La formazione degli operatori

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La formazione degli operatori
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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La formazione degli operatori
Un vecchio de�o, che sostiene ciascuno essere il miglior medico di se stesso,
ci ricorda una verità spesso dimenticata: chi porta la mala�ia stampata nel corpo e nell’anima
ne ha una conoscenza unica ed insostituibile, che chi cura deve saper ascoltare ed interpretare
con gli strumenti della propria competenza. Quando questo incontro avviene la cura è efficace
e produce nuovo sapere1.
1983: è necessario che le persone ricoverate in Ospedale Psichiatrico possano intraprendere con sicurezza, conoscenza, competenza e consapevolezza la difficile strada del ritorno nella comunità civica.
La cooperativa, come già scri�o nei capitoli precedenti, nasce nel 1982, come nuova invenzione, per creare
e gestire contesti formativi per gli ex degenti dell’ospedale psichiatrico.
Quale migliore contesto di una villa sulla collina di Torino per i primi soci della Nuova Cooperativa e agli
operatori della formazione per a�rezzarsi per il primo appalto di lavoro fuori dalle mura del manicomio?
Lavorare sì, ma anche poter abitare una casa propria: gli aspe�i del quotidiano, l’organizzazione di una giornata
di vita, i pia�i da lavare, le bolle�e da pagare, la cura personale… per essere presenti al mondo e nel mondo, ogni
giorno. Dapprima desideri impossibili, diventano opportunità e possibilità concrete, ma per essere agiti e vissuti
esigono un paziente e curato lavoro di sostegno alle persone che se ne vogliono riappropriare. Agli operatori della
“scuola/formazione” si affiancano nuovi operatori con altre funzioni.
La cooperativa allarga i suoi orizzonti di intervento e sviluppa i propri programmi di intervento richiamandosi ai
codici del lavoro di cura non clinico. Gli operatori si occupano della riproduzione materiale e sociale della vita delle
persone che sono dimesse dal manicomio.
Sarà ancora il contesto di Villa Mainero e la gestione dei soggiorni per gli ex degenti ad offrire anche ai giovani operatori di appoggio della cooperativa, uno spazio di allenamento formativo alle pratiche di deistituzionalizzazione.
La Regione Piemonte,
con a�o deliberativo del 28
maggio del 1983,
stabilisce una convenzione con la
Cooperativa Proge�o,
nell’ambito del “Programma
dimostrativo per dimessi dagli
Ospedali Psichiatrici, per
l‘inserimento sociale e lavorativo
nell’area torinese e formazione
dei formatori2.
Professioni di cura
Gli operatori d’appoggio sono una figura inventata nella pratica di de costruzione di un’istituzione totale per
interagire con la persona pensando ed organizzando percorsi pratici di accompagnamento alla vita quotidiana ed alla vita sociale. Il lavoro dei primi operatori è messo a punto a�raverso uno sforzo di coproge�azione con gli operatori sanitari. La formazione del fare, del sperimentare facendo, della ricerca di
significati colle�ivi e condivisi, dà vita alla costruzione di proge�i e relazioni tra e per operatori ed utenti.
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Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
Immaginare una formazione, una
professionalità che renda
le persone capaci di vigilare,
di opporsi a quei meccanismi
intrapsicologici ,interpersonali
e istituzionali che danno luogo
ad una sistematica
riorganizzazione nella vita
di tu�i i giorni.
I muri di gomma che la società
e ognuno di noi contribuisce
a costruire intorno alla follia
sono spesso più difficilmente
valicabili delle cancellate
e dei muri di pietra.
Aprire un manicomio, come disse
una volta Franco Basaglia,
non significa aprire le cancellate
e bu�are giù le sbarre, ma aprire
le nostre menti3.
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Tu�o questo all’interno di un proge�o sociale condiviso tra professioni con statuti sociali e con riferimenti
a cornici conce�uali differenti.
Ai fini della narrazione è interessante osservare che l’anello che ha connesso pubblico e privato, sanitario
e sociale è stato l’apporto del Servizio Sociale dell’Amministrazione Ospedaliera.
Alcune delle pratiche inventate fanno riferimento, anche dal punto di vista organizzativo, al contributo
delle assistenti sociali che in quegli anni rivisitarono il loro ruolo a�raverso un lavoro di decostruzione
nell’istituzione di tu�i gli aspe�i stru�urali che impedivano la libertà individuale nella cura di sé e del
quotidiano. Smontare la cucina centralizzata, aiutare le persone a riconquistarsi dei guardaroba personali, e sopra�u�o restituire le pensioni e i beni personali confiscati dall’Istituzione è stato un perno qualificante del processo che stiamo narrando. La presenza del Servizio Sociale si rintraccia nel lavoro per
la costruzione delle comunità ospiti, nell’organizzazione dei primi soggiorni dove le persone ricoverate
prendono conta�o con le prime difficoltà della gestione quotidiana e nel sostegno al lavoro interno ai
reparti di lungo degenza per restituire parola, dignità, diri�i, autostima. Il Servizio Sociale contribuisce,
con il Consiglio di Amministrazione dell’Opera Pia e i sanitari più avveduti, a recuperare la quota di
spesa storica destinata alle a�ività centralizzate dell’Ente. Questa quota diventa la base stru�urale per la
costituzione dell’Area Socio Sanitaria non più so�omessa alle regole ospedaliere.
Una parte è trasformata in assegni individuali, affinché le persone possano comperare i servizi necessari per
la vita quotidiana. Un assegno, che oggi si chiamerebbe assegno di cura, trasforma l’ex degente da ospite a
utente e da utente a cliente. La gestione di questi assegni apre le più interessanti sperimentazioni partecipate con gli ospiti delle comunità. I momenti residenziali organizzati dal Servizio Sociale per le persone ancora intrappolate nell’istituzione manicomiale, sono il primo contesto formativo e, in questo si preparano al
contempo le abilità di una figura di operatore sociale, definita non professional. Di questo termine si assume
l’aspe�o di decostruzione dei ruoli prefissati: è necessario ricercare modi di operare congrui agli obie�ivi
definiti e condivisi. Gli operatori lavorano in équipe con propri programmi, non lasciati al caso.
Al contrario si sceglie di definire, a�entamente e in gruppo, modi di fare con le persone affidate, in uno
scambio con il personale sanitario che acce�a e riconosce l’importanza di un apporto sociale nel quotidiano dell’esperienza di vita. Un apporto, quello sociale, che richiede competenze stru�urate su più livelli e
che si costruisce facendo, in una condivisione proge�uale asimmetrica con il sanitario, tradizionalmente il
solo deputato all’azione psichiatrica. Un cammino idealmente forte e coinvolgente ma difficile da trasformare in un prodo�o lavorativo, che necessita di essere tenuto so�o controllo.
