Concorso Allievi Marescialli Guardia di Finanza

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Concorso Allievi Marescialli Guardia di Finanza
Allievo maresciallo della G.d.F.
Concorso Allievo Maresciallo
Guardia di Finanza
Appunti per la prova preliminare
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Morfologia
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Morfologia
Capitolo 1°
Morfologia
1.1. Parti variabili del discorso.
1.1.1. Sostantivo.
Il s o s t a n t i v o è la parte variabile del discorso che indica una persona, un luogo, una cosa
o, più in generale, qualsiasi entità animata, inanimata o pensata.
I sostantivi sono anche detti nom i , anche se il primo termine viene preferito in ambito
linguistico per il suo significato maggiormente pregnante: significa infatti provvisto di una
propria sostanza, di una realtà di cui possiamo parlare, sia essa tangibile, sotto i nostri occhi
(tavolo), sia che esista solo nella nostra mente (virtù).
I nomi, insieme ai verbi sono gli elementi primari di una lingua e costituiscono il pilastro
su cui la frase si costruisce.
1.1.1.1. Che cos’è il
nome e quali funzioni svolge.
Il nome (dal latino nomen = “denominazione”) o sostantivo (dal latino substantivum =
substantia = “sostanza, ciò che esiste”) è quella parte variabile del discorso che serve a
indicare persone, animali, cose, idee, concetti, stati d’animo, azioni e fatti. In una parola tutto
ciò che esiste nella realtà o che possiamo immaginare. I nomi svolgono due funzioni
estremamente importanti:
 permettono di indicare tutti gli aspetti della realtà;
 sono, insieme ai verbi, i pilastri su cui la frase viene costruita.
1.1.1.2. Analisi
linguistica.
Analizzati in base alle loro caratteristiche semantiche, morfologiche e in base alla
formazione di nuove parole (neologismi).
1.1.1.2.1. Nomi
comuni e nomi propri
I n o m i c o m u n i indicano persone, animali, cose, luoghi, in modo generico come
appartenenti a una classe; il nome libro può indicare uno qualsiasi dei possibili libri esistenti,
se non viene a esso aggiunto qualche maggiore elemento di identificazione:
 il mio libro
 il libro di matematica che ho lasciato sul tavolo
I nomi propri, invece, sono nomi o cognomi di persone, appellativi geografici, storici,
letterari, culturali e sociali; indicano non ciò che è generico ma ciò che è individuale, non la
classe ma l’elemento singolo, e questa singolarità viene evidenziata tramite l’uso della lettera
maiuscola:
 Parigi
 Puglia
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1.1.1.2.2. Nomi
Morfologia
concreti e nomi astratti
I n o m i c o n c r e t i sono quei nomi che si utilizzano per indicare elementi tangibili come :
 ragazza, sedia, profumo,superficie, casa, albero, ospedale...
I n o m i a s t r a t t i sono quei nomi che esprimono elementi intangibili come:
 bontà, bellezza, male, paura, fragore, fede, giustizia...
1.1.1.2.3. Nomi
individuali e nomi collettivi
Il n o m e i n d i v i d u a l e designa un’entità singola che può essere una persona, un animale,
una cosa o un concetto, indicandola con il nome proprio o con il nome comune della classe a
cui questo appartiene. Questa categoria comprende la maggior parte dei nomi:
 Luisa, donna, lupo, tazza, virtù...
Per indicare una pluralità di individui, questi nomi devono essere usati al plurale.
Il n o m e c o l l e t t i v o , invece, pur essendo al singolare designa gruppi o insiemi di persone
(folla), cose (fogliame) o animali (mandria). Quando il nome collettivo è in funzione di
soggetto, il verbo di solito va al singolare; si potrebbe considerare corretto l’uso del plurale
nel solo caso in cui il nome collettivo sia seguito da un complemento di specificazione:
 Uno stormo di uccelli volava/volavano nel cielo.
1.1.1.2.4. Nomi
numerabili e nomi non numerabili
Si dicono n u m e r a b i l i le cose che si possono contare:
 un libro, dieci libri...
Si dicono n o n n u m e r a b i l i i nomi che indicano quantità indistinte di una certa sostanza
(acqua, miele...); questa quantità indistinta infatti non può essere contata: in genere non
possiamo dire un’acqua, due acque, ecc. I nomi non numerabili richiedono, per indicare una
quantità, l’articolo partitivo o una locuzione:
 Maria ha chiesto del sale
 Maria ha chiesto un po’ di sale
Spesso, sono presenti entrambe le accezioni in uno stesso nome:
 Prendo del caffè (non numerabile)
 Prendo due caffè (numerabile)
1.1.1.3. Nomi
difettivi
Si dicono n o m i d i f e t t i v i quei sostantivi usati solo al singolare o solo al plurale.
Ad esempio, hanno solo la forma singolare:








nomi di mesi o festività: aprile, maggio, Pasqua
nomi di malattie: la varicella, l’Alzheimer, la peste
elementi chimici o metalli: l’idrogeno, l’uranio, il rame
nomi di alimenti: l’orzo, il latte, il grano
nomi astratti: la pazienza, la costanza, il coraggio
nomi collettivi: il fogliame, la prole
nomi di elementi unici: il sud, l’occidente, l’equatore
nomi di sensazioni fisiche: la sete, la fame, il sonno
Esempi di nomi difettivi solo plurali sono: le congratulazioni, le nozze, le ferie.
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1.1.1.4. Nomi
Morfologia
sovrabbondanti
I n o m i s o v r a b b o n d a n t i sono quelli che presentano:
 due singolari e un plurale (per es. singolari arma / arme, plurale armi; singolari
nocchiero / nocchiere plurale nocchieri; singolari scudiero / scudiere, plurale
scudieri)
 un singolare e due plurali (per es. singolare braccio, plurale bracci / braccia;
singolare corno, plurali corni / corna; singolare filo , plurali fili / fila)
 due singolari e due plurali (per es. singolari orecchio / orecchia, plurali orecchi /
orecchie)
La seconda categoria è molto importante perché le due forme del plurale hanno spesso un
significato diverso: le due forme non sono interscambiabili in tutti i contesti. In genere una
delle due viene utilizzata maggiormente per indicare un oggetto concreto, l’altra viene
prediletta per il senso figurato (per es. i gesti / le gesta).
Quasi tutti i nomi di questo tipo derivano da sostantivi neutri della seconda declinazione
latina.
1.1.1.5. Nomi
invariabili
Si dicono i n v a r i a b i l i o i n d e c l i n a b i l i i sostantivi che mantengono la stessa desinenza
sia al singolare sia al plurale (modificano soltanto l’articolo che li precede).
Ecco alcuni esempi:
I nomi che terminano con la vocale accentata
Singolare
Plurale
età
età
caffè
caffè
città
città
virtù
virtù
I nomi che terminano con la vocale “i”
Singolare
Plurale
analisi
analisi
brindisi
brindisi
crisi
crisi
ipotesi
ipotesi
metropoli
metropoli
oasi
oasi
sintesi
sintesi
tesi
tesi
Alcuni nomi maschili che terminano con la
vocale “a”
Singolare
Plurale
boia
boia
cinema
cinema
cobra
cobra
gorilla
gorilla
vaglia
vaglia
Alcuni nomi femminili che terminano con la
vocale “o”
Singolare
Plurale
auto
auto
dinamo
dinamo
foto
foto
radio
radio
Alcuni nomi che terminano con il dittongo “ie”
Singolare
Plurale
serie
serie
specie
specie
Le parole di origine straniera e i nomi che
terminano con consonante
Singolare
Plurale
autobus
autobus
bar
bar
bazar
bazar
film
film
gas
gas
goal
goal
sport
sport
Alcuni nomi composti da una sola sillaba
Singolare
Plurale
gru
gru
re
re
sci
sci
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1.1.1.6. Derivazione.
La d e r i v a z i o n e in linguistica è il processo per cui una nuova parola si forma a partire da
un’altra parola mediante un meccanismo di formazione che ne cambia il significato; il
meccanismo di derivazione più comune è l’aggiunta di un affisso.
Una parola ottenuta per derivazione si definisce d e r i v a t a .
1.1.1.6.1. Meccanismi
di derivazione
1.1.1.6.1.1. Affissazione
La derivazione per a f f i s s a z i o n e raggruppa diversi processi a seconda del tipo di affisso
che viene aggiunto alla parola di base:
 La p r e f i s s a z i o n e aggiunge l’affisso all’inizio della parola, cioè un prefisso (ad
esempio “pregiudizio” da “giudizio”); in questo caso la categoria grammaticale della
parola rimane la stessa (cioè da un sostantivo si crea un altro sostantivo, ecc).
 La s u f f i s s a z i o n e aggiunge l’affisso alla fine della parola, cioè un suffisso, che
può essere:
o un suffisso nominale, che genera un nome (ad esempio “tristezza” da “triste”);
o un suffisso aggettivale, che genera un aggettivo (ad esempio “normale” da
“norma”);
o un suffisso verbale, che genera un verbo (ad esempio “profetizzare” da
“profeta”);
o un suffisso avverbiale, che genera un avverbio (ad esempio “perfettamente” da
“perfetto”);
anche in questo caso la categoria grammaticale può rimanere la stessa, ma può anche
variare come abbiamo appena visto: si parla allora di transcategorizzazione.
 L’i n f i s s a z i o n e aggiunge l’affisso in mezzo alla parola, cioè un infisso; in italiano
questo meccanismo di derivazione è praticamente limitato all’ambito della
nomenclatura chimica IUPAC: esistono due infissi derivazionali -pe- (significa
“idrogenazione completa” e fa derivare ad esempio “pipecolina“ da “picolina“) e -et(significa “etile“ e fa derivare ad esempio “fenetidina“ da “fenidina“), oppure in una
parola come cant-icchi-are.
A volte la derivazione può avvenire per affissazione di un lemma o una parola proveniente
da un’altra lingua, come ad esempio la parola italiana “scannerizzare” che deriva dalla parola
inglese “scanner”. Questo meccanismo è analogo al processo di prestito linguistico, per il
quale il lemma straniero viene invece acquisito, spesso senza essere modificato come ad
esempio sport.
1.1.1.6.1.2. Conversione
Nel caso particolare in cui l’affisso aggiunto alla parola coincida con la desinenza alcuni
linguisti parlano anche di d e r i v a z i o n e d i r e t t a , o d e r i v a z i o n e z e r o , o c o n v e r s i o n e :
in altri termini essa consiste in un cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla
parola base un affisso manifesto.
Con la semplice aggiunta della desinenza, un sostantivo diventa così un nuovo verbo,
nell’italiano “lavorare” da “lavoro”, o nell’inglese “to water” da “water” (“innaffiare” da
“acqua”).
Si forma invece un nuovo sostantivo da:
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 l’infinito di un verbo, a cui viene aggiungo l’articolo e che potrà anche essere messo
al plurale (“il mangiare”, “i poteri”), o che potrà subire alterazione (“esserino”);
 un aggettivo usato come sostantivo (“metropolitana”, “cellulare”, “vecchio”);
 un participio presente usato come sostantivo (“cantante”, “assistente”);
 un participio passato usato come sostantivo (“coperto”);
 un gerundio (“crescendo”).
Allo stesso modo si può formare un nuovo aggettivo da un verbo:
 al participio presente: “sorridente” da “sorridere”;
 al participio passato: “deciso” da “decidere”.
Alcuni linguisti inoltre considerano meccanismi di derivazione anche le operazioni
semantiche che cambiano il significato di una parola senza cambiarne la forma, come ad
esempio la lessicalizzazione, definendole a volte derivazione nulla.
1.1.1.6.1.3. Parasintesi
Si parla di d e r i v a t i p a r a - s i n t e t i c i o p a r a s i n t e s i quando una parola viene generata
applicando più affissi derivativi: ad esempio “inscatolamento” deriva da “scatola” tramite
l’aggiunta di un prefisso e di un suffisso. Questo processo può essere anche verbale o
aggettivale: in ogni caso, la nuova forma è composta dalla parola base unita a un prefisso e a
un suffisso, ma laddove non esista una parola derivata ottenuta applicando uno solamente dei
due affissi, cioè la sequenza prefisso+base o base+suffisso: non esistono né “inscatola” né
“scatolamento”.
Esempi di parasintesi verbale sono “ingiallire” da “giallo” e “abbottonare” da “bottone”;
esempi di parasintesi aggettivale, invece, sono le parole “svitato” da “vite”, “sfegatato” da
“fegato”. Si tratta di un processo molto produttivo: si può anzi dire che sia una delle forme più
frequenti per la formazione di nuovi verbi.
Sebbene gli esempi che abbiamo dato siano tratti dall’italiano, il processo è molto
produttivo anche nelle altre lingue romanze (ad esempio abbiamo il francese “agrandir” da
“grand” = “ingrandire”, o lospagnolo “alargar”, cioè “allungare”), e se ne trovano numerosi
esempi anche nelle lingue germaniche (per esempio in inglese “enlighten” da “light” =
“illuminare”, in olandese “verarmen” da “arm” = “impoverire”, in tedesco “bereichern” da
“reich” = “arricchire”).
1.1.1.6.1.4. Agglutinazione
Tutte le lingue usano i processi derivativi per arricchire il proprio lessico, ma un caso a
parte sono le lingue agglutinanti che usano questo meccanismo come base della
comunicazione linguistica: nelle lingue agglutinanti, infatti, le parole (o morfemi) sono
inizialmente costituite dalla sola radice, a cui vengono aggiunti gli affissi per esprimere le
diverse categorie grammaticali e aggiungere le informazioni relative a genere, numero, caso,
oppure tempo, diatesi, persona, ecc.
1.1.1.6.2. Altri
meccanismi di derivazione
Un meccanismo di derivazione poco comune in italiano ma presente in altre lingue è la
retroformazione, per cui una parola si forma da un’altra seguendo un processo inverso rispetto
a quello più comune, generalmente rimuovendo ciò che viene interpretato come un affisso: ad
esempio in italiano è nato prima il verbo “accusare” (dal latino “accusare”) dal quale è
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derivato per retroformazione il sostantivo “accusa” (che non esisteva con questa forma in
latino), mentre in inglese è nato il verbo “to edit” da “editor”.
Un meccanismo attivo sia nella derivazione, sia nella flessione e nella composizione,
invece, è la reduplicazione, che consiste nel raddoppiamento sia di un semplice segmento, sia
dell’intera parola: nelle antiche lingue indoeuropee questo processo era molto produttivo nella
flessione dei verbi (come ad esempio nel greco “lelyka” = “sciolsi” dal presente “lyo” =
sciolgo”) e se ne trovano tracce anche in latino (si veda per esempio il paradigma del verbo
“dare” = “do, das, dedi, datum, dare”). Un esempio di reduplicazione totale si trova nel maori
“reoreo” = “conversazione” da “reo” = “voce”, mentre un caso di reduplicazione parziale si
ha nel turco “dopdolu” = “piuttosto pieno” da “dolu” = “pieno”. Da notare come un verbo
reduplicato assuma spesso un significato frequentativo, come nel sudanese “guguyon” da
“guyon” = “fermentare ripetutamente”.
Alcuni meccanismi di formazione, tra cui il prestito linguistico e l’origine etimologica,
sono definiti derivativi pur non modificando sostanzialmente il significato della parola di
origine ma cambiandone il contesto di utilizzo, ossia la lingua: ad esempio si usa dire che la
parola italiana “padre” deriva dalla parola latina “patrem” o che la parola italiana “caffè”
deriva dalla parola turca “qahve”.
1.1.1.6.3. Regole
di riaggiustamento
Un meccanismo presente sia nella composizione che nella derivazione è una sorta di
“riaggiustamento” fonetico dovuta al giustapporsi di vocali nell’unione delle due forme: viene
così cancellata la vocale del primo componente, per esempio in “vinaio” da “vino+aio”, o
simili.
Altre regole di questo tipo possono comprendere anche casi di inserimento, nel quale viene
inserito, appunto, ulteriore materiale per rendere la nuova forma in qualche modo più
“armoniosa” e più rispondente ai nessi fonetici della lingua in questione: così per esempio da
“gas” abbiamo “gassoso” e da “cognac” “cognacchino”, dove in entrambi i casi notiamo un
raddoppiamento della consonante (nel secondo caso rafforzato dalla velarizzazione della c,
che altrimenti dovrebbe palatalizzarsi davanti a i).
1.1.1.7. Alterazione.
Per a l t e r a z i o n e si intende, in grammatica, la formazione delle parole a partire da altre
che non vengono cambiate nei loro tratti fondamentali; cambia invece il modo in cui il
concetto viene considerato: tavolino, ragazzaccio, donnone. Si tratta di un caso particolare di
suffissazione.
Lingue come il francese e l’inglese non sono particolarmente ricche di fenomeni di
alterazione. Se ne riscontrano più spesso in tedesco e, con maggior ricchezza di forme, in
italiano. L’alterazione è determinata dall’atteggiamento di chi parla; essa riguarda le
dimensioni di qualcosa (diminutivo, accrescitivo) oppure il giudizio affettivo che se ne dà
(vezzeggiativo, peggiorativo). Le due categorie sono strettamente correlate tra di loro.
1.1.1.7.1. Diminutivo
ed accrescitivo
Il fenomeno di alterazione più frequente è sicuramente il d i m i n u t i v o . Questo tipo di
alterazione prevede l’uso di suffissi come -ino, -ello, -etto oppure -uccio: bicchierino,
asinello, isoletta, calduccio.
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La scelta tra diversi suffissi di simile o identico significato è generalmente arbitraria, per
cui a volte sono dei criteri puramente estetici a determinare quale sarà il suffisso (formazioni
come vinino o tappetetto sono assai improbabili a causa dell’effetto cacofonico della
ripetizione consonantica).
Del resto, l’impossibilità di stabilire delle regole generali è confermata dal caso che spesso,
senza logica apparente, è possibile combinare tra di loro anche due suffissi (tavolinetto,
cagnolino). A complicare le cose si aggiungono le difficoltà che inesorabilmente si
incontreranno nel voler elencare i suffissi usati in italiano per il diminutivo e per l’alterazione
in genere. Stilare una lista esauriente dei suffissi è infatti impossibile, dato che non formano
un insieme chiuso come ad esempio le desinenze dei verbi: si tratta dunque più di morfemi
lessicali che grammaticali.
Opposto al diminutivo è l’a c c r e s c i t i v o , generalmente ottenunto con -one o -acchione
(ragazzone, furbacchione). Tra questi due suffissi, quello usato generalmente è il primo
(mentre il secondo denota di solito un atteggiamento ironico da parte del parlante).
Va ricordato che nei sostantivi femminili, l’accrescitivo è generalmente accompagnato dal
mutamento di genere (il donnone). D’altronde, l’accrescitivo ed il diminutivo interagiscono in
diversi modi con il genere dei sostantivi: tra l’altro si può formare sporadicamente il
femminile usando un diminutivo (gallo-gallina), oppure il maschile usando un accrescitivo
(capra-caprone).
1.1.1.7.2. Vezzeggiativo e peggiorativo
Le forme del diminutivo hanno spesso valore di v e z z e g g i a t i v o , dunque semplicemente
affettive e legate ad un giudizio positivo (posticino, postuccio). L’uso affettivo del diminutivo
e del vezzeggiativo può essere determinato da fattori speciali come la dimensione
interpersonale nell’atto linguistico: ce la facciamo una birrettina? . Questa dimensione
interpersonale è particolarmente evidente nell’uso dei diminutivi tipico del linguaggio rivolto
ai bambini: Gigi, sono le nove, andiamo a lettuccio? In italiano, l’uso dei vezzeggiativi per i
nomi propri dà luogo ad una notevole varietà di forme (vedi ipocoristico).
Opposto al vezzeggiativo è il p e g g i o r a t i v o , ottenuto in genere con i suffissi -accio ed astro (postaccio, giovinastro). Si noti come il diminutivo coincide per forma con il
vezzeggiativo, mentre non c’è la stessa corrispondenza tra l’accrescitivo ed il peggiorativo.
1.1.1.7.3. L’alterazione
nelle parti del discorso
Al contrario della derivazione, l’alterazione esclude il cambio di categoria grammaticale di
una parte del discorso: un sostantivo rimane ad esempio un sostantivo (strada; stradina) e non
può diventare un aggettivo (strada; stradale).
Il fenomeno riguarda principalmente i sostantivi. Talvolta si hanno aggettivi alterati
(questo caffè è buonino). L’alterazione dell’aggettivo può avere suffissi speciali. Alcuni
esempi di suffissazione tipicamente aggettivale sono le parole rossiccio, giallognolo,
verduzzo, asprigno, belloccio.
L’alterazione può inoltre riguardare l’avverbio (benone, maluccio, malaccio, tarduccio,
pianino), oppure il verbo (canticchiare, saltellare, scoppiettare, parlottare, bruciacchiare,
leggiucchiare).
« Saltella e balletta
comare Coletta! Saltella e balletta! »
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(Aldo Palazzeschi, Comare Coletta, in Poesie).
Si tratta di fenomeni riscontrabili soprattutto nell’italiano colloquiale o in contesti
particolari. Spesso gli alterati verbali hanno il valore di aspetto iterativo (ripetizione,
mancanza di continuità).
1.1.1.7.4. Casi
apparenti e casi particolari di alterazione
Alcuni fenomeni di formazione delle parole non sono necessariamente dei casi di
alterazione. Nel caso della parola paglietta, derivato di paglia, si intende indicare un tipo
particolare di spugna. Si parla in questo caso di alterazione apparente. Malgrado sia chiaro
che la parola paglietta è nata come neologismo a partire da paglia il diminutivo è in
apparente, dato che non è legato né alla componente affettiva, né alle dimensioni di un
oggetto.
Nel caso della parola melone, l’analogia con mela è molto più trasparente, ma la forma
derivata indica un concetto piuttosto diverso. Infatti, anche se si può parlare di accrescitivo, il
significato dell’alterato si specializza in una determinata accezione. Lo stesso riguarda
sostantivi comecassetto, cassetta e sigaretta. In tutti questi casi si parla di alterati
lessicalizzati, cioè di elementi lessicali a sé stanti.
1.1.1.7.5. I
falsi derivati
Esiste infine la possibilità di falsi derivati: per esempio, le parole matto, mattino e mattone
derivano da lingue diverse e non hanno niente a che vedere l’una con l’altra. Per questo, i falsi
derivati non costituiscono un fenomeno grammaticale, ma semmai di enigmistica. Questa
particolarità non resta tuttavia priva di risvolti linguistici: per evitare confusione, infatti, gli
alterati di matto si formeranno, se possibile, scartando i suffissi -ino ed -one ed usando altri
suffissi. Avremo per es.: Luigi è un mattacchione.
1.1.1.8. La
composizione.
La c o m p o s i z i o n e in linguistica è il processo per cui una nuova parola si genera a partire
dall’unione di due o più parole o radici. Una parola ottenuta per composizione si definisce
c o m p o s t a . Vi sono lingue in cui i composti sono rari, altre in cui sono particolarmente
frequenti (per esempio il sanscrito o il tedesco), e in cui siano diffusi anche composti con
numerosi elementi.
1.1.1.8.1. Meccanismi
di composizioni
I composti possono formarsi a partire da basi diverse, cioè da parole provenienti da diverse
categorie grammaticali: tuttavia, non tutte le combinazioni teoricamente possibili sono
realizzate, e non tutte sono produttive (vale a dire che i loro composti sono rari e poco usati);
in generale, comunque, si può dire che la maggior parte di queste formano nuovi sostantivi,
tranne in alcuni casi. Esemplifichiamo le diverse categorie (gli esempi sono tratti tutti
dall’italiano):
Si creano nuovi sostantivi da:
 l’unione di due o più sostantivi (ad esempio “crocevia”, “pescecane”, “oto-rinolaringo-iatra”);
 l’unione di due verbi (come “saliscendi”, “giravolta”);
 l’unione di un verbo e di un sostantivo (ad esempio “appendiabiti”, “lavastoviglie”);
 l’unione di un verbo e di un avverbio (“buttafuori”, “cacasotto”);
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 l’unione di un sostantivo e di un verbo al participio presente o passato
(“nullafacente”, “terracotta”);
 l’unione di un sostantivo e di un aggettivo (“palcoscenico”, “gentiluomo”);
 l’unione di un aggettivo e di un sostantivo (“biancospino”) — quest’unione però,
oltre a essere poco produttiva, può dar luogo anche a un nuovo aggettivo;
 l’unione di due aggettivi (“pianoforte”, “nerazzurri”);
 l’unione di una preposizione e di un sostantivo (esempio “sottopassaggio”,
“oltretomba”).
Si creano nuovi aggettivi da:
 l’unione di due aggettivi (ad esempio “dolceamaro”, “verdeazzurro”);
 l’unione di un aggettivo e di un sostantivo (come “verde bottiglia”) — tale composto
forma anche nomi (vedi sopra);
 l’unione di un aggettivo e di un verbo (ad esempio “qualsiasi”, “qualsivoglia”).
Si creano nuovi verbi da:
 l’unione di un sostantivo e di un verbo (ad esempio “manomettere”, “crocefiggere”).
Si creano nuovi avverbi da:
 l’unione di due avverbi (ad esempio “malvolentieri”, “sottosopra”)
 l’unione di un aggettivo e di un nome (ad esempio “tuttavia”; anche tutti gli avverbi
in -mente in origine erano dei composti di questo tipo).
Si creano nuove congiunzioni da:
 l’unione di una congiunzione e di un avverbio (ad esempio “sebbene”, “oppure”);
 l’unione di una preposizione e di un nome (ad esempio “infatti”, “peraltro”);
 l’unione di diversi elementi, di cui l’ultimo sia “che” (“poiché”, “perché”,
“conciossiacosaché”).
Una parola composta può essere anche formata da due parole che non vengono unite in un
unico lemma, ma il cui significato è comunque diverso dal semplice accostamento dei due
significati delle parole semplici. Si parla in tal caso di unità polirematiche; esse possono
essere formate da:
 coppie di sostantivi di cui il secondo assume valore aggettivale (“notizia bomba”,
“ragazzo modello”);
 coppie di sostantivi, in origine uniti da preposizione, con caduta della stessa (“treno
merci”, “agenzia viaggi”).
1.1.2. Articoli.
Un art i col o è una parola che si riferisce ad un sostantivo limitandone e specificandone il
concetto.
Nella grammatica italiana è una delle parti variabili del discorso e precede il nome o il
sintagma nominale, concordandosi genere e numero.
Si distinguono generalmente in articoli determinativi, articoli indeterminativi ed articoli
partitivi.
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1.1.2.1. Articoli
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determinativi.
davanti a:
singolare
plurale
maschile
pn, gn, ps, x, y, z
s+cons. (s impura), vocale
lo (l’)
gli (gl’)
tutti gli altri
casi
il
i (li)
femminile
tutti i casi
la (l’)
le (l’)
Unica eccezione: “il dio” ha plurale “gli dèi” a causa del processo di deglutinazione.
L’a r t i c o l o d e t e r m i n a t i v o si usa:









quando il nome si riferisce a una cosa sola, ben precisa
con gli aggettivi e i pronomi possessivi
con nomi astratti o di significato generale, compresi i colori
con parti del corpo o vestiti
con le date, se non sono precedute dai giorni della settimana
nelle descrizioni fisiche, con il verbo avere
prima del cognome di una famiglia o di un casato
davanti a titoli di rango o professioni seguiti da un nome
davanti a nomi di persone famose (alla latina, come a dire “il famoso” o “proprio
quello”)
 può essere usato davanti ai nomi propri femminili, quando sono adoperati in registro
familiare-affettivo, ma non davanti ai nomi propri maschili
Viene invece omesso nei seguenti casi:




con gli aggettivi possessivi di fronte a nomi di parentela singolari
nelle descrizioni e nelle numerazioni
nelle apposizioni
davanti ai nomi di città, tranne rarissime eccezioni: la Spezia, l’Aquila, il Cairo, il
Pireo, la Mecca, l’Aia. Anche in questo caso l’articolo segue le normali regole
grammaticali, in particolare per l’uso delle minuscole e della formazione di
preposizioni articolate
 in una serie di espressioni particolari:
 nella maggioranza delle locuzioni avverbiali (in fondo, di proposito, a zonzo)
 nelle espressioni che hanno valore di avverbi qualificativi (con audacia, con
intelligenza, con serenità)
 con i complementi di luogo, in alcuni casi (tornare a casa, abitare in campagna,
recarsi in chiesa)
 davanti a nomi che formano con il verbo una sola espressione predicativa (aver(e)
fame, sentire freddo, prendere congedo)
 nelle locuzioni in cui un sostantivo integra il significato di un altro (carte da gioco,
sala da pranzo, abito da sera) e nei complementi predicativi (comportarsi da
galantuomo, parlare da esperto, fare da padre)
 in alcuni espressioni di valore modale o strumentale (in pigiama, in bicicletta,
senza cappotto)
 nelle frasi proverbiali (buon vino fa buon sangue, can che abbaia non morde)
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



