Paper 1 Degni - Accademia per l`autonomia

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Paper 1 Degni - Accademia per l`autonomia
UNIVERSITÀ DI PISA
Centro di Servizi Polo Universitario "Sistemi Logistici" - Livorno
“Dissesto”, “pre-dissesto”
e piani pluriennalui
di riequilibrio negli enti locali
Prof. Marcello Degni
Il predissesto nei comuni e la questione dei controlli:
un percorso intrecciato e complesso.
Dott.ssa Vanessa Manzetti
Dott. ssa Speranza Corbo
Le procedure di risanamento degli Enti locali: il quadro normativo
La procedura di riequilibrio pluriennale: elementi caratterizzanti,
orientamenti della giurisprudenza contabile e problemi aperti
Dott. Davide Fiumicelli
Procedura di riequilibrio finanziario e piani pluriennali:
una prima panoramica “a campione” sulle azioni intraprese a livello comunale
Il predissesto nei comuni e la questione dei controlli: un percorso intrecciato e complesso.
(Marcello Degni)
Il decreto 174 del 2012, con cui è stata introdotta la fattispecie del predissesto, nasce da alcuni
clamorosi scandali che coinvolsero alcune regioni italiane (in particolare il Lazio e la Lombardia).
Il testo originario presentato dal governo (Monti), conteneva molte disposizioni riguardanti i
controlli, che intaccavano significativamente l’autonomia regionale ridisegnata con la riforma
costituzionale del 2001. In sede di conversione il Parlamento ha riequilibrato il quadro,
modificando le correzioni che avrebbero riportato il rapporto tra centro ed enti territoriali indietro
di un ventennio. E’ il segno evidente di una produzione normativa emergenziale (la risposta agli
scandali regionali), che non può non presentare distorsioni e criticità. Anche le disposizioni sui
Comuni si presentavano nel teso originario particolarmente sbilanciate sotto il profilo dei controlli,
e anche qui il Parlamento, in fase di conversione, ha svolto una funzione riequilibratrice1. Le norme
del decreto riferite agli enti locali apparivano peraltro, fin dall’inizio, più equilibrate rispetto a
quelle relative alle Regioni. Nonostante le correzioni del Parlamento, il nuovo assetto normativo modifica, in modo
asistematico, il sistema dei controlli, incidendo sensibilmente sul diaframma tra collaborazione e
inquisizione. La separazione tra i due momenti è un aspetto essenziale per garantire l’ordinato
svolgimento dell’azione pubblica; e tale principio dovrà essere riaffermato, con l’interpretazione
organica delle norme vigenti e, probabilmente, con nuovi interventi del legislatore, svincolati
dall’emergenza del momento. Anche per gli enti locali (come per le regioni) è stata introdotta la modificazione del decreto
legislativo 149 del 2011, che si riferisce all’estensione della relazione di fine mandato, affidata al
responsabile finanziario o al segretario generale. È prevista, per garantire “il principio di
trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa”, anche “una relazione di inizio mandato, volta a
verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell'indebitamento” di comuni e
province. La relazione è predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario
generale ed è “sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro il novantesimo giorno
dall'inizio del mandato”. Sulla base dei risultati della relazione medesima, il sindaco in carica, ove
ne sussistano i presupposti, può ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti. La disposizione affronta, probabilmente senza la necessaria profondità, un nodo di grande
rilievo: la misura dell’eredità del passato, che è particolarmente rilevante nel caso di cambio di
coalizione politica alla guida dell’ente locale. L’azione elusiva porta, di norma, la coalizione
uscente a minimizzare lo squilibrio, e quella entrante ad enfatizzarlo2. Con la nuova norma la
Si rileva a tale proposito l’art. 2 del decreto che, nonostante la riscrittura parlamentare (che accoglie sostanzialmente la
proposta della conferenza delle regioni), impone agli enti una rilevante riduzione dei “costi della politica”, da attivare
attraverso modifiche statutarie degli enti intermedi stessi, in conformità a stringenti indicazioni basate sul criterio della
“regione più virtuosa”. Per i comuni è stato introdotto, come nuovo parametro di verifica del decreto legislativo 149 del
2011, da rilevare anche attraverso il SIOPE, “l’aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e
degli organi istituzionali”.
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Anche la coalizione vincente potrebbe essere indotta alla minimizzazione dello squilibrio, per evitare di adottare
misure di natura restrittiva che colpirebbero negativamente la cittadinanza dalla quale hanno appena ricevuto il
consenso. Altra pulsione che può determinarsi nella coalizione vincente è quella della “fuga”: di fronte ad un forte
squilibrio (magari enfatizzato) la tentazione potrebbe essere quella di rinunciare a governare, cedendo il passo al
commissariamento, per addossarne plasticamente i sacrifici alla coalizione che lo ha prodotto.
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valutazione è affidata a una figura tecnica, e questo dovrebbe indurre, nelle intenzioni del
legislatore, una maggiore oggettività3. L’integrazione del TUEL prevede che i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti
dispongano, con proprio regolamento, “le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato
patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di loro competenza. La
dichiarazione, da pubblicare annualmente, nonché all'inizio e alla fine del mandato, sul sito internet
dell'ente riguarda: i dati di reddito e di patrimonio con particolare riferimento ai redditi
annualmente dichiarati; i beni immobili e mobili registrati posseduti; le partecipazioni in società
quotate e non quotate; la consistenza degli investimenti in titoli obbligazionari, titoli di Stato, o in
altre utilità finanziarie detenute anche tramite fondi di investimento, sicav o intestazioni fiduciarie”.
L’obbligo di trasparenza è individuato come deterrente per impedire l’uso dell’attività politica
come strumento di arricchimento personale, tema particolarmente acuto e persistente in Italia4.
Si rafforza la separazione tra indirizzo e gestione prevedendo per ogni atto della giunta (esclusi
appunto quelli di mero indirizzo) il parere di “regolarità tecnica” del responsabile del servizio
interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul
patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria a proposito della regolarità contabile. I pareri
sono inseriti nella deliberazione e, se l’organo di governo se ne vuole discostare, deve fornirne
adeguata motivazione. La norma, a parte la richiesta di motivazione in caso di difformità
(desumibile peraltro dal sistema normativo), già era prevista dal testo unico. Il problema che si pone rispetto a queste disposizioni, molto specifiche (i costi della politica, la
situazione patrimoniale degli eletti) o eccessivamente sistemiche (i riflessi indiretti sulla situazione
economico-finanziaria) è quello della concreta applicazione, che può presentare diverse criticità: il
policy maker che prevarica il dirigente per realizzare un obiettivo (il fine che prevale sul mezzo
tecnico necessario alla sua realizzazione); il dirigente che riempie il vuoto lasciato dal policy maker
distratto (si crea un cortocircuito tra indirizzo e realizzazione); la struttura della deliberazione che
presenta incongruenze (il parere di regolarità tecnica è un mero atto burocratico). Per altri aspetti la
decisione politica non è, in molti casi, coperta sotto il profilo gestionale, e ciò può determinare
profili di responsabilità per il policy maker che, senza saperlo, può assumere una decisione viziata
da irregolarità amministrative, contraddittoria o anche in violazione del principio di legalità. Si
ritorna quindi alla problematica dei controlli: caduto il filtro esterno, che annullava o rinviava le
determinazioni incongrue, si scopre con grande evidenza la fragilità di quello interno. La debolezza
della struttura dirigenziale, che spesso caratterizza i comuni, travolge il segretario generale, collo di
bottiglia orizzontale della struttura amministrativa, insieme al responsabile finanziario, che esprime
il parere di regolarità contabile sugli atti con riflessi finanziari. Alle esigenze formative, che sono
enormi, si aggiunge la necessità di definire modelli, basi informative comuni e confronti a livello di
area vasta. Non basta la mera enunciazione della separazione tra indirizzo e gestione.
Si enfatizza il ruolo del responsabile finanziario che “può essere revocato esclusivamente in caso
di gravi irregolarità riscontrate nell’esercizio delle funzioni assegnate. La revoca è disposta con
ordinanza del legale rappresentante dell’Ente, previo parere obbligatorio del collegio dei revisori
Il significato della disposizione indica anche che lo squilibrio finanziario si compone di diversi elementi e non può
essere ridotto al semplice disavanzo dell’esercizio precedente all’insediamento della nuova coalizione, che è dato dal
rendiconto consuntivo. Oltre al problema dell’anno elettorale, di norma a cavallo tra le due coalizioni, lo squilibrio si
compone: del disavanzo dell’anno t-1; di quello dell’anno t (impegnato prevalentemente dalla coalizione uscente); degli
eventuali debiti fuori bilancio; dello sbilanciamento del conto di tesoreria (nel caso in cui questo rappresenti un
“gradino” che si riforma istantaneamente tra il 31 dicembre e il primo gennaio di ogni anno); delle fatture passive
presenti in bilancio (ricavabili dal conto debiti verso fornitori della contabilità generale); dalle somme a destinazione
vincolata da ricostituire. Un coacervo di questioni difficilmente sintetizzabile.
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L’effettività della norma è rafforzata dalla previsione di sanzioni amministrative, da 2.000 a 20.000 euro.
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dei conti (nel testo originario si prevedeva il parere del Ministero dell’Interno e del Ministero
dell’Economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato)”. Rispetto alla
normativa vigente è aggravata, per questa figura, la procedura che consente al decisore, agendo
sull’organizzazione della struttura, la rotazione dei dirigenti. La revoca dall’incarico è subordinata
all’evidenziazione di una specifica fattispecie (“gravi irregolarità”) e all’espletamento di una subprocedura (il parere obbligatorio preventivo dei revisori interni). Il procedimento si fonda sul richiamato presupposto, che si vorrebbe accentuare, della
separazione tra indirizzo politico e gestione, che spesso, come si è detto, non trova pieno riscontro
nella concreta realtà di molte amministrazioni locali. La contiguità tra responsabile finanziario e
policy maker è in genere molto stretta, e solo l’alternanza prodotta dal pronunciamento del corpo
elettorale può essere in grado, se particolarmente dirompente, di modificare questo equilibrio. In
questo caso, il nuovo policy maker, se la finanza comunale presenta problemi di risanamento, che
la rotazione del dirigente finanziario potrebbe agevolare, si trova di fronte una procedura più
complessa di quella precedente. Il risultato potrebbe quindi essere contrario allo spirito della
norma, che è stata evidentemente pensata per irrobustire il ruolo di “pivot” tra mezzi e fini, di
guardiano del bilancio, che nelle amministrazioni locali dovrebbe svolgere il responsabile
finanziario.
Con la riformulazione dell’art. 147 del TUEL è meglio specificata la tipologia dei controlli
interni. Alle prescrizioni già esistenti per il controllo di gestione (verifica dell’efficacia, efficienza
ed economicità dell’azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi
interventi correttivi, il rapporto tra obiettivi e azioni realizzate, nonché tra risorse impiegate e
risultati; valutazione dell’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei
programmi e degli altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di
congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti), già molto ambiziose, vengono
aggiunti nuovi obiettivi:
“garantire il costante controllo degli equilibri finanziari della gestione di competenza, della
gestione dei residui e della gestione di cassa, anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica determinati dal patto di stabilità interno, mediante l’attività di coordinamento e di
vigilanza da parte del responsabile del servizio finanziario (nel suo ruolo di “guardiano del
bilancio”), nonché l’attività di controllo da parte dei responsabili dei servizi” “verificare, attraverso l’affidamento e il controllo dello stato di attuazione di indirizzi e obiettivi
gestionali, anche in riferimento all’articolo 170, comma 6 (relazione previsionale e
programmatica), la redazione del bilancio consolidato, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità degli
organismi gestionali esterni dell’ente”;
“garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi
gestionali esterni, con l’impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti
esterni e interni dell’ente”. In sintesi il controllo di gestione, cui era affidata la verifica dell’azione amministrativa e del
rapporto tra risultati e obiettivi, è integrato con il controllo costante degli equilibri finanziari, la
redazione del bilancio consolidato e la customer sactisfaction. La possibilità della non concreta
realizzazione di queste disposizioni è notevole poiché, in molte realtà locali, anche il più semplice
controllo di gestione (quello connesso a una corretta realizzazione del ciclo passivo e a
un’efficiente tracciatura dei principali flussi finanziari e organizzativi) è ben lungi dall’essere
realizzato. Il rischio è, come spesso accade quando la produzione normativa è svincolata da
un’analisi fine delle esperienze effettive, di rimanere nell’ambito della “produzione di carta a
mezzo carta”, con un forte tasso di autoreferenzialità.
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Per dare effettività alle nuove disposizioni il legislatore avrebbe dovuto soffermarsi
maggiormente sulla felice intuizione normativa posta a chiusura del riformulato art. 147 del TUEL:
per l’effettuazione dei controlli interni, “più enti locali possono istituire uffici unici, mediante una
convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento” (analoga possibilità è
prevista per il controllo strategico). Questa disposizione, se realizzata, non solo consentirebbe un
risparmio alle pubbliche amministrazioni convenzionate, ma potrebbe permettere il conseguimento
di due elementi essenziali per sviluppare un efficace controllo interno: una massa critica sufficiente
per sviluppare la necessaria competenza e capacità di analisi; un’autonomia dal policy maker, che la
contiguità con la amministrazione di appartenenza necessariamente deprime. Uffici unificati per i
controlli interni, formati da molte amministrazioni nell’ambito di un’area vasta con caratteristiche
di omogeneità, centrati sui comuni capoluoghi, potrebbero acquisire la competenza e
l’autorevolezza necessaria per implementare il complesso catalogo individuato dal legislatore e
indurre un miglioramento nelle amministrazioni locali. Procedure, metodologie, indicatori di varia
natura potrebbero essere sviluppati e interagire con una regia nazionale. Si potrebbero integrare
preziose basi informative, trasferire best practice, individuare benchmark. Obiettivi che, in modo
isolato, sono irrealizzabili per comuni di piccole dimensioni (e spesso anche per quelli più grandi). Il Parlamento ha colto la difficoltà di realizzazione della disposizione disponendo l’immediata
applicazione agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti, rinviando al 2014 per
quelli con più di 50.000 abitanti e al 2015 per quelli con più di 15.000 abitanti (la scansione è stata
introdotta per tutte le tipologie di controllo indicate dal provvedimento). Al controllo di gestione così rideterminato sono affiancati, con specificazioni nuove, il controllo
di regolarità amministrativo-contabile e il controllo strategico, già previsti (e scarsamente attuati)
dalla vigente legislazione. Il controllo amministrativo-contabile (art. 147- bis) individua una fase
preventiva di “formazione dell’atto” e una fase successiva “secondo principi generali di revisione
aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente, sotto la direzione
del segretario, in base alla normativa vigente”. La fase preventiva è basata sul parere di regolarità
tecnica del dirigente di settore e il parere di regolarità contabile (e del visto attestante la copertura
finanziaria) del responsabile finanziario. Ora, il dirigente predispone le “determine” nell’ambito della propria area di competenza,
impegnando le dotazioni di bilancio in gestione, con ampia discrezionalità. Se alla “determina” non
è data adeguata pubblicità (come spesso si può riscontrare nella prassi), la latitudine del dirigente
risulta oltremodo ampliata (può conferire incarichi, acquistare beni e servizi, stipulare contratti
senza che questo fuoriesca dalla sfera dei diretti interessati). Le nuove norme richiedono
l’esplicitazione del parere di regolarità tecnica da parte del dirigente, già autorisolto nella
predisposizione dell’atto, e il parere del responsabile finanziario (che il più delle volte si riduce a
visto formale).
Molto importante è, nella fase di formazione dell’atto, la trasparenza (la possibilità cioè per tutti
di conoscere il contenuto della “determina”) e il ruolo di filtro del segretario generale del Comune,
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cui può essere affidata una funzione di controllo generale nel processo di formazione dell’atto5.
L’impulso della recente legislazione alla trasparenza, alla pubblicazione on line della
documentazione di dettaglio, si muove nella giusta direzione, ma rappresenta l’avvio di un
processo non breve che si scontrerà con le resistenze degli apparati, gelosi delle informazioni in
loro possesso.
Il segretario generale è direttamente coinvolto nel controllo della fase successiva alla
predisposizione dell’atto. “Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, i
contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate
tecniche di campionamento”. L’uso di tali tecniche potrebbe rivelarsi necessario nei Comuni più
grandi, in cui è impossibile filtrare l’intera fase di formazione degli atti anche se, per realtà di
media grandezza (e nel caso in cui debba essere ripristinato un corretto ciclo amministrativo), è
preferibile agire sull’intero universo normativo.
Si prevede infine un processo di circolarizzazione del controllo, curato dal segretario generale
attraverso la trasmissione periodica dei relativi risultati ai responsabili dei servizi, ai revisori dei
conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la
valutazione, e al “consiglio comunale”. Poiché il controllo va associato alla trasparenza integrale
degli atti, i risultati potrebbero essere oggetto di specifici rapporti, in cui vengono evidenziate le
criticità riscontrate e proposte le metodologie per risolverle. Il rischio è sempre lo stesso, più volte
registrato nella pubblica amministrazione italiana: una ridondante ed imponente produzione
documentale, poco letta e scarsamente incisiva.
Il controllo strategico (art. 147-ter) è quello che serve per verificare lo stato di attuazione dei
programmi secondo le linee approvate dal consiglio comunale. Si è già detto che la mancanza di
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Interessante per chiarire il meccanismo virtuoso che si potrebbe instaurare, è la delibera della Giunta comunale di Rieti n. 260 del
24 settembre 2012 che recita: “La Giunta Comunale, premesso che si è riscontrata una carenza strutturale nella gestione dei provvedimenti amministrativi, messa in luce anche dalle
ispezioni della Guardia di Finanza, in ordine alla trasparenza e pubblicazione degli atti;
considerato che è interesse della Giunta e della Commissione consiliare trasparenza e legalità avere contezza di tutte le
determinazioni adottate dai Dirigenti;
dato atto che tali determinazioni devono essere pubblicate sul sito Internet del Comune nella sezione Determinazioni” ed emergono
omissioni da parte degli uffici;
Visto il parere favorevole sulla regolarità tecnica espresso dal Segretario Generale, ai sensi dell’art. 49 del D. Lgs. 67/2000;
dato atto che il presente provvedimento non necessita del parere sulla regolarità contabile da parte del Responsabile del Servizio
Finanziario, in quanto lo stesso non comporta impegno di spesa o diminuzione di entrata;
ad unanimità di voti espressi legalmente;
Delibera
1. di istituire presso la Segreteria Generale, un ufficio “trasparenza” che coordini e monitorizzi il flusso delle determinazioni secondo
le seguenti modalità:
- costituzione di un registro cartaceo e digitale nel quale affluiscano, con cadenza giornaliera ed attraverso rilevazione dal sistema
informatico protocollo Ascot, tutte le determinazioni dirigenziali assunte, e quindi firmate, da ogni settore; In tale registro e per ogni
determinazione deve essere riportato il numero progressivo, la data, l’oggetto, l’ufficio proponente ed il testo integrale debitamente
firmato. Tutto ciò rilevabile dal sistema protocollo Ascot che continuerà ad essere alimentato da ogni settore;
- la determinazione dirigenziale contenente il visto di regolarità contabile apposto dal Responsabile del Settore Finanziario, verrà
inviata all’ufficio “Trasparenza” per la pubblicazione all’Albo Pretorio on line del Comune.- L’ufficio “trasparenza” invierà una
copia digitale di ogni determinazione pubblicata, all’ufficio proponente per gli ulteriori adempimenti amministrativi.
Il citato iter costituisce progetto organizzativo, pertanto l’omissione da parte del Dirigente del citato iter costituisce oggetto di
valutazione da parte del Nucleo”.
In una circolare successiva alla delibera si precisa meglio il ruolo di coordinamento e supervisione svolto dal segretario generale e la
centralizzazione del processo di trasparenza: “In particolare, ogni determinazione, firmata dal dirigente responsabile, viene registrata
nel sistema informatico, come solitamente già avviene. Successivamente viene materialmente portata all’ufficio della Segreteria
generale e depositata al registro delle determine. Sarà cura della Segreteria stessa portare la determinazione, siglata dal solo
dirigente, al settore finanziario per il visto di competenza, qualora necessario. Il Dirigente del settore finanziario, ricevuta la
determinazione, qualora vi appone il visto, la riconsegna alla Segreteria generale, ufficio registro determinazioni, il quale provvede
alla scannerizzazione ed alla pubblicazione all’Albo. La determinazione verrà riconsegnata agli uffici a cura della Segreteria
Generale”.
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linee programmatiche, più proprie, anche se spesso inespresse, per enti di area vasta, anziché per
Comuni anche di piccole dimensioni (la soglia, originariamente fissata in 10.000 abitanti è stata
portata a 15.000 nel corso dell’esame parlamentare, con la scansione temporale di cui si è detto),
nonché la debolezza delle strutture interne, esaurisce (con eccezioni) il controllo strategico in un
inutile documento appaltato all’esterno. Le nuove norme amplificano questo rischio, arricchendo il
catalogo delle richieste. Il Comune dovrebbe, infatti, individuare “metodologie di controllo
strategico, finalizzate alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli
aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle
previsioni, delle procedure operative attuate, confrontate con i progetti elaborati, della qualità dei
servizi erogati e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici”.
Solo una struttura di area vasta, capace di acquisire al proprio interno competenze specialistiche,
può essere in grado di produrre analisi di questa natura. Sul punto interviene il decreto legislativo
126 del 2014 sull’armonizzazione dei bilanci, che dispone, (con la novella dell’art. 151 del TUEL),
la redazione, da parte dei comuni, di un Documento unico di programmazione entro il 31 luglio di
ogni anno, composto “dalla Sezione strategica, della durata pari a quelle del mandato
amministrativo (5 anni), e dalla Sezione operativa di durata pari a quello del bilancio di previsione
finanziario (3 anni)”. Non si tratta solo di un problema organizzativo. Per quanto concerne, per esempio, gli
investimenti (che più delle spese correnti richiedono un controllo strategico), vanno ridefinite
radicalmente le attuali regole di finanziamento del sistema multilivello, in modo tale da garantire
certezza di risorse e controllo dei tempi di esecuzione dei progetti. Finché le spese in conto capitale
del comune saranno considerate, dallo stesso policy maker, come un irrealizzabile “libro dei sogni”,
fondato per grande parte su risorse regionali che mai (o in un tempo indeterminato) giungeranno a
destinazione, lo spazio per il controllo strategico sarà molto limitato, indipendentemente
dall’ambizione delle norme disposte dal legislatore.
Anche in questo caso è previsto un sistema circolare per cui “l’unità preposta al controllo
strategico”, coordinata dal direttore o dal segretario generale, elabora rapporti periodici, da
sottoporre all’organo esecutivo e al consiglio, per la “successiva predisposizione di deliberazioni
consiliari di ricognizione dei programmi”.
Il controllo sulle società partecipate (art. 147-quater) introduce alcune novità di complessa
realizzazione: “l’amministrazione definisce preventivamente.…, gli obiettivi gestionali a cui deve
tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo
sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, la
situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei
servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica”. La realtà delle società comunali presenta forti criticità, che il legislatore nazionale cerca di
affrontare da oltre un ventennio. Anche nei casi in cui è opportuna la scelta dell’involucro
societario per gestire servizi dove le problematiche organizzative e tecniche sono rilevanti (come
nel caso del trasporto pubblico locale o della gestione dei rifiuti) il controllo dell’ente sulle sue
partecipate è spesso scarso o nullo. Gli uffici amministrativi preposti al controllo delle società e
degli enti sono, in genere, quando esistono, molto deboli, senza le competenze necessarie per
svolgere le analisi approfondite rafforzate dalla nuova normativa. L’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalle società partecipate, e le
concrete modalità di funzionamento sono spesso molto carenti. Assenza di procedure organizzative
e, quindi, di un manuale delle stesse che, nelle società per azioni a partecipazione pubblica,
dovrebbe costituire il requisito minimo indispensabile. Mancano, in altre parole, i “fondamentali”.
La stessa situazione si registra in merito alle procedure di acquisto di beni e servizi e, in particolare,
di quelle aventi rilevanza economica tale da rientrare nella c.d. “soglia comunitaria”, che sono
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espletate spesso senza procedere con l’indizione di nuove gare, prorogando viceversa quelle già
scadute, in palese violazione della legge (codice degli appalti). Le società presentano spesso un
assetto organizzativo, contabile e amministrativo evanescente e privo di forma, struttura
organizzativa e amministrativa, nonché di un minimo di efficienza. Sarà quindi molto complesso
attuare le norme richiamate. Il capitolo delle società partecipate, oggetto di una copiosa e caotica normativa in questi ultimi
anni, è più che mai aperto. La direzione è tracciata. Utilizzando il criterio aggregativo già
richiamato, si dovrebbero istituire degli uffici nell’ente per esercitare il controllo esplicitato nelle
nuove disposizioni. Un altro ausilio potrà venire dalla tipologia e dalle forme prescelte per la
gestione dei servizi: la gara a doppio oggetto per il trasporto locale e la gestione dei rifiuti
(preferibile alla gestione diretta), in cui il ruolo del management aziendale e dell’ufficio di
controllo si eserciterebbe, su piani distinti, sul governo del contratto di servizio; la gestione diretta,
attraverso gli uffici comunali, delle attività che non richiedono, per la loro natura, di essere
esternalizzate; l’utilizzazione di forme diverse dalla società per azioni per la gestione di servizi
speciali, che richiedono un maggiore margine di autonomia gestionale (ad esempio l’agenzia).
All’ente locale è assegnato un compito molto rilevante e di difficile attuazione: esso “effettua il
monitoraggio periodico sull’andamento delle società partecipate, analizza gli scostamenti rispetto
agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili
squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente”. “I risultati complessivi della
gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato,
secondo la competenza economica”. Il passaggio dal criterio della competenza giuridica alla cassa
(o una maggiore integrazione tra le due metodologie) rappresenta un miglioramento notevole per
gli enti territoriali, di cui il decreto legislativo n. 118 del 2011 (completato dal decreto legislativo
126 del 2014), disegna i primi passi. Vera e propria acrobazia appare il passaggio al criterio della
competenza economica, alla base della contabilità utilizzata in sede Eurostat, e la redazione di un
bilancio consolidato, realizzabile forse solo nelle grandi città, che hanno adeguate strutture
amministrative. Ciò a riprova che spesso il legislatore traccia percorsi normativi senza tenere conto
della realtà sottostante.
Il catalogo dei controlli interni si chiude con la declinazione di quello riguardante gli equilibri
finanziari (art. 147 quinquies) che è svolto “nel rispetto delle disposizioni dell’ordinamento
finanziario e contabile degli enti locali, e delle norme che regolano il concorso degli enti locali alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, nonché delle norme di attuazione dell’articolo 81
della Costituzione”. La criticità in questo caso sta nella ridondanza: l’equilibrio del bilancio, esteso
dalla recente riforma dell’art. 81 anche allo Stato, già era previsto per gli enti sub-centrali, con la
clausola della golden rule di cui all’art.119 della Costituzione (integrata, dalla citata riforma, con
la previsione contestuale di adeguati “piani di ammortamento” degli investimenti). Le regole che
presidiano la decisione di bilancio includono quindi intrinsecamente il raggiungimento
dell’equilibrio. Con le nuove disposizioni sembra si voglia conferire, peraltro a una pluralità
indeterminata di soggetti (il responsabile del servizio finanziario, l’organo di revisione6, gli organi
di governo, il segretario comunale, il direttore generale, ove previsto, i responsabili dei servizi,
secondo le rispettive responsabilità) un controllo ulteriore nel caso in cui l’equilibrio, conseguito
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Il presidente del collegio dei revisori, nei comuni che superano i 60.000 abitanti (e nei capoluoghi) avrebbe dovuto, nel testo
originario, essere nominato dal prefetto e “scelto, di concerto, dai Ministri dell’Interno e dell’Economia tra i dipendenti dei rispettivi
Ministeri”. La norma, soppressa in sede di esame parlamentare, è indicativa dell’esigenza di potenziare il controllo interno. È inoltre
precisato il catalogo dei pareri dei revisori “1) strumenti di programmazione economico-finanziaria; 2) proposta di bilancio di
previsione, verifica degli equilibri e variazioni di bilancio; 3) modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di
partecipazione ad organismi esterni; 4) proposte di ricorso all’indebitamento; 5) proposte di utilizzo di strumenti di finanza
innovativa, nel rispetto della disciplina statale vigente in materia; 6) proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni;
7) proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali”.
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formalmente, nasconda uno squilibrio sostanziale. L’ambito della norma appare indefinito e l’unica
fattispecie concreta che si riesce a immaginare è quella in cui il corpo elettorale esprime un nuovo
policy maker, discontinuo rispetto al precedente, che avvia una due diligence dei conti per
evidenziare lo squilibrio ereditato dal predecessore.
Al nuovo quadro dei controlli interni si aggiunge anche il rafforzamento di quelli esterni, affidati
alla Corte dei conti e al Ministero dell’Economia e delle finanze. Il nuovo art. 148 del TUEL
dispone che “Le sezioni regionali della Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale, la
legittimità e la regolarità delle gestioni, il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto
delle regole contabili e del pareggio di bilancio di ciascun ente locale, nonché il piano esecutivo di
gestione, i regolamenti e gli atti di programmazione e pianificazione degli enti locali”. Per questo il Sindaco “trasmette semestralmente alla sezione regionale di controllo della Corte
dei conti un referto sulla regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei
controlli interni adottato, sulla base delle Linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della
Corte dei conti”. Lo stesso referto è trasmesso anche al Presidente del consiglio comunale, al fine
di coinvolgere il consiglio7. Fin qui è enfatizzata la connotazione collaborativa della Corte dei
conti, sulla scia della riforma intervenuta a metà degli anni novanta. Poi, nel periodo seguente,
analogamente a quanto disposto in merito ai reintrodotti controlli preventivi per le Regioni, si
prevede la sterzata inquisitoria e sanzionatoria, in controtendenza rispetto al percorso normativo e
dottrinale dell’ultimo ventennio. L’azione collaborativa è confusa con quella ispettiva (Guardia di
Finanza, servizi ispettivi della RGS) e sanzionatoria (da 5 a 20 mensilità per il Sindaco che non
invia il rapporto o lo invia incompleto, sanzioni irrogate dalla sezione giurisdizionale della Corte
dei conti). E’ evidente che l’ambito collaborativo è antitetico a quello inquisitorio e la confusione
tra i due approcci è destinata a produrre paralisi e inefficienza. I controlli della RGS sono attivati,
anche sulla base delle rilevazioni SIOPE, nel caso in cui si evidenzino: “a) ripetuto utilizzo
dell’anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c)
anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi; d) aumento non giustificato di spesa
degli organi politici istituzionali”8.
Nella riorganizzazione del sistema dei controlli fin qui tratteggiata, s’inserisce la nuova
fattispecie del predissesto, introdotta dal legislatore nazionale per venire incontro alle esigenze di
stabilizzazione della finanza comunale. Le nuove norme disegnano (per i comuni superiori a 20.000
abitanti, secondo quanto disposto in sede di esame parlamentare) una nuova procedura di
riequilibrio finanziario (art. 243-bis), con l’intento di dare soluzioni praticabili e generali alle
situazioni di criticità strutturale, aggravate dalla crisi economica e dalla politica di contrazione
delle risorse trasferite, praticata negli ultimi anni dal Governo centrale. La normativa preesistente
prevedeva, infatti, solo la fattispecie del dissesto, che è dirompente e non può essere azionata se
7
Il coinvolgimento dell’assemblea elettiva è previsto anche nel caso di “lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi
di un evento eccezionale o imprevedibile”. In questi casi “la Giunta, entro dieci giorni dall’ordinazione fatta a terzi, su proposta del
responsabile del procedimento, sottopone all’Organo Consiliare il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità
previste dall’articolo 194, prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato
di pregiudizio alla pubblica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione
della proposta da parte della Giunta, e comunque entro il 31 dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto
termine”. Altrimenti è previsto l’automatico avvio delle procedure di scioglimento.
8
Con l’art. 148-bis vengono introdotte disposizioni che rafforzano il controllo esterno della Corte dei conti sulla gestione finanziaria
degli enti locali speculari a quelle disposte per le regioni (analisi dei rendiconti degli enti integrati dalle aziende controllate, obbligo
di adottare provvedimenti correttivi in caso di rilevazione di squilibri finanziari, preclusione, in caso di inattuazione dei suddetti
provvedimenti, dell’attuazione “dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della
relativa sostenibilità finanziaria”).
!8
non in casi limite, oppure aggirata con normative speciali, come nel caso di Roma9. Anche questa
può essere considerata una forma di controllo10 da parte del livello di governo superiore che
interviene in presenza di squilibri strutturali, sia per evitare che vengano meno servizi
fondamentali, sia per ricondurre la situazione su un sentiero di normalità (in forma analoga ai piani
di rientro sanitari nelle Regioni in disavanzo strutturale o a quanto prevede il regolamento del two
pack, numero 472 del 2013, che regola, per i paesi euro, l’assistenza finanziaria in casi di “grave
difficoltà”).
“I Comuni per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto
finanziario possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale”. L’impulso deve precedere quello della Corte dei conti che, ai sensi del decreto
legislativo n. 149 del 2011 (cosiddetto decreto su premi e punizioni, attuativo della legge n. 42 del
2009 sul federalismo fiscale) può assegnare un termine all’ente per adempiere, come risposta a
situazioni di grave crisi finanziaria. In sostanza deve partire dall’ente locale, nell’esercizio della
propria autonomia, la richiesta della procedura, come risposta alla consapevolezza di avere
raggiunto un livello di guardia non più affrontabile con le normali procedure. “La deliberazione di
ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è trasmessa, entro 5 giorni dalla data di
esecutività11, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell’Interno” e
blocca la possibilità della Corte dei conti di eccepire “comportamenti difformi dalla sana gestione
finanziaria” in relazione al rispetto delle regole del patto di stabilità interno. L’effetto di questa deliberazione è di bloccare le procedure esecutive fino all’approvazione o al
diniego del piano. In seguito il consiglio comunale “delibera un piano di riequilibrio finanziario
pluriennale della durata massima di dieci anni12, compreso quello in corso, corredato del parere
dell’organo di revisione economico-finanziaria”. Il piano deve contenere almeno quattro elementi
necessari: a) le eventuali misure correttive “adottate in considerazione dei comportamenti difformi
dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il Patto di stabilità
interno, accertati dalla competente sezione regionale della Corte dei conti”; b) la puntuale
ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo
di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio;
c) l’individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte
le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del
disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il
periodo massimo di dieci anni, da quello in corso; d) l’indicazione, per ciascuno degli anni del
piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e
degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti
fuori bilancio.
9
Sia consentito sul punto il rinvio a M. Degni, Una sola gestione finanziaria per Roma Capitale (http://www.obiettivocomune.it/?
p=541)
10
Un’ulteriore forma di controllo è l’irrigidimento delle procedure di bilancio relativamente al rendiconto, che deve essere
approvato obbligatoriamente entro il 30 aprile dell’anno successivo all’esercizio di riferimento, pena l’attivazione della procedura di
dissesto (per le Regioni è prevista la parificazione del rendiconto da parte della Corte dei conti, analogamente a quanto avviene per il
Rendiconto generale dello stato).
11
L’indicazione della data di esecutività nella delibera può indurre talune amministrazioni a ritardare la pubblicazione dell’atto
approvato al fine di guadagnare tempo nella predisposizione del piano di rientro, che deve essere definito entro il termine perentorio
di 90 giorni (ad esempio nel comune di Rieti la delibera di adesione alla procedura di riequilibrio è stata approvata il 4 febbraio 2013
e pubblicata ad aprile) Su questo punto si sofferma la deliberazione della Corte dei Conti con cui è stato approvato il pian di
riequilibrio (vedi anche M. Degni, Piani di riequilibrio decisivi. Nel comune serve una specifica task force tecnica, http://
www.legautonomie.it/Documenti/Attualita/Piani-di-riequilibrio-decisivi.-Nel-comune-serve-una-specifica-task-force-tecnica.)
12
Erano 5 nella proposta iniziale.
!9
Le principali fattispecie da cui può derivare lo squilibrio strutturale di un bilancio comunale
sono molteplici: a) l’accumulazione di una massa consistente di residui attivi non più esigibili
(causati dall’iscrizione, anno dopo anno, di spese correnti certe ed entrate correnti incerte, che
determina uno squilibrio tra incassi e pagamenti, il quale, a sua volta, si scarica sulla cassa
attraverso il prosciugamento dello scoperto di tesoreria); b) la formazione di debiti fuori bilancio,
causati da una gestione carente del ciclo passivo e dalla sottostima, in fase di previsione, di spese
inevitabili (ad esempio i consumi energetici); c) l’utilizzazione di entrate una tantum per la
copertura di spese correnti di natura permanente (ad esempio i contributi sui piani di zona 167 su
aree di proprietà comunale, accertati come entrate correnti e utilizzati, senza vincoli, per la
copertura di poste correnti del bilancio); d) il mancato accantonamento per spese di contenzioso
(spesso i Comuni hanno molte cause di natura civile aperte che possono produrre oneri in caso di
soccombenza - non a caso la legislazione vigente impone l’accantonamento integrale in caso di
sentenza sfavorevole di primo grado - e spese legali non adeguatamente quantificate; oppure, in
caso di espropri non accettati, non viene effettuato il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti e
non si tiene conto del possibile divario tra esproprio proposto dal Comune e quello rivendicato
dall’espropriato, che potrebbe essere accolto a seguito di ricorso giurisdizionale). La combinazione
di queste mancanze, protratte nel tempo (in alcuni casi vere e proprie irregolarità), può portare
all’accumulazione di un ingente debito in parte preponderante iscritto nel bilancio, cui vanno
aggiunti i residui attivi inesigibili (che, se cancellati, provocano disavanzo di amministrazione), i
debiti fuori bilancio (di cui non a caso è prevista la ricognizione), lo scoperto strutturale di
tesoreria, gli omessi accantonamenti, l’utilizzazione in difformità delle risorse vincolate. L’insieme
di queste patologie, molto diffuse nei comuni (e geograficamente concentrate) saranno presto
sottoposte alla violenta cura prevista dal processo di armonizzazione (decreto legislativo 126 del
2014).
L’adesione al piano di rientro implica delle conseguenze. Si prevede, infatti, per il Comune: a) la
possibilità di deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita,
anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente; b) l’istituzione di
controlli centrali in materia di copertura di costo di alcuni servizi e l’obbligo ad assicurare la
copertura dei costi della gestione dei servizi a domanda individuale (in misura non inferiore al 36
per cento con il calcolo dei costi, per gli asili nido, al 50 per cento del loro ammontare, secondo
quanto previsto dall’art.243, comma 2); c) l’assicurazione, con i proventi della relativa tariffa, della
copertura integrale dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del
servizio acquedotto; d) il controllo sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni di personale; e)
l’obbligo di eseguire un esame straordinario di tutti i residui attivi e passivi conservati in bilancio,
stralciando i residui attivi inesigibili o di dubbia esigibilità da inserire nel conto del patrimonio fino
al compimento dei termini di prescrizione, nonché una sistematica attività di accertamento delle
posizioni debitorie aperte con il sistema creditizio e dei procedimenti di realizzazione delle opere
pubbliche ad esse sottostanti e una verifica della consistenza e integrale ripristino dei fondi delle
entrate con vincolo di destinazione; f) l’obbligo di effettuare una rigorosa revisione della spesa con
indicazione di precisi obiettivi di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione
dei costi di tutti i servizi erogati dall’ente e della situazione di tutti gli organismi e delle società
partecipati e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell’ente.
In cambio di questi impegni è consentito al Comune di procedere all’assunzione di mutui per la
copertura di debiti fuori bilancio riferiti a spese d’investimento in deroga ai limiti previsti, nonché
accedere al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, a condizione
che si sia avvalsi della facoltà di deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima e che si
provveda all’alienazione dei beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini istituzionali
dell’ente, alla rideterminazione della dotazione organica, fermo restando che la stessa non può
essere variata in aumento per la durata del piano di riequilibrio.
!10
In caso di accesso al fondo scattano nuovi obblighi: a) a decorrere dall’esercizio finanziario
successivo, riduzione delle spese di personale, da realizzare in particolare attraverso l’eliminazione
dei fondi per il finanziamento della retribuzione accessoria del personale dirigente e di quello del
comparto; b) entro il termine di un triennio, riduzione almeno del dieci per cento delle spese per
talune prestazioni di servizi; c) entro il termine di un triennio, riduzione, di almeno il venticinque
per cento, di alcune spese per trasferimenti, finanziate con risorse proprie; d) blocco
dell’indebitamento, ad eccezione dei mutui connessi alla copertura di debiti fuori bilancio,
pregressi. Entro dieci giorni dalla data della delibera del consiglio comunale13 il piano di riequilibrio
finanziario pluriennale è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei
Conti, nonché alla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali. Entro il termine di 60
giorni dalla data di presentazione del piano, un’apposita sottocommissione della predetta
Commissione, composta esclusivamente da rappresentanti scelti, in egual numero, dai Ministri
dell’Interno e dell’Economia e delle Finanze tra i dipendenti dei rispettivi Ministeri (e dall’ANCI) ,
svolge la necessaria istruttoria anche sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle
autonomie della Corte dei conti e delle indicazioni fornite dalla competente sezione regionale di
controllo della Corte. All’esito dell’istruttoria, la sottocommissione redige una relazione finale, con
gli eventuali allegati, che è trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti dal
competente Capo Dipartimento del Ministero dell’interno e dal Ragioniere generale dello Stato, di
concerto fra loro. In fase istruttoria, la sottocommissione può formulare rilievi o richieste
istruttorie, cui l’ente è tenuto a fornire risposta entro trenta giorni. La sezione regionale della Corte,
entro il termine di 30 giorni dalla data di ricezione della documentazione, delibera
sull’approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio. In caso di approvazione del piano, la Corte vigila sull’esecuzione dello stesso, pronunciandosi in
sede di controllo. Ai fini del controllo dell’attuazione del piano di riequilibrio finanziario
pluriennale approvato, l’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente trasmette al Ministero
dell’Interno, al Ministero dell’Economia e alla competente sezione regionale della Corte dei conti,
entro quindici giorni successivi alla scadenza di ciascun semestre, una relazione sullo stato di
attuazione del piano e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi fissati dal piano stesso, nonché,
entro il 31 gennaio dell’anno successivo all’ultimo di durata del piano, una relazione finale sulla
completa attuazione dello stesso e sugli obiettivi di riequilibrio raggiunti. La mancata presentazione
del piano, il diniego dell’approvazione, l’accertamento da parte della competente sezione regionale
della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano,
o il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata
del piano stesso, comporta la deliberazione del dissesto.
Come si vede si tratta di una procedura stringente che limita l’autonomia del policy maker,
lasciandogli la guida dell’ente. L’accesso al fondo prevede la corresponsione di un’anticipazione
(quindi non un contributo a fondo perduto), da restituire in un periodo massimo di 10 anni, nei
limiti delle disponibilità del fondo stesso e con un tetto di 300 euro per abitante. Un contributo,
allo stato delle cose, non particolarmente rilevante rispetto al supporto complessivo offerto dalla
procedura, che potrebbe quindi essere attivata anche senza la richiesta dell’anticipazione
finanziaria. Il vantaggio più rilevante sarebbe quello della condivisione del risanamento con un livello
superiore di governo che può aiutare il policy maker locale ad implementare scelte restrittive, che
inevitabilmente si riflettono su cittadini e dipendenti. A questo supporto si aggiunge l’importante
13 Approvata
entro 60 giorni dalla pubblicazione della delibera di richiesta di adesione al piano.
!11
possibilità di dilazionare in un arco decennale lo squilibrio risultante dal disavanzo di
amministrazione e dai debiti fuori bilancio. Al meccanismo delineato, cui hanno fatto ricorso, dal 2012 in poi, un numero significativo di
comuni, anche di rilevanti dimensioni, concentrati, come mostra la ricerca, in alcune parti del
territorio nazionale. L’elemento di criticità che emerge dal quadro normativo, ampiamente
ricostruito nei diversi saggi, sta nella separazione tra azione del ministero dell’Interno da una parte,
che svolge il lavoro istruttorio, e quella della Corte dei Conti dall’altra, cui è affidata la parte
decisiva sulla valutazione iniziale e di attuazione del piano. La separazione appare eccessiva, legata
a relazioni semestrali che rischiano di enfatizzare l’approccio burocratico rispetto a quello
sostanziale. Servirebbe, sul modello richiamato della sanità o dell’Europa, un confronto sostanziale
tra l’ente in difficoltà ed il livello superiore di governo (o il controllore collaborativo), capace di
“suggerire” al comune le scelte necessarie per rientrare in un sentiero di normalità. Un
suggerimento forte, capace di aiutare, anche con supporti operativi, il policy maker locale in
difficoltà, di irrobustirne le spalle anche rispetto agli stakeholder locali, destinatari delle politiche
di risanamento finanziario. Per realizzare questo obiettivo va approntato, soprattutto, uno
strumentario progettuale forte; le sanzioni, pur necessarie come strumento di chiusura, servono a
poco per riportare il comune ad una corretta gestione finanziaria
!
!12
Le procedure di risanamento degli Enti locali: il quadro normativo
di
Vanessa Manzetti1 e Speranza Corbo2
!
SOMMARIO:
1. Premessa metodologica. – 2. Le origini dell’istituto del “Dissesto
Finanziario”: la fase dell’intervento statale. - 3. Il T.U.E.L. e la Riforma Costituzionale del
2001: la fase dell’autonomia degli enti locali: segue 3.1 Il dissesto- segue 3.1.2 Iter procedurale
e soggetti coinvolti. - 4. La “crisi sistemica” come input a rivedere l’istituto del dissesto in
un’ottica preventiva: le nuove procedure del c.d. “dissesto guidato” e “la procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale”.- segue 4.1. - La nuova procedura di c.d. “dissesto
guidato” – segue 4.1.2. Iter procedurale e soggetti coinvolti – segue 4.2. La “nuova” Procedura
di riequilibrio finanziario pluriennale” – segue 4.2.1 Iter procedurale e soggetti coinvolti – 5.
Differenza tra dissesto e piano finanziario pluriennale di riequilibrio – 6. Riflessioni
conclusive
!
1. Premessa metodologica.
!
Il presente studio ha ad oggetto gli istituti apprestati dall'ordinamento vigente per garantire il
ripristino della sana gestione finanziaria degli enti locali che versano in situazioni di grave
squilibrio dei conti.
Esso si propone di offrire una disamina di detti istituti, alla luce delle norme di riferimento,
così come venutesi ad evolvere dai primi anni novanta, a tutt'oggi, anche alla luce degli importanti
mutamenti costituzionali sopravvenuti che hanno determinato sostanziali modifiche nel sistema di
finanziamento degli enti locali e nei loro rapporti finanziari con lo Stato, nonché rafforzato il
principio del pareggio di bilancio ed esteso espressamente a detti enti l'obbligo di partecipare al
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dai Trattati europei.
Tale mutato contesto costituzionale unitamente alle crescenti esigenze di razionalizzazione
della spesa pubblica in funzione correttiva della crisi endemica dell'economia reale hanno
accentuato l'esigenza di cercare strumenti idonei a favorire il risanamento degli enti locali in
1Assegnista
2
di ricerca – Università di Pisa.
Funzionario Corte dei conti.
!1
difficoltà finanziarie, orientando le scelte di politica legislativa nella predisposizione di rimedi
preventivi e alternativi rispetto al tradizionale dissesto finanziario, introdotto nell'ordinamento nel
19893 quale procedura di tipo fallimentare propria della finanza locale ed anch'esso fatto oggetto
di ripetute modifiche in coerenza con gli sviluppi della normativa di settore.
Il ricostruito excursus legislativo evidenzia, infatti, come all'unica originaria fattispecie del
dissesto finanziario il legislatore abbia inteso affiancare in tempi più recenti nuove procedure intese
a responsabilizzare direttamente gli enti interessati nel conseguimento di un riequilibrio durevole
dei propri conti ed aventi, per costruzione, natura preventiva rispetto al dissesto.
Il quadro normativo attuale, in sé di difficile ricostruzione sistematica a motivo dei frequenti
e reiterati interventi correttivi di vario tenore di cui è stato fatto oggetto in sede di normativa di
stabilità, genera non pochi dubbi ed incertezze interpretative, anche in considerazione della
molteplicità di aspetti di diritto privato, contabile, amministrativo e penale sui quali esso è destinato
ad impattare.
Non è difficile, pertanto, ipotizzare che esso – illustrato in appendice in apposita TAB 1 sia ancora ben lontano dall'essere consolidato e che nuovi interventi correttivi si renderanno
necessari anche in base alle evenienze problematiche concretamente emergenti in fase applicativa.
E' di fondamentale rilievo, quindi, per il conseguimento di quella certezza che è fortemente
auspicabile in una materia di siffatta delicatezza, l'apporto costruttivo che gli stessi enti locali
saranno in grado di profondere, in questa fase di primo approccio ai nuovi istituti, nell'individuare
problemi e prospettare soluzioni migliorative. Notevole è pure il contributo che la giurisprudenza
contabile e l'attenta dottrina possono dare in tale direzione.
L'esame delle norme enunciate nella loro successione cronologica consente di affermare
come il processo evolutivo della materia, dalle origini all'attualità, sia stato segnato da alcune
innovazioni di carattere sostanziale che hanno investito le stesse modalità di approccio alle
problematiche del risanamento, influendo sulla rimodulazione degli istituti tradizionali e sulla
introduzione di istituti nuovi. Tale processo, infatti, può essere articolato nelle seguenti tappe
principali, ciascuna delle quali ha segnato un momento di svolta decisiva nella disciplina in
commento, con ricadute sulle scelte applicative degli enti locali: :
3Istituto
introdotto con D.L. 2 marzo 1989, n. 66 e relativa legge di conversione e destinato a quelle situazioni non
rimediabili con strumenti ordinari di bilancio.