Non si abbandona la coproge�azione con gli operatori sanitari, ma, contemporaneamente, si inizia a produrre in proprio: le domande sono quelle poste dagli operatori psichiatrici con cui si è avviato il percorso,
e con questi si interagisce fortemente. Anche loro sono maestri per la Cooperativa: coproge�are con chi si
è assunto la fatica di decostruire il proprio potere per costruire nuovo sapere di cura psichiatrica, è stato
vitale per consolidare una impresa sociale in cammino per la ci�adinanza della mala�ia mentale.
Questi psichiatri, in Archivi Sociali si incontrano sovente.
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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L’orientamento puntuale per la presa in carico dell’accompagnamento ai proge�i di vita delle persone,
con cui i soci della cooperativa lavorano, offerto nelle équipe, costituisce un altro momento formativo importante. È stato utile interagire con il punto di vita critico psichiatrico: molti sono stati i benefici che gli
operatori ne hanno tra�o per affrontare il disorientamento nel confronto con la sofferenza della mala�ia.
È stato utile e produ�ivo imparare ad ascoltare, a cogliere i segni delle crisi, a sapersi fermare nei momenti più duri, a saper reagire con professionalità, a saper utilizzare in modo utile le competenze del proprio
statuto professionale.
Insieme a medici ed infermieri si sono proge�ati gli strumenti del lavoro e il quadro complessivo della
sua organizzazione. A loro volta gli psichiatri hanno ascoltato e interagito. Momenti fecondi di coprogettazione sono state le riunioni di coordinamento del Torino Proge�o.
Riprendiamo il filo della narrazione che riguarda la Cooperativa Proge�o Muret ma, leggendo, pensiamola in forte
interazione con un positivo pensiero critico sanitario.
Nel 1988 la cooperativa ha un nucleo di soci che gestiscono Villa Mainero come casa, luogo, spazio in cui
gli ex degenti possano sperimentare una quotidianità per proge�are la vita a Torino, fuori dalle mura.
Tessere formazione
La formazione degli operatori come investimento di risorse, come pianificazione delle stesse e quindi
come ambito di sviluppo, diventa un’esigenza nel momento in cui è necessario dare valore al lavoro defatigante della cura che le prime esperienze fanno emergere.
Ma è anche necessaria per sedimentare l’esperienza, per trasme�erla a chi man mano entra nel lavoro.
La parola cura non fa parte del lessico ordinario nei primi documenti in Archivi Sociali: non appartiene al
lavoro sociale; al contrario, nella rappresentazione comune rinvia al lavoro sanitario.
La cura, nella storia della Cooperativa Proge�o Muret, irrompe senza terreno riflessivo alle spalle; arriva
con l’esercizio della pratica di condivisione nei primi difficili percorsi delle persone che, per potersi liberare dall’istituzione, necessitano di terreni esperienziali che investono il quotidiano.
Si parla d’accompagnamento, di esplorazione dei bisogni e desideri, di libertà nella organizzazione del tempo di vita, di disponibilità a ricercare nei percorsi individualizzati le competenze del vivere quotidiano
che l’istituzione ha distru�o.
Le prime crisi degli operatori (che di questo percorso ne incontrano le asprezze, le contraddizioni, la
noia, la ripetitività dei gesti del quotidiano, i confli�i e le resistenze delle persone) diventano generative
di un nuovo pensiero e di nuovi interrogativi: occorre dare un senso professionale a tu�o questo per non
abbandonarlo.
La condivisione del quotidiano e la sua organizzazione si mostrano un grimaldello foriero di innovazione
e di risultati: ma a quale prezzo?
Come trasferire questo in un ambito professionale riconosciuto? Aleggia una domanda a forbice: operatori o donne di casa? E i maschi?
La cura è correlata
con il tempo che passa
e quindi ha a che fare con la
trasmissione della memoria
e l’agire nella contingenza, allo
scopo di preparare
e proge�are il futuro4.
In quel momento si riscontrava
una scarsa qualità del servizio
(difficoltà a mantenere un buon
livello di ordine e pulizia, perdita
di aspe�i innovativi
di organizzazione e gestione
degli spazi),
molto stress nelle relazioni con
gli ospiti che del lavoro degli
operatori individuano sopra�u�o
gli aspe�i routinari e di servizio.
La lamentela generalizzata
tra gli operatori era di sentirsi
tra�ati come “colf”, di essere
considerati contenitori di ascolto
di angosce e deliri,
denunciavano una grande
passività degli ospiti che
delegano gli aspe�i faticosi della
gestione del quotidiano, mentre
essi si trovano in difficoltà a far
rispe�are le regole…
La richiesta di formazione era
“genericamente” centrata sulla
supervisione per affrontare
le difficoltà di relazione e
la pesantezza del conta�o
con persone gravemente
psichiatrizzate5.
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Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
La cura in senso clinico
e la cura non clinica,
come ambiti differentemente
concepiti ed organizzati:
il servizio pubblico e la
cooperativa sociale6.
Poter discutere sul fa�o
che la cura non clinica,
nella dimensione elaborata
dal movimento delle donne,
è socialmente” un non-lavoro”
perché i suoi gesti e il suo
orizzonte si richiamano
al lavoro casalingo delle donne
non riconosciuto,
ha costituito un primo punto
di svolta per analizzare una
cura che si svolge in un contesto
terapeutico di tipo sanitario, forte
ed organizzato, con figure come
tali riconosciute, che determina
valorizzazione e valorizzazione a
seconda se i gesti si avvicinano o si
allontanano dalla cura clinica […].
Il richiamo
al lavoro femminile non
riconosciuto, al lavoro quotidiano
delle donne, era evidente nel
linguaggio con cui gli operatori
descrivevano le loro frustrazioni.
Far riferimento solo a queste
frustrazioni, come avviene nel
lavoro familiare, comportava
assumere solo la dimensione
familiare del “dare” come
quella più importante, non fare
a�enzione al contesto e alla
sua dimensione organizzativa,
anzi ritenere tu�o questo non
rilevante nel determinare la
qualità del prodo�o.
Contemporaneamente
ci si scontrava con il fa�o
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Il punto di svolta avviene, quando la dirigenza della Cooperativa assume le domande e il disagio degli
operatori ponendole a fondamento di una ricerca per individuare le epistemologie che so�ostanno alla
riabilitazione psichiatrica. Si parte dal prodo�o di ci�adinanza dell’operatore e non dalla sola relazione operatore-utente. Sarà il paradigma della cura non clinica, così come il pensiero delle donne lo ha decostruito,
a fornire una pista innovativa di lavoro. È stato di aiuto un testo di Laura Balbo, Time to care7, che ha permesso di distinguere, nell’organizzazione sociale, gli ambiti di cura e le loro matrici culturali.