Morfologia
nei titoli dei libri o dei capitoli (Grammatica italiana, Canto quinto) e di insegne
(Entrata, Uscita, Arrivi, Partenze, Merceria, Ristorante, Giornali...)
in alcune espressioni formate da verbo + preposizione + nome (parlare di sport,
giocare a scacchi (o agli scacchi), prendere qualcuno per matto)
per ragioni di brevità, nel linguaggio telegrafico e nella piccola pubblicità dei
giornali (partecipiamo vostra gioia, vendo appartamento zona centrale)
con la preposizione senza, l’articolo indeterminativo si può esprimere o meno
(girare senza (una) meta, offendersi senza (un) motivo apparente)
1.1.2.2. Articoli
indeterminativi
davanti a:
maschile
gn, pn, ps, s+cons. (s impura), x, y, z, i+vocale (“i” semiconsonante)
singolare
plurale
uno
--
tutti gli altri
casi
un
--
femminile
tutti i casi
una (un’)
--
In italiano non esiste l’a r t i c o l o i n d e t e r m i n a t i v o plurale, dato che in espressioni
come gli uni e gli altri ha il ruolo di pronome.
Dove si userebbe l’articolo indeterminativo plurale, l’italiano utilizza l’articolo partitivo o
aggettivi indefiniti come alcuni o qualche (“alcuni libri”, “qualche libro”).
L’articolo indeterminativo viene usato:





con i sostantivi non numerabili
davanti a nomi di professioni o che indicano un’intera categoria
con i nomi propri di persona o i cognomi che indicano un’opera d’arte
nell’espressione un po’
Al maschile non si usa mai l’apostrofo con l’articolo indeterminativo. La presenza di
un apostrofo può indicare il genere maschile o femminile: un’utente è infatti la forma
femminile, mentre un utente indica il maschile
1.1.2.3. Articoli
partitivi
In grammatica, l’art i col o part i t i vo è utilizzato per introdurre una quantità imprecisata:
 Ho trovato dei fichi a poco prezzo.
 A volte passo delle giornate impossibili.
 Vorrei delle mele, degli spinaci e dei pomodori.
Deve il suo nome dal fatto che indica normalmente la parte di un insieme. È usato in lingue
romanze come il francese e l’italiano.
L’articolo partitivo si forma, analogamente ad una preposizione articolata, con la
preposizione di accompagnata dalle varie forme dell’articolo determinativo, che variano in
quest’ultimo a seconda del genere, del numero e del suono che le segue (per le varie forme,
vedi voce sull’articolo determinativo):
singolare
plurale
maschile
del pane
dello zucchero
dell’olio
dei fichi
degli spaghetti
femminile
della carne
dell’acqua
delle arance
Si distingue in genere tra uso al singolare (molto meno frequente) e al plurale (più
comune).
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Morfologia
Il partitivo singolare indica una quantità non precisata di un elemento considerato non
numerabile:

Vorrei del vino fruttato

I viaggiatori presero della grappa a poco prezzo ed andarono via
Al plurale, invece, il partitivo indica una quantità indeterminata di un elemento
numerabile:

Ho visto dei bambini.
In questo caso, viene considerato come forma plurale dell’articolo indeterminativo.
Mentre gli articoli determinativi hanno una forma plurale, gli articoli indeterminativi non
ne dispongono, quindi se si devono indicare genericamente degli oggetti al plurale, si usa un
articolo partitivo oppure un aggettivo indefinito, come alcuni o qualche (“alcuni libri”,
“qualche libro”).
Alcuni sostantivi possono essere considerati tanto come numerabili (prendo dei caffè)
quanto come non numerabili (prendo del caffè).
L’uso del partitivo è stato preso di mira dai puristi fin dall’Ottocento. Tuttora è abbastanza
diffusa la convinzione che si tratti di un prestito linguistico dalla lingua francese, anche se è
stato dimostrato che il partitivo è attestabile fin dal Medioevo nella letteratura italiana di
maggior prestigio.
Vero è invece che se in francese il partitivo è spesso insostituibile, in italiano può essere
invece omesso. Per esempio viene spesso sconsigliato l’accostamento tra una preposizione e
l’articolo partitivo (che non sempre dà buoni risultati), oppure il suo uso combinato a parole
astratte. Anche la ripetizione del partitivo in lunghe enumerazioni può risultare indesiderata a
causa della ripetizione continua delle sue varie forme. D’altro canto, l’omissione del partitivo
non dà sempre risultati veramente soddisfacenti (vedi esempio):

Ho comprato delle albicocche veramente eccezionali.
Nell’enunciato proposto come esempio, si desidera accompagnare il nome con un
aggettivo e creare una caratterizzazione (viene infatti caratterizzato un certo tipo di
albicocche).
Laddove non sarebbe opportuno ometterlo, il partitivo può comunque essere almeno
sostituito da espressioni di volta in volta diverse a seconda del contesto.
1.1.3. L’aggettivo
L’a g g e t t i v o (dal latino adiectivus, composto di ad (gettare) e aicere (presso), ossia ciò
che si aggiunge) è una parte del discorso. Serve a modificare semanticamente un’altra parte
del discorso (perlopiù un sostantivo), con cui si rapporta sintatticamente e, nella maggior parte
dei casi, ha una concordanza grammaticale.
Nelle lingue flessive, quasi tutti gli aggettivi sono parole variabili: sono cioè dotate di
flessione nel genere e nel numero (esempi in lingua italiana: alto, alta, alti, alte) o solo nel
numero (esempi in lingua italiana: grande, grandi) e talvolta anche nel caso (se la lingua ha la
flessione dei casi) del nome corrispondente.
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Morfologia
1.1.3.1. Classificazioni
Gli aggettivi vengono tradizionalmente divisi in due classi:
 aggettivi qualificativi (forte, “grande”, bello, rettangolare, parco, goloso, giallo,
vecchio etc);
 aggettivi determinativi o indicativi, che specificano il nome su piani diversi da quello
qualitativo e si dividono a loro volta in:
 aggettivi possessivi (mia, vostre, suo etc);
 aggettivi numerali (cardinali: due, trentatré etc; ordinali: primo, quarantatreesimo
etc);
 aggettivi dimostrativi (questo, quello etc);
 aggettivi indefiniti (alcuni, tutti, nessuna, pochi etc);
 aggettivi interrogativi ed esclamativi (quale?, quanti?, quale gioia!, ma che onore!
etc).
Gli aggettivi qualificativi esprimono una specifica qualità del nome cui corrispondono:
aspetto, colore, forma, grandezza, ma anche qualità morali o intellettuali. I determinativi
rinviano piuttosto a nozioni quali quelle di appartenenza o di quantità (definita o meno) o,
ancora, hanno funzione deittica.
I qualificativi sono una lista “aperta”, cioè indefinitamente dilatabile, secondo il principio
della produttività delle lingue, mentre i determinativi sono una lista “chiusa”.
L’inserimento tra gli “aggettivi” di alcune di queste categorie è per molti versi
convenzionale, in quanto numerali, indefiniti e interrogativi hanno diverse caratteristiche
proprie che, in linguistica generale, ne fanno delle categorie distinte dall’aggettivo. Per
esempio, in italiano tendono a porsi sempre prima del nome (come i determinanti). Se
preceduto da un articolo determinativo l’aggettivo diventa sostantivo (definito aggettivo
sostantivato), ad esempio: l’inconscio.
L’aggettivo, in rapporto al nome, può avere due funzioni:
 attributiva quando si unisce direttamente al nome;
 predicativa quando, in un predicato nominale, costituisce la parte nominale, congiunta
al soggetto dalla copula.
1.1.3.2. Aggettivo
qualificativi
Gli a g g e t t i v i q u a l i f i c a t i v i indicano una qualità del nome. Grazie ad essi il nome
viene descritto con maggior precisione ed accuratezza.
senza aggettivo
La bimba piange spesso.
Marco è un ragazzo.
Ho bevuto una spremuta.
con aggettivo
La bimba piccola piange spesso.
Marco è un ragazzo intelligente.
Ho bevuto una spremuta freschissima.
Come si può notare, l’aggiunta degli aggettivi qualificativi modifica il senso delle frasi. A
dire il vero, non sempre gli aggettivi sono necessari; sono, però, sempre importanti, perché ci
permettono di precisare il nostro pensiero, di renderlo più efficace e di esprimere sfumature
rilevanti. Di un’auto, ad esempio, possiamo dire che è bella, ma possiamo anche aggiungere
che è metallizzata, scattante, rossa, nuova,comoda, sciccosa, slanciata, ecc. Non c’è limite al
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Morfologia
numero degli aggettivi qualificativi, perché essi possono riguardare qualsiasi aspetto della
realtà o della fantasia.
forma
tempo
colore
sensazioni fisiche
stati d’animo
valutazioni morali
dimensioni
modi di essere
materia
aspetto
triangolare, sferico, rotondo, romboidale, quadrato...
quotidiano, invernale, diurno, notturno, serale, pomeridiano ...
rosso, verde, giallognolo, grigiastro, violaceo ...
caldo, dolce, piccante, freddo, ruvido, fragrante ...
gioioso, felice, triste, malinconico, euforico, ansioso ...
nobile, altruista, pettegolo, generoso, disonesto, maleducato ...
lungo, largo, stretto, elevato, grande, vasto, piccolo ...
stanco, riposato, esausto, indolenzito, rilassato ...
marmoreo, ligneo, bronzeo, ferroso, eburneo ...
solido, cadente, fatiscente, robusto, florido, allampanato ...
Possono funzionare da aggettivi qualificativi anche i participi dei verbi, quando sono legati
ad un nome:
Le fabbriche emettevano scarichi inquinanti.
Fa piacere passeggiare nei prati puliti.
1.1.3.2.1. Primitivi,
derivati, alterati e composti
In riferimento alla loro struttura, gli aggettivi qualificativi si possono distinguere in quattro
gruppi.
1.1.3.2.1.1. Aggettivi
primitivi
Gli a g g e t t i v i p r i m i t i v i hanno una forma propria che non deriva da altre parole (utile,
alto, rosso, onesto) e sono formati soltanto dalla radice e dalla desinenza.
radice
‘util- b ‘
desinenza
-e
aggettivo primitivo
utile
1.1.3.2.1.2. Aggettivi
derivati
Gli a g g e t t i v i d e r i v a t i hanno origine da altri aggettivi, nomi o verbi, con l’aggiunta di
un prefisso, di un suffisso o di entrambi.
prefisso
imin-
in-
radice
moral
capac
lun
poet
tem
ced
cred
suffisso
-ar
-ic
-ibil
-evol
-ibil
desinenza
-e
-e
-e
-o
-e
-e
-e
deriva da
un aggettivo
un aggettivo
un nome
un nome
un verbo
un verbo
un verbo
1.1.3.2.1.3. Aggettivi
alterati
Gli a g g e t t i v i a l t e r a t i si hanno quando la forma base dell’aggettivo viene alterata con i
suffissi -ello, -ino, -etto, -uccio, -astro, -one, -accio, -acchione, ecc; l’alterazione può essere
d i m i n u t i v a , v e z z e g g i a t i v a , a c c r e s c i t i v a , d i s p r e g i a t i v a e serve per esprimere delle
sfumature di qualità:
furbetto e furbino indicano un modo simpatico di essere furbi;
furbone e furbacchione indicano un modo negativo di essere furbi;
furbastro indica una furbizia condannabile.
1.1.3.2.1.4. Aggettivi
composti
Gli a g g e t t i v i c o m p o s t i sono formati dall’unione di due elementi che possono essere:
 due aggettivi (grigio + verde = grigioverde, agro + dolce = agrodolce);
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Morfologia
 un prefissoide più un aggettivo (auto + sufficiente = autosufficiente, psico +
attitudinale = psicoattitudinale);
 un sostantivo o un prefissoide più un suffissoide (petrolio + fero = petrolifero, franco
+ fono = francofono).
Gli aggettivi composti, anche quando sono formati da elementi accostati da un trattino
(didattico-educativo, russo-afgano, ecc.) si comportano come una parola unica e formano il
femminile e il plurale cambiando soltanto la desinenza del secondo elemento.
maschile sing.
sordomuto
fotostatico
esterofilo
femminile sing.
sordomuta
fotostatica
esterofila
maschile plur.
sordomuti
fotostatici
esterofili
femminile plur.
sordomute
fotostatiche
esterofile
si possono confondere anche con gli avverbi
1.1.3.2.2. Grado
di comparazione
Il g r a d o d i c o m p a r a z i o n e è una funzione dell’aggettivo attraverso la quale la
specifica qualità espressa da un aggettivo (che corrisponde al grado detto “positivo” o
“neutro”) viene modulata nel senso dell’intensificazione o del confronto.
I concetti espressi dagli aggettivi qualificativi e da molti avverbi possono essere soggetti a
una gradazione per meglio esprimere una certa intensità espressiva. Sebbene sul piano
linguistico-espressivo le possibilità di intensificare una qualità sono illimitate, la grammatica
ha codificato tre tipi di gradazioni: grado positivo, in cui la qualità è espressa senza
indicazione di quantità o intensità; grado comparativo, in cui la gradazione intensiva è messa
a confronto con un altro termine di paragone o con un’altra qualità posseduta dal soggetto;
grado superlativo, in cui la gradazione intensiva è espressa al suo massimo in senso assoluto o
relativo:
grado positivo
grado comparativo
grado superlativo
Maria è elegante.
Maria è più elegante di Daniela.
Daniela è meno elegante di Maria.
Daniela è elegante quanto Maria.
Maria è più furba che intelligente
Maria
è
elegantissima.
Maria è la più elegante della classe”.
1.1.3.2.2.1. Il
comparativo
Il g r a d o c o m p a r a t i v o dell’aggettivo serve per esprimere un confronto fra due termini,
in relazione a una qualità posseduta da entrambi o in relazione a qualità diverse da un unico
termine.
La mia amica Gli elementi messi a confronto vengono chiamati primo e secondo
termine di paragone.
Il comparativo può essere di tre tipi:
 c o m p a r a t i v o d i m a gg i o r a n z a , quando il primo termine di paragone possiede la
qualità indicata dall’aggettivo in misura maggiore rispetto al secondo termine di
paragone. L’aggettivo, in questo caso, è introdotto da più, il secondo termine di
paragone da di o che:
Valentina è più alta di Luisa.
Sono più esperto di prima.
Sono più stanchi che affamati.
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Morfologia
 c o m p a r a t i v o d i m i n o r a n z a , quando il primo termine di paragone possiede la
qualità indicata dall’aggettivo in misura minore rispetto al secondo termine di
paragone. L’aggettivo, in questo caso, è introdotto da meno, il secondo termine di
paragone da di o che:
Valentina è meno alta di Luisa.
‘Franca è meno studiosa che intelligente.
 c o m p a r a t i v o d i u g u a g l i a n z a , quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura uguale nei due termini di paragone. In questo caso l’aggettivo è
introdotto da tanto o così (espressi o sottintesi), il secondo termine di paragone
indifferentemente da quanto o come:
Valentina è (tanto) alta quanto Luisa.
Claudia è (così) simpatica come te.
Nei comparativi di maggioranza e di minoranza il secondo termine di paragone deve essere
introdotto da che:
 quando è un nome o un pronome retto da preposizione:
Sei più interessato allo sport che allo studio;
 quando si paragonano due qualità possedute dallo stesso soggetto:
È un’occasione più unica che rara;
 quando si paragonano due verbi:
Per gli egoisti è più bello ricevere che dare.
 quando il secondo termine di paragone è un avverbio:
Questi operai lavorano più bene che male.
1.1.3.2.2.2. Il
superlativo
L’aggettivo qualificativo è di grado s u p e r l a t i v o quando esprime una qualità posseduta
al massimo livello. Il grado superlativo può essere da due tipi: relativo o assoluto.
Il superlativo relativo esprime una qualità posseduta al massimo o al minimo grado,
stabilendo un confronto fra l’unità e un gruppo di persone o cose (secondo termine di
paragone).
Il s u p e r l a t i v o r e l a t i v o si ottiene premettendo all’aggettivo l’articolo determinativo
assieme agli avverbi più o meno (la più dolce, il meno volenteroso). Il secondo termine, che
può essere anche sottinteso, è introdotto da di, tra, fra- A volte l’articolo determinativo si può
trovare separato dagli avverbi più o meno:
L’elefante è il più grande di tutti gli animali.
Il treno meno veloce (di tutti) è l’accelerato.
Il s u p e r l a t i v o a s s o l u t o degli aggettivi esprime una qualità posseduta al massimo
grado dal nome cui si riferisce, senza alcun paragone con altre grandezze. Esso si può formare
in vari modi:
 aggiungendo all’aggettivo di grado positivo il suffisso -issim/-o/-a/-i/-e (alto/altissimo,
stanco/stanchissimo);
 premettendo all’aggettivo di grado positivo avverbi come molto, assai, oltremodo,
immensamente, incredibilmente, estremamente... (molto vivace, immensamente ricco);
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Morfologia
 premettendo all’aggettivo di grado positivo i prefissi arci-, stra-,super-,iper-,ultra,extra-,sovra- (arcinoto, stracarico, ipersensibile);
 ripetendo l’aggettivo di grado positivo due volte (forte forte, piano piano, svelto
svelto, zitto zitto);
 rinforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo (nuovo fiammante, pieno zeppo,
stanco morto)
 unendo all’aggettivo di grado positivo le locuzioni quanto mai, oltre ogni dire, come
una campana, in canna (quanto mai intelligente, amabile oltre ogni dire, sordo come
una campana, povero in canna).
1.1.3.2.2.3. Comparativi
e superlativi particolari
Per alcuni aggettivi qualificativi, oltre alle normali forme di comparativo e di superlativo,
si usano anche speciali, in genere derivanti dal corrispondente latino. Tra gli aggettivi che
possiedono queste forme speciali ci sono:
Positivo
buono
cattivo
grande
piccolo
Comparativo di maggioranza
più buono - migliore
più cattivo - peggiore
più grande - maggiore
più piccolo - minore
Superlativo relativo
il più buono - il migliore
il più cattivo - il peggiore
il più grande - il maggiore
il più piccolo - il minore
Superlativo assoluto
buonissimo - ottimo
cattivissimo - pessimo
grandissimo - massimo
piccolissimo - minimo o infimo
Casi come questo, in cui una cella del paradigma di un aggettivo contempla più di una sola
forma flessa, danno vita al fenomeno della sovrabbondanza.
Gli aggettivi migliore, peggiore, maggiore, minore, sono già forme di comparativo di
maggioranza, pertanto non sono mai preceduti da più o da il più. Allo stesso modo, i
superlativi assoluti ottimo, pessimo, massimo, minimo, non hanno bisogno di rafforzativi.
corretto: Sei il migliore / errato: Sei il più migliore.
corretto: La torta è ottima / errato: La torta è ottimissima (o molto ottima)
Alcuni aggettivi formano il superlativo assoluto con i suffissi -errimo e -entissimo, si tratta
di un uso colto che ricalca il modello latino degli aggettivi in -ĔR e in -DĬCUS, -FĬCUS, VŎLUS:
Superlativo in -ERRIMO
Positivo Superlativo Modello latino
acre
acerrimo
ĀCER → ACĔRRIMUS
celebre
celeberrimo CĔLEBER → CELEBĔRRIMUS
integro
integerrimo ĬNTEGER → INTEGĔRRIMUS
misero
miserrimo
MĬSER → MISĔRRIMUS
salubre
saluberrimo SALŪBER → SALUBĔRRIMUS
Tranne misero i superlativi in -errimo si formano tutti da una radice alterata rispetto a
quella del grado positivo, in cui si riflette l’antica forma del nominativo latino, mentre le
forme di grado positivo continuano regolarmente l’accusativo (ĀCREM, CĔLEBREM ecc.).
Accanto alle forme miserrimo e saluberrimo esistono i superlativi regolari miserissimo,
salubrissimo.
Superlativo in -ENTISSIMO
Positivo Superlativo
maledico maledicentissimo
benefico beneficentissimo
munifico munificentissimo
benevolo benevolentissimo
malevolo malevolentissimo
Modello latino
MALĔDICUS → MALEDICENTĬSSIMUS
BENĔFICUS → BENEFICENTĬSSIMUS
MUNIFICUS → MUNIFICENTĬSSIMUS
BENĔVOLUS → BENEVOLENTĬSSIMUS
MALĔVOLUS → MALEVOLENTĬSSIMUS
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Morfologia
I superlativi in -entissimo in 4 casi su 5 trovano riscontro nei normali superlativi in -issimo
degli aggettivi in -ente, del tipo nutriente - nutrientissimo (maledico - maledicente maledicentissimo; benefico - beneficente - beneficentissimo; munifico - munificente munificentissimo; benevolo - benevolente - benevolentissimo).

Disusata è la forma, latineggiante, facillimo (da facile). Ha ancora vitalità il
superlativo asperrimo da aspro che si affianca ad asprissimo.

Queste forme, comunque, sono rare e usate preferibilmente per esprimere significati
astratti: Sono afflitti da una rivalità acerrima, È un uomo di costumi integerrimi, in
opposizione alle forme analitiche usate per esprimere significati concreti: Questo
limone ha un sapore molto aspro. La lingua parlata infatti preferisce, quando esistono,
forme regolari o modificate con avverbio: molto munifico, del tutto integro, molto
acre, assai celebre, ecc.

Non tutti gli aggettivi possono essere alterati per formare il superlativo. Di regola solo
quelli che esprimono una qualità che può essere accresciuta o diminuita, mentre
aggettivi che hanno un significato molto preciso e circoscritto non possono essere
modificati: cristiano, pagano, colossale, divino, mortale, immortale, triangolare,
quadrato, sferico, chimico, psichico ecc. Anche aggettivi che indicano valori elativi
(immenso, eccellente, straordinario, infinito, enorme, ecc.) non ammettono di norma
grado superlativo.

Molto e meglio non sono aggettivi ma avverbi al grado comparativo.
Si dice: L’Italia è la migliore (non la meglio).

Provengono dal latino altri comparativi e superlativi, che mancano di grado positivo;
essi hanno finito per perdere i tratti semantici specifici del comparativo e del
superlativo e oggi li usiamo come se fossero aggettivi al grado positivo, ma sarebbe un
errore premettere loro la forma più o il più.
grado comparativo
anteriore
citeriore
esteriore
inferiore
interiore
posteriore
priore
superiore
ulteriore
grado superlativo
(manca)
citimo
estremo
infimo/imo
intimo
postremo/postumo
primo
supremo/sommo
ultimo
Superiore-supremo (sommo e inferiore-infimo sono frequentemente usati come comparativo
e superlativo rispettivamente di alto e basso:
il piano superiore (= più alto);
una qualità al sommo (= altissimo) grado;
il livello inferiore (= più basso);
una merce di infima (= bassissima) qualità.
Postumo si usa solo in riferimento a ciò che avviene dopo la morte di qualcuno: opera
postuma, successo postumo.
L’altra forma di superlativo di basso, cioè imo è di scarso uso, per lo più poetico.
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Allievo maresciallo della G.d.F.
Morfologia
Citeriore-citimo(rarissimo) (= situato al di qua) è in disuso; serve solo per alcune indicazioni
riferite al mondo antico; ulteriore-ultimo(=situato al di là), più frequentemente usato, può
indicare anche aggiunta rispetto un’informazione data o un’azione svolta: la Gallia citeriore e
ulteriore, ulteriori eserciti.
I superlativi primo e ultimo, che indicano ciò che è al punto iniziale o finale in senso
assoluto, hanno anche le forme primissimo e ultimissimo: di primissima scelta, le ultimissime
notizie.
Il comparativo del superlativo primo, cioè priore è in uso solo in linguaggio ecclesiastico:
frate priore.