!2
1.
una prima fase, caratterizzata da interventi di risanamento consistenti essenzialmente
nell'ammissione alla fruizione di risorse finanziarie straordinarie, acquisite mediante il ricorso al
mercato del credito, cioè mediante contrazione di mutui con o senza oneri a carico dello Stato;
2.
una seconda fase, di rimodulazione necessitata alla luce del divieto di ricorrere
all'indebitamento per il finanziamento di spese correnti posto dall'art. 119 Cost. nel testo novellato
dalla Legge costituzionale n. 3/2001, nonché di maggiore responsabilizzazione degli enti interessati
nell'adozione di politiche di riequilibrio strutturale dei propri bilanci, indotta dalle stesse modifiche
del titolo V della Costituzione in chiave “federalista”;
3.
una terza fase, quella attuale, determinata dalla congiuntura economica in atto e
dall'assunzione di impegni sovranazionali cogenti di garanzia degli equilibri della finanza locale
quale componente del sistema di finanza pubblica allargata, che ha condotto ad un nuovo approccio
preventivo alle situazioni di squilibrio finanziario degli enti locali, non più incentrato sull’istituto
del dissesto ma su un articolato quadro di “politiche di risanamento”.
Secondo la descritta logica evolutiva si è inteso articolare il prosieguo del presente lavoro,
che tenderà ad inquadrare istituti vecchi e nuovi secondo la “ratio” che li sostiene e nelle
implicazioni reciproche che essi inevitabilmente sottendono, nonché nelle connessioni con il regime
ordinario della contabilità degli enti locali contenuto nel d.lgs. n. 267/2000 – Testo unico degli enti
locali - della Parte II – Ordinamento finanziario e contabile – agli artt. 149 e seguenti.
Giova precisare, al riguardo, che nello stesso TUEL è stata fatta confluire buona parte delle
disposizioni innovative in materia di situazioni di crisi finanziaria comunale e di rimedi per esse
apprestati, disposizioni formulate come integrazioni ed emendamenti al medesimo TUEL e
precisamente nella richiamata parte II Titolo VIII rubricato “Enti locali deficitari e dissestati” (artt.
242-269)4 .
E' a tali disposizioni che si farà prioritario rifermento anche per esaminare la correlata
normativa contenuta in fonti diverse, tenendo presente che tutti gli istituti da esaminare hanno a
presupposto squilibri finanziari soggettivamente straordinari, cioè non ripianabili con le risorse di
4
Nel dettaglio il Capo I disciplina le seguenti fattispecie: Art. 242. Individuazione degli enti locali strutturalmente
deficitari e relativi controlli; Art. 243. Controlli per gli enti locali strutturalmente deficitari, enti locali dissestati ed altri
enti; Art. 243-bis. Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale; Art. 243-ter. Fondo di rotazione per assicurare la
stabilità finanziaria degli enti locali; Art. 243-quater. Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e controllo
sulla relativa attuazione Art. 243-quinquies. Misure per garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per
fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
!3
cui gli enti interessati possono fisiologicamente disporre ordinariamente a tali scopi, secondo
modalità e tempi di cui agli artt. 193 e 1945 TUEL.
Detti istituti, ancorché parzialmente convergenti nei presupposti e nelle finalità, presentano
peculiarità procedurali ed effetti specifici che ne connotano l'autonomia. Si tratta, peraltro, di
fattispecie concepite secondo una sorta di una progressione graduale, che permette di affrontare le
diversificate situazioni di precarietà delle gestioni finanziarie degli Enti locali – quali emergenti in
concreto – in modo differenziato e sotto la diretta responsabilità dei propri Organi istituzionali,
prima di approdare al rimedio irreversibile e drastico del dissesto finanziario.
Le fattispecie oggetto di studio, sono le seguenti:
•
deficitarietà strutturale (artt. 242 e 243 TUEL) 6;
•
riequilibrio finanziario pluriennale (Art. 243 bis - 243ter- 243 quater TUEL) ;
•
dissesto finanziario ordinario (Art. 244 - 269 TUEL) e “guidato” (art. 6, co. 2 d.lgs.
6 settembre 2011, n. 149).
Si ritiene, peraltro, di prendere le mosse dall'istituto più antico, cioè quello del dissesto
finanziario, per
evidenziarne i caratteri originari e quelli via via assunti nel mutato contesto
sistematico attuale.
!
2. Le origini dell’istituto del “Dissesto Finanziario”: la fase dell’intervento statale.
!
In considerazione dell’articolato quadro normativo si è scelto di seguire un iter cronologico
esplicativo. È, infatti, necessario inquadrare e rileggere l’istituto del “Dissesto Finanziario” dalla
sua introduzione alle susseguenti modificazioni in materia alla luce dell’iter evolutivo della finanza
locale, nonché del conseguente ruolo della Corte dei conti7.
Seguendo tale chiave di lettura è possibile individuare tre fasi della vita dell’istituto:
5
Si tratta degli articoli che individuano gli strumenti ordinari, a disposizione degli enti locali, per ripristinare gli
equilibri generali di bilancio: art. 193: salvaguardia degli equilibri (utilizzo di tutte le entrate, salvo eccezioni); art. 194:
per i debiti fuori bilancio (rateizzazione triennale o mutui).
6
La condizione “strutturalmente deficitaria”, di cui all'art. 242, comma 1, del TUEL ricorre quando l'ente presenta
“gravi e incontrovertibili condizioni di squilibrio”, rilevabili mediante parametri obiettivi risultanti da apposita tabella
allegata al certificato sul rendiconto della gestione del penultimo esercizio precedente quello di riferimento.
Specificatamente, la situazione strutturalmente deficitaria ricorre per la contemporanea presenza di almeno la metà di
questi parametri, fissati con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali. Gli
enti strutturalmente deficitari sono assoggettati al controllo della Commissione per la finanza e gli organici degli enti
locali, relativamente alle assunzioni del personale ed alle dotazioni organiche, e devono rispettare una serie di
limitazioni in ordine alla percentuale dei costi dei servizi da loro erogati, da coprire con i relativi proventi tariffari.
7Si
veda per approfondimenti il secondo contributo di questo lavoro .
!4
1.
il dissesto, nato alla fine degli anni Ottanta, ha avuto una grande diffusione nei primi
anni Novanta perché i Comuni, allettati dal contributo statale, ne hanno fatto un uso
abusivo;
2.
alla luce dell’autonomia finanziaria sancita dalla Riforma Costituzionale degli enti
locali il ricorso al dissesto è stato meno frequente. La Legge Costituzionale n. 3/2001
costituisce il passaggio fondamentale nella formazione e riordino della normativa di
riferimento, che ha segnato un confine di svolta tra quella che si potrebbe
tranquillamente definire “vecchia” normativa incentrata sulla regolazione del
dissesto e la “nuova” normativa che ridefinisce limiti e azioni degli enti e di tutti gli
attori in causa, introducendo anche meccanismi alternativi al dissesto tradizionale.;
3.
alla luce della crisi che ha investito i mercati mondiali, dai vincoli economici europei
e della normativa prodotta in Italia in materia di federalismo fiscale gli enti locali si
sono trovati in una situazioni di sempre minori risorse, a cui è conseguito il maggior
rischio di ricorrere alla procedura straordinaria del dissesto. Si tratta di contingenze
che avrebbe potuto trasformare il ricorso al dissesto da operazione extra ordinem (da
porre in essere solo in occasioni di reale paralisi strutturale) in una procedura
ordinaria. Ma la volontà di evitare e prevenire tale situazione ha portato ad avviare
un ripensamento generale delle politiche di risanamento in ottica preventiva, con la
conseguente emersione della c.d. procedura di dissesto guidato prima ex art. 6,
comma 2, d. lgs n. 149/ 2011 e della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale
poi ex .243 bis e ss. TUEL.
!
Il processo di disciplina della materia del “disseto finanziario” ha preso avvio per porre
rimedio alla stato cronico di deficit di bilancio in cui si trovavano Comuni e Province, in un
contesto contraddistinto da inadeguatezza organizzativa e inesistenza e/o inefficienza dei sistemi di
controllo.
Il deficit prodotto da questi enti frutto di cattive ed eccessive politiche di spesa che
puntualmente varcavano i limiti degli stanziamenti di spesa assegnati dallo Stato, si rispecchiava in
generali in bilanci contraddistinti da una consistente massa di debiti fuori bilancio, non più gestibili
con gli strumenti ordinari.
!5
Una situazione che sul finire degli anno ’80 stava portando all’esplosione del debito
pubblico nazionale. Occorreva, pertanto, un intervento legislativo finalizzato a porre rimedio al
fenomeno.
In un primo momento l’approccio scelto fu quello di intervenire con un sostegno statale per
il ripiano dei bilanci, (che forse proprio in relazione a quest’aiuto venivano chiusi di solito in
disavanzo), ispirati della teoria economica del deficit spending. Così per ripianare le situazioni
deficitarie, la legge n. 420/68 e poi il D.P.R. 651/72 regolavano l’intervento dello Stato attraverso
l’elargizione di contributi diretti e successivamente con l’istituzione di un fondo per il risanamento
dei bilanci di Comuni e Province.
L’introduzione nel 1977 con i c.d. decreti Stammati (DD.LL. n. 2/77 e n. 946/77) della
deliberazione da parte degli enti locali di un bilancio previsionale preventivo, insieme con altri
vincoli (tra i quali, inizialmente, l’assoluto divieto di assunzione di nuovo personale) ha iniziato a
porre dei limiti all’attività di questi, grazie all’introduzione di principi cardine8 volti al risanamento
finanziario attraverso un massiccio finanziamento degli enti locali (in particolare deliberazione del
bilancio di previsione in pareggio; divieto di ricorso all’indebitamento a breve presso istituti di
credito; trasferimenti dei mutui a breve e trasformazione degli stessi in decennali allo Stato per il
fronteggiamento dei disavanzi economici; limite percentuale di incremento della spesa prevista;
controllo delle assunzioni nei limiti; delibera delle variazioni delle addizionali sulle tasse comunali).
Ma il punto di svolta, se non di partenza, si ha avuto con l’art. 25 “Risanamento degli enti
locali dissestati e mobilità del personale degli enti medesimi” del Decreto Legge 2 marzo 1989, n.
66, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 144/1989 che ha introdotto per la prima volta
nell’ordinamento giuridico l’istituto del dissesto finanziario.
La ratio dell’istituto è individuabile nell’esigenza di far fronte all’indebitamento pregresso,
accumulato negli anni dagli enti, pari alla somma del disavanzo di amministrazione prodotto, come
da conto consuntivo dell’ultimo esercizio prima del dissesto, e dei debiti fuori bilancio
riconoscibili9, in quanto rispondenti ai fini istituzionali dell’ente locale non fronteggiabile con gli
strumenti di risanamento ordinari.
8Principi
successivamente ribaditi e rafforzati dal D.L. n. 153/80 convertito nella L. n. 299/80.
9Il
ripianamento dei debiti fuori bilancio poteva avvenire solamente a fronte del rispetto di due condizioni: 1. l’esistenza
della disponibilità finanziaria per farvi fronte; 2. la contrazione degli stessi per l’espletamento di pubbliche funzioni e
servizi.
!6
Tale istituto si configura come una procedura concorsuale sui generis per il fatto che,
essendo il soggetto da essa investito un ente territoriale, preordinato al fine supremo dell’interesse
pubblico di cura degli interessi della comunità locale, non può essere soggetto ai vincoli tipici delle
procedure concorsuali. Ne discende la connaturale impossibilità di sottoporre gli enti locali alla
procedura fallimentare ed ai vincoli tipici delle comuni procedure concorsuali, e la necessità di una
procedura ad hoc. Secondo il disposto dell’art. 25 “Le amministrazioni provinciali ed i comuni che
si trovano in condizioni tali da non poter garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi
primari, sono tenuti ad approvare, con deliberazione dei rispettivi consigli, il piano di risanamento
finanziario per provvedere alla copertura delle passività già esistenti e per assicurare in via
permanente condizioni di equilibrio della gestione.”
All’ente che si trovava nell’impossibilità di risanare la condizione finanziaria suddetta, la
norma imponeva un nuovo regime di comportamento introducendo l’obbligatorietà della
dichiarazione di dissesto
10
in caso di incapacità di assicurare i servizi essenziali ovvero
dell’esistenza di un volume di indebitamento sanabile solo attraverso gli strumenti eccezionali
previsti dalla normativa.
Strumenti che prevedevano, tra l’altro, un intervento dello Stato attraverso aiuti finanziari
negli enti sottodotati per ripianare le situazioni debitorie createsi e per rimborsare le quote dei costi
del personale posto in mobilità trasferito presso altri enti e proporzionare la dotazione di personale
dell’ente dissestato in modo tale da essere in linea con il numero di popolazione e della fascia
demografica di appartenenza fissata dalla legge.
Lo Stato assicurava il pagamento dei dipendenti posti in mobilità e allo stesso tempo
adeguava i contributi di fascia correnti innalzandoli al limite della media pro-capite della relativa
classe demografica. Detto intervento avveniva solo in via successiva all’approvazione del piano di
risanamento che l’ente deve presentare al Ministero dell’Interno.
Per quanto riguarda i limiti temporali degli adempimenti che l’ente doveva rispettare, una
volta avviata la procedura, il precetto nulla indicava in questione creando così delle situazioni di
stasi.
L’immobilismo amministrativo che si era venuto a creare, a seguito di delibere di dissesto
che non trovavano attuazione nelle procedure di risanamento che erano per la maggior parte
congelate, comportò l’introduzione di nuovi correttivi nella materia attraverso il disposto dell’art.
10Contraddistinta
dall’irrevocabilità e pubblicità. Sulla natura della dichiarazione di dissesto vedasi Consiglio di Stato,
sentenza n. 143/2012.
!7
21 del Decreto Legge 18 gennaio 1993, n. 8 convertito con modificazioni dalla Legge 19 marzo
1993, n. 68, che prevede lo scioglimento del consiglio Comunale per mancata dichiarazione.
Ma il principale fine che il legislatore si è posto è stato quello di un vero e proprio
avvicinamento della procedura del dissesto alla figura del fallimento di natura privatistica, nella
fattispecie della liquidazione coatta amministrativa11.
Il nuovo disegno di legge introduceva una temporizzazione degli adempimenti, 10 anni per
la procedura di dissesto, e l’istituzione della figura dell’organo straordinario di liquidazione (in
seguito anche OSL) la nomina del Presidente della Repubblica fra magistrati, funzionari statali e
dottori commercialisti di spiccata levatura e conoscenza pluriennale della materia. L’OSL è un
organo la cui composizione nel numero dei membri è determinato in relazione alle dimensione della
popolazione: nei comuni con più di 5.000 abitanti e per le province il comitato è composto da tre
membri, al di sotto di tale limite l’organo assume la veste monocratica.
La nascita di questo organo ha generato una scissione nella gestione del dissesto: l’ente
mantiene la competenza della cura del risanamento attraverso i provvedimenti previsti
dall’adozione della delibera di dissesto in avanti, mentre all’organo liquidatore veniva affidato il
compito della gestione del periodo precedente alla dichiarazione di dissesto, dal pagamento
dell’indebitamento pregresso e della predisposizione del piano di estinzione delle passività (entro
tre mesi dalla nomina).
Al fine di ottemperare al pagamento del pregresso l’organo ricorreva all’utilizzo di risorse
finanziarie prodotte dagli strumenti eccezionali e dalla contrazione di un mutuo concesso dalla
Cassa depositi e prestiti12. Tale mutuo era finanziato, ovviamente, per garantire all’OSL
l’assolvimento dei suoi compiti. L’importo di detto finanziamento accordabile all’ente, richiesto
presso la Cassa Depositi e Prestiti a carico dello Stato, veniva assegnato nella misura in cui la rata
di ammortamento non doveva superare per importo la somma dei mutui per investimenti dell’ente
rimasti accantonati, incrementate da un contributo statale. Quest’ultimo contributo, finanziato con il
fondo di cui all’art. 4, comma 1, lettere b) e c) dello stesso D.L. n. 8/199313, veniva parametrato in
base al numero della popolazione dell’ente senza, comunque, superare un limite massimo.
11E.
Spicaglia, Il dissesto finanziario degli enti locali, Roma, 2001
12A
proposito della natura giuridica della Cassa Depositi e Prestiti, si veda M. Cardi, Cassa Depositi e Prestiti e
Bancoposta identità giuridiche in evoluzine, Bari, 2012. In particolare per la sua privatizzazione, si richiama G. Della
Cananea, La società per azioni Cassa Depositi e Prestiti, in Gior. Dir. Amm., 2004.
13“Fondo
per lo sviluppo degli investimenti delle amministrazioni provinciali, dei comuni e delle comunità montane,
mutui, contributi in conto capitale agli enti locali ed investimenti degli enti locali.”
!8
Caratteristica importante della nuova procedura era che se l’organo, a seguito delle risorse
prodotte, non fosse riuscito a sanare completamente il pregresso, questi avrebbe dovuto operare su
base percentuale e consequenzialmente la parte residua sarebbe tornata a gravare sull’ente
riequilibrato con il rischio che tale situazione potesse creare le basi per una nuova dichiarazione di
dissesto; ipotesi questa difficilmente e ragionevolmente non ripetibile14 alla luce dei provvedimenti
di tagli e riduzioni delle spese adottate dall’ente stesso.
Nel tempo si sono succeduti ulteriori provvedimenti normativi necessari per raffinare e
migliorare la materia a seguito delle situazioni che si venivano a creare con l’operare degli enti e
dell’organo di liquidazione.
In primis il Regolamento recante norme sul risanamento degli enti locali dissestati, D.P.R. n.
378/1993 il quale accorpa e regola quanto previsto dalla disciplina per ciò che concerne le fasi del
risanamento e soprattutto in materia di competenze dell’OSL. Il d. lgs 25 febbraio 1995, n. 77 e
successive modifiche e integrazioni (Delega Bassanini L. 127/97, art. 9) poi, che segna importanti
novità dal punto di vista formale riunendo in unico documento la materia e fornendo una disciplina
organica dell’istituto. Dal punto di vista procedurale ha, inoltre, previsto:
1.
le cause di prelazione per il pagamento dei debiti, nel caso l’organo fosse stato costretto a un
rimborso parziale dei debiti contratti, secondo cui si viene a creare una differenziazione all’interno
della categoria dei creditori dell’ente, riconoscendo così diritti prima negati ai creditori, i quali
venivano posti tutti sullo stesso piano;
2.
la riduzione dei tempi della procedura passando dai precedenti dieci ai cinque anni. Il
dimezzamento dei tempi va sia a vantaggio dei creditori, i quali si vedranno rimborsati prima i
propri crediti, che dell’ente stesso, il quale vedrà dimezzato il tempo di attuazione di tutte le misure
correttive di innalzamento delle aliquote delle imposte dei tributi, le quali rendono l’ente e gli
amministratori stessi impopolari agli occhi dei propri cittadini.
In seguito, il d. lgs. 11 giugno 1996, n. 336 continua l’opera di snellimento dei tempi della
procedura, apportando modifiche sui tempi di esecuzione degli adempimenti, sia per ciò che
compete all’ente sia per ciò che compete all’OSL.
Tuttavia, l’apporto principale fu l’introduzione del piano di rilevazione dei debiti da
depositare presso il Ministero dell’Interno quale lasciapassare per la contrazione del mutuo
14Il
concretizzarsi di una seconda dichiarazione di dissesto da parte dello stesso ente è avvenuta solamente in 7 casi sui
460 dichiarati dal 1989 al 22 febbraio 2012 riscontrabile dai dati forniti dalla Corte dei conti con la delibera n. 13/
SEZAUT/2012/FRG del luglio 2012.
!9
demandando così in un secondo tempo la stesura finale del piano di estinzione di tutte le passività
dell’ente. Si tenga presente che ora l’OSL può inserire nel piano anche i debiti non riconosciuti
dall’ente, con la condizione sine qua non che esista documentazione che ne suffraghi le pretese dei
creditori.
Veniva, poi, stabilito che se l’OSL fosse riuscito a ripianare il debito con il solo mutuo a
carico dello Stato non ci fosse nessun obbligo di procedere alla dismissione del patrimonio
disponibile dello stesso. È possibile che nelle intenzioni del legislatore ci fossero quelle di non
costringere l’ente al depauperamento delle proprie risorse al fine di preservarne il più possibile le
potenzialità per quando lo stesso fosse tornato in bonis.
Ulteriori nuovi dettati normativi, con i d. lgs 15 settembre 1997, n. 342 e 23 ottobre 1998, n.
410 hanno introdotto altri aspetti nella procedura:
•
la figura della procedura semplificata, di cui si dirà meglio nel seguito quando se ne
affronteranno gli aspetti principali, sottolineando come la stessa renda più snella la
procedura di liquidazione, per il fatto che i creditori accettano di essere transati in via
parziale, con una somma che varia tra il 40 e il 60% del credito. L’OSL in questo caso non
dovrà più redigere il piano di rilevazione ma direttamente il rendiconto della liquidazione
che verrà inviato al Comitato regionale di controllo e all’organo di revisione competenti per
le verifiche sull’operato dello stesso dal punto di vista gestionale;
•
riscrittura della procedura della definizione della massa passiva con il solo obbligo dell’OSL
di dare pubblicità dell’avvio del procedimento di liquidazione e conseguentemente
inversione dell’onere della prova, ora a carico del creditore, per l’inserimento nella stessa
dei crediti vantati nei confronti dell’ente. Il termine di scadenza entro il quale doveva essere
presentata la domanda di insinuazione del credito preteso veniva fissato dallo stesso OSL in
maniera del tutto discrezionale, comunque entro i 180 giorni limite di presentazione del
piano di rilevazione da parte dello stesso organo al Ministero dell’Interno;
•
la pronuncia da parte del Ministero dell’Interno in merito alla conferma dell’esclusione o del
successivo riconoscimento e inserimento dei crediti presentati ed esclusi dall’OSL nel piano
di rilevazione dei debiti;
•
infine, la possibilità di sostituzione, totale o parziale, dell’OSL in caso di negligenza o
ritardi ingiustificati nella procedura di formazione del piano suddetto o di inadempienza nel
rispetto del termine della formazione dello stesso. Il provvedimento viene preso dal
Ministero dell’Interno, sentita la Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali e
!10
gli interessati, che propone al Presidente del Repubblica l’adozione del provvedimento di
sostituzione ex art. 6, comma 1, lettera b) decorsi infruttuosamente i 60 giorni, più gli
eventuali 30 di proroga con provvedimento motivato.
Le finalità dell’istituto sono sempre quelle di riportare l’ente in equilibrio finanziario
attraverso l’adozione di una procedura amministrativa.
Questa norma di riferimento, raccolta nel Testo Unico degli Enti Locali, è stata oggetto di un
vero e proprio ripensamento per quanto concerne le modalità di intervento dello Stato “in soccorso”
degli enti locali.
!
3. Il T.U.E.L. e la Riforma Costituzionale del 2001: la fase dell’autonomia degli enti
locali.
!
L’emanazione del D.Lgs n. 267/2000 e la Riforma del Titolo V della Costituzione con la
Legge Costituzionale n. 3/2001 segnano due dei momenti più importanti nella disciplina del
dissesto.
La concentrazione di tutte le norme che nel tempo si sono succedute in materia, dal 1989 al
2000, nel Testo Unico degli Enti Locali - che ha dedicato alla materia il Titolo VIII della Parte II –
è stata fondamentale da un punto di vista qualitativo, nel senso di una maggiore organicità.
A questo è seguita la Legge Costituzionale n. 3/2001, con cui si è dato avvio ad un vero
processo riformatore in materia di enti locali, attraverso i dettati degli articoli 117, 118 e 119, i quali
hanno sancito il definitivo passaggio delle funzioni amministrative in capo allo Stato ai Comuni
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e di autonomia finanziaria di
entrata e di spesa.
Il novellato art. 119 della Costituzione, consente le operazioni di indebitamento
esclusivamente destinate a spese di investimento ed ha reso necessario un nuovo sistema di
risanamento con oneri a carico , non dello Stato, come era previsto prima delle modifiche, ma
dell’Ente locale e dei suoi cittadini.
Infatti, in relazione al disposto dell’art. 119, sono state emanate tutta una serie di
disposizioni normative che hanno prima abrogato, con la legge finanziaria del 2003 (art. 31, comma
15, L. n. 289/2002), e poi reintrodotto parzialmente la regola di contrazione dei mutui necessari per
il risanamento degli enti dissestati e il relativo onere di ammortamento sopportato dallo Stato.
!11
Pertanto in tema di dissesto finanziario si è creata una vera e propria linea di demarcazione
tra gli enti che avevano dichiarato il dissesto prima o dopo l’entrata in vigore della l. n. 3/2001
(precisamente dall’8 novembre del 2001).
Per rimettere le cose in ordine15 è intervenuto il dettato del D.L. n. 80/2004 convertito con
Legge 28 maggio 2004, n. 140 che all’art. 5 ha previsto tutta una serie di ipotesi a seconda del
momento di avvenuta dichiarazione di dissesto:
-
per tutti gli enti che hanno dichiarato il dissesto prima dell’8 novembre 2001 rimane in
vigore la vecchia normativa in tema di assunzione di mutui e contribuzione statale sul
relativo onere di ammortamento;
-
per gli enti che hanno dichiarato il dissesto successivamente alla data suddetta continua la
possibilità di contrarre il mutuo ma senza oneri a carico dello Stato per spese di
investimento e per i debiti fuori bilancio contratti prima di tale data;
-
infine per i debiti maturati antecedentemente alla data di dissesto pur se riconosciuti
successivamente, anche con provvedimento giurisdizionale, possono essere inseriti nella
massa passiva ai sensi dell’art 252, comma 4, e 254, comma 3, purché non oltre la data di
approvazione del rendiconto della liquidazione.
!
segue 3.1.)
Il dissesto finanziario
In tale contesto, stato di dissesto finanziario si configura ex art. 244 TUEL se ”l'ente non può
garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” (c.d. dissesto per ragioni
funzionali) ovvero esistano “nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non
si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'articolo 193, nonché con le modalità di
cui all'articolo 194 per le fattispecie ivi previste” (c.d. dissesto per ragioni finanziarie)”.
Si tratta pertanto di due ipotesi distinte, che operano anche disgiuntamente, benché
strettamente collegate16, e che in particolare nel caso di dissesto per ragioni funzionali si configura
15Inoltre
lo Stato ha più volte garantito l’elargizione di cospicue somme di denaro, seppur dandogli la veste di interventi
a carattere straordinario, al fine di agevolare ed evitare possibili blocchi nelle procedure di liquidazione per quei dissesti
pronunciati successivamente alla Legge costituzionale del 2001.
16Vedasi A.
Brancasi, L'ordinamento contabile, Giappichelli, Torino, 2005,pag. 475
!12
come fattispecie peculiare ed esclusiva dell’istituto del dissesto degli enti territoriali, che lo
distingue dalle procedure fallimentari tipiche dell’impresa commerciale17.
Il dissesto finanziario rappresenta la forma più grave in cui può manifestarsi la crisi
finanziaria di un ente locale. Una forma più lieve è, invece, quella definita di deficitarietà strutturale
ex art. 242 TUEL18 che individua gli enti locali che presentano gravi ed incontrovertibili condizioni
di squilibrio, rilevati in appositi allegati al rendiconto della gestione del penultimo esercizio
precedente a quello di riferimento. Il Ministero dell’Interno, con proprio decreto, fissa
periodicamente i parametri che devono essere rispettati per non incorrere nella condizione di ente
strutturalmente deficitario.19 La procedura ex art. 243 TUEL prevede un controllo da parte della
Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (Commissione del Ministero
dell’Interno) sulle dotazioni organiche, sulle assunzioni di personale, sulla copertura del costo di
alcuni servizi, tra cui quello dei servizi a domanda individuale20, del servizio di acquedotto21, del
servizio di smaltimento rifiuti.22. Una novità introdotta dal d.l. n. 174/2012 riguarda l’obbligo di
inserire nei contratti di servizio stipulati con società controllate (non quotate) apposite clausole
volte a prevedere, ove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di
personale (art. 243, comma 3 bis). La sanzione applicata in caso di mancato rispetto dei livelli
17Così
come sottolineato da C. PAGLIARIN, Il Diritto della Regione, n. 1/2011. L’Autore sottolinea infatti come “già
l'individuazione delle cause che determinano il dissesto, così come la relativa disciplina, che vedremo, ci fa
comprendere come si sia di fronte ad un regime per certi versi analogo, ma al contempo molto diverso, rispetto a quello
del fallimento. Il fallimento dell'impresa commerciale è lo stato di insolvenza, quale ricorre in presenza di generici
“inadempimenti od altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni”, come prevede la legge fallimentare. Al contrario, si può parlare di dissesto di
province e comuni non soltanto in presenza di uno stato di insolvenza, e cioè dell'incapacità dell'ente di onorare i suoi
debiti, ma anche allorché esso si trova nell'impossibilità di assolvere le funzioni ed i servizi indispensabili di sua
competenza.”
18Art.
242, TUEL: “1. Sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitarie gli enti locali che presentano gravi
ed incontrovertibili condizioni di squilibrio, rilevabili da un apposita tabella, da allegare al rendiconto della gestione,
contenente parametri obiettivi dei quali almeno la metà presentino valori deficitari. Il rendiconto della gestione è
quello relativo al penultimo esercizio precedente quello di riferimento. 2. Con decreto del Ministro dell'interno di
natura non regolamentare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono fissati i parametri obiettivi,
nonché le modalità per la compilazione della tabella di cui al comma 1. Fino alla fissazione di nuovi parametri si
applicano quelli vigenti nell'anno precedente. 3. Le norme di cui al presente capo si applicano a comuni, province e
comunità montane.”
19Il
Ministero con decreto 18 febbraio 2013, ha aggiornato, i parametri di deficitarietà strutturale per il triennio
2013-2015. Detti parametri trovano applicazione a partire dagli adempimenti relativi al rendiconto della gestione
dell’esercizio 2012 ed al bilancio di previsione dell’esercizio 2014. Per il triennio 2010-2012, era in vigore il D.M. 24
settembre 2009.
20Costo
da coprire con proventi tariffari e contributi finalizzati in misura non inferiore al 36%.
21Costo
da coprire con tariffa almeno all’ 80%.
22Costo
da coprire con tariffa nella misura prevista dalla legislazione vigente.
!13
minimi di copertura (o di mancata trasmissione della certificazione ) è la riduzione pari all’1% delle
entrate correnti su risorse attribuite dallo Stato.23
La condizione di deficitarietà strutturale se non risanata, può condurre al dissesto.
!
segue) 3.2. Iter procedurale e soggetti coinvolti
In presenza dei presupposti, previsti dalla legge, l'Ente locale è tenuto alla dichiarazione di
dissesto24, non essendo la stessa frutto di una scelta discrezionale, quanto piuttosto una
determinazione finalizzata al ripristino dell’equilibrio di bilancio, funzionale a riportare il
funzionamento dell’ente in condizioni di normalità, anche al fine di evitare un ulteriore aggravarsi
della situazione finanziaria 25
“Il risultato ultimo dell'intera procedura è quello di restituire l'ente all'espletamento delle
sue funzioni istituzionali in una situazione di ripristinato equilibrio finanziario” (Corte cost. n.
155/1994) al fine di garantire i servizi indispensabili ai cittadini.
La procedura di risanamento finanziario del dissesto, pertanto, mira al ripristino degli
equilibri di bilancio e della ordinaria funzionalità degli enti locali in grave crisi finanziaria e, in via
mediata, ad assicurare la tutela di interessi primari, relativi al buon andamento, alla continuità
dell’azione amministrativa, e alla parità di trattamento dei cittadini delle varie zone geografiche del
Paese nella fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni.26
La delibera di dissesto deve contenere una valutazione sulle cause del dissesto ed una
relazione dell’organo di revisione allegata alla delibera stessa. Una volta approvata, viene trasmessa
al Ministero dell’Interno e alla Procura della Corte dei conti ed è pubblicata sulla Gazzetta ufficiale
insieme al DPR di nomina dei componenti dell’organo straordinario di liquidazione (Osl).
La nomina dell’Osl sancisce, di fatto, l’inizio della procedura.
La gestione dell’Ente viene ripartita tra l’Osl, cui spetta il ripiano dell’indebitamento
pregresso nel rispetto della par condicio creditorum, e gli organi istituzionali dell’Ente, che hanno il
compito di eliminare le criticità gestionali pregresse e assicurare condizioni stabili di equilibrio
23In
caso di incapienza, versamento a bilancio dello Stato.
24Tale
obbligo si estende anche al commissario nominato ai sensi dell’art. 141, co. 3, TUEL.
25Cfr.:
Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 260 del 27.06.2012; Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.01.2012, n. 143; Sezione regionale di controllo per la Campania n. 1/2014; Sezione regionale di controllo
per la Calabria n. 2/2014.
26Al
riguardo, vedasi F. Albo “Il dissesto finanziario negli enti locali alla luce del decreto legislativo n. 149/2011”
Azienditalia n. 3/2012.
!14
corrente avvantaggiandosi del fatto che il passato è gestito da una commissione competente e dai
rimedi che favoriscono il ripristino degli equilibri di bilancio e di cassa tra i quali assumono
particolare rilievo il blocco delle procedure esecutive27, il carattere non vincolante dei pignoramenti
eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto, la non ammissibilità di
sequestri e procedure esecutive nei confronti della massa attiva, la sospensione della decorrenza
degli interessi e della rivalutazione monetaria su tutti i debiti e sulle anticipazioni di cassa.
Dichiarato il dissesto, quindi, si ha la netta separazione di compiti e di competenze tra la
gestione passata e quella corrente: l’amministrazione locale deve gestire, con azioni corrette e
trasparenti, il bilancio risanato assicurando con priorità le prestazioni fondamentali ed evitando di
incorrere in un nuovo dissesto.
L’Ente durante la procedura in esame può avvalersi dei rimedi previsti in caso di accesso al
procedimento di dissesto finanziario, idonei a ricondurre l’Ente stesso in bonis (ex. artt. 248 e 255
del TUEL)28.
Il capo III del titolo VIII del TUEL disciplina l’attività dell’Osl, cui è demandata la
competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno
precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato. In particolare, l’Osl provvede alla:
a)
rilevazione della massa passiva;
b)
acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche
mediante alienazione dei beni patrimoniali;
c)
liquidazione e pagamento della massa passiva.
Il capo IV (artt. 259- 263) detta la disciplina per il bilancio stabilmente riequilibrato, che,
approvato dal Consiglio dell’Ente entro tre mesi dalla nomina dell’Organo straordinario di
liquidazione è presentato al Ministero dell’Interno, e deve riferirsi all’esercizio finanziario
successivo a quello nel corso del quale è stato dichiarato il dissesto, qualora per tale anno sia stato
approvato il bilancio di previsione, oppure all’esercizio in corso qualora non sia stato approvato il
bilancio di previsione. Nei casi in cui, però, la dichiarazione di dissesto sia adottata nel corso del
secondo semestre dell’esercizio finanziario per il quale risulta non essere stato ancora validamente
deliberato il bilancio di previsione o sia adottata nell’esercizio successivo, il Consiglio dell’ente,
sempre entro il termine perentorio di tre mesi di cui sopra, presenta per l’approvazione al Ministero
27Viceversa
28Art.
durante il piano di riequilibrio opera solo durante le more della valutazione dell’istanza.
249 TUEL- Dalla data di deliberazione del dissesto
!15
dell’interno un’ipotesi di bilancio che garantisca l’effettivo riequilibrio entro il secondo esercizio
(come disposto dal comma 1 bis dell’art. 259 del TUEL, introdotto dall’art 10, co. 4 bis del d.l. n.
35/2013).29
La Commissione del Ministero dell’Interno, dopo apposita istruttoria – a cui l’ente locale
fornisce risposta entro sessanta giorni - esprime un parere30 sulla validità dell’ipotesi di bilancio
stabilmente riequilibrato entro quattro mesi dall’invio della stessa.
L’ultima fase della procedura, in caso di esito positivo dell’esame della Commissione,
prevede l’approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato che avviene con decreto del
Ministero dell’Interno, con il quale vengono, altresì, formulate le prescrizioni dell’ente.
Nell’intervallo di tempo che intercorre tra la data della deliberazione di dissesto sino
all’emanazione del decreto finale, vi è divieto per l’ente di contrarre nuovi mutui.
Da ultimo, l’art. 33 del d.l. n. 66/2014, al fine di sostenere la grave situazione delle imprese
creditrici e degli altri soggetti dei Comuni dissestati e di ridare impulso ai relativi sistemi produttivi
locali, per l'anno 2014, ai Comuni che hanno deliberato il dissesto finanziario a far data dal
1°ottobre 2009 e sino alla data di entrata in vigore della l. 6 giugno 2013, n. 64, di conversione del
d.l. n. 35/2013, e che hanno aderito alla procedura semplificata prevista dall'articolo 258 del TUEL
è attribuita, previa apposita istanza dell'ente interessato, un'anticipazione fino all'importo massimo
di 300 milioni di euro per l'anno 2014 da destinare all'incremento della massa attiva della gestione
liquidatoria per il pagamento dei debiti ammessi con le modalità di cui all'anzidetto articolo 258, nei
limiti dell'anticipazione erogata, entro 120 giorni dalla disponibilità delle risorse.
L'anticipazione è ripartita, nei limiti della massa passiva censita, in base ad una quota pro
capite determinata tenendo conto della popolazione residente, calcolata alla fine del penultimo anno
precedente alla dichiarazione di dissesto secondo i dati forniti dall'Istat, ed è concessa con decreto
non regolamentare del Ministero dell'Interno. L'importo attribuito è erogato all'ente locale il quale è
tenuto a metterlo a disposizione dell'organo straordinario di liquidazione entro 30 giorni. L'organo
29Il
comma 1 ter dell’art. 259 del TUEL, introdotto dall’art 3, co. 4, del d.l. n. 16/2014, prevede, inoltre, che “nei
comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel caso in cui il riequilibrio del bilancio sia significativamente
condizionato dall'esito delle misure di riduzione di almeno il 20 per cento dei costi dei servizi, nonché dalla
razionalizzazione di tutti gli organismi e società partecipati, laddove presenti, i cui costi incidono sul bilancio dell'ente,
l'ente può raggiungere l'equilibrio, in deroga alle norme vigenti, entro l'esercizio in cui si completa la riorganizzazione
dei servizi comunali e la razionalizzazione di tutti gli organismi partecipati, e comunque entro tre anni, compreso
quello in cui è stato deliberato il dissesto. Fino al raggiungimento dell'equilibrio e per i tre esercizi successivi, l'organo
di revisione economico-finanziaria dell'ente trasmette al Ministero dell'interno, entro 30 giorni dalla scadenza di
ciascun esercizio, una relazione sull'efficacia delle misure adottate e sugli obiettivi raggiunti nell'esercizio".
30In
caso di diniego da parte della Commissione, il Ministero con apposito provvedimento assegna al Consiglio
dell’ente un termine perentorio di quarantacinque giorni per approvare una nuova ipotesi di bilancio .
!16
straordinario di liquidazione provvede al pagamento dei debiti ammessi, nei limiti dell'anticipazione
erogata, entro 90 giorni dalla disponibilità delle risorse.La restituzione dell'anticipazione è
effettuata, con piano di ammortamento a rate costanti, comprensive degli interessi, in un periodo
massimo di venti anni a decorrere dall'anno successivo a quello in cui è erogata la medesima
anticipazione.
!
Secondo i dati riportati nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali- esercizio
2013- della Corte dei conti (Sezione delle Autonomie, del. n. 29/2014/FRG), i Comuni che hanno
dichiarato il dissesto dal 1989 al 22 settembre 2014, sono pari a n. 505. Si evidenzia, in particolare,
che solo nell’anno 2013 hanno dichiarato il dissesto 20 Comuni31 e 2 Province32 (nell’anno 1989
erano n. 125 comuni ).
Risulta, pertanto, confermato l’andamento inversamente proporzionale del numero dei
dissesti dichiarati con l’evoluzione della relativa normativa. Il maggior numero di dissesti è emerso,
infatti, nei primi anni dall’entrata in vigore della normativa – i primi sei anni33 rappresentano il 73%
del totale dei dissesti ad oggi dichiarati - e solo quindici enti hanno dovuto affrontare una seconda
procedura di dissesto34. Le ragioni sono da ricondurre prevalentemente al principio, introdotto a
seguito della riforma costituzionale, che gli enti dissestati debbano provvedere da soli al loro
risanamento, senza alcun aiuto da parte dello Stato. Numerose indagini in tema di finanza locale35,
infatti, hanno posto in luce la diffusa resistenza da parte di molti enti locali a formalizzare il
dissesto, pur in presenza dei relativi presupposti, in quanto venuto meno il fattore di incentivazione
economica da parte dello Stato, dalla dichiarazione di dissesto scaturiscono solo pesanti ed
31Tre
in Abruzzo: Pacentro (AQ), Villalago (AQ), Turrivalignani (PE); uno nel Lazio: San Felice Circeo (LT); quattro in
Campania: Capua (CE), San Cipriano D’Aversa (CE), Recale (CE), Castellammare Di Stabia (NA); uno in Puglia:
Zapponeta (FG); sei in Calabria: Vibo Valentia (VV), Gasperina (CZ), Sersale (CZ), Anoia (RC), Monasterace (RC),
Siderno (RC), e cinque in Sicilia: Milazzo (ME), Santa Maria Di Licodia (CT), Santa Severina (CT), Aci Sant’Antonio
(CT), Ispica (RG);
32In
Piemonte: Biella ed in Calabria: Vibo Valentia.
33N°
enti dissestati per i primi sei anni anni; 1989 n. 125; 1990 n. 64; 1991 n. 45; 1992 n. 46; 1993 n. 52; 1994 n. 38
(per le altre annualità cfr Corte dei conti, Sez. Aut. , del n. 29/2014/FRG).
34Gli
enti interessati da una seconda procedura di dissesto sono Rionero Sannitico (IS) in Molise; Arpaia (BN), Lauro
(AV), Casal di Principe (CE), Casapesenna (CE), Roccamonfina (CE) in Campania; Lungro (CS), Paola (CS), Serra
d’Aiello (CS), Guardavalle (CZ), Scilla (RC), Monasterace (RC), Soriano Calabro (VV) in Calabria; Santa Venerina
(CT), Palagonia (CT) in Sicilia.
35Cfr.
Ministero dell’Interno, Direzione finanza locale, Il dissesto finanziario degli enti locali alla luce del nuovo
assetto normativo, 2006.
!17
impopolari ricadute nei confronti dei dipendenti36, degli amministratori37, della cittadinanza38 e dei
creditori dell’ente.39
!
4. La “crisi sistemica” come input a rivedere l’istituto del dissesto in un’ottica preventiva:
le nuove procedure del c.d. “dissesto guidato” e “la procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale”.
!
Il quadro normativo delle situazioni di squilibrio finanziario degli enti locali ha risentito
fortemente della grave crisi economica che ha travolto il mondo intero, ed anche il nostro Paese,
determinando una maggiore attenzione alle politiche della finanza locale nel tentativo di diminuire
il debito degli enti locali.
Chiaramente questo cambio di “prospettiva” è legato, altresì, all’evoluzione del concetto di
equilibrio della finanza pubblica contestuale alla crescita del processo di integrazione europea. La
crisi finanziaria degli ultimi anni, infatti, ha accelerato il processo di convergenza dei Paesi
dell’area euro attraverso l’adozione di rigorose politiche di risanamento delle finanze pubbliche40.
In tale ottica vanno lette le misure della spending review, i progressivi quanto incessanti
tagli ai trasferimenti statali, nonché la necessità di apportare maggiori controlli alla finanza locale.
Occorre, poi, considerare che il progressivo venir meno dei fattori di incentivazione
economica per il risanamento degli enti locali nel tempo ha dato luogo ad un sempre e più diffuso
fenomeno di dissimulazione della reale situazione finanziaria e in molti casi di un vero e proprio
occultamento della condizione di dissesto. Tale fenomeno, impedendo l’emersione di tutte le
passività suscettibili di riconoscimento e il tempestivo ripristino degli equilibri di bilancio, ha reso
36Cfr
art. 259, co. 6, TUEL, che prevede la collocazione in esubero per il personale soprannumerario rispetto al rapporto
medio dipendenti – popolazione di cui all’art. 263, co. 2.
37Cfr.
art. 248 TUEL, in tema di responsabilità politica.
38Cfr.
art. 251 TUEL, che, ai fini dell’attivazione delle entrate proprie, introduce l’obbligo per un ente in dissesto di
inasprire le aliquote e le tariffe nella misura massima consentita, per un periodo di almeno un quinquennio decorrente
dall’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.
39Cfr.
art. 248 TUEL, che prevede il blocco delle azioni esecutive e dei pignoramenti, per tutta la durata del dissesto, e
l’improduttività di interessi e rivalutazione monetaria per i debiti insoluti,
40
Al riguardo vedasi il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e
monetaria (noto come Fiscal Compact), sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 e ratificato in Italia con la legge 23
luglio 2012, n. 114; nonché la legge costituzionale n. 1/2012, che ha riformato gli artt. 81,97, 117 e 119 Cost. e la legge
rinforzata n. 243/2012.
!18
nel tempo più problematiche le manovre di riequilibrio e di risanamento, a causa dell’indebito
procrastinarsi della situazione debitoria di queste amministrazioni locali.
Nel contesto delineato di crescente stato di sofferenza della finanza locale e di abrogazione
implicita dell’art. 247 del TUEL41 , si è reso necessario, pertanto, la reintroduzione di meccanismi
sostitutivi similari, che fossero in linea con l’attuale assetto istituzionale. Da qui il d. lgs. n.
149/2011 che introduce la procedura del c.d. dissesto guidato e, nella prospettiva di
responsabilizzazione di tutti i livelli di governo, che costituisce un principio cardine del federalismo
fiscale, amplia i casi di responsabilità “politica” degli amministratori riconosciuti responsabili dalla
Corte dei conti, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, antecedentemente
al verificarsi del dissesto finanziario (ex art. 248, comma 5 TUEL).42 La sanzione ivi prevista, da
considerarsi accessoria rispetto alla condanna risarcitoria irrogata all’esito del giudizio di
responsabilità amministrativa, inibisce agli amministratori la possibilità di ricoprire per un decennio
alcune tipologie di incarichi43, e ne prevede l’incandidabilità alle più importanti cariche elettive44.
A poco più di un anno di distanza dal decreto premi e sanzioni, poi, muta nuovamente la
prospettiva: l’obiettivo del risanamento passa attraverso la “prevenzione del dissesto”, di cui si
intendono scongiurare i deleteri effetti sui sistemi economici locali già fortemente provati dalla crisi
economica e dalla ridotta solvibilità delle pubbliche amministrazioni. La disciplina del riequilibrio ,
che si inserisce in un quadro congiunturale fortemente problematico aggravato dall’incidenza dei
vincoli di finanza pubblica e dalla costante riduzione dei trasferimenti, mira a prevenire
l’insorgenza di situazioni di crisi diffusa che, oltre a compromettere l’ordinaria funzionalità di molti
41L’art.
247 regola l’omissione della deliberazione di dissesto: “1. Ove dalle deliberazioni dell'ente, dai bilanci di
previsione, dai rendiconti o da altra fonte l'organo regionale di controllo venga a conoscenza dell'eventuale condizione
di dissesto, chiede chiarimenti all'ente e motivata relazione all'organo di revisione contabile assegnando un termine,
non prorogabile, di trenta giorni. 2. Ove sia ritenuta sussistente l'ipotesi di dissesto l'organo regionale di controllo
assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine, non superiore a venti giorni, per la
deliberazione del dissesto. 3. Decorso infruttuosamente tale termine l'organo regionale di controllo nomina un
commissario ad acta per la deliberazione dello stato di dissesto. 4. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione
al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente, ai sensi dell'articolo 141.”
42Al
riguardo su precisa che con la lettera s) del comma 1 dell’art. 3, D.L. n. 174/2012 il comma 5 dell’art. 248 è stato
modificato e sostituito dagli attuali commi 5 e 5 bis. In linea generale, comunque, l’impianto della norma rimane
confermato.
43Si
tratta degli incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri
enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati.
44Per
i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili, inoltre, è prevista un’ulteriore causa ostativa di durata
decennale alla candidatura alle cariche di sindaco, di presidente della provincia, di presidente della Giunta regionale, di
membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del
Parlamento europeo.
!19
enti locali nella resa dei servizi essenziali, finirebbero inevitabilmente per ripercuotersi
negativamente sull’immagine del Paese, anche in relazione al debito pubblico.
!
Segue 4.1)
La nuova procedura del c.d. “Dissesto guidato”.
Nel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, recante meccanismi sanzionatori e premiali per Regioni,
Province e Comuni, emanato a seguito della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, in materia di
federalismo fiscale, il legislatore delegato ha definito con l’art. 6, comma 2 una nuova procedura
per la dichiarazione di dissesto degli Enti locali nella quale assumono particolare rilievo le
valutazioni e le iniziative delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.
Con l’introduzione della procedura del c.d. dissesto guidato ex art. 6, co. 2 del citato decreto,
il legislatore ha cercato di evitare che gli enti in condizioni finanziarie ormai prossime al dissesto
ritardino l’attuazione di provvedimenti quali la stessa dichiarazione di dissesto. Così a seguito del
perdurare di condizioni di squilibrio, attraverso l’impulso fornito dalle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti si pone rimedio all’immobilismo degli amministratori in fatto di atti da
compiere in seno alle misure correttive da varare.
Si ricorda che la Corte Costituzionale, con sentenza n 219 del 2013, ha escluso la diretta
applicabilità della norma suddetta nei confronti degli enti locali delle Regioni a statuto speciale45
fino al suo recepimento attraverso le procedure previste dagli statuti delle stesse Regioni.
Si tratta, quindi, di una procedura ad impulso esterno: sono le Sezioni regionali di controllo
che nell’ambito dei controlli finanziari previsti dall’art. 1, commi 166 e ss. della L. n. 266/2005, si
pronunciano circa eventuali “comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazione
degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del
bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario” richiedendo l’adozione ,
45Nella
Regione Siciliana una procedura analoga a quella dettata dall’art.6, co. 2, del d.lgs. n. 149/2011 è prevista e
disciplinata dall’art 109 bis dell’O.R.EE.LL.; dei 2 Comuni sottoposti a tale procedura, uno ha dichiarato il dissesto nel
2014, l’altro ha comunicato, nel mese di luglio 2014, l’adesione alla procedura di riequilibrio pluriennale, il cui piano è
attualmente in istruttoria.
