal notaio Giacomo Antonio
Martignoni a Milano il 3 marzo 1547.212 Già dalle prime righe del testo emerge
chiaramente che l'intenzione principale del donatore non era quella di fondare un
generico istituto di beneficenza, ma quella di creare una autentica scuola. Tutte le
attività assistenziali erogate dalla Scuola nella mente del fondatore appaiono
secondarie e realizzabili solo in presenza di fondi idonei.
La constatazione è che i figli dei contadini desiani sono privi di un “preceptore quale
insegna a essi puti il principio dele littere, legere et scribere et con un pocho di
abbacco, cioè somare, restare, multiplicare e partire". Per il raggiungimento di
questi scopi il fondatore nomina di conseguenza una “compagnia” formata da sette
persone di sua fiducia che si caratterizzano soprattutto in questa prima fase per lo
stretto legame che essi hanno col territorio essendo infatti tutti abitanti del borgo.
209
La casa era collocata nella contrada Bovisasca e risulta appartenente al padre del Lampugnani già nel 1499.
BRIOSCHI 1993 A.
210
A.S.M, notarile, filza 7351, documento 10 aprile 1546.
211
A.S.M., notarile, filza 7352, documento 9 dicembre 1547.
212
Del documento esistono diverse copie. Interessante è una copia settecentesca con fregi ed ornati conservata in ACD,
ECA, 17,3.
Il documento di fondazione riporta i nomi del priore, scelto personalmente da
Lampugnani, il sindaco del borgo Adamo Castelletto, ed il nome dei sei deputati:
Pellando Briani che rinuncia a favore del figlio Cristoforo, Pietro Sala Giuderini,
Francesco Resnati, Bernardino Baffa, Giovanni Bergomi, Francesco Solaro. Ad
eccezione del priore, tutti i deputati sono di estrazione non nobile. Essi provenivano
dal ceto dei piccoli proprietari appartenenti alle famiglie più antiche del borgo; li
potremmo in qualche modo definire dei “boni homines” ricchi unicamente del
prestigio sociale goduto all’interno della comunità.213 Il fondatore prevede inoltre che
il “capitolo”214 proceda alla surroga dei membri defunti o decaduti attraverso la
pratica della cooptazione, riservando sempre al priore un duplice voto. I deputati
eletti dovranno sempre essere del borgo di Desio.
Nominato il gruppo dirigente, il fondatore passa poi a destinare alla Scuola una
quantità di beni e, conscio della possibilità di abusi nella gestione del patrimonio, il
Lampugnani vieta espressamente sotto pena di nullità del contratto qualsiasi atto
volto alla vendita, obbligazione, permuta e pignoramento dei beni assegnati alla
Scuola.215
L’attenzione del fondatore si appunta sugli eventuali abusi che potrebbero insorgere
relativamente alla figura del maestro. Egli precisa che la carica non potrà essere
ricoperta da un sacerdote titolare di altro beneficio, perché altrimenti le sue
attenzioni sarebbero assorbite da altre cure. Il maestro non potrà pretendere dagli
studenti "alchuna cossa né in premio né in dono" oltre il salario; se per caso
ricevesse doni superiori a dodici soldi in un anno, tale somma gli sarà trattenuta sul
compenso. Proprio per garantire la sua continua presenza, il maestro dovrà risiedere
nella casa che gli sarà assegnata dalla Scuola. Le spese per eventuali lavori di
miglioria che farà per la casa, saranno detratte dal suo stipendio.
Istituita la Scuola, probabilmente nella mente del Lampugnani prese corpo il progetto
di ampliare la quantità dei beni di questa fondazione per poter offrire una maggiore
gamma di servizi alla popolazione rurale. Prende così corpo il testamento redatto il
15 giugno 1547 a rogito del medesimo notaio Giacomo Antonio Martignoni, con il
quale il Lampugnani nomina la Scuola dei Poveri Putti erede unica di tutto il suo
patrimonio.
Salva la primarietà dell’intervento nel campo scolastico, la Scuola dovrà inoltre
mettere a disposizione dei poveri di Desio alcuni importanti servizi: medico,
medicinali, barbiere, contributi affinché fosse loro assicurato un dignitoso funerale,
elemosine alle vedove, agli orfani, ai mendicanti di passaggio, doti.
É anche stabilita l’eventualità di elargire doti per le ragazze di Desio "si de quelle de
bona vita e fama aciò che le bone se conservano in la sua bontà et le cative se fazano
bone ad honore et gloria de Dio". Lampugnani fissa l'entità di ciascuna dote in
213
Nei verbali della visita pastorale di Padre Lionetto da Clivone del 1567, essi sono definiti “ rurales”. APD, cart.6.
Il termine spesso usato per indicare questo gruppo deliberante è coniato sul modello del capitolo della prepositurale
di Desio. Il Lampugnani trovandosi a costituire un’istituzione a carattere collegiale mutuò le strutture organizzative
dall’unico esempio che poteva avere: il capitolo della chiesa collegiata di Desio dove i canonici, con il prevosto,
decidevano collegialmente le strategie di intervento e le modalità di gestione del capitale immobiliare.
215
La vendita era ammessa solo nel caso straordinario di soccorsi alimentari a favore dei poveri in gravissima
situazione.
214
cinquanta lire imperiali con la possibilità per il capitolo di aumentare o diminuire tale
somma. Il benefattore precisa che destinatarie delle doti siano non solo le ragazze
virtuose, ma anche quelle di cattiva fama e ciò costituisce, per i tempi, un atto inedito
e coraggioso a giustificazione del quale c'è la sua profonda umanità e religiosità.
Nel paragrafo successivo il testatore stabilisce l’unico caso in cui sarà ammessa la
vendita di beni della Scuola. Ciò potrà avvenire solo in caso di “orrende peste,
calestrie, tempeste et guerre”, ossia situazioni in cui sia a repentaglio la
sopravvivenza dei cittadini. Il passo successivo riveste particolare importanza perché
il Lampugnani vieta espressamente agli amministratori della Scuola di utilizzare gli
utili acquisiti per scopi che non siano strettamente connessi al beneficio dei poveri.
In questo modo egli stabilisce l’impossibilità di speculazioni e movimenti di capitale.
LE MODALITÁ ORGANIZZATIVE DELLA SCUOLA
Il gruppo, che si autodefinisce “capitolo”, risulta composto da nove membri: in primo
luogo dal priore che lo presiede ed è il maggior rappresentante dell'organismo, da sei
deputati, dal cancelliere e dal cassiere.
Nelle riunioni degli inizi del Seicento le delibere riguardano quasi esclusivamente la
nomina di membri del Capitolo, la concessione delle doti o qualche intervento
particolare.216 Progressivamente il gruppo acquisisce maggiori competenze avocando
a sé ruoli e libertà prima concesse ai singoli deputati217. In questo modo il Capitolo si
ritrova verso la fine del XVII secolo anche a deliberare su stipendi e spese varie,
cosicché le competenze del cassiere risultano limitate e questa figura diventa un
esecutore delle decisioni collegiali.
Come si è visto, il fondatore nominò in prima persona il primo priore e i sei deputati.
In seguito il gruppo provvide a effettuare altre nomine mediante il meccanismo della
cooptazione.218 Dai verbali non risulta nessuna interferenza esterna, specie
dell’autorità religiosa, nella scelta dei nuovi deputati. Un particolare interessante è
però il fatto che i singoli deputati erano scelti in quanto residenti in uno dei quartieri
del borgo ; ognuno di essi è legato ad un rione e si occupa degli assistiti della
contrada.
Ovviamente la carica di priore era affidata a personaggi di un ceto sociale ed
economico più elevato; non a caso in più occasioni questa carica fu trasmessa di
padre in figlio proprio per sottolineare il ruolo dirigenziale di alcune famiglie quali i
Castelletto, gli Strada, i Belingeri.
Nella mente del fondatore il gruppo dirigente doveva essere formato da un priore e
sei deputati, senza prevedere nessuna figura dotata di funzioni specifiche. Nel corso
216
Delibere su interventi particolari, quali: contributi per spese di mantenimento delle truppe tedesche (delibera del
1610); fornitura di pane di frumento ai poveri del borgo (delibere del 1611, 1613, 1618); elemosine per acquisto di
medicinali (delibere del 1614, 1617, 1619); rimborso danni per tempesta (delibere del 1619, 1622).
217
Nel 1637 sono stabilite nuove norme per le doti che non potranno più essere richieste privatamente ai singoli
deputati, ma dovranno essere deliberate dal Capitolo. Nel 1686 viene regolamentata l’attività del cassiere: tutte le spese
dovranno essere effettuate su mandato del Capitolo, il cassiere non potrà più fare elemosine in natura se non prima
deliberate, non potrà concedere sconti sulle consegne dei grani senza il consenso del Capitolo, dovrà registrare sul libro
cassa anche i prodotti in natura (grano e vino).
218
Una prima surroga di due deputati ebbe luogo quando il Lampugnani era ancora in vita.
ASM, notarile, filza 8566, atto 11 giugno 1555.
del tempo si sentì però la necessità di istituire due figure ben distinte: il cancelliere
ed il cassiere. Al primo era demandato il compito di curare la correttezza formale
degli atti, di gestire l’archivio, di seguire le pratiche notarili e redigere i verbali delle
sedute annotandoli nel libro delle ordinazioni. Il cassiere–fattore, eletto dal capitolo,
doveva invece amministrare la cassa e custodire il solaio e la cantina. Come fattore
della Scuola era tenuto a vigilare affinché i terreni fossero ben coltivati dai massari, a
visitare le loro case ed a provvedere ad eventuali riparazioni sia delle suddette case
che degli stabili della Scuola. Doveva dar conto al Capitolo dei grani e del vino, non
poteva effettuare pagamenti senza il mandato del Capitolo o di almeno quattro
deputati. Una volta all'anno doveva relazionare su tutto ciò che aveva riscosso,
pagato ed amministrato.
I DIPENDENTI
il maestro
La carica di maestro era generalmente svolta da un ecclesiastico, ma il Lampugnani
precisa nell'atto di fondazione che costui non dovesse godere di benefici, poiché
riteneva che la cura di questi impegni avrebbe potuto distogliere la sua attenzione e
dedizione dall’insegnamento.219
Generalmente il ricambio del corpo insegnante era frequente, dal 1574 al 1764 si
succedettero, infatti, quarantanove maestri; questo può essere spiegato con il salario
poco consistente e soprattutto con il fatto che tale mansione poteva interessare a
giovani chierici; quando questi avessero ottenuto un beneficio più consistente, la
mansione di maestro veniva abbandonata.220
Il maestro doveva risiedere nella casa assegnatagli dalla Scuola. Durante l’anno
scolastico non poteva allontanarsi dal borgo senza licenza dei deputati, non poteva
tenere messa durante le ore di lezione né partecipare a nessun uffizio se non nei
giorni festivi.
La sua condotta doveva essere “esemplare senza dare scandalo di sorte alcuna”,
doveva tenere ubbidienti i suoi scolari e che “non habbino a giocare a nissun gioco
et debbano attendere solo a leggere, scrivere ed imparare”. Dovrà essere quindi
completamente dedito all’impegno assunto, presente di primo mattino
“incomminciando la scuola quando si dice la messa del mattutino a Santo Materno”,
decoroso nel comportamento. In questo lavoro potrà essere assistito da “duoi
donzellanti”.221
il medico
In una posizione sicuramente migliore di quella del maestro appare la figura del
“fisico”, che risulta avere uno stipendio doppio rispetto a quello dell’insegnante.222
Dai documenti non trapela nulla circa l’attività di questo medico e, nella fase
iniziale, esso non era neppure tenuto a risiedere a Desio. Nel 1574 la mansione di
fisico della Scuola era infatti svolta da un medico di Monza, a cui ne successero altri
219
ACD, Atto di fondazione della Scuola dei Poveri Putti di Desio, 3 marzo 1547.
ACD, 1,1, inventario 1741.
221
ACD, documento del 22 ottobre 1691. Contratto tra la Scuola dei Poveri Putti di Desio ed il maestro.
222
ACD, delibera del 1691 e successive.
220
due entrambi risiedenti nel capoluogo brianzolo. Il primo medico che risulta
stabilmente dimorante a Desio fu Gerolamo Pellegrini nel 1593.223
il barbiere - chirurgo
Denominato anche “chirurgo”, aveva la funzione principale di medicare ferite e
praticare salassi, sempre operando dietro indicazione del fisico. Era tenuto a
medicare i poveri rurali, il priore, i deputati con le loro famiglie e "tutti li ministri
della scuola". Doveva inoltre prestare cura ai feriti durante le risse e qualora le stesse
persone si fossero presentate alla seconda o terza visita ancora con ferite da rissa,
doveva avvertire il Capitolo che avrebbe deciso sul da farsi. Il suo rapporto di lavoro
era esclusivo per cui non poteva accettare altri incarichi nel borgo. Il suo salario era
pagato dalla Scuola e parte di esso poteva essere sostituito con grano, vino o legna.
Come i precedenti, questo dipendente aveva un’abitazione fornita dalla scuola.
il farmacista
Tra i vari interventi pensati dal Lampugnani vi fu anche la creazione di una farmacia
che avrebbe dovuto fornire gratuitamente i medicinali ai poveri assistiti dalla Scuola
e garantire un servizio di prima necessità a tutta la comunità borghigiana. Tale
servizio risulta già operante nel 1582, quando la farmacia era gestita dal dottor
Filippo Caranti. Tale servizio fu in seguito assunto dalla famiglia Erba che mantenne
generazione dopo generazione tale incarico dal 1661 fino all’istituzione della
Congregazione di Carità ai primi del XIX secolo.224
LE DOTI
Nel suo testamento, Lampugnani previde la possibilità di erogare, stante la liquidità
necessaria, doti alle nubende povere del borgo di Desio nella misura di cinquanta lire
imperiali. Nel corso del tempo, questa, che doveva essere nella mente del testatore
una delle attività secondarie rispetto all’insegnamento, divenne l’oggetto principale
di discussione nelle sedute del Capitolo ed assorbì buona parte dei redditi della
scuola. La concessione delle doti risulta sempre subordinata al parere favorevole del
capitolo. In una fase iniziale le famiglie contattavano direttamente il deputato di
quartiere che patrocinava la loro causa innanzi al capitolo. Con i priori Strada si
passò invece alla pratica di presentare una richiesta formale di contributo che era
oggetto di discussione da parte del consiglio.225
LE ELARGIZIONI
Oltre ai servizi di cui si è detto (medico, barbiere, maestro, farmacista, doti) la
Scuola erogava un’ampia gamma di contributi per far fronte a necessità contingenti.
Ogni deputato aveva inizialmente a disposizione un “budget” personale che poteva
utilizzare per aiuti a bisognosi. Nel corso del tempo alcune delibere modificarono
questa pratica onde evitare abusi o clientelismi. Ogni deputato poteva ora assistere
solo poveri del proprio quartiere e, in caso di malattia il provvedimento doveva
223
ACD, 1,1, inventario 1741.
ACD, 1,1, inventario 1741.
225
ACD,delibera del 1637.
224
essere sottoscritto da almeno due altri deputati.226 In seguito fu previsto che tutti i
“biglietti” per la fornitura di cibo e medicinali fossero firmati dal solo cassiere.227
Questi biglietti erano costituiti da buoni acquisto che il beneficiato poteva spendere
presso esercenti del luogo. Una delibera del 1688228 prevedeva che tali biglietti
fossero intestati al capofamiglia, in quando si era verificato il caso di donne o minori
che avevano acquistato generi alimentari all’insaputa del padre o del marito; si
specifica inoltre che questi documenti non potevano superare il valore di sei soldi.
Da ultimo si deliberò che potevano accedere alle erogazioni solo i poveri censiti in
un apposito elenco.229
Un discorso a parte merita la fornitura di farmaci. I poveri assistiti ricevevano
gratuitamente medicinali dal farmacista, che poi provvedeva a presentare il proprio
conto al Capitolo della Scuola. Da una nota meglio dettagliata del consueto, risalente
al 1690,230 si rileva che in un quadrimestre cinquantaquattro persone avevano
usufruito di questo servizio.
Alla fine del XVII secolo è documentato l'uso della Scuola di provvedere al trasporto
dei malati bisognosi presso gli ospedali milanesi.231
Una sola delibera accenna ad un servizio espressamente stabilito dal Lampugnani: le
esequie dei poveri. Esso doveva essere stato sempre offerto, ma a fine Seicento
sembrò necessario diminuirne il costo: nel 1694 si stabilì che, se i famigliari avessero
usato più di due candele durante le esequie, avrebbero perso il contributo della
Scuola,232 altre necessità apparivano più urgenti.
LE VICENDE DELLA SCUOLA
Nel periodo iniziale la Scuola operò sotto il diretto controllo del fondatore, che
sicuramente vigilò sul suo buon funzionamento. Dopo la morte del Lampugnani si
rilevarono abusi o deviazioni dalla volontà del testatore, principalmente in merito al
compenso per i deputati.233
Nel 1567 la Scuola fu ispezionata dal visitatore pastorale padre Lionetto da Clivone.
Egli analizza i beni posseduti dalla Scuola e rileva che hanno un valore complessivo
di circa tremila scudi d'oro. Un documento del 1568 rileva che la Scuola era in "tanto
disordine e rovina".234 Molto probabilmente questa accusa era infondata ed era nata
nell'ambiente ecclesiastico desiano, desideroso di controllare la gestione della Scuola.
Non a caso nel 1572 l'autorità ecclesiastica impose un'ispezione di cassa operata, alla
presenza dei deputati, dal prevosto e da un delegato della Curia Arcivescovile.235
226
ACD, delibera del 1628.
ACD, delibera del 1663.
228
ACD, delibera del 1688.
229
ACD, delibera del 1697.
230
ACD, delibera del 1690.
231
ACD, delibera del 1698.
232
ACD, delibera del 1694.
233
Il Capitolo provvide in più occasioni ad emanare disposizioni contro i deputati che risultavano debitori nei confronti
della Scuola, giungendo ad ordinarne il decadimento dall’incarico in caso di mancato pagamento. ACD, delibere del
1689 e 1696.
234
ASM, religione, 2500.
235
ACD, 17, documento 21 aprile 1572.
227
Nel 1579 la Scuola fu visitata da San Carlo Borromeo che trovò le scritture in ordine
e l’amministrazione regolare. L'arcivescovo impose due provvedimenti che non
furono mai rispettati: la convocazione regolare delle sedute e l'assenso ecclesiastico
ad eventuali vendite di immobili. La volontà dell'arcivescovo era quella di
considerare la Scuola di Desio alla stregua di un luogo pio sottoposto al controllo
ecclesiastico. Gli amministratori rivendicarono l'autonomia della loro istituzione da
qualsiasi intervento esterno, cosicché giunsero a trascinare la causa innanzi al papa
Gregorio XIII. Alessandro Lucini, vicario generale di Como e delegato apostolico
"ad rem", emise nel 1588 una sentenza favorevole alla Scuola.236
In ambito ecclesiastico le accuse di malgoverno nei confronti degli amministratori
continuavano; nel 1587 si lamentava la "delapidazione che s'
è fatta dei beni della
237
povera scuola". Malgrado queste accuse, nel 1588 il capitale della Scuola era di
35.102,10 lire, come risulta dal bilancio presentato dal cassiere Francesco
Malberti.238
Nel 1589 i beni della Scuola aumentarono con il lascito di Melchiorre Somasca che,
tra le altre cose, istituì una dote di cinquanta lire per le nubende povere appartenenti
al suo casato.239
In diverse occasioni si assiste alla concessione di prestiti alla Comunità di Desio. La
Scuola, e i padri di San Francesco di Desio, furono tra i principali erogatori di
liquidi all'ente locale: lire 3.000 nel 1628, lire 4.000 nel 1636, lire 5.550 nel 1682240,
lire 7.000 nel 1686.241 Con i capitali ottenuti dalla vendita della possessione di
Gorgonzola, la Scuola concesse al Comune nel 1696 un prestito di lire 10.000 al 4%
per eliminare altri prestiti più gravosi contratti con i francescani e s’intendeva
fondere in uno solo i due prestiti precedenti effettuati dalla Scuola al Comune.242
Ad impinguare le risorse della Scuola giunsero alcuni testamenti di possidenti locali
che vollero così imitare il gesto del Lampugnani. Dapprima il canonico Castelletti,
poi Marcantonio Carcassola ed infine Ottaviano Belingeri per citare solo i più
generosi.
Anche con il XVIII secolo la Scuola proseguì le sue attività fino all'epoca
napoleonica; la scuola fu soppressa nel 1808 ed inglobata nella Congregazione di
Carità, insediata dal sindaco Giuseppe Zucchelli.
236
Tutti gli atti della vertenza sono conservati in: ACD, 1,1.
ASM, Religione, 2500, documento 17 novembre 1587.
238
Non è stato possibile rintracciare questo documento menzionato negli indici d’archivio.
239
ACD, 18,1; 66,1, documento 24 febbraio 1589.
240
ACD, 17, documento 8 agosto 1682.
241
ACD, 21, documento 12 agosto 1686.
242
ACD, 21, 1, documento del 1696.
237
ATTO DI FONDAZIONE DELLA
SCUOLA DEI POVERI PUTTI243
Milano, 3 marzo 1547
Notaio Giacomo Antonio Martignoni
In nomine Domini. Anno a nativitate eiusdem
millessimo quingentessimo quadragessimo
septimo, indictione quinta, die iovis, tertio
mensis Martii.
Cum sit quod infrascriptus magnificus
dominus Iohannes Maria Lampugnanus
deliberaverit errigere et fondare unam
scholam artis litterarum, gramatice et
scribendi et calcula fatiendi, modo et forma
infrascriptis, in burgo Dexii, capite plebis,
ducatus Mediolani, et elligere priorem et
deputatos superinde et hoc in omnibus et per
omnia prout in infrascripta lista et capitulis
vulgari sermone redactis continetur. Que lista
et que capitula sunt subscripta et firmata
manu propria ipsius magnifici domini
Iohannis Mariae, tenoris huiusmodi videlicet.
Al nome de Dio Padre, Fiolo et Spiritu Sancto
et dela Sancta individua Trinità.
Considerando il magnifico domino Iohanne
Maria de Lampugnano, fiolo del magnifico
quondam domino Iohanne Antonio, citadino
de Milano, de la parochia de Sancto Iohanne a
Quatro Face de Porta Comasina, de quanto
utile sia il sapere, el quale se acquista con la
scalla de le lettere, le quale lettere a tutte le
arte dano la luce e facilitare e pratichando
esso magnifico domino Iohanne Maria nel
borgo de Dexio, capo di piè, fora de Porta
Comasina per dece millia vel circa, dove
alchuni beni aluii concessi per Dio gratia, a
compreso essere in dicto loco et borgo gran
copia de puti deli poveri massari et agricoltori
et brazanti e pisonanti, a li quali mancha il
preceptore, quale insegna a essi puti il
243
ACD, 17,3; 67,1.
principio dele littere, legere et scrivere, con
uno pocho di abbacco, cioè somare, restare,
multiplicare e partire. E volendo a tale cossa
dil suo proprio, cioè de soi beni aluii per Dio
concessi in dicto borgo et territorio
succorrere, ha stabilito et ordinato di erregere
fare e fondare una compagnia per tale effecto,
quale habia essere e fare e durare nel modo et
forma infrascripti.
Et primo ellege et deputa seii homini del ditto
comune del ditto borgo de Dexio per deputati
et compagni, et oltra essi seii uno priore del
ditto borgo, cioè misér Addam de Castelleto.
Et li sei deputati sono questi cioè: Pellando
Briano et pose luii Christoforo suo fiolo,
Pedro de Salla dicto Judarino, Francesco
Resnato, Bernardino Baffa, Iohanne de
Bergamo et Francescho da Sollaro, li quali
tuti priore et deputati, ellecti ut supra, sono
tutti del ditto borgo de Dexio.
Item, che manchando uno o duii o più de dicti
deputati et compagni, che li altri possano
ellegere altri tanti sino al dicto numero de seii
oltra el dicto priore. El quale priore habia
inciò et etiam circa le suprascripte et
infrascripte cosse due voce. Et essendo
discordia circa ditta ellectione, o in caso de
negligentia che in dicti casi o laltro per altre
de loro, chel sia licito a quelli dela magnifica
familia et parentella de Lampugnano fare tale
ellectione de tali che mancharano. Et che tali
da essere ellecti siano del dicto borgo de
Dexio, et questo sino al dicto numero sei oltra
el dicto priore. La quale scola et deputati et
compagnia nel modo predicto et infrascripto
habia a durare sino in perpetuo. Ala quale
scola et priore et deputati et compagni a nome
de ditta scola tanto esso magnifico Iohanne
Maria li dona,et dà et asegna per fare lo ditto
effecto tanto li infrascripti beni immobili et
ragione.
Cioè una caxa qual gode esso magnifico misér
Iohanne Maria, situata nel dicto borgo de
Dexio, per luii acquistata dal signore
Francesco da Gallarà, conte de Dexio, dove si
dice in Bononia , como appare per
instrumento rogato per domino Iacomo
Antonio Martignono notaro a dì deci aprille
mille cinque cento quaranta sei, ala quale
coherentia da due parte strata, da unaltra el
prefato signor conte Francesco et da laltra el
signor Ludovico Longono.
Item, peza una de vigna, situata nel territorio
del ditto borgo de Dexio, pertighe dece vel
circha; coherentia da una parte strata, da una
altra Andrea di Carchasoli ditto Rofino, da
una altra esso magnifico domino Iohanne
Maria Lampugnano in parte et in parte
Togneto de Salla et in parte sancta Tegia de
Millano et da laltra li heredi de Bernardino
Danono.
Item, peza una di campo, situata ut supra,
perteghe nove vel circha; coherentia da una
parte la suprascritta giesa de Sancta Tegia de
Millano in parte et in parte Togneto de Salla,
da una altra esso magnifico domino Iohanne
Maria in parte et in parte Andrea Carchasola
ditto Rofino, da una altra Iohanne et fratelli di
Pissi et da laltra strata.
Item, peza una de campo, situata ut supra,
perteghe octo vel circha; coherentia da una
parte Galeazo Orenexe, da una altra esso
magnifico
domino
Iohanne
Maria
Lampugnano, da un altra la giesa de Sancta
Tegia de Millano in parte et in parte strata.
Item, peza una de campo situata ut supra, ubi
dicitur in strata Brige, perteghe vinti o cercha;
coherentia da una parte quelli di Predelli, da
una altra strada, da una altra li heredi de
Ambrosio de Pradello et da laltra strada.
Salvo sempre lo errore dele coherentie et del
vero numero dele perteghe se li fusse. Con
conditione perhò che dando esso magnifico
misér Iohanne Maria altre tante perteghe
quaranta sette de terra in dicto territorio, chel
possa rescoder ad suo piacere le dicte
perteghe quarantasette date et assignate ut
supra, et eo casu le dicte perteghe quaranta
sette ut supra siano liberate.
Item, li dà et assegna un reditto de scudi
vintiocto vel circa ogni anno, qual esso
magnifico domino Iohanne Maria exigisse dal
loco chiamato Monte dela Fede de Roma,
aquistato como appare per instrumento rogato
per domino Bartholomeo Capella, notaro in
Roma, adì sedeci aprille per mezo de mano
sensale de offitii. Et ancora como appare per
instrumento de protesta facta per lo magnifico
domino Iohanne de Prato in favore de esso
magnifico domino Iohanne Maria, como
appare per instrumento rogato per domino
Iacomo Antonio Martignono, notaro de
Millano, adì ultimo febraro prossimo passato.
Con conditione perhò che esso magnifico
misér Iohanne Maria possa rescodere seu
retenire la ditta intrata, dando ala ditta scola
altratanta intrata quanto importano li dicti
scudi vintiocto, o vero lo valore in arbitrio de
esso magnifico misér Iohanne Maria. La quale
caxa et perteghe quaranta sette de terra et
intrata ut supra ne ancora quello che darà per
scontro ut supra non se possano per modo
alchuno, né per dirrecto, né indirrecto, ne per
alchuna causa impegnare, vendere, obligare,
pignorare nè permutare sotto pena de nullità
de qualuncha contracto quale se facesse in
contrario, ma che restano in perpetuo a dicta
scola per dicto effecto.
Item, che li prefati priore et deputati et
compagni, o la magior parte de lori, siano
tenuti et possano elleger uno preceptore, quale
habia da insegnare legere, de gramatica et
scrivere et ancora uno pocho de abbacho,
como di sopra a li suprascripti poveri puti
fioli de dicti massari agricoltori, brazanti et
pisonanti del ditto borgo di Dexio che vorano
imparare et andare alla ditta scolla; et questo
insino al numero de scolari cinquanta al più
da essere nominati per lo priore et dicti seii
deputati o per la magior parte de lori la quale
scola si facia in dicta caxa ut supra.
Item, che essi priore et scolari diano al dicto
preceptore quale sarà deputato et ellecto per
lori nel modo soprascritto per sua mercede lo
uso et habitatione di dicta caxa dove se farà la
ditta scolla como di sopra, et ancora lo
usufructo et gaudimento dele ditte perteghe
quarantasette de terra assignate ut supra, et
ancora lo usofructo del ditto reddito deli dicti
scudi vinti octo vel circa ogni anno et questo
alla ratta del tempo, secondo che esso
preceptore servirà. Et che essi priore et
deputati possano scodere lori la intrata de
ditte perteghe quarantasette et la intrata deli
scudi vinti octo et darla al ditto preceptore. Et
che essi priore et deputati o magior parte de
lori possano mudare preceptore ancora che
non fusse fornito l'anno quando cossì a lori
piacessi o per causa che se trovasse non
facesse il debito suo o altramente.
Item, che essi priore et deputati advertiscano
de non ellegere in preceptore niuno prete de
cura o beneficiato, adciò non habia causa de
perdere el tempo circa ciò, et adciò sia esso
preceptore persona che possa attendere alla
ditta scola ad insegnare nel modo soprascritto.
Item, che detto maistro se acontenta dela ditta
intrata, la quale li è assignata nel modo
suprascritto, né possa tore a ditti putti alchuna
cossa né in premio né in dono, ma se contenta
de insegnarli per il ditto suo stippendio et
pagamento ut supra et cossì giura et facia
como di sopra. Et achadendo che detto
preceptore per qualche modo tolesse qualche
cossa che importasse più de soldi dodeci in
tutto in uno ano da qualchi scolari o soii
agenti, che li siano retenuti et compensati
sopra la sua mercede.
Item, accadendo fare qualche spexa in ditta
caxa et beni assignati ut supra, che in quello
anno et tempo quale accaderà fare dicta spexa
che se piglia dela ditta intrata et reddito de
quello anno nel quale accaderà fare la ditta
spexa ut supra; et cossì se faza de anno in
anno secondo il bisogno alo arbitrio deli
prefati priore et deputati ut supra et de soii
successori.