Per realizzare una qualifica fortemente soggettiva o stilisticamente marcata, possono
prendere il grado: aggettivi etnici di nazionalità, regione, città: italianissimo,
sicilianissima, torine-sissima ecc.; formule onorifiche: eccellentissimo, “illustrissimo
ed eccellentissimo signor Don Carlo D’Aragorn” (A. Manzoni); da squisito abbiamo
squisitissimo e ancora: cristianissimo, paganissimo, guelfissimo, mortalissimo ecc. Nel
linguaggio pubblicitario o giornalistico vengono usati neologismi, creati con
l’aggiunta del suffisso -issimo ad alcuni nomi: partitissima, canzonissima,
campionissimo, finalissima).
1.1.3.3. Aggettivi
determinativi
1.1.3.3.1. Aggettivi possessivi.
Gli a g g e t t i v i p o s s e s s i v i indicano a chi appartiene o da chi è posseduto ciò che è
espresso dal nome cui si riferiscono.
Esempi
La mia casa è grande
Suo padre è operaio.
Non ho sentito la vostra mancanza.
Ne esistono sei forme, come le persone a cui qualcosa può appartenere:
Persona
1º sing.
2º sing.
3º sing.
1º plur.
2º plur.
3º plur.
io
tu
egli
noi
voi
essi
singolare
maschile
mio
tuo
suo
nostro
vostro
loro
femminile
mia
tua
sua
nostra
vostra
loro
plurale
maschile
miei
tuoi
suoi
nostri
vostri
loro
femminile
mie
tue
sue
nostre
vostre
loro
Risulta evidente che i possessivi variano per genere e per numero, in modo da concordare
con il nome che accompagnano; l’unico invariabile è loro. L’aggettivo di terza persona
singolare suo (sua, suoi, sue) si usa quando il possessore è uno solo; invece, si deve usare
loro, quando i possessori sono due o più:
Paolo mi ha presentato suo (=di lui) fratello.
È noto il loro (=di essi, di esse) interesse per la numismatica.
1.1.3.3.2. Aggettivi
numerali
L’a g g e t t i v o n u m e r a l e è una parte del discorso che fornisce precise informazioni su
quantità numeriche. Spesso accompagnano nomi ed hanno, in questo caso, una funzione di
aggettivi. In realtà, in molte lingue del mondo essi hanno caratteristiche che li distinguono sia
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Morfologia
dagli aggettivi che dai sostantivi, e per questo i linguisti tendono a classificarli come una parte
del discorso a sé. Per fare un esempio, benché in italiano essi abbiano molto in comune con
gli aggettivi, ne differiscono morfologicamente perché sono invariabili (ad eccezione di
“uno”) e sintatticamente perché si collocano sempre prima del nome che accompagnano.
In base al tipo di informazione che danno, si distinguono in diversi gruppi. I più importanti
sono i seguenti:






numerali
numerali
numerali
numerali
numerali
numerali
c a r d i n a l i : uno, due, …, cento, …, mille… 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9...
o r d i n a l i : primo, secondo, …, centesimo…, millesimo
m o l t i p l i c a t i v i : raddoppiare, quintuplicare, decuplicare...
f r a z i o n a r i : dimezzare,raddoppiare,...
d i s t r i b u t i v i : ...a due a due...,uno ciascuno,a tre per volta...
c o l l e t t i v i : un paio, una decina, una dozzina...
1.1.3.3.3. Aggettivi
dimostrativi
Gli a g g e t t i v i d i m o s t r a t i v i indicano la posizione di una persona o di una cosa nello
spazio, nel tempo o nel discorso, rispetto a chi parla o a chi ascolta. Ciò che viene indicato è
quindi riconoscibile a partire dal contesto (vedi deissi). I dimostrativi principali sono questo,
codesto e quello, variabili nel genere e nel numero.
Ho comprato queste mele.
Singolare
Maschile
questo
codesto
taluno
quello quell’ quel
Femminile
questa
codesta
taluna
quella quell’
Plurale
Maschile
questi
codesti
quei quegli
Femminile
queste
codeste
quelle
Vengono usati in italiano soprattutto questo e quello. Come messo in evidenza nella
tabella, quello si adatta per forma alla parola che segue, similmente all’articolo: quello
stupido, ma quell’armadio, quel bambino, quei bambini, quegli zoo. Differisce quindi per
forma dal pronome dimostrativo corrispondente (mi piace quello, mi piacciono quelli).
Le forme aferetiche di questo, ‘sto, ‘sta, ‘sti e ‘ste (scritte anche senza apostrofo iniziale),
sono da tempo diffuse tra tutti i parlanti ma restano perlopiù legate alla lingua parlata.
1.1.3.3.3.1. In
riferimento allo spazio
 questo (-a, -i, -e) indica qualcuno o qualcosa vicino a chi parla:
Ho letto questo libro;
 codesto (-a, -i, -e) indica qualcuno o qualcosa vicino a chi ascolta:
Mi passi codesta tazza?
 quello (-a, quei, quelle) indica qualcuno o qualcosa lontano da chi parla e da chi
ascolta:
Guarda quell’aquila che plana nell’azzurro.
In riferimento allo spazio gli aggettivi e i pronomi dimostrativi questo e quello possono
essere rafforzati dagli avverbi qui/qua e lì/là; si tratta di francesismi oramai diffusi nella
lingua comune.
Ora sto andando in quel negozio lì.
Questo qui è proprio il libro che volevo comprarmi.
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Morfologia
La differenza tra questo e quello ricalca quindi quella che ritroviamo tra qui e lì.
Oggigiorno viene usato codesto nel parlato in Toscana oppure, spesso, in modo sbagliato, per
dare al discorso un’impronta aulica o come toscanismo arcaico, in sostituzione di questo o
quello mentre correttamente dovrebbe essere usato in contrapposizione e soltanto quando
l’oggetto del discorso è vicino o in prossimità di colui a cui si sta parlando. Il termine codesto,
di uso toscano, viene usato soprattutto in italiano letterario. Possiamo dire che questo indica il
vicino, invece, quello indica il lontano.
Da una parte, è vero che il toscano non è l’unico dialetto a conoscere tre forme di aggettivo
dimostrativo, dato che anche in diverse varietà dell’Italia del sud si distingue tra i tipi chisto,
chisso e chillo (questo, codesto, quello) e nell’Italia centrale (il maceratese quistu, quissu e
quillu). Comunque, il tipo di deissi dell’italiano standard usato correntemente si basa solo
sull’opposizione tra vicino e lontano rispetto al parlante.
Alcuni esempi per codesto:
 Allora leggiamolo codesto bigliettino. Cosa tergiversi? (Il bigliettino è nelle mani
della moglie del Necchi; Amici miei atto II).
 “E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti” Caronte che si rivolge
a Dante Alighieri, Inferno, Divina Commedia.
 È mai possibile o porco di un cane | che le avventure in codesto reame | debban
risolversi tutte con grandi puttane. Fabrizio De André (da Carlo Martello ritorna dalla
battaglia di Poitiers, n.° 10) - Impiego improprio, motivato da necessità stilistiche
particolari.
1.1.3.3.3.2. In
riferimento al tempo
 questo indica che il tempo cui si riferisce è vicino:
Ricorderò a lungo questo giorno;
 quello indica che il tempo cui si riferisce è lontano:
A quei tempi tutto era difficile
1.1.3.3.3.3. In
riferimento al discorso
 questo indica qualcosa di cui si sta per parlare o di cui si è parlato da poco:
Ascolta questi consigli...
 quello richiama, invece, qualcosa che è stato già detto:
Quelle parole mi sono rimaste in mente
1.1.3.3.3.4. Stesso, medesimo, tale
Tra gli aggettivi dimostrativi, di solito, vengono inseriti anche stesso e medesimo, che sono
più propriamente detti a g g e t t i v i i d e n t i f i c a t i v i . Essi indicano identità o uguaglianza tra
persone animali o cose. Hanno il significato di uguale, identico:
Frequentiamo gli stessi (= identici) amici.
Marco racconta sempre le medesime (= identiche) barzellette.
A volte stesso e medesimo vengono utilizzati per rafforzare il nome cui si riferiscono e
significano perfino, proprio lui in persona:
Io stesso (= perfino io) sono rimasto sorpreso.
L’allenatore stesso (= l’allenatore in persona) si è congratulato con me.
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Morfologia
Anche tale può essere considerato aggettivo dimostrativo, quando è usato con il significato
di così grande, così importante; esso sostituisce sempre più spesso altri aggettivi dimostrativi,
quali: simile, siffatto, cosiffatto, altrettale, cotale...
Tale ha un sola forma per il singolare (tale, tal) e una per il plurale (tali), senza distinzioni
di genere:
Tali (= così grandi) errori sono inaccettabili.
Tale (= simile) atteggiamento è riprovevole.
1.1.3.3.3.5. Funzione
dell’articolo determinativo
L’articolo determinativo può avere funzione di aggettivo dimostrativo:
Entro l’anno (= quest’anno) finirà la crisi.
Non conosco il tipo (= questo tipo).
1.1.3.3.4. Aggettivi
indefiniti.
L’a g g e t t i v o i n d e f i n i t o (ed il pronome indefinito) indicano cose e persone senza
specificarne con precisione la quantità o la qualità. Spesso le loro forme coincidono, dato che
l’aggettivo che accompagna il nome può prenderne il posto e fungere da pronome.
I seguenti aggettivi
In Italia ci sono molte città storiche.
Quest’anno il ciliegio ha dato tanti frutti.
possono dunque assumer il ruolo di pronome:
Le città storiche in Italia sono belle, ma molte sono trascurate.
Quest’anno il ciliegio ha dato dei buoni frutti, peccato che tanti non siano stati
raccolti.
Gli aggettivi indefiniti sono vari nei significati; essi possono indicare le seguenti cose:





un’unità indefinita;
una pluralità indefinita;
un’unità indefinita (al singolare);
una pluralità indefinita (al plurale);
una quantità indefinita.
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Morfologia
Riguardo alla forma, alcuni aggettivi sono variabili, altri no.
indicano
unità indefinita
pluralità indefinita
unità
indefinita
(al
singolare)
o
pluralità
indefinita
(al plurale)
quantità indefinita
maschile
singolare
nessun
-o
ciascun
-o
ogni
qualunque
qualsiasi
qualsivoglia
alcun -o qualche
cert
taluno
tal -e
-o
-o
molt
tropp
tant
alquant
altrettant
vari
divers
parecchi
poc
tutt
altr
cadaun -o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
-o
plurale
alcun
cert
taluno
tal -i
-i
-i
-i
molt
-i
tropp
-i
tant
-i
alquant -i
altrettant -i
var
-i
divers -i
parecch -i
poch
-i
tutt
-i
altr
-i
-
femminile
singolare
nessun
-a
ciascun -a ogni
qualunque
qualsiasi
qualsivoglia
plurale
-
alcun
qualche
cert
taluno
tal -e
-a
alcun
cert
taluno
tal -i
molt
tropp
tant
alquant
altrettant
vari
divers
parecchi
poc
tutt
altr
cadaun -a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-a
-e
-e
-e
molt
-e
tropp
-e
tant
-e
alquant -e
altrettant -e
var
-e
divers -e
parecch -e
poch
-e
tutt
-e
altr
-e
-
 Gli aggettivi indefiniti, in genere, rifiutano l’articolo; lo ammettono: poco, molto,
tanto, troppo e altro: la poca voglia, i molti difetti.
 Ogni, qualche, qualunque, qualsiasi, qualsivoglia sono invariabili e sono usati solo al
singolare: Viene a trovarci ogni domenica; portaci qualche fiore; può arrivare in qualunque
momento.
 Certo, diverso e vario sono aggettivi indefiniti se posti prima del nome; dopo il nome,
invece, sono aggettivi qualificativi.
In certi (=tali - indefinito) non si sa che fare / Queste non sono notizie certe
(=sicure - qualificativo);
Ho diversi (=molti, parecchi - indefinito) programmi / Abbiamo programmi diversi
(=differenti - qualificativo);
Varie (=parecchie, molteplici - indefinito) persone seguivano il corteo / È spesso di
umore vario (=mutevole - qualificativo).
 Tale’, usato prevalentemente come dimostrativo, viene considerato indefinito quando
significa un certo, uno tra tanti...:
Ti vuole un tale Paolo.
 Altro può assumere parecchi significati: diverso (Vorrei vivere in un’altra città),
precedente (L’altro quadrimestre i suoi risultati sono stati migliori), seguente
(Quest’altr’anno andremo negli U.S.A.), nuovo (Pensa di essere un altro Michelangelo), di
ripetizione (Devo tornare un’altra volta), di aggiunta (Mi occorre altro denaro); ha valore
dimostrativo quando significa quello: Dammi l’altro (=quel) vestito.
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Morfologia
 Nessuno ha generalmente un significato negativo. Quando è posto prima del verbo,
non richiede altra negazione: Nessun dubbio ci attanaglia; quando invece è collocato dopo il
verbo, richiede sempre la negazione non e può essere sostituito da alcuno: Non è uscita
nessuna (= alcuna) persona. Non ho nessun (= alcun) dubbio.
 Molto, poco e tanto sono gli unici aggettivi (oltre ai qualificativi) che possono essere
espressi anche al grado comparativo o superlativo:
molto
ha
il
comparativo
più
Ho più penne di te; Ho moltissime penne;
e
il
superlativo
moltissimo:
poco
ha
il
comparativo
meno
Ho meno forza di te; Ho pochissima forza;
e
il
superlativo
pochissimo:
tanto
ha
il
Abbiamo visto tantissime marmotte.
superlativo
tantissimo:
Ovviamente, essi non vanno mai sa soli, ma devono accompagnare un nome.
 Taluno si usa per lo più al plurale, con significato analogo ad alcuno e certo; è proprio
del registro formale:
In taluni casi è prevista la pena all’ergastolo.
1.1.3.3.5. Aggettivo
interrogativo ed esclamativo
Gli a g g e t t i v i i n t e r r o g a t i v i introducono una domanda sulla qualità, la quantità o
l’identità dei nomi a cui si riferiscono. Essi si usano sempre prima del nome e non sono mai
preceduti dall’articolo.
Gli aggettivi interrogativi possono essere usati sia in domande dirette sia in domande
indirette:






Che film hai visto? (= interrogativa diretta)
Quale attore preferisci? (= interrogativa diretta)
Quante volte vai al cinema? (= interrogativa diretta)
Dimmi che lavoro intendi svolgere (= interrogativa indiretta)
Dimmi in quale città abiti (= interrogativa indiretta)
Dimmi quanto tempo pensi di restare. (= interrogativa indiretta)
Gli aggettivi che, quale e quanto, usati nelle interrogative sopra proposte, possono anche
introdurre un’esclamazione. In questo caso sono detti a g g e t t i v i e s c l a m a t i v i :
 Che splendido panorama!
 Quale meraviglia questo tramonto!
 Quanti parenti sono venuti a salutarci!
Gli aggettivi interrogativi ed esclamativi, dunque, hanno forma identica; cambia soltanto la
loro funzione.
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Morfologia
Per quanto riguarda la forma:
Aggettivo
che
Caratteristiche
è invariabile ed equivale a quale, quanto
quale
è variabile solo nel numero (quali) e indica l’identità o la qualità del
nome cui si riferisce
quanto
(-a, -i, -e)
è variabile in genere e numero e riguarda la quantità del nome cui si
riferisce
1.1.3.4. Genere
Esempi
Che
colpa
ho?
Che rumore!
In quale città ti piacerebbe
vivere?
Quali
sorprese
ci
aspettavano!
Quanta
farina
serve?
Quanti caffè bevi in un
giorno!
e numero
L’aggettivo è una parte variabile del discorso, in quanto, come fa il nome, cambia la
desinenza in rapporto al genere (maschile e femminile) e al numero (singolare e plurale). Gli
aggettivi variabili e declinabili si raggruppano secondo il modo in cui formano il femminile e
il plurale.
 Gli a g g e t t i v i d e l l a p r i m a c l a s s e terminano al maschile singolare in -o, variano
sia nel genere sia nel numero e presentano, perciò, quattro diverse desinenze:
maschile
femminile
singolare
buon-o
buon-a
plurale
buon-i
buon-e
 Gli a g g e t t i v i d e l l a s e c o n d a c l a s s e hanno due sole desinenze, una per il
singolare e una per il plurale, senza distinguere tra maschile e femminile
maschile
femminile
singolare
plurale
vivac-e
vivac-i
 Esistono poi aggettivi che terminano in -a, i quali hanno una forma per il singolare e
due per il plurale:
maschile
femminile
singolare
entusiast-a
entusiast-a
plurale
entusiast-i
entusiast-e
Appartengono a questa categoria gli aggettivi in:





-ista: pessimista, comunista...
-cida: omicida, moschicida...
-ita: ipocrita, vietnamita ...
-asta: iconoclasta...
-ota: epirota, idiota ...
C’è infine un gruppo di aggettivi con la desinenza invariabile, che hanno cioè una sola
forma per entrambi i generi e i numeri. A questo gruppo appartengono:
 gli aggettivi in -i (pari, impari, dispari...);
 gli aggettivi indicanti colori, derivati da nomi (rosa, viola, ciclamino, indaco...);
 gli aggettivi usati in coppia o uniti a un nome, per indicare sfumature di colore (verde
pastello, giallo limone, rosa pallido, verde bottiglia, grigio ferro...);
 gli aggettivi di origine straniera (blu, snob, zulù...);
 alcuni aggettivi formati da anti- più un nome (antinebbia, antifurto, antiruggine ...);
 le locuzioni avverbiali usate come aggettivi (perbene, dabbene, dappoco...).
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1.1.3.5. Formazione
Morfologia
del plurale
Per la f o r m a z i o n e d e l p l u r a l e , generalmente, gli aggettivi seguono le stesse regole
valide per i nomi, ma è necessario considerare alcune particolarità.
Gli aggettivi che finiscono in -co (femm. -ca) formano il plurale in:
-chi (femm. -che) se sono piani: bianco/bianchi/bianche, sporco/sporchi/sporche
eccezioni: amico/amici/amiche, nemico/nemici/nemiche, greco/greci/greche;
-ci (femm. -che) se sono sdruccioli: magico/magici/magiche, politico/politici/politiche
eccezioni: carico/carichi/cariche, dimentico/dimentichi/dimentiche.
Gli aggettivi che finiscono in -go (femm. -ga) formano sempre il plurale in -ghi (femm. ghe): largo/larghi/larghe, analogo/analoghi/analoghe.
Eccezioni gli aggettivi che finiscono in -logo e -fago (femm. -loga e -faga), i quali hanno il
plurale maschile in -gi (monaco teologo/monaci teologi; popolo antropofago/popoli
antropofagi), hanno il plurale femminile regolare in -loghe e -faghe.
Gli aggettivi in -io (femm. -ia) con la i accentata formano il plurale maschile in -ii:
restio/restii, pio/pii; se la i non è accentata, formano il plurale maschile con una sola -i
(savio/savi, proprio/propri,serio/seri); il plurale femminile è regolare in -ie: restia/restie,
seria/serie.
Gli aggettivi femminili in -cia e -gia formano il plurale femminile:
in -cie e -gie quando la c e la g sono precedute da vocale (sudicia/sudicie);
in -ce e -ge quando la c e la g sono precedute da consonante (saggia/sagge)
Gli aggettivi composti formano il plurale modificando solo la desinenza finale
(paleocristiano/paleocristiani).
Bello, grande, santo e buono hanno più forme di singolare e di plurale, che dipendono
dalla lettera iniziale del nome cui si riferiscono.
bello
sing.
plur.
grande
sing.
plur.
buono
sing.
plur.
santo
sing.
plur.
-
davanti a z, ps, gn, x, s
preconsonantica
bello
zaino,
psicologo,
scoglio
begli
zaini
psicologi, scogli
grande
specchio,gnu
grandi
specchi, gnu
buono
o
zelo, psichiatra,
buoni
scherzi
zaino,
zaini
buon
scherzo
santo Stefano (solo davanti
a
s
presonantica)
santi
Stefano e Luigi
davanti
alle
altre
consonanti
bel
cane,
libro
viso
bei cani, libri visi
belli i cani, i libri, i
visi
gran o grande sogno,
pranzo,
fascino
grandi o gran sogni,
pranzi, fascini
davanti a vocale
buon
biscotto,
buoni
biscotti, gatti
buon
amico,
umore,
ancoraggio
buoni
amici,
umori, ancoraggi
sant’
Antioco
padre,
gatto
padri,
san Giulio, Francesco
Saverio
santi Pietro e Paolo
bell’
uomo,
armadio,
emporio
begli
uomini
armadi, empori
grande
amico,
amore
grandi
amici,
amori
santi Aimo
Vermondo
e
davanti
al
femminile
bella
donna,
amica, stagione
belle
donne
amiche,
stagioni
gran o grande
donna, amica,
storia
grandi donne,
amiche, storie
buona (buon’)
amica,
buona zia, torta
buone amiche,
zie, torte
santa Paola o
sant’
Adele
sante Teresa e
Maria
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dopo
sostantivo
cane,viso,,
libro bello
il
sogno,pranzo,
fascino grande
sogni, pranzi,
fascini grandi
padre, biscotto,
gatto
buono
padri, biscotti,
gatti buoni
======
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1.1.3.6. La
Morfologia
concordanza
Un aggettivo qualificativo non può mai essere usato da solo, deve essere sempre legato a
un sostantivo, direttamente o indirettamente, per esempio tramite un verbo. Per questo
motivo, l’aggettivo deve concordare in genere e numero con il nome cui si riferisce:
gatto grigio, gatta grigia, gatti grigi, gatte grigie
ragazzo felice, ragazza felice, ragazzi felici, ragazze felici
Quando l’aggettivo accompagna un solo nome, l’applicazione della regola risulta semplice;
quando, invece, l’aggettivo si riferisce a più sostantivi, bisogna distinguere:
 con più nomi di genere maschile --> concordanza al plurale maschile:
Marco e Andrea sono simpatici.
Ho acquistato un tavolo e due divani antichi.
 con più nomi di genere femminile --> concordanza al plurale femminile
Francesca e Marta sono simpatiche.
È un uomo di intelligenza e volontà straordinarie.
 con nomi di genere e numero diversi --> concordanza al plurale maschile:
Marco e Francesca sono simpatici.
Possiedo guanti e sciarpa rossi.
Mandarini e arance profumati colmavano il vassoio.
Se i nomi di genere diverso sono entrambi plurali, la concordanza può avvenire anche col
nome più vicino (Ho comprato maglioni e camicie nuove); siccome questa soluzione può
generare confusione, è preferibile usare l’aggettivo al plurale maschile (Ho comprato
maglioni e camicie nuovi). Se l’aggettivo è preceduto da un articolo si dice aggettivo
sostantivato ad esempio: gli antichi
1.1.3.7. La posizione
dell’aggettivo qualificativo
L’aggettivo qualificativo può essere posto sia prima sia dopo il nome cui si riferisce. In
generale, l’aggettivo posto prima del nome esprime una maggiore soggettività, una certa
enfasi emotiva o una ricercatezza stilistica; quello posto dopo il nome ha rilievo particolare:
Apparvero in lontananza riarsi terreni.
Apparvero in lontananza terreni riarsi.
L’aggettivo riarsi indica in entrambe le frasi una qualità di terreni: nella prima frase dà
maggior risalto al nome, nella seconda assume esso stesso un rilievo maggiore.
A volte, posto prima del nome, l’aggettivo ha un valore puramente descrittivo; posto dopo
assume un valore restrittivo:
Usa di preferenza i vecchi giocattoli;
Usa di preferenza i giocattoli vecchi. (non quelli nuovi)
In alcuni casi, però, la diversa posizione dell’aggettivo determina un totale cambiamento di
significato; questo accade in espressioni come quelle che seguono e in parecchie altre simili:
pover’uomo = uomo meschino, di basso livello morale;
uomo povero = uomo non ricco, privo di mezzi;
diverse occasioni = numerose occasioni;
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Morfologia
occasioni diverse = occasioni di vario tipo.
Ci sono, inoltre, alcuni aggettivi per i quali la posizione è fissa, essi vanno cioè collocati
dopo il nome; sono quelli che indicano:




nazionalità: donna messicana, ragazzo tedesco ...
forma: cesto ovale, tavolo rettangolare ...
materia: terreno argilloso, roccia calcarea ...
colore: calze blu, gonna nera, maglione giallo ...
Fanno parte di questa categoria anche gli aggettivi alterati: una bimba grassottella, un
uomo magrolino ... e quelli seguiti da un complemento: un testo ricco di spiegazioni, un piano
opaco di polvere ...
1.1.3.8. L’aggettivo
sostantivato e con valore avverbiale
La funzione principale dell’aggettivo è quella di accompagnare un nome, per qualificarlo o
determinarlo meglio. Talvolta, però, l’aggettivo assume la funzione del nome; ciò si verifica
quando viene s o s t a n t i v a t o con l’articolo:
 Rispetta i coraggiosi = Rispetta gli uomini coraggiosi.
 Arrivano delle straniere = Arrivano delle donne straniere.
L’uso di alcuni aggettivi sostantivati è così consolidato che, in quelle parole, l’originario
valore di aggettivo non è più avvertito: il caldo, il quotidiano, il futuro, i mondiali, i poveri,
ecc...
Quando un aggettivo qualificativo anziché riferirsi a un nome, accompagna un verbo,
modificandolo o qualificandolo meglio, esso ha valore di avverbio e si definisce aggettivo
con valore avverbiale:




