qui - La Ricerca Loescher

Transcript

qui - La Ricerca Loescher
1 601 1
RI11- Fotogramma dal film Totò, Peppino e la ... malafemmena, 1956. - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale-D.L. 353/2003 (conv. In L 27/20/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NO/Torino – n. 10 anno 2016
10
N°
La ricerca
Maggio 2016 Anno 4 Nuova Serie – 6 Euro www.laricerca.loescher.it
Parla
come badi
SAPERI
Scrivere per comunicare,
comunicare per insegnare
SCUOLA
Revisione, riscrittura, imitazione:
l’artigianato in classe
DOSSIER
Le illustrazioni
prese sul serio
QdR / Didattica
e letteratura
U
na nuova collana scientifica destinata a scuola
e università, diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti.
Per riflettere su metodi e strumenti idonei a valorizzare
il ruolo degli studi letterari, della scrittura, della lettura
e dell’interpretazione delle opere.
COMITATO SCIENTIFICO
Remo Ceserani (Università di Bologna)
Paolo Giovannetti (IULM)
Pasquale Guaragnella
(Università degli Studi di Bari)
Marielle Macé (CRAL Parigi)
Francisco Rico
(Universitad Autònoma Barcelona)
Francesco Stella
(Università degli Studi di Siena)
USCITE PREVISTE
Le competenze dell’italiano.
Strategie di insegnamento e di valutazione,
a cura di N. Tonelli
Tradurre le opere, leggere le traduzioni.
Strategie di insegnamento e di valutazione,
a cura di Simone Giusti
Per la scuola
e per l’università
ISSN 2385-0914
La collana QdR / Didattica e letteratura è online
www.laricerca.loescher.it/quaderni/qdr
Per le copie cartacee
rivolgersi in libreria
o presso l’agente di zona
www.loescher.it/agenzie
editoriale
Bado a come parlo
F
ino a una quindicina di anni fa, cioè fino a quando sono stato insegnante
di Lettere al liceo, ricordo che ai libri di testo si chiedevano poche cose
ben precise: che fossero culturalmente affidabili, didatticamente strutturati, trasparenti nell’impostazione ideologica, ricchi di esercitazioni,
prevedibili (per quanto possibile) nella selezione del canone disciplinare,
ma senza rinunciare a interessanti spunti di originalità sia nel merito
che nel metodo.Al docente spettava il compito di mediare e impreziosire con la propria
preparazione e dialettica, e magari con un pizzico di istrionismo, i contenuti offerti
dalla carta stampata.
Quindici anni dopo, le cose sono formalmente molto simili, se non per un aspetto,
che fa però tutta la differenza del mondo. È cambiato il mondo, in effetti: quello che
sta dentro e fuori dalle aule, dentro e fuori dalle coscienze. È stato innalzato l’obbligo
scolastico e quello formativo; si sono riformati gli indirizzi e i programmi; si è imposto
di lavorare per competenze; sono state accolte prime e seconde generazioni di nuovi
italiani; si è diffusa la richiesta legittima di accurate personalizzazioni (se non individualizzazioni) dei programmi scolastici e dei piani di studi.
I banchi si sono popolati dei cosiddetti “nativi digitali”, con le loro fonti alternative
di informazioni e di sapere (Facebook e YouTube su tutti); con la loro attitudine alla
navigazione di superficie, e all’ipertestualità; con i pollici opponibili usati su minuscole
tastiere per scrivere messaggi in codice; provenienti da città e quartieri sempre più
multietnici; da contesti depauperati da una decennale crisi economica,che ha invertito
priorità e valori, ponendo l’istruzione al fondo della classifica dei mezzi di promozione
sociale. A fronte di tali mutamenti del mondo, si sono resi indispensabili cambiamenti significativi anche nel modo di rappresentarlo
Fare i libri di testo
e di narrarlo. Si è cioè, sempre più, chiesto che la lingua, o meglio, i
è cambiato, perché è
linguaggi della comunicazione didattica si calibrassero su un nuovo
cambiato il mondo.
standard d’intellegibilità, che prescindesse da un’idea omogenea e
astratta di curriculum scolastico, e mediasse il sapere nelle forme e
nei modi più adatti a tutti e a ciascuno.
Io,che il cambiamento l’ho vissuto non più in classe,ma dietro una scrivania popolata
di bozze e progetti grafici, ho visto rapidamente mutare anche il mio lavoro, spostandosi
il centro di interesse sempre più dal contenuto al metodo, dallo specialismo disciplinare alla mediazione linguistica. Non che il fenomeno sia del tutto nuovo, nella scuola
e nella società italiane. Dal saggio manzoniano sulla lingua italiana e “sui mezzi per
diffonderla” al “non è mai troppo tardi” televisivo; dai programmi della scuola media
dell’obbligo alle contestazioni dell’autunno caldo; dalla lettera alla professoressa alle
tesi di De Mauro, ogni stagione sembra aver fatto i conti con una realtà antropologica e
culturale diversa e inattesa.Quello che c’è di nuovo,oggi,sembra essere la pervasività del
fenomeno, che non si limita più alla “semplice” dialettica verticale tra chi è privilegiato, culturalmente ed economicamente, e chi no, ma che si radicalizza in una divisione
orizzontale e generazionale che, nei suoi esiti estremi, rende vicendevolmente muti e
sordi genitori e figli, studenti e insegnanti.
Di questo abbiamo voluto parlare, in questo decimo numero della Ricerca. Della
lingua che si usa a scuola e di quella che si pensa per la scuola; di pratiche didattiche
intelligenti e di errori che diventano risorse; di libri di testo sequenziali e di granularità di contenuti virtuali; di poesia e di comunicazione. Di comunicazione, soprattutto,
ma non come mera tecnica di trasmissione del sapere. Piuttosto come abito mentale
e prassi etica, oltre che come base di una progettazione editoriale che voglia essere al
tempo stesso seria, civile, democratica, inclusiva.
“
„
Sandro Invidia, direttore editoriale di Loescher.
La ricerca
Periodico semestrale
Anno 4, Numero 10 Nuova Serie, Maggio 2016
autorizzazione n. 23 del Tribunale di Torino,
05/04/2012 iscrizione al ROC n. 1480
Editore
Loescher Editore
Direttore responsabile
Martina Pasotti
Direttore editoriale
Ubaldo Nicola
Coordinamento editoriale
Alessandra Nesti - Piaccapi
Grafica e impaginazione
Leftloft - Milano/New York
Pubblicità interna e di copertina
VisualGrafika - Torino
Stampa
Rotolito Lombarda
Via Sondrio, 3 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI)
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Distribuzione
Per informazioni scrivere a:
[email protected]
Autori di questo numero
Mario Ambel, Raffaella Bosso,
Rosalee A. Clawson, Dario Corno,
Francesca Di Fenza, Simone Giusti,
Marco Guastavigna, Sandro Invidia,
Lucia Lumbelli, Valerio Magrelli,
Giusi Marchetta, Cristina Nesi,
Ubaldo Nicola, Gino Roncaglia,
Suzanne Stokes
© Loescher Editore
via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino
www.laricerca.loescher.it
ISSN: 2282-2836 (cartaceo)
ISSN: 2282-2852 (online)
Sommario
Scrivere per comunicare,
comunicare per insegnare
saperi
scuola
Dall’automatismo al problem solving:
come sopravvivere alle anafore
Chi scrive bene pensa bene
e convive meglio
46
10
Il paradosso della semplificazione
55
Risorse digitali per la scrittura
12
Direttiva sulla semplificazione
del linguaggio dei testi amministrativi
61
Conversazioni brevi. A scuola
di epigramma nell’era digitale
16
Dieci tesi per l’educazione
linguistica democratica
6
Lucia Lumbelli
Dario Corno
Marco Guastavigna
Mario Ambel
21
Digitale, ma sempre un libro
24
Quattro poesie di Valerio Magrelli
Gino Roncaglia
Cristina Nesi
66
26
Comunicare con le immagini
30
Quanto sono efficaci gli strumenti
didattici non verbali?
Ubaldo Nicola
Suzanne Stokes
34
Ritratti della povertà
nei testi di economia
Rosalee A. Clawson
37
La comunicazione visiva
in tre manuali di storia
Ubaldo Nicola
“La pagina che non c’era”:
lettura creativa e scrittura mimetica
per lavorare con lentezza
Raffaella Bosso e Francesca Di Fenza
73
Le immagini prese sul serio
dossier
Marco Guastavigna
Se una fontana si ammala
Giusi Marchetta
saperi
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Chi scrive bene pensa bene e convive meglio
6
Chi scrive bene
pensa bene e
convive meglio
La scrittura, in quanto
fondamento della vita associata,
deve necessariamente essere
chiara, orientata al destinatario,
il quale è chiamato a mettere
in comune la sua enciclopedia
del mondo e a cooperare alla
costruzione del significato.
Intervista a Dario Corno
A cura di Simone Giusti
D: Il suo libro Scrivere e comunicare (2012), uno
dei manuali più esaustivi ed efficaci tra quelli dedicati alla teoria e pratica della scrittura,
inizia con un brano di John Dewey. «La vita
sociale – scrive il filosofo – si identifica con
lacomunicazione», e, inoltre, «ogni comunicazione è eductiva» poiché consente di condividere l’esperienza, metterla in comune. Mi pare
che il suo lavoro, caratterizzato da un uso sapiente e ben calibrato delle acquisizioni della retorica, della linguistica testuale e della
semiologia, sia caratterizzato soprattutto da
questa preliminare attenzione alla comunicazione come fondamento della vita associata.
R: L’interesse per la comunicazione viene dal mio
passato di semiologo che per anni ha indagato
quali fossero i principali modelli del comunicare
e che si è presto reso conto – anche grazie a queste
parole di Dewey e a tutto il suo lavoro, soprattutto
quello condotto durante gli anni Trenta – che il
comunicare costituisce il cuore pulsante della
vita sociale. La parola “comunicazione” sottende
la parola “comune”. È ciò che mette in comune un
mittente con un ricevente. Non si tratta solo di
persuadere o convincere qualcuno attraverso l’uso
della parola, ma, soprattutto, di condividere. D’al-
7
Saperi / Chi scrive bene pensa bene e convive meglio
Umberto Eco, fotografia di S. Lee, 2015,
© «The Guardian».
di sesso femminile».
R: Per imparare a comunicare non dobbiamo pensare a un’idea divinatoria della scrittura. Non abbiamo un autore lasciato solo con i fulmini di Zeus
a costruire qualcosa che non esiste in precedenza.
Mi pare che a scuola, soprattutto con i nuovi esami di maturità, dal 2000 in avanti, si sia recepita
la necessità di non lasciare solo lo studente, ma
di accompagnarlo – fornendogli dei documenti –
nell’esplorazione della sua memoria,che non è solo
una memoria interna ma è anche esterna, fatta di
materiali che sono reperibili al di fuori della sua
mente. È un approccio la cui validità è confermata
dalla diffusione di Internet. La vecchia topica di
Aristotele acquista un nuovo senso: oggi come ieri
lo studente ha bisogno di essere accompagnato
a recuperare le informazioni che gli servono per
comporre il suo discorso.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Chi scrive bene pensa bene e convive meglio
8
D: Sono idee rilanciate anche dagli studi
sull’arte della memoria di Paolo Rossi, se non
ricordo male.
R: Sì,certo.L’arte della memoria ha riconquistato la
scena in modo molto pratico, a partire dalla necessità di rielaborare creativamente vecchie informazioni. Far sorgere il nuovo dal vecchio, scoprendo
visioni inusitate di vecchi problemi.
↑
Truman Capote
nel 1959.
© New York
World-Telegram
and the Sun
- Library of
Congress Prints
and Photographs
Division.
tronde già Aristotele individuava tra i diversi tipi
di oratoria il genere epidittico, che ha per oggetto
la lode o il biasimo di una determinata persona e
ha lo scopo di illustrare e dimostrare, non di esortare o dissuadere (come l’oratoria deliberativa) o di
perorare la causa di qualcuno,compito dell’oratoria
giudiziaria.A partire da qui, dalla Grecia antica, ma
con lo sguardo volto all’idea di comunicazione proposta da Dewey, ritengo fondamentale rilanciare
in ambito moderno la retorica come insieme di
tecniche pratiche. Perché in fondo scrivere e comunicare sono una questione artigianale: si tratta,
semplicemente, di far bene le cose. Una scrittura
è felice se è fatta bene. Non si tratta di convincere,
quanto di condividere aperture di conoscenza.
D: Leggo dall’introduzione a Scrivere e comunicare: “Imparare a scrivere è come imparare
a costruire un mobile in legno. Se per costruire un mobile in legno occorre seguire degli
schemi, sapere qualcosa sul legno, sulle colle,
sugli incastri e così via, ma poi bisogna esercitarsi concretamente segando, piallando e
così via, anche per imparare a scrivere bene
occorre conoscere gli aspetti principali dello scrivere, ma bisogna soprattutto ideare,
stendere e rivedere i testi, e cioè apprendere
praticamente”. È un’idea di scrittura facile da
comprendere per chi lavora nell’editoria, ma
che ancora fatica ad affermarsi in molti ambienti educativi.
D: Riguardo alla possibilità di insegnare e
quindi di imparare la scrittura, lei ha scritto
che occorre “apprendere a scrivere in modo
che la comunicazione col lettore avvenga nel
migliore dei modi possibili e con il maggiore
successo informativo possibile”. Mi pare una
formula particolarmente efficace: qual è la
sua origine?
R: È un’idea che proviene dall’ambiente anglosassone, dove il concetto è in uso almeno a partire dal
1975. Si tratta del principio di cooperazione di Paul
Grice [“Forma il tuo contributo alla conversazione
così come lo richiedono, nel momento in cui essa
ha luogo, le finalità e la direzione accettate dalla
conversazione a cui partecipi”, NdR], il quale evidenzia che nella scrittura e prima ancora nella conversazione sono in gioco dei presupposti, cioè delle
conoscenze implicite sul mondo che i partecipanti
all’atto comunicativo debbono condividere. Lo
scrivente deve quindi coordinare i suoi sforzi informativi ai bisogni enciclopedici del destinatario.
D: È questo che intende quando nel suo libro
afferma che per scrivere bisogna essere dotati
di “un forte senso del destinatario”?
R: Avere un senso del destinatario è fondamentale.
È una specie di intuito. Ciò che bisogna rimarcare a
scuola più che in altri luoghi è che il pubblico non
è indifferenziato: il pubblico è mirato,non si scrive,
non si comunica allo stesso modo con tutti. Si comunica sempre tenendo presente un destinatario
privilegiato. È questo che determina il successo
della comunicazione. Essere chiari dipende da
come si pensa in relazione al pubblico: un conto
è scrivere per altri studenti, un altro è rivolgersi
a un pubblico di professionisti. Lo scrivente deve
dare una direzione alle informazioni, gli occorre
un’intuizione che gli consenta di raggiungere il
lettore, proprio quel lettore.
D: È possibile imparare a scrivere, dunque?
Come si può sviluppare il senso del destinatario e come si fa a diventare dei buoni artigiani della scrittura?
Approfondire
—
J
• D. Corno, La tastiera e il calamaio. Come
si scrive all’università, studi e ricerche, Mercurio, Vercelli 2010.
• D. Corno, Retorica in «Enciclopedia
dell’italiano», Treccani www.treccani.it
2011.
• D. Corno, Scrivere e comunicare. La scrittura in lingua italiana in teoria e in pratica,
Bruno Mondadori, Milano 2012.
R: Intanto, io faccio scrivere a mano, poi eventualmente gli studenti ricopiano al computer i loro
testi. Hanno bisogno di un grandissimo recupero
della manualità, quindi facciamo molti esercizi.
La scrittura a mano richiede una maggiore attenzione alla memoria rispetto alla scrittura al
computer, che è volatile. Anche se so che è una
battaglia persa, io insisto in questa direzione. Ho
visto proprio oggi un servizio giornalistico sull’uso esclusivo del tablet nelle scuole medie… ecco,
io ritengo che sia una grossa perdita. Non vorrei
sembrare un apocalittico, però effettivamente la
rinuncia alla tecnologia della scrittura manuale
va a vantaggio di nuove forme di interazione con i
media elettronici, ma anche a svantaggio di quella
che è la prima qualità dello scrivere a mano, cioè
l’astrazione, la capacità di pensare con se stessi nel
momento in cui si scrive. Non che manchi con le
nuove tecnologie, ma è un’altra cosa. I miei corsi
dimostrano che qualcosa si può ottenere proprio
grazie alla tecnologia a mano.
D: Un’ultima curiosità. Mi ha sempre colpito la grande importanza che lei attribuisce
all’uso della tabella nei suoi esercizi di scrittura.
R: Si tratta di un’attività che dà ottimi risultati. Ho
attinto a metodologie che erano ben presenti nelle
scuole americane di scrittura negli anni Venti
del secolo scorso, basate sulla logica dell’unire e
separare attraverso qualità specifiche (Aristotele
l’aveva visto con molta chiarezza). Questo lavoro
comporta grossi risultati dal punto di vista del
ragionamento, della logica. Questa in fondo è la
caratteristica che tiene insieme tutta la mia attività di ricerca: scrivere è comunicare, sì, ma è
soprattutto pensare.
Dario Corno
è stato docente di linguistica italiana presso
l’Università del Piemonte orientale, e attualmente
insegna Tecniche di comunicazione e scrittura presso
il Politencico di Torino. Si è occupato di teoria della
scrittura, di semiotica del testo e di retorica.
Simone Giusti
allievo di Domenico De Robertis, è docente e
consulente di politiche dell’istruzione, della
formazione e dell’orientamento ed esperto di didattica
della letteratura. Per Loescher condirige la collana
“QdR /Didattica e letteratura” e collabora a La ricerca
online. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Cambio
verso (Effequ, 2016).
9
Saperi / Chi scrive bene pensa bene e convive meglio
R: Nel mio lavoro di docente e autore di manuali di
didattica della scrittura insisto molto sull’articolazione in fasi del lavoro di scrittura. Scrivere fondamentalmente è progettare una comunicazione, e come
qualsiasi progetto è diviso in fasi. È un’idea antica,
che affonda le radici nella retorica classica (Cicerone,
Rhetorica ad Herennium). Le fasi sono al primo posto:
inventio, dispositio, elocutio, e poi la memoria e, nell’oratoria, la pronuntiatio. Sono ovviamente da reinventare,
ma rimane il fatto che mostrare l’oggetto testuale
come un oggetto costruito per fasi ha una grande
efficacia soprattutto nell’apprendimento. Nella mia
esperienza ormai decennale nei corsi di Tecniche di
comunicazione e di scrittura al Politecnico di Torino
ho sempre seguito questo approccio,ottenendo buoni
risultati. I miei corsi si rivolgono agli studenti del primo anno di tutti i corsi di laurea. Sono circa 350 ogni
anno quelli che scelgono di frequentare.In cinquanta
ore di corso non è possibile incidere su alcuni errori
di meccanica fine (uso della punteggiatura, degli accenti,degli apostrofi o difficoltà nell’ortografia – errori
insidiosi,che vengono appresi durante la prima giovinezza e sono difficilmente estirpabili), ma è visibile il
miglioramento di quello che ho chiamato il successo
informativo.
D: Come funziona il lavoro in aula?
Il paradosso della
semplificazione
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Il paradosso della semplificazione
10
È proprio inevitabile proporre sempre e comunque
testi disciplinari “difficili” per abituare alla
“complessità” delle conoscenze e della cultura?
Perché considerare ancora la semplificazione
come banalizzazione dei contenuti e mortificazione
degli studenti? E se scoprissimo che gli strumenti
e le tecniche che usiamo per i BES sono validi per tutti?
di Marco Guastavigna
D
a due anni ho l’incarico del
Laboratorio di Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione nei percorsi di
Specializzazione sul Sostegno
a Torino, per la scuola secondaria di secondo grado. In entrambi i corsi ho
presentato ai corsisti il software FacilTesto e molti
di loro lo hanno utilizzato nella realizzazione del
prodotto multimediale che costituisce uno dei
risultati professionali della loro formazione.
Nessun corsista – nonostante molti già operassero con persone in condizioni di disabilità
– lo aveva mai sentito nominare prima. Qualcuno
conosceva i principi basilari del “linguaggio piano1”, in particolare il suggerimento di inserire in
un proprio scritto soltanto le difficoltà davvero
necessarie. Nessuno, però, conosceva i “Protocolli
dei tre livelli di adattamento per i testi scolastici2”, che
riprendo qui di seguito:
Livello 1, adattamento a una
insufficiente competenza linguistica
—
• Il lessico è costituito prevalentemente (80-90%)
da parole appartenenti al repertorio fondamentale del Vocabolario di Base di De Mauro.
• Completo annullamento dell’espediente stilistico della variatio e dell’uso pleonastico di
aggettivi e avverbi.
• Le frasi contengono meno di 15 parole e sono organizzate sul versante sintattico da frasi
nucleari complete ampliate da modificatori e
avverbiali, frasi binucleari coordinate di azioni
congiuntive e disgiuntive.
• Esplicitazione costante del soggetto che svolge
l’azione.
• Assenza di forme passive.
• Mantenimento di livelli elevati di coesione e
di coerenza del testo, con conservazione dell’identità di referenza del testo, dell’ordine logico
e gerarchico delle sequenze, dell’aderenza alla
grammatica delle storie e dell’esplicitazione
dell’obiettivo e della motivazione del testo.
• Controllo dei riferimenti enciclopedici ed eliminazione dei processi inferenziali richiesti per la
comprensione del testo.
• La veste grafica prevede un corpo tipografico
sufficientemente grande, un numero di parole
per pagina compreso tra 80 e 150, paragrafi brevi
e pagine poco fitte.
• Il testo è accompagnato da immagini esplicative
analogiche colorate.
Livello 2, adattamento a una
mediocre competenza linguistica
—
• Il lessico è costituito prevalentemente (80-90%)
da parole appartenenti al repertorio fondamentale e al repertorio di alto uso del Vocabolario
di Base.
• Parziale annullamento dell’espediente stilistico
della variatio e dell’uso pleonastico di aggettivi
e avverbi.
• Le frasi contengono meno di 20 parole e sono organizzate sul versante sintattico da frasi
nucleari complete ampliate da modificatori e
avverbiali; frasi binucleari coordinate di azioni congiuntive e disgiuntive; frasi binucleari
subordinate causali e temporali (esplicite con
•
•
•
•
•
Livello 3, adattamento a una
quasi sufficiente competenza linguistica
—
• Il lessico è costituito prevalentemente (80-90%)
da parole appartenenti al repertorio fondamentale; di alto uso e di alta disponibilità del Vocabolario di Base; con l’introduzione di parole non
appartenenti al Vocabolario di Base.
• Presenza significativa dell’espediente stilistico
della variatio e dell’uso pleonastico di aggettivi
e avverbi.
• Le frasi contengono anche più di 20 parole e
sono organizzate sul versante sintattico dall’introduzione delle frasi subordinate consecutive;
ipotetiche; concessive; avversative; comparative; modali; aggiuntive; esclusive; eccettuative
e limitative.
• Prevalente tendenza a rendere implicito il soggetto che svolge l’azione.
• Presenza costante di forme passive.
• Mantenimento di livelli incostanti di coesione
e di coerenza del testo.
• Controllo dei riferimenti enciclopedici e richiesta all’alunno di eseguire frequenti processi
inferenziali necessari per la comprensione del
testo.
• La veste grafica prevede un corpo tipografico
definito dal testo originale e un numero di parole
per pagina compreso tra 200 e 250.
• Il testo può non essere accompagnato da immagini.
Nati per compensare le difficoltà degli alunni sordi,
i tre protocolli sono stati empiricamente utilizzati
in diverse situazioni per adattare parti di libri di
testo “ordinari”, ma anche come criteri di scrittura
controllata, ovvero per la produzione di testi costru-
iti innanzitutto per essere comprensibili. Molti dei
miei corsisti si sono cimentati con l’una e l’altra
possibilità e l’opportunità, inizialmente velata di
tecnocrazia – qualcuno addirittura immaginava
che il programma fosse in grado di automatizzare
l’operazione di adattamento, quando invece esso
fornisce una serie di statistiche quantitative e
propone i protocolli come check list di riferimento –, è stata poi considerata molto significativa e
davvero arricchente sul piano didattico e, prima
ancora, cognitivo.
Tutti gli aspiranti insegnanti dei due corsi hanno infatti tirato la medesima conclusione: semplificare un testo già esistente è molto complesso così
come scriverne uno nuovo “controllato”. Perché
agire intenzionalmente e costantemente sul testo
e con il testo per farsi capire è un modo di procedere
che porta alla luce «quanto a scuola tutti diamo
troppo spesso per scontato nello scrivere e nel (far)
leggere», come ha sintetizzato in modo quanto mai
efficace una corsista presentando il proprio lavoro.
L’idea di fondo dell’adattamento protocollare
dei testi e della scrittura controllata è fortemente
inclusiva sul piano della cittadinanza culturale,
perché ipotizza che con opportuni accorgimenti
possano diventare più accessibili nozioni, matrici
concettuali e altri contenuti dai quali siano state
rimosse le complicazioni linguistico-cognitive
inutili.
Siamo lontani dall’aver dimostrato che si tratti
di una sfida che è possibile vincere. Ma certo è una
prospettiva più stimolante e democratica di quella
che assumono i molti colleghi che pensano che
sia inevitabile proporre sempre e comunque agli
studenti testi disciplinari “difficili”, per allenarli
e abituarli alla “complessità” delle conoscenze
e della cultura. E che vivono la semplificazione
come banalizzazione dei contenuti e mortificazione degli studenti. Che hanno una visione quasi
deterministica della scrittura e non si pongono
minimamente il problema del fatto che il variare
delle relative intenzioni, tecniche e strategie può
determinare condizioni anche molto diverse di
richiesta, attivazione e sostegno della comprensione. E quindi dell’apprendimento.
NOTE
1. Cfr. http://www.unibz.it/it/education/welcome/pages/LinguaggioPiano.aspx.
2. Cfr. M. T. Tiraboschi (a cura di) La cornacchia ladra. Guida
per gli insegnanti al testo di facile lettura, Tecnodid, Napoli
1994.
Marco Guastavigna
formatore, è stato insegnante nella scuola secondaria
di secondo grado. Tiene traccia della sua attività
intellettuale in www.noiosito.it.
11
Saperi / Il paradosso della semplificazione
•
verbo di modo finito) e finali (implicite con verbo
di modo indefinito).
Esplicitazione incostante del soggetto che svolge l’azione.
Introduzione di forme passive.
Mantenimento di livelli medi di coesione e di
coerenza del testo; conservando in modo parziale l’identità di referenza del testo; l’ordine
logico e gerarchico delle sequenze; l’aderenza
alla grammatica delle storie e l’esplicitazione
dell’obiettivo e della motivazione del testo.
Controllo dei riferimenti enciclopedici e riduzione dei processi inferenziali richiesti per la
comprensione del testo.
La veste grafica prevede un corpo tipografico
di moderata dimensione; un numero di parole
per pagina compreso tra 150 e 200; paragrafi di
moderata lunghezza e pagine più ricche di testo
rispetto al livello 1 (Iniziale).
Il testo può essere accompagnato da immagini
più schematiche anche in bianco e nero.
Saperi / Direttiva sulla semplificazione dei testi amministrativi
12
Direttiva sulla
semplificazione
del linguaggio dei
testi amministrativi
Nel giugno 2002 il Ministro della Funzione
pubblica, Franco Frattini, emana una circolare
inviata a tutte le Pubbliche Amministrazioni:
l’elaborazione del progetto “CHIARO” per la
semplificazione del linguaggio amministrativo.
Riportiamo di seguito un estratto della direttiva
ministeriale contenente un decalogo per la
redazione di stesti scritti, allo scopo di migliorare
la comunicazione ai cittadini.
Scrivere frasi brevi
—
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Le ricerche dicono che frasi con più di 25 parole
sono difficili da capire e ricordare. Ogni frase deve comunicare una sola informazione. È sempre
preferibile dividere la frase lunga, aumentando
dunque l’uso della punteggiatura.
Testo originale
Qualora dal controllo dovesse emergere la non
veridicità del contenuto della dichiarazione,
il dichiarante decade dai benefici conseguiti
sulla base della dichiarazione non veritiera,
fermo restando quanto previsto dall’art 26
della legge 4 gennaio 1968, n 15, in materia di
sanzioni penali
Testo riscritto
Chi rilascia una dichiarazione falsa, anche
in parte, perde i benefici descritti e subisce
sanzioni penali. Art. 26, legge n. 15 del 4 gennaio 1968.
Usare parole del
linguaggio comune
—
Rispetto alle parole di un dizionario, quelle che
usiamo di solito sono in numero molto contenuto.
Il vocabolario di base della lingua italiana contiene
meno di 7000 parole e sono quelle che dobbiamo
preferire se vogliamo essere capiti da chi legge.
Testo originale
L’ufficio trattamento economico in indirizzo,
cesserà la corresponsione degli emolumenti
a decorrere dal 1° maggio 2001
Testo riscritto
Dal 1° maggio 2001 il nostro ufficio sospenderà i pagamenti.
Usare pochi termini
tecnici e spiegarli
—
Contrariamente a quanto si crede, in un “testo di
13
Testo originale
Tali posizioni sono da identificare non tanto
in diritti irrefragabili, il cui esercizio prescinde dall’adozione di atti permissivi dell’amministrazione, ma in situazioni giuridiche
suscettibili di trasformazione a seguito di atti
di tipo suindicato.
Testo riscritto
I cittadini che vogliono iniziare un’attività
devono chiedere un’autorizzazione alle amministrazioni competenti.
Usare poco
abbreviazioni e sigle
—
È bene evitare abbreviazioni e sigle: spesso
sono ovvie per chi scrive, ma non sono capite
da chi legge. Se le usiamo, è bene che la prima
volta che compaiono siano sciolte e scritte per
esteso. Fanno eccezione abbreviazioni e sigle
d’uso consolidato e molto note (per esempio:
Fiat, Cgil, Istat).
Testo originale
Le SS.LL. sono pregate di indicare al responsabile dell’U.R.P.A. i membri della commissione
preposta al rilascio del patentino
Testo riscritto
Vi chiediamo di indicare al responsabile
dell’ufficio regionale per le politiche agricole
(Urpa) i membri della commissione per il
rilascio del patentino.
Usare verbi nella forma
attiva e affermativa
—
È buona regola costruire il periodo usando prevalentemente frasi attive. Il testo con il verbo attivo
e in forma affermativa è più incisivo, le frasi sono
più brevi, la lettura più rapida.
Testo originale
Non volendo disconoscere a codesto ufficio il
diritto di non ingerenza, viene tuttavia fatta
richiesta che siano comunicati gli esiti della
commissione
↑
Italo Calvino,
fotografia di G.
Giansanti, 1984,
© Contrasto.
Saperi / Direttiva sulla semplificazione dei testi amministrativi
servizio” (un testo che informa o fornisce istruzioni) il numero di termini tecnici indispensabili
è normalmente molto basso. In media, in un testo
amministrativo le parole tecniche sono meno di
cinque su cento.È bene usare solo quelle veramente
necessarie e, quando possibile, spiegarne il significato in una nota oppure con un piccolo glossario.