Occorre studiare, rifle�ere, riprendere la propria pratica con al centro il quotidiano nel percorso di ci�adinanza,
confrontarsi con altri punti di vista, costruire analisi e rivedere i processi di lavoro e la sua organizzazione.
Nel 1990 la direzione della Cooperativa sceglie di investire risorse per organizzare un’area di formazione
interna, in cui sia possibile tenere insieme i bisogni di chi lavora con gli obie�ivi; valutare i risultati, definire i processi di lavoro e il quadro organizzativo. Un’area di lavoro in cui per gli operatori sia possibile,
prote�i da un quadro organizzato, vedere e riconoscere la propria fatica professionale, esprimere il proprio bisogno, il dolore e le frustrazioni e ansie, l’insuccesso e il rifiuto.
Per progredire nel proprio lavoro è necessario assumere tu�i i rischi della difficile relazione con le persone e con la stru�ura sanitaria.
Tu�o questo nel mentre si me�e a fuoco, in modo condiviso, la ricerca di un apporto ancorato nel riconoscimento di una professionalità specifica e inventata. Per meglio stru�urare questa esigenza la Cooperativa stabilisce un contra�o con una piccola impresa di formazione e ricerca sociale8, i cui soci hanno
maturato a loro volta competenze nel lavoro di deistituzionalizzazione e più in generale nei movimenti di
lo�a sociale. Il contra�o prevede che siano messe a disposizione competenze e strumenti per stru�urare
una a�ività di formazione integrata con il lavoro sociale della Cooperativa.
Un apporto formativo in divenire e continuo cambiamento, che coglie man mano i punti critici nello
sviluppo di una nuova pratica sociale. Uno sviluppo che contempli la possibilità di produrre pensiero,
elaborare nuove cornici interpretative nel mentre si ricerca un modello operativo e una identità professionale per gli operatori. Il Torino Proge�o richiede alla Cooperativa, un peculiare apporto di lavoro sociale.
Occorre acquisire una propria identità professionale che può interagire con competenza e pari dignità tra
i sogge�i pubblici (sanitario) e il privato sociale, a�raverso un realistico e percorribile rapporto di partenariato tra sogge�i diversi. Sono necessari investimenti che valorizzino gli apporti concreti e differenti,
ma che al contempo perme�ano di rivisitare anche le categorie teoriche dell’agire.
Sopra�u�o occorre imparare a lavorare professionalmente in ambito psichiatrico con un profilo di tipo
sociale. Cosa non facile.
Il sogge�o sociale cooperativa, nel processo di de istituzionalizzazione e nella costruzione di nuove prassi
nella riforma psichiatrica conseguente alla legge Basaglia, sceglie di varcare i confini delle competenze
della nuova psichiatria nascente e a�ingere, per dare corpo alla propria mission, alle innovazioni del lavoro sociale e in particolare alle nuove competenze che alcune agenzie formative stru�urano nell’ampio
campo della trasformazione dell’agire sociale.
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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Le domande di formazione
Le domande di partenza sono connesse alla ricerca di costruire identità sociale per gli operatori della cura
non clinica nel lavoro con persone psichiatrizzate, nella possibilità di dare valore alle conoscenze ed esperienze che gli operatori accumulano nel lavorare accanto e con le persone, a corpo a corpo.
Necessità di dar valore professionale alle nuove relazioni sperimentate nel riconoscimento delle reciproche responsabilità che investono sia gli operatori che gli utenti.
È con Grazia Colombo, incontrata insieme a Franca Olive�i Manoukian dello Studio A.P.S.9 di Milano, a
perme�ere di trovare nel paradigma del lavoro di cura non clinico, uno strumento per analizzare i processi del lavoro e inquadrarli in una cultura organizzativa professionale.
Si avvia un percorso di formazione con l’obie�ivo di misurarsi con le questioni del cambiamento, delle professionalità e del governo del proprio contesto organizzativo acquisendo nuove competenze con
esperti che possono dare un orientamento culturale in linea con le nuove dimensioni del lavoro sociale
nei Servizi Pubblici.
Da questo fortunato incontro, la cooperativa avvia un percorso di rimodulazione delle proprie competenze, me�endo a punto una figura professionale innovativa ma anche contesti di organizzazione che man
mano investono tu�o il corpo sociale e la sua proge�ualità.
In questo modo l’organizzazione si consolida nei processi di trasformazione e i suoi prodo�i si qualificano, via via, con un’autonomia culturale ed operativa.
Un’autonomia culturale, sopra�u�o per quanto riguarda le relazioni sociali con gli utenti e la complessità
della riabilitazione, che pur interagendo fortemente con il quadro sanitario, costruisce un proprio riferimento al campo del lavoro sociale e alle scienze umane.
Ma non è sufficiente osservare e tenere so�o controllo i soli processi interni; è necessario anche confrontarsi con le nuove teorie dell’agire sociale, sopra�u�o quelle che analizzano i cambiamenti. I documenti
conservati in Archivi Sociali ci fanno incontrare alcune persone esperte che acce�ano il confronto.
Da Cristiano Castelfranchi11, allora ricercatore dell’Istituto di Psicologia del C.N.R., la cooperativa si confronta con la complessità dei processi cognitivi e come questo approccio fa luce sul lavoro di accompagnamento nel quotidiano, rifondando anche il senso del lavoro della riabilitazione psichiatrica.
Altre�anto di aiuto per la pratica quotidiana del lavoro degli operatori sono alcuni seminari con Nicola
Negri12 dell’Università di Torino.
L’allargamento degli orizzonti, integrati dagli apporti di Amartya Sen13, le�i e discussi in questi seminari,
aiutano a leggere le domande espresse dalla nuova utenza psichiatrica.
Queste persone, nel dopo riforma della legge 180, arrivano ai Servizi Psichiatrici con forti difficoltà di
inclusione sociale pur senza avere vissuto lunghi periodi di istituzionalizzazione.
Vivono, piu�osto, ro�ure sociali: perdita della famiglia, del lavoro, disabilità nelle relazioni interpersonali, isolamento, povertà economica, rinuncia ai propri desideri.
La categoria dell’impoverimento di Amartya Sen, anche come assenza di diri�i e di libertà, costituisce
che le elaborazioni che
riguardano
il lavoro di cura non clinico
nascono nell’area culturale delle
donne così come il riferimento
al lavoro di cura non ha ancora
elaborato categorie interpretative e
valutative del lavoro sociale […].
