Volevo fare la rockstar - giampaolo

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Volevo fare la rockstar - giampaolo
Volevo fare la
Sono tantissimi i personaggi pubblici reggiani,
spesso insospettabili, con un passato,
e in alcuni casi anche un presente, da musicista rock.
Professionisti, politici, imprenditori, giornalisti:
hanno tutti una storia da raccontare
Servizio di Giampaolo Corradini - Foto dall’archivio dei gruppi reggiani - Foto attuali di Mattia Iotti
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rockstar
S
ono volti noti della città. Sono amministratori pubblici,
versi. Tutti nella consapevolezza che il rock è un eccezionale mezzo
politici di destra o di sinistra. Sono imprenditori dal suc-
di comunicazione, un canale unico per far esplodere creatività ed
cesso conclamato, a volte a livello mondiale. Sono anche
emozioni e, soprattutto, una forma d’arte altissima, che non ha
giornalisti, architetti, professionisti. Ma, soprattutto, sono
niente da invidiare ad altre forme espressive considerate più nobi-
musicisti rock che, per via delle inconcepibili e casuali strade sulla
li. E tutti sono caratterizzati da una genuina voglia di uscire dagli
quali ti porta la vita, hanno finito per fare un altro mestiere.
schemi, a volte un po’ ingessati, nei quali li costringe il loro ruolo
Dagli anni ’60 ad oggi, Reggio Emilia ha dato alla luce un numero
pubblico. Anche nel caso di coloro che, invece, rockstar lo erano
incredibile di gruppi musicali. È naturale che, dietro ai mostri sacri
per davvero, ma poi hanno deciso di fare qualcos’altro. Li abbiamo
che “ce l’hanno fatta” ci siano tantissimi altri che, pur dotati di un
raccolti tutti in questo servizio, una sorta di enciclopedia della musi-
talento a volte eccezionale, abbiano finito per compiere percorsi di-
ca popolare reggiana in grado di regalare più di una sorpresa.
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I POLITICI
Simon & Garfunkel?
No, Pier e Marco
Saccardi e Barbieri,
in armonia nella Margherita e sul palcoscenico
Pierluigi
Saccardi
a sinistra,
in versione
salsero con
maracas.
A destra,
in veste
ufficiale
Sopra, nel circoletto, Saccardi nel 1981, circondato dai suoi amati “matti”.
Sotto, Barbieri e Saccardi in piazza di Spagna. Sono i tempi in cui Saccardi (nella foto a destra tra due poliziotti a Praga)
era diventato celebre con la canzone “La mia banda mangia il gnoc”
I
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l vicepresidente della Provincia Pierluigi Saccardi e il consiglie-
è senz’altro quella con alcuni dei membri dei Gipsy Kings a casa
re regionale Marco Barbieri, già assessore regionale alla cul-
di Raul Casadei. Un altro episodio straordinario mi è capitato in
tura nella passato legislatura, hanno molte storie in comune.
America Latina, dove mi trovavo con una missione istituzionale
Molte legate alle sei corde della chitarra.
per incontrare i nostri emigrati. Mi sono ritrovato in un orfano-
“Molti dei miei ricordi più piacevoli sono legati alla musica – ricor-
trofio con la chitarra in mano ad accompagnare un coro straordi-
da Saccardi – sia in ambito dei concerti live, sia in altre situazio-
nario formato da Ivana Spagna, Beppe Carletti, Franco Simone,
ni”. Nel primo filone rientra un ricordo eccezionale: la jam session
Iva Zanicchi e Vasco… Vasco Errani, intendo. Alla fine i ragazzi mi
che Saccardi e Barbieri fecero nientemeno che con i Gipsy Kings:
hanno chiesto quali erano le mie canzoni più famose...”. Come
“Il loro chitarrista è eccezionale – ricorda Saccardi - Riusciva a
tra tutti i buoni amici, a livello musicale tra Barbieri e Saccardi c’è
suonare cose incredibili con la chitarra sia destra che mancina,
la giusta dose di sana competizione: “Suono la chitarra, anche
suonando indifferentemente con entrambe le mani: un mostro!”
mostro!”.
se non particolarmente bene – dice di sé Barbieri - Il mio primo
Anche Marco Barbieri ricorda bene quella serata: “Mi è capitato
insegnante è stato proprio Pier Saccardi che, pur avendo un anno
di suonare con i Nomadi, ma la ‘performance live più particolare
in meno di me, ha iniziato prima a studiare chitarra e, sono co-
stretto ad ammettere, conseguendo anche risultati migliori!
Poi man mano negli anni mi sono convertito alle percussioni, capita spesso che mi cimenti con congas e bonghi”.
Saccardi, però, ha anche un incredibile successo alle spalle:
“Partecipai a metà anni ‘80 - ricorda il vicepresidente della
Provincia - alla trasmissione di Telereggio ‘Il Gonfalone’, che
vincemmo grazie alla nostra canzone, ‘La mia banda mangia
il gnoc’, rivisitazione in chiave ironico-demenziale de ‘La mia
banda suona il rock’ di Fossati. La cosa sconvolgente - ride
Saccardi - fu accorgersi che tutte le radio private di Reggio,
Modena e Parma iniziarono a trasmettere la nostra versione.
Diventammo famosi, anche se per un breve periodo, con ‘La
mia banda mangia il gnoc’...”.
In merito a tutte le esperienze musicali avute negli anni,
Saccardi e Barbieri hanno una diversa classifica dei ricordi:
“Una delle esperienze più belle in assoluto – sorride Saccardi
– è legata alla mia attività di volontariato con alcuni pazienti
di una casa di cura mentale. Era il 1981, avevo diciotto anni,
e assistevo queste persone uscite dai manicomi dopo la legge Basaglia. Ero l’unico cui davano retta perché suonavo la
chitarra e con la musica riuscivo a conquistarli. Dal punto di
vista umano, fu un’esperienza straordinaria”. “Ancora oggi
ascolto moltissima musica – aggiunge Barbieri - il viaggio
quotidiano Vezzano - Bologna aiuta a trovare il tempo necessario. Fin da giovanissimo ho partecipato a moltissimi concerti: da Bob Dylan ai Pink Floyd, dai Rolling Stones a Joe
Cocker. Nella nostra città il concerto che considero memorabile fu quello dei Police, anche per il contesto che si è creato
Barbieri
ieri e oggi,
sopra,
con Renzo
Lusetti che
fa solo finta
di suonare
la chitarra
in quell’occasione: il caos attorno al palazzetto per tutti i
biglietti falsi che giravano e le tante persone che cercavano
in ogni modo di entrare. Per quanto riguarda i concerti di
cantautori italiani, ho sempre amato in particolare De Andrè,
Guccini, Vecchioni e Conte. Un discorso a parte devo farlo
sui Nomadi. Nel loro caso i concerti, vista l’amicizia che da
tanti anni ci lega, sono stati centinaia forse migliaia.
Come portano, Saccardi e Barbieri, il loro essere musicista
nel campo politico? La risposta, e non poteva essere altrimenti, arriva in coro: “La musica è educazione al ritmo,
all’armonia, che sono concetti indispensabili nella società e
nell’ambiente di lavoro. È un modo prezioso per imparare a
lavorare in gruppo. La politica dovrebbe servire proprio ad
“armonizzare” rispetto agli interessi diversi, ai conflitti. Suonare in gruppo aiuta a capire che quello che puoi produrre
di bello e di positivo è quello che riesci a fare insieme con
gli altri. E in un gruppo non conta chi suona più forte, ma
che tutti concorrano allo stesso obiettivo: magari fosse così
anche in Parlamento...”.