Item, et che li puti poi che saperano il Pater et
lavemaria, ogni dì una volta ciaschuno de loro
dichano in la ditta scola avante la imagine
dela Sancta Trinità che li sarà data pincta in
ditta scola, et cossì facia il preceptore in sua
compagnia; el quale preceptore ancora una
volta lanno, in più volte, legia il salterio
comune della Sancta Madre Giesa.
Io Iohanne Maria Lampugnano soprascripto
affermo quanto de sopra si contiene et per
fede o sottoscritto de mia propria mano, adì tri
martio millecinquecentoquarantasette, in
Milano.
Modo autem prefatus magnificus dominus
Johannes
Maria
Lampugnanus,
filius
quondam magnifici domini Johannis Antonii,
Portae Cumane, parrochie Sancti Iohannis ad
quatuor Faties Mediolani, pro executione
premissorum etiam ad petitionem, instantiam
et requisitionem prefatorum prioris et
scolarium ut supra, ibi presentium et nomine
dicte scole stipulantium, necnon etiam ad
petitionem ut supra mei notarii infrascripti,
persone publice stippulantis et recipientis
nomine dicte scole et etiam stippulantis
nomine cuiuslibet alterius persone cui
interest,et intererit seu interesse potest et
poterit quomodo libet in futurum.
Affirmavit et affirmat, et fecit et facit ac
elligit et elligit suprascriptos priorem et
deputatos ac executores premissorum. In
omnibus et per omnia et de verbo ad verbum
prout in suprascripta lista et suprascriptis
capitulis continetur
Et ad dictum effectum assignavit et assignat
suprascriptis priori et deputatis ut supra ibi
presentibus ut supram suprascriptam domum
et suprascriptas pertichas quadraginta septem
vel circa terre et suprascriptum redditum de
quibus supra. Et hoc modo a forma prout
super et non aliter nec alio modo et pro maiori
premissorum corroboratione transtulit et
transfert prefatus magnificus dominus
Iohannes Maria in dictam scolam necnon in
dictos priorem et deputatos, nomine dicte
scole presentes ut supra, necnon indictum me
notarium infrascriptum nomine dicte scole
stippulantem ut supra dominium et
posessionem dicte domus et dictarum
perticarum quadraginta septem terre, de
quibus supra, et dicti redditus ut supra, cum
iure,et facultate ea bona locandi et eorum
redditus et etiam redditus dictorum scutorum
vigintiocto auri omni anno percipiendi, et hiis
modo et forma prout facere poterat ipse
magnificus dominus Johannes Maria ante
presens instrumentum, et hoc ad dictos
effectus de quibus supra, non intendens tamen
prefatus magnificus dominus Iohannes Maria
per suprascripta aliquo modo obligare aliqua
alia sua bona mobilia nec immobilia, nec
credita, nec iura presentia nec futura
quovismodo tacite nec expressa.
Promitens prefatus magnificus dominus
Iohannes Maria, obligando suprascripta bona
ut supra expressa et non aliqua alia bona
pignori dictis priori et deputatis ibi
presentibus
et
nomine
dicte
scole
stippulantibus necnon et dicto mihi notario
nomine dicte scole stippulanti ut supra, et
etiam stippulanti nomine aliorum quorum
interest et intererit ut supra habere rata, grata
et firma omnia et singula suprascripta, et
omnia contenta in suprascripta lista et
capitulis tenoris suprascripti, et nullo tempore
aliquo modo contrafacere nec venire aliqua
occasione, ratione vel modo de iure, nec de
facto in iuditio nec extra.
Et de predictis prefactus magnificus dominus
Johannes Maria rogavit me Iacobum
Antonium
Martignonum
notarium
infrascriptum ut de predictis publicum
confitiam instrumentum unum et plura tenoris
eiusdem etiam de capitulo in capitulum prout
expediens fuerit.
Actum in domo habitationis magnifici
iureconsulti domini Andree Roberti, sita in
canonica
reverendorum
dominorum
ordinariorum ecclesie maioris Mediolani,
presentibus
Johanne
Gaspare
de
Putheobonello, filio domini Aluisii,porte
Ticinensis, parrochie Sancti Petri in
Caminadella Mediolani et Antonio de Grassis,
filio domini Iohannis Petri, Porte Nove,
parochie sancti Eusebii Mediolani, ambobus
Mediolani, notariis et pronotariis.
Interfuerunt ibi.testes prefatus magnificus
dominus Andreas Robertus, filius quondam
magnifici domini Cesaris, habitans in dicta
canonica ut supra, reverendus dominus
presbiter Donatus de Carchasolis, filius
quondam domini Pauli, Porte Romane,
parrochie Sancti Michaelis ad Murum
Ruptum Mediolani et dominus Hector de
Madiis, filius quondam domini Baptiste,
familiaris prefati magnifici domini Andree et
habitans in eius domo habitationis sita ut
supra. Omnes noti et idoneii ac ad premissa
spetialiter vocati et rogati.
Ego Iacobus Antonius Martignonus, filius
quondam domini Iohannis Marci, civitatis
Mediolani, Porte Verceline, parrochie Sancti
Victoris ad Theatrum, publicus imperiali
auctoritate notarius rogatus tradidi et
subscripsi.
TESTAMENTO DI GIOVANNI MARIA
LAMPUGNANI244
Milano, 15 giugno 1547
Notaio Giacomo Antonio Martignoni
In nomine Domini. Anno a Nativitate
eiusedem
millesimo
quingentessimo
quadragessimo septimo indictione quinta, die
merchurii, quinto decimo mensis iunii.
Conciosia cosa che la vita e la morte siano in
mano de Dio Onnipotente e più presto siamo
sotto speranza de morere che di vivere et
venire a subitanea morte.
Perhò nel nome de Dio e de la gloriosa
Vergine Maria, mi Gio Maria de
Lampugnano, fiolo del quondam domino Io
Antonio, dela parrochia de Sancto Iohanne a
quatro Faze de Porta Comasina de Milano,
che sono sano per Dio gratia de mente,
intelecto et de buona memoria, timendo il
iuditio di Dio, et vedendo et considerando che
niuna cosa è più certa dela morte, non
volendo morir senza testamento, ne' lassar le
mie cose et beni inordinati, ho deliberato di
fare et così fazo lo mio presente testamento et
ordinamento, quale voglio chel valia per via
de testamento nuncupativo senza scripto.
E in caso chel non valesse ne tenesse per via
de testamento nuncupativo senza scripto,
voglio chel vaglia per via de codicillo, et in
caso chel non valesse per via de codicillo
voglio chel vaglia per via de legato, e in caso
chel non valesse per via di legato, voglio che
valia per via de donatione per causa de morte,
la qual fazo a ti notaro infrascripto como
persona publica che stippula a nome deli
infrascripti miei heredi et legatarii et etiam a
nome de qualuncha altra persona la quale
havesse interesse in le infrascripte cose, e in
caso chel non valesse per via de donatione per
causa de morte, voglio chel vaglia per causa
dela mia ultima bona voluntà et per ogni altra
miglior via e modo e forma chel po meglio
valere.
244
ACD, 17,3; 67,1.
In prima ricomando l'anima mia e lo spirito
mio alo Altissimo Creatore et ad tutta la corte
celestialle.
Ancora a petitione de ti notaro che stipula et
receve a nome deli infrascripti mei heredi et
legatarii, et ancora a nome de qualuncha altra
persona che havesse o possesse havere
interesse in le infrascripte cose, dicto et
protesto haver fatto duii altri testamenti
codicilli legati et donazione per causa de
morte, rogati per ti notaro li anni et di che se
conteneno in quelli li quali testamenti
codicilli, legati et donatione per causa de
morte, et tutto quello che in essi se contene et
ancora ogni altri testamenti, codicilli et legati
quali se ritrovasseno per qualche modo per mi
fatti, per tenore de questo mio presente
testamento et ultima mia volontà, li casso,
revoco et anullo, et voglio che non habiano
effecto alchuno, et voglio che siano tanto
quanto non fusseno mai stati fatti per che così
è la mia bona et ultima voluntà, ancora chel
fusse necessario fare mentione de qualche
cosa in specialità in questo mio presente
testamento perché voglio che questo mio
presente testamento habia effecto et sia
derogatario a tutti li altri.
Ancora voglio et ordeno che ritrovandosi
qualche cosa male acquistata essere pervenuta
in mi per qualche modo, che siano restituite a
quelle persone quale doverano essere
restituite de ragione.
Ancora voglio et ordeno che circa la sepultura
del corpo mio et ancora circa le exequie che
se faza et seguita secondo lordine, quale sara
per me dato et ordinato sopra una lista
particulare de questo, et non più oltra la quale
lista sarà scripta et sotoscripta de mia propria
mano, quale se dara a ti notaro o vero ali mei
heredi o vero alla mia consorte.
Ancora voglio et ordeno che, passato lo primo
anno di poii la morte mia, li mei heredi siano
obligati ogni anno sino in perpetuo far fare
uno offitio da morto de messe dodece piccole
et una messa granda, con una croce sola de
legno sopra la quale li siano accese cinque
candelle, et ancora siano accese due candelle
per ciaschuno altare dove se diranno le messe
piccole, et quatro candele alo altare dove se
cantarà la messa granda e non più e voglio
che tale offitio se faza ogni anno lo primo
varnedì de marzo dopo la morte mia et ubi
che tale vernedì fusse de quadragessima o
vero che non se facesse offitio in tale giorno,
in quello caso voglio se faza lo primo
mercoldì seguente el quale offitio voglio se
faza ad honore et gloria de Dio et in mercede
de quelle anime trapasssate che ne haverano
bisogno. Et tale offitio se possa fare in quale
giesa se voglia et transmutare la giesia tante
volte quante parirà ali infrascipti mei heredi.
Ancora voglio et ordino che fosse la mia
morte ogni anno sino in perpetuo nel giorno
dela Transfiguratione del nostro Signore
Yhesu Christo quale se celebra del mese de
augusto, voglio che se celebrano mese dodece
computata una messa granda in una dele giese
dela terra de Dexio dove parirà ali mei heredi,
et voglio sia satisfacto ali sacerdoti quali
celebrarano tale messe la lori mercede et
questo ad honore et gloria de Dio et del
misterio de tale giorno.
Ancora voglio et ordeno che acadendo che in
la deputatione per me facta deli poveri puti
scolari dela dicta terra de Dexio, como appare
per instrumento rogato per ti notaro adì tri del
mese de marzo proximo passato, havesse
manchato che accadendo che in la dicta terra
de Dexio non li fussi al compimento de
cinquanta scolari poveri, voglio et ordeno che
li deputati sopra ciò che sono de presente et
che sarano per lo avenire possano tore sino al
ditto numero de cinquanta poveri puti per
scolari deli lochi vicini ala ditta terra de Dexio
per due millia vel circa, andando sempre
iustamente non per favore, ma sempre
preferendo li puti poveri de ditta terra de
Dexio et poii quelli mancharano dele altre
terre vicine sino al ditto numero de cinquanta.
Et ancora voglio et ordino che accadendo che
quelli beni e intrata ho lassato ala dicta scola
per mercede de insegnare ali dicti puti sino al
ditto numero de cinquanta non fusseno
sufficienti a mantenire lo magistro, voglio che
la mia heredità sia obligata per ditta causa ad
ciò che sempre se mantenga la ditta scola et lo
resto dela intrata dela mia heredità voglio se
dia et se distribuischa per amore de Dio et in
altre cosse secondo che qua de sotto se dirà.
Ancora accadendo che poscia mia morte non
fusse maritata Caterina fiola de misser Io
Stephano de Pozzobonello e fiola de madonna
Romana di Malcalzati, in quello caso li lego
et iudico et voglio et ordeno li siano donate et
date per amor de Dio libra milla imperiali per
maritarla temporalmente o spiritualmente, e
non altramente et voglio sia satisfatta in
denari trovandosi alhora tanti dinari o vero
quella parte la quale alhora se ritrovarà, et
manchando tutti o parte voglio promettano
ditti mei heredi de satisfarla dele prime intrate
se cavarano dela mia heredità.
Ancora acadendo che poscia mia morte non
fusse maritata Angela fiola de messer
Augustino de Monte et fiola de madonna
Clara di Malcalzati, in quel caso li lego et
iudico et voglio et ordeno li siano donate et
date per amor de Dio libra milla imperiali per
maritarla temporalmente o spiritualmente e
non altramente et voglio sia satisfatta in
denari trovandosi alhora tanti dinari o vero
quella parte la quale alhora se ritrovarà, et
manchando tutti o parte voglio promettano
ditti mei heredi de satisfarla dele prime intrate
se cavarano dela mia heredità.
Ancora voglio et ordeno che al tempo dela
mia morte tutto quello se ritrovarà in debitori
et mercantie se scodeno, et le mercantie se
vendano et deli dinari se scoderano et
cavarano voglio et ordeno se ne compra per
ditti mei heredi tanti beni stabili o intrata
insieme con li dinari se ritrovarano alhora in
cassa et voglio che le intrate se cavarano da
essi beni seu intrata se diano tutti per amor de
Dio in executione del presente mio
testamento.
Ancora voglio et ordeno che dele intrate
reusirano dela mia heredità se ne dispensa ali
poveri infermi seu amalati de ditta terra de
Dexio e a quelli pagarli lo medico le medicine
lo barbè per solassi et ventose et darli ancora
qualchi dinari per comprarse qualche cosa per
sustentatione de dicti infirmi, et se qualchi
poveri de dicta terra domandarano per lamore
de Dio aiuto de sepellire li soii morti voglio li
pagano la spesa de farli il corpo cioè de duii
preti del sataratore et de una croce de legno
con cinque candelle de cera sopra accexe, e
similmente voglio diano aiuto de elemosina
ale povere vidue con li soi figliolini et ali
poveri puti orphani de patre et matre,
intendendo però deli fioli pizinini che non
fanno ne ponno fare arte alcuna, et ancora
voglio se maridano dele putte de ditta terra de
Dexe, si de quelle de bona vita e fama como
ancora de quelle de malla vita et fama aciò
che le bone se conservano in la sua bontà et le
cative se fazano bone ad honore et gloria de
Dio, et voglio che ditti miei heredi li diano
per ciaschuna de lori libre cinquanta imperiale
et quello più e mancho parirà a essi miei
heredi, e similmente perché in poveri
gentilhomini et altri ale volte per non haver il
modo compìto de maritare le sue fiole restano
incasa vege inubile, voglio et ordeno che in
tale caso advertischano dicti mei heredi, et
veduto et cognosciuto in facto il bisogno
voglio che ditti mei heredi li diano aiuto
secretamente per aiutarle ad maritare et darli
quello che a essi mei heredi parerà havendo
consideratione alla qualità dele persone et
secondo lessere suo, advertendo ancora che
ale volte restarano dele pute quale sarano de
maritare o apressa il tempo como sarebe de
anni dece octo vel circa le quale restarano
senza padre et matre, non obstante habiano
qualche cosa, ad queste tale agravo li mei
heredi per amor de Dio ad usarli bona
diligentia da collocarle in casa de qualche
persona da bene, et essendo bisogno voglio li
sia dato qualche aiuto per lo vivere et vestire
sino atanto siano maritate et questo sia in
arbitrio de dicti mei heredi.
Ancora voglio che acadendo che Dio ne
mandasse qualche orrende peste, calestrie,
tempeste et guerre per la quale cosa molte
persone vengano alo extremo dela morte,
voglio et ordino che a tali poveri del ditto loco
de Dexio ali quali accaderà tale cose o
alchune de quelle li sia subvenuto in quello li
sarà bisogno, aciò che per tale cause o
alchune de quelle non morano de fame, et non
essendo modo di poterli subvenire dele intrate
de mei beni voglio et ordeno che in tale
necessitate se possa vendere o impegnare
qualchi beni de mei beni per sustentatione de
quelli poveri quali si si ritrovarano in tale
miseria et calamità et in altro effecto non
voglio se possa vendere.
Ancora acadendo passare per pasagio per la
ditta terra de Dexio qualchi poveri mendichi,
voglio sia subvenuto de qualche elemosina
adciò possano andare a casa sua per lamore de
Dio.
Ancora voglio et ordeno che tutto questo bene
et tutti suprascritti legati se fazano prima alle
persone povere habitante in la ditta terra de
Dexio e poii alli altri convicini poveri a la
ditta terra e poii ancora ad altri de altre parte
et lochi se si poterà dove parrà a mei heredi
sia bisogno, ma voglio et ordeno in ogni caso
che li legati facti de maritare quelle due pute
de Pozobonello et De Monte siano exeguiti
nel modo stano ditti legati.
Ancora ordeno et voglio che exeguite le
suprascritte cose, accadendo se avanzassi de
la intrata voglio et ordeno in tale caso che tuto
quello se avanzarà sia impiegato ad beneficio
de ditti poveri et in exeguire la mia voluntà.
Ancora voglio et ordeno che exeguite le
suprascritte et infrascritte cose, acadendo se
avanzasse de la intrata de mei beni si deli beni
lassarò al tempo dela mia morte como de le
intrate se aquistaranno deli dinari, se
scoderano da debitori et deli dinari dele
mercantie se venderano et deli dinari se
ritrovarano in cassa, in tale caso voglio et
ordeno che tale sopra più de ditta intrata sia
impiegata, et in tale caso voglio et ordeno
siano sallariati uno medico et uno barbero et
datoli quello salario sarà ordinato per mei
heredi li quali medico et barbero stiano et
habitano in ditta terra de Dexio. Li quali
medico et barbero siano tenuti medicare
amore Dei li poveri de ditta terra de Dexio et
ancora li altri poveri vicini alla ditta terra per
tre millia et ancora de li altri poveri secundo
ordinarano li mei heredi.
Et ancora voglio et ordeno che possendo detti
nei heredi far fare una speciarìa per dare le
medicine ali ditti poveri voglio se faza per
magior comodità de ditti poveri la quale
speciarìa farà ancora comodità ale altre
persone non povere habitante in ditta terra, et
in ogni caso voglio et ordeno se faza ditto
effetto ritornato che sia in la heredità lo
infrascritto usufructo fatto alla mia consorte
del quale usufructo qua de sotto se ne parlarà.
Ancora voglio et ordeno che ultra le
suprascritte et infrascritte cose, se seguischa
et exeguischa tutto quello che per me sarà
notato et scripto de mia propria mano sopra
una lista quale sarà apressa de ti notaro, o
vero de madonna Hippolita mia consorte, o
vero de mei heredi tanto in maritare quelle
fiole nominate in ditta lista, quanto in altre
cose quale sarano descripte in ditta lista.
Ancora e lego e indico e lasso a madona
Hyppolita de Caxà mia consorte, fiola del
quondam domino Aluisio, lo usufructo dela
mia caxa granda dove habito de presente,
situata in Porta Comasina, parrochia de
Sancto Johanne a Quatro Faze de Milano. Et
questo in vita sua tanto così stando vidua
como remaridandose, con il caricho perhò ala
ditta mia consorte de pagare libre cinquanta
sette, soldi deci imperiali ogni anno alla scola
de santa Corona de Milano durante lo ditto
suo usufructo. Et voglio et ordeno, che
accadendo che la prefata mia consorte non
possesse godere la ditta casa in vita sua como
de sopra per qualche caso quale occorresse
sopra ditta casa, che in tal caso voglio et
ordeno che li siano date per li infrascritti mei
heredi libre ducento imperiale ogni anno in
vita sua per scontro delo usufructo de ditta
casa, oltra le libre cento ogni anno li lasso
como qua de sotto se dirà. Et ancora lasso alla
ditta mia consorte libre cento imperiale ogni
anno in vita sua videlicet, quale voglio li
siano date ogni anno per li mei heredi et in
principio de lanno adciò non patischa et
ancora voglio et ordeno che la ditta mia
consorte possa de sua propria autorità retenire
et tore liberamente ad suo piacere tute le sue
veste et collane et zoiie per mi a leii date et
donate. Et ancora lasso alla ditta mia consorte
liberamente tutti li mei beni mobili et utensilii
de casa quali lassarò al tempo dela mia morte,
sì in Milano quanto fora in villa, excepto
perhò alchuni pochi mobili quali lasso ali mei
heredi, li quali ho expresso abocha alla ditta
mia consorte, et deli quali mobili exceptuati
ne appare una notta scripta de mia propria
mano aleii lassata, li quali mobili et utensilii
lassati alla ditta mia consorte voglio li possa
tore de sua propria auctorità senza
adomandarli alli heredi. Et ancora li lasso
tanto vino et fromento per uso suo et de una
serviente et de uno servitore del vino et
fromento quale se ritrovarà in casa al tempo
dela mia morte adciò possa vivere sino venga
al novello; et voglio habia tuta la legna et altre
monitione cibarie quale se ritrovarano in caxa
al tempo dela mia morte.
Et ancora elego et iudico et lasso ala prefata
madona Hippolita mia consorte ultra le
suprascritte cose lo usufrutto et gaudimento
dela mia possessione dela Gogna, plebe de
Gorgonzola, in vita sua ut supra, insiema con
la scorta ha lo massaro et ancora tutte le tine,
navaze e vaselli et altri utensilii quali al
tempo dela mia morte se ritrovarano in dicto
loco dela Gogna, quali utensilii voglio non
siano mosi, in modo alchuno per alchuna
persona, per che voglio che tali utensilii siano
per uso de ditta mia consorte in vita sua ut
supra, et pose sua morte voglio siano ritornati
a mei heredi in quello grado che alhora se
ritrovarano e similmente la scorta del massaro
sia restituita finito ditto usufrutto nel modo se
ritroverà alhora.
Et ancora voglio habia ditta mia consorte in
vita sua lo usufrutto dela caxa granda de
Dexio et del brolio con la caxa dove de
presente habita Gulielmino Carchasola, et
ancora lo usufrutto de pertege due ogni anno
de boscho de taiiare del più grosso, et
acadendo habitasse ditta mia consorte in ditta
terra de Dexio, et non havesse bisogno de più,
voglio li sia dato per uso non stando videlicet
et acadendo che io vendesse la ditta
possessione dela Gogna lassata per usufruto
alla ditta mia consorte videlicet in tale caso
voglio che ditta mia consorte per scontra de
ditta possessione habia lo usufruto de pertege
cento ottanta de terra, parte avidata et parte
campina in lo ditto territorio de Dexio insiema
con la ditta caxa granda et lo ditto brolio et la
caxa dove de presente habita ditto Gulielmino
Carcasola et pertege quatro de boscho ogni
anno dele megliore, adciò possa havere legne
per suo uso et ditti mei heredi siano tenuti
asignare alla ditta mia consorte li ditti beni ad
godere ut supra, li quali legati fati alla prefata
madona Hyppolita mia consorte intendo et
voglio et ordeno siano ultra losuo livello de
libre ducento ogni anno quale paga lo
reverendo monsignore de Caxa portato in dota
per ditta mia consorte el quale è suo.
Et ancora voglio et ordeno che per modo
alcuno directo, ne’ per indirecto sia molestata
la prefata mia consorte dali mei heredi ne da
altre persone per causa deli suprascripti legati
ad leii fati, et ancora voglio che in modo
alchuno non sia constretta ditta mia consorte
ad fare inventario alchuno de alchuna cosa
quale leii habia da restituire alli mei heredi,
pose sua morte fornito dito usufrutto ut supra.
Et perché ditta mia consorte ultra lo ditto suo
livello de libre ducento lanno importo de
cuntante libre seiicento imperiale la quale lei
se acontenta de donarle seu lassarle a ditti mei
heredi ad effecto che siano dispensate per
amor de Dio insiema conla mia heredità, per
tanto voglio et ordeno che accadendo che leii
domandasse a ditti mei heredi le ditte libre
seiicento imperiale, in tale caso voglio et
ordeno che tutti li legati ad leii per me fatti et
li usufrutti per leii golduti da mei heredi
voglio et ordeno siano per leii ritornati ad mei
heredi e i tal caso ditti mei heredi li
restituiscano le ditte libre seiicento imperiale,
et non domandando ditta mia consorte le ditte
libre seiicento
Et che essa mia consorte pose sua morte
lasasse fioli o fioli legiptimi et de legiptimo
matrimonio procreati, in tale caso voglio et
ordeno li sia lassato godere a ditti fioli o fiole
ut supra per uno anno tanto et non più oltra
pose sua morte tutto quello goldeva essa mia
consorte per causa de questo mio testamento.
Ancora voglio et ordeno che la prefata mia
consorte pose mia morte consegna ali mei
heredi tutti quelli dinari quali alhora se
ritrovarano in capsa et li libri et tutte le
scripture et pegni et mercanthia et polizia et
scripti et quale se voglia altra cosa quale non
partenesse a leii per causa deli detti soii legati
ut supra, et per executione de questo mio
legato agravo la conscientia de ditta mia
consorte.
Ancora ricomando ditta mia consorte a ditti et
infrascritti mei heredi et non voglio per quale
se voglia differentia se havesse con leii se
faza litigio alchuno, ma acordarse bonamente
senza litigio retenendoa leii ogni cosa in sua
bona discritione.
Et ancora voglio che tutti li legati ad essa mia
consorte fatti siano de prima exeguiti, et non
voglio che per niuna altra cosa quale sia
scripta in questo mio presente testamento
siano retardati li ditti soii legati, ma voglio
siano exeguiti de prima senza exceptione
alchuna per che così la mia voluntà.
In tutti li altri mei beni immobili et ragione et
instrumenti et scripture et libri et nome de
debitori et crediti quali ho et lo giorno dela
mia morte abandonarò, ho istituito et
instituisco et fazo mia herede nominando con
la mia propria bocha la mia scola de insegnare
a puti poveri per mi constituita et fatta et
deputata nella terra suprascritta de Dexio et lo
Priore et deputati per mi constituiti ala detta
scola che sono de presente et che sarano per
lo avenire a nome de ditta scola li quali
similmente li ho nominati et li nomino con la
mia propria bocha dela quale deputatione de
ditta scola ne ho fatto uno instrumento rogato
per ti notaro al ditto dì tri marzo proximo
passato et questo con il caricho de exeguire li
suprascripti legati per mi fatti ut supra, et
etiam da exeguire quanto in lo presente mio
testamento se contene et ancora tutto quello
che per me sarà notato et scripto de mia
propria mano sopra dette liste quale sarano
presso de ti notaro, o dela detta mia consorte,
o deli detti mei heredi tanto in maritare quelle
fiole quale sarano nominate in dette liste,
quanto in altre cose quale sarano descripte in
ditta lista ali quali priore et deputati ut supra
che sono de presente et che sarano per lo
avenire prohibischo la alienatione de mei
beni, salvo perhò per exeguire quello capitulo
qual comenza ancora voglio che accadendo
che Dio ne mandasse qualche orrende peste,
calestrie, tempeste et guerre che in tal caso
voglio se possano vendere nel modo se
contene in ditto capitulo et non altramente.
Et ancora voglio et ordeno che quando mei
heredi ut supra farano qualchi instrumenti per
causa dela mia heredità voglio che dichano et
faciano scrivere nel modo infrascritto Prior et
deputati scole deli poveri putti de imparare
legere de la terra de Dexio.
Ancora de novo replicho che voglio che li
legati fatti ala ditta mia consorte siano
exeguiti de prima como de sopra ho ditto.
Et perché l’anima mia è stata creata dal
magno e potente e grande Idio mio Signore e
così dala Maiestà Sua è proceduto tutti li beni
temporali che io tengo, et alla maiestà Sua a
leii piacendo voglio renderli il tutto, et per
questo ho fatto questo mio testamento a laude,
honore et gloria Sua et del Suo caro et unico
Fiolo Yehsu Christo nostro Redemptore et
Salvatore, quale prego humilmente che per la
sua santa misericordia et per la sua sancta
sacrata passione habia pietà et misericordia a
lanima mia, et al suo tempo mi faza gratia del
suo santo regno.
Ancora prohibisco a ti notaro infrascritto che
tu non rubricare a loffitio di Panigaroli de
Milano questo mio testamento sino che vivo.
E dele suprascritte cose richedo et prego ti
Jacobo Antonio Martignono notaro publico
milanese mio cognoscente già molti anni
passati, che de questo mio testamento et de le
suprascritte tutte cose ne vogli rogare uno
instrumento et più essendo necessario ancora
de capitulo in capitulo secondo sarà
expediente.
Subscripta
Io Gioane Maria Lampugnano afermo quanto
de sopra se contene et de mia propria mane o
sottoscripto adì soprascripto .
El quale testamento et le quale tutte cose
suprascripte sono state fatte alla presentia del
magnifico de luna et laltra lege doctore
domino Andrea Roberto, fiolo del magnifico
quondam domino Cesare, in la sua salla dela
audientia dela sua casa dela habitatione
siituata in curia arcivescovile, cioè in la
canonica deli reverendi ordinarii dela gesa
mazor de Milano, apressa la ditta gesa magior
presenti per secondi notari Jo Antonio de
Sessa, fiolo de domino Alexandro, che habita
in porta Vercelina, parrochia de Sancta Maria
a Porta de Milano, et presente Jo Francesco di
Mazi similmente per secondo notaro, fiolo de
domino Io Antonio de Porta Vercelina,
parrochia de Sancto Victore a Trenno de
Milano tutti duii cognoscenti del ditto domino
Jo Maria et ad questo specialmente dimandati
et pregati, et ancora presente el prefato
magnifico doctore domino Andrea Roberto
per testimonio et ancora presente per
testimoni li nobili domini Felixio et Io
Ambrosio fratelli di Campsiraghi, fioli del
nobile domino Io Iacobo, tutti duii habitanti in
Porta Romana, parrochia de Sancto Johanne
in Concha de Milano, et anchora presente per
testimonio domino Sebastiano Martignono,
fiolo del quondam domino Jo Marcho, che
habita in Porta Vercelina, parrochia de Sancto
Victore a Treno de Milano, et ancora presente
lo nobile domino Jo Ambrogio Calvo per
testimonio, fiolo del quondam domino
Benedeto, che habita in Porta Horientale,
parrochia de Sancto Stefanino in Bregogna de
Milano tutti, cinque testimonii noti et
cognoscenti del magnifico domino Jo Maria
et idoneii et ad questo specialmente
domandati et pregati.
Ego Sebastianus Martignonus, filius quondam
domini Johannis Marci, porte Verceline,
parrochie sancti Victoris ad Theatrum
mediolani, publicus imperiali auctoritate
notarius
suprascriptum
instrumentum
testamenti rogatum per suprascriptum
dominum Jacobum Antonium Martignonum,
olim fratrem meum qui illud propter eius
mortis interventu explere non potuit expleri,
auctoritate mihi concessa per magnificos
dominos
abbates
venerandi
collegii
dominorum notariorum Mediolani, ut apparet
ordinatione de qua rogatus fuit nunc quondam
dominus Jo Albertus dela Cruce, tunc
canzelarius prefati collegii, die trigesimo
augusti in vespris 1565
Et affirmo in imbreviatura suprascripti
testamenti factas fuisse subscriptiones
requisitas ex forma statutorum comunis
Mediolani. Affirmo etiam quod in
imbreviatura dicti testamenti adesse copia
unam infrascipte liste, scripta manu propria
prefati quondam domini Jacobi Antonii, et in
fide premissorum subscripsi.