Cammina piano. (in modo lento)
Lavorano duro. (duramente)
Parlate chiaro. (chiaramente)
Ho visto giusto. (in modo giusto)
1.1.4. Verbo
Il verbo è una parte del discorso variabile, che indica un’azione che il soggetto compie o
subisce, l’esistenza o uno stato del soggetto, il rapporto tra il soggetto e il nome del predicato.
Alcuni esempi in lingua italiana:




Il tacchino mangia. (il soggetto compie un’azione)
Il tacchino è mangiato. (il soggetto subisce un’azione)
L’essere è, il nulla non è. (esistenza del soggetto)
Paolo è arrabbiato. (rapporto tra soggetto e nome del predicato)
1.1.4.1. Tempo
dei verbi
Il t e m p o v e r b a l e colloca l’azione in un asse cronologico, tanto assolutamente quanto
relativamente ad un certo termine. Nel secondo caso il tempo evidenzia tra due frasi del
periodo un rapporto di contemporaneità o di non contemporaneità.
I tempi verbali vengono indicati come “semplici” o “composti” a seconda che siano
costituiti da una forma singola o dall’insieme di verbo ausiliare e participio passato.
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Morfologia
1.1.4.1.1. Tempi
composti
Per t e m p i c o m p o s t i si intendono le forme verbali composte da una forma coniugata di
un verbo ausiliare e dal participio passato del verbo coniugato:

io ho preso, tu eri andata, se noi fossimo rimasti, egli avrebbe detto.
Gli esempi riportati rappresentano rispettivamente il passato prossimo, il trapassato
prossimo, il congiuntivo trapassato ed il condizionale passato, tutti tempi composti formati
con essere oppure avere.
1.1.4.1.2. Tempi
semplici
I t e m p i s e m p l i c i sono invece quelli che coniugano direttamente il verbo senza uso di
ausiliare:

io prendo, tu andavi, se noi rimanessimo, egli direbbe.
Gli esempi indicano rispettivamente il presente, l’imperfetto, il congiuntivo imperfetto ed
il condizionale presente.
Ad un tempo semplice corrisponde uno composto. Esempio: a Noi andremo, futuro
semplice, corrisponde noi saremo andati, futuro anteriore, quindi un tempo composto.
I tempi semplici e composti sono raggruppati nei modi della lingua italiana, che sono sette.
1.1.4.2. Modo
dei verbi
Il m o d o d i u n v e r b o indica:
 l’atteggiamento che un parlante instaura con il proprio interlocutore
 l’atteggiamento che un parlante assume in rapporto alla propria comunicazione
1.1.4.2.1. Finiti.
I modi veri e propri sono quelli detti “f i n i t i ”:
 l’indicativo presenta la realtà di un fatto: tale realtà può essere provata vera o falsa. Ha
otto tempi:
Quattro semplici
Chiamati così perché non hanno bisogno di un
verbo ausiliare

presente

imperfetto

passato remoto

futuro semplice
Quattro composti:
Che invece necessitano di un
ausiliare

passato prossimo

trapassato prossimo

trapassato remoto

futuro anteriore
 il congiuntivo presenta un fatto, un’azione o un processo secondo le marche del
desiderio, del timore, della volontà o della supposizione, senza che quindi si possa
ragionevolmente avanzare un giudizio di verità. Ha quattro tempi:
Due semplici:

presente

imperfetto
Due composti:

passato

trapassato
 il condizionale sottolinea la presenza di un condizionamento concreto o virtuale sulla
realtà di un fatto, di un’azione o di un processo. Ha due tempi: il presente, (semplice) e il
passato, (composto).
 l’imperativo rinvia al desiderio di orientare le azioni dell’interlocutore attraverso un
comando, una esortazione, una preghiera. È il modo delle richieste, degli ordini, degli inviti.
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Morfologia
Ha solo la seconda persona (tu e voi) e un solo tempo, il presente. Alcune grammatiche
contemplano un imperativo futuro del tutto identico al futuro semplice dell’indicativo.
1.1.4.2.2. Modi
indefiniti
Questi modi non permettono di identificare la persona e il numero (fatta eccezione per il
participio, in cui si può distinguere il singolare dal plurale). Sono detti anche “forme nominali
del verbo”, perché vengono spesso usati col valore di un nome o di un aggettivo.
Infinito: È la forma base del verbo. Si usa in dipendenza da un altro verbo (es.: “Sai
guidare una motocicletta? “), ma si può usare anche come verbo principale per indicare
ordini, desideri, eccetera (es.: “Uscire,uscire fuori, subito!”). Ne esistono il tempo presente
(“riflettere”) e passato (“aver riflettuto”).
Participio: È simile a un aggettivo e, per questo, può indicare il numero e talvolta anche il
genere (p. es., il participio mangiata indica un femminile singolare). Si usa con i verbi
ausiliari nella costruzione dei tempi composti. Ha due tempi, il presente (“riflettente”) e il
passato (“riflettuto”).
Gerundio: Si usa nelle subordinate per esprimere un certo tipo di rapporto con la reggente.
Ha due tempi: il presente (“riflettendo”) e il passato (“avendo riflettuto”).
1.1.4.3. Diatesi
“La d i a t e s i esprime il rapporto del verbo con il soggetto o l’oggetto”. Essa può essere:




a t t i v a : il soggetto compie un’azione
p a s s i v a : il soggetto subisce l’azione
r i f l e s s i v a : il soggetto compie un’azione per sé
m e d i a : indica una certa intensità della partecipazione del soggetto all’azione
1.1.4.4. Verbi
ausiliari
Un v e r b o a u s i l i a r e (dal latino auxilium, aiuto) è un verbo utilizzato in combinazione ad
un altro per dare un particolare significato della forma verbale. Questo è evidente, in italiano,
nella formazione di tempi composti come il passato prossimo o il trapassato prossimo:

Ho fatto

Ero andato.
Si tratta delle forme dei verbi fare ed andare; questi vengono coniugati con l’ausilio dei
verbi avere (ho fatto) ed essere (ero andato).
Essenzialmente vengono considerati come ausiliari in italiano i verbi essere ed avere. Il
primo viene usato anche per la costruzione del passivo (la torta è stata mangiata) e per la
formazione dei tempi composti al riflessivo (mi sono alzato).
Essere e avere non sono gli unici verbi usati come ausiliari della lingua italiana. È
utilizzato anche il verbo venire al posto di essere nella forma passiva dei tempi semplici, per
esempio viene chiamato al posto di è chiamato. Il verbo andare, combinato al passivo, indica
una necessità: il direttore va chiamato equivale a il direttore deve essere chiamato.
1.1.4.4.1. Ausiliare
coi verbi servili
Qualche perplessità può nascere nella scelta dell’ausiliare coi verbi servili (ma più in
generale in tutti i casi verbi che reggano direttamente un infinito) nella composizione dei
tempi composti; in generale viene consigliato di usare l’ausiliare proprio del verbo retto (negli
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Morfologia
esempi sottolineato), ma sviscerando la casistica emerge un quadro normativo decisamente
più complesso, ma anche più elastico di quanto non sembri:
 Se il verbo retto è essere, l’ausiliare prescritto dalle grammatiche maggiori e
dell’Accademia della Crusca è sempre avere: ha voluto essere (va però segnalato che alcune
grammatiche minori e scolastiche ammettono pure l’ausiliare essere).
 Se il verbo retto è un transitivo non pronominale (vedi sotto), l’ausiliare è sempre
avere (avrebbe voluto amare) anche con la diatesi passiva (avrebbe voluto essere amato).
 Se il verbo retto è un intransitivo non pronominale, l’ausiliare è quello richiesto dal
verbo retto (ho potuto parlare; sono potuto entrare), ma l’ausiliare essere, se non preceduto
da un pronome atono, può essere sostituito da avere (ho potuto entrare) (in questi casi,
anticamente, l’ausiliareavere veniva utilizzato per porre l’accento sull’aspetto modale del
verbo servile; essere, invece, sul senso proprio del verbo retto; oggi tali sfumature non sono,
però, più avvertite). Se però il verbo può essere usato sia come transitivo che come
intransitivo con differenze di significato, anche lievi, l’ausiliare sarà per forza sempre avere
nel primo caso, essere nel secondo.
 Nei casi precedenti, se il verbo non pronominale è accompagnato da pronome atono:
o se il pronome è proclitico (anteposto al servile), l’ausiliare è quello richiesto
dal verbo retto (lo avrebbe voluto amare; gli ho potuto parlare; ci sono potuto
entrare)
o se il pronome è enclitico (unito all’infinito), quando l’ausiliare è essere può
essere sostituito da avere (sono potuto entrarci; ho potuto entrarci).
 Quando il verbo è pronominale:
o se il pronome è proclitico, l’ausiliare è sempre essere (si sarebbero potuti
amare)
o se il pronome è enclitico, l’ausiliare è sempre avere (avrebbero potuto amarsi)
1.1.4.5. Verbi
servili
I v e r b i s e r v i l i ( o m o d a l i ) , funzionano normalmente come verbi ausiliari. Come le
copule i verbi servili sono una classe ristretta e piccola. La loro caratteristica sintattica più
importante è l’espansione ad infinito puro, quindi la proprietà di precedere immediatamente il
verbo all’infinito. In unione con l’infinito di un altro verbo modificano il loro significato.
I verbi servili sono quelli che reggono l’infinito di un altro verbo, attribuendo all’azione
una specifica modalità. I verbi servili esprimono p.e. desiderio, proposito, possibilità,
permesso, capacità o necessità. In Italiano i verbi servili classici sono dovere, potere, volere
più sapere (nel senso di ‘essere capace’ ‘essere in grado di’) e solere.
Esempi:
necessità, obbligo: Devo finire gli esercizi
possibilità: Posso venire alle 9
volontà: Voglio andarmene velocemente
capacità: So camminare senza di te.
Quali siano i verbi modali di una lingua è sempre questione discussa, il che si rispecchia in
italiano nella domanda se sapere sia o no un verbo modale.
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Morfologia
1.1.4.5.1. Analisi
logica dei verbi servili
In analisi logica i verbi servili costituiscono un solo predicato verbale con il verbo
all’infinito da loro retto.
Esempi
1) Devo andare a scuola.
Analisi logica
Io: soggetto sottinteso
devo andare: predicato verbale
a scuola: complemento di moto a luogo
2) Non posso venire alle cinque.
Analisi logica
Io: soggetto sottinteso
non: negazione
posso venire: predicato verbale
alle cinque: complemento di tempo determinato
1.1.4.6. Verbi
transitivi e intransitivi
T r a n s i t i v i t à e i n t r a n s i t i v i t à sono funzioni grammaticali che il verbo, nel caso
esprima un’azione o uno stato del soggetto, può assumere in determinati sistemi linguistici.
Tradizionalmente, i grammatici hanno indicato nella transitività di un verbo la capacità di far
passare l’azione dal soggetto all’oggetto.
Un assunto di base può essere la considerazione che una proposizione costruita intorno ad
un verbo transitivo può essere rovesciata nella forma passiva:
 Marco (soggetto) ha scritto (verbo transitivo in forma attiva) una lettera
(complemento diretto).
diventa
 Una lettera (soggetto grammaticale) è stata scritta (verbo in forma passiva) da Marco
(complemento d’agente, il soggetto logico).
Questo stesso rovesciamento non è possibile con i verbi intransitivi:
 Il cane abbaia.
Come si vede, un verbo usato intransitivamente ha solo un argomento (il soggetto), mentre
in proposizioni che usino verbi transitivi possono presentarsene un numero maggiore:
 Claudio (1) apre la porta (2) con la chiave (3).
1.1.4.6.1. Proprietà
semantica
Si potrebbe a prima vista ritenere che l’intransitività o la transitività siano proprietà
immutabili di ciascun verbo, caratterizzandosi come proprietà semantica. È stata anzi questa
la tendenza della grammatica tradizionale, fondata spesso sulla propensione a costruire un
armamentario concettuale per la linguistica fondato sul significato. La distinzione tra
transitività e intransitività, pur avendo un buon valore descrittivo, è poco scientifica. Di fatto,
l’una e l’altra vengono rivelate in base al contesto, in particolare in base alle caratteristiche
del predicato verbale.
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Morfologia
Nello specifico, transitività e intransitività di un verbo, intese tradizionalmente, sono
proprietà di un verbo che attengono alla sua non disposizione a reggere un oggetto.
L’intransitività sarebbe dunque appannaggio dei verbi che non contemplano un oggetto o
demandano il compito della reggenza dell’oggetto (di solito ad una preposizione). In sostanza,
le nozioni di transitività e intransitività si fondano sulla nozione di complemento oggetto,
inteso come persona o cosa su cui si trasferisce l’azione del soggetto. Così abbiamo:
 Mario picchia Luigi
in cui l’azione del soggetto “Mario” si trasferisce all’oggetto “Luigi” per il tramite del
verbo. Il trasferimento avviene senza l’uso di preposizioni, per cui “Luigi” risulta in questo
caso un complemento diretto. Di fatto, la nozione di “trasferimento dell’azione”, propria della
connessione tra verbi transitivi e intransitivi, da un lato, e complementi oggetto, dall’altro è un
“concetto ingenuo”, come si comprende considerando alcuni usi:
 Tutti i verbi transitivi possono essere usati in senso assoluto (o intransitivo):
o Giovanni vi scrive.
o Alfio legge.
 Molti verbi intransitivi descrivono un’azione che di fatto “passa” all’oggetto (come
accade con i verbi transitivi) o che comunque risulta chiara solo in presenza di un oggetto:
o Rinuncio a quest’idea
o Le mie opere giovano anche a te
o Mi piace giocare a calcio.
Tali verbi sono detti “transitivi indiretti”: sono verbi intransitivi particolarmente bisognosi
di un oggetto su cui far passare l’azione (il che avviene attraverso un complemento indiretto).
 Molti verbi intransitivi possono reggere un complemento diretto, detto “complemento
oggetto interno”:
o Vivere la vita.
o Giocare un gioco
Il complemento risulta in questi casi “strettamente collegato al verbo sul piano semantico”.
 I verbi intransitivi possono spesso essere usati in senso transitivo:
o Quel tipo mi abbaia un rimprovero.
o Questo stress ti invecchierà il volto.
 In generale, è possibile che un verbo assuma un diverso significato a seconda dell’uso
transitivo o intransitivo:
o Quell’investimento lo rovinò.
o La slavina rovinò sulla capanna.
 Ancora, è possibile che un verbo assuma un diverso significato a seconda che venga
costruito con un complemento diretto o indiretto:
o Stiamo cercando di assistere il sig. Rossi.
o Stiamo cercando di assistere alla recita che vede Marco protagonista.
 Un altro tipico esempio è quello del verbo “credere”:
o di tante belle parole Renzo non ne credette una. (“credere qualcosa” significa
“dare qualcosa per vero”)
o Credere a qualcuno significa “prestare fede a qualcuno”.
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Morfologia
 La proprietà transitiva o intransitiva di un verbo è anche legata agli usi dei secoli
passati, come nei seguenti esempi dall’italiano:
o Somiglia un Apollo quel giovine...
o il rubarono.
Ma si vedano anche le seguenti frasi:
o Giovanni ha fatto il bravo.
in cui “il bravo” non risulta essere un complemento oggetto tradizionalmente inteso, per
cui dovrebbe essere allo stesso titolo possibile una frase come:
o Il bravo è stato fatto da Giovanni.
1.1.4.7. Verbi
impersonali
I v e r b i i m p e r s o n a l i sono quei verbi che non hanno il soggetto e sono alla terza
persona ed il loro ausiliare è il verbo essere. La maggioranza di questi verbi impersonali
indicano condizioni atmosferiche: nevicare, grandinare, piovere, diluviare, albeggiare... Ma
ci sono anche altri verbi che necessitano dell’ausiliare essere: bisognare, necessitare...
1.1.4.8. Verbi
fraseologici
I v e r b i f r a s e o l o g i c i sono quelli che, posti prima di un verbo all’infinito, ne precisano
un aspetto temporale. Qualche esempio: cominciare a, stare per, iniziare a, mettersi a,
persistere nel, continuare a, smettere di, finire di, eccetera. Un fraseologico particolare è
quello formato dal verbo stare seguito dal gerundio. Essi uniti ad un altro verbo esprimono
l’aspetto dell’azione. Si uniscono ad un infinito oppure ad un gerundio con cui formeranno un
unico predicato verbale. Essi si dividono in 5 gruppi:
1) L’imminenza di un’azione: stare per, accingersi a, essere sul punto di, stare lì lì, ecc.
2) L’inizio di un’azione: cominciare a, mettersi a, prendere a,
3) Lo svolgimento di un’azione: stare, andare e venire + gerundio
4) La durata e la continuità di un’azione: continuare a, insistere a, ostinarsi a + infinito
5) La conclusione di un’azione: finire di, cessare di, smettere di + infinito
1.1.4.9. Coniugazione
dei verbi
Per c o n i u g a z i o n e si intende la flessione del verbo, ossia la sua variabilità di forme. Per
esempio, una forma verbale come mangio può essere cambiata a seconda del tempo: Io
mangio; io mangiavo. In questo caso, si tratta del presente e dell’imperfetto.
In italiano, si parla anche di 1a, 2a e 3a coniugazione per indicare i verbi che all’infinito
terminano rispettivamente in -are, -ere ed -ire. Spesso le forme coniugate delle tre
coniugazioni si distinguono per un’unica vocale, detta tematica.
Nella coniugazione delle forme semplici (eccettuati il futuro semplice ed il passato
remoto), l’accento tonico cade sulla radice nelle forme al singolare e nella terza plurale (loro),
mentre nelle forme in noi e voi cade sulla desinenza. Ad esempio, per il presente indicativo
del verbo amare si avrà: àmo, àmi, àma, amiàmo, amàte, àmano. Durante l’apprendimento
della lingua, possono creare alcune difficoltà alcune forme con comportamenti devianti nel
presente ed in altre forme semplici. Il verbo abitare conserva l’accento sulla penultima sillaba
nelle forme in noi e voi, ma ha una coniugazione ricca di forme sdrucciole: àbito, àbiti, àbita,
abitiàmo, abitàte, àbitano. Similmente: dèdico eccetera.
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1.1.4.10. La prima
Morfologia
coniugazione
In italiano, la p r i m a c o n i u g a z i o n e verbale è quella dei verbi aventi l’infinito in -are,
erede della prima coniugazione latina. È la coniugazione col maggior numero di verbi e col
minor numero di irregolari (soltanto quattro di base: andare, dare, fare, stare, e i derivati), e
l’unica tuttora produttiva per la formattazione dei neologismi.
Indicativo
Presente Imperfetto
Passato
remoto
parl-ài
parl-àsti
parl-ò
parl-àmmo
Futuro
semplice
parl-erò
parl-erài
parl-erà
parl-erémo
parl-o*
parl-àvo
parl-i*
parl-àvi
parl-a*
parl-àva
parlparl-avàmo
iàmo
parl-avàte
parl-àste
parl-eréte
voi parl-àte
parl-àvano
parl-àrono
parl-erànno
essi parlano*
* Sulle voci rizotoniche non è stato segnalato l’accento poiché
radice a seconda del verbo.
io
tu
egli
noi
Presente
Passato
Infinito
parl-àre
avere parlato
Congiuntivo
Presente Imperfetto
Condizionale
Presente
Imperativo
parl-i*
parl-i*
parl-i*
parliàmo
parl-iàte
parl-ino*
parl-erèi
parl-erésti
parl-erèbbe
parl-erémmo
parl-a*
parl-i*
parl-iàmo
parl-eréste
parl-erèbbero
parl-àte
parl-ino*
parl-àssi
parl-àssi
parl-àsse
parlàssimo
parl-àste
parl-àssero
impredicibile, potendo cadere su qualsiasi sillaba della
Participio
parl-ànte
parl-àto
Gerundio
parl-àndo
avendo parlato
1.1.4.10.1. Particolarità
della coniugazione
 Per i verbi in -gnare (sognare), la tradizione grammaticale ammette una doppia grafia
nelle voci rizoatone con desinenze inizianti per i- (4^ persona dell’ind. pres., e 4^ e 5^ del
cong. pres.): una con -i- (sogniàmo), e una senza (sognàmo); anche se la prima rimane la
scelta più caldeggiata dalle grammatiche e dai linguisti per una questione di omogeneità
delle desinenze, pur essendo la -i-, in questo caso, un semplice segno diacritico.
 I verbi in -care (stancare) a -gare (negare) mantengono il valore velare (/k/ e /g/) della
loro consonante radicale per tutta la coniugazione, perciò prendono il diacritico -h- davanti
alle desinenze inizianti per i- (stanchiamo) e per e- (negherò).
 I verbi in -ciare (cacciare) a -giare (mangiare) perdono di regola la -i-, che abbia
soltanto valore diacritico, davanti alle desinenze inizianti per e- (cacc-erò; mang-erebbe);
l’unica reale eccezione è il verbo sciare, dove la i ha sempre valore fonologico, venendo
effettivamente pronunciata in tutta la coniugazione: scierò (/ʃie’rɔ/), scierai (/ʃie’rai/), ecc.
 I verbi in -gliare perdono la -i- della radice con le con desinenze inizianti per i-.
 I verbi in -iare (inviare; annaffiare) davanti a desinenze inizianti per i-, perdono
sempre la -i- radicale nelle voci rizoatone (4^ persona dell’ind. pres., e 4^ e 5^ del cong.
pres.): inv-iàmo, (che) voi iniz-iàte . Nelle voci rizotoniche (2^ persona dell’ind. pres., e 1^,
2^, 3^ e 6^ del cong. pres.) il comportamento varia: se la -i- è tonica si mantiene (invìi, che
egli invìi, che essi invìino), se è atona si perde (tu annàff-i, che egli annàff-i, che essi innàffino).
 I verbi in -eare (creare) presentano una doppia -ee- in tutte le voci del futuro semplice
e del condizionale presente, per la compresenza della e radicale a fianco di quella
desinenziale: creerò, creerebbe.
1.1.4.11. La seconda
coniugazione
In italiano, la s e c o n d a c o n i u g a z i o n e verbale è quella dei verbi aventi l’infinito in -ere
e -rre (per sincope delle penultima vocale), erede della seconda e terza coniugazione latina.
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Morfologia
Contiene all’incirca un migliaio di verbi a lemma nei dizionari, nonché la stragrande
maggioranza dei verbi irregolari.
Indicativo
Presente Imperfetto
Passato
remoto
tem-éi/ètti
tem-ésti
tem-é/ètte
tem-émmo
Futuro
semplice
tem-erò
tem-erài
tem-erà
tem-erémo
tem-o*
tem-évo
tem-i*
tem-évi
tem-e*
tem-éva
temtem-evàmo
iàmo
tem-evàte
tem-éste
tem-eréte
voi tem-éte
tem-évano
temtem-erànno
essi temono*
érono/èttero
* Sulle voci rizotoniche non è stato segnalato l’accento poiché
radice a seconda del verbo.
io
tu
egli
noi
Presente
Passato
Infinito
tem-ére
avere temuto
Congiuntivo
Presente Imperfetto
Condizionale
Presente
Imperativo
tem-a*
tem-a*
tem-a*
temiàmo
tem-iàte
tem-ano*
tem-éssi
tem-éssi
tem-ésse
tem-éssimo
tem-erèi
tem-erésti
tem-erèbbe
tem-erémmo
tem-i*
tem-a*
tem-iàmo
tem-éste
tem-éssero
tem-eréste
tem-erèbbero
tem-éte
tem-ano*
impredicibile, potendo cadere su qualsiasi sillaba della
Participio
tem-ènte
tem-ùto
Gerundio
tem-èndo
avendo temuto
1.1.4.11.1. Particolarità
della coniugazione
 I verbi in -(s)cere e -gere mutano il valore fonologico della -c- e della -g- a seconda
dalla vocale desinenziale in conformità con le regole ortografiche, quindi con pronuncia /ʧ/
(o /ʃ/) e /ʤ/ davanti a i- e e-, e/k/ (o /sk/) e /g/ (vinc-o, cresc-a, piang-ono)davanti a a- e o-;
ma non davanti a u- perché in -(s)cere prendono il diacritico -i- mantenendo intatta
pronuncia (cresc-i-uto).
 Tutti i verbi in -ngere ammettano una variante antica e/o popolareggiante in -gn- /ɲɲ/
(permutazione del -ng-) nelle voci con desinenze inizianti in e- e i- (piagn-erai, dipigniamo).
 Per tutti i verbi in -gnere (ormai soltanto il verbo spegnere) o tutti quelli che nella
coniugazione possono mutare in -gn- /ɲɲ/ la tradizione grammaticale ammette una doppia
grafia con le desinenze inizianti per i- (4^ persona dell’indicativo presente, e 4^ e 5^ del
congiuntivo presente): una con -i- (spegn-iamo), e una senza (spegn-amo). Tuttavia la prima
scelta rimane la più caldeggiata dalle grammatiche e dai linguisti per questioni di
omogeneità con le altre coniugazioni e soprattutto per la possibilità di permutazione del -gn, pur essendo la -i- un semplice segno diacritico.
 I verbi in -iere perdono sempre la -i- davanti alle desinenze inizianti per i- (compiamo).
 Il passato remoto alla 1ª, 3ª e 6ª persona vede concorrere due desinenze -ei e -etti, le
quali possono essere entrambe in uso, magari con una maggiore preferenza per una forma
sola, oppure mutuamente escludentisi. In genere si è notato che i verbi con -t nella radice si
coniugano preferibilmente con la desinenza in -ei, mentre gli altri con -etti, ma non è una
regola assoluta, vedi il passato insistetti; inoltre, a fianco di queste forme deboli (definite
deboli perché rizoatone), nei verbi irregolari esistono spesso delle forme forti (rizotoniche)
largamente più in uso e diffuse.
1.1.4.12. La terza
coniugazione
In italiano, la t e r z a c o n i u g a z i o n e verbale è quella dei verbi aventi l’infinito in -ire,
erede della quarta coniugazione latina. Contiene all’incirca un migliaio di verbi a lemma nei
dizionari di cui la stragrande maggioranza incoativi, cioè verbi che formano regolarmente la
coniugazione con l’aggiunta di un infisso in alcune voci verbali.
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Indicativo
Presente Imperfetto
Morfologia
Passato
remoto
serv-ìi
serv-ìsti
serv-ì
serv-ìmmo
Futuro
semplice
serv-irò
serv-irài
serv-irà
serv-irémo
Congiuntivo
Presente Imperfetto
serv-o*
serv-ìvo
serv-i*
serv-ìvi
serv-e*
serv-ìva
servserv-ivàmo
iàmo
serv-ivàte
serv-ìste
serv-iréte
voi serv-ìte
serv-ìvano
serv-ìrono
serv-irànno
essi servono*
* Sulle voci rizotoniche non è stato segnalato l’accento poiché
radice a seconda del verbo.
io
tu
egli
noi
Presente
Passato
Infinito
serv-ìre
avere servito
Condizionale
Presente
serv-a*
serv-ìssi
serv-irèi
serv-a*
serv-ìssi
serv-irésti
serv-a*
serv-ìsse
serv-irèbbe
servserv-ìssimo serv-irémmo
iàmo
serv-iàte
serv-ìste
serv-iréste
servserv-ìssero
serv-irèbbero
ano*
impredicibile, potendo cadere su qualsiasi
Participio
serv-ènte
serv-ìto
Imperativo
serv-i*
serv-a*
serv-iàmo
serv-ìte
serv-ano*
sillaba della
Gerundio
serv-èndo
avendo servito
1.1.4.12.1. Particolarità
della coniugazione
 Buona parte dei verbi della terza coniugazione, chiamati tradizionalmente verbi
incoativi sono verbi che nelle voci altrimenti rizoatone (1^,2^, 3^ e 4^ persone del presente
indicativo e congiuntivo) presentano l’infisso -isc- tra radice e desinenza verbale (ader-isco, ammorbid-isc-ano); alcuni verbi presentano regolarmente entrambe le forme (ment-o e
ment-isc-o), ambedue regolari, generalmente con dominanza nell’uso di una delle due, o
talvolta con specializzazione nel significato (parto (mi allontano); partisco (divido)).
 Non esiste una regola per stabilire quali verbi richiedano l’infisso -isc-, tuttavia i verbi
in -(c)hire, -cire, -gire e -glire (gli unici che presenterebbero problemi nel coniugare le voci
rizoatone avendo vocali diverse da i- e e-) sono incoativi, ad eccezione di cucire, fuggire,
(ri)uscire, e i rispettivi derivati:
 - cucire mantiene inalterato il valore della -c- ([ʧ]) in tutta la coniugazione,
aggiungendo una -i- diacritica nelle voci rizoatone (cuc-i-o, cuc-i-ano).
- fuggire muta la pronuncia della -g- in [g] nelle voci rizoatone (fugg-o, fugg-ano),
adattandola secondo le regole ortografiche.
- (ri)uscire è verbo irregolare.
 Per i verbi in -gnire la tradizione grammaticale ammette una doppia grafia nelle voci
rizoatone con desinenze inizianti per i- (4^ persona dell’indicativo presente, e 4^ e 5^ del
congiuntivo presente): una con -i- (insigniàmo), e una senza (insignàmo); anche se la prima
rimane la scelta più caldeggiata dalle grammatiche e dai linguisti per una questione
d’omogeneità delle desinenze, pur essendo la -i-, in questo caso, un semplice segno
diacritico.
 Il participio presente di alcuni verbi presente una desinenza latineggiante in -iente
(sapiente) che talvolta convive accanto a quello semplice (dormente e dormiente) oppure
specializzato unicamente come aggettivo participiale (saliente).
1.1.4.12.2. Participi
Participio
Verbo
latineggiante
adempire
adempiente
dormire
empire
dormiente
empiente
esaurire
finire
esauriente
finiente
in -iente
participio
regolare
Note
Esistendo anche la variante adempiere, il participio può essere anche
considerato come una forma regolare di quest’ultimo
dormente
Esistendo anche la variante empiere, il participio può essere anche
considerato come una forma regolare di quest’ultimo
finente
Solo d’uso letterale finiente
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impedire
lenire
nutrire
partorire
percepire
progredire
riempire
salire
scaturire
seppellire
ubbidire
udire
venire
impediente
leniente
nutriente
partoriente
percepiente
progrediente
riempiente
saliente
scaturiente
seppelliente
ubbidiente
udiente
veniente
Morfologia
impedente
lenente
nutrente
percepente
progredente
salente
scaturente
seppellente
Solo d’uso letterale scaturiente
Anche obbediente < obbedire
udente
Presente anche in tutti i verbi derivati
1.1.5. Pronome
In linguistica e in grammatica, il p r o n o m e o sostituente (dal latino pronomen, “al posto
del nome”) è una parte del discorso che si usa per sostituire una parte del testo precedente
(anafora) o successivo (catafora) oppure per riferirsi a un elemento del contesto in cui si
svolge il discorso (funzione deittica). Di conseguenza per interpretare un pronome occorre
fare riferimento rispettivamente al cotesto (o contesto linguistico) o al contesto. In tutte le
lingue i pronomi esistono in un numero limitato (è cioè una classe chiusa). Il pronome può
sostituire anche altre parti del discorso; ad esempio:
 un aggettivo: Ti credevo intelligente, ma non lo sei;
 un sintagma o frase: Marta mi ha telefonato e questo mi ha fatto molto piacere;
 un altro pronome: Invece del mio profumo ho preso il tuo, che è meno speziato.
I pronomi indefiniti e interrogativi fanno da segnaposto per entità sconosciute o
imprecisate.
1.1.5.1. Tipi
di pronomi