Chissà, si potrebbe provare con Vasco Rossi Presidente del
Consiglio...
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Rock di opposizione
L’epopea musicale
di Leopoldo Barbieri Manodori
(consigliere provinciale
di Alleanza Nazionale) e Stefano Tombari
(coordinatore provinciale di Forza Italia)
Leopoldo Barbieri Manodori
oggi, nella foto a destra,
e negli anni ‘70 con la band
Il Giardino, nella quale militava
anche Luigi Maramotti, alla
chitarra nelle due foto qui sotto
A
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desso suonano musica country, in un gruppo che, a partire
Barbieri Manodori, che ha iniziato a calcare i palchi imbracciando la
dal nome, è tutto un programma: House of Freedom. Voce
chitarra all’alba dei turbolenti anni ’70: “Il mio debutto in assoluto
della “Casa delle libertà” in versione musicale è Leopoldo
è avvenuto a Londra nel 1971 – ci racconta – Avevo diciassette
Barbieri Manodori, che siede tra i banchi di Alleanza Nazionale
anni e, nel corso di una vacanza studio, ho conosciuto un chitar-
nella sala consiliare della Provincia. Alla chitarra c’è Stefano Tom-
rista di Lugano che mi ha convinto ad esibirmi dal vivo. Il primo
bari, coordinatore provinciale di Forza Italia. “Quando io e Stefano
pezzo che cantai di fronte ad un pubblico fu Hey Joe, versione Jimi
abbiamo fondato il gruppo – spiega Leopoldo Barbieri Manodori
Hendrix: una cosa terribile!”. Tornato in Italia, Barbieri Manodori
– abbiamo deciso di chiamarlo House of Freedom proprio per es-
continua a coltivare la sua passione per il soft rock melodico, con
sere sicuri che non ci avrebbero mai invitati a suonare alla Festa
un atteggiamento bipartisan ante litteram: “Amavo i cantautori
dell’Unità, anche se abbiamo un bassista di nome Red...”. Ma se,
italiani: Battisti, Guccini, De Gregori. Erano questi i nomi cui mi
politicamente parlando, nel centro destra ci sono alcune divisioni
ispiravo nella composizione dei miei primi brani”. Una scelta un
tra gli alleati, sul versante musicale è tutta un’altra cosa: “Stefano
po’ strana per un giovane di destra, specialmente negli anni ’70:
alla chitarra è veramente un fenomeno” assicura Barbieri Mano-
“Ma quale ideologia – si schernisce Barbieri Manodori – quella dei
dori, anche se il diretto interessato replica in maniera polemica:
cantautori di sinistra è una bufala. Nel ’72 mi capitò di intervistare
“Leopoldo è un ottimo cantante ed un bravo chitarrista – conferma
Guccini per la rivista del liceo e mi confessò di votare Repubblicano
Tombari – anche se mi obbliga a fare del country, mentre io vorrei
da sempre...”. Proprio in quegli anni, il giovane Barbieri Manodori
fare dei pezzi più hard rock, tipo i Red Hot Chili Peppers!”. Guai
scopre anche l’ondata folk americana: i suoni acustici di Bob Dy-
a scherzare sulla musica: il rock, soprattutto, riesce a scaldare gli
lan, James Taylor, Jim Croce e Cat Stevens fanno da colonna so-
animi peggio di un dibattito sui Dico. Ne sa qualcosa Leopoldo
nora all’educazione musicale del giovane reggiano che, nel 1974,
Stefano Tombari
a 15 anni suonava
nei “New Quacks”,
oggi si cimenta
come chitarrista
country negli
“House of Freedom”
con Barbieri
Manodori.
Anche se Tombari
vorrebbe suonare
il rock dei Red Hot
Chili Peppers
appena raggiunti i diciannove anni, fonda il suo primo gruppo se-
nostri amici, o da persone che comunque gravitavano nell’ambito
rio: “L’idea fu di un chitarrista diciassettenne, molto precoce ed
della destra reggiana, per cui il dibattito finiva sempre per conte-
estremamente dotato sul piano della tecnica: Luigi Maramotti”.
nere argomenti del tipo ‘La frattura tra De Gregori e la sinistra’...”.
Assieme al figlio del fondatore di Max Mara, Barbieri Manodori dà
Ma l’intervento senza dubbio più carico di emotività fu quello che
vita a Il G.I.A.R.D.I.N.O.: “Erano anni impegnati – ride Barbieri
Il Giardino tenne nel 1976 in via Compagnoni: “Suonammo qual-
Manodori – e, anche se non lo abbiamo mai pubblicizzato troppo
che giorno dopo la morte di Alceste Campanile – ricorda Barbieri
in giro, l’acronimo dietro a Il Giardino stava per Gruppo Indiriz-
Manodori – e l’atmosfera era a dir poco elettrica. Io ero già allora,
zato Alla Ricerca DI Nuovi Orizzonti. Infatti, proprio in ossequio
sebbene non facessi politica attiva, un noto esponente della destra
all’impegno che connotava il rock negli anni ’70, non facevamo dei
giovanile. In quei giorni la verità accreditata sull’omicidio di Alceste
‘banali’ concerti, ma degli ‘interventi musicali’ ai quali, inevitabil-
era che fosse stato ucciso da fascisti. La tensione, soprattutto tra il
mente, seguiva il dibattito”
dibattito”. Tragica consuetudine degli anni ’70, il
pubblico, era palpabile ma, per fortuna, non successe nulla di gra-
dibattito seguente alla performance de Il Giardino verteva su temi
ve”. Anzi, nonostante il dolore per la recente scomparsa dell’amico
che mescolavano musica popolare e politica: “Dal momento che i
Alceste, Leopoldo Barbieri Manodori ricorda quel giorno per via
nostri non erano concerti veri e propri, ma interventi legati ad una
di una delle sue prime grandi soddisfazioni artistiche: “In cartel-
certa filosofia e ad un certo modo di porsi, non ne facevamo più
lone, dopo di noi, quel giorno c’era Lucio Dalla, il quale mi strizzò
di due o tre l’anno e in posti selezionati con cura. Una volta suo-
l’occhio in segno di approvazione per la nostra esibizione. In quel
nammo in un magazzino abbandonato di Max Mara, scovato ov-
momento mi sentii una rockstar e per un attimo dimenticai anche
viamente da Luigi Maramotti, un’altra volta in un centro sociale al
la morte di Alceste, che fino a qualche giorno prima provava con
Buco del signore. Il pubblico era quasi esclusivamente formato da
noi nella nostra saletta”. L’ennesimo esempio che il rock supera la
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Stefano Tombari (secondo da sinistra) negli anni ‘70 suonava la chitarra con The New Quacks
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politica nella capacità di abbattere le barriere ideologiche.
