Lo zampino del diavolo ovvero Dio non c`entra

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Lo zampino del diavolo ovvero Dio non c`entra
Lo zampino del diavolo
ovvero Dio non c’entra
di Sara Cattò
Riflessioni da Odifreddi, Sfidare Dio a duello, in Il matematico impertinente, Longanesi 2005,
p.178-181. I numeri di pagina relativi alle citazioni contenute nel testo si riferiscono a questo libro.
L’azione “diabolicamente eroica” cui Odifreddi si riferisce e alla quale incita (p. 181) è sinonimo di
“impertinenza come buon modo, a volte l’unico possibile, di affrontare i problemi in modo
pertinente” (p.7). Si tratta del coraggio di correre il rischio di essere identificati col ‘diavolo’ – e di
sopportarne le conseguenze – quando ci tiriamo fuori da branco, e usiamo il cervello che il buon
Dio ci ha affidato, anche quando questo significhi andare “in direzione ostinata e contraria” come
canta De André.
È certo che questa di usare il cervello è l’opportunità speciale e unica (visto che nessun altro regno
di natura la condivide con noi) che viene offerta all’essere umano, e di cui la Genesi descrive la
genesi.
Ma il serpente artefice del fatto accaduto nell’Eden non è certo il Diavolo, identificazione impropria
e strumentale, compiuta dalla teologia, per ovvie ragioni di fede (cioè di fede da imporre a masse da
controllare) su cui non mi dilungo ora. Il serpente tra l’altro è in tutte le culture antiche simbolo
della saggezza e della conoscenza che conducono alla continuità e all’eternità, come ricorda
l’Uroboros (il serpente che si morde la coda). Senza scomodare kundalini (il serpente dormiente
arrotolato alla base della colonna vertebrale, il cui risveglio e
innalzamento fino alla testa dona l’illuminazione), basta
ricordare Mosè, al quale Dio (lo stesso Dio della Genesi…) si
manifesta sotto forma di serpente. O San Paolo che, pellegrino
in terra di Malta, fu morso da una vipera: lungi dall’ucciderla,
San Paolo la benedisse, e con lei tutta la terra di Malta. Il morso
della serpe valse infatti al santo straordinarie facoltà di
guarigione. Il paese siciliano di Palazzolo Acréide (SR) a
tutt’oggi celebra l’eccezionale evento con una grande festa, per
la quale vengono preparati speciali pani a forma appunto di
serpente, affinché tutti possano cibarsene, ‘rito’ che ricorda
inequivocabilmente quello dell’eucaristia.
L’associazione tra il serpente e il diavolo è quindi
un’associazione postuma, per quanto precoce, e non corretta, e sarebbe ora che fosse corretta e le
cose rimesse a posto.
Il serpente avvisa l’uomo che, se vuole, può conquistare la conoscenza del bene e del male. Cioè
che – per dirla con il Galileo di Odifreddi – “il Signore Dio, come ha dato ad ogni persona gli occhi
per vedere le opere sue, gli ha dato anche il cervello per poterle capire” (p.34). Il diavolo qui non
c’entra nulla. C’entra invece quando l’uomo, impegnato a conquistare quella conoscenza per cui
mangiò la mela, si dimentica che l’albero si chiama della conoscenza del bene e del male, non del
bene o del male. Ecco dove il Diavolo ci mette lo zampino.
L’azione del diavolo (dal greco dia ballo, separo, divido) sta nel separare, nel dividere, nello
spezzare l’Unità costituita dalla polarità bene/male, inaugurando così la nefasta abitudine a spezzare
tutto in due e a mettere una parte contro l’altra, vera causa di tutti i nostri mali.
Facciamo un esempio1.
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Riprendo l’analogia della porta, di grande efficacia esplicativa, da T. Dethlefsen Malattia e destino Edizioni
Mediterranee, 1986, p.31.
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Una porta è una porta. Ma, a seconda del punto di vista con la quale la approcciamo, può diventare
un’entrata oppure un’uscita.
Essa è, in realtà, sia un’entrata che un’uscita insieme, ma nel mondo materiale nel quale noi
viviamo non ci è possibile utilizzarla nello stesso momento come entrata e come uscita.
Possiamo farlo solo in momenti successivi, ed ecco la percezione del tempo, che tutte le tradizioni
spirituali insegnano essere, dal punto di vista dell’Unità, un’illusione.
Più precisamente, il tempo è l’espediente, lo stratagemma che ci permette di fare l’esperienza di
entrambi gli aspetti della polarità, prima o poi.
Non potendo sperimentare i due opposti insieme, dobbiamo fare una scelta, occasionale (cioè
relativa al caso specifico) e temporanea (ovvero reversibile).
Il problema nasce quando, utilizzando la porta come entrata, io cado nell’illusione che l’entrata sia
l’unico modo giusto, buono, corretto di usare quella porta e dimentico (dalla radice latina demens,
demente) che essa è anche un’uscita.
Assolutizzo (cioè assegno valore assoluto) l’aspetto entrata, ovvero perdo la consapevolezza che
esso è relativo all’aspetto uscita, e mi identifico (mi costringo, mi limito) con l’entrata.