!20
entro un congruo termine, delle misure correttive46 necessarie per il ripristino degli equilibri di
bilancio. A garanzia dell’obbligatorietà dell’azione di risanamento, è prevista l’attivazione di poteri
sostitutivi da parte del Prefetto, su impulso della Sezione regionale competente, nel caso in cui la
perdurante inottemperanza dell’ente locale nell’adozione delle necessarie misure correttive rischi di
aggravare le condizioni finanziarie e gestionali di quest’ultimo, al punto da rendere concreto il
pericolo di dissesto. La procedura sostitutiva, tuttavia, viene concretamente attivata solo a seguito
dell’accertamento da parte della Sezione del perdurante inadempimento dell’amministrazione in
ordine alle misure correttive. In tal caso, il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai
singoli consiglieri, un termine non superiore ai venti giorni per la deliberazione del dissesto,
decorso infruttuosamente il quale viene nominato un commissario per la deliberazione dello stato di
dissesto con contestuale attivazione della procedura per lo scioglimento del consiglio dell’ente ai
sensi dell’art. 144 del TUEL.
!
segue 4.1.2.) Iter procedurale e soggetti coinvolti
La norma contenuta nell’art. 6, comma 2, delinea un iter procedurale alquanto articolato, che
può essere suddiviso in due fasi: la prima obbligatoria, che in presenza di una situazione di grave
criticità potenzialmente in grado di cagionare il dissesto culmina, in caso di mancata adozione delle
misure correttive, nella trasmissione degli atti al Prefetto e ala Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica; mentre la seconda eventuale, in quanto dipende
dall’evolversi della situazione, e mira ad attivare concretamente la procedura sostitutiva per la
46Ex
art. 1, comma 168, L. n. 266/2005, comma abrogato dal comma 1 bis dell’art. 3, D.L. n. 174/2012 e relativa legge
di conversione, in quanto la stessa disposizione legislativa è stata prevista, con ulteriori specificazioni, nel nuovo art.
148 bis del TUEL :” 1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i
rendiconti consuntivi degli enti locali ai sensi dell'articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n.
266, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo
previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilità
dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri
economico-finanziari degli enti. 2. Ai fini della verifica prevista dal comma 1, le sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti accertano altresì che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società
controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività' locale e di servizi strumentali all'ente.
3. Nell'ambito della verifica di cui ai commi 1 e 2, l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di
norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il
patto di stabilità interno comporta per gli enti interessati l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla
comunicazione del deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a
ripristinare gli equilibri di bilancio. Tali provvedimenti sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Qualora l'ente non provveda alla trasmissione dei
suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, è preclusa l'attuazione dei
programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità
finanziaria.”
!21
deliberazione di dissesto da parte del Prefetto. Pertanto non è detto che l’iter del dissesto guidato
sfoci sempre in una dichiarazione di dissesto.
La prima fase obbligatoria prende avvio da una pronuncia specifica emanata dalla Sezione
regionale di controllo a seguito dell’accertamento di gravi squilibri in grado di provocare il
dissesto47 e consiste in “un giudizio prognostico sulla situazione di potenziale dissesto, preordinato
alla proposta di misure correttive e alla verifica della loro adozione da parte dell’ente"48:
•
1° delibera con assegnazione del termine per adottare le misure correttive di
riequilibrio .
Trattasi di pronuncia specifica adottata dalla Sezione regionale competente, sulla base di una
serie di elementi conoscitivi provenienti, di norma, dalle relazioni degli organi di revisione
sui bilanci di previsione e sui rendiconti nonché dai rendiconti generali trasmessi
direttamente dai responsabili dei servizi finanziari degli enti, ma anche da ulteriori elementi
informativi che possono pervenire, per espressa previsione normativa, dalle relazioni dei
Servizi ispettivi di finanza pubblica presso la Ragioneria generale dello Stato, all’esito di
verifiche effettuate sulla regolarità della gestione amministrativo – contabile, attivabili anche
in presenza di indicatori di squilibrio finanziario (ex art. 5 d. lgs. n. 149/2011).
Se l’Ente non adotta, entro il termine assegnato, le misure correttive, la Sezione regionale,
accertato il permanere dello stato di deficitarietà e l’inadempimento dell’ente, emette una delibera
con cui vengono inviati gli atti al Prefetto e Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica:
•
2° delibera di accertato inadempimento.
Nel caso in cui alla scadenza del termine assegnato l’Ente ottempera alle misure correttive
richieste, il procedimento si chiude con una delibera di accertamento che valuta anche il
grado di efficacia delle azioni di risanamento poste in essere.
Nel caso in cui la verifica della Sezione accerti, anziché un inadempimento, un
adempimento non risolutivo, ma che prospetti ragionevoli possibilità di ripristino degli
47Cfr
Corte dei conti, Sez. Aut. del n. 2/2012/QMIG “I comportamenti difformi oggetto di attenzione consistono negli
squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario, tenuto anche conto delle
situazioni sintomatiche rappresentate dagli indicatori di deficitarietà individuati con DM 24 settembre 2009. Il
procedimento è avviato in presenza di una condizione di illiquidità alla quale l’ente non riesce a rimediare con gli
strumenti di regolazione del bilancio di competenza (delibera di riequilibrio e di riconoscimento di debiti fuori
bilancio) e, in fase istruttoria, comporta la verifica, in contraddittorio con l’ente, del piano di rientro dal debito, in
quanto la situazione di carenza di liquidità si consolida e diventa strutturale nella prospettiva triennale, tramutando in
insolvenza. “
48Nei
termini vedasi Corte di conti, Sez. Aut., del. n. 2/2012/QMIG.
!22
equilibri finanziari, potrebbe aprirsi una fase interlocutoria, che mira al costante
monitoraggio degli effetti del piano di rientro adottato dall’ente, e più in generale
dell’evoluzione delle condizioni finanziarie e gestionali sulla base dei parametri presi a
riferimento.
La seconda fase del procedimento, meramente eventuale, si attiva in caso di accertamento,
entro i trenta giorni successivi alla trasmissione degli atti al Prefetto, e mira ad attivarne i poteri
sostitutivi. La Sezione regionale, verificato il perdurante inadempimento alle misure correttive e la
sussistenza delle condizioni di cui all’art. 244 TUEL, emette una delibera :
•
3° delibera di perdurante inadempimento alle misure correttive
A questo punto il Prefetto intima al Consiglio l’obbligo di deliberare il dissesto entro 20
giorni allo scadere dei quali se ancora non fosse stato deliberato nomina un commissario
straordinario nel contempo allo scioglimento del consiglio in base al disposto dell’art. 141 del
T.U.E.L.
!
segue 4.2.)
La “nuova” Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale
!
Il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza e
funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate
nel maggio 2012”, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213 (c.d. legge sui
costi della politica), con l’art. 3, co. 1 lettera r), ha inserito, nel Titolo VIII – Enti locali deficitari o
dissestati – del TUEL, l’art. 243 bis che prevede un’apposita procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale per gli enti nei quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il
dissesto finanziario.
Il nuovo istituto rappresenta una fattispecie intermedia che costituisce un rimedio meno
radicale del dissesto (che mira a prevenire)e si affianca alle situazioni, già previste dagli artt. 242 e
244 del TUEL, di Enti in condizioni strutturalmente deficitarie e di Enti in situazioni di dissesto
finanziario. La menzionata procedura, disciplinata dall’art. 243 bis è consentita agli enti nei quali
“sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso
in cui le misure di cui agli articoli 193 e 194 non siano sufficienti a superare le condizioni di
squilibrio rilevate” e che potrebbe dar luogo al procedimento di cui all’art. 6, comma 2, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149, ad impulso della competente Sezione regionale della Corte dei
!23
conti, c.d. dissesto guidato, ma che, diversamente dal dissesto, si svolge affidando agli organi
ordinari dell’Ente l’individuazione e la concreta gestione delle iniziative per il risanamento.
Secondo il disposto il Consiglio, entro il termine perentorio di novanta giorni49 dalla propria
deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale, deve deliberare un piano di
riequilibrio pluriennale della durata massima di dieci anni, compreso quello in corso; qualora, in
caso di inizio mandato, la delibera risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria
o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la deliberazione della Corte dei conti di
approvazione o di diniego del piano, l'amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di
riequilibrio (art. 243 bis, co. 5 TUEL come modificato dall’art. 49 quinquies del d.l. 21 giugno
2013, n. 69, convertito con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n. 98). Pare opportuno ricordare
che dalla data di deliberazione di ricorso alla procedura sino alla data di approvazione o diniego del
piano da parte delle competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, sono sospese le
procedure esecutive intraprese nei confronti dell’Ente (ex art. 243 bis , comma 4).
L'adesione alla procedura di cui all'art. 243 bis del TUEL rappresenta un rimedio idoneo in
un'ottica preventiva, ad impedire che lo squilibrio strutturale rilevato evolva nella più grave
situazione di conclamato dissesto e soltanto laddove sussista una possibilità di risanamento (da
valutare in un’ottica prognostica), ma non può essere inteso (laddove tali circostanze non
sussistano) al fine di evitare la deliberazione di cui all'art. 246 del TUEL e le relative conseguenze
di legge.
In sostanza, il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario postula una situazione
prossima al dissesto ma non ancora di dissesto conclamato.
Laddove l’Ente si trovi in una situazione di dissesto conclamato ossia non recuperabile
neanche attraverso un piano di riequilibrio articolato su 10 anni non è attivabile la procedura di
riequilibrio ex art. 243 bis TUEL.
La procedura di riequilibrio, pertanto, si inserisce in un sistema che fornisce agli enti locali
uno strumento idoneo a programmare, su un arco temporale più ampio rispetto a quello previsto ex
articoli 193 e 194 del TUEL, le misure correttive idonee a ripristinare gli equilibri strutturali
compromessi da una situazione di deficitarietà che non presenta ancora i caratteri di gravità tipici
del dissesto. Ovviamente in presenza di una situazione di dissesto non dichiarato risulta, altresì,
impossibile formulare un piano congruo ai fini dell’effettivo riequilibrio finanziario dell’Ente, sia in
49Il
termine originariamente previsto era di 60 giorni, modificato con l’art. 3, comma 3 bis, D.L. n. 16/2014 e relativa
legge di conversione.
!24
termini di competenza che di cassa, mentre è molto probabile un ulteriore peggioramento
finanziario.
Alla procedura di riequilibrio potranno dunque ricorrere quegli enti locali che, sebbene
interessati da squilibri strutturali di bilancio (disavanzo di gestione o disavanzo di amministrazione)
non superabili mediante l'applicazione delle norme ordinarie di ripristino degli equilibri di bilancio,
non presentano già in atto una situazione finanziaria ormai irrimediabilmente compromessa tale da
reclamare la dichiarazione di dissesto finanziario, giuridicamente obbligatoria ex art. 244 del TUEL.
Ovviamente individuare la situazione di squilibrio strutturale “in grado di provocare il
dissesto” ex art. 243 bis presuppone, necessariamente, una analisi particolarmente rigorosa della
situazione economico-finanziaria dell'Ente locale improntata all’assoluto rispetto del principio della
veridicità evitando le sottovalutazioni e le sopravvalutazioni delle singole poste.
L’art. 243 bis del TUEL indica il contenuto obbligatorio del piano di riequilibrio (comma 6),
le attività che l’Ente è tenuto a porre in essere (comma 7) e i vincoli imposti all’Ente al fine di
garantire il graduale riequilibrio finanziario pluriennale (comma 8), oltre alle misure da adottare in
caso di accesso al Fondo di rotazione (comma 9).
In particolare, il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deve tenere conto di tutte le
misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate e deve, comunque, contenere (ex art.
243 bis, comma 6, del TUEL):
a)
le eventuali misure correttive adottate dall'Ente locale in considerazione dei
comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti
con il patto di stabilità interno accertati dalla competente Sezione regionale della Corte dei conti;
b)
la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati,
dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di
eventuali debiti fuori bilancio;
c)
l'individuazione, con relative quantificazione e previsione dell'anno di effettivo
realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio, per
l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori
bilancio entro il periodo massimo di dieci anni, a partire da quello in corso alla data di accettazione
del piano;
d)
l'indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di
ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei
bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.
!25
Ai fini della predisposizione del piano, l'Ente è tenuto ad effettuare una ricognizione di tutti i
debiti fuori bilancio riconoscibili ai sensi dell'articolo 194 del TUEL. Per il finanziamento dei debiti
fuori bilancio l'Ente può provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata
massima pari agli anni del piano di riequilibrio, compreso quello in corso, convenuto con i creditori
(art. 243 bis, comma 7).
È possibile affermare che la procedura di riequilibrio è incardinata intorno alla
predisposizione e all’esame del piano di riequilibrio del quale, schematicamente, i punti salienti si
possono riassumere in tre passaggi:
-
ricognizione completa di tutti i fattori di squilibrio rilevati (deficit di riscossione, eccessi di
spesa, anomalie nella struttura del debito); esatta determinazione del disavanzo di amministrazione,
che passa attraverso un rigoroso riaccertamento dei residui, emersione dei debiti fuori bilancio;
-
individuazione delle misure di riequilibrio strutturale, comprese quelle eventualmente
oggetto di pronunce rese dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, con attendibile
indicazione dei tempi e degli esercizi di effettivo realizzo delle medesime; puntuali indicazioni dei
tempi e dei modi per ripianare il disavanzo di amministrazione e per finanziare i debiti fuori
bilancio nel periodo massimo di dieci anni;
-
individuazione delle risorse che possono essere entrate proprie, indebitamento, accesso al
fondo di rotazione. Quest’ultima previsione costituisce un elemento qualificante la procedura anche se non tutti gli Enti che deliberano il piano vi fanno ricorso Lo Stato prevede, infatti,
un’anticipazione a valere sul fondo di rotazione, denominato “Fondo di rotazione per assicurare la
stabilità finanziaria degli enti locali”, da restituire in un periodo massimo di dieci anni decorrente
dall’anno successivo a quello in cui viene erogata50. Le risorse provenienti dal Fondo di rotazione,
sono destinate esclusivamente al pagamento dei debiti presenti nel piano di riequilibrio; su di esse
non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento (art. 3 d.l. n. 16/2014)..
La delibera di accoglimento o di diniego del piano della competente Sezione regionale di
controllo può essere impugnata entro trenta giorni, nelle forme del giudizio a istanza di parte,
innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione (ex art. 243 quater, co. 5).
L’esito negativo della procedura di riequilibrio (diniego dell’approvazione del piano e/o
50Le
Sezioni riunite della Corte dei conti, nella composizione speciale, si pronunciano in unico grado sui ricorsi avverso
i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione.
!26
mancata presentazione del piano nei termini) ovvero il mancato rispetto degli obiettivi del piano o il
mancato riequilibrio finanziario al termine del periodo del piano stesso, comporta l’attivazione della
procedura di dissesto.
Ai sensi del d.l. n. 16/2014, la procedura di riequilibrio pluriennale non può essere iniziata
qualora sia decorso il termine assegnato dal Prefetto per la deliberazione del dissesto, di cui all’art
6, co. 2, del d.lgs. n. 149/2011.
!
segue 4.2.1.) Iter procedurale e soggetti coinvolti
!
L’iter procedurale che sfocia poi nell'elaborazione del Piano di riequilibrio si può riassumere
nelle seguenti fasi principali (ex art. 243 bis e ss. del TUEL):
1.
- Avvio della procedura - Deliberazione consiliare di adozione della procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale;
2.
- Trasmissione, entro 5 giorni dalla data di esecutività della deliberazione di ricorso alla
procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, alla competente Sezione regionale della
Corte dei conti e al Ministero dell'interno (art. 243 bis, comma 2);
3.
- Termine perentorio per adottare Piano (90 giorni)- Il consiglio dell'ente locale, entro il
termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera consiliare,
delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni,
compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economicofinanziario (art. 243 bis,comma 5);
4.
-Trasmissione, entro dieci giorni dalla data della delibera sul piano di riequilibrio
finanziario pluriennale, alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti,
nonché alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali di cui all'articolo 155
(art. 243 quater, comma 1, come modificato dall’art. 10 ter D.L. n. 35/2013);
5.
- Istruttoria Ministeriale- Istruttoria da parte della Commissione per la finanza e gli organici
degli enti locali, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione del piano,
svolta sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei
conti. In fase istruttoria, la Commissione può formulare rilievi o richieste istruttorie, cui
l'ente è tenuto a fornire risposta entro trenta giorni. (art. 243 quater, co. 1, come modificato
dall’art. 10 ter D.L. n. 35/2013, e comma 2)
!27
6.
- Relazione finale - La Commissione all'esito dell'istruttoria, redige una relazione finale, con
gli eventuali allegati, che è trasmessa alla Sezione regionale di controllo della Corte dei
conti (art. 243 quater, comma 1, come modificato dall’art. 10 ter D.L. n. 35/2013);
7.
- Approvazione o diniego- La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, entro il
termine di 30 giorni dalla data di ricezione della documentazione delibera sull'approvazione
o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio (art. 243 quater,
comma 3);
8.
- Impugnazione- La delibera di approvazione o di diniego del piano può essere impugnata
entro 30 giorni, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite della
Corte dei conti in speciale composizione51 che si pronunciano, nell'esercizio della propria
giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, ai sensi dell'articolo 103, secondo
comma, della Costituzione, entro 30 giorni dal deposito del ricorso (art. 243-quater, comma
5, TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. r) del d.l. n. 174 del 2012, convertito nella
legge n. 213 del 2012). Fino alla scadenza del termine per impugnare e, nel caso di
presentazione del ricorso, sino alla relativa decisione, le procedure esecutive intraprese nei
confronti dell'ente sono sospese.
9.
Pare opportuno ricordare che secondo il recente orientamento delle Sezioni Unite della
Corte di cassazione “appartiene alla giurisdizione esclusiva delle Sezioni riunite della Corte
dei conti52 la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione con cui la
competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha accertato la sussistenza
delle condizioni previste per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario di quello
stesso Comune, senza dare corso all'alternativa procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale dell'ente locale (...)” (Cass., Sez. Un., 13 marzo 2014 n. 5805).
- Verifiche semestrali- In caso di approvazione del piano, ai fini del controllo
dell'attuazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale approvato, l'organo di
revisione economico-finanziaria dell'ente trasmette al Ministero dell'interno e alla
competente Sezione regionale della Corte dei conti, entro quindici giorni successivi alla
scadenza di ciascun semestre, una relazione sullo stato di attuazione del piano e sul
raggiungimento degli obiettivi intermedi fissati dal piano stesso, nonché, entro il 31 gennaio
51Inoltre
le Sezioni riunite della Corte dei conti, nella composizione speciale, si pronunciano in unico grado sui ricorsi
avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione.
52Si
ricorda che le Sezioni Riunite della Corte dei conti in speciale composizione nella Sentenza n.2/2013 hanno
affermato la sussistenza di una giurisdizione piena ed esclusiva in tema di contabilità pubblica, ancorandola alle
materie di contabilità pubblica di cui all'art. 103, comma 2, Cost. che costituisce "norma di chiusura e di garanzia di
valori ordinamentali, quali quelli della tutela degli equilibri finanziari definito oggi espressamente previsti in
Costituzione" .
!28
!
dell'anno successivo all'ultimo di durata del piano, una relazione finale sulla completa
attuazione dello stesso e sugli obiettivi di riequilibrio raggiunti (art. 243 quater, comma 6).
Il d.l. n. 35/2013, al co. 15 dell’art.1, prescrive agli enti che hanno fatto ricorso alla
procedura di riequilibrio pluriennale, ex art. 243 bis del TUEL, e che hanno ottenuto l’anticipazione
di liquidità dalla Cassa Depositi e Prestiti, prevista dal co. 13, la modifica del piano di riequilibrio
entro 30 giorni dalla concessione della suddetta anticipazione. L’anticipazione straordinaria di cui al
d.l. n. 35/2013, rappresenta uno strumento eccezionale con cui è stata immessa liquidità nel sistema
gestionale per ricostituire le risorse di cassa necessarie agli enti territoriali per onorare i propri
debiti. Detta anticipazione consente, infatti di far fronte a spese già finanziate e non può costituire
finanziamento di una nuova spesa.53
La legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, co. 573, 573 bis e 57ter,
nell’attuale formulazione54) ha previsto la facoltà per l’esercizio 2014, agli Enti locali, che hanno
avuto il diniego d’approvazione da parte del Consiglio del piano di riequilibrio finanziario e che
non hanno dichiarato il dissesto finanziario e agli Enti locali per i quali sia intervenuta la
deliberazione di diniego da parte della competente Sezione regionale di controllo della Corte dei
conti o delle Sezioni riunite, di riproporre un nuovo piano di riequilibrio, previa delibera consiliare,
entro un termine perentorio; tale facoltà è subordinata all’avvenuto conseguimento di un
miglioramento, inteso come aumento dell’avanzo di amministrazione o come diminuzione del
disavanzo, registrato nell’ultimo rendiconto approvato. Nelle more del termine previsto per la
presentazione del nuovo piano e sino alla conclusione della relativa procedura, le procedure
esecutive intraprese nei confronti dell’ente sono sospese. Detta facoltà è stata poi estesa dall’art. 3,
comma 2, D.L. n. 16/2014 ,anche per l’esercizio 2015 in relazione agli enti locali che abbiano
presentato il piano di riequilibrio nell’anno 2014.
I Comuni che fanno ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale possono
contrarre mutui, oltre i limiti previsti dal TUEL, necessari alla copertura di spese di investimento
relative a progetti ed interventi che garantiscano l’ottenimento di risparmi di gestione funzionali al
raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano, per un importo non superiore alla quote di capitale
53Sono
chiare in questo senso anche le indicazioni della Corte dei conti riguardo alle modalità di contabilizzazione di
dette risorse che si approfondiranno nel secondo contributo di questo lavoro.
54Le
successive modificazioni ed integrazioni sono state apportate dall’art. 3, comma 2, D.L. n. 16/2014 prima, e
successivamente dall’art. 1, comma 546, L. n. 190/2014 a decorrere dal 1° gennaio 2015 e dall’art. 4, comma 5 quater,
lett. b), D.L. n. 192/2014 e relativa legge di conversione.
!29
dei mutui e dei prestiti obbligazionari precedentemente contratti ed emessi, rimborsate
nell’esercizio precedente ( ex art. 243 bis, co. 9 bis55, TUEL)
Da ultimo, ai fini dell’attuazione dei piani di riequilibrio pluriennale e del piano triennale
per la riduzione del disavanzo e per il riequilibrio strutturale di bilancio di Roma Capitale, il d.l. n.
16/2014, prevede che le società controllate dagli Enti locali interessati, possano, sulla base di un
accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del consenso del lavoratore, processi di mobilità di
personale.
!
5. Differenze tra dissesto e piano di riequilibrio finanziario pluriennale
!
Il ricorso alla procedura di riequilibrio e la dichiarazione di dissesto non sono, infatti, due
atti alternativi applicabili discrezionalmente dall’Ente nelle medesime situazioni e
progressivamente, ma rimedi differenti previsti dall’Ordinamento per fronteggiare situazioni
differenti.
Una diversa interpretazione, volta ad attribuire alla delibera di adozione del piano di
riequilibrio pluriennale il significato di rimedio sostitutivo o alternativo all’obbligatoria delibera di
dichiarazione di dissesto finanziario ex art. 244 del TUEL, sarebbe irragionevole perché
consentirebbe agli amministratori e ai revisori responsabili o corresponsabili della situazione di
degrado finanziario dell’ente di aggirare la dichiarazione di dissesto e sottrarsi alla responsabilità
personale comminata dall’art. 6 del d.lgs. n. 149/2011e dell’art. 248 del TUEL laddove, ex adverso,
nessuna sanzione è prevista in caso di procedura di riequilibrio.
Il punto di contatto tra dissesto e riequilibrio è l’inefficacia delle misure extra ordinem
previste dagli artt. 193, co 3, e 194, co 2, TUEL.
Il presupposto base del ricorso al riequilibrio è dato dalla situazione di squilibrio strutturale
consistente nel cospicuo e cronico deficit di cassa documentato dai dati delle contabilità degli ultimi
esercizi. Deve trattarsi di una situazione di evidente deficitarietà strutturale prossima al dissesto, che
potrebbe dar luogo al procedimento del c.d. “dissesto guidato”, ma che si svolge privilegiando
l’affidamento agli organi ordinari dell’ente della gestione delle iniziative per il risanamento56.
55Inserito
56Cfr
dall’art. 3 del D.L. n. 16/2014 e relativa legge di conversione.
Corte dei conti, del. Sez. Autonomie n. 16/2012/INPR.
!30
I presupposti della procedura di riequilibrio coincidono pertanto per larga parte con quelli
alla base del dissesto57 di cui all’art. 244 e ss. TUEL e del “dissesto guidato” di cui all’art. 6,
comma 2, D.lgs. n. 149/2011, riferendosi a situazioni di “squilibrio strutturale”. è evidente l’intento
legislativo di coordinare, con tale termine comune, le due procedure.
In entrambi i casi, lo squilibrio strutturale deve avere una dimensione quantitativa tale da
provocare il dissesto finanziario, solo che in un caso è il presupposto perché il Prefetto imponga la
dichiarazione di dissesto finanziario, nell’altro è il presupposto perché l’ente ricorra alla procedura
di riequilibrio.
Detto in altri termini, lo squilibrio strutturale, di carattere finanziario, apre tendenzialmente
la strada a tre possibili, alternative, procedure: quella di riequilibrio ex art. 243-bis, detta anche di
“pre-dissesto”; quella del dissesto auto-conclamato (artt. 244 e 246 TUEL) e quella del c.d. dissesto
guidato (etero-determinato mediante il concorso dell’azione di accertamento della Magistratura
contabile e del provvedimento del Prefetto, ex art. 6, comma 2, D.lgs. 149/2011), le quali entrambe
presuppongo la nozione di dissesto di cui all’art. 244.
La procedura di riequilibrio finanziario è attivabile spontaneamente dall’ente in presenza dei
presupposti più volte richiamati e che si pone in termini di reciproca alternatività con la c.d.
procedura di “dissesto guidato” attivabile, invece, dalla Sezione di controllo in presenza di
presupposti similari.
Tre ordini di effetti immediati derivano dal dissesto e riguardano i creditori, la gestione
ordinaria dell’ente locale e gli amministratori dello stesso ente. Le conseguenze sui creditori
operano fin dall’inizio; quelle sugli amministratori sono soltanto eventuali; quelle sulla gestione
ordinaria sono rinviate all’esercizio successivo.
Le conseguenze sui creditori riguardano i rapporti obbligatori rientranti nella competenza
dell’organo straordinario di liquidazione e consistono nella cristallizzazione dei debiti dell’ente, che
non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, nonché nell’estinzione delle
procedure esecutive in corso, con conseguente inefficacia dei pignoramenti eventualmente eseguiti,
e nell’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente.
57
Si ricorda che abbiamo supra richiamato anche i due presupposti ex art. 244 del TUEL che si ricollegano alla
dichiarazione del dissesto finanziario, ciascuno dei quali da solo sufficiente, costituiti dal c.d. “dissesto per ragioni
funzionali” (l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili) , ovvero da una
situazione fattuale e pervasiva di illiquidità (“dissesto per ragioni finanziarie”). Al ricorrere anche di uno solo dei due
alternativi presupposti ex art. 244 TUEL, sussiste la necessità di procedere alla immediata dichiarazione di dissesto.
!31
Le conseguenze sugli amministratori sono limitate a quelli che la Corte dei conti ha
riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, nei cinque anni
precedenti il verificarsi del dissesto finanziario. “Gli amministratori riconosciuti responsabili non
possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti
locali o di rappresentante di tali enti presso istituzioni, organismi ed enti pubblici o privati, quando
il giudice contabile, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che
questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato
riconosciuto responsabile”.
La dichiarazione di dissesto porta l’ente a circoscrivere la propria attività a quei servizi
ritenuti indispensabili dallo Stato ma sempre con una tutela e supporto del Ministero dell’Interno.
Nel caso di dissesto, la procedura di risanamento ha la durata di 5 anni mentre il piano di
riequilibrio finanziario può durare fino a n.10 anni (artt. 248, 255, 265 del TUEL).
Il ricorso al piano di riequilibrio è, peraltro, precluso qualora sia decorso il termine
assegnato dal Prefetto per la dichiarazione di dissesto ex d.lgs. n. 149/2011.
!
6.
!
Riflessioni conclusive
Nel presente lavoro, senza pretese di chiarezza né di completezza, si è tentato di descrivere
l’iter evolutivo delle politiche di risanamento degli enti locali da inquadrarsi in un mutato contesto
costituzionale e alle conseguenti crescenti esigenze di contenere gli effetti della crisi della finanza
locale degli ultimi anni.
E’ doveroso segnalare il carattere trasversale della materia trattata nel presente contributo,
che incide direttamente e indirettamente su molteplici problematiche giuridiche, tra cui preme
indicare: l’assetto e le funzioni delle nuove province, le società partecipate, la spending review, i
servizi pubblici locali, l’evasione tributaria, il federalismo demaniale, e alle quali occorre
aggiungere il complesso processo di armonizzazione dei conti pubblici in atto.
Problematiche tutte “aperte” e tutte in divenire, su cui sarebbero necessari studi ad hoc: in
primis di ricostruzione normativa (non è infatti sconosciuta la problematica della stratificazione
normativa sulle società partecipate, o “il caos” normativo post legge Del Rio58 a costituzione
invariata, per non parlare della questione incompiuta del “federalismo fiscale” o dell’avvento del
58
Legge n.56 del 7 aprile 2014 recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni” che ridisegna confini e competenze dell'amministrazione locale.
!32
processo di armonizzazione), ed in secundis di correlazione tra ciascuna di queste e le varie
procedure di risanamento.
Non sono infatti proclami mediatici quelli che prospettano “una situazione di dissesto quasi
generalizzato per le attuali province”, che a causa della enorme riduzione dei trasferimenti si
trovano nell’impossibilità di erogare le funzioni ancora in loro possesso59.
Più in generale va comunque precisato che l’esperienza dei “tagli lineari” e dei vincoli di finanza
pubblica imposti a Regioni ed enti locali60, nell’ambito di un rinnovato centralismo, non sono apparsi
riconducibili, almeno fino agli ultimi interventi, ad una riorganizzazione efficiente della spesa pubblica.
Ed anzi nella maggior parte dei casi si sono trasformati in una paralisi operativa con il
conseguente rischio di escamotage di breve periodo. Ad esempio gli enti locali in particolare difficoltà
finanziaria, potrebbero essere tentatati ad avviare una politica di alienazione del patrimonio
disponibile, che potrebbe trasformarsi in una vera e propria politica di “svendita” condizionata dalla
necessità dell’ente indebitato “di far cassa”, con la conseguente “dispersione irragionevole” del
patrimonio pubblico, dato che “ciò che più è mancato e che ancora manca nella disciplina
legislativa del nostro Paese non è tanto l’efficienza delle procedure di dismissione quanto la
consapevolezza del carattere solo accessorio e strumentale delle politiche di dismissione rispetto
invece alla centralità delle politiche di conservazione e gestione del patrimonio che resta in mano
pubblica”61, con gravi conseguenze sulla finanza pubblica nel medio-lungo periodo.
59
In proposito si veda Corte dei Conti – Sez. Autonomie “AUDIZIONE SUL D.D.L. CITTÀ METROPOLITANE,
PROVINCE, UNIONI E FUSIONI DI COMUNI A.C. 1542”.
60
Il riferimento è, ad esempio, ai decreti legge nn. 52 e 95 del 2012 sulla spending review, finalizzata ad una riduzione
selettiva della spesa pubblica ed ancor prima ai decreti legge nn. 2 e 78 del 2010 e n.98, 138, 201 del 2011.
61Si
veda A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali? , in Giornale Dir.
Amm., 2010, n. 12.
!33
Oppure ancora “lo scenario intricato delle società partecipate”62, anch’esso sotto il mirino
del legislatore nell’ottica del ridimensionamento63, soprattutto ove non aderenti alla missione
istituzionale dell’ente o non strumentali alla resa di servizi o funzioni pubbliche.
Altrettanto critico è il dato formale di far conciliare i piani di riequilibrio in corso con il nuovo
sistema di armonizzazione contabile64, che dovrebbe condure ad una ”riclassificazione” dei piani di
riequilibrio e ad una riproposizione di quelli già approvati.
Ma questi sono solo alcuni esempi veloci, criticità e “zone d’ombra” di un assetto normativo che
non ha vita propria, ma che sul piano oggettivo si intreccia con il complesso scenario degli art. 118 e
119 della Costituzione.
In conclusione, quindi, siamo di fronte ad un quadro normativo tutt’altro che consolidato e che
necessita di nuovi interventi correttivi a cui sicuramente dovranno contribuire tutti gli attori in causa
(legislatore, enti locali, magistratura e dottrina) al fine di colmare le asimmetrie normative che
potrebbero condurre ad una “paralisi” del sistema .
In proposito si sottolinea il rilevante contributo già fornito dalla magistratura contabile e che si
cercherà di approfondire nel secondo articolo del presente lavoro con particolare riferimento alla
procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.
!
62
Il tema delle società partecipate è stato al centro di un intenso dibattito, poiché si è preso atto del crescente utilizzo
da parte degli enti locali di organismi societari per la gestione di servizi e per l’esercizio di attività pubbliche; ciò ha
determinato l’esigenza di individuare strumenti di controllo e di contenimento della spesa sostenuta di fatto da tali enti,
in forza dei legami finanziari con le società partecipate, in quanto i dati diffusi mostravano che tali società presentavano
ingenti debiti. Secondo i dati diffusi dalla Corte dei Conti, sono oltre 5.000 gli organismi partecipati (aziende, consorzi,
fondazioni, istituzioni, società) nei 7.200 enti locali censiti (ad eccezione di quelli relativi alle regioni a statuto
speciale). Si tratta, in gran parte, di organismi costituiti in forme societarie, di cui quasi la metà operante nel settore
delle local utilities. Oltre un terzo delle società rilevate ha chiuso in perdita uno degli esercizi compresi nel triennio
2008/2010. Nella grande maggioranza dei casi, le società hanno avuto l’affidamento diretto (per un valore della
produzione di quasi 25 miliardi), indice che la gestione è solo formalmente attribuita ad un soggetto esterno,
considerato il rapporto organico che esiste tra ente affidante e società in house. A tali soggetti è riferibile un
indebitamento consistente, in crescita nell’ultimo triennio.
63
Si ricorda tra i tanti interventi in materia, quanto disposto recentemente dalla Legge 23 dicembre 2014, n. 190
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (legge di stabilità 2015). Secondo
quanto disposto ai commi 611-614 “Riduzione delle società partecipate .Le Regioni, gli enti locali le camere di
commercio, le università e le autorità portuali avviano dal 1˚gennaio 2015 la razionalizzazione delle società partecipate,
per ridurne il numero entro la fine dell’anno. Vanno eliminate le società e le partecipazioni non indispensabili, aggregati
gli organismi che gestiscono servizi simili, rimodulate le società in chiave multiservizi ,contenuti i costi di
funzionamento. Entro il 31 marzo 2015 va approvato un piano operativo che espliciti le misure per la razionalizzazione,
le modalità e i tempi di attuazione e i risparmi conseguibili.”
64
Il D.Lgs. 23 giugno 2011 n. 118 ha dato l’avvio al processo di armonizzazione della contabilità degli enti locali.
Questo provvedimento istituisce un principio fondamentale per il coordinamento della finanza pubblica, con l’obiettivo
di rafforzare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria nell’intento
di uniformare i diversi sistemi contabili del settore pubblico. La nuova contabilità dovrà tenere conto di nuovi
meccanismi e principi e di nuove modalità di contabilizzazione dei fatti amministrativi. Primo fra tutti va evidenziato il
principio della competenza finanziaria cosiddetta “potenziata” che impone criteri più rigidi di contabilizzazione delle
entrate. Secondo questo principio le entrate devono essere iscritte nel bilancio in cui si presume che verranno incassate,
in quanto l’entrata con cui si perfeziona il diritto di credito relativo ad una riscossione da realizzare, va imputata
contabilmente nell’esercizio finanziario in cui avviene materialmente l’incasso. Questo consente di contabilizzare i fatti
gestionali in un periodo molto più vicino alla fase finale del processo di entrata o di spesa e quindi più prossimo alla
movimentazione della cassa.
!34
APPENDICE
!
TAB 1. Quadro riepilogativo degli interventi normativi in tema di procedure di risanamento
degli enti locali:
!
Disposizione normativa
Oggetto
!35
Legge n. 144/1989 di conversione, con Introduzione dell’istituto del “Dissesto
m o d i f i c h e , d e l D . L . n . 6 6 / 1 9 8 9 Finanziario” (art. 25):
“Disposizioni urgenti in materia di
-
autonomia impositiva degli enti locali e di
Introduzione del piano di
risanamento;
finanza locale”
-
Rideterminazione della pianta
organica;
-
Possibilità di contrazione di un mutuo
per il risanamento, con oneri a carico
dell’ente;
-
Separazione tra passività ante e post
dissesto;
-
Istruttoria delle passività attraverso
un sistema di rilevazioni ed
attestazioni a cura degli
amministratori, segretario e
funzionari dell’ente ;
-
Definizione del fabbisogno
finanziario per la copertura delle
passività pregresse;
-
Introduzione dell’ipotesi di bilancio
stabilmente riequilibrato per la
gestione ordinaria;
-
Innalzamento delle aliquote delle
imposte locali ai livelli massimi
consentiti dalla legge;
-
Tempistica della procedura in 10
anni.
!36
Legge n. 68/1993 di conversione, con “Risanamento finanziario degli enti locali
modifiche, del D.L. n. 8/1993“Disposizioni dissestati” (art. 21):
urgenti in materia di finanza derivata e di
-
contabilità pubblica”
Obbligatorietà della dichiarazione di
dissesto, che è irrevocabile e pubblicità
della stessa su Gazzetta Ufficiale;
-
Introduzione dell’Organo straordinario di
liquidazione (OSL), di natura
monocratica nei comuni inferiori a 5.000
abitanti e collegiali per quelli superiori,
cui compete l’ amministrazione della
gestione e dell'indebitamento pregressi e
l'adozione di tutti i provvedimenti per
l'estinzione dei debiti (piano di
estinzione);
-
Blocco degli interessi e valutazioni;
-
Separazione tra gestione ordinaria e
gestione del pregresso;
-
Oneri del mutuo diretto al ripiano delle
passività a carico dello Stato;
-
Estinzione da parte del giudice delle
procedure esecutive pendenti
-
Divieto di attivare nuove azioni
esecutive.
D.P.R. n. 378/1993 “Regolamento recante
-
norme sul risanamento degli enti locali
Disciplina degli aspetti operativi del
dissesto;
dissestati”
-
Funzioni e competenze dell’Osl e
dell’ente;
-
Definizione della massa passiva e della
massa attiva;
!37
-
Contenuti del piano di estinzione;
-
Rendiconto della gestione.
D . L g s . n . 7 7 / 1 9 9 5 “ O rd i n a m e n t o
-
finanziario e contabile degli enti locali”,
Disciplina organica dell’istituto del
dissesto finanziario;
integrato e modificato dal D.Lgs. n.
-
336/1996 “
Introduzione del piano di rilevazione
della massa passiva;
-
Riduzione della durata della procedura da
10 a 5 anni;
D.lgs. n. 342/1997 “Disposizioni in materia
-
Introduzione dei crediti privilegiati.
-
Obbligo di trasmissione della delibera di
di contabilità, di equilibrio e di dissesto
dissesto alla Corte dei conti al fine
finanziario degli enti locali”, integrato e
dell’individuazione dei responsabili del
modificato dal D.lgs n. 410/1998
dissesto;
-
Introduzione della procedura
semplificata;
-
Inversione dell’onere della prova, che
incombe sul creditore;
-
Modifica dei criteri di valutazione dei
debiti esclusi, allegati al piano di
estinzione.
D.Lgs. n. 267/2000 “Testo unico delle leggi
-
sull'ordinamento degli enti
Nuova disciplina organica dell’istituto del
dissesto finanziario (artt. 242- 269).
locali"” (T.U.E.L.)
D.L. n. 13/2002“Disposizioni urgenti per
-
Modifica del TUEL e introduzione della
assicurare la funzionalità degli enti locali”,
procedura straordinaria di risanamento
convertito, con modificazioni dalla Legge n.
per fronteggiare ulteriori passività ( art
75/2002.
268 bis e art. 268 ter).
!38
D.L. n. 80/2004, convertito con Legge n.
-
Adeguamento della normativa alla
140/2004 recante “Disposizioni per
riforma del Titolo V della Costituzione
agevolare le procedure di risanamento degli
(L.Cost. n. 3/2001);
enti locali in stato di dissesto
-
finanziario” (art. 5).
Abrogazione del mutuo a carico dello
Stato;
-
Ricorso per esclusione dalla massa
passiva;
-
Separazione delle procedure di dissesto
pre e post Titolo V.
D.L. n. 44/2005, convertito con Legge n.
-
88/2005 recante disposizioni urgenti in
Estinzione della procedura straordinaria
di risanamento ai Comuni già dissestati
materia di enti locali
D . L g s . n . 1 4 9 / 2 0 11 “ M e c c a n i s m i
-
sanzionatori e premiali relativi a regioni,
Introduzione della “nuova” procedura di
c.d. “Dissesto guidato” (art. 6, comma2).
province e comuni, a norma degli articoli 2,
-
17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42”
Modifica del TUEL con ampliamento
responsabilità politica degli
amministratori riconosciuti responsabili
di danni cagionati antecedentemente al
verificarsi del dissesto finanziario. (art.
248, comma 5);
-
Previsione dell’obbligo di redazione della
relazione di fine mandato (art.4 bis)
D.L. n. 174/2012, convertito, con
-
Modifica del TUEL e, in particolare:
modificazioni, dalla Legge 7 dicembre
-
introduzione della “nuova” procedura del
2012, n. 213 recante “Disposizioni urgenti
riequilibrio finanziario pluriennale (art.
in materia di finanza e funzionamento degli
243-bis e seguenti);
enti territoriali, nonché ulteriori
-
disposizioni in favore delle zone terremotate
modifica degli artt. 147-148 e 148 bis in
tema di controlli
nel maggio 2012”.
!39
D.L. n. 35/2013, convertito, con
-
Modifica del TUEL e, in particolare:
modificazioni, dalla Legge n. 64/2013
-
Fase istruttoria del piano di riequilibrio
recante “Disposizioni urgenti per il
finanziario pluriennale affidata
pagamento dei debiti scaduti della pubblica
interamente alla Commissione del
amministrazione, per il riequilibrio
Ministero dell’Interno (art. 243-quater,
finanziario degli enti territoriali, nonché in
comma 1);
materia di versamento di tributi degli enti
-
locali.”
Disciplina la presentazione dell’ipotesi di
bilancio stabilmente riequilibrato nel caso
di dichiarazione di dissesto adottata nel
secondo semestre dell’esercizio
finanziario per il quale non risulta ancora
approvato il bilancio di previsione (art.
259, comma 1 bis);
Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge
-
Previsione della facoltà per l’anno 2014,
stabilità 2014) “Disposizioni per la
agli enti locali che avevano avuto il
formazione del bilancio annuale e
diniego del piano nel 2013, di riproporre
pluriennale dello Stato “
un nuovo piano (comma 573)
D . L . n . 6 9 / 2 0 1 3 , c o n v e r t i t o , c o n “Misure finanziarie urgenti per gli enti
modificazioni, dalla Legge n. 98/2013
locali” (art. 49 quinquies)
-
Modifica del Tuel e, in particolare:
-
Possibilità di rimodulare il piano di
riequilibrio già presentato in caso di
inizio mandato (art. 243 bis, co 5)
!40
D . L . n . 1 3 3 / 2 0 1 4 c o n v e r t i t o , c o n “Misure in materia di utilizzo del Fondo di
modificazioni dalla Legge 11 novembre rotazione per assicurare la stabilità finanziaria
2014, n. 164 recante “Misure urgenti per degli enti territoriali e di fondo di solidarietà
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle comunale” (art. 43):
opere pubbliche, la digitalizzazione del
-
destinazione risorse anche per ripiano
Paese, la semplificazione burocratica,
disavanzo di amministrazione e
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per
finanziamento debiti fuori bilancio;
la ripresa delle attività produttive.”
-
obbligo per ente, in caso di attribuzione
di risorse inferiori, di indicare, entro 60
gg, misure alternative di finanziamento;
-
modalità di contabilizzazione: entrata in
titolo II; restituzione in spesa al titolo I;
-
rilevanza per obiettivi patto: entrate entro
limiti predeterminati (da Ministero
Interno per ogni ente); spese nei limiti
delle somme rimborsate in ciascun anno.
!41
D. L. n. 16/2014 convertito, con
-
Modifica del TUEL e, in particolare:
modificazioni, dalla Legge 2 maggio 2014.
-
modifiche ai tempi della procedura del
n. 68 recante “Disposizioni urgenti in
riequilibrio pluriennale;
materia di finanza locale, nonché misure
-
sono sospese le procedure esecutive
volte a garantire la funzionalità dei servizi
intraprese nei confronti dell’ente locale
svolti nelle istituzioni scolastiche.” (art. 3)
fino alla scadenza del termine per
impugnare la delibera di approvazione o
diniego del piano innanzi alle Sezioni
Riunite della Corte dei conti o, nel caso
di presentazione di ricorso, fino alla
decisione (art. 243 quater, c. 4);
-
deroga a contrarre i mutui oltre i limiti
previsti dall’art. 204 Tuel (art. 243 bis, co
9 bis);
-
sulle risorse provenienti dal fondo di
rotazione non sono ammessi azioni di
pignoramento e sequestri;
-
modifiche alla legge di stabilità 2014 in
merito alla facoltà concessa agli enti
locali di ripresentare il piano in caso di
diniego (commi 573- 573 bis e 573 ter).
D.L. n. 66/2014 convertito, con
-
Per l’anno 2014 i comuni che hanno
modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014 ,
deliberato il dissesto finanziario a far data
n. 89 “(Anticipazioni di liquidità per il
dal 1° ottobre 2009 e fino all’entrata in
pagamento dei debiti
comuni che
vigore della L. 64/2013 e hanno aderito
hanno deliberato il dissesto finanziario) art.
alla procedura semplificata ex art. 258
33
Tuel è attribuita un’anticipazione da
dei
destinare alla gestione liquidatoria per il
pagamento dei debiti ammessi.
!42
Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di
-
stabilità 2015)
-
“Disposizioni per la
Modifiche del TUEL ed in particolare :
Previsione della facoltà - in caso
formazione del bilancio annuale e
di inizio mandato in cui l’ipotesi di
pluriennale dello Stato” .(art. 1, co.
bilancio stabilmente riequilibrato sia già
545-546).
stata trasmessa al Ministero dell’Interno
dalla vecchia amministrazione- per la
nuova amministrazione di presentare una
nuova ipotesi di bilancio (art. 261, co 4
bis);
-
Modifiche alla legge di stabilità
2014
con il prolungamento all’anno
2015 della possibilità per gli enti locali di
ripresentare il piano in caso di diniego
(comma 573 bis)
Decreto Ministero dell’Interno 18 febbraio 2013 - Individuazione degli enti locali
strutturalmente deficitari sulla base di appositi parametri obiettivi per il triennio 2013-2015
!
!
!
!
(per il triennio 2010-2012, era in vigore il D.M. 24 settembre 2009).
!43
La procedura di riequilibrio pluriennale: elementi caratterizzanti, orientamenti
della giurisprudenza contabile e problemi aperti
di
Vanessa Manzetti1 e Speranza Corbo2
!
!
SOMMARIO: 1. Premessa metodologica - 2. Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale
e dissesto guidato: presupposti e punti di contatto - 3. La procedura di riequilibrio finanziario
(artt. 243 bis e ss. TUEL) – segue 3.1 La fase dell’ esame del piano – segue 3.1.1 L’istruttoria
Ministeriale - segue 3.1.2. Le Sezioni regionali di controllo – segue 3.2 Impatto sul piano delle
risorse straordinarie di liquidità - segue 3.2.1 A) Fondo di rotazione – segue 3.2.2 B)
Anticipazione straordinaria CC.DD.PP. – segue 3.3 La fase conclusiva: dell’approvazione o
del diniego del Piano – segue 3.3.1 Approvazione del Piano: le verifiche semestrali - segue
3.3.2 – Il diniego e il ricorso alle Sezioni Riunite – 4. Riflessioni conclusive
!
1. Premessa metodologica
Il presente lavoro è dedicato alla disamina in chiave critica della procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale, introdotta dall’art. 3, comma 1, lettera r), del d.l. n. 174/2012 che ha
appositamente integrato il vigente Testo unico degli EE.LL. con gli artt. 243 bis-243 ter- 243quater.
Particolare attenzione nello sviluppo del tema sarà dedicata agli orientamenti espressi dalla
giurisprudenza della Corte dei conti, alla quale il legislatore ha riconosciuto in materia significative
attribuzioni, tanto in sede di indirizzo e controllo, tanto in sede di giurisdizionale, in piena coerenza
con il ruolo di garante imparziale degli equilibri di finanza pubblica spettante alla Corte stessa alla
luce della nuova Costituzione economica e che negli ultimi anni è fortemente rafforzato anche con
riguardo al comparto della finanza locale.
1 Assegnista
2
di ricerca – Università di Pisa.
Funzionario Corte dei conti.
!1
Giova al riguardo rammentare che le dette attribuzioni si innestano a pieno titolo nell’ambito
delle funzioni di vigilanza e controllo sistematico su bilanci e rendiconti degli enti locali, esercitate
dalle Sezioni regionali di controllo ai sensi dell’art.1, commi 166 e 167 della legge n. 266/2005,
nonché degli artt. 148 e 148 bis del medesimo TUEL, per effetto delle quali la Corte dispone di
notevoli e capillari informazioni sulla situazione finanziaria e contabile di ciascun singolo Comune
e Provincia, nel relativo sviluppo dinamico. Si tratta di un modello di controllo funzionale a
garantire il conseguimento degli obiettivi generali di finanza pubblica, come trasfusi negli artt. 81,
97 e 119 della Costituzione nel testo novellato dalla legge costituzionale n. 1/2012, e focalizzato
sulla legittimità della gestione finanziaria sotto il profilo della relativa conformità ai principi
dell’equilibrio durevole e della sostenibilità nel tempo (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 198/2012
n. 60/2013 e n. 40/2014).
Il ruolo di garanzia per la finanza pubblica svolto dalla Corte dei conti, nella sua duplice
funzione istituzionale di controllo e giurisdizione e nella sua posizione di neutralità ed equidistanza
dai poteri centrali e locali, già valorizzato con l’art. 6, comma 2, D. Lgs n. 149/2011 che consente
alle Sezioni regionali di controllo, nell’ambito dei controlli finanziari di cui all’art. 1, co 166 e
segg., L. n. 266/2005, di far emergere situazioni di fatto suscettibili di condurre l’ente locale allo
stato di dissesto (c.d. dissesto guidato), risulta particolarmente esaltato con riguardo ai compiti
assegnati nell’ambito della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.