presenti si aspettavano di vedere i due prendersi a pugni, e in-
Chiusa l’esperienza con Il Giardino, Barbieri Manodori continua il
vece si abbracciarono sul palco: divisi dall’ideologia politica ma
suo percorso musicale su altri fronti: “Ho inciso un paio di brani
uniti dall’esperienza di carcere che entrambi avevano fatto per
da solo, chitarra e voce, con una cura molto attenta alla produ-
via della loro attività negli anni ’70. In quell’occasione De Ange-
zione. Li feci girare, sperando di trovare un produttore interes-
lis mi strinse la mano dicendomi che desiderava conoscermi da
sato a metterli su disco. In quegli anni ho accarezzato l’idea di
quando, negli anni ’70, le mie canzoni avevano fatto da colonna
fare della musica qualcosa di più di un semplice hobby, ma non
sonora alla sua latitanza a Parigi. Fu, per me, un’emozione uni-
avrei mai rinunciato a tutto: il mio percorso di studi era troppo
ca”. Ma Leopoldo Barbieri Manodori racconta anche con orgoglio
importante per abbandonarlo completamente. Nel 1980, poi, è
di quando lo scambiarono per cubano...: “Era il 1982, a Reggio
cominciato il mio sodalizio con Stefano Tombari, ed è proprio
c’era la Festa Nazionale dell’Unità. Allo stand cubano suonava
in quell’anno che è iniziata anche la mia attività politica, sebbe-
ogni sera il gruppo del mio amico Pirelli il quale, una sera, mi
ne senza che ricoprissi cariche pubbliche”. Ma politica e musica,
chiese se la mia band poteva sostituire la sua dal vivo. Allora
nella vita di Barbieri Manodori, sono sempre destinate ad intrec-
suonavo un repertorio di musica popolare sudamericana. Andai
ciarsi: “In quello stesso anno suonai al Campo Hobbit vicino a
molti volentieri, anche perché la soddisfazione di venire pagato
L’Aquila, davanti a duemila persone. Fu un’esperienza esaltante
300mila lire dai ‘compagni’ per suonare al Campo Volo era troppo
e molto triste al tempo stesso, perché qualche giorno più tar-
ghiotta per lasciarsela scappare. Il concerto andò così bene che i
di la strage di Bologna mise praticamente fine alla stagione dei
cubani dello stand mi presero per un loro connazionale!”
connazionale!”.
grandi raduni della destra giovanile come quello nel quale avevo
Oggi l’attività del gruppo country House of Freedom è estrema-
appena suonato”. Se i raduni giovanili si interrompono, l’eco del
mente vivace: “L’idea è quella di portare il nostro repertorio in
raduno del 1980 continua a portare risultati a Barbieri Manodori:
spazi adatti: come gli agriturismi, i maneggi, feste in stile country,
“Qualche anno dopo aprimmo il concerto del più famoso gruppo
situazioni nelle quali è possibile abbinare la musica che facciamo
di destra, La Compagnia dell’Anello, all’università di Bologna, ed
ad uno stile di vita legato al cavallo ed alla natura”. Il percorso
in quell’occasione si fecero avanti molte persone per stringermi
musicale compiuto sino ad oggi da Leopoldo Barbieri Manodori gli
la mano: avevano ascoltato la cassetta del concerto al Campo
ha insegnato molte cose: “Ogni volta che, in ambito politico, parlo
Hobbitt e conoscevano a memoria le mie canzoni!”. L’esempio
della mia passione per la musica trova immediatamente sintonia
più eclatante della fama di Barbieri Manodori arriva però qualche
con l’interlocutore. Devo dire che il mio passato da cantante e chi-
anno più tardi: “Era il 1993 – racconta il diretto interessato – e
tarrista mi fa guadagnare sempre la stima dei miei colleghi, anche
organizzai, con il mio circolo culturale ‘Oltre la Linea’, un incon-
degli avversari. Forse perché la mia esperienza mi ha insegnato
tro pubblico all’Italghisa tra l’ex Br Alberto Franceschini e l’ex
che, nella musica come nella politica, è fondamentale andare alla
esponente di Terza Posizione Marcello De Angelis. I giornalisti
ricerca dell’armonia”.
Max Mara Rock Collection
Luigi Maramotti
viene descritto
come un timido chitarrista
dal grandissimo talento
anche come compositore
GLI IMPRENDITORI
Sopra, Luigi Maramotti, numero uno dell’impero Max Mara.
A fianco, la copertina dell’album inciso da Maramotti nel 1986.
“Era avanti vent’anni” è il giudizio del tecnico del suono Iannò
A
nche Luigi Maramotti, figlio di Achille, ha un passato da
quindi adattissimo a cose acustiche e folk, come il country, ma
musicista. Chi si è trovato a suonare con lui negli anni
in quegli anni venne nel mio studio perché voleva creare questi
’70 e ’80 lo descrive come un chitarrista dal grandissimo
loop, queste canzoni circolari, basate su frammenti sonori che
talento, ed un compositore eccezionale. Uno di questi è Leopoldo
ritornavano costantemente. Io, già da allora, ero specializzato
Barbieri Manodori, suo compagno ne Il Giardino negli anni ’70:
nell’utilizzo del computer, per questo lo aiutai a creare l’effetto
“Luigi scriveva la maggior parte dei pezzi del gruppo. Facevamo
che voleva. Posso dire che quel disco era avanti vent’anni”
vent’anni”.
le prove al suo castello e ricordo che lo prendevo in giro: ‘basta
Non mancano, nel passato di Luigi Maramotti, le esperienze dal
vedere la vista che ha dai qui – gli dicevo – per capire come fai a
vivo. Con il Giardino arrivò addirittura ad allestire un magazzino
scrivere canzoni così belle. Sei circondato dalla bellezza’. All’epo-
abbandonato di Max Mara per ospitare un concerto o, come si
ca aveva un carattere riservato, addirittura schivo. Credo che
diceva allora, un “intervento musicale” del gruppo. Negli anni
esprimesse molto di sé attraverso la musica”.
seguenti Luigi Maramotti mise anche in scena la sua “non mu-
Giuseppe Iannò ha incrociato Luigi Maramotti un decennio dopo:
sica”. Iannò ricorda l’esperienza: “Registrare l’album non fu un
“Luigi registrò nel mio studio un suo album nel 1986. Già dal
problema, replicare quegli spezzoni musicali circolari dal vivo in-
titolo si capiva la direzione nella quale stava andando: ‘Knot mu-
vece sì. Erano gli anni in cui si lavorava su nastro, per cui dovetti
sic – Musica per ascolto distratto’. Il gioco di parole era davvero
registrare dei piccoli spezzoni e unirli insieme in una cassetta da
efficace. Knot significa nodo, ma si pronuncia ‘not’, ecco quindi
far girare senza sosta. Allora era un problema enorme, oggi si
espresso il concetto: non era musica, ma una sorta di colonna
fa in cinque minuti con un normale programma di editing audio.
sonora, oggi si direbbe lounge, pensata per la filodiffusione nelle
Sarebbe interessante produrre qualcosa oggi, chissà cosa ne ver-
sale d’attesa. Luigi è un grandissimo chitarrista di fingerpicking,
rebbe fuori”. Già, chissà.
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L’Alan Parsons reggiano
Giuseppe Iannò,
imprenditore di successo
e produttore musicale all’avanguardia
A sinistra, Giuseppe
Iannò nel suo studio
con l’Officina Musicale
nel 1987.