Testo riscritto
Vi chiediamo di comunicarci i risultati dei
lavori della commissione.
Legare le parole e le frasi
in modo breve e chiaro
—
Costruire il testo in modo semplice e compatto
significa anzitutto rendere esplicito il soggetto e
ripeterlo quando è necessario. È opportuno evitare
le sequenze di parole che non hanno un verbo in
forma esplicita.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Direttiva sulla semplificazione dei testi amministrativi
14
Testo originale
... stanti le urgenti ed indifferibili esigenze
di personale in grado di garantire adeguata
e qualificata attività di assistenza tecnica
ai lavori ed agli interventi programmati dal
settore dipartimentale 8 ...¢
Testo riscritto
poiché il dipartimento 8 ha urgente bisogno
di personale qualificato per svolgere i lavori e
gli interventi programmati ...
Usare in maniera coerente le maiuscole,
le minuscole e la punteggiatura
—
Le maiuscole sono mezzi ortografici che hanno lo
scopo di segnalare l’inizio di un periodo e i nomi
propri. I testi amministrativi affidano spesso alle
maiuscole contenuti stilistici di rispetto, di gerarchia, di enfasi. Questi usi sono retaggio di una
cultura retorica, appesantiscono lo stile e il tono
della comunicazione: essi devono essere eliminati o ridotti quanto più è possibile. La punteggiatura, per contro, suddivide il testo in unità di senso.
Essa non solo guida l’occhio e la voce, ma articola
il contenuto logico di quanto è scritto. Una buona
punteggiatura obbliga a togliere ambiguità al testo
e a collegare in modo corretto i contenuti.
Testo originale
L’emergere di nuove modalità d’interazione
anche nel settore pubblico che coinvolgono
istituzioni di diversa natura hanno inevitabilmente posto quesiti intorno alle configurazioni sia dei processi di decision making
politico sia nelle configurazioni delle amministrazioni pubbliche e responsabili dell’offerta di servizi pubblici.
Testo riscritto
Anche nel settore pubblico emergono nuovi
rapporti con istituzioni di diversa natura.
Questo fenomeno pone due ordini di problemi. In primo luogo, dobbiamo ridefinire
le procedure di decisioni delle istituzioni
politiche. In secondo luogo, dobbiamo ridefinire le responsabilità delle amministrazioni
pubbliche nella gestione dei servizi.
Evitare neologismi,
parole straniere e latinismi
—
Non si deve essere ostili, a priori, ai neologismi.
Ma è consigliabile usarli solo se sono effettivamente insostituibili e non usarli se sono
effimeri fenomeni di moda. Analogamente,
le parole straniere e i latinismi vanno evitati
ove sia in uso l’equivalente termine in lingua
italiana. È ormai frequente il ricorso a termini
tecnici propri della società dell’informazione
e dell’elettronica: da evitare se ve ne siano di
equivalenti nella lingua italiana.
Testi originali
1.Tale servizio,come è noto,dovrà essere esternalizzato.
2. Bisogna porre particolare attenzione alla
policy implementation
3. Le agevolazioni saranno concesse anche ai
conviventi more uxorio.
Testi riscritti
1. La gestione di questo servizio sarà affidata
a un soggetto esterno.
2. Bisogna curare con attenzione le fasi di
attuazione delle politiche.
3. Le agevolazioni saranno concesse anche
alle coppie conviventi.
Uso del congiuntivo
—
Il testo scritto richiede il rispetto del congiuntivo.
Dove il contesto lo permette, è opportuno però
sostituire il congiuntivo con l’indicativo o con
l’infinito. L’indicativo rende il testo più diretto e
evita informazioni implicite o ambigue.
Testo originale
Ove la commissione potesse riunirsi per tempo, le delibere sarebbero ancora valide
Testo riscritto
Se la commissione si riunirà per tempo, le
delibere saranno ancora valide.
Usare in maniera corretta le possibilità
di composizione grafica del testo
—
I sistemi di video scrittura mettono a disposizione
di chi scrive enormi possibilità di scelte grafiche e
tipografiche. Neretti, sottolineature, corsivi, caratteri, grandezza del corpo, elenchi sono solo alcuni
esempi di tali possibilità e possono aiutare a focalizzare l’attenzione. È bene tuttavia non abusarne e
utilizzarli con parsimonia. Il testo sobrio è sempre
visivamente leggibile e coerente.
Testo originale
Si comunica che NULLA OSTA per questo
Comando alla sottodescritta ISTALLAZIONE
PRECARIA di materiale pubblicitario, alle
condizioni retroindicate.
Testo riscritto
Il comando comunica che il materiale pubblicitario descritto può essere temporaneamente installato. L’installazione deve rispettare le
condizioni seguenti:
a.
b.
c.
Un esempio
—
Il caso che presentiamo è un esempio di semplificazione di un testo usato da un’amministrazione.
Lo riportiamo per mostrare i passi da compiere per
scrivere o riscrivere un testo basandosi sulle regole
appena indicate.
15
Saperi / Direttiva sulla semplificazione dei testi amministrativi
Testo originale.
Di quanto sopra, io Segretario rogante ho
ricevuto il presente atto, scritto con mezzi
meccanici da persona di mia fiducia e parte
a mano da me personalmente su 4 fogli dei
quali occupa i primi 3 per intero e fino qui
del contratto, atto che viene da me letto alle
parti i quali, avendolo riscontrato pienamente conforme alla loro volontà, dichiarano di
accettarlo e, pertanto, assieme a me lo sottoscriviamo come appresso, unitamente agli
allegati di cui viene omessa la lettura avendo
le parti medesime dichiarato di averne preso
conoscenza.
Caratteristiche del testo originale:
• numero parole: 90;
• numero frasi: 1;
• numero tecnicismi: 2 (segretario rogante, parte)
cioè circa il 2% del testo di servizio.
Analisi del testo originale:
• sequenza di parole senza un verbo in forma
esplicita: “scritto con mezzi meccanici da persona di mia fiducia e parte a mano da me personalmente su 4 fogli”;
• soggetti cancellati, cioè sostituiti da locuzioni
avverbiali: “di quanto sopra; dei quali occupa;
di cui viene omessa”; concordanze errate: “alle
parti, i quali”;
• forme stereotipate al posto del linguaggio comune: mezzo meccanico invece di macchina
da scrivere; come appresso invece di di seguito;
• unitamente invece di insieme;
• falsi tecnicismi: omettere invece di non leggere; sottoscrivere invece di firmare; prendere
conoscenza invece di conoscere; assenza del
capoverso,
• assenza del punto fermo, punteggiatura iterata;
maiuscole di reverenza (Segretario).
Testo riscritto
Il contratto occupa 4 pagine ed è stato compilato,nelle parti scritte a mano,dal sottoscritto,
Eugenio Verdi. I signori Mario Rossi e Luca
Neri lo hanno letto e dichiarano di accettarlo,
avendolo riscontrato pienamente conforme
alla loro volontà. I documenti allegati non
sono stati letti, perché i signori Rossi e Neri
affermano di conoscerli.
Sia il contratto, sia i documenti allegati vengono firmati dal sottoscritto, da Mario Rossi
e da Luca Neri.
Caratteristiche del testo riscritto:
• Numero parole: 73;
• Numero frasi: 4.
Roma, 8 maggio 2002
Il Ministro: Frattini
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 141 del 18 giugno 2002.
↑
Elsa Morante.
Dieci tesi per l’educazione
linguistica democratica
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica
16
Nel corso del 2015 sono stati variamente ricordati i 40 anni
dalle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica,
un testo pubblicato nel 1975 che ha sicuramente determinato
l’impostazione culturale e le scelte educative di molti (o pochi?)
insegnanti di italiano laureati tra la fine degli anni Sessanta
e la fine degli anni Settanta del secolo scorso.
di Mario Ambel
N
el corso del 2015 sono stati variamente ricordarti i 40 anni
dalle Dieci tesi per l’educazione
linguistica democratica, un testo
pubblicato nel 1975 che ha sicuramente determinato l’impostazione culturale e le scelte educative di molti
(o pochi?) insegnanti di italiano laureati tra la fine
degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta del
secolo scorso. Erano (eravamo) giovani aspiranti
docenti che si affacciavano all’insegnamento in
condizioni assai complesse e tumultuose, caratterizzate da una forte espansione della scolarizzazione di massa e da un conseguente precariato
di entità abnorme, di cui facevano parte1. È giusto
ricordare il contesto in cui nacquero le Dieci tesi
perché la loro forte caratterizzazione “democratica”, marcata da quell’attributo che si richiamava
esplicitamente al mandato dell’art. 3 della Costituzione, testimonia come quell’auspicato rinnovamento educativo avesse solide ragioni sociali
e politiche. Ma nello stesso tempo, oggi, a 40 anni
di distanza, quella caratterizzazione impone di
interrogarsi sull’effettivo impatto avuto da quel
documento, e su quanto davvero sia cambiata e in
che direzione la didattica dell’italiano, per garantire quei principi che abbiamo indicato nel titolo
di questa riflessione e che certamente erano fra le
finalità strategiche di quel documento e del movimento che le sosteneva: comprensione, insegnabilità,
inclusione. Erano queste le risposte che il Paese, alla
fine del decennio della crescita economica e della
forte migrazione interna,doveva dare agli squilibri
socioculturali e alle sacche di emarginazione culturale e alfabetica che ancora lo caratterizzavano.
Per questi motivi, l’attuale quarantennale ha rappresentato, o avrebbe dovuto ancor più marcatamente rappresentare, l’occasione di un bilancio
storico, forse con una declinazione generazionale,
anche perché, sia detto più o meno per inciso, la
generazione protagonista della lettura e dell’applicazione di quelle Tesi era quella che aveva avuto
vent’anni attorno al 1968 e che da qualche anno sta
progressivamente uscendo dalla scuola2. Questo
bilancio avrebbe dovuto dirci se e quanto dello
spirito e delle pratiche di quel documento e dei
profondi cambiamenti che suggeriva siano stati
recepiti dalla scuola e quanto abbiano effettivamente contribuito a rinnovare le pratiche didattiche nel “campo dell’educazione linguistica”, non
solo per rispondere alle domande del passato, ma
soprattutto per misurare la capacità di rispondere
a quelle del presente. Vediamo dunque, per sommi
capi, l’esito di quelle finalità strategiche.
Comprensione e partecipazione
alla vita attiva
—
Il problema dell’effettiva comprensione dei testi
e più in generale delle molteplici forme di comunicazione contemporanea, come garanzia di
partecipazione attiva alla vita democratica (uno
degli assunti cardine della denuncia-progetto che
Don Milani pose alla base di Lettera a una professoressa e che è certamente presente nelle Dieci tesi)
si ricollega da un lato alla capacità della scuola
di garantire adeguate competenze linguistiche,
e dall’altro all’effettiva possibilità di fronteggiare
l’evoluzione delle forme e degli strumenti della
comunicazione di massa.
Sappiamo da riscontri diversi che lo stato di salute
delle competenze linguistiche e culturali nel nostro Paese, a quasi tutte le età, fatta forse eccezione
dei “lettori” più piccoli, è assai insoddisfacente.
È lo stesso riconosciuto “padre” dell’educazione
linguistica democratica, Tullio De Mauro, che ci
ricorda sia i progressi compiuti,che i ritardi ancora
da fronteggiare3.
È come se, man mano che la scuola tenta di
incrementare le competenze linguistiche della
popolazione, l’asticella dell’obiettivo da raggiungere venisse spostata sempre più in alto. Le caratteristiche della comunicazione contemporanea,
in termini di pluralità e complessità dei contenuti
e delle forme testuali veicolate da una infinità di
media tra loro diversi, pongono l’intera comunità
scolastica di fronte a compiti cui essa fatica certamente a adeguarsi. E intanto, la comunicazione
contemporanea appare caratterizzata da mutamenti che certo non vanno nella direzione di una
maggior gestibilità generalizzata dei messaggi, la
cui comprensibilità è spesso molto più apparente
che sostanziale.
17
Saperi / Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica
Insegnabilità e
resistenza al cambiamento
—
Di conseguenza, il problema dell’insegnabilità “democratica” della lingua impone, ancora una volta,
una duplice riflessione su quale lingua – anzi quali
linguaggi4 – sia oggi necessario insegnare e su come
sia possibile farlo in modo coerente e adeguato ai
tempi. Da questo punto di vista si ha la sensazione che alcuni dei presupposti e delle indicazioni
delle Dieci tesi vadano riadattati al nostro tempo,
ma sostanzialmente ribaditi. Li si potrebbe riassumere in quell’attenzione alle varietà linguistiche,
al plurilinguismo e alla trasversalità della lingua
che stava fra i capisaldi del messaggio delle Dieci
tesi, ma che è stata anche una fra le istanze più
disattese5. L’insegnamento della lingua, in questi
decenni, non solo non si è interrogato a sufficienza
sulle trasformazioni in atto nella lingua italiana,
inevitabilmente cambiata in seguito ai fenomeni
sociali e culturali che hanno caratterizzato la fine
del secolo scorso e l’inizio di questo, ma soprattutto
ha finito col confermare modalità tradizionali e
spesso perdenti di (non) “fare italiano”, per usare
il bel titolo di un’antica proposta editoriale di Raffaele Simone.
In una recente indagine della rivista «insegnare», svolta per misurare l’incidenza avuta dalle
“Dieci tesi” sull’insegnamento dell’italiano, una
delle domande chiedeva di dichiarare quanto si
ritenessero oggi diffuse alcune pratiche didattiche6. La risposta è stata impressionante: tutte le
prospettive e le pratiche didattiche che le Dieci
tesi individuavano come auspicabili sono quelle
a tutt’oggi (e forse più di ieri) meno frequentate
dalla scuola (per esempio il coinvolgimento di
tutte le discipline nell’insegnamento linguistico
o l’attenzione didattica al parlato e all’ascolto), al
contrario sono ancora e sempre più diffuse tutte
le pratiche che le Dieci tesi consideravano deleterie
(per esempio l’insegnamento normativo e trasmissivo della grammatica o la riduzione della scrittura
alle sole pratiche del tema, riassunto e commento).
Inclusione e debolezza
politica e culturale
—
Fortemente connessa alle prospettive dell’inclusione e del riscatto (di tutti e di ciascuno a partire
dal rispetto e dalla valorizzazione del loro retro-
↑
Vladimir Nabokov
a caccia di
farfalle, 1970.
terra linguistico e culturale) sta ovviamente la
modalità della scuola di rispondere alle vecchie e
nuove diseguaglianze che in essa convivono e la
attraversano, accentuando le resistenze selettive e
discriminatorie o al contrario esaltando la capacità
di prendersi cura dei disagi
che quelle disuguaglianze
La scuola continua a
producono. Il lavoro che la
trascurare la relazione
scuola compie in questa
educativa, ovvero la
direzione continua a essere strenuo ed encomiabile,
necessità di prendersi
soprattutto nei luoghi “di
cura culturale e umana
frontiera”. Ma ancor oggi –
degli allievi.
forse più che nel 1975 – la
scuola non può fronteggiare
le disuguaglianze sociali fuori da un’azione coerente dell’intero contesto culturale, mediatico e
politico, mentre, in realtà, spesso deve farlo nonostante o contro il contesto entro cui agisce.
In questi mesi abbiamo anche ricordato che le
Dieci tesi non si rivolgevano solo alla scuola, ma
erano una sorta di appello “al mondo della cultura, all’Università, alle classi dirigenti, alle forze
politiche e sociali”. Pertanto è a questo insieme di
soggetti e di responsabilità che ci si deve rivolgere
nel momento in cui constatiamo con amarezza
che non tutto è andato come ci si sarebbe aspettati o quando verifichiamo quanto ancora oggi sia
arduo dar corpo e continuità a quei principi7. La
stessa editoria scolastica dovrebbe interrogarsi
su quanto, in questi 40 anni, abbia orientato la didattica dell’italiano su strade più o meno vicine al
dettato delle Dieci tesi oppure se, esaurita la spinta
propulsiva degli anni Ottanta, non abbia preferito
ripiegare su soluzioni più accomodanti.
“
„
Saperi / Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica
18
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
La mancata risposta alle nuove sfide
—
Oggi, la possibilità di perseguire la comprensione,
l’insegnabilità e l’inclusione appare del resto assai più
complessa di allora, per l’insorgere di una serie di
fenomeni noti e dei quali si discute ampiamente
ma senza giungere a qualche concreta assunzione
di responsabilità strategica.
Si ha la sensazione, anzi, che a fronte delle nuove
sfide determinate dall’incremento dell’eterogeneità delle classi conseguente ai flussi migratori, ai
vecchi e nuovi disagi che disoccupazione e nuove povertà determinano, all’incremento caotico
dei consumi tecnologici e a una trasformazione
dei media di massa troppo spesso più subita che
analizzata, la scuola reagisca con pericolosi ripiegamenti difensivi su territori tradizionali, consolatori e solo apparentemente adatti a fronteggiarle.
In campo linguistico, la nostalgia per la grammatica tradizionale e la sempiterna “analisi logica”, così come per dettati e riassunti acriticamente
riproposti, il ritorno massiccio della storia della
letteratura, i “classici” di nuovo branditi come
campioni di identità spesso velleitarie, i libelli di
addestramento alle prove Invalsi, sono segnali di
un riposizionamento del tutto antitetico agli insegnamenti delle Dieci tesi, che vengono riproposti
come reconquista della serietà perduta, come argine
e antidoto alle nuove barbarie, siano esse etniche,
culturali o pseudo tecnologiche.
Si parla e si discute di migranti e di integrazione linguistica e si fanno passi avanti indubitabili
nella ricerca e nella didattica dell’italiano come
L2, si ragiona o per lo più si alimentano gare e
progetti attorno alle innovazioni tecnologiche,
s’immaginano alternative metodologiche capaci
di fronteggiare la crisi strutturale della scuola, ma
la sensazione resta quella di risposte episodiche,
spesso governate più dagli interessi di parte o
parziali dei promotori della riflessione che dall’esigenza di rispondere ai nuovi bisogni educativi.
Parallelamente si ragiona anche molto di nuove
disabilità, universo che coinvolge fortemente le visioni di scuola e di società e che chiama a un’effettiva riconsiderazione delle reali capacità inclusive
della scuola a fronte di tutte le variegate “diversità”
che la attraversano, nei cui confronti è necessario
adottare “soluzioni adeguate perché non diventino
disuguaglianze”,come recita una delle frasi meglio
concepite delle “Indicazione per la scuola di base”.
Sembra però mancare uno sguardo d’insieme, una
capacità progettuale che ridia alla scuola motivazioni, condizioni e strumenti per fronteggiare
queste nuove sfide.
Lingua e realtà, oggi
—
Altre sollecitazioni che in questi anni si sarebbero
dovute maggiormente cogliere vanno ripensate e
tradotte in efficaci pratiche educative. La scuola
continua a trascurare la relazione educativa, ovvero la necessità di prendersi cura culturale e umana
degli allievi, e continua a sottovalutare il ruolo dei
contesti esterni nelle dinamiche di apprendimento. Nei confronti della “realtà” – quella realtà così
fortemente evocata nelle Dieci tesi come orizzonte
permanente di confronto – la scuola continua a
oscillare fra due estremi altrettanto infruttuosi:
da un lato tende a ignorare il mondo esterno, a
opporvi uno spesso sterile primato di una conoscenza fine a se stessa e a esaltare la qualità intangibile dei saperi disinteressati; dall’altro si piega a
esaltare la funzionalità dell’educazione al mondo
esterno, all’occupabilità, rincorrendo simulazioni
o emulazioni della realtà che spesso finiscono col
rendere il percorso scolastico un segmento di vita
eccessivamente adattivo nei confronti di un futuro
per altro in buona misura inconoscibile.
Ma la cultura – e con essa la scuola,se vuole mantenere, per tutti e non solo per i liceali un’impronta
culturale – non esiste solo per preparare, addestrare, allenare alla realtà: la cultura e la scuola hanno
NOTE
1. «Il precariato all’inizio degli anni Settanta era più numeroso: era quasi la metà del personale allora in servizio,
il che vuol dire che si aggirava permanentemente intorno al mezzo milione di unità. […] La crescita della scolarizzazione tra il 1960 ed il 1975 era stata così impetuosa da
mandare in “tilt” non solo la macchina amministrativa
della scuola italiana insieme agli equilibri sociali, ma
anche il tradizionale sistema di reclutamento basato sul
concorso», da Giuseppe Patroncini, Il lavoro di supplente,
Valore scuola, Roma 2000.
2. In occasione di questa ricorrenza quarantennale,
qualcosa si è fatto. In particolare Giscel e Cidi, le sigle
che storicamente hanno dato paternità al documento e
che da allora, insieme al Lend, ne curano la memoria e la
diffusione, hanno realizzato convegni e riflessioni pubbliche.Al Giscel,inoltre,il sito dell’Enciclopedia Treccani
ha affidato uno speciale dal titolo Quarant’anni dopo, le
Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica, consultabile all’indirizzo www.treccani.it/lingua_italiana/
speciali/tesi/mainSpeciale.html. Vi si possono leggere
interessanti contributi di alcuni fra i più attivi testimoni
di questa stagione.«insegnare»,rivista del Cidi,ha aperto
uno spazio dedicato all’Educazione linguistica democratica, www.insegnareonline.com/orizzonti/educazione-linguistica-democratica/bacheca, che resterà attivo
anche esaurita la fase commemorativa.
3. L’ultima occasione in ordine di tempo è stato per
De Mauro l’intervento al Convegno nazionale del Cidi,
Napoli, il 20 febbraio 2016, dove ha ricordato che «Ciò
che è devastante (e che si ritorce contro la cultura dei
giovanissimi) è l’incultura della popolazione: il 70% degli individui tra i 16 e i 65 anni ha difficoltà a capire un
grafico, un articolo di giornale, e questi dati provengono
dall’inchiesta “All”, un progetto di ricerca internazionale che tra il 2003 e il 2005 ha sondato in sette Paesi le
competenze degli adulti»; cfr. “Una sfida ancora aperta”,
report a cura di R. Angelelli, G. Calì, A. Gueli, in «insegnare» online, disponibile qui: www.insegnareonline.com/
rivista/oltre-lavagna/sfida-aperta.
4. La distinzione fra lingua e linguaggio fu una delle pietre miliari di quella stagione,a partire appunto dal saggio
di R. Simone, “L’educazione linguistica dalla lingua al
linguaggio”, in R. Simone, a cura di, L’educazione linguistica, La Nuova Italia, Firenze 1979 (1976, nella precedente
edizione su «Scuola e città»).
5. Sul ruolo e la vitalità di questi concetti, dalle Dieci tesi
a oggi, si vedano, nel citato speciale dell’Enciclopedia
Treccani, i contributi in particolare di Alberto Sobrero,
Rosa Calò e Cristina Lavinio.
6. L’indagine, che aveva lo scopo di interrogarsi su quanto la scuola abbia davvero recepito l’indirizzo sociale,
epistemologico e didattico di quel documento, è stata
svolta presso cento insegnanti “informati dei fatti”,
ovvero docenti che in questi anni avessero partecipato
a iniziative di ricerca e formazione nel campo dell’educazione linguistica.
7. Scrive Adriano Colombo nel citato speciale per l’Enciclopedia Treccani: «Quando ci chiediamo, preoccupati e
un po’ delusi, perché l’incidenza delle Tesi sulla pratica
didattica sia stata così limitata, non dobbiamo pensare
in primo luogo alla sordità del corpo insegnante, ma
chiederci che cosa abbia fatto l’Università per la loro
formazione, che cosa abbia fatto il Ministero dell’Istruzione,dove siano i “centri locali e regionali di formazione
e informazione linguistica e educativa” che dovevano
sostenere il cambiamento richiesto, quale sia stata la
consapevolezza della questione linguistica nella politica, sulla stampa, nell’editoria».
Mario Ambel
per anni docente di italiano nella “scuola media”;
esperto di educazione linguistica e progettazione
curricolare, direttore di «insegnare», rivista
on line del CIDI.
19
Saperi / Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica
il compito di osservare la realtà, studiarla, interpretarla, preparare a viverla, ma anche sottoporla
a critica, immaginarne una diversa, contribuire a
cambiarla, possibilmente in meglio.
E la funzione del controllo personale dei linguaggi,come già sostenevano le Dieci tesi,in questo
è determinante: di tutti i linguaggi, nessuno escluso,applicati a qualsiasi universo di sapere e di agire,
con qualsiasi “medium” siano veicolati – purché
sia affrontata seriamente la dialettica fra la capacità di usare i media per adattarli alle nostre esigenze
e gli interessi di alcuni di forgiare i bisogni umani
adattandoli ai media che noi stessi abbiamo prodotto. A scuola, per gli allievi, a partire dai più piccoli,
questa esigenza di chiarezza e di coerenti scelte
strategiche è ormai divenuta improcrastinabile.
Per questo avremmo forse dovuto utilizzare meglio le recenti ricorrenze, prima della scuola media
unica e poi delle Dieci Tesi, per chiederci che cosa in
questi anni è cambiato davvero e che cosa si poteva
fare di più e meglio.Tanto più che oggi abbiamo altri
e ancor più consistenti problemi da fronteggiare.
Forse, invece di approvare leggi che fomentano
nella scuola un’inopportuna quanto deleteria
meritocrazia individuale (già nociva in tempi di
espansione, figuriamoci in tempi di crisi polivalenti), sarebbe necessario avviare una consistente
azione di ricerca e di intervento che coinvolga
scuola, università e editoria nell’individuazione
delle strategie più adeguate per affrontare, oggi,
un contesto educativo per certi versi assai più
variegato e complesso di quello che caratterizzò
il decennio fra l’approvazione della scuola media
unica (1962-63) e l’approvazione dei “Decreti delegati” del 1974 o, se si vuole, delle Dieci Tesi (1975) e
dei “Nuovi programmi per la scuola media” (1979).
Sarebbe spiacevole se fra altri quarant’anni una
generazione che ha vissuto e vive i suoi vent’anni
ora, tra crisi occupazionale, involuzione mediatica,
espansione tecnologica e forti tensioni migratorie,
dovesse registrare un’altra occasione perduta.
saperi
“Semplificare” sì, ma quanto e come?
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Fabbricare il nemico: una “storia unica” a scuola?
20
Nella variegata casistica degli aforismi sulla scrittura, non mancano certo gli inviti alla chiarezza e
alla semplicità. Sono noti quelli di Galileo Galilei:
“Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro
pochissimi” o di Francesco De Sanctis: “La semplicità è la forma della vera grandezza”.
Ma che cosa significa “semplificare” il linguaggio? E fino a che punto è possibile farlo senza banalizzare o mistificare un contenuto complesso?
Mi ha colpito, tempo fa, riascoltare una dichiarazione di don Lorenzo Milani, di cui spesso si ricorda
la strenua difesa della necessità di conquistare
il diritto alla parola per essere appieno cittadini,
anzi egli diceva “sovrani” (nel senso che si ricava
dall’art.1 della Costituzione).
Queste le sue parole: «In statistica si usa chiamare
analfabeta chi non ha fatto la terza, semianalfabeti quelli
che hanno fatto la terza e alfabeti quelli che hanno fatto
la quinta. Ma queste sono distinzioni statistiche con pochissimo fondamento nel reale perché io non considero che
uno che sa leggere la Gazzetta [Sportiva] sappia leggere.
La Gazzetta ha un suo vocabolario fatto di non più di 200
vocaboli e uno può con una certa facilità arrivare a leggere
la Gazzetta dello sport e capire fino agli ultimi particolari,
ma saper leggere la Gazzetta non significa saper leggere.
Saper leggere significa, a dir poco, intendere il giornale
dalla prima all’ultima pagina. Oppure, a dir poco poco,
intendo la prima pagina del giornale. E non chiamerei
cittadino a pieno diritto, cittadino sovrano chi non fosse
in condizioni di intendere davvero la prima pagina del
giornale oppure il livello di Tribuna politica o il livello di
un comizio».
Quest’affermazione di Don Milani è di estrema
importanza poiché, in netto anticipo sui tempi,
misura l’essere alfabeti non dalla classe frequentata ma dall’effettiva capacità di comprendere
testi complessi e rilevanti sul piano democratico.
Per questo non si accontentava che i suoi ragazzi
sapessero leggere la pagina sportiva!
Le sue considerazioni rimandano a un tema assai
dibattuto: la comprensibilità del linguaggio pubblico, in particolare politico, che consenta davvero
la partecipazione di tutti i cittadini,e il dovere costituzionale della scuola di fornire a tutti gli strumenti
che garantiscano l’accesso a quei testi.
Nello stesso tempo egli lavorò strenuamente
perché il testo dei ragazzi di Barbiana, pur affrontando un tema delicato e complesso, fosse chiaro
e comprensibile. Lettera a una professoressa è infatti
considerato un libro non solo rivoluzionario per i
temi trattati e le idee sostenute, ma anche per lo
stile chiaro ed efficace, che ben ne sorregge la dura
critica alla scuola borghese, che faceva dell’oscurità
linguistica uno dei suoi strumenti di selezione.
Le pagine in cui gli allievi di Don Milani descrivono la loro tecnica di scrittura sono mirabili e si
commentano da sé.
Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno tiene in
tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende
appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da
una parte sola.
Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un
grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi
monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini
e son paragrafi.
Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si
riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe
cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due.
Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché
nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.
Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i
suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo
come viene viene.
Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici,
colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta.
Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi
di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo
lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano
stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda
se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i
loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i
consigli di prudenza.
Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole
che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino
che sentenzia: “Questa lettera ha uno stile personalissimo”…
Da Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa,
Editrice Fiorentina, Firenze 1967.
Digitale, ma sempre un libro
In che forma i libri di testo possono conservare la loro
funzione nell’era del digitale? Come devono essere concepiti,
pensati, scritti, intesi, proposti, usati? Proviamo a rispondere
ripercorrendo alcune tappe della complessa storia
del libro di testo come strumento di apprendimento.
di Gino Roncaglia
ta complessa e articolata. L’obiettivo non è dunque
quello di costruire strumenti di apprendimento
alternativi al libro, ma quello di moltiplicare i libri
utilizzati, per moltiplicare le voci e i punti di vista
presi in considerazione.
Fra i risultati di questa vivace discussione critica
è stata la ratifica – nella legge 517 del 1977 – della
possibilità di adozioni alternative. Ma l’esito concreto non è stato affatto quello dell’abbandono dei
libri di testo: piuttosto, la contestazione degli anni
Sessanta e Settanta ha portato a un cambiamento
radicale nell’impianto editoriale adottato nel costruirli. In questa seconda fase, che va più o meno
dalla seconda metà degli anni Settanta all’inizio
del nuovo Millennio, i libri di testo si pongono il
problema di essere “politicamente corretti”,di dare
voce a una pluralità di punti di vista e di opzioni
didattiche diverse; da un impianto univoco e sintetico si passa a opere sempre più ricche e voluminose, che si rivolgono in primo luogo all’insegnante e
che all’insegnante offrono non già una sintesi ma
una pluralità di contenuti corrispondenti a una
pluralità di scelte possibili. Vengono così realizzati
libri di testo che rappresentano veri e propri ‘tour
de force’ editoriali. Libri a volte bellissimi per impianto e ricchezza di contenuti, ma sovrabbondanti e pensati con in mente più il docente chiamato
a sceglierli che lo studente chiamato a utilizzarli
concretamente come strumenti di studio.