Con il nome de Idio io Gio Maria
Lampugnano, morendo in Milano, desidero
che il corpo mio sia sepelito in Sancto
Materno in Dexio che fora dela porta granda
in terra pura, et non sia fatto monumento solo
con cinque preti con una candella in mano per
uno accesa et una sola croce de legno con
cinque candelle sopra accese e non più ultra.
Item quello che mi sepelirà in ditto loco sia
vestito da capo a pede dela mia vestimenta e
manchandone siano comprate de nove cioè
una camixa, una berreta, uno zupone, uno
paro de calze, uno sagho, una cappa e tutto
per l’amor de Dio.
Item lo giorno seguente che sarò sepelito il
corpo mio in ditto locho se facia dire trenta
messe, computata una granda et lofficio da
morte con una sola croce de legno con cinque
candelle de sopra accese, et alaltare grande
seii candelle et alli altri altari due candelle
accese sino sia fornito lofficio e le messe e
non più oltre.
Item lo ditto giorno se dia a poveri uno mogio
de pane de fromento et brente due vino bono
per lamore de Idio.
Item lo octavo giorno et il trentesimo giorno
et al capo de lanno dela morte mia, se facia
dire uno officio da morte con tredeci messe,
computata una granda con una sola croce di
legno con le candelle sopra accese et le
candelle ali altari in al modo sopra dito per lo
Capitolo in ditta gesa.
Item tutte le presente cose ad honore de Idio
et a salute de lanima mia e così è mia voluntà.
Item questa sia la lista fatta de mia mano la
quale ho nominato nel mio testamento la
quale se habia de observare.
Fatta alli 26 genaro 1548 in Mediolano in la
mia caxa
sottoscritta io Gio Maria Lampugnano ho
scritto et sottoscritto de mia mano propria.
Con il nome de Idio questa serà la lista dele
pute che sarano da maridare trovandosi in
tempo do poi mia morte si como dico in uno
mio capitulo in el mio testamento, et ho a caro
siano più presto maritate queste prima che
altre, eccetto però le due seconde mie nepote
che in detto mio testamento ho ditto.
Prima le figliole del quondam Ludovico
Malcalzato, figliolo che fu de messer
Ambrosio Malcalzato habitante in Desio.
Item le figliole de messer Hieronimo de Ho o
sia de Vo, figliole de sua consorte habita de
presente in Balzoioso, nominata madonna
Antonia.
Item le figliole del quondam messer Thomase
de Vo, fratello del suprascripto messer
Hieronimo, quale habitano al Carrobio de
presente in sua casa.
Item gli donate quello più possese voii heredi
meii e tenirne bono cuncto la sopra ditta lista
gliè nominate quelle figliole che in ditto mio
testamento desiderava nominar.
Et per fede ho scritto et sottoscritto de mano
propria, adì 26 genaro 1548 in Milano, in mia
caxa, sottoscrittta io Gio Maria Lampugnano
ho scritto e sottoscritto de mia mano la
sopradetta lista.
Nota dele robe che mia consorte madonna
Hippolita de Casate ha de consignare ali mei
heredi, si come ho ditto nel mio testamento et
a leii a bocha et qui sia notate per suo ricordo.
Et in prima uno cassono de noce di dinari, et
una cassa di noce la più grande, duii tapedi
turcheschi rossi e gialdi seu pagliati, una
tavola con li trispidie, uno banchale de lana
sopra la tavola, due maiestà in suo tellari
quale aleii piacerà, et se aleii piacerà darghi
altro sia in suo arbitrio.
Sottoscritta Io Gio Maria Lampugnano ho
notato di mane mia le suprascripte robe si
hanno a dare alli heredi meii, et per fede ho
sottoscritto de mia propria mano, adì 26
zenaro 1548, in Mediolano, in la mia casa.
E perché la facultà mia de mi Gio Maria
Lampugnano, quondam Gio Antonio, dapoii
fatto el mio testamento ultimo mi è manchato
la facultà dela mittà per causa de Francesco
Andrioso in Napoli, mela confirmata como
per gli obligi et li conti soii si posseno vedere,
perhò bisogna habia paciencia e voii heredi
meii fate quello possete di quanto vi ho
lassato de fare in el mio testamento et il
Signore piglia la mia bona voluntà vi ho fatto
a voii heredi questi pochi versi per non far
altro codicillo.
In Milano adì 20 genaro 1550
Sottoscritta io Gio Maria Lampugnano ho
fatto de man propria li sopradetti versi quali
voglio siano observati.
PRIORI DELLA SCUOLA245
1574
1584
1614
1637
1665
1689
1694
1721
1721
1761
1787
1794
1795
1808
Adamo Castelletto
Cristoforo Castelletto
Giovanni Stefano Strada
Antonio Strada
Fiscale Carlo Stefano Strada
Sindaco Generale Alfonso Belingeri
Regio segretario Francesco Belingeri,
Fiscale don Ottaviano Belingeri
Don Pietro Belingeri
Don Carlo Strada
Rev. Giuseppe Volonterio246
Rev. Giuseppe Volonterio247
Don Guido Delfinoni248
Congregazione di Carità249
1580
1616
1651
1677
1690
1741
1778
1780
1783
1796
1796
Francesco Malberti
Angelo Briani
Gerolamo Lavizzari
Francesco Pessina
Carlo Antonio Pessina250
Rev. Pietro Curione251
Antonio Villa
Giovanni Beretta
Pietro Antonio Pessina
Giuseppe Carozzi252
Giovanni Battista Beretta253
1574
1578
1581
1581
1583
1584
1592
1593
1594
1594
Antonio Del Conte
Battista Porro
Rev. Francesco Bergamo
Arrigo da Basilea
Rev. Giovanni Maria Bertoja
Bartolomeo Toscano254
Francesco Malberti255
Gaspare della Somaglia
Rev. Giovanni Battista Carcassola
Giovanni Battista Faggi256
CANCELLIERI DELLA SCUOLA
MAESTRI DELLA SCUOLA
245
Desunto da ACD, 1,1, Inventario 1741.
Prevosto di Desio e amministratore interinale.
247
Eletto a priore dal pubblico convocato generale dopo la riapertura della Scuola.
248
Eletto in seguito a rinuncia del precedente.
249
Installata il 7 giugno. Erano membri di diritto il Sindaco ed il Prevosto pro tempore di Desio e sei amministratori
nominati dal Sindaco e confermati dalla Prefettura d'Olona.
250
Figlio del precedente. In seguito divenne canonico della Collegiata di Desio.
251
Canonico della Collegiata di Desio dal 1748.
252
Residente a Milano.
253
Procancelliere.
254
Morto a Desio nel 1592.
255
Cancelliere e deputato, supplì anche da maestro.
256
Fu autore dell’opera “La Costanza di Sinforosa”.
246
1601
1601
1604
1605
1605
1609
1611
1615
1618
1622
1623
1624
1626
1627
1628
1629
1629
1631
1632
1633
1634
1680
1691
1694
1696
1697
1704
1706
1707
1708
1718
1722
1723
1726
1726
1729
1734
1746
1764
Rev. Fabrizio Malberti257
Giovanni Giacomo Minerva258
Francesco Besozzo
Rev. Giovanni Pietro Chionno
Giulio Cesare Quadro
Don Mario Villanova
Rev. Giovanni Battista Ciravalle259
Giovanni Antonio Brenna
Don Francesco Castelletti
Rev. Domenico Gavarino
Don Francesco Porta
Rev. Carlo Antonio Consonni
Frate Lelio260
Don Orazio Pirovano
Rev. Carlo Antonio Daverio
Rev. Melchiorre Carcassola
Chierico Ambrogio Bergamo
Rev. Filippo Motta
Don Orazio Pirovano
Donato
Antonio Maria Zuccone
Rev. Domenico Ratti
Rev. Giovanni Briani
Rev. Francesco Figliodoni261
Rev. Giuseppe Pinciroli
Rev. Andrea Reali
Rev. Bartolomeo Gaetti
Chierico Giovanni Battista Leveni
Rev. Cristoforo Strada
Rev. Leonardo Rossi
Rev. Giovanni Antonio Bastita
Rev. Carlo Antonio Pessina262
Rev. Giambattista Silvestri
Rev. Giambattista Formentoni263
Rev. Pietro Francesco Pavia
Rev. Giambattista Silvestri
Rev. Giulio Curione264
Rev. Giacomo Antonio Ponti265
Rev. Pietro Fabiani266
DOTTORI IN MEDICINA
257
Poi prevosto di Desio.
Di nazionalità fiamminga.
259
Canonico della collegiata di Desio.
260
Religioso dell'ordine dei Serviti, residente nel convento desiano di San Pietro al Dosso.
261
In seguito curato di Lissone.
262
Contemporaneamente era cancelliere della Scuola.
263
Supplente per due mesi e mezzo.
264
Passato nel 1745 alla cura di Vanzago nella pieve di Nerviano.
265
Desiano, in seguito divenuto canonico della collegiata.
266
Fiorentino.
258
1574
1582
1587
1593
1594
1595
1598
1650
1693
1707
1721
1728
1740
1745
1754
1794
1795
Il medico di Monza
Giovanni Battista Pocobello267
Alessandro Casteno268
Gerolamo Peregrino269
Ortensio Pallavicini
Giovanni Paolo Lesmo270
Giacomo Filippo Corneo
Francesco Sminzi
Giovanni Battista Confalonieri
Giacono Filippo Corneo
Luigi Arezzonico
Felice Sangalli271
Giovanni Maria Berlucchi272
Giuseppe Tenca273
Giuseppe Pintori274
Giovanni Orta
Giambattista Campi275
1580
1595
1601
1622
1658
1686
1715
1741
1786
1793
Giuseppe Viganorio
Francesco Menni
Francesco Bosetto
Gerolamo Triulzi
Carlo Maria Triulzi276
Paolo Antonio Triulzi
Carlo Maria Formentoni
Pietro Formentoni
Francesco Maria Antonietti
Giuseppe Perroncini
1582
1588
1618
1623
1651
1661
1685
1692
1731
Filippo Caranti
Giovanni Pietro Francesco Castelletti
Giovanni Battista Tornielli
Giacomo Antonio Corti
Giovanni Stefano Repossi
Giovanni Battista Erba277
Antonio Erba278
Giuseppe Erba279
Carlo Giovanni Erba280
CHIRURGHI DELLA SCUOLA
SPEZIALI DELLA SCUOLA
267
Medico di Monza.
Medico di Monza.
269
Primo medico residente in Desio.
270
Medico in Monza.
271
In seguito ordinato sacerdote.
272
Morto a Desio nel 1745.
273
Morto a Desio nel 1754.
274
Morto a Desio nel 1793.
275
Eletto in seguito alle dimissioni dl precedente.
276
Figlio del precedente.
277
Precedentemente speziale a Milano.
278
Figlio del precedente e cassiere della Scuola.
279
Figlio del precedente.
268
1784
280
281
Pietro Erba281
Figlio del precedente.
Figlio del precedente.
L’OSPEDALE
Nel 1808 i beni delle soppresse scuole confliuirono nella neocostituita Congregazione
di Carità presieduta dal dott. Don Carlo Villa. Nel frattempo aveva preso corpo il
progetto di edificare aDesio un Ospedale282; a questo proposito già nel 1806 era stato
contattato il famoso archietto Pollak, ma a causa dei costi elevati la proposta fu
abbandonata. Nel 1811 fu accettato il progetto redatto dall’ing. Innocente Domenico
Gatti. Per limitare i costi non si realizzò una struttura a croce ma un edificio con una
loggia a quattro archi sormontata da un timpano e preceduta da una gradinata. Al
centro seorgeva la cappella che divideva due infermerie (uomini e donne) con sedici
letti ciascuna. L’edificio si allungava in due brevi corpi di fabbrica laterali; quello
settentrionale sarebbe servito come abitazione dell’economo e del sacerdote, quello
meridionale sarebbe servito allo speziale283.
Questa struttura originaria andò via via perfezionandosi di quei ritrovatoi che la
scienza medica del tempo riteneva idonei alla medicina. Ad esempio nel 1842
furonno ricavate nello scantinato quattro vasche per i bagni che si riteneva fossero
utili nella terapia contro la pellagra. L’Ospedale era pensato come un’istituzione
destinata ai poveri e nel secondo Ottocento due terzi della popolazione desiana
rientrava in questa categoria.
Inaugurato nel 1820, l’Ospedale nel 1828 ricevette il lascito del canonico Villa che
lasciava la cifra di 67.188 lire netta, una somma pari a quanto era stato speso per la
costruzione dell’intero ospedale. Il presidente della Congregazione, il nobile don
Tiberio Confalonieri, dovette sostenere una lunga causa contro i parenti del Villa che
intendevano impugnare il testamento del sacerdote. Una seconda causa vide
contrapposta dal 1823 al 1831 la Congregazione contro il Comune in merito agli
oneri spettanti all’obbligo dell’istruzione elementare. Al Confalonieri successe il sac.
prof. cav. Enrico Pirotta che morì nel febbraio 1911 lasciando alla Congregazione
case e 126 pertiche di terra e unh legato per la costruzione di un ricovero per i vecchi
cronici.
Nel corso del Novecento l’Ospedale si è andato arricchendo di padiglioni ed
attrezzature sempre più adeguate ai tempi, ma solo nel 1930 è diventato una realtà
autonoma dalla Congregazione. Il 26 aprile 1938 per l’inaugurazione del padiglione
di pediatria e maternità giunse aDesio il principe Umberto di Savoia.
Divenuta ormai insufficiente e superata l’antica sede di Corso Italia fu abbandonata
per la nuova sede di via Mazzini inaugurata da Aldo Moro nel 1968. Il resto è storia
dell’oggi di una realtà in continua trasformazione per migliorare la qualità dei servizi
al malato.
In margine va ricordato che l’iniziativa filantropica dei Desiani si è espressa in
molteplici modi. Alcune realizzazioni furonogli orfanotrofi maschile e femminile e la
Casa di Riposo Pio e Ninetta Gavazzi che continua ancora oggi la sua meritoria
opera284.
282
Per le vicende dell’Ospedale si veda: GATTI 1996.
In seguito vi fu invece ricavata l’abitazione del medico primario.
284
Per le vicende dell’Istituto si veda: Ricovero 1992.
283
L’ISTRUZIONE
Come si è visto a Desio era presente una struttura scolastica elementare ben prima
della famosa legge Casati che introdusse l’istruzione elementare obbligatoria nel
neocostituito stato italiano. La qualità dell’insegnamento fornita agli alunni della
scuola dei Poveri Putti non doveva essere certo elevatissima e risentiva dei metodi
autoritari imperanti all’epoca285.
Gli inizi della scuola pubblica a Desio ebbero vita travagliata perché la
Congregazione di Carità aveva assorbito anche beni e fondi lascitati da Lampugnani
che sarebbero dovuti servire per garantire la presenza di un maestro; questo fatto fu
alla base di un prolungato contenzioso legale al termine del quale il Comune si trovò
costretto ad assumersi in proprio l’onere dell’istruzione. Negli anni Trenta la scuola
fu allargata anche alle bimbe e ben presto si dovettero allargare gli spazi destinati alla
scuola. Le lezioni avvenivano ancora nell’antico edificio di via Portichetto dove
apprese i primi rudimenti dell’istruzione il giovane Achille Ratti sotto la guida del
maestro Volonterio.
A partire dal 1870 cominciano ad emergere i documenti relativi ai primi insegnanti
stipendiati direttamente dall’Ente Locale286.Nel 1877 era pure istituita una scuola
elementare nella frazione San Carlo consorziata col Comune di Seregno287. Il
processo di crescita demografica obbligo a costruire sempre nuove aule; cosicché
dapprima furono sistemate nel Palazzo Vittorio Emanuele II e negli anni Trenta del
Novecento nella nuoma e moderna sede delle Scuole elementari Giulio Gavazzi. Nel
periodo prebellico erano state attivate due scuole “rurali” anche nelle frazioni di san
Giuseppe e San Giorgio.
Con il boom economico e le conseguenti trasformazioni sono state realizzati nuovi
edifici fino a giungere alla cifra complessiva di sei scuole elementari pubbliche.
La trasformazione del quadro economico cittadino alla metà dell’Ottocento aveva
determinato l’ingresso in fabbrica di manodopera prevalentemente femminile. Questo
fatto aveva determinato la necessità di cerare strutture idonee ad accogliere i bimbi in
età prescolare durante l’orario di lavoro dei genitori. Il problema fu subito sentito a
Desio e già negli anni Sessanta era attivo un Asilo d’Infanzia. Nei decenni seguenti le
iniziative in questo settore si sono moltiplicate con la creazione di asili statali,
comunali o privati.
La storia dell’istruzione a Desio è stata profondamente caratterizzata dalla presenza
di due grandi istituti privati: gli attuali collegi Pio XI e Paola di Rosa. Queste due
istituzioni hanno offerto un’occasione ai ragazzi che intendevano proseguire il loro
ciclo di studi al termine della scuola elementare. La presenza di questi Istituti ha
bloccato fino all’introduzione della Scuola Media Unificata la possibilità di creare un
ciclo di istruzione superiore a Desio. Questo fatto era anche motivato dal fatto che in
quegli anni il bagaglio culturale richiesto al ragazzo che entrava negli opifici cittadini
285
Si veda il gustosissimo racconto riportato in: BRIOSCHI 2001.
ACD, 88.
287
ACD, 90, 59.
286
era molto ridotto per cui non era sentita e nemmeno offerta la possibilità di
qualificare il processo di formazione con un ciclo di istruzione superiore. Nella
migliore delle ipotesi, se motivato, un ragazzo aveva la possibilità di frequentare la
scuola di disegno parrocchiale o le scuole tecniche comunali che avevano lo scopo di
preparare maestranze qualificate da inserire nelle aziende cittadine. Il tratto costante
fino al 1963 è dunque costituito da un basso livello d’istruzione determinato, sia dalla
scarsa domanda, ma soprattutto dalla volontà di non offrire alternative allo status quo.
Una conseguenza diretta di quanto detto è il fatto che i primi studenti universitari
desiani si ebbero solo nel secondo dopoguerra e che tutti i quadri dirigenziali cittadini
per buona parte del Novecento sono stati formati da “forestieri”.
Negli ultimi decenni la situazione si è rovesciata ed oggi il territorio desiano offre
un’ampia gamma di proposte formative. La Scuola dell’Infanzia è presente in varie
forme, sono presenti tre Istituti Comprensivi ed Istituti Superiori tra cui spiccano il
Liceo Classico, il Liceo Scientifico e l’Istituto Tecnico Industriale.
LE STRUTTURE ECONOMICHE
L’AGRICOLTURA
Fino a pochi decenni or sono il quadro economico del territorio di Desio era
caratterizzato da una forte componente agricola che si è conservata dalle epoche più
antiche fino agli anni Cinquanta del XX secolo.
La produzione agricola del territorio era strettamente legata alle caratteristiche
geomorfologiche del suolo. L’area di Desio è collocata nella cosiddetta pianura
asciutta, ossia un’area in cui lo strato di terreno utile all’agricoltura è estremamente
sottile, mentre nelle parti più basse la presenza di ciottolato e ghiaia causa una veloce
perdita di acqua nel sottosuolo. In tal modo la superficie rimane costantemente
asciutta; tale fatto era aggravato inoltre dalla mancanza di corsi d’acqua artificiali
(ovviamente fino allo scavo della Roggia nel XIV secolo). In tal modo l’unico modo
per avere irrigazione era l’affidarsi alle precipitazioni atmosferiche; di conseguenza
le uniche colture possibili risultavano quelle dei cereali.
L’elevata presenza umana documentata fin dalle epoche più antiche deve aver
comportato la distruzione del patrimonio boschivo per avere un pieno sfruttamento
dei suoli. Nel corso del medioevo e dell’età moderna le coltivazioni prevalenti
risultano essere quelle di frumento, miglio e segale. La coltivazione integrale del
mais che caratterizzerà l’alimentazione contadina comincerà in modo sistematico solo
dalla seconda metà del Settecento fino alla definitiva scomparsa dell’agricoltura.
Sempre dal XVII secolo prese piede la coltivazione della patata, spesso utilizzata
anche come integratore per l’alimentazione animale288.
Seguendo il flusso dell’annata agricola, in determinate occasioni era coltivata anche
l’avena. Come integratore alimentare erano coltivate le leguminose tra cui bisogna
ricordare il lupino usato come ultima risorsa nelle annate di particolare carestia.
A partire dal XIV secolo è documentata una consistente produzione vinicola. Questo
tipo di produzione appare particolarmente impiegata nei fondi di ragione del Capitolo
del Duomo ed il prodotto non era utilizzato per il fabbisogno locale, ma per essere
commercializzato sul mercato milanese dove garantiva una sicura possibilità di
guadagno. Ancora nel XVIII secolo risulta evidente che i terreni adiacenti alla
Roggia, ossia gli unici irrigui, erano destinati alla coltivazione della vite che pertanto
risulta essere una coltivazione di pregio. Prima della definitiva scomparsa nella
seconda metà del XIX secolo a causa della fillossera, i terreni di Desio fornivano di
vino anche la mensa dell’avv. Traversi che conservava i vini prodotti a Desio nella
sua residenza di città. La produzione appare incentrata su vini a forte acidità,
specialmente bianchi; anche il Porta declamò (forse con esagerazione) la qualità dei
vini prodotti a Desio.
Altra coltivazione di spicco risultava quella del gelso. Questa specie era coltivata sul
nostro territorio già nel XVI secolo e le si riservava particolare importanza.
288
Il pedagogo di casa Cusani, Carlo Amoretti, pubblicò proprio uno studio sulla coltivazione razionale delle patate.
Cfr.: AMORETTI 1801. Sappiamo inoltre che lo studioso aveva iniziato a Desio la coltivazione sistematica dei funghi
che poi fu applicata anche nel palazzo Cusani di Milano. Per le conseguenze dell’alimentazione maidica si veda:
CAVAGNIS 1883.
Numerose sono le vertenze relative alla foglia dei gelsi posti sulla piazza e giova
ricordare che ancora nel Cinquecento i canonici di Desio utilizzavano già forme di
contratto misto che prevedevano la consegna di una consistente quantità di foglia al
proprietario del fondo come era di prassi nel corso dell’Ottocento e del primissimo
Novecento.
Tracce di una superficie boschiva compaiono per la prima volta nel catasto desiano
del 1515 e da questo documento si evince che questi boschi erano stati piantumati da
pochi anni in occasione di una forte epidemia di pestilenza che aveva sensibilmente
ridotto la popolazione impedendo di avere una forza lavoro necessaria alla coltura
integrale del suolo. Questa superficie boschiva andò nel tempo assestandosi, specie
nella zona orientale dell’abitato e si conservò fino a pochi decenni or sono289.
Parimenti ridotta risulta la superficie destinata al prato. L’alimentazione dello scarso
bestiame era garantito dalla raccolta di erbaggi nelle aree marginali. Le uniche
superfici di pregio erano costituite, dopo lo scavo della Roggia, dalla zona
denominata indicativamente Prati, posta al confine con Muggiò. Quest’area
costituisce un unicum nella nostra zona in quanto era l’unica superficie che poteva
essere allagata artificialmente por poter avere una produzione continua di foraggio
utile per l’allevamento. Era pratica comune inframmezzare i campi coltivati con
colture legnose; oltre al gelso di cui si è detto, dal ‘700 prese piede la coltivazione
della robinia che permetteva una rapida produzione di legna da ardere e alberi da
frutta (in passato erano rinomate alcune produzioni di pesche).
In campo economico l’allevamento non ha mai avuto il peso e l’importanza che ebbe
in altre zone. L’allevamento bovino risulta scarsamente praticato principalmente a
causa della mancanza di foraggio. Questo fatto, oltre a limitare la disponibilità
alimentare, comprometteva anche la disponibilità di concimi naturali. Data anche la
ridotta superficie delle singole proprietà era assai difficile incontrare contadini
proprietari di buoi, mentre più comunemente per il traino agricolo e l’aratura si
utilizzavano cavalli e asini.
Complemento integrante dell’alimentazione era il maiale allevato ovunque ed in tutte
le epoche principalmente per la riserva di grassi che esso offriva più che per la carne.
Va ricordato che lardo e strutto costituivano in passato la naturale riserva di grassi in
un’alimentazione povera da cui mancava quasi completamente il condimento
vegetale. L’olio di oliva era praticamente inesistente ed era usato per alimentare le
lampade che ardevano innanzi al Santissimo nelle chiese. Erano diffusi olio di bassa
qualità ottenuti dalla torchiatura di alcune specie vegetali (ravizzone innanzitutto).
Come in tutta l’area aveva una certa importanza nell’economia domestica
l’allevamento di animali da cortile che costituivano l’oggetto di tanti dei famosi
appendizi e principalmente la fornitura di uova e del cappone di manzoniana
memoria che doveva onorare la tavola natalizia dei proprietari.
289
BRIOSCHI 1993 A.
ARTIGIANATO
L’artigianato in senso stretto fu una pratica praticamente sconosciuta fino alla fine del
Settecento. Tale fatto è da imputarsi alla presenza delle grandi corporazioni milanesi
le quali impedivano che nel contado si diffondessero attività produttive
concorrenziali a quelle praticate dalle botteghe degli artigiani di città. Nelle epoche
più antiche l’unica attività produttiva documentata sono alcuni produttori di panni o
degli armaioli290.
Nel migliore dei casi questi proto artigiani erano in realtà degli agricoltori che
praticavano alcuni semplici lavori nei momenti di riposo dell’annata agricola. Anche
grazie all'aumento della documentazione disponibile, agli inizi dell’Ottocento
compaiono artigiani indispensabili per il mantenimento delle attività produttive del
borgo (muratori, carradori, fabbro maniscalco). Una minima diffusione dell'attività
artigianale fu resa possibile solo alla fine del XVIII secolo con la soppressione delle
corporazioni ad opera dell'amministrazione asburgica. Questa dinamica però fu
bruscamente interrotta dal rapido nascere dell’industria; questa dinamica bloccò lo
sviluppo dell’artigianato rendendo così Desio un caso nettamente diverso rispetto alla
realtà economica del circostante territorio brianzolo. Al contrario di centri vicini
come Cesano, Lissone e Meda, Desio non conobbe l’industria del mobile e dei settori
connessi (vetrerie, minuterie metalliche, tappezzerie). La presenza della grande
industria, prima tessile, poi meccanica, rese sempre l’attività artigianale un settore
marginale nell’economia cittadina. Tale fatto condizionò pesantemente fino ai giorni
nostri le dinamiche produttive locali.
Malgrado i limiti di cui si è detto, una presenza dell'artigianato sul nostro risulta
sicuramente documentabile, ma sicuramente in posizione subalterna rispetto al
predominio incontrastato della grande industria. Nuove prospettive per questo settore
si sono avviate negli ultimi decenni quando la città si è avviata in una fase
decisamente postindustriale.
INDUSTRIA
Pur nella scarsità di documentazione storica, è possibile affermare che l'industria, ed
in particolar modo la grande industria, costituisce il fenomeno che ha maggiormente
caratterizzato la realtà di Desio fino a renderla un unicum rispetto al territorio
circostante. Occorre però anche constatare la quasi totale scomparsa della
documentazione scritta, tanto che chi volesse tentare una storia degli insediamenti
industriali sul territorio desiano si troverebbe in grave difficoltà.
Il territorio desiano ha ospitato alcuni tra i primissimi insediamenti industriali a
livello nazionale. Tra tutti il più rinomato e storicamente rilevante fu la Tessitura
meccanica di seta dei fratelli Egidio e Pio Gavazzi. L'opificio iniziò la sua attività nel
1869 con i primi dodici telai meccanici che salirono a cento nel 1876. Nel 1895 fu
installata la macchina motrice, nota con il nome di "Regina Margherita" che ora fa
bella mostra di sé all'ingresso del Museo della Scienza e della tecnica di Milano. Agli
inizi del Novecento la società aveva altri due stabilimenti rispettivamente a Melzo e
290
Fabbricazione di verrettoni (frecce per balestra) agli inizi del XVI secolo.
Sabbioncello con una forza lavoro complessiva di 4.000 operai. La fabbrica desiana
era specializzata nella produzione di seta per ombrelli, poi affiancata da quella nera o
colorata per abiti ed infine, in epoca bellica, dalla pregiata seta per i paracadute.
Il setificio Gavazzi aveva anche assorbito la vecchia filanda Bozzotti e preso in affitto
vari locali sparsi per il paese. All’originaria attività di tessitura si affiancò quella della
tintoria che comportò un sensibile aumento della manodopera.
A Desio era operante un filatura di seta di Pietro Gavazzi situata nel fabbricato di via
Garibaldi. L'opificio dava lavoro a settecento operai, ma la fabbrica desiana faceva
parte di un gruppo industriale che comprendeva venti stabilimenti con una
manodopera complessiva di 4.500 unità.
A fianco di questi due insediamenti storici, era operante il grande Lanificio Nazionale
(divenuto in seguito Tilane). L’impresa era stata avviata da Dario Trezzi che
trasformò l’azienda in lanificio nazionale con capitale sociale di due milioni e mezzo
di lire. Dopo un periodo di crisi il valore delle azione si dimezzò, per cui il consiglio
d’amministrazione licenziò Trezzi e chiamò da Prato Raimondo Targetti291. A Desio
era pure attiva alla periferia meridionale del borgo una filiale dello stabilimento
principale di via Bovisasca. Lo stabilimento Targetti nel 1939 impiegava 2.000 operai
ed era famigerato per aver accolto elementi filosocialisti perseguitati o controllati dal
regime fascista. Agli inizi del Novecento operava inoltre una ditta che produceva
scialli in lana pettinata. L'opificio era di proprietà del sig. Ercole Trezzi al quale è
stata intitolata una via cittadina. Altri opifici nel settore tessile erano il Linificio
Deponti in via Borghetto sorto nel 1912, il Cotonificio Pallavicini in via Spinelli e la
tessitura Gola in via Umberto I.
Verso gli anni Venti del Novecento all'originaria vocazione tessile, Desio affiancò la
creazione di diverse industrie nel settore meccanico. La mancanza in loco di una
documentazione d’archivio impedisce di cogliere le dimensioni e la portata di
insediamenti industriali come la Vigorelli. Nel 1906 prese avvio in via Volta la ditta
del tedesco Kromprinz per la lavorazione di cerchi metallici per cicli e auto; la
fabbrica conobbe un notevole sviluppo in periodo bellico ed in seguito fu
amministrata dal sindaco Giuseppe Scalfi. L’attività fu proseguita dalla ditta milanese
Bianchi, fino a trasformarsi in Autobianchi ed infine venne l’assorbimento nel grande
gruppo FIAT che rese lo stabilimento di Desio un’industria di livello internazionale
fino alla chiusra degli impianti nei primi anni Ottanta.
