Incontri con i/le docenti per un`educazione di genere e alle pari
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Incontri con i/le docenti per un`educazione di genere e alle pari
Incontri con i/le docenti per un'educazione di genere e alle pari opportunità A cura di Barbara Mapelli* Nella normale quotidianità del fare scuola la proposta educativa si presenta – rispetto alle differenze di genere – solitamente neutrale, come se si considerassero irrilevanti tali differenze. Confondendo quindi la necessità e il diritto di ognuno all’uguaglianza con l’altrettanto importante necessità e diritto a veder rispettate le proprie diversità, unica e reale garanzia di un’effettiva uguaglianza. E quella di genere è la differenza originaria. Dall’Enciclopedia filosofica Bompiani, voce Identità di genere (a cura di Barbara Mapelli) “Consapevolezza più o meno chiara di appartenenza all’uno o all’altro sesso, categoria centrale del senso di sé della soggettività moderna. Definisce la molteplicità di caratteristiche e comportamenti che vengono associati ai concetti di mascolinità e femminilità e alle loro differenze reali o supposte. Si tratta quindi della costruzione di sapere sociale, delle rappresentazioni pratiche intorno alla differenza sessuale, attraverso le quali il soggetto si percepisce e viene percepito (…). L’identità di genere non appare quindi espressione di differenze naturali, bensì prodotto storicamente determinato, passibile quindi di mutamento (…)” I mutamenti delle identità sessuate, le percezioni e autopercezioni di quel che significa essere, diventare una donna o un uomo, sono fenomeni di straordinaria entità, che caratterizzano le culture e le pratiche sociali del contemporaneo, dopo millenni di sostanziale immobilità e di dominio dell’un sesso sull’altro, e possiedono una valenza trasformativa che forse noi stesse e noi stessi, che la viviamo, stentiamo a riconoscere in tutta la sua importanza. La categoria interpretativa genere, d’altronde, è propriamente categoria che interpreta, analizza e offre visibilità al cambiamento e storicamente nasce nel momento in cui le donne avviano la radicale trasformazione del loro essere nel mondo. La novità delle nuove presenze femminili è tale che le tradizionali forme di lettura del reale non possono percepire né raccontare l’entità del cambiamento, occorre ‘si inventi’, di fronte all’assolutamente nuovo, qualcosa di altrettanto nuovo. Ma se ciò che caratterizza il genere è appunto la sua capacità di interpretazione e descrizione del mutare legato ai soggetti sessuati, l’altra principale qualità di questo approccio culturale è il fatto di essere relazionale, di costringere lo sguardo e la sensibilità conoscitiva di chi osserva individui e società in quest’ottica a comprendere che il mutamento, inizialmente legato alla volontà e iniziativa delle sole donne, a decenni di distanza non può ormai che riguardare, se pure in forme diverse, ambedue i sessi. E’ impensabile immaginare una realtà, sociale, privata, professionale, nella quale cambi una componente e l’altra mantenga le stesse posizioni e le stesse percezioni di sé nel contesto e nella relazione. Le donne sono cambiate e costringono gli uomini a mutare a loro volta e ovunque, anche se taluni tentano con finta innocenza di pensare che tutto sia come prima, mentre altri, anche se ancora pochi, stanno iniziando a comprendere che le nuove libertà femminili non * Pedagogista, studiosa delle tematiche relative a educazione e culture di genere, insegna presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano Bicocca Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] necessariamente significano perdita di potere, ma piuttosto possibilità di conquista di nuove libertà anche per gli uomini. “(…) In tempi più recenti e riconoscendo il proprio debito alla ricerca femminista, nasce la riflessione maschile sulla propria identità di genere, innanzitutto nei paesi di cultura anglosassone e in seguito, con diffusione ancora modesta, anche in Italia. La categoria genere consente agli studiosi di definire il maschile come parzialità e relazionalità con il femminile, superando l’immagine universale e metastorica della maschilità e offrendo agli uomini strumenti di trasformazione: ‘l’idea che la maschilità sia una costruzione sociale, soggetta al mutamento storico, non deve essere intesa come una perdita, come qualcosa che è portato via agli uomini, ci offre qualcosa di straordinariamente prezioso: l’azione e la capacità di agire, gli uomini individualmente e collettivamente possono cambiare (Michael S. Kimmel)’ “ (tratto da, Enciclopedia filosofica Bompiani, Identità di genere, cit.) Introdurre la prospettiva di genere nelle culture e pratiche educative significa assumere la consapevolezza che né i soggetti né i contenuti che si incontrano e si scambiano nella scuola sono neutri, bensì sessuati, portatori quindi di esperienze e saperi differenti, che riguardano diverse traiettorie biografiche individuali e collettive. Storie millenarie di soggetti e società che hanno conosciuto e proposto (imposto) diversi destini a donne e uomini, interiorizzati da ciascuno, anche nel contemporaneo, che ha