Pronome personale

Pronome possessivo

Pronome dimostrativo

Pronome indefinito

Pronome interrogativo ed esclamativo

Pronome relativo

Pronome numerale
Possessivi, dimostrativi, indefiniti, interrogativi ed esclamativi possono funzionare anche
da aggettivi; per distinguere la funzione, si deve tener presente che gli aggettivi
accompagnano il nome, mentre i pronomi lo sostituiscono.
Questi (aggett. dimostrativo) pennarelli scrivono meglio di quelli (pronome
dimostrativo) (=quei pennarelli);
Mio (aggett. possessivo) padre è più giovane del tuo (pronome possessivo) (=tuo
padre).
Dalla classificazione dei pronomi, generalmente vengono esclusi i numerali. Essi, tuttavia,
possono assumere il valore di pronome numerale ogni volta che sostituiscono un nome:
Mio fratello è il più alto dei tre (=tre uomini);
Il mio banco è il secondo (=secondo banco) della fila.
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Morfologia
1.1.5.2. Pronome personale
I p r o n o m i p e r s o n a l i sono quei pronomi che rappresentano, in funzione deittica, la
persona che parla, la persona che ascolta oppure la persona, l’animale o la cosa di cui si parla,
senza specificarne o ripeterne il nome.
Io sono pronto per la partenza, tu no;
Abbiamo discusso con loro dei risultati elettorali.
1.1.5.2.1. Forme
dei pronomi personali
I pronomi personali in italiano per la funzione soggetto sono i seguenti:
 io (singolare) e noi (plurale) indicano la persona che parla o il gruppo di persone al
quale appartiene chi parla (prima persona);
 tu (singolare) e voi (plurale) indicano la persona o le persone a cui ci si rivolge
(seconda persona);
 egli, ella, esso, essa, lui, lei (singolari) e essi, esse, loro (plurali) indicano la persona o
le persone di cui si parla (terza persona).
I pronomi personali hanno forma diversa, secondo la persona, il numero, il genere e la
funzione. Tale funzione può essere di soggetto o di oggetto. I pronomi di alcune persone
variano di forma a seconda che l’oggetto sia diretto o indiretto. I pronomi personali usati
come complemento hanno due forme:
 forma forte o tonica;
 forma debole o atona.
persona
funzione soggetto
1ª singolare
2ª singolare
io
tu
egli, esso
ella, essa
noi
voi
essi
esse
3ª singolare
maschile
femminile
1ª plurale
2ª plurale
3ª plurale
maschile
femminile
funzione complemento
forma tonica
forma atona
me
mi
te
ti
lui, sé (stesso)
lo, gli, si
lei, sé (stessa)
la, le, si
noi
ci
voi
vi
loro, sé (stessi) li, ne, si
loro, sé (stesse) le, ne, si
1.1.5.2.2. Pronomi
personali soggetto
I p r o n o m i p e r s o n a l i s o g g e t t o indicano la persona che è protagonista dell’azione o
che effettua la comunicazione.
Egli ascolta la musica rock.
In italiano, a differenza di quanto accade in altre lingue, il pronome personale soggetto è
spesso sottinteso essendo ridondante. Per questa caratteristica essa è una lingua che i linguisti
definiscono “a soggetto nullo” in contrapposizione alle lingue a soggetto obbligatorio (in
inglese il fenomeno è detto pro-drop, abbreviazione di pronoun dropping). La desinenza del
verbo, infatti, è già di per sé sufficiente ad indicare chi compie o subisce l’azione espressa dal
verbo stesso, ragion per cui il pronome soggetto diventa superfluo:
dormo = io dormo;
mangi = tu mangi;
vede = egli vede.
Vi sono casi particolari, tuttavia, in cui il pronome deve essere espresso. Ciò avviene:
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Morfologia
 quando si vuole specificare il maschile o il femminile:
Chi è stato? È stato lui. No, è stata lei;
 quando il verbo presenta la stessa forma per più persone, ad esempio nel congiuntivo
presente:
Bisogna che io sappia la novità; Bisogna che tu sappia la novità;
 quando si vuole dare rilievo al soggetto:
Certo che voi siete proprio una bella compagnia;
 quando si vogliono contrapporre più soggetti:
Io lavoro ed egli si diverte.
1.1.5.2.2.1. Approfondimento
Io, tu, noi, voi sono invariabili per genere.
Io e tu vengono sostituiti da me e te nei seguenti casi:
 nelle esclamazioni formate con un aggettivo qualificativo:
Povero me!
 dopo il verbo essere se svolgono la funzione di parte nominale:
Tu non sei me;
 nei paragoni introdotti da come e quanto:
Marco è alto quanto te;
 ma se il verbo è ripetuto si usano io e tu:
Marco è alto quanto sei alto tu;
 quando accompagnano un participio assoluto:
Sono stato deluso da molte persone, te compreso.
Il pronome di terza persona singolare e plurale presenta forme diverse in concorrenza tra
loro:
 lui e lei
si usano, seppur erroneamente, nel linguaggio comune parlato e scritto per indicare persone
e animali:
Chi è stato? È stato lui;
 egli e ella
si usano nel linguaggio parlato di alto registro e scritto di medio registro per indicare
persone:
Dante è uno dei più importanti poeti italiani. Egli ha scritto la “Divina Commedia”;
 esso e essa
si usano nel linguaggio parlato e scritto di alto registro per indicare animali o cose:
Il leone è un felino. Esso trova il suo habitat preferenziale nelle savane africane;
possono riferirsi tuttavia anche a persona:
È uno scrittore colto e sensibile, ma anch’ esso legato a una forma letteraria superata;
 loro
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Morfologia
si usa, seppur erroneamente, nel linguaggio comune parlato e scritto per indicare persone o
animali:
Loro sono andati al mare;
 essi e esse
si usano nel linguaggio parlato di alto registro e scritto di medio registro per indicare
persone, animali o cose.
Quando ci rivolgiamo a persone con cui siamo in confidenza, si usa generalmente il tu.
Con le persone con cui non siamo in rapporti di familiarità, invece, usiamo i pronomi di terza
persona Lei e (molto più raramente trattandosi di una forma ormai in disuso) Loro, validi sia
per il maschile sia per il femminile:
Venga anche Lei a controllare i risultati dell’esperimento;
Ascoltino anche Loro.
Nel Meridione è ancora diffusa la forma di cortesia con il pronome di seconda persona
plurale Voi. Esso viene usato anche nella corrispondenza commerciale quando ci si riferisce
non ad una persona fisica, ma ad una azienda, società, ufficio:
Rispondiamo alla Vostra lettera del 4/7 per comunicarVi che accettiamo la proposta.
Queste forme, dette pronomi di cortesia, si scrivono di solito con la maiuscola.
1.1.5.2.3. Pronomi
personali complemento
I p r o n o m i p e r s o n a l i c o m p l e m e n t o si usano quando nella frase il pronome svolge
una funzione diversa da quella di soggetto e cioè:
 complemento oggetto: La (lei) vedrò. – Ti (te) ascolterò.
 complemento di termine: Le (a lei) regalerò delle rose. – Ti (a te) regalo una rosa.
 gli altri complementi indiretti: Vieni con me (c. compagnia) a mangiare un gelato? –
Lavoro per lui.
Si distinguono in due forme differenziate:
1. Le f o r m e t o n i c h e o f o r t i (me, te, lui, sé, noi, voi, essi, loro ...), dette così perché
hanno un accento proprio e, quindi, assumono particolare rilievo nella frase; possono essere
usate per parecchi complementi e vengono collocate generalmente dopo il verbo:
Penso a te;
Cerco loro;
2. Le f o r m e a t o n e o d e b o l i (mi, ti, lo, gli, si, la, ci, loro ...), dette così perché non
hanno un accento proprio e per la pronuncia si appoggiano sempre al verbo che le precede
(enclitiche) o che le segue (proclitiche):
Verrà a trovarci (enclitica):
Ti dico di sì (proclitica).
Le forme atone, chiamate anche p a r t i c e l l e p r o n o m i n a l i , vengono adoperate
esclusivamente per il complemento oggetto (Verrò a trovarti = Verrò a trovare te) o per il
complemento di termine (Ti consiglio = consiglio a te). La scelta tra le forme forti o deboli è
relativa alle esigenze espressive:
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Morfologia
 se si vuole dare rilievo al pronome si usa la forma forte: Per quella partita hanno
scelto me (la forma forte me ha un valore esclusivo: chi parla sottolinea che è stato preferito
ad altri);
 se invece si desidera attenuarne la presenza, si usa la forma debole: Mi hanno scelto
per quella partita (con la forma debole mi la frase assume un tono puramente informativo: ci
si limita ad una constatazione).
1.1.5.2.3.1. Approfondimento
 Sé viene usato quando, in una proposizione, la persona, cui il pronome personale
complemento si riferisce, coincide col soggetto della frase:
Gli egoisti pensano solo a sé.
 Esso, essa, essi, esse si usano al posto di lui, lei, loro quando si tratta di animali o cose:
Le mie galline non mi danno uova, eppure dedico ad esse tante cure.
Questo zaino è eccezionale, con esso ho effettuato molte escursioni.
 Ci, vi, forme deboli di pronomi personali complemento di prima e seconda persona
plurale, equivalgono a: noi, a noi, voi, a voi:
Quel pescatore ci porterà (porterà noi) fino a Panarea.
Ci (a noi) piace la tua cucina.
Vi vedrò (vedrò voi) dopo cena.
Vi (a voi) restituirò le racchette stasera.
Queste forme possono avere una funzione avverbiale col significato di: lì, di lì, qua, di
qua, là, di là:
Ci (=là) andrò domani.
Il posto gli piaceva e decise di rimanervi (=lì).
 Ne è una forma debole di pronome di terza persona singolare e plurale e significa di
lui, di lei, di loro, da lui, da lei, da loro:
Ha un amico a Bologna e ne (=di lui) parla sempre;
 Può avere funzione avverbiale col significato di: da qui, da lì, di qui, di là:
Ve ne (=di qui) potete andare.
 Mi, ti, ci, vi, si possono essere usati in coppia con gli altri
pronomi lo, la, li, le, ne, dando vita a forma come quelle
riportate nello schema, in cui il primo pronome assume una
forma un po’ diversa (mi -> me; ti -> te; ci -> ce...).
In queste sequenze il primo elemento è un complemento di
termine, il secondo un complemento oggetto, salvo nel caso di
ne, che costituisce di solito un complemento di specificazione:
me lo te lo se lo ce lo ve lo
me la te la se la ce la ve la
me li te li se li ce li ve li
me le te le se le ce le ve le
me ne te ne se ne ce ne ve ne
Me lo disse (a me disse questo).
Te lo rese (a te rese questo).
Ce ne dia dieci (a noi dia dieci di questi).
 Gli unito con i pronomi personali lo, la, li, ne forma un’unica parola: glielo, gliela,
glieli, gliele, gliene: Glielo spiegherò di nuovo; Non gliene voglio anche se più corretto dal
punto di vista grammaticale è la scrittura staccata glie lo (vedi nota a fondo pagina)[manca!].
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Allievo maresciallo della G.d.F.
Morfologia
In genere la coppia di pronomi precede il verbo; lo segue quando è all’infinito, al gerundio o
all’imperativo e può formare con esso un’unica parola:
Se vuoi il pollo arrosto, vado a comprartelo.
Si è convinto parlandogliene.
Se hai bisogno della spesa, dimmelo.
 Le forme le lo, le la, le le, le li, le ne, derivanti dall’unione di “le” coi vari pronomi,
sono ormai state soppiantate da quelle composte con “glie-”, più scorrevoli, e sono riservati
ad ambiti molto ristretti e formali della lingua, pur essendo spesso utili onde evitare
incomprensioni.
Gliene – le ne parlai.
Glielo – le lo dissi.
 Nel linguaggio familiare gli (=a lui) tende a sostituire le, il corrispondente pronome
femminile, ma si deve evitare questo errore e usare la forma corretta:
Ho visto Mara e gli ho dato tue notizie – Ho visto Mara e le ho dato tue notizie.
 Ricorda quindi che:

gli = a lui è usato per il genere maschile;

le = a lei è usato solo per il genere femminile;
 il plurale di entrambi è loro. Quando loro è usato come complemento di termine, può
fare a meno della preposizione a, se collocato dopo il verbo:
Ho chiesto loro – Ho chiesto a loro.
 Nella lingua parlata e scritta si va sempre più diffondendo, in modo del tutto erroneo,
l’abitudine di usare gli al posto di loro (= a loro):
Mi hanno chiamato e io gli (=a loro) ho risposto; questa forma può creare equivoci.
Ad esempio: Gli ho portato dei cioccolatini. A chi? a lui oppure a loro?
Risulta più chiara e corretta la forma normale: Ho portato loro dei cioccolatini.
 In ogni caso quando “loro” è usato come complemento di termine (=a loro), si usa la
forma normale loro.
Bisogna quindi prestare attenzione a non confondere complementi di termine con semplici
complementi della preposizione semplice, onde evitare errori come:
Li ho detto (a scapito dei corretti) – Ho detto loro.
1.1.5.2.4. Influenze
dialettali
L’uso dei pronomi personali induce spesso in errore, a volte per influenza di usi dialettali.
In questa sezione sono riportati gli errori più frequenti.
Espressioni come:

Pensa te a spolverare i mobili.
sono sbagliate, perché nello standard si usa te solo come complemento. È, dunque, più
corretto dire:

Pensa tu a spolverare i mobili.
Per lo stesso motivo (te è la forma forte del pronome in funzione di complemento) è errato
dire Io e te in luogo del più corretto Io e Tu.
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Morfologia
Questo uso del pronome te anche in funzione di soggetto, diffuso in passato solo in alcune
zone del Centro e Nord Italia tra le fasce di popolazione meno acculturate, viene incentivato
da alcuni anni a questa parte dalla musica leggera. Se in passato se ne facevano degli usi
sporadici per esigenze di rima Che
cosa
c’è
Da solo non mi basto
(in italiano sono rarissime le c’è che mi sono innamorato di te stai
con
me
c’è che ora non mi importa niente
solo
è
strano
che
al
suo
posto
parole terminanti in -u che di
tutta
l’altra
gente
ci sei te, ci sei te
di
tutta
quella
gente
che
non
sei
tu
possono far rima con tu), oggi
(Nek: Laura non c’è)
(Ornella Vanoni, Gino Paoli: Che cosa c’è)
alcuni autori sostituiscono
regolarmente il tu con il te. Questo “bombardamento” mediatico ha contribuito a cambiare la
percezione di questo errore, seminando dubbi o addirittura facendo credere che l’uso del “te”
come soggetto sia corretto. Confronto: esempi di uso corretto e scorretto di tu/te in note
canzoni di musica leggera:
Le espressioni a me mi, a te ti, a lui gli sono considerate sbagliate dai normativisti perché
le forme atone mi, ti, gli, ci sono ritenute ripetizioni ridondanti. Si tratta, tuttavia, di forme
comunemente usate nella lingua parlata, le quali possono essere collegate nell’ambito della
cosiddettadislocazione a sinistra, la quale comprende anche forme del tipo «Il giornale l’ho
comprato io». La reduplicazione del pronome ha una funzione intensificativa di
evidenziazione del soggetto: «A me mi piace» ha il significato di: «è proprio a me che piace,
non a qualcun altro». La reduplicazione morfologica è un processo produttivo e trasparente
nelle lingue del mondo, compreso in italiano, come avviene ad esempio con la reduplicazione
aggettivale: «È un elefante grande grande». In spagnolo, ad esempio, la reduplicazione
pronominale è corretta e frequente: «a mì me gusta». Il meccanismo rientra dunque in una
categoria ben nota della lingua colloquiale, anche se resta comunemente sconsigliato nella
scrittura formale.
È sbagliato usare il pronome ci (o ce) per dire a lui, a lei, a loro, gli, le. Ci significa noi, a
noi; pertanto non è corretto dire:
 Ce lo dico io; Ci ho fatto vedere tutto.
La forma esatta è:
 Glielo dico io; Gli ho fatto vedere tutto.
Ugualmente sbagliate sono le espressioni diccelo, faccelo, daccelo in casi in cui il
significato è diglielo, faglielo, daglielo.
Alcuni impieghi non standard dei pronomi, diffusi nel parlato e nello scritto in tutta Italia,
sono stati recentemente inquadrati nella categoria dell’italiano neostandard.
1.1.5.2.5. Pronomi personali riflessivi
I p r o n o m i p e r s o n a l i r i f l e s s i v i indicano che l’azione compiuta dal soggetto “si
riflette” sul soggetto stesso:
Marco si veste = Marco veste sé stesso;
Leonardo pensa solo a sé = Leonardo pensa solo a sé stesso.
I pronomi riflessivi’ sono:
singolare plurale
1ª persona mi
ci
2ª persona ti
vi
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Morfologia
3ª persona si, sé
si, sé (loro)
Le forme si e sé si usano per la terza persona singolare e plurale:
Marco si lava;
I miei genitori si amano.
Al plurale la forma sé è sostituita da loro quando si tratta di un riflessivo reciproco,
generalmente introdotto da tra, in mezzo a, vicino a:
Gli alunni parlano tra loro durante la lezione.
Il pronome personale riflessivo sé va scritto sempre con la “e” accentata, anche quando è
seguito da stesso e medesimo. L’accento, infatti, serve a distinguerlo dalla congiunzione se.
Tuttavia, molti scrittori hanno cominciato ad usare le forme se stesso e se medesimosenza
accento. Per la 1ª e la 2ª persona singolare e plurale, invece, vengono usate le particelle
pronominali mi, ti, ci, vi:
Io mi pettino; Tu ti prepari; Noi ci vestiamo; Voi vi lavate.
Ci, vi e si, certe volte, conferiscono al verbo valore reciproco:
Ci salutiamo = Ci salutiamo a vicenda.
Alcuni verbi, detti pronominali, sono sempre accompagnati dalle particelle mi, ti, ci, vi, si
che, in questo caso, non hanno un valore riflessivo, ma costituiscono parte integrante del
verbo.
Sono verbi pronominali: arrabbiarsi, vergognarsi, pentirsi....
Stefano si è pentito della sua scelta.
1.1.5.2.6. I
pronomi allocutivi di cortesia
I pronomi personali sono usati in italiano anche per indicare un registro formale con chi si
parla, anche se in contrasto col loro significato letterale. Tali pronomi sono detti p r o n o m i
a l l o c u t i v i di cortesia, e si scrivono in maiuscolo. Il più antico sistema, che trae origine dalla
Roma imperiale, è il “dare del Voi”. Tale sistema, oggi meno usato che in passato, consiste
appunto nel rivolgersi all’interlocutore indicandolo con “Voi” piuttosto che con “tu”, ed
accordando i verbi alla seconda persona plurale:
 Buon giorno signor Carlo, come state? - Bene e Voi?
Da notare che per una lunga parte della storia antica, Roma inclusa, non si è sentito alcun
bisogno di tali registri formali, affidando ai titoli il rispetto ed il livello sociale. Praticamente
si dava del tu anche all’imperatore (“Tu, nostro imperatore ...”). Dopo il primo uso del “Voi”
per l’imperatore, la forma si è estesa come segno di rispetto. Praticamente nessuna lingua o
dialetto derivato dal latino ha fatto a meno di tali forme, sebbene contrarie alla logica;
ovviamente il fenomeno non si è fermato a questo gruppo di lingue: addirittura l’introduzione
del “Voi”da parte dei normanni in Gran Bretagna ha causato il disuso di “thou”, ovvero la
traduzione letterale di “tu” in inglese.
Un altro sistema è quello di “dare del Lei” all’interlocutore, indifferentemente dal suo
sesso:
 Buon giorno signor Carlo, come sta? - Bene e Lei?
Tale sistema sembra derivare dal ‘500. Infine, si può dare della terza persona utilizzando
un titolo:
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Morfologia
 Il Signore gradisce un caffè?
Dall’altro lato chi parla può darsi del “noi” o (“Noi”). A seconda del contesto, si distingue
tra plurale di modestia (pluralis modestiae, generalmente scritto in lettera minuscola) e plurale
maiestatico (plurale maiestatis, scritto in lettera maiuscola). Il plurale di modestia viene
spesso usato nella lingua scritta per il narratore di un racconto, volendo limitare l’individualità
di quanto scritto. Dall’altro lato il plurale maiestatico è una vera e propria dimostrazione del
proprio status, e generalmente è usato da papi, sovrani o persone di potere, dato che altrimenti
potrebbe essere considerato indice di scarsa umiltà.
1.1.5.3. Pronome possessivo
I p r o n o m i p o s s e s s i v i servono a precisare a chi appartengono la persona, l’animale o la
cosa indicati dal nome che sostituiscono. Si presentano con le stesse forme degli aggettivi a
cui corrispondono. Nell’uso pronominale, il pronome possessivo è sempre preceduto
dall’articolo determinativo o da una preposizione articolata.
Oltre ai sei principali esistono altri due pronomi possessivi di terza persona, proprio ed
altrui:
 proprio si usa solamente quando colui che possiede qualcosa è il soggetto della frase
 altrui è invariabile, sta a significare “di altri” (in realtà è poco usato come pronome).
Sotto forma di pronomi, i possessivi vengono sempre usati con l’articolo.
I pers. sing.
Mio
II pers. sing. Tuo
III pers. sing. Suo
I pers. plur.
Nostro
II pers. plur. Vostro
III pers. plur. Loro
III pers.
Proprio
III pers.
Altrui
Per chiarire la differenza tra pronome e aggettivo possessivo si veda il seguente esempio:
 La mia mela è verde, la sua è rossa
Mentre mia è in questo caso aggettivo possessivo, sua è invece pronome possessivo.
1.1.5.3.1. L’uso
sostantivato
In molte espressioni, il pronome possessivo può essere usato con valore di sostantivo con
alcuni significati particolari, ad esempio:
 Ognuno ha il diritto di dire la sua = Ognuno ha il diritto di esprimere la propria
opinione.
 Essi sono dei nostri = Essi sono del nostro gruppo.
1.1.5.4. Pronome dimostrativo
Il p r o n o m e d i m o s t r a t i v o indica una persona oppure un oggetto in riferimento al
tempo, allo spazio o al discorso, similmente all’aggettivo dimostrativo.
1.1.5.4.1. Forme
I principali pronomi dimostrativi sono:
 Q u e s t o , vicino a chi parla
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Morfologia
 C o d e s t o , lontano da chi parla e vicino a chi ascolta (limitato alla sola Toscana)
 Q u e l l o , lontano da chi parla e da chi ascolta
Le forme flesse di questo sono quattro in funzione del numero e del genere: questo, questi,
questa, queste. Coincidono con le forme del corrispettivo aggettivo dimostrativo.
Le forme flesse di codesto sono quattro in funzione del numero e del genere: codesto,
codesti, codesta, codeste. Coincidono con le forme del corrispettivo aggettivo dimostrativo.
Le forme flesse di quello, invece, non coincidono con quelle dell’aggettivo dimostrativo
perché non compaiono forme come quei, quegli. Le forme sono quello, quelli, quella, quelle.
 L’inverno passato è stato mite, ma questo è molto più freddo
 Questo è un attrezzo
 Questa è l’ultima volta che ti chiedo di venire
A differenza dell’aggettivo dimostrativo, prende il posto del sostantivo invece di
accompagnarlo.
Fanno parte dei pronomi dimostrativi anche:
 ciò, stesso, medesimo, tale, costui, costei, costoro, colui, colei, coloro.
1.1.5.4.2. Uso
del pronome dimostrativo
L’uso del pronome dimostrativo può essere giustificato dalla fusione della deissi, cioè di
indicare qualcosa, nel contesto, in rapporto allo spazio oppure al tempo:
 Vedi questa/quella? È la sorella di Giulia
Molto spesso, il pronome dimostrativo viene usato per non ripetere una parola che è già
stata pronunciata in precedenza: si parla in questo caso di funzione anaforica:
 Il cioccolato che mi hai portato è buono, ma a me piace di più quello con le nocciole.
Altre volte, questo e quello introducono un elemento che deve ancora essere specificato
(catafora):
 La novità è questa: non posso più partire e resterò con voi.
1.1.5.5. Pronome indefinito.
L’aggettivo indefinito ed il p r o n o m e i n d e f i n i t o indicano cose e persone senza
specificarne con precisione la quantità o la qualità. Spesso le loro forme coincidono, dato che
l’aggettivo che accompagna il nome può prenderne il posto e fungere da pronome.
I seguenti aggettivi
In Italia ci sono molte città storiche.
Quest’anno il ciliegio ha dato tanti frutti.
possono dunque assumer il ruolo di pronome:
Le città storiche in Italia sono belle, ma molte sono trascurate.
Quest’anno il ciliegio ha dato dei buoni frutti, peccato che tanti non siano stati raccolti.
Come già detto, spesso, un indefinito può prendere il posto del sostantivo invece di
accompagnarlo e coprire il ruolo di pronome. Tra gli indefiniti appena esposti, è questo il
caso di quasi tutti gli aggettivi illustrati:
 Ho visto dei ragazzi, alcuni dei quali mi hanno riconosciuto
 Nessuno mi sta mai a sentire!!
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Morfologia
Fanno eccezione soprattutto ogni, qualche, qualsiasi, qualsivoglia e qualunque, che
vengono utilizzati soltanto come aggettivi.
Esistono inoltre degli indefiniti che possono svolgere soltanto il ruolo di pronome. La loro
classificazione è analoga a quella degli aggettivi:
 un’unità indefinita viene indicata con i pronomi qualcosa, qualcuno, chiunque,
chicchessia, checché
 la loro negazione viene indicata con i pronomi alcunché, nulla, niente
1.1.5.6. Pronome interrogativo
ed esclamativo
I p r o n o m i i n t e r r o ga t i v i e d e s c l a m a t i v i , come gli aggettivi interrogativi ed
esclamativi, vengono usati per formulare domande o esclamazioni. Si tratta di pronomi
quando sostituiscono il nome e di aggettivi quando lo accompagnano; ad esempio:
 Che macchina hai comprato? (= aggettivo)
 Che hai mangiato oggi? (= pronome)
1.1.5.6.1. Pronomi
interrogativi
I p r o n o m i i n t e r r o g a t i v i in Italiano sono:
 CHI è invariabile e si può riferire a persone o ad animali:
“Chi verrà alla tua festa?”
 CHE/CHE COSA sono invariabili e si possono riferire solamente a cose:
“Che fai?”
Non è raro nella lingua Italiana trovare da solo cosa al posto di che cosa.
 QUALE è flessibile in numero (plur. qual-i) e si può riferire sia a persone che a cose:
“Quale vuoi comprare?”
Quando lo si trova davanti ad è oppure era diventa qual, che essendo un’altra parola non
necessita l’apostrofo.
 QUANTO è flessibile sia in genere che in numero (quanta-i-e) e anch’esso può
riferirsi sia a persone che a cose:
“Quanto hai mangiato?
1.1.5.6.2. Pronomi
esclamativi
Sono uguali a quelli interrogativi, ma vengono utilizzati per esprimere stupore, gioia, paura
o comunque per rafforzare un’affermazione:




“Chi vuole venire può farlo liberamente!”
“Ah! Che spavento!”
“Il libro è su quella sedia” - “Ma quale!”
“Che noia, quanto ci vuole!”
1.1.5.7. Pronome relativo
Il p r o n o m e r e l a t i v o sostituisce un componente della frase mettendo in relazione
proposizioni diverse, subordinando la frase da esso introdotta a quella che contiene la parola
sostituita (proposizione reggente).
La frase “ho ascoltato Carlo che suonava un brano di Mozart” è costituita da due
proposizioni distinte: ho ascoltato Carlo e Carlo suonava un brano di Mozart, collegate in un
unico enunciato con la sostituzione mediante pronome relativo della parola Carlo.
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Morfologia
I pronomi relativi possono costituire, a seconda dell’utilizzo, il soggetto, il complemento
oggetto o un complemento indiretto della proposizione relativa.
Il pronome relativo serve in genere a evitare la ripetizione di un componente della frase,
detto antecedente. Nell’esempio riportato Carlo è l’antecedente di cui si vuole evitare la
ripetizione.
I principali pronomi relativi sono i seguenti:
 Che (invariabile)
 Il quale (variabile secondo genere e numero: la quale, i quali, le quali)
 Cui (invariabile)
A questi ultimi si affiancano i pronomi relativi doppi, detti anche pronomi relativi misti:
chi, chiunque, quanto, quanti, dovunque, ovunque.
Questi pronomi differiscono per il ruolo sintattico che possono svolgere nella proposizione
subordinata: soggetto, complemento oggetto, complementi indiretti.
1.1.5.7.1. Il
pronome relativo che
Questo pronome è invariabile e assume solo il ruolo sintattico di soggetto e complemento
oggetto. Considerando i seguenti enunciati
 La donna che vende i pomodori è mia amica.
 La donna che vedi è mia cugina.
Vedremo come il pronome che riveste nella frase subordinata del primo esempio il ruolo di
soggetto (‘la donna vende’), mentre nel secondo esempio riveste invece il ruolo di
complemento oggetto (‘tu vedi la donna’).
Altri esempi:
Complemento oggetto:
 il gioco che ho comprato costa molto.
 il libro che leggo è molto interessante.
 la gonna che ho comprato è nuova.
Soggetto:
 il ragazzo che sta parlando è un mio amico.
 l’amico che mi ha prestato il libro mi ha telefonato per riaverlo.
Questo pronome nella lingua italiana non fa dunque distinzioni per il caso come avviene
invece in francese (qui per il soggetto oppure que per il complemento), né tiene conto di
aspetti semantici come la distinzione tra cose e persone (in inglese, per esempio, si
distinguerebbe tra which per le cose e who/whom per le persone).
1.1.5.7.2. Il
pronome relativo il quale
Può sostituire che nel ruolo di soggetto:
 Non capisco la donna la quale sta parlando.
Nel ruolo di complemento oggetto, invece, questo pronome è raro. Il vantaggio di questo
pronome sta nel fatto di indicare esplicitamente genere e numero evitando quindi casi
ambigui. Il quale può inoltre indicare complementi indiretti se accompagnato da una
preposizione:
 Non capisco la donna alla quale avete regalato i libri.
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Morfologia
Nell’esempio, alla quale indica il complemento di termine.
1.1.5.7.3. Il pronome relativo cui
Questo pronome indica complementi indiretti, generalmente combinato a una preposizione:
 Non conosco la donna a cui avete regalato i libri
 La cuffia è uno strumento con cui si possono ascoltare dei suoni senza farli sentire agli
altri
Altri esempi:
 La questione di cui ti parlo è complessa
 Lei è l’amica con cui andrò a Lisbona
Nel caso il pronome regga un complemento di termine, è possibile omettere la
preposizione “a”: cui è già di per sé una forma di dativo (si tratta del dativo singolare del
pronome relativo latino qui, quae, quod) e quindi l’aggiunta della preposizione “a” può essere
sentita come pleonastica e ridondante. Nel primo degli esempi esposti sopra è allora possibile
dire anche:
 Non conosco la donna cui avete regalato i libri
Se il pronome è compreso tra un articolo e un sostantivo, significa del quale:
 Shakespeare, la cui fama è immortale
1.1.5.7.4. Pronomi
relativi doppi (o misti)
Essi possono essere ricondotti all’unione di un pronome dimostrativo o indefinito con un
pronome relativo, incorporando nel loro significato sia l’uno che l’altro:





Chi ( = colui/colei che, qualcuno che, coloro che)
Quanto (=ciò che, tutto ciò che, tutto quello che”)
Quanti/e (=tutti/e coloro che)
Chiunque (=tutti/e quelli/e che, qualunque persona che)
Ovunque/Dovunque (=in qualunque/qualsiasi luogo in cui)
Questi pronomi non prevedono specificazione dell’antecedente, dato che lo contengono.
1.2. Parti invariabili del discorso.
1.2.1. Avverbio.
In grammatica, l’a v v e r b i o è una parte invariabile del discorso che serve a modificare il
significato di quelle parole (verbi, aggettivi, altri avverbi o intere proposizioni) a cui si
affianca.
Sono considerati avverbi anche le l o c u z i o n i a v v e r b i a l i , ovvero espressioni formate da
più parole, che hanno il significato di un avverbio (di sempre, in fondo, alla carlona, di certo,
in su, in un batter d’occhio, da quando, ecc.).
1.2.1.1. Esempi
 Questi spaghetti sono molto buoni: molto si riferisce a buoni che è un aggettivo: per
questo, la parola in questione è un avverbio.
 Noi sappiamo cucinare bene i maccheroni: bene si riferisce a cucinare, che è un verbo:
anche in questo caso avremo quindi un avverbio.
 Ben presto le lasagne si raffreddarono: ben si riferisce a presto, che è un avverbio.
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Morfologia
 Un cuoco intelligente prepara intelligentemente i contorni: intelligente si riferisce a
cuoco che è un sostantivo: è quindi un aggettivo, mentre intelligentemente si riferisce alla
forma verbale prepara, ed è dunque un avverbio.
1.2.1.2. Avverbi
di modo
Gli a v v e r b i d i m o d o (qualificativi) indicano il modo in cui l’azione è compiuta. Sono
avverbi di questo tipo:
 quelli formati aggiungendo il suffisso “-mente” alla forma femminile di un aggettivo
(es.: velocemente, morbidamente)
 quelli formati aggiungendo il suffisso “-oni” alla radice di un sostantivo o di un verbo
(es.: bocconi, ciondoloni)
 quelli che hanno la stessa forma di alcuni aggettivi qualificativi al maschile singolare
(es.: giusto, forte, alto)
 bene, male, quasi, volentieri, come, così, cioè, soltanto, purtroppo, lento, veloce,
velocemente, piano, troppo, certo, in fretta e furia (locuzione avverbiale) ecc.
Es. Tu mangi velocemente
1.2.1.3. Altri
tipi di avverbi
Avverbi di tempo
Ancora, ora, mai, sempre, prima, dopo, ieri, oggi, domani, subito, presto, frequentemente,
spesso...
Avverbi di luogo
Lì, là, qui, qua, giù, su, laggiù, lassù, davanti, dietro, sopra, sotto, dentro, fuori, altrove,
intorno, ci, vi, ecc.
Avverbi di quantità
Poco, molto, tanto, più, meno, parecchio, appena, abbastanza, troppo, assai, quasi, per lo
più, piuttosto, quanto, ecc.
Avverbi di valutazione
Purtroppo, giustamente, fortunatamente, stranamente, ecc.
Tra questi si distinguono
A v v e r b i o p i n a t i v i : che esprimono un’opinione
 A v v e r b i d i a f f e r m a z i o n e o d i c e r t e z z a : Sì, esattamente, certamente, certo,
davvero, sicuro, sicuramente, appunto, proprio, affatto, ecc..
 A v v e r b i d i n e g a z i o n e : no, non, né, neppure, neanche, nemmeno,, ecc..
 A v v e r b i d i d u b b i o o d u b i t a t i v i : se, forse, magari, chissà, probabilmente,
eventualmente, ecc..
Avverbi interrogativi ed esclamativi
come, dove, quando, quanto, perché, ecc.
Avverbi indicativi
proprio, ecco (eccoti, eccolo...)
Avverbi di somiglianza
come, tipo, ecc.
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1.2.1.4. Gradi
Morfologia
e alterazioni degli avverbi
Gli avverbi hanno gli stessi gradi degli aggettivi:






Positivo (velocemente)
Comparativo di minoranza (meno velocemente)
Comparativo di maggioranza (più velocemente)
Comparativo di uguaglianza (tanto velocemente quanto)
Superlativo assoluto (velocissimamente)
Superlativo relativo (‘il più velocemente’ (possibile))
Come gli aggettivi, anche gli avverbi, in certi casi, possono essere alterati da suffissi:




diminutivo: poco - pochino
vezzeggiativo: presto - prestuccio
accrescitivo: bene - benone
dispregiativo: male - malaccio
1.2.1.5. Distinguere
gli avverbi dalle altre parti del discorso
È molto facile confondere gli avverbi con le preposizioni, con gli aggettivi, con i pronomi
e con le congiunzioni. Per distinguerli, basta seguire questi ragionamenti:
 Gli aggettivi accompagnano sempre un sostantivo e concordano con quello in genere e
numero, gli avverbi no. Quindi, nella frase “Ho molta fame”, la parola molta è un aggettivo
(perché riferita al sostantivo fame e perché c’è una concordanza), mentre nella frase “Ho
studiato molto”,molto è un avverbio (si riferisce a un verbo).
 Le congiunzioni collegano sempre due elementi, mentre gli avverbi si riferiscono a
uno solo. Nella frase “Faremo come vuoi”, la parola come è una congiunzione perché unisce
le frasi “(noi) faremo” e “(tu) vuoi. Nella frase “Come è buffo questo ritratto!”, la parola
come non collega due elementi: infatti, è un avverbio esclamativo.
 Le preposizioni introducono sempre un sostantivo o un pronome (formando un
complemento linguistico) oppure una proposizione. Per esempio, in “Sopra l’armadio c’è
una scatola”, la parola sopra è una preposizione, perché introduce l’armadio. Invece, in
“Guarda l’armadio: sopra c’è una scatola”, la parola sopra non introduce alcun termine,
pertanto è un avverbio.
 Le particelle ci, vi e ne possono essere o pronomi o avverbi di luogo. Quando indicano
uno stato o un moto da luogo, sono avverbi (“Ci sono venti regioni in Italia”, “Aprì la
scatola e ne uscì solo polvere”); negli altri casi, sono pronomi (“Vi dirò i nostri propositi più
tardi”, “Arrivò la carestia e molte persone ne morirono”).
1.2.2. Preposizione
La p r e p o s i z i o n e (dal latino “praeponere” = porre davanti) è, in grammatica, una parte
invariabile del discorso che serve a creare un legame fra parole e frasi, specificando un
rapporto reciproco e la funzione sintattica della parola, locuzione o frase che la segue.
Quando uniscono due parole all’interno di una medesima proposizione, servono a
introdurre i complementi (tranne il complemento oggetto e quelli predicativi):
Esempio: Abbiamo pensato a lungo alle tue parole.
Quando invece collegano due frasi, introducono delle proposizioni subordinate:
Esempio: Bisogna prendere il traghetto per arrivare su quell’isola.
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Morfologia
Nella lingua italiana le preposizioni sono divise in tre categorie:
 P r o p r i e : di, a, da, in, con, su, per, tra, fra definite semplici o articolate, se unite
(univerbazione) a un articolo determinativo. Per esempio: sulla, nel, degli, alle,...
 Im p r o p r i e :, ovvero quelle derivate da aggettivi, avverbi, participi. Per esempio:
davanti, dopo, vicino, lungo, durante, verso, mediante, secondo, dato...
 Lo c u z i o n i p r e p o s i z i o n a l i ( o p r e p o s i t i v e ) : ovvero quelle costituite da più
parole. Per esempio: davanti a/alla/allo/agli/ai/alle, a causa di, a proposito di,
conformemente a, per mezzo di, a guisa di, in quanto a...
 L e p r e p o s i z i o n i a r t i c o l a t e d e r i v a t e d a “ c o n ” (collo, colla, cogli, colle, col,
coi) e da “per” (pel, pello, pella, pegli, pelle, pei) sono usate raramente nel linguaggio
moderno. Al loro posto si usano solitamente le forme separate (con lo, con la, con gli, con
le, con il, con i; per il, per lo, per la, per gli, per le, per i).
 L e p r e p o s i z i o n i a r t i c o l a t e d e r i v a t e d a “ d i ” possono essere usate come
articoli partitivi. Per esempio: Ho comprato dello zucchero e delle arance. È una buona
norma stilistica evitare, ove possibile, di far precedere gli articoli partitivi da altre
preposizioni, sostituendoli con le espressioni alcuni, un po’ di, e così via.
1.2.3. Congiunzione
In grammatica, la c o n g i u n z i o n e è la parte del discorso che serve a unire tra loro due
sintagmi in una proposizione, oppure due proposizioni in un periodo. Le congiunzioni si
possono classificare in base alla loro forma o in base alla loro funzione.
1.2.3.1.1. Classificazione
in base alla forma
In base alla forma, le congiunzioni si dividono in:
 s e m p l i c i : ovvero composte da una sola parola (e, o, ma, pure...);
 c o m p o s t e : se derivano dalla fusione di più parole (affinché, oppure,
sebbene,qualsiasi...);
 l o c u z i o n i c o n g i u n t i v e : se formate da gruppi di parole separate tra loro (anche se,
dal momento che...).
1.2.3.1.2. Classificazione
in base alla funzione
In base alla funzione, si distinguono in c o o r d i n a n t i e s u b o r d i n a n t i
1.2.3.1.2.1. Congiunzioni
coordinanti
Collegano parole o proposizioni che si trovano sullo stesso piano logico e che sono
sintatticamente omogenee.
Esempio:
«c’ero anch’io ma non ti ho incontrato»
Si distinguono in:
 c o p u l a t i v e p o s i t i v e : collegano due elementi (e, anche, pure, inoltre, ancora,
perfino, altresì...)
 c o p u l a t i v e n e g a t i v e : (né, neanche, neppure, nemmeno)
 d i s g i u n t i v e : introducono un’alternativa (o, oppure, altrimenti, ovvero, ossia...).
Un’altra congiunzione disgiuntiva è ossia, che può usarsi per indicare una scelta
equipollente o una correzione.
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Morfologia
 a v v e r s a t i v e : introducono un’opposizione (ma, tuttavia, però, pure, eppure, anzi, sì,
nonostante, nondimeno, bensì, piuttosto, invece, mentre, se non che, al contrario, per altro,
ciò nonostante...). Le congiunzioni sì e anzi sono ormai di uso raro e introducono più una
coordinazione sostitutiva che un’avversativa.
 c o n c l u s i v e : introducono una conclusione (dunque, perciò, quindi, pertanto, allora,
per cui, cosicché, inoltre, eppure, insomma, così...). Esistono inoltre le congiunzioni
conclusive onde e sicché che si possono trovare spesso nell’uso parlato e in quello letterario
dell’Ottocento.
 d i c h i a r a t i v e (o esplicative): introducono una spiegazione collegata a
un’affermazione che li precede (infatti, difatti, invero, cioè, ossia, ovvero, vale a dire, in
effetti (effettivamente), in realtà...)
 c o r r e l a t i v e : si usano in coppia tra due proposizioni e mettono in corrispondenza due
elementi (e... e, o... o, né... né, sia... sia, non solo... ma anche, ora... ora, tanto... quanto,
tale... quale, così... come, come... così, sia che... sia che...). Gli elementi si suddividono
quindi in iterati (sia ... sia) o variabili (nonché ... non).....
 e s p l i c a t i v e : infatti, cioè, ossia
1.2.3.1.2.2. Congiunzioni
subordinanti
Collegano due proposizioni mettendole su piani diversi.
Esempio:
Dario non parlò perché’ aveva molta paura.
Si distinguono in:
 c a u s a l i : siccome, poiché, perché, in quanto che, giacché, dacché, dal momento che,
per via che, visto che, dato che...
 f i n a l i : affinché, perché, acciocché...
 c o n s e c u t i v e : cosicché, tanto che, in modo che, così...che, tanto..che ...
 t e m p o r a l i : quando, finché, fin quando, fintantoché, da che, da quando, dopo che,
prima che, intanto che, (non) appena, ogni qual volta, ogni volta che, ora che, mentre...
 c o n c e s s i v e : anche se, anche quando, qualora, nonostante, benché, sebbene,
quantunque...
 d i c h i a r a t i v e : che, come...
 c o n d i z i o n a l i : se, qualora, purché, a condizione che, a patto che, laddove...
 m o d a l i : come, come se, nel modo che...
 a v v e r s a t i v e : mentre, quando...
 e c c e t t u a t i v e e s c l u s i v e l i m i t a t i v e : tranne che, fuorché, eccetto che, salvo che,
a meno che, senza che, per quello che,...
 i n t e r r o g a t i v e d i r e t t e : se, come, quando, quanto, perché...
 c o m p a r a t i v e : come, così...come, più/meno...di come, più/meno...di quanto,
più/meno/meglio/peggio...di quello [che], piuttosto che...
 r e l a t i v a : il quale, la quale, i quali, le quali, cui, che, chi.....
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Morfologia
Capitolo 2°
Sintassi
2.1. Il soggetto.
Il s o g g e t t o di una frase è in sintassi qualsiasi parte del discorso cui è riferito il predicato
(che esprime un’azione, un modo di essere, una condizione, una qualità): se il predicato è
singolare, anche il soggetto sarà singolare.
Per esempio, nella frase
«Io mangio la mela.»
Il pronome personale io è il soggetto perché ad esso va riferita l’azione espressa dal verbo
mangio.
Il soggetto ha le seguenti proprietà:
 presenta il caso nominativo
 si accorda con il verbo
 può essere costituito da:

un sostantivo (Francesco è bello), talvolta preceduto da articoli (Dei computer
furono comprati)

una proposizione, detta proposizione soggettiva (Parlare con te mi diverte)

un pronome (Io mangio)

un aggettivo (I belli sono spesso invidiati)

un participio (I licenziati manifestarono)

un infinito (Correre fa bene al cuore)

una parola invariabile (“c++” è un linguaggio di programmazione)