In effetti, la magistratura contabile è chiamata a pronunciare a vario titolo ed in vari momenti
sulle scelte effettuate dagli enti che decidono di accedere alla nuova modalità di ripristino
dell’equilibrio dei propri conti, nella quale si sostanzia l’istituto in argomento.
E ciò consente agli enti interessati di avvalersi proficuamente di un contributo interpretativo
qualificato, quale ausilio per affrontare i dubbi e le incertezze nascenti nella fase applicativa.
In sintesi e per migliore comprensione delle funzioni svolte dalla Corte in materia, si precisa
che le norme di riferimento contemplano espressamente:
-
l’intervento della Sezione Autonomie, in sede preventiva e conformativa degli indirizzi da
seguire nella redazione dei Piani da parte dei Comuni interessati (art. 243 quater, comma 1,
!2
Tuel 3), nonché nel dirimere, in sede nomofilattica e di coordinamento4, questioni di massima
di particolare importanza emergenti in materia e contrasti interpretativi fra le Sezioni
regionali di controllo chiamate a pronunciare sulla legittimità dei singoli Piani (art. 6,
comma 4, d.l. n. 174/2012);
-
l’intervento necessitato delle Sezioni regionali di controllo competenti per territorio
nell’approvazione dei Piani stessi e nelle successive verifiche intermedie di “tenuta” nel
tempo, senza scostamenti negativi dagli obiettivi di risanamento pianificati;
-
l’intervento eventuale delle Sezioni Riunite in speciale composizione adite con ricorso ad
istanza di parte avverso le decisioni di diniego di approvazione emesse dalle Sezioni di
controllo ( art. 243 quater, comma 5, TUEL, come introdotto dalla lettera r) del comma 1
dell’art. 3 del d.l. n. 174/2012).
Per effetto di tali interventi, che si sono susseguiti copiosi, già nel breve lasso di tempo di
operatività del nuovo istituto, è possibile disporre di un cospicuo numero di deliberazioni e di
sentenze dalle quali sono ricavabili principi ermeneutici di notevole rilievo.
A detti orientamenti sarà fatto puntale richiamo nel testo, di volta in volta e all'occorrenza, con
riguardo ai singoli aspetti della procedura di riequilibrio cui i medesimi si riferiscono, trattati
seguendo l'ordine di naturale sviluppo della procedura dalla fase iniziale a quelle dell'approvazione
e della gestione del processo di riequilibrio in tutta la sua durata.
2. Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e dissesto5 : presupposti e punti di
contatto
La decisione di accedere al riequilibrio finanziario pluriennale è rimessa ai Consigli comunali,
in presenza dei presupposti indicati dall'art. 243 bis, consistenti nella sussistenza di squilibri
3Aggiunto
dalla lettera r del comma 1 dell’art. 3 D.L. 174/2012, come modificata dalla legge di conversione
dicembre 2012 n. 213..
7
4Si
precisa che le deliberazioni di questo tipo assumono rilevanza vincolante per le Sezioni regionali di controllo che da
esse non possono discostarsi. Si tratta di interventi reputati dal legislatore necessari per garantire uniformità alla
giurisprudenza delle Sezioni regionali di controllo, con riguardo alle questioni di rilievo generale.. Si precisa che
l’intervento delle Sezioni Autonomie non può essere richiesto qualora non esistano posizioni divergenti su un
argomento tra le varie Sezioni regionali di controllo, rimanendo impregiudicato il riferimento a quest’ultime quando
queste si sono interrogate in modo univoco su alcune problematiche, potendo a tal fine ritenere esaustive le
deliberazioni in merito agli argomenti trattati.
5
Per l’analisi normativa dell’istituto del dissesto guidato e la relazione con l’art. 148 bis TUEL cfr. Sez. reg. contr.
Puglia n. 154/2014 PRSP.
!3
strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario e, perciò, non risolvibili con le
misure di cui agli artt. 193 e 194 TUEL.
Appare chiaro, già dal tenore letterale della norma in argomento, che la situazione sostanziale
legittimante il ricorso al riequilibrio è in tutto identica a quella comportante il dissesto.
Si tratta di una situazione che va affrontata obbligatoriamente con misure straordinarie, la cui
adozione non è obbligatoria. Come precisato dal Consiglio di Stato (sent. n. 143/2012) nell'ambito
di un giudizio intentato per ottenere l'annullamento di una dichiarazione di dissesto, tale situazione
è qualificabile come una grave ed irrisolvibile empasse economico-finanziaria che non è possibile e
non è corretto ignorare senza assumere i provvedimenti necessari a salvaguardare, in una sintesi
equilibrata, da un lato gli interessi pubblici dell'ente al recupero di piena funzionalità e dall'altro
quelli privati degli operatori economici e dei dipendenti che vantano nei confronti dell'ente
posizioni soggettive tutelate dall'ordinamento.
L'identità dei presupposti di fatto necessari per accedere al riequilibrio ed al dissesto,
evidenziano la piena alternatività esistente in fase iniziale fra i due rimedi, che rimangono però
profondamente diversi quanto ad effetti, anche sul piano della tenuta della contabilità e delle
modalità di perseguimento dei sottesi, comuni obiettivi di ripristino della sana ed equilibrata
gestione finanziaria.
L'opzione per il riequilibrio richiede, come per il dissesto un previo accertamento interno dei
presupposti di grave squilibrio strutturale, ma a differenza che nel dissesto si sostanzia anche in una
valutazione prognostica ex ante di capacità di riassorbire detto squilibrio in un arco temporale
massimo di un decennio con misure articolate di incremento delle entrate e riduzione delle spese da
gestire , in linea di continuità, a carico dei conti ordinari dell'ente e sotto la responsabilità di politici
ed amministratori locali.
Ciò posto, è da precisare che il legislatore ha manifestato un chiaro favor per il ricorso al
riequilibrio, proprio mediante la disciplina specifica dei suoi rapporti con il dissesto. (cfr Sez.
Autonomie n. 16/2012/INPR).
Infatti, da un lato non è consentito di convertire in riequilibrio il dissesto già deliberato o
imposto dall'esterno con le modalità e forme del c.d. dissesto guidato (electa una via non datur
!4
recursus ad alteram), dall'altro il dissesto è la conseguenza sempre possibile e necessitata di
mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi trasfusi nei piani di riequilibrio.
Siffatto atteggiamento di “preferenza” per il riequilibrio si coglie anche nella collocazione
sistematica delle norme di riferimento, poste nella parte seconda del TUEL, nell'ambito del Titolo
VIII- capo I in prosieguo rispetto alle disposizioni concernenti la meno grave situazione di
deficitarietà strutturale ma antecedentemente alla norme sul dissesto.
Al riguardo, si consideri che il riequilibrio, a differenza del dissesto, offre maggiori garanzie di
pagamento integrale dei debiti in carico e perciò è meno pregiudizievole per i creditori dell' ente e
per l'economia locale.
Testimonia tale orientamento di favor da parte del legislatore anche l'articolata disciplina
relativa all'ammissibilità della decisione di ricorrere al piano di riequilibrio in pendenza di
pronunzie di accertamento dello stato di pre-dissesto già adottate dalle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti quale prodromo al c.d. dissesto guidato, che altro non è se non un dissesto
imposto dall'esterno quando l'ente interessato non provveda in modo autonomo ad adottare i
correttivi indicati dalle dette Sezioni regionali per far fronte ad una accertata situazione di grave
squilibrio.
Tale intendimento è rinvenibile nel disposto legislativo ex art. 3, comma 3, let. a) D.L. n.
16/2014 , che ha modificato l’art. 243 bis, comma 1, del Tuel, procrastinando il limite temporale
per il ricorso al riequilibrio in pendenza dell’iter procedurale del c.d. dissesto guidato. Detto limite
attualmente individuato dal decorso del termine assegnato dal prefetto per la deliberazione di
dissesto ex art. 6 comma 2 d.lgs. n. 149/2011, in precedenza era fissato nella deliberazione di
assegnazione del termine di adozione per le misure correttive . In base agli enunciati normativi più
recenti , è dunque consentito di optare per il riequilibrio anche se le Sezioni regionali hanno già
accertato la mancata adozione delle misure necessarie al risanamento ed attivato l'intervento
prefettizio di ingiunzione ad emettere la dichiarazione di dissesto da parte del Consiglio comunale.
Tale opzione, infatti, può essere validamente deliberata entro lo stesso termine assegnato dal
prefetto per l'adozione della deliberazione di dissesto.
Il disposto rafforza la ratio dell’istituto del c.d dissesto guidato introdotto dal decreto premi
e sanzioni, che solo in ultima istanza, può condurre coattivamente a quel dissesto finanziario che
già la procedura in questione intendeva scongiurare.
!5
In tale ottica pare opportuno ricordare che mentre alla dichiarazione di dissesto la normativa
(art 6, d. lgs. n. 149/2011; art. 248, commi 5 e 5 bis, TUEL e s.m.i.) associa una speciale fattispecie
di responsabilità con gravi sanzioni di carattere politico/amministrativo a carico degli
amministratori e dei revisori che si siano resi appunto responsabili dello stato di dissesto dell’ente,
di contro il ricorso al piano pluriennale di riequilibrio non comporta effetti sanzionatori per i
soggetti responsabili dello stato comunque di “predissesto” dell’ente.
La Sezione Autonomie della Corte dei conti, nell'inquadrare il nuovo istituto, ha affermato –
circa la sua natura – che trattasi di una procedura contenente sul piano sostanziale “in sé gli
elementi strutturali per configurarsi come un rimedio compiutamente autonomo nel novero delle
misure di risanamento codificate nell’ordinamento contabile degli enti locali, nel quale appunto,
viene inserito. […]In pratica la potenzialità, per così dire, aggiuntiva di risanamento finanziario che
gli strumenti del piano di riequilibrio offrono all’ente in condizioni di squilibrio strutturale,
giustifica una nuova valutazione della situazione pur già apprezzata in sede di “dissesto guidato”, in
quanto possono considerarsi sopravvenuti determinanti elementi di novità che fondano l’esercizio
“ex novo” del potere di iniziativa del risanamento in capo al responsabile dell’ente.” (cfr. Sez
Autonomie n. 1/2013/QMIG).
Ne deriva che “la procedura di riequilibrio costituisce una procedura del tutto eccezionale e
straordinaria, introdotta dal legislatore al fine di supportare i bilanci degli enti locali in una
contingenza dovuta alle difficoltà del ciclo economico avverso, che ha portato, essenzialmente, ad
un forte calo dei trasferimenti e delle entrate proprie, nonché all’incremento dell’evasione da
accertamento e da riscossione. L’eccezionalità deriva dal fatto che già nell’ordinamento degli enti
locali è prevista una procedura di riequilibrio, quella di salvaguardia degli equilibri di bilancio di
cui all’art. 193 del d.lgs. 267/2000 (confermata dall’art. 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012,
n. 243), a cui l’ente può e deve ricorrere in via ordinaria. “
L’art. 243-bis, comma 1, richiede, quali condizioni concomitanti del ricorso alla procedura
di riequilibrio, come detto, la sussistenza di “squilibri strutturali in grado di provocare il dissesto
finanziario” e l’insufficienza delle misure di cui agli artt. 193 (deliberazione di salvaguardia degli
equilibri di bilancio) e 194 (riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio) del TUEL, per il
superamento delle condizioni di squilibrio rilevate.
!6
In entrambi i casi, pertanto, lo squilibrio strutturale deve avere una dimensione quantitativa
tale da provocare il dissesto finanziario.
Sulle caratteristiche di tale situazione –
che se non rilevata spontaneamente dall'ente
interessato può essere fatta rilevare coattivamente mediante il c.d. dissesto guidato (cfr. SS. RR.
Speciale composizione n. 34/2014) – si è interrogata la Sezione dell’Autonomie con deliberazione
n. 2/2012/QMIG che ne ha affermato l'identificazione con “una situazione di accertata illiquidità6 ,
che si consolida e diventa strutturale nella prospettiva triennale (art. 193, co. 3, d.lgs. n. 267/2000),
tramutando in insolvenza”.
Circa i rapporti con il dissesto guidato, va precisato che la deliberazione di ricorso alla
procedura di riequilibrio ex art. 243 bis, comma 1 , del Tuel , come detto alternativamente possibile
fino alla fine, sospende la procedura di predissesto già avviata dalla Corte, che può essere riattivata
dalla fase in cui è giunta all'atto di avvio del riequilibrio in tutta la durata della gestione del Piano,
quando questo non abbia successo e non raggiunga gli obiettivi intermedi sperati.
3.
La procedura di riequilibrio finanziario (artt. 243 bis e ss. TUEL)
L’articolato iter dell’art. 243 bis del TUEL prende le mosse dalla deliberazione consiliare di
ricorso alla procedura di riequilibrio che deve essere trasmessa entro cinque giorni7 alla competente
Sezione regionale di controllo ed al Ministero dell’Interno 8 (art. 243 bis, comma 2).
La decisione di accedere al riequilibrio è dunque rimessa agli stessi Organi dell’ente
interessato. Essa comporta l’apprezzamento della situazione di squilibrio non ripianabile
ordinariamente ai sensi degli artt. 193 e 194 TUEL ed al tempo stesso la valutazione della effettiva
possibilità di potervi provvedere entro il più lungo lasso temporale, pari al massimo ad un
decennio9, senza ricorrere alla dichiarazione di dissesto.
6
“riferito alla situazione di cassa, tenendo anche conto delle situazioni sintomatiche rappresentate dagli indicatori di
deficitarietà individuati con Decreto del Ministero degli interni..
7
Il mancato rispetto di detto termine risulta in concreto del tutto privo di conseguenze sostanziali negative, cosa che
come affermato nella delibera della Sez. contr. Lazio n. 42/2014/PRSP “rende ultroneo interrogarsi sulla natura
ordinatoria o perentoria del termine di inoltro di cui trattasi.”
8
Si ritiene che debba essere trasmessa anche alla tesoreria comunale per l’effetto sospensivo delle procedure esecutive
che ne consegue. (art. 243 bis , comma 4)
9
Ex art. 243 bis, comma 6 lett c)
!7
La fase di avvio della procedura è, dunque, estremamente delicata e – come visto dianzi –
legittimamente attivabile solo ove l’Ente non sia già in stato di conclamato dissesto, per effetto di
una propria precedente dichiarazione (non revocabile) ovvero per imposizione del Prefetto su input
della Corte dei conti (c.d. dissesto guidato).
Dalla data di esecutività della deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio decorre
il termine perentorio10 di 90 giorni
11,
entro cui il Consiglio comunale è tenuto ad approvare il
piano di riequilibrio finanziario pluriennale corredato dal parere dell’organo di revisione (art. 243
bis, comma 5 )12.
La perentorietà del termine discende dalla espressa previsione di legge per la quale, il suo
inutile spirare, determina l’obbligatoria apertura della procedura di dissesto, nelle stesse forme del
c.d. dissesto guidato.
Al riguardo, è utile richiamare l’orientamento espresso dalla Sezione delle Autonomie in
sede nomofilattica (delibera n 13/2013/QMIG), che ha ritenuto che qualora alla decisione dell’Ente
di ricorrere a tale rimedio non seguano i risultati conseguenziali, “vengono a conclamarsi ex lege i
presupposti di una situazione di grave precarietà della situazione finanziaria ed amministrativa che
impongono il rimedio risolutivo previsto dall’ordinamento (dichiarazione di dissesto). Tale rimedio
è imposto omisso medio, ossia come conseguenza immediata e vincolata al verificarsi delle ipotesi
contemplate del comma 7 sopraricordato”.
Sul piano sostanziale, essa risponde all’esigenza di dare certezza di un tempestivo intervento
per tutelare finanze pubbliche in condizioni fisiologiche: ove l’ente non vi riesca autonomamente in
10
Sul punto del. Sez. Autonomie nn. 11/2013/INPR e
13/2013/QMIG. Riguardo, poi, alla “collocazione
procedimentale della verifica” vedasi, altresì, del. Sez. Autonomie n. 22/2013/QMIG.
11
Il termine previsto originariamente era di 60 giorni, modificato con l’art. 3, comma 3-bis, D.L. 6 marzo 2014, n. 16,
convertito, con modificazioni, dalla L. 2 maggio 2014, n. 68.
Il mancato rispetto di questo termine dà luogo alle conseguenze di cui all’art. 243-quater, comma 7, e cioè
“l'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l'assegnazione al Consiglio
dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto.”
12
Ne consegue che un ente che ha deciso di fare ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale, ha facoltà di
revocare la decisione fino a quando non sia scaduto il termine dei sessanta giorni di cui all’art. 243- bis, comma 5; atto
che, ovviamente, deve essere reso pubblico per la cessazione dell’effetto sospensivo delle procedure esecutive e deve
essere comunicato alla Sezione regionale di controllo al fine di evitare la procedura di dissesto. Spirato il suddetto
termine senza che sia intervenuta la revoca o presentato il piano, l’ente deve dichiarare il dissesto. Cfr. Sez. Autonomie
n. 6/2014.
!8
sessanta giorni attraverso l’approvazione del piano di riequilibrio, opera il meccanismo coattivo di
cui al comma 7 dell’art. 243 quater del T.U.E.L. “13.
Detta esigenza di certezza è legata anche alla necessità di bilanciare l’interesse alla puntuale
pianificazione del risanamento con gli interessi giuridicamente rilevanti dei terzi creditori dell’ente,
che sarebbero pregiudicati da un’eccessiva ed unilaterale dilatazione dei tempi di definizione della
procedura. Occorre, infatti, evidenziare che nel corso della procedura di riequilibrio l’ente locale
attraversa una fase extra odinem, caratterizzata da un lato da una limitazione delle funzioni di
controllo assegnate alla Corte dei conti dalla procedura del dissesto guidato (art. 6, comma 2, d.lgs.
n. 149/2011), dall’altro dalla sospensione delle procedure esecutive intraprese nei confronti
dell’ente (art. 234 bis, comma 4).
Per quanto sopra, il ritardo nella presentazione del Piano di Riequilibrio, come sottolineato
dalla Sezione delle Autonomie nella delibera 22/2013/QMIG, non può essere inteso come revoca
implicita della decisione di accedere al riequilibrio, idonea ad evitare il dissesto. La ratio di tale
preclusione è rinvenibile nella volontà di evitare possibili escamotage da parte degli Enti
inadempienti nel tentativo di non incorrere nella dichiarazione di dissesto. Ben diversa è la
possibilità riconosciuta agli enti di ritirare il Piano, correttamente presentato nei termini, nel caso di
sopravvenute modifiche dei presupposti di fatto e di diritto che avevano portato all’approvazione
del Piano stesso14.
Il mancato rispetto del termine perentorio sopra indicato può determinare i seguenti effetti, a
seconda che la decisione di accedere al riequilibrio sia intervenuta o meno in pendenza del
procedimento di c.d. dissesto guidato:
a) nella prima ipotesi connotata dalla “temporanea” sospensione della procedura di dissesto
guidato, l’iter riprende dalla fase in cui si era interrotto, completandosi nei residui passaggi
disciplinati ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149/2011;
b) nel caso, invece, in cui l’ente non sia stato già interessato all’avvio della procedura di
dissesto guidato, si producono ipso jure gli effetti di cui all’art. 243 quater, comma 7, effetti
13Cfr.
14
del Sez. contr. Sicilia n. 321/2013/PRSP.
Cfr. del. Sez. contr. Sicilia n. 360/2013/PRSP.
!9
del tutto sottratti alla disponibilità dell’ente, che si sostanziano nell’obbligatorietà della
dichiarazione di dissesto ex art 246 TUEL.
In occasione delle prime applicazioni delle norme relative alla procedura di riequilibrio, sono
stati adottati alcuni interventi normativi che hanno, tra l’altro, previsto la possibilità, qualora, in
caso di inizio mandato15, la delibera di adozione del Piano di riequilibrio “ risulti già presentata
dalla precedente amministrazione, ordinaria o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la
delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui all'articolo 243-quater, comma 3,
l'amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la
relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all'articolo
4-bis16, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149” (art. 243 bis, comma 5, così
come modificato dall’art. 49-quinquies, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito,
con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98)17.
Detta possibilità evidenzia il favor manifestato dal legislatore per il ricorso al riequilibrio
pluriennale quale alternativa al dissesto. Essa, tuttavia, determina una dilatazione dei tempi di avvio
della procedura che certamente non giova alla salvaguardia degli interessi dei terzi creditori a
vedere definite le proprie pretese. E’ anche vero, però, che il riequilibrio consente l’integrale
soddisfo dei creditori in carico, a differenza del dissesto, che ne rappresenterebbe l’alternativa
obbligatoria e nel cui ambito i creditori sarebbero pagati in moneta fallimentare.
!
15Il
mandato del Sindaco ha inizio con la proclamazione e non con la convalida degli eletti da parte del Consiglio
comunale (cfr. SSRR sentenza n. 6/2013).
In merito, poi, alla natura della relazione di inizio mandato ed al regime sanzionatorio per il mancato adempimento
dell’obbligo di redazione e pubblicazione, vedasi la recente delibera Sez. Aut. n. 15/2015/QMIG.
16
L’art. 4 bis d. lgs n. 149/20111 prevede l’obbligo, per le Province ed i Comuni di redigere una relazione di inizio
mandato volta a verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell'indebitamento dei medesimi enti. La
relazione di inizio mandato, predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale, è sottoscritta
dal presidente della provincia o dal sindaco entro il novantesimo giorno dall'inizio del mandato. Sulla base delle
risultanze della relazione medesima, il presidente della provincia o il sindaco in carica, ove ne sussistano i
presupposti, possono ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.”
17
Cfr. del Sez. contr. Sicilia nn. 266 e 268/2013. Secondo la deliberazione delle Sez. Autonomie in sede nomofilattica
(Delibera n.13/2013/QMIG),” le quattro situazioni ipotizzate nell’art. 243 quater, comma 7 (mancata presentazione del
Piano, diniego di approvazione del Piano, accertamento di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi
fissati dal Piano e mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario) configurerebbero “fattispecie legali tipiche di
condizioni di dissesto finanziario, che si aggiungono a quelle già previste dal T.U.E.L. (art. 244 T.U.E.L.)” e che
comportano l’obbligo di dichiarazione di dissesto e, conseguentemente, l’attività sollecitatoria e, eventualmente,
sostitutiva del Prefetto, da cui il richiamo all’art. 6, comma 2, del d.lgs. 149/2011”).
!10
segue 3.1
L’esame del piano (art. 243-quater TUEL)18
“Entro dieci giorni dalla data della delibera di cui all'articolo 243-bis, comma 5, il piano di
riequilibrio finanziario pluriennale è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della
Corte dei conti, nonché alla Commissione di cui all'articolo 155, la quale, entro il termine di
sessanta giorni dalla data di presentazione del piano, svolge la necessaria istruttoria anche sulla base
delle Linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti. All'esito
dell'istruttoria, la Commissione redige una relazione finale, con gli eventuali allegati, che è
trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.” (art. 243 quater, comma 1)
Il termine di 10 giorni per la produzione del piano alla Sezione regionale di controllo per la
relativa approvazione è stato in via di prassi ritenuto non perentorio “ ragion per cui se il piano è
deliberato nei termini, ma presentato oltre i termini, non incorre effetto sanzionatorio” (cfr. Sez.
Autonomie n. 11/2013/INPR).
La Sezione regionale controllo per il Lazio, nella delibera n. 42/2014 ha argomentato in
proposito correlando la “non perentorietà” del termine “alla sopravvenuta modifica dell’art. 243quater, comma 1, d. lgs. n. 267/2000 (TUEL) ad opera dell’art. 10-ter, comma 1, lett. a), D.L. 8
aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2013, n. 64 che ha escluso il
coinvolgimento diretto della Corte dei conti nella fase istruttoria, interamente affidata alla
competente Commissione del Ministero dell’Interno. Essa, pertanto, è in sé priva di ricadute in
ordine al dies a quo rilevante per l’osservanza dei termini procedimentali di durata massima della
fase in argomento, che non dipende dalla ricezione da parte della Sezione.”
Ne deriva che in attuazione delle modificazioni intervenute la Commissione per la Stabilità
Finanziaria degli Enti Locali presso il Ministero degli interni (di seguito Commissione) ha assunto
il ruolo di dominus esclusivo della fase di esame che precede l’avvio della fase di approvazione
spettante alla Corte dei conti..
“La separazione dei ruoli: compiti istruttori alla commissione e compiti decisori alla Sezione
regionale di controllo era presente già nella prima stesura della norma ma successivamente è stata
rimarcata con l’esclusione, in fase istruttoria, della funzione propositiva della Sezione regionale
verso la commissione. Esclusione, questa, operata dalle modifiche all’art. 243-quater TUEL
18
Cfr. del. Sez. Autonomie n. 16/AUT/2012/INPR e art. 3
modificazioni, dalla Legge 2 maggio 2014. n. 68.
!11
D.L. 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con
introdotte dall’art. 10-ter del D.L. 35/2013, convertito dalla legge 64/2013 che ha eliminato dal
testo della norma l’inciso concernente le possibili “indicazioni fornite dalla competente Sezione
regionale di controllo” alla surricordata Commissione. Precisato ciò, bisogna considerare che al
novero delle valutazioni istruttorie appartiene la verifica della sussistenza di quei requisiti e di
quelle condizioni che precedono l’esame del merito, consentendo, ove sussistano, l’accesso al
predetto esame; tra queste l’inammissibilità che si configura quando sussistono ragioni ostative ad
una pronuncia sul merito.”(Cfr. Sez. Autonomie, del n. 22 /2013/QMIG).
segue 3.1.1
L’istruttoria Ministeriale
La necessaria19 istruttoria Ministeriale - durante la quale la Commissione “può formulare
rilievi o richieste istruttorie, cui l’ente è tenuto a fornire risposta entro 30 giorni”(ex art. 243 quater ,
co 2) - si sviluppa secondo due step :
1.
Valutazione sull’inammissibilità, che si configura quando sussistono ragioni ostative ad una
pronuncia sul merito.
Le condizioni di inammissibilità si individuano nei casi di :
-
mancata presentazione del Piano entro il termine di cui all’art. 243-bis, comma 5, “la
constatazione della mancata presentazione del piano entro il termine di cui all’art. 243bis, comma 5 appartiene alla fase istruttoria intestata alla commissione per la stabilità
finanziaria di cui all’art. 155 Tuel che ne dà comunicazione alla sezione regionale di
controllo cui compete il formale accertamento del fatto e l’adozione della conseguente
pronuncia”20;
-
tardiva presentazione del Piano nei casi in cui è considerata causa di inammissibilità da
parte delle Commissione, come da motivazione esposta nella Relazione Finale, salvo
diversa valutazione sull’apprezzamento della tardività, da parte della Sezione che con
ordinanza dispone la prosecuzione della necessaria istruttoria ex art. 243-quater, comma
1 TUEL21;
19
La preventiva istruttoria da parte della Commissione ex art. 155 TUEL è esclusa nei soli casi in cui, entro il termine
di sessanta giorni previsto dall’art. 243 bis, comma 5, del TUEL, non sia stata dall’Ente presentata alcuna delibera di
approvazione del piano di riequilibrio (nei termini cfr. SS.RR. in speciale composizione, sent. nn. 2 e 22/2013 EL).
20
Cfr. Sez. Autonomie del. n. 22/2013/QMIG.
21
In proposito vedasi del. Sez. contr. Campania nn. 274 e 276/2013 , Sez. contr. Sicilia n. 321/2013.
!12
-
coesistenza con la procedura ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149/2011 nell’ipotesi di
decorso del termine assegnato dal Prefetto per la Deliberazione di Dissesto.
2. Valutazione sostanziale del contenuto del Piano da effettuarsi sulla base delle Linee
Guida deliberate dalla Sezione Autonomie della Corte dei conti (del. n. 16/2012/INPR),
la cui finalità è proprio quella di giungere ad una uniforme interpretazione della
valutazione del contenuto del Piano, fornendo i criteri utili alla verifica della esatta
determinazione dei valori di squilibrio presenti e dell’attendibilità e sostenibilità delle
misure proposte nell’ottica del risanamento.
La valutazione del piano non può prescindere da una serie di presupposti:
-
regolare approvazione del bilancio di previsione e dell’ultimo rendiconto nei termini di
legge22;;
-
verifica dell’adeguamento al complesso delle regole di coordinamento della finanza
pubblica contenute nelle vigenti norme in tema di finanza locale (quali il rispetto del
patto di stabilità interno, le misure per la riduzione della spesa di personale e quelle in
tema di società partecipate, rispetto dei limiti all’indebitamento, dismissioni
patrimoniali, ecc. ), o in caso contrario la presenza di misure atte a consentirne il rispetto
entro il “primo periodo23” di attuazione del piano.
-
verifica della quantificazione veritiera e attendibile dell’esposizione debitoria,
ricomprendendo i dati contabili degli organismi partecipati24. Occorre rilevare in
proposito che il “sistema delle società partecipate” rappresenta un vulnus di criticità
imprescindibile per il risanamento degli equilibri finanziari in primis locali, ma anche di
quelli generali. Criticità che vanno dal mancato allineamento dei dati contabili degli
22
Come precisato nelle suddette Linee Guida “ è necessario che le successive proiezioni abbiano come punto iniziale di
riferimento una situazione consacrata in documenti ufficiali. Al riguardo deve essere anche rilevato che l’avvio della
procedura non comporta la sospensione dei termini per la presentazione dei documenti contabili; infatti a differenza di
quanto previsto nel caso di dissesto dall’art. 248 del TUEL non si rinviene una norma espressa in tal senso. Nel silenzio
del legislatore la norma va interpretata nel significato letterale (ubi voluit dixit), anche perché è utile disporre della
rappresentazione certa e veritiera di partenza, al fine di valutare la sostenibilità del piano”.
23
Trattandosi, infatti di misure di risanamento che possono articolarsi in un arco decennale vincolando le future
gestioni, la percentuale del ripiano del disavanzo di amministrazione e del finanziamento dei debiti fuori bilancio deve
privilegiare un maggior peso delle misure nei residui anni di attività della consiliatura e comunque i primi cinque anni.
Cfr. Sez. Aut. n. 16/2012.
24
Nei termini vedasi linee guida Sez. Aut. n.16/2012.
!13
organismi partecipati con quelli degli enti locali, dalla difficile ricognizione delle società
partecipate che comporta la conseguente impossibilità di rilevare con esattezza i costi di
quest’ultime, senza voler dimenticare l’ipertrofismo normativo in materia che pone gli
enti locali in una posizione di incertezza nella governance e programmazione di queste
società. Un quadro che conduce alla non conoscenza della reale situazione economico
patrimoniale complessiva persino da parte degli stessi enti locali.
Vale la pena sottolineare che il termine dei sessanta giorni assegnato alla Commissione
dall’art. 243 quater, comma 1, TUEL per svolgere la necessaria istruttoria sul Piano è stato ritenuto
di fatto dalla Commissione stessa non perentorio.
Nel corso del 2014 la Commissione, infatti, non ha rispettato25 il termine previsto ex lege,
protraendo l’istruttoria, in alcuni casi, addirittura fino a 9 mesi26. Da tale situazione di fatto
derivano alcune criticità:
a) in termini di tutela dei diritti creditori dei terzi27 che ne sono ovviamente pregiudicati
dato il procrastinarsi dell’istruttoria e della conseguente definizione dell’iter della
procedura.
b) per quanto concerne il contenuto del piano che perde “il carattere dell’attualità”,
elemento considerato essenziale in quanto la veridicità, ed, in particolare, l’adeguatezza
delle informazioni è ovviamente uno dei uno presupposti su cui valutare l’attendibilità
del piano.
Concluso l’esame istruttorio la Commissione redige la relazione finale che inoltra alle
competenti Sezioni regionali di controllo ( ex. art. 243 quater, comma1).
25
E’ possibile suppore che , in considerazione della numerosità delle procedure di riequilibrio attivate dagli enti locali
in tutto il territorio nazionale, la Commissione si sia trovata nell’oggettiva impossibilità di svolgere i compiti assegnati.
Pare opportuno sottolineare che si tratta di un’unica Commissione su tutto il territorio nazionale per il vaglio
complessivo dei Piani di riequilibrio presentati.
26
Cfr. Sez Contr Umbria delibera n. 20/2015 .
27
Cfr art. 243 bis , comma 4 . Per maggiori approfondimenti si rinvia al Paper 1 di ricostruzione del quadro normativo.
!14
I contenuti della relazione ministeriale vanno tenuti presenti dalla Sezione regionale
deputata all’approvazione del piano, ma non assorbono gli adempimenti istruttori autonomi28 da
parte della magistratura di controllo, né possono condizionarne le decisioni.29 E ciò costituisce un
effetto derivante dalla netta separazione fra l’attività della Commissione ministeriale e quella del
giudice contabile, che non può più avvalersi della Commissione stessa quale proprio delegato ex
lege, come era nell’impostazione originaria della norma.
Al riguardo, la giurisprudenza delle Sezioni regionali di controllo è chiara nell’affermare che
le risultanze di tale istruttoria assumono un rilevo autonomo di parere qualificato posto a corredo
indefettibile del Piano e nel procedere, ove necessario, ad istruttorie anche formalizzate con
apposite deliberazioni (cfr. Sez. contr. Campania n. 9/2015; Sez. contr. Calabria n. 28/2014).
segue 3.1.2
Le Sezioni regionali di controllo.
La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, entro il termine di 30 giorni dalla
data di ricezione della Relazione finale delibera sull'approvazione o sul diniego del piano (ex art.
243 quater, co 3).
Anche questo termine è da ritenersi perentorio30. Si fà strada, peraltro, in giurisprudenza31in analogia al principio di “elasticità” del termine perentorio disposto dalla Sezioni Riunite nella
sentenza n. 2 /2013/EL con riferimento al termine previsto dall’art. 243 quater, comma 5, per
l’ipotesi di impugnazione
32-
un’interpretazione secondo la quale benché perentorio, lo stesso può
subire di fatto un prolungamento dovuto all’attivazione di ulteriori accertamenti istruttori nei casi in
cui le Sezioni regionali di controllo ne riscontrino la necessità: “entro detto termine le stesse Sezioni
riunite devono necessariamente rendere una pronuncia, che non necessariamente deve consistere in
una sentenza, ben potendo essere un’ordinanza istruttoria laddove il giudice ravvisi la necessità di
28
Autonomia ancor più garantita dalla nuova impostazione normativa (ex art. 243 quater comma 2, come modificato
dall’art. 10 ter del d. l. n. 35/2013) che ha estromesso l’intervento sinergico tra Corte e Commissione Ministeriale in
tale fase, benché i presupposti per effettuare tale valutazione siano sempre le Linee Guida della Corte.
29
Non di rado si verificano casi in cui la delibera decisoria della Sezione regionale si discosta dagli esiti della relazione
ministeriale (cfr. Sez. contr. Umbria n. 20/2015 e Sez contr. Lazio n. 162/2014).
30
Cfr Sez. contr. Lazio nn. 256/2013 e 42/2014¸Sez. contr .Calabria n. 33/2014 ; Sez. contr. Umbria n. 62/2014; Sez.
contr. Lombardia n. 111/2015.
31
Cfr Sez. contr. Campania n. 9/2015; n. 58/2014; n. 22/2014; n. 38/2013; Sez. contr. Calabria n. 79/2013 e 22/2014.
32
“dei 30 giorni dal deposito del ricorso”.
!15
svolgere adempimenti istruttori per l’acquisizione di documenti o informazioni necessari ai fini del
decidere” (cfr. SS.RR. in speciale composizione n. 2/2013/EL) . Detto orientamento non è, tuttavia,
seguito in modo omogeneo. Altre Sezioni33, infatti, a salvaguardia del principio di certezza del
diritto e delle sue conseguenze, hanno inteso tale termine perentorio strictu sensu, ed anche nei casi
della necessità di ulteriori richieste istruttorie, hanno ritenuto di dover rientrare nei suddetti 30
giorni, considerando tali adempimenti parte integrante delle loro valutazioni.
In merito alla necessità di produrre delle integrazioni documentali in pendenza della fase
istruttoria della Sezione regionale, occorre rilevare che, coma già dianzi esposto, queste spesso sono
ritenute informazioni essenziali per attualizzare il piano in pendenza di mutamenti intercorsi nella
fase intermedia tra l’adozione del piano e il momento della fase decisoria sullo stesso in capo alla
Sezione regionale di controllo.
Aspetto critico da sottolineare, è la carenza normativa in merito alla svolgimento della
gestione nel periodo pendente che intercorre dalla deliberazione consiliare per l’adozione del piano
e la conclusiva fase decisoria in capo alla Sezione regionale. Nel caso della procedura di
riequilibrio, infatti, l’ente continua a svolgere le proprie funzioni proseguendo nell’attività di
gestione ordinaria, a differenza di quanto accade nella procedura di dissesto in cui è la normativa
stessa a sdoppiare l’unitaria procedura di risanamento in due sotto- procedure parallele, in ragione
della diversa imputazione soggettiva di competenze, dal momento della dichiarazione di dissesto l’una concernente la gestione pregressa,
l’altra riguardante la gestione finanziaria ordinaria,
rispettivamente in capo all’Osl e all’ente – nonché a dettare disposizioni precise sulla gestione
provvisoria, da condurre cioè in pendenza dell’approvazione del bilancio strutturalmente
riequilibrato.
Diversamente, in pendenza dei controlli di rito, il piano di riequilibrio non ancora
formalmente efficace è esposto alle evenienze della gestione ordinaria, che continua secondo le
regole ordinarie.
Il piano approvato dall’ente, pertanto, non può che subire in tale periodo modificazioni più o
meno rilevanti in correlazione alla continuità operativa, che conducono spesso alla successiva
adozione di deliberazioni ordinarie di riequilibrio, di assestamento e di variazioni di bilancio.
33 Cfr
Sez. contr Lazio n. 42/2014 ecc
!16
Integrazioni che non possono non essere considerate dalla Sezione nelle proprie valutazioni in
relazione anche alla connaturale dinamicità34 degli equilibri/squilibri finanziari dedotti nel piano.
Sul punto si richiama il ragionamento seguito nella deliberazione n. 42/2014, Sez. contr.
Lazio, che ha , espresso la condivisibile “opinione che la prassi seguita dal Comune .., pur
formalmente irrituale, non costituisca di per sé vizio invalidante e motivo di reiezione del piano,
giacché essa è stata occasionata da sopravvenienze obiettive della gestione, asseverate dal
Consiglio comunale in deliberazioni generali, che avrebbero dovuto comunque essere tenute
presenti, per adeguare il piano alla realtà sottostante, anche nell’ipotesi in cui il medesimo fosse
stato già pienamente produttivo di effetti e che sarebbe del tutto in contrasto con la “ratio”
dell’istituto del riequilibrio pluriennale ignorare solo perché verificatesi fra la formalizzazione del
piano stesso e la conclusione della successiva fase dei controlli di legge.
Ciò considerato, sarebbe comunque auspicabile, in termini di chiarezza documentale,
recepire le integrazioni sopravvenute del piano in un atto appositamente rettificato e riformulato,
analogo a quello compilato ai fini della presente istruttoria, formalmente recepito dal Consiglio
comunale a titolo ricognitivo generale. “
Tenuto conto della complessità in re ipsa della fase della valutazione, si cercherà di provare ad
indicare i vari step seguiti dalle Sezioni di controllo in tale fase:
1. Esame documentale (Relazione finale del Ministero; delibera consiliare di avvio alla
procedura e quella successiva di approvazione del Piano - corredata da schema istruttorio35;
relazione dell’organo di revisione ecc.)- In questa fase è necessario in primis riscontrare se la
documentazione è stata prodotta in completo. Può verificarsi, ad esempio, il caso della
mancata trasmissione , alla competente Sezione regionale di controllo, della documentazione
integrativa fornita dall’Ente alla Commissione nella preliminare fase istruttoria. Ne conviene
che, in tale ipotesi, la Sezione dovrà attivarsi per richiedere le integrazioni documentali in
modo da poter avviare l’autonoma e decisoria fase istruttoria.
2. Valutazione del Piano- Dopo le valutazioni in termini di completezza documentale si
procede alla verifica delle condizioni di inammissibilità, già oggetto di esame da parte della
34
Cfr Corte cost. n. 40/2014.
35Schema
istruttorio redatto sulla base del modello allegato alla delibera Sezione autonomie n. 16/2012/INPR.
!17
Commissione , ed in generale di tutto l’iter procedurale. Dopo ciò, la Sezione può procedere
alle valutazioni di merito concernenti l’accertamento dei presupposti per il ricorso alla
procedura di riequilibrio ed il fabbisogno da finanziare. Occorre cioè verificare in primis se
la situazione di squilibrio sia stata rilevata in modo esaustivo e, successivamente, valutare la
congruità delle iniziative assunte nel piano a realizzare il risanamento.
La valutazione di merito consiste in un’analisi complessa che parte dalla ricostruzione in
chiave dinamica della situazione economico finanziaria dell’Ente interessato alla procedura.
E’ bene precisare che la Corte possiede una serie di atti e notizie sulla situazione finanziaria
dell’ente antecedente al riequilibrio, raccolte nell’ambito del monitoraggio e del controllo
permanente sui conti ex lege n. 266/2005 che le permette accertamenti approfonditi e meditati.
Non di rado, infatti, il ricorso al riequilibrio è occasionato proprio dai rilievi formulati
ordinariamente dalle Sezioni regionali con pronunzie specifiche di gravi irregolarità contabili
emesse ai sensi dell’art. 1, commi 166 e 167 l. n. 266/2005. Si richiama, in proposito la nozione di
grave irregolarità contabile secondo la Sezione Autonomie n. 6/2006: “nella nozione di gravi
irregolarità non possono essere ascritte generiche disfunzioni gestionali e che un’eventuale
pronuncia in merito della Corte non dovrebbe essere rivolta a censurare aspetti che riguardano
meramente l’inefficienza o inefficacia dell’azione amministrativa, ma solo questioni strettamente
finanziarie e contabili e di rilievo tale da mettere in forse l’equilibrio di bilancio e non consentire
all’Ente di concorrere alla realizzazione degli obiettivi generali della finanza pubblica. Omissis
Può ulteriormente aggiungersi, tuttavia, che una minaccia al conseguimento o tenuta degli
equilibri può anche derivare, al di là del formale conseguimento, da parte del bilancio, degli
equilibri ed il formale rispetto del patto di stabilità e dei limiti all’indebitamento, dalla errata
collocazione contabile di alcune poste strategicamente rilevanti (oneri di urbanizzazione, proventi
contravvenzionali etc.), dalla quantificazione di entrate in misura ripetutamente rivelatasi
esuberante nei precedenti esercizi, dalla conservazione di residui attivi di dubbia esigibilità, dal
decisivo ricorso a poste di non ripetibile utilizzazione (avanzo di amministrazione, entrate
straordinarie, indebitamento etc.).
Anche a tali profili deve pertanto ritenersi esteso l’obbligo di segnalazione, allorché il
rischio riguardi gli equilibri, come anche alla eventuale presenza di oneri sommersi derivanti, ad
!18
esempio, dalla gestione di società partecipate, o resi altrimenti sintomaticamente probabili
dall’emergere di cospicui debiti fuori bilancio.”
Di tali pronunzie e della rimozione dei fattori di squilibrio va data esposizione nei piani di
riequilibrio.
Nella Sezione prima dello schema istruttorio delineato dalle linee guida della Sezione delle
Autonomie (cfr del n. 16/2012/INPR) - Fattori e cause dello squilibrio –
il punto di partenza
consiste, infatti, nel verificare l’esistenza di precedenti deliberazioni della Corte nonché le eventuali
misure correttive già avviate dall’Ente.
L’analisi prosegue con l’esame dei fattori di squilibrio strutturale che hanno determinato il
disavanzo di amministrazione da ripianare. Si tratta di situazioni che nella quasi generalità dei casi
hanno “radici antiche”, come desumibile dalla cospicua giurisprudenza contabile delle Sezioni
regionali nell’ambito della propria attività ordinaria di controllo. Pare difficile, infatti, che una
situazione di grave squilibrio strutturale non risolvibile con gli ordinari strumenti di equilibrio di
bilancio (ex artt. 193 e 194 TUEL) possa insorgere nel breve periodo, concernendo criticità che
assumono una tale rilevanza come conseguenza di una mala gestio protratta nel medio/lungo
periodo. A titolo chiarificatorio si richiamano di seguito i fattori di squilibrio rilevati dalla
magistratura contabile nella maggior parte dei casi:
-
Sopravvalutazione delle entrate nella fase previsionale: al solo scopo di rispettare il
formale pareggio del bilancio ex 162 TUEL che corrispondono ad altrettanti residui
attivi vetusti di dubbia esigibilità;
-
Criticità nella gestione della liquidità: costante ricorso all’istituto dell’anticipazione di
tesoreria ex art. 222 Tuel ed
eccessivo utilizzo per cassa di entrate per specifica
destinazione ex art. 195 TUEL con, nei casi più gravi, il mancato reintegro a fine
esercizio e il superamento del limite massimo;
-
Eccessivo indebitamento (consentito nei limiti previsti ex art. 203 e 204 TUEL) ;
-
Debiti fuori bilancio ed altre passività latenti ( che possono derivare ad es. dagli
Organismi partecipati, da operazioni di finanza derivata in essere, da sentenze esecutive
ecc..)
!19
-
Inidoneo riaccertamento dei residui attivi e passivi (da effettuarsi ordinariamente ex art.
228 TUEL).
Trattasi di fattori che non necessariamente devono essere compresenti, anche se nella
maggioranza dei casi è proprio il mix tra tali fattori a determinare una situazione patologica da
risolvere con strumenti extra ordinem.
Individuati i fattori di squilibrio, si procede alla verifica della corretta quantificazione del
disavanzo di amministrazione. Tale fase è molto delicata in quanto al controllo della Corte spetta il
compito di individuare i casi di:
1
“sovrastima del disavanzo”- al fine di neutralizzare i rischi derivanti da un “abuso”
del ricorso alla procedura di riequilibrio da parte di enti al solo scopo di dilazionare36 il
dissesto e/o utilizzare il fondo di rotazione per la stabilità finanziaria degli enti locali
previsto ex art. 243 ter, strumento ad hoc previsto dalla normativa al fine di garantire
liquidità aggiuntiva;
2
“sottostima del disavanzo” –
al fine di evitare la inefficacia delle misure di
risanamento individuate nel piano in quanto non rispondenti alle reali necessità economico
finanziarie del bilancio dell’ente.
Una volta individuati e quantificati i fattori di squilibrio la Sezione procede all’esame delle
misure di risanamento proposte nel piano. Dette misure, individuate ex lege art. 243 bis, co 837 sono
in concreto adattate dall’ente alla propria realtà economico – territoriale.
36
Cfr. Sez. Aut. , del n. 16/2012 , che nel configurare l’istituto del piano di riequilibrio finanziario come rimedio volto a
“scongiurare la più grave situazione del dissesto”, ha rilevato che esso “potrebbe rivelarsi un dannoso escamotage per
evitare il trascinamento verso una situazione di dissesto da dichiarare ai sensi dell’art. 6, comma 2 del d.lgs. 149/2011,
diluendo in un ampio arco di tempo soluzioni che andrebbero immediatamente attuate.”
37Gli
effetti dell’adozione del Piano di riequilibrio decennale ex art. 243 bis, comma 8 sono:
a) possibilità di deliberare tariffe o tributi nella misura massima, anche in deroga ad eventuali limitazioni poste da
legislazione;
b) assicurazione copertura prevista da legge per i costi dei servizi a domanda individuale;
c) assicurazione, con proventi tariffa, di copertura integrale dei servizi di smaltimento dei rifiuti e acquedotto;
d) soggezione a controllo su dotazioni organiche e assunzioni;
e) revisione straordinaria dei residui attivi e passivi, dei mutui, dei procedimenti di realizzazione opere pubbliche e della
consistenza delle entrate vincolate;
f) rigorosa revisione della spesa, con indicazione di precisi obiettivi, anche riferiti a organismi e società partecipate;
g) possibilità di assumere mutui per copertura DFB, riferiti a spese di investimento, in deroga ai limiti ex art. 204 TUEL
nonché di accedere al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all'articolo 243-ter
a condizioni pre determinate.
!20
Al fine della valutazione della adeguatezzza- appropriatezza delle misure adottate allo scopo
di superare le condizioni di squilibrio rilevate, come affermato dalle SS.RR. in speciale
composizione, sentenza n. 34/2014: “l’utilizzo dei dati storici non può costituire il metodo
corretto…., in quanto contrasta con i precedenti della Sezione della Autonomie (cfr. delibere n.
1/2013 e n. 22/2013) e della Sezione regionale di controllo per il Lazio (cfr. delibera n. 256/2013),
che hanno affermato la necessità di una visione prospettica delle misure, valorizzando i controlli
intermedi che rimangono alla Sezione regionale di controllo, ritenendo il dissesto l’extrema ratio.”
Le misure oggetto di valutazione dovranno essere conformi ai principi economici –
finanziari da intendersi anche come “rigorosa valutazione dei flussi finanziari generati dalle
operazioni che si svolgeranno nel futuro periodo di riferimento “ secondo i criteri di ragionevolezza
e di correttezza dei procedimenti di valutazione adottati nella stesura del piano (cfr., in proposito, il
principio contabile n. 1 punti 39 e 50 nel Testo approvato dall’Osservatorio per la finanza e la
contabilità degli enti locali – Ministero dell’Interno , il 12 marzo 2008)38.
La valutazione dovrà anche constatare la conformità “alle vigenti norme in tema di finanza
locale, quali il rispetto del patto di stabilità interno, le misure per la riduzione della spesa per il
personale e quelle in tema di società partecipate, limiti all’indebitamento, dismissioni patrimoniali,
ecc..”39 ed, in generale, l’adeguatezza dei mezzi proposti al raggiungimento degli obiettivi
programmati, agli andamenti storici ed al riflesso nel periodo degli impegni pluriennali.
segue 3.2
Impatto sul piano delle risorse straordinarie di liquidità.
Gli enti ai fini del superamento della crisi di liquidità in cui versano hanno la possibilità di
accedere a due strumenti extra ordinem:
a) fondo di rotazione per la stabilità finanziaria - strumento ad hoc a sostegno delle
procedure di riequilibrio disciplinato40 ex art. 243 bis, co 8 lett. g) e co. 9, art. 243 ter e
art. 43 d.l. n. 133/2014 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 11
novembre 2014, n. 164;
38
Cfr. Sez. contr. Campania, n. 232/2013.