visto, soprattutto dopo il Movimento delle donne, mutare le identità e le relazioni tra i due generi. L’acquisizione di queste consapevolezze ha conseguenze (o dovrebbe averle) personali ed educative, riguarda per ciascuno il proprio essere e percepirsi come soggetto sessuato, donna o uomo, riguarda il proprio essere e percepirsi nella relazione pedagogica, nell’incontro coi saperi. Tutto questo comporta la necessità del partire da sé per avviare un differente modo di fare scuola e la valutazione della caratteristica di radicalità propria di una pedagogia di genere. Chi insegna e apprende a riconoscersi come soggetto sessuato, portatore/trice anche nell’esperienza educativa della propria storia come donna o uomo, storia individuale, irriducibile a ogni altra, ma che affonda radici profonde nelle storie diverse dell’uno e l’altro genere, diviene innanzitutto ricercatore/trice di sé, rispetto al cambiamento che trova dentro e fuori la scuola, che muta i sessi e le generazioni. Un cambiamento cui non basta adeguarsi, ma rispetto al quale occorre avere consapevolezza su quanto possa mutare anche chi è adulto/a, perché è questa consapevolezza che avvia alla comprensione dei nuovi e delle nuove al mondo, con le proposte e i bisogni che le loro vite chiedono (anche se spesso non sanno formulare la domanda) ma possono anche offrire. Questa stessa consapevolezza avvia, può avviare, a una revisione critica dei saperi, che divengono vitali e quindi momento possibile, vero di scambio, solo nel momento in cui trovano luogo e senso nelle vite ed esperienze delle persone. Vivere dunque una relazione pedagogica sessuata, con la consapevolezza che offrono le narrazioni collettive e individuali di genere, le storie delle generazioni, e di ciascuno/a, può insegnare ad adulte/i, ai e alle giovani, che l’essere donne e uomini non è solo un destino, ma una vocazione e un desiderio, che sviluppa realtà per tutta la vita. Ma solo se si apprende che il proprio essere e appartenere a un genere è senz’altro un fatto individuale, che si realizza però e si colloca nel mondo e in una realtà più grande, in cui i cambiamenti di ciascuna/o sono in relazione di continuo scambio con il mutare collettivo di culture e ruoli dei due sessi. Occorre comprendere questi mutamenti per sapervi collocare il progetto di sé, il proprio divenire donna o uomo, ma non solo, per sentirsi anche capaci di Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] trasformazione, soggetti attivi che sanno influire sul progetto di mondo. Attraverso quello che un’educazione di genere soprattutto ha insegnato e può continuare a insegnare, nell’apprendere condiviso tra docenti e discenti, donne e uomini differenti anche perché di diverse generazioni: che tutto ciò che si pensa e dice, pur nel rigore della ricerca che riconduce ogni parola e ogni scelta alla responsabilità del soggetto, al suo vissuto, alla sua storia, è una delle possibili interpretazioni della realtà e del sapere, che può, deve imparare a convivere con altre. Una concezione delle diversità – che dal genere si allarga ad altre differenze – che declina nell’unico modo possibile nel contemporaneo la sostanza dell’uguaglianza e insegna non solo che si può essere differenti e uguali, ma che le differenze rappresentano più ricche risorse per ciascuno, per divenire sé stessi, e segnano di significato i percorsi della crescita e dentro i saperi. Questo partire da sé, che riguarda innanzitutto i/le docenti, ma diviene una proposta per stabilire nuove relazioni e pratiche educative impone la necessità di un ripensamento radicale di sé come soggetto e come soggetto in educazione, un ripensamento che mi sembra identifichi la natura e il significato dell’assunzione della prospettiva di genere nell’essere e fare scuola. Un percorso che nasce innanzitutto da un processo di consapevolezza dell’insegnante, di sé come persona e professionista sessuata; della permeabilità del proprio privato e professionale, contro ogni presunto e preteso rigore di neutralità, distacco e pseudoscientificità, che trasmette falsi idoli a studentesse e studenti, un’immagine di neutralità di persone e saperi che non appartiene alla realtà e costruisce una pedagogia dell’inganno. Questo significa, da parte del e della docente il non possedere la consapevolezza, o rifiutarla, del proprio essere sessuato, di un’appartenenza di genere che non si abbandona entrando nell’aula, è un patrimonio di consapevolezza, competenza e formazione soprattutto personale, di una cura di sé non solo professionale, che dà senso, può dare senso anche all’esserci in educazione. La cultura di genere, ripeto, non è solo un’aggiunta di contenuti ai tradizionali programmi, ma uno sguardo che parte, deve partire dal sé di ogni docente, donna o uomo che insegna, e questo vuol ben dire qualcosa, perché in classe si porta la propria storia ed è una storia diversa se si è uomo o donna, ed è una ricchezza riconoscerlo, per sé e per gli altri, è una risorsa da vivere e condividere. Anche se non è facile per un’insegnante, sia donna che uomo, accettare questa realtà e praticarla nel suo lavoro educativo: significa mettersi in discussione come persona e