A destra, l’imprenditore
immobiliare oggi
O
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ggi, musicalmente parlando, si considera una sorta di
i primi a darmi una mano quando ho bisogno. Fornili, ad esem-
Alan Parsons, chiuso nel suo studio a dare la forma mi-
pio, ha suonato un bellissimo assolo di chitarra in un brano della
gliore alla voce altrui. Un produttore con la capacità di
mia band, l’Officina Musicale”. Sì, perché a distanza di tantissimi
immaginare e dare vita a suoni innovativi, grazie alla strumenta-
anni dal debutto degli anni ’70, l’Officina Musicale è ancora attiva:
zione giusta e ad un talento naturale per il sound. Negli anni ’70,
“Certo, non facciamo più concerti dal vivo, ma produciamo ancora
come tanti suoi coetanei, aveva un suo gruppo, l’Officina Musicale,
dei dischi. Il mio studio è attrezzatissimo, tanto che abbiamo la
e molti sogni nel cassetto.
possibilità di realizzare le nostre produzioni con tutta calma. Tra
Giuseppe Iannò non è solo il titolare di una delle più grandi agen-
poco uscirà il nostro nuovo cd, che metteremo su I-Tunes e su
zie immobiliari della città, ma anche una sorta di collettore, di pun-
Vitaminic”. Non è un caso che Iannò, un vero e proprio esperto
to di riferimento per i musicisti reggiani e non solo. “Ancora oggi,
nell’utilizzo di computer MacIntosh in ambito musicale sfrutti al
nonostante il poco tempo libero, riesco a ritagliarmi uno spazio per
meglio le possibilità offerte da internet: “Quando ho cominciato
la musica e a collaborare con molti artisti reggiani”. Era suo, ad
a suonare dal vivo, a diciott’anni nel 1976, le cose erano molto
esempio, il gong sfoggiato da Gigi Cavalli Cocchi al mega concerto
diverse e le possibilità più limitate. Però, a mio avviso, c’era una
di Ligabue al Campo Volo nel 2005: “Credo di essere l’unico a Reg-
maggiore creatività. Ogni album rock, negli anni ’70, era un even-
gio a possedere un gong – ride Iannò, che però vanta molte altre
to che faceva fare un passo in avanti alla musica. Era normale,
collaborazioni importanti – Mi capita spesso di dare consulenza
per le band emergenti, proporre pezzi di propria composizione dal
musicale agli artisti reggiani. Ho dato una mano, ad esempio, a
vivo. Oggi, la musica non evolve più ed i gruppi locali sono for-
Ivana Spagna e spesso viene a trovarmi in studio Fornili, il chitarri-
mati quasi esclusivamente da cover band”. Di chi è la colpa di
sta degli Stadio”. Ma, nella migliore tradizione romantica-musicale,
questa involuzione? Iannò ha le idee chiare: “Allora non c’erano
si tratta di consulenze gratuite: “Certo – si schernisce Iannò – la
locali che dessero spazio alla musica dal vivo, ed ogni situazione
musica è un hobby per me, se mi facessi pagare diventerebbe
live era realizzata dall’ufficio cultura, nel quale lavorava già Luca
un lavoro. Si tratta di favori che faccio a degli amici che poi sono
Fantini. Vista la logica non commerciale degli eventi, le band era-
no probabilmente più libere di esprimersi, preoccupandosi meno
della reazione di un pubblico che, comunque, era più preparato
dal punto di vista musicale”. In quell’epoca così attenta al rock,
anche Iannò corse seriamente il rischio di diventare una rockstar:
“Con l’Officina Musicale vincemmo un’edizione di Terremoto Rock
alla pari con Ligabue. Mi colpirono molto i suoi brani e lo invitai ad
insistere, a non mollare perché aveva del talento. Qualche anno
dopo, quando trovò un produttore, mi chiamò per chiedermi di
segnalargli dei musicisti validi. Gli segnalai Giovanni Marani, che
poi entrò nei Clandestino”. Anche in veste di produttore Iannò
andò vicino a sfondare: “Conobbi Marani perché faceva parte dei
Photo, un gruppo di ragazzi molto giovani ma molto validi che avevo messo insieme e prodotto, i Photo, dei quali ero il manager. Li
portai ad un concorso per una produzione ad alto budget a Milano
nel 1982 e Giuseppe si ritrova sulle spalle la gestione dell’agenzia
nei primi anni ’80, che vinsero. Andai con loro a registrare il loro
immobiliare: “Improvvisamente il lavoro mi tolse tutto il tempo per
singolo scelto dalla produzione, veramente brutto a dire la verità,
la musica e mi assorbì completamente”. Un lavoro che ha dato i
nel castello di Carimate, dove, per intenderci, stavano registrando
suoi frutti, se è vero che nel 1982 c’erano 2 impiegati, mentre oggi
Pfm” Ma il lavoro prese il sopravvento
i loro album Bennato e la Pfm”.
sono 14 e l’agenzia Iannò vanta clienti del calibro di Maramotti,
e Iannò dovette lasciar passare anche un’altra grande occasione:
Burani e Brevini. Un successo arrivato anche grazie all’esperienza
“Con l’Officina Musicale arrivammo secondi, a livello nazionale, al
musicale di Iannò: “La musica mi ha insegnato ad allargare gli
concorso organizzato dalla rivista Fare Musica, ma si vede che non
orizzonti, a guardare più lontano. Una capacità fondamentale, sia
era proprio destino”. Il padre di Giuseppe Iannò, infatti, scompare
per realizzare un disco sia per gestire un’azienda”.
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I Mani, professionisti del beat
I PROFESSIONISTI
I
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Negli anni ’60 erano rivali de I Nomadi,
oggi sono affermati in diversi ambiti
Sopra, I Mani negli anni Sessanta, a destra, oggi nella loro sala prove.
Alla batteria c’è Franco Menozzi che però, da qualche anno ha lasciato la band, sostituito da Claudio Pederini
l loro nome è leggendario nell’ambito della musica pop/rock
di divertirsi e di far ballare la gente”. Però I Mani, a differenza di
reggiana. Hanno registrato un 45 per la Durium di Milano nel
molte altre formazioni di allora, arrivarono a un passo dal profes-
1966 e sfidato i Nomadi in una gara di popolarità nello stesso
sionismo: “Nel 1966 incidemmo un 45 per la Durium. Si trattava,
anno. Poi hanno seguito tutti una carriera professionale che li ha
come andava di moda allora, di un pezzo americano ricantato
portati ad avere grande successo, e popolarità, a Reggio e non
in inglese. ‘Hold on I’m coming’ di Sam & Dave divenne, nella
solo.
nostra versione, ‘Tu non gridare’. Il testo ce lo aveva scritto Cor-
Oggi quella de I Mani è una band intergenerazionale, che prova
rado Costa”. Nonostante il prestigioso contratto con l’etichetta
ogni venerdì sera in un attrezzatissimo garage, dove fanno bella
milanese, però, la carriera della band non decolla: “Decidemmo
mostra di sé amplificatori e strumenti d’epoca, locandine di con-
noi di non firmare il contratto – spiegano i musicisti – perché
certi tenuti nei locali più in della “swinging Reggio” degli anni
ci prospettarono un tour promozionale spaventoso. E noi dove-
’60 e tantissimi altri ricordi di un passato che, ascoltando molta
vamo studiare o lavorare, non potevamo permetterci di fare i
della musica che circola oggi, sembra ancora presente. Franco
musicisti a tempo pieno. Anzi, già allora, per via della musica,
Fajeti (imprenditore di successo in ambito edilizio e padre dei
eravamo stati tutti bocciati a scuola...”.