39
Cfr. sempre linee guida Sez. Aut. n. 16/2012.
40
Vedasi, altresì, il decreto del Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro Economia e Finanze dell’ 11 gennaio
2013.
!21
b) anticipazione straordinaria di tesoreria erogata dalla Cassa Depositi e Prestiti ex art. 1,
comma 13, d.l .n. 35/2013- strumento a disposizione di tutti gli enti locali “che non
possono far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del
31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine a causa di carenza di liquidità “.
segue 3.2.1
A) Fondo di rotazione
Con l’art. 243 ter TUEL, è stata prevista la possibilità per i soli comuni che hanno avviato la
procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, di ricorrere al fondo di rotazione per la stabilità
finanziaria il cui utilizzo è però condizionato dal rispetto alcune pre - condizioni (ex art. 243bis, co
8, lett. g) nonché da obbligazioni da rispettare in caso di accesso (ex art. 243 bis , co 9).
In particolare le condizioni per l’accesso sono:
1) la deliberazione di aliquote o tariffe nella misura massima prevista;
2) l’impegno ad alienare beni patrimoniali disponibili; la rideterminazione della dotazione
organica ai sensi dell'articolo 259, comma 641, fermo restando che la stessa non può
essere variata in aumento per la durata del piano di riequilibrio.
In caso di accesso al Fondo, l’ente è obbligato ad adottare entro il termine dell’esercizio
finanziario le seguenti misure di riequilibrio della parte corrente di bilancio:
a) riduzione delle spese di personale, mediante eliminazione di specifiche voci dai fondi
della retribuzione accessoria;
b) riduzione, entro un triennio, del 10% delle spese per prestazioni di servizi
di cui
all’intervento 03 della spesa corrente;
c) riduzione, entro un triennio, del 25% delle spese per trasferimenti di cui all’intervento 05
della spesa corrente, finanziate con risorse proprie;
41
Secondo quanto disposto dalla deliberazione della Sez. Aut. n. 8/2015 il rinvio operato all'art. 259, comma 6, “deve
intendersi riferito alla sola riduzione della dotazione organica e non anche alla riduzione della spesa del personale a
tempo determinato; misura, quest'ultima, che potrà essere adottata nel contesto degli interventi di cui al successivo
comma 9, ove necessaria al riequilibrio della parte corrente del bilancio”
!22
d) blocco dell'indebitamento (salvo mutui connessi a copertura di debiti fuori bilancio
pregressi).
Nei casi di accesso al fondo è prevista la possibilità di destinare i proventi derivanti da
alienazione di beni patrimoniali disponibili in deroga alle previsioni legislative ex art. 1, comma
443, legge di stabilità 2013 e 193, co 3 TUEL, come modificato dall’art. 1, co 444 della medesima
legge , come già previsto per enti in condizione di dissesto finanziario (ex art. 255 TUEL) , casi nei
quali detti proventi concorrono a finanziare l’intera massa passiva.
Le anticipazioni ricevute dal Fondo di rotazione devono essere restituite dall’ente locale nel
periodo massimo di dieci anni, decorrenti dall’anno successivo a quello in cui viene erogata
l’anticipazione, con rate semestrali di pari importo.
Riguardo, poi, all’aspetto relativo alle modalità di contabilizzazione e di utilizzo delle
entrate provenienti da questo fondo di liquidità, la Sezione delle Autonomie con deliberazione n.
14/2013/QMIG42 ha precisato che detta anticipazione andrebbe imputata in entrata, con
appostazione integrale
al titolo V43 nell’anno in cui viene concessa e neutralizzata in uscita
mediante iscrizione, nell’esercizio di accertamento, di un apposito fondo vincolato, di pari importo,
denominato “Fondo destinato alla restituzione dell’anticipazione ottenuta dal fondo di rotazione
per assicurare la stabilità finanziaria dell’ente”. Negli esercizi successivi il fondo sarà
progressivamente ridotto dell’importo pari alle somme annualmente rimborsate con le rate
semestrali.
La modalità di contabilizzazione suggerita dalla Corte dei conti ,oltre ad essere il linea con il
principio di “competenza finanziaria potenziata” previsto dal d. lgs. n. 118/2011 (recante
disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle
Regioni e degli Enti Locali) consente di neutralizzare44 gli effetti di tale anticipazione di liquidità a
carico del risultato di amministrazione, al fine di non “generare effetti espansivi della capacità di
42
La deliberazione affrontava anche la possibilità di finanziare con il fondo di rotazione i debiti fuori bilancio
riconosciuti dall’ente ed inseriti nel piano di riequilibrio. Tale questione risolta in senso negativo dalla Sezione è stata
poi superata con il successivo intervento legislativo con l’art. 43 del d.l. n. 133/2014 , e relativa legge di conversione.
43
Al riguardo vedasi le novità inserite dall’art. 43 del d.l. n. 133/2014.
44
In coerenza con il principio della neutralizzazione indicato, nella prassi è stata concessa agli enti la possibilità di
adottare una modalità alternativa di contabilizzazione che consiste nell’accertamento integrale dell’anticipazione
ottenuta , in entrata (al tit. V) , e contestuale integrale impegno delle somme al tit. III della spesa. (cfr. Sez. contr. Lazio
n. 42/2014).
!23
spesa”. E’ importante sottolineare, infatti, che trattasi nella specie di risorse assegnate al fine di
consentire un graduale riequilibrio della cassa dell’ente e che , quindi, non dovrebbero essere
utilizzate per il pagamento di impegni già assunti. Trattandosi, poi, di un finanziamento erogato
dallo Stato, non rileva ai fini dei limiti di indebitamento ex art. 204 TUEL.
Con l’art. 43 del d.l. n. 133/201445, tuttavia, sono state inserite sul punto alcuni interessanti
novità che prevedono, tra le altre, la possibilità di utilizzare le risorse del fondo anche per il ripiano
del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio. Trattasi
di una disposizione discutibile che “trasforma” questo fondo in uno strumento di copertura . Altra
novità rilevante riguarda le modalità di contabilizzazione delle risorse del fondo che, a differenza di
quanto indicato precedentemente, devono trovare allocazione nella parte corrente del bilancio (Tit.
II di parte entrata – Tit. I- parte spesa) con rilevanza ai fini del calcolo degli obiettivi del patto di
stabilità interno.
!
segue 3.2.2
B) Anticipazione CC.DD.PP.
Con d.l. n. 35/2013, recante disposizioni per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, è stata prevista la concessione di anticipazioni di liquidità46 a valere su un fondo
appositamente costituito nello stato di previsione del MEF (art. 1, comma 13), da restituire con un
piano di ammortamento a rate costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi, con durata
fino a un massimo di 30 anni. E’ chiaro che il ricorso a tale strumento da parte degli enti che
avevano avviato una procedura di riequilibrio, incidendo in modo sostanziale sul piano già
presentato, ha necessitato la contestuale previsione normativa regolativa della rimodulazione del
piano da adottarsi obbligatoriamente entro sessanta giorni dalla concessione della anticipazione da
parte della Cassa depositi e prestiti S.p.A. (art. 1, comma 15).
45
Le novità introdotte con l’art. 43 sono :1. destinazione risorse anche per il ripiano del disavanzo di amministrazione e
il finanziamento debiti fuori bilancio ;2. obbligo per l’ ente, in caso di attribuzione di risorse inferiori, di indicare, entro
60 gg, misure alternative di finanziamento; 3 modalità di contabilizzazione: entrata in titolo II; restituzione in spesa
al titolo I; 4. rilevanza per obiettivi patto: entrate entro limiti predeterminati (da Ministero Interno per ogni
ente); spese nei limiti delle somme rimborsate in ciascun anno .
46
Per quanto riguarda la definizione dell’anticipazione di tesoreria come finanziamento non comportante
indebitamento, vedasi Corte costituzionale , sentenza n. 188/2014.
!24
Benché la norma in esame possa apparire secondo un’interpretazione letterale esaustiva, in
realtà la necessaria interpretazione logico sistematica ha condotto a rilevarne la lacunosità47, sia per
quanto concerne la qualificazione giuridica del termine (perentorio o non perentorio), sia al
riguardo della obbligatorietà di rimodulazione del piano.
I possibili dubbi interpretativi sono stati sciolti dalla Sezione delle Autonomie che con del.
n. 22/2014/QMIG ha qualificato il termine come non perentorio chiarendo che lo stesso “ha natura
di termine sollecitatorio che delimita gli effetti di una condizione legale di sospensione dell’iter
istruttorio. […] Di conseguenza la commissione ministeriale non deve considerare l’eventuale
inadempimento della modifica del piano alla stregua di una mancata presentazione dello stesso, ma
solo un elemento di valutazione istruttoria..” Ne consegue, quindi, che non è consentita la modifica
del piano oltre il termine di legge (60 giorni) ma anche che l’ente non è obbligato a procede alla
rimodulazione che comunque avrebbe esclusivamente effetti pro ente.
La ratio decidendi è stata individuata dalla Sezione delle Autonomie nel dato di fatto che “la
maggiore liquidità di cui l’ente dispone attraverso l’anticipazione non impatta sui fattori di
squilibrio individuati nel piano,…..,che sono quelli già concretizzatisi nella storia amministrativa
dell’ente e che la legge impone di rilevare puntualmente nel piano, ma sulla durata48 del graduale
riequilibrio finanziario. [….] la mancata modifica del piano, in seguito all’anticipazione di liquidità,
non integra un vulnus sul piano della finalità di riequilibrio tale da giustificare, di per sé,
l’inammissibilità del piano ove non sia modificato incorporando gli effetti dell’anticipazione.
L’inammissibilità, infatti, si configura quando manca un elemento che condiziona
l’espletamento della valutazione istruttoria; nella materia in esame, dunque, si configurerebbe
laddove la carenza ipotizzata impedisse la valutazione di merito circa la congruità del piano di
risanamento. Per le ragioni appena esposte non ricorre tale situazione anche perché la congruenza
delle misure pianificate per riequilibrare il bilancio dell’ente non può che essere rafforzata da una
47
Questione sollevata dalla Sez. contr. Campania con la del. n. 152/2014
48
“Infatti, la maggiore dilazione, in trenta anni, della restituzione del debito, che sul decennio del piano di riequilibrio
pesa per un terzo rispetto all’ipotesi di ripiano senza la liquidità anticipata, consente di recuperare maggiore fluidità
della gestione finanziaria, liberata più rapidamente dal peso dei debiti preesistenti, in misura totale o parziale, mentre
la maggiore spesa per interessi, per la parte che cade nei dieci anni del piano, determinata da un allungamento del
periodo di estinzione dei debiti è compensata dalle economie derivanti dalle minori risorse di bilancio da impiegare per
ripianare il disavanzo. “(del. n. 22/2014).
!25
più fluida situazione di cassa che si realizza nei fatti anche nel caso in cui il piano non sia
modificato.[….]
L’art. 1, comma 15, del D.L. 35/2013, nel prevedere l’obbligo per l’ente che abbia ottenuto
l’anticipazione, di modificare il piano, opera una implicita integrazione delle disposizioni contenute
nell’art. 243-bis, comma 6, nel senso di ritenere rilevanti, ai fini del giudizio di congruenza questi
elementi nuovi sopravvenuti. Ma tale rilevanza non arriva fino al punto di considerare la carenza di
tali elementi condizione assoluta di inammissibilità del piano, così come non lo sono le altre
previsioni della stessa norma. Vale anche considerare che se si ritenesse equivalente la mancata
modifica del piano alla mancata presentazione, visto che in quest’ultimo caso scatta la procedura di
dissesto, si avrebbe la situazione paradossale che un ente nel momento in cui dispone di maggiore
liquidità, - superando, quindi, una delle due condizioni che ai sensi dell’art. 244 TUEL integrano il
presupposto giuridico del dissesto e cioè la illiquidità dell’ente - per un inadempimento di carattere
prevalentemente formale, sarebbe costretto a dichiarare il dissesto.”
Per quanto concerne la contabilizzazione dell’anticipazione ex d.l. n. 35/2013 si utilizzano
le medesime modalità indicate per il fondo di rotazione (tit. V parte entrata – tit. III parte spesa),
seguendo una applicazione analogica (cfr. Sez. Aut. nn. 22/2013 e 19/2014). Per quanto riguarda ,
poi, le modalità di utilizzo di dette risorse è bene sottolineare che come a più riprese chiarito dalla
Sezione delle Autonomie e dalle Sezioni regionali di controllo (ex plurimis Sez. Aut. n. 19/2014 e
Sez. contr. Toscana n. 35/2015) l’anticipazione in argomento consente di superare l’emergenza dei
pagamenti dei debiti pregressi e si concretizza nella mera sostituzione dei soggetti creditori
dell’Ente (il MEF in luogo degli originari creditori). Pertanto, l’anticipazione non può costituire il
finanziamento di una nuova spesa” e deve essere contabilizzata in bilancio in modo tale da “evitare
che le somme oggetto dell’anticipazione possano concorrere alla determinazione del risultato di
amministrazione, generando effetti espansivi della capacità di spesa”.
!
segue 3.3
La fase conclusiva: dell’approvazione o del diniego del Piano
La fase decisoria della Sezione regionale di controllo si conclude con la deliberazione
sull’approvazione o diniego del piano di riequilibrio pluriennale, la quale può essere assunta sia in
adunanza pubblica che in camera di consiglio in applicazione del principio di libertà della forma.
!26
In proposito la Sezione Autonomie con delibera n. 22/2013/QMIG ha affermato che si adotta
la deliberazione decisoria sul piano “in camera di consiglio laddove lo stato degli atti rassegnati alla
valutazione del Collegio non renda necessaria ulteriore attività cognitiva o accertativa in
contraddittorio con l’ente che ha deliberato il piano, riservando la forma della pubblica adunanza ai
casi in cui si presenti tale necessità in funzione di garanzia e tutela del principio del
contraddittorio”.
La mancata approvazione del piano comporta anche il diniego della concessione
dell’anticipazione sul fondo di rotazione richiesta e la restituzione dell’eventuale anticipazione
concessa.
Il dispositivo della decisione sul piano di riequilibrio deve essere immediatamente
comunicato alle amministrazioni interessate da parte delle Sezione regionali di controllo. Tale
celerità è a garanzia dell’effettività della tutela dell’ente nonché degli altri interessi coinvolti dal
procedimento.
“Alla deliberazione sul piano di riequilibrio si ricollega: innanzitutto, il rilevante effetto
della cessazione del periodo di sospensione delle procedure esecutive intraprese nei confronti
dell’ente, come dispone l’art. 243-bis, comma 4; in secondo luogo, la trasmissione della delibera al
Ministero dell’Interno, passaggio procedimentale, questo, che può assumere anche rilevante
importanza laddove dovessero verificarsi le condizioni per la dichiarazione di dissesto; infine, il
decorso del termine di 30 giorni (la legge non precisa altro ma è presumibile immaginare dalla
pubblicazione) per impugnare la delibera ai sensi dell’art. 243-quater, comma 5. “49
Di tutte casistiche che possono verificarsi successivamente alla deliberazione, solo quella
dell’impugnativa richiede la conoscenza delle motivazioni del provvedimento50 mentre gli altri
effetti si ricollegano immediatamente al semplice esito del procedimento.
!
segue 3.3.1
49
Approvazione del Piano: le verifiche semestrali
Cfr. Sez. Aut. n. 22/2013.
50
Al riguardo si richiama la disciplina in merito al controllo preventivo di legittimità secondo cui la Sezione del
controllo comunica l’esito del procedimento nelle ventiquattro ore successive alla fine dell’adunanza e le deliberazioni
sono pubblicate entro trenta giorni dalla data dell’adunanza (cfr. il comma 3 dell’art. 27 della legge 24 novembre 2000,
n. 340 come modificato dall’art. 2, comma 2-septies del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 e successivamente dall’art. 1,
comma 3 del D.L. 15 maggio 2012, n. 59.
!27
Il legislatore, dopo l’approvazione del piano di riequilibrio da parte della competente
Sezione regionale di controllo, ha stabilito, come espressamente disposto dall’articolo 243 quater,
comma 3 del Tuel, la necessità della vigilanza sull’esecuzione del piano da parte della medesima
Sezione prevedendo l’adozione di apposita pronuncia51.
Il controllo sull’attuazione del piano di riequilibrio viene svolto sulla base delle periodiche
relazioni svolte dall’organo di revisione economico – finanziaria che è tenuto, entro i quindici
giorni successivi alla scadenza di ciascun semestre, a riferire, alla Sezione regionale di controllo,
sullo stato di attuazione del piano e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi.
Il controllo effettuato dalla Sezione regionale sui piani di riequilibrio si svolge, quindi, in
modo bifasico. La prima fase, come dianzi esposto, consiste nella verifica circa la fondatezza e
l’adeguatezza, secondo parametri di congruità finanziaria, delle misure di risanamento proposte
dall’ente. Successivamente, nella fase di concomitante attuazione, la verifica assume le
caratteristiche del controllo sulla gestione nella quale la Sezione vigila sull’esecuzione del piano
effettuando “i controlli già previsti dall’art. 1, comma 168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 ed
ora riportati nel testo dell’art. 148 bis del TUEL, ed emettendo all’occorrenza, apposita
pronuncia” (cfr. Sez. Aut. n. 16/2012/INPR).
In questa seconda fase il controllo si pone, quindi, “in una prospettiva non più statica,…, ma
dinamica, in grado di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo alla adozione di
effettive misure correttive funzionali a garantire il rispetto complessivo degli equilibri di
bilancio”(Cfr. Corte costituzionale nn. 60/2013; 198/2012; 179/2007).
L’attività di controllo della Corte in questa fase è resa concretamente ancor più problematica
dall’assenza di previsioni normative circa la “temporizzazione” delle verifiche semestrali. Il
semestre oggetto di controllo, infatti, nel silenzio della legge, dovrebbe decorrere dalla data della
delibera di approvazione del piano. Nella maggior parte dei casi viene, pertanto, a verificarsi la
situazione in cui le dette verifiche interessano un periodo temporale che non trova coincidenza con
il semestre dell’anno solare e che, quindi, necessiterebbe di ulteriori documenti contabili- rispetto a
quelli ordinari di tenuta della contabilità di “ripartizione ulteriore dell’esercizio”.
51
Vedasi come esempio di deliberazioni delle verifiche semestrali: Sez. contr. Sicilia n. 82/2015/PRSP e Sez. contr.
Emilia Romagna, n. 61/2015/PRSP.
!28
In disparte da tali problematiche di tipo applicativo, si sottolinea che qualora durante la fase
di attuazione del piano, dovesse emergere, in sede di monitoraggio, un grado di raggiungimento
degli obiettivi intermedi superiore rispetto a quello previsto, è riconosciuta all'ente locale la facoltà
di proporre una rimodulazione dello stesso, anche in termini di riduzione della durata del piano
medesimo. Tale proposta, corredata del parere positivo dell'organo di revisione economicofinanziario dell'ente, deve essere presentata direttamente alla competente sezione regionale di
controllo della Corte dei conti (art. 243- quater, co 7 bis, TUEL).
Nel caso opposto in cui si accerti un grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi del
piano, la Sezione regionale può attivare la procedura per la dichiarazione di dissesto dell’ente. (ex
art. 243 quater, co. 7 TUEL).
!
segue 3.3.2
Il diniego ed il ricorso alle Sezioni Riunite
La deliberazione di approvazione o di diniego del Piano può essere impugnata entro 30
giorni, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti
in speciale composizione. (ex art. 243 quater, co.5).
La giurisdizione esclusiva a tale Organo è assegnata richiamando espressamente l’art. 103,
secondo comma52, della Costituzione. L’aver stabilito siffatta ipotesi di giurisdizione esclusiva
dimostra l’intenzione del legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione di
controllo e quella giurisdizionale della Corte dei conti53. In tal modo viene escluso che il giudice
competente possa essere il T.A.R., ponendo in risalto che, trattandosi di materie di contabilità
pubblica, la giurisdizione non può che essere quella della Corte dei conti ex art. 103 della Cost.
Le Sezioni riunite in speciale composizione si pronunciano in unico grado, anche su ricorsi
avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione e, in tutti i casi la pronuncia deve
avvenire entro 30 giorni54 dal deposito del ricorso.
52
La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
53
Nei termini vedasi Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 5805 2014.
54
Riguardo alla perentorietà del termine e la possibilità che lo stesso possa subire di fatto un prolungamento dovuto
all’attivazione di ulteriori accertamenti istruttori, vedasi la già richiamata sent. SS.RR. in speciale composizione n.
2/2013/EL.
!29
Questa nuova fase che potremmo definire di “giurisdizionalizzazione “ del controllo, apre
nuovi orizzonti che sicuramente porteranno ad un’ulteriore modifica del rapporto tra le due funzioni
della Corte dei conti e che, al momento, presenta una criticità procedurale nella fase del
contraddittorio rappresentata dall’assenza della Sezione regionale che ha emesso il provvedimento.
4.
Riflessioni conclusive
Il nuovo approccio “nazionale” volto al ripristino degli equilibri della finanza locale
attraverso la rimodulazione degli istituti tradizionali di risanamento dei bilanci pubblici si collega
alla nuova e più vasta dimensione acquisita dal concetto di equilibrio della finanza pubblica. La
necessità di un maggior coordinamento ed armonizzazione delle politiche finanziare nell’ambito del
processo di integrazione europea è stato accelerato, infatti, dalla recente crisi economica che ha
necessitato l’adozione di rigorose politiche di risanamento.
In questo contesto gli enti locali sono stati chiamati a garantire una maggiore solidità dei
conti e un equilibrio economico della gestione in quanto beni riferibili non solo alla comunità
locale, ma anche alla collettività nazionale chiamata, nell’attuale sistema di finanza pubblica
allargata, a sopportare le conseguenze negative della relativa lesione.
La Corte dei conti nel suo ruolo di garanzia a tutela della finanza pubblica e dello Stato
Comunità e nella sua posizione di neutralità ed equidistanza dai poteri centrali e locali è intervenuta
in questa fase con un ruolo propositivo e risolutivo di alcune delle criticità emerse, come si è avuto
modo di affrontare nel corpo dell’elaborato.
Nel presente lavoro si è cercato di sottolineare il particolare contributo fornito dalla
magistratura contabile all’evoluzione dell’istituto del riequilibrio finanziario pluriennale fornendo
alcune riflessioni critiche che si richiameranno brevemente di seguito:
1.
la necessità del rispetto dei termini perentori previsti a tutela della certezza del diritto e degli
interessi dei terzi coinvolti nonché per evitare che una procedura di riequilibrio finalizzata ad
evitare il dissesto, sia diluita in una abnorme dilatazione delle sue fasi;
2.
carenza normativa in merito allo svolgimento della gestione nel periodo intercorrente dalla
delibera consiliare per l’adozione del piano e la delibera di approvazione/diniego da parte
della competente Sezione regionale di controllo;
!30
3.
difficoltà applicative nell’attività delle verifiche semestrali sull’andamento della gestione
post approvazione del piano: non vi è coincidenza tra il semestre oggetto di controllo e
quello dell’esercizio contabile, con le conseguenti difficoltà e maggiore aggravio per l’ente
locale che deve fornire aggiuntivi documenti contabili rispetto a quelli ordinari di tenuta
della contabilità . Sul punto sarebbe, forse, preferibile prevedere la “coincidenza” delle
verifiche dei piani in corso con i semestri dell’anno solare.
Un’ultima riflessione è, poi, dedicata all’applicazione dei nuovi principi contabili
“armonizzati” (ex d.lgs n. 118/2011, integrato e corretto dal d. lgs. n. 126/2014). In proposito, la
Sez. Aut. con deliberazione n. 4/2015 ha dettato le prime linee di indirizzo relative alle operazioni
propedeutiche all'applicazione dei nuovi principi contabili e all'adozione degli schemi di bilancio
armonizzato , nelle quali ha sottolineato la necessità di un coordinamento tra le nuove disposizioni e
la normativa sui piani di riequilibrio, aspetto attualmente non considerato dal legislatore. L'adozione
dei nuovi principi contabili, infatti, cambia le regole di determinazione del risultato di
amministrazione e, trattandosi di adempimenti da svolgersi obbligatoriamente per legge “si deve
ipotizzare, in via interpretativa, che sia consentito all’ente interessato di rimodulare il piano già
approvato anche al di fuori della casistica tipizzata.”(cfr Sez. Aut. n. 4/2015). In questa sede, non
avendo affrontato il tema dell’armonizzazione – che per l’interesse e la complessità richiederebbe
uno studio apposito - si sottolineano soltanto le criticità che possono derivare dalla necessaria
“riclassificazione” del piano e dalla “confusione” possibile tra il “disavanzo sostanziale “ ed il
“disavanzo tecnico55”. Il primo derivante dal riaccertamento ordinario ex art. 228 Tuel e che,
55
Disavanzo tecnico: l'articolo 3 comma 13 del Dlgs 118/2011 individua situazioni di disavanzo tecnico nel caso in cui,
a seguito del riaccertamento straordinario, i residui passivi reimputati a un esercizio sono di importo superiore alla
somma del fondo pluriennale vincolato stanziato in entrata e dei residui attivi reimputati allo stesso esercizio. Il
disavanzo tecnico si genera dunque solo a seguito del riaccertamento straordinario finalizzato al passaggio ai principi di
competenza finanziaria potenziata.
Disavanzo sostanziale: la quota del disavanzo al 1° gennaio 2015 derivante dal riaccertamento straordinario, se di
importo corrispondente al disavanzo individuato in sede di rendiconto 2014, è ripianata dagli enti locali secondo le
modalità previste dall'articolo 188 del Tuel.
!31
pertanto, prevede il ripiano nei tempi ordinariamente previsti ex art. 188 TUEL56 (3 anni derogabile
non oltre la durata della consiliatura) - oppure nel caso di enti che hanno avviato la procedura di
riequilibrio, fino a 10 anni- il secondo derivante dall’applicazione del nuovo principio della
competenza rafforzata e che l’art. 3, commi 15 e 16, del d.lgs n.118/2011, consente di ripianare in
trent’anni.57 . Trattasi di una problematica a cui la magistratura contabile deve necessariamente
fornire un ausilio in tempi brevi perché laddove gli enti locali utilizzassero questo riaccertamento
straordinario per coprire disavanzi occultati negli anni e crediti privi di titolo giuridico si
troverebbero di fatto ad avere un’altra procedura di risanamento alternativa al dissesto ed al
riequilibrio pluriennale ancora più vantaggiosa perché con un ripiano trentennale. Ovviamente tale
modalità non può essere condivisibile in quanto lesiva in primis del principio di uguaglianza nei
confronti di quegli enti locali che già da qualche esercizio hanno intrapreso serie politiche di
risanamento con gravi sacrifici a carico della collettività e degli amministratori in termini di
responsabilità e poi perché verrebbe meno il rispetto del principio di mantenimento dell’ equilibrio
dinamico del bilancio costituzionalmente previsto (ex art. 81 Cost.).
56
Art. 188 TUEL, comma1: L'eventuale disavanzo di amministrazione, accertato ai sensi dell'articolo 186, è
immediatamente applicato all'esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del
rendiconto. La mancata adozione della delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione è equiparata a
tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione può anche essere
ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della
consiliatura, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo
nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. Il piano di rientro è sottoposto al parere
del collegio dei revisori. Ai fini del rientro possono essere utilizzate le economie di spesa e tutte le entrate, ad eccezione
di quelle provenienti dall'assunzione di prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione, nonché i proventi
derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di
parte capitale. Ai fini del rientro, in deroga all'art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
contestualmente, l'ente può modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza. La deliberazione,
contiene l'analisi delle cause che hanno determinato il disavanzo, l'individuazione di misure strutturali dirette ad evitare
ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed è allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte
integrante. Con periodicità almeno semestrale il sindaco o il presidente trasmette al Consiglio una relazione riguardante
lo stato di attuazione del piano di rientro, con il parere del collegio dei revisori. L'eventuale ulteriore disavanzo
formatosi nel corso del periodo considerato nel piano di rientro deve essere coperto non oltre la scadenza del piano di
rientro in corso.
57
In relazione alle modalità di ripiano del c.d. extra deficit vedasi il recente D.M. dell'Economia del 2 aprile 2015.
!32
Procedura di riequilibrio finanziario e piani pluriennali: una prima panoramica “a
campione” sulle azioni intraprese a livello comunale
di
Davide Fiumicelli
(Assegnista di ricerca – Università di Pisa)
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il quadro normativo: le possibilità concesse ai comuni per
l’adozione dei piani di riequilibrio finanziario – 3. Una prima panoramica “a campione” sulle azioni
intraprese a livello comunale – 3.1 La diffusione della procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale – 3.2 La procedura di approvazione dei piani, la durata e il loro contenuto – 3.2.1
Alcune valutazioni generali – 3.2.2 I comuni dell’Italia settentrionale – 3.2.3 I comuni dell’Italia
centrale – 3.2.4 I comuni dell’Italia meridionale e della Sicilia – 4. Brevi considerazioni critiche e
conclusive
1. Introduzione
Il quadro normativo che regola le ipotesi di critica situazione finanziaria e patrimoniale degli enti
locali e le modalità per superarle ha subìto di recente una profonda trasformazione, arricchendosi di
nuove sfumature1.
In particolare, il decreto-legge n. 174/2012, convertito con la legge n. 213/2012, ha introdotto
all’interno del decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL) gli articoli 243-bis, 243-ter e 243-quater, i
quali regolano la nuova procedura di riequilibrio finanziario pluriennale per gli enti nei quali
sussistono squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario; una figura
dunque intermedia rispetto a quelle degli enti in condizioni strutturalmente deficitarie e in dissesto
finanziario, nella quale però è affidata agli organi ordinari dell’ente locale l’individuazione e la
concreta gestione delle iniziative per il risanamento. Iniziative sottoposte al controllo tanto
preventivo (in ordine all’approvazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale), quanto
successivo (visto il ruolo di vigilanza assolto dalle Sezioni regionali di controllo durante la vigenza
del piano stesso), della Corte dei conti2.
1
Per i necessari approfondimenti legati a questo argomento si rimanda alle considerazioni svolte nel contributo
introduttivo del Prof. Marcello Degni e nel primo contributo delle Dott.sse Vanessa Manzetti e Speranza Corbo,
entrambi pubblicati nel presente Dossier.
2
Per i necessari approfondimenti legati a questo argomento si rimanda alle considerazioni svolte nel secondo contributo
delle Dott.sse Vanessa Manzetti e Speranza Corbo, pubblicato nel presente Dossier.
1
Ma quali sono gli strumenti che il legislatore ha messo a disposizione degli enti locali per
provvedere ad un’azione di risanamento durevole? E quali di questi strumenti sono stati
concretamente utilizzati dagli enti locali? Con quale modalità, distribuzione “geografica” e
frequenza?
Sono queste le domande cui cercherà di rispondere il presente contributo, offrendo una prima
panoramica, inevitabilmente “a campione” vista la vasta diffusione dell’istituto, sulle azioni
intraprese al livello più prossimo al cittadino, ossia quello comunale (che risulta essere anche quello
dove si è ricorsi più di frequente alla procedura di cui agli articoli 243-bis e seguenti del TUEL).
2. Il quadro normativo: le possibilità concesse ai comuni per l’adozione dei piani di
riequilibrio finanziario
Prima di approfondire le modalità scelte e gli strumenti impiegati dai comuni all’interno dei piani di
riequilibrio finanziario, risulta necessario mettere in evidenza le possibilità riscontabili in generale
nel quadro normativo odierno.
Quali sono, in altre parole, le possibili alternative per un comune per il quale sussistono squilibri
strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario e che decide di adottare un piano
di riequilibrio finanziario pluriennale? Con quali tempi e modalità devono essere affrontate queste
scelte?
Giova da subito osservare come le decisioni del comune in questo ambito si basino, in primo luogo,
sulle relazioni di inizio e fine mandato predisposte dal responsabile del servizio finanziario o dal
segretario generale (ex artt. 4 e 4-bis del decreto legislativo n. 149/2011), volte a verificare la
situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e la misura dell’indebitamento3.
Come già detto in precedenza, tuttavia, la procedura prevista dagli articoli 243-bis e seguenti del
TUEL si impernia su una scelta che parte dall’ente locale, il quale, nell’esercizio della propria
autonomia, richiede l’avvio della procedura, raggiunta la consapevolezza di aver toccato un livello
3
Si tratta di disposizioni che vanno lette in connessione con quelle previste dall’articolo 147 del decreto legislativo n.
267/2000 (il testo unico degli enti locali, TUEL), che individua, tra le finalità del controllo interno di regolarità
amministrativa e contabile, il “costante controllo degli equilibri finanziari”, la verifica della redazione del bilancio
consolidato (oltre che dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità degli organismi gestionali esterni dell’ente), il
controllo della qualità dei sevizi erogati. Gli articoli 147-bis, 147-ter, 147-quater e 147-quinquies del TUEL (introdotti
dal decreto-legge n. 174/2012), inoltre, arricchiscono il quadro di riferimento normativo, affiancando al controllo di
gestione il controllo amministrativo-contabile sugli atti, il controllo strategico (che serve per verificare lo stato di
attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal consiglio comunale), il controllo sulle società partecipate non
quotate e il controllo sugli equilibri finanziari (“svolto sotto la direzione e il coordinamento del responsabile del
servizio finanziario e mediante la vigilanza dell’organo di revisione, prevedendo il coinvolgimento attivo degli organi
di governo, del direttore generale, ove previsto, del segretario e dei responsabili dei servizi, secondo le rispettive
responsabilità”).
2
di guardia non più affrontabile con mezzi di tipo ordinario4. Risulta chiaro, pertanto, come la
delibera consiliare che si rivolge in tal senso debba logicamente essere coordinata con l’intervento
della Corte dei conti ex articolo 6 comma 2 del decreto legislativo n. 149/2011 (c.d. “dissesto
guidato”)5.
L’autonomo impulso insito nella procedura di riequilibrio, tra l’altro, non si esaurisce nella sua fase
genetica, visto che si affida comunque agli organi dell’ente locale l’individuazione e la gestione
delle iniziative di risanamento, nel quadro di quelle individuate in astratto dal legislatore. La
delibera consiliare di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ha infatti quale
effetto quello di bloccare le procedure esecutive fino all’approvazione o al diniego del piano,
dovendo essere trasmessa entro cinque giorni dalla data di “esecutività”6 alla competente sezione
regionale della Corte dei conti e al Ministero dell’Interno; il Consiglio comunale, poi, entro il
termine perentorio di novanta giorni7 dalla data di “esecutività” della delibera predetta, “delibera un
piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni8, compreso
quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziario”9. Un piano
che, ai sensi dell’articolo 243-quater del TUEL, deve essere trasmesso entro dieci giorni dalla data
4
Il primo periodo del primo comma dell’articolo 243-bis del TUEL dispone che “i comuni e le province per i quali,
anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti,
sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui
agli articoli 193 e 194 non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate, possono ricorrere con
deliberazione consiliare alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dal presente articolo”. L’ente
locale si può avvedere dello squilibrio strutturale durante la gestione, e non necessariamente al momento della verifica
degli equilibri; risulta chiaro, tuttavia, come debba trattarsi di una patologia grave (visti i molti vincoli nei quali incorre
l’ente), quale, ad esempio: l’accertata insufficiente attivazione delle entrate previste inidonee a finanziare le spese
impegnate e da impegnare per la competenza della gestione; uno squilibrio che deriva da un risultato di
amministrazione approvato non reale; l’accertamento di un avanzo insussistente o di una grave sottostima del
disavanzo.
5
Sul punto è importante rilevare come il decreto-legge n. 16/2014 (convertito con modificazioni dalla legge n. 68/2014)
abbia modificato il primo comma dell’articolo 243-bis del TUEL, precisando che la procedura in oggetto “non può
essere iniziata qualora sia decorso il termine assegnato dal prefetto, con lettera notificata ai singoli consiglieri, per la
deliberazione del dissesto, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149”. In tal modo
si è cercato di risolvere le possibili sovrapposizioni tra le due procedure (concretamente verificatesi in alcuni casi, come
avvenuto per i comuni di Cefalù e Vibo Valentia), concedendo ai comuni un maggior arco temporale per valutare
l’eventuale attivazione consiliare per l’avvio della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.
6
Il riferimento a questo termine ha indotto alcune amministrazioni a ritardare la pubblicazione della delibera, in modo
da guadagnare tempo per la predisposizione del piano.
7
Il termine originariamente era di sessanta giorni, ma è stato esteso a novanta giorni dal decreto-legge n. 16/2014.
8
Da notarsi come nella proposta iniziale la durata massima del piano fosse di cinque anni.
9
Il secondo periodo del comma 5 dell’articolo 243-bis del TUEL precisa tra l’altro che “qualora, in caso di inizio
mandato, la delibera di cui al presente comma risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria o
commissariale, e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui
all’articolo 243-quater, comma 3, l’amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio,
presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’articolo 4bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149”. Le Sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n.
6/2015/EL del 13 marzo 2015), a tal proposito, hanno però di recente precisato che il mandato amministrativo ha inizio
con la proclamazione del Sindaco e dei consiglieri e non con la convalida degli eletti da parte del Consiglio, dovendo
dunque farsi riferimento a quel momento per consentire la proroga della relazione di inizio mandato.
3
delle delibera del Consiglio comunale alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei
Conti (competente ad approvare o meno il piano stesso)10, nonché alla Commissione per la stabilità
finanziaria degli enti locali (la quale, tramite un’apposita sottocommissione, svolge compiti di
istruttoria e redige una relazione finale da inviare alla Corte)11.
La decisione di ricorrere alla procedura di riequilibrio non è comunque priva di rischi per il
comune: benché la delibera consiliare possa essere revocata entro certi limiti temporali, la tardiva o
scorretta presentazione del piano, così come accertamenti negativi da parte della Corte dei conti
(diniego del piano, mancato rispetto degli obiettivi intermedi o finali dello stesso), possono infatti
portare l’ente locale a dover ricorrere alla più grave fattispecie del dissesto12.
Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, ad ogni modo, deve tenere conto di tutte le misure
necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate13 e, in ogni caso, deve ricostruire in modo
completo tanto la propria situazione finanziaria ed i maggiori elementi critici che hanno portato allo
squilibrio, quanto le misure che si è inteso adottare per farvi fronte.
Le conseguenze cui deve sottostare il comune che decide di aderire al piano di rientro sono elencate
nel comma 8 dell’articolo 243-bis del TUEL14, il quale, allo stesso tempo, espone alcuni dei doveri
e delle possibilità imposti o concesse all’ente al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio
finanziario: a) la facoltà di deliberare aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima
consentita (anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente); b)
l’obbligo di effettuare una revisione straordinaria di tutti i residui attivi e passivi conservati in
10
È proprio ai sensi dell’articolo 243-quater che la Sezione Autonomie della Corte dei conti ha approvato le “Linee
Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la valutazione della sua congruenza” (delibera
n. 16/2012/SEZAUT/INPR del 20 dicembre 2012), così come corrette ed integrate negli anni successivi. Sul punto si
rimanda agli approfondimenti presenti nel secondo contributo delle Dott.sse Vanessa Manzetti e Speranza Corbo,
pubblicato nel presente Dossier.
11
In fase istruttoria, la sottocommissione può anche formulare rilievi o richieste istruttorie, cui il comune è tenuto a
fornire risposta entro trenta giorni.
12
Da questo punto di vista, però, va detto che tanto la legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), quanto la legge di
stabilità 2015 (legge n. 190/2014), hanno introdotto correttivi volti ad “alleggerire” la normativa originaria, in
particolare concedendo agli enti locali il cui piano (presentato nel 2013 o nel 2014) non sia stato approvato dalla Corte
dei conti la possibilità di ripresentarne uno nuovo (anche se solo a precise e determinate condizioni, sia di tempi che di
contenuti). È stata poi anche modificata nel corso del 2014 la norma della legge di stabilità 2014 che prevede la
possibilità di riproporre un piano di riequilibrio finanziario pluriennale qualora in precedenza sia stato ricevuto il
diniego da parte del Consiglio comunale: cambiano i termini, che ora sono fissati in centoventi giorni dalla data del
decreto, e le condizioni, che concernono l’assenza della situazione di ente strutturalmente deficitario secondo i
parametri appositamente previsti.
13
Il riequilibrio deve essere ripristinato in modo strutturale, facendo in modo che a regime le entrate di competenza
finanzino le spese di competenza (considerando anche un margine di sicurezza per fronteggiare eventuali criticità
imprevedibili che dovessero verificarsi) e riescano a ripianare l’eventuale esposizione debitoria pregressa.
14
Tra le altre, preme qui sottolineare: l’istituzione di controlli per la copertura di costo di alcuni servizi; l’obbligo di
assicurare la copertura dei costi della gestione dei servizi a domanda individuale; l’assicurazione della copertura
integrale dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del servizio acquedotto; il
controllo su dotazioni organiche e assunzioni di personale.
4
bilancio; c) l’obbligo di una revisione della spesa che tenga conto dei costi dei servizi resi e della
situazione degli organismi e delle società partecipate; d) la facoltà di assumere mutui per la
copertura di debiti fuori bilancio; e) la facoltà di accedere al “Fondo di rotazione” per assicurare la
stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’articolo 243-ter del TUEL15, essendo però sottoposti,
in questo caso, a nuovi obblighi, quali il blocco dell’indebitamento per i mutui connessi alla
copertura di debiti fuori bilancio pregressi16, la riduzione delle spese di personale, di quelle per
prestazioni di servizi (almeno per il 10% entro il termine di un triennio), di quelle per trasferimenti
finanziate attraverso risorse proprie (almeno il 25% entro il termine di un triennio).
Una volta approvato, però, il piano di riequilibrio pluriennale può essere anche rimodulato17. Il
decreto-legge n. 35/2013, ad esempio, nell’introdurre la possibilità per i comuni di richiedere una
anticipazione finanziaria a carico della Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. per saldare i loro vecchi
debiti, ha imposto ai comuni in procedura di riequilibrio che se ne avvalgono di rimodulare il piano
predisposto in precedenza (entro sessanta giorni dalla concessione della suddetta anticipazione). Il
decreto-legge n. 16/2014, introducendo i commi 7-bis e 7-ter all’interno dell’articolo 243-quater del
TUEL, ha poi previsto che, qualora durante la fase di attuazione del piano dovesse emergere, in
sede di monitoraggio da parte della Corte dei conti, un grado di raggiungimento degli obiettivi
intermedi superiore rispetto a quello previsto, sia riconosciuta al comune la facoltà di proporre alla
Corte una rimodulazione dello stesso, anche in termini di riduzione della durata del piano
medesimo.
Come può facilmente notarsi, la procedura di riequilibrio appare alquanto limitativa dell’autonomia
“politica” del comune, in particolare nel caso in cui l’ente scelga di accedere al “Fondo di
rotazione”: se da una parte, infatti, ciò conduce ad una condivisione ancora più marcata
15
In questo caso, però, l’accesso al “Fondo di rotazione” è vincolato al fatto che il comune si sia avvalso della facoltà di
deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima fissata, che abbia previsto l’impegno ad alienare i beni patrimoniali
disponibili non indispensabili per i fini istituzionali dell’ente e che abbia provveduto alla rideterminazione della
dotazione organica ai sensi dell’articolo 259 comma 6 (mettendo in soprannumero i posti che superano i rapporti medi
fra dipendenti e popolazione per le diverse fasce demografiche dei comuni, fermo restando che la stessa non può essere
variata in aumento per la durata del piano di riequilibrio). Rispetto a quest’ultimo punto, la delibera n. 8/2015 della
Sezione Autonomie della Corte dei conti del 3 marzo 2015 (8/2015/SEZAUT/INPR) ha però stabilito che l’altra misura
prevista dall’articolo in questione (pensato per ricostruire l’equilibrio di bilancio negli enti dissestati), ossia il taglio
della spesa per contratti a termine rispetto all’ultimo triennio, non sia obbligatoria per gli enti che vogliono accedere al
Fondo, restando in questo caso una mera facoltà.
16
A questo riguardo il decreto-legge n. 16/2014 ha previsto una deroga alla limitazione imposta, consentendo ai comuni
che fanno ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di “contrarre mutui, oltre i limiti di cui al comma
1 dell’articolo 204, necessari alla copertura di spese di investimento relative a progetti e interventi che garantiscano
l’ottenimento di risparmi di gestione funzionali al raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano di riequilibrio
finanziario pluriennale, per un importo non superiore alle quote di capitale dei mutui e dei prestiti obbligazionari
precedentemente contratti ed emessi, rimborsate nell’esercizio precedente” (art. 243-bis comma 9-bis TUEL).
17
Per un completo inquadramento delle ipotesi di rimodulazione e del ruolo sul punto della Corte dei conti si rimanda al
secondo contributo delle Dott.sse Vanessa Manzetti e Speranza Corbo, pubblicato nel presente Dossier.
5
dell’obiettivo del risanamento con il livello statale, dall’altra porta alla corresponsione di
un’anticipazione (e non un contributo a fondo perduto) che dovrà essere comunque restituita (senza
interessi passivi, in più anni in rate di pari importo) e che fa scattare obblighi e vincoli ancora più
stringenti18. Il legislatore statale, in questo modo, ha inserito all’interno della procedura due
fattispecie tra loro diverse: una nella quale l’ente tenta di risollevarsi solo con le proprie risorse
(sfruttando alcune deroghe alle disposizioni vigenti), e l’altra nella quale invece si richiede il
“soccorso” della liquidità proveniente da un fondo statale (con la conseguente trasformazione in
obblighi di quelle che per gli altri enti restano invece mere facoltà).
La procedura di riequilibrio, allora, per quanto minuziosa e dettagliata, sembra concedere al comune
che versa in una situazione finanziaria critica la possibilità di muoversi tra azioni e politiche
alternative, cercando di tutelare in qualche modo ancora il principio di autonomia comunale e dando
la possibilità ai vari enti di differenziare quantomeno in parte i piani di riequilibrio e, di
conseguenza, le modalità del risanamento. I piani, infatti, oltre ad un contenuto minimo ed
indispensabile imposto a tutti gli enti, presentano alcune parti che superano il nucleo minimo
obbligatorio e che risultano “modellabili” dagli enti secondo le specifiche esigenze del caso; in tal
modo, risulteranno ad esempio differenti i piani che prevedono (o meno): l’accesso al “Fondo di
rotazione”; delibere che alzano aliquote o tariffe dei tributi locali alla misura massima consentita;
l’assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio; modalità diversificate di riduzione
della spesa (personale, costi per servizi resi, partecipate, ecc.). Così come potrebbero essere diversi
gli effetti di piani che prevedono scansioni temporali distinte, visto che alla durata sono legate molte
conseguenze, quali ad esempio: la sottoposizione ai controlli centrali, l’obbligo dell’elevazione al
massimo dei tributi se si accede al “Fondo di rotazione”, le modalità di restituzione
dell’anticipazione di risorse, ecc.
L’obiettivo dei successivi paragrafi sarà proprio quello di offrire un primo “spaccato” sulla
situazione presente a livello comunale rispetto a questi aspetti, cercando di mettere in luce
similitudini e differenze di approccio tra i vari enti che hanno fatto ricorso alla procedura di
riequilibrio. Si tenterà, in altre parole, di far emergere con quali modalità i comuni hanno sfruttato i
pochi (ma comunque presenti) margini di manovra concessi dalla normativa.
18
L’accesso al “Fondo di rotazione” implica l’anticipazione di capitali a ciascun ente locale, all’interno dei criteri fissati
dall’articolo 243-ter del TUEL e dal decreto del Ministro dell’Interno 11 gennaio 2013; entrate che rilevano ai fini del
rispetto del Patto di stabilità interno.
6
3. Una prima panoramica “a campione” sulle azioni intraprese a livello comunale
Vista l’ampia diffusione dell’istituto, l’indagine che cercheremo di sviluppare si baserà su un esame
“a campione” di alcuni dei piani di riequilibrio pluriennale approvati dai comuni italiani, che terrà
in considerazione la distribuzione geografica e la densità demografica degli stessi (in modo da
fornire una “fotografia” quanto più completa e articolata possibile)19; un’indagine che, in
particolare, procederà lungo tre principali linee direttrici, tenendo in considerazione la procedura di
approvazione dei piani, la loro durata e il loro contenuto.
Ciononostante, per cercare di capire quale sia il peso ed il ruolo effettivamente ricoperto dal nuovo
strumento all’interno delle ipotesi di critica situazione finanziaria e patrimoniale degli enti locali,
appare necessario in via preliminare operare una prima ricostruzione di tipo essenzialmente
“quantitativo”.
3.1 La diffusione della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale
L’avvio della fase di prima applicazione della procedura è stato fin da subito dirompente, dato che
sono stati molti i comuni in difficoltà20 (anche di importanti dimensioni) che hanno visto nel nuovo
istituto un’occasione irrinunciabile per cercare di risanare i propri conti o, quantomeno, prendere
tempo al fine di evitare la dichiarazione di dissesto21.
Si tratta di un dato che è stato favorito anche da scelte che potremmo definire in senso lato
“politiche”, tanto della giurisprudenza che del legislatore nazionale. Il giudizio di appello delle
Sezioni riunite in speciale composizione della Corte dei conti si è infatti mostrato in vari casi più
“flessibile” di quello delle Sezioni regionali, più disponibile “politicamente” ad ammettere l’accesso
ad una procedura che altrimenti in pochissimi enti avrebbero potuto sostenere. Si è cercato inoltre
nel corso del 2014 (da ultimo con il decreto “mille-proroghe” 2015, il decreto-legge n. 192/2014) di
“alleggerire” ulteriormente la situazione, introducendo, da una parte, la possibilità per il comune di
19
In particolare, verranno presi a riferimento i piani di riequilibrio finanziario pluriennale sui quali si sono espresse (in
positivo o in negativo) le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.
20
Dai dati dei conti consuntivi pervenuti nel periodo 2009-2013, la Sezione Autonomie della Corte dei conti ha rilevato
un andamento fluttuante del numero dei comuni in disavanzo, passati dai 102 del 2009 ai 97 del 2010, ai 156 nel 2011,
ai 194 nel 2012 e ai 125 nel 2013. Per i comuni in disavanzo di amministrazione, l’importo globale dello squilibrio
finanziario nell’esercizio 2012 è stato di 1.806,862 milioni di euro, mentre nell’esercizio 2013 è stato di 1.311,144
milioni di euro.