Il contesto della vita
quotidiana è quello che
noi possiamo chiamare
il nostro mondo.
E’ questo un luogo che noi diamo
per scontato, in cui tu�o quello
che facciamo avviene perché deve
avvenire: mangiamo, ci laviamo,
ci vestiamo, lavoriamo, facciamo
vacanza.
Studiare questo ambito significa
me�ere in pericolo l’ovvio,
perché se l’ovvio viene indagato
tu�i i fa�i sociali sono posti al
fuoco dell’a�enzione.
Sì, l’ovvio può riservare
delle sorprese10.
Per processo di impoverimento
intendo un processo
che porta ad uno stato di
esclusione sociale, di non
accesso ai diri�i di ci�adinanza,
insostenibile.
L’impoverimento si configura
quindi come un processo
esistenziale costruito socialmente
a�raverso le interazioni che
un a�ore intra�iene con altri
a�ori compresenti nella stessa
situazione.
... l’impoverimento
è un processo di
de-costruzione sociale dell’a�ore14.
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Il contenuto del lavoro
è connesso alla acquisizione,
da parte dei pazienti-clienti
di capacità di autonomia della
propria riproduzione sociale:
è un fare lavoro di cura,
è un insegnare lavoro di cura.
Ciò che interessa alla
Cooperativa è un percorso
formativo,
definibile in termini di ricercaintervento che abbia come
obie�ivo la messa a fuoco dei
contenuti del lavoro di cura
necessari a tale processo.
Lavoro di cura inteso sia
nel senso di contenuto intrinseco
di lavoro produ�ivo, sia nel senso
della sua (non) valorizzazione
e visibilità sociale.
Una ricerca di tale portata
necessita di una fase preliminare
di orientamento organizzativo
produ�ivo che possa avere in
sé un contesto formativo in
termini di conoscenza elaborata
dell’analisi della propria realtà
lavorativa.
La proposta è quella
di offrire occasioni, in contesto
formativo, per concentrarsi
sul proprio prodo�o lavorativo,
analizzandone i processi:
ciò che si fa, non idealmente
ma nella pratica quotidiana.
Decifrare, nella descrizione
e nell’analisi del proprio agire
quotidiano elementi che servano
alla messa a punto conoscitiva
del funzionamento organizzativo,
sia delle implicazioni sogge�ive
e relazionali che vi interagiscono.
Cosa produce l’operatore
100
un’importante chiave di le�ura e richiama fortemente alla necessità di sostenere nel tessuto sociale e con
nuovi strumenti rispe�o al passato, anche queste persone.
Entro in Archivi Sociali dove importanti documenti perme�ono di narrare il percorso e testimoniano come diventa
centrale la preoccupazione e il desiderio di poter curare percorsi di ci�adinanza me�endo a punto professionalità e
ruoli forgiati nel fare quotidiano, e nello studio, mentre si costruisce una pratica della cura non clinica.
La peculiarità di questa narrazione, che non investe tu�o lo sviluppo della Cooperativa, ma solo il percorso di
come il paradigma del lavoro di cura può stru�urare competenze e azioni sociali, richiede di non superare i
confini del mio proposito.
Mi soffermo su quei materiali che hanno più dire�amente a vedere con il tema scelto e quindi, con ordine, riparto dal
primo contesto organizzato nel 1991.
L’organizzazione della formazione
Via via che la figura dell’operatore assume una sua dimensione professionale, altri bisogni formativi emergono e investono la produzione di stru�ure organizzative e amministrative conseguenti al percorso della
cooperativa.
È indicativo quanto di tu�o questo raccoglie Grazia Colombo in risposta alla prima commessa di lavoro.
La scelta di investire per produrre conoscenza dal proprio lavoro è articolata intorno ad alcuni bisogni, anche
questi elaborati in corso d’opera.
La spinta emersa, dalle difficoltà professionali degli operatori dell’accompagnamento, indica priorità e necessità.
Necessità di dare contenuto professionale alla qualità della relazione rifondandola sul gesto quotidiano.
Necessità di non essere esposti alle conseguenze della relazione di condivisione asimmetrica insita nel fare con
e nello stare con.
Necessità di opporre al pericolo della trasformazione della ripetitività del gesto in routine, la ritualità come
rappresentazione del suo valore intrinseco e materiale.
Necessità di definire i processi del lavoro quotidiano vedendone le implicazioni/correlazioni con il modello
della organizzazione del tempo e dello spazio lavoro.
Formazione alla cura e ricerca di senso
Un percorso di ricerca sul fare: da un fare inventato verso un fare professionale. Sviluppare una ricerca sul fare in
controtendenza con la difficoltà di avere spazi di pensiero su quello che si fa.
Il primo contributo formativo è con gli operatori della casa gestita in proprio dalla cooperativa, Villa Mainero. La formazione è avviata in piccoli gruppi che analizzano i gesti, le azioni concrete dell’agire quotidiano.
Contemporaneamente si indaga il contesto produ�ivo e organizzativo a�raverso interviste individuali agli
operatori sociali, agli operatori sanitari e ai responsabili del Torino Proge�o, al fine di far emergere le relazioni
con il mandato istituzionale in cui si opera.
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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I materiali elaborati sono restituiti dapprima ai gruppi di operatori in formazione e, a seguire, in situazioni
colle�ive. Il risultato determina la conoscenza dei processi di lavoro, facendone emergere luci e ombre e contemporaneamente una valorizzazione del prodo�o.
Gli operatori sono trasformati in ricercatori delle tracce che loro stessi producono.
Questo perme�e di prendere in considerazione i differenti aspe�i della produzione, nel rispe�o delle sensibilità sogge�ive e delle emozioni e, al contempo, di individuare i processi organizzativi e produ�ivi che vi sottostanno e a�raverso i quali si realizzano gli obie�ivi del programma. La restituzione agli operatori, di quanto
emerso dalla formazione, perme�e di trovare parole che rinviano all’analisi, e me�ere a fuoco la specificità del
prodo�o e la qualità rappresentandone luci e ombre.
I due aspe�i, il lavoro e la sua organizzazione, creano le condizioni per un’elaborazione della pratica, ma anche per la valorizzare sociale di una professionalità ancorata nel quotidiano e nei suoi gesti.
Dallo studio del prodo�o allo studio del servizio, anche per cogliere la differenziazione dei ruoli professionali
sanitari e sociali e delle loro interazioni. La ricerca/formazione avviata con gli operatori di Villa Mainero si
estende, in seguito, anche in altre situazioni lavorative della cooperativa: l’Associazione Primavera 85 a Grugliasco e il Centro di Appoggio Terapeutico di Torino. Organizzazioni complesse, abitate da diversi sogge�i e
quindi differenti ruoli e mandati che interagiscono nella produzione giornaliera.