un sottinteso (Ieri sono stato a scuola), se è una lingua a soggetto nullo, mentre ciò
non è possibile per una lingua a soggetto obbligatorio.
Il soggetto esiste in quasi tutte le frasi. Per esempio: “Bisogna rispettare quello che la
grammatica dice”. Molti lascerebbero pensare che il soggetto non esista, invece analizzando
la frase si scopre che:
 “Bisogna rispettare” diventa: “Tutti devono rispettare quello che la grammatica dice”.
Se la frase contiene un verbo impersonale (in realtà un tipo di verbi di tipo molto ridotto),
il soggetto può mancare. In italiano ciò è tipico dei verbi che indicano fenomeni
meteorologici:
 “Oggi nevica”. Non c’è nessuno che “nevica” la neve, è un evento che succede e che
per convenzione è stato descritto così dalle popolazioni che hanno fatto evolvere le lingue
precedenti la nostra.
Il termine “soggetto” deriva dal latino subiectus, che significa sottoposto, dipendente,
suddito. Nella lingua inglese subject significa anche cittadino, persona, oltre che suddito.
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Morfologia
2.2. Proposizione.
In grammatica la p r o p o s i z i o n e è l’unità elementare del discorso dotata di un senso
compiuto.
Essa è composta da un soggetto, un predicato e vari complementi.
Cappuccetto Rosso andò nel bosco.
A dire il vero, nessuna parte della proposizione è assolutamente indispensabile. Vi possono
essere proposizioni senza complementi:
Proposizioni con soggetto sottinteso:
Che occhi grandi che hai!
Proposizioni con predicato sottinteso, dette proposizioni o frasi nominali:
Cappuccetto Rosso, nella pancia del lupo!
Queste ultime (frequenti nei titoli dei quotidiani) sono le più rare: per questo di solito si
dice che le proposizioni di un periodo sono tante quante i predicati.
2.2.1. Frase semplice e frase complessa
Una proposizione può:
 trovarsi separata dal resto del discorso da segni di “interpunzione forte”, ed essere
quindi autonoma e indipendente. In questo caso viene a coincidere con la frase
semplice.
Es.: La mamma chiamò Cappuccetto Rosso.
 costituire l’asse portante di una frase complessa. In questo caso è chiamata
proposizione principale
Es.: La mamma chiamò Cappuccetto Rosso e le chiese di portare un cestino alla Nonna
che viveva nel bosco.
 Trovarsi in un rapporto di coordinazione o subordinazione con altre proposizioni
della frase complessa. In questo caso è chiamata proposizione subordinata.
Es.: La mamma voleva che la Nonna ricevesse un cestino e così chiamò Cappuccetto
Rosso.
La subordinazione può essere di primo, secondo, terzo grado... a seconda che la
proposizione dipenda dalla principale o da una proposizione che a sua volta dipende dalla
principale, e così via.
2.2.1.1. Periodo
o frase complessa
In grammatica il p e r i o d o ( o f r a s e c o m p l e s s a ) è un’unità complessa del discorso,
composta da più frasi semplici (o proposizioni) combinate in una sola struttura di senso
compiuto.
Ogni periodo grammaticale termina con un segno di punteggiatura terminale: punto fermo
( . ), punto esclamativo ( ! ) punto interrogativo ( ? ).
Un periodo può essere suddiviso in proposizioni che sono pari al numero di predicati, sia
verbali che nominali, coniugati sia nei modi finiti o indefiniti.
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2.2.1.1.1. Periodo
e proposizioni
«Martina decise, ignorando gli avvertimenti che la madre le aveva rivolto, di seguire i
consigli dello sconosciuto e di fermarsi a comprare delle rose per la nonna.»
In questa frase complessa è possibile distinguere cinque proposizioni (in pratica tante
quante i predicati):
a) Martina decise
b) ignorando gli avvertimenti
c) che la madre le aveva rivolto
d) di seguire i consigli dello sconosciuto
e) e di fermarsi a comprare delle rose per la nonna
La prima di queste proposizioni è in questo caso la più importante, e viene chiamata
proposizione principale o reggente. Essa costituisce la struttura portante del periodo: tutte le
altre proposizioni dipendono da essa (pertanto chiamate proposizioni subordinate).
La proposizione principale non è necessariamente la prima. Inoltre nel periodo a volte le
proposizioni si presentano incastonate l’una nell’altra (è il caso delle proposizioni b e c,
inserite nel mezzo della a, tra il soggetto (Martina) e il predicato (decise).
Le proposizioni subordinate, chiamate anche proposizioni secondarie possono dipendere
dalla proposizione principale (è il caso di b e d, che dipendono direttamente da a) o da
un’altra proposizione subordinata. Nel nostro esempio, la proposizione c (che la madre le
aveva rivolto) non dipende dalla principale, ma da b (ignorando gli avvertimenti). Per questo
motivo possiamo dire che b è una proposizione subordinata di primo grado, mentre c è
subordinata di secondo grado. Questo tipo di collegamento gerarchico tra le proposizioni di
un periodo è chiamato subordinazione o ipotassi.
Le proposizioni non sono necessariamente subordinate tra loro: esse possono anche essere
giustapposte mediante un segno d’interpunzione debole (di solito la virgola) o una
congiunzione coordinante: questo tipo di collegamento è chiamato coordinazione o paratassi.
Nel nostro esempio, d ed e sono due proposizioni coordinate tra loro mediante la
congiunzione e (esse sono però anche subordinate di primo grado rispetto ad a). Anche la
proposizione principale può avere una sua coordinata. ci sono anche vari tipi di proposizioni
coordinate cioè:

copulative come e, ne, neanche, nemmeno, anche ed altre;

avversative come ma, però, tuttavia, bensì ed altre;

disgiuntive come o, oppure, ovvero, ossia ed altre;

correlative come e...e, o...o, ora...ora ed altre;

esplicative come cioè, ossia, infatti ed altre;

conclusive come dunque, però, quindi ed altre.
2.2.2. Proposizione principale
Una p r o p o s i z i o n e p r i n c i p a l e è una proposizione grammaticalmente indipendente e
di significato compiuto. Non occupa una posizione fissa nel periodo e non dipende da
nessun’altra proposizione presente nel periodo, ma regge le proposizioni subordinate e può
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Morfologia
essere coordinata con altre proposizioni principali (proposizioni coordinate). Non è mai
introdotta da una congiunzione o locuzione del tipo dopo, che,di, tanto che, fino, ...
Esempi (proposizione principale sottolineata):
«Poiché ha sete, Marta si prepara una limonata fresca.»
«Siccome porto l’apparecchio, non posso mangiare le caramelle.»
2.2.2.1. Tempi
La principali possono avere come predicato un verbo ai seguenti modi: indicativo,
congiuntivo, condizionale, imperativo ed infinito.
2.2.2.1.1. Con
l’indicativo
 D i c h i a r a t i v a : è il tipo di frase più comune: l’enunciato ha la funzione di informare,
asserire. È detta anche proposizione i n f o r m a t i v a (o e n u n c i a t i v a ). Si tratta dunque di
una frase impiegata per comunicare un fatto (Cappuccetto Rosso è una bambina.), riferire un
avvenimento (Cappuccetto Rosso andò nel bosco.), oppure esprimere un giudizio o
un’opinione (Il lupo è cattivo). Nelle proposizioni informative il verbo è di solito al modo
indicativo.

I n t e r r o g a t i v a d i r e t t a : corrisponde ad una domanda. Può trattarsi di una domanda
introdotta da un pronome o aggettivo interrogativo (Dove sei andato? Quante pere hai
comprato?), oppure di una domanda alla quale si può rispondere con sì o no: Ti sei riposato?

E s c l a m a t i v a : esprime un enunciato ricco di enfasi: che sfortuna abbiamo avuto!
2.2.2.1.2. Con

il congiuntivo
D e s i d e r a t i v a (o ottativa): esprime un desiderio: Che tu possa guarire presto!

E s o r t a t i v a o i u s s i v a : esprime un’esortazione: Si faccia sentire! È spesso
caratterizzata da uso di modi come l’imperativo ed il congiuntivo.

C o n c e s s i v a (o suppositiva): esprime una concessione: Vengano pure...
2.2.2.1.3. Con

il condizionale
P o t e n z i a l e : usata per esprimere un’intenzione: Potrei cucinare l’arrosto...

D u b i t a t i v a : usata per esprimere un’azione che dovrebbe essere compiuta: Dovrei
mettere a posto la mia stanza...
2.2.2.1.4. Con

l’imperativo
I u s s i v a (o imperativa): esprime un ordine: Porta la scala!
2.2.2.1.5. Con

l’infinito
E s c l a m a t i v a : esprime un enunciato ricco di enfasi: Io dire questo?! Mai!
2.2.3. Proposizione subordinata
Una p r o p o s i z i o n e s u b o r d i n a t a è una proposizione che dipende da un’altra
proposizione. Non ha un’autonomia sintattica (se considerata da sola), ed è retta da
preposizioni, locuzioni avverbiali o congiunzioni. Può essere esplicita (verbo coniugato in un
modo finito) o implicita (il verbo è coniugato in un modo indefinito).
Ad esempio, nella frase Il cane insegue il gatto che scappa, la proposizione subordinata
(proposizione relativa) è che scappa, mentre Il cane insegue il gatto è la proposizione
reggente, che in tal caso è anche la proposizione principale.
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Morfologia
All’interno di un periodo complesso, essa ha la stessa funzione di un complemento, come
nella seguente coppia di enunciati:

Senza di te morirei

Se tu non ci fossi, morirei.
2.2.3.1. Proposizioni
subordinate a seconda della funzione
A seconda della loro funzione, quindi, le proposizioni subordinate si suddividono in tre
tipi:

Complementari dirette o s o s t a n t i v e d i r e t t e , che fungono da soggetto o da
complemento oggetto rispetto alla proposizione reggente

C o m p l e m e n t a r i i n d i r e t t e o a v v e r b i a l i , che svolgono funzione analoga a
quella di un complemento indiretto o di un avverbio;

R e l a t i v e o a t t r i b u t i v e - a p p o s i t i v e o a g g e t t i v e , che hanno funzione analoga
a quella di un attributo o un’apposizione rispetto ad un sostantivo
2.2.3.2. Subordinazione
esplicita
Tipica della s u b o r d i n a z i o n e e s p l i c i t a è la formazione di una frase secondaria
caratterizzata dall’uso di un verbo coniugabile per modo, tempo e per persona. La secondaria
esplicita è formata con i cosiddetti modi finiti (indicativo, condizionale, imperativo o
congiuntivo). Grazie a questi modi, l’uso di un verbo coniugato secondo la persona indica
direttamente qual è il soggetto.
Esempi:

Penso che abbiano l’influenza (congiuntivo; soggetto “loro”)

Arriverò dopo che sarai partita (indicativo; soggetto “tu”)

È chiaro che farei tutto per te (condizionale; soggetto “io”)

Rita dice che è a casa (indicativo; soggetto ambiguo).
Il tempo che viene usato nella proposizione subordinata indica rispetto alla principale un
rapporto di contemporaneità, anteriorità o posteriorità.
2.2.3.3. Subordinazione
implicita
È quella ottenuta con l’uso dei modi indefiniti come l’infinito, il gerundio ed il participio,
non coniugabili a seconda della persona.
Può succedere che il soggetto della principale coincida con quello della secondaria. È
questo il caso dell’ultimo esempio riportato (Rita dice che è a casa). A questo punto, vale la
pena di semplificare l’enunciato nel modo che segue:

Rita dice di essere a casa
Il soggetto della subordinata non è indicato, dato che l’infinito non è coniugabile secondo
la persona. Comunque, esso sarà recuperabile dalla principale. Simili considerazioni
riguardano gli esempi seguenti, introdotti dalla subordinata con l’uso del gerundio e del
participio:

Partita da Senigallia, Maria si è diretta verso Ancona
L’esempio corrisponde alla costruzione con l’esplicita dopo che era partita da Senigallia,
Maria si è diretta verso Ancona)

Essendo in ritardo, Maria si è diretta verso Ancona
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Morfologia
(che corrisponde a ...Siccome era in ritardo, Maria si è diretta verso Ancona).
Secondariamente, la subordinazione implicita è possibile quando i soggetti della principale
e della subordinata non coincidono, soprattutto nel caso di costruzioni impersonali:

Leggendo, il tempo passa con facilità
In questo caso, comunque, leggendo indica il corrispondente di quando si legge, dunque un
costrutto impersonale, mentre il soggetto della principale è il tempo.
Costruzioni con la subordinazione implicita di soggetti in aperto contrasto tra di loro non
sono impossibili, ma rare e talvolta stilisticamente pesanti:

Fallito il progetto di legge, il parlamento dovette ricominciare i lavori da capo.
In quest’ultimo esempio si nota la corrispondenza con un costrutto tipico della lingua
latina, ovvero l’ablativo assoluto, chiamato “assoluto” (absolutus) in quanto privo di qualsiasi
legame grammaticale con la proposizione reggente. Il legame è solo sul piano del significato.
2.2.3.4. I gradi
della subordinazione
Le proposizioni subordinate che dipendono direttamente dalla proposizione principale o da
una coordinata alla principale si definiscono “di primo grado”; quelle che dipendono da una
subordinata di primo grado si definiscono “di secondo grado” e così via.
2.2.3.5. Proposizione
dichiarativa
Le p r o p o s i z i o n i s u b o r d i n a t e d i c h i a r a t i v e , o e s p l i c a t i v e precisano il
significato di un elemento nominale contenuto nella proposizione principale, vale a dire:
1. un pronome dimostrativo o un aggettivo dimostrativo seguito da un nome:
Penso questo: / che tu sia stato poco generoso.
Siamo intesi su questo punto: / che sarai a casa per le sette.
2. un nome il cui significato spesso indica timore, dubbio, opinione, certezza:
Ho la sensazione / che Mario sia scontento della sua scuola.
Mi viene il dubbio / che anche tu saresti caduto nel tranello.
Possiamo incontrare una dichiarativa in dipendenza anche da un’altra subordinata (per
esempio, una soggettiva o un’oggettiva) purché si riferisca ad un elemento nominale:
Penso / sia un bene / che tu abbia preso questa decisione.
2.2.3.5.1. Forma
esplicita e forma implicita
Nella forma esplicita, la subordinata dichiarativa è introdotta dalla congiunzione “che” ed
ha il verbo all’indicativo per esprimere certezza, al congiuntivo o al condizionale per
esprimere dubbio o possibilità, come negli esempi appena visti.
Nella forma implicita, la subordinata dichiarativa presenta l’infinito, introdotto (ma non
sempre) da “di”
Aveva la certezza / di essere preparato.
Aspira a questo: / essere sempre il primo.
2.2.3.6. Proposizione
interrogativa indiretta
La s u b o r d i n a t a i n t e r r o g a t i v a i n d i r e t t a è una frase subordinata che pone una
domanda e, o esprime un dubbio in forma indiretta, per esempio: “dimmi quanto mi vuoi
bene”.
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Morfologia
La frase “quanto mi vuoi bene” è l’interrogativa indiretta, mentre “dimmi” è la principale.
Inoltre la subordinata interrogativa indiretta è una frase argomentale,insieme alle
dipendenti oggettive (o completive) e soggettive, perché funge da argomento al verbo.
La proposizione reggente di una interrogativa indiretta contiene elementi lessicali che
rimandano in qualche modo alla domanda:

verbi come “chiedere, domandare, dire, ignorare, pensare, sapere, informarsi, ecc.”,

nomi come “domanda, questione, dubbio, ecc.”,

aggettivi come “incerto, perplesso, ecc.”
2.2.3.6.1. Forma
esplicita
È introdotta da interrogativi come che, quale, chi, chiunque, dove, se, come seguiti dal
verbo all’indicativo, congiuntivo o condizionale

Mi ha chiesto come mi chiamo.

Voleva sapere cosa stesse facendo.
È l’unico caso, oltre a quello della proposizione concessiva, che vede il condizionale
seguire alla congiunzione se:

Mi chiesero se Annabella sarebbe venuta alla festa.
2.2.3.6.2. Forma
implicita
Stessi pronomi, aggettivi, avverbi, congiunzioni della esplicita, seguiti però da un verbo
all’infinito: Mi chiedo se uscire e quanto mangiare domani.
2.2.3.7. Proposizione
concessiva
La proposizione c o n c e s s i v a esprime una concessione, indica cioè che una cosa, sia o
non sia vera, non ha effetto su un’altra. Si tratta normalmente di una frase subordinata
introdotta da congiunzioni comemalgrado, nonostante, sebbene, benché. In questi casi, la
concessiva richiede l’uso del congiuntivo (malgrado siano tutti arrivati, c’è poca gente alla
festa). È l’unico caso, oltre a quello della proposizione interrogativa indiretta, che vede il
condizionale seguire alla congiunzione se:

Non andrò alla sua festa domani, anche se mi piacerebbe.
La congiunzione anche se richiede invece l’uso dell’indicativo: anche se sono tutti
arrivati...
Esistono proposizioni concessive implicite, che ricorrono dunque all’uso di modi infiniti
come il gerundio:

Pur ballando male, sono andata alla festa e ho conosciuto un sacco di gente
L’enunciato corrisponde dunque anche se ballo male...
Hanno valore concessivo anche gli enunciati introdotti da indefiniti come chiunque,
dovunque, comunque e simili.
Si può parlare di frase concessiva anche nel caso della proposizione principale:

Sarà pure un calciatore preparato, ma oggi è apparso del tutto svogliato
2.2.3.8. Proposizione avversativa
La p r o p o s i z i o n e a v v e r s a t i v a è una proposizione subordinata che indica un evento o
una situazione che si contrappone a quanto viene detto dalla proposizione reggente.
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Morfologia
Nella forma esplicita viene espressa con un verbo al modo indicativo oppure al modo
condizionale ed è introdotta dalle congiunzioni: quando, mentre, laddove, ma

Es.: Io mi fido di te, quando tu non fai che mentirmi.

Es.: Non mi hai dato retta, mentre avresti dovuto farlo.
Nella forma implicita è espressa con un verbo al modo infinito ed è introdotta dalle
locuzioni: invece di...., in luogo di...., oppure dalla congiunzione anziché.

Es.: Invece di esserle grato, l’ha insultata.
2.2.3.9. Proposizione
relativa.
Una p r o p o s i z i o n e r e l a t i v a è una proposizione subordinata alla principale (o
reggente); essa, in generale, è introdotta da pronomi relativi (il quale, la quale, i quali, le
quali, cui, che, chi). Anche dove può fungere da pronome relativo. La proposizione relativa ha
una funzione simile a quella degli aggettivi: può infatti avere valore di attributo o
apposizione:

Piero, che è il figlio di Martino, è un bravo ragazzo;
oppure, come un aggettivo, può avere funzione distintiva, come nel seguente esempio:

Cerco il figlio di Martino che è venuto qui ieri, non l’altro.
Si distingue tra questi due casi parlando di frase relativa appositiva e frase relativa
determinativa.
Esistono delle proposizioni relative improprie, dato che indicano un desiderio o una
condizione, e che per questo vengono formate con il congiuntivo:

Andrea chiamò degli artisti che dipingessero dei quadri.
La proposizione relativa non va confusa con quella consecutiva e con l’oggettiva, nelle
quali che funge da congiunzione e non da pronome relativo:

Era talmente triste che piangeva.

So che piangeva.
In aggiunta, le relative hanno forma esplicite qualora siano formate con un verbo
coniugato:

Il cane che abbaia, non morde.

Giovanni, la cui ragazza ti piace tanto, è felicemente innamorato.

È stato condannato chi ha commesso il reato.

Hanno ucciso Pablo, il quale era stato minacciato in precedenza.
Le proposizioni relative implicite vengono invece formate con l’ausilio del participio
(presente o passato) o dell’infinito (introdotto da “a” o “da” oppure da un pronome relativo):


Participio:
o
Invitiamo alla seduta tutti i soci aventi diritto di voto (=che hanno diritto di
voto)
o
Possono votare tutti i soci arrivati prima delle sedici (=che sono arrivati prima
delle sedici)
Infinito:
o
Questa è la maglia da cambiare (= che va cambiata)
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Morfologia
o
Sono stato il primo a notare l’accaduto (= che ha notato)
o
Tutti hanno bisogno di qualcuno di cui fidarsi (= del quale possano fidarsi)
o
Sto cercando qualcuno (a) cui affidare il mio gatto durante le mie vacanze (= al
quale io possa affidare)
Le forme del participio andranno accordate per genere e numero al nome.
2.2.3.10. Proposizione
causale
La p r o p o s i z i o n e c a u s a l e indica la causa, il motivo di quanto viene espresso nella
proposizione reggente:

Sono arrabbiata perché sei arrivato tardi.
Ha la stessa funzione del complemento di causa, che potrebbe riprodurre quanto esposto
nella seguente costruzione:

Sono arrabbiata a causa del tuo ritardo.
In quanto segue, si illustrano gli esempi più tipici di proposizione causale.
Nel caso della subordinazione esplicita si tratta una frase subordinata introdotta da
congiunzioni come perché, siccome, poiché, giacché, o da locuzioni quali dato che, dal
momento che, in quanto che, considerato che, visto che, posto che, ecc.... Richiede in genere
l’uso dell’indicativo o, talvolta, del condizionale.

Siccome non ho soldi, non posso ancora pagarti.

Non ti chiedo di accompagnarmi perché non lo faresti.
Esistono inoltre proposizioni causali implicite, sempre subordinate che ricorrono
soprattutto con l’uso del gerundio:

Non avendo soldi, non posso ancora pagarti.
Anche la congiunzione per può introdurre la proposizione casuale, combinata al verbo
all’infinito passato

Mio figlio è stato denunciato per aver infranto i vetri di alcune finestre.
Anche il participio passato può essere usato nella subordinata implicita:

Picchiato dal padrone, il cane lo ha morso.
2.2.3.11. Proposizione
temporale
La p r o p o s i z i o n e t e m p o r a l e è una frase che indica contemporaneità, anteriorità o
posteriorità temporale rispetto al momento indicato nella proposizione reggente:

Sono uscito quando hanno aperto le porte
Ha la stessa funzione del complemento di tempo determinato, che potrebbe riprodurre
quanto esposto nella seguente costruzione:

Sono uscito al momento dell’apertura delle porte.
2.2.3.11.1. Subordinazione
esplicita
Nel caso della subordinazione esplicita si tratta una frase subordinata introdotta da
congiunzioni che variano a seconda della costellazione temporale degli eventi (anteriorità,
contemporaneità, posteriorità).
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Morfologia
L’anteriorità temporale può essere indicata nella frase con una serie di espressioni del tipo
innanzitutto. In tal caso, il modo previsto nella subordinata è il congiuntivo, dato che l’azione
viene considerata in un momento in cui non è ancora iniziata.

È meglio uscire prima che chiudano le porte.
La contemporaneità può essere indicata, ad esempio, da quando, o mentre:

È meglio uscire quando tutte le porte sono aperte.
Per la posteriorità, riferita al verbo della principale rispetto al momento indicato nella
secondaria, si usano locuzioni come dopo che o simili; anche quando ha la proprietà di poter
indicare questa relazione temporale in combinazione ad un tempo composto:

Non si può uscire dopo che hanno chiuso le porte.

Non si può uscire quando hanno chiuso le porte.
2.2.3.11.2. Subordinazione
implicita
Esistono inoltre proposizioni temporali implicite, sempre subordinate che ricorrono al
gerundio, all’infinito, al participio. In quanto segue, si ricordano le costruzioni più frequenti:
Il gerundio indica contemporaneità o, nella forma composta, anteriorità rispetto alla
principale:

Uscendo di casa, la donna si dirige verso l’ufficio postale

Essendo uscita di casa, la donna si dirige verso l’ufficio postale
La seconda possibilità è comunque poco usata. Sarà senz’altro più probabile che si utilizzi,
per indicare posteriorità, una forma del participio:

Uscita di casa, la donna si dirige verso l’ufficio postale
L’infinito può essere usato per esprimere le diverse costellazioni temporali di
contemporaneità, posteriorità ed anteriorità:

Al momento di uscire, Luigi si è sentito male

Dopo essere uscito, si è sentito male

Prima di uscire, si è sentito male
2.2.3.12. Proposizione
finale
La p r o p o s i z i o n e f i n a l e indica il fine o lo scopo cui è diretta l’azione espressa nella
proposizione reggente. La proposizione finale può essere di due tipi: esplicita o implicita. È
possibile riconoscerla ponendo la domanda “allo scopo di” e “al fine di”.
2.2.3.12.1. Finale
esplicita ed implicita
La finale esplicita è introdotta da una congiunzione o da locuzioni come “perché”,
“affinché”, “che”, “allo scopo di”, “al fine di”, “onde”, “acciocché”, “in modo che”. Ha
sempre il verbo al congiuntivo presente o imperfetto.

Ritirerò i tappeti più costosi affinché i bambini non li sporchino

La donna ritirò i tappeti più costosi affinché i bambini non li sporcassero.
È utile inoltre ricordare che, se nella principale e nella subordinata i soggetti sono gli
stessi, la costruzione si rende benissimo anche con “a” e l’infinito, di norma presente:

Sono venuto qui per vederti

Luca è salito a lavarsi.
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Morfologia
In tal caso, si otterrà una subordinata implicita.
2.2.3.13. Proposizione
consecutiva
La p r o p o s i z i o n e s u b o r d i n a t a c o n s e c u t i v a indica la conseguenza o l’effetto di
un’azione indicata nella sua reggente:

Ho letto così tanti libri che mi si incrociano gli occhi

Mi ero stancata, sicché sono andata a letto
La differenza rispetto alla proposizione finale è il fatto che manca, nella consecutiva,
l’elemento di volontarietà espresso nella proposizione principale.
Le congiunzioni principali che la introducono sono: tanto che, sicché, cosicché. Inoltre
possono essere introdotte dall’aggettivo tanto o dall’avverbio così.
Esistono proposizioni consecutive implicite: si tratta delle proposizioni in cui il verbo della
subordinata è in un modo infinito; in questo caso la subordinata consecutiva viene introdotta
dalla preposizione “da” e il verbo è all’infinito. Esempio:

Emanava un così forte odore da far scappare gli altri
Alle consecutive implicite si aggiungono le esplicite: sono le proposizioni in cui il verbo
della subordinata è in un modo finito; in questo caso la subordinata consecutiva viene
introdotta dalla preposizione “che” e da verbi all’indicativo, congiuntivo o condizionale come
nei primi due esempi esposti all’inizio.
2.2.3.14. Proposizione
condizionale.
La p r o p o s i z i o n e c o n d i z i o n a l e è la frase subordinata che indica la condizione, cioè
l’ipotesi, da cui dipende l’avverarsi di ciò che si afferma nella reggente: se sono ben esposti al
sole, i gerani danno più fiori. Se sono ben esposti al sole è la condizione, mentre i gerani
danno più fiori è la conseguenza.
La proposizione condizionale può essere esplicita o implicita. La condizionale è
e s p l i c i t a quando viene introdotta dalle congiunzioni e dalle locuzioni condizionali: se,
purché, qualora, ove, a condizione che, a patto che, seppure, quando, nel caso che,
nell’eventualità in cui, ecc. I modi verbali consueti sono l’indicativo e il congiuntivo, a
seconda che esprima una condizione reale o possibile:

non mi lamenterei qualora mi telefonaste

potrei anche dormire nel fienile purché la paglia sia asciutta

L’acqua bolle se raggiunge i cento gradi;

Qualora mi dovessi decidere, andrò in montagna.
La condizionale è i m p l i c i t a quando è espressa con il gerundio presente o con il
participio passato, oppure con l’infinito preceduto da a:

Trascurando (= se si trascurano) le norme di sicurezza, si corrono dei pericoli;

Trattata meglio (= se fosse trattata meglio), la gatta graffierebbe meno:

A lavorare (= se si lavora) male, non c’è soddisfazione.

restando immobili e in silenzio (= se si resta immobili e in silenzio) è possibile
osservare le marmotte davanti alle loro tane
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2.2.3.15. Proposizione
Morfologia
comparativa
La p r o p o s i z i o n e c o m p a r a t i v a è la frase subordinata che sostituisce il complemento
di paragone della proposizione principale.