come professionista, imparare a vedere e accettare il proprio cambiamento per imparare a vedere e accettare quello altrui, quello di chi è molto diverso e diversa perché molto giovane. Eppure ciascuno ripercorrendo la propria storia può valutare quanto è mutata e mutato, quanto sono cambiati anche i valori di riferimento, le culture, le credenze anche in noi, ed è questa valutazione della nostra diversità in divenire che ci rende competenti (ed è una competenza, io credo, indispensabile per chi insegna) nel comprendere, imparare ad accompagnare nel suo divenire anche la diversità altrui. Ma è difficile, ripeto, per questo la tematica di genere si presenta in tutta la sua radicalità, a differenza di altre educazioni, poiché coinvolge e rimette in discussione tutta la persona, oltre ai saperi tradizionali su cui si basa il prestigio, il significato tradizionale dell’essere insegnante. E’ quella che ho spesso definito una pedagogia del coraggio. Un percorso, che non è, per l’insegnante, un semplice accrescimento di sapere e professionalità, ma un mutamento profondo, che nella sua radicalità rimette in discussione fino in fondo la persona, le sue scelte, il suo rapporto con la professione e il sapere. Solo se Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] questa persona si avvia al processo di trasformazione di percezione di sé, sguardo sugli altri e sulle altre, sul mondo, che induce il pensarsi e percepirsi come soggetto sessuato, consapevolmente e intenzionalmente, come atto di responsabilità, nei confronti del proprio progetto biografico, come atto di presenza attiva nel mondo, come processo di conoscenza e autoconoscenza, costruzione di sapere e interpretazione del reale. I modelli maschili e femminili e l’educazione dei generi C’è una metafora che usa Bauman in un suo testo recentissimo, Intervista sull’identità, che probabilmente non ci dice nulla di nuovo, ma offre un immagine suggestiva del formarsi dell’identità nella contemporaneità. Un tempo, lui dice, l’identità si poteva rappresentare come un puzzle che stava tutto in una scatola e l’immagine del risultato finale era data, si trattava quindi di trovare i pezzi per ricostruirla e anche se ce n’erano di difettosi, il tentativo era quello di avvicinarsi il più possibile a quell’immagine. Ora si possiedono dei pezzi, altri si ambisce ad averli, ma le immagini cui si cerca di avvicinarsi sono plurime e, aggiungo io e lo abbandono, sono in continuo mutamento, così le composizioni che si cerca di costruire della propria identità, non solo non hanno un’immagine predefinita, ma essa non è mai raggiunta, mai data una volta per tutte, più immagini, che si inseguono nel tempo, convivono e si sovrappongono. Tutto questo è probabilmente ovvio e intuibile e sta alla base di quel che si deve pensare per chi come noi ora pensa all’educazione. E tanto più evidente appare tutto quanto detto se si aggiunge a questa immagine un’ulteriore complessità o profondità di visione, dando sesso a queste identità del contemporaneo, chiamandole donne, uomini, forse ad essere più raffinati, introducendo variazioni alla semplice binarietà del femminile e maschile, ma per comodità limitiamoci a questa. Vediamo allora qualcosa in più: vediamo che il tempo in cui viviamo offre e al contempo chiede di attenersi a modelli del maschile e del femminile appunto, non solo molteplici, mutevoli e cangianti, o in contraddizione tra loro, ma assolutamente opposti. Abbiamo sotto agli occhi i corpi delle veline, vallette, mogli di calciatori, corpi esposti come ormai usa dire, ma anche i corpi quasi inesistenti, evanescenti delle anoressiche, i loro grandi occhi che sembrano mangiarsi i visi. Corpi anch’essi esposti e si tratta nell’uno e nell’altro caso di corpi che dicono di sé, corpi che sono superfici di significazione, raccontano storie, stratificazioni di narrazioni che hanno costruito culture e che già ne suggeriscono il superamento, corpi che dettano norme, non direttamente nominate ma straordinariamente vincolanti. E vi è poi, sempre per le donne, la mai risolta ambiguità tra maternità e lavoro, in un paese come il nostro che ancora retoricamente incensa la donna madre, anzi ancora le donne spesso possono conquistare protagonismo sociale e politico, trovare voce udibile attraverso il loro essere madri. Le madri contro lo smog di Milano, e i padri? E non basta essere donne e uomini per essere contro lo smog? Ancora il riferimento alla maternità crea un simbolico potente, suggestivo, evocativo, quelle madri, le madri sono le madri di tutti, la madre di ciascuno. Non intendo certamente togliere valore alla maternità, ma a questa retorica non corrisponde alcuna difesa reale della maternità e allora per ogni donna si pone il dilemma mai risolto tra maternità, lavoro o anche, più semplicemente, tempo per sé, di donna. Un dilemma che si trasforma in accumulo di sensi di colpa, irrisolvibili, poiché la nostra società dice a ogni donna che è una cattiva madre se lavora troppo o semplicemente dà valore, centralità al suo lavoro, ma le dice anche che è una cattiva lavoratrice quando si occupa (troppo?) dei suoi figli. Due immagini opposte, irrisolte, a cui ciascuna