È importante la ricerca di un modello, intendendo per modello un quadro di riferimento culturale di lavoro
sociale riconoscibile in cui inserire le pratiche inventate e individuarne percorsi di consolidamento; questo
perme�e di sostanziare nuove professionalità che le de costruzioni delle istituzioni totali finalmente consentono. La valorizzazione del lavoro di cura nei Servizi richiede di riconoscere quanto e come del lavoro familiare
trasformato in lavoro retribuito, necessiti di individuarne e modificarne i processi operativi.
Questi vanno definiti a�raverso analisi del quotidiano operare ma anche analisi dei bisogni sociali che la nuova
ci�adinanza comporta. Diversamente si è intrappolati in un dare senza confini insopportabile e senza qualità.
Necessità di curare chi cura
e a che fine, con quali strumenti,
a�raverso quali meccanismi di
integrazione e di coordinamento,
con quali azioni, rispe�o a quali
tempi e con quale verifica15.
Abbiamo lavorato su materiali
portati dagli operatori stessi,
quindi non su schemi
o su materiali provenienti
dall’esterno, ma a partire
da resoconti,
da racconti, da pezzi di dire
di sé, del sé lavorativo all’interno
di un contesto organizzato.
… una restituzione quali
obie�ivi può avere?
Può avere l’obie�ivo
di valorizzare ciò che è stato
portato come materiale a�raverso
una elaborazione in modo
che l’esperienza operativa
possa diventare una forma
dell’imparare, una fonte
di conoscenza.
Possa trasferirsi da un fare
concreto reale quotidiano
ad un sapere che informa
di nuovo il fare de giorno
successivo16.
Curare chi cura, riconoscendo quello che viene ignorato: che chi cura è sempre un sogge�o bisognoso di cura.
La formazione in Cooperativa in quegli anni è un vero e proprio se�ing colle�ivo di cura.
Cura di chi cura, cura dei processi necessari a creare organizzazione favorevole alla cura: quindi organizzazione degli spazi e organizzazione del lavoro.
Formarsi sul lavoro è lavoro, è fatica.
Conoscere quello che si fa comporta dolore, per la necessità di scandagliare le situazioni in cui si è immersi, il
proprio modo di stare, i sentimenti che si me�ono in gioco e, nel caso del lavoro di cura, anche una dimensione
affe�iva che rischia sempre di essere rinviata alle proprie esperienze anche di vita familiare.
Grazia Colombo è una formatrice che conosce la sapienza e le trappole insite in un modello che è praticato essenzialmente all’interno dei rapporti privati, contaminato dal materno. Il percorso è stato utile per disancorare dal
materno, senza rinunciare alla relazione, anzi per fondare professionalmente una relazione che si svolge nell’am101
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
[…] lo osservo con i nuovi
operatori del Mainero,
sopra�u�o i giovani,
a partire da relazioni simbiotiche
madri e figli;
molte delle loro difficoltà
psicologiche non sono solo legate
a questa relazione simbiotica,
ma anche a quanto è passato
di presa in carico di queste
persone da parte delle loro madri
e quanto di dipendenza questo
ha generato19.
La pratica della riabilitazione
se non vuole ridursi a mera
trasmissione di una serie
di abilità più o meno circoscri�e,
meccanicamente acquisite
e utilizzate e,
quindi in quanto tale,
a produrre una acquisizione
“sovra- stru�urale”,
cioè largamente ininfluente
sulla “mente” del riabilitando,
deve necessariamente
far riferimento a schemi
cognitivi, motivazioni e autorappresentazioni dello stesso.
E’ chiaro che in questo modo,
ciò che risulta rilevante è che
il malato “faccia sua” l’abilità,
ovvero che l’abilità stessa non sia
solo meccanicamente riprodo�a,
ma acquisti un senso all’interno
della globalità della personalità,
nei termini di una modificazione/
ristru�urazione della percezione
di sé stessi, come aventi il potere
di fare o di non fare21.
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bito del quotidiano. È stato necessario riportare nel pubblico e nella professione, una sapienza antica che se non
rifle�uta e analizzata è acriticamente giocata nell’ambito lavorativo in quei se�ori dove sono privilegiate le donne.
Elaborare questa sapienza e la sua politecnia, così come la definisce Annalisa Marinelli17, richiede di sganciare
la cura dal materno e quindi dal femminile. Percorso necessario per dare agli operatori, donne e uomini, una dimensione professionale innovativa. Alcuni documenti di Archivi Sociali ci dicono che i sentimenti degli operatori
sono analoghi a quelli di una madre verso la propria famiglia non solo so�o l’aspe�o materiale ma anche emozionale… Oltre
a ciò il contrasto è ancora più forte perché spesso gli operatori selezionati sono giovani, una fascia generazionale in cui viene
messa in discussione la stru�ura familiare18…
Del resto anche le difficoltà delle persone a cui è proposto di superare le proprie inadeguatezze per far ritorno
ad una vita il più possibile autonomamente organizzata, si scontrano con i propri modelli familiari, i confli�i
antecedenti al ricovero e i fallimenti affe�ivi.
Penso che elemento qualificante della loro professionalità sia la coscienza di sé,
non tanto nel senso in cui ne parlano psicologi e terapeuti, e cioè che per tra�are disturbi di un altro
occorre conoscere i propri, sapere come si reagisce alle emozioni… C’è un a pe�o più fondante della coscienza di sé che
riguarda il proprio ruolo istituzionale20.
Dare dignità professionale al quotidiano e ai gesti, quindi curare la propria presenza nelle relazioni con quadri
certi, è il terreno da esplorare per assumere la dimensione relazionale dell’operatore d’appoggio.
Il percorso della scri�ura nei materiali di Archivi Sociali mi fa incontrare il contributo positivo della psicologia
cognitiva al fine di definire le cara�eristiche della professionalità che si andava inventando.
Un apporto che ha permesso di leggere positivamente, da parte degli operatori, il disagio, le resistenze e le difficoltà delle persone con cui si relazionavano nella vita quotidiana.