Va inoltre ricordata la Gubra di Guglielmo Brauns, il calzificio Elgi292 di via Grandi,
la SIBI targhe e la SIS di via dei Reali293 Negli anni Sessanta del secolo arriveranno
altre industrie come la profilati metallici a freddo Brollo, la Worthington (pompe e
compressori), la Corinzia legnami e l’Abrasivi Metallici.
Negli ultimi decenni quasi tutte queste aziende hanno chiuso o trasferito gli impianti
causando, almeno inizialmente, seri problemi al quadro occupazionale del territorio
291
Raimondo Targetti nacque a Firenze nel 1869. A Desio fu anche amministratore dell’Ospedale. Eletto senatore, morì
il 15 giugno 1942.
292
Il nome trae origine da El Gi(üsèpp) Longoni, proprietario dello stabilimento.
293
Società Italiane Serrature di Giussani.
che ora sembra essersi riassestato con fenomeni molto marcati di pendolarismo in
direzione dei centri vicini, ma soprattutto di Milano.
COMMERCIO
Il commercio non ha mai assunto a Desio particolare rilevanza nel quadro
dell’economia locale. Fin dalle epoche più antiche gli scambi avvenivano in
occasione del mercato che si teneva già dal XII secolo sulla piazza principale del
Borgo.
Sin da quando inizia la documentazione scritta non sono documentate botteghe di
pregio; i negozi operanti sul territorio risultano essere rivendite di pane e le
immancabili osterie. L’unico esercizio di rilevanza non presente in borghi del
vicinato era la farmacia gestita dalla Scuola dei Poveri Putti e successivamente dal
Luogo Pio che mantenne immutata questa denominazione fino alla scomparsa della
farmacia dell’esercizio che si affacciava su Piazza Conciliazione.
Il numero degli esercizi cominciò a crescere lentamente in corrispondenza dello
sviluppo economico e demografico della seconda metà del XIX secolo. Un elenco di
fine Ottocento riporta le seguenti attività: tre prestinai per pane bianco, un prestinaio
per pane bianco e giallo, due prestinai per pane giallo, tre macellai di carni bovine,
otto salumieri con drogheria, un droghiere, quattro alberghi, dodici osterie e trattorie,
una farmacia, nessuna polleria, quattro privative, due commercianti di stoffe, uno di
scarpe, uno di cappelli, un negozio di chincaglierie, due cartolai, tre fruttivendoli, due
merciai, tre falegnami di mobili, quattro carpentieri, sei sarti di cui quattro per uomo
e due per donna294.
Con il boom economico il numero degli esercizi è andato crescendo ma per la
stragrande maggioranza si trattava di esercizi di ridotte dimensioni che non hanno
saputo rispondere alla sfida della grande distribuzione. In concomitanza con la
diffusione sul territorio di supermercati e centri commerciali la maggior parte di
questi esercizi ha cessato l’attività. Mantengono una certa vivacità gli esercizi
commerciali del centro o quelli posti lungo le vie di maggiore traffico che hanno
saputo ammodernarsi e rispondere meglio alle esigenze del mercato.
SERVIZI E LIBERE PROFESSIONI
Nei secoli passati le attività legate al settore terziario erano praticamente sconosciute
eccezion fatta per osti e cavallanti; dal XV secolo si ha notizia di notai295. Questo
settore è andato crescendo nel corso dell’Ottocento fino a diventare oggi l’area
produttiva che impiega il maggior numero di addetti. Hanno controiibuito allo
sviluppo di questo settore l’Ospedale, le istituzioni scolastiche, l’Ente Locale, gli
uffici pubblici e privati, il credito, cui si sono affiancati gli adetti ai trasporti ed al
commercio.
294
Quaderno manoscritto in APD.
Carcano rev.do Beltramino quondam Giacomino (1403-1442); Maruti Giovanni quondam Giacomo (1431-1456);
Confalonieri Battista quondam Alberto (1467-1515); Confalonieri Cristoforo quondam Battista (1503-1521).
295
PERCORSI NELL’ARTE
LA BASILICA
FACCIATA
Il sagrato e la scalinata furono realizzati su disegno di Giulio Galiori nel 1764. Il medesimo
architetto progettò nel 1771 la facciata dell’edificio, la cui realizzazione spetta a mastro Bollino
negli anni 1780-1785. La sistemazione attuale, dono dell’avv. Mario Longoni, è stata curata nel
1935 dall'architetto Ottaviano Cabiati.
Le statue laterali, rappresentanti i santi Siro e Materno, sono opera dello scultore Cristoforo Bossi di
Porto Ceresio, 1862.
TOMBA LAMPUGNANI
All'ingresso centrale è collocata la tomba del benefattore Giovanni Maria Lampugnani, morto nel
1563, fondatore della Scuola dei Poveri Putti. La salma fu traslata dalla basilica antica dove era
collocata nella medesima posizione.
La bussola dell'ingresso fu realizzata nel 1936 da artigiani locali.
NAVATA
PAVIMENTO
Pavimento policromo con stemma pontificale di Pio XI eseguito su disegno dell'ing. don Spirito
Maria Chiappetta. Marmi di Giuseppe Remuzzi, Bergamo, 1935.
Acquasantiere marmoree del 1634.
VOLTA
Affresco centrale di Giuseppe Riva, Gloria di san Giovanni Bono, 1928.
Sugli archi e nelle vele: Giuseppe Riva, Virtù cardinali e Virtù teologali, 1928.
STUCCHI
Amedeo Butti, Dieci profeti e putti con festoni, 1934.
VETRATE
Opera della ditta Bertuzzi, 1950.
Nella controfacciata:
vetrata dell'Assunzione, cm 420 x 150, 1950.
BATTISTERO
Vasca battesimale in marmo sormontata da piramide intagliata in legno di noce raffigurante il
Battesimo di Cristo, 1756.
Affreschi: Battesimo di Cristo sulla parete di fondo e Dio Padre Benedicente, sulla volta, opera di
Giuseppe Riva, 1918.
Cancelletto su disegno di Spirito Maria Chiappetta.
Busto di Pio XI opera di Alessandro Piazza, Carrara, 1926.
Busto di mons. Celestino Cattaneo, 1956.
CAPPELLA SACRO CUORE
Altare barocchino di Camillo Remuzzi, 1918.
Decorazione del bergamasco Terragni, 1918.
Statua lignea del Sacro Cuore, h. cm 200, artigianato della Valgardena, 1918.
Cappella consacrata il 20 aprile 1925 da mons. Celestino Cattaneo.
CAPPELLA SANT'AGATA
Eretta a ricordo dell'antico oratorio dedicato alla santa, demolito nel Settecento per reimpiegarne i
materiali nella costruzione della Basilica.
Marmi del Pirovano, 1830.
Tavola: Giuseppe Riva, san Pietro visita in carcere sant'
Agata, cm 200 x 120, 1920.
CAPPELLA DELL'ADDOLORATA
Altare marmoreo del XVIII secolo.
Decorazione pittorica alle pareti di Osvaldo Bignami, 1906.
Statua lignea dell'Addolorata, h. cm 200, 1768.
Urna con statua lignea del Cristo morto, 1817.
VIA CRUCIS
Olio su tela, cm 120 x 100, opera del pittore piemontese attivo a Milano Giovanni Battista Zali,
1845.
CAPPELLA SANT'ANTONIO
Altare marmoreo proveniente da Castiglione Olona, qui collocato nel 1935.
Affreschi laterali: sant'
Antonio che parla ai pesci e Miracolo della mula.
Statua lignea del santo, h. cm 200, 1665.
CAPPELLA SAN CARLO
Marmi del milanese Nicola Pirovano, 1830.
Pala: Narducci, San Carlo Borromeo amministra la Prima Comunione a san Luigi Gonzaga, cm
200 x 120, 1830.
CAPPELLA SAN GIOVANNI BONO
Altare barocchino di Camillo Remuzzi, 1918.
Decorazione del bergamasco Terragni, 1918: la chiesa antica e la canonica.
Statua lignea del Santo, artigianato Valgardena, h. cm 200, 1919.
Cappella consacrata il 20 aprile 1925 da mons. Celestino Cattaneo.
CAPPELLA GESU' NELL'ORTO
Statue lignee policrome di Gesù nell'Orto degli Ulivi e di un angelo in volo che reca il calice della
passione, artigianato della Valgardena, 1923.
Cancellata e balaustra di Spirito Maria Chiappetta.
Decorazione di fondo attuale dei pittori desiani Galliani e Sala (1996).
Cappella benedetta nel 1926.
CONTROFACCIATA
Giuseppe Riva, La fondazione della Basilica, 1929.
Giuseppe Riva, La fondazione della canonica, 1929.
TRANSETTO
CAPPELLA MADONNA DEL ROSARIO
Progettazione dell'arch. Cesa Bianchi. L'altare è quasi sicuramente quello trasportato a Desio nel
1733 da Paderno ed acquistato con il lascito di don Barzana, parroco di Varedo. La collocazione
dell'altare fu curata dallo scultore Carlo Nava. Puttini dell'Antignati, 1734. Tabernacolo del 1735.
Affreschi laterali di Osvaldo Bignami, 1907, con storie della Madonna: Annunciazione, Visitazione,
Presentazione al Tempio, Maria al Calvario. Nel catino: Incoronazione della Vergine.
Statua lignea, h. cm 200, 1745.
AFFRESCHI TRANSETTO NORD
Giuseppe Riva, san Siro punisce l'
Ebreo blasfemo, 1903.
Ponziano Loverini, Il Sacro Cuore appare a S.Maria Margherita Alacoque, 1898.
AFFRESCHI TRANSETTO SUD
Ponziano Loverini, La Sacra Famiglia, 1901.
Giuseppe Riva, san Materno di fronte all'
imperatore Massimiano, 1911.
CAPPELLA SAN GIUSEPPE
Progettazione dell'arch. Cesa Bianchi. Altare del XVIII secolo.
Statua lignea del santo che regge un libro, 1920.
Affreschi laterali di Osvaldo Bignami, 1908, con storie di san Giuseppe: Sposalizio, Natività,
Apparizione dell'
angelo, Transito.
Nel catino: La gloria di san Giuseppe tra i santi del paradiso.
PRESBITERIO
ALTARE MAGGIORE
Realizzato su disegno dell'arch. Giuseppe Merlo e consacrato dall'Arcivescovo Pozzobonelli il 26
agosto 1744.
Parti marmoree opera dello scultore Carlo Nava.
Statue lignee di Giuseppe Antignati, 1746.
Tabernacolo di Giovanni Battista Guzzi.
Capitelli bronzei di Carlo Domenico Pozzi.
URNA
Urna contenente le reliquie di san Vittore, eseguita nel 1933 su disegno di Saronni. La sistemazione
attuale risale al 1960.
CORO
Stalli in legno di noce, m 3,50 x 12, 1743.
Anta centrale con croce-reliquiario del 1854.
Mobile laterale con mensola, XVIII sec., m 3,20 x 2,50.
Mobile laterale con sedile, XVIII sec., m 3,00 x 2,50.
VETRATE LATERALI
Santi Siro e Materno, ditta Tevarotto, Milano, 1938.
BALAUSTRA
Realizzata su disegno di Giuseppe Merlo; marmi Giacomo Pellegatta di Viggiù, 1761. Modifiche
nel 1983.
ORGANO
Ditta Tamburini, Crema, 1957.
AFFRESCHI LATERALI
Destra: Mauro Conconi, Gesù entra in Gerusalemme, 1861
Sinistra: Mauro Conconi, Gesù e i fanciulli, 1858.
Dipinti eseguiti con i ricavati del lascito effettuato da Filippo De Bernardi, prevosto di Desio, dal
1850 al 1856. Le due opere furono staccate nel 1891 dall'originaria ubicazione e riportate su tela
dallo Stefanoni. Restauri: conte Pallavicini (1934), Verga e Savelli (1996).
PULPITI
Disegno dell'architetto Giacomo Moraglia, 1851.
Esecuzione curata dall'artigiano desiano Gaetano Malberti e dall’intagliatore milanese Vitale
Regola. Doratura di Gaetano Mariani.
CUPOLA
Benedetto Cazzaniga, Crocifisso sorretto da angeli, cm 350 x 120, 1783.
STUCCHI
Amedeo Butti, 1934, stucchi in rilievo raffiguranti i padri della chiesa latina: sant'Ambrogio,
sant'Agostino, san Gerolamo e san Gregorio Magno.
AFFRESCHI
Giuseppe Riva, 1929, affreschi nei pennacchi raffiguranti i quattro Evangelisti.
Interno cupola: Giuseppe Riva (con gli aiuti di Dossena, Poloni e Carrara), 1929, I santi Siro e
Materno nella gloria del paradiso.
LAPIDI
CONTROFACCIATA
Grande lapide che commemora la riconsacrazione della Basilica ad opera del cardinal Ferrari il 26
agosto 1895.
NAVATA
Lapide commemorativa prevosto Filippo De Bernardi, 1860.
Lapide commemorativa prevosto Cesare Mossolini, 1913.
ALTARE DI SANT'ANTONIO
Sepoltura di mons. Erminio Rovagnati (1935)
TRANSETTO SUD
Lapide commemorativa benefattori ampliamento chiesa.
USCITA LATERALE NORD
Lapide Tunica (1681)
Lapide Ferrario (1733)
USCITA LATERALE SUD
Lapide Lampugnani
Lapide Castelletto
CRIPTA
E' costituita da un ambiente sotterraneo, destinato alle sepolture ecclesiastiche, posto al centro della
chiesa, ai piedi dell'antico altare. Lungo tre lati del ristretto vano sono collocati nove sedili in
laterizio, sui quali sembra che venissero poste le salme dei prevosti e dei canonici, assicurate al
sedile con catene di cui rimane qualche traccia. A fianco sussiste un secondo ambiente ad uso
ossario.
Originariamente la cripta era affiancata da due altri sepolcri, oggi manomessi, uno a nord per i
confratelli, l'altro a sud per i fabbricieri. Queste ed altre sepolture oggi scomparse furono eseguite
nel 1733. Non esiste nessun documento coevo relativo all'utilizzo di quest'ambiente. La
documentazione d'archivio attesta un'ultima evacuazione dei sepolcri nel 1781.
L'ambiente è stato ripristinato e reso agibile con un recentissimo intervento (1996) che ha
trasformato l'antico sepolcro in un reliquiario.
SAGRESTIA NORD
VOLTA
L'
Agnello Mistico attorniato da figure che reggono gli oggetti liturgici della Basilica. Affresco
restaurato nel 1996.
ARMADI
Armadi in legno di noce, XVIII sec., altezza m 5 x 25.
QUADRI
• Osvaldo Bignami, I santi Siro e Materno, 1904.
• Madonna in trono col Bambino, cm 180 x 120, proveniente dall'oratorio di san Pietro al Dosso.
• Martirio di una santa (S.Agata ?), olio su tela, cm 200 x 130 cm, XVIII sec.
• Santa Cecilia, olio su tela, cm 220 x 220, XVII sec.
Lavamano marmoreo, 1734.
Tra gli oggetti liturgici sono degni di nota
•
•
•
•
•
•
•
Croce processionale in lamina d'acciaio, realizzata agli inizi XVI secolo di Giovanni Pietro
Carcassola
Stendardo processionale con i Santi Patroni e la Vergine risalente al XVII secolo, ricamo su
seta
Stendardo processionale con san Giuseppe ed il Bambino risalente al XVII secolo, ricamo su
seta
Madonna col Bambino in trono, tempera su tavola, m 2,5 x 1 circa, proveniente dall'antica
chiesetta di san Pietro al Dosso
Due croci processionali, XV-XVI sec., rame dorato
Busto reliquiario di santa Caterina, legno policromo, XVI secolo
Cristo coronato di spine, statua a tutto tondo in legno policromo, altezza 1m circa, XVII
secolo.
IL CAMPANILE
Il campanile è una massiccia costruzione a base quadrata, eretta in forme goticheggianti, la cui data
di erezione ci è ignota. In base ad analisi di tipo strettamente architettonico, tradizionalmente la sua
costruzione è fatta risalire verso il Mille ad opera dei Maestri Comacini. Questa conclusione non è
certo insindacabile; l'antico campanile fu bersaglio di diverse azioni a carattere militare, tanto che
nel Quattrocento fu dato alle fiamme; è improbabile che l'edificio abbia potuto reggere ad un
incendio. La sua costruzione dovrebbe perciò essere ritardata di alcuni secoli ed essere più
verosimilmente posta verso la metà del quindicesimo secolo, quando, utilizzando le macerie
dell’antica torre, fu edificato il campanile che possiamo vedere oggi. Il campanile era in posizione
avanzata rispetto alla chiesa e non era addossato ad essa lungo nessun lato. La torre non aveva
ingressi a livello del suolo; comunicava con la basilica tramite un passaggio sospeso all'altezza di
circa quattro metri.
Nel 1830, per fare posto al nuovo concerto, fu distrutta la trifora oggi posta all’altezza dell’orologio
ed inoltre fu abbattuta la guglia in laterizio per dare spazio ai quattro grandi archi che ancora oggi
ospitano le campane. Malgrado i pesanti rimaneggiamenti subiti che ne hanno trasformato la
fisionomia, il campanile di Desio è una costruzione degna di nota ed è l’edificio più antico della
città.
LE CAMPANE
La chiesa di Desio ebbe sempre particolare attenzione per le campane. Contrariamente ad altre
chiese del circondario, già nel Cinquecento la basilica aveva tre bronzi. Nel Settecento furono
effettuati alcuni tentativi per aumentare la consistenza dei manufatti, ma il primo vero concerto fu
eseguito nel 1799 e comprendeva cinque pezzi del peso complessivo di 34,82 quintali.
Anche in seguito ad una dimostrazione popolare, nell’ottobre 1821 fu realizzato dal fonditore
Michele Comerio un nuovo concerto di sei campane del peso complessivo di quintali 77,35, ma una
perizia tecnica evidenziò alcuni difetti strutturali, cosicché, sempre ad opera del Comerio, le
campane furono rifuse e nel 1830 fu innalzato un nuovo concerto. Anche in questo caso l'esito della
perizia condotta dal maestro Lavigna fu negativo. Dopo una lunga vertenza giuridica, nel 1835, per
porre fine alla questione, il fonditore rinunciò a riscuotere il credito che vantava nei confronti della
fabbriceria.
Il 7 marzo 1843 si giunse alla stesura del contratto definitivo di rifusione delle campane, la cui
esecuzione fu affidata al fonditore varesino Felice Bizzozero. Le fusioni furono ultimate il 6 agosto
1843 ed il 16 dello stesso mese le campane erano pronte. Già il giorno seguente, partì alla volta di
Varese il convoglio dei carri per il trasporto a Desio dei sacri bronzi.
Tra il tripudio cittadino e l’ammirazione dei forestieri giunti da tutto il circondario per godersi lo
spettacolo, il 20 agosto 1843 le campane, precedute da soldati di cavalleria e dalla banda militare,
fecero solenne ingresso nel borgo. La piazza non riusciva a contenere tutti gli intervenuti, smaniosi
di sentire finalmente il tanto sospirato concerto. Alzate su un telaio appositamente allestito sul
sagrato, le campane furono solennemente benedette dal prevosto dell’epoca, don Giusto Corbella. Il
28 agosto si procedette all'innalzamento sulla torre e dovette intervenire la gendarmeria per
mantenere l'ordine tra il numeroso pubblico. Il consenso all’opera eseguita fu unanime; in tal modo
ebbe fine una controversia cittadina durata per quasi cinquanta anni.
Nello stesso anno 1843 il fabbro Silvestro Missaglia realizzò l'impianto di campane a festa; agli
inizi del nostro secolo, la ditta Barigozzi di Milano realizzò l’attuale incastellatura che sostutì quella
antica in legno. Nel 1938 la ditta Fonotipia di Milano curò la prima incisione discografica del
concerto. Seguendo l’evoluzione tecnica dei sistemi di riproduzione sonora, nel tempo seguirono
altre tre registrazioni: la prima su disco a 45 giri, la seconda su disco a 33 giri, fino a giungere alla
presente su compact disc. In tal modo le campane di Desio hanno raggiunto località anche
lontanissime, facendo udire le loro note fino nelle terre di missione.
La monumentalità del concerto e, soprattutto, l’altissima qualità sonora del bronzo hanno reso le
campane di Desio giustamente famose ovunque. Questo lusinghiero risultato è stato ottenuto,
malgrado le innovazioni tecnologiche, anche grazie all’attività del gruppo campanari, che da oltre
centocinquanta anni continua a far apprezzare la perfetta fusione fra materiali e tecniche.
Descrizione delle campane
N.
peso q.li
diametro m.
nota
Santo titolare
8
7
6
5
4
3
2
1
34,360
21,215
17,400
14,550
10,620
6,940
4,760
4,110
1,75
1,60
1,40
1,30
1,15
1,00
0,90
0,83
lab
sib
do
reb
mib
fa
sol
lab
SS. Siro e Materno
Beata Vergine Maria
San Giovanni Bono
San Giuseppe
Angelo Custode
Sant’Agata
San Carlo
San Luigi
LA CHIESA DI SANTA MARIA
L’altare è in legno dorato e risale al XVII secolo con pesanti interventi di restauro ed integrazione
effettuati all’inizio del nostro secolo. L’immagine della Vergine (1900) è copia della statua in legno,
opera dello scultore Antonini, posta nella chiesa milanese di santa Maria Segreta.
Il paliotto in lamina d’argento (ora rimosso) è opera di Marco Magistretti. Il corredo dell’altare è
arricchito da alcuni pezzi in lamina d’argento risalenti al XVIII secolo: quattro candelieri e una
croce processionale; la coppia di lampade pendenti risale invece al secolo scorso.
Il fonte battesimale è costituito dall’acquasantiera della soppressa chiesa di San Francesco. Secondo
alcuni sull’orlo sarebbe incisa la data 11 gennaio 1061, ma una lettura più coerente farebbe pensare
che l’anno debba essere interpretato come 1511. Lungo il perimetro del manufatto è incisa la
seguente iscrizione: Aqua benedicta deleantur nostra delicta - AVE + DNE + JHU + SPE [i nostri
peccati sono cancellati dall’acqua benedetta - Salve Signore Gesù Speranza]. Come ci informa il
testo, l’opera fu eseguita a spese di tale Giovanni Evangelista Cantono.
La chiesa costituisce una sorta di quadreria dove sono state depositate diverse tele generalmente
provenienti dalla Basilica. Di particolare interesse risultano due pitture, poste una di fronte all’altra
che rappresentano lo Sposalizio della Vergine e la Cacciata di Gioacchino dal Tempio (o il
profanatore). Le due opere, che si rifanno al racconto dei vangeli apocrifi, sono citate per la prima
volta in un inventario del 1863 quando risultavano poste nel coro della basilica. Le opere sono ad
olio su tela e la prima delle due reca la data 1612 e lo stemma di Giovanni Angelo Galli,
presumibilmente il committente dell’opera. Quattro oli su tela risalenti al XVIII secolo raffigurano
la Vergine col Bambino, San Carlo Borromeo, Sant'Antonio Abate e San Francesco da Paola. Ai
lati dell’altare sono collocate due belle tele seicentesche raffiguranti i profeti Ezechiele ed Isaia. Le
vetrate hanno per soggetto l’Annunciazione e la Visitazione e sono opera dei fratelli Pace. La Via
Crucis è composta da quattordici rilievi in terracotta eseguiti nel 1979 da S.Recchioni Pierangelini.
La sagrestia antica era originariamente collocata sul lato meridionale. Fu sistemata a Nord nelle
forme attuali nel 1868 con la creazione di un piano superiore che fungeva anche da deposito per i
cereali raccolti dalla confraternita. Al piano terreno è conservato un bell’armadio risalente al XVIII
secolo. Come documentato da una targa posta sulla parete settentrionale, il campanile fu terminato
nel 1770. Alla sua sommità sono collocate due campane di provenienza ed epoca diverse.
SANTUARIO DEL SANTO CROCIFISSO
Nel Santuario è conservato un olio su tavola del XVII secolo raffigurante S.Bartolomeo. L'opera, di
anonimo, fu donata alla chiesa nel 1913 dalla famiglia Gavazzi. Sempre nella stessa chiesa è
conservata una copia accademica del Polittico di San Luca del Mantegna conservato alla Pinacoteca
di Brera. Nella sagrestia spicca un bell’armadio settecentesco e reliquiari lignei della medesima
epoca.
CAMPOSANTO, CAPPELLA CENTRALE
Affresco raffigurante Cristo Risorto opera di Marco Magistretti (1897).
PARCO COMUNALE
Nella zona dei giochi è collocata un'ara votiva di epoca romana in pietra alta 120cm. Il manufatto
non è riferibile a Desio, ma proviene da Galliano (Cantù). Nella parte alta è inciso un simbolo a
forma di tridente; segue poi un'iscrizione in scrittura capitale:
J.O.M. CO
EX PREMISSA
FULGURIS
POTESTATE
FLAVIUS VALENS
V.C. EX D. V.S.L.M.
D.P.
CORTILE BIBLIOTECA
Statua marmorea di Arnaldo da Brescia. L’opera rappresenta il riformatore religioso del XII secolo
Arnaldo da Brescia ed è accompagnata sul basamento da una citazione del Guerrazzi. L'opera fu
commissionata dal Traversi, noto esponente anticlericale, allo scultore milanese A. Tantardini che
firmò la sua opera apponendovi anche la data (1866).
PALAZZO MUNICIPALE
Tra i corridoi del Municipio è possibile ritrovare alcuni pezzi di discreto interesse.
Morso di cavallo e due punte di freccia
Questi tre pezzi fanno parte di un ritrovamento più cospicuo (oggi disperso) effettuato nel 1852 dal
prevosto Filippo de Bernardi nel giardino della casa prepositurale. Secondo taluni specialisti
l’oggetto sarebbe un morso bovino e risalirebbe ad epoche più vicine alla nostra.
Crocifisso ligneo, altezza m.2,5 circa.
L'opera presenta al recto la figura del Cristo ed al verso una decorazione sommaria, pertanto non era
pensato per essere addossato ad una parete, ma doveva essere utilizzato durante le processioni.
Dalla fattura sembrerebbe risalire al XVII secolo. Se ne ignora la provenienza ma, vista la
collocazione in ambiente del Comune dovrebbe essere appartenuto alla Scuola dei Poveri Putti
oppure faceva parte dell’arredo della cappella un tempo annessa alle carceri.
Mappa censuaria di Desio
Attualmente sottoposto a restauro, il pezzo documenta visivamente la forma dell'abitato e l'utilizzo
dei suoli. La mappa, risalente al XVIII secolo è ancora fissata ai cilindri lignei originali usati per
avvolgerla. Le fanno da corredo una trentina di altre mappe con i comuni del circondario.Tutti i
pezzi provengono dall’archivio dell’Agenzia delle Entrate.
OSPEDALE
Negli ambienti dell'Ospedale sono conservate alcune tele di notevole interesse storico cittadino.
Queste opere costituivano una sorta di piccola "quadreria" sul modello di quella dell'Ospedale
Maggiore di Milano, che serviva a ricordare i maggiori benefattori delle opere caritative ed
assistenziali.
San Carlo pone sotto la protezione della Vergine il Lampugnani e la sua Scuola.
L’opera che misura circa due metri per due, fu realizzata nel 1699 dal pittore milanese Francesco
della Croce. L’opera gli fu commissionata dai deputati della Scuola dei Poveri Putti. Il quadro è di
estremo interesse per la storia locale. Nella parte centrale sono raffigurati san Carlo ed il
Lampugnani; intorno a loro vi sono altri personaggi che forse costituiscono dei veri e propri ritratti
di contemporanei. Il Lampugnani, inginocchiato insieme a due bambini (uno ricco e uno povero),
offre al Santo gli statuti della sua Scuola e san Carlo pone l'istituzione caritativa sotto la protezione
divina. Di particolare bellezza la figura della Vergine col Bambino che si affaccia dalle nuvole .Sul
lato sinistro è visibile la sede della Scuola con alcune figure che si dedicano ad opere di carità. La
struttura architettonica dell'edificio corrisponde all'attuale casa Brighenti (angolo vie Portichetto Pio XI). Sullo sfondo è ravvisabile la porta del borgo collocata in prossimità dell'attuale piazza
Cavour. Inutile dire che questa tela è l'unica opera che rappresenti visivamente parte dell'abitato in
epoca antica e pertanto riveste particolare interesse per la storia cittadina.
Ritratto del principe Ottaviano Belingeri
Tela di anonimo del XVIII secolo, metri 1 x 2 circa
La grande tela presenta la figura intera del principe Belingeri che ricoprì diverse cariche nella nostra
comunità cittadina e che si distinse per le cospicue donazioni alle istituzioni caritative ed
assistenziali. L'opera, di mediocre fattura, allude alle cariche militari ricoperte dal nobile. Il
Belingeri è collocato con tanto di corazza, a fianco di un pezzo di artiglieria ed addita scene
guerriere ravvisabili dietro un tendaggio.
Ritratto di Giacomina Righini ved. Villa
Anonimo, olio su tela, inizi del XX secolo, m 1 x 2 circa
L'opera è da ascrivere ad un capace ritrattista operante agli inizi del nostro secolo. La tela raffigura
la dama in età avanzata. La Righini fu una delle principali benefattrici di tutte le istituzioni
caritative ed assistenziali cittadine (In particolare la Casa di Riposo). Essa morì nel 1903 ed è
ricordata anche con una lapide collocata sotto il portichetto annesso alla cappella esterna del
cimitero.
In vari ambienti dell’Ospedale sono inoltre conservati:
San Giovanni Evangelista (?) che legge, tela di anonimo del tardo XVII secolo
Madonna col Bambino sant'Anna, san Gioachino e san Giovannino, tela di ignoto del XVI secolo
Madonna col Bambino, olio su tela, cm 120 x 180 circa, pregevolissima opera di ignoto del XVIII
secolo.
MUSEO PIO XI
Al primo piano della casa natale del Pontefice sono collocate alcune sale che costituiscono il Museo
dedicato a Pio XI. La collezione, recentemente risistemata, raccoglie arredi e cimeli del nostro
concittadino donati principalmente dalla Santa Sede.
I pezzi piu significativi del Museo sono:
• l’arredo originale dello studio donato all’arcivescvo Ratti dalla Cooperativa dei falegnami
brianzoli.
• Indumenti cardinalizi e papali
• oggetti di uso quotidiano appartenuti al Pontefice
• oggetti devozionali o liturgici (tra cui il martello usato durante la cerimonia di apertura
dell'Anno santo 1933);
• medaglie commemorative
• produzione filatelica del pontificato di Pio XI
• oggetti inerenti alle imprese alpinistiche del Ratti
Il pezzo più' pregiato è costituito dall'apparecchio radiofonico donato da Guglielmo Marconi al
Pontefice.
