GIUSEPPE UNGARETTI (1888 – 1970) «Non so se sono stato un

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GIUSEPPE UNGARETTI (1888 – 1970) «Non so se sono stato un
Classe V L – Liceo Linguistico “Ven. A. Luzzago”
GIUSEPPE UNGARETTI (1888 – 1970)
«Non so se sono stato un vero poeta, ma so di essere stato un uomo, perché ho molto amato e molto sofferto, ho molto errato
e ho saputo quando potevo, riconoscere il mio errore, ma non ho odiato mai. Ed un uomo è questo che deve fare, molto
amare, molto soffrire, errare e riconoscere – se può – il proprio errore, ma non odiare mai!»
G. Ungaretti, da un discorso in occasione
del suo ottantesimo compleanno
■ LA POETICA
«Se il carattere dell’Ottocento era quello di stabilire legami a furia di rotaie e di ponti e di pali e di carbone
e di fumo – il poeta d’oggi cercherà dunque di mettere a contatto immagini lontane, senza fili. Dalla
memoria all’innocenza, quale lontananza da varcare; ma in un baleno».
G. Ungaretti, Ragione d’una poesia
«…spezzare il metro significava, per Ungaretti, isolare la parola, la sillaba meglio, lasciarla vibrare – come
straniata dal suo logoro uso quotidiano – nel vuoto metrico, nello iato della distassia1, come se fosse
pronunciata per la prima volta, come se tornasse, secondo la lezione di Mallarmé nei Mots Anglais2,
giacimento fossile, “scavo” nel significante sino al “porto sepolto” di una lingua primigenia,
incontaminata. Di lì soltanto la “meraviglia” dell’inaudito […]».
C. Ossola, Introduzione, in G. Ungaretti, Il porto sepolto (1981)
■ DUE POESIE
Fratelli
(da Il porto sepolto, poi in L’Allegria – 1914-19)
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Mariano, 15 luglio 1916
Nello iato della distassia: nella frattura dei versi non accorpati.
Mallarmé fu, oltre che straordinario poeta simbolista, anche professore di inglese e scrisse libri per le scuole, tra cui Les Mots
Anglais. Petite phylologie à l’usage des classes et du monde.
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Classe V L – Liceo Linguistico “Ven. A. Luzzago”
Gridasti, soffoco
(in Un grido e paesaggi, 1939-1952)
Giuseppe Ungaretti questa poesia l'aveva già scritta in Brasile, a caldo subito dopo la morte del figlio Antonietto –
avvenuta nel 1939, quando il figlio aveva solo nove anni – ma non l'aveva mai pubblicata. Poi questa drammatica
esperienza volle metterla a disposizione degli altri (che è addirittura il tema iniziale del Porto sepolto del 1916) e decise
quindi di pubblicarla.
Non potevi dormire, non dormivi...
Gridasti: Soffoco...
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
Gli occhi, che erano ancora luminosi
Solo un attimo fa,
Gli occhi si dilatarono... Si persero...
Sempre era stato timido,
Ribelle, torbido; ma puro, libero,
Felice rinascevo nel tuo sguardo...
Poi la bocca, la bocca
Che una volta pareva, lungo i giorni,
Lampo di grazia e gioia,
La bocca si contorse in lotta muta...
Un bimbo è morto...
Nove anni, chiuso cerchio,
Nove anni cui nè giorni, nè minuti
Mai più s'aggregeranno:
In essi s'alimenta
L'unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti,
Posso andare, continuamente vado
A rivederti crescere
Da un punto all'altro
Dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso,
Distintamente posso
Sentirti le mani nelle mie mani:
Le mani tue di pargolo
Che afferrano le mie senza conoscerle;
Le tue mani che si fanno sensibili,
Sempre più consapevoli
Abbandonandosi nelle mie mani;
Le tue mani che si fanno sensibili,
Sempre più consapevoli
Abbandonandosi nelle mie mani;
Le tue mani che diventano secche
E, sole - pallidissime Sole nell'ombra sostano...
La settimana scorsa eri fiorente..
Ti vado a prendere il vestito a casa,
Poi nella cassa ti verranno a chiudere
Per sempre. No, per sempre
Sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi
Che non sapesse il tuo sorriso vivo:
Provala ancora, accrescile la forza,
Se vuoi - sino a te, caro! - che m'innalzi
Dove il vivere è calma, è senza morte.
Sconto, sopravvivendoti, l'orrore
Degli anni che t'usurpo,
E che ai tuoi anni aggiungo,
Demente di rimorso,
Come se, ancora tra di noi mortale,
Tu continuassi a crescere;
Ma cresce solo, vuota,
La mia vecchiaia odiosa...
Come ora, era di notte,
E mi davi la mano, fine mano...
Spaventato tra me e me m'ascoltavo:
E' troppo azzurro questo cielo australe,
Troppi astri lo gremiscono,
Troppi e, per noi, non uno familiare...
(Cielo sordo, che scende senza un soffio,
Sordo che udrò continuamente opprimere
Mani tese a scansarlo...)