21
I dati “quantitativi” cui si farà di seguito riferimento sono ripresi: a) dalla “Relazione sulla gestione finanziaria degli
enti territoriali (Esercizio 2013)” della Sezione Autonomie della Corte dei conti del 12 gennaio 2015; dalle slide di
presentazione dell’intervento del Dott. Giancarlo Verde (Direttore della Direzione generale della Finanza locale del
Ministero dell’Interno) al Convegno di Legautonomie sui piani di riequilibrio finanziario dei comuni svoltosi a Roma il
17 novembre 2014 (reperibile all’indirizzo http://www.legautonomie.it/Documenti/Dossier/I-Piani-di-riequilibriofinanziario-pluriennale-dei-Comuni). Per quanto riguarda il 2014, pertanto, i dati sono aggiornati alle ultime
informazioni reperibili, ossia settembre-novembre 2014.
7
ripresentare il piano non approvato dalla Corte dei conti, dall’altra, la facoltà di ricorrere alla
procedura di riequilibrio anche nella imminenza della dichiarazione di dissesto da parte del
Consiglio comunale (ossia fino alla scadenza del termine assegnato dal prefetto per la relativa
deliberazione consiliare); previsioni22 che non risolvono del tutto la situazione e che, al contrario,
rischiano di comportare la dilatazione di una già accertata condizione di fragilità degli equilibri
strutturali del bilancio degli enti locali.
Nel 2012, pertanto, sono stati ben 45 i comuni che hanno presentato domanda per l’accesso alla
procedura di riequilibrio (in media 3,75 procedure per mese): si tratta in gran parte di enti di mediopiccole dimensioni (l’84,4% è al di sotto dei 60.000 abitanti e il 64,4% al di sotto dei 20.000
abitanti), concentrati nel Sud e nelle Isole (dato che l’86,6% degli enti si trova in Campania,
Calabria e Sicilia). Una situazione che può essere dimostrativa tanto delle difficoltà degli enti di
minori dimensioni ad affrontare situazioni di crisi finanziaria gravi e particolari, che di disfunzioni
organizzative ed amministrative di enti che si collocano in zone particolarmente delicate del Paese.
Nel 2013 e nel 2014 la situazione non sembra essere cambiata nella sostanza23.
Nel 2013 le procedure di riequilibrio finanziario sono cresciute a 66 (in media 5,5 procedure per
mese), per poi ritornare sui livelli del 2012 nell’anno 2014 (41 procedure, in media circa 4 per
mese): si tratta di procedure che interessano ancora in gran parte enti di medio-piccole dimensioni
(il 98,5% nel 2013 e il 92,7% nel 2014 riguarda enti al di sotto dei 60.000 abitanti; l’80,3% nel
2013 e l’80,5% nel 2014 al di sotto dei 20.000 abitanti), concentrati nel Sud e nelle Isole (dato che
in Campania, Calabria e Sicilia sono state interessate complessivamente dal 62,1% delle procedure
nel 2013 e dal 53,7% nel 2014).
Da quanto sopra riportato24, dunque, emerge con chiarezza come il riequilibrio pluriennale risulti un
istituto abbastanza diffuso (avendo interessato comunque l’1,5% circa dei comuni italiani) che ha
coinvolto in gran parte comuni di medio-piccole dimensioni (il 92,8% è al di sotto dei 60.000
abitanti e il 75,7% al di sotto dei 20.000 abitanti), collocati in particolare nel Sud del Paese (il 48%
delle procedure ha interessato enti di Campania, Calabria e Puglia) e in Sicilia (colpita dal 25%
22
Si tratta con tutta evidenza di misure che si inseriscono in un più ampio disegno volto ad agevolare il percorso di
risanamento finanziario dei comuni che, anche alla luce delle bocciature dei piani di riequilibrio di Napoli e Reggio
Calabria da parte delle Sezioni regionali di controllo per la Campania e per la Calabria, ha mostrato sin da subito segnali
di profonda sofferenza.
23
Sembra da subito opportuno sottolineare che per quanto riguarda gli anni 2013 e 2014 i dati riportati non facciano
riferimento al numero di comuni che hanno attivato la procedura, quanto piuttosto al numero di procedure attivate nel
periodo di riferimento, visto che, in particolare nel 2014, molte di queste hanno riguardato enti che avevano già
presentato in precedenza un piano di riequilibrio, e che lo hanno ripresentato successivamente.
24
Si vedano, a tal riguardo, le tabelle n. 1 e n. 3 dell’Appendice grafica inserita alla fine del presente contributo.
8
delle procedure). Un dato che non stupisce, se si pensa a quanto accaduto in questi anni con
riferimento al fenomeno del dissesto25.
Ciononostante, se si osserva il numero di procedure di riequilibrio rispetto al numero complessivo
di comuni compresi nella rispettiva fascia di popolazione o nella rispettiva regione di appartenenza,
possono trarsi ulteriori elementi da tenere in debita considerazione26. In primo luogo, si nota come
l’incidenza del fenomeno abbia rivestito importanza con riferimento a tutti i livelli di classe
demografica: nella fascia 60.000-249.999 abitanti, difatti, sono ben 9 le procedure attivate rispetto
ad un totale di 93 comuni (9,7%), così come significativo appare l’impatto sull’ultima fascia (> di
250.000 abitanti), visto che i soli 2 comuni che hanno intrapreso questo percorso rappresentano
comunque il 16,7% del totale (12 comuni). E ciò mostra con evidenza che anche se la percentuale di
enti coinvolti è ancora contenuta rispetto alla loro numerosità, non può forse dirsi altrettanto per il
numero degli italiani interessati dal fenomeno (in particolare residenti al Sud). In secondo luogo,
emerge la rilevanza dell’istituto non solo per le tre Regioni citate in precedenza (Calabria, Sicilia e
Campania, che prevedono una percentuale di procedure di riequilibrio rispetto al totale dei comuni
dell’area del 10,3%, del 9,7% e del 4%, e che restano le principali zone di “criticità”), ma anche per
altre zone meno colpite (non solo dell’Italia meridionale) ma comunque coinvolte (Basilicata –
3,8%, Puglia – 3,5%, Umbria – 3,3%, Toscana – 2,2%, Molise – 2,2%, Lazio – 1,9%).
Quanto invece all’esito delle procedure attivate sembra opportuno rilevare come in quasi la metà dei
casi le stesse non si siano concluse in modo positivo: tra il 2012 e i primi mesi del 2015 le Sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti hanno approvato 35 piani, mentre in un numero minore
di casi (circa una trentina) si è giunti ad un diniego (o all’accertamento di inadempienze
procedurali), seguendo un trend che, ad ogni modo, sembra divenuto progressivamente più
favorevole rispetto alle iniziative locali. La distribuzione non appare però del tutto omogenea a
livello territoriale, visto che la maggior parte dei piani approvati ha riguardato comuni del Centro e
del Nord Italia, mentre problemi più seri sono stati riscontrati dalle Sezioni regionali di controllo
delle Regioni del Sud (in particolare di Campania, Sicilia e, soprattutto, Calabria).
Non sorprende scoprire, allora, il ruolo significativo via via assunto dalle sentenze delle Sezioni
riunite della Corte dei conti sui ricorsi avverso i provvedimenti di diniego delle Sezioni regionali:
basti pensare a come, nel 2014, le Sezioni riunite abbiano emesso la maggior parte delle pronunce
in materia di controllo, giudicando proprio nella speciale composizione di cui all’art. 243-quater
25
Come può desumersi dai dati riportati nella “Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali (Esercizio
2013)” della Sezione Autonomie della Corte dei conti, infatti, dei 505 enti finiti in dissesto tra il 1989 e il 2014: 346
(ossia il 68,5%) appartengono alle prime 3 fasce di popolazione; 349 (ossia il 69,1%) si trovano in Campania, Calabria,
Puglia e Sicilia.
26
Si vedano le tabelle n. 2 e n. 4 dell’Appendice grafica inserita alla fine del presente contributo.
9
comma 5 del TUEL. Un ruolo che, come già accennato in precedenza, ha portato in vari casi al
ribaltamento della decisione di livello regionale, interessando tra l’altro Comuni importanti come
Napoli, Reggio Calabria, Cosenza27.
Indicativo, infine, il numero di enti che avevano deliberato l’adesione alla procedura e che hanno
dovuto successivamente dichiarare il dissesto, in particolare nella fase di prima applicazione della
procedura. Nel 2013, ad esempio, il dissesto è stato deliberato dai Comuni di: Villalago28 e Pacentro
(Abruzzo); Anoia29, Monasterace30, Sersale31 e Vibo Valentia32 (Calabria); Capua33 (Campania);
Ispica34, Santa Venerina35, Santa Maria di Licodia36 e Milazzo37 (Sicilia). Nel 2014, invece, dai
27
Dei 18 ricorsi alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione che abbiamo osservato, 6 hanno
portato a conferme delle decisioni di livello regionale (Porto Azzurro, Soverato, Roccabascerana, Melissano, Colosimi,
Longobardi), 7 a casi di ribaltamento (Pescia, Napoli, Reggio Calabria, Belcastro, Nova Siri, Cosenza, Scalea), 5 a
sentenze di inammissibilità o improcedibilità per motivi processuali (Cerreto Sannita, Ispica, Locri, Augusta,
Benevento).
28
Con la delibera del Consiglio comunale n. 22 del 30 novembre 2012 è stata attivata la procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale e con la delibera n. 3 del 29 gennaio 2013 è stato approvato il relativo piano, poi rimodulato a
seguito dell’anticipazione da parte della Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. concessa ai sensi dell’articolo 1, comma 13, del
decreto-legge n. 35/2013. La grave situazione debitoria dell’ente ha tuttavia reso insanabile il deficit finanziario,
rendendo inevitabile la dichiarazione del dissesto.
29
Il Consiglio comunale, in data 29 dicembre 2012, aveva deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale, salvo poi revocarla con la successiva deliberazione n. 10 del 15 marzo 2013, dato che l’attento esame della
situazione contabile e delle partite debitorie aveva portato a rilevare che il successivo riequilibrio non avrebbe
probabilmente portato al risanamento completo della situazione finanziaria dell’ente.
30
Con deliberazione n. 57 del 5 dicembre 2012, dichiarata immediatamente eseguibile, il Consiglio comunale aveva
deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario, salvo poi revocarla con la successiva deliberazione n. 5
del 14 febbraio 2013, dato che l’attento esame della situazione contabile aveva portato a rilevare che il successivo
riequilibrio non avrebbe probabilmente portato al risanamento completo della situazione finanziaria dell’ente.
31
Diniego del piano presentato, accertamento del perdurare della situazione di inadempimento, ordine di dissesto:
delibera n. 30 del 5 giugno 2013.
32
Diniego del piano presentato e ordine di dissesto: delibera n. 21 del 18 aprile 2013.
33
Mancata approvazione del piano: delibera n. 275 del 14 novembre 2013.
34
Il Consiglio comunale, con delibera del 20 novembre 2012, aveva approvato l’adesione alla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale, ma con la successiva delibera del 15 gennaio 2013 non si è arrivati all’approvazione del piano,
portando così la Corte dei conti a dover applicare l’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149/2011. Il ricorso
sul punto proposto dal Sindaco del Comune di Ispica è stato dichiarato inammissibile dalle Sezioni riunite in speciale
composizione con sentenza n. 5/2013/EL dell’11 ottobre 2013.
35
Il Comune, con delibera consiliare del 12 dicembre 2012, aveva richiesto l’accesso alla procedura di riequilibrio
finanziario, ma non ha potuto concretamente presentare il piano di riequilibrio per il mancato accordo con la Società
Ingegneria e appalti per la rateizzazione del credito da questa vantato.
36
Il Consiglio comunale, preso atto delle criticità rilevate in precedenza dalla Corte dei conti, con la delibera n. 52 del
28 dicembre 2012 aveva cercato di aderire alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ma il Collegio dei
revisori ed il Responsabile del servizio finanziario, con nota congiunta, hanno evidenziato la grave situazione
finanziaria dell’ente tale da rendere impossibile la predisposizione ed attuazione di un piano di riequilibrio.
37
La Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia, con delibera n. 203/2012 del 19 luglio 2012, accertata la
presenza di squilibri strutturali nella gestione economico-finanziaria dell’ente tali da provocare il dissesto, ha richiesto,
ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149/2011, l’adozione, entro sessanta giorni, di adeguate
misure correttive. La Corte, con la successiva delibera n. 242 dell’11 ottobre 2012 ha poi accertato l’inadempimento
dell’ente, e con la delibera n. 349 del 14 novembre 2012 ha dichiarato inammissibile la procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale. Gli organi politici del Comune di Milazzo non hanno ottemperato alla richiesta di dichiarazione
di dissesto, cui ha provveduto il Commissario ad acta appositamente nominato; avverso il decreto prefettizio di nomina
del Commissario e gli atti conseguenti, alcuni consiglieri comunali hanno proposto ricorso (n. 22369-2013) al T.A.R.
10
Comuni di: Varallo Pombia (Piemonte); Roccabascerana38 e Casalduni39 (Campania); San Giovanni
in Fiore (Calabria); Casarano40 (Puglia); Palagonia e Bagheria41 (Sicilia). Ma la lista è sempre in
continuo aggiornamento.
Per alcuni di questi comuni (come nei casi di Monasterace, Santa Venerina e Palagonia), tra l’altro,
si tratta del secondo caso di dissesto nel giro di un decennio (dato che i primi casi di dissesto si sono
verificati, rispettivamente, nel 1992 e nel 1994).
Sul totale degli enti che hanno chiesto di accedere alla procedura di cui agli articoli 243-bis e
seguenti del TUEL, allora, sono più di venti i comuni che hanno dichiarato ex post il dissesto, visti
gli inadempimenti procedurali, la revoca o la non approvazione del piano di riequilibrio proposto42.
Sicilia – Catania. Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n.
16631/2014 del 22 luglio 2014 hanno dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo,
escludendo in questo caso il radicamento della speciale competenza giurisdizionale delle Sezioni riunite della Corte dei
conti.
38
Nella specie, il Comune aveva stabilito di ricorrere alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e
successivamente aveva approvato un piano di riequilibrio finanziario decennale, poi modificato con altra delibera; in
seguito, con un’ulteriore delibera, l’ente ha revocato tutte e tre le precedenti. La Sezione regionale di controllo per la
Campania, con deliberazione n. 137/2014 dell’8 maggio 2014, nonché le Sezioni riunite in speciale composizione, con
sentenza del 2 luglio 2014, hanno stabilito che la revoca, da parte di un Consiglio comunale, della deliberazione di
ricorrere all’istituto del riequilibrio finanziario pluriennale è ammissibile solo prima della scadenza del termine
perentorio di legge entro il quale il comune deve adottare il relativo piano; pertanto, la revoca, disposta dall’ente dopo la
scadenza di detto termine, sia della deliberazione di ricorrere al riequilibrio finanziario, sia di quella di adozione del
piano di riequilibrio stesso, produce un effetto equivalente alla mancata adozione di quest’ultimo, con la conseguente
obbligatorietà della dichiarazione di dissesto, previo l’apposito invito da parte del prefetto.
39
Mancata approvazione del piano e deliberazione n. 276/2013/PRSP del 28 novembre 2013 della Sezione regionale di
controllo per la Campania.
40
Con la deliberazione n. 164/2014/PRSP del 25 settembre 2014 la Sezione regionale di controllo per la Puglia aveva
condotto il primo monitoraggio del piano di riequilibrio del Comune di Casarano (approvato dalla medesima Sezione
con deliberazione n. 153/2013/PRSP del 21 ottobre 2013), appurando la gravità del mancato rispetto, da parte dell’ente,
degli obiettivi intermedi fissati. In particolare erano stati sollevati dubbi con riguardo: a) al disavanzo di
amministrazione; b) ai debiti fuori bilancio; c) alla situazione di cassa; d) all’avanzo di parte corrente. Era stato altresì
chiarito nella pronuncia che l’ente non poteva farsi carico dei debiti della società partecipata in liquidazione.
Ciononostante, in seguito si è pervenuti comunque alla dichiarazione di dissesto.
41
Diniego del piano presentato: delibera n. 321 del 16 ottobre 2013.
42
Caso a parte sembra quello del Comune di Scaletta Zanclea (Sicilia). L’ente, dopo la delibera di accesso alla
procedura di riequilibrio finanziario, non ha presentato il piano nei termini previsti, facendo scattare la nomina del
Commissario ad acta e la conseguente dichiarazione di dissesto. L’amministrazione ha però presentato ricorso avverso
la delibera del Commissario ad acta ed ha ottenuto dal T.A.R. Sicilia la sospensiva dell’esecuzione della delibera di
dissesto, potendo così provvedere all’approvazione di un nuovo piano di riequilibrio finanziario. Di recente, la delibera
di dissesto è stata annullata dalla III Sezione del T.A.R. Sicilia – Catania: i giudici amministrativi, dopo aver ribadito la
propria giurisdizione in materia di impugnazione del provvedimento prefettizio, hanno infatti stabilito nell’udienza del
14 gennaio scorso che il ricorso del Comune è fondato, poiché, “nelle more della decisione è intervenuta la sentenza n.
219/2013 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega,
dell’art. 13, seconda parte, del D.Lgs. 149/2011, laddove prevede(va) l’automatica e diretta applicazione alle regioni a
statuto speciale delle disposizioni di cui al D.Lgs. 149/2011 e, tra queste, la norma dell’art. 6 del predetto D.Lgs.
149/2011 che ha costituito il referente normativo degli atti impugnati”. L’intero procedimento avviato dalla Prefettura
di Messina, dunque, si è basato su una norma dichiarata incostituzionale, laddove imponeva la diretta applicabilità di
tutte le disposizioni in essa contenute anche alle Regioni dotate di autonomia speciale, come la Sicilia; l’Avvocatura
dello Stato non è riuscita pertanto ad indicare specificatamente quale sia (o possa essere) la norma su cui si fonderebbe
11
Si tratta di numeri importanti che, come già rilevato, hanno spinto il legislatore ad “alleggerire” la
normativa originaria, ammettendo la riproposizione del piano non approvato; una possibilità da
subito sfruttata da molti dei comuni che avevano subito un diniego in “prima battuta”, e che,
nonostante le precise e determinate condizioni poste (sia di tempi che di contenuti), hanno cercato
per questa via di evitare la dichiarazione di dissesto43.
3.2 La procedura di approvazione dei piani, la durata e il loro contenuto
Dai dati sopra elencati emerge come i comuni che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale siano stati numerosi, con miliardi di disavanzi di amministrazione da
ripianare.
Il nuovo strumento ha dunque concretamente offerto ai comuni l’opportunità di avviare,
quantomeno in parte in autonomia, una rigorosa operazione di revisione dei costi dei servizi erogati
e degli organismi e società partecipate posti a carico del proprio bilancio; uno strumento che si è
mosso sì diversificandosi (almeno parzialmente) a seconda della realtà (territoriale, demografica,
finanziaria) di riferimento, ma portando anche alla luce difficoltà applicative nella predisposizione e
attuazione in tempi rapidi di efficaci piani di risanamento.
Si cercherà dunque di evidenziare alcuni dei principali pregi e difetti emersi dall’analisi svolta “a
campione” con riferimento alla procedura di approvazione dei piani, alla loro durata e al loro
contenuto, provando poi ad approfondire le considerazioni svolte ponendo attenzione alla
distribuzione geografica e alla densità demografica dei comuni coinvolti.
3.2.1 Alcune valutazioni generali
In primo luogo, l’esame della procedura di approvazione dei piani ha messo in risalto due dati
principali: a) la stretta collaborazione tra l’organo di revisione economico-finanziario del Comune e
il Consiglio comunale; b) il difficile rapporto tra l’istruttoria della Commissione ministeriale e il
controllo interno dell’organo di revisione e quello esterno della Corte dei conti44.
Come emerge dai riscontri svolti “a campione” nei comuni italiani, il rinnovato controllo di
regolarità amministrativa e contabile ha registrato un ampio adeguamento delle delibere degli
organi di indirizzo politico ai pareri del responsabile del servizio finanziario, che supera l’80%. Un
dato che risulta ancora più evidente nel caso della procedura di riequilibrio, visto che i pareri
il potere sostitutivo esercitato dal Prefetto di Messina, che ha portato alla nomina del Commissario e alla successiva
dichiarazione di dissesto finanziario.
43
Si pensi, solo per citare alcuni esempi, ai Comuni di: Benevento e Cerreto Sannita (Campania); Melissano (Puglia);
Chiaravalle centrale, Cropani, Longobardi, Soverato, Taurianova (Calabria); Belmonte Mezzagno, Caccamo, Scicli
(Sicilia). Casi che, come vedremo nel prosieguo del lavoro, hanno avuto esiti diversificati.
44
Sul punto si rinvia per i necessari approfondimenti alle considerazioni svolte nel secondo contributo delle Dott.sse
Vanessa Manzetti e Speranza Corbo, pubblicato nel presente Dossier.
12
dell’organo di revisione interno sono stati mediamente positivi rispetto alla predisposizione del
piano, muovendosi spesso in linea con le successive delibere della Corte dei conti. Al contrario,
invece, di quanto avvenuto rispetto all’istruttoria svolta dalla Commissione per la stabilità
finanziaria degli enti locali. Questa, in vari casi, ha espresso valutazioni diverse dai giudizi poi
emessi dai giudici contabili, apparendo talora più sensibile alla situazione di partenza degli enti
coinvolti nella procedura di riequilibrio. La fase istruttoria condotta dalla Commissione
ministeriale, inoltre, si è mediamente protratta per un lasso di tempo eccessivo, rendendo nei fatti
più complesso e meno efficace il controllo delle Sezioni regionali della Corte (le quali si sono
trovate più volte a dover intervenire al cospetto di una situazione economico-finanziaria mutata nel
corso del tempo)45.
In secondo luogo, con riferimento alla durata dei piani, giova ricordare che la durata massima
deliberabile è di dieci anni (compreso quello in corso al momento dell’approvazione), mentre in
origine la misura fissata dal legislatore era di cinque anni. La ratio di una simile estensione
temporale viene comunemente rintracciata nella necessità di fornire ai molti comuni con disavanzi
consistenti e squilibri finanziari eccessivi un tempo più ragionevole per rientrare dalle proprie
critiche situazioni finanziarie. Questa possibilità è stata concretamente sfruttata dai comuni che
hanno intrapreso la via del riequilibrio finanziario pluriennale, visto che nella gran parte dei casi
analizzati il piano approvato fa riferimento al periodo massimo previsto dal legislatore.
Si tratta di un elemento che è stato preso in considerazione da alcune proposte di riforma avanzate a
Governo e Parlamento, e tese a richiedere un ulteriore estensione della durata massima del piano al
fine di favorire un effettivo risanamento degli enti. Al riguardo, però, sembra opportuno sottolineare
il rischio di un’eccessiva “deresponsabilizzazione” dei decisori pubblici, i quali possono essere
“tentati” dal rinviare quanto più possibile le drastiche misure finanziarie da predisporre; un rischio
messo in evidenza anche dalla Corte dei conti, la quale, nell’esaminare molti dei piani di
riequilibrio finanziario decennale sottoposti al proprio vaglio, ha sottolineato comunque la necessità
di concentrare il maggior peso delle misure nei primi anni del piano, preferibilmente negli anni di
attività della consiliatura e comunque nei primi 5 anni (in modo da non vincolare eccessivamente le
gestioni future)46.
45
Nella già citata sentenza n. 6/2015/EL del 13 marzo 2015, ad ogni modo, le Sezioni riunite dalla Corte dei conti
hanno sottolineato l’“autonomia” di giudizio della Corte stessa rispetto al lavoro istruttorio predisposto dalla
Commissione ministeriale. Le Sezioni regionali della Corte non incontrano pertanto vincoli nell’esercizio della propria
attività cognitiva, potendo esercitare autonomi poteri istruttori anche in relazione ad elementi non presi in
considerazione dalla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali.
46
Così come anche stabilito nelle “Linee Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la
valutazione della sua congruenza” (la già citata delibera n. 16/2012/SEZAUT/INPR del 20 dicembre 2012), e come
confermato successivamente in varie delibere delle Sezioni regionali di controllo e delle Sezioni riunite (sentenza n.
34/2014/EL del 22 ottobre 2014); queste ultime, tuttavia, hanno sottolineato come sul punto non esistano vincoli o
13
In terzo luogo, con riferimento ai contenuti del piano, emerge fin da subito la differenza tra i
comuni che hanno avuto accesso al “Fondo di rotazione” e quelli che invece hanno deciso di
procedere al risanamento cercando di contare solo sulle proprie forze (visto che ciò influisce sul
percorso imposto o, al contrario, suggerito all’ente locale). Anche in questo caso, come vedremo
meglio nel prosieguo del presente contributo, la decisione è strettamente connessa con il contesto
economico-finanziario di riferimento. In generale, però, è possibile evidenziare come l’accesso al
“Fondo di rotazione” sia stato chiesto da buona parte dei comuni che hanno intrapreso la via del
riequilibrio finanziario, anche se la distribuzione delle somme prenotate e assegnate ha risentito
della loro “consistenza” demografica e collocazione geografica : nel 2012, ad esempio, rispetto ad
un importo totale di circa cinquecento milioni di euro, il solo Comune di Napoli ha prenotato €
234.985.721,72, così come alquanto rilevante risulta l’importo prenotato dal Comune di Catania,
pari ad € 71.863.597,73; allo stesso tempo, è necessario rilevare come l’accesso al “Fondo di
rotazione” sia stato chiesto principalmente dai comuni del Sud Italia, in particolare di Calabria,
Campania e Sicilia. Significativo poi, anche se poco utilizzato in alcune parti del territorio, il ricorso
alle anticipazioni di liquidità concesse dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.a., che in taluni casi hanno
portato alla rimodulazione dei piani originariamente approvati47.
Le scelte effettuate dai comuni che non hanno richiesto l’accesso al “Fondo di rotazione” (e che
potevano contare su un margine di manovra più ampio) si sono così moderatamente diversificate a
seconda della tipologia e dell’entità della situazione finanziaria da ripianare, confermando il
carattere quantomeno in parte “differenziale” che caratterizza la procedura di riequilibrio. Ad ogni
modo, le iniziative più percorse hanno interessato: a) dal lato delle entrate, l’incremento delle
entrate tributarie (IMU, aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF) e, meno di frequente, di
quelle extra-tributarie, l’alienazione della parte del patrimonio disponibile non necessario per i fini
istituzionali dell’ente; b) dal lato delle spese, la contrazione delle spese per il personale e di quelle
per la gestione delle società partecipate, l’estinzione anticipate dei mutui contratti (o di parte degli
stessi). Si tratta, a ben vedere, di iniziative intraprese in modo simile anche dai comuni che non
hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio, al fine di fronteggiare gli effetti delle pesanti
manovre di finanza pubblica degli ultimi anni. Gli enti locali, infatti, hanno tendenzialmente
“sostituito” le entrate da trasferimenti con le entrate tributarie48 e la spesa di personale con la spesa
imposizioni “rigide”, dovendo guardarsi alla situazione concreta che ha portato l’ente locale alla scelta delle tempistiche
del piano e dell’attuazione delle sue misure.
47
Al riguardo risulta opportuno sottolineare come sussista una certa differenza tra le anticipazioni originariamente
previste nei piani di riequilibrio finanziario e quelle inserite successivamente (e che hanno portato alla rimodulazione
dei piani), in buona parte connessa alla situazione finanziaria di base degli enti che ne hanno fatto richiesta.
48
Nell’ambito delle entrate proprie spicca l’incremento (23,82%) delle tasse da ascrivere principalmente alla TARES;
in generale ed in valore assoluto i comuni hanno incassato 1,6 miliardi in più rispetto al 2012.
14
per l’acquisto di beni e di servizi49, in gran parte per l’adozione di percorsi di progressiva
“esternalizzazione”50.
All’interno dei piani di riequilibrio analizzati sembrano però assenti compiuti e precisi riferimenti a
modifiche di tipo organizzativo e funzionale che rendano credibili gli aumenti di entrata e le
riduzioni di spesa previste. Un problema di “effettività” che, tuttavia, appare legato più a carenze e
lacune della normativa di riferimento che ad una precisa scelta degli attori comunali, ma che
comunque non può che limitare sul punto il margine di azione delle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti (quantomeno in “prima battuta”, anche se la loro azione può diventare più
efficace in sede di verifica semestrale dell’attuazione delle misure del piano)51.
Nei paragrafi successivi cercheremo di approfondire i punti accennati in precedenza, avendo
specifico riguardo alla dimensione geografica e demografica dei comuni esaminati.
3.2.2 I comuni dell’Italia settentrionale
Le procedure di riequilibrio finanziario pluriennale che hanno interessato i comuni dell’Italia
settentrionale sono relativamente poche (13 su 152, ossia l’8,6% circa del totale) e si concentrano in
quattro Regioni, ossia Piemonte (452), Lombardia (6), Emilia-Romagna (2) e Friuli-Venezia Giulia
(1)53; l’incidenza è dunque abbastanza circoscritta, visto anche il vasto numero di comuni presenti
49
Con riferimento all’esercizio 2013, la spesa corrente è cresciuta dell’8,2%, quale risultante della diminuzione della
spesa per il personale (-2,98%) e dell’incremento della spesa per l’acquisto di beni (0,33%) e per la prestazione di
servizi (12,03%). Quest’ultima voce aumenta per tutte le fasce demografiche, ma risulta più contenuta nei comuni
appartenenti alle fasce fino a 5.000 abitanti e decisamente più elevata in quelli di medie e grandi dimensioni.
50
Si tratta di riferimenti che sono stati messi in evidenza anche nella relazione del Presidente della Corte dei Conti
Raffaele Squitieri in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015.
51
Conformemente all’insegnamento delle Sezioni riunite della Corte dei conti (la già citata delibera n. 16/2012/INPR),
la valutazione di congruità tra obiettivo e risultato della pianificazione operato dalle Sezioni regionali di controllo deve
fondarsi tra elementi già esistenti e certi (l’entità dello squilibrio da ripianare) e una serie di elementi non ancora
esistenti (le entrate da accertare e da riscuotere); in particolare, il piano è congruente se si prefigge un obiettivo non
inferiore rispetto a quello necessario per il riequilibrio (congruenza dell’obiettivo) o se le previsioni di entrata e di spesa
in esso contenute, a legislazione vigente, sono attendibili (congruenza dei mezzi). Ma la Corte, per quanto abbia ampie
libertà valutative rispetto al piano (giudizio di conformità alla normativa vigente, di veridicità dei dati e di congruità ai
fini del riequilibrio finanziario), non pare potersi esporre eccessivamente sul punto della “effettività” delle misure
previste senza un’adeguata modifica legislativa che lo consenta.
52
Non viene qui considerato il Comune di Ghislarengo, vista la particolarità del caso. Con deliberazione n.
40/2014/SRCPIE/PRSP del 28 febbraio 2014, infatti, la Sezione regionale di controllo per la Regione Piemonte della
Corte dei conti ha dichiarato il non luogo a provvedere sul piano di riequilibrio finanziario adottato dal Comune (senza
la preventiva delibera consiliare di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’articolo
243-bis del TUEL) e non inviato alla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali.
53
In questo caso è necessario fare riferimento, oltre che alla normativa statale, alle disposizioni introdotte dall’articolo
14, commi 16-21, della legge regionale 27 dicembre 2013, n. 23 (“Legge finanziaria 2014 della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia”). In forza delle norme di attuazione dello Statuto speciale di autonomia in materia di
ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9), la Regione ha previsto che le disposizioni
riguardanti gli enti locali deficitari o dissestati contenute negli articoli da 242 a 269 del TUEL, che considerano
l’esercizio di funzioni amministrative in capo ad organi statali, si applichino nella Regione Friuli-Venezia Giulia in
conformità al disposto dell’articolo 27, comma 1, della legge regionale 4 luglio 1997, n. 23 (“Norme urgenti per la
semplificazione dei procedimenti amministrativi, in materia di autonomie locali e di organizzazione
dell’Amministrazione regionale”).
15
in questi territori (Piemonte 4 procedure su 1.206 comuni totali – 0,3%, Lombardia 6 su 1.530 –
0,4%, Emilia-Romagna 2 su 340 – 0,6%, Friuli-Venezia Giulia 1 su 216 – 0,5%)54. Si tratta
essenzialmente di comuni di medio-piccole dimensioni, tutti al di sotto dei 20.000 abitanti e ben 8 al
di sotto dei 5.000.
Con riferimento alla procedura di approvazione dei piani, emerge tanto la stretta e positiva
collaborazione tra il Consiglio comunale e l’organo di revisione economico-finanziario del comune,
quanto il difficile rapporto tra l’azione di questi organi e l’istruttoria della Commissione
ministeriale (che influisce negativamente anche sul controllo operato dalla Corte dei conti)55. In tutti
i casi esaminati, infatti, il parere dell’organo di revisione interno è stato positivo sia in fase di
approvazione del piano, che durante il controllo sul raggiungimento degli obiettivi intermedi.
L’istruttoria della Commissione ministeriale, invece, ha in alcuni casi riscontrato anomalie rispetto
ai “contenuti richiesti dalle disposizioni normative di riferimento e dalle indicazioni contenute nelle
linee guida elaborate dalla Corte dei conti”, portandola di conseguenza ad esprimere un giudizio
negativo (nonostante le molte integrazioni istruttorie richieste ai comuni)56, giunto sovente dopo un
lungo lasso temporale (con inevitabili conseguenze sull’efficacia del controllo delle Sezioni
regionali della Corte)57.
Dei piani adottati dai comuni di quest’area del Paese, ad ogni modo, 10 (su 13 complessivi, ossia il
77% circa) sono stati esaminati dalle Sezioni regionali di controllo delle quattro Regioni, e tutti
sono stati approvati. Il primo dato è spiegabile vista la mole contenuta di ricorsi di questo tipo che
54
Si vedano le tabelle n. 3 e n. 4 dell’Appendice grafica inserita alla fine del presente contributo.
Per quanto riguarda il piano di riequilibrio finanziario del Comune di Dogna, va precisato come l’attività istruttoria
posta in capo alla Commissione ministeriale di cui all’articolo 243-bis e seguenti del TUEL venga svolta, in FriuliVenezia Giulia, da un Comitato tecnico composto da cinque membri, all’interno della Direzione centrale funzione
pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, Servizio finanza locale (così come stabilito dalla
deliberazione n. 509 del 21 marzo 2014 della Giunta regionale). A seguito delle integrazioni istruttorie richieste dal
Comitato tecnico (che pure aveva espresso un giudizio sostanzialmente positivo), l’ente locale ha riapprovato il piano di
riequilibrio nel maggio del 2014, dopo la prima approvazione di febbraio; entrambe le deliberazioni sono state
trasmesse alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, ma la documentazione completa è pervenuta alla Sezione di
controllo solo in data 4 luglio 2014 (per il tramite della Sezione giurisdizionale), a seguito di “sollecito invio” inoltrato
all’ente da quest’ultima. Con la deliberazione n. 117/2014/PRSP del 15 luglio 2014 la Sezione di controllo ha poi
ritenuto necessario richiedere l’acquisizione del “testo completo e formalmente configurato dell’atto consiliare di
approvazione del Piano, corretto nelle sue componenti e corredato del parere sullo stesso dell’Organo di revisione”,
nonché “l’evidenza della composizione del risultato di amministrazione degli esercizi 2012 e 2013” e degli “ulteriori
dati ed informazioni sui fattori di squilibrio” segnalati, approvando solo successivamente il piano con la deliberazione
n. 160/2014/PRSP del 7 ottobre 2014.
56
Si pensi, ad esempio, a quanto constatato dalla Commissione ministeriale in riferimento al Comune di Manerbio
(relazione trasmessa dal Ministero dell’Interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali - Direzione centrale
della finanza locale con nota del 13 ottobre 2014, n. 103109).
57
Con la deliberazione n. 148/2014/SRCPIE/PRSP del 17 luglio 2014, ad esempio, la Sezione regionale di controllo per
il Piemonte ha ordinato l’acquisizione di documentazione aggiornata in ordine alla situazione del Comune di
Castell’Alfero, in ragione dei miglioramenti medio tempore intervenuti (secondo quanto riferito dai rappresentanti
dell’ente) e “del notevole lasso di tempo trascorso dalla presentazione del piano all’Adunanza della Sezione, stante la
dilatazione dei tempi dell’istruttoria condotta dalla Commissione ministeriale”.
55
16
le Sezioni regionali si sono trovate ad esaminare; il secondo dipende molto probabilmente dalla
situazione economico-finanziaria di base dei comuni interessati che, come vedremo subito dopo, si
presentava sì critica, ma legata non tanto a gestioni in toto scorrette quanto piuttosto ad eventi
eccezionali cui si è cercato di far fronte con il ricorso alla procedura di riequilibrio.
Si tratta di un elemento che, tuttavia, ha influenzato solo parzialmente la struttura dei piani
predisposti dai comuni qui presi in considerazione, visto che la loro durata è stata prevista
praticamente in tutti casi con riferimento al massimo consentito dalla legge. In Piemonte, dei
quattro comuni esaminati, due hanno impostato un piano decennale (Castell’Alfero e Varallo
Pombia), mentre gli altri due hanno sviluppato un piano in 8 (Briga Novarese) e 9 anni
(Villastellone). In Lombardia, dei sei comuni esaminati tutti hanno previsto un piano decennale
(Azzano Mella, Manerbio, Mozzate, Sedrina, Toscolano Maderno) ad eccezione del Comune di
Campione d’Italia, che ha previsto un piano quadriennale, poi ridotto a 3 anni58. In EmiliaRomagna, dei due comuni osservati uno ha previsto un piano decennale (Sant’Agata Feltria) e
l’altro un piano della durata di 9 anni (Castellarano). Anche in Friuli-Venezia Giulia il Comune di
Dogna ha fatto riferimento al periodo massimo fissato dal legislatore.
Quanto ai contenuti principali introdotti all’interno dei piani pluriennali, giova in primo luogo
osservare come risultino molti i comuni che non hanno richiesto l’accesso al “Fondo di rotazione”
(sono 10 su 13, il 77% circa)59 o l’anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti
S.p.a. (ex articolo 1 comma 13 decreto-legge n. 35/2013)60, potendo dunque contare su una più
ampia libertà di azione61. Salvo alcune eccezioni (anche rilevanti)62, infatti, la procedura di
58
La durata del piano del Comune di Campione d’Italia, estremamente contenuta, si spiega anche in ragione della
peculiarità dell’ente e della sua situazione economico-finanziaria: si tratta di un ente della Provincia di Como che
costituisce un’enclave italiana nel territorio del Canton Ticino, separata dal resto d’Italia dal lago di Lugano e dalle Alpi
svizzere; la moneta corrente è il franco svizzero e le maggiori criticità finanziarie derivano essenzialmente
dall’andamento della società di gestione della “Casa da gioco” (i cui proventi assumono un ruolo preponderante
nell’ambito delle risorse comunali).
59
Sono i Comuni di: Villastellone, Briga Novarese e Varallo Pombia in Piemonte; Campione d’Italia, Azzano Mella,
Manerbio, Mozzate e Toscolano Maderno in Lombardia; Sant’Agata Feltria in Emilia-Romagna. Il Comune di
Toscolano Maderno, tuttavia, si è riservato la possibilità, ai sensi anche del comma 7-bis dell’articolo 243-quater del
TUEL, di procedere successivamente ad una rimodulazione del piano che preveda l’utilizzo del “Fondo di rotazione”.
60
Questa è stata richiesta solo dai Comuni di Manerbio e di Castellarano.
61
Da notare, al riguardo, come stante la competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza locale, ai
sensi dei commi 19-21 dell’articolo 14 della legge regionale n. 23/2013, per il risanamento finanziario degli enti locali
che deliberano la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, la Regione abbia istituito un fondo di anticipazione
finanziaria per assicurare la stabilità finanziaria dei bilanci degli enti locali in difficoltà. Per detta finalità, è stata
autorizzata la spesa di euro 200.000 a carico del bilancio regionale per l’anno 2014. Con la deliberazione n. 13/2014 il
Consiglio comunale di Dogna si è riservato la possibilità di accedere al Fondo di anticipazione regionale, secondo le
modalità che sono state definite dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 2341 del 5 dicembre 2014, ottenendo così
poi concretamente l’anticipazione di liquidità, con conseguente modifica del piano di riequilibrio. Modifica in parte
criticata dalla Sezione regionale di controllo per il Friuli-Venezia Giulia (deliberazione n. 16/2015/PRSP del 18
febbraio 2015) in quanto l’anticipazione finanziaria e la sua restituzione non sarebbero state “contabilizzate tenendo
conto degli indirizzi e delle soluzioni su questioni di massima concernenti le risorse del fondo di rotazione espresse
17
riequilibrio è stata avviata per la necessità di coprire straordinarie passività sopravvenute o mancate
riscossioni di crediti vantati dagli enti locali63.
Di conseguenza, i comuni hanno fatto fronte alla critica situazione finanziaria nella quale versavano
cercando di non ricorrere ad anticipazioni di liquidità esterne, agendo essenzialmente attraverso:
l’incremento delle entrate proprie tributarie (aumento aliquote IMU, TARI, TASI e addizionale
comunale IRPEF, talvolta nella misura massima consentita); la riduzione delle spese per il
personale (tramite l’esercizio associato di funzioni, il blocco del turn-over, la mobilità in uscita),
quelle di gestione per organismi partecipati e per organi politici istituzionali, quelle correnti su
forniture, servizi e prestazioni (anche attraverso, se del caso, modalità diverse di gestione);
l’alienazione di patrimonio immobiliare disponibile non necessario ai fini istituzionali dell’ente. Un
insieme di misure64 che, in svariati casi (anche recenti), sono state valutate nel complesso
positivamente dalle Sezioni regionali di controllo delle quattro Regioni in sede di valutazione
sull’attuazione dei piani di riequilibrio adottati65.
3.2.3 I comuni dell’Italia centrale
dalla Sezione delle Autonomie nella deliberazione n. 14/SEZAUT/2013/QMIG, nonché di quanto definito nel decreto
del Ministero dell’Interno 11 gennaio 2013 (Accesso al fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli
enti locali)”.
62
I problemi riscontrati con riferimento al Comune di Mozzate sono infatti legati in generale alla gestione della “cosa
pubblica”, ed in particolare nel rapporto con le partecipate. I problemi finanziari del Comune di Castellarano, inoltre,
sono frutto di diverse e reiterate irregolarità contabili che non hanno trovato adeguato riscontro nei questionari in
precedenza presentati alla Corte dei conti, i quali, pertanto, hanno fornito una rappresentazione della situazione
contabile dell’ente non veritiera. Quanto al Comune di Dogna (Friuli-Venezia Giulia), la Sezione regionale di controllo
per il Friuli-Venezia Giulia aveva più volte rilevato (in particolare con la deliberazione n. 119 del 23 ottobre 2013) la
presenza di pesanti squilibri di bilancio discendenti dall’emersione di gravi irregolarità contabili reiterate nei diversi
esercizi, con conseguente disavanzo di amministrazione che ammontava ad euro 411.826,88 a rendiconto 2012.
63
Si pensi, ad esempio, alla situazione dei Comuni di Briga Novarese e di Varallo Pombia in Piemonte, così come di
quella del Comune di Toscolano Maderno in Lombardia.
64
Si tratta comunque, a ben vedere, di parte delle misure imposte in astratto dalla normativa agli enti che volessero
accedere al “Fondo di rotazione”.
65
Si pensi, solo per fare alcuni esempi: a) alla delibera n. 241/2014/SRCPIE/PRSP del 12 novembre 2014, con la quale
la Sezione regionale di controllo per il Piemonte pronuncia la “presa d’atto” sul raggiungimento degli obiettivi
intermedi fissati dal piano di riequilibrio pluriennale del Comune di Villastellone; b) alla delibera n. 9/2015/PRSE del
21 gennaio 2015, con la quale la Sezione regionale di controllo per la Lombardia ha avallato il percorso di attuazione
del piano del Comune di Campione d’Italia, visto l’“effettivo ed efficace riequilibrio del bilancio”; c) alla deliberazione
n. 16/2015/PRSP del 18 febbraio 2015 della Sezione regionale di controllo per il Friuli-Venezia Giulia che, salvo alcune
criticità rilevate (incertezza nella tempestiva adozione dei provvedimenti di riorganizzazione della spesa corrente per il
contenimento della medesima, situazione di liquidità ancora precaria), dà comunque atto “della positività del
complessivo saldo di gestione di parte corrente e di parte capitale” raggiunto dal Comune di Dogna; d) alle
deliberazioni n. 192/2014/PRSP del 19 settembre 2014 e n. 61/2015/PRSP del 10 aprile 2015, con le quali la Sezione
regionale di controllo per l’Emilia-Romagna ha riscontrato un “ottimo livello di raggiungimento degli obiettivi
programmati” dal Comune di Castellarano (visto che al termine del secondo anno di attuazione del piano è stato
ripianato circa il 50% del disavanzo), pur sussistendo ancora talune criticità (per il raggiungimento di due dei quattro
obiettivi posti dall’articolo 243-bis comma 9 a carico degli enti che hanno avuto accesso al “Fondo di rotazione”).
Rispetto al Comune di Castellarano, tra l’altro, la Corte dei conti ha riscontrato una situazione generale che poteva
portare ad una rimodulazione in melius del piano, ma il Comune ha ritenuto opportuno non modificare il programma
degli obiettivi originariamente approvato.
18
Le procedure di riequilibrio finanziario pluriennale che hanno interessato i comuni dell’Italia
centrale sono ancora relativamente poche (18 su 152, ossia l’11,8% circa del totale), anche se sono
distribuite in tutte e quattro le Regioni prese in considerazione (6 in Toscana, 3 in Umbria, 2 nelle
Marche e 7 nel Lazio) e con un’incidenza che cambia a seconda del territorio di riferimento. Se
nelle Marche il ricorso alla procedura di riequilibrio è circoscritto (2 procedure su 236 comuni
totali, ossia lo 0,8%), negli altri casi assume un peso ed una rilevanza via via più significativa
(Lazio 7 su 378 – 1,9%; Toscana 6 su 279 – 2,2%; Umbria 3 su 92 – 3,3%)66. Si tratta
essenzialmente di comuni di medio-piccole dimensioni, dato che più della metà si trovano al di
sotto dei 10.000 abitanti, sebbene siano presenti anche enti di consistenza maggiore (Frosinone e
Rieti nel Lazio, entrambi capoluoghi di provincia e al di sopra dei 45.000 abitanti).
Per quanto attiene alla procedura di approvazione dei piani, emerge una situazione simile a quella
osservata con riferimento ai comuni dell’Italia settentrionale, ma con alcune particolarità degne di
nota. Il rapporto tra gli organi politici degli enti e i soggetti deputati ai controlli interni, infatti, resta
positivo e fruttuoso, ma in alcuni casi il giudizio sui piani approvati si è mostrato meno
“accondiscendente”, muovendosi tra l’altro non del tutto in linea con quanto statuito
successivamente dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti67. Al contrario, il rapporto
con l’istruttoria ministeriale, per quanto ancora complesso68, è risultato in alcuni casi
paradossalmente più agevole rispetto a quello con i due organi sopra citati, e ciò ha portato talora la
66
Si vedano le tabelle n. 3 e n. 4 dell’Appendice grafica inserita alla fine del presente contributo.
Nel caso del Comune di Arrone, ad esempio, l’Organo di revisione ha sì espresso parere favorevole sul piano,
precisando tuttavia che, in merito al giudizio sulla sua attendibilità, sussistevano “oggettive difficoltà, riscontrabili nelle
numerose e imponderabili incognite che si celano in esso: arco temporale eccezionalmente lungo rispetto l’ordinaria
programmazione triennale, andamento futuro dell’economia e delle sue variabili (inflazione, tassi d’interesse, domanda
interna, politica fiscale, ecc. ecc.) ed evoluzione della finanza pubblica e della normativa d’interesse locale”.
Ciononostante, la Sezione regionale di controllo per l’Umbria, con la deliberazione n. 20/2015/PRSP del 26 gennaio
2015, ha stabilito che “pur con le riserve che emergono dall’entità dei ‘fondi vincolati non ricostituiti al 31 dicembre
2013’ (€ 275.103, ex pag. 5 della relazione dell’Organo di Revisione) e dalle ‘anticipazione di tesoreria non restituite
al 31 dicembre 2013’, oltre che dalla scarsa ‘attendibilità’ di alcune misure di riequilibrio, ritiene che il Piano del
Comune di Arrone possa essere approvato”.
68
Si pensi, ad esempio, alle plurime ed articolate criticità rilevate dalla Commissione ministeriale rispetto alle misure
previste nel piano di riequilibrio del Comune di Arpino (Lazio) e alle loro tempistiche. Si pensi, ancora, a quanto
rilevato dalla Commissione ministeriale con riguardo al piano del Comune di Arrone (Umbria), il quale “non appare del
tutto conforme ai contenuti richiesti dalle disposizioni normative di riferimento ed alle indicazioni contenute nelle Linee
guida elaborate dalla Corte dei conti”, segnalandosi in particolare le seguenti criticità: a) “ridotti margini di manovra
di riduzione della spesa e di aumento delle entrate per mezzo dell’attività di recupero dell’evasione, considerate le già
scarse risorse strumentali e rotazionali”; b) molti dati non risultavano allineati con le previsioni di bilancio 2014,
essendo stato redatto il piano in data antecedente a quella di approvazione del predetto bilancio, relativo all’esercizio di
decorrenza del piano. Considerazioni che, visto anche il lungo lasso di tempo intercorso tra l’approvazione del piano
(21 febbraio 2014) e il giorno in cui è pervenuto alla Sezione regionale di controllo (dicembre 2014), hanno suggerito
alla stessa di richiedere (con nota n. 4 del 2 gennaio 2015) l’acquisizione di alcuni chiarimenti all’ente e una relazione
dell’Organo di revisione sulle azioni intraprese nell’ultimo anno.
67
19
Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali a formulare valutazioni meno “rigide” di
quelle di revisori e giudici contabili69.
Dei piani adottati dai comuni di quest’area del Paese, ad ogni modo, 11 (su 18 complessivi, ossia il
61% circa) sono stati esaminati dalle Sezioni regionali di controllo delle quattro Regioni: 8 sono
stati approvati, mentre 3 (due del Comune di Porto Azzurro, uno di Pescia, entrambi in Toscana)
sono stati respinti. In questi ultimi casi, tra l’altro, i comuni interessati hanno impugnato le delibere
che avevano negato l’approvazione del piano innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti, le
quali sono giunte a conclusioni differenziate: in un caso (Porto Azzurro) hanno rigettato
l’impugnativa proposta, e nell’altro (Pescia) l’hanno invece accolta70.