Anziché sparire, insomma, in questa seconda
fase i libri di testo – preoccupati di rispondere
contemporaneamente a domande e necessità
formative sempre più differenziate e complesse –
crescono fino all’elefantiasi. Nel contempo, però,
proprio nella capacità di adattamento editoriale
a esigenze assai diverse rispetto a quelle del passato, il modello rappresentato dal libro di testo si
mostra straordinariamente radicato e resistente.
Le ragioni di questa resistenza sono numerose,
ma alcune mi sembrano più importanti di altre e
vanno considerate anche oggi, nell’incontro con il
Saperi / Digitale, ma sempre un libro
L
a storia dell’uso del libro di testo
come strumento di apprendimento è lunga e complessa; se si vuole
capire se e in che forma i libri di
testo possano conservare la loro
funzione nell’era del digitale, occorre ricordarne almeno alcune tappe. Nel nostro
Paese, nel secondo dopoguerra, l’editoria scolastica
ha attraversato sostanzialmente tre fasi.
In un primo periodo, che arriva più o meno alla
metà degli anni Settanta, il libro di testo si propone
come strumento unico, spesso – soprattutto per
quanto riguarda la scuola dell’obbligo e le discipline umanistiche – fortemente orientato alla riproposizione acritica di modelli ideologici e valoriali
tradizionali. Sono i libri di testo che, in particolare
con riferimento alla scuola primaria, Umberto
Eco e Marisa Bonazzi mettono in ridicolo in un
libro caustico e irriverente che varrebbe la pena
rileggere: I pampini bugiardi, del 19721. Sono i libri di
testo che il Movimento di cooperazione educativa
comincia a criticare già nella prima metà degli
anni Sessanta, proponendo il modello alternativo
rappresentato dalla biblioteca di classe. Sono i libri
di testo che entrano – giustamente – nel mirino
della contestazione da parte del movimento del
’68, e che sono più pacatamente (ma non meno
radicalmente) criticati dalla riflessione pedagogica che accompagna l’attenzione sul tema della
riforma della scuola durante gli anni dei governi
di centro-sinistra.
In discussione in questo periodo e in questi interventi non è tanto il ruolo della forma-libro come
strumento didattico e di apprendimento, quanto
l’idea del libro di testo unico, portatore di una visione del mondo e della disciplina a sua volta unica
e totalizzante, incapace di riflettere la pluralità di
concezioni, di voci, di metodologie formative che
sarebbe invece necessario interpellare per fornire
ai discenti strumenti effettivamente in grado di
aiutarli nella comprensione di una realtà a sua vol-
21
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Saperi / Digitale, ma sempre un libro
22
digitale e con una pluralità di nuove tipologie di
strumenti di apprendimento2.
1. Il libro di testo – a differenza delle risorse di apprendimento granulari, come schede, pagine
fotocopiate, learning object, siti o pagine web,
singoli contenuti audio o video – permette un’organizzazione articolata, complessa e fortemente
strutturata dei contenuti. I libri di testo «sopravvivono e prosperano (…) in primo luogo perché
sono lo strumento più efficace per fornire quella
strutturazione che il sistema dell’insegnamento
e dell’apprendimento – particolarmente in una
fase di forti cambiamenti – richiede»3. «Un libro
di testo fornisce una struttura di riferimento (framework) chiara: docenti e studenti sanno dove
stanno andando e cosa li aspetta,e questo produce
un senso di organizzazione e di progresso»4. Da
questo punto di vista, il libro di testo si è sempre
proposto e continua a proporsi come strumento
per una didattica “forte”, in cui sia l’organizzazione complessiva del percorso di apprendimento
sia il peso e lo spazio riservato ai diversi argomenti sono il risultato di una valutazione non
occasionale ma specifica e consapevole.
2. Il libro di testo fornisce a docenti e studenti un
punto di riferimento canonico e curricolare, in
un contesto formativo che richiedeva e continua
a richiedere canoni e curricula (anche se adesso
si chiamano Indicazioni Nazionali).In tal modo,
il libro di testo contribuisce «a garantire un collegamento, un ponte fra i programmi ufficiali e
la loro applicazione in classe»5, e nel contempo
aiuta a garantire l’esistenza di standard comuni
per la formazione e l’apprendimento che avvengono in istituzioni scolastiche diverse, ma che
si basano sullo stesso curriculum di studi6. Non
è un caso, quindi, che il grado di copertura curriculare costituisca in moltissimi casi e in Paesi
diversi – a partire da quelli più avanzati – un
elemento essenziale nella valutazione dei libri
di testo (siano essi cartacei o elettronici).
3. Il libro di testo garantisce di norma un alto livello di cura autoriale ed editoriale, legata al lavoro
di figure professionali diverse, auspicabilmente
dichiarate e riconosciute: oltre all’autore o agli
autori, una redazione, alla quale sono affidati
il coordinamento e la revisione editoriale del
testo, nonché un lavoro specifico su apparato
iconografico, infografica, tabelle, esercizi, ecc.;
la redazione garantisce inoltre professionalità
nell’impaginazione e nella cura tipografica,
nell’acquisizione di diritti, nella distribuzione,
nell’aggiornamento. Il libro di testo è insomma
di norma il prodotto di un lavoro che impegna
una équipe di esperti e richiede competenze
assai diversificate7.
4. Il libro di testo costituisce una risorsa di apprendimento almeno in parte indipendente e
autonoma, che – diversamente da molte risorse
granulari – è sempre a disposizione del discente
ed è riusabile anche indipendentemente dal
contesto strettamente scolastico e dopo la fine
del percorso di formazione formale. Da questo
punto di vista, il libro di testo può essere considerato anche come uno strumento di reference,
utile per l’aggiornamento e la formazione permanente8.
5. Proprio per la sua organizzazione strutturata,
per la copertura curriculare, per l’organizzazione del contenuto, il libro di testo aiuta lo studio
e la memorizzazione, e consente di tornare in
qualunque momento su un passaggio, rileggere,
sottolineare, annotare.
6.Il carattere di prodotto editoriale organico, riconoscibile, pubblicamente disponibile proprio
del libro di testo facilita la validazione e il controllo qualitativo dei contenuti,anche attraverso
il confronto fra libri di testo diversi e il dibattito
aperto fra i diversi soggetti interessati (in primo
luogo gli insegnanti).
7. La riconoscibilità dell’autore o del gruppo di
autori – spesso specialisti fra i più noti della materia – e il meccanismo pubblico di validazione
appena ricordato rendono di norma il libro di
testo un prodotto editoriale non solo legato a
una responsabilità autoriale esplicita, ma anche
dotato di una propria autorevolezza. Nel caso del
libro di testo, insomma, l’auctor corrisponde di
norma a una auctoritas effettiva e verificabile.
E questo aiuta anche a rendere più facilmente
identificabili e riconoscibili i presupposti metodologici e teorici, gli eventuali condizionamenti
ideologici o di scuola, e in generale l’impostazione complessiva dell’opera.
Credo siano soprattutto queste caratteristiche a
spiegare perché il libro di testo sia non solo sopravvissuto alle contestazioni, ma sia rimasto – anche
nei Paesi tecnologicamente più avanzati – uno
strumento di apprendimento essenziale.E tuttavia
indubbiamente l’incontro con il digitale è all’origine di una nuova fase nello sviluppo di libri di
testo. Inizialmente questa nuova fase si manifesta
soprattutto con la crescita dell’apparato iconografico e con una strutturazione più articolata dei
contenuti: il libro di testo non si trasforma ancora
in un oggetto digitale (o anche digitale), ma cerca in
qualche misura di riprodurre su carta la ricchezza
del nuovo ecosistema comunicativo: infografica,
collegamenti interni, box, arricchimento dei contenuti visivi e maggiore integrazione fra testo e
immagini.Progressivamente,però,il digitale entra
in maniera più diretta: prima in forma di CD-ROM
allegati al libro,poi con la trasformazione della rete
in un serbatoio parallelo di contenuti granulari potenzialmente preziosi, spesso distribuiti in forma
aperta e gratuita, che si affiancano agli strumenti
tradizionali. Come ultimo passo, lo stesso libro di
testo comincia progressivamente a trasformarsi
(pur se ancora con qualche timidezza, legata sia
all’arretratezza delle infrastrutture di rete nelle
scuole, sia a resistenze culturali) in un oggetto
esclusivamente o prevalentemente digitale.
I libri di testo online
—
NOTE
1. M. Bonazzi, U. Eco, I pampini bugiardi. Indagine sui libri al
di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, Guaraldi, Farigliano 1972.
2.Riprendo qui,semplificandolo leggermente,lo schema
che avevo già proposto in G. Roncaglia, Ruolo ed evoluzione
dei libri di testo, in E. Barbieri, R. M. Borraccini, A. Petrucciani, C. Reale (eds.), Miscellanea in onore di Marco Santoro,
in corso di stampa.
3.T. Hutchinson, E.Torres, The Textbook as Agent of Change,
ELT Journal n. 48/4, 1994, pp. 315-328, p. 317. Garantire la
strutturazione di un programma di studio è considerato il primo vantaggio dei libri di testo anche in J. C.
Richards, The role of textbooks in a language program, in
rete alla pagina http://www.professorjackrichards.com/
wp-content/uploads/role-of-textbooks.pdf.
4. P. Ur, A course in English Language Teaching, Cambridge
University Press, Cambridge 2012, p. 198.
5. M. Drechsler, Manuels scolaires et albums augmentés.
Enjeux et perspectives pour une pédagogie du 21e siècle, collana
Comprendre le livre numérique,edizione digitale Numeriklivres, 2011, loc. 137.
6. Cfr. J. C. Richards, The Role of Textbooks cit.
7. Si veda al riguardo F-M. Gerard, X. Roegiers, Des manuels scolaires pour apprendre. Concevoir, évaluer, utilizer, 2e édition, Éditions De Boeck, Bruxelles 2009, cap.
1, in particolare pp. 11 e sgg.
8. Cfr. F-M. Gerard, X. Roegiers, Des manuels scolaires cit.,
p. 91.
Gino Roncaglia
è docente alla Università della Tuscia.
23
Saperi / Digitale, ma sempre un libro
Ma i contenuti disponibili online non potrebbero
direttamente sostituire il libro di testo? Ritengo
proprio di no: il loro carattere granulare e specifico
permette certo aggregazioni, ma non garantisce
quelle funzioni di filo conduttore “forte”, strutturato,di cui abbiamo sottolineato l’importanza.Una
didattica e un apprendimento che fossero basati
solo sull’uso di risorse granulari mancherebbero
di coesione narrativa, di punti di riferimento riusabili, di struttura: una didattica solo granulare
sarebbe una didattica debole e destrutturata.
L’esistenza e la disponibilità di contenuti granulari e integrativi permette però di rinunciare all’utopia di un libro di testo onnicomprensivo, capace
di ricondurre al suo interno ogni voce e ogni punto
di vista: la diversità delle voci non deve essere più
ricondotta a forza all’interno di un unico supporto.
Il libro di testo diventa uno degli strumenti di apprendimento: uno strumento certo fondamentale,
ma non unico né caricato della responsabilità di
soddisfare ogni esigenza del docente o del discente.
Non è un caso dunque che il processo di progressiva ipertrofia che aveva caratterizzato la seconda
fase della nostra storia, negli ultimi anni sia non
solo interrotto, ma anche regredito. Il libro di testo
può oggi essere pensato (deve essere pensato) come
un filo conduttore più essenziale e sintetico, rivolto molto più direttamente al discente, e assai più
aperto a integrazioni esterne.
Questa integrazione può certo essere avviata già
su carta, ma si sposterà sempre più sul terreno del
digitale: su quel terreno è lo stesso libro di testo a
trasformarsi, in particolare attraverso l’inclusione
di contenuti multimediali e infografica animata. Le potenzialità del digitale in termini di uso
integrato di codici comunicativi diversi (testo,
audio, video, immagini…) impongono infatti una
profonda revisione anche nel linguaggio usato nei
testi: al posto del predominio assoluto del codice
scritto, si aprono anche nel mondo dei libri di testo
le nuove frontiere della crossmedialità (capacità di
proporre le stesse informazioni in forme diverse
utilizzando media e codici comunicativi diversi,
che si rinforzano a vicenda) e della transmedialità (articolazione dei contenuti e dei messaggi
all’interno di un universo comunicativo multimediale e multicodicale: al posto di contenuti
autosufficienti si hanno in questo caso contenuti
distribuiti selettivamente su media diversi, che
devono essere utilizzati in forma integrata).I nuovi
libri di testo, per rispondere davvero alle abitudini
comunicative delle nuove generazioni, dovranno
dunque costruire una narrazione didattica (oggi è
di moda chiamarla storytelling) molto più articolata
di quanto non avvenisse in passato. In un certo
senso, dovranno almeno in parte imitare strategie
comunicative già largamente usate in altri settori:
si pensi ad esempio all’incontro fra televisione e
rete nei nuovi format ibridi rappresentati dalle
serie televisive integrate da episodi su web.
Credo insomma che ci aspettino in futuro libri
di testo (e contenuti di apprendimento) notevolmente diversi da quelli di oggi. Ma questa trasformazione, certo radicale, modifica davvero il ruolo
e la funzione essenziale dei libri di testo? A mio
avviso, no: anche in digitale – e direi quasi soprattutto in digitale – il libro di testo dovrà continuare
a fornire un filo conduttore, un punto di riferimento comune e condiviso, autorevole e validato,
e continuerà quindi ad essere un tipo di risorsa
di apprendimento diversa rispetto ai contenuti
granulari e integrativi (coi quali tuttavia – come
abbiamo visto – dovrà saper dialogare). Continuerà
insomma a dover rispondere alle sette esigenze
ricordate sopra. Proprio per questo anche in futuro
– e anche in digitale – di libri di testo, di nuovi libri
di testo, continueremo ad avere bisogno.
Quattro poesie
di Valerio Magrelli
Saperi / Quattro poesie di Valerio Magrelli
24
Magrelli è il poeta che più di
ogni altro, in Italia, è riuscito a
rappresentare l’esperienza della
scrittura e della lettura.
Di seguito pubblichiamo
quattro sue poesie tratte
da altrettanti libri.
Nella prima, da Esercizi di
tiptologia (Mondadori, Milano
1992), Magrelli traduttore
s’immagina affine al traslocatore.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
La seconda, Infanzia del lavoro,
mette in scena lo straordinario
fenomeno dell’apprendimento
della lettura da parte di una
bambina (da Disturbi del sistema
binario, Einaudi, Torino 2006).
La terza, prelevata da Didascalie
per la lettura di un giornale
(Einaudi, Torino 1999), fornisce
una puntuale definizione della
poesia dal punto di vista
di chi la legge.
La quarta poesia è tratta da Ora
serrata retinae (Feltrinelli, Milano
1980), e mette in scena l’atto di
scrivere e di vedersi scrivere.
L’IMBALLATORE
Cos'è la traduzione? Su un vassoio
la testa pallida e fiammante d'un poeta.
V. Nabokov
L'imballatore chino
che mi svuota la stanza
fa il mio stesso lavoro.
Anch'io faccio cambiare casa
alle parole, alle parole
che non sono mie,
e metto mano a ciò
che non conosco senza capire
cosa sto spostando.
Sto spostando me stesso
traducendo il passato in un presente
che viaggia sigillato
racchiuso dentro pagine
o dentro casse con la scritta
"Fragile" di cui ignoro l'interno.
È questo il futuro, la spola, il traslato,
il tempo manovale e citeriore,
trasferimento e tropo,
la ditta di trasloco.
25
Saperi / Quattro poesie di Valerio Magrelli
INFANZIA DEL LAVORO
Guarda questa bambina
che sta imparando a leggere:
tende le labbra, si concentra,
tira su una parola dopo l’altra,
pesca, e la voce fa da canna,
fila, si flette, strappa
guizzanti queste lettere
ora alte nell’aria
luccicanti
al sole della pronuncia.
***
Scivola la penna
verso l’inguine della pagina,
e in silenzio si raccoglie la scrittura.
Questo foglio ha i confini geometrici
di uno stato africano, in cui dispongo
i filari paralleli delle dune.
Ormai sto disegnando
mentre racconto ciò
che raccontando si profila.
È come se una nube
arrivasse ad avere
forma di nube.
***
LA POESIA
Le poesie vanno sempre rilette,
lette, rilette, lette, messe in carica;
ogni lettura compie la ricarica,
sono apparecchi per caricare senso;
e il senso vi si accumula, ronzio
di particelle in attesa,
sospiri trattenuti, ticchettii,
da dentro il cavallo di Troia.
Valerio Magrelli
è professore di letteratura francese all’Università di
Cassino, saggista e traduttore. Grazie alla sua attività
di scrittore di prose autobiografiche e di poesie si è
affermato a livello internazionale come uno degli
artisti più importanti dell’Italia contemporanea.
I suoi libri di poesia più recenti sono Il sangue amaro
(Einaudi 2014) e La lingua restaurata e una polemica. Otto
sonetti a Londra (Manni 2014).
↑
Alighiero Boetti,
Il Mondo Possibile,
1980, biro su
carta.
dossier
Comunicare
con le immagini
L’utilità e il danno dell’uso
delle immagini nei libri di testo.
26
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / Comunicare con le immagini
di Ubaldo Nicola
N
egli ultimi anni i manuali scolastici sono diventati sempre
più illustrati,anche quelli di livello liceale e di discipline che
sino al recente passato erano
di esclusivo dominio della parola, come la letteratura e la filosofia. Riscontrabile
nei prodotti di tutte le case editrici, questa tendenza ha probabilmente motivazioni diverse, dal desiderio di rendere più appetibili i volumi sino alla
consapevolezza del crescente ruolo delle immagini
nella cultura contemporanea, e quindi all’opportunità di includerle e commentarne il significato
come parte non accessoria dei testi.
Questa evoluzione, tuttavia, non è stata accompagnata da una specifica riflessione né da ricerche
sull’effettiva utilità didattica delle immagini. O
dovremmo dire sui danni da esse prodotti? Non è
assodato infatti che tale proliferazione di illustrazioni sia di per sé positiva. Se, come vuole un’opinione comune, le capacità intellettive dell’uomo
contemporaneo sono sfavorite dal pressante bombardamento di immagini che subisce quotidianamente guardando la Tv o sfogliando una rivista, è
giusto che i manuali scolastici si adeguino a questo
registro comunicativo? In breve: ha la pedagogia
qualcosa da dire sull’opportunità di introdurre forme di comunicazione visiva nell’insegnamento?
Possiamo rispondere in due modi a questa domanda: rivolgendoci alla storia oppure alle riflessioni
d’Oltralpe sulla visual literacy.
Un libro ancora tutto da scrivere
—
Una storia della pedagogia delle immagini dovrebbe partire dalle Tabulae Iliacae, ossia da uno
strumento didattico che pur scolpito nella pietra
appare straordinariamente simile a una modernissima tavola infografica.
27
Dossier / Comunicare con le immagini
La fotografia della bandiera americana issata
sul monte Suribachi nell’isola di Ivo Jima
è probabilmente l’icona più diffusa e più dotata
di valore simbolico della Seconda guerra mondiale.
Valse il premio Pulitzer al fotoreporter
Joe Rosenthal e ha fornito il soggetto del
monumento che nel cimitero di Arlington
commemora tutti i marine morti in guerra.
È però un clamoroso falso, una messa in scena
a opera di Rosenthal, che essendo arrivato sulla
vetta troppo tardi fece ripetere la cerimonia
collocando altri soldati in una suggestiva
composizione artistica triangolare.
Flags of Our Fathers, un film del 2006 diretto da
Clint Eastwood, racconta la vera storia della
fotografia, del fotografo e dei soldati che si fecero
fotografare. La propaganda militare li trasformò
nei simboli viventi dell’eroismo americano:
furono subito riportati negli USA per dar vita
a un massiccio tour di raccolta di finanziamenti.
Dossier / Comunicare con le immagini
28
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
↑
Tabula Iliaca,
epoca augustea,
Musei Capitolini,
Roma.
Possediamo una ventina di queste Tabulae, tutte provenienti
dalla campagna romana. Sono
sottili lastre di marmo dense di
testi e bassorilievi usate nelle
classi al tempo di Augusto o di
Tiberio. La più conservata, seppure rotta nel lato sinistro, è
larga 30 centimetri e alta 25: è la
Tabula Iliaca Capitolina, dedicata al ciclo troiano, come si legge
nella leggenda scritta nella parte centrale in caratteri grandi.
Delle altre, quindici si riferiscono a episodi dell’Iliade, tre
all’Odissea, una al mito dei sette
contro Tebe, una a quello dell’apoteosi di Eracle, mentre altre
infine sembrano riguardare avvenimenti storici. È la prova che
la produzione di queste tavole
non era occasionale ma rispondeva a precise strategie didattiche valide per lo meno nello
studio delle opere letterarie, dei
miti e della storia.
La materia, data la sua complessità, è distribuita in una
griglia di cornici inquadrate in
un’architettura immaginaria,
il cui elemento grafico centrale
è dato dalle due colonne. Sull’unica rimasta vi è un succinto
sommario dei libri XIII e XXIV
dell’Iliade; quelli dall’II al XII
erano sul pilastro sinistro, mentre la centralità didattica del libro I è riconosciuta assegnando
ad esso la zona trasversale superiore. Le cornici rettangolari
a fianco delle colonne (12 quelle
ancora visibili) mettono in figura le scene indicate nei testi,
funzionando così come supporti
per l’ancoraggio mnemonico, in
particolare degli eroi coinvolti, espressamente indicati sotto
ogni figura.Che la progettazione
risponda a un preciso piano formativo è dimostrato anche dalla cornice centrale, in evidenza
fra le due colonne, dedicata alla
Distruzione di Troia di Stesicoro,
un’opera centrata sul personaggio di Enea e quindi connessa
alla nascita di Roma e funzionale all’adattamento imperiale dei
modelli greci.
Se si pensa al notevole impegno richiesto per scolpire
nel marmo una tale quantità
di immagini e testi, per giunta
in una scala miniaturizzata, si
è impressionati dallo sforzo degli antichi maestri per superare
il logocentrismo didattico, in
un’epoca in cui peraltro l’unico
obiettivo della scuola era formare buoni oratori. La complessità
delle Tabulae comportò quindi
una divisione del lavoro nella
loro produzione tale da render-
no Bruno tentò addirittura di
trasformare in una ars inveniendi.
E per la contemporaneità ricordiamo Otto Neurath, il filosofo inventore (per motivi filosofico-didattici) dell’Isotype,
acronimo di International System of Typographic Picture
Education, da cui deriva tutta
la comunicazione contemporanea basata su pittogrammi,
dalle icone sul computer alla
segnaletica stradale.
Le riflessioni
contemporanee
—
La storia dell’uso didattico delle
immagini mostra quindi una
grande ricchezza di esperienze
specifiche e diversamente finalizzate. È una complessità che
riflette da una parte la grande
molteplicità di usi cui si prestano le rappresentazioni visive, dall’altra l’indeterminatezza
che connota lo stesso concetto di
immagine, categoria che include una vasta serie di fenomeni,
dalle metafore della lingua parlata alla grafica scientifica.
È una situazione che in fondo
determina anche il panorama
attuale della riflessione pedagogica in questo campo di cui
cerchiamo di dar conto in questo
Dossier.
Da una parte infatti abbiamo le ricerche sulla visual literacy, l’alfabetizzazione visiva.
L’articolo di Suzanne Stokes è
forse un po’ datato (risale a una
quindicina di anni fa) ma ha il
pregio di sintetizzare il tipo di
indagini svolte in questo settore.
Non si può certo dire che siano
entusiasmanti: i numerosi sforzi di delimitare il fenomeno in
una definizione essenziale ed
esaustiva mi sembrano al contempo impossibili e inutili, in
ogni caso inadeguati a coprire
la multiforme varietà delle forme visive di comunicazione. Ed
anche i tentativi di comparare matematicamente l’efficacia
di messaggi orali, visivi o misti rimangono sul piano di uno
sperimentalismo psicologico e
teorico poco attinente a una didattica effettiva, dato che non si
tiene conto di come la fruizione
delle immagini si ponga sempre in contesti concreti, ossia
all’interno di discipline specifiche che intrattengono rapporti
diversi con il visivo. Forse non è
poi così grave che la voce visual
literacy in Wikipedia non abbia
una versione in italiano (ma c’è
in arabo, giapponese, ecc.).
Più numerose e interessanti sono le ricerche condotte sui
contenuti effettivi veicolati dalle immagini di fatto utilizzate
nella didattica, ad esempio nei
libri di testo elementari, liceali e
universitari. La maggior parte di
queste analisi riguardano opere
illustrate in uso nelle scuole di
base e considerano le immagini
quali possibili veicoli di stereotipi di genere, una questione che
la sensibilità contemporanea
reputa sempre più importante.
Non mancano però le ricerche
focalizzate su questioni specifiche, come quella sulle immagini
descrittive della povertà nei manuali di economia in uso nelle
università americane di Rosalee
A. Clawson. Sono considerazioni
a basso contenuto teorico ma
dirompenti perché mettono in
“La maggior parte delle analisi
riguardano opere illustrate in uso
nelle scuole di base e considerano
le immagini quali possibili veicoli di
stereotipi di genere.
„
luce la potenzialità mistificatoria di un uso non adeguatamente controllato delle immagini,
specie quando sono presentate
in serie complesse e coordinate,
così da favorire la percezione di
associazioni e di costanti. Un
esempio di ricerca che abbiamo
cercato di emulare nell’ultimo
articolo, analizzando la comunicazione visiva messa in atto
in tre manuali di storia.
Ubaldo Nicola
Direttore editoriale de La ricerca.
29
Dossier / Comunicare con le immagini
le molto “moderne”, anche nei
difetti. Un esame dettagliato, infatti, mostra come vi siano scollature di significato fra alcune
immagini e i testi di riferimento: significa che il lapicida non
si coordinò adeguatamente con
l’esecutore dei bassorilievi.
Se le tavole iliache usavano
le immagini in funzione della
sintesi e dell’ancoraggio mnemonico, diverso appare lo scopo
degli exultet medioevali, i rotoli
di pergamena che il sacerdote svolgeva dal pulpito, così da
mostrare ai fedeli le scene della
passione di Cristo illustrate su
un lato mentre lui stesso leggeva i testi sul retro. Il fruitore
percepiva quindi immagini in
successione accompagnate da
un commento orale, sperimentando una specie di TV lenta e
interattiva, capace di suggestionare senza eliminare i tempi
necessari alla riflessione.
Dovremmo poi parlare della
didattica degli emblemata praticata nei collegi gesuitici nei secoli XVI e XVII. La ratio studiorum
prevedeva di esercitare gli alunni a decodificare ed inventare loro stessi immagini concettuali,
cioè allegorie capaci di esprimere nozioni astratte. Un esercizio
in cui eccelleva il giovane Cartesio, che con il permesso degli
insegnanti (giustificato anche
dalla sua debole salute) passava
le mattinate sdraiato nel letto,
immobile, esercitandosi a visualizzare concetti astratti sul
soffitto. Non dico che scoperse
allora d’essere res cogitans, ma
da grande ebbe sempre buone
parole per i padri di La Flèche e
per i loro metodi didattici.
Altri capitoli dovrebbero
trattare di Comenio e dell’Orbis
sensualium pictus, cioè dell’invenzione del primo sussidiario
illustrato per bambini (dopo
duemila anni!). E, nella stessa
epoca, delle sperimentazioni
sulle lingue figurate o geroglifiche, e poi ancora del patrimonio di riflessioni sui rapporti fra
immagini e concetti promosso
dalla ars memorandi, che Giorda-
Quanto sono efficaci
gli strumenti didattici
non verbali?
Dossier / Quanto sono efficaci gli strumenti didattici non verbali?
30
È la domanda cui cercano di rispondere le ricerche
sulla visual literacy, l’alfabetizzazione visiva.
Questo articolo offre un’ampia rassegna
dei temi più trattati in questo settore
della sperimentazione didattica, molto
frequentato nella pedagogia anglossassone.
di Suzanne Stokes
O
ggi la presenza di
contenuti visivi è
crescente sia nell’insegnamento scolastico sia nell’apprendimento
informale, così come lo è l’integrazione di testi e immagini nella manualistica, nell’uso delle
lavagne luminose, nelle attività
supportate da computer e in genere nelle presentazioni basate
su interfacce elettroniche.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Quanto (poco) sappiamo
degli stili cognitivi
—
L’indirizzo tradizionale e ancor
oggi più frequentato in pedagogia si fonda su competenze
sequenziali,verbali e logico-matematiche elaborate dall’emisfero sinistro del cervello (West,
1997). Vi sono però individui che
durante i processi cognitivi attivano prevalentemente le aree
cerebrali dell’emisfero destro, in
cui si organizzano competenze
spaziali e non verbali, e possono
essere in difficoltà nell’adeguarsi a uno stile pedagogico non
confacente alle loro capacità.
Liu e Ginther definiscono lo
stile di apprendimento cognitivo come «una predisposizione strutturale e caratteristica
di ogni individuo a percepire,
ricordare, organizzare ed elaborare i dati del pensiero in un
particolare modo». Aggiungono
che lo stile di apprendimento
costituisce il principale fattore
di differenza fra gli studenti e
che si otterrebbero grandi vantaggi se i materiali didattici e gli
stili di insegnamento fossero
coordinati con il loro peculiare modo di imparare. Tuttavia,
sebbene risulti con evidenza
che gli individui si differenziano nel privilegiare l’uno o l’altro
emisfero cerebrale, la ricerca
scientifica non ha ancora chiarito il grado di questa polarizzazione e soprattutto le sue conseguenze sulle modalità verbali e
non verbali del pensiero (West).
Nonostante queste difficoltà
interpretative,rimane la problematica evidenza che, mentre la
maggior parte delle persone tende a pensare in termini verbali e
non visivi, l’uso di visualizzare i
concetti sembra essere crescente nella società contemporanea.
Un tema molto trattato in
queste ricerche riguarda il modo in cui le competenze visive,
in qualunque modo le si voglia
definire, possano essere sviluppate. Le prime ipotesi, elaborate da Tuckey e Selvaratnam,
mettevano in luce la centralità
della pratica e delle esperienze
concrete. Altre più recenti, tuttavia, sottolineano l’importanza
della preparazione di base dello
studente, un fattore decisivo per
l’efficacia della strumentazione
didattica visiva. Studenti con
uno scarso dominio concettuale
della materia possono trovarsi
in grave difficoltà nell’interpretare espressioni grafiche non del
tutto evidenti.
Da non dimenticare, infine,
che i linguaggi visivi giocano
un ruolo importante nell’educazione di alunni sofferenti di
disabilità linguistiche e disordini dell’udito, così come si dimostrano molto utili quando
vi sono da superare barriere
linguistiche.