Formazione alla relazione con l’utente
È stato molto importante il contributo di P. Henry e l’a�raversamento di un tirocinio di un allievo di C. Castelfranchi,
E. Montorfano che, condividendo la pratica quotidiana degli operatori, ha aiutato a porre in una relazione professionale gli obie�ivi alti valoriali del proge�o con la pratica quotidiana. Questo approccio perme�e di collocare la
deprivazione sociale come terreno in cui incuneare la relazione di aiuto, definirne le relazioni tra i sogge�i, sostenere
la responsabilità dell’operatore investito socialmente da un rapporto tutorio di accompagnamento dell’azione. Il tema
del potere/dei poteri e della responsabilità si intrecciano in entrambi i contraenti il rapporto. La libertà di fare si intreccia con la capacità ma anche con le opportunità sociali di acquisizione di diri�i che l’operatore e il sogge�o sociale
cooperativa offrono e creano. L’individualità è sostenuta non nella relazione, ma nel proge�o che costituisce quadro
e orizzonte anche quando è indefinito e difficile. L’organizzazione garantisce sistemi normativi nei quali s’inserisce la
relazione dell’accompagnamento: gli orari, le regole della gestione dei soldi, le relazioni tra gli ospiti, il fare e disfare
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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gli spazi, con a�enzione alle piccole cose. Nel mentre costituisce, per chi vi abita, la palestra della ri acquisizione delle
abilità, insieme al riconoscimento dei diri�i e dei bisogni, le modulazioni delle differenze, le marce indietro, le fermate.
Un contributo articolato tra una cultura organizzativa e la professionalità dell’accompagnamento personalizzato. La
cultura organizzativa perme�e di gestire il processo della cura nei suoi differenti aspe�i e in modo trasparente e condiviso, gli appuntamenti, gli impegni, le norme, l’a�enzione ai micro contesti, gli scambi. L’accompagnamento individualizzato comporta la riflessione sulle norme, il riconoscimento dei punti deboli, ma anche la prospe�iva individuale
del possibile cambiamento, l’ascolto e la ricostruzione dei bisogni, l’individuazione degli scopi, la gestione del difficile
rapporto tra dipendenza e autonomia, la cooperazione e la confli�ualità.
I gesti della cura appartengono al corpo, così come nel loro svolgersi incontrano altri corpi.
Sono molti i gesti raccontati in Archivi Sociali che rinviano alla dimensione corporea.
Sono gesti di rassicurazione che vengono spontanei, gesti scelti con oculatezza, gesti di contenimento; improvvisi
abbracci, gesti che non sempre corrispondono, anche gesti con corpi che non si vorrebbero toccare, gesti confli�uali,
gesti amicali o di autodifesa.
Rinviano a rappresentazioni inscri�e nella propria intimità; fanno emergere paure, desiderio di allontanamento; con facilità
stimolano sentimenti di difesa e/o di tutela.
Scoprire nella normalità dei gesti corporei la fatica e il disagio così come nello sguardo altrui la rappresentazione dei corpi inscri�a nella cultura di tu�i, spinge un gruppo di operatori (era un caso che fossero operatrici?) che ancora operavano nei reparti dell’Ospedale Psichiatrico e nelle comunità ospiti dell’area socio sanitaria, a proporre una a�ività di ginnastica dolce.
Il linguaggio della relazione da corpo a corpo
Incontrando, nei reparti dell’Ospedale Psichiatrico, donne che rivendicano una vita normale (casa, lavoro, relazioni) si incontrano corpi irrigiditi, sformati, che non corrispondono allo spirito di queste donne, anzi impediscono loro di assumere la fatica dei movimenti della vita quotidiana (salire su un tram, a�raversare una
strada…), confrontarsi con lo sguardo altrui, misurarsi con i giudizi di questi sguardi.
La scelta di un’a�ività corporea scelta è presentata come anche come condivisione. La vita in comune, il lavoro nelle stanze della cura, le a�ività di ginnastica dolce contribuiscono a stimolare la riflessione sui gesti e
la loro so�esa complessità. Da qui sorge l’esigenza di cercare degli strumenti di formazione che perme�ono
di acquisire maggiore presenza a sé stessi nella quotidianità, sopra�u�o, quando non ci si può so�rarre alla
dimensione corporea nella relazione: aiutare a lavarsi, a uscire dal le�o in cui ci si rintana, a nutrirsi, quando
è difficile. Sarà Cole�e David, esperta in massaggio metamorfico, formata all’eutonia e all’armonizzazione
sensibile, a fare da maestra, per un lungo tempo.
Perché chiamarla formazione
Lo sviluppo di competenze nelle professionalità della cura si accompagna con lo sviluppo della consapevolezza. Presenza a sé, al proprio mondo interiore, consapevolezza dei propri limiti per stru�urare relazioni di au103
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
Un tempo per interrogarsi,
sperimentare, per capire e poter
esprimere quello che si sentiva,
ma perciò non si trovavano
le parole.
La ginnastica dolce è stata
la proposta più conveniente
e più convincente;
conveniente perché perme�eva
di agire tra utenti e operatrici
dei gesti che partivano da come
si era e lo si misurava su di sé.
Non era richiesto uno sforzo
muscolare, erano facili,
riportavano alle proprie
sensazioni.
Queste, rivissute in un
tempo diverso da quello del
fare, facevano intravedere il
linguaggio del corpo, uguale
e differente per ognuna. Tu�o
questo creava una nuova
comunicazione, apriva un
terreno comune, anche se le vite
erano diverse e i rapporti interni
al gruppo non paritari22.
Il massaggio metamorfico
è un lieve conta�o con le parti
più esposte della persona
(testa, mani piedi) rispe�oso
delle difese e dei limiti dell’altro.
Esso non ha l’obie�ivo di curare
traumi né a livello fisico
né a livello mentale.
Il lavoro del massaggiatore
è “semplicemente”
quello di far sentire la sua
presenza in quel momento senza
avere la presunzione di sapere
ciò che è bene per l’altro perché
secondo la teoria metamorfica
è il massaggiato stesso
104
todifesa professionali comprensibili anche alle persone con cui si lavora. Assumere il ruolo, praticarlo e agirlo
in modo non autoritario. Questa a�ività di formazione ha coinvolto in alcuni stage anche gruppi di utenti, in
particolare quelli che più assiduamente partecipano alle a�ività delle stanze della cura, ma non solo. L’esperienza dello scambio e della sua reciprocità fa�a in un contesto guidato e con le modalità narrate, ha portato gli
operatori a fare la richiesta di sperimentare anche momenti di stage tra operatori e utenti. Per quest’esperienza
è stato scelto lo spazio del Mainero anche per ricercare una contaminazione tra un tempo lavoro su di sé, per
il rilassamento e la dimensione della presenza, da coniugare con il tempo del lavoro, della risposta efficiente,
tempestiva e anche, molte volte emergenziale.
I contesti formativi
Per svelare la formazione come rigenerazione è stato necessario dedicarvi molta cura per organizzare processi di valutazione condivisi e anche a�enzione agli spazi in cui consentire un apprendimento riflessivo.