Si tratta dunque di dati affini a quelli riscontrati per i comuni dell’Italia settentrionale, anche se
sembrano iniziare ad emergere criticità maggiori legate alla condizione finanziaria di base che gli
enti hanno dovuto affrontare.
In particolare, pare da non sottovalutare la situazione toscana, dato che 103 comuni (ossia il 36,9%
del totale, dei quali tra l’altro 55 si trovano al di sotto dei 5.000 abitanti) hanno avuto gravi
69
Si pensi, ad esempio, ai casi dei Comuni di Pescia e Porto Azzurro (Toscana). Nel primo caso, il Collegio dei
revisori, pur avendo espresso parere favorevole sulle misure previste nel piano, ha poi segnalato la presenza di gravi
irregolarità di gestione (riguardo all’assenza di collegamento tra residui passivi in conto capitale e relative fonti di
finanziamento, nonché all’incompleta ricostruzione della situazione debitoria dell’ente); ciononostante la Commissione
ministeriale ha ritenuto che il piano presentasse “in linea di massima, i contenuti richiesti dalle disposizioni normative
di riferimento e dalle indicazioni contenute nelle Linee guida elaborate dalla Corte dei conti”. Nel secondo caso, il
Responsabile dei servizi finanziari del Comune ha dichiarato che risultava necessario “procedere alla revisione dei
residui attivi e passivi” e che “sulla parte residuale attiva dall’analisi condotta potrebbero emergere poste che non
hanno titolo giuridico attendibile per essere mantenute in bilancio”; con riferimento ai debiti fuori bilancio,
rappresentava poi che “sussistono poste attive e passive connesse alla gestione rifiuti non totalmente ricomprese in
bilancio e che l’impegno attuale è quello di capire la quantificazione dei debiti fuori bilancio”; affermava, inoltre, che
“il piano di riequilibrio approvato risulta non sufficiente a ripianare, nell’arco del decennio, il debito ammesso al
piano poiché l’importo da finanziare risulta ipotetico” e che “la valutazione delle maggiori entrate da destinare al
finanziamento del riequilibrio non è stata effettuata in modo corretto”, esplicitando, in conclusione, che “il rendiconto
2012 non è allineato rispetto alla realtà e in sostanza non rappresenta la situazione amministrativa complessiva”.
Nonostante ciò, la Commissione ministeriale, sebbene con alcune indicazioni e suggerimenti, ha ritenuto il piano in
linea con le disposizioni normative di riferimento e le indicazioni della Corte dei conti.
70
Il Consiglio del Comune di Pescia ha deciso, con delibera n. 18 del 5 aprile 2013 di accedere al piano finanziario di
riequilibrio, adottato concretamente con delibera n. 31 del 3 giugno 2013. La Sezione regionale di controllo per la
Toscana con deliberazione n. 278/2013/PRSP del 23 dicembre 2013 ha valutato non congruente il piano proposto, dato
che l’ente: a) non aveva operato una valutazione complessiva ed esaustiva della propria situazione amministrativa ed
economico-finanziaria (ri-accertamento residui e debiti fuori bilancio); b) aveva previsto misure incerte e di dubbia
quantificazione. La deliberazione è stata impugnata dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione il 24 gennaio
2014; il ricorso dell’ente è stato accolto, in data 19 febbraio 2014, con la sentenza n. 3/2014. Il diverso avviso delle
Sezioni riunite sembra maturato prevalentemente in considerazione degli effetti sul percorso di riequilibrio svolto dal
Comune successivamente alla deliberazione impugnata, ma che, alla data della delibera stessa era in corso e, comunque,
concerneva l’esercizio 2013, peraltro coincidente con la prima annualità del piano stesso. La valutazione di attendibilità
e adeguatezza del piano, inoltre, si è basata sulle risultanze contabili definitive, che attestano il conseguimento, nel
2013, di un avanzo di gestione corrente che ha generato un effettivo miglioramento nel risultato di amministrazione
rispetto a quello del 2012.
20
irregolarità tra il 2012 ed il 2014, e un quinto dei comuni ne ha avuta più di una71. Dei comuni che
hanno aderito alla procedura di riequilibrio finanziario 2 (Pescia e Buonconvento) presentavano un
importante disavanzo formale e 3 (Pescia, Cutigliano e Fiesole) il persistere di criticità riferite alla
gestione dei flussi di cassa72, mentre ancora più grave si presentava la situazione con riferimento al
Comune di Porto Azzurro, il cui piano è stato rigettato per ben tre volte dalla Corte dei conti (due
volte dalla Sezione regionale di controllo e una volta dalle Sezioni riunite)73. Si tratta di un contesto
71
Come sottolineato dalla Sezione regionale di controllo per la Toscana della Corte dei conti nella “Relazione sulla
finanza locale in Toscana” del dicembre del 2014.
72
Il Comune di Pescia presentava scoperti di cassa strutturali, al termine di ogni esercizio del triennio esaminato dalla
Corte, per circa 2 milioni; il Comune di Cutigliano, rispetto al proprio bilancio, presentava una rilevantissima serie di
scoperti dei fondi vincolati per 1,4 milioni nel 2010, 1,2 milioni nel 2011 e 1,1 milioni nel 2012; il Comune di Fiesole
presentava fondi vincolati da ricostituire per 600.000 nel 2010, 1,9 milioni nel 2011 e 1,4 milioni nel 2012. In
particolare, in relazione al Comune di Cutigliano, la Sezione regionale di controllo per la Toscana ha rilevato nel corso
degli anni la presenza di gravi irregolarità riferite al risultato di amministrazione, alla presenza considerevole di residui
attivi vetusti e a difficoltà nella gestione dei flussi di cassa.
73
La situazione del Comune di Porto Azzurro appare infatti particolarmente complessa e articolata. Il Consiglio
comunale aveva deciso, con delibera n. 79 del 17 dicembre 2012, di adottare il piano finanziario di riequilibrio
finanziario pluriennale, approvato concretamente in data 14 febbraio 2013 (delibera n. 13). Con delibera n.
273/2013/PRSP del 24 settembre 20143 la Sezione regionale di controllo per la Toscana ha valutato non congruo il
piano stesso, visto che: a) l’ente non aveva operato una valutazione complessiva ed esaustiva della propria situazione
amministrativa ed economico-finanziaria, propedeutica all’individuazione di un corretto processo di risanamento; b) le
fonti di copertura del disavanzo apparivano in molti casi inattendibili o comunque non adeguate a provvedere al ripiano.
Il Comune ha presentato ricorso in data 21 novembre 2013 alle Sezioni riunite in speciale composizione, le quali si sono
espresse con la sentenza n. 9/2013 del 13 dicembre 2013, confermando la valutazione di non congruità del piano, visto
che lo stesso conteneva in gran parte previsioni di maggiori entrate o di riduzioni di spese immotivate e quindi troppo
incerte. Il Consiglio comunale, di conseguenza, con delibera n. 4 del 21 gennaio 2014 ha recepito l’invito espresso dal
Prefetto di Livorno (nota prefettizia del 2 gennaio 2014), dichiarando, ai sensi dell’art. 243-quater, comma 7, del TUEL,
lo stato di dissesto finanziario; la delibera comunale, però prevedeva una espressa riserva: “la dichiarazione medesima
deve intendersi risolta qualora, per effetto di una più chiara e compiuta interpretazione e/o formulazione del testo
dell’art. 1, comma 573, della legge di stabilità per l’anno 2014, legge n. 147 del 27 dicembre 2013, fosse perseguibile il
procedimento, già avviato con deliberazioni consiliari n. 87/2013 e 1/2014, di riproposizione della procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale”. L’ente locale, di fatto, adduceva così di interpretare la norma in questione non
solo riferita ad un diniego del piano da parte del Consiglio comunale, ma anche di quello deliberato dalla Sezione
regionale della Corte dei conti. Di conseguenza il Consiglio comunale, con successive delibere (nn. 7, 10, 11, 16, 41 e
45 del 2014), ha sospeso la delibera consiliare di dichiarazione di dissesto e ha proposto un nuovo piano di riequilibrio
finanziario pluriennale. La Sezione regionale di controllo per la Toscana, con deliberazione n. 9/2015/PRSP del 31
marzo 2015, ha però dichiarato inammissibile la riproposizione del piano, secondo le seguenti motivazioni: “la Sezione
non può non rilevare come l’attivazione della procedura di proposizione di un nuovo piano di riequilibrio da parte del
Comune di Porto Azzurro sia avvenuta in costanza di una disposizione inconferente, quale quella recata dall’art. 1, c.
573, l. n. 147/2013, che si riferisce ad una ipotesi del tutto diversa da quella in esame e, cioè, al diniego di
approvazione del piano da parte del consiglio comunale. Inoltre, occorre soprattutto rilevare che, a seguito
dell’intervento dell’autorità prefettizia, il Consiglio comunale aveva approvato, in data 21 gennaio 2014, la delibera n.
4, con la quale aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 243-quater, comma 7, Tuel, lo stato di dissesto finanziario. Il
Consiglio comunale ha dunque approvato il nuovo piano di riequilibrio finanziario con delibera 7 marzo 2014, n. 7,
quando era stato già dichiarato, il 21 gennaio 2014, lo stato di dissesto. A tale delibera ha fatto seguito l’annullamento
in (pretesa) autotutela della delibera dichiarativa del dissesto, mediante la delibera consiliare 13 giugno 2014, n. 41,
che ha confermato anche l’approvazione del nuovo piano di cui alla citata delibera n. 7/2014. Il tutto in evidente
contrasto con la previsione di cui all’art. 246, comma 1, secondo periodo, Tuel, il quale dispone espressamente che ‘La
deliberazione dello stato di dissesto non è revocabile’”. Ma, giova precisarlo, la Corte nella stessa deliberazione
fornisce un giudizio negativo anche sulla complessiva situazione finanziaria dell’ente e sulle azioni di risanamento
21
che, comunque, non appare del tutto differente da quello riscontabile nelle altre Regioni qui
interessate dal fenomeno, visto che i piani predisposti, seppure approvati, hanno messo in luce una
situazione finanziaria critica sotto molteplici e importanti aspetti. Si pensi, ad esempio, a quanto più
volte rilevato dalle Sezioni regionali di controllo per il Lazio, rispetto ai Comuni di Frosinone74,
Rieti75, Arpino76 e Cassino 77, e per l’Umbria, in relazione alla situazione dei Comuni di Orvieto78,
Costacciaro79 e Arrone80.
È dunque anche per questi motivi che la durata dei piani di riequilibrio adottati, similmente e più di
quanto avvenuto per i comuni dell’Italia settentrionale, è stata prevista in tutti casi esaminati (Porto
Azzurro, Pescia, Fiesole, Buonconvento, Cutigliano, Orvieto, Arrone, Costacciaro, Frosinone, Rieti,
Arpino) con riferimento al massimo consentito dalla legge, ossia dieci anni. Al riguardo, è
previste, le quali, basate su dati ancora incompleti o non del tutto veritieri, non avrebbero comunque consentito
l’approvazione del piano da un punto di vista sostanziale.
74
Si fa riferimento alle deliberazioni nn. 44/2012/PRSP e 177 /2013/PRSP con le quali la Sezione regionale di controllo
per il Lazio della Corte dei conti ha rilevato gravi irregolarità sui rendiconti 2010 e 2011 del Comune di Frosinone, così
come alla deliberazione n. 2/2013/PAR in tema di re-internalizzazione di servizi di interesse generale precedentemente
affidati a società partecipate dall’ente locale.
75
Nella deliberazione di approvazione del piano di riequilibrio del Comune di Rieti (deliberazione n. 42/2014/PRSP del
14 aprile 2014) la Sezione regionale di controllo per il Lazio fa riferimento alla disarticolazione profonda in cui è stata
condotta l’amministrazione dal precedente decisore (politico e amministrativo), in quanto la contabilità esaminata nel
corso del tempo (ed in particolare quella inerente al rendiconto 2010 di cui alla deliberazione n. 87/2012/PRSP) aveva
riportato risultati positivi reputati apparenti e non veritieri (per la presenza di fenomeni irregolari reiterati nel tempo che
ne avevano comportato una comprovabile sovrastima).
76
Nella deliberazione n. 162/2014/PRSP del 25 settembre 2014 sul piano di riequilibrio del Comune di Arpino, la
Sezione regionale di controllo per il Lazio mette in evidenza le gravi irregolarità già emerse in sede di rendiconti 2010,
2011 e, infine, 2012. Il disavanzo, in particolare, presenta un significativo trend negativo e un andamento crescente
rispetto al precedente triennio, emerso anche a seguito di una puntuale attività di ri-accertamento dei residui attivi e
passivi disposta dalla Gestione commissariale.
77
Nella deliberazione n. 39/2014/PRSP del 9 aprile 2014 la Sezione regionale di controllo per il Lazio ha adottato
pronuncia specifica di grave irregolarità sui rendiconti 2011 e 2012 del Comune di Cassino in tema di “gestione dei
residui, analisi anzianità dei residui, debiti fuori bilancio e servizi conto terzi”.
78
Nella deliberazione n. 62/PRSP/2014 del 6 agosto 2014 la Sezione regionale di controllo per l’Umbria ha osservato
“che dall’analisi dei documenti in possesso della Sezione, dalle affermazioni del Comune contenute nei detti documenti,
e dalla verifica del rispetto del complesso delle regole della gestione finanziaria imposte agli enti locali sono emerse
alcune criticità, relative alla tardiva approvazione del bilancio di previsione 2013, all’impostazione del Piano sul
riparto annuale del risanamento, alla incidenza dell’anticipazione di liquidità per Euro 7.187.612,44 sugli equilibri
generali finanziari dell’ente, in parte evidenziate anche dagli altri organi di controllo intervenuti nella procedura
(Organo di revisione economico-finanziario, Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali)”.
79
Nella delibera n. 183/PRSP/2014 del 4 dicembre 2014 la Sezione regionale di controllo per l’Umbria ha messo in
evidenza come già nel rendiconto 2010 il Comune di Costacciaro avesse accertato un disavanzo di amministrazione che,
negli anni successivi (2011 e 2012) non è stato in grado di finanziare, nonostante le misure correttive intraprese
(politiche di contenimento della spesa e di incremento delle entrate tramite la leva finanziaria, piano di dismissione del
patrimonio immobiliare).
80
Con la delibera n. 108/2013 sulla regolarità contabile della gestione del 2011 la Sezione regionale di controllo per
l’Umbria aveva osservato che il Comune di Arrone era prossimo alla condizione di “ente strutturalmente deficitario”,
mentre l’equilibrio finanziario, piuttosto precario, era aggravato dal ripetersi nell’ultimo triennio dal saldo negativo di
parte corrente, laddove nell’ultimo quinquennio le entrate non riuscivano a dare integrale copertura alle spese, le quali
presentavano una certa costanza e rigidità nel tempo, così da essere difficilmente riducibili. La Sezione aveva altresì
rilevato che la liquidità di cassa dell’ente era in costante sofferenza, così da imporre un corrispondente ricorso alle
entrate a specifica destinazione ed alle anticipazioni di tesoreria.
22
importante sottolineare come in alcuni casi la predisposizione di piani di lunga durata sia stata
affiancata dal tentativo di rinviare nel secondo quinquennio di attuazione degli stessi le più
drastiche misure finanziarie previste; un elemento sul quale le Sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti hanno richiamato l’attenzione dei decisori pubblici, anche se con modalità in parte
differenti. La Sezione regionale per la Toscana ha così più volte ricordato agli enti come debbano in
ogni caso imporsi “di conseguire, nel primo quinquennio, secondo i canoni di efficienza ed
efficacia, un riequilibrio strutturale al fine di non vanificare il conseguimento degli obiettivi
programmati e, dunque, la costruzione complessiva del piano”81. Le Sezioni regionali per il Lazio e
per l’Umbria hanno invece adottato un atteggiamento sul punto che appare meno “rigido”, dando
maggior conto alle giustificazioni addotte dagli enti82 e al loro tentativo di far coincidere le esigenze
di risanamento con il minor disagio per la cittadinanza83.
Quanto ai contenuti principali introdotti all’interno dei piani pluriennali esaminati dalla Corte dei
conti, infine, emergono fin da subito similitudini e differenze rispetto al quadro esaminato in
precedenza con riferimento agli enti dell’Italia settentrionale.
Appaiono qui più numerosi i comuni che hanno richiesto l’accesso al “Fondo di rotazione”
(avvenuto in circa la metà dei casi esaminati) e, ancor di più, che hanno fatto ricorso
all’anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. (8 su 11, il 73% circa)84,
in alcune occasioni portando alla rimodulazione del piano da parte dell’ente locale85. Nonostante
81
Vedasi la deliberazione n. 1/2014/PRSP della Sezione regionale di controllo per la Toscana, relativamente al piano di
riequilibrio del Comune di Fiesole, e, similmente, la deliberazione n. 278/2013/PRSP della medesima Sezione, rispetto
al piano del Comune di Pescia.
82
Nella deliberazione n. 256/2013/PRSP della Sezione regionale di controllo per il Lazio sul piano del Comune di
Frosinone la scelta di rinviare nella sostanza alle gestioni successive la completa copertura di parte dei debiti è stata
giustificata dall’esigenza di eliminare prioritariamente i debiti fuori bilancio, che per dimensione e peso, rischiavano di
alterare maggiormente gli equilibri di bilancio. La medesima Sezione, tra l’altro, è giunta a conclusioni simili anche con
la deliberazione n. 162/2014/PRSP sul piano del Comune di Arpino: la relazione ministeriale aveva infatti rilevato la
presenza di criticità in ordine alla tempistica delle misure individuate, osservando che “oltre il 50% del disavanzo
verrebbe ripianato nelle ultime quattro annualità del Piano” (pagina 8 della relazione); la Corte ha però avallato la
scelta dell’ente, pur sottolineando come lo stesso dovrà “rigorosamente attuare le procedure deliberate, onde evitare
che il ricorso al Piano di riequilibrio finanziario costituisca un espediente per differire nel tempo soluzioni che
andrebbero invece immediatamente attuate a tutela delle finanze pubbliche”.
83
Nella deliberazione n. 62/PRSP/2014 della Sezione regionale di controllo per l’Umbria sul piano del Comune di
Orvieto i giudici contabili osservano che “le voci di entrata e di spesa che vengono rimodulate dal Piano, al di là della
temporizzazione e delle percentuali di ripiano che risultano incrementate verso gli ultimi anni del Piano stesso,
appaiono comunque coerenti con gli strumenti a disposizione dell’Ente, che tenta di far coincidere l’esigenza del
risanamento con il minor disagio sia per la cittadinanza che anche per le future amministrazioni. Va da sé che le future
amministrazioni comunque dovranno attenersi a politiche di contenimento della spesa, sia gestionale, sia attraverso
una oculata politica tributaria e tariffaria connessa ai costi effettivi dei servizi”.
84
Si tratta dei Comuni di: Porto Azzurro (Toscana); Orvieto, Costacciaro e Arrone (Umbria); Frosinone, Rieti, Arpino e
Cassino (Lazio).
85
Come nel caso del Comune di Cassino, dove il Consiglio comunale, grazie all’anticipazione, ha provveduto alla
rimodulazione del piano (con deliberazione n. 89 del 6 novembre 2014, asseverata dal collegio dei revisori), potendo
23
una simile situazione e malgrado le differenze nelle condizioni di squilibrio finanziario di partenza,
le misure più utilizzate ai fini del ripiano sono state tuttavia in gran parte le stesse adottate dai
comuni del Nord Italia: revisioni tariffarie in aumento (sfruttando anche le peculiarità del territorio
di riferimento)86; riduzione delle spese per il personale, per organi politici istituzionali e quelle
inerenti acquisti di beni di consumo e prestazioni di servizi (grazie anche al ricorso alle Convezioni
CONSIP o facendo ricorso al mercato elettronico della Pubblica amministrazione); estinzione
anticipata di mutui; cessioni di partecipazioni azionarie; alienazioni di immobili87. Vengono però
previsti molto più frequentemente alcuni interventi, meno certi nell’an e nel quantum, ma ad ogni
modo significativi (anche solo “culturalmente”, se non finanziariamente), quali: la predisposizione
di misure indirizzate a vario titolo al recupero dell’evasione tributaria e al miglioramento delle
capacità di riscossione (Porto Azzurro, Pescia, Arrone); la riduzione di spese conseguenti alla
decisione di gestione congiunta della Segreteria comunale con altri enti (Costacciaro).
3.2.4 I comuni dell’Italia meridionale e della Sicilia
I comuni dell’Italia meridionale e della Sicilia, come già rilevato nei precedenti paragrafi, sono
quelli di gran lunga più interessati dal fenomeno del riequilibrio pluriennale: le procedure attivate in
questa parte del Paese sono infatti 121 su 152 totali (il 79,6% circa del totale), distribuite fra tutte le
Regioni, anche se in modo tra loro alquanto differenziato. Si passa infatti da Regioni come
l’Abruzzo (2 procedure88 su 305 comuni totali, lo 0,7%), il Molise (3 su 136 – 2,2%), la Puglia (9
su 258 – 3,5%) e la Basilicata (5 su 131 – 3,8%) dove l’incidenza dell’istituto, per quanto
importante, è su dati assimilabili o comunque vicini a quelli delle Regioni dell’Italia centrale, a
Regioni come la Campania (22 su 550 – 4%) e, soprattutto, la Calabria (42 su 409 – 10,3%) e la
Sicilia (38 su 390 – 9,7%), dove assume proporzioni impressionanti (e ben più preoccupanti)89. Si
tratta essenzialmente di comuni di medio-piccole dimensioni, in gran parte al di sotto dei 20.000
abitanti, anche se con talune, rilevanti, eccezioni: sono infatti ricorsi alla procedura di riequilibrio
beneficiare di maggiori liquidità e, di conseguenza, potendo rimodulare le entrate e recuperare risorse a copertura del
disavanzo.
86
Il Comune di Orvieto, ad esempio, ha posto l’attenzione sulla propria caratteristica di sito turistico, deliberando
l’applicazione dell’imposta di soggiorno (precedentemente istituita ma non operativa) e l’aumento della tariffa
giornaliera per la sosta dei bus turistici.
87
Stante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il mercato immobiliare, alcuni Comuni (Frosinone,
Arpino, Costacciaro, Arrone) hanno deciso di non prendere in considerazione i proventi da alienazioni ai fini della
redazione del piano. In tal modo, l’attività di dismissione del patrimonio immobiliare, per quanto intrapresa, non è stata
considerata necessaria ai fini della strutturazione del piano e, se realizzata, apporterà solo benefici in termini di
miglioramento della situazione di cassa e/o rielaborazione del piano stesso.
88
Non viene qui ancora conteggiato il Comune di Pescara, visto che l’iter per accedere alla procedura di riequilibrio è
ancora in fase iniziale: con delibera del Consiglio comunale n. 165 del 30 dicembre 2014, infatti, è stato attivato il
ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ma il piano è al momento in fase di predisposizione. Si
darà comunque conto, per quanto possibile, di alcuni elementi del piano nel prosieguo del lavoro.
89
Si vedano le tabelle n. 3 e n. 4 dell’Appendice grafica inserita alla fine del presente contributo.
24
alcuni capoluoghi di provincia (Foggia in Puglia, Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia in
Calabria, Benevento in Campania, Catania e Messina in Sicilia, e, di recente, Pescara in Abruzzo90)
e di regione (Napoli). Tutto ciò sembra il sintomo evidente di un fenomeno che, quantomeno in
questa parte del Paese, è pertanto diffuso capillarmente a livello geografico e demografico e
coinvolge da vicino un numero significativo di italiani91.
Per quanto attiene alla procedura di approvazione dei piani, va da subito rilevato come i rapporti tra
i vari organi deputati al controllo sembrino complicarsi decisamente rispetto a quanto osservato per
gli enti del Centro-Nord Italia.
Le azioni intraprese dai decisori pubblici locali, infatti, sono state nella maggioranza dei casi
criticate (talvolta anche aspramente) da tutti gli organi coinvolti92, anche laddove si sia poi giunti ad
una valutazione complessivamente positiva del piano predisposto. Non solo. Quando le scelte degli
enti sono state “avallate” dagli organi di controllo interni o dalla Commissione ministeriale, le
Sezioni regionali della Corte hanno talvolta proceduto in direzione opposta93, in vari casi potendo
90
Anche se, come detto, la procedura è ancora in una fase iniziale.
Solo considerando i capoluoghi di provincia e di regione interessati possiamo rilevare come il fenomeno coinvolga
qui oltre 2 milioni di persone: Napoli 959.052 residenti, Catania 290.678, Messina 242.267, Reggio Calabria 180.686,
Foggia 148.573, Pescara 117.091, Cosenza 69.065, Benevento 60.797, Vibo Valentia 33.118.
92
Si pensi, ad esempio, alle osservazioni degli organi di controllo e della Sezione regionale per la Campania rispetto al
piano di riequilibrio del Comune di Benevento. La Commissione ministeriale, in particolare, ha richiesto numerose
integrazioni istruttorie, cui l’ente ha risposto solo in parte; di conseguenza, la relazione ha concluso che “il piano del
Comune di Benevento non appare conforme ai contenuti richiesti dalle disposizioni normative di riferimento ed alle
indicazioni contenute nelle Linee guida elaborate dalla Corte dei conti”. Si pensi, ancora, ai numerosi rilievi mossi
dalla Commissione ministeriale rispetto al piano del Comune di Cosenza (“la consistente mole dei residui attivi dei
Titoli I e III, unita alla scarsa capacità di riscossione delle entrate proprie, in particolare del Titolo III, rischiano di
compromettere l’utilizzo integrale del Fondo svalutazione crediti quale avanzo vincolato da applicarsi all’esercizio
successivo, a copertura dello squilibrio di parte corrente”), in buona parte confermati dalla deliberazione n.
38/2014/PRSP del 2 ottobre 2014 della Sezione regionale di controllo per la Calabria.
93
Si pensi, ad esempio, al caso del Comune di Napoli: la Commissione ministeriale ha ritenuto “presenti, in linea di
massima, i contenuti richiesti dalle disposizioni normative di riferimento e le indicazioni contenute nelle Linee guida
elaborate dalla Corte dei conti”, mentre ben più stringente, come vedremo, si è mostrato il giudizio della Sezione
regionale di controllo per la Campania (nonostante gli ulteriori adempimenti istruttori richiesti all’ente). I giudici
contabili, tra l’altro, non hanno mancato di osservare come il parere del Collegio dei revisori, per quanto favorevole,
risultasse privo di un’argomentata valutazione tecnica di attendibilità, congruità e sostenibilità finanziaria delle misure
di riequilibrio proposte nel piano, e si rivelasse di fatto particolarmente critico sui piani di dismissione delle quote di
partecipazione detenute negli organismi partecipati e sui piani di dismissione del patrimonio immobiliare (in quanto
attestava che “in relazione agli importi previsti nel piano, il Collegio ne ha potuto riscontrare il solo quantitativo
numerico non essendo stato posto nelle condizioni di conoscere nel dettaglio le procedure e le metodologie previste per
tali dismissioni”). Si pensi, ancora, a quanto avvenuto rispetto al piano di riequilibrio del Comune di Reggio Calabria.
La Commissione ministeriale ha sostenuto la conformità del piano alle disposizioni normative di riferimento ed alle
indicazioni contenute nelle Linee guida elaborate dalla Corte dei conti, così come anche operato dall’Organo di
revisione economico-finanziario, che ha ritenuto che “con l’osservanza di quanto previsto e analiticamente indicato nel
piano di riequilibrio finanziario pluriennale, nonché con il costante monitoraggio di quanto programmato nel piano
stesso, l’Ente è nelle condizione di poter raggiungere alla fine del periodo considerato l’auspicato equilibrio
finanziario”. Scelte duramente criticate dalla Sezione regionale di controllo per la Calabria (deliberazione n.
11/2014/PRSP del 30 gennaio 2014), la quale ha definito espressamente “succinta” e non pienamente rispondente alle
indicazioni istruttorie fornite dalla Sezione stessa la relazione ministeriale, nonché “tautologica” e carente sotto diversi
91
25
contare sul sostegno offerto dalle Sezioni riunite in speciale composizione. Si pensi, ad esempio,
alla sentenza n. 10/2014/EL del 16 aprile 2014 sul ricorso del Comune di Soverato (Calabria), con
la quale le Sezioni riunite hanno osservato come le Sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti ben possano “deliberare il rigetto dell’approvazione del piano di riequilibrio finanziario
dell’ente locale in base a proprie e autonome valutazioni circa la congruenza del piano stesso con
le finalità di risanamento dell’ente ed anche in difformità dal parere dei revisori dei conti dell’ente
locale, nonché dalle valutazioni dell’apposita Commissione istituita presso il Ministero
dell’interno”94.
Resta fermo, inoltre, il problema delle tempistiche e della farraginosità delle procedure, che
complica l’attività valutativa della Corte e ritarda il rapido ricorso alla pianificazione di
riequilibrio 95.
profili quella dell’Organo di revisione economico-finanziario (“circostanza che inficia la sua idoneità ad assurgere ad
adeguato strumento conoscitivo per questa Corte”).
94
In altri casi, però, le Sezioni riunite in speciale composizione hanno sottolineato l’importanza comunque rivestita
dall’istruttoria della Commissione ministeriale. Si pensi, ad esempio, alla sentenza 2/2013/EL del 12 giugno del 2013
con la quale è stato accolto il ricorso del Comune di Belcastro avverso la decisione della Sezione regionale di controllo
per la Calabria che aveva rilevato la “mancata presentazione del piano di riequilibrio finanziario entro il termine
perentorio di sessanta giorni posto dall’art. 243-bis, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL)” (visto che, la delibera
consiliare di approvazione del piano nella sostanza si limitava a riassumere atti comunali precedenti “i cui prefigurati
esiti non sono tuttavia stati tradotti in un vero e proprio provvedimento di pianificazione che dia conto del progressivo
ripristino degli equilibri di bilancio, così come, invece, prescritto dalla legge”). Le Sezioni riunite, tuttavia, hanno
rilevato la “errata applicazione della legge” da parte della Sezione regionale, insita nella mancata attesa dell’esito
dell’istruttoria della Commissione ministeriale prima della decisione finale.
95
Si pensi, ad esempio, alla deliberazione n. 208/2014/PRSP del 9 ottobre 2014 con la quale la Sezione regionale di
controllo per la Campania (in relazione all’interpretazione dell’articolo 1, comma 15, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, per lo specifico caso “de quo”, adottando le conseguenti decisioni in
conformità alla delibera di orientamento della Sezione delle Autonomie, ai sensi dell’articolo 6, comma 4, del decretolegge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213) è stata costretta ad ordinare alla
Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali di proseguire l’istruttoria sulla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale del Comune di Casamicciola Terme, ai sensi dell’articolo 243-quater del TUEL, secondo i
principi desumibili dalla deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 22/SEZAUT/2014/QMIG del 3 ottobre 2014.
Nonostante l’ampia istruttoria ministeriale (conclusasi con un giudizio negativo sul piano proposto), poi, la medesima
Sezione regionale (deliberazione n. 147/2015/PRSP del 29 aprile 2015) ha ritenuto necessario richiedere ulteriori
adempimenti istruttori al Comune di Acerno al fine di poter valutare con sufficiente grado di approfondimento la
congruenza del piano di riequilibrio dell’ente (visto anche che “i dati desumibili dall’istruttoria effettuata dalla
Commissione, dal piano originariamente presentato dall’ente e dalle successive modifiche - esaminate al fine di
ottenere ulteriori elementi informativi - risultano tra loro discordanti”). Si pensi, ancora, a quanto rilevato dalla
Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia rispetto al percorso di risanamento, quantomeno poco lineare,
intrapreso dal Comune di Messina (deliberazione n. 186/2014/PRSP del 29 ottobre 2014), dato che si pone in evidenza
come “in effetti, ormai da tempo, l’ente abbia espresso a questa Sezione la volontà di procedere al risanamento
avvalendosi di un piano di riequilibrio finanziario pluriennale (sin dalla deliberazione consiliare n. 101/C del
13.12.2012); tuttavia, i tempi di avvio del risanamento dell’ente - ma prima ancora quelli certi di definizione di tale
strumento di risanamento - sono stati ripetutamente procrastinati, ancorché avvalendosi di disposizioni normative (su
talune delle quali, questa Sezione non ha neppure mancato di sollevare perplessità in ordine alla stessa legittimità
costituzionale, cfr. deliberazione n. 32/2014/QMIG, condivise dalla Sezione delle Autonomie, cfr. deliberazione n.
6/2014/QMIG) non sempre conducenti rispetto alle esigenze di tempestività insite in siffatta procedura. Resta il fatto
che tali disposizioni e le decisioni dell’ente di avvalersene hanno dilatato oltremisura i tempi di presentazione (o
riproposizione) del piano e, conseguentemente, differito quelli della necessaria istruttoria, frustrando il fondamentale
26
Da quanto appena riportato paiono emergere in maniera evidente due ulteriori differenze rispetto
agli sviluppi riscontrati nelle altre parti del Paese.
In primo luogo, diminuisce sensibilmente tanto la percentuale di piani esaminati rispetto al totale di
quelli adottati, quanto quella dei piani approvati rispetto al totale degli esaminati, visto che delle
molte procedure attivate solo una ventina circa hanno avuto un esito positivo (perlomeno in “prima
battuta”); risultano molte, dunque, le pronunce di diniego, in particolare in Calabria, dove si assiste
al più alto numero di decisioni sfavorevoli per gli enti locali.
Molteplici, di conseguenza, anche i ricorsi presentati innanzi alle Sezioni riunite in sede
giurisdizionale in speciale composizione, le quali sono intervenute praticamente in egual misura
attraverso sentenze di conferma (Colosimi96, Soverato97, Longobardi98, Roccabascerana,
interesse pubblico a che si acceda tempestivamente alle procedure di risanamento, previo immediato accertamento da
parte dell’ente dei presupposti legittimanti sostanziali (sulla base di un quadro chiaro ed aggiornato del grado di crisi
in cui si versa), valutando seriamente, senza perniciosi indugi, le alternative rimediali previste dall’ordinamento. Si
tratta, infatti, di disposizioni e di decisioni che, nel caso di specie, oltre a suscitare non indifferenti problemi applicativi
(cfr. per tutte le questioni di massima sollevata dalla Sezione con la deliberazione n. 32/2014/QMIG), hanno
consentito, dapprima, la rimodulazione del piano di riequilibrio (art. 49 quinquies della legge 98/2013, cfr. la
deliberazione di questa Sezione n. 235/2013/INPR), poi eccezionalmente (ed in deroga alla previsione della
dichiarazione di dissesto quale ‘effetto legale tipico’ dell’inutile decorso del termine perentorio per approvare il piano,
cfr. delibera n. 13/SEZAUT/2013/QMIG), la riproposizione del medesimo dopo che la proposta di rimodulazione del
piano era stata respinta (recte: ‘sostanzialmente revocato’, cfr. deliberazione n. 6/SEZAUT/2014/QMIG) dal consiglio
comunale (art. 1, comma 573 della legge n. 147 del 2013, nel testo modificato dall’art. 1, comma 2, lett. d), del D.L. n.
151 del 30 dicembre 2013, ma non convertito, che portava il termine entro il quale riproporre il piano da trenta a
novanta giorni; cfr. la deliberazione di questa Sezione n. 32/2014/QMIG); quindi, da ultimo, la riproposizione della
procedura di riequilibrio invocando la singolare disposizione contenuta nella legge n. 68 del 2014. Tale ultima
disposizione, inserita in sede di conversione del decreto legge n. 16 del 2014, ha riscritto l’art. 1, comma 573, della
legge n. 147 del 2013 contemplando, al ricorrere di determinati presupposti temporali e sostanziali (che restano da
verificare), la facoltà di ri-editare un nuovo piano di riequilibrio”.
96
Con deliberazione n. 46/2014/PRSP del 13 novembre 2014 la Sezione regionale di controllo per la Calabria ha
deliberato di non approvare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Colosimi, avendo valutato lo
stesso, anche nella versione deliberata a seguito di una sua rimodulazione, non congruo ai fini dell’equilibrio finanziario
dell’ente (rilevando mancanze sia nella ricostruzione della situazione finanziaria, che nella parte dedicata alle misure
predisposte per il ripiano, le quali non portavano ad escludere la possibilità addirittura di una cronicizzazione definitiva
degli squilibri). Le Sezioni riunite in speciale composizione (sentenza n. 3/2015/EL del 25 febbraio 2015) hanno
respinto il ricorso in quanto strutturato su di “un unico motivo concreto (l’illegittimità della deliberazione impugnata
per aver denegato l’approvazione del piano a ragione del ritardo nella sua presentazione), palesemente infondato in
quanto, come evidenziato, la Sezione ha compiutamente statuito sul merito del piano, ritenendo questo (il merito
appunto) non suscettibile di approvazione”.
97
Le Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione (con la già citata sentenza n. 10/2014/EL) hanno
ritenuto legittima la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Calabria che aveva rifiutato l’approvazione
del piano di risanamento finanziario pluriennale predisposto dal Comune di Soverato (deliberazione n. 2/2014/PRSP del
14 gennaio 2014), ritenendo incerta la possibilità di realizzazione del piano stesso per l’assenza di previ idonei accordi
con tutti i creditori interessati alla prevista rateizzazione di ingenti debiti e per l’esistenza di un contenzioso giudiziario
di rilevante entità economica, con conseguente rischio di sopravvenienze passive che non poteva ritenersi escluso sulla
base delle previsioni di esiti positivi espresse dai legali di fiducia dello stesso ente locale.
98
Con deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Calabria n. 35/2014/PRSP del 31 luglio 2014 il piano di
riequilibrio finanziario del Comune di Longobardi non è stato approvato. Le Sezioni riunite, con sentenza n.
37/2014/EL dell’11 novembre 2014, hanno confermato il diniego e, pur avendo dato atto dei tentativi fatti dall’ente
locale per evitare la dichiarazione di dissesto, hanno osservato “che essi sono ormai tardivi e insufficienti, in
27
Melissano99) o di ribaltamento (Napoli100, Reggio Calabria101, Cosenza102, Nova Siri, Scalea103)
delle decisioni delle Sezioni regionali. In questi ultimi casi, pur persistendo svariati elementi di
considerazione di una crisi conclamata da tempo (come risulta dalle precedenti delibere della Sezione regionale) che
avrebbe richiesto interventi immediati e non dilazionabili”.
99
Con deliberazione n. 1/2014/PRSP dell’8 gennaio 2014 la Sezione regionale di controllo per la Puglia ha ritenuto di
non approvare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale predisposto dal Comune di Melissano, poiché non
congruente ai fini del raggiungimento del ripiano e, peraltro, caratterizzato da svariate violazioni normative. Tale
pronuncia è stata poi confermata dalla dalle Sezioni riunite in speciale composizione con sentenza n. 14/2014/EL del 22
aprile 2014, che ha respinto il ricorso presentato dall’ente dando atto che “il Piano di riequilibrio non risulta conforme
né alla disciplina dettata dall’articolo 243 bis del TUEL, né alla normativa di contabilità degli enti locali,
individuando, altresì, gravi irregolarità contabili e reiterati comportamenti contrari alla sana gestione finanziaria per i
quali l’Ente non risulta aver mai assunto le dovute attività correttive neppure in sede di elaborazione del piano di
riequilibrio”.
100
Con deliberazione n. 12/2014/PRSP del 19 febbraio 2014 la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per
la Campania ha deliberato di non approvare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Napoli. La
Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, in primo luogo, con l’ordinanza n.
9/2014/ORD del 7 maggio 2014 ha richiesto ulteriori adempimenti istruttori all’ente locale, per meglio valutare la
situazione economico-finanziaria e le misure previste nel piano. Con sentenza n. 34/2014/EL del 22 ottobre 2014, poi,
“dopo aver valutato comparativamente gli effetti del proprio accertamento e ritenuto prevalenti quelli con effetto
positivo (con riferimento particolare alla non applicabilità al Piano di competenza delle rate di ammortamento delle
anticipazioni ex art. 243-ter TUEL per un effetto positivo di 187 mln di euro, alla possibile eliminazione di residui attivi
ancora sussistenti ed esigibili avvenuta con il riaccertamento straordinario propedeutico al Piano, alla possibilità di
destinare all’estinzione della massa passiva l’intero patrimonio immobiliare, alla verosimile vittoria, essendo già
intervenuta sentenza, in una vertenza di valore di importo pari a 120 mln di euro) rispetto a quelli, pur gravi, con
effetto negativo (errato computo del fondo svalutazione crediti per il 2014, criticità varie nel mantenimento di residui
attivi a basso tasso storico di riscossione, criticità delle partecipazioni societarie), ritengono, alla luce dei pareri
favorevoli espressi dall’organo di revisione economico-finanziaria sul piano originario e su quello aggiornato e dalla
Commissione, nonché della richiesta della Procura generale e considerati i primi effetti del percorso di riequilibrio
svolto dal Comune successivamente alla deliberazione impugnata, che il piano di riequilibrio finanziario pluriennale
del comune di Napoli sia connotato dai requisiti di attendibilità e congruenza in termini di complessiva sostenibilità
finanziaria e, per l’effetto, accoglie il ricorso ed annulla la deliberazione n. 12/2014, adottata dalla Sezione regionale
di controllo della Corte dei conti per la Campania, adottata nella camera di consiglio del 20 gennaio 2014, depositata
il 19 febbraio 2014”.
101
La Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione con ordinanza n. 7/2014/ORD
del 17 aprile 2014 ha, in primo luogo, accolto la domanda cautelare del Comune di Reggio Calabria, sospendendo
l’efficacia della delibera della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Regione Calabria n.
11/2014/PRSP del 30 gennaio 2014 con la quale non era stato approvato il piano di riequilibrio finanziario proposto
dall’ente, avendo riscontrato la sussistenza di entrambi i requisiti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora” in
relazione alla “sommaria cognitio” effettuata. In secondo luogo, con sentenza n. 26/2014/EL del 17 luglio 2014, si è
statuito che: “alla luce degli effetti del percorso di riequilibrio svolto dal Comune successivamente alla deliberazione
impugnata, ritiene il Collegio che il piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Reggio Calabria sia
connotato dai requisiti della attendibilità e congruenza e, per l’effetto, accoglie il ricorso ed annulla la deliberazione n.
11/2014, adottata dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Regione Calabria, adottata nella
camera di consiglio dell’11 gennaio 2014, depositata il 30 gennaio 2014”.
102
Con deliberazione n. deliberazione n. 38/2014/PRSP del 2 ottobre 2014 la Sezione regionale di controllo per la
Calabria non aveva approvato il piano di riequilibrio finanziario del Comune di Cosenza, asserendo che “le misure
straordinarie di risanamento adottate dall’Ente per il decennio 2013/2022 sono di incerta quantificazione e
inattendibile realizzabilità e che la disciplina dei piani di riequilibrio, invece, esige la rilevazione puntuale di tutte le
situazioni critiche, presenti e potenziali e delle relative idonee misure correttive, anche al fine di eliminare le cause che
hanno determinato gli squilibri strutturali dell’Ente e le connesse criticità finanziarie”. Le Sezioni riunite in speciale
composizione, tuttavia, pur dando atto “alla deliberazione impugnata di aver ‘intercettato’ le criticità gestionali e di
bilancio dell’ente attraverso una approfondita valutazione dei dati al momento disponibili”, “sono pervenute al
convincimento decisorio che il Piano sia connotato, almeno in astratto, da un sufficiente grado di affidabilità
28
criticità, il bilanciamento delle prospettazioni positive e negative ha indotto le Sezioni riunite a
valorizzare le prime, in considerazione sia della ratio della previsione normativa dei piani di
riequilibrio pluriennale per gli enti locali in difficoltà, che devono sostanziarsi nella realizzazione di
un impegno serio e costante per scongiurare l’irreversibilità del dissesto, che della “eccezionalità”
di quest’ultimo 104.
In secondo luogo, tutto ciò fa emergere le maggiori criticità che, mediamente, gli enti si sono qui
trovati a dover affrontare.
La situazione, come già accennato in precedenza, si presenta alquanto differenziata tra i vari
territori dell’area, vista la presenza di realtà interessate solo parzialmente dal fenomeno (come ad
esempio è riscontrabile per le Regioni Abruzzo105 e Molise106). Ciononostante, emerge in molti casi
la percezione di squilibri finanziari e condizioni economiche di base che risultano “abitualmente”
critiche. L’esame dei rendiconti dei comuni pugliesi del 2011 e del 2012 ha ad esempio rilevato
previsionale complessiva”, basandosi essenzialmente sui miglioramenti medio tempore intervenuti e su una più chiara
ricostruzione della situazione finanziaria dell’ente (sentenza n. 2/2015/EL del 25 febbraio 2015).
103
Con la sentenza n. 10/2015/EL del 19 marzo del 2015 le Sezioni riunite hanno rilevato che “la Sezione di controllo
ha doverosamente, puntualmente e motivatamente intercettato le criticità del piano di riequilibrio, valutandolo sulla
base dei dati resi disponibili al momento della deliberazione. Ed ha statuito di conseguenza in termini negativi. Il
diverso avviso di queste Sezioni riunite nella decisione del ricorso trova essenzialmente giustificazione nelle allegazioni
probatorie successive alla deliberazione stessa, quali depositate anche nella presente sede contenziosa. Del resto
l’accoglimento del ricorso tiene conto della cosiddetta attendibilità previsionale complessiva del piano, quale emerge
anche dall’effettivo conseguimento degli obiettivi intermedi relativi alle prime annualità di dispiegamento del piano
medesimo”.
104
In tal modo si è espressa, ad esempio, la già citata sentenza n. 2/2015/EL delle Sezioni riunite in speciale
composizione. Si veda anche quanto affermato sempre dalle Sezioni riunite nella sentenza n. 4/2015/EL del 4 marzo
2015, con la quale è stato accolto il ricorso del Comune di Nova Siri avverso il diniego di approvazione del piano di
riequilibrio da parte della Sezione regionale di controllo per la Basilicata: “va da sé che il dinamismo che
contraddistingue la speciale procedura dei piani di riequilibrio pluriennali implica che sia le valutazioni della Sezione
regionale di controllo sia le valutazioni di questo Collegio, nel merito di un piano, si fermino ad un giudizio di
attendibilità complessiva, dovendo poi essere la Sezione regionale, in sede di verifica dello stato di attuazione del piano
ai sensi del comma 6 dell’art. 243-quater del TUEL, a dar conto del raggiungimento o meno degli obiettivi intermedi e
finali in un percorso di risanamento che, pur seguendo la logica della gradualità, non esclude, a chiusura del sistema,
l’applicazione dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 con l’assegnazione al Consiglio dell’Ente, da parte del
Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto, proprio in caso di accertato grave e
reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano ovvero di accertato mancato raggiungimento del
riequilibrio finanziario dell’Ente al termine del periodo di durata del piano stesso (comma 7 dell’art. 243-quater)”.
105
Come già detto, la percentuale di procedure attivate nella Regione rispetto al totale dei comuni presenti è molto
contenuta (2 procedure su 305 comuni totali, lo 0,7%). Da evidenziare, ad ogni modo, la critica situazione finanziaria
del Comune di Pescara (le entrate non coprivano le uscite, con una grave crisi di liquidità che nel corso degli anni ha
eroso le casse dell’ente, tanto che a giugno 2014 era presente un anticipo di tesoreria di 26 milioni di euro e giacevano
oltre 30 milioni di euro di debiti, di atti di liquidazione verso fornitori), che ha deciso di recente di ricorrere alla
procedura di riequilibrio finanziario, attraverso un piano decennale che prevede l’accesso al “Fondo di rotazione”.
106
I controlli sui documenti contabili degli enti locali hanno portato all’adozione della pronuncia di cui al comma 3
dell’articolo 148-bis del TUEL (con il conseguente obbligo di adozione di provvedimenti idonei a rimuovere le
irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio) solo nei confronti di 8 comuni. In sede di successiva verifica dei
provvedimenti conseguenziali, la Sezione regionale di controllo per il Molise ha rilasciato nella maggioranza dei casi un
giudizio di congruità; è anche questo uno dei motivi che spiega il basso numero di procedure di riequilibrio attivate
nella Regione.
29
talune irregolarità abbastanza ricorrenti107, le quali hanno condotto diversi comuni a dover
giocoforza ricorrere alla procedura di riequilibrio108 (come avvenuto per il Comune di Foggia)109.
La più recente analisi del sistema di finanza locale siciliano, inoltre, evidenzia una condizione di
preoccupante peggioramento avvenuta in questi ultimi anni110, a causa non solo di singole gestioni
poco oculate (evenienza riscontrata per molti dei comuni in procedura di riequilibrio, quali, ad
esempio, Catania111, Messina112, Cefalù113), ma anche di elementi più generali e strutturali114.
107
Si pensi a: la tardiva approvazione del rendiconto; il superamento di parametri di deficitarietà strutturale (con
particolare riferimento ai residui, ai debiti fuori bilancio e alle anticipazioni di tesoreria); l’insufficiente attività di riaccertamento dei residui attivi e passivi con conseguente inattendibilità del risultato di amministrazione; la presenza di
ingenti debiti fuori bilancio; il frequente ricorso ad anticipazioni di tesoreria e/o all’utilizzo di fondi vincolati; il
mancato utilizzo di mutui contratti o la mancata devoluzione dei relativi residui; le partecipazioni in società in perdita o
in liquidazione.
108
Particolare, sul punto, la situazione del Comune di Peschici: con le deliberazioni nn. 125/2014/PRSP e
152/2014/PRSP, rispettivamente del 27 giugno e del 12 agosto del 2014, la Sezione regionale di controllo per la Puglia
ha riscontrato il perdurare dell’omissione nell’attuare le misure correttive richieste dall’articolo 6, comma 2, del
decreto-legislativo n. 149/2011, onde evitare squilibri strutturali e provocare il consequenziale dissesto finanziario; il
Comune di Peschici, di conseguenza, ha fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale dopo il
perfezionamento della procedura di c.d. “dissesto guidato”, in applicazione dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge
n. 16/2014 (si è trattato del primo caso avvenuto a livello nazionale). Simili le situazioni dei Comuni di San Marco in
Lamis e di Rodi Garganico. Nel primo caso, con le deliberazioni nn. 154/2014/PRSP e 191/2014/PRSP, rispettivamente
del 10 settembre e del 23 ottobre del 2014, la Sezione regionale di controllo per la Puglia ha ravvisato la mancata
attuazione delle misure correttive richieste dallo stesso articolo 6, comma 2, del decreto-legislativo n. 149/2011,
dichiarando estinta la procedura a seguito della deliberazione consiliare di ricorso alla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale (adottata dal Comune ex art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 16/2014). Nel secondo caso, la
Sezione regionale (deliberazione n. 56/2015/PRSP del 28 gennaio 2015) ha dichiarato estinta la procedura ex art. 6
comma 2 decreto-legislativo n. 149/2011 (di cui alle deliberazioni nn. 36/2014/PRSP e 220/2014/PRSP, rispettivamente
del 20 febbraio e del 12 dicembre 2014), per effetto del ricorso, da parte dell’ente, alla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale (deliberazione del Consiglio comunale n. 1 del 15 gennaio 2015).