Le (tante) definizioni
di visual literacy
—
31
consapevolezza delle sue dinamiche specifiche. Come quella
linguistica, anche l’alfabetizzazione visiva è culturalmente
determinata, sebbene esistano
forme simboliche universali e
immagini interpretate ovunque
allo stesso modo.
La natura delle
competenze visive
—
Branton propone due interessanti domande: «L’uso delle
moderne tecnologie richiede
particolari competenze visive?».
E d’altra parte: «Può la stessa
tecnologia essere utilizzata per
migliorare le capacità del pensiero visivo?». Secondo questa
ricercatrice la questione dell’alfabetizzazione visiva va inquadrata all’interno di una pedagogia costruttivista, intesa come
«una teoria dell’apprendimento
per la quale gli individui acquisiscono conoscenze attraverso
l’interazione delle capacità innate con i dati forniti dall’ambiente». E oggi questa interazione avviene soprattutto nell’uso
della tecnologia, in particolare
delle interfacce grafiche introdotte dal WEB, che richiedono
la competenza di interpretare
ed usare creativamente una crescente simbologia visiva.
Heinich nota come in generale
vi siano due approcci allo sviluppo di queste competenze. Il primo sta nell’aiutare gli studenti
a leggere i messaggi visivi attraverso tecniche di analisi pratica
al fine di acquisire i codici culturali e spesso convenzionali che
ne permettono la decodifica. Il
secondo sta nell’invitare gli studenti a usare essi stessi forme
grafiche e visive come strumento di comunicazione. Sebbene
siano in parte sovrapponibili, si
tratta di due competenze molto
diverse, accomunate però dallo
svilupparsi solo attraverso l’esercizio pratico. Entrambe, comunque, dotate di un alto grado
di complessità, perché come il
pensiero verbale usa parole, frasi e paragrafi per ottenere uno
stile particolare, così quello visivo raggiunge un equivalente
grado di significanza con l’uso
combinato di oggetti, spazi, luci,
forme grafiche e suggestioni di
tipo emotivo.
Che il dominio delle competenze visive sia importante anche per migliorare l’apprendimento verbale è stato sostenuto
da Flattley. Dato che nello sviluppo umano l’alfabetizzazione
verbale segue quella visiva, è
in questa che vanno cercate le
fondamenta di quei processi di
↑
Una slide di un
corso inglese
sulla visual
literacy.
Dossier / Quanto sono efficaci gli strumenti didattici non verbali?
Dell’alfabetizzazione visiva sono state elaborate numerose
definizioni. Wileman la intende come «la capacità di leggere,
interpretare e capire le informazioni presentate in immagini
pittoriche o grafiche», ponendola in stretta relazione con il pensiero visivo, a sua volta descritto
come «la capacità di trasformare
ogni tipo di informazione in immagini, schemi grafici o forme
di comunicazione non verbale».
La ERIC (Education Resources Information Center) fornisce questa spiegazione: «un
gruppo di competenze che permette agli esseri umani di discriminare e interpretare i dati
visibili che incontrano nel loro ambiente di vita, costituiti
da azioni, oggetti, simboli naturali o culturalmente costruiti». Robinson propone invece
di considerare la visual literacy
come «una capacità di prevalente tipo organizzativo, utile per
promuovere la comprensione,
la conservazione e la memorizzazione della grande quantità di
concetti veicolati dall’educazione accademica». Sinatra, infine,
ponendo l’accento sulle forme
dell’attività cognitiva, la intende come «la capacità di integrare
la propria passata esperienza
percettiva con i nuovi messaggi visivi ricevuti dall’ambiente,
così da essere in grado di capirne
il significato».
Andando oltre queste problematiche sintesi di fenomeni
forse troppo complessi, Emery
e Flood fanno notare che l’uso e
l’interpretazione delle immagini costituiscono in ogni caso un
linguaggio specifico, nel senso
che le rappresentazioni visive
sono oggi molto utilizzate per
comunicare messaggi che devono essere decodificati in modo
da avere un senso. Ma se consideriamo la visual literacy al pari
di una lingua, sorge la necessità
di saper comunicare usando tale linguaggio, il che implica la
Approfondire
—
J
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / Quanto sono efficaci gli strumenti didattici non verbali?
32
• J. Berger, Ways of seeing, Britain Broadcasting Corp,
London 1992.
• B. Branton, Visual literacy literature review, 2001, http://
vicu.utoronto.ca/staff/branton/litreview.html.
• E. Cate, F. Richardson, Visual literacy in classroom, in
«International Journal of Instructional Media», 24(4), 1997,
pp. 234-241.
• L. Chanlin, The effects of verbal elaboration and visual
elaboration on student learning, in «International Journal of
Instructional Media», 24(4), 1997, pp. 333-339.
• L. Chanlin, Animation to teach students of different knowledge levels, in «Journal of Instructional Psychology», 25(3),
1998, pp. 166-175.
•L. Chanlin, Gender differences and the need for visual control,
in «International Journal of Instructional Media», 26(3),
1999, pp. 329-335.
• L. Emery, A. Flood, Visual literacy, 1999, http://education.
canberra.edu.au/centres/acae/literacy/litpapers/vislit.
html.
• R. Flattley, Visual literacy, 2001, http://dtc.pima.edu/
psychology/Visual_Literacy.html.
• R. Heinich, M. Molenda, J. D. Russell, S. E. Smaldino,
Instructional media and technologies for learning, Prentice-Hall,
Upper Saddle River, New York 1999.
• E. B. Kleinman, F. M. Dwyer, Analysis of computerized
visual skills: Relationships to intellectual skills and achievement,
in «International Journal of Instructional Media», 26(1),
1999, pp. 53-69.
• Y. Liu, D. Ginther, Cognitive styles and distance education,
in «Online Journal of Distance Learning Administration»,
2(3), 1999.
• R. E. Mayer, W. Bove, A. Bryman, R. Mars, L. Tapangco,
When less is more: Meaningful learning from visual and verbal
summaries of science textbook lessons, in «Journal of Educational Psychology», 88(1), 1996, pp. 64-73.
•E. McKay, An investigation of text-based instructional materials enhanced with graphics, in «Educational Psychology»,
19(3), 1999, pp. 323-335.
• V. Roshan, F. Dwyer, Effect of embedded graphic mapping
strategies in complementing verbal instruction, in «International Journal of Instructional Media», 25(4), 1998, pp. 389-398.
• R. Sinatra, Visual literacy connections to thinking, reading
and writing, IL, Springfield,1996.
• G. Tuckey, R. Selvaratnam, Visual literary, in «International Journal of Instructional Media», 26(3), 1999, pp. 329-335.
•T. G. West, In the mind’s eye,Prometheus Books, New York
1997.
• R. E. Wileman, Visual communicating, Educational Technology Publications, New York 1993.
pensiero che poi si esprimono
nella lettura e scrittura. Berger
così sintetizza il concetto: «Il
vedere precede il parlare. Il bambino guarda e riconosce prima
di usare le parole». Del resto è
proprio questo il significato del
celebre Cono dell’esperienza
proposto dal pedagogista americano Edgar Dale (1900-85):
l’apprendimento si svolge dal
concreto all’astratto e i simboli
visivi costituiscono rappresentazioni non verbali che precedono quelle verbali.
Sono quindi le attività e i comportamenti pratici a fornire le
basi concrete per l’uso astratto
di simboli, anche quelli atti a definire e spiegare le attività stesse. Questa cognitività materiale
precede la capacità di osservazione che è a sua volta seguita da
quella di formulare rappresentazioni astratte. È un processo che
facilita la riconcettualizzazione
e la comprensione di determinate esperienze prima ancora
che ne siano fornite descrizioni
verbali. In breve: proprio perché
sono in fondo elementi d’esperienza, immagini e illustrazioni sono in grado di catturare e
comunicare tratti della realtà
vissuta in una grande varietà di
modi. Come diceva Van Gogh:
«Una buona immagine è equivalente a una buona azione».
Le ricerche sperimentali
—
Per pensare e imparare visivamente in sostituzione o in aggiunta alle lezioni tradizionali
e alle descrizioni verbali sono
necessari cambiamenti nelle
tecniche di apprendimento e di
insegnamento.
Gli studenti hanno bisogno di
imparare visivamente e gli insegnanti hanno bisogno di imparare a insegnare visivamente.
West, ad esempio, ha proposto
un innovativo approccio alla
matematica in cui gli studenti
“fanno” la disciplina piuttosto
che “guardarla”. È una tecnica
che predilige gli strumenti della grafica interattiva alle con-
Kleinman e Dwyer hanno dimostrato che l’uso di grafica a colori
nei materiali didattici è più efficace di quella in bianco e nero, in
particolare nell’apprendimento
concettuale. Questi risultati, tuttavia, sono in contrasto con uno
studio di Myatt e Carter, secondo
i quali, sebbene la maggior parte degli studenti preferiscano
immagini a colori, la presenza
di questi non ha un impatto significativo sul livello di apprendimento. I due ricercatori notano poi che, sebbene i giovani
studenti preferiscono immagini
semplici e quelli più grandi rappresentazioni più complesse, le
forme grafiche meno elaborate
sono di solito più efficaci indipendentemente dalla fascia di
età. Inoltre, non necessariamente gli studenti imparano meglio
dai tipi di immagini che preferiscono visualizzare.
Testi orali, visivi e
misti a confronto
—
In un’interessante sperimentazione, Mayer ha confrontato la
ricezione di uno stesso contenuto, la descrizione di un processo,
presentato in due modi diversi:
da una parte un testo di seicento parole, dall’altra una sintesi
multimediale costituita da una
sequenza di illustrazioni, ognuna dotata di una breve dicitura.
I risultati suggeriscono che una
presentazione multimediale è
più efficace di una meramente
verbale, e lo è ancor più quando
contiene una piccola quantità
di testo piuttosto che una grande. Gli studenti possono imparare in modo più efficiente da
sintesi concise, in particolare
quando parole e illustrazioni
sono strettamente connesse.
I soggetti esaminati in questo
studio,tuttavia,avevano un basso livello di conoscenza della
materia e gli stessi ricercatori
fanno notare che probabilmente i risultati sarebbero diversi
con studenti esperti.
Queste evidenze corroborano
le già citate intuizioni di Chanlin
relative sia al maggiore impatto
delle elaborazioni visive sugli
studenti più inesperti, sia alla
efficacia di integrare immagini e
parole nel favorire lo sviluppo di
connessioni mentali utili all’apprendimento.
Sia lo stile cognitivo degli studenti sia la loro esperienza nella
materia sono stati considerati da
McKay (1999) in una ricerca comparativa sulla ricezione di materiali didattici esclusivamente
verbali con altri supportati da
elementi grafici. I soggetti classificati come studenti alle prime
armi e dotati di uno stile cognitivo verbale hanno ottenuto risultati migliori combinando testi e
grafica, mentre, in contrasto con
le aspettative, gli stessi risultati
non sono stati raggiunti da novizi individuati quali possessori di uno stile cognitivo visivo.
Tuttavia, tutti gli studenti hanno mostrato miglioramenti nei
punteggi dei test quando hanno ricevuto materiali didattici
misti. Inoltre, tutti gli studenti
alle prime armi di entrambe le
categorie di apprendimento cognitivo hanno mostrato un miglioramento maggiore nei punteggi rispetto ai discenti esperti.
Infine, Roshan e Dwyer hanno
provato a sottoporre agli studenti
vari tipi di grafica statica (mappe,
schemi, reti concettuali, ecc.),
non trovando rilevanti differenze nella loro efficacia. Decisivo
appare invece il tempo dedicato
alla loro osservazione.
Tratto da: S.Stokes,Visual Literacy
in Teaching and Learning: A Literature Perspective, in «Electronic
Journal for the Integration of
Technology», 2001.
Traduzione a cura di Francesca
Nicola.
Suzanne Stokes
è professore associato al College
of Health and Human Services
presso la Troy State University,
Idaho, Stati Uniti.
33
Dossier / Quanto sono efficaci gli strumenti didattici non verbali?
cettualizzazioni verbali. Come
afferma lo stesso autore: «Le parole sono in grado di esprimere
un’idea solo dopo che questa si
è già ben formata nella mente».
Altre ricerche suggeriscono
che l’integrazione di apparati
visivi alle lezioni ordinarie migliora l’apprendimento con vari
gradi di successo. Chanlin ha indagato come lezioni senza grafica, corroborate da una grafica
statica oppure ancora da animazioni grafiche, influenzino gli
studenti in base ai loro differenti
livelli di conoscenza generale dei
problemi, determinando in particolare il modo in cui elaborano
forme di conoscenza procedurale e descrittiva.
Quando le conoscenze di base
sono scarse, tutte le rappresentazioni grafiche, sia fisse sia animate, funzionano meglio delle
lezioni verbali nell’apprendimento di conoscenze descrittive, ma non sembrano influire in
modo rilevante su quelle procedurali. D’altra parte, quando gli
studenti sono già ben preparati,
sono le animazioni grafiche a
fornire gli stimoli migliori negli apprendimenti descrittivi,
ma le competenze procedurali si
avvantaggiano soprattutto delle
forme statiche di grafica.
Anche le ricerche di Chanlin
suggeriscono che studenti con
differenti livelli di conoscenza
preliminare rispondono in modo diverso alle specifiche forme
di presentazione, concludendo
che l’efficacia del visual design
per l’apprendimento è strettamente dipendente dal grado di
conoscenze preventive degli studenti. Le animazioni non sono
superiori alla grafica statica e
possono anche essere fonte di
forte distrazione, se azioni e movimenti non sono strettamente
coerenti con significati precisi e
con le modalità con cui gli studenti elaborano le informazioni
visive. In un ulteriore studio, lo
stesso autore suggerisce che la
proposizione di animazioni visive favorisce l’apprendimento
soprattutto nei maschi.
Ritratti della povertà
nei testi di economia
Un’analisi delle immagini illustrative della condizione di indigenza
nei manuali di economia più adottati nelle Università americane.
I bianchi sono poveri perché sfortunati, i neri perché colpevoli.
34
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / Ritratti della povertà nei testi di economia
di Rosalee A. Clawson
N
egli Stati Uniti, gli
afro-americani sono spesso dipinti
in una luce negativa. Immagini di neri come boss
della droga, criminali violenti e
scrocconi del welfare non sono
rare, mentre lo sono le raffigurazioni positive di neri.
Questa costruzione razziale
della povertà è particolarmente
preoccupante quando appare
nei libri di testo. Questi, infatti, sono la parte più visibile del
programma di studi e giocano
un ruolo centrale a ogni livello
del percorso scolastico. Le informazioni che veicolano sono
presentate come obiettive, imparziali e basate sui fatti. Molto probabilmente, gli studenti si accostano ai manuali con
un occhio piuttosto acritico; li
considerano fornitori neutri di
notizie accurate e fattuali,materiali non socialmente costruiti
o ideologicamente guidati. Come sintetizzano Sleeter e Grant,
«nei libri di testo, versioni socialmente costruite di attività
umane altrettanto socialmente
costruite sono presentate come
se fossero vere e naturali».
Sebbene oggi la maggior parte dei libri di testo universitari non includano più dichiarazioni apertamente razziste
è certamente possibile che le
immagini in questi stessi testi
promuovano forme più sottili
di razzismo. Le immagini sono
una componente significativa
di testi universitari e, come sintetizzano Kress e altri, «il visuale è ora molto più prominente
come forma di comunicazione
di quanto non lo sia stato nei
secoli che ci hanno preceduto».
Neppure va dimenticato che la
rappresentazione visiva di una
questione politica è parte integrante della definizione stessa
di tale questione.
Le ipotesi e il progetto
di ricerca
—
L’importante ricerca svolta da
Clawson e Kegler nel 2000 sulla
rappresentazione razziale della povertà nei libri di testo in
uso nei collegi statali americani
suggerisce tre ipotesi che intendo verificare in questo studio. La
prima è che i neri siano sproporzionatamente rappresentati
nelle raffigurazioni concernenti
la povertà. La seconda è che le
immagini di neri poveri siano
connotate in modo particolarmente non empatico, mentre
quelle di bianchi indigenti siano accompagnate da un atteggiamento più comprensivo,
propenso a considerare la loro
povertà come un effetto dell’accanirsi della sfortuna su persone comunque meritevoli. La terza è che i neri raramente siano
rappresentati nel contesto della
Social Security, il popolare programma di assistenza sociale.
Per verificare queste ipotesi ho
esaminato una serie di manuali introduttivi alle scienze economiche. Utilizzando le risorse
messe a disposizione dalla rete
(il Monument Information Resource’s Faculty Online Web),
ho identificato i 27 manuali di
economia più diffusi, tra i quali
ne ho selezionati 8 che includono immagini relative sia alla
povertà sia alla sicurezza sociale.
Ho individuato in definitiva 14
immagini connesse all’indigenza e 4 alla previdenza sociale.
In totale esse mostrano 45 persone povere e 6 beneficiari delle prestazioni sociali. Per ogni
persona, ho annotato l’etnia
(bianco, afroamericano, ispanico, asiatico americano o nativo
americano), il sesso (maschio o
femmina) e l’età (bambino, adolescente sino 18 anni, di mezza
età, cioè fra 18 e 64 anni, e infine
anziano, oltre i 65).
Ho anche considerato se le
immagini illustrino la povertà
contemporanea (dopo il 1990)
o quella della Grande Depressione negli anni Trenta. Infine,
ho confrontato queste rappresentazioni manualistiche con
la realtà, cioè con i dati forniti
dal Current Population Survey
condotto nel 1998 dal U.S. Bureau of the Census e con i dati sui
beneficiari dell’assistenza sociale, riportati nel 1998 dal United States House Committee on
Ways and Means (un organo di
35
L’ambiguo rapporto
fra immagini e realtà
—
Per cominciare, ho esaminato
la composizione razziale della
povertà contemporanea rappresentata in questi manuali
di economia. Oltre il 60% delle
persone povere sono di colore
nero. Si tratta di una grossolana
esagerazione perché secondo il
Bureau of the Census solo il 26%
dei poveri sono afro-americani.
Al contrario, i bianchi costituiscono appena il 36% dei poveri
del libro di testo, anche se nella
realtà sono il 46%.Tre dei quattro
libri di testo contenenti immagini di poveri contemporanei
rientrano in questa statistica,
mentre il quarto include una
sola persona povera bianca. Del
tutto assenti sono gli ispanici,
gli asiatici e i nativi americani,
a conferma della tesi di Clawson
e Kegler, secondo i quali queste
fasce della popolazione americana sono strutturalmente sotto-rappresentate nei manuali
scolastici.
Dato che in questi libri di
economia molte immagini di
poveri servono a illustrare i programmi del welfare, dai buoni
pasto all’assistenza pubblica, ho
considerato l’ipotesi che la loro
enfasi sull’aspetto razziale sia
funzionale a descrive la composizione sociale dei beneficiari
dell’assistenza sociale. Ma ciò è
vero solo in parte. La commissione Ways and Means della
Camera dei Rappresentanti ha
reso disponibile i dati, compresi
quelli relativi all’identità etnica,
di tutti gli assistiti nel programma AFDC (Aid to Families with
Dependent Children). Quindi ho
potuto confrontare le statistiche reali con le rappresentazioni manualistiche, riscontrando
ancora una grande discrepanza.
Solo il 37% dei beneficiari dell’assistenza sociale per adulti sono
afro-americani, ma tale cifra si
eleva al 58% nei libri di testo.
Per verificare l’ipotesi che i
neri poveri siano rappresentati in modo non empatico, ho
iniziato esaminando la loro
età. Una ricerca svolta da Cook
e Barrett, infatti, dimostra che
gli anziani sono considerati i
poveri più meritevoli, e d’altra
parte possediamo dati certi sulla loro incidenza effettiva, che
il Bureau of the Census fissa al
10%. I libri di testo esaminati
rispecchiano questa percentuale e, contrariamente alla nostra
ipotesi, pongono fra i poveri in
età avanzata un alto numero di
neri. Lo stesso discorso vale per
i bambini, anch’essi fortemente
rappresentati tra i poveri neri.
Successivamente, ho analizzato il genere sessuale dei poveri
presentati in queste fotografie,
tenendo presente, come hanno
suggerito Cook e Barrett, che la
↑
Afroamericani
in fila a uno
sportello dei
servizi sociali,
fotografia di M.
Bourke-White,
1937, wikipedia.
Dossier / Ritratti della povertà nei testi di economia
controllo e revisione della spesa
pubblica sociale afferente alla
Camera dei Rappresentanti).
tendenza a colpevolizzare i poveri per la loro condizione si rivolge soprattutto verso i maschi
adulti. Anche in questo caso si
riscontra una relativa scollatura dalla realtà: i poveri di sesso
maschile e di età adulta sono il
50% nelle immagini dei manuali
ma solo il 40% nella vita reale.Un
dato che in verità può derivare
da una sottovalutazione della
povertà femminile come fenomeno sociale.
Infine, ho considerato le
immagini dei poveri durante
la Grande Depressione, che secondo Katz sarebbero oggetto
di una particolare compassione
nell’immaginario sociale, quali
vittime incolpevoli di errori altrui. Sotto questo aspetto i manuali operano una chiara mi-
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / Ritratti della povertà nei testi di economia
36
Approfondire
—
J
• R. A. Clawson e E. R. Kegler, The “race
coding” of poverty in American government
college textbooks, in «Howard Journal of
Communications» 11, pp. 179-188, 2000.
• R. A. Clawson e R. Trice, Poverty as
we know it: media portrayals of the poor, in
«Public Opinion Quarterly» 64, pp. 53-64,
2000.
• F. L. Cook e E.Barrett, Support for the
American welfare state, Columbia University
Press, New York 1992.
• M. Gilens, Why Americans hate welfare,
University of Chicago Press, Chicago
1999.
• M. Katz, The undeserving poor, Pantheon,
New York 1989.
• G.Kress, R. Leite-Garcia e T. van Leeuwen, Discourse semiotics, in T. A van Dijk
(Ed.), Discourse as structure and process, pp.
257-291, Sage, London 1997.
•C. E. Sleeter e C. A. Grant, Race, class,
gender, and disability in current textbooks, in
M. W. Apple e L. K. Christian-Smith (Eds.),
The politics of the textbook, pp. 78-110, 1991.
•M. Whatley, Photographic images of
Blacks in sexuality texts, in «Curriculum
Inquiry» 18, pp. 137-155, 1988.
stificazione: tutti propongono
illustrazioni della povertà durante gli anni Trenta ma tutti
utilizzano in questo caso solo
immagini di bianchi.
Per quanto riguarda la terza
ipotesi, ho esaminato la composizione razziale dei beneficiari
della sicurezza sociale rappresentati nei manuali. I risultati
sono evidenti: sono tutti bianchi. È un’evidenza importante,
sia perché supporta l’ipotesi di
un forte pregiudizio sia perché
confuta una possibile spiegazione alternativa della generale
prevalenza dei neri come esempi visivi di povertà. Si potrebbe infatti argomentare che con
queste scelte gli editori stiano
semplicemente cercando di diversificare i loro prodotti, e che
ad esempio vi includano molti neri per connotarli in senso
multiculturale. Ma in questo
caso, mi sarei aspettato di vedere almeno alcuni, se non molti,
neri tra i beneficiari della sicurezza sociale.
I manuali come
i mass media
—
In sintesi, ho scoperto che i libri
di testo di economia perpetuano la rappresentazione razziale
della povertà, un risultato che
del resto conferma la ricerca di
Clawson e Kegler relativa ai manuali di tutte le discipline. Sembra inoltre assodato che rafforzino gli stereotipi ed emarginino
le esperienze delle minoranze
(ad esempio le donne) minimizzando l’impatto della discriminazione nella nostra società.
Sono risultati coerenti con
altre analisi relative al ruolo
delle immagini nella pubblicistica scolastica e divulgativa. Ad
esempio quelle svolte da Whatley sui manuali di educazione
alla sessualità umana, che documentano la presenza di immagini stereotipate di neri, e
quelle di Wasbum sulla presentazione della schiavitù nei libri
di storia liceali, che dimostrano
come le immagini si prestino a
una ricostruzione fortemente
ideologica di tale questione. In
breve, come sintetizzano Sleeter
e Grant dopo aver esaminato un
gran numero di manuali di storia, «a prescindere dal periodo o
dai fenomeni considerati, sono
soprattutto i bianchi maschi e
adulti a dominare la story line e
a essere celebrati per i loro successi».
Purtroppo, i manuali scolastici non sembrano quindi discordarsi dalla rappresentazione
razziale della povertà fornita dai
mass media.Sebbene ormai datata,
rimane ancora valida la ricerca
di Gilens sulla rappresentazione della povertà in riviste e telegiornali tra il 1988 e il 1992, in
cui lo studioso denunciò come i
neri siano sproporzionatamente
raffigurati tra i poveri. Dieci anni dopo Clawson e Trice hanno
dimostrato che la situazione è
rimasta del tutto immutata.
Dovremmo aumentare la nostra consapevolezza per quanto
riguarda i modi sottili con cui
pregiudizi razziali possono insinuarsi nei libri di testo. Le immagini visive sono importanti
veicoli informativi e dovremmo
prestare particolare attenzione
ai messaggi impliciti presenti
nelle fotografie. Le rappresentazioni razzializzate della povertà spesso passano inosservate
a professori e studenti bianchi,
ma non sfuggono certo all’attenzione degli studenti neri, contribuendo così ad accentuare il loro
senso di estraneità nelle Università tradizionalmente bianche.
Tratto da: R. A. Clawson, Poor People, Black Faces: The Portrayal of
Poverty in Economics Textbooks, in
«Journal of Black Studies», vol.
32, n. 3, 2002, pp. 352-361.
Traduzione a cura di Francesca
Nicola.
Rosalee A. Clawson
è docente di Scienze Politiche
all’Università di Purdue
a West Lafayette, Indiana.
La comunicazione visiva
in tre manuali di storia
Un’indagine sui valori suggeriti dalle immagini
illustrative che corredano tre libri di testo
dedicati alla storia del Novecento.
37
di Ubaldo Nicola
Lo spazio iconografico:
immagini e paratesto
—
La prima considerazione riguarda la rilevanza dello spazio iconografico,ovvero dell’insieme di
tutte le forme di comunicazione
visiva: cartine, mappe, fumetti,
linee del tempo, fotografie e documenti storici. La sua estensione si aggira fra un terzo e la metà
delle opere nel loro complesso. Il
numero di tali occorrenze iconografiche rasenta quello della
pagina in due casi e nel terzo è
addirittura superiore.
Se per valutare sul piano qualitativo l’effettiva importanza
comunicativa di questo spazio
iconografico ricorriamo alla semiotica, possiamo inquadrarlo
nella nozione di paratesto, quella parte di un’opera che non fa
parte del testo e può anche non
essere decisa dall’autore. In questi manuali,se escludiamo titoli,
glosse, esercizi e letture, sono gli
spazi iconografici a costituirne
la parte predominante.
Quest’area di contorno al
testo, apparentemente accessoria e spesso sottovalutata sia
dall’autore sia dal lettore, è in
realtà fondamentale rispetto
alla effettiva ricezione del testo. La anticipa prima di tutto
cronologicamente: la notazione
della presenza di un’immagine
sulla pagina precede sempre la
lettura del testo; anche se non
c’è ancora una vera osservazione
permette comunque di acquisirne il significato immediato.
L’immagine cattura l’occhio, come si dice, e lo studio di manuali
illustrati come questi è precedu-
to dallo sfogliarli, ricevendone
più o meno consapevolmente
una prima impressione effimera ma importante sia per la seguente analisi del testo sia per
il consolidamento mnemonico.
Anche se non posso addurre
prove, credo che se chiedessimo
a un trentenne cosa sia stata la
storia del Novecento rifacendosi
solo agli studi scolastici otterremmo risposte condizionate
dal paratesto molto più di quanto si immagini.
Oltre che esaudire la curiosità immediata, sollecitare forme
“
Le immagini determinano una
pre-comprensione che dirige e
indirizza la lettura del testo,
con esiti a volte coerenti e positivi,
a volte negativi.
„
di suggestione e quindi fissarsi nella memoria, questi spazi
iconografici sono determinanti anche dal punto meramente cognitivo, ossia rispetto alla
corretta interpretazione del testo autoriale. Ne determinano
infatti una pre-comprensione
che dirige e indirizza la lettura,
con esiti a volte positivi, quando
chiarificano i concetti spiegati,a
volte negativi, quando di fatto li
mistificano o accentuano aspetti non previsti dall’autore.
Parliamo insomma di una
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
C
ercherò in
questo articolo di indagare
i contenuti
della comunicazione visiva
in alcuni testi di storia dal punto
di vista del lettore, rispondendo
a domande del tipo: quali valori
sociali e culturali veicola? qual
è il livello di riflessione concettuale che l’accompagna? si
riscontrano casi di un suo uso
mistificante o addirittura didatticamente pernicioso?
In pratica ho esaminato il terzo volume, dedicato alla storia
del Novecento, di tre manuali
per le scuole medie inferiori:
Storyboard, edito da Mondadori Scuola, Scenari della storia, Le
Monnier, e Il Corriere della Storia,
Loescher Editore. Nonostante lo
sforzo di quantificare i dati, si
tratta di un’analisi qualitativa,
perché i criteri scelti per catalogare le immagini non rispecchiano certo la loro complessità
comunicativa. D’altra parte, i
risultati non si discostano molto
dalle impressioni che si ricevono a prima vista semplicemente
sfogliando i volumi.
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
38
↑
Figura 1.
Manifesto di
propaganda
staliniana.
parte importante della strategia
comunicativa di un manuale
scolastico. I semiotici descrivono il paratesto con la metafora
dell’atrio cognitivo, una soglia
che previene e poi accompagna la lettura influenzandone
l’interpretazione, in particolare agendo sul giudizio di pertinenza delle proposizioni, cioè
in pratica della significanza di
ciò che poi si va leggendo, un
aspetto importante dell’attività di studio, che in buona parte consiste nel distinguere fra
notizie accessorie e nozioni da
memorizzare.
Immagini testuali e
immagini illustrative
—
In un manuale di storia, ancor
più che in quelli di altre discipline, le illustrazioni possono
essere presentate e quindi anche
fruite in modo diverso. Dobbiamo distinguere fra immagini
offerte come un documento sto-
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
“Dobbiamo distinguere le immagini
autoriali e criticamente analizzate
da quelle illustrative, accompagnate
da una didascalia che ne descrive
solo il contenuto immediato.
„
rico dall’autore e criticamente
analizzate con un testo di corredo da quelle puramente illustrative e accompagnate da una
didascalia che si limita a indicarne la fonte e a descriverne il
significato immediato.
Queste ultime, le uniche
che possono essere considerate
paratesto, non sono quasi mai
autoriali, almeno nei manuali,
perché frutto delle scelte di una
figura professionale resa necessaria dalla complessità dell’editoria scolastica. È l’iconografo,
la cui mission sta nel reperire
illustrazioni di corredo al testo,
cioè in qualche modo legate al
contenuto della pagina in cui
si trovano. L’iconografo è prima
di tutto un esperto delle complesse questioni che regolano la
pubblicabilità di un’immagine,
dal diritto d’autore agli obblighi
di citazione, dalle norme etiche
assunte dalla casa editrice alle
qualità tecniche richieste dalla
stampa (formato, definizione,
colore, ecc).