dà soluzioni personali, ricorrendo molto spesso ad altre donne, ma senza mai sanare a fondo le lacerazioni che questa dicotomia oppositiva crea. E nel compito Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] dell’educare, nell’orientare le giovani donne al proprio futuro questa tematica risulta cruciale, poiché condiziona scelte, imagini di sé, propositi. Le cose si fanno difficili anche per gli uomini, anche qui i corpi maschili ci insegnano molto. E ci insegnano, come quelli femminili, che i corpi sono discorso, pratiche discorsive attraverso le quali ciascuno e ciascuna interpreta il personaggio, o i personaggi, che ha deciso di indossare, che sono a loro volta interpretazione personale di quel che la cultura, la società vive, propone, impone, regola e norma. Allora l’esposizione maschile mostra le immagini del potere, ancora giacca e cravatta, in ossequio all’uomo grigio che ha dominato sul Novecento, ma anche i corpi muscolosi, ‘palestrati’ si dice, il metrosexual, la più recente invenzione che ereditiamo dall’America naturalmente: corpo muscoloso ma non troppo, glabro, rivestito delle marche più prestigiose, eterosessuale (ma questo poco importa, perché il vero oggetto del suo desiderio è lui stesso) e grande consumatore di prodotti estetici e anche di cure estetiche. Al contempo, però, si moltiplica l’orrore, tutto maschile, per gli omosessuali, l’omofobia, la paura in realtà che possa mostrare falle la propria di virilità. Mi fermo qui ma le ricerche e le letterature sociologiche e psicologiche sono molto ricche ormai di analisi rispetto a questi nuovi maschili, alla pluralità cercata e scelta che investe finalmente anche questo genere, ma che si fa, nondimeno, anch’essa, come nel caso delle donne, confusa e normativa al tempo stesso. Ricerche sociologiche e psicologiche dicevo, ma certamente non c’è molto nella letteratura e pratica pedagogica. Eppure è difficile crescere, diventare donne e uomini, o continuare a diventarlo, senza aiuto, guida, direzione proposta, suggerita, tra queste immagini che si sovrappongono, si oppongono. E vi è anche una novità, sempre per gli uomini, soprattutto giovani: cominciano anche loro ad ammalarsi di anoressia, un territorio, finora, di sofferenza esclusivamente femminile. E’ difficile, ripeto, muoversi in questa complessità senza una o più guide che risveglino, direbbe Agostino, il maestro o la maestra interiore che è in noi, un’educazione, aggiungo io, che renda per quanto possibile competenti e sapienti rispetto a queste immagini di femminile e maschile, rispetto alla loro storia, formazione, significazione nel tempo e nelle diverse culture. E invece sembra prevalere in tutta la cultura sociale che domina anche i luoghi dell’educare, una cultura dell’emergenza, emergenza continua, che ci urla nelle orecchie, ci affretta i passi, le scelte e le decisioni, rende tutto urgente, immediato, senza pause. Impedisce, questa cultura dell’emergenza, di pensare, di fermarsi a riflettere, darsi il proprio tempo, il tempo della cura, di sé e degli altri e anche del mondo, invade i luoghi dell’educare, sia i luoghi dell’interiorità di ognuno, sia i luoghi della relazione, anche tra generazioni, e della comunicazione. Così alcuni eventi che si ripetono ossessivamente e sono segnali non difficilmente comprensibili, vengono trattati, in nome della cultura dell’emergenza, attraverso pratiche repressive e non interpretative, non creano così la possibilità di un accumularsi di esperienze e di saperi. E’ ovvio parlarne ma il cosiddetto bullismo è un fenomeno che ci dice e ci chiama a un’interpretazione e alla necessità dell’educare, parla dei nuovi disagi maschili, della mancanza di modelli comprensibili, condivisibili, o dell’eccesso di modelli non filtrati, non interpretati insieme, criticati, resi discorso colto e possibilità di scambio. Per cui i ragazzi scelgono la violenza, come affermazione di una virilità che è incerta, impaurita, ha timore delle donne e del giudizio dei pari, sceglie il contro tipo del debole per affermare la propria dominanza, misera e sofferente. Non hanno questi ragazzi modelli educativi del proprio genere, a scuola gli uomini non ci sono o sono molto pochi, comunque ormai le scuole sono luoghi, reali e simbolici, di donne, e non credo che vi sia alcun motivo per rallegrarsi di questo, e poi i padri, che al di là della nuova retorica, delle nuove paternità appunto, Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] vede una realtà indubbiamente in cambiamento ma fatta ancora molto di silenzi e di assenze. E’ questo senz’altro un territorio dell’educare, del pensare e riflettere insieme, del trasformare in cultura condivisa, perché divenga anche bene personale, i mutamenti che creano disagio, disorientamento e sofferenza, e poi violenza, se lasciati a sé stessi senza discorsi e pratiche che li nominino non solo come dolore individuale, ma come percorso collettivo, nel quale ognuno, in una storia condivisa, può trovare luogo per la propria unicità. E anche qui una novità di genere: come prima per l’anoressia maschile, il bullismo è ormai diventato, se pure minoritario, anche fenomeno agito da ragazze. Smentendo anche in