due fratelli Fajeti, musicisti pop/rock di professione) è una delle
Però, in quegli anni, il percorso del gruppo era andato avanti in
voci del gruppo, l’altra è quella di Giorgio Bigi (consulente per
modo estremamente spedito: “Allora c’era letteralmente fame di
lo sviluppo internazionale delle imprese e, negli anni ’70, uno
musica – ricorda Bigi – perché nei locali non esistevano i dj, ed
dei fondatori e voce storica di Radioreggio, la prima radio libera
era il gruppo che doveva far ballare la gente. E la gente aveva
reggiana). Al basso c’è l’architetto Antonio Malaguzzi, affermato
una voglia enorme di ascoltare musica”. Ed ecco che I Mani,
professionista e figlio di quel Loris Malaguzzi che s’inventò gli
dopo gli esordi, arrivano a dividere il palco con i mostri sacri della
asili più belli del mondo, mentre suo figlio Andrea oggi suona
musica dell’epoca: “Abbiamo suonato con i Corvi, i Ribelli, Don
la chitarra. Alla batteria allora c’era Franco Menozzi, oggi affer-
Backy, i Rokes. Addirittura nel 1965 organizzarono una vera e
mato antiquario.
propria sfida tra noi e i Nomadi: allora eravamo alla pari, e non
“La nostra storia è simile a quella di molte altre band dell’epoca
si sapeva quale dei gruppi avrebbe sfondato”. Un’altra grande
– ricordano i protagonisti di quella stagione – fatta di concerti nei
serata cui parteciparono I Mani fu l’inaugurazione della Gallery,
locali, di impianti che funzionavano poco e male e di molta voglia
il locale aperto in quegli anni a Reggio Emilia da Daniele Piombi.
I Mani
nel 1965
e nel 2007.
Da sinistra
a destra,
in senso orario
in entrambe
le foto, Franco
Menozzi, Giorgio
Bigi, Franco
Fajeti e Antonio
Malaguzzi
A sinistra,
il bassista
Antonio
Malaguzzi
negli anni ‘60.
A destra,
l’architetto
del Ccdp
Malaguzzi oggi
al lavoro con
Aimaro Isola
Ma quelli non furono solo anni di amore fraterno e “vibrazioni
vano in dubbio la mia eterosessualità e minacce di spaccarmi la
positive”: “Ogni nostro concerto rischiava seriamente di finire in
faccia. Per fortuna Franco Fajeti, all’epoca, aveva un gran fisico,
rissa – ridono Fajeti e Menozzi – per colpa di Giorgio Bigi”. “È vero
ed era sempre pronto a difendermi”.
– conferma ridendo il diretto interessato – era colpa mia. All’epo-
Ma la storia de I Mani non è ancora finita: “Il 5 maggio abbiamo
ca portavo i capelli lunghi e mi vestivo in modo davvero sgar-
in programma un concerto in occasione di una festa ad invito. È
giante. Ricordo che avevo sempre indosso un paio di pantaloni
bello suonare ancora di fronte ad un pubblico – sorridono i mu-
di velluto rossi ed una camicia a fiori. Un look che non passava
sicisti – perché siamo più bravi oggi di allora. Siamo invecchiati,
certo inosservato, specialmente nelle balere della Bassa reggiana
questo è vero, ma non siamo stati superati dai tempi”. Parole
dove, come minimo, dal pubblico mi arrivavano insulti che mette-
sante.
13
Doctor Rock‘n‘Roll
CON SENTIMENTO
TURCO (1985)
Alessandro Chiari:
la chitarra fa bene alla salute di fisico e mente
di Alessandro Chiari
Consigliere Ordine dei Medici, Segretario Sindacato Medici Italiani e Direttore del Bollettino dell’Ordine dei Medici
T
utti i musicisti formatisi negli anni settanta hanno avuto lo stesso approccio allo strumento:
chitarra classica, imparando la Canzone del
Sole, seguita da altre canzoni di Battisti, poi dai cantautori italiani.Così è successo anche a me. Poi all’inizio degli anni ‘80 la svolta elettrica. Nascono i Choice
Quality, nome preso dal pacchetto di una marca di sigarette, abbreviato in seguito a “Choice”. Tantissimi
gli aneddoti da raccontare, ma uno su tutti ha segnato il mito di questa band appenninica. Il 16 agosto
1985 ci scritturano contemporaneamente sia per la
festa dell’Unità di Ramiseto sia per la festa dell’Amicizia di Felina. A complicare la questione subentra un
concerto dei Litfiba a Felina: Piero Pelù era davvero
travolgente tanto che, nella sua pazzesca esibizione,
ad un certo punto, urlava il nome di “Alì Agcà”. Questa esibizione ci spinse a scrivere una canzone, “Con
sentimento turco”, con un testo nel quale ci immaginavamo che Agcà implorasse pietà, giustificandosi
come la vittima di poteri politici superiori. In poco
tempo la nostra canzone divenne una local hit, che
naturalmente era in scaletta per il concerto di Felina.
Arrivati alla canzone incriminata (tutto vero ho un
video che lo prova) uno dell’organizzazione, urlando improperi, improvvisamente, ci stacca la corrente
dell’impianto e ci troviamo sul palco, come coglioni,
senza volume e il personaggio che ci insulta da sotto
il palco per il testo della canzone e per il fatto che
Prodi, all’epoca Presidente dell’Iri, in quel momento
stava tenendo un discorso a pochi metri di distanza. Incazzatissimi, andiamo via verso Ramiseto a
consumare la nostra “vendetta” dando in pasto ai
“Compagni” l’intero episodio: scrosci di applausi per
noi “vittime del potere” e finale con l’Internazionale socialista suonata con la chitarra distorta come
Jimi aveva fatto con l’inno Americano a Woodstock.
Professionalmente sono un medico e lavoro sia nell’area della medicina generale che come consulente
di grosse realtà locali nel campo della programmazione e consulenza sanitaria e di telemedicina.
Sono consigliere dell’Ordine dei medici, direttore
del Bollettino dell’Ordine, scrivo articoli di tecnica
e politica sanitaria su riviste nazionali di settore e
su questo fantastico magazine che mi ospita come
opinionist sanitario, faccio parte del Comitato Etico
del S. Maria e della commissione di Accreditamento delle strutture sanitarie dell’ASL e sono anche il
Segretario Regionale di un sindacato medico (Sindacato Medici Italiani), ma siccome ho una serie
di chitarre (tutte rigorosamente nere) e tastiere…
appena posso, o quando sono incazzato, accendo il
mio Marshall… e allora sono dolori… per tutti!
A sinistra, il dottor Alessandro
Chiari sul palco nel 1985,
e, a destra, con una delle
sue numerose chitarre
(rigorosamente nere) oggi
14
(Ugoletti-Chiari-Simonelli)
Questo il testo della canzone che i Choiche Quality,
la band del dottor Chiari,
eseguì alla Festa dell’Amicizia di Ramiseto del 1985
e che scatenò l’ira degli organizzatori, che spensero
l’impianto
interrompendo
l’esibizione per non disturbare l’ospite d’onore, l’allora
Presidente dell’Iri e attuale Premier Romano Prodi.
Abbiate pietà di me
io non volevo
uccidere nessuno
Abbiate pietà
era solo un gioco
Un piccolo sottile gioco
una mano molto abile
che comanda
i miei movimenti
un cervello molto lucido
un governo molto abile
Io non sono Lucifero
Io non sono il Messia
Mi chiamano Alì
Sono solo Alì,
Alì Agca
Memet Alì Agca
“Ho suonato con una futura rockstar”
Paolo Ambrogi, assicuratore,
cantò nel gruppo di Gigi Cavalli Cocchi
Paolo Ambrogi in versione
frontman nel 1977 (sopra)
e assicuratore nel 2007 (sotto)
Grande concerto nel 1977. Paolo Ambrogi è il terzo da destra con cappello e occhiali.