Sono problemi a volte molto
complessi, specie dal punto di
vista legale, e sempre da risolvere in fretta, perché l’iconografo
può compiere le sue scelte solo
quando sono ormai chiari gli
spazi e le pagine destinate alla
funzione illustrativa. La soluzione più frequente consiste nel
sottoscrivere abbonamenti ai
database commerciali di immagini non editoriali, diverse cioè
da quelle reperibili sui circuiti
fotografici artistici e giornalistici. I più importanti di questi stock photography sono Getty
Images, Archivi Alinari, Photolia e Schutterstock. Quest’ultimo è stato il primo a nascere, nel
2003,e oggi archivia più di 50 milioni di fotografie e illustrazioni,
con un incremento giornaliero
di parecchie migliaia.
Chiunque infatti può usare
queste piattaforme per vendere immagini, purché superino tre controlli: uno etico sul
contenuto; uno tecnico relativo
al formato e alle qualità grafiche, che devono rispondere agli
standard elevati richiesti dalla
stampa industriale; uno legale, perché ogni immagine deve
essere accompagnata da una licenza che attesti il possesso di
un copyright da parte dell’autore e deve attenersi alle leggi che
in molti Paesi, Italia compresa,
regolamentano la pubblicabilità
di un’immagine. Ad esempio,
una fotografia in cui compare
in evidenza un volto in modo
tale da rendere la persona riconoscibile, deve essere accompagnata da una liberatoria scritta
della persona fotografata in cui
si attesti la rinuncia al diritto di
privacy, che potrebbe altrimenti
essere rivendicato in tribunale. Ma esistono naturalmente
molte eccezioni (celebrità, uomini politici) e ulteriori complicazioni derivanti da norme
convenzionali e di autocensura
che escludono la pubblicabilità
di certe immagini (contenuto
erotico, pubblicitario, orrorifico, non rispettoso di minoranze
perseguitate e così via).
Non ultimo, trattandosi di
una transazione commerciale, l’acquisto di un’immagine
deve essere accompagnato dal
pagamento degli oneri fiscali,
immancabili se pur variabili da
Paese a Paese.
Non esistono database specializzati in ambito educativo,
così che anche i testi scolastici
attingono allo stesso patrimonio visivo di cui si avvalgono le
riviste commerciali, i blogger
professionisti, i professionisti
dell’illustrazione e le imprese
che necessitano di usare in sicurezza un gran numero di immagini.
Questi siti offrono la possibilità di orientarsi tramite ricerche
linguistiche, cioè di chiedere
alla macchina ciò che si va cercando: tutte le immagini sono
infatti indicizzate con una serie
di parole chiave (di solito non
più di trenta) fornite dall’autore.
La loro veridicità è un aspetto
delicato del sistema, perché ovviamente ogni venditore cerca
di rendere maggiormente reperibili le sue immagini corredandole con parole chiave il più
possibile generiche e soprattutto più rispondenti alle richieste dei compratori, consultabili negli strumenti analitici di
supporto messi a disposizione
dalle piattaforme. Il controllo
numerico delle parole chiave e la
loro corrispondenza al contenu-
Immagini ricorrenti
—
L’enormità di questi archivi richiede una spiegazione e pone
il problema del loro utilizzo. Si
tratta per la maggior parte di
fotografie più o meno amatoriali, abbastanza generiche da
poter essere usate nei contesti
più diversi e con la leggerezza tipica dei moderni mass media.La
loro vendibilità è proporzionale
alla insignificanza concettuale.
Immagini storiche e fotografie
d’epoca vi compaiono solo quando sono offerte da venditori che
le hanno acquisite da fonti non
più soggette a diritti d’autore.
L’archivio cui di fatto attinge
l’iconografo di un manuale di
storia è quindi solo una porzione del materiale visivo messo a
disposizione dalla storia. Questo
potrebbe forse spiegare il ripetersi di alcune illustrazioni nei
diversi manuali. Il condizionale
è d’obbligo, perché un testo scolastico non cerca l’originalità a
ogni costo e vi sono immagini
che, avendo fatto la storia, come
si dice, sono degne d’apparire
in ogni edizione, magari anche
con note esplicative della loro
vicenda, in quanto immagini,
a volte più interessante dello
stesso contenuto.
Purtroppo, però, le
occorrenze di queste ripetizioni non
sembrano seguire
questa logica ma il
mero criterio della
reperibilità.
La stessa immagine di una fabbrica di armamenti
della Prima guerra mondiale (vedi
figura 4) compare
sia a pagina 63 di
Storyboard sia in
Scenari della storia,
a pagina 31. Mostra
in primo piano
tre operai maschi
chiaramente intenti a verniciare bombe e sullo
sfondo una moltitudine indistinta di operaie che non si capisce bene cosa stiano facendo.
Sarebbe una buona occasione
per commentare sia l’importanza del lavoro femminile nello
sforzo bellico della Prima guerra
mondiale,sia,e anzi soprattutto,
l’intento di nascondimento visivo che ha guidato il fotografo
nella scelta dell’inquadratura.
Se vi è una verità in questa immagine sta nella cultura maschilista che a suo tempo portò
a minimizzare l’ingresso delle
donne nel mondo produttivo e a
contrastare gli effetti liberatori
sul piano sociale che tale fenomeno implicava. Un pregiudizio di genere che i due manuali
inconsapevolmente perpetuano pubblicando l’immagine con
didascalie poverissime: “Una
fabbrica di munizioni all’inizio
del Novecento”.
Che il ripetersi delle stesse
immagini dipenda solo dalla reperibilità tecnica lo dimostrano
tutte le altre occorrenze: ricorre
la stesso stesso manifesto di propaganda staliniana (vedi figura
1), la stessa fotografia di Mussolini mentre usa una delle prime
cineprese (vedi figura 3). E così
via, per un totale, non esiguo, di 7
occorrenze di ripetizione in due
testi. Ben 5 immagini compaio-
←
Figura 2.
Caricatura
di Margaret
Thatcher,
«The Sunday
Times Magazine»,
aprile 1980.
39
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
to effettivo delle immagini sono
facilitati da software specifici
e oggetto di analisi a campione da parte dei gestori del sito,
determinando in definitiva un
punteggio che misura l’affidabilità di ogni venditore e il posto
che andranno a occupare le sue
immagini nell’ordine di apparizione sul sito.
Questa necessità di determinare statisticamente e su larga scala il genere e la posizione gerarchica delle immagini,
esclude che queste siano accompagnate da note, didascalie
esplicative o contestualizzazioni, come invece avviene nelle
agenzie fotografiche “editoriali”,
cioè documentative di fatti di
cronaca, in cui i reporter professionali vendono i loro prodotti a
giornali e televisioni.
no in tutte le opere esaminate,
tra cui una vignetta satirica della “ambiguità politica” di Giolitti (sempre senza alcuna indicazione di quale fosse la fazione
politica promotrice della satira).
L’approccio critico
all’immagine-documento
—
È quindi importante chiedersi
quale sia il rapporto numerico
fra le immagini autoriali e quelle meramente illustrative, e più
in generale se i manuali in esame si differenzino per il grado
di attenzione verso l’iconologia,
ovvero la competenza di appropriarsi in modo consapevole e
critico di una rappresentazione
visiva.
Le differenze sono notevoli.
In un scala dal basso poniamo
prima Il Corriere della Storia, che
commenta uno scarso numero di immagini con l’uso di tiranti (frecce che collegano un
Figura 3.
Mussolini con la
cinepresa.
↓
elemento specifico di un’immagine a una breve notazione),
ma d’altra parte cade numerose
volte nel grave difetto di presentare documenti visivi molto
complessi (vignette satiriche,
manifesti di propaganda, opere
pittoriche) con didascalie che
si limitano a descrivere il loro
significato immediato, aprendo
la porta a possibili fraintendimenti ed equivoci. Ad esempio:
“Guglielmo II come il diavolo su
una montagna di teschi”, senza
spiegare se il messaggio veicolato da questa vignetta satirica
sia aderente ai dati storici complessivi, come lascia supporre
l’assenza di indicazioni, oppure
sia un’assurda esagerazione polemica del disegnatore.
Soprattutto poi, questo approccio eminentemente contenutistico risulta diseducativo
perché occulta il fatto che il significato reale di questo tipo di
documenti storici sta nella funzione pragmatica assegnata alle
immagini, più ancora che nel
loro soggetto. La stessa vignetta
satirica su Maometto non ha lo
stesso significato se pubblicata
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
40
→
Figura 4.
Fabbrica di armi,
1917.
su «Charlie Hebdo», su «L’Osservatore Romano» o su un quotidiano di Teheran.
Trattandosi poi di un manuale di storia, va messa nel numero delle occasioni mancate
l’assenza, comune ai tre volumi
in esame, di qualsivoglia riflessione sulla liceità e gli eventuali
limiti etici della satira politica
o religiosa spinta sino ai limiti
estremi. In fondo viviamo in un
mondo in cui si muore per tali
questioni.
Ovviamente non si tratta di
introdurre forme di censura o di
selezionare i documenti storici
in base ai nostri attuali criteri di
correttezza comunicativa: tutto
può essere mostrato, purché, almeno in un manuale di storia,
sia contestualizzato, analizzato
nei significati evidenti ed impliciti (spesso preponderanti)
ed eventualmente criticato dal
punto di vista etico-formativo, spiegando cioè come certe
prassi comunicative usuali nel
passato possano essere considerate illegittime nella sensibilità moderna. Il Corriere della
Storia si caratterizza altresì per
un espediente di dubbio valore,
ossia il frequente accostamento di un personaggio storico a
una frase celebre a lui attribuita,
inserita in una “nuvoletta” collegata all’immagine. Il risultato
è aumentare a dismisura il già
esorbitante numero di ritratti e di immagini di personaggi
potenti.
Più attento ai problemi della
comunicazione visiva sembra
Scenari della storia, sebbene non
presenti un gran numero di
immagini autoriali. Oltre all’analisi con il metodo dei tiranti,
però, propone nella sezione laboratoriale di analizzare alcune
illustrazioni rispondendo a una
serie di domande sul loro contenuto immediato, senza per altro
offrire gli strumenti per analisi
più sofisticate.
In vetta alla classifica troviamo Storyboard, che non a caso pone come promettente sottotitolo
Parole e immagini della storia. Qui
le immagini-testo sono oggetto
di interventi didattici diversificati. Oltre all’indagine analitica
favorita dai tiranti, si propongono con sistematicità due tipi di
Una storia di battaglie?
—
Queste note sulla complessità
del lavoro sottostante la produzione di un manuale possono
spiegare come mai in tutti i
casi esaminati la funzione di
indirizzo svolta dal paratesto
iconografico risulti scoordinata
rispetto agli obiettivi cognitivi
che il testo si propone con tutta
evidenza di raggiungere.
Storyboard, ad esempio (ma le
stesse considerazioni valgono
per gli altri), mostra un’encomiabile attenzione per la dimensione sociale della storia,
concretizzata in pagine dedicate
all’avvento della società di massa, all’evoluzione della cultura e
dei modi di vivere, ma le suggestioni iconografiche indirizzano
verso altri modi di intendere la
storia.
Di gran lunga prevalenti, ben
63, sono le immagini descrittive di eventi bellici: scene di
battaglia, vita al fronte, condizione dei prigionieri, effetti
dei bombardamenti e così via.
Estremamente numerose (31)
sono poi quelle connesse al potere politico e alla sua dimensione istituzionale: incontri fra
capi di Stato, firma di trattati
e cerimonie pubbliche. Nessuna altra categoria riesce a insidiare il primato di queste due,
alle quali seguono in ordine di
frequenza immagini dedicate
all’emancipazione femminile
(23), a manifestazioni di massa,
comizi e adunate (13), alle modificazioni della vita quotidiana
(11), alla condizione dei bambini
(8) e altre minori.
L’immagine del Novecento e
della storia nel suo complesso
che ne trarrà lo studente non è
probabilmente quella cui puntava l’autore. Lo stesso accade
con le risposte ad alcune semplici ma fondamentali questioni
storiografiche. Qual è lo statista
più importante del Novecento?
Certamente Mussolini, dato che
surclassa tutti gli altri comparendo ben 18 volte in Storyboard,
9 in Il Corriere della Storia e 7 in
Scenari della storia. Quale il peso
degli individui nel procedere
della storia? Enorme, se i ritratti di personaggi celebri e ben
individuabili occupano ben 86
immagini. Quale il peso delle
donne in questo processo? Nullo,
dato che le uniche due femmine
individuabili sono Anna Frank
e Jacqueline Kennedy mentre
salta sul cofano dell’auto presidenziale nel momento in cui
il marito è ucciso a Dallas (per
“Qual è lo statista più importante
del Novecento? Certamente
Mussolini, dato che surclassa tutti
gli altri comparendo ben 18 volte.
„
inciso: la didascalia afferma che
stava fuggendo, come suggerirebbe la percezione immediata
dell’immagine. Ma è falso: stava
istintivamente cercando di afferrare quella parte di cervello
che aveva appena visto schizzare via dalla testa del marito, il
che suggerisce una lettura molto diversa dell’immagine).
Questioni di genere
e stereotipi
—
Ancor più delle parole, le immagini sono potenti strumenti di creazione e diffusione di
stereotipi, modelli ricorrenti e
convenzionali di discorso, che si
fissano come abitudini cognitive diventando opinioni precostituite in grado di influenzare
l’esperienza e rimanendo scarsamente suscettibili alle smentite di quest’ultima.
Ovviamente autori e iconografi hanno ben presente la
necessità che un manuale scolastico combatta gli stereotipi
più comuni e deleteri. Lo si vede
dall’attenzione dedicata ad alcuni nodi scottanti nella sensibilità contemporanea, come la
condizione della donna. I manuali in esame destinano tutti
un congruo numero di immagini a questo tema, sottolineando
le lotte delle suffragette per il
diritto di voto, la partecipazio-
41
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
attività: il confronto fra due immagini al fine di rilevare analogie e differenze caratterizzanti, e
l’accostamento di un’immagine
a una citazione o un brevissimo
testo storico, in modo da focalizzare l’attenzione sulla capacità
delle immagini di sintetizzare
concetti, propensioni politiche
o ideologie. Non solo: la sezione
laboratoriale assegna due tipi di
attività iconologiche. La prima
invita a un’analisi puntuale delle
immagini indicandone gli elementi notevoli con tiranti lasciati vuoti che spetta allo studente
completare. La seconda enfatizza il potere di suggestione di determinate immagini invitando
lo studente a comporre un libero
testo dopo averle osservate.
Soprattutto, Storyboard propone una riflessione metodologica
sul modo di accostarsi ai documenti visivi,anche se purtroppo
la inserisce in un’introduzione
al volume dedicata alle pratiche
della storiografia, probabilmente non utilizzata da tutti i docenti. Partendo dall’osservazione di
due fotografie del 1914, in cui
soldati francesi e tedeschi appaiono felici di recarsi al fronte, si
pone il problema della veridicità
dei documenti fotografici invitando alla contestualizzazione,
ossia al confronto con tutte le
altre fonti storiche disponibili.
Come secondo e ultimo esempio
si esamina il caso della documentazione fotografica dell’olocausto, con esiti per la verità
non molto convincenti sul piano metodologico, perché le tesi
dei negazionisti non sono prese
in seria considerazione.
Anche in Storyboard, comunque, il trattamento autoriale
delle immagini rimane minoritario rispetto a quello meramente illustrativo. Su 417 occorrenze iconografiche solo 80
sono immagini in vario modo
lavorate dall’autore (tiranti, confronto, accostamento) mentre
ben 258 sono quelle illustrative, inserite dall’iconografo,
suppongo, e da questi succintamente didascalizzate.
ne femminile alla produzione
industriale, agli eventi bellici e
alle battaglie per i diritti civili
nel dopoguerra.
A questa documentazione
della vita sociale delle donne,
tuttavia, fa da contrappunto l’evidenza di alcune connessioni
“Le donne sono presenti solo in
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
42
quanto categoria sociale, come
i bambini, i reduci o i popoli
colonizzati, ma assenti come
individualità storiche.
„
che oggi tendiamo a considerare espressione di stereotipi. Ad
esempio, le figure femminili sono di gran lunga prevalenti nelle
immagini che documentano le
modificazioni della condizione
personale (moda, stili di vita,
progressi materiali e così via),
ribadendo così una divisione
dei ruoli fra l’ambito politico,
prettamente maschile, e la sfera
domestica, intimistica e famigliare, in cui le donne svolgerebbero il loro ruolo precipuo.
Soprattutto, le donne sono
presenti solo in quanto categoria sociale, come i bambini,
i reduci o i popoli colonizzati,
ma assenti come individualità
storiche. È impressionante che
in Scenari della storia non appaia
neppure una sola immagine di
una donna individuabile con
nome e cognome, e che oltre ad
Anna Frank e Jacqueline Kennedy (in Storyboard) siano rintracciabili (in Il Corriere della Storia)
solo Margaret Thacher (vedi figura 2) ed Eva Perón (presentata
però solo come moglie dell’illustre marito, senza accenni al suo
ruolo politico neppure nel testo).
Certamente le donne protagoniste riconosciute della storia
del Novecento non sono molte,
ma questi testi arrivano sino
alla contemporaneità, per cui
accanto a Ceausescu, Bob Dylan
e Di Pietro potrebbero anche trovarsi Indira Gandhi, la regina
Elisabetta o Angela Merkel.
E perché non Emma Bonino?
Sarebbe un modo per ricono-
scere che anche i movimenti
d’emancipazione femminile,
come tutti gli altri movimenti
sociali, hanno espresso leader
(cioè donne) dalla personalità
memorabile. Quello delle suffragette non fu solo un fenomeno sociologico: fu capitanato da
eroine degne di una citazione e
una foto almeno quanto molti
eroi. E lo stesso si può dire per
altri episodi: pensiamo alle istituzioni che si occupano della
cura dei malati al fronte, dell’assistenza ai bambini e del soccorso ai poveri del mondo, che
sono state fondate a seguito di
battaglie in cui le donne hanno
dimostrato notevoli capacità di
leadership, da Florence Nightingale a Eglantyne Jebb, da Madre
Teresa di Calcutta a Maria Montessori.
Ragionamenti analoghi si
possono fare per altri temi che
la sensibilità contemporanea
giudica scottanti. Ad esempio
la rappresentazione dei neri e
degli africani, sempre, solo e
unicamente centrata sull’efferatezza del loro sfruttamento
in epoca coloniale e sulla drammaticità della loro attuale condizione materiale (siccità, mortalità infantile, degrado delle
bidonville). L’immagine di un
bambino nero riprodotta a pagina 44 di questa rivista compare ad esempio ben due volte in
Storyboard per illustrare il problema attuale della carenza di
acqua. I motivi che sottostanno
a queste scelte di denuncia sono
chiari e anche condivisibili; sta
di fatto però che l’uso di un solo
e unico registro per una realtà
tanto complessa finisce per avere effetti stereotipizzanti, confermando l’equazione mentale
fra l’Africa e una povertà atavica
e irrisolvibile.
Anche la rappresentazione
dei bambini è quasi totalmente
improntata alla denuncia del
loro sfruttamento (lavoro in fabbrica, bambini soldato) e delle
sofferenze particolarmente efferate che le guerre provocano
loro. Tutte cose vere, ma ancora
una volta sono la costanza seriale di queste associazioni mentali
e l’unilateralità del loro punto di
vista ad avere effetti fuorvianti.
Suggeriscono una visione in cui
i bambini servono solo a dimostrare quanto grande sia la crudeltà degli adulti,tralasciando le
occasioni in cui compaiono non
come meri oggetti della storia
ma come soggetti attivi, a volte
persino esprimendo veri e propri leader, come Malala, di cui
sarebbe bello vedere il ritratto.
Un’educazione alla
lettura delle immagini
—
Dopo aver tanto criticato corre
l’obbligo di dire almeno a grandi linee cosa si potrebbe fare.
Di certo non poco, se solo nelle
pagine gli ampi spazi oggi usati
a scopo ornamentale fossero ripensati in un progetto organico
e fondato sulla consapevolezza
della loro portata cognitiva, per
certi versi ancor più importante
del testo nel costruire l’immaginario della storia, o la sua narrazione, come oggi si ama dire.
In un manuale dedicato al
Novecento questo progetto dovrebbe proporsi di offrire agli
studenti una strumentazione
intellettuale atta a capire le
molteplici, importanti e spesso controverse funzioni assegnate alle immagini nella vita
civile e nelle lotte politiche attuali. Dato che non è il caso di
approfondire qui questi temi,
basti qualche esempio: la foto
del piccolo Aylan annegato sulla
spiaggia diventa un argomento
importante nel dibattito politico sull’immigrazione; decine di
giovani europei si lasciano sedurre da una propaganda jihadista che usa le tecniche hollywoodiane per estetizzare la guerra;
la liceità di pubblicare vignette
su Maometto è posta come un
valore per cui si è disposti a uccidere e morire; la possibilità di
diffondere subito e ovunque le
immagini trasforma le esecuzioni in esibizioni spettacolari
secondo un’inedita propaganda
ANALISI ICONOGRAFICA DI TRE MANUALI DI STORIA DEL NOVECENTO
* STORYBOARD
** SCENARI
DELLA STORIA
*** IL CORRIERE
DELLA STORIA
numero di pagine
432
383
360
istruzioni storiografiche introduttive
SI
NO
NO
spazi iconografici
417
459
371
GENERE DI IMMAGINE
83 (20%)
62 (13,5%)
66 (18%)
autoriali (con attività interpretative)
81 (19%)
30 (6,5%)
40 (11%)
illustrative (con didascalie brevi)
253 (61%)
367 (80%)
265 (71%)
TIPO DI IMMAGINE
fotografie
262
296
240
documenti visivi (vignette, manifesti)
42
60
54
opere d’arte
13
22
11
17 (pagine intere)
19 (illustrazioni)
0
fumetti
CONTENUTO E ASSOCIAZIONI PIÙ FREQUENTI
ritratti di personaggi maschili individuabili
86
63
59
ritratti di personaggi femminili individuabili
2
0
2
Mussolini (18 volte)
Mussolini (7)
Mussolini (9)
eventi bellici
72
79
70
vita delle istituzioni
41
57
39
condizione della donna
40
48
30
in attività sociali (produzione, guerra, ecc.)
16
24
15
in attività famigliari
24
24
15
manifestazioni di massa
23
37
30
vita quotidiana e materiale
11
40
20
bambini
8
16
20
africani
9
10
5
personalità più rappresentata
* V. Calvani, Storyboard. Parole e immagini della storia. Il Novecento, Mondadori Scuola, Milano 2011.
** E. B. Stump, Scenari della storia. Il Novecento, Le Monnier, Milano 2010 (non è stato considerato l’Atlante allegato).
*** M. Onnis e L. Crippa, Il Corriere della Storia. Dal Novecento alla contemporaneità, Loescher, Torino 2014.
43
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
concettuali (cartine, schemi, mappe)
visiva di tipo orrorista. E così
via: gli esempi possibili sono
fin troppi anche rimanendo solo nell’ambito delle forme della
guerra, il tema iconografico più
considerato dai manuali.
La riflessione critica sul presente dovrebbe essere preparata
dallo studio del passato, svilup-
“Solo abituandosi a diffidare
„
Dossier / La comunicazione visiva in tre manuali di storia
44
sistematicamente delle immagini
si può riequilibrare l’impressione di
verità che recano in sé.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Un bambino
del Darfur, da
Wikipedia.
↓
pando una sistematica educazione alla lettura delle immagini. Ecco una possibile sintesi
in ordine gerarchico crescente
delle competenze che questa didattica potrebbe sviluppare.
Lo studente dovrebbe dapprima saper distinguere fra i diversi generi in cui le immagini
si presentano, ognuno dei quali
è connotato da una natura specifica: vignette, caricature, manifesti, opere d’arte, fotografie
sono tutti documenti storici ma
intrattengono un diverso rapporto sia con l’obiettività storica
sia con le aspettative dell’osservatore. Dovrebbe quindi essere
capace di distinguere il contenuto di un’immagine dall’uso,
dalla funzione che assume in un
contesto storico determinato.
Dovrebbe poi abituarsi a leggere un’immagine come un testo polisemico e solo in parte
intenzionale, in cui accanto a
quelli previsti dall’autore sono
spesso presenti significati ulteriori e inconsapevoli. È la via
attraverso cui le immagini si
prestano a veicolare stereotipi e
pregiudizi.
Lo studente dovrebbe essere
indotto a riflettere su come i giudizi di verità sulle immagini siano profondamente influenzati
dalle aspettative di chi le osserva.
Ad esempio, una foto di guerra
brutta e mossa appare più vera
proprio per la sua imperfezione
tecnica, che può anche essere
simulata ad arte dal fotografo.
Robert Capa fu il primo ad inventare questo sottile modo di
suggestionare l’osservatore nella
celebre immagine del miliziano
spagnolo morente, giustamente
riportata dai manuali pur senza
commenti adeguati. Le aspettative sono determinanti, cambiano secondo l’epoca e dipendono
persino dai mezzi tecnici con cui
l’immagine è stata prodotta: la
fotografia nell’era digitale vede
perdere l’aura di oggettività che
possedeva nell’era della impressione chimica.
Immagini e sofferenza
—
Un manuale di storia dovrebbe infine puntare a sviluppare
competenze nel campo dell’educazione civica, ad esempio
sottolineando la portata etica di
scelte iconografiche apparentemente innocenti. Le immagini
sono un ottimo strumento per
documentare le sofferenze, e i
tre manuali in esame insistono molto sul registro della denuncia. Ma fino a che punto le
sofferenze altrui possono essere
usate per esprimere un concetto? Il rispetto verso chi sta patendo è anch’esso un valore etico
da salvaguardare. E soprattutto:
possono le convenzioni che regolano le testimonianze visive
del dolore umano essere diverse
secondo l’etnia del sofferente?
La coscienza civile ripudia l’idea,
ma questa è la pratica corrente,
purtroppo anche nei nostri manuali oltre che nel resto della
carta stampata. Su un quotidiano non è possibile trovare il volto di un bambino morente, né
quello di un cadavere a seguito di
un incidente stradale,ma le convenzioni saltano se a morire è un
bambino africano o la vittima di
una strage in un Paese esotico.
Infine, porrei come competenza massima l’acquisizione di una sana diffidenza nei
confronti di tutte le immagini,
l’assunzione verso di esse di un
atteggiamento pregiudizialmente critico e caratterizzato
dal sospetto. Se si vuole, la consapevolezza che, ancor più delle parole, le immagini sono un
ottimo strumento per mentire.
Solo l’abitudine a questo dubbio estremo può riequilibrare
l’impressione di verità che ogni
immagine reca in sé.
Ubaldo Nicola
direttore editoriale de La ricerca.
I QUADERNI
I Quaderni della Ricerca sono agili monografie
pensate come contributo autorevole
al dibattito culturale e pedagogico italiano.
I Quaderni della Ricerca sono online
www.laricerca.loescher.it/quaderni.html
Per le copie cartacee
rivolgersi in libreria
o presso l’agente di zona
www.loescher.it/agenzie
SCUOLA
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
46
Dall’automatismo
al problem solving:
come sopravvivere
alle anafore
Una delle più autorevoli
studiose del fenomeno della
comprensione fornisce un
sorprendente esempio di come
si possa trasformare un difetto
di scrittura in un’occasione di
qualità educativa, utilizzando
le anafore problematiche e
i ragionamenti necessari a
trovarne le coreferenze.
di Lucia Lumbelli
L
a fase del processo di scrittura che
consiste nella revisione del testo
(Hayes, Flower 1980; Bereiter, Scardamalia 1987; Hayes 1996; Boscolo
1997; Fayol, Alamargot, Berninger
2012) ha uno stretto, quasi ovvio,
nesso con il processo della comprensione, dal
momento che, prima di correggere, si tratta di
leggere con attenzione. La fase della revisione ha
una particolare importanza perché ha dimostrato
di discriminare sia tra le diverse fasi dello sviluppo dell’abilità di scrivere, sia tra i diversi gradi
di questa abilità in età adulta. Chi scrive meglio
ricorre alla revisione più frequentemente e più
efficacemente.
Nella revisione del testo scritto si tratta anche
e soprattutto di osservare gli elementi linguistici
verificando se essi garantiscono la principale qualità del testo che è la coesione, di cui sono indicatori
47
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
Beppe Fenoglio alla scrivania.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
48
i connettivi,vari tipi di elementi linguistici
che hanno in comune la funzione di segnalare i rapporti tra i significati delle
diverse frasi o parti del testo. La caccia
ai connettivi sembra essere un compito educativamente importante proprio
perché darebbe luogo alla ricerca di che
cosa viene connesso (il significato delle
frasi collegate dal connettivo) e di quali
processi cognitivi devono essere attivati
perché il connettivo assolva alla sua funzione coesiva.
Ci possono essere connettivi che aiutano il lettore a comprendere il testo
utilizzandoli per collegarne le parti, e
connettivi che invece possono assolvere
alla loro funzione coesiva solo a
Questi connettivi
condizione che si
difficili sono anche
eseguano integrauna felice occasione
zioni inferenziaper progettare una
li. La necessità di
compiere queste
didattica della revisione
integrazioni rende
della scrittura fondata
il connettivo diffisul problem solving e
cile da capire, sosulla autoregolazione
prattutto nel caso
dell’allievo.
di lettori/ revisori
non esperti. Ma c’è
anche un vantaggio: questi connettivi
“difficili” sono anche una felice occasione
per progettare una didattica della revisione della scrittura fondata sul problem solving e sulla autoregolazione dell’allievo.
Da qui l’importanza di isolare qualche
nesso linguistico che segnali una complessità cognitiva e quindi una difficoltà
di comprensione che il revisore dovrebbe
apprendere a identificare ed esaminare,
per poi ridurre o eliminare. In altri termini,l’esame del revisore deve decidere se
l’utilizzazione corretta del nesso richieda
o no, oltre alla decodifica linguistica, anche una elaborazione cognitiva, richieda
cioè inferenze nel senso di ragionamenti
(Kintsch 1998). Ragionamenti che il testo
scritto, per essere capito, richiede al lettore, creandogli una difficoltà.
Da qui la prospettiva di trasformare il
compito, generalmente non molto appetibile, della revisione, in un compito di
vero e proprio problem solving, che così
si articola:
1. concentrare l’attenzione sul nesso linguistico;
2. accertare se esso richieda una complessa elaborazione cognitiva per assolvere alla funzione di elemento di
coesione;
“
„
3. ricostruire i processi cognitivi che rendono utilizzabile il nesso linguistico e
rendono quindi comprensibile il brano
in cui quel nesso linguistico compare;
4. riscrivere il testo traducendo l’anafora
con l’espressione del significato che
essa richiede di ricostruire.