VILLE DESIANE
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo l’aristocrazia milanese ha amato
costruire, specialmente nell’area a nord di Milano, residenze dotate di particolare
prestigio. È nata così l’età delle ville che ha trasformato profondamente il territorio e
ne ha caratterizzato i futuri sviluppi.
A Desio, soprattutto nel corso del XIX secolo la nascente borghesia dedicò
particolare cura nel creare abitazioni di pregio, consone alle ambizioni dei
committenti ed in sintonia con lo stile dell’epoca, oppure nei casi più fortunati ci si
collegò direttamente alla traduzione aristocratica, riprendendo ed ammodernando
residenze risalenti al Sei-Settecento. Le abitazioni private di un certo pregio a Desio
erano numericamente significative, ma gli interventi successivi hanno portato alla
loro trasformazione profonda oppure alla completa distruzione.
Tra le Ville di più antica fondazione vanno ricordate: la Villa Buttafava nella frazione
San Giuseppe, Villa Klinkmann di Piazza Castello, la Villa Bonomi – Cereda _
Gavazzi Pio – Aliprandi. Tutti questi edifici risalgono al Seicento, ma sono stati tutti
sottoposti a profonde opere di trasformazione specie nel corso del Novecento. Al
Diciottesimo secolo sembrano risalire la demolita Villa Confalonieri di via
Portichetto, la casa dal Pozzo di via Matteotti, Villa Stampa Soncino – Gavazzi
Egidio e la Villa Greppi – Lecchi – Longoni. L’epoca d’oro delle residenze borghesi
è l’Ottocento che vede a Desio la costruzione delle ville Labus (arch. Sèves 1834),
Longoni Severino, Lucchini (demolita), Ravanelli Scotti (demolita) Arienti Lissoni e
Paleari in via Borghetto.
VILLA TITTONI – TRAVERSI296
La Villa che però emerge sopra tutte le altre per dimensioni, qualità ed importanza è
sicuramente la Villa Tittoni Traversi che ha una complessa vicenda storico artistica.
La Villa era essenzialmente il centro di un vasto complesso produttivo fondiario,
basato su un’agricoltura di tipo tradizionale; in questo senso la si potrebbe
considerare una vera e propria azienda. Infatti, attorno all’abitazione signorile, si
stendeva un complesso di residenze destinate agli agricoltori; queste case,
generalmente raccolte in corti, se non sempre dal punto di vista architettonico,
sicuramente da quello economico, costituivano una realtà unitaria con il complesso
della Villa vera e propria. A fianco delle abitazioni, occorre però ricordare la
presenza di vasti ambienti destinati a servizi di varia natura (stalle, torchio, forno,
mulino, magazzini, rimesse) che costituivano il necessario prolungamento degli
edifici di cui si è detto. Da ultimo, allargando ulteriormente la prospettiva, ci si
accorgerà che la Villa era inserita al centro di un vasto complesso fondiario che
comprendeva una larga fascia di territorio destinato alla produzione agricola.
La costruzione originaria sorgeva nell’area oggi occupata dal cortile antistante la
Villa. Nel 1777 il marchese Cusani acquistò i beni del soppresso convento di san
Francesco e tramite un’ampia serie di acquisti e di permute riuscì a compattare
296
Il complesso è stato oggetto di numerosi studi o pubblicazioni a carattere divulgativo. Finora un tentativo di
ricostruzione organica dell’insieme è costituito da: BRIOSCHI 1998 D.
intorno a questa zona i suoi possessi. La scelta di edificare una villa di notevole
prestigio a Desio nacque dal desiderio del Cusani di collegarsi alle residenza signorili
presenti nel non molto distante parco monzese; non a caso la villa sorge lungo
l’antica strada per Monza. Quest’intendimento è ancora più evidente considerando
che per realizzare quest’opera fu chiamato a Desio l’architetto Piermarini che proprio
nel 1777 aveva dato inizio ai lavori per la Villa Reale di Monza.
La trasformazione dell’antico edificio determinerà un significativo salto qualitativo e
la rottura della connessione con il borgo. Proprio per sottolineare la nuova valenza
assunta dall’edificio, il corpo di fabbrica è preceduto da un largo spiazzo che, pur
possedendo anche finalità di natura eminentemente pratica, serve soprattutto a
sottolineare il distacco dell’edificio (e del proprietario) dal contesto urbano, creando
una visione prospettica, destinata a sottolineare la monumentalità dell’edificio. La
netta differenziazione economica tra il Cusani e gli altri potentati locali si trasforma
in una speculare differenziazione architettonica ed urbanistica. La Villa assume una
dignità formale impensabile per le altre residenze e si colloca in uno spazio
nettamente diverso da quello occupato da altre famiglie nobili e dai centri
amministrativi e religiosi.
La tradizione indicava il progettista di quest’intervento sulla Villa nell’architetto
folignate Giuseppe Piermarini (1734-1808. Tra le carte dell’artista, oggi conservate a
Foligno, esiste un disegno relativo ad un Casa Cusani, la cui identificazione con la
costruzione di Desio poneva seri dubbi, infatti secondo alcuni si trattava di un
progetto per la residenza milanese dei Cusani. Recenti studi e l’identificazione di
nuovi documenti hanno permesso di attribuire con sicurezza il disegno piermariniano
alla residenza di Desio. L’edificio originario comprendeva una struttura a tre livelli
con undici finestre per piano, una delle quali fungeva da porta con apertura sul piano
terreno. Doppie liste di bugne delimitavano gli spigoli dell’edificio, sormontato da un
semplice cornicione e, al centro, da una parte rialzata con otto vasi ornamentali.
All’interno la decorazione comprende alcune pitture a soggetto egizio ed altre che
attingono alla mitologia classica.
Mentre nel complesso architettonico della Villa originaria vigevano incontrastate le
più ferree regole della simmetria, nel parco tali leggi sono completamente infrante,
dando luogo ad uno spazio che imita artificialmente la naturalità del paesaggio. Il
parco si differenzia dunque nettamente dal coltivo circostante, per diventare una sorta
di regno della natura, entro cui inserire costruzioni di diversa fattura. In
questo
contesto il parco si arricchisce di numerosi elementi. Alle aree tradizionalmente
destinate alla coltivazione floreale, il parterre, se ne affiancano altre in cui
prevalgono gli alberi d’alto fusto. Alcune zone sono espressamente destinate a cervi
ed altri animali, mentre sono presenti in gran numero varietà arboree provenienti da
luoghi lontani come il Nord America o l’Estremo Oriente. La presenza inoltre
dell’antico convento francescano stimolò la creazione di edifici carichi di valenze
culturali: viene costruito il tempietto d’Imene sorretto da otto colonne ioniche, il
Caffehaus, la grotta del Tasso che esternamente si presentava come una rozza
capanna, mentre all’interno era un lussuoso ambiente arricchito con pitture
raffiguranti episodi della Gerusalemme Liberata; da ultimo viene anche eretto un
finto rudere di torrione medioevale, impropriamente collegato in epoche recenti ai
resti dell’antico castello di Bernabò.
La fama del giardino, si diffuse ampiamente, tanto da costituire un modello per altre
realizzazioni, soprattutto dopo che Ercole Silva nella sua fondamentale opera
Dell’arte dei giardini inglesi, citò il complesso desiano come uno dei migliori
esistenti e ne documentò le caratteristiche con due splendide tavole. Un minuzioso
catalogo delle specie vegetali presenti nel parco ci informa che nel 1817 esistevano
quasi dodicimila alberi; una cifra davvero ragguardevole alla quale però bisogna
affiancare una necessaria osservazione. La gran parte di queste essenze,
contrariamente a quanto potremmo pensare, non ha funzione decorativa ma
eminentemente produttiva. Il giardino ammirato da tanti visitatori e proposto come
modello dal Silva era principalmente composto da alberi da frutto, in special modo da
viti che costituivano la metà della cifra totale (6.625 gambe). Lo stesso Parco si
presenta dunque in una veste marcatamente economica che collega lo spazio verde
alle esigenze economiche del complesso padronale297.
La Villa di Desio è ricordata in tutte le guide per i viaggiatori dell’epoca, come quella
del Perpenti dedicata a Monza ed i suoi dintorni. Già nel 1789, Arthur Young,
ministro inglese dell’agricoltura nel governo Pitt, così descrive l’abitazione: Mi
fermai a Desio, casa di campagna del marchese Cusani, che è d’un genere che mi
piace. La casa non è eccessivamente vasta ed è finita ed arredata di conseguenza. Le
camere sono più eleganti che magnifiche e più gradevoli che brillanti. C’è un
appartamento dipinto all’encausto che viene considerato il più bello d’Italia. Al
secondo piano ci sono tredici stanze da letto, ognuna con la camera per la servitù e
un gabinetto. Tutte hanno un’aria di comodità e di pulizia veramente inglesi.
D’altronde sono così ben tenute che mi sarei creduto al mio paese. Ho letto resoconti
di viaggi che dicevano che non c’era in Italia una casa pulita; se è stato così un
tempo, le cose sono ben cambiate. Piace molto di più a me questa casa di campagna
che al suo proprietario, perché questi non ci passa mai più di quindici giorni per
volta, e anche questo non capita spesso. Il testo prosegue con alcune osservazioni
relative alla vegetazione: I giardini sono superbi nel loro fiorire. Pergolati di limoni
alti venti piedi e spalliere d’aranci coperte di frutti producono un effetto strano
all’occhio di un nordico; ma d’inverno sono tutti coperti di vetro. C’è anche un
bosco di pini. Gustosa l’osservazione relativa all’abitato di Desio: Desinai nel
villaggio dove mi diedero delle trote del Lago di Como a trenta lire la libbra di
ventotto once.
Per mantenere questo sfarzo il Cusani incorse in numerosi debiti ed il suo successore,
il figlio Luigi, che aveva ormai interessi in altre regioni, provvide a vendere il 1
dicembre 1817 il complesso di Desio al maggiore creditore di suo padre, l’Avvocato
Giovanni Battista Traversi. Costui era un esponente dell’alta borghesia milanese,
sposato con donna Francesca Milesi, una dama attorno cui si stringevano gli elementi
più in vista della società milanese dell’epoca.
297
Manoscritto in APD, fondo Tittoni.
Fino a questo punto della sua vicenda, la Villa era sempre stata una proprietà
nobiliare. Da questo momento passa nelle mani di una famiglia borghese che, seppure
ricchissima, non aveva un blasone da esibire. Questo fatto che oggi può sembrare
forse secondario, all’epoca rivestiva un’importanza fondamentale, tanto da
modificare anche le vicende artistiche del complesso. La residenza nobiliare classica
si qualificava come tale per la monumentalità dell’edificio, ma soprattutto per
l’eleganza e le proporzioni del fabbricato. Il decoro di una casa signorile si misura
non tanto sulla sua imponenza o ricchezza, ma sull’adozione di moduli stilistici
classicheggianti che denotano immediatamente il livello sociale del possessore.
Nell’Ottocento, con l’ascesa della borghesia, la sensibilità muta notevolmente. Per un
borghese arricchitosi e giunto alla possibilità di mantenere un tenore di vita pari o
addirittura superiore a quello di un aristocratico, l’importante è mettere in mostra la
propria ricchezza e la potenza acquisita. Pertanto l’importante è creare qualcosa di
estremamente monumentale che stupisca e mostri in modo inequivocabile l’altissimo
prestigio sociale del proprietario. Solo in questo senso possono essere compresi gli
interventi ai quali fu sottoposta la Villa desiana nel corso degli anni Quaranta del
secolo scorso.
I lavori di trasformazione degli elementi spaziali (piazza, cortile, atrio, saloni interni,
giardino) furono affidati all’architetto Pelagio Palagi (Bologna 1775 - Torino 1860).
L’intervento di questo progettista fu determinante in quanto l’assetto attuale della
Villa corrisponde quasi interamente al suo progetto, che non si limitava alle opere di
fabbrica, ma si estendeva anche alla sistemazione delle opere interne, comprese le
parti decorative e pittoriche. Malgrado alcuni recenti tentativi di riqualificazione,
oggi la figura del Palagi non ha grande fama, mentre fu uno dei più ricercati artisti
della sua epoca, infatti ebbe commissioni prestigiose, soprattutto dalla corte sabauda,
per la quale realizzò la risistemazione di Palazzo Reale e del Castello di Racconigi.
Lo stile palagiano è indubbiamente classicheggiante, ma i moduli antichi vengono
riproposti in forma nuova, accentuandone l’aspetto di ricchezza e monumentalità.
Mentre gli artisti romantici reinterpretano il passato proponendo ideali e valori civili,
Palagi costituisce l’interprete ideale delle ambizioni dei ceti borghesi più
tradizionalisti, desiderosi di rivestire le proprie velleità con una patina
classicheggiante, socialmente ritenuta indice di ricchezza e sinonimo di gusto
aristocratico. Tramite la risistemazione della Villa, Traversi volle assumere i
linguaggi comunicativi di un mondo aristocratico che, almeno nel tenore di vita,
aveva ampiamente raggiunto e superato.
Non è superfluo ricordare che la Villa Traversi rappresenta l’ultima esempio di
abitazione in forme auliche e monumentali realizzata in territorio brianteo. La dimora
desiana risulta indubbiamente un ottimo esempio di casa dell’alta borghesia: spazi
solenni, ma non troppo ampi, destinati al pubblico, contrapposti ad ambienti privi di
particolari pregi per la vita privata. L’articolazione stessa dell’edificio rispetta questa
gerarchia: piano terreno per la dimensione sociale, primo piano per gli affetti
familiari, piani superiori per la servitù. L’obiettivo dell’ostentazione pubblica della
ricchezza prevale nettamente su qualsiasi altro aspetto. Ulteriore elemento da
considerare è la mancanza di uno stile unitario per la decorazione degli spazi interni.
Nelle sale del pianterreno sono adottati svariati modelli stilistici (moresco,
neoclassico, neorinascimentale, neogotico etc.). Questo fatto è sicuramente
riconducibile ad un certo gusto eclettico dell’epoca, ma la vera spiegazione è
riconducibile alla volontà di voler stupire il visitatore che, passando da una stanza
all’altra, rimaneva e rimane colpito dalla varietà e dall’alternanza di stili. In ultima
analisi, Cusani poteva anche utilizzare modelli stilistici dimessi, perché il fondamento
del suo prestigio risiedeva nel possesso di un titolo che lo distingueva nettamente
dagli altri maggiorenti del borgo. Al contrario Traversi non aveva a disposizione un
blasone, pertanto fu costretto ad adottare soluzioni strutturali e decorative che
avevano lo scopo di stupire e lasciare ammirato il visitatore. Mentre per il mondo
aristocratico il consenso alle proprie ambizioni è scontato, per la borghesia esso
diviene una conquista da conseguire, anche attraverso un’oculata sistemazione degli
spazi. Ovviamente il Traversi, pur avendo raggiunto livelli sociali altissimi, non
dimenticò mai un attimo la propria natura borghese concentrata sul processo di
produzione, pertanto la sistemazione dell’edificio non escluse il riordino degli spazi
secondari destinati alle attività agricole.
Su disegno del Palagi furono innalzati i corpi di fabbrica che circondano la piazza
posta oltre la ricca cancellata in ghisa ornata da statue di marmo Carrara raffiguranti
le diverse attività umane. Come detto, Palagi progettò la decorazione interna e
modellò la composizione del trionfo di Cibele, posta sul timpano sormontante la
facciata verso il parco. Il tetto dell’edificio fu poi arricchito con una serie di statue,
raffiguranti le divinità dell’Olimpo, che divennero uno degli elementi di maggiore
efficacia visiva dell’intero fabbricato. Il desiderio di nobilitare l’edificio non poteva
essere più evidente; esso si trasforma in una sorta di reggia divina, sui cui timpani
laterali spiccano le immagini ultraclassicheggianti delle vittorie in volo che reggono i
tondi con i profili dei proprietari.
La residenza del Traversi divenne una meta obbligata per quei viaggiatori romantici
in cerca di emozioni fuori porta, tanto che in tutte le guide della Lombardia la Villa è
sempre ricordata come un ottimo esempio di connubio tra opere architettoniche e
paesaggio naturale. Non a caso essa ebbe anche ospiti illustri come il re di Napoli,
l’imperatore Francesco I, Stendhal, ed il compositore Vincenzo Bellini.
Il 30 aprile 1824 il Traversi acquistò dal Comune di Desio un tratto della Via San
Francesco. Al termine del breve vicolo il Palagi eresse una curiosa costruzione, una
sorta di arco trionfale ornato da figure in rilievo di putti che reggono festoni. Questo
manufatto, detto anche Porta del Dazio, segna un rinnovato interesse per la zona
anticamente occupata dal complesso conventuale francescano. In quest’area si era
anche ammassata un’ingente quantità di marmi generalmente provenienti da chiese e
monasteri soppressi di Milano. Per dare ordine a questa collezione, tanto vasta quanto
eterogenea, il Palagi progettò una costruzione assai singolare. Appoggiandosi
all’antico refettorio francescano, l’architetto eresse una costruzione in stile neogotico
che culminava con un’alta torre, denominata ancora oggi del Palagi.
Altro elemento costitutivo del complesso risultava essere l’acqua. Il corso della
Roggia, severamente controllato da campari armati stipendiati dal Traversi, da un lato
era intensamente sfruttato per azionare mulini ed alcune piccole attività proto-
industriali, dall’altro, prima di irrigare la zona dei Prati, serviva ad alimentare una
fitta rete idrica per abbellire il parco. Come risulta chiaramente dalle diverse
descrizioni della Roggia, questo canale alimentavano anche un lago della superficie
di 6.000 mq. Al centro dello specchio d’acqua, su un isolotto, sorgeva un tempietto
classicheggiante, e lungo le sponde si trovavano i finti ruderi del torrione, utilizzati
per ricovero delle barche. Questo fervore di opere proseguì ben oltre la data del 1844
posta sulla facciata dell’edificio. Nel 1858 si provvide all’abbattimento di alcuni
corpi di fabbrica laterali per dare maggiore ariosità alla monumentale costruzione, la
cui imponenza era inoltre sottolineata dalla superficie inclinata della facciata che
aumentava, come una sorta di quinta teatrale, la maestosità dell’edificio. A partire
dagli anni Quaranta proseguì la sistemazione dello slargo antistante la Villa,
denominato Piazza Traversi.
In seguito alla morte di Giovanni Traversi, avvenuta nel 1854, il complesso desiano
passò al nipote, Giovanni Antona Cordara, il quale, per ricordare il munifico zio, con
regio decreto 27 febbraio 1856 assunse il cognome Antona Traversi. Questo
passaggio segna una battuta d’arresto nei cantieri e, fino alla fine del secolo, non
furono eseguite altre opere di rilievo.
Tutta la proprietà passò al genero del Traversi, il prefetto di Perugia Tommaso
Tittoni, che diede incarico a Luca Beltrami di ultimare lo scalone principale ed
erigere la tomba, recentemente ricomposta, di Giovanni Traversi. Il passaggio ai
Tittoni segna un forte scollamento tra i proprietari della Villa e la città. Politicamente
indifferente al borgo in quanto aveva il suo feudo elettorale a Massafra, Tittoni limitò
notevolmente le sue presenze a Desio. Questa lontananza comportò l’affido della
gestione del vasto complesso ad un fattore che vide in tal modo aumentare la propria
autorità rispetto ai suoi predecessori, fino a diventare uno dei notabili locali più in
vista.
Risale al 3 aprile 1914 un documento che accenna ad una permuta di stabili fra il
Comune di Desio ed il sig. ing. Antonio Tittoni di Tommaso per l’apertura di un
rettifilo che da piazza Traversi deve incontrare la nuova strada di accesso alla
stazione ferroviaria. Nel documento è inoltre ricordato il progetto del Tittoni di
edificare un arco che avrebbe dovuto riunire tutti gli edifici circolari disposti lungo la
piazza. L’ingresso dell’Italia nel conflitto e le trasformazioni in atto nella società
desiana bloccheranno queste iniziative.
Al termine del conflitto iniziò per la Villa un periodo di rapido declino. Parte della
superficie del parco fu lottizzata e venduta per la realizzazione di abitazioni,
riducendo in tal modo l’area verde a quella oggi occupata dal parco comunale. Ad
aggravare la situazione sopraggiunsero la dispersione dell’arredo della Villa e la
distruzione dei manufatti presenti nel Parco. Sorte analoga subì l’archivio. Da ultimo
intervenne il Comune di Milano che acquistò i pezzi migliori della collezione di
marmi antichi appartenuta al Traversi. Alcune di queste opere purtroppo hanno preso
la via di musei stranieri, alcune, in attesa di sistemazione, giacciono nei magazzini
comunali, mentre altre fanno bella mostra di sé nel museo del Castello Sforzesco.
La Villa invece passò dalla famiglia Tittoni all’Istituto Saveriano per le Missioni
Estere di Parma che adibì l’edificio a seminario per i propri studenti. Nel 1975 la
Villa è stata acquistata dal Comune di Desio che, nel corso del tempo, ha iniziato
alcuni interventi di restauro. Il resto è storia dell’oggi.
Piano Terreno
Atrio e Sala Neoclassica:
Costituiscono un doppio ambiente che poteva essere utilizzato unitariamente per
ricevimenti con numerosi invitati. La decorazione dell’atrio è opera dello Scrosati. Il
riquadro nella parte centrale della sala neoclassica avrebbe dovuto essere ornato d
auna tela di hayez. Il busto nella nicchia lungo la parete est ritrae il Traversi.
Sala Barocca
Era il salotto per gli uomini. La ricca decorazione ed il pavimento sono di , che
proseguì la direzione dei lavori dopo la partenza di Palagi alla volta di Torino.
Sala Gotica
Era la sala da pranzo della famiglia. Caratterizzata da una insolita decorazione il
legno intagliato. La decorazione della volta è opera del pittore Mauro Conconi. Un
tempo le finsetre erano arricchite da vetri policromi, opera del Bestini, che
raffiguravano i poeti italiani e le loro donne.
Sala Moresca
Opera del . Prende Aveva funzione di salotto.
Sala delle Colonne
Era l’ambiente di maggiore rappresentanza dell’edificio. La sala è stata
completamente rifatta dopo un furioso incendio che l’aveva completamente distrutta.
I lacunari della volta erano ornati con figure di putti intenti a diversi giochi.
Scalone
Eretto nel 1904 da Luca Feltrami. Per realizzarlo furono eliminati una scala
precedente ed un ambiente a pian terreno destinato alla conservazione della
stoviglieria.
Sale primo piano
Le sale del piano superiore sono caratterizzate da una minore ricercatezza nella
decorazione. L’ambiente in capo alle scale era anticamente destinato ad archivio;
quello speculare verso il parco costituiva invece un soggiorno per le ore serali. Ai lati
si aprivano le camere che però hanno subito profonde opere di trasformazione. Nella
camera padronale si vedono decorazioni floreali sul modello di quelle dello Scrosati
nell’atrio.
Cappella
Questo ambiente in stile neorinascimentale fu sistemato nella forma attuale verso il
1860 dall’Antona per adempiere alle disposizioni testamentarie dello zio. La
decorzazione è opera del pittore Mercanti.
Facciata
Le statue che coronano il tetto raffigurano le divinità olimpiche e sono opera dello
scultore varesino Butti.
Cancellata
Di notevole pregio è la cancellata disegnata da Palagi e realizzata dal fonditore
Viscardi. Il disegno del manufatto anticipa la decorazione della grandiosa cancellata
che Palagi realizzò poi a Torino per il Palazzo reale. Le state sono in marmo di
Carrara e rappresentano le attività umane.
La Biblioteca è ospitata negli ambienti un tempo destianati alle serre. L’ala est
dell’edificio era invece destinata a rimesse e depositi. Tutte le strutture
architettoniche che arricchivano il parco sono state smantellate. Unico avanzo è la
tomba del Traversi e dell’Antona disegnata da Luca Beltrami. L’unico angolo del
parco che rispetta ancora la struttura originaria è il trivio di viali adiacente il viale dei
Cavalieri di Vittorio Veneto; il sentieri centrala formava un lungo cannocchiale al
termine del quale sorgeva il Mulino Traversi con le sue forme neoclassiche.
PERCORSI NELLA MEMORIA
FESTE
Festa Patronale
La festa patronale è di origine incerta. Anticamente cadeva il 18 luglio giorno di san
Materno. Questa ricorrenza però era solennizzata in un periodo poco idoneo in quanto
le feste erano occasione di incontro ed anche di scambio delle merci, ma per la fiera
occorreva che fosse già terminata l’annata agricola per poter avere beni di scambio
anche in vista delle scorte invernali. Per questo motivo la festa cittadina fu spostata
alla prima domenica di ottobre in un periodo più congruo per gli scambi. Come
risulta dalla scarna documentazione, la festa della Madonna del Rosario era già
solennizzata prima che fosse sancita ufficialmente in seguito alla vittoriosa
conclusione della battaglia di Lepanto; la processione con il simulacro mariano
divenne il cuore religioso della festività.
Ufficio
Questa festa nasce dalla somma di due diverse occasioni. L’ufìzi propriamente detto
prende origine dall’introduzione verso il 1820 di un ufficio funebre solenne per tutti i
defunti della parrocchia.
Sagra di san Giuseppe
La sua origine è da collegare al voto cittadino del 1630. In seguito la festa fu spostata
alla domenica seguente alla ricorrenzae ed infine alla terza domenica di quaresima. A
questo punto la commemorazione del voto si è saldata con l’officiatura funebre di cui
si è detto al punto precedente formando un’unica ricorrenza298.
Festa del Crocifisso
La festa del Santuario del Crocifisso originariamente era celebrata l’undici maggio in
ricordo di una pioggia miracolosa caduta in seguito al trasporto del simulacro nel
1817. Dal 1820 fu fissato un triduo nei giorni 9-11 maggio. Dopo poco tempo la festa
fu trasportata alla quarta domenica di ottobre e doveva costituire una sorta di festa del
ringraziamento per l’annata agricola.
298
BRIOSCHI 1998 A, pp. 112ss.
IL PALIO
Da diciotto anni Desio ospita una manifestazione storico-folcloristica, il Palio degli
Zoccoli, che poco alla volta, è uscita dall’ambito strettamente cittadino, per
interessare un numero sempre maggiore di persone, divenendo una delle
manifestazioni più significative della provincia di Milano.
Il Palio degli Zoccoli affonda le sue radici in un episodio remoto della storia
cittadina, lo scontro del 21 gennaio 1277 tra le forze di Ottone Visconti e Napo della
Torre per il controllo della città di Milano, conclusosi con la vittoria del primo, che
riuscì ad imporre sulla città la signoria della sua famiglia.
Naturalmente, come sempre avviene in casi di questo genere, la fantasia ha sopperito
alle inevitabili lacune della storia, così l’episodio militare si è trasformato in un
momento di rievocazione e confronto agonistico tra le undici antiche contrade del
borgo.
Secondo la tradizione, Ottone Visconti, compensò i Desiani per l’aiuto ricevuto
durante la battaglia concedendo agli abitanti del borgo di poter calzare zoccoli di
legno, cosa prima vietata, perché il rumore prodotto dalle calzature disturbava la
caccia dei signori nella riserva ducale:
...disponiamo che nelle terre del borgo di Desio sia fatto divieto a chiunque, nobile o
plebeo, di recarsi in qualunque modo a caccia, e di attraversare dette terre calzando
ai piedi zoccoli o altre calzature con suola di legno, pena l’ammenda di cinque
terzuoli di buona mistura; nel caso di recidiva vengano inflitti cinque tratti di corda
se uomo, o la pubblica fustigazione se femmina...
In una giornata domenicale, generalmente compresa tra maggio e giugno, ha luogo la
disputa del Palio. Dalla prestigiosa sede della Villa Traversi-Tittoni si snoda un
lunghissimo corteo, composto da oltre cinquecento figuranti, che presenta fedelmente
personaggi anonimi o famosi della vicenda. Ciascuna delle contrade sfila con il
proprio gonfalone ed un buon numero di sfilanti che illustrano le attività o personaggi
dell’antico quartiere.
Le undici contrade sono le seguenti:
Contrada
Personaggi
Colori
Bassa
San Giovanni
Dügana
Büsasca
San Pietro al Dosso
Foppa
San Carlo
San Giorgio
Piazza
Prati
SS.Pietro e Paolo
Commercianti
Cacciatori
Contadini
Umiliati
Frati di San Colombano
Notabili
Soldati
Gerosolomitani
Canonici
Francescani
Boscaioli
verde e arancio
marrone e giallo
rosso e oro
rosa antico e grigio
verde e nero
bianco e azzurro
azzurro e grigio
bianco e nero
bianco e lilla
bianco e viola
verde e giallo ocra
Conclude la sfilata il corteo storico che, nella ricchezza dell’abbigliamento e della
scenografia, rievoca i fasti della corte viscontea. Da ultimo gli armigeri conducono,
chiuso in una gabbia, lo sconfitto Napo Torrioni; chiude il corteo l’arcivescovo
Ottone trionfante sul nemico.
Una volta giunti sulla piazza antistante la secolare Basilica, è disputato il Palio vero e
proprio, che consiste in una corsa a staffetta, disputata tra ventidue contradaioli che,
invece di comode scarpe sportive, hanno ai piedi i famosi zoccoli oggetto della
concessione di Ottone Visconti.
La manifestazione, nata nel 1989, ha riscontrato un crescente interesse di pubblico ed
oggi è ormai diventata una scadenza fissa del calendario cittadino. Nelle ultime
edizioni è stata riscontrato un notevole afflusso di pubblico, calcolato nella misura di
oltre trentamila persone.
In margine alla disputa del Palio vero e proprio, sono tenute varie manifestazioni a
carattere ricreativo-culturale, che preparano degnamente alla manifestazione. Il Palio
si è diventato una scadenza importantissima per la vita cittadina, capace di aggregare
persone della più varia età e provenienza intorno ad un progetto comune, offrendo
uno spettacolo qualitativamente assai curato e di sicuro effetto.
TRADIZIONI IN CUCINA
Occorre premettere che in questo campo non esiste un piatto specificatamente
desiano; usi ed abitudini alimentari in vigore a Desio in passato non erano molto
dissimili da quelli riscontrabili nella Bassa Brianza. In secondo luogo occorre
accennare a due fattori che non hanno permesso un particolare sviluppo di quest’arte.
Innanzitutto il territorio offriva magre risorse alimentari e, in aggiunta le donne,
tradizionali vestali di queste tradizioni, furono impegnate già al secolo scorso nelle
prime fabbriche tessili, obbligandole alla preparazione di piatti semplici, veloci e,
soprattutto, economici.
L’austerità era il tratto dominante dell’alimentazione contadina del passato. Il piatto
quotidiano era costituto dalla polenta. A suo fianco possiamo trovare il pumiàa,
zuppa di pane giallo condita col lardo. In alternativa c’era la pult, una sorta di
poltiglia ottenuta bollendo acqua o latte con l’aggiunta di farina di granoturco non
abburattata. Altro piatto abituale era la minestra di riso con orzo, legumi e per
secondo, quando possibile, uova o formaggio; più raramente compariva una salacca
(pesce conservato sotto sale). Per cena compariva sempre la polenta col latte.