questo caso retoriche accreditate, che ripetono il mito della non violenza femminile. Di nuovo, con ogni probabilità, gli eventi che si ripetono ci dicono di una mancanza di trasmissione generazionale ed educativa tra donne del cambiamento, una profonda ignoranza di quello che sono stati i percorsi femminili, le nuove libertà degli ultimi decenni, per cui una distorta interpretazione dell’ emancipazione rende queste giovani desiderose di emulare il maschile violento, poiché si propone come modello visibile, immediato di potere e di forza. Se l’educazione è qualcosa che nella sua complessità, enigmaticità ci riconduce, dovrebbe ricondurci, al luogo che le è proprio, di cui è costitutiva e che la costituisce, il soggetto, la contemporaneità ci interroga tutti e tutte, non solo a diverso titolo educatori ed educatrici, sulla nostra capacità, e desiderio, di stare in questo continuo divenire che sono le nostre vite di donne e uomini, così diverse e diversi non solo da chi ci ha preceduto, ma da noi stesse e noi stessi pochi anni fa, o mesi o ieri. L’educazione che riceviamo e quella che diamo, e i due passaggi generalmente avvengono in contemporanea, e soprattutto quella che alimenta e fa emergere il maestro o la maestra interiore, non è solo quella che interpreta il cambiamento e apprende, per quanto possibile, a guidarlo, è quella che sa anche generarlo in ognuno come cosa propria, se pure all’interno delle grandi correnti collettive, delle nuove storie che hanno disegnato le donne, più visibilmente negli ultimi decenni, ma ora anche gli uomini, alcuni. Un possesso personale che solo come tale può ritrasformarsi in scelta condivisa, comunicata e collettiva. L’uno e l’altra possibili virtù educative e auto educative solo se si apprende a riconoscerne, e apprezzarne, la caratteristica di temporaneità, la necessità di continua revisione, trasformazione, il bene permanente di una ricerca che non finisce. Evitando che l’assunzione del ruolo del perennemente indignato o indignata ci chiuda gli occhi sul mondo ma anche su di noi, cercando anzi di accettare con ironia – grande virtù pedagogica – i nostri limiti e mutamenti. Ed è vero che le culture di genere ci offrono gli strumenti per osservare, comprendere questo mutamento, a partire dal cambiamento delle identità dei soggetti, donne e uomini e dal cambiamento delle relazioni tra i sessi. Questo è il grande fatto della contemporaneità, dopo secoli in cui donne e uomini sono sempre state e stati in relazioni relativamente immobili. Abbiamo la fortuna di essere nate e nati nel mezzo di questo cambiamento, che durerà, continuando a cambiare e cambiarci, per alcune generazioni. E il privilegio di essere dentro la scuola è proprio questa convivenza, se pure necessitata, tra generi e generazioni diverse, questo dato che costringe a valutare il cambiamento, a percepire le differenze, anche profonde, a dare all’uno e alle altre il valore che hanno, nel momento in cui le riconosciamo come la trama principale delle nostre esistenze. Ma, ripeto, una pedagogia di genere significa attenzione ad ambedue i generi, anche al maschile, quindi, ai mutamenti e ai bisogni, diverse culture che gli uomini che cambiano elaborano o possono elaborare in una relazione, non confusiva, rispettosa delle differenze, ma più armoniosa con le donne: la categoria genere è per sua natura categoria interpretativa del mutamento ed è categoria relazionale, riguarda dunque i due sessi. E’ Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] necessario, quindi, non confondere cultura o pedagogia di genere con cultura o pedagogia del solo genere femminile. Sono gli stessi stereotipi rigidi, e ancora molto vitali, che assegnano ruoli e destini alle une e agli altri che hanno un carattere di complementarietà molto forte, come d’altronde i cambiamenti di identità, l’evolversi della progettualità femminile non può che coinvolgere anche l’altro sesso, le culture di genere non possono che essere relazionali. E dunque, se gli studi delle donne hanno naturalmente privilegiato ciò che riguarda un problema femminile, è sempre più chiaro che il cambiamento deve riguardare entrambe i sessi e che bisogna porre attenzione, lavorare anche sulle assenze maschili per riequilibrare l’essere nel mondo, e non solo nel lavoro, di donne e uomini. E a proposito di assenze maschili il mio riferimento è soprattutto alla poca o nulla presenza degli uomini nel lavoro dell’educare, mentre molte esperienze mi hanno insegnato che in presenza dell’intervento maschile sul genere i ragazzi più facilmente si lasciano coinvolgere. Ma si tratta di evento raro a scuola. A scuola i docenti maschi, infatti, sono pochi. Inoltre, spesso, le tematiche di genere sono interpretate come riguardanti e dirette principalmente alle studentesse; le persone cosiddette esperte sulla tematica sono quasi sempre donne. Un esempio, tra i molti: vi sono molti interventi educativi orientativi utili a indirizzare verso le materie scientifiche le ragazze; non accade mai il contrario o almeno non viene mai segnalato: uno o più studenti maschi che si avviino verso professioni o studi, ad es. dell’ambito educativo e sociale, in cui gli uomini