Un connettivo con queste caratteristiche
è stato scoperto a suo tempo analizzando
testi espositivi per verificarne la comprensibilità (Lumbelli 1999, 2009). È quel
tipo di richiamo anaforico che in generale
può essere capito (e cioè usato per collegare diverse informazioni nell’ambito di
un’argomentazione o di una spiegazione) solo se vengono ricostruiti i processi
cognitivi che permettono di collegare
l’espressione anaforica e la sua coreferenza, e assicurare pertanto al richiamo
anaforico sia un significato di per sé, sia
la funzione di connettivo.
Nel caso di queste speciali anafore
problematiche, non bastano le regole
linguistiche per l’uso dell’anafora come
elemento di coesione dei testi (Halliday,
Hasan 1976; Garnham 1987; Ehrlich 1999),
ma il collegamento con la coreferenza si
ottiene solo grazie a qualche forma più o
meno complessa di ragionamento.
È bene dunque illustrare alcuni esempi
per chiarire che cosa si intende per anafore
problematiche e per la loro soluzione come
ricostruzione dei processi cognitivi necessari per la loro comprensione. Processi
che sono legati alla specifica formulazione linguistica dello specifico brano in cui
l’anafora è inserita.
Qualche esempio
—
Ecco anzitutto un esempio che può sembrare semplice ma probabilmente non lo
è per il lettore non esperto. È necessaria
un’integrazione cognitiva della decodifica linguistica per rendere il testo comprensibile; è un lavoro cognitivo decisamente eccessivo e improbabile per questa
categoria di lettori.
La ricostruzione dei ragionamenti richiesti per utilizzare correttamente un’anafora problematica – come nell’esempio
che segue – appare un buon percorso non
solo per la diagnosi della comprensibilità
di un testo,ma anche per l’identificazione
della correzione che renda più facilmente
e velocemente comprensibile un brano e
sia perciò il traguardo di un intervento
educativo che migliori l’abilità di revisione della scrittura.
Il materiale esaminato consisteva in
conversazioni informali o conversazioni
nelle quali il paziente aveva il compito
di descrivere un particolare evento. La
ricerca ha dimostrato che variazioni significative nelle strategie di riparazione
dei messaggi dipendevano dal tipo di
compito conversazionale: raccontare un
evento dimostrava chiaramente di essere
un compito più difficile che non parlare
di argomenti personali, e ciò causava un
aumento nelle strategie di riparazione.
49
trasformare il compito di capire l’anafora
in una situazione di problem solving, e
anzitutto a vedere il problema, ad accorgersi
che quella parolina non è qualcosa di così
semplice come pare.
Questo aiuto è necessario: dato che la
comprensione della lettura consiste in
processi prevalentemente automatici,
richiami anaforici come il ciò dell’esempio passano perlopiù inosservati, e cioè
vengono elaborati senza consapevolezza.
Quindi anche il probabile eventuale errore resterebbe fuori dal controllo consapevole che è indispensabile sia per la scoperta del problema, sia per l’elaborazione
della sua soluzione.Soluzione che sarebbe
poi la base di una corretta correzione: cioè
la sostituzione del ciò con l’espressione
la difficoltà del compito di raccontare
un evento.
Quello che segue è un esempio che presenta ben due richiami anaforici.
Secondo alcuni ricercatori, l’influenza
delle conoscenze precedenti dei lettori
sui loro errori di comprensione potreb-
↑
Luciano Bianciardi.
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
Qual è il coreferente di ciò? In altre parole,
con che cosa possiamo “tradurlo in modo
da conferirgli un significato autonomo?
Senza questa traduzione/sostituzione
l’ultima frase non si collega con il testo
precedente in modo chiaro, resta ambigua. Almeno se ci mettiamo nei panni
(nella mente) di un lettore non esperto.
Ecco il percorso mentale che il lettore
dovrebbe intraprendere per utilizzare
il ciò come collegamento tra la parte di
testo che lo precede e la frase in cui è
inserito.
Anzitutto il coreferente non può essere il significato complessivo della parte
che precede l’anafora. Infatti il ciò non
può essere sostituito da quanto è stato
dimostrato dalla ricerca, e cioè che le
strategie di riparazione variano con il tipo
di compito conversazionale, che esistono
tipi di compito conversazionale più e meno difficili, e che il compito di raccontare
un evento è più difficile che non parlare
di esperienze personali.
Il risultato di tale sostituzione, ovvero
quanto è stato dimostrato dalla ricerca (al posto del ciò) causava un aumento
nelle strategie di riparazione (il resto
della frase introdotta dal ciò), è una frase
senza senso, priva di coerenza. Bisogna
trovare un’altra traduzione del ciò.
Quella traduzione potrebbe fondarsi
sul seguente ragionamento: se le strategie di riparazione cambiano con il tipo di
compito, se ci sono compiti più o meno
difficili, se il raccontare un evento è un
compito più difficile che non parlare di
esperienze personali, allora ciò che causa
un aumento delle riparazioni è la difficoltà del compito di raccontare un
evento.
Nel caso di un lettore che avesse bisogno di questo ragionamento per usare
correttamente il ciò, e quindi per capire
il brano nel suo complesso, l’intervento educativo dovrebbe aiutare l’allievo a
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
50
↑
Ernest Hemingway
al Dorchester Hotel
di Londra, nel 1944.
be essere assunta come valida soltanto
per le situazioni sperimentali in cui è
stata accertata, e non potrebbe essere
generalizzata all’esperienza comune dei
lettori. Spiro non concorda con questa
valutazione, e ritiene, al contrario, che
questo fenomeno riguarda soprattutto
situazioni ecologicamente valide.
Nel testo che precede le due anafore
non c’è nessuna parola o espressione che
funzioni immediatamente come coreferente. Per ricostruirlo correttamente
nei due casi bisogna cominciare con il
chiedersi che cosa nelle frasi precedenti
possa essere il coreferente di questa valutazione. Con quale contenuto semantico tale anafora può essere tradotta? La
domanda per l’allievo è semplicemente:
quale valutazione?
Una forma di valutazione può essere
riconosciuta nell’assunzione di alcuni
autori secondo i quali certi dati sperimentali non sarebbero validi all’infuori
delle situazioni sperimentali in cui sono
stati accertati.Può essere considerata una
forma di valutazione il negare validità
ecologica a certi dati sperimentali. Ma
questa coreferenza può essere identificata non tanto grazie alla competenza
semantico-lessicale del lettore/revisore
quanto alla sua competenza cognitiva,
grazie cioè a un ragionamento come il
seguente: se nelle prime frasi del testo
si tratta di riconoscere qualche forma di
valutazione, essa si può riconoscere nel
giudizio che certi autori danno di certi
risultati sperimentali. Da qui la correzione
cui potrebbe/dovrebbe giungere il lettore/
revisore: Spiro non concorda con gli
autori che negano validità ecologica
a certi dati sperimentali.
Il riferimento agli esperimenti in questione è stato finora indeterminato proprio per evitare di anticipare l’analisi
dell’anafora questo fenomeno. Questo
secondo richiamo anaforico ha la coreferenza nella frase iniziale del brano che è
stata ignorata nella ricostruzione del significato di questa valutazione. Mentre
quell’anafora può essere risolta anche se
non si riesce a identificare correttamente
il preciso riferimento all’oggetto della
valutazione, è questo preciso riferimento
che serve a tradurre la seconda anafora
questo fenomeno.Qui l’interrogativo da
porsi è: qual è il fenomeno che, per Spiro,
riguarda soprattutto situazioni ecologicamente valide? C’è nel testo il riferimento a un preciso, specifico fenomeno?
Le varie critiche all’introspezionismo non
hanno rilievo per gli studi sulla metacognizione. Infatti, in questo contesto,
si assume soltanto la possibilità che l’individuo produca idee sul funzionamento
della mente usando l’introspezione, e non
la verità di tali idee. Il fatto stesso che con
quelle critiche si metta in discussione la
verità del risultato della esperienza introspettiva, suggerisce che questa esperienza esista effettivamente.
In un primo momento sembra che
siano sufficienti le regole linguistiche
per identificare la coreferenza dell’espressione anaforica in questo contesto nel
più vicino tra i due possibili candidati
contenuti nella prima frase del brano
(introspezionismo e studi sulla metacognizione). L’anafora può essere effettivamente tradotta con studi sulla metacognizione. Ma con l’applicazione di questa
regola linguistica non c’è la garanzia che
il nesso linguistico espresso dall’anafora
venga utilizzato con la sua funzione di
connettere correttamente i significati
espressi dalle diverse frasi del brano.
Il percorso cognitivo porta a questa
stessa soluzione,e cioè che contesto vada
tradotto con studi sulla metacognizione, ma tale percorso garantisce l’uso
dell’anafora come connettivo tra diverse
parti del testo nonché l’innesto di un
intervento educativo di incomparabile
qualità.
Ancora una volta si parte dalla domanda che orienta la ricerca nel testo: in quale
contesto? Si esamina la frase introdotta
prima dal connettivo infatti e poi dall’anafora, e se ne ricostruisce il contenuto
semantico: è il contesto in cui si assume
la possibilità che la persona produca con
l’introspezione alcune idee sul proprio
funzionamento mentale senza per questo
assumere che le idee elaborate con tale
introspezione siano affidabili scientificamente. Sono queste le caratteristiche
degli studi sulla metacognizione che
rendono non rilevanti nei loro confronti
le critiche all’introspezionismo, e cioè le
critiche all’uso del metodo introspettivo nella ricerca scientifica. È da questa
sintesi che si può inferire la coreferenza
dell’anafora in questo contesto, che va
tradotto con negli studi sulla metacognizione.
La frase finale può essere considerata
un’ulteriore argomentazione dell’assunzione dell’irrilevanza delle critiche all’introspezionismo nei confronti degli studi
sulla metacognizione.
Vi si trova anzitutto un richiamo anaforico non problematico, cioè l’espressione con quelle critiche: a differenza del
tipo speciale di anafore che qui si stanno
discutendo, l’identità di scelta lessicale
(critiche) rende piano e immediato il riconoscimento della coreferenza in
Le anafore
le varie critiche
problematiche
solitamente
all’introspeziofacilitano l’accesso
nismo. Si tratta di
alla consapevolezza
una di quelle anafore che non sono
di elementi della
problematiche
coesione linguistica che
perché assolvono
normalmente vengono
immediatamente
decodificati in modo
e facilmente alla
automatico e quindi
funzione di connettivo. In queinconsapevole.
sto caso, l’anafora
semplice favorisce la comprensione della
connessione tra i contenuti della frase
iniziale e di quella finale, e cioè tra l’affermazione che le critiche all’introspezionismo non hanno rilievo per gli studi sulla
meta cognizione (frase iniziale) e il fatto
che tali critiche mettono in discussione
la verità del risultato della ricerca tramite
introspezione (frase finale) e proprio per
“
„
51
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
In questo caso, la risposta si trova esplorando la prima parte del brano e identificando il riferimento all’influenza delle
conoscenze precedenti dei lettori sui
loro errori di comprensione. Sarebbe
quest’influenza il dato sperimentale che
certi autori ritengono legato all’esperimento stesso e che invece Spiro considera
valido anche per i contesti dell’esperienza
comune.
Posso arrivare a questa soluzione solo
se riconosco questo fenomeno nel preciso dato per cui le conoscenze del lettore
incidono sui suoi errori di comprensione,
escludendo così dalla ricerca di questa
coreferenza tutta la parte successiva del
brano. Qui la correzione sarebbe: Spiro
ritiene che le conoscenze precedenti
dei lettori influenzino i loro errori di
comprensione non solo in situazioni
sperimentali, ma anche e soprattutto in
situazioni ecologicamente valide.
Nell’ultimo esempio la ricostruzione
del percorso di ricerca della coreferenza è
concentrata su un’anafora che in un primo momento non sembra richiedere una
ricostruzione relativamente complessa.
questo sembrano presupporre la fattibilità dell’introspezione, o esperienza
introspettiva (frase finale). Se si mette in
discussione il valore del risultato ottenuto con un tipo di metodo o di esperienza
cognitiva,se ne dà per scontata l’esistenza
o/e la fattibilità.
Le qualità della situazione
educativa centrata
sull’anafora problematica
—
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
52
Allen Ginsberg
a San Francisco
nel 1955. © Peter
Orlovsky/Archive
of Allen Ginsberg.
↓
Le caratteristiche delle anafore problematiche emerse dagli esempi determinano le qualità educative di una situazione
didattica che sia centrata su questo tipo
di anafora e con l’obiettivo di migliorare
l’abilità di revisione della scrittura. Sono
qualità educative sulla cui importanza
c’è un consenso molto vasto pur nella
pluralità dei linguaggi. Qui si adotterà
il linguaggio della ricerca psicologica
applicata all’educazione: problem solving,
autoregolazione, motivazione intrinseca, metacognizione come controllo (monitoring)
consapevole dei processi cognitivi. Tutti
concetti che verranno ora applicati all’utilizzazione delle anafore problematiche
per migliorare l’abilità della revisione
della scrittura.
Come si è già accennato, le anafore
problematiche solitamente facilitano
l’accesso alla consapevolezza di elementi
della coesione linguistica che normalmente vengono decodificati in modo automatico e quindi inconsapevole. Questa
consapevolezza è favorita dalle domande
qui esemplificate a proposito di ciascuna anafora, domande che nel contesto
educativo dovrebbero essere ovviamente
poste dall’insegnante, e alle quali l’allievo
dovrebbe rispondere mediante una ricerca nel testo. Nel corso di tale ricerca viene
anzitutto richiamata alla consapevolezza
la singola anafora, ma subito dopo l’attenzione dell’allievo/revisore si estende
a tutto il materiale linguistico.
La situazione di problem solving favorita
dalla domanda riguardante l’anafora problematica contagia, per così dire, l’intero
testo circostante, e favorisce nel revisore
quell’atteggiamento attivo, attento, che
è uno degli obiettivi della stimolazione
dell’abilità di leggere-per-correggere.
In questo contesto, il principio di autoregolazione dell’allievo si combina con la
predisposizione di standard e criteri in
base ai quali la scrittura va esaminata, ed
eventualmente corretta.
Dal problem solving alla motivazione
intrinseca: non si ha vero problem solving
se il solutore non è stato incoraggiato a
far proprio il problema (problem posing)
e quindi a procedere nella ricerca con
una motivazione che è intrinseca, perché
intrinsecamente connessa con i ragio-
Questo recupero provvisorio del controllo
consapevole di processi cognitivi che
sono normalmente automatici e consistono nello stesso tempo in inferenze o
ragionamenti è la caratteristica dell’approccio che ho già proposto e sperimentato a proposito della stimolazione della
comprensione della lettura con conferme
empiriche di fattibilità ed efficacia (Lumbelli 2009).
Il passaggio provvisorio alla consapevolezza, in entrambi i casi – comprensione della lettura e revisione della scrittura
–, crea le basi per raggiungere l’obiettivo
finale di un’esecuzione automatica
La situazione di problem
corretta. Obiettivo
solving favorita
che viene raggiundalla domanda
to attraverso una
riguardante l’anafora
serie di esperienze
di ricostruzione
problematica
dei processi ricontagia l’intero
chiesti dalla comtesto circostante, e
prensione di un
favorisce nel revisore
nesso problemaquell’atteggiamento attivo
tico come le anafore esemplificate.
che è uno degli obiettivi
È un caso di didatdella stimolazione
tica tramite esempi
dell’abilità di leggere(Renkl 1997; Swelper-correggere.
ler 2006). Si tratta
infatti di esempi di
ragionamenti che, normalmente, avvengono automaticamente senza che la loro
pertinenza possa essere valutata dalla
mente che li esegue, ma possono diventare automaticamente corretti e pertinenti
proprio grazie all’intervento educativo
fondato sull’esperienza consapevolmente monitorata dall’allievo.
Due componenti di questo approccio
hanno particolare valore per la precipua
stimolazione della abilità di revisione.
Primo, lo standard per l’autovalutazione non deve riguardare il risultato dei
processi di ricostruzione, come per esempio l’uso di frasi come “questo non è chiaro”,
utilizzate in vari approcci di stimolazione
dell’abilità della revisione (Bereiter, Scardamalia 1987; Schriver 1992). Ma i criteri
devono riferirsi al percorso cognitivo che
porta a quel risultato. Devono essere criteri che siano anche criteri per orientare
l’esecuzione di quei processi stessi nel
corso dell’istruzione.
Secondo, bisogna assumere l’esistenza
di inferenze che siano allo stesso tempo
automatiche e dotate della complessità
che è normalmente associata al problem
“
„
53
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
namenti che permettono di individuare
la coreferenza dell’espressione anaforica
problematica: è una motivazione che
consiste nel piacere di esercitare i propri
processi mentali nella ricerca della soluzione del problema.
Questo tipo di motivazione dà al contesto didattico un’impareggiabile qualità educativa che ha sinonimi più noti
quali la libertà, l’autonomia, il piacere di
apprendere o il carattere ludico dell’apprendimento.
Tutti sinonimi che però corrono il rischio della vaghezza, e quindi di una scarsa realizzabilità.
Nell’anafora problematica credo di aver
trovato l’occasione felice per conciliare
l’attività e l’autoregolazione dell’allievo
con la formulazione precisa del ruolo
dell’istruttore, che consiste:
1. nell’esaminare i testi scritti da revisionare, facendo attenzione ai frequenti
richiami anaforici in modo da individuare quelli problematici;
2. nel ricavarne la formulazione della
domanda-posizione-del-problema;
3. nel ricostruire il percorso di ricerca
della coreferenza e quindi della ricerca
della soluzione del problema.
Quest’esame preliminare del testo dovrebbe rendere l’insegnante pronto a vigilare sulla esplorazione testuale dell’allievo e a dargli un sostegno pertinente nel
caso la sua ricerca si blocchi arrivando a
un punto morto.
Con la trasformazione del compito di revisione della scrittura in situazione di problem solving si interrompe l’attività automatica che prevale sia nella lettura che
nella scrittura delle persone esperte. La si
sospende momentaneamente per illuminare con la consapevolezza le operazioni
cognitive che il lettore e scrittore esperto
è solito eseguire automaticamente, senza
sforzo, con l’attenzione concentrata sul
contenuto semantico che è il risultato di
quei processi inferenziali.
L’obiettivo didattico è di migliorare la
componente della competenza di scrittura che consiste nella capacità di rivedere
(leggere e correggere) il testo scritto ricostruendo il lavoro cognitivo richiesto per
la sua comprensione,per poi valutare se la
richiesta è adeguata o no all’abilità del destinatario. Pertanto occorre aiutare l’allievo a impadronirsi di parametri o criteri di
valutazione, e a impadronirsene in modo
consapevole, mediante un processo di apprendimento solido perché autoregolato.
solving, e cioè inferenze suscettibili di
diventare consapevoli.
Nel suo bilancio critico a proposito delle inferenze nella comprensione del testo,
Kintsch (1998) definisce tre categorie che
secondo lui non sarebbe corretto denominare inferenze, e una quarta categoria
che sarebbe la sola a consistere in vere e
proprie inferenze o ragionamenti. Ma il
lettore, per Kintsch, quando s’impegna in
questo quarto tipo di inferenza, affronta
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Dall’automatismo al problem solving: come sopravvivere alle anafore
54
Approfondire
—
J
• C. Bereiter, M. Scardamalia, The Psychology of
Written Composition, Erlbaum, Mahwah, New York
1987.
• P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997.
•M. F. Ehrlich, Metacognitive Monitoring of Text
Cohesion in Children, in H. van Oostendorp, S.R.
Goldman (Eds.), The Construction of Mental Representations during Reading, Erlbaum, Mahwah, New York
1999, pp. 281-301.
• M. Fayol, D. Alamargot, V. W. Berninger, Translation of thought to written text while composing,
Psychology Press, New York-London 2012.
• A. Garnham, Understanding Anaphora, in A. W.
Ellis (Ed.), Progress in the Psychology of Language, vol.
3, Erlbaum, Hillsdale 1987, pp. 253-300.
• M. A. K. Halliday, R. Hasan, Cohesion in English,
Longman, London 1976.
• J. R. Hayes, L. Flower, Identifying the organisation of writing process, in L. W. Gregg, E. R. Sternberg
(Eds.), Cognitive processes in writing, Erlbaum, Hillsdale, New York 1980, pp. 3-30.
• W. Kintsch, Comprehension. A paradigm for
Cognition, Cambridge University Press, New York
1998.
• L. Lumbelli, Fenomenologia dello scrivere chiaro,
Editori Riuniti, Roma 1999.
• L. Lumbelli, La comprensione come problema,
Laterza, Bari-Roma 2009.
• A. Renkl, Learning from worked-out examples. A
study on individual difference, in «Cognitive Science»
21, pp. 1-29.
• K. A.Schriver, Teaching writers to anticipate
readers’ needs: a classroom-evaluated pedagogy, in
«Written Communication» 9, 1992, pp. 179-208.
• J. Sweller, The worked example effect and human
cognition, in «Learning and Instruction» 16, 2006,
pp.165-169.
un compito di problem solving e non di
comprensione del testo. Questo compito, in quanto attività di ragionamento
consapevole, bloccherebbe il processo di
comprensione, ponendo il lettore in una
situazione di problem solving. I processi di comprensione del testo sarebbero
quindi irreparabilmente automatici e le
inferenze non vi sarebbero incluse.
L’assunzione della compatibilità di
problem solving e processi di comprensione apre prospettive educative che
l’assunzione di Kintsch renderebbe impraticabili. L’educabilità dell’abilità di
eseguire determinati processi è resa possibile proprio dalla loro suscettibilità di
essere richiamabili alla coscienza, pur
essendo naturalmente eseguiti in modo
automatico.
Nel caso del lettore-revisore esperto, i
processi che sono stati ricostruiti negli
esempi di anafore problematiche sarebbero automatici, non intenzionalmente
e consapevolmente monitorati.
Neppure nel caso dell’allievo che deve
essere aiutato a rivedere un testo, quei
processi, corretti o no, sono eseguiti consapevolmente.
È l’intervento educativo con la stimolazione della ricerca nel testo che dovrebbe
produrre un cambiamento. È la difficoltà
di identificare la coreferenza, insieme
alla domanda-problema che serve a interrompere l’automatismo e a richiamare
l’attenzione e la motivazione alla ricerca,
creando le condizioni per una revisione
autoregolata con ricostruzione consapevole dei processi. L’intervento educativo rende consapevole ciò che in natura
è inconsapevole, automatico, facendone
oggetto di analisi e valutazione.
Lucia Lumbelli
ha insegnato pedagogia nelle università
di Milano, Padova, Parma e Trieste (ove
è professore emerito). Nei suoi studi
ha attinto a vari settori della ricerca
psicologica applicandola a diversi problemi
di comunicazione educativa: dalla
comprensione empatica dell’insegnante
(Comunicazione non autoritaria, 1972) alla
comprensione dell’allievo come specifico
obiettivo didattico (La comprensione come
problema, 2009), alle specificità della
comprensione dei media audiovisivi
rispetto alla comprensione della lettura
(From film and television to multimedia
cognitive effects, 2008).
Risorse digitali
per la scrittura
di Marco Guastavigna
U
sare gli strumenti elettronici di scrittura a scuola fa bene o fa male?
Questa la domanda più frequente, soprattutto sui media. Il dibattito
è spesso ridotto alla bruta contrapposizione tra penna da una parte
e tastiera dall’altra; i neo-apocalittici si schierano compatti per la
prima tecnologia, mentre i neo-integrati sostengono unanimi la
seconda.
Impostata in questo modo, la discussione dimentica il fatto che l’Italia è molto lontana da una diffusione massiccia dei dispositivi digitali a scuola, dal momento che le
politiche istituzionali degli ultimi anni hanno preferito orientarsi nella direzione dei
bandi di finanziamento, percorsi concorrenziali da cui alcune unità scolastiche escono
vincitrici, ma molte altre perdenti.
Soprattutto, è estremamente superficiale, perché prescinde da un’analisi attenta e
compiuta di ciò su cui esprime un sommario giudizio didattico e formativo,non importa
se positivo o negativo.
Lo scopo di questo contributo è perciò fornire ampi elementi di conoscenza sulla
dotazione di risorse su cui può contare chi vuole scrivere su supporto e con strumenti
digitali, per permettere una valutazione più precisa e circostanziata della questione e
ragionare sulle conseguenze cognitive e culturali di una scelta in direzione del “digitale”, che non è soltanto operativa, ma anche e soprattutto professionale e intellettuale,
oltre a proporre significativi spunti per la didattica della scrittura di testi.
Ideazione, progettazione,
strutturazione del testo
—
Qualsiasi buon word processor1 permette all’utente di assumere consapevolmente diversi
punti di vista sul testo: per esempio, è sempre possibile visualizzare quanto si va scrivendo
sotto forma di struttura, bozza o layout di stampa. Queste forme di presentazione sullo
schermo corrispondono con ogni evidenza a diverse e cruciali fasi del processo di scrittura
di un testo, rispettivamente definizione della scaletta, stesura e rifinitura grafico-formale
(non va dimenticato infatti che un software di videoscrittura è una tecnologia orientata
alla stampa, che utilizza un foglio di carta virtuale, in genere di formato A4).Tali fasi del
processo, inoltre, sono proposte dall’ambiente di scrittura non in sequenza rigida, ma
55
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
Quali sono le risorse su cui può contare chi vuole
scrivere su supporto e con strumenti digitali?
Conoscerle è il presupposto per riflettere in profondità
sull’ampiezza delle implicazioni cognitive e culturali
di una scelta in direzione del “digitale”, che non è
soltanto operativa, ma anche e soprattutto professionale
e intellettuale, oltre a proporre significativi spunti
per la didattica della scrittura di testi.
come situazioni ricorsive, che possono
richiedere più passaggi dall’una all’altra,
a seconda delle esigenze operative e cognitive dell’utente: è evidente come tutti
questi aspetti possano avere una significativa risonanza didattica.
Vi sono poi numerosi altri strumenti
destinati alla strutturazione logico-visiva
del testo: attraverso la gestione delle titolazioni e delle numerazioni degli item,
infatti, si possono assegnare diversi livelli
gerarchici a capoversi e paragrafi e generare in modo automatico i sommari. Alcuni
programmi sono addirittura in grado di
importare e rielaborare file contenenti
mappe mentali, la forma di schematizzazione più adatta al brainstorming, alla
raccolta delle idee, grazie all’impostazione
a raggiera2. Anche in questo caso è chiaro
come tutte queste modalità possano essere impiegate in percorsi di acquisizione
di tecniche per l’ideazione e la strutturazione di testi.
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
56
Stesura e revisione immediata
—
Chi, tra coloro che scrivono con frequenza, non ha apprezzato la funzione taglia-eincolla? Applicabile a singole parole, ma
anche a interi capitoli di un libro in corso
di stesura mediante un word processor,questa procedura valorizLa revisione – e
za la plasticità assunta
dal testo sul supporto
questo è essenziale ai
digitale. È davvero un
fini didattici – diventa
sollievo poter scrivere
parte costitutiva e
di getto, con la consasostenibile del processo pevolezza di poter vadi scrittura.
riare in qualsiasi momento la disposizione
del testo senza dover pagare pegno, come
invece avveniva in precedenza sul supporto rigido, quando cambiare l’ordine
della propria esposizione significava dover riscrivere tutto. Lo stesso vale per la
cancellazione e per l’inserimento di nuove
parti: il testo si stringe e si allarga senza
colpo ferire.
Del resto, facilitare la rielaborazione del
testo è la caratteristica operativa fondamentale dei software di videoscrittura,
nati allo scopo di rendere possibile procedere per perfezionamenti successivi nella
redazione di un documento, in origine la
lista dei comandi dei programmi da inserire nei computer, che andava via via testata e corretta. Appartengono alla stessa
categoria operativa la possibilità di separare o riunire parti di testo, così come quella
“
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
„
di copiarne e incollarne segmenti. Oppure
giostrare con i rientri di inizio capoverso,
gestire elenchi puntati e numerati, ricercare
e sostituire segmenti testuali, agire con le
risorse tipografiche e con quelle di impaginazione.Anche queste funzioni prevedono
interventi sul testo progressivi e ricorsivi,
ovvero di correggerlo e riadattarlo via via
in funzione delle esigenze individuate e
delle scelte fatte.
La revisione – e questo è essenziale ai fini
didattici – diventa così parte costitutiva e
sostenibile del processo di scrittura: è una fase
operativa e cognitiva intenzionale, a cui
ricorrere in qualsiasi momento del lavoro
di elaborazione del testo.
Vanno considerati in questa prospettiva anche la segnalazione automatica
di possibili errori grammaticali e ortografici
e l’accesso a Thesaurus di sinonimi e contrari e a dizionari di altre lingue.
Supervisione, perfezionamento,
integrazione
—
Tutti gli ambienti destinati alla scrittura
professionale presentano procedure per
l’implementazione e la semplificazione
di eventuali esigenze di supervisione: è
possibile infatti effettuare interventi di
revisione su testi altrui, che l’autore originale potrà successivamente accettare o
rifiutare.
Particolarmente interessanti sono i
commenti, che possono contenere annotazioni, suggerimenti, indicazioni, correzioni e così via, che vengono introdotti a
fianco del testo vero e proprio, senza incidere direttamente sulla stesura. Si tratta di una funzionalità particolarmente
promettente sul piano della mediazione
didattica – l’insegnante come supervisore
del testo – perché mediante i commenti
l’allievo può essere guidato e nel percorso
di elaborazione del testo possono essere
introdotti elementi di valutazione formativa.
Se necessario, inoltre, si può procedere
in modo automatico al confronto tra due
versioni dello stesso testo, così come alla
combinazione tra le revisioni di diversi supervisori in merito al medesimo documento.
Né va dimenticata la possibilità che
più autori condividano ed elaborino a distanza in modo cooperativo il medesimo
testo utilizzando spazi cloud3 riservati,
così come consentito da diversi fornitori
di servizi sulla rete Internet. La didattica
della scrittura può sfruttare in particolare
57
Repertori testuali
di riferimento
—
Vi sono molti testi che hanno strutture
logico-visive, formali o grafiche in larga
misura fisse, riconosciute e ripetibili.
Pensiamo non solo alle copertine dei fax
o agli inviti, ma anche al Curriculum
Vitae, alla relazione tecnica, così come a
vari tipi di comunicazioni ufficiali, per
esempio le lettere commerciali. I word
processor offrono pertanto collezioni di
modelli (templates), file pre-organizzati
sul piano formale secondo criteri strutturali e visivi predefiniti, agendo sui
quali si ottiene un documento di testo
automaticamente conformato alle loro
caratteristiche specifiche.
Non solo: se l’utente realizza un proprio documento a cui assegna la valenza
di modello ripetibile, lo può salvare con
una procedura ad hoc ed esso andrà ad
arricchire la sua collezione di template.
La didattica della scrittura di testi può
quindi alimentarsi di archivi di riferimento collettivo, che aiutano e sostengono l’elaborazione di ciascuno e che
possono essere alimentati dai contributi
di tutti, trasformando il gruppo-classe in
una sorta di laboratorio; l’insegnante che
abbia prodotto esercitazioni efficaci può
trasformarle in modelli, risolvendo una
volta per tutte il problema della conservazione degli originali.