Questo austero rigore alimentare conosceva qualche arricchimento in occasione delle
diverse festività che costellavano il calendario contadino.
A Capodanno erano, e sono, comuni le lenticchie con la mortadella di fegato. Frittelle
per Sant’Antonio e risotto con la luganega l’ultimo giovedì di gennaio. Per Pasqua le
tante uova che si erano accumulate in conseguenza dei divieti alimentari quaresimali
e la famosa torta paesana (che di paesano ha solo il nome): pane, latte, amaretti,
uvetta passa, pinoli, cioccolato fondente, cacao e zucchero.
La domenica, per gli uomini, nelle osterie c’è la pìcula, uno spezzatino di carne e
patate, generosamente annaffiate con vino robusto. Nelle calde giornate estive faceva
la sua comparsa il pan muìn, una zuppa in acqua fredda con un cucchiaio di aceto,
pochissimo zucchero e croste di pane giallo; un rimedio più efficace per la sete che
per la fame.
I piatti più interessanti e sicuramente robusti erano riservati al tardo autunno quando
si procedeva alla macellazione del maiale. Per Ognissanti è tradizionale la témpia,
maialino da latte bollito con verdure, o la cazzoeula, costine o parti meno nobili come
cotenne e pescioeu (zampetto) di maiale cucinate con verze. Altro piatto forte, giunto
fino a noi, era la büsècca, trippa di manzo in un brodo di verdure dove prevalgono i
fagioli. Per Natale era invece d’obbligo il cappone di manzoniana memoria che era
stato allevato con cura fin dall’estate precedente.
Forse l’alimento più specificatamente desiano, in quanto limitato ad un’area molto
circoscritta, è il papurògiu, un bambolotto di pasta dolce (pasta da veneziana), con tre
chicchi d’uva che mettono in evidenza gli occhi e l’ombelico. In una società povera
ed austera come quella del nostro passato era una autentica festa per tutti i bimbi il
giorno dell’Epifania o, meglio, dei re Magi.
I QUARTIERI ANTICHI DI DESIO - STORIA E ARTE
Città e quartieri
Una comunità cittadina è un fitto intrecciarsi di rapporti; in tal modo le strutture
sociali ed economiche si collegano strettamente a quelle politiche e culturali, fino a
creare una realtà unitaria spesso dotata di caratteristiche specifiche che la
differenziano da altre comunità, magari insediate in un tratto di territorio distante
pochi chilometri. L’intreccio dei legami che stringono in Comune gli abitanti di una
città si esplicano anche nella ripartizione del territorio, suddiviso in gruppi umani che
si organizzano in spazi fisici: i quartieri.
Anche Desio è caratterizzata da questa dinamica e, ieri come oggi, i quartieri cittadini
rappresentano una realtà fattiva. Il crescere dell’abitato ha comportato in tempi
recenti la formazione di nuovi quartieri, che poco alla volta si sono in gran parte
saldati al centro cittadino grazie all’enorme sviluppo edilizio. Malgrado oggi Desio
presenti una discreta omogeneità territoriale, queste realtà permangono e fanno
sentire tutta la loro importanza. In passato le differenze erano molto più vistose e per
un Desiano d’altri tempi i criteri di identificazione erano essenzialmente quattro: a)
l’essere un gôs, b) l’appartenere ad un gruppo familiare, c) avere un ruolo
economico-produttivo ed infine d) risiedere in un determinato quartiere. Non è certo
un carattere specifico desiano, ma la presenza e talvolta la costante rivalità tra i
quartieri sono stati una caratteristica dominante della storia cittadina.
Ovviamente la fisionomia dei quartieri in epoche passate era ben diversa da quella
attuale. Un buon indicatore può essere in questo senso un registro di decime redatto
nel 1642299. Il documento in questione cataloga gli abitanti del borgo di Desio in
cinque quartieri:
• Vigana (=Dügana)
• Bovisasca
• Contrada Pretoria (via Garibaldi)
• Stretta dopo il Mercato (via Olmetto e adiacenti)
• Piazza.
A questi gruppi sono poi affiancate le zone extraurbane: San Pietro al Dosso, San
Giorgio, Cascina del Maffiolo (=San Carlo).
Piazza
Dügana
299
Piazza
Dügana
Volume manoscritto in APD.
E’ il cuore antico dell’abitato.
La Dügana è forse il quartiere meglio caratterizzato di
Desio. Costituisce un autentico quartiere storico della città
connotato da un forte senso di appartenenza al territorio.
Oltre ad avere una fisionomia precisa (via Lampugnani e
limitrofe), aveva una precisa connotazione sociale, essendo
formato per la stragrande maggioranza da agricoltori.
Il nome documentato nelle scritture antiche è Vigana,
toponimo che risulta indiscutibilmente derivare da vicana,
Piazza Castello
Castèll
Büsasca
Büsasca
Convegno
Cunvègn
Pilastrello
Foppa
Fòpa
ossia beni comuni. Traccia di questa antica denominazione
è rimasta nella via Sovicana, erede di un antico Suvigana,
cioè oltre la Vigana. Sono sicuramente errate le etimologie
che fanno risalire il toponimo a dogana (pesa pubblica) od
al termine dialettale üga.
Questa piazza nel corso del tempo ha mutato
denominazione diverse volte. Anticamente era detta Piazza
Castello; nel 1941 fu intitolata a Tommaso Tittoni. Con la
fine della guerra le forze della Liberazione provvidero ad
eliminare tutti i toponimi che in qualche modo ricordassero
il passato regime; forse in maniera eccessiva nel 1945 il
nome del senatore Tittoni fu sostituito con la
denominazione Piazza Martiri di Fossoli. Il toponimo
Piazza Castello è però rivelatore della presenza di una
costruzione che le fonti ci dicono fatta erigere da Bernabò
Visconti verso il negli stessi anni dello scavo della Roggia
(1370 circa). Quest’area era di natura privata ma soggetta a
pubblico passaggio. Nell’ottobre 1924 la famiglia
Klinkman decise di cederla definitivamente al Comune. A
completamento dell’opera il donatore volle erigere un
monumento al defunto sovrano Umberto I.
La contrada Büsasca corrisponde all’attuale via Matteotti
che assunse quest’ultima denominazione solo nel 1945.
Tradizionalmente chiamata via Bovisasca, fu trasformata
nel 1909 in via Bovisio e nel 1931 divenne via del Littorio.
Secondo l’opinione comune il termine Büsasca sarebbe una
corruzione dialettale di Bovisasca, ossia Strada per Bovisio.
Questa ipotesi ha una sua coerenza e risulta plausibile, ma
sussistono anche altre etimologie.
Centro religioso della contrada era l’oratorio privato della
famiglia Del Pozzo la cui costruzione dovrebbe essere
collegata alla messa quotidiana istituita dalla marchesa
Caterina Del Pozzo nel 1685. I pochi documenti informano
che l’oratorio misurava circa dieci metri per sei; il coro era
coperto da volta e la piccola navata da tavole lignee.
Divenuto proprietà della famiglia Taglioretti, l’oratorio era
ancora presente alla metà del secolo scorso; in seguito
scomparve senza lasciare nessuna traccia.
L’origine di questo toponimo è legata agli Umiliati; occorre
però precisare che non si trattava di un edificio ma di un
fondo agricolo appartenente al Convenium degli Umiliati di
Monza.
Sempre nel territorio della contrada Büsasca è collocata
l’edicola detta Madonna del Pilastrello. Essa era
anticamente collocata poco più a sud e, come sembrerebbe,
corrispondeva all’undicesimo miliare della strada romana
proveniente da Milano.
Il quartiere in questione è relativamente recente in quanto
ha visto il suo sviluppo edilizio a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento. Un primo insediamento risale però all’epoca
bassomedioevale ed era collocato nello slargo antistante la
Borghetto
Burghètt
Bassa
Bassa
Aurora
Spiazzètt
Prati
Pràa
Cairo
Pùnt
Pùntell
Brìa
San Pietro
San Pèdar
San Giorgio
San Giòrg
Porta Domasca di Sotto. Il termine Foppa deriva dal latino
fovea (fossa) che ricorda una vasca per la raccolta delle
acque rimasta in uso fino a tempi abbastanza recenti.
Toponimo di particolare interesse in quanto attesta la
presenza di un nucleo abitativo fuori dalle mura dell’abitato
antico.
Raggruppa la parte meridionale dell’abitato raccolta lungo
la via Garibaldi. Stretto intorno alla chiesa di San Pio X, il
quartiere prende nome ovviamente dalla sua posizione nella
parte bassa dell’abitato.
Estremità meridionale dell’abitato. La zone prende il nome
dalla sede dell’omonima Società Sportiva.
Nome tradizionalmente assegnato dai Desiani d’antica data
a Piazza Cavour. Il toponimo ovviamente deriva da
“piccolo spiazzo”.
Ampia zona agricola al confine tra Desio e Muggiò. Prende
nome dalla presenza di spazi destinati alla coltivazione del
foraggio. La superficia costituiva una pianura irrigua
mediante le acque della Roggia.
Area corrispondente alla via canonico Villa. Il toponimo
popolare trae origine dalla cattiva qualità delle abitazioni
che facevano somigliare il quartiere ad una sorta di casbah
cittadina.
Il “Ponte” sulla Roggia per eccellenza era quello che dava
accesso all’abitato antico. Era in corso Italia all’altezza di
via Fratelli Cervi-Roggia Traversi.
Il “ponte piccolo” era quello che permette alla ferrovia di
passare sopra via Lampugnani.
Nome della zona posta intorno all’incrocio tra la via Milano
e la via Per Cesano. Il toponimo risale al tardo medioevo e
prende origine da un termine agricolo: braida.
L’antica chiesa non ha nulla a che vedere con i frati di San
Colombano. Il complesso fu donato nel 1504 all’ordine dei
Servi di Maria o Serviti che abitarono saltuariamente il
convento. La chiesa era essenzialmente un centro di
devozione popolare e i Desiani vi chiamavano a celebrare
religiosi o canonici della Basilica. Malgrado una proposta
avanzata nel 1944 di insediarvi una comunità benedettina
olivetana, il complesso ha subito un processo di
secolarizzazione che ha condotto alla completa
trasformazione del fabbricato.
Agli inizi del Novecento costituiva il quartiere
“residenziale” dell’abitato
L’abitato di san Giorgio si sviluppò intorno all’antico
ospedale detto del Carendon. Occorre ricordare che l’antico
ospedale di san Giorgio era un luogo di sosta per viandanti,
pellegrini e penitenti; garantiva essenzialmente riparo e
nutrimento e, solo in determinati casi, offriva alcune
prestazioni di carattere sanitario. Circa l’origine di questo
insediamento abitativo c’è la massima confusione. Con
assoluta certezza l’origine del nome non è riconducibile a
San Carlo
San Càrlu
Murìn
kardo e non è assolutamente documentata la presenza di
frati dell’ordine gerosolomitano. L’ospedale dovrebbe
risalire alla filiazione di qualche istituto religioso monzese.
L’ospedale fu donato nel 1246 dall’arcivescono alle
monache di Sant’Apollinare.
La parte dell’abitato spettante al comune di Desio era detta
anticamente cascina del Maffiolo, poi Cascina Arienti. Il
toponimo attuale è relativamente recente e prese corpo
dall’intitolazione della chiesa.
Così era indicata la zona circostante il Mulino Traversi di
via Giusti.
CASCINE300
1. Arienti
2. Americana
3. Baffa
4. Beretta Mariani
5. Beretta Radice
6. Bolagnos
7. Bonomi Gavazzi
8. Brambilla
9. Bria
10. Colombo
11. Corbetta
12. Galbiati
13. Lecchi
14. Nava
15. Ornaghi
16. Prada
17. Pellegatta
18. Pellizzoni
19. penati
20. Pirotta
21. Primavera
22. Ribaldi
23. Rosanna
24. S. Antonio
25. S.Caterina
26. S.Giorgio di Sopra
27. S.Giorgio di Sotto
28. S.Vincenzo
29. Sole (del)
30. Somaschini
31. Vasone – Belvedere
32. Viganò
300
Informazioni desunte da uno stradario cittadino realizzato dalle ACLI nel 1962.
PIO XI E DESIO
ITER ECCLESIASTICO
Ambrogio Damiano Achille Ratti nacque a Desio, quartogenito di Francesco e Teresa Galli, in una
famiglia benestante di industriali serici i cui antenati risiedevano già da lunghissimo tempo in
Brianza. A dieci anni entrò nel seminario arcivescovile di Seveso e si mise subito in luce per le sue
particolari doti intellettuali, tanto che l'allora arcivescovo di Milano, Luigi Nazari di Calabiana, lo
notò e lo ebbe a definire un giovane vecchio 301. Ordinato sacerdote nel dicembre 1879, decise a
malincuore di non recarsi a Torino per proseguire gli studi di matematica, ma di restare a Roma,
dove, tre anni più tardi conseguì le lauree in teologia, diritto canonico e filosofia. Al suo ritorno
nella diocesi milanese tenne la cattedra di eloquenza sacra al seminario teologico; durante questo
periodo, nel 1882, fu inviato per un brevissimo ministero parrocchiale a Barni, in Valsassina, dove
rimase solo tre mesi. Nel 1888 chiese ed ottenne di poter essere ammesso alla Biblioteca
Ambrosiana dove trascorse lunghi anni, prima come Dottore, poi come Prefetto, dedicandosi ad
eruditissime ricerche che abbracciavano i campi della filologia, della storia e dell'arte. Valente
paleografo, fu membro di diverse accademie letterarie e scientifiche ed autore di oltre settanta studi
che riguardano principalmente le vicende storico-ecclesiastiche della diocesi milanese 302. E'
interessante sapere che in questo periodo Ratti si recava a lezione di ebraico dal rabbino capo di
Milano, Alessandro di Fano, con il quale intrattenne una pluriennale amicizia, durata anche dopo
l'elezione a Pontefice.
La sua sola evasione allo studio fu la montagna. Alpinista provetto, nel 1889 compì la traversata del
Monte Rosa per il colle dello Zumstein trascorrendo la notte a 4600 metri e scalando nella
medesima ascensione anche il Cervino. L'anno seguente affrontò il Monte Bianco tentando una via
nuova, il ramo occidentale del ghiacciaio del Dòme verso Curmayeur; tale tracciato è ancora oggi
chiamato via Ratti. Da amante della montagna quale era, decise di trascorrere l'ultima notte del
secolo scorso sulla cima del Vesuvio, attendendo da quell'altezza il sorgere del sole del nuovo
secolo. Non a caso, quando divenne Papa, nominò san Bernardo da Mentone patrono degli alpinisti
ed ebbe parole di elogio per questa pratica sportiva: "Fra tutti gli esercizi di onesto diporto, nessuno
più di questo, quando si schivi la temerità, può dirsi giovevole alla sanità dell'
anima nonché del
corpo" 303.
L'attività d'archivio proseguì poi con la sua partenza alla volta di Roma per affiancare (1911) e poi
sostituire (1914) il cardinale gesuita Franz Ehrle nel prestigioso incarico di Prefetto della Biblioteca
Vaticana. In questo nuovo e importante ruolo il Ratti proseguì nelle sue ricerche storiche e diede
impulso alle attività della biblioteca, in particolar modo potenziando il laboratorio di restauro dei
manoscritti antichi.
Il primo atto "pubblico" della sua vicenda fu la nomina a Nunzio Apostolico in Polonia in uno dei
momenti più gravi della storia di questo paese. Unico diplomatico, rimase a Varsavia anche quando
le truppe russe stavano per occupare il paese e, dopo la soluzione del conflitto, con una serie di
accordi con i governi locali riuscì a rafforzare la presenza cattolica non solo in Polonia, ma in tutta
l'area baltica. In particolare seppe schierarsi al fianco del popolo polacco nel momento del maggiore
pericolo, attirando sulla chiesa cattolica la simpatia della popolazione e del governo, in tal modo
seppe presentare l'identità cristiana come fattore coagulante della nazione e, indirizzando il
nazionalismo del maresciallo Pilsudski, seppe rafforzare la posizione della chiesa 304.
301
Persone che gli furono vicine lo ebbero anche a definire italiano per indole e temperamento, ma tedesco conoscenze
e tendenze culturali.
302
La sua opera di maggiore impegno fu la pubblicazione degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, iniziata nel 1890.
303
Ratti scrisse pagine affascinanti dedicate alla montagna. Si veda: G.BOBBA - F.MAURO, Scritti alpinistici del sac.
Dott. Achille Ratti, ora S.S. Pio XI, Milano 1923. Si veda anche: L.BANDERA, Pio XI il Papa alpinista, Desio 1966.
L’opera presenta in modo sistematico tutte le imprese alpinistiche del futuro Pio XI.
304
Promosso Nunzio, ricevette la solenne consacrazione episcopale a Varsavia il 28 ottobre 1919. Ottimo strumento per
la conoscenza di questa delicata missione è il volume: N.STORTI, Lettere dalla Polonia di Mons. Achille Ratti, Lissone
1990.
Questi risultati, che poi gli frutteranno la porpora cardinalizia, non sarebbero stati ottenuti se egli
non avesse saputo cogliere con estrema lungimiranza diplomatica l'occasione unica che gli veniva
offerta in quel momento. Gli stravolgimenti politici dell'epoca avevano infatti posto le condizioni
per un profondo mutamento dei rapporti stato-nazione-chiesa.
Nel 1921, anche come ricompensa per i significativi risultati raggiunti durante la sua permanenza
nell'Est, fu destinato a reggere la maggiore diocesi italiana, quella ambrosiana, in un momento
caratterizzato da tensioni sociali e grave confusione creatasi dopo la morte del cardinal Ferrari. Si
sono spesso taciuti gli attriti e la differenza che correvano tra i due pastori, sfociata talvolta in
atteggiamenti di contrasto. Ferrari e Ratti avevano due visioni pastorali per molti versi opposte;
mentre Ferrari credeva in un'impostazione "pastorale", basata sulla formazione di un laicato attivo e
responsabile, Ratti riteneva più idonea una prospettiva "diplomatica" che, salvando il prestigio
dell'autorità ecclesiastica, permettesse il consolidamento dell'elemento cattolico nella società.
Anche durante gli anni della sua permanenza alla Vaticana, Ratti ebbe sempre stretti rapporti con
Milano, dove si recava ogni fine settimana per svolgere la sua funzione di cappellano in un istituto
religioso femminile che curava la formazione delle future elites cittadine. Durante questo periodo si
impegnò inoltre con successo per veder accettata la presenza dei sacerdoti come insegnanti nelle
scuole comunali milanesi.
Nel suo nuovo ruolo Ratti ebbe modo di sancire l'autorità dell'Arcivescovo di fronte ai fermenti che
si agitavano nel mondo cattolico. Il futuro Pio XI impostò tutta la sua azione sul modello dei due
Borromei, dedicandosi attivamente all'opera organizzativa e tutelando il prestigio, qualche volta
offuscatosi, dell'Arcivescovo. All'epoca provocò vivaci reazioni l'omelia tenuta in Duomo in
occasione del suo solenne ingresso (8 settembre 1921) in cui ebbe a dire che "Il Papa è il più
grande decoro dell'
Italia. Per Lui tutti i milioni di cattolici che sono nell'
universo mondo si
rivolgono all'
Italia come ad una seconda patria, per lui Roma è veramente la capitale del mondo e
bisogna chiudere gli occhi all'
evidenza per non vedere quel prestigio e quali vantaggi potrebbero
dalla sua presenza derivare al nostro Paese, quando fosse tenuto nel debito conto del suo essere
internazionalmente e sopranazionalmente sovrano. Nel luglio dello stesso anno l'uomo nuovo della
politica italiana, Mussolini, aveva detto: Penso che la tradizione latina e la tradizione di Roma
siano rappresentate dal cattolicismo...lo sviluppo del cattolicismo conduce fatalmente centinaia di
milioni di uomini a guardare a Roma. In tal modo si prospettava in maniera già evidente il
riavvicinamento della Chiesa allo Stato italiano, dando per superate tante reciproche incomprensioni
del passato.
Il nuovo Arcivescovo adottò come stemma quello di una famiglia Ratti (tre sfere sormontate
dall'aquila), corredato dall'insolito motto Raptim Transit (passa velocemente), dove scherzosamente
si equivocava sull'assonanza Raptim/Ratti e sull'equiparazione Ratti/ratto, paragone insolito sul
quale tornò anche una volta diventato Pontefice 305.
Il motto Passa velocemente doveva però risultare quasi profetico; solo dopo pochi mesi dal suo
solenne ingresso a Milano, il cardinal Ratti dovette partire alla volta di Roma per partecipare al
conclave dal quale sarebbe uscito rivestito della tiara pontificia.
IL PONTIFICATO
Un primo dato che colpisce nell'affrontare la vicenda e la personalità di Pio XI è la mancanza di
biografie "equilibrate" del nostro Personaggio. Fatte poche debite eccezioni, Pio XI sembra aver
avuto solo detrattori od adulatori. Moltissime opere, nate in contesti ideologizzati di qualche
decennio fa, hanno espresso pesanti giudizi sul suo pontificato, evidenziando in maniera marcata i
rapporti col regime fascista sfociati nella firma dei Patti del Laterano. Sul versante opposto, sono
assai numerose le biografie a carattere agiografico-adulatorio che purtroppo risultano poco utili in
sede di analisi storica.
Giova qui ricordare che Papa Ratti non avrebbe gradito ne' gli uni ne' gli altri. Uomo energico
com'era, non avrebbe tollerato critiche, ma di sicuro non sopportava piaggeria ed adulazione;
305
Rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini desiani ebbe a dire che, da bravo ratto, sarebbe riuscito a fuggire per un
giorno dalla gabbia in cui l’avevano chiuso (il Vaticano) per rivedere il paese natio.
emblematico il caso di un importante visitatore che lo importunava in continuazione con banalità
dettate da servilismo, al quale il Papa confessò la sua predilezione tra tutti gli animali per i pesci
rossi, "perché non parlano mai".
Il 22 gennaio 1922 moriva dopo soli sette anni di intenso e difficile pontificato Benedetto XV, il
Pontefice che aveva più volte levato la voce contro l'inutile strage del primo conflitto mondiale. Il
due febbraio, 53 cardinali, di cui trenta italiani, si chiusero nella Cappella Sistina per il conclave che
avrebbe dovuto eleggere un successore. Inizialmente le scelte caddero su Merry del Val (già
segretario di Stato con Pio X) e Maffi, presule di Pisa. Al terzo giorno di seduta rimasero in lizza i
cardinali Gasparri, segretario di Stato del defunto Papa, ed il patriarca di Venezia La Fontaine
(italiano malgrado il cognome). Visto l'insanabile dissidio si puntò su un uomo di compromesso,
cioè un italofilo che non appartenesse a nessuna delle due correnti ed avesse registrato una discreta
convergenza di voti.
La soluzione ebbe luogo il 6 febbraio, dopo il quattordicesimo scrutinio, quando il cardinale Ratti
risultò eletto con 42 voti su 53 e scelse il nome Pio perché egli era diventato sacerdote sotto Pio IX
e Pio X lo aveva chiamato a Roma. Fin dal primo giorno ebbe luogo una significativa svolta. Il
neoeletto Pontefice impartì la solenne benedizione non dal balcone rivolto sul cortile interno come
avevano fatto i suoi predecessori dopo la presa di Roma da parte dei Piemontesi, ma da quello
principale che si affacciava sulla piazza San Pietro gremita di gente. Questo gesto mise in luce
dall'inizio l'intento del nuovo Papa di porre fine alla pluridecennale Questione Romana e,
conseguentemente, stabilire il ruolo internazionale del Vaticano.
Con il pontificato di Pio XI si ebbe una svolta radicale nell'atteggiamento della Santa Sede nei
confronti del mondo. Chi lo aveva preceduto sulla cattedra di San Pietro aveva ancora creduto in un
sistema teocratico legato alla christianitas di natura medioevale, per cui i confini dell'orbe cattolico
coincidevano con gli stati tradizionalmente legati alla Santa Sede, all'interno dei quali l'elemento
cristiano risultava il fattore principale ed unificante della società. Pio XI ebbe perfettamente chiaro
che la realtà era mutata, si era ormai avviata una generalizzata secolarizzazione che aveva
allontanato milioni di individui dalla pratica religiosa e si erano diffuse dottrine apertamente ostili ai
dogmi del cristianesimo ed in generale ai valori religiosi. Inoltre il messaggio cristiano, sulla scia
dei colonizzatori, aveva superato i confini della vecchia Europa e si era ampiamente diffuso nei
territori d'Oltreoceano, entrando in contatto con altre religioni e confrontandosi con le missioni
protestanti 306.
Sostanzialmente la linea guida del pontificato di Pio XI fu quella di non lasciare isolata la chiesa
dall'evoluzione che si era avuta a partire dal secondo Ottocento, ma di trovare tutte quelle modalità
per un suo inserimento a pieno titolo nella società moderna e per molti versi scristianizzata, anche
attraverso la formazione di un laicato attivo e la creazione di idonee strutture organizzative.
Questa nuova e lucida sensibilità gli provenivano dal lungo apprendistato culturale di tipo storico
che aveva condotto per decenni alla Biblioteca Ambrosiana ed alla breve esperienza diplomatica nei
paesi Baltici. Proprio dall'analisi del passato Pio XI mutuò questa sensibilità a cogliere qualsiasi
opportunità per entrare in rapporto con le singole realtà nazionali, prescindendo dalla natura del loro
regime politico. Ratti era davvero un uomo nuovo, estraneo alle alchimie di curia ed a certi
integralismi del passato, riuscì a sfruttare tutte le occasioni propizie per consolidare la presenza del
cattolicesimo in numerosissimi paesi, avvalendosi tra l'altro delle repentine mutazioni politiche che
avevano portato al potere in Europa regimi autoritari. Al centro delle sue attenzioni fu anche il
mondo della Europa orientale e, se da un lato condannò l'ideologia marxista nell'enciclica Divini
Redemptoris 307, nel 1929 fondò il Russicum, istituto che progettava il recupero al cattolicesimo
dell'Unione Sovietica.
L'atto più famoso del suo pontificato è costituito dai Patti del Laterano che nacquero dall'esigenza di
dare risposta a due ordini di problemi. Innanzitutto il Concordato regolò la presenza della Chiesa
306
Per il tema missionario si veda: E.COLLI, Pio XI Papa missionario, Desio 1957.
Parole di condanna per l’ideologia comunista sono presenti nell’enciclica Acerba animi (1932) che criticava gli
eccessi del governo messicano.
307
nell'ambito italiano, ed inoltre il riconoscimento fisico della Santa Sede permise al Vaticano la
piena autonomia per raggiungere senza ostacoli di sorta tutti gli angoli dell'orbe cattolico.
Quest'atto è stato variamente valutato e non è questa la sede idonea per analizzare le molteplici
valenze della Conciliazione, preme però sottolineare, nel tentativo di ricostruire la personalità del
Pontefice, la necessità di cogliere quali aspetti della sua formazione e della sua esperienza abbiano
influito sulla scelta di rompere col passato e giungere ad un accordo definitivo con lo Stato Italiano.
Mons. Ratti era un brianzolo e come tale un uomo estremamente pragmatico, abituato a chiamare le
cose col proprio nome, a considerare la realtà per quella che è effettivamente e, conseguentemente,
a trattare con l'interlocutore del momento perché è l'unico in grado di risolvere il problema
contingente. In secondo luogo mons. Ratti era un uomo di cultura, profondo conoscitore del suo
tempo, ma anche delle vicende storico-ecclesiastiche del passato. Considerato che praticamente non
resse mai una parrocchia, Ratti non ebbe una formazione di tipo pastorale, ma di tipo storico.
Questa sua sensibilità deve averlo condotto ad esaminare il rapporto Stato-Chiesa sotto una
prospettiva diversa da quelle utilizzate fino a quel momento. Ampio conoscitore delle vicende
ecclesiastiche, ed in particolare di quelle milanesi, Ratti pensò sempre ai rapporti stato-chiesa nei
termini offerti dalla storia. Era evidente ai suoi occhi il fatto che la Chiesa era sempre riuscita a
mantenere libertà di azione e sufficiente autonomia in virtù delle proprie strutture diplomatiche e,
sotto questa luce, un concordato non sarebbe stato altro che la continuazione di millenni di storia
ecclesiastica. Una soluzione di questo genere agli occhi del maturo studioso di storia era l'unica in
grado di consentire alla Chiesa la necessaria autonomia per espletare la propria missione religiosa.
Per uno strano paradosso la Chiesa riusciva ad essere maggiormente libera da condizionamenti di
qualsiasi natura, proprio nella misura in cui "scendeva a patti" con l'interlocutore del momento. Il
problema della libertà della Chiesa si poneva dunque nei termini di un'autonomia dalle strutture
secolari; occorreva pertanto creare a tale scopo organismi organizzativi autonomi, riconosciuti e
rispettati dai diversi sistemi politici. E' ovvio che una lettura di questo genere poteva nascere solo in
un uomo che conosceva più che profondamente la storia della chiesa, ma che nello stesso tempo
fosse un abile diplomatico, capace di saper fissare margini di autonomia sufficientemente robusti
per resistere alle pressioni esterne, ma tuttavia elastici per sapersi adattare alle varie congiunture
storiche.
Innanzitutto occorre, se ce n'è ancora bisogno, sottolineare l'assoluta estraneità di Pio XI
all'ideologia fascista. Come ebbe modo di dimostrare in altre occasioni, Papa Ratti non aveva
simpatie per un regime totalitario basato essenzialmente sul culto del capo e dello stato che più tardi
ebbe a definire statolatria pagana.
Già in Polonia il nunzio Ratti si era già confrontato con uno statista, il maresciallo Pilsudski, la cui
ideologia è per molti versi accostabile al fascismo italiano e, in quell'occasione Ratti ebbe modo di
trattare francamente e giungere ad accordi diplomatici che, senza implicare l'adesione ideologica
alle teorie dell'interlocutore, permisero il conseguimento degli obiettivi di natura politico-religiosa
prefissati.
In questo senso la famosa espressione dell'uomo mandato dalla Provvidenza, espressa nei riguardi
di Mussolini, acquista significato ben diverso da quello che le si è abitualmente attribuito. Nella
continuazione del testo, Pio XI ricorda come "merito" di quest'uomo l'aver saputo superare certe
prospettive dell'ideologia liberale. Occorre ricordare che il futuro Papa aveva avuto la sua
formazione nel periodo di trionfo di un liberalismo che si era espresso nella chiusura al
cattolicesimo. Ora questa pregiudiziale veniva meno per la prima volta, anche se sappiamo
benissimo che il fascismo scelse la strada concordataria per fini esclusivamente propagandistici,
presentandosi come il solutore di una questione che nessuno dei governi precedenti era riuscito a
dipanare 308.