Posso arrivare a fondare un partito, ‘il partito dell’entrata’, e fare proseliti per convincere altri
(facendo leva su presunte mille ‘buone ragioni’) che quella porta è un’entrata.
Basta convincere che l’uscita sia opera del diavolo, sia cattiva, sia male, e il gioco è fatto. Entrata
uguale Dio, Bene. Uscita uguale diavolo, male.
Senza rendermene conto, così preso dal voler combattere a tutti i costi “a fin di bene”, agisco in
modo diabolico instillando separatività, e non mi accorgo che sto condannando me stesso… a non
poter più uscire da dove sono entrato.
Se quella porta è solo un’entrata, una volta che sono dentro, essa si chiude alle mie spalle, come la
porta di una prigione. La prigione non esiste realmente, ma mi ci condanno da solo, rifiutando di
voler riconoscere in quella porta anche un’uscita.
Ognuno di noi desidera istintivamente essere buono e stare dalla parte giusta. E’ la tensione etica
insita nell’essere umano. Ma tale impulso ‘che tende al bene’ può essere gravemente,
diabolicamente sviato e pervertito. Invoco il bene (cioè una delle due parti della polarità bene/male,
quella che secondo me suona meglio) e la spaccio per il Bene (ovvero l’Unità, che è invece un
concetto sintetico, gerarchicamente superiore a qualsiasi polarità che, in quanto maggiore, contiene
in sé).
Quindi non ha alcun senso creare la polarità Dio-diavolo (o Bene-male), errore invece molto
diffuso. Dio, sommo Bene, è sinonimo di Unità, di Tutto, di Infinito, onnipotente, onnipresente,
onnisciente. Nulla può esserne escluso, nemmeno il diavolo. Siamo in presenza di una falsa polarità,
ovvero della contrapposizione tra due aspetti che non appartengono allo stesso sistema o livello. La
polarità implica che i due poli partecipino della medesima natura, che appartengano al medesimo
livello: cioè che siano pari.
In altri termini, il Tutto contiene tutto, per definizione.
Per dirla col linguaggio degli insiemi: Dio come sinonimo di Tutto è un insieme che include per
definizione tutti gli altri e quindi anche l’insieme delle polarità sulle quali il diavolo ha potere di
separatività.
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Cioè se A≠B e B∈A allora B<A.
L’errore sta nel chiamare ‘Dio’ una metà dell’insieme B (la metà buona, naturalmente), il che
genera una contraddizione logica non accettabile: A>B e B:2=A!
Se A=Tutto, B può separarsi solo continuando a essere incluso in A, cioè, per definizione, tutto
deve essere incluso nel Tutto.
Ironia della sorte, se il diavolo è colui che separa, contrappone, mette contro, allora coloro che si
incaricano di condurre le “sfide diabolicamente eroiche” cui chiama Odifreddi agiscono in effetti
come simboli (dal greco sin ballo, riunisco, collego), ovvero come persone che “per la maggior
gloria dello spirito umano” non vogliono “né trascurare l’uomo né padroneggiare la natura, ma
sentirsi parte di essa e cercare solo di comprenderla usando la ragione”, come afferma l’Archimede
di Odifreddi (p.214).
Cioè persone che non hanno interesse a prendere parte a favore, che ne so, delle stelle piuttosto che
degli oceani o della terra piuttosto che del cielo, perché ben sanno che tutto fa parte della mirabile
natura, e che nell’armonia del creato abita Dio (quello vero).
D’altra parte se voglio comprendere (dal latino cum, con, insieme e prendere, prendere) devo
prendere tutto, non solo le parti che a me piacciono di più per qualche buona (s)ragione politica,
religiosa, economica, ideologica.
Quindi questi simboli (ex diavoli) hanno semmai l’interesse a combattere le illusioni sotto ogni
forma, gli inganni, le frodi, le mistificazioni, le credenze irragionevoli e disumane. Cioè a essere
soldati dei “drappelli che militano per la maggior gloria dello spirito umano” (p.8).
“In verità, in verità le dico; all’inferno ci finiscono quasi tutti quelli che sperano di non andarci. Il
detto le vie del Signore sono infinite l’ha inventato il Diavolo per nascondere che invece quasi tutte
le vie portano a lui: soprattutto quelle indicate da coloro che usurpano il mio nome” tuona Gesù
intervistato da Odifreddi (p.77).
Sicché il diavolo ingannatore di cui parla Gesù non è certo il diavolo che ne denuncia l’inganno, che
è quello cui pensa Odifreddi quando lancia l’appello “chi ha il cervello per risvegliarsi, si risvegli!”
(p. 108).
Così come un monosillabo consta di una sillaba, ma ‘un monosillabo’ di sei, il Diavolo porta le
corna, ma ‘il diavolo’ porta le ali. Pertanto, se proprio ci piace tanto, continuiamo pure a parlare di
diavoli, ma teniamo distinti i livelli, così da rispettare quel povero diavolo che si scorna per usare il
proprio cervello e per far sì che tale vizio si diffonda anche ad altri.
Se no nella confusione facciamo il gioco del Diavolo (quello vero).
Pienza, 27 dicembre 2005
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