In cima alla piramide, con la maglia rossa, c’è Gigi Cavalli Cocchi. In primo piano, sdraiato
con gli occhiali e la camicia azzurra, c’è Emanuele Iannuccelli, direttore responsabile di Reporter
E
ra il luglio del 1977 ed io, quasi dal
Fu però una parentesi breve, per motivi di
nulla, fui invitato a cantare nella band
tempo non rimasi molto con loro. In seguito,
più famosa della città”. Paolo Ambrogi,
con il nome di Tokyo, il gruppo andò anche a
oggi un noto assicuratore reggiano, ricorda
suonare a Londra, come rappresentante del
quell’esperienza con i GSM: niente a che fare
meglio della musica emergente italiana degli
con i cellulari, l’acronimo stava per Gruppo di
anni ’80. Di allora ricordo l’aura da rockstar
Studio Musicale. Nella band suonavano Gigi
che circondava le nostre esibizioni, nel no-
Cavalli Cocchi, in seguito batterista dei Clan-
stro piccolo eravamo delle celebrità locali,
destino di Ligabue e Csi con Giovanni Lindo
e il grande clima di divertimento. In più,
Ferretti, e, alle tastiere, l’attuale direttore
quell’esperienza mi è tornata utile anche in
responsabile di Reporter, Emanuele Iannuc-
campo lavorativo, dal momento che ho co-
celli. “Fu un’esperienza esaltante – ricorda
nosciuto un sacco di persone che, in seguito,
Ambrogi – anche perché avevo vent’anni.
sono diventate miei clienti...”
“
15
“Da suonatore a suonato,
il passo è (semi)breve”
I GIORNALISTI
Roberto Lugli e il suo magico clarinetto
che ha incantato anche Raul Casadei
Roberto Lugli, in versione
musicista popolare nel 1973
(a sinistra)
e responsabile ufficio stampa
per i Ds oggi
(nella foto a destra)
di Roberto Lugli
Giornalista professionista, Responsabile Ufficio Stampa DS
L
o ammetto: avrei voluto fare il musicista! Ma le cose sono andate diversamente. Pazienza. Sarà per la prossima volta…
Il mio incontro con la musica è arrivato molto presto, all’età di
2-3 anni, col mitico giradischi: un vecchio Phonola a valvole che a
fine giornata era incandescente. I 45 giri di Tienno e Iller Pattacini,
di Learco Gianferrari e gli inni patriottici di qualche banda andavano per la maggiore anche in casa. Dai miei cugini, tutti più grandi
di me, cominciavano a circolare i Beatles, Lucio Battisti e Adriano
Celentano ma tutti avevano un aspetto che ai miei genitori non
piaceva per niente: i capelli, un po’ troppo lunghi.
A 8 anni ho iniziato a prendere lezioni dal compianto Bione Franchini. Compiuti 12 anni, fu lui a convincere mio padre e mia madre
che per me era venuto il momento “ed continuèr al cunservatòri
perché al ragasòl al prumèt bèin”. Gaspare Tirincanti fu il mio
vero professore di clarinetto al Peri. Purtroppo non sono riuscito
a diplomarmi. Con l’arrivo della quarta classe, alle superiori, e la
vita del collegio che non mi permetteva di studiare musica, il Peri
si allontanava sempre di più.
Al clarinetto e ai sassofoni ho suonato di tutto, dai classici, alle
canzonette con qualche esperienza in sala di incisione, al liscio.
Mitico lo zumpappa che ho iniziato giovanissimo a suonare (a 14
anni, come si può vedere dalla foto), nelle sale da ballo così come
nelle feste popolari. I ricordi sono tanti, almeno uno per ogni se16
rata, tante le storie da raccontare: dal tipo (sempre quello più
strano) che ti offriva da bere perché appagato del pezzo richiesto,
a quello che ti mandava a quel paese perché il repertorio non era
di suo gradimento. Poi però clarinetto e sax sono finiti nelle custodie dove sono rimasti per una quindicina d’anni. Ne sono usciti la
scorsa estate, a Gatteo a Mare, la sera di Ferragosto, nel giardino
di Raoul Casadei, in occasione del suo 69esimo compleanno dove
mi sono cimentato in un valzerino che ha fatto spellare le mani ai
presenti, increduli che un reggiano potesse suonare la loro musica.
Ad accompagnarmi, gli amici di sempre del re del liscio: Marco
Barbieri alle percussioni e Pierluigi Saccardi alla chitarra, con Paolo
Rossi; tutti e tre amministratori della … Margherita.
Da quella sera il clarinetto ha di nuovo un posto fisso: la scrivania
dello studio. Ma in casa è tutta un’altra musica e non va dimenticato il noto adagio: è bella quand’è corta. La titanica tolleranza
di mia moglie e delle mie due figlie non mi fa perdere di vista il
rischio concreto che corro ogni volta che suono: quello di essere
… suonato! Ma nella vita a che serve la conoscenza della musica?
Serve eccome. Favorisce socialità e comunicazione: è linguaggio
universale. A chi di mestiere ha a che fare con la parola scritta la
musica ricorda che la sonorità del fraseggio non è solo musicale.
Anche nei pezzi giornalistici ci sono piani e forti, crescendi, accenti
e legature, con tante tonalità da distribuire su un pentagramma
immaginario che ha le sue regole e, quando per tante ragioni non
ti riescono come vorresti, sincopi e dissonanze. D’altronde, anche
nella vita extra musica ogni stonatura suona male.
“Io, giornalista dal ritmo beat”
“Nei favolosi anni ’60 mi dividevo
tra la tastiera della macchina da scrivere
del Carlino e quella del mio organo Farfisa
con I Discepoli 67”
di Bruno Cancellieri
Collaboratore ed ex vice capo servizio de Il Resto del Carlino, corrispondente agenzia Ansa
D
a un volantino d’epoca: “Domenica 31 dicembre 1967. Grande veglionissimo di fine
d’anno. Rallegrerà la serata l’orchestra di successo I discepoli 67”. Tra i Discepoli
c’ero anch’io, alle tastiere, con mio fratello Alberto al sax. Gianpaolo Iori era la voce,
alla batteria Francesco Neroni, alla chitarra William Poli, al basso Angelo Tasselli. Mi ero lasciato contagiare dal boom dei favolosi anni Sessanta quando a Reggio si era instaurato un
fervore forse unico nel panorama della musica leggera italiana. I musicisti reggiani – alcuni
di autentica razza – erano validi al punto che si era creato un mercato degli orchestrali. Alcuni di loro avevano diverse attività di base, altri erano professionisti della musica. Ricordo
per esempio il dott. PierPaolo Rossi, uomo politico e farmacista, il titolare della discoteca
Number One Dino Guidetti (guidava i Cuban CGD), Enzo Magistro, promoter, ex dipendente
Telecom (al basso tra i Selvaggi dell’indimenticabile Dante Torricelli). Appena terminate le
scuole superiori, suonavo il pianoforte da un paio d’anni, ma solo musica classica, quando
Angelo Tasselli mi venne a cercare: “Il gruppo c’è già, manca il tastierista, vieni con noi”.