Revisione “sociale” del testo
e scrittura controllata
—
Certamente molti lettori conosceranno
le funzioni di conteggio, che riportano il
numero di parole, quello delle battute,
delle righe e dei paragrafi, utili soprattutto in presenza di committenze di scrittura con vincoli di questo genere. Sono
certamente di meno coloro che sono al
corrente della possibilità di attivare in
Microsoft Word le statistiche di leggibilità
del testo, corollario operativo del controllo ortografico e grammaticale: questa
procedura scansiona il testo e calcola gli
indici Gulpease e Gunning Fog.
Ampliando il campo delle risorse si
può però fare molto di più, soprattutto
quando l’obiettivo sia scrivere per farsi capire: ci sono strumenti aggiuntivi – ovvero
non compresi nella struttura funzionale
standard di un word processor – che consentono una valutazione qualitativa del testo
e una sua revisione secondo una prospettiva
↑
Stephen King nel
1983.
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
il fatto che questa modalità di scrittura
collaborativa prevede, oltre ai già citati
commenti da parte del supervisore/insegnante, anche la conservazione di tutte le
progressive versioni del medesimo testo
e l’evidenziazione di volta in volta delle
modifiche: questo modo di operare crea
una sorta di ambiente di incubazione e
perfezionamento del prodotto. Funzioni
specifiche aiutano poi nella gestione di
fonti, citazioni e bibliografia, piè di pagina,
intestazioni, numerazione delle pagine.
inclusiva. Stiamo parlando di semplificazione del testo e di scrittura controllata, esempi
della quale sono consultabili in www.
dueparole.it.
Chi voglia rivolgersi in modo esplicito
e intenzionale a una base molto larga
di lettori, compresi coloro che posseggono competenze linguistico-cognitive
limitate, dispone di varie opportunità.
Una ventina di
anni fa, allegato
Quando si scrive si
al volume Guida
all’uso delle parole
dovrebbe essere
– autore Tullio De
consapevoli di tutte
Mauro – usciva per
le opportunità a
i tipi degli Editori
disposizione.
Riuniti il software Vocabolario di
base, che conteneva una descrizione del
vocabolario di base e analizzava secondo
queste categorie lessicali un qualsiasi testo in formato digitale riversato nell’ambiente. Questo prodotto è scomparso
dal mercato e in ogni caso funzionava
solo con le versioni di Windows fino a
XP compreso. Al suo posto è possibile
utilizzare aciltesto4, software opensource5
multipiattaforma6 finalizzato all’adattamento dei testi scolastici secondo tre
protocolli scientificamente definiti, che
propongono interventi non solo di tipo
lessicale, ma anche sulla strutturazione
complessiva del testo e su vari parametri
qualitativi7. Si tratta di risorse destinate
soprattutto a sollecitare gli insegnanti sul
piano professionale: ne parliamo altrove,
sempre in questo numero de La ricerca.
“
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
58
„
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Conservazione, distribuzione,
pubblicazione del testo
—
Salvare un file: operazione che tutti compiamo con grande frequenza. Così come
in tutti gli altri casi, in quello della scrittura vuol dire in primo luogo archiviare
il nostro testo, conservarlo. Ma vuol dire
anche poterlo riprendere in un momento successivo per continuare il lavoro, rivederlo,
integrarlo, correggerlo. Anche in questo
caso è evidente il vantaggio didattico di
questo modo di operare, che facilita l’aspetto processuale della scrittura di testi.
Il “salvataggio” sul supporto digitale (qualcuno lo chiama giustamente la
“memoria”) è una funzione complementare della plasticità assunta dai prodotti
intellettuali di tipo digitale, conseguenza
della loro dematerializzazione. Essere
pienamente consapevoli delle potenzia-
lità legate a questo passaggio – per altro
brutalmente necessario se non si vuol
perdere il frutto della propria fatica – è
fondamentale per comprenderne fino in
fondo la potenza. Possiamo infatti salvare
infinite copie o versioni dello stesso testo
sul medesimo supporto fisico; e anche
riprodurre lo stesso file su differenti dispositivi. Oppure inviarlo come allegato
a un messaggio di posta elettronica, a sua
volta forma particolare di comunicazione
di tipo testuale asincrona tipica dell’universo digitale arricchito dalle funzionalità
telematiche.
Tutte quelle fino a qui elencate sono
forme di distribuzione del nostro lavoro, a
cui va aggiunta quella più tradizionale,
la stampa su carta, che toglierà al nostro
prodotto la connotazione di plasticità. In
modo molto semplice possiamo trasformare il nostro testo scritto in un file audio,
rendendolo così ascoltabile oltre/invece
che leggibile, con evidenti implicazioni
inclusive, utili anche a scuola. La medesima valenza ha la capacità di alcuni
dispositivi e applicazioni di leggere un
documento mediante le proprie risorse di
sintesi vocale. La filiera multimodale8 tipica
della scelta operativa digitale è ulteriormente incrementata dalla disponibilità
di stampanti braille e di altri strumenti destinati a consentire la fruizione del testo
anche in particolari condizioni personali.
Quando si scrive si dovrebbe essere
consapevoli di tutte le opportunità a disposizione, a cui vanno aggiunte altre
opzioni, per esempio quella di travasare
con un semplice copia-e-incolla il proprio
documento nello spazio di un blog, rendendolo così immediatamente pubblico e
disponibile alla fruizione di un numero
infinito di soggetti. È probabile che qualche lettore abbia esperito questa pratica
in modo non del tutto consapevole riversando qualche proprio pensiero scritto
su Facebook.
Qualcun altro avrà già fatto l’esperienza di trasformare il proprio testo in un libro digitale, caratterizzato dalla capacità
dinamica del formato utilizzato in questi
casi – per esempio ePub – di adattare le
dimensioni del testo e l’impaginazione
alle caratteristiche impostate sul dispositivo di lettura, altra opzione con valenza
inclusiva, in particolare per persone con
difficoltà visive. Per ottenere questo risultato è sufficiente trasferire il proprio
lavoro su una piattaforma Internet dedicata alla produzione di e-book. In questo
Incrementi e supporti
cognitivi e culturali
—
Da sempre il testo è accompagnato da
immagini statiche. E questa funzione è
sopravvissuta anche nel caso del testo
digitale, che prevede l’inserimento di immagini da collezioni fornite insieme al
software di scrittura o da qualsiasi altra
fonte, ovviamente a patto che l’autore
abbia risolto il problema del copyright.
Analogamente, i migliori programmi di
videoscrittura offrono repertori standardizzati di rappresentazioni grafiche – per lo
più di matrice culturale politecnica, ma
impiegabili anche in altri contesti – utili
per arricchire il documento di schematizzazioni e integrazioni visive, così come
rendono molto semplice e intuitiva la
realizzazione di tabelle.
La dematerializzazione tipica del supporto digitale rende però possibile inserire e fruire direttamente dal documento
anche filmati e contributi audio, forme di
espansione del testo impensabili con i
supporti precedenti, fatta salva la possibilità di citare un materiale delegando al
lettore l’onere di procurarselo.
La potenzialità più ricca del digitale è
infatti certamente il link, ovvero la possibilità di collegare in modo attivo a una
porzione del documento un contenuto
residente a sua volta su supporto digitale,
anche molto “lontano” dal documento
medesimo: spaziamo infatti dalla realizzazione di rimandi dinamici all’interno
di un unico testo, alla connessione tra più
documenti,al collegamento con strutture
anche complesse di dati, informazioni e
conoscenze residenti sulla rete Internet,
che diventano raggiungibili e immediatamente fruibili con un semplice clic del
mouse o con un tocco del dito.
Scrivere con strumenti digitali non
può prescindere da questa peculiare modalità di costruzione del tessuto testuale,
che va oltre quanto è possibile fare sulla
carta, dove i richiami sono possibili, ma
inerti e a carico
del lettore. Con il
La potenzialità più ricca
link digitale siamo
del digitale è certamente
invece di fronte a
il link, la possibilità di
una sintassi operativa e cognitiva
collegare in modo attivo
estremamente faa una porzione del
cile da realizzare
documento un contenuto
(Inserisci collegaresidente a sua volta su
mento ipertestuale
supporto digitale.
è una funzione
ormai standard di
qualsiasi ambiente di scrittura) e molto
potente sul piano culturale, forse la “novità” più promettente del trasferimento
del testo (in tutte le sue articolazioni) su
supporto digitale.
Con un collegamento attivo, infatti,
possiamo rendere disponibile al lettore
una nota, un riferimento bibliografico
anche molto ampio, così come una spiegazione, un’esemplificazione, una definizione, un approfondimento, un confronto
“
„
59
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
caso, con ogni probabilità, si otterrà non
solo un nuovo file conformato secondo le
specifiche necessarie al tipo di fruizione
appena descritto, ma – di nuovo – l’immediata pubblicazione in rete del proprio
prodotto.
La dematerializzazione del testo, insomma, ne rende molto facile la condivisione secondo diversi formati e tipologie;
in precedenza abbiamo parlato di quella
privata, riservata a pochi utenti; in questo
paragrafo abbiamo invece accennato alle
forme che prevedono la pubblicazione dei
materiali, la loro raccolta in depositi destinati a qualsiasi utente della rete, come
nel caso di Slideshare9 e Scribd10.
Merita la nostra attenzione anche la
procedura di esportazione dei documenti in
formati diversi da quello originario: questa
procedura – a cui in molti casi si accede
mediante l’opzione salva con nome – consente di riprodurre il nostro testo in
formati diversi, fruibili ed elaborabili da
software diversi dall’ambiente di elaborazione originale. È questo un esempio
di interoperabilità – la capacità dei dispositivi e delle applicazioni digitali di
interagire sul piano operativo in modo
completo, privo di vincoli di marchio e
di limitazioni pratiche – e va sottolineato
che comprende in particolare la possibilità di ricorrere al formato HTML, quello
utile per rendere leggibile e fruibile un
testo direttamente sulla rete internet, e
PDF,la forma più semplice di realizzazione di un prodotto a impaginazione fissa
e garantita.
Tutte queste funzionalità possono
contribuire alla già accennata trasformazione del gruppo classe in un laboratorio di scrittura aperto a ciò che è
esterno all’aula e che quindi deve fare i
conti con il fatto che le proprie attività
possono avere varie tipologie di destinatari, a seconda della forma di pubblicazione e distribuzione utilizzata.
programmi finalizzati alla comunicazione aumentativa; OOo4Kids contiene un
word processor destinato ai bambini, mentre Facilitoffice è pensato per semplificare OpenOffice, integrarlo con la sintesi
vocale e facilitare l’uso nella scrittura di
un dizionario visuale.
NOTE
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Risorse digitali per la scrittura
60
↑
Dino Buzzati
al tavolo da
disegno.
con una posizione o prospettiva diversa
e così via, arricchendo ampiamente la
capacità logica, concettuale ed espositiva
della nostra scrittura; starà poi al lettore
valutare la situazione e decidere se (e
quando) seguire il collegamento proposto. Microsoft Word offre poi una particolare forma di collegamento attivo, ovvero
la possibilità di selezionare una porzione
di testo a nostra scelta e di accedere direttamente ai contenuti di Wikipedia che la
contengono.
Un percorso didattico sulla scrittura
non può non porsi l’obiettivo di rendere
gli studenti capaci di usare in modo intenzionale queste risorse, che possono
contribuire a estendere le potenzialità
del testo in misura impensata sul supporto tradizionale e quindi a modificare
in qualche modo la prospettiva generale,
anche nella fase dell’ideazione e della
strutturazione.
Ambienti particolari
—
Fino a qui abbiamo parlato di strumenti destinati a un pubblico standard. Vi
sono però anche software con particolari caratteristiche e destinazioni d’uso.
Balabolka, per esempio, è un ambiente
ottimizzato per chi desidera scrivere un
testo e averne contestualmente o successivamente la lettura mediante sintesi
vocale; Araword e Clicker sono esempi di
1. Preferiamo questa dicitura a “videoscrittura”, perché rende in modo efficace la dimensione cognitiva dell’uso di un software per
scrivere; un ampio elenco di word processor è
disponibile in https://en.wikipedia.org/wiki/
List_of_word_processors.
2. Cfr. Marco Guastavigna, Non solo concettuali.
Mappe, schemi, apprendimento, I Quaderni della Ricerca 23; Loescher Editore, Torino 2015,
p. 15 [disponibile in http://www.laricerca.
loescher.it/quaderni/i-quaderni-della-ricerca/i-quaderni-della-ricerca-23.html].
3. La metafora della “nuvola” indica la possibilità di utilizzare e condividere con altri utenti
in modo dinamico e attivo risorse disponibili
sulla rete Internet anziché sul proprio singolo
dispositivo.
4. Maggiori informazioni sul software sono
disponibili su http://www.sd2n.itd.cnr.it/index.php?r=site/scheda&id=5731.
5.Con questa espressione si definisce il software del quale gli autori – che ne detengono i diritti – rendono disponibile il codice sorgente;
si tratta di programmi royalty free, per il cui
utilizzo non è richiesto il pagamento di diritti
d’autore.
6. L’espressione viene utilizzata per i software
rilasciati per diversi sistemi operativi, nella
fattispecie Windows, MacOSX e Linux.
7. I tre protocolli fanno riferimento a tre diversi livelli di difficoltà linguistico-cognitive (grave, medio, lieve) e sono descritti in
http://handitecno.indire.it/content/index.
php?action=readBancheDati&id=67&subact=buonePratiche&id_cnt=4756.
8. La multimodalità non va confusa con la
multimedialità: l’espressione indica la possibilità di un documento elettronico di essere
consultato in più modi, mediante diversi strumenti e canali comunicativi.
9. http://www.slideshare.net/.
10. http://www.scribd.com/.
Marco Guastavigna
formatore, è stato insegnante nella scuola
secondaria di secondo grado. Tiene traccia della
sua attività intellettuale in www.noiosito.it.
Conversazioni brevi.
A scuola di epigramma
nell’era digitale
di Cristina Nesi
«S
tile vibrato e racchiuso in un breve giro di parole»1. Con questa sintesi efficace, affidata al Discorso preliminare sopra l’epigramma (1812), Leopardi rivendica per il genere concisione e
stringatezza strofica.
In effetti, a un principio di sinteticità l’epigramma è sempre rimasto fedele anche quando nella letteratura italiana
il doppio endecasillabo, creato sul distico elegiaco della classicità, non si è stabilizzato
come univoca forma metrica e ha lasciato il posto a più versi e a più strofe. Certo, il
distico non scompare, e basterebbe a ricordarcelo l’oltraggiosa poesia di Tommaseo
alla morte di Leopardi («Natura con un pugno lo sgobbò / “Canta” gli disse irata: ed ei
cantò»)2,ma le sperimentazioni metriche sono state così varie da arrivare all’epigramma
monosillabico di Franco Fortini ne L’ospite ingrato secondo (1985): «Carlo Bo. No». Carlo Bo
è il titolo e quel «No» si sposa bene alla struttura e al genere in questione per la rima
tronca che si adatta perfettamente alla comicità, come sostiene Giorgio Bertone nel
Breve dizionario di metrica italiana.
Ovviamente,la brevitas non va confusa con la rapidità,che invece accomuna messaggi
WhatsApp e post di Twitter o di Facebook e a ricordarci quanto la concisione sia buona
regola della letteratura e sia stata affinata da tempi immemorabili basterebbe l’incipit
di Sciascia alla Nota di chiusura de Il giorno della civetta: «Scusate la lunghezza di questa
lettera - scriveva un francese (o una francese) del gran Settecento - perché non ho avuto
tempo di farla più corta»3.
Hemingway definiva questa dura disciplina del dire e del non detto Il principio dell’iceberg4, quel lasciar sommersi i sette ottavi di ogni parte visibile perché l’importante è
quel che non si vede. E questo vale anche per un aforisma o per un epigramma, generalmente comprensibili a tutti perché usano «un linguaggio diretto», ma pur sempre
un linguaggio «ellittico»5 con omissioni deducibili solo dal contesto.
61
Scuola / Conversazioni brevi. A scuola di epigramma nell’era digitale
Facile e furbo, ma non disonesto, rintracciare
nell’icasticità del moderno twit una discendenza
dal componimento di cui furono maestri Simonide,
Callimaco, Marziale, e anche tanti poeti e scrittori a noi
contemporanei. Ma riconoscere tali nobili origini alla
moderna pratica della brevitas significa anche non bollare
quest’ultima (e in generale la semiotica dei nuovi modi
di scrivere e comunicare) come priva di sostanza, ma
accoglierla, insieme alla tradizione letteraria che reca,
facendone stimolo per la creatività degli studenti.
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Conversazioni brevi. A scuola di epigramma nell’era digitale
62
Se consideriamo che oggi i ragazzi comunicano per la maggior parte con 140 o 160
caratteri, le forme letterarie brevi per il
principio di economia che le accomuna
possono farli riflettere con maggior interesse sulla scrittura, sulla disposizione
delle parole, su precisione e saturazione
e soprattutto sulla capacità di dosare ad
arte l’ironia. In fondo, che si scriva come
gli antichi su una tavoletta cerata, su un
rotolo di papiro,su una pergamena o,oggi,
su un iPhone, il problema rimane sempre
lo stesso: usare un metodo sintetico ed
economico senza compromettere la comprensibilità del messaggio e dando, anzi,
a quel messaggio la massima efficacia.
Gli epigrammi, che «sono versi di conversazione - come scriveva Foscolo nel
maggio 1795 - e vengono letti da tutte le
condizioni»6, possono insegnare nel confronto dialettico con gli altri a costruire
nuove dimensioni di senso perché sono
poesie che si fanno capire e che allo stesso
tempo stimolano repliche, motivo per cui
fra le massime, gli aforismi, gli enigmi e
gli epigrammi abbiamo scelto di lavorare
proprio su questi ultimi.
Quali autori e quali testi scegliere
in una produzione fin troppo vasta? La
crestomazia si è appuntata su tre tappe
fondamentali del genere, nelle quali gli
epigrammi di tipo celebrativo, funerario
o erotico, come quelli dell’Antologia Palatina, così come gli epigrammi altamente
evocativi sull’esempio di Catullo o caustici su ispirazione di Marziale, conoscono
un rinnovato vigore nell’ambito della
letteratura italiana. Ovviamente, la scelta
di abbandonare il filo cronologico e l’enciclopedismo delle antologie scolastiche
non comporta una rinuncia alla storicizzazione, che viene al contrario recuperata
con forza a partire proprio da testi e da
autori irrinunciabili, colti a grappolo alla
stessa altezza cronologica in modo da facilitare la contestualizzazione. Vediamo
in dettaglio i tre periodi scelti.
La prima tappa importante, che segna
la reviviscenza del genere, avviene in
epoca rinascimentale. Di Pietro Aretino,
di Machiavelli e di Ariosto si è occupata
la quarta, insieme al periodo che segna
il trapasso fra Settecento e Ottocento
con il corpus di epigrammi di Alfieri, di
Foscolo, di Manzoni e di Leopardi e con
delle aperture interculturali sugli Xenia
di Goethe e di Friedrich Schiller che mutuano il loro titolo dal tredicesimo libro
degli Epigrammi di Marziale.
La terza tappa, affrontata dalla quinta,
si colloca nel dopoguerra, periodo in cui
l’interesse per questo genere si ravviva
come dimostrano le ultime raccolte di
Umberto Saba confluite nel Canzoniere o
gli epigrammi di Alfonso Gatto e di Ennio
Flaiano pubblicati nel 1959 sull’Almanacco
del Pesce d’oro 1960, oppure le traduzioni
di Marziale da parte di Cesare Vivaldi nel
1962 per Guanda e di Guido Ceronetti nel
1964 per Einaudi, traduzioni che rivelano
una grande libertà personale.
Del resto, la seconda metà del Novecento è scandagliata da un ampio ventaglio
di umori, che oscillano dall’indignazione
politica del Pasolini di Umiliato e offeso
(1958) o dell’Ospite ingrato (1966-1985) di
Franco Fortini alle graffianti ironie sociali degli Epigrammi (1961) di Fenoglio.
Ci sono poi, gli innumerevoli attacchi
personali fra poeti e scrittori. Per citarne
solo alcuni potremmo ricordare Caproni
contro Montale («Epigramma. Montale, /
ciottolo roso,/ dal greto che più non risuona, ha tolto una canna / bruciata dal sole /
e intesse liscosa canzone»), Fortini contro
Calvino («1959. Cinico bimbo va Calvino
incolume»), Giorgio Bassani contro la
Ginzburg («A Natalia Ginzburg.Non ti piaccio eh? Figurati la tristezza / gli sbadigli se
ti / piacevo»),Flaiano contro Bertolucci («I
male informati. Quest’anno è andata male
al poeta Bertolucci,/ Gli hanno tolto il premio Nobel per darlo a Carducci») o contro
Ungaretti («Il celebre Ungaretti. Il celebre
Ungaretti all’Università / della Poesia
spiegava al buio la beltà / Venne il bidello
in aula, l’interruttore girò / e il volto del
poeta d’immenso illuminò»).
Un caso a parte sono gli «epigrammi
critici»,per usare una felice espressione di
Mengaldo,che Fortini scrive in apertura o
in chiusura di una trentina di medaglioni
sugli scrittori contemporanei e nei quali
l’illuminazione prevale sull’argomentazione. Fortini afferra «in un lampo anche
quello che forse gli autori non hanno mai
saputo di se stessi: “Arbasino sa bene che
i suoi tic e le sue vivaci moine assumono
senso solo se campite su eventi terribili”»7.
Ci sono inoltre, gli epigrammi senza
acrimonia e altamente lirici sulla caducità del tutto di Daria Menicanti, che nel
1960, cioè all’indomani della morte del
marito Giulio Preti, comincia a scrivere
il Canzoniere per Giulio e quelli degli Xenia
di Montale, dedicati alla moglie Drusilla
Tanzi morta nell’ottobre del 1963: sono
piccole «iscrizioni–ricordo di una vita in
comune» che si riallacciano «sia al versante satirico degli epigrammi di Catullo
e di Marziale, sia a quello celebrativo e
funerario dell’Antologia Palatina»8.
Come chiarisce Montandon, la struttura dell’epigramma è fatta di tre parti: «il
titolo, l’attesa e la soluzione. Tutto converge verso la frecciata finale. Lessing lo
descrive come un meccanismo binario
di suspence e sorpresa. Diverso in questo dall’aforisma, che è contestualmente
isolato e contiene solo l’ultima delle tre
parti»9.
Leggere d’emblée in classe alcuni epigrammi senza preliminari spiegazioni
introduttive, talvolta senza preannunciare nemmeno il nome dell’autore, è
un’esperienza che può imitare ciò che
avveniva nei simposi dei latini, dove la
recitazione dei testi satirici o d’argomento erotico serviva a intavolare la conversazione. Facciamo un esempio. Sembra
Marziale, ma non lo è:
63
Scuola / Conversazioni brevi. A scuola di epigramma nell’era digitale
[XCII]
A Mezio, suo compagno d’armi
Giuri che tu facesti scudo al duce
E me teste solleciti? In coscienza,
Mezio, non posso dir. Nella giornata
Non fui mai teco, sempre fui col duce. 10
Il duce è davvero Mussolini e non siamo nel I secolo dopo Cristo, ma nel Novecento: l’epigramma è di Fenoglio, autore
di un corpus consistente di componimenti,che saggiano vizi pubblici e privati
di uomini e donne di Alba. Emerge subito
l’ironia affidata al fulmen in clausola, cioè
alla stoccata finale, e la tematica storica,
che è una costante anche della letteratura
aforistica da Guicciardini in poi11.
Negli epigrammi di Fenoglio ci sono
le tasse, i fascisti, i treni, i camion e si
fumano le sigarette, dunque c’è un’Alba indubbiamente contemporanea, popolata però anche da Galli bellicosi, da
centurioni, da matrone, da pirati, come
se «la scelta di rifarsi alla poesia latina
implicasse anche di riesumare nella
sua interezza quel mondo»12. Fenoglio
alza il dettato del quotidiano per acuire
la discrepanza fra il lessico aulico e le
azioni squallide dei personaggi.Le piccole meschinità quotidiane sollecitano il
sorriso, in virtù di quella misura solenne
che le riveste e la conseguenza è una città
di «Alba sub specie antiquitatis» 13, come
annota Gabriele Pedullà.
Sollecitati a memorizzare uno o più epigrammi di Fenoglio, gli studenti riescono a farlo facilmente. E questa è stata
una priorità metodologica: recuperare
la capacità di memorizzazione dei testi
letterari brevi. Perché?
Perché la Letteratura, come sistema
semiotico di secondo grado, quindi sovrapposto a quello della lingua comunicativa,obbliga a sfruttare ogni precedente
lettura per cogliere e padroneggiare tutti i
sensi plausibili di una sequenza di enunciati linguistici. Per farlo, è necessario
↑
Ennio Flaiano.
Scuola / Conversazioni brevi. A scuola di epigramma nell’era digitale
64
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
↑
Jack Kerouac
legge Sulla
strada dal rotolo
originale, nel
1958. Foto di
Fred DeWitt,
© Historical
Society of
Central Florida.
che nella memoria riaffiorino precedenti
letture,altrimenti viene a mancare quella
rete di rimandi, di metamorfosi continue,
di sedimentazioni,che consentono la piena comprensione di un testo letterario.
Se oggi le letture dei ragazzi sono sempre di meno, ripartire dagli epigrammi,
così appetibili e capaci di allontanare la
lettura scolastica dalla noia, può consentire più facilmente alla memoria di trattenere la luce fulminea che si sprigiona
dal dirompere dell’effetto ironico. Del
resto, sono gli stessi motivi che hanno
consentito agli epigrammi di Marziale di
resistere per secoli nel loro vigore memorabile, come ha sempre ricordato anche
Concetto Marchesi.
E chiudiamo con un’esemplificazione
di verifica delle competenze proposta in
quinta a conclusione del percorso letterario sull’epigramma.
La prima domanda saggiava solo le Conoscenze:
Dai una definizione dell’epigramma e spiega il significato dell’espressione “fulmen in
clausula”.
Per la Comprensione, seguendo il criterio
di autore noto e testo non noto, è stato
proposto l’epigramma di Montale Ho sceso
dandoti il braccio non letto precedentemente in classe:
A chi si rivolge il Poeta? A quali difficoltà
fisiche si fa riferimento? Perché le «pupille
offuscate» della donna vedono di più di quelle
del Poeta? Da che cosa deduci che questo componimento è un epigramma?
Per la Riappropriazione è stato chiesto
di sottolineare analogie e differenze tra
il testo di Montale dedicato alla Mosca e
un secondo epigramma a scelta: o l’Epigramma per un verme di Daria Menicanti
(«Un verme tranquillo e bavoso / d’un
A Francesca, aspirante poetessa
Se ti vedo a bocca aperta
Ascoltare il Vate Marco,
Non ho il male di vivere
Ma tanto mal di stomaco.
All’ora successiva Francesca avrebbe
chiesto di leggere il suo epigramma, scritto
nell’intervallo,e memore,a ben vedere,degli
aculei di Franco Fortini contro Carlo Bo:
Al nauseato Niccolò.
Comunque la metti, è sempre un no.
Evidentemente, aveva ragione Achille
Campanile quando sosteneva che «Gli asparagi sono come gli epigrammi: tutto il buono è nella punta»14.
NOTE
1. G. Leopardi, Tutte le opere, Mondadori, Milano
1969, v. I, p. 559.
2. G. De Robertis, Il Tommaseo, il Leopardi e Il Giordani, «Rassegna storica del Risorgimento», XXV,
fasc. IV, 1938, p. 509.
3. L. Sciascia, Il giorno della civetta,Adelphi, Milano
2004, p. 60.
4. E. Hemingway, Il principio dell’iceberg: intervista
sull’arte di scrivere e narrare, Il Melangolo, Genova
1996.
5. G. Ruozzi (a cura di), Epigrammi italiani: da
Machiavelli e Ariosto a Montale e Pasolini, Einaudi,
Torino 2001, p. X.
6. Lettera di Ugo Foscolo a Gaetano Fiornasini,
in G. Ruozzi (a cura di), Epigrammi italiani: da
Machiavelli e Ariosto a Montale e Pasolini, Einaudi,
Torino 2001, p. XI.
7. P.V. Mengaldo, I lampi di un critico Fortini, epigrammi sui tic dei moderni, «Corriere della Sera»,
17 gennaio 1997.
8. G. Ruozzi (a cura di), Epigrammi italiani.... cit.,
p. 280.
9. A. Montandon, Le forme brevi, Armando Editore,
Roma 2001, p. 27.
10. B. Fenoglio, Epigrammi, Einaudi, Torino 2005,
p. 94.
11. G. Ruozzi, L’esperienza ferita, in Scrittori italiani
di aforismi: il Novecento, Milano, Meridiani Mondadori, 1997, v. II, p. XVII.
12.G.Pedullà,Amor de lonh,in B.Fenoglio,Epigrammi... cit., p. VIII.
13. Ivi, p. IX.
14. A. Campanile, Opere, Bompiani, Milano 1994,
v. II, p. 632.
Tratto dal QdR / Didattica e letteratura di prossima pubblicazione Le competenze dell’italiano, a
cura di Natascia Tonelli.
Cristina Nesi
fiorentina, è autrice con Maria Corti di Dialogo
in pubblico (Rizzoli, 1995; ampl. Bompiani, 2006)
e di una monografia su Sebastiano Vassalli
(Cadmo, 2005). Ha curato per i Meridiani
Mondadori gli Scritti scelti di Ottiero Ottieri
(2009) e per Rizzoli l’opera omnia di Romano
Bilenchi (1997), oltre a Il Capofabbrica (Rizzoli,
2002) e ad Amici e altri racconti (Bompiani,
1991). Ha raccolto prose inedite e rare di
Alfonso Gatto, fra le quali Il pallone rosso di
Golia (Bompiani, 1997) e L’Arno dalla sorgente al
mare (San Marco dei Giustiniani, 2006). Per il
Piccolo Teatro di Milano ha curato la mostra
e il catalogo Il giacobino Federico Zardi (CLUEB,
2002). Ha collaborato a volumi collettanei e a
riviste («Autografo», «Strumenti Critici», «Levia
Gravia», «Griselda», «Il Caffè»).
65
Scuola / Conversazioni brevi. A scuola di epigramma nell’era digitale
roseo infantile fa il traghetto / del viale. /
Mi domando perché poi / mi faccia quasi
tenerezza...Ah, sì: / è perché ti assomiglia,
mio diletto») o Carletto di Umberto Saba
(Il buon Carletto, come schedo un libro, /
ne muta il prezzo a suo arbitrio. Poi quello
/ trascrive sui risguardi, mette a un lato
/ la scheda, sceglie lo scaffale; vada / o
no, venduto (egli spera venduto). / La sua
giornata in Libreria gli corre / rapida, che
il lavoro non manca, / per lui, per me, per
i suoi figli. Io grato / gli sono, e più che
non creda. Ripenso / (questo non glielo
dico ancora; temo / si offenderebbe; ha
in odio i paragoni) / il canarino in gabbia
affaccendato).
Sempre per la Riappropriazione veniva
anche chiesto di scrivere un epigramma,
scegliendo o un ricordo fuggevole (di un
assente o di un momento felice) oppure un
ritratto ironico.