Molti e diversi sono stati gli ambiti formativi. Le riunioni di formazione con gli esperti, organizzati intorno
al fare, in tempi lavoro organizzati con agio. Particolari investimenti sono stati dedicati a momenti di lavoro
residenziale: uscire dai propri contesti, lasciare l’ordinario lavoro, ma anche la casa, i doveri, gli amici e
condividere momenti di studio organizzati in luoghi belli, a conta�o con la natura, darsi del tempo e prendersi del tempo, rivedere le relazioni tra operatori al di fuori delle regole lavorative. Agio per rifle�ere e
accogliere anche i contributi in modo più libero e distensivo. A corollario di questa narrazione e per meglio
rappresentare quest’aspe�o formativo, ci è utile una sintesi, fru�o di riflessione colle�iva degli operatori:
Perché questo lavoro di formazione. Si lavora con persone sensibili che esigono di coltivare la nostra sensibilità, anche
quella corporea e sopra�u�o la dimensione della nostra “presenza” nell’accompagnamento di persone in difficoltà. È un
lavoro che non si può fare da distra�i. Si lavora con corpi bloccati in cui è iscri�o uno stigma: questo comporta la presa
d’a�o, l’assunzione della dimensione corporea. Si lavora con gesti non preformati che rimandano ai gesti della nostra
quotidiana presa in carico dei nostri bisogni di cura e che richiedono una comunicazione in cui assume importanza la
dimensione corporea (toccare, lavare, sorreggere). Il lavoro riabilitativo richiede molto al corpo degli utenti: diversa
concezione del tempo (tempo personale e tempo sociale), difficoltà nei movimenti, portare in giro dei corpi in cui sono
evidenti i segni della psichiatrizzazione istituzionalizzazione, psicofarmaci…). Il lavoro sul proprio corpo (sensazioni,
emozioni) è uno strumento per scoprirne il linguaggio;queste perme�e un altro punto di vista, meno scontato, sui
gesti del proprio agire quotidiano. Nello stage il gesto è vissuto in una dimensione tempo/spazio favorevole. Il tempo
rallentato dell’esperienza guidata perme�e di far scorrere il gesto, assumerlo, analizzarlo con le proprie sensazioni, provarlo, sperimentarlo. Nello stage i gesti sono scambiati in un lavoro a due: questo perme�e di vivere il dare e il ricevere
della comunicazione e quindi conoscere, percependo, le diversità che intercorrono tra una relazione non spontanea,
non affe�iva, anzi casualmente costruita. Le sensazioni corporee, le emozioni e la comunicazione avvengono in una
situazione colle�iva stru�urata che ne condiziona la qualità. Il valore della comunicazione dipende da questo contesto
e dalla qualità del gesto offerto/ricevuto. In questo offrire e dare si è guidati dalla consapevolezza di quanto accade, con
riferimento ad uno spazio definito, in un tempo misurato23.
Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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I primi maestri dell’agire sociale sono state le persone che hanno voluto aprire le porte del manicomio per trovare
una propria strada di libertà e le persone che, utenti della psichiatria territoriale, sono stati fondatori delle associazioni di operatori e utenti.
Proverò a so�olineare la valenza che hanno rappresentato come contesto formativo per gli operatori.
I colle�ivi operatori e utenti
Molto è già stato de�o su questo aspe�o.
Verificare insieme le dinamiche della vita quotidiana costituisce apprendimento e consente anche valutazione dei
processi, porta a�enzione ai risultati, e sopra�u�o alle ricadute dei propri a�eggiamenti e comportamenti. L’asimmetria di potere e di responsabilità della relazione operatore-utente richiede per essere gestita, di nominare le questioni che emergono, di riportare i nodi, sempre complessi del confronto, agli obie�ivi che si devono raggiungere.
Poterlo fare in salo�o intorno ad un the, a cui ognuno liberamente sceglie di partecipare si è rivelata una grande
occasione formativa. Si apprende a lavorare. Tu�o questo è ben narrato nelle tante registrazioni dei dire�ivi delle
associazioni di utenti ed operatori da dove emerge che, poter proge�are in comune azioni sui diri�i, perme�e agli
operatori di collocare le proprie azioni e la propria visione delle cose nell’orizzonte strategico della difficile ci�adinanza. Se ne ricava un senso di appartenenza alla cooperativa in quanto si concretizzano punti importanti della
propria mission. In questi contesti gli utenti esprimono le loro competenze insieme alle loro sofferenze e difficoltà.
In questo modo si può conservare il senso del proprio agire e misurarsi con gli utenti come persone in cammino che
traducono la realtà della mala�ia nella vita e sul territorio in azioni di comunicazione sociale.
Altri a�raversamenti formativi
I più importanti sono stati nati dalla collaborazione con l’Università di Torino, Facoltà di Psicologia che ha offerto di essere luogo per le Esperienze Pratiche Guidate dei propri studenti, coordinate dai prof. Agostino Pirella,
Paolo Henry e Cesare Kaneklin.
Un momento importante di questo percorso di collaborazione è stato il seminario congiunto Sapere e Saper fare
con un significativo so�otitolo “Apprendere dalla esperienza: il sociale tra saperi specialistici e psicologia della
riabilitazione quotidiana” tenutosi a Torino il 26 o�obre 1993, in collaborazione con l’Università di Torino,
corso di laurea in psicologia.
Nella pubblicazione degli A�i del Seminario25 si rintracciano gli elementi salienti che cara�erizzano l’iniziativa. L’intento è creare un’occasione in cui dalla pratica di lavoro che una cooperativa sociale me�e in a�o con
utenti dei servizi psichiatrici, si possano affrontare alcuni nodi.
La riabilitazione: ripristino di abilità? Restituzione di poteri?
Processi di appropriazione di diri�i affermati ma difficili da agire?
Cooperativa sociale e stato di ci�adinanza: essere impresa colle�iva rende possibile creare opportunità individuali e condizioni sociali per l’esercizio dei diri�i? Quale fare ne deriva?
che da questo conta�o prende
ciò che gli serve.
Il corpo ha una sua saggezza.
Imparare questa tecnica è stato
quindi per gli operatori solo una
scusa concreta per poter lavorare
sulle proprie modalità di me�ersi
in rapporto con il massaggiato
che, facendo una trasposizione,
diventa l’utente di cui ci si
occupa tu�i i giorni24.
… non per imparare
una tecnica terapeutica,
ma per usare un’esperienza
di relazione con il proprio corpo
a�raverso la quale formarsi
alla conoscenza del linguaggio
corporeo.
Scoperta delle proprie sensazioni,
delle proprie emozioni,
della propria distanza
e della propria presenza.