sono largamente assenti. E gli stesi materiali ed esercitazioni che noi stesse vi proporremo risentono di questa mancanza cui dobbiamo rimediare. Si tratta, io credo, anche tra noi che ci occupiamo di stereotipi di genere, appunto di uno stereotipo di genere. Osserviamo il disagio maschile, le difficoltà a cambiare e a trovare modelli, ma la cultura di genere, le nostre stesse attitudini continuano a rivolgersi alla componente femminile, non più esclusivamente come un tempo, ma prevalentemente. E’ purtroppo un gioco di specchi: gli uomini (docenti) sono pochi a scuola, si continua ad occuparsi sempre poco degli uomini (studenti) a scuola e i giovani maschi percepiscono il lavoro di cura – poiché vedono solo donne che si occupano di loro – come lavoro femminile e non come un percorso che potrebbe riguardare anche gli uomini. E lo stereotipo si involve su sé stesso e si alimenta di sé stesso. A scuola vi sono dunque pochi modelli maschili positivi di riferimento, la scuola sempre più diviene luogo di donne di qua e di là della cattedra, e questo crea o approfondisce asimmetrie di genere, difficoltà di relazione (donne più colte ecc.) Vi è necessità dunque di una cultura di genere, competenze educative che contemplino come fondante la visione interpretativa di un mondo che è abitato da donne e uomini, e che è profondamente mutato e rapidamente muta nel divenire delle identità sessuate e nelle relazioni che tra loro stabiliscono, mentre appaiono ancora vitali dentro e fuori i soggetti le culture più tradizionali dell’essere donne e uomini. E in questa complessità di modelli, ripeto, come orientarsi per costruire un progetto di vita? O addirittura apprendere che un progetto si può elaborare, si può guidare la propria esistenza e non abbandonarsi a quel che accade giorno dopo giorno. Ma anche le e gli insegnanti sono donne e uomini e la loro consapevolezza e intenzionalità di esserlo anche nello spazio e tempo educativi sono una scelta essenziale per i e le loro studenti, sono un momento fondamentale di orientamento. Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] Abbiamo finora parlato, quindi, di una formazione per i e le docenti, quindi che, oltre ad essere un accrescimento di conoscenze disciplinari, di competenze metodologiche dovrebbe partire da questo lavoro, di cura, su di sé; e ne abbiamo particolare bisogno in un momento in cui continua l’erosione e la perdita di senso dell’essere a scuola. La formazione di studentesse e studenti e l’orientamento Innanzitutto vorrei chiarire la relazione tra educazione in senso generale e orientamento. Mi avvalgo, per avviarmi a farlo, di una bella definizione di educazione, che ha spesso mosso il mio pensiero sui significati dell’educare: L’educazione è comprensiva del progetto di mondo e del progetto di sé che scaturiscono dal come si è nel mondo (…) pur nel variare infinito delle concezioni di educazione un carattere dominante comune che ne emerge è quello di attività modificatrice, fonte di metamorfosi, evoluzioni, processi, tesa a promuovere lo sviluppo della personalità (…) Si può chiamare educazione soltanto quella che riesce a realizzare in modo vario la poliedricità di forme del poter essere di ciascuna persona, rapportandosi con libertà ai rispettivi progetti di mondo” (Vanna Iori, Lo spazio vissuto). L’educazione, quindi, si definisce come progetto, progetto di sè nel mondo, progetto di molti sé che convivono, ciascuno con il suo desiderio più o meno chiaro, di presente e futuro. L’educazione allora coincide con l’orientamento se diviene progetto collettivo, comune nel quale convivono e possono crescere i progetti di ciascuno e ciascuna. Forse, allora, il primo problema da affrontare è comprendere come non tutti e tutte abbiano un progetto per la propria biografia o pensino che lo si possa/debba avere – e non si tratta solo dei/delle giovani, la maggior parte delle persone ‘si lascia vivere’ – e la prima area di consapevolezza da costruire, quindi, è quella di aprire un confronto e indurre il bisogno di un progetto, il desiderio di elaborarlo. Vi sono due figurazioni a proposito di quanto detto in precedenza, che possono essere usate come esemplificazione nel confronto con le classi e derivano dalle etimologie delle parole progetto e desiderio. Progetto ha un’etimologia latina, significa gettare avanti: noi siamo stati gettati e gettate nel mondo, con la nostra nascita, nessuno ha scelto di nascere, altri hanno scelto per noi, ci hanno dato una vita che non avevamo chiesto. Prendere in mano questa vita, cercare di guidarne lo sviluppo, le scelte, di elaborarne, per quanto possibile, i percorsi, fare della propria biografia un progetto, insomma, significa superare questa condizione iniziale e passiva dell’essere gettati e gettate, significa farsi protagonisti e protagoniste del proprio esistere, se pure consapevoli che i progetti debbono essere flessibili, adeguarsi alle realtà che cambiano, saper mutare a loro volta. Desiderio ha molte e diverse etimologie. Ne scelgo una utile al nostro discorso. Dizionario etimologico Zanichelli, “Desiderio (voce dotta) de-siderare, letteralmente ‘cessare di contemplare le stelle a scopo augurale’ “†. Dunque abbassare gli occhi dal cielo al mondo, scegliere uno sguardo orizzontale anziché verticale, uno sguardo che si rivolge in tutte le direzioni del tempo, dal presente illumina il passato e prefigura il futuro, per cercare quello che pensiamo/vorremmo che fosse il nostro posto nel mondo, ciò che ci fa divenire, ci fa sentire soggetti. † Manlio Cortellazzo, Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, (vol.II), Zanichelli, Bologna 1980, pag.328 Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] L’elaborazione di un progetto per la propria vita è la forma di passaggio all’età adulta, ora che i riti tradizionali non vi sono più o sono molto ritardati nel tempo. I propri vissuti sono i saperi di base su cui ragazze e ragazzi confrontano le proprie esperienze con il mondo più vasto che si prospetta loro, ma occorre lavorare su questi vissuti per renderli consapevoli agli stessi soggetti, perché da lì si muovano per elaborare intenzionalmente il loro progetto. Solo a partire da una certa competenza biografica, dalla conoscenza di sé ci si può rendere protagonisti di un progetto, che deve avere le caratteristiche, soprattutto, della flessibilità, si diceva, dell’adeguamento a una realtà in continuo cambiamento, irta di difficoltà, che occorre saper riconoscere, anche desiderare di mutare, senza perdersi. A questo punto si pongono una serie di questioni vitali, io credo, per l’educazione e l’orientamento. Innanzitutto come far dialogare i saperi, i metodi, le regole del fare scuola più tradizionale con i vissuti e le esperienze, le prime aspirazioni di dirsi di ragazze e ragazzi? Soccorre la metodologia autobiografica e narrativa, a mio parere, nelle sue diverse forme: la narrazione di sé, attraverso scrittura, racconto, confronti, raccolta di materiali e ricerche. Si tratta anche dell’unica, efficace strada perché vi sia adesione, comprensione e condivisione del progetto, nel momento in cui si capisce che riguarda non un tema generale, una cultura aliena – come può apparire il genere a un primo approccio – ma la propria vita, la costruzione della propria soggettività, che è unica, irriducibile ad ogni altra, ma può trovare risorse nelle storie comuni, ma diverse tra loro, di donne e uomini. Ma certamente l’appuntamento tra le due forme di sapere è un momento arduo, cruciale per la riuscita del progetto educativo generale. Vi è poi l’incontro con l’esterno, il mondo e il lavoro in questo caso è quello di sviluppare capacità di lettura e capacità critica. Una conoscenza di quello che muta nelle professioni, nelle relazioni tra i sessi, nelle famiglie, nei sentimenti e occorre saper trovare gli strumenti per saperlo interpretare questo mutamento continuo, che appare una corrente nella quale tutte e tutti ci muoviamo, nessuno osserva dalla riva, e dunque anche chi insegna è immerso e immersa in questo mutare che richiede elaborazione continua, attenzione e sensibilità sempre vive e vitali. Aiuta indubbiamente in questo lavoro la prospettiva che noi adottiamo, il genere come categoria interpretativa della realtà, che ci spiega che molto di quello che è mutato ha la sua origine nel cambiamento delle identità sessuate e delle relazioni tra i sessi. L’impresa non è semplice e i motivi sono molti e principalmente si originano dalla stessa natura complessa dell’orientamento, nel momento in cui non lo si voglia sbrigativamente risolvere come un dispositivo di informazione generica e neutrale. L’orientamento è momento di crucialità in cui si intrecciano e incrociano differenti complessità: i mondi della scuola, della formazione e del lavoro, le realtà professionali e sociali, le istituzioni e i bisogni, le attese dei soggetti, i cambiamenti degli ultimi decenni che hanno profondamente mutato le identità sessuate e mutato i contesti di vita e attività lavorativa, ma al contempo le persistenze, resistenze di culture tradizionali e dei pregiudizi e stereotipi sessuali, che convivono con il cambiare di società e soggetti, tempi, spazi e ritmi di organizzazioni collettive e biografie individuali. A questa complessità si aggiunge quanto si osservava in precedenza, la difficoltà a una sensibilizzazione alle tematiche di genere per studentesse e studenti, che generalmente sono piuttosto indifferenti, se non critici verso questo approccio, che conoscono poco e che temono tolga visibilità, offuschi la loro individualità. Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] Queste iniziali resistenze sono legate a una cultura scolastica – che d’altronde rispecchia le tendenze dominanti nella cultura diffusa - sostanzialmente poco sensibile e reattiva alle culture di genere, che non sono ancora entrate a far parte del paradigma pedagogico accreditato per la formazione e la didattica. Ma anche l’orientamento, interpretato nelle sue accezioni di orientamento formativo, ha poco luogo nelle attività scolastiche. Ci troviamo quindi a lavorare su due aree tematiche e di intervento educativo che sono sostanzialmente due grandi rimozioni nella cultura scolastica italiana e poiché lavoriamo su una concezione di orientamento non neutrale ma sessuato, appare non improprio un parallelo tra i due