Bisogna inoltre ricordare che Pio XI identificò nello strumento concordatario l'espediente per
regolare i rapporti stato-chiesa in numerosi casi, tanto che vennero stretti parecchi accordi di questo
308
Per il tema del Concordato e, più in generale, sui rapporti tra Santa Sede e fascismo, si veda: F.MOLINARI V.NERI, Olio santo e olio di ricino, Torino 1976, pp.91ss.
tipo anche con altri governi. Quello con lo Stato Italiano è sicuramente il più importante perché,
oltre a disciplinare questi rapporti, significò il riconoscimento dell'autonomia fisica e territoriale
della Santa Sede. Parafrasando un'espressione oggi di moda potremmo dire che esso fu "il padre di
tutti i concordati".
In questo modo la Santa Sede coronò il suo obiettivo di politica internazionale perseguito per più
lungo tempo e con la maggiore tenacia: l'autonomia del proprio territorio, garanzia insostituibile di
indipendenza e libertà d'azione nell'opera apostolica. Non a caso già durante le trattative tra
Germania e Italia per il non intervento di quest'ultima durante il primo conflitto mondiale, la Santa
Sede si offrì come mediatrice e, in base ad accordi di massima, come compenso per questo suo
intervento era stata chiesta la sovranità sul corso del Tevere fino al mare per garantire una via di
comunicazione autonoma 309.
* * *
Papa Ratti non aveva particolare interesse per la tecnica. Sulla sua scrivania spiccava uno degli
ultimi modelli di apparecchio telefonico, ma i cavi erano staccati e fungeva da semplice
soprammobile. Pio XI cercava di limitare al minimo l'uso del telefono e, di fronte a sperimentatori
che illustravano i pregi della nuova invenzione, Ratti si rifiutò di incidere la propria voce su un
magnetofono, invitando, con una sorta di ostilità verso la macchina, i suoi ospiti a provare il
funzionamento dell'apparecchio. Malgrado la diffidenza innata dell'umanista per la tecnica, si
impegnò a fondo perché la Santa Sede si giovasse di quei ritrovati della scienza moderna che
avrebbero permesso alla Chiesa di far giungere la propria voce in tutto il mondo. In base agli
accordi del Laterano lo Stato della Città del Vaticano poteva munirsi di un sistema autonomo di
comunicazioni che comprendeva una rete postale, una centrale elettrica, la linea ferroviaria ed un
impianto telegrafico.
Dato più importante, fu affidato a Guglielmo Marconi l'incarico di realizzare un impianto
radiotelegrafico ad onde corte (il primo nel mondo) ed il 12 febbraio 1931 fu inaugurata la Stazione
della Radio Vaticana che costituisce ancora oggi uno strumento insostituibile per l'azione della
Chiesa. Quanto questo aspetto sia stato importante agli occhi del Pontefice lo dimostra il fatto che
Marconi fu ricevuto in Vaticano solo quattro giorni dopo la stipula del Concordato per provvedere
agli accordi iniziali per la realizzazione di quest'opera che, oltre a diffondere la voce del Pontefice
attraverso l'etere, avrebbe permesso la comunicazione diretta con le diverse nunziature apostoliche
e, almeno agli inizi, l'emittente radiofonica, oltre ad uno strumento di comunicazione, fu considerata
una sorta di laboratorio scientifico per utilizzare e conoscere meglio le applicazioni dell'invenzione
marconiana 310.
Il 6 febbraio 1931 fu inaugurata la centrale elettrica vaticana, necessaria premessa, al varo
dell'emittente. In quell'occasione il Pontefice, riferendosi all'ormai imminente avvenimento, ebbe a
pronunciare le seguenti parole: "Per il domani è già annunciata e già matura e sempre più perfetta
un'
altra meraviglia dovuta alle geniali cure e sollecitudini del marchese Marconi, meravigliosa
davvero, che permetterà al vicario di Gesù Cristo d'
estendere la sua conversazione all'
universo
intero".
E' interessante sottolineare questo atteggiamento universalistico di Pio XI che, tramite la radio, si
porrà in "conversazione" con il mondo intero; questo ritrovato permise per la prima volta alla
Chiesa di far giungere la sua voce, ma anche di raccogliere gli stimoli provenienti dagli angoli della
cristianità.
* * *
Indubbiamente Pio XI fu un uomo infaticabile che durante il suo pontificato compì una profonda
revisione della Chiesa e la esplicò in una notevole serie di atti destinati a trasformare le strutture
ecclesiastiche. Pubblicò trenta encicliche, creò 74 nuovi cardinali in diciassette concistori e
centinaia di vescovi, innalzò alla gloria degli altari 33 santi (tra cui Don Bosco che aveva
conosciuto personalmente a Torino, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Teresa di Lisieux e Tommaso
309
310
A.MONTICONE, La Germania e la neutralità italiana: 1914-1915, Bologna 1971, p.168.
Per la fondazione della Radio Vaticana si veda: N.STORTI, op.cit., pp.303-314.
Moro) e 500 beati, solennizzò anni giubilari, curò la fondazione di istituti e scuole speciali ( di
primaria importanza l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), costituì 128 sedi residenziali
vescovili ed arcivescovili e 113 prefetture apostoliche Stipulò inoltre 18 concordati i più importanti
dei quali furono quelli con la Lettonia (1922), Romania (1927), Lituania (1927), Italia (1929),
Germania (1933), Austria (1933), Iugoslavia (1937) e Polonia (1939).
Da uomo di cultura quale era, Pio XI prestò la massima attenzione per il potenziamento delle
attività scientifico-culturali. Provvide alla ricostituzione della Pontificia Accademia delle Scienze
che raccolse settanta uomini di ogni provenienza ideologica o religiosa purché interessati alla
ricerca del Vero. Si deve alla sua opera la risistemazione dei Musei Vaticani e la fondazione del
Museo Etnologico, chiaro indice di una nuova prospettiva universalistica che papa Ratti curò e
sostenne. Durante il suo pontificato fu inoltre ampliata la Specola Vaticana ed istituite le
commissioni per l'Arte Sacra e per l'Archeologia. Pio XI soleva ricordare che i sacramenti della
Chiesa sono sette, ma ne esiste anche un ottavo: quello della scienza. Manifestò il suo amore per le
comunicazioni anche attraverso la proclamazione di san Francesco di Sales a patrono dei giornalisti
311
.
Spesso Pio XI è giustamente indicato come il Papa delle missioni o il Papa dell'
Azione Cattolica.
Durante il Suo pontificato ebbe notevole sviluppo l’attività missionaria coordinata dal nuovo
collegio di Propaganda Fide del quale aveva posto la prima pietra e furono consacrati i primi
vescovi indigeni, segno di un mutato atteggiamento della Chiesa nei confronti delle giovani chiese
d'Oltremare. Curò inoltre di coordinare l'attività ad gentes con l'istituzione delle Pontificie Opere
Missionarie e della Giornata Missionaria Mondiale.
Nel suo sforzo di mettersi al passo coi tempi, Pio XI potenziò inoltre le strutture organizzative
dell'Azione Cattolica, indirizzando verso la famosa scelta religiosa che ha retto per anni gli sforzi di
quest'organizzazione. Questa scelta va correttamente collegata agli accordi del Laterano in base ai
quali l'A.C. era l'unica organizzazione giovanile non controllata dal regime, il quale perseguiva
l'indottrinamento dei ragazzi tramite l'Opera Nazionale Balilla. In base ai patti del 1929, l'A.C.
avrebbe potuto perseguire solo finalità di natura schiettamente religiosa ma, come presto avvenne,
sotto la sua ala si rifugiarono tutti gli elementi antifascisti del mondo cattolico che iniziarono ad
organizzare anche attività di tipo politico-sindacale. La situazione portò nel 1931 ad un clamoroso
strappo quando fu impartito ai prefetti di requisire tutte le sedi dell'Azione Cattolica.
Come risulta da numerose testimonianze, la reazione del Pontefice fu furibonda in quanto egli
vedeva in questo sodalizio il modo per garantire una reale presenza dei cattolici nella società
italiana senza essere fagocitati dalle strutture organizzative del regime. Pio XI, in uno scatto d'ira
ebbe a dire all'ambasciatore italiano: Gli vada a dire al signor Mussolini, allora, che con i sistemi
che usa e i fini che si propone mi fa schifo! Di fronte al rifiuto del diplomatico di riferire
un'affermazione simile, Papa Ratti si aggiustò lo zucchetto e proseguì alzando il tono: Ah, non le
piace? Questa poi è curiosa...allora gli dica: nausea, vomito!.
Tramite la mediazione del gesuita Tacchi Venturi si giunse nel mese di settembre ad un accordo che
riappianò, almeno formalmente, la situazione. In base a queste decisioni l'Azione Cattolica veniva
qualificata come un'associazione a carattere diocesano che si prefiggeva la formazione religiosa
degli aderenti, rinunciando tra l'altro ad organizzare manifestazioni ginnico-sportive che erano di
esclusiva competenza dell'Opera Nazionale Balilla. Questo accordo risultò indubbiamente una
vittoria per il regime fascista che, imponendo la struttura diocesana dell'associazione, frantumò il
fronte avversario, impedendo la formazione di un'entità unica capace di opporre qualsiasi
resistenza. Verranno poi gli anni dell'impero e del consenso di massa, quando purtroppo anche
molti vescovi si schierarono più o meno apertamente a favore del regime, impedendo all'Azione
Cattolica qualsiasi iniziativa che potesse risultare in disaccordo con le direttive del regime.
Collocato a spartiacque tra cristianità medioevale e società moderna secolarizzata, Pio XI aveva
cercato con i Patti Lateranensi di cattolicizzare il fascismo e l'intera società italiana, ma ben presto
311
Indice delle sue premure per la pastorale nel settore delle comunicazioni è la pubblicazione dell’enciclica Vigilanti
cura (1936) dedicata al cinema.
si dovette rendere conto dell'inutilità di questo sforzo. Gli accordi del 1929 non furono certamente
l'avvicinamento tra due posizioni inconciliabili tra loro, ma un autentico instrumentum regni
attraverso il quale ciascuno dei contraenti cercò di trarre il maggior profitto possibile. Resta il fatto
che già a partire dal 1931 si rese evidente l'irrealtà di una convivenza tra due visioni del mondo,
entrambe totalizzanti ed autoritarie; si trattava dello scontro tra un'assolutismo dell'anima
contrapposto a quello dello Stato.
I rapporti con il Governo italiano proseguirono in modo formalmente tranquillo e l'unica occasione
di appoggio aperto del Vaticano al regime fu in occasione della Guerra Civile Spagnola, non tanto
per adesione ai programmi franchisti (il concordato con la Spagna arriverà solo nel 1953), ma per
timore degli eccessi anticlericali delle forze rivoluzionarie.
Gli ultimi anni del suo pontificato furono amareggiati dalla constatazione delle fosche conseguenze
create dall'avvento di regimi dittatoriali in Italia e Germania. In particolare generò seri dubbi
l'adozione delle leggi razziali, tanto che Pio XI ebbe a dire che era stato ferito lo spirito stesso del
concordato, introducendo delle norme discriminanti che urtavano violentemente con il principio
evangelico della fratellanza di tutti gli uomini 312. Non a caso, di fronte al dilagare di ideologie
totalizzanti, Papa Ratti istituì la festa di Cristo Re, unico signore dell'universo.
Tali temi, già enunciati parzialmente nelle due encicliche Non abbiamo bisogno e Mi brennender
Sorge, avrebbero dovuto avere piena esplicitazione in un suo discorso teso a denunciare le
violazioni dei Patti Lateranensi, le persecuzioni razziali ed i preparativi tedeschi al conflitto. Di
questo testo sono rimaste solo alcune parti, pubblicate nel 1959 da Giovanni XXIII; sembrerebbe
però di capire che il discorso non consistesse in una condanna formale delle dittature, ma in una
denuncia delle violazioni degli accordi concordatari. Tale intervento, programmato per il 12
febbraio 1939, non poté aver luogo. Il 10 febbraio Pio XI spirava per un attacco cardiaco.
Lungo gli anni di questo Pontificato operarono parecchie personalità che, in modi diversi,
prepararono il terreno su cui poi sarebbe germogliato il Concilio Vaticano II. Soprattutto in Francia
si ebbe una intensa stagione di fervore culturale che vide il contributo di parecchi filosofi e scrittori
cristianamente ispirati: Bernaros, Bloy, Peguy, Maritain, Gilson, Mounier, Guitton, fino a giungere
alle speculazioni scientifiche del gesuita Teilhard de Chardin. Purtroppo ben poco di questi
contributi giunse in un’Italia autarchica ed ostile verso qualsiasi novità giungesse d’oltralpe. Pur
intravedendo il futuro, anche Pio XI, lontano per sensibilità e formazione da questi nuovi stimoli,
non seppe recepire le novità. Gravi colpi ricevette anche il dialogo ecumenico che conobbe una
battuta d’arresto con l’enciclica Mortalium animos del 1928. In ambito strettamente italiano si ebbe
il divieto a far circolare in conventi, seminari e circoli cattolici la Storia di Cristo del convertito
Giovanni Papini che non si vide capito e garantito come apologeta sincero della religione. Aspetti
ben più drammatici ebbe la condanna di Ernesto Bonaiuti. Nel 1934 il Sant’Uffizio proibì la
diffusione e ristampa de La più bella avventura di don Primo Mazzolari 313. La stagione del
rinnovamento conciliare era ancora lontana, ma essa forse non avrebbe potuto aver luogo senza la
creazione delle strutture organizzative create dal Papa brianzolo.
312
In occasione della visita di Hitler a Roma nel 1938, Pio XI si portò a Castel Gandolfo per evitare l’imbarazzante
incontro.
313
La revoca del provvedimento contro l’opera del parroco di Bozzolo giungerà solo nel 1962.
CRONOLOGIA
31 maggio 1857, nasce a Desio (Milano).
ottobre 1867, entra nel seminario arcivescovile di Seveso.
20 dicembre 1879, viene ordinato sacerdote a Roma.
1882, consegue le lauree in teologia, diritto canonico e filosofia.
1882-1888, insegna nel Seminario maggiore di Milano.
1882-1912, è cappellano presso l'Istituto N.S. del Cenacolo di Milano.
8 novembre 1888, è dottore alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.
31 luglio 1889, scala la punta Dufour (m 4.638).
1907, viene nominato Prefetto della Biblioteca Ambrosiana.
8 novembre 1912, è nominato Vice Prefetto della Biblioteca Vaticana.
1914, diventa Prefetto della Vaticana ed è nominato protonotario apostolico.
25 aprile 1918, Visitatore Apostolico per la Polonia e la Lituania.
6 giugno 1919, viene inviato come Nunzio Apostolico in Polonia
28 ottobre 1919, è consacrato arcivescovo di Lepanto.
1921, è Alto Commisario Ecclesiastico per il plebiscito in Alta Slesia.
13 giugno 1921, è nominato arcivescovo di Milano e Cardinale.
8 settembre 1921, solenne ingresso a Milano.
6 febbraio 1922, eletto Sommo Pontefice, assume il nome di Pio XI
12 febbraio 1922, solenne incoronazione nella basilica di San Pietro.
11 febbraio 1929, Concordato con lo Stato Italiano.
31 dicembre 1930, pubblica l'enciclica Casti Connubii.
12 febbraio 1931, inaugurazione della Stazione Radio Vaticana.
15 maggio 1931, pubblica l'enciclica Quadragesimo anno.
29 giugno 1931, pubblica l'enciclica Non abbiamo bisogno.
20 luglio 1933, concordato con la Germania.
14 marzo 1937, pubblica l'enciclica Mit Brennender Sorge "Con cocente dolore".
19 marzo 1937, pubblica l’enciclica Divini Redemptoris.
10 febbraio 1939, muore per attacco cardiaco.
Encicliche di Pio XI
Ubi Arcano Dei Consilio
23 dicembre 1922
Rerum Omnium Perturbationem 26 gennaio 1923
Maximam Gravissimamque
18 gennaio 1924
Quas primas
Rerum Ecclesiae
Rite expiatis
Iniquis Afflictisque
11 dicembre 1925
28 febbraio 1926
30 aprile 1926
18 nobembre 1926
Mortalium Animos
Miserentissimus Redemptor
Mens Nostra
6 gennaio 1928
8 maggio 1928
20 dicembre 1929
Divini Illius Magistri
31 dicembre 1929
Casti Connubii
Quadragesimo Anno
31 dicembre 1930
15 Maggio 1931
sulla Pace di Cristo nel Regno
di Cristo.
su san Francesco di Sales
sulle Associazioni Diocesane in
Francia
sulla Regalità di Cristo
sulle missioni cattoliche
su san Francesco d'Assisi
sulla persecuzione della Chiesa
in Messico
sull'unità religiosa
sulla riparazione al Sacro Cuore
sulla promozione degli esercizi
spirituali
sull'educazione cristiana della
gioventù
sul matrimonio cristiano
nel quarantesimo anniversario
della Rerum Novarum
Non Abbiamo Bisogno
Nova Impendet
Caritate Christi Compulsi
Acerba Animi
29 giugno 1931
2 ottobre 1931
3 maggio 1932
29 settembre 1932
Dilectissima nobis
3 giugno 1933
Ad catholici sacerdotii
Vigilanti cura
Mit Brennender Sorge
Divini Redemptoris
Nos Es Muy Conocida
20 dicembre 1935
29 giugno 1936
14 marzo 1937
19 marzo 1937
28 marzo 1937
Ingravescentibus malis
29 settembre 1937
sull'Azione Cattolica in Italia
sulla crisi economica
sul Sacro Cuore
sulla persecuzione della Chiesa
in Messico
sull'oppressione della Chiesa in
Spagna
sul sacerdozio cattolico.
sul cinema.
sulla Chiesa e il Reich tedesco
sul comunismo ateo
sulla situazione religiosa in
Messico
sul Rosario
ELENCO DEI PREVOSTI PARROCI DI DESIO RICORDATI DALLE FONTI
Ambrogio f.Rasperto
Anselmo314
Pietro
Leonardo
Maffeo Visconti315
Francino Visconti316
Francino de Turchi
Francesco de Tritis317
Florio de Dardanoni
Beltramino da Nova318
Bartolomeo da Giussano
Ottone Castigioni
Lorenzo de La Strada
Giovanni Antonio de la Strada
Francesco Bernardino Cermenati
Antonio Strada
Fabrizio Malberti
Ippolito Francesco Ferrandi
Giuseppe Mauro Bendone
Giuseppe Pedroni
Francesco Daffino
Melchiorre Zucchelli
Giuseppe Volonterio
Carlo Giuseppe Terzoli
Giuseppe Villa
Paolo Nardi
Bernardo Bassi
Giusto Corbella
Filippo de Bernardi
Giuseppe Lattuada
Cesare Mossolini
314
968
1084
1125
1265
1282
1335
1336
1360
1417
1471
1480
1519
1530
1548
1564
1595
1651
1652
1673-1722
1723-1725
1726-1743
1744-1770
1770-1796
1796-1815
1816-1820
1820-1832
1832-1835
1836-1849
1850-1856
1857-1877
1877-1912
1084 Febbraio. Monza. Adamo del fu Azone Blaco, che era del luogo di Biassono, fa divisione di beni posti in
Desio fra le chiese di San Giovanni Battista di Monza, San Siro di Desio e Santo Stefano di Vedano. “Da parte
Sancti Sili Anselmo presbyter et Petrus idem presbyter...Sancto Silo...sita loco Deussio”. ACM, perg.72. Ed.: Gli
Atti Privati, IV, n.649, p.182. Cit.: CAPPELLINI 1972, pp.41s., 74, Testo pp.75s.
315
1282 dicembre 11. Maffeo Visconti, prevosto di Desio e canonico di Monza, arciprete avvocato degli avvocati e
sapiente, è invitato di visitare il monastero di San Maurizio di Monza. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.84.
1282 settembre 20. Alessandro Cavallo, giudice ed assessore del podestà di Milano, ordina a Rivabene Brema,
servitore del comune, a seguito della petizione della chiesa di San Giovanni di Monza e della chiesa di Desio di recarsi
dove richiesto per procedere contro i debitori delle due chiese. “nomine domini Mafei Vicecomitis, canonici dicte
ecclesie (San Giovanni di Monza) et prepositi ecclesie de Dexio et nomine capituli dicte ecclesie de Dexio”. Atti, III,
n.219, pp.239s.
316
1336 febbraio 22. Prepositura di San Materno di Desio vacante per la morte di Francino Visconti, successore
Francesco de Turchi, canonico di Santo Stefano in Brolio. CAPPELLINI 1972, p.493.
317
1357 luglio 11. Girardolo de la Pusterla, referendario del magnifico signor Bernabò Visconti, delega Francesco,
prevosto della chiesa di San Materno di Desio, a decidere la causa che verteva tra Paolo, vescovo di Lodi e Rinaldo
Riccardi e Oldrano del Popolo. MALBERTI 1961, p.32; CAPPELLINI 1972, p.86.
318
1471, 30 giugno. Il prevosto Beltramino de Nova ottiene il consenso ducale a cedere la titolarità della prepositura a
Bartolomeo da Giussano in cambio del beneficio nella chiesa di san Giovanni Evangelista in Baragia della pieve di
Agliate. ASM, Arch. Ducale Sforzesco, cart 902. Cit.: CAPPELLINI 1972, p.101.
Rovagnati mons. Erminio
Bandera mons. Giovanni
Castelli mons. Luigi
Galli mons. Piero Edmondo
Burlon mons. Elio
1913-1935
1935-1967
1967-1981
1981-
ELENCO DEI SINDACI DI DESIO DAL 1861
[La documentazione carente non ha permesso di ricostruire una cronologia completa. I “buchi sono
riconducibili a mancanza di documenti o a periodi in cui il Comune fu retto da commissari]
Ravanelli Luigi
Scannagatta Baldassarre
Ravanelli Luigi
Cereda Carlo
Rossi Guglielmo
Gavazzi Egidio
Gavazzi Pio
Scalfi Giuseppe
Gavazzi Giulio
Gavazzi Antonio
Colleoni Antonio
Novati Enrico
Lissoni
Riva
Colombo
Desiderati
Rampi
Fontana
Mariani Luigi
Pugliese Salvatore
Mariani Giampiero
1861
1866
1870
1874
1877
1882
1910
1920
1926
1932
1941
1866
1870
1876
1882
1910
1919
1923
1932
1941
1943
Descrizione Araldica dello Stemma
Bandato d'argento e di rosso di sei pezzi
Origini e simbologia dello stemma
Lo stemma del Comune di Desio deriva direttamente dallo stemma dell'antica
famiglia lombarda dei da Dexio, che ha tratto denominazione e origine proprio da
questa terra. Lo stemma di questa famiglia, miniato a pagina 130 dello Stemmario
Trivulziano, risulta così blasonato: Bandato di rosso e d'
argento. Considerato che lo
stemma del Comune di Desio è, invece, un bandato d'argento e di rosso, ne consegue
che lo stemma del Comune ha voluto differenziarsi leggermente dallo stemma di
quell'antica, omonima famiglia, senza peraltro volersene troppo allontanare. In
araldica queste lievi differenziazioni prendono il nome di "brisure", o di "spezzature",
come se si volesse spezzare lo stemma primitivo con l'introduzione, nel suo interno,
di un elemento differenziatore. Per completezza di informazione, si osserva peraltro
che i due colori del bandato, utilizzati oggi nello stemma comunale, risultano essere
invertiti rispetto a quelli descritti nelle RR.LL.PP.di riconoscimento del 20 marzo
1924.
Con Regio Decreto 24 febbraio 1924, al Comune di Desio è stato concesso il titolo di
Città.
GUIDA AGLI ARCHIVI DI DESIO
Con la parziale eccezione degli archivi parrocchiali, la massa dei documenti prodotti nel passato è
stata dai più considerata un pesante fardello di difficile gestione, destinato ad essere unicamente
accatastato in un angolo nell'attesa che l'azione disgregatrice del tempo compisse la sua opera. In
qualsiasi caso la consultazione delle carte da parte di studiosi o laureandi era difficoltosa a causa
dell’inadeguatezza degli spazi e della mancanza di personale idoneo.
Fortunatamente negli ultimi anni si è avuta una certa inversione di tendenza cosicché risultano più
frequenti i casi di Enti, Amministrazioni o semplici privati che investono nella conservazione e
nella consultazione del materiale d'archivio, che viene ora finalmente percepito come una
fondamentale risorsa culturale.
La nostra realtà territoriale, grazie ad alcuni recenti interventi, ha effettuato un profondo
cambiamento di rotta garantendo la conservazione e permettendo la consultazione degli atti relativi
alle vicende storiche cittadine.
Il patrimonio archivistico desiano, laico ed ecclesiastico, risulta di discreta consistenza e copre un
arco temporale piuttosto ampio (secoli XVI-XX).
Ora è possibile consultare la documentazione raccolta sia dalla parrocchia sia dall'amministrazione
comunale. In tutti questi casi fortunati le carte sono adeguatamente conservate e catalogate. In altri
casi invece i documenti sono in collocazioni provvisorie e necessitano di un adeguato riordino. Non
è improbabile che nel prossimo futuro sia possibile consultare anche materiale proveniente dal altri
enti o, si spera, anche da privati (si pensi solo all'importanza degli archivi aziendali).
ARCHIVIO E.C.A.
STORIA
I locali dell'Archivio Storico Comunale ospitano anche i documenti appartenenti all'Ente Comunale
di Assistenza al quale erano demandati sino a non molti decenni fa gli interventi in campo socioassistenziale. Questa istituzione cittadina ha "ereditato" tutta la documentazione relativa a
possedimenti ed amministrazione di antichi enti a carattere assistenziale.
La base è costituita dalle carte dell'Antica Scuola dei Poveri Putti risalente al 1547 ed istituita dal
Benefattore Giovanni Maria Lampugnani. Le carte conservate documentano i possessi della
fondazione e le diverse attività volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione.
L'istituto benefico fu poi arricchito con i beni (e naturalmente con i relativi documenti) di pii
sodalizi come la Scuola delle Sante Agata e Maria. Nell’Ottocento tutti questi beni furono riuniti
nella Congregazione di Carità che coordinò gli interventi a carattere sociale, ed in special modo la
gestione del neoistituito Ospedale.
A partire dal 1932 il locale Nosocomio ebbe vita autonoma, cosicché i documenti conservati si
limitano all'amministrazione del copioso patrimonio immobiliare E.C.A. ed agli interventi a favore
di persone in difficoltà.
L'archivio ha patito numerose peripezie ed è quello che ha subito il maggior numero di traslochi.
Dalla sede originaria di via Portichetto (Scuola Poveri Putti) e della Basilica (Scuole delle Sante
Maria ed Agata), le carte furono trasferite nel neonato ospedale, poi nella sede di via Matteotti,
infine nel palazzo comunale dove sono rimaste, tranne una breve parentesi in Villa Tittoni, dove
qualche cartella è stata danneggiata da un principio d'incendio. Ora la documentazione ha avuto una
collocazione, finalmente accessibile al pubblico, nei locali dell'Archivio Storico Cittadino.
NATURA DOCUMENTI
I documenti in questione rivestono particolare interesse e coprono un arco di tempo molto vasto. Le
pergamene più antiche risalgono al XIII secolo ma riguardano generalmente i possedimenti della
Scuola del Lampugnani collocati a Mezzate località fra Linate e Peschiera Borromeo. Le carte
permettono una ricostruzione completa dell'evoluzione delle strutture socio-assistenziali sul nostro
territorio, documentando il lento passaggio da attività benefiche effettuate da privati, fino alla loro
progressiva istituzionalizzazione.
CATALOGAZIONE
L'attuale sistemazione dell'Archivio risale al 1954; il materiale è stato ordinato in modo egregio. In
tale occasione è stato anche realizzato un comodo inventario dattiloscritto dei documenti.
Il materiale qui descritto costituisce l'archivio di deposito ed è distinto da quello corrente che,
essendo troppo recente, ha altra collocazione.
Si sta provvedendo ad una catalogazione su supporto magnetico, permettendo una veloce opera di
consultazione e ricerca attraverso il computer.
CLASSIFICAZIONE
Il materiale è articolato nel seguente modo:
Categoria I: Amministrazione
1. Circolari e corrispondenza; regolamento e statuto; decreti e variazioni.
2. Cause e vertenze; deliberazioni; procure varie.
3. Amministratori.
4. Impiegati e salariati.
5. Impiegati e salariati: cassa previdenza.
Categoria II: Archivio
1. Disposizioni.
2. Memorie storiche.
Categoria III: Economato
1. Disposizioni e corrispondenza.
2. Varie.
3. Forniture varie.
Categoria IV: Patrimonio
1. Acque, boschi, catasto, inventario.
2. Fabbricati: opere relative.
3. Eredità: documenti relativi; acquisti, alienazioni, convenzioni, precari.
4. Legati e donazioni; affrancazione legati, decime e affrancazioni; livelli attivi e passivi.
5. Mutui e prestiti; ipoteche.
6. Affitti e censi.
7. Decentramenti e concentramenti.
Categoria V: Sanità e igiene
1. Ospedale: personale sanitario, infermieri.
2. Pratiche pensioni.
3. Farmacie.
4. Igiene pubblica.
Categoria VI: Culto
1. Assistenza spirituale.
2. Legati per messe.
Categoria VII: Educazione
1. Generalità.
2. Maestri.
Categoria VIII: Assistenza
1. Benefattori.
2. Esposti.
3. Ricoveri - sussidi.
Categoria IX: Contabilità
1. Generalità.
2. Assicurazioni.
3. Esattoria - tesoreria; Tasse e tributi.
L'inventario elenca 78 faldoni ai quali ne va aggiunta un'altra decina riguardante le vicende
dell'Ente negli anni '50-'60.
Questo materiale è arricchito da una copiosa serie di registri, generalmente di natura economica, che
testimoniano minutamente l'attività dei diversi enti confluiti poi nell'E.C.A.
Scuola Poveri Putti: 39 volumi dal 1567 al 1821.
Scuola S.Agata: 18 volumi dal 1637 al 1807.
Congregazione di Carità: 7 volumi dal 1778 al 1937.
E.C.A.: 5 volumi dal 1943 al 1951.
Il catalogo-inventario del 1954 ricorda poi la presenza di 124 pezzi relativi ai conti consuntivi di
ciascun anno a partire dal 1737. Questo materiale è oggi irreperibile.
STATO CONSERVAZIONE
E' sicuramente molto buono. Le carte sono prive di muffe e non presentano pieghe o strappi dovuti
ad incuria.
Qualche problema sussiste per i registri che hanno ancora le legature originali in cartone e cuoio. In
particolare la sovraccoperta di un registrino è stata ricavata da una pergamena manoscritta del XV
secolo.