Nel complesso mancava un fiato: pensammo a mio fratello Alberto che aveva suonato il
sax nella banda della cavalleria, sotto le armi. Per la divisa scegliemmo un abito serio, color
nocciola, cravatta rossa, lo realizzò un sarto di San Polo che ha ancora il negozio affacciato
sulla piazza principale. Il nome della band? In quei mesi andavano molto forte gli Apostoli,
pensammo di avere molto da imparare da loro. Di qui il nome Discepoli cui aggiungemmo
l’anno di nascita: ’67. Con la sfrontatezza dei giovani affrontammo le balere con un repertorio miserello, specie nei brani più movimentati. Ricordo un Gimme some lovin’ che suonavamo bene e pertanto riproponevamo fino alla noia. Poi cominciò il giro delle più sperdute
balere dell’appennino reggiano, modenese, parmense. Si partiva nel primo pomeriggio per
essere pronti alle sette per montare impianto e strumenti e alle otto per suonare. La gente
in montagna voleva andare a letto presto. Veniva a prelevarci un’auto a noleggio con conducente, una scassata 1800 che aveva agganciato un piccolo rimorchio per gli strumenti. In
quei mesi esplorai palmo a palmo tutto l’appennino. Emilio, l’impresario, ad ogni contratto
era costretto a tenere a freno la nostra esuberanza promettendoci locali migliori dopo la
gavetta appenninica. Un sabato, dalle parti di Felina, la macchina andò in panne ad un paio
di chilometri dal locale. Arrivammo alla balera a piedi, sudati, portando a mano strumenti e
spartiti, con i primi avventori che già ci aspettavano davanti alla sala. Il gestore ci guardò
male, quella sera nell’intervallo non ci offrì neppure un panino. Le prime prove in casa mia
erano troppo rumorose, i vicini di casa non gradivano soprattutto la batteria. Ci trasferimmo
a Puianello nella casa del cantante ancora in costruzione: lì, tra cemento armato e impalcature, finalmente potevamo scatenarci. Avevamo un fan accanito, Ermanno, zio del bassista,
che non perdeva una prova. Qualche sera prima del festival di Sanremo eravamo impegnati
a montare una delle canzoni in gara senza averla mai ascoltata. Ricordo, era Deborah.
Quella Deborah così grintosa, come la facevamo noi, non convinceva il severo Ermanno
che, in barba allo spartito, ci spronava a farla molto melodica. Sussurrava: “Debora…aaa…
m-i-a Debora…aaa…” e muoveva dolcemente le mani come dovesse dirigere un comples-
Sotto, Bruno Cancellieri oggi, in versione giornalista del Carlino e corrispondente per l’Ansa.
Sopra, nel 1967, è seduto alla tastiera, circondato
dagli altri membri del complesso I Discepoli 67
so da camera. Venne la sera di Sanremo, eravamo
tutti incollati alla tv, ansiosi. Arrivò sul palco Fausto
Leali e attaccò la canzone con tutta la sua grinta.
Corremmo subito a Puianello a ristudiare il brano,
imprecando contro Ermanno che, per la verità, un
po’ si offese. Il tanto atteso impatto con la città fu
al Tarantola, l’attuale Adrenaline. Nella serata dovevamo confrontarci con la collaudata band fissa
del locale, l’affiatato sestetto Casappa. La nostra
beata incoscienza ci fece superare dignitosamente
la prova. E ancor meglio andò al Gabbiano, balera
estiva della Rivalta che fu. Ma quella si rivelò la sera
dei musi lunghi. L’università e il lavoro al giornale
sempre più coinvolgente non mi lasciavano spazio.
La band si sciolse proprio mentre stava cogliendo i
primi veri successi e avrebbe potuto cominciare ad
intascare i primi soldini. Adesso non oso più nemmeno strimpellare in casa, mi vergogno davanti a
mia figlia che sta preparando l’ottavo anno di pianoforte al conservatorio. Ma, quando ascolto qualche
canzone anni ‘60 tornata di moda, mi viene un nodo
alla gola. “Questa la facevamo anche noi” informo
con sommesso orgoglio. Mia moglie mi lancia uno
sguardo tra l’incredulo e il compassionevole.
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L’ex punk che gioca a golf
Alessandro Gandino,
giornalista
con un passato sul palco
ed un presente sul green
di Alessandro Gandino
Giornalista, consulente per la comunicazione,
direttore responsabile di K-Rock
T
utto era partito attorno al 1978. La prima formazione aveva
un’impostazione molto west coast e poteva vantare su una
sorta di ideologo hippie, che oggi dirige un quotidiano a
Reggio Emilia. La prima band si chiamava “City Lights” in onore
Sopra, il giovane punk: Alessandro Gandino
è il secondo da destra nei Sabotage, anno 1981.
Sotto, il giornalista che si è dato al golf,
Gandino sul green nell’estate del 2006
alla libreria di Ferlinghetti a San Francisco. Un anno solo e cambiò tutto: quando, anche in Italia, arrivò il punk la spaccatura fu
netta. Perdemmo l’ideologo e ci ritrovammo in tre, con qualche
accusa di fascismo… Del punk la cosa che ci colpì di più era la
manifesta incapacità di suonare, e questo indubbiamente ci avvantaggiava. Nacquero così i Sabotage, poi divenuti Blitz, che di
fatto vedevano il sottoscritto alla chitarra, Massimo Cargnelutti
al basso, Marcello Guerrera alla batteria più altri che ruotavano
soprattutto nel ruolo di cantante. Per un po’ avevamo anche uno
che suonava il clarinetto….mah!?!? Del periodo ricordo i terribili amplificatori a nolo, che fumavano dopo dieci minuti che eri
uscito dal negozio, la totale mancanza di strutture e, sul versante
artistico, degli improbabili testi in anglo-dialetto. La scoperta del
distorsore ci aprì un mondo: lo collegavamo anche all’impianto voci…. Ma la cosa migliore erano i concerti. In questo senso
eravamo veramente bipartisan. Abbiamo suonato infatti in egual
misura a sagre parrocchiali e Feste Anarchiche. Con reazioni differenti. Ramones, Clash, Who della prima ora, The Jam: erano
questi i gruppi che saccheggiavamo di più. Quando arrivarono
i Police provammo un paio di cose, ma era come pretendere di
18
insegnare a sciare ad un giamaicano…
Ramones una bottiglietta di plastica centrò il batterista al grido di
Tra le date da ricordare c’è sicuramente una Festa Anarchica alla
“punk fascisti”. Dal palco esprimemmo tutto il nostro apprezza-
Zucchi, dove suonammo con le Kandeggina Gang, la band che
mento verso i freak, gli hippie eccetera, finché tre nerboruti non
aveva Jo Squillo alla voce, i Kaos Rock e i Wind Open. Una mat-
ci sbatterono giù dal palco.
tina al palasport, per il classico sciopero marcato Fgci con con-
Siamo andati avanti fino all’81, poi ci siamo persi di vista. L’anno
certo dei Nomadi, suonammo per secondi e dopo un pezzo dei
dopo ho ricominciato a giocare a calcio...
CONTROCORRENTE
Non voglio più
fare la rockstar
Due storie controcorrente: Gianfranco Fornaciari, voce e tastiera
dei Clandestino con Luciano Ligabue, oggi è manager di successo.