La presenza a sé e la percezione
di questa presenza è stato
sicuramente uno degli obie�ivi/
risultati a cui si è teso.
Cole�e è una persona adulta,
presente a sé ed agli altri,
disponibile ad acce�are le
differenze, anche quelle degli
utenti più rilu�anti
e a mantenere le sue proposte
senza imporle.
Lascia agli altri la responsabilità
e il tempo per murarvisi.
In sostanza si può avere la
disponibilità o no, il bisogno di
rispondere o no, si possono porre
i propri limiti e disporre delle
proprie energie.
Questa modalità del dare rende
esplicita una modalità che non
è facile a comprendere senza
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Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
sperimentare e dà la dimensione
dell’accompagnamento, parola
chiave per l’operatore di
appoggio26.
Sperimentare
una duplice relazione,
dare e ricevere un gesto
in un gioco delle parti che
allargasse la conoscenza
del linguaggio corporeo27.
Formazione: su questa pratica e su questo fare è necessario avere spazi di pensiero per a�ribuire senso a ciò che
si fa e per e rendere visibile il come si fa. Questo può condurre da un fare inventato ad un fare professionale?
Nuove povertà e disagio sociale: mancanza di o processo esistenziale che determina la perdita di risorse e una
condizione di ro�ura?
Università e territorio: le esperienze pratiche guidate. Le teorie devono colonizzare le pratiche? Oppure creare
tensione tra pratiche e sapere teorico?
Accanto al seminario si costruisce anche un palcoscenico al Teatro Juvarra di Torino.
Costruire un’esperienza che
riporti al proprio corpo e ai
propri limiti, per assumerlo,
non ignorarlo, occuparsene,
“curarlo”.
Il massaggio è uno strumento
che implica due persone e che
comporta un lavoro su di sé
anche a�raverso il lavoro che
si fa ad altro/a in un contesto
costruito e guidato28.
Invito allo spettacolo di marionette Il viaggio: che differenza c’è tra te e me? Teatro Juvarra, 23 ottobre 1993.
.
Si va in scena
Le persone con cui lavoriamo non sono per noi sogge�i destinatari di prestazioni volte a intervenire su mancanze e
difficoltà. Sono interlocutori che a partire dal proprio disagio e dalla loro sofferenza, e dal loro volersi esprimere e rappresentarsi nonostante questo, danno un apporto fondamentale alla definizione della nostra pratica come pratica sociale. Le
situazioni colle�ive, gli spazi, i luoghi, sono intrecci operativi, spazi ulteriori per le persone, spazi ulteriori per gli operatori, quindi terreni di lavoro e scambio tra operatori e utenti in cui si produce e si sviluppa rappresentazione individuale
e colle�iva29.
L’operatore è pagato e ha un ruolo sociale; quale è il ruolo sociale dell’utente psichiatrico? Il rischio che di fronte alle
difficoltà ci si limiti a pensare che l’operatore quando sbaglia fa un errore professionale e che l’utente quando sbaglia stia
male crea una contraddizione che a�raversa tu�o il percorso, arricchisce la riflessione, crea momenti di tensione, ma anche
definisce la qualità della relazione30.
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Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
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Essere osservati e colti nei nostri contesti operativi, non tanto nella relazione operatore – utente, quanto a partire dalla
finalizzazione di questa relazione agli obie�ivi che ci poniamo, può essere per noi una preziosa le�ura, un prezioso supporto alla nostra ricerca.
L’essere stati a�raversati nella nostra realtà da un folto numero di studenti è stato ed è per noi un significativo riconoscimento del nostro lavoro che comporta certo a�enzione e tempo da cui noi vorremmo trarre spunti di riflessione su vari
livelli e situazioni in cui poter “pensare sopra” la pratica per poter “produrre esperienza31.
Si vuole comunque dare dignità a questa sofferenza… senza che venga ingigantita o resa spaventosa dall’indifferenza e dalla
incomprensione. Emerge la necessità di trasportare la nostra realtà all’esterno, di renderla comprensibile, meno spaventosa,
più umana. Cercando così un ponte tra il sofferente psichiatrico e la società32.
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Tratto dal libro "a cura di. Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale", Battaglino M.T. - Cappelli C., Cartman, Torino 2008
Note
1 Ipazia (a cura di) 1997.
2 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 2201.02T.
3 Molinatto 1999a, pp. 86-88.
4 Marinelli 2002.
5 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.02T.
6 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.02T.
7 Balbo 1987.
8 Fo. Res - s.n.c di M.T. Battaglino e S. Maggiora.
9 Studio APS - Analisi Psicosociologica, di Milano, impresa nel campo della formazione, della ricerca e della consulenza “per trattare i problemi del
funzionamento delle organizzazioni di lavoro e in particolare per affrontare le difficoltà di comunicazione e interazione tra persone e gruppi che
condizionano la produzione e lo sviluppo” (http://www.studioaps.it).
10 Presentazione alla collana Quaderni di Psicologia, Giuffrè Editore (http:
//www.giuffre.it/).
11 Cristiano Castelfranchi oggi è direttore dell’ISTC (Institute of Cognitive
Sciences and Technologies), con sede a Roma e Padova (http://www.istc.
cnr.it/createhtml.php?nbr=62).
12 Nicola Negri è professore straordinario nel settore scientifico disciplinare “Sociologia dei processi economici e del lavoro” presso la Facoltà
di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Ha svolto numerose ricerche, soprattutto nell’ambito torinese, nel campo delle problematiche
della mobilità sociale, della povertà ed esclusione, nonché delle politiche sociali, con particolare riferimento a quelle assistenziali (http://
www.dss.unito.it/persone/membriindex.html).
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13 Amartya Sen è rettore al Trinity College di Cambridge, ha insegnato a Nuova Dehli, alla London School of Economics, a Oxford
e Harvard; gli è stato conferito il Premio Nobel per l’economia nel
1998. Si propone di porre al centro della propria riflessione la discussione sulla disuguaglianza. (http: //www.filosofico.net/amartyasen.htm).
14 Cooperativa Sociale Progetto Muret 1995.
15 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0804.07T.
16 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0803.03T.
17 Marinelli 2002.
18 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.02T.
19 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.02T.
20 Molinatto 1999a.
21 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0301.110T.
22 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0801.13T.
23 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0801.13T.
24 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.15T.
25 Cooperativa Sociale Progetto Muret 1995.
26 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0801.13T.
27 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.15T.
28 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 1901.15T.
29 Cooperativa Sociale Progetto Muret 1995.
30 Cooperativa Sociale Progetto Muret 1995.
31 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0801.07T.
32 Inedito in “Archivi Sociali”, C.S.P.M., codice 0801.174T.