109
L’ente aveva già riscontrato disavanzi di amministrazione negli ultimi esercizi finanziari (2008, 2009, 2010, 2011 e
2012), e i dati negativi riguardanti il bilancio di competenza si sono progressivamente riflettuti sulla cassa, in quanto
esisteva una massa debitoria notevole; il ricorso costante all’anticipazione di tesoreria e ad entrate aventi specifica
destinazione per il finanziamento di spese correnti aveva raggiunto una misura tale da esaurire l’intera disponibilità di
anticipazione e da provocare rilevanti oneri per interessi passivi. Risultavano forti, poi, le criticità in merito alla capacità
di riscossione dei residui attivi e all’azione di contrasto all’evasione tributaria.
110
Un evidente sintomo del progressivo peggioramento dello stato di salute degli enti locali siciliani risulta, oltre che
dall’elevato numero di comuni che hanno chiesto l’accesso alla procedura di riequilibrio, dal crescente numero di enti in
condizione di deficitarietà strutturale, che nel 2013 passa da 22 a 26, cui si aggiungono ulteriori 31 enti soggetti in via
provvisoria ai controlli previsti per gli enti deficitari, a seguito della mancata presentazione del certificato al rendiconto.
111
Il monitoraggio eseguito dalla Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia sui bilanci di previsione e sui
rendiconti del Comune di Catania, nonché l’indagine sulla sana gestione finanziaria dell’ente (deliberazione n.
356/VSGF/2012) hanno messo in luce varie e ripetute criticità: a) una persistente difficoltà nel riscuotere le entrate
proprie; b) il cronico ricorso all’anticipazione di tesoreria, idoneo a rivelare una incapacità strutturale di far fronte ai
normali pagamenti; c) il mantenimento in bilancio di quote elevate di residui attivi con oltre cinque anni di anzianità, di
dubbia esigibilità e in grado di incidere in misura determinante sul risultato di amministrazione; d) la mancanza di una
fedele rappresentazione contabile dei rapporti con le società partecipate, necessaria per evidenziare le obbligazioni che
il Comune ha nei confronti di tali organismi; e) l’inclusione nei servizi per conto di terzi di voci che non rientrano nelle
partite di giro, secondo i principi contabili per gli enti locali; f) la presenza di debiti fuori bilancio di rilevante
ammontare e di passività ancora da riconoscere; g) un consistente indebitamento.
112
Con la deliberazione n. 58/2014/PRSP del 7 maggio 2014 la Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia,
all’esito dell’istruttoria sul rendiconto 2012 del Comune di Messina, ha accertato la presenza di gravissimi squilibri
economico-finanziari, consistenti in particolare: nella mancata copertura di spese; nella consistenza di residui attivi
30
Situazioni altamente problematiche e diffuse, in gran parte riscontrabili anche con riferimento agli
enti in procedura di riequilibrio presenti in Calabria (Cosenza115, Reggio Calabria116) e Campania
(Napoli117, Benevento118).
vetusti e di debiti fuori bilancio; nella violazione del Patto di stabilità e di norme finalizzate a garantire la regolarità
della gestione finanziaria; nel persistente e sistematico ricorso all’anticipazione di tesoreria; nel notevole incremento di
somme maturate a titolo di interessi passivi; nella situazione di grave incertezza relativamente a basilari informazioni
sugli organismi partecipati. Ulteriori criticità ed inadempienze sono state poi accertate dalla Sezione con separata
deliberazione (n. 68/2014/PRSP del 27 maggio 2014) emessa all’esito delle verifiche del referto semestrale (I semestre
2013) sulla correttezza della gestione e l’adeguatezza dei controlli interni. Di conseguenza, in data 2 settembre 2014, il
Consiglio comunale di Messina ha adottato la deliberazione di approvazione del piano di riequilibrio finanziario
pluriennale (delibera n. 23/C, successivamente integrata dalle deliberazioni n. 28/C e n. 29/C del 10 settembre). Al
riguardo, la Sezione regionale di controllo ha avuto modo di rilevare “che il piano di riequilibrio riveste per l’ente –
secondo la propria autonoma e responsabile determinazione - la misura correttiva per eccellenza, atteso che lo stesso
ente ha ben presente, da tempo, la gravità della crisi finanziaria che lo investe e delle irregolarità rilevate dalla
Sezione; conseguentemente, l’ente medesimo ha riconosciuto l’assoluta ed urgente necessità di ricorrere a tale
strumento straordinario di risanamento quale via obbligata ed unico mezzo per evitare il dissesto finanziario e
consentire il ripristino, peraltro in un arco temporale che copre un decennio, di condizioni di equilibrio strutturale e di
corretta gestione” (deliberazione n. 186/2014/PRSP del 29 ottobre 2014).
113
La Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia della Corte dei conti, all’esito di un’adunanza tenuta l’11
luglio 2012, avendo rilevato gravi squilibri di bilancio nella situazione finanziaria del Comune di Cefalù tali da poter
provocare il dissesto dell’ente, richiese l’adozione di apposite misure correttive. La medesima Sezione, con successiva
deliberazione depositata il 10 gennaio 2013, accertò la sussistenza delle condizioni per la dichiarazione dello stato di
dissesto finanziario, vista l’assenza di misura adeguate predisposte dall’ente e non essendo dirimente la mera volontà di
accedere alla procedura di riequilibrio (mancando una espressa delibera consiliare in tal senso). Il Prefetto di Palermo
assegnò così il termine per la dichiarazione del dissesto, ma, prima della sua scadenza, il Comune impugnò dinanzi al
T.A.R. Sicilia tanto la deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti quanto la successiva nota
di diffida del Prefetto. Con l’ordinanza n. 5805/2014 del 13 marzo 2014 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
adite per risolvere il conflitto di giurisdizione, hanno tuttavia dichiarato sussistere la giurisdizione dei giudici contabili,
visto che il Comune aveva sollevato innanzi al T.A.R. contestazioni direttamente afferenti la deliberazione della
Sezione regionale della Corte dei conti e riguardanti il merito del giudizio ivi espresso sulla ricorrenza di fattori di
squilibrio del bilancio non sanati. Con deliberazione n. 69/2014/PRSP del 27 maggio 2014 la Sezione regionale di
controllo per la Regione Sicilia ha infine approvato il piano di riequilibrio presentato dal comune di Cefalù.
114
Si fa riferimento principalmente alla progressiva e consistente riduzione dei trasferimenti di provenienza statale e
regionale, non adeguatamente compensata da un corrispondente incremento di entrate proprie, a causa delle esigue
capacità di prelievo dai territori.
115
Già con la deliberazione n. 97/2012, resa in sede di esame del rendiconto 2010, la Sezione regionale di controllo per
la Calabria aveva riscontrato numerose irregolarità e criticità (squilibri finanziari nella gestione della competenza e dei
residui, ricorso ad anticipazioni di tesoreria in grado di determinare il formarsi di scoperti di cassa non rimborsati alla
fine dell’esercizio, critica situazione di residui attivi e passivi e di debiti fuori bilancio) ed aveva richiesto l’adozione di
misure correttive. Il Comune di Cosenza, inoltre, è stato sottoposto a verifica ispettiva da parte dell’Ispettorato Generale
di Finanza (nel periodo 2 settembre/4 ottobre 2013), conclusa con una puntuale relazione con cui il MEF - Dipartimento
RGS ha rilevato diffuse irregolarità e carenze nella gestione del personale, con particolare riguardo al
sovradimensionamento della dotazione organica, alla contrattazione decentrata e alla costituzione del relativo fondo, al
conferimento di incarichi esterni e alla corretta specificazione della correlata spesa, all’attuazione di progressioni
economiche.
116
Nelle pronunce adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 168, della legge n. 266/2005, da ultimo in relazione al
rendiconto dell’esercizio 2010, la Sezione regionale di controllo per la Calabria ha più volte individuato numerose e
pervasive situazioni di squilibrio e profili di criticità e irregolarità (anomalie nella gestione di cassa, omesso versamento
di ritenute fiscali nei confronti dei dipendenti, gravi irregolarità nella gestione dei residui, rilevante esposizione
debitoria verso società partecipate, criticità nella gestione dell’indebitamento, sottoscrizione di interest rate swap non
conforme alla normativa pro tempore in vigore) ed ha, conseguentemente, indicato le misure correttive da adottare per il
superamento delle stesse. Nella deliberazione n. 11/2014/PRSP del 30 gennaio 2014, con la quale la Sezione regionale
aveva negato l’approvazione del piano di riequilibrio dell’ente, si legge poi che: “il quadro complessivo dei rilievi svolti
31
Le maggiori difficoltà finanziarie di base riscontrate dalle Sezioni regionali di controllo hanno
influenzato non solo le dinamiche di approvazione dei piani, ma anche la loro durata e il loro
contenuto.
evidenzia, ictu oculi, come le numerose ‘incongruenze’ rilevate costituiscano essenzialmente l’esito della grave
situazione finanziaria nella quale versa ormai da lungo tempo l’ente reggino, e non certo il frutto di inefficienze o
manchevolezze meramente ascrivibili alla responsabilità della Commissione Straordinaria che da oltre un anno regge
il comune. Commissione Straordinaria cui può essere dato atto di aver profuso ogni sforzo, a fronte della grave
situazione finanziaria rinvenuta, per tentare di arginare gli esiti negativi della pregressa gestione; semmai, in
proposito, ad avviso della Sezione espresso meramente sul piano collaborativo, potrebbe forse risultare opportuno che
la gestione commissariale si protragga sino alla completa restituzione della casa comunale al principio costituzionale
di buon andamento della pubblica amministrazione. Situazione finanziaria che, tuttavia, all’evidenza richiede
l’obbligatoria formalizzazione di un dissesto fattualmente in atto ormai da troppo tempo, la cui esplicita dichiarazione,
lungi dal costituire ex se un danno per il Comune, potrebbe consentire al medesimo di utilizzare lo strumento giuridico
(l’istituto del dissesto, per l’appunto) più incisivo previsto dal nostro ordinamento per la tutela degli enti locali in
decozione, per giunta pienamente rispettoso della par condicio creditorum e dello stesso principio di integrale
soddisfazione dei crediti, per come imposto dalla menzionata giurisprudenza anche comunitaria; tanto più che gli
incolpevoli cittadini reggini risultano ormai già ampiamente incisi, sul terreno tributario e tariffario, dai provvedimenti
assunti in esecuzione del piano di riequilibrio. Purtroppo, il detrimento per l’ente risiede semmai nella già realizzata
situazione sostanziale di decozione, icasticamente descritta nella relazione ispettiva del MEF, nelle numerose delibere
di questa Corte, nella relazione della commissione che ha condotto allo scioglimento dell’ente ex art. 143 TUEL e nella
consulenza tecnica disposta dalla magistratura penale; occorre dunque, ormai da troppo tempo, porvi adeguato
rimedio consentendo all’Ente di usufruire delle agevolazioni normative tipiche dell’istituto del dissesto finanziario”.
117
Già con la deliberazione n. 23/2013 del 31 gennaio 2013 la Sezione regionale di controllo per la Campania aveva
accertato in sede di esame del rendiconto 2010 e preventivo 2011 la sussistenza di innumerevoli irregolarità contabili in
presenza di profili di squilibrio strutturale nella gestione finanziaria del Comune di Napoli, in grado di provocarne il
dissesto finanziario, così come la mancata adozione di tempestive misure idonee ad impedire il sistematico reiteramento
delle irregolarità segnalate con la deliberazione n. 251/2011. In particolare, era stata messa in evidenza: la grave criticità
nella gestione dei residui attivi e passivi (visto il ripetuto mantenimento in bilancio di residui attivi inesigibili o di
dubbia esigibilità); l’inattendibilità del rendiconto dell’ente, come palesato dall’accertato disavanzo di amministrazione
di euro 850 milioni a fronte di avanzo di amministrazione dichiarato dal Comune di Napoli per l’esercizio 2010, pari a
euro 92 milioni circa; l’assoluta esiguità del Fondo di svalutazione crediti; la bassa capacità di riscossione con evidente
ripercussione sugli equilibri di cassa; la costante sofferenza di cassa e l’utilizzo di fondi avente specifica destinazione
per impieghi di parte corrente; lo squilibrio strutturale di parte corrente accompagnato dalla prassi di finanziare il
disavanzo corrente con la quota di avanzo vincolata al Fondo svalutazione crediti; il costante e rilevante ammontare di
debiti fuori bilancio; la mancata adozione di un Fondo per debiti fuori bilancio; la critica situazione delle società
partecipate, in particolare di quelle partecipate al 100% che presentano una forte sotto-capitalizzazione, carenza di
autonomia finanziaria, forte indebitamento e negativa redditività.
118
Risultavano svariati i fenomeni “gestionali” critici: presenza di debiti fuori bilancio, riconosciuti e da riconoscere;
presenza di passività potenziali non sempre individuate; disallineamento contabile debiti/crediti in relazione alle società
partecipate; ricorso all’anticipazione di liquidità in via ordinaria, con consequenziale esposizione di scoperto di tesoreria
per importi crescenti; irrisoria percentuale di riscossione delle risorse da recupero evasione. Le forti criticità riscontrate
hanno portato al diniego di approvazione del piano da parte della Sezione regionale di controllo per la Campania
(deliberazione n. 172/2014/PRSP del 30 giugno 2014) e alla successiva approvazione da parte del Consiglio comunale
di Benevento di un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del TUEL, come
modificato dall’articolo 1, comma 573-bis, della legge n. 147 del 2013. In particolare, la Sezione regionale ha rilevato
come il Comune di Benevento si trovasse “non solo in una situazione finanziaria molto compromessa, ma anche in uno
stato di sostanziale insolvenza, intesa come incapacità di far fronte con risorse ordinarie e straordinarie ai crediti certi
liquidi ed esigibili”. Di conseguenza, “l’analisi svolta sul piano di risanamento predisposto dal Comune di Benevento,
alla luce delle risposte fornite dallo stesso alla Commissione e a questa Sezione regionale di controllo, non appaiono
idonee ad esprimere un giudizio di congruità ed attendibilità delle misure stesse. In particolare, i dati specificati
dall’ente in merito alle suddette misure programmate non possiedono i connotati di attendibilità e veridicità richiesti ai
fini della valutazione della congruenza. Inoltre, in base alla documentazione presentata e all’analisi svolta gli obiettivi
prefissati non appaiono accessibili”.
32
Quanto alla durata, non sorprende quindi scoprire come la stragrande maggioranza dei piani
esaminati abbia fatto riferimento, originariamente (è il caso più comune) o mediante successiva
rimodulazione119, al massimo prevedibile, ossia 10 anni, salvo poche eccezioni120. Da questo punto
di vista la dinamica è del tutto simile rispetto a quella che abbiamo osservato per gli enti presenti
nel Nord e nel Centro Italia; la predisposizione di piani di lunga durata può quindi dirsi un elemento
costante e comune per gli enti che accedono alla procedura di riequilibrio.
Anche qui, inoltre, come accaduto per diversi Comuni delle Regioni dell’Italia centrale, i piani
hanno sovente dilazionato la fase attuativa delle misure di ripiano concentrandone il maggior peso
non nel primo quinquennio; una scelta sovente criticata (si pensi ai casi dei Comuni di Napoli121,
Benevento122, Reggio Calabria123), ma talora al contrario “avallata” nella sostanza (come avvenuto
119
Si pensi ad esempio al Comune di Caccamo (Sicilia), il quale, dopo aver comunicato al Ministero (con nota del
Sindaco n. 1621 dell’1 febbraio 2013), di non volersi avvalere del “Fondo di rotazione”, con delibera consiliare n. 8 del
14 febbraio 2013 ha approvato lo schema istruttorio, integrando e rettificando la delibera n. 64 del 2012 e rimodulando
il piano di riequilibrio, inizialmente previsto di durata triennale, in un periodo di 10 anni. In modo analogo hanno
proceduto anche i Comuni di Giarre e di Scordia (sempre in Sicilia).
120
Si pensi, ad esempio, alla scelta del Comune di Racalmuto (Sicilia) di prevedere un piano quinquennale, rispetto al
quale risultano chiare le affermazioni della Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia con la deliberazione di
approvazione del piano (n. 184/2014/PRSP del 29 ottobre 2014): “le ridotte dimensioni del piano, relativamente
contenute sia in ordine alla massa passiva da ripianare sia con riferimento alla traiettoria temporale di ripiano, il
mancato ricorso ad ulteriore indebitamento ed alle risorse del fondo di rotazione, rappresentano sia pure in presenza
di notevoli profili di perplessità, elementi favorevoli ai fini di una prognosi favorevole di risanamento dell’ente.
Pertanto, in un quadro che necessita dei descritti, doverosi ed assai significativi elementi di definizione - che assumono
rilievo dirimente ai fini dell’attendibilità delle misure di risanamento e della piena constatazione del quadro evolutivo
degli squilibri – la Sezione, sulla base di quanto richiesto dalle norme che disciplinano il giudizio di approvazione sui
piani di riequilibrio (art. 243 quater, comma 3 TUEL), può esprimere, conclusivamente, un giudizio positivo sulle
previsioni contenute nel piano in quanto ritenute idonee e congrue per consentire nel termine dei cinque anni previsti il
risanamento finanziario dell’ente”. Si pensi, ancora, ai Comuni di Casarano (Puglia), Faicchio, Contursi Terme e
Procida (Campania), i quali hanno predisposto, rispettivamente, piani di 5 (i primi due enti), 6 e 7 anni.
121
Nella deliberazione n. 12/2014/PRSP del 19 febbraio 2014 la Sezione regionale di controllo per la Campania afferma
che: “ulteriori perplessità derivano dalla constatazione che il Comune, nel differire in un arco di tempo decennale, la
copertura del disavanzo di amministrazione, non ha tenuto conto di quanto disposto dalla Sezione Autonomie con la
deliberazione n. 16/2012 che auspicava una maggiore incidenza nei primi 5 anni del piano, dal momento che le misure
proposte incidono prevalentemente nella seconda parte del piano, impegnando gravosamente le future
amministrazioni”.
122
Nella deliberazione n. 172/2014/PRSP del 30 giugno 2014 la Sezione regionale di controllo per la Campania afferma
che: “la necessità di graduare la percentuale di ripiano dei debiti con una maggiore accentuazione nei primi 5 anni del
piano corrisponde a quanto precisato nelle Linee guida (cfr. Corte dei conti, Sez. Aut. delibera 16/2012), tenuto conto
che la procedura di riequilibrio ‘si svolge privilegiando l’affidamento agli organi ordinari dell’ente’, (chiamati perciò
all’assunzione di quelle misure di maggior rilievo che ne garantiscano un’effettiva responsabilizzazione) e che ‘sul
punto non va trascurato di considerare che, pur in presenza di una rigorosa impostazione dei criteri di risanamento
della gestione, la maggior ampiezza del tempo di esecuzione del piano, protratto in sede di conversione ad un arco
decennale vincola anche le future gestioni. La ricognizione e valutazione dei predetti elementi è idonea a comprovare
la non conformità del piano alle disposizioni normative ed alle Linee di indirizzo come sopra richiamate”.
123
Nella deliberazione n. 11/2014/PRSP del 30 gennaio 2014 la Sezione regionale di controllo per la Calabria ha
criticato la programmazione diacronica del ripiano del disavanzo di amministrazione impostata secondo una soluzione
previsionale “a ripartizione omogenea per tutto il decennio”, che non appare tuttavia “in linea con quanto statuito sul
punto dalla Sezione autonomie della Corte dei conti”.
33
ad esempio per il piano del Comune di Foggia124) dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti.
Talune differenze rispetto alle altre parti del Paese, al contrario, sono rilevabili con riferimento ai
contenuti principali introdotti all’interno dei piani pluriennali esaminati dalla Corte dei conti: sono
numerosi, infatti, gli enti che hanno fatto ricorso all’anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa
Depositi e Prestiti S.p.a. e che hanno richiesto l’accesso al “Fondo di rotazione”, portando in alcuni
casi alla rimodulazione (talvolta non senza problemi)125 dei piani. Dei comuni calabresi in
procedura di riequilibrio che abbiamo osservato, ad esempio, ben 12 su 15 hanno fatto ricorso al
“Fondo di rotazione” e 14 su 15 alle anticipazioni della Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. Non molto
differente, poi, la situazione in Sicilia e Campania, dove gli enti hanno richiesto in circa la metà dei
casi l’accesso al Fondo “rotativo” e, ancora più frequentemente, le anticipazioni della Cassa
Depositi e Prestiti S.p.a. (11 casi su 13 esaminati in Sicilia, 12 su 13 in Campania). Appare poi da
sottolineare il fatto che gran parte dei Comuni di maggiori dimensioni interessati dal fenomeno (ad
esempio Foggia, Napoli, Reggio Calabria, Cosenza) abbiano fatto ricorso ad entrambi gli strumenti
per incrementare la propria liquidità e far rapidamente fronte ai debiti più onerosi.
Tutto ciò sembra aver ridotto sensibilmente il margine di manovra degli enti locali, i quali, spesso
accomunati da una situazione finanziaria che si presenta critica sotto molteplici aspetti, hanno
adottato misure in gran parte assimilabili: aumento delle entrate tributarie nella misura massima
consentita e incremento di aliquote o tariffe per i servizi a domanda individuale di pertinenza
(servizi cimiteriali, mensa scolastica, asili nido, strutture per anziani, ecc.); riduzione della spesa
corrente, per il personale, per organi politici istituzionali e quelle inerenti acquisti di beni di
consumo e prestazioni di servizi; estinzione anticipata di mutui; recupero di risorse dalla lotta
all’evasione tributaria (sovente non specificate o quantificate in modo certo o credibile); alienazione
di patrimonio immobiliare disponibile non necessario ai fini istituzionali dell’ente. Su queste ultime
124
La Sezione regionale di controllo per la Puglia, nella deliberazione n. 183/PRSP/2014 del 23 ottobre 2014, “avalla”
la scelta del Comune di Foggia vista la specificità del caso di specie, sottolineando come “il criterio evidenziato dalla
Sezione delle autonomie appare dettato precipuamente dalla funzionalità della copertura finanziaria alle esigenze di
cassa”.
125
Si pensi ad esempio a quanto affermato dalle Sezioni riunite in speciale composizione nella già citata sentenza n.
6/2015/EL con riferimento alla situazione del Comune di Locri (Calabria): “l’Ente avrebbe potuto esercitare la facoltà
di rimodulazione del piano di riequilibrio entro il 25 ottobre 2013 ovvero entro i successivi sessanta giorni decorrenti
dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato avvenuta in data 26/08/2013. Come chiarito dalla Sezione delle
Autonomie, con deliberazione n. 22/SEZAUT/2014/QMIG depositata in data 3/10/2014, in materia di inutile decorso
del termine per procedere alla modifica del piano di riequilibrio, ai sensi dell’art. 1, c. 15, del D. L. n. 35/2013, per
effetto dell’ottenimento dell’anticipazione di liquidità, la mancata modifica del piano, una volta decorso il termine non
integra una condizione di inammissibilità, ma determina la decadenza dalla possibilità di provvedere al riguardo, per
cui non è consentita una modifica del piano oltre il termine di legge. La tardiva rimodulazione del piano avrebbe
dovuto essere rilevata sin dalla fase istruttoria assegnata alla Commissione ministeriale, ma in assenza di tale
rilevazione, correttamente la Sezione regionale di controllo per la Calabria ha accertato la scadenza del termine per la
rimodulazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale”.
34
due misure concentrano l’attenzione molti dei piani di riequilibrio proposti (in particolare quelli
degli enti di maggiori dimensioni, come ad esempio avvenuto nel caso di Napoli), e ciò appare
problematico da più punti di vista, data la natura straordinaria delle stesse e l’elevato grado di
aleatorietà che le caratterizza126. Risulta significativa rispetto alla situazione riscontrata nelle altre
aree del Paese osservate, inoltre, tanto la presenza di debiti fuori bilancio e passività potenziali
rilevanti (non sempre individuate e quantificate in modo corretto), quanto il problematico rapporto
di molti degli enti in procedura di riequilibrio con le partecipate, cui segue il tentativo di ripianare le
loro (talora cospicue) perdite anche se con azioni nel complesso valutate scarsamente efficaci e
attendibili dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (assenza di ricapitalizzazione e
di recupero nel disallineamento contabile debiti/crediti, modifiche nelle soluzioni gestionali che non
offrono adeguate garanzie in ordine alla concreta conseguibilità di riduzioni di spesa, ecc.)127.
Si tratta di un insieme di misure che, in vari casi, sono state pertanto giudicate in modo non
pienamente positivo dalle Sezioni regionali di controllo anche successivamente all’approvazione del
piano, in sede di valutazione sulla loro attuazione. Si pensi, ad esempio, a quanto osservato dalla
Sezione regionale di controllo per la Puglia nella deliberazione n. 164/2014/PRSP del 25 settembre
2014 sul monitoraggio del piano di Casarano, con la quale è stata appurata la “gravità” del mancato
rispetto degli obiettivi intermedi fissati128. Si pensi, ancora, a quanto rilevato dalla Sezione
regionale di controllo per la Campania rispetto ai piani dei Comuni di Battipaglia (deliberazione n.
126
In alcuni casi, comunque, gli enti hanno cercato di affrontare il problema circoscrivendo il peso ed il ruolo delle
misure meno certe rispetto al complesso delle azioni preventivate. Si pensi, ad esempio, a quanto rilevato dalla Sezione
regionale di controllo per la Regione Sicilia rispetto al piano del Comune di Catania (deliberazione n. 269/2013/PRSP
del 14 ottobre 2013): “apprezzabile appare anche l’accorgimento adottato dal Comune di non valorizzare, ai fini
dell’equilibrio economico, i proventi delle alienazioni immobiliari (neanche per la componente del plusvalore) e di
avere previsto un apposito fondo per le passività potenziali”.
127
Si tratta di profili di criticità rilevati ad esempio dalle Sezioni regionali di controllo di Campania e Calabria rispetto
alle misure previste dai Comuni di Napoli e Raggio Calabria.
128
I giudici contabili hanno affermato che può essere definita “grave” una violazione che risulti tanto rilevante da far
ragionevolmente ritenere, ove “reiterata”, l’insufficienza del piano approvato in precedenza. E a tal fine sembra da
ritenersi rilevante, se “grave” e “reiterato”, anche il mancato rispetto di un solo obiettivo intermedio, qualora lo stesso
rivesta un’importanza essenziale per giungere all’effettivo riequilibrio finanziario dell’ente. Conseguenze che, precisa la
Sezione, possono derivare da varie cause: da difetti congeniti del piano (inizialmente non rilevati o non rilevabili);
dall’emergere di criticità originariamente sconosciute o dall’insorgere di nuove criticità durante l’esecuzione del piano;
dall’incapacità di attuare quanto prestabilito. Nel caso di specie, la Sezione regionale osserva che “gli sforzi compiuti
dall’ente dopo l’approvazione del piano di riequilibrio hanno prodotto risultati insufficienti. Ciò è ascrivibile,
principalmente, ad una situazione finanziaria effettivamente molto più grave di quella esposta nel piano di riequilibrio,
frutto di una pluriennale gestione del bilancio poco oculata e del sostanziale disinteresse mostrato dal Comune nei
confronti dei vari rilievi esposti da questa Sezione nel corso degli anni (es. deliberazione n. 43/PRSP/2009;
deliberazione n. 142/PRSP/2010 e deliberazione n. 72/PRSP/2011). La reale situazione finanziaria dell’ente al
momento del ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario, molto peggiore rispetto a quella considerata nel piano
di riequilibrio e i fatti gestionali negativi sopravvenuti rendono, quindi, a dir poco, molto ardua la realizzazione dei
prossimi obiettivi intermedi del piano e l’effettivo risanamento finanziario dell’ente, considerata anche l’esigenza di
realizzare quanto previsto e non realizzato finora e di fronteggiare le situazioni negative emerse dopo la
predisposizione del piano”.
35
1/2015/PRSP del 14 gennaio 2015)129, Contursi Terme (deliberazione n. 2/2015/PRSP del 14
gennaio 2015)130, Procida (deliberazione n. 11/2015/PRSP del 26 gennaio 2015)131 e Faicchio
(deliberazione n. 58/2015/PRSP del 25 marzo 2015)132, o dalla Sezione regionale di controllo per la
Regione Sicilia con riferimento alle situazioni di Cefalù (deliberazione n. 82/2015/PRSP del 3
febbraio 2015)133 e, anche se solo in parte, di Tremestieri Etneo (deliberazione n. 5/2015/PRSP del
12 gennaio 2015)134 e Catania (deliberazione n. 8/2015/PRSP del 12 gennaio 2015)135.
129
La Sezione regionale ha osservato che, “fermo restando l’esito delle verifiche che verranno effettuate sui dati
rassegnati dall’Organo di revisione nel questionario sul rendiconto 2013 di recente acquisito dalla Sezione con prot. n.
6590 del 28/11/2014 e su quelli che verranno acquisiti con le relazioni relative al secondo semestre 2014”, è stato
comunque sin da subito “riscontrato, allo stato degli atti, lo scostamento tra alcuni degli obiettivi intermedi previsti dal
piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Battipaglia (SA) e i risultati evidenziati nelle relazioni
rassegnate dall’Organo di revisione e dall’ente locale”. Le maggiori criticità sono state rilevate con riferimento: al
processo di razionalizzazione degli organismi partecipati, attuato in senso difforme e meno efficace rispetto a quanto
precedentemente programmato; all’inadempimento del piano di alienazioni immobiliari; all’assenza di un reale
monitoraggio dei debiti fuori bilancio e delle passività potenziali; alla mancanza di un’azione incisiva circa l’attività di
accertamento e di riscossione delle entrate.
130
La Sezione regionale ha rilevato che “l’amministrazione di Contursi Terme nel dare applicazione al Piano di
riequilibrio finanziario pluriennale registra notevoli ritardi sia nell’accertamento di entrate per dismissione del
patrimonio immobiliare che nell’incassare le entrate di natura tributaria accertate. Analizzando ciascun obiettivo dal
punto di vista qualitativo è possibile rilevare un forte rallentamento nel conseguimento degli obiettivi prefissati, reso
evidente dai risultati raggiunti. Allo stato degli atti risulta, pertanto, che nel periodo 2013 e primo semestre 2014
l’amministrazione ha conseguito pienamente solo 3 dei 9 obiettivi fissati”.
131
La Sezione regionale ha accertato: l’estrema lentezza nel conseguimento degli obiettivi intermedi prefissati nel piano
di riequilibrio, resa evidente dagli scarsi risultati conseguiti (raggiungimento di un obiettivo su otto); i notevoli ritardi
nella dismissione della quota di Marina di Procida s.r.l., nella copertura del disavanzo di amministrazione, nel
reperimento delle risorse necessarie ad eliminare i debiti fuori bilancio accumulati; l’andamento positivo sul fronte dei
risparmi di spesa derivanti dalla riduzione del personale.
132
La Sezione regionale ha accertato il parziale mancato rispetto (tanto quantitativo che qualitativo) degli obiettivi
intermedi di cui al piano di riequilibrio finanziario pluriennale (debiti fuori bilancio e accordi transattivi, alienazioni
immobiliari), invitando il Comune di Faicchio ad attivarsi per il pieno raggiungimento degli stessi e a fornire le
informazioni necessarie per consentire la valutazione della congrua attuazione del piano.
133
La Sezione regionale ha accertato: a) il mancato rispetto degli obiettivi fissati dal piano, che pregiudica radicalmente
il percorso di riequilibrio finanziario pluriennale; b) la sussistenza dei presupposti del dissesto finanziario del Comune
di Cefalù. I giudici contabili, in particolare, hanno evidenziato come l’ente versi “ormai da anni in una condizione di
cronica carenza di liquidità che deve ritenersi consolidata, strutturale e tale da pregiudicare in maniera, allo stato dei
fatti, irreversibile la solvibilità dello stesso come confermato dall’analisi dei dati contabili riferibili ai rendiconti della
gestione degli ultimi esercizi finanziari”. I principali profili di criticità rilevati sono stati: a) i rilevanti e reiterati
squilibri nella gestione di competenza, per la parte corrente, che hanno costretto l’ente a fare continuo ricorso negli anni
ad entrate straordinarie per finanziare le proprie spese correnti con inevitabili riflessi negativi sulla disponibilità di
cassa; b) la perdurante scarsa capacità di riscossione delle entrate correnti; c) il mantenimento nel conto del bilancio di
residui attivi insussistenti o di dubbia esigibilità, risalenti nel tempo e per un rilevante ammontare; d) il significativo
squilibrio nella gestione per cassa dei residui; e) la gravissima crisi di liquidità, che ha portato l’ente a fare
ininterrottamente ricorso, già a partire dall’esercizio 2004, all’anticipazione di tesoreria destinata a rimanere inestinta a
fine esercizio; f) la presenza di debiti fuori bilancio da riconoscere per un elevato ammontare; g) l’elevato ammontare
dei residui passivi; h) la presenza di reiterate esecuzioni forzate sul patrimonio dell’ente.
134
Le relazioni trasmesse dall’organo di revisione economico–finanziaria hanno permesso di evidenziare alcuni
scostamenti rispetto alle previsioni elaborate in sede di predisposizione del piano di riequilibrio (mancato
raggiungimento degli obiettivi rispetto alla TOSAP e alla TARES, alla riduzione del costo del servizio rifiuti, alla
revisione dei residui, all’alienazione dei beni patrimoniali disponibili); ciononostante, la Sezione regionale di controllo
per la Regione Sicilia, pur sottolineando i profili di criticità evidenziati, ha espresso un giudizio parzialmente positivo
sull’attuazione complessiva del piano.
36
4. Brevi considerazioni critiche e conclusive
Dopo aver messo in evidenza il quadro presente a livello comunale sul ricorso alla procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale, non ci resta che svolgere alcune brevi considerazioni conclusive
di tipo più generale.
Dall’indagine “a campione” che abbiamo provato a tracciare sembra emergere il carattere
“differenziale” del fenomeno, quantomeno in parte influenzato dal contesto (finanziario in primo
luogo, ma anche demografico e geografico) di riferimento.
In particolare, la situazione assume un peso significativo per i comuni che si trovano nelle Regioni
dell’Italia meridionale e, in parte, dell’Italia centrale. E ciò non solo da un punto di vista
“quantitativo”, ma anche e soprattutto “qualitativo”, dato che gli enti coinvolti nella procedura di
riequilibrio sembrano qui gravati da una situazione finanziaria critica che assume sovente connotati
di “ordinarietà”136, mentre nel caso dei Comuni dell’Italia del Nord il riequilibrio appare una misura
eccezionale per far fronte a problemi altrettanto straordinari e non prevedibili.
Di conseguenza, anche le misure previste nei piani ai fini del risanamento si differenziano di caso in
caso, sfruttando i pochi spazi offerti dalla procedura di riequilibrio e cercando di adattarsi alla
situazione finanziaria di base. Più specificamente, sembra in qualche modo riscontrabile uno stretto
legame tra quest’ultima e la scelta di accedere o meno forme di liquidità esterna (“Fondo di
rotazione” e/o Cassa Depositi e Prestiti S.p.a.): all’aggravarsi della prima crescono decisamente le
probabilità che l’ente decida di far ricorso alla seconda, secondo uno schema di fondo che, visto il
nostro campo di indagine essenzialmente “a campione”, possiamo qui solo mettere parzialmente in
risalto.
Pare tuttavia emergere una certa somiglianza di fondo nella durata (lunga) dei piani e nelle
iniziative intraprese (aumento delle entrate tributarie e, in parte, extra-tributarie, riduzione delle
spese per il personale e per la gestione di servizi, razionalizzazione dei rapporti con le partecipate),
per molti versi inevitabile se si pensa alla normativa di riferimento, la quale non lascia spazi
135
La relazione del Collegio di revisione ha certificato, nel periodo in esame, l’esistenza di alcuni scostamenti di
carattere negativo, rispetto alla programmazione inserita nel piano (azioni relative agli asili nido, alle indennità di
carica, ai costi per i fitti passivi ed ai costi relativi all’indebitamento correlato all’esistenza dei mutui), ma che, ad
avviso della Sezione regionale di controllo per la Regione Sicilia “non inficiano la valutazione complessiva in ordine
alla sostenibilità del riequilibrio come programmato, dal momento che si evidenziano ulteriori scostamenti di carattere
positivo relativi in particolare alla minore consistenza delle passività previste nel piano”.
136
Nella grande maggioranza dei casi esaminati causa dello squilibrio economico-finanziario degli enti risultano essere
principalmente: i debiti fuori bilancio, non correttamente conteggiati; i residui attivi relativi ad anni precedenti ed il loro
mantenimento in bilancio (situazione aggravata dalla difficoltà e dalla scarsa capacità di riscossione delle entrate
proprie); un ricorso eccessivo alle anticipazioni di tesoreria.
37
adeguati alla sperimentazione di soluzioni innovative adottate da parte degli enti locali137. Essendo
misure e soluzioni che passano dal “varco stretto” del vaglio delle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti, si poteva (e forse si doveva) valorizzare maggiormente a nostro avviso il
profilo “autonomistico”, che pare comunque insito nella procedura di riequilibrio introdotta nel
2012, cercando di renderla più “flessibile”.
Una procedura così strutturata risulta dunque utile quale possibile “salva-gente” per evitare che
molti comuni, sempre più indebitati e finanziariamente in difficoltà, siano costretti a dover
dichiarare sin da subito il dissesto, con le gravi conseguenze che ciò comporta138. Sono molti, però,
i dubbi sulla sostenibilità complessiva del sistema ideato, che si basa sull’adozione di strumenti di
azione talvolta di difficile attuazione concreta; il che non solo rischia di sminuire l’adeguatezza dei
piani di riequilibrio finanziario pluriennale a raggiungere i propri scopi in ambito “locale”, ma
espone i conti pubblici più in generale a possibili fluttuazioni negative.
Il primo esempio in tal senso è sicuramente quello del rapporto tra incremento delle entrate proprie
del comune e risorse esterne. La decisione di accedere al “Fondo di rotazione”, infatti, porta da una
parte ad un prestito statale che l’ente in difficoltà dovrà ripagare nel termine prestabilito e,
dall’altra, all’obbligo (tra gli altri) di innalzare le aliquote o tariffe alla misura massima consentita.
Si tratta di una strada che, come abbiamo visto, è stata percorsa con una certa frequenza dagli enti in
procedura di riequilibrio (in particolare in alcune zone del Paese), compresi però quelli che si
trovano agli ultimi posti nelle graduatorie sulla capacità di riscuotere le entrate scritte nei propri
bilanci (come ad esempio i Comuni di Cosenza, Reggio Calabria, Napoli, Catania). Il rapporto tra le
entrate tributarie accertate e quelle effettivamente riscosse, difatti, risulta un dato problematico per
molti enti, colpendo in particolare quelli del Lazio e delle Regioni del Sud e delle Isole (soprattutto
Campania, Calabria e Sicilia), così come quelli di maggiori dimensioni139.
137
Per quanto riguarda le entrate tributarie, ad esempio, indipendentemente dall’accesso al “Fondo di rotazione” le
Linee guida predisposte dalla Corte dei conti sottolineano la necessità per l’ente locale di dimostrare un incremento
percentuale delle entrate proprie rispetto a quelle correnti che, anche se non deve necessariamente arrivare al massimo
consentito (come invece prescritto per gli enti che accedono al suddetto fondo), deve comunque risultare
“significativo”.
138
È proprio a causa delle durissime conseguenze per le comunità locali che le delibere di dissesto devono essere
vagliate solo dopo aver verificato in concreto tutte le possibilità per evitarlo, anche mediante l’utilizzo della procedura
di riequilibrio: la giurisprudenza contabile e amministrativa, infatti, ha da tempo affermato che la decisione di dichiarare
lo stato di dissesto non è frutto di una scelta discrezionale dell’ente, ma è una determinazione vincolata ed ineludibile,
solo in presenza dei presupposti fissati dalla legge (Corte dei Conti, Sezioni riunite, sentenza n. 26/2014/EL del 17
luglio 2014). Presupposti che, nel recente caso del Comune di Sant’Omero (Abruzzo), non sono stati riscontrati in
concreto dal T.A.R. Abruzzo – l’Aquila, che con l’ordinanza cautelare n. 27-2015 del 29 gennaio 2015 ha sospeso
l’efficacia della deliberazione di dissesto finanziario (in particolare per l’errata qualificazione e quantificazione dei
debiti da parte dell’ente).
139
Si tratta di considerazioni ben messe in evidenza da un recente studio condotto nel marzo del 2015 da LGnet sui dati
dei Certificati di conto consuntivo del 2013. In particolare, lo studio rileva come i valori più alti nella capacità di
riscossione dei tributi siano quelli dei comuni di Emilia-Romagna, Liguria, Trentino Alto-Adige e Valle d’Aosta,
38
Ma se la riscossione non funziona adeguatamente, le aliquote e le tariffe verranno di fatto alzate
senza riuscire ad ottenere risultati apprezzabili; anzi, in molti territori dove il basso livello dei
pagamenti si accompagna alla scarsa qualità dei servizi, gli aumenti potranno addirittura far
crescere la propensione all’evasione fiscale piuttosto che il livello delle entrate effettive dell’ente.
Questo “circolo vizioso” porta così ad effetti diversi e contrapposti rispetto a quelli immaginati con
la procedura di riequilibrio: le anticipazioni ai comuni in difficoltà sono infatti alimentate da un
Fondo “rotativo” nel quale le restituzioni dei vecchi prestiti dovrebbero finanziare l’erogazione di
quelli nuovi; ma se il fondo non “ruota”, perché gli enti che ne hanno usufruito non riescono a
ripagare pienamente il prestito grazie alle maggiori entrate proprie effettivamente percepite, questi
ultimi rischiano di esser costretti a dichiarare comunque il dissesto, con l’aggravante dell’ulteriore
sperpero di risorse pubbliche. Ciò vale a maggior ragione se si pensa alla novella introdotta
dall’articolo 43 del decreto-legge n. 133/2014 (convertito dalla legge n. 164/2014), la quale
consente di destinare le risorse del “Fondo di rotazione” anche per il ripiano del disavanzo di
amministrazione e per il pagamento indistinto dei debiti fuori bilancio, mutando natura ad uno
strumento essenzialmente nato per creare liquidità da impiegare solo per superare le momentanee
condizioni di sofferenza della cassa, ma senza determinare nuove coperture di spese.
Risulta chiaro, allora, come la procedura di riequilibrio necessiti una maggiore attenzione al piano
dell’effettività delle misure introdotte all’interno dei piani, dovendosi pretendere sforzi maggiori da
parte dell’ente anche sul piano organizzativo, in modo da rendere credibili gli aumenti di entrata e
le riduzioni di spesa previsti. In caso contrario il piano rischia di non funzionare, come in diversi
casi non ha concretamente funzionato, procrastinando la situazione di fatto esistente in attesa e nella
speranza di un intervento risolutivo della politica; intervento che, finalmente, non sembra più invece
“disponibile” quanto in passato.
L’azione degli enti che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio, allo stesso tempo, è stata
però spesso “disorientata” da un complesso di norme intervenute ad integrazione dell’originario
dettato e da provvedimenti legislativi che hanno indirettamente inciso sulla sua applicazione, in
assenza di indispensabili interventi di coordinamento.
Si pensi, ad esempio, all’approvazione da parte del legislatore di provvedimenti che, se da una parte
hanno inciso favorevolmente sulla finanza locale e sul sistema dei loro creditori, dall’altra hanno
introdotto variazioni significative rispetto a quanto preventivato dagli enti all’interno dei piani di
risanamento. Il decreto-legge n. 35/2013 (ma analogamente ha proceduto anche il decreto-legge n.
mentre i più bassi quelli dei comuni di Calabria, Campania, Sicilia e Lazio. Guardando invece alla classe demografica,
lo studio evidenzia la particolare difficoltà dei comuni di maggiori dimensioni, in particolare di quelli al di sopra dei
250.000 abitanti.
39
66/2014) ha così previsto per gli enti in sofferenza di liquidità consistenti anticipazioni finanziarie a
carico della Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. per saldare i vecchi debiti, a tutto il 2013, degli enti
territoriali verso il sistema mercantile, portando gli enti in procedura di riequilibrio che se ne sono
avvalsi a rimodulare il piano predisposto in precedenza.
Altro esempio significativo che si muove in questa direzione è il difficile coordinamento tra la
procedura di riequilibrio e la riforma in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli
schemi di bilancio (decreti legislativi n. 118/2011 e n. 126/2014), così come con la legge di stabilità
per il 2015 (legge n. 190/2014), che determina una significativa contrazione delle spese finali delle
amministrazioni locali140.
Alla prova dei fatti, pertanto, l’istituto del riequilibrio finanziario pluriennale si è mostrato in vari
casi uno strumento inadatto e improprio per risanare effettivamente i conti pubblici dei comuni in
difficoltà, come dimostrano anche i ripetuti interventi legislativi che hanno cercato di adattare in
corso d’opera la procedura ai problemi che sono via via emersi nella prassi e in giurisprudenza;
interventi episodici e frammentari che, tuttavia, rischiano da una parte di creare dinamiche
contraddittorie in grado di rendere ancor più complessa ed inefficiente l’attività di programmazione
degli enti locali, e dall’altra di favorire opportunistiche manovre dilatorie volte a ritardare
l’adozione di misure che dovrebbero essere al contrario messe in atto tempestivamente.
140
Rispetto al quadro tendenziale le spese finali sono previste ridursi di 4 miliardi nel 2015, correzione che cresce a 4,6
e a 4,8 miliardi rispettivamente nel 2016 e nel 2017.
40
Appendice grafica
Tabella n. 1 – Numero delle procedure di riequilibrio attivate da comuni (anni 2012-2014) – Distinzione per classe
demografica
Classe
demografica
N.
comuni
N. procedure
di riequilibrio
Anno 2012
N. procedure
di riequilibrio
Anno 2013
N. procedure
di riequilibrio
Anno 2014
Totale
< 2.000 ab.
3.516
3
10
3
2.000-4.999 ab.
2.113
8
17
16
5.000-9.999 ab.
1.186
11
14
8
10.000-19.999 ab.
712
7
12
6
20.000-59.999 ab.
415
9
12
5
60.000-249.999 ab.
93
5
1
3
> 250.000 ab.
12
2
/
/
8.047
45
66
41
16
(10,5%)
41
(27%)
33
(21,7%)
25
(16,5%)
26
(17,1%)
9
(5,9%)
2
(1,3%)
152
Totale
Tabella n. 2 – Percentuale di procedure di riequilibrio rispetto al totale di comuni della rispettiva classe demografica
Classe
demografica
N.
comuni
Procedure di riequilibrio
< 2.000 ab.
3.516
16
Procedure di riequilibrio rispetto
al totale di comuni della rispettiva
classe demografica
0,5%
2.000-4.999 ab.
2.113
41
1,9%
5.000-9.999 ab.
1.186
33
2,8%
10.000-19.999
ab.
20.000-59.999
ab.
60.000-249.999
ab.
> 250.000 ab.
712
25
3,5%
415
26
6,3%
93
9
9,7%
12
2
16,7%
8.047
152
1,9%
Totale
41
Tabella n. 3 – Numero delle procedure di riequilibrio attivate da comuni (anni 2012-2014) – Distinzione per area geografica
Regione
N. procedure N. procedure N. procedure
di riequilibrio di riequilibrio di riequilibrio
Anno 2012
Anno 2013
Anno 2014
Piemonte
/
4
/
Lombardia
1
2
3
Friuli-Venezia Giulia
/
/
1
Emilia Romagna
/
1
1
Toscana
1
3
2
Umbria
/
3
/
Marche
/
/
2
Lazio
1
5
1
Abruzzo
1
1
/
Molise
/
1
2
Campania
9
9
4
Puglia
2
1
6
Basilicata
/
4
1
Calabria
12
19
11
Sicilia
18
13
7
Totale
45
66
41
42
Totale
4
(2,7%)
6
(3,9%)
1
(0,7%)
2
(1,3%)
6
(3,9%)
3
(2%)
2
(1,3%)
7
(4,6%)
2
(1,3%)
3
(2%)
22
(14,5%)
9
(5,9%)
5
(3,3%)
42
(27,6%)
38
(25%)
152
Tabella n. 4 – Percentuale di procedure di riequilibrio rispetto al totale di comuni della rispettiva Regione
Regione
Piemonte
1.206
N. procedure di
riequilibrio nella
Regione
4
Lombardia
1.530
6
0,4%
Liguria
235
/
/
Veneto
579
/
/
Emilia Romagna
340
2
0,6%
Toscana
279
6
2,2%
Umbria
92
3
3,3%
Marche
236
2
0,8%
Lazio
378
7
1,9%
Abruzzo
305
2
0,7%
Molise
136
3
2,2%
Campania
550
22
4%
Puglia
258
9
3,5%
Basilicata
131
5
3,8%
Calabria
409
42
10,3%
Sicilia
390
38
9,7%
Sardegna
377
/
/
Valle d’Aosta
74
/
/
Trentino-Alto Adige
326
/
/
Friuli-Venezia Giulia
216
1
0,5%
8.047
152
1,9%
Totale
N. comuni della
Regione
Rapporto %
0,3%
Tabelle nn. 1 – 4
Fonte: elaborazione propria su dati della “Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali (Esercizio 2013)” della
Sezione Autonomie della Corte dei conti del 12 gennaio 2015 e delle slide di presentazione dell’intervento del Dott. Giancarlo
Verde (Direttore della Direzione generale della Finanza locale del Ministero dell’Interno) al Convegno di Legautonomie sui
piani di riequilibrio finanziario dei comuni svoltosi a Roma il 17 novembre 2014
43
Bibliografia essenziale di riferimento
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 Camera dei deputati, Corte dei conti - Sezione delle autonomie - Relazione sulla gestione
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2015 – Relazione del Presidente Francesco Lorusso, Bari, 6 marzo 2015
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Lo
squilibrio
finanziario
degli
enti
locali,
http://finanzalocale.interno.it/docum/istrc.html, marzo 2013
reperibile
all’indirizzo