Massimo Zamboni, fondatore con Lindo Ferretti di Cccp e Csi,
è assessore alla cultura a Carpineti
I
accompagnato Ligabue nei suoi primi tre album - a frontman e
stato abbastanza casuale. Nel ’98 sono rimasto folgorato da in-
vocalist dello stesso gruppo quando, lasciato il rocker correggese,
ternet, strumento nel quale vedevo una naturale evoluzione del
ha deciso di intraprendere una carriera autonoma. Il secondo ha
mio mestiere di musicista. Ne ho parlato con Franzoso, mio amico
conquistato il mondo della musica underground italiana, con il lun-
da sempre, il quale aveva in mente l’idea di aprire una società
go sodalizio con Giovanni Lindo Ferretti prima nei Cccp, poi diven-
dedicata ai servizi internet. Gli è piaciuto il mio progetto e, da un
tati Csi, fino a toccare i vertici delle classifiche di vendita italiane sul
giorno all’altro, mi sono ritrovato ad essere responsabile di O-one,
finire degli anni ’90. Il primo, Gianfranco Fornaciari, oggi è general
un’azienda partita allora con due persone che oggi conta venti
manager di O-one, azienda leader nel settore dei servizi dedicati
dipendenti e clienti internazionali”. Ma la carriera musicale di For-
ad internet con sedi a Reggio Emilia e Milano. Il secondo, Massimo
naciari non si è interrotta bruscamente: “All’inizio dell’avventura in
Zamboni, è assessore alla cultura per il comune di Carpineti.
O-one continuavo la mia attività musicale, anche se dietro le quin-
l primo ha raggiunto una enorme fama a metà degli anni ’90,
GIANFRANCO FORNACIARI: DA LIGA A INTERNET
passando dal ruolo di tastierista dei Clandestino - la band che ha
“Il mio approdo a questa nuova carriera – racconta Fornaciari – è
A sinistra, Gianfranco Fornaciari,
animale da palcoscenico, nel 1995.
A destra, in “divisa”
da general manager
di O-one nel 2007
19
te. In quegli anni ho suonato negli album di alcune band italiane,
come Gang e Marlene Kuntz, una ‘doppia vita’ che ho continuato
sino al 2000”. Rimpianti per quel capitolo della vita? “Sì, soprattutto l’età che avevo allora – sorride oggi il 45enne Fornaciari – ma
per il resto posso dire di essermi goduto fino in fondo quell’esperienza, compresi i momenti difficili”. Ma, nella vita, anche quello
che avviene per caso insegna sempre qualcosa, a saperlo cogliere:
“Devo dire – spiega Fornaciari – che quella parentesi mi ha fatto crescere tantissimo. Sono laureato in economia e commercio
e, prima di lasciare tutto per suonare con Ligabue, lavoravo in
banca. Nel corso degli anni passati sul palcoscenico credo di aver
imparato a capire le persone, anche le più diverse tra loro, e a
mettermi in relazione con gli altri in maniera più efficace. Il mio
mestiere attuale mi fa mettere in gioco entrambe le competenze
che ho maturato, quella di bancario e quella di musicista. Adesso
capisco che tutto il mio percorso professionale ha un senso”. Ma
l’ambito musicale, anche se in secondo piano, continua ad avere
un suo spazio: “Gli ex Clandestino, oggi Klan, mi hanno coinvolto
nel loro progetto, e sto lavorando con loro come compositore e
arrangiatore. È un ruolo nel quale mi ritrovo perché sia con i Klan
sia in azienda devo progettare e organizzare le cose, e andare ol-
MASSIMO ZAMBONI, L’ASSESSORE PUNK
tre il quotidiano per vedere il progetto finito. Uno dei pochi aspetti
“In realtà io non ho mai voluto fare la rockstar: il grido di battaglia
positivi della mia età è l’esperienza – sorride Fornaciari – e sono
dei Cccp nei primi anni ’80 era ‘Il rock è morto’. Quello che voleva-
felice di metterla in gioco ogni giorno”.
mo fare era propaganda all’Unione Sovietica, volevamo diventare
presidenti di partito”. Massimo Zamboni è davvero l’antitesi della
rockstar: schietto, solare, gentile e cordiale ma palesemente disinteressato a suscitare nel prossimo una considerazione positiva. Da
questo punto di vista, è anche l’antitesi dell’uomo politico. Com’è
finito allora a fare l’assessore? “Io non mi considero né musicista,
né scrittore, né politico. Avrei accettato di fare l’assessore solo a
Carpineti, il comune dove vivo. La mia attività di amministratore
pubblico è solo un’estensione delle mie altre attività, musicale e letteraria. E ognuno di questi aspetti – spiega Zamboni – non è altro
che uno dei modi che ho per fare quello che m’interessa davvero:
sperimentare continuamente, aprire gli occhi e mettermi in relazione con gli altri. Essere assessore, così come suonare o scrivere,
non è che un mezzo per allargare gli orizzonti, non una via per fare
carriera”. Una cosa è sicura, in veste di assessore Massimo Zamboni si trova ad interagire con tipologie umane molto diverse da
quelle incontrate sui palchi di tutta Italia: “È vero – sorride Zamboni – e spesso credo di essere visto come una mosca bianca, ma ci
sono anche molti aspetti positivi. Ogni volta che sul giornale esce
una mia intervista in qualità di artista, automaticamente guadagno
molti punti anche in chiave politica. Una situazione che mi dà mag-
Gianfranco Fornaciari, primo a sinistra, con gli altri Clandestino:
da sinistra a destra, Cavalli Cocchi, Cottafavi e Ghezzi. Era il ‘93
giore libertà di movimento, che mi concede la libertà di sbagliare”.
Ma la sua nuova esperienza è ben diversa da quella di musicista:
“Quando fai musica, specie come la facevamo nei Cccp, puoi dav-
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vero fare quello che ti pare. In politica le cose sono più complesse
e le posizioni da considerare prima di prendere una decisione sono
moltissime”. Se la storia dei Cccp è stata, sin dalla scelta del nome,
Sopra, tre momenti nella vita da musicista di Zamboni, nella foto centrale è
con Giovanni Lindo Ferretti e Amanda
Lear. Sotto, l’assessore Zamboni oggi
intrecciata con la politica, i rapporti tra i partiti, anzi “Il Partito”,
e il giovane Zamboni furono spesso turbolenti: “Noi cercavamo il
dialogo con il Pci – ricorda Zamboni – ma i funzionari di allora ci
guardavano come se venissimo direttamente da Marte. Anche se
- scherza l’assessore – sulla maglietta avevo più spille dell’Unione
Sovietica io di quante ne avessero tutti i funzionari del Pci messi
insieme”. Una fama, quella dei marziani Cccp, alimentata anche
da vere e proprie leggende popolari: “Il 1° maggio del 1983 – ride
Zamboni ricordando l’episodio – suonammo al concerto della Cgil
a Castelnovo Monti. Il palco era stato attrezzato su un camion da
partigiani, con il quale girammo per tutta la montagna. A Villa Minozzo ancora raccontano di come, appena finito il nostro concerto,
si alzò un vento terribile che fischiò per tre giorni di fila. Giorni nei
quali avvenne un furto in chiesa, nonostante la porta fosse rimasta
sprangata, così dice la leggenda, e un’auto parcheggiata in un cortile vicino al palco prese fuoco per combustione spontanea. Provo
un grande affetto per la mia storia musicale – conclude Zamboni
– e sono felice quando qualcuno me la ricorda”.
Zamboni, oggi, oltre a fare l’assessore continua la sua attività di
compositore di colonne sonore: “Ho bisogno di una musica diversa
dal rock che, secondo me, non rappresenta tutta la vita, ma non
comunica più nulla agli over 35. Ho bisogno di una musica nella
quale si possa identificare tutta una vita, e non solo una sua piccola parte. Per questo suono ancora, per continuare a cercare” ■
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