Per la Valutazione, tenendo presente che
nel Progetto Compita è ipotizzata come
un doppio movimento di avvicinamento e
di distanziamento del lettore dai classici,
abbiamo chiesto: Tu cosa intendi per «lungo
viaggio» e avresti usato come Montale il verbo
«scendere» o preferito il verbo salire per esprimere
le tue difficoltà nel cammino?
Il giorno in cui la prova di verifica corretta è stata riconsegnata, gli studenti
sono stati sollecitati a leggere in pubblico
gli epigrammi scritti. Non tutti se la sono
sentita, ma riportiamo l’epigramma di
Niccolò che ha accettato di condividere
il suo ritratto di Francesca, tutta presa
dal suo ragazzo venticinquenne (Marco) e
sfuggente per mesi in classe ai plateali e
buffi approcci di Niccolò:
Scuola / “La pagina che non c’era”
66
“La pagina che non c’era”:
lettura creativa e
scrittura mimetica
per lavorare con lentezza
“Leggono Shakespeare?” chiese il Selvaggio mentre,
diretti ai laboratori biochimici, passavano
davanti alla biblioteca scolastica.
“ Certamente no” rispose la direttrice arrossendo.
“La nostra biblioteca - spiegò il dottor Gaffney contiene soltanto libri di referenza. Se i giovani
hanno bisogno di distrazione, possono procurarsela
al cinema odoroso. Noi non li abbiamo incoraggiati
ad indulgere ai divertimenti solitari quali che siano”.
(A. Huxley, Il mondo nuovo)
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
di Raffaella Bosso e Francesca Di Fenza
L
a frase “i giovani non leggono più” echeggia come un mantra nelle aule
scolastiche, nelle sale docenti, nelle trasmissioni radiofoniche, durante
i colloqui scuola-famiglia, nelle conversazioni tra adulti sempre più
allarmati. Per quanto nella sostanza veritiera, questa affermazione
risulta riduttiva – se non rischiosamente autoassolutoria – per diversi
ordini di ragioni. Innanzitutto finisce per suggerire l’idea di una società
inspiegabilmente scissa tra adolescenti sempre meno inclini alla lettura e una schiera
di adulti forti lettori; sappiamo bene che le cose non stanno così: le recenti rilevazioni
sulle competenze in lettura, scrittura e calcolo degli italiani in età lavorativa (dai 16 ai
65 anni) tratteggiano un quadro di diffuso analfabetismo funzionale. I giovani leggono
dunque più o meno quanto i loro adulti di riferimento, ma sono monitorati in modo
più sistematico e capillare.
L’aspetto più scivoloso di questa interpretazione dei fatti è però probabilmente un
altro: sembra che al progressivo,generale disinteresse per i libri corrisponda l’affermarsi
di una communis opinio che attribuisce all’atto stesso di leggere virtù quasi taumaturgiche, senza considerare che ci sono molte modalità diverse di lettura e di scrittura,
non tutte allo stesso modo fruttuose. Non sembra sufficiente, dunque, proporre liste di
titoli, (de)portare gli alunni in biblioteca o in libreria, imporre di scrivere sintesi di libri,
verificare l’avvenuta lettura attraverso questionari irti di trabocchetti oppure – pratica
in cui chi insegna si imbatte purtroppo sempre più di frequente – promettere ai propri
figli qualche banconota per ciascun volume letto.
Volendo analizzare il fenomeno in modo più corretto e sistematico,si potrebbe piutto-
←
Philip Roth alla
residenza per
artisti Yaddo
nel 1968, © Bob
Peterson/Time
Life Pictures/
Getty Images.
67
Scuola / “La pagina che non c’era”
sto affermare che i giovani partecipano di
una comune tendenza alla riduzione delle capacità di concentrazione, di ascolto,
osservazione, riflessione; sembra che sia
questo il prezzo da pagare per il vertiginoso aumento di dati ed esperienze a nostra
disposizione e per l’estrema facilità di reperimento delle informazioni che hanno
caratterizzato l’ultimo decennio. Si tratta
probabilmente di un dato fisiologico, di
una tendenza evolutiva della società con
cui non possiamo non fare i conti; di fatto
però la rapidità, la pluralità e simultaneità di stimoli,la tendenza a lavorare a ritmi
accelerati, senza soffermarsi nell’osservazione dei dettagli, mal si accordano, se
non con la lettura in generale, con quella
che consideriamo “lettura utile”. La scuola ha forse il compito di adeguarsi alle
tendenze del suo tempo; ma può anche
assumersi la responsabilità, quando sembri opportuno,di “fare da controcanto alla
società”, per usare una bella formula del
maestro Franco Lorenzoni, recuperando
spazi alla lentezza, alla accuratezza, alla
dimensione artigianale della fruizione
e della produzione di testi, per quanto
questa possa sembrare una battaglia di
retroguardia.
Diverse sono le attività promosse con
questo fine nella scuola italiana negli
ultimi anni, spesso sorte in modo spontaneo e senza una rete di coordinamento e
comunicazione reciproca; noi ci abbiamo
provato nel 2010 con “La pagina che non
c’era”, un progetto che mira ad integrare
la lettura con la produzione testuale,mettendo in pratica la modalità di trasmissione del sapere più naturale che esista,
quella che si basa sull’imitazione. Il progetto nasce nell’Istituto “Pitagora”, una
scuola secondaria di secondo grado in cui
sono presenti vari indirizzi di studio, dal
Liceo Classico all’Istituto Professionale;
Scuola / “La pagina che non c’era”
68
le attività ruotano intorno a un concorso di scrittura per ragazzi, che giunge
quest’anno alla sua sesta edizione, rivolto
a tutte le scuole secondarie di secondo
grado presenti sul territorio nazionale.
Ogni anno il Comitato Scientifico,
composto da docenti,seleziona tre o quattro libri di recente pubblicazione: è un
momento molto utile alla nostra crescita
professionale, il punto di arrivo di una
ricerca che in genere dura tutta l’estate
e che ci porta a sperimentare, esplorare,
scambiarci consigli, compulsare recensioni, leggere nuovi testi con gli occhi dei
potenziali giovani lettori. Un’occasione
di autoaggiornamento per molti versi
ben più utile di tanti pretestuosi corsi di
formazione.
Scelti i libri,viene pubblicato il bando; i
ragazzi devono leggere almeno uno dei testi e prepararsi all’incontro con gli autori,
propedeutico alla fase produttiva del concorso, in cui dovranno inserire una “pagina che non c’era” in un punto qualsiasi
del libro, imitandone lo stile e rispettandone la coerenza narrativa. La necessità
di produrre un testo secondo regole
Che si tratti di un testo
precise spinge a
narrativo, di un graphic
una lettura attennovel, dell’illustrazione di
ta e meditata e fa
degli incontri con
un libro di divulgazione
scientifica, della creazione gli scrittori qualcosa di più di un
di un falso documento
“evento culturastorico, la questione non
le”: si tratta di una
è forse tanto leggere o
tappa funzionale
allo svolgimento
non leggere, ma imparare
di un lavoro, quaa osservare, riflettere,
si un confronto
lavorare con lentezza.
tra maestro e apprendista in una bottega artigiana. Le
domande vertono necessariamente su
dati tecnici, scelte stilistiche, possibili
alternative,caratteristiche minute di singoli personaggi; le risposte degli autori
offrono possibilità di rilettura, spunti di
riflessione su cui i ragazzi torneranno nei
mesi successivi.
Ma questi incontri costituiscono anche il pretesto per organizzare un festival,
“Scrittori tra i banchi”, in cui si alternano laboratori di scrittura, produzione di
testi poetici e in prosa, lettura, ascolto
musicale, riflessione storiografica, il cui
elemento comune è la centralità data alla
fase produttiva caratterizzata dal metodo
mimetico. Docenti della scuola e dell’università, studiosi, sceneggiatori, poeti,
“
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
„
giornalisti si confrontano con i ragazzi e
mettono in comune pratiche didattiche
ed esperimenti di produzione; da questi incontri è nato il testo Dalle pagine al
quaderno. Cinque anni di pagina che non c’era
(Salerno, Arcoiris 2016), che si propone di
offrire ai docenti spunti utili per costruire
percorsi e momenti di didattica laboratoriale da sperimentare anche in orario
curriculare.
Verso la fine della primavera arrivano,
a decine, le pagine scritte dai ragazzi. Il
Comitato Scientifico si riunisce, con il
difficile compito di selezionare le cinque pagine migliori per ciascun testo:
anche questo è un momento di grande
valore formativo per i docenti, in cui ci
si confronta sui criteri di valutazione e
sulle modalità di correzione, mettendo in
pratica forme di lavoro comune che nella
scuola sembrano sempre più limitate alla
sterile correzione di test a risposta multipla imposti dall’alto.
Le cinquine finaliste vengono poi inviate agli autori dei rispettivi libri: saranno loro a scegliere la pagina vincitrice, quella che ha colto lo spirito del loro
lavoro producendo la più convincente e
originale “variazione sul tema”. L’invito
a essere originali pur all’interno di un
processo mimetico è infatti la grande
sfida che lanciamo ai nostri alunni: vincolati a una contrainte stringente, devono
impadronirsi dell’armamentario retorico
e stilistico dei loro modelli, ma poi andare
oltre, compiere quello sforzo di immedesimazione e, insieme, di straniamento da
sé che è alla base del processo letterario e
trovare un spunto,un angolo in cui inserire il proprio contributo. Gli autori lo riconoscono spesso nelle loro motivazioni: la
“pagina che non c’era” può aggiungere al
testo elementi che loro non hanno voluto
o potuto trattare, sviluppare suggestioni
lasciate in sospeso, suggerire una chiave
di lettura inaspettata.
Non si tratta, naturalmente, di trasformare centinaia di ragazzi in aspiranti
scrittori: la nostra ambizione è piuttosto
quella di incoraggiarli in un lavoro di osservazione attenta, meditata riflessione,
produzione non estemporanea ma sedimentata e ponderata, diluita nel tempo,
che richieda pazienza e labor limae. Che si
tratti di un testo narrativo, di un graphic
novel, dell’illustrazione di un libro di divulgazione scientifica, della creazione di
un falso documento storico (queste fino a
ora le strade battute dal nostro progetto,
scuola
La pagina che non c’era
Francesca Russo, Pasquale Scherillo, Gennaro
Schiano, Enza Silvestrini, Paolo Trama, Marco
Viscardi.
• Il progetto è patrocinato dai Comuni di
Napoli e di Pozzuoli e ha ottenuto due riconoscimenti nazionali: Premio Mibac 2012 come miglior
progetto per la promozione della lettura e Premio
Gutenberg 2013. Per la quinta edizione ha beneficiato del contributo del Forum delle Culture 2013
(bando Forum scuole).
• Nel gennaio 2015 “La pagina che non c’era” si
è costituita in Associazione per riuscire a coinvolgere un numero maggiore di scuole e per aprirsi
alla società civile; l’organizzazione opera in rete
con le associazioni “A voce alta” e “DiSciMus”.
• Coordinamento e progettazione: Diana Romagnoli, Maria Laura Vanorio.
• Comitato tecnico-scientifico e giuria scuole
superiori: Brunella Basso, Raffaella Bosso, Delfina
Curati, Giuseppe Girimonti Greco, Elisabetta
Himmel.
• Comitato tecnico-scientifico e giuria scuole
medie: Fiorella Angelillo, Giovanna Callegari,
Francesca di Fenza, Nunzia Meluccio, Concettina
Rimedio.
• Responsabili sezione scientifica: Andrea Baldassarri, Isabella Buono, Paola Cannada Bartoli.
• Gestione del sito web e comunicazione: Giovanna Arnone, Giovanni Pipola.
• Istituti promotori: I.S.S. “Pitagora” (Pozzuoli),
I.C. “G. Falcone” (Napoli) , I.C. “F. Russo” (Napoli),
I.C. “Oriani-Diaz” (Pozzuoli).
• Hanno sostenuto e sostengono a vario titolo
la nostra attività: la società di navigazione TTTLines, l’Hotel Vesuvio, la società City Sightseeing
Napoli, le case editrici Feltrinelli, Chiarelettere,
Mondadori, Clichy, BeccoGiallo, Adelphi.
• Sul sito lapaginachenoncera.it le pagine
finaliste e vincitrici, le motivazioni degli autori,
la rassegna stampa e molto altro.
• Per info: [email protected].
69
Scuola / Il genere, la scuola e l’adolescenza
• Dal 2010 abbiamo organizzato sei edizioni del
concorso, che ha visto la partecipazione di più
di 60 scuole sul territorio nazionale; la giuria ha
ricevuto più di 500 elaborati.
• Gli autori che hanno partecipato a “La pagina
che non c’era” sono: Andrea Bajani, Stefano Benni,
Francesco D’Adamo, Maurizio de Giovanni, Ornella Della Libera, Fabio Geda, Giuseppe Genna, Viola
Di Grado, Gaetano Di Vaio, Nicola Lagioia, Sergio
Lombardi, Andrej Longo, Valerio Magrelli, Marco
Malvaldi, Margherita Oggero, Valeria Parrella,
Paolo Piccirillo, Luca Rastello, Antonio Scurati,
Paola Soriga, Andrea Tarabbia, Maurizio Torchio,
Raffaele Tripodi, Paolo Zanotti.
• Le case editrici dei testi scelti per il concorso sono: Adelphi, Ad est dell’Equatore, Baldini
Castoldi Dalai, Beccogiallo, Bompiani, Einaudi, e/o,
Mondadori, Nutrimenti, Ponte alle Grazie, Rizzoli,
Sellerio, Zanichelli.
• Per la sezione scientifica “L’immagine che
non c’era” abbiamo invitato: Amedeo Balbi, Andrea Baldassarri, Nicola Nosengo.
• La sezione graphic novel “La tavola che non c’era” ha visto la partecipazione di Francesco Barilli
e Manuel De Carli; Ciaj Rocchi e Matteo Demonte.
• Hanno tenuto seminari e lezioni durante
il festival “Scrittori tra i banchi”: Stefano Bises,
Alessandra Coppola, Francesco de Cristofaro,
Cristiano De Majo, Pier Paolo De Martino, Gabriele Frasca, Alessandro Gallo, Benedetta Gargano,
Eugenio Lucrezi, Gianni Maffei, Luciana Mignola,
Matteo Palumbo, Miriam Rebhun, Riccardo Rosa,
Scuola / I“La pagina che non c’era”
70
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
↑
Albert Camus,
fotografia di
Henry CartierBresson, 1944,
© Magnum
Photos.
ma molte altre sono possibili) la questione non è forse tanto leggere o non leggere,
ma imparare a osservare, riflettere, lavorare con lentezza.
La sezione scuole medie:
sfide, metodi e risultati
—
La scuola è uno spazio fisico e mentale
dove esplorare apprendimenti diversificati. La normativa e la società di oggi
sollecitano una preparazione significativa degli alunni attraverso la suggestione
dell’insegnare per competenze.
Le competenze elencate nelle Indicazioni nazionali per il curricolo sono quelle del
cittadino europeo, in primis la comunicazione nella madrelingua, che travalica
l’ambito disciplinare ed è uno strumento
essenziale e necessario per la comprensione e la narrazione della realtà.
Per raggiungere questo obiettivo la
scuola si orienta verso esperienze significative come i compiti di realtà, per passare da un sapere tecnico e sequenziale a
uno pratico e reticolare.
Il progetto del concorso “La pagina
che non c’era - sezione medie” nasce con
l’obiettivo di mettere insieme queste sol-
lecitazioni: libri calibrati per i ragazzi, i
cui protagonisti sono adolescenti, consentendo un processo di identificazione
che è necessario nei lettori di questa età;
la classe “spazio laboratorio” con la lettura collettiva in cui c’è cura per l’ascolto e
attenzione al tono e alle pause.
L’esplorazione del libro che continua a
casa, perché in classe non si è conclusa la
lettura del capitolo e il desiderio di leggere
rimane. Il libro nella sua forma cartacea,
portato con sé a scuola e mostrato con
fierezza ai compagni:” Guarda io ce l’ho! Il
mio ha la copertina cartonata!”, annusato
come piace ai lettori analogici, ma anche
letto online e visualizzato sulla LIM in
digitale,catturando anche l’alunno meno
interessato; o ancora il testo fruito mediante l’audiolibro, che consente ai non
vedenti e ai dislessici di godere del brano
senza l’ostacolo della decodifica lenta e
difficile delle parole.
Il percorso continua,si superano i limiti dell’aula e s’incontra l’autore con ragazze e ragazzi che hanno letto lo stesso libro
e fanno domande, domande su domande,
ormai l’autore è uno di loro.
La sezione del concorso dedicata alle
scuole medie presenta delle difficoltà pro-
fondamentale la volontà dei docenti di
partecipare. Questo concorso non va
considerato “altro” dalla didattica tradizionale, ma un’opportunità per agire un
compito di realtà con gli ingredienti necessari.È un’occasione didattica costruita
da persone che vivono la scuola in prima
linea, sono in classe e toccano con mano
quotidianamente le difficoltà di avvicinare i ragazzi alla lettura e alla scrittura,
un mondo fatto di tempo e di gusto per
la lentezza, distante dalla velocità della
realtà liquida di oggi.
Il cuore del concorso è la produzione
di una nuova pagina del libro, seguendo i
criteri di stile, di contenuto e di originalità. La scrittura per i ragazzi riveste un
ruolo fondamentale di formazione; l’esercizio di stile richiesto, l’inventio, necessita
di una manipolazione del testo al fine di
una riappropriazione, nel contenuto e
nella forma, stimola processi cognitivi di
analisi,di comparazione e di rielaborazione e pone l’accento sul dato importante di
consapevolezza della realtà.
Il momento della premiazione è una
festa per i ragazzi e per gli organizzatori
è il punto di arrivo di un lungo lavoro
fatto anche dalla lettura dei numerosi
elaborati prodotti: è entusiasmante leggere tanti testi, immaginare ciascuno
che riempie la pagina vuota, toccare con
mano la creatività di ogni ragazzo, la sua
energia mentale; è un lavoro faticoso ma
ricco di emozioni.
Raffaella Bosso
è docente di italiano e latino nei Licei, fa
parte del comitato tecnico-scientifico de
“La pagina che non c’era”. Ha conseguito
un dottorato di ricerca in archeologia
e si occupa soprattutto della ricezione
dell’antico in età moderna, collaborando
con soprintendenze e università. Ha curato
diversi progetti sull’archeologia per la scuola.
Francesca Di Fenza
è laureata in pedagogia, da
vent’anni docente di italiano nella
secondaria di I grado, insegna attualmente
nell’I.C. “Giovanni Falcone” di Napoli.
Ha lavorato nel settore informatico e ha
approfondito gli studi delle Scienze Umane e
delle ITC; collabora con il FADI, centro
OPPI-MI, nell’attività di ricerca in campo
educativo e di formazione. Fa parte del
comitato tecnico-scientifico della sezione
medie de “La pagina che non c’era”.
71
Scuola / “La pagina che non c’era”
prio per l’età dei ragazzi, preadolescenti
curiosi di conoscere il mondo. È richiesta
una cura particolare dei contenuti, del
linguaggio e dei messaggi, che devono
essere adeguati ai loro bisogni cognitivi
ed emotivi. Quest’anno Fabio Geda ha
raccontato di come ha scelto la storia
di Enajat, il protagonista del libro, del
fatto che si è innamorato di come lui gli
ha raccontato la sua vicenda umana, di
come riuscisse a raccontare un’esperienza drammatica sempre con leggerezza
e speranza. Ha parlato del “rubare non
solo lo sguardo, ma anche la lingua” delle
atmosfere linguistiche orientali, del disegnare la pagina con scelte particolari,della costruzione del testo con la mancanza
di punteggiatura, dell’importanza della
lettura, che è una modalità non migliore,
ma diversa di sedimentare una storia: il
libro viene scritto due volte, una prima
dall’autore e una seconda da chi lo legge.
Alla fine ha dato dei consigli per aggiungere “la pagina che non c’era”: suggestiva
è stata l’espressione “carotaggio”: per
Geda raccontare storie vuol dire eseguire
un carotaggio nella realtà: «prendere una
storia ed entrarci in profondità affinché
questa diventi simbolo di altre e scrivere
la pagina mancante vuol dire entrare nel
testo e aggiungere qualcosa, vedere un
pezzettino di terreno che lui non ha visto
e scriverlo».
Altri scrittori sono rimasti nel cuore
dei ragazzi, come Francesco D’Adamo,
l’autore di Mille pezzi al giorno, che, come
ha scritto Delfina Curati nella recensione
per il nostro sito lapaginachenoncera.it,
«è riuscito a parlare di tecniche narrative,
mimesi stilistica, Bildungsroman e autodiegesi, senza mai pronunciare nessuna
di queste parolacce da manuale».
Il concorso è cresciuto e ha preso forza
in questo: cercando di proporre belle storie da leggere; la produzione di narrativa
per ragazzi, soprattutto di tipo scolastico,
è purtroppo molto deludente: storie sminuite e banalizzate con messaggi retorici
che non danno spazio alla riflessione e
alla crescita intima e culturale del lettore.
Leggere una storia ben costruita rimane nel profondo, è una esperienza significativa e questo andrebbe aggiunto ai
dieci diritti del lettore di cui parla Daniel
Pennac, l’undicesimo, un diritto speciale
degli alunni: leggere a scuola un libro che
rimanga nel cuore.
Una buona storia è l’elemento necessario per la riuscita del percorso, ma è
racconti di scuola
Se una fontana
si ammala
di Giusi Marchetta
La ricerca / N. 10 Nuova Serie. Maggio 2016
Scuola / Se una fontana si ammala
72
H
ai presente le gambe che tremano? Il cuore che
non sta fermo, la voce che non sembra la tua
e le mani che si nascondono dietro la schiena
perché è lì che si annida ogni balbettare e loro
non possono che stringersi l’un l’altra per farsi coraggio?
È la poesia quando hai sette anni.
Il tema è natalizio, ovviamente (Comm’è bell’ Natale a
sera ‘ra viggilia, / è tutt’ n’allegria p’a nascita e’ Gesù), e tu sei
in piedi su una sedia, cosa che ti rende ancora più nervosa.
Credi che sia colpa dei parenti, per quanto il clima allegro e
il fatto che la cosa si ripeta ogni anno ti portino a pensare
che applaudiranno lo stesso alla fine, che tu ti blocchi o no.
Poesia, applauso, mazzetta del nonno: è così che va o non
sarebbe Natale.
Eppure sei nervosa lo stesso e la poesia è solo un elenco
di parole troppo lunghe e voragini improvvise in cui senti
di inciampare ogni volta che finisce il verso, senza ricordare
come inizia quello dopo. Così, quando in classe devi alzarti
in piedi a sciorinare Il cinque maggio, non ti chiedi davvero
che significa, cosa dice: ti attacchi alle rime come se fossero
i binari e tu il treno, ci corri sopra come un razzo, altri due
minuti e sarà finita.
No, non sai niente della poesia se non che devi ripeterla
dieci volte con il quaderno chiuso se vuoi andare a giocare
con la coscienza a posto. Questo finché la maestra non
ve ne insegna una senza rime. La imparate per il primo
maggio e fa così:
Nessuno ci ha offerto un lavoro.
Con le mani in tasca e il viso basso stiamo in piedi
all’aperto.
E tremiamo nelle stanze senza fuoco.
L’attesa è lunga.
Chissà.
Non ti andrà più via dalla testa. E per anni, quando vedrai
i disoccupati scioperare per strada o davanti alle fabbriche
che hanno appena chiuso, ti verrà in mente una stanzetta
buia e un uomo triste con le mani in tasca che fissa la
porta chiusa.
Vent’anni dopo nella mia classe leggiamo La fontana malata.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
Sentirla
tossire.
È così triste.
Il mio occhio allenato, la mia deformazione professionale
scannerizzano i versi e visualizzano parallelismi, onomatopee, allitterazioni, anafore. I miei alunni no. Si concentrano
invece su ogni suono trasformato in parola, descrivono la
goccia che cade dalla fontana nel pozzetto d’acqua sottostante (clof), a terra (clop), su qualcosa di ferro, forse una
grata (cloch).
Adesso vedono la fontana nel cortile, la immaginano
piegarsi in avanti, tossire come un essere umano, ed è così
brutto che una fontana si ammali che non ha senso in questo
momento puntare il dito contro le parole, distinguere una
figura retorica dall’altra. Le notano questo sì, quasi tutte:
individuano subito l’angoscia dei suoni che si ripetono, delle
parole che ritornano; la stanchezza del tornare subito a capo,
i versi che suonano allo stesso modo. Solo, non li chiamiamo
allitterazione, anafora, enjambement, omoteleuto.
Sono in prima media ed è la prima poesia che leggiamo
insieme: è ancora presto. Non ci interessano la metrica,
la biografia dell’autore. Ci interessa questa sensazione di
tristezza e quest’idea luminosa, inquietante, che anche agli
oggetti tocchi la stessa sorte degli esseri umani. Ci interessa la fontana che è una cosa materiale, banale, una visione
ricorrente nelle strade o ai giardini, e ancora di più, che sia
→
Lo scrittore tedesco Michael Andreas
Helmuth Ende a dieci anni, 1939, www.
michaelende.de.
73
Scuola / Se una fontana si ammala
malata, perché questo la rende diversa, speciale: tra tutte le fontane,
l’unica che sia come noi.
A che serve la poesia? Chiede sempre qualcuno di loro.
Non la capisco, fa eco un altro. Non
si capisce.
Forse per questo la prima cosa che
dovremmo insegnare della poesia è
il modo in cui anima il mondo attraverso le parole. Ma questo insegnamento dovrebbe essere graduale,
accompagnato da una lettura libera
del testo che si soffermi su quanto ha
suscitato nei ragazzi.
Spesso niente va detto: il senso
di distacco da quanto viene letto in
classe a volte è così accentuato, che
pare che nulla li possa incuriosire
o suggestionare. Per questo se vogliamo abituarli al salto tra reale e
poetico dobbiamo giocare d’anticipo: assecondare alle elementari la
tendenza dei bambini a interpretare
la realtà in modo fantasioso, e non
abbandonare tutto alle medie, come se di colpo la poesia
diventasse qualcosa da tradurre necessariamente in prosa, o
peggio, in un elenco di figure retoriche da indovinare.
Prendiamo la fontana malata, invece, e parliamone. Leggiamola tossire, sentiamo che muore. Leggiamo Gozzano,
Rodari, Moretti, Lamarque; passiamo dai canti curdi a quelli
degli Indiani d’America. Scegliamo poesie che siano belle
e comprensibili, che possano parlare davvero alla loro età
e leggiamole senza preoccuparci degli aspetti più tecnici
del testo. Insomma, almeno all’inizio, proviamo a mostrare
veramente cos’è una poesia. Proponiamo esperimenti col
linguaggio poetico: cerchiamo di capire perché fontana
rotta è meno poetico di fontana malata. Scegliamo la parola
o il verso che ci trasmettono una certa emozione. Leggiamo
solo quella parola o quel verso, in successione. Smontiamo la
poesia e facciamola risuonare in classe come una cosa sospesa, che non serve, è solo bella. Quello che staremo cercando,
sotto l’apparenza di lettere e suoni, è quel senso di assoluto
che ha rincorso il poeta, tentando di scoprire come riesce a
ottenerlo. Potremmo accontentarci per il momento di dire
questo ai nostri alunni: che lo fa suggerendo. Una fontana
gocciola e il poeta è poeta perché la sente tossire e suggerisce al lettore che sia malata. Poi potremmo divertirci un po’,
trovare la poesia nell’accostamento di due parole, un oggetto
e un modo d’essere tipicamente umano. Ecco che potrebbero
venire alla luce un pallone nervoso; un fiore timido; un pupazzo di neve che suda, un fazzoletto che piange.
Non si tratta di scrivere poesie ma di giocare col poetico.
Mostrare di quest’arte l’aspetto difficile senza dimenticare
quello bellissimo, dimostrando che non esiste solo quello
che appare e che le parole giuste avvicinate nel modo giusto
possono aiutarci a illuminare il lato nascosto del mondo.
Giusi Marchetta
nata a Milano nel 1982, è cresciuta a Caserta, poi si è trasferita
a Napoli. Oggi vive a Torino, dove è insegnante. Per Terre di
Mezzo ha pubblicato le raccolte di racconti Dai un bacio a chi vuoi
tu (2008), con la quale ha vinto il Premio Calvino, e Napoli ore 11
(2010). Il suo primo romanzo, L’iguana non vuole, è stato pubblicato
nel 2011 da Rizzoli. Nel 2015 è uscito, per Einaudi, Lettori si cresce.
LA FORMAZIONE
LŒSCHER
Seminari di formazione per docenti
BENESSERE
A SCUOLA
ES
B
DSA
Inclusione
Disagio
Bullismo
Identità sessuale
Omofobia
Valutazione
PROFESSIONE
DOCENTE
DIDATTICA
E DISCIPLINE
ompetenze
C
Adulti
Scuola-Lavoro
Nuove tecnologie
Internet
Scuola 2.0
Invalsi
CLIL
Didattica
inguistica
L
Letteratura italiana
Lingue straniere
Scrittura
Italiano L2
Arte
Storia
L'OFFERTA CONTINUA ONLINE
L’aggiornamento dei seminari di formazione è a disposizione sul sito.
Sempre online puoi effettuarne la prenotazione.
Rivolgiti al tuo agente di zona per ulteriori informazioni.
I seminari vengono erogati anche in modalità webinar.
Sul sito il calendario delle date.
www.loescher.it/formazione
Progetto
SCUOLA AMICA
Fare rete con La ricerca
La ricerca è una testata libera, indipendente,
distribuita e pubblicata online a titolo gratuito.
La ricerca nasce dal settore “Ricerca e sviluppo”
di un editore scolastico interessato a capire la scuola
contemporanea e a fornire strumenti e aiuto ai docenti
nel loro lavoro quotidiano, nell’aggiornamento e nell’autoformazione.
La ricerca sta creando un network di scuole amiche: per migliorare
l’efficacia del proprio operato attraverso un rapporto diretto con docenti,
dirigenti, operatori, genitori, che potranno fornire feedback e suggerire temi,
argomenti, idee, bisogni.
Scuola amica
Vai sul sito o richiedi informazioni
su come diventare una SCUOLA AMICA.
www.laricerca.loescher.it
[email protected]
www.laricerca.loescher.it
Su Facebook:
La ricerca
Su Twitter:
@LaRicercaOnline
LA RICERCA
ONLINE
Rivista e contenitore per dire, fare, condividere cultura
L
a ricerca si affaccia alla rete con una finestra online:
il sito nasce per ampliare le prospettive, arricchire
il dibattito, captare e rilanciare nuovi argomenti, nuovi discorsi.
In contatto diretto e quotidiano scambio con i suoi lettori.
Il sito contiene gli articoli scritti per La ricerca cartacea
e il pdf scaricabile, un aggiornamento quotidiano di articoli
di attualità, istruzione, cultura, la sezione Scritto da voi,
un’area dedicata alle normative riguardanti l’istruzione,
e tutti i Quaderni della Ricerca.