concetti di orientamento e genere, ambedue considerati prospettive di importanza cruciale, meglio ancora necessaria, per le vite, lo sviluppo di individui, società e organizzazioni, ma nei fatti, quando si tratti di concretizzare pratiche, politiche e di assegnare finanziamenti a progetti, vengono trascurati come secondari, in nome di altre priorità continuamente emergenti. Proseguendo nella riflessione, occorre prendere in considerazione due punti cruciali che riguardano la progettazione e la realizzazione del percorso didattico ed educativo. Uso delle metodologie attive. Nel caso di azioni educative di genere le cosiddette metodologie attive non hanno solo l’obiettivo e la specificità di coinvolgere direttamente i soggetti, ma anche di riconoscere in e con loro i modi, le forme con cui interpretano e riescono a esprimere il loro essere e sentirsi donne e uomini. Un significato simile e molto efficace, soprattutto se attuato correttamente prima con lavori individuali, di scrittura ad esempio, e poi condivisi con l’intera classe, hanno anche le verifiche sui lavori svolti, soprattutto se si adottano metodologie autobiografiche. Curricolarità ed extracurricolarità. Non è il caso di riprendere a lungo il discorso sulla preferibilità che i contenuti del progetto entrino nella normalità del fare scuola, e quindi entrino nel curricolo, su questo penso che non si possa che essere accordo, vorrei piuttosto soffermarmi sulle attività extracurricolari e sulla loro specificità per quanto riguarda le tematiche di genere. Queste ultime possono spesso vantare tradizioni, legami, connessioni con culture territoriali si tratti di associazioni private e/o pubbliche, di istituzioni locali, sindacali, legate al mondo del lavoro e altro ancora - cui la scuola è utile, indispensabile faccia riferimento, perché spesso sono depositarie di un patrimonio di lavoro ed elaborazione di decenni. Io credo che mantenere una porzione di interventi e tempi extracurricolari consenta maggiore libertà di collaborazione e progettazione con queste realtà esterne e faccia percepire a studentesse e studenti che si stanno muovendo su un terreno vivo, che appartiene alla vita, reale e vissuta, delle persone, cui loro stessi e stesse possono partecipare, in forme vitali e trasformative. Certamente molti e molte si possono sottrarre, considerando opzionale e volontario questo impegno, oppure sovrapposto ad altre attività, anche scolastiche, ma chi partecipa mostra un’adesione personale, un interesse che può essere coltivato, anche in direzione di un intervento verso gli altri studenti e studentesse. Un’ulteriore considerazione riguarda il tema della verticalità dell’orientamento. L’utilità di pensare azioni che coinvolgano più ordini di scuola, l’orientamento formativo e di genere, d’altronde, non può essere pensato come una pratica che si attui solo in certi momenti del proprio percorso biografico e scolastico, quando si deve scegliere, ma è pratica che accompagna tutta la crescita, in realtà tutta la vita, poiché le scelte si elaborano nel tempo, secondo il progetto di sé e di mondo che si viene lentamente costruendo e che si Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected] modifica, si rende flessibile e plastico secondo le realtà, le opzioni, opportunità od ostacoli che incontra. Penso sia utile riflettere su questa possibilità, anche nella prospettiva di adottare azioni di educazione tra pari. Un’ultima osservazione. Un’esperienza di formazione e/o di orientamento formativo, soprattutto nelle sue fasi sperimentali, ma io ritengo ogni volta che si riproponga, non dovrebbe mai perdere la sua qualità essenziale che è quella dell’autoriflessività, la capacità di ogni soggetto che è all’interno del percorso - e la capacità di costruire una competenza collettiva tra le diverse persone - di continuare a pensarsi nel corso dell’esperienza, costruendo anche la competenza di sapersi raccontare e rendere narrabile – quindi trasferibile – ciò che vive. L’esperienza formativa possiede le due qualità che attribuivamo in precedenza alla cultura interpretativa di genere: è un’esperienza del cambiamento, avviene in una situazione relazionale e dalla relazione è profondamente influenzata. Occorre quindi, nel predisporre dispositivi che avviino e aiutino l’autoriflessività e la narrazione, immaginare che possano essere efficaci sia per il racconto individuale che per la messa in comune delle diverse narrazioni. Naturalmente questi dispositivi, come già accennavo all’inizio del mio discorso, per essere efficaci nel lavoro con le classi, devono essere conosciuti e sperimentati in precedenza dai/dalle docenti, ma la finalità, credo, possa travalicare la pura sperimentazione di un percorso, in realtà propone agli e alle insegnanti un utile momento di autoformazione, consapevolizzazione della propria identità di genere. Ufficio Consigliera di parità della provincia di Milano AFOL Milano Ufficio Consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza viale Jenner, 24 – Milano Tel. 02 7740 6831 [email protected] via Soderini, 24 - Milano Tel. 02 7740 5567 [email protected] via T. Grossi, 9 - Monza Tel. 03 9975 2831 [email protected]