ARCHIVIO COMUNALE - parte antica
STORIA
L'archivio raccoglie la documentazione rimasta relativa alle varie attività svolte dall'Ente Locale.
Esso ha seguito i vari spostamenti degli Uffici comunali ed ora è sistemato nei locali dell'Archivio
Storico Cittadino. Seppure ordinata in modo egregio, la documentazione è assai lacunosa; anche in
tempi recenti l'archivio è stato vittima di allagamenti che hanno distrutto buona parte del materiale.
NATURA DEI DOCUMENTI
Le carte in questione coprono una gamma molto vasta di settori ma, a causa delle lacune di cui si è
detto, in molti casi non è possibile analizzare un tema lungo la sua evoluzione storica. Una discreta
continuità si ha solo a partire dagli anni Venti del nostro secolo; più si retrocede nel tempo,
maggiori sono i vuoti, tanto che i pezzi anteriori al XIX secolo si possono contare sulle dita di una
mano. Lacune molto consistenti sono inoltre presenti per gli anni 1880-1910.
CATALOGAZIONE
In tempi recentissimi tutto il materiale è stato riordinato e catalogato in modo egregio. In particolare
è stato realizzato un inventario molto dettagliato che permette la localizzazione precisa degli atti. I
documenti sono stati inseriti in robuste cartellette che mantengono distese le carte ed inoltre i
faldoni utilizzati risultano idonei per proteggere dalle polveri.
Si sta provvedendo ad una catalogazione su supporto magnetico, permettendo una veloce opera di
consultazione e ricerca attraverso il computer.
CLASSIFICAZIONE
Il materiale è catalogato secondo i criteri previsti dalla normativa e, per la parte antica (quella dal
1776 al 1945) è così suddiviso:
TITOLO
CARTELLE
OGGETTO
FASCICOLI
DAL
AL
I
1-16
Amministrazione 136
1854
1945
II
17-23
Assistenza
168
1795
1945
pubblica
III
24-25
Polizia urbana e 26
1876
1945
rurale
IV
26-37
Sanità e igiene
196
1836
1945
V
38-51
Finanze
199
1776
1945
VI
52-54
Governo
36
1860
1945
VII
55-63
Grazia, Giustizia e 69
1848
1945
Culto
VIII
64-87
Leva, truppe
103
1851
1945
IX
88-93
Istruzione
108
1825
1945
X
94-120
Lavori pubblici
XI
121-137
Agricoltura,
224
1847
1945
industria,
commercio
XII
138-179
Stato civile
174
1866
1945
XIII
180
Varie
142
1877
1945
XIV
0
6
1901
1945
XV
181-186
Sicurezza
0
pubblica
51
1885
1945
A questo elenco va aggiunto il materiale privo di catalogazione, cioè tutti i registri. Non si sono
conservati i verbali dei consigli comunali anteriori al 1880 che possono però essere parzialmente
ricostruiti attraverso gli estratti delle deliberazioni.
Esistono diversi registri di varia natura costituiti essenzialmente da inventari, o pratiche anagrafiche
di immigrazione o emigrazione.
Di notevole interesse è la collezione completa di tutte le leggi del Regno d'Italia dal 1860 al 1946.
Tutti i fascicoli sono opportunamente rilegati.
STATO DI CONSERVAZIONE
L'archivio storico propriamente detto è in condizioni ottimali e non necessita di alcun intervento
(esclusa la catalogazione su adeguato supporto).
ARCHIVIO FOTOGRAFICO
Negli anni Settanta il compianto dott. Alberto Cappellini provvide a raccogliere parecchia
documentazione fotografica relativa al passato della città ed alle principali manifestazioni civili.
L'umidità ha provocato danni enormi ed osa si sta cercando di riparare ai danni che l'archivio ha
dovuto patire.
Il materiale rimasto è stato integrato con foto d'epoca acquisite dall'Amministrazione ed altre
raccolte dal Circolo Fotografico Desiano.
Nei prossimi mesi sarà possibile consultare tutto questo materiale e riprodurlo facilmente grazie
all'opera di conversione in formato digitale delle immagini.
ARCHIVIO PREPOSITURALE
STORIA
L'Archivio Prepositurale raccoglie una cospicua mole di materiale cartaceo che documenta
l'evoluzione delle istituzioni ecclesiastiche cittadine con ampi riferimenti alle vicende civili,
soprattutto per i periodi più antichi.
I pezzi anteriori al XVI secolo si possono contare sulla punta delle dita; è solo con san Carlo
Borromeo che venne creato un archivio stabile, incaricato di documentare le vicende della
parrocchia. Molto probabilmente parte delle carte più antiche dovette andare distrutta nell'incendio
della canonica appiccato dal lanzichenecchi nel 1511. Il grosso fu però asportato dai funzionari
napoleonici che trasferirono a Milano la documentazione riguardante i beni del soppresso capitolo;
questi documenti, o quelli rimasti, sono oggi consultabili presso il fondo di religione dell'Archivio
di Stato di Milano. Nel 1828 alcuni documenti non meglio specificati vennero immessi sul mercato
antiquario.
Purtroppo, dopo la sistemazione generale avvenuta nel 1965, non sono stati effettuati altri
interventi, cosicché non esiste documentazione ordinata dell'ultimo trentennio, ed in generale i
documenti relativi al nostro secolo sono numericamente scarsi e slegati fra loro.
NATURA DEI DOCUMENTI
Le carte dell'APD documentano principalmente:
*
*
*
*
*
*
proprietà immobiliari
vicende degli edifici di culto
vicende personali di prevosti e canonici
legati ed oneri di culto
pratiche amministrative e contabili
registri anagrafici
CATALOGAZIONE
Nel 1965 è stato effettuato un profondo riordino del materiale ad opera di don Eugenio Cazzani che
ha anche redatto un comodo indice-inventario dei documenti, riordinandoli in 92 cartelle.
L'intervento ha offerto una chiara catalogazione del materiale, ma non ha tenuto conto della
situazione precedente, alterando completamente la fisionomia e la struttura dell'antico archivio. In
particolare tutte le carte provenienti dalla disciolta proprietà Traversi-Tittoni, originariamente
conservate in un fondo autonomo, poiché non avevano natura religiosa, sono state disperse sotto
vari titoli.
Attualmente è in corso un lavoro di sistemazione del materiale che prevede, nei limiti del possibile,
di ricostruire la fisionomia originale. Inoltre si sta provvedendo alla catalogazione tramite supporti
informatici ed alla trascrizione dei documenti più usurati dal tempo.
Il materiale risulta così ripartito:
cartelle 1-5
cartelle 6-7
cartelle 8-16
cartelle 17-20
cartelle 21-23
cartella 24
cartella 25
Circolari di potestà laiche ed ecclesiastiche
Visite
Chiesa Parrocchiale
Affittuari
Consuntivi
Reliquie e indulgenze
Campane e campanile
cartella 26
cartella 27
cartelle 28-36
cartella 37
cartelle 38-42
cartelle 43-63
cartelle 64-65
Cartella 66
cartelle 67-71
cartelle 72-73
cartelle 74-77
cartella 78
cartella 79
cartelle 80-81
cartelle 82-83
cartelle 84-88
cartelle 89-92
Casino Missioni
Prevosti
Capitolo e canonici
Decime
Fabbriceria
Legati
Confraternite
Scuola dei Poveri Putti
Chiese sussidiarie
Convento San Francesco
Pieve
Collegi, istituti e ospedale
Pio XI
Roggia
Comune
Famiglie
Miscellanea
Esiste poi una cospicua serie di registri manoscritti:
*
*
*
*
*
*
registri contabili ed amministrativi
registri verbali assemblee del clero
registri anagrafici:
- nascite dal 1568
- matrimoni dal 1586
- morti dal 1708
memorie storiche
inventari
registri di varia natura
Esclusi quelli anagrafici, l'APD, per il periodo anteriore al nostro secolo, conserva i seguenti
registri:
:
Capitolo
Amministrazione della chiesa
Cassa della chiesa
Cassa sagrestia
Legati
Scuola del Santissimo Sacramento
Fabbrica
Indici Archivio
Decime
Congregazioni del clero
Visite
Opere storico-cronachistiche
1701-1764
1815-1871
1795-1866
1736-1847
1723-1815
1595-1797
1661-1795
1512-1844
1642-1651
1604-1771
1604-1756
1768-1961
STATO DI CONSERVAZIONE
Tutti i documenti sono in ottimo stato di conservazione. Le carte sono collocate in ambiente protetto
dall'umidità e dalle polveri.
L'archivio è collocato nel locale dell'ufficio parrocchiale e vi si accede dietro autorizzazione,
presentazione di un documento di identità e giustificazione del motivo della ricerca. La
consultazione dei documenti è possibile in giorni prestabiliti, alla presenza di un incaricato che
provvede a fornire tutte le informazioni necessarie alla ricerca.
ARCHIVIO STORICO COMUNALE
APERTURA
Lunedì e giovedì pomeriggio dalle 15,00 alle 18,00. L'archivio è chiuso nel mese di agosto e
durante le vacanze natalizie e pasquali
FOTOCOPIE
Possibili al costo di lire 100 cadauna. Registri e mappe possono essere riprodotti sono con
apparecchiatura fotografica predisposta dal richiedente.
MODALITA’ DI ACCESSO
Gli studiosi (ricercatori di storia locale e laureandi), per accedere alla documentazione dovranno
compilare un apposito modulo indicante:
• generalità
• motivo della ricerca
• indicazione dei pezzi consultati
• impegno a fornire all’Archivio copia dell’eventuale ricerca, tesi o pubblicazione.
LOCALI
L’Archivio Storico Cittadino è collocato in due locali dell’ala Est della Villa Tittoni, adiacenti gli
uffici del Sistema Bibliotecario e prospicienti la via Lampugnani e l’ingresso della Villa.
L’accesso agli ambienti è posto sulla via Lampugnani.
PERSONALE
Gli incaricati identificati dal circolo Lazzati provvedono, nei giorni e negli orari previsti, a fornire le
seguenti prestazioni:
• offrire, nei limiti del possibile, indicazioni di ricerca agli studiosi
• consegnare il materiale dopo aver registrato le generalità del ricercatore
• controllare la manipolazione e la riconsegna dei documenti.
ARCHIVIO PREPOSITURALE
APERTURA
Mercoledì pomeriggio dalle 15,00 alle 18,00. L'archivio è chiuso nel mese di agosto e durante le
vacanze natalizie e pasquali
FOTOCOPIE
Non sono previste. Tutto il materiale può essere riprodotto solo con apparecchiatura fotografica
predisposta dal richiedente.
MODALITA’ DI ACCESSO
Gli studiosi (ricercatori di storia locale e laureandi), per accedere alla documentazione dovranno
compilare un apposito modulo indicante:
• generalità
• motivo della ricerca
• indicazione dei pezzi consultati
• impegno a fornire all’Archivio copia dell’eventuale ricerca, tesi o pubblicazione.
LOCALI
L’Archivio Prepositurale è collocato presso l'Ufficio Parrocchiale di via Conciliazione.
PERSONALE
L'incaricato provvede, nei giorni e negli orari previsti, a fornire le seguenti prestazioni:
• offrire, nei limiti del possibile, indicazioni di ricerca agli studiosi
• consegnare il materiale dopo aver registrato le generalità del ricercatore
• controllare la manipolazione e la riconsegna dei documenti.
AA.VV. 1969
AA.VV. 1977
AMORE 1951
AMORETTI 1801
Annales Placentini
BARNI 1953
BARNI 1955
BARNI 1975
BELLONCI 1972
BELTRAMI 1926
BERTETTO 1960
BERTOLINI 1967
BESOZZO s.d.
BITTO 1973
BOGNETTI 1954
BOGNETTI 1966
BOGNETTI 1976
BOGNETTI 1978
BOSISIO 1978
BRIOSCHI 1991
BRIOSCHI 1992
BRIOSCHI 1993
BRIOSCHI 1993A
BRIOSCHI 1994
BRIOSCHI 1994 A
BRIOSCHI 1995 A
BRIOSCHI 1995 B
BRIOSCHI 1995 C
BRIOSCHI 1995 D
Gli atti del Comune di Milano fino all'
anno 1216, a cura di C.MANARESI, Milano
1919.
Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, a cura di M.F.BARONI, I (1217-1250),
Milano 1976.
Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, a cura di M.F.BARONI e R.PERELLI
CIPPO, II, 1, (1251-1262), Alessandria 1982.
AA.VV., Pio XI nel XXX della morte, Opera diocesana per la preservazione e la
diffusione della fede, Milano 1969.
Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell'
Italia Settentrionale durante il pontificato di
Pio XI, Atti del convegno, Torreggia 26-27 marzo 1977, a cura di P.PECORARI, Vita e
Pensiero, Milano 1979.
AMORE AGOSTINO, Giovanni Buono, in Enciclopedia cattolica, VI, Città del
Vaticano 1951, pp.623s.
AMORETTI CARLO, Della coltivazione delle patate e loro uso, Milano 1801.
Annales Placentini Gibellini, ed. P.JAFFÈ, in MGH, SS, Hannoverae 1863, pp.564s.
BARNI GIAN LUIGI, L'
arimannia di Recco e la chiesa milanese nel Genovesato,
"Rivista di storia del diritto italiano", 26-27 (1953-54), pp.105-115.
BARNI GIAN LUIGI, Beni della chiesa milanese in Genova e nella Liguria Orientale,
in Scritti storici e giuridici in memoria di A.Visconti, Milano 1955, pp.41-51.
BARNI GIAN LUIGI, I Longobardi in Italia, Novara 1975.
BELLONCI MARIA, Tu vipera gentile, Milano 1972.
BELTRAMI LUCA, La commissione della pala per la chiesa di San Siro in Desio a
Stefano de’ Fedeli – 28 aprile 1480, Per le fauste nozze Edoardo Persichetti UgoliniMaria Ratti, 30 ottobre 1926, Milano 1926.
Discorsi di Pio XI, a cura di D.BERTETTO, 3 voll., SEI, Torino 1960.
BERTOLINI OTTORINO, I Papi e le missioni fino alla metà del secolo VIII, in La
conversione al cristianesimo nell'
Europa dell'
Alto Medioevo, XIV settimana di studio
sull'Alto Medioevo, Spoleto 14-19 aprile 1966, Spoleto 1967, pp.327-363.
BESOZZO GIO FRANCESCO, Historia pontificale di Milano,. s.d.n.l.
BITTO IRMA, L’età romana, in Storia di Monza e della Brianza – le vicende politiche
dalla Preistoria all’età sforzesca, I, Milano 1973, pp.25-67.
BOGNETTI GIAMPIERO, Milano longobarda, in Storia di Milano, II, Fondazione
Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano, Milano 1954, pp.57-299.
BOGNETTI GIAMPIERO, Le origini della consacrazione del vescovo di Pavia da
parte del Pontefice Romano e la fine dell'
arianesimo presso i Longobardi, in L'
età
Longobarda, I, Milano 1966, pp.143-217
BOGNETTI GIAMPIERO, I "loca sanctorum" e la storia dela chiesa nel regno dei
Longobardi, in Agiografia medioevale, Bologna 1976, pp.105-143.
BOGNETTI GIAN PIERO, Sulle origini dei comuni rurali nel Medioevo, in Studi sulle
origini del comune rurale, a cura di F.SINATTI D’AMICO e C.VIOLANTE, Milano
1978, pp.3-262.
BOSISIO ALFREDO, Storia di Milano, Milano 1978.
BRIOSCHI MASSIMO, In burgo de Dexio, 3° Palio degli Zoccoli, Desio 1991.
BRIOSCHI MASSIMO, Note storiche sulla battaglia di Desio, 4° Palio degli Zoccoli,
Desio 1992.
BRIOSCHI MASSIMO, Per conoscere Desio, Desio 1993.
BRIOSCHI MASSIMO, Uomini e terra - La proprietà agricola a Desio nel
Cinquecento, 5° Palio degli Zoccoli, Desio, 1993.
BRIOSCHI MASSIMO, La Roggia di Desio - note storiche, 6° Palio degli Zoccoli,
Desio 1994.
BRIOSCHI MASSIMO, Mons. Achille Ratti e la questione degli oratori desiani, in Pio
XI e il suo tempo, Desio 2004, pp. 145-150.
BRIOSCHI MASSIMO, Presenze gallo-romane a Desio, in “Pagine Desiane”, 2
(1995), pp. 7-50.
BRIOSCHI MASSIMO, San Giovanni Bono arcivescovo di Milano e fondatore della
chiesa di Desio, in “Pagine Desiane”, 2 (1995), pp. 51-91.
BRIOSCHI MASSIMO, Desio in un disegno di Leonardo da Vinci, in “Pagine
Desiane”, 2 (1995).
BRIOSCHI MASSIMO, La Vigana e l’oratorio di San Bartolomeo, 7° Palio degli
BRIOSCHI 1998
BRIOSCHI 1998
BRIOSCHI 1998 A
BRIOSCHI 1998 B
BRIOSCHI 1998 C
BRIOSCHI 1998 D
BRIOSCHI 1999
BRIOSCHI 2001
BRIOSCHI 2002
BRIOSCHI 2004
CALCO 1627
CAPPELLINI 1963
CAPPELLINI 1972
CAPPELLINI 1994
CASANOVA 1930
CASIRAGHI 1992
Catalogus 1723
Catalogus 1848
CATTANEO 1954
CATTANEO 1963
CATTANEO 1968
CATTANEO 1978
CATTANEO 1982
CATTANEO 1989
CAVAGNIS 1883
CICERI 1952
CONFALONIERI 1957
CONFALONIERI 1982
CORADAZZI 1980
CORIO 1646
DE MARINIS 1991
DONATELLI 1962
Esposizione 1905
Zoccoli, Desio 1995.
BRIOSCHI MASSIMO, Tracce di un’antica presenza ebraica a Desio?, in “Il Filo
d’Arianna”, maggio 1998, p.8.
BRIOSCHI MASSIMO, Le tre Basiliche, in La chiesa di Desio: gli uomini, le idee, le
pietre, Desio 1998.
BRIOSCHI MASSIMO, Una cronaca desiana inedita, in "Pagine Desiane", 4 (1998).
BRIOSCHI MASSIMO, L’ufficio postale di Desio risale all’epoca napoleonica, in “Il
Filo d’Arianna”, dicembre 1998, p.8.
BRIOSCHI MASSIMO, Il garibaldino desiano Angelo Romeo Vaj, in “Il filo di
Arianna”, dicembre 1998, p.8.
BRIOSCHI MASSIMO, La villa e il borgo, Desio 1998.
BRIOSCHI MASSIMO, Archeologia sotto casa, in “Il Filo d’Arianna”, ottobre 1999,
p.14.
Il caffè di Desio, a cura di Massimo Brioschi, XIII Palio degli Zoccoli, Desio 2001.
BRIOSCHI MASSIMO, La banda – 130° anniversario fondazione, Desio 2002.
BRIOSCHI MASSIMO, Filippo de Bernardi. 16° Palio degli Zoccoli, Desio 2004.
CALCHUS TRISTANUS., Mediolanensis historiae patriae libri viginti, Mediolani
1627.
CAPPELLINI ALBERTO, Scuola dei Poveri Putti da erudire di Desio, Edizione
Comune -E.C.A., Monza, 1963.
CAPPELLINI ALBERTO, Desio e la sua pieve, Milano 1972.
CAPPELLINI ALBERTO, Le sentenze criminali dei pretori di Desio (1525-1670) – La
podesteria e la pretura di Desio, in “Pagine Desiane”, 1 (1994).
CASANOVA ENRICO, Dizionario feudale delle provincie componeneti l’antico Stato
di Milano all’epoca della cessazione del sistema feudale (1796), Milano 1930.
CASIRAGHI LILIANA, Brianza romana, Renate 1992.
Catalogus vetus archiepiscoporum mediolanensium, ed. L.MURATORI, in RISS, IV,
Milano 1723, coll.141-143.
Catalogus archiepiscoporum mediolanensium, ed. W.WATTENBACH, in MGH, SS,
VIII, Hannoverae 1848, pp.101-110.
CATTANEO ENRICO, Le istituzioni ecclesiastiche milanesi, in Storia di Milano,
Fondazione Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp.615721.
CATTANEO ENRICO, Missionari orientali a Milano nell'
età longobarda, "ASL",
s.IX, 3 (1963), pp.215-247.
CATTANEO ENRICO, Ottone Visconti arcivescovo di Milano, in Contributi
dell'
Istituto di Storia Medioevale, I, Milano 1968 (Scienze Storiche, 10), pp.129-165.
CATTANEO ENRICO, Il culto cristiano in Occidente, Roma 1978.
CATTANEO ENRICO, Cataloghi e biografie dei vescovi di Milano dalle origini al
secolo XVI (Archivio Ambrosiano, XLIV),.Milano 1982.
CATTANEO ENRICO, Terra di sant'
Ambrogio - La chiesa milanese nel primo
millennio (Cultura e storia, 1), Milano 1989.
CAVAGNIS VITTORIO, La pellagra a Desio, in “Gazzetta Medica Italiana –
Lombardia”, (1883), 8, pp.83s.; 9, pp.90-95; 10, p.103.
CICERI ANGELO, L'
altare e il corpo di san Giovanni Bono nel duomo di Milano, in
XIII centenario fondazione chiesa, Desio 1952, pp.30-32.
CONFALONIERI CARLO, Pio XI visto da vicino, Torino 1957.
CONFALONIERI ANTONIO, Liber Primicerii. Chronica de regiminibus pontificum
quam ambrosianae ecclesiae et de dominiis temporalibus tam imperatorum quam etiam
totius Lombardiae regnum, in E.CATTANEO, Cataloghi e biografie dei vescovi di
Milano dalle origini al secolo XVI, Milano 1982 (Archivio Ambrosiano, XLIV), pp.71136.
CORADAZZI GIUSEPPE, La pieve. L'
antica istituzione altomedioevale della chiesa,
nella storia, nell'
archeologia, nel diritto, nell'
arte. Vecchie e nuove proposte,
Travagliato 1980.
CORIO BERNARDINO, Historia di Milano, Padova 1646.
DE MARINIS RAFFAELE, I Celti golasecchiani, in I Celti, Milano 1991, pp.93-102.
DONATELLI ARMANDO, Recco è fiera di avergli dato i natali, "Il Nuovo Cittadino",
10 gennaio 1962, p.3.
Esposizione di Desio, 7 settembre – 5 ottobre 1905, catalogo ufficiale, Milano 1905, in
FIGARI 1985
FRANCESCHINI 1954
G.A. 1952
GALVANEI FLAMMAE
GATTI 1996
GIOVIO 1558
GIULINI 1760
GRASSI 1991
INZAGHI 1978
LIBER 1917
MAJO 1981
MALBERTI 1961
MATTAVELLI 1988
Notitia 1900
NOVELLI 1921
NOVELLI 1939
OLIVIERI 1961
OLTROCCHI 1795
P.P. 1952
PALESTRA 1959
PALESTRA 1960
PALESTRA 1963
PALESTRA 1980
PAOLO DIACONO
PRELINI 1880
RESNATI 1995
Ricovero 1992
RIMOLDI 1965
RIVA 1989
ROMUSSI 1893
ROTA 1930
SANTORO 1948
SASSI 1755
SAVIO 1913
17° Palio degli Zoccoli, Desio 2005.
FIGARI ANDREA, Panegirico di san Giovanni Buono, dattiloscritto dell'Autore,
Camogli 1985.
FRANCESCHINI GIUSEPPE, La vita sociale e politica nel Duecento, in Storia di
Milano, IV, Fondazione Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano, Milano 1954,
pp.115-392.
G.A., Il fondatore della chiesa matrice - San Giovanni Buono, in XIII centenario
fondazione della chiesa, Desio 1952, pp.27-29.
GALVANEI FLAMMAE Manipulus florum, ed. L.MURATORI, in RISS, XI, Milano
1727, coll.530-740.
GATTI MARCO, Carità e assistenza medica – l’Ospedale di Desio nell’800 (18201890), Università degli Studi di Milano, anno accademico 1995-1996.
GIOVIO PAOLO, Le vite de i dodici Visconti e di Sforza prencipi di Milano, Vinegia
1558.
GIULINI GIORGIO, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione
della città e della campagna di Milano ne'secoli bassi, VIII, Milano 1760.
GRASSI MARIA TERESA, I Celti in Italia, Milano 1991.
INZAGHI VIRGINIO, Surus episcopus - La tradizione leggendaria di san Siro
inquadrata nella storia del primo secolo, Pavia 1978.
Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, a cura di M.MAGISTRETTI e U.MONNERET
DE VILLARD, Milano 1917.
MAJO ANGELO, Storia della chiesa ambrosiana, I, Milano 1981.
MALBERTI PIERO – BARZAGHI ANGELO, Storia di Desio, I, Monza 1961.
MATTAVELLI EUSTORGIO, San Giorgio – da Carendon ai giorni nostri, Lissone
1988.
Notitia cleri mediolanensis de anno 1298 circa ipsius immunitatem, a cura di
M.MAGISTRETTI, "Archivio Storico Lombardo", s.III, 14 (1900), pp. 9-57; 257-305.
NOVELLI ANGELO, Il Cardinal Ratti, Pro Familia, Milano 1921.
NOVELLI ANGELO, Pio XI - Achille Ratti, Pro Familia, Milano 1939.
OLIVIERI DANTE, Dizionario di toponomastica lombarda, Milano 1961.
OLTROCCHI BALTHASAR, Ecclesie mediolanensis historia ligustica, II, Milano
1795.
P.P., Le tre basiliche, in XIII centenario fondazione della chiesa, Desio 1952, pp.16-19.
PALESTRA AMBROGIO, Ricerche sulla vita comune del clero in alcune pievi
milanesi nel secolo XII, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Atti della
settimana di studio, Mendola settembre 1959, II, Milano 1962, pp.142-149.
PALESTRA AMBROGIO, Il culto dei Santi come fonte per la storia delle chiese
rurali, "ASL", s.VIII, 10 (1960), pp.74-88.
PALESTRA AMBROGIO, L'
origine e l'
ordinamento della pieve in Lombardia,
"ASL", s.IX, 3 (1963), pp.359-398.
PALESTRA AMBROGIO, Le strade romane nel territorio della diocesi di Milano,
“ASL”, s.X, 4, (1980), pp.7-42.
PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum.
PRELINI CESARE, San Siro primo vescovo e patrono della città e diocesi di Pavia, 2
voll., Pavia 1880.
RESNATI FABIO, Iscrizioni latine della Brianza Orientale e della Martesana, in
“Rassegna di Studi del Civico Museo Archeologico e del Civico Gabinetto
Numismatico di Milano”, “Notizie dal Chiostro del Monastero Maggiore”, fasc. LVLVI, 1995, pp. 35-119.
Casa di Riposo "Pio e Ninetta Gavazzi" 60 anni di vita, Desio 1992.
RIMOLDI ANTONIO, Giovanni il Buono, in Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965.
RIVA VIRGINIO, Le origini della Brianza, Merate 1989.
ROMUSSI CARLO, Milano ne’ suoi monumenti, I, Milano 1893.
ROTA CARLO MARIA, Origine e significato del nome di Desio, Varese 1930.
SANTORO CATERINA, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Fondazione
Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano, Milano 1948.
SAXII JOSEPH ANTONII Archiepiscoporum mediolanensium series historicochronologica ad criticae leges et veterum monumentorum fidem illustrata, I, Mediolani
1755.
SAVIO FEDELE, Gli antichi Vescovi d'
Italia dalle origini al 1300 descritti per
SCHUSTER 1952
SOLDI 1972
STEPHANARDI
Toponomastica 1997
VAGLIANO 1715
VERRI 1783
VIGOTTI 1974
VIOLANTE 1953
VIOLANTE 1982
ZANONI 1911
regioni- Lombardia (Biblioteca istorica della antica e nuova Italia, 111), Bologna 1971
(=Firenze 1913).
SCHUSTER ILDEFONSO, Lettera al prevosto per il XIII centenario della chiesa di
Desio, in XIII centenario fondazione della chiesa, Desio 1952, pp.5-7.
SOLDI RONDININI GIGLIOLA, Goffredo da Bussero, in Dizionario biografico degli
Italiani, 15, Roma 1972, pp.558-560.
FRATRIS STEPHANARDI DE VICOMERCATO Liber de Gestis in Civitate
Mediolani, ed. G.CALLIGARIS, in RISS, n.e., IX, 1, Città di Castello 1912.
Toponomastica Desiana, in “Pagine Desiane”, 3 (1997).
VAGLIANO GIUSEPPE, Sommario delle vite ed azioni degli arcivescovi di Milano da
san Barnaba sino al governo presente, Milano 1715.
VERRI PIETRO, Storia di Milano, I, Milano 1783.
VIGOTTI GUALBERTO, La diocesi milanese alla fine del secolo XIII - Chiese
cittadine e pievi forensi nel "Liber Sanctorum" di Goffredo da Bussero (Thesaurus
ecclesiarum Italiae, II, 1), Roma 1974.
VIOLANTE CINZIO, La società milanese nell'
epoca precomunale, Bari 1953.
VIOLANTE CINZIO, Le strutture organizzative della cura d'
anime nelle campagne
dell'
Italia centro-settentrionale (secoli V-X), in Cristianizzazione ed organizzazione
ecclesiastica delle campagne nell'
Alto Medioevo, Settimane di studio del Centro
Italiano di studi sull'Alto Medioevo, XXVIII, 2, Spoleto 1982, pp.963-1158.
ZANONI UMBERTO, Gli Umiliati nei loro rapporti con l’eresia, l’industria della
lana ed i Comuni nel secoli XI e XIII, Milano 1911.
Presentazione del Sindaco
Prefazione
Elenco abbreviazioni
Elenco illustrazioni
1
IL TERRITORIO
2
L’ANTICHITA’
3
STRUTTURE POLITICHE
4
STRUTTURE ECCLESIASITICHE
5
STRUTTURE SOCIALI
6
STRUTTURE ECONOMICHE
7
PERCORSI NELL’ARTE
8
IL NOVECENTO
9
PERCORSI NELLA MEMORIA
10
11
PIO XI
I DESIANI
APPENDICI
Bibliografia
Indici
L’ambiente naturale
Le risorse ambientali
Il toponimo
L’insediamento primitivo
Evoluzione urbanistica
L’organizzazione territoriale
Il feudo
Il Comune
Le strutture statali
La pieve
Il capitolo
Ordini religiosi
Confraternite
La popolazione
Beneficenza ed assistenza
La scuola dei Poveri Putti
Istruzione
Sanità
Agricoltura
Artigianato
Industria
Commercio
La Villa Traversi – Tittoni
Ville secondarie
La Basilica
Chiese sussidiarie
Il Complesso del Palagi
Un tentativo di interpretazione storica
L’identità cittadina
Vita sociale tra XIX e XX secolo
Folclore cittadino palio
Desiani per il mondo
Desiani d’adozione
Lo stemma comunale
I Sindaci
I Prevosti
Il patrimonio archivistico
Gli studi storici su Desio