Sei più intelligente di quanto abbia/ho pensato

Sei intelligente come pensavo

Sei meno intelligente di quanto abbia/ho pensato
Può essere retta da un comparativo di maggioranza, uguaglianza o minoranza e vi è
presente normalmente un verbo all’indicativo o al congiuntivo. Nel caso dell’uguaglianza, si
usa solo l’indicativo. Si riscontra a volte l’uso del non fraseologico, che non cambia il
significato dell’enunciato (di quanto io non abbia pensato).
Esiste una forma implicita della comparativa, che si forma con l’infinito:

Più che dipingere, io disegno.
2.2.3.16. Proposizione
modale.
La p r o p o s i z i o n e m o d a l e è la frase subordinata che sostituisce il complemento di
modo della proposizione principale. Viene di solito introdotta da locuzioni del tipo come,
come se, nel modo che, nel modo in cui e simili.

È proprio come ho detto
Se ha valore ipotetico, prevede l’uso del congiuntivo:

Fai come se fossi a casa tua.
Esistono casi di subordinata modale implicita formata non con una congiuzione, ma grazie
al gerundio:

Sono tornata a casa pedalando in bicicletta
2.2.3.17. Proposizione
oggettiva
La p r o p o s i z i o n e o gg e t t i v a è la frase subordinata che sostituisce un complemento
oggetto della proposizione principale. Ciò che viene indicato sotto forma di complemento
oggetto in una frase semplice, può infatti essere espresso con un’intera frase, come accade nel
prossimo esempio:

Abbiamo spiegato ancora una volta le nostre preoccupazioni

Abbiamo spiegato ancora una volta che siamo preoccupati
La coppia di enunciati mostra come il complemento oggetto (le nostre preoccupazioni)
venga sostituito dalla subordinata (che siamo preoccupati).
Può essere all’indicativo quando indica fatti reali e in altri modi quando indicano fatti non
sicuri. In questo caso si useranno, a seconda del caso, il congiuntivo ed il condizionale
secondo le loro regole di uso:

Pensiamo che questa faccenda sia preoccupante

Pensiamo che questa faccenda potrebbe creare problemi
È introdotta da verbi di vario tipo nella principale, di cui si propongono alcuni esempi:

Dico che è impossibile fare così

Vedo che stai bene

Credo che tutto stia andando per il meglio
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Allievo maresciallo della G.d.F.

Sono sicura che Gino arriverà tra poco

Non raccontarmi che hai trovato traffico
Morfologia
In tutti questi casi, abbiamo incontrato dei verbi coniugati nella secondaria: si tratta della
proposizione oggettiva esplicita.
Quando il soggetto della frase principale e della frase secondaria coincidono, avremo una
subordinata oggettiva implicita, formata con l’uso dell’infinito.

Mi sono ricordata di finire in tempo

Credo di non essere in grado di terminare il lavoro
La subordinata oggettiva implicita è possibile, in alcuni casi, anche quando non si ha la
concordanza di soggetti tra principale e subordinata:

Vedo scappare le galline

Sento mia sorella entrare in casa

Ti prego di ascoltare

Non potete vietarmi di dire la mia opinione
A seconda del verbo, la proposizione oggettiva implicita può essere introdotta da “di”.
2.2.3.18. Proposizione
soggettiva
La p r o p o s i z i o n e s o g g e t t i v a è la frase subordinata che sostituisce il soggetto della
proposizione principale. Ciò che viene indicato sotto forma di soggetto in una frase semplice,
può infatti essere espresso con un’intera frase, come accade nel prossimo esempio:

L’arrivo di Massimo mi preoccupa

Mi preoccupa che Massimo sia arrivato.
La coppia di enunciati mostra come il sintagma nominale costruito con il soggetto (l’arrivo
di Massimo) venga sostituito dalla subordinata (che Massimo sia arrivato).
Nella frase principale che regge la subordinata soggettiva, si ritrovano di solito delle
espressioni impersonali (bastare, bisognare, convenire ecc.), per la quale identificare un
soggetto può essere problematico. Per questo diremo che è la proposizione soggettiva a
ricoprirne la funzione:

Basta che tu faccia presto

Bisogna che la facciamo finita
Spesso, si ha nella principale una combinazione del verbo essere con un aggettivo o
sostantivo:

È uno scandalo che nessuno dica niente

È meglio che tu non dica niente.
La frase spesso dipende anche da costruzioni introdotte dal pronome impersonale si:

Si dice che la signora X abbia un amante
In tutti questi casi, abbiamo incontrato dei verbi coniugati nella secondaria: si tratta della
esplicita. Per la subordinata soggettiva esplicita, si usa di solito il congiuntivo.
Altre volte, il verbo della soggettiva non è coniugato, ma all’infinito:

È meglio andare

Basta arrivare in tempo
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68
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
Morfologia
È un problema partire
In questi casi, si parla di subordinata soggettiva implicita.
2.2.3.19. Proposizione
limitativa
La p r o p o s i z i o n e l i m i t a t i v a è la frase subordinata che limita la validità di quanto
viene asserito nella frase principale.
Viene di solito introdotta da locuzioni del tipo Per quel che, per quanto e simili.

Per quanto io ne so, Marina è a Roma

Per quanto riguarda Marina, so solo che è a Roma
In queste costruzioni, non è raro l’uso del congiuntivo, che ha funzione concessiva:

Per quel che io ne sappia, Marina è a Roma
Può essere implicita, quando si usa l’infinito:

A parlare, sono bravo, ma non a scrivere
2.2.3.20. Proposizione
interrogativa indiretta.
La s u b o r d i n a t a i n t e r r o g a t i v a i n d i r e t t a è una frase subordinata che pone una
domanda e, o esprime un dubbio in forma indiretta, per esempio: “dimmi quanto mi vuoi
bene”.
La frase “quanto mi vuoi bene” è l’interrogativa indiretta, mentre “dimmi” è la principale.
Inoltre la subordinata interrogativa indiretta è una frase argomentale,insieme alle
dipendenti oggettive (o completive) e soggettive, perché funge da argomento al verbo.
La proposizione reggente di una interrogativa indiretta contiene elementi lessicali che
rimandano in qualche modo alla domanda:

verbi come “chiedere, domandare, dire, ignorare, pensare, sapere, informarsi, ecc.”,

nomi come “domanda, questione, dubbio, ecc.”,

aggettivi come “incerto, perplesso, ecc.”
2.2.3.20.1. Forma
esplicita
È introdotta da interrogativi come che, quale, chi, chiunque, dove, se, come seguiti dal
verbo all’indicativo, congiuntivo o condizionale

Mi ha chiesto come mi chiamo.

Voleva sapere cosa stesse facendo.
È l’unico caso, oltre a quello della proposizione concessiva, che vede il condizionale
seguire alla congiunzione se:

Mi chiesero se Annabella sarebbe venuta alla festa.
2.2.3.20.2. Forma
implicita
Stessi pronomi, aggettivi, avverbi, congiunzioni della esplicita, seguiti però da un verbo
all’infinito: Mi chiedo se uscire e quanto mangiare domani
2.2.4. Proposizione coordinata
Una p r o p o s i z i o n e c o o r d i n a t a è, all’interno del periodo, una proposizione collegata
alla proposizione principale o ad una proposizione subordinata tramite una congiunzione
coordinante (e, ma, però,dunque...). Può avere un significato proprio o contenere
un’informazione in più che spiega la frase principale (senza per forza dipendere da essa).
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Morfologia
Il ruolo della coordinazione consiste dunque nel collegare le proposizioni (o frasi semplici)
all’interno di un periodo (o frase complessa).
Per esempio:

La mamma chiamò Cappuccetto Rosso e le disse di portare un cestino alla nonna.
La mamma chiamò Cappuccetto Rosso è la proposizione principale, mentre le disse di
portare un cestino alla nonna è la proposizione coordinata (tramite congiunzione e).
2.2.4.1. Tipologie
Le proposizioni coordinate per mezzo di congiunzioni possono essere:

Copulative:
Mi ha chiamato e siamo usciti.
Non ti ho mai scritto né ti scriverò.
Sono introdotte dalla congiunzione copulativa affermativa e o da quella negativa né, in
un’unione analoga ad una somma.

Disgiuntive:
Scrivimi o telefonami.
Sono introdotte da congiunzioni disgiuntive come o, oppure, ossia, altrimenti, ovvero.
Queste principali indicano una serie di possibilità alternative.

Avversative:
Avevo promesso di venire, ma non ho potuto.
Ho un impegno per domani, tuttavia cercherò di venire con te.
Sono introdotte da congiunzioni avversative come ma, però, tuttavia, eppure, nondimeno,
collegando due principali che esprimono due concetti contrastanti.

D i c h i a r a t i v e (o e s p l i c a t i v e ):
Hai rinunciato alla gara, cioè non ti sei presentato.
Teofilo è seccato con me: infatti non mi chiama da una settimana.
Sono introdotte da congiunzioni esplicative come ossia, cioè, infatti, che segnalano che la
seconda spiega o precisa la prima.

Conclusive:
È arrivata ultima, quindi è giusto che non si vanti.
Sono introdotte da congiunzioni conclusive come dunque, perciò, pertanto, quindi, che
indicano che tra la prima e la seconda proposizione c’è un nesso di conseguenza.

Correlative:
O parli tu, o parlo io
Non solo verrò con voi, ma porterò anche mio fratello.
Ho scelto te sia perché sei bella sia perché sei straricca.
Sono introdotte da congiunzioni o locuzioni correlative come né... né, o... o, sia... sia, non
solo... ma anche, tanto... quanto, chi... chi...

Sostitutive:
Non Tonino [principale (che esclude un’informazione)], bensì Andrea [coordinata
sostitutiva]
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Morfologia
Sono introdotte da congiunzioni come bensì, invece, ma, semmai; affermano
definitivamente il concetto opposto (in modo superfluo, ma magari retoricamente enfatico)
della principale.
2.2.4.2. Coordinazione
La coordinazione può avvenire tra proposizioni principali (Luca dorme e Marco scrive) o
tra proposizioni subordinate (Non usciamo - perché piove e fa freddo). Inoltre può avvenire
per:

P o l i s i n d e t o (ripetizione della congiunzione):
Io parlo e lui ascolta e tu stai zitto.

A s i n d e t o (proposizioni separate da virgole, senza congiunzioni):
Io parlo, lui ascolta, tu stai zitto.
2.2.5. Proposizione incidentale
Le p r o p o s i z i o n i i n c i d e n t a l i ( o i n c i s i ) sono proposizioni che risultano accessorie
rispetto al periodo cui sono inserite. Di solito sono poste tra due stessi segni di punteggiatura,
che segni possono essere: due virgole, due trattini o due parantesi. Proprio da “parentesi” le
proposizioni incidentali sono dette p a r e n t e t i c h e .
2.2.5.1. Sintassi
Dal punto di vista sintattico, e da quello grammaticale, una proposizione incidentale non
può essere una proposizione principale, perché non è del tutto indipendente da una frase.. La
proposizione incidentale non ha alcun legame grammaticale o sintattico con le altre
proposizioni, tanto che si può anche togliere senza che il significato del resto del periodo
subisca un’alterazione. Essa serve, per lo più, per un chiarimento o per una interrogazione. La
proposizione incidentale può svolgere svariate funzioni e più spesso è una proposizione
coordinata alla principale o alla subordinata a cui è annessa. Ad esempio:

Giorgio, benché fosse raffreddato, volle uscire di casa lo stesso.
In questo caso la proposizione incidentale svolge la funzione di proposizione concessiva,
cioè svolge la funzione di una proposizione subordinata. In casi come questo, l’inciso può
presentare ellissi del verbo:Giorgio, benché raffreddato,...
2.3. Il complemento
Il c o m p l e m e n t o (dal latino complementum, da complēre, “riempire”, “completare”) è un
termine della grammatica tradizionale (in particolare dell’analisi sintattica). Indica un
elemento della frase (una parola o un gruppo di parole) che ha la funzione di completare,
arricchire o specificare il significato, e quindi l’informazione, del predicato verbale.
In senso lato, la nozione di complemento comprende tutti i costituenti della frase, con
esclusione di soggetto e predicato, cioè gli elementi fondamentali della frase.
Il termine è stato introdotto nel XVIII secolo dai grammatici francesi César Chesneau
Dumarsais e Nicolas Beauzée.
2.3.1. Caratteristiche dei complementi
Un complemento può riferirsi a qualsiasi altro elemento della frase. Il complemento
dipenderà sintatticamente dall’elemento a cui si riferisce. Di seguito, alcuni esempi che
evidenziano il legame sintattico di un complemento ad un altro elemento della frase (il
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Morfologia
complemento è in corsivo, l’elemento della frase da cui esso dipende è tra parentesi quadre
mentre tra parentesi tonde viene indicato il tipo di elemento):
Il cacciatore [ha ucciso] il lupo. (predicato verbale)
[Gli occhi] del lupo sono grandi. (soggetto)
Incontrò il lupo, [terrore] dei boschi (apposizione)
La nonna abita [in una casa] nel bosco. (un altro complemento)
2.3.2. Complemento diretto e indiretto
Tradizionalmente si distingue il complemento diretto (o complemento oggetto) dai
complementi indiretti.
2.3.2.1. Complemento
oggetto
Il c o m p l e m e n t o o g g e t t o o c o m p l e m e n t o d i r e t t o è, in linguistica, uno dei due
tipi di complemento nella tradizionale analisi della sintassi (l’altro è il complemento
indiretto).
Costituito da un sintagma nominale (la persona, l’animale o la cosa su cui ricade
direttamente l’azione espressa dal verbo), è di norma retto da un verbo transitivo.
Esso risponde alle domande: Chi? Che cosa?
Il complemento oggetto completa quindi il significato del predicato costituito sempre da un
verbo transitivo attivo.
Esempi:

Ottaviano sconfisse Antonio. (chi?)

Alessia ha portato un regalo. (che cosa?)
La definizione, in sé utile, ha lo svantaggio di non distinguere il complemento oggetto dal
soggetto, che in italiano di solito viene espresso nello stesso modo.
2.3.2.1.1. Come
si presenta il complemento
Il complemento è direttamente collegato al verbo, senza quindi uso di preposizioni.
Esempi:

Mia nonna ha comprato la torta.

Mia mamma ha comprato il pane.

La nonna taglia la carne.

Abbiamo organizzato la manifestazione.

La mamma cucina le uova.
Quando il complemento oggetto è introdotto da un articolo partitivo il complemento è
detto “complemento oggetto partitivo”

Gli ospiti hanno portato delle bibite
Delle bibite equivale ad alcune bibite.
Se vi è una particolare parentela etimologica tra verbo e complemento oggetto, si parla di
“complemento oggetto interno”:

Vivere una vita

Sognare un sogno
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72
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Morfologia
2.3.2.1.2. Dalla
frase semplice alla frase complessa
Oltre che con un nome, il c o m p l e m e n t o o g g e t t o può essere espresso anche con una
proposizione, chiamata subordinata oggettiva.

Mi hanno raccontato che il lupo voleva mangiare Cappuccetto Rosso.
2.3.2.1.3. Errori
comuni
Rispondendo alle domande “Chi?” o “Che cosa?” il complemento oggetto induce spesso in
errore. Può essere confuso con il predicato nominale e soggetto . Il complemento oggetto, in
realtà, indica la persona, l’animale o la cosa su cui ricade direttamente l’azione compiuta dal
soggetto ed espressa da un verbo transitivo attivo.
Esempio:

Ho acquistato una maglietta
Su quale oggetto ricade l’azione di essere “acquistato”? Sulla maglietta.

Claudia ha accompagnato Luisa a casa.
Su chi ricade l’azione di essere “accompagnato”? Su Luisa.
2.3.2.2. Complementi
indiretti
I complementi indiretti (così indicati perché sono retti dal verbo con l’ausilio di una
preposizione, semplice o articolata) hanno invece diverse funzioni. Le grammatiche
tradizionali li classificano “sulla base della funzione semantica e sintattica superficialmente
svolta”, dal che derivano denominazioni di scarso rilievo teorico. Tra i complementi così
individuati, i più importanti sono:
 il complemento di tempo: «Torna domani.»
 il complemento di luogo: «Sono a Parigi.»
 il complemento di specificazione: «I capelli di Maria sono biondi.»
 il complemento di termine: «Ho regalato una collana a Giorgia.»
 il complemento di causa: «Moriva di paura.»
 il complemento d’agente: «È stato acchiappato dal poliziotto.»
 il complemento di modo o maniera: «Si voltò con eleganza.»
 il complemento di mezzo: «Vengo in auto.»
 il complemento di compagnia: «Viaggio con tuo padre.»
 il complemento di causa efficiente: «Le foglie furono scosse dal vento.»
2.3.2.2.1. Altri
complementi indiretti
A motivo di questa superficialità teorica, si è verificata una sorta di proliferazione
incontrollata dei complementi individuati. Nel tempo sono stati individuati i seguenti
complementi:
 complemento di aggiunzione
 complemento di denominazione
 complemento di differenza
 complemento di distanza
 complemento di distribuzione o distributivo
 complemento di estensione
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Morfologia
 complemento di età
 complemento di materia
 complemento di origine o provenienza
 complemento di paragone
 complemento di pena o condanna
 complemento di peso e misura
 complemento di prezzo
 complemento di rapporto o reciprocità
 complemento di relazione
 complemento di sostituzione o scambio
 complemento di stima o valore
 complemento di vocazione
 complemento partitivo
 complemento concessivo
2.3.2.2.2. Complementi
indiretti circostanziali
Alcuni complementi vengono definiti circostanziali perché completano l’informazione del
predicato verbale intorno alle circostanze in cui si verifica l’azione o la condizione espressa
dal verbo. Si tratta dei seguenti complementi:
 complemento di luogo (dove? da dove? per dove? verso dove?)
 complemento di tempo (quando? per quanto tempo?)
 complemento di fine o scopo (per quale fine/scopo?)
 complemento di mezzo (per mezzo di chi? per mezzo di cosa?)
 complemento di modo (in che modo?)
 complemento di quantità (quanto?)
 complemento di compagnia o unione (con chi/che cosa?)
 complemento di argomento (di quale argomento?)
 complemento di limitazione (limitatamente a che cosa?)
 complemento di abbondanza o privazione (pieno di chi? pieno di cosa? privo di chi?
privo di cosa?)
 complemento di allontanamento o separazione (da chi? da che cosa?)
 complemento di vantaggio e di svantaggio (a vantaggio/svantaggio di chi? a
vantaggio/svantaggio di che cosa?)
 complemento di qualità (con quale qualità?)
 complemento di esclusione (tranne chi? tranne che cosa? senza chi? senza cosa?)
 complemento di colpa o accusa (di quale colpa? per quale colpa?).
2.3.3. Complemento di tempo
Il c o m p l e m e n t o d i t e m p o è un complemento che indica il periodo di tempo in cui si
svolge l’azione.
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Morfologia
Si divide in c o m p l e m e n t o d i t e m p o d e t e r m i n a t o e c o m p l e m e n t o d i t e m p o
continuato.
2.3.3.1. Tempo
determinato
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i t e m p o d e t e r m i n a t o precisa
il momento o l’epoca in cui avviene qualcosa o si verifica una situazione. Si tratta di un
complemento indiretto che risponde alla domanda: quando?.
2.3.3.1.1. Esempi

Prenderò le ferie a settembre.

La mattina faccio sempre colazione.

Vediamoci verso mezzogiorno all’angolo con Via Cilea.

Parto il tre agosto.

Sarò a casa per le otto.

Domani pioverà come ieri.
2.3.3.1.2. Come
si presenta il complemento
È introdotto dalle preposizioni di, a, in, su, per, tra, fra oppure da prima, dopo, entro o da
locuzioni come al tempo di, ma si può trovare anche senza preposizione.
Quando l’indicazione è approssimativa, si usano le parole verso, circa, su o la locuzione
intorno a.
Tale complemento può essere costituito anche da un avverbio (presto, tardi, prima, dopo,
subito, oggi, domani, mai ecc.) o da una locuzione avverbiale (ogni tanto, una volta, un
tempo, di tanto in tanto, di buon mattino ecc.) per cui si ottiene un complemento avverbiale di
tempo:

Un tempo giocavamo assieme.

Ieri sera siamo andati in un pub che trasmetteva la partita.
2.3.3.2. Tempo
continuato
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i t e m p o c o n t i n u a t o precisa la
durata del momento o dell’epoca in cui avviene qualcosa o si verifica una situazione.
Si tratta di un complemento indiretto che risponde alle domande:

Per quanto tempo?

In quale periodo di tempo?

Durante quale periodo?
Esso è diverso dal complemento di tempo determinato in quanto non determina un
momento, bensì una durata. Per questo motivo, in latino viene, ad esempio, espresso con per e
accusativo (o solo accusativo) al contrario del tempo determinato che è in ablativo.
2.3.3.2.1. Esempi

Sarò in ferie per tutto il mese di settembre.

La mattina faccio colazione dalle otto alle nove.

Per arrivare alla stazione viaggio in auto per circa un’ora.

Ieri Marco ha studiato per tre ore.

Resto in città per tutta l’estate.
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
Lo spettacolo durò un’ora.

Lucia ha guardato la televisione per tutto il pomeriggio.
Morfologia
2.3.3.2.2. Come
si presenta il complemento
È introdotto dalle preposizioni per, da, in o dalle locuzioni durante, fin da, fino a, già da,
oltre, ma si può trovare anche senza preposizione.
Nel caso l’indicazione sia approssimativa, si usano: verso, circa, su.
Può avere indicati entrambi gli estremi temporali, nel qual caso si ha la struttura da ... a.
Tale complemento può essere costituito anche da un avverbio (sempre, spesso,
continuamente, lungamente ecc.) o da una locuzione avverbiale (per sempre, a lungo, di
frequente, da allora ecc.) per cui si ottiene un complemento avverbiale di tempo:

Sorride spesso.

Non lo vediamo di frequente.

Hai aspettato da allora.
2.3.4. Complementi di luogo
I c o m p l e m e n t i d i l u o g o indicano i luoghi dove si svolgono determinate azioni o
situazioni. Si dividono in:

complementi di stato in luogo

complementi di moto a luogo

complementi di moto da luogo

complementi di moto per luogo

complementi di luogo figurato.
2.3.4.1. Complemento
di stato in luogo
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i s t a t o i n l u o g o indica il luogo
in cui si trova una persona o cosa oppure avviene un’azione.
Il complemento risponde alle domande:

dove?

in quale luogo?
Si tratta di un complemento indiretto.
2.3.4.1.1. Esempi

Ho trascorso tutta la sera da Stefano.

L’incidente è avvenuto a Milano.
2.3.4.1.2. Come
si presenta il complemento
Il complemento può essere introdotto da:

le preposizioni a, da, in, su, per, presso, sotto, sopra o dalle locuzioni prepositive nei
pressi di, all’interno di,vicino a.
2.3.4.1.3. Complemento
di stato in luogo figurato
Il c o m p l e m e n t o d i s t a t o i n l u o g o f i g u r a t o è una particolare variante del
complemento di stato in luogo. Come questo, risponde alla domanda “dove?” ma indica
l’essere stato in quello che è un luogo non materiale. Un esempio è: Sono al settimo cielo, ove
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Morfologia
il settimo cielo non corrisponde letteralmente a ciò che si intende esprimere. Più che di un
fenomeno grammaticale, si tratta di una semplice metafora.
2.3.4.2. Complemento
di moto a luogo
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i m o t o a l u o g o indica il luogo
verso il quale qualcuno o qualcosa si dirige.
Il complemento risponde alle domande:

dove?

verso dove?

verso quale luogo?
Si tratta di un complemento indiretto.
2.3.4.2.1. Come
si presenta il complemento
Il complemento può essere introdotto da:

le preposizioni in, a, da, tra, su, verso, per o dalle locuzioni prepositive in direzione
di, alla volta di.
2.3.4.2.2. Esempi

Luca va a scuola.

Rossana e Angela stanno andando al mare.

Paolo è partito per Milano.

Luigi è andato in montagna con Sofia.
2.3.4.2.3. Particolarità
del complemento
Spesso si potrebbe essere ingannati dal fatto che, nel caso in cui la direzione vada espressa
verso un umano, la preposizione esprimente moto a luogo è da, la cui funzione, in altri
contesti, è quella opposta, di segnalare origine o provenienza:

Sto andando da mio zio. (moto a luogo)

Arrivo adesso da casa di mio zio. (moto da luogo)
2.3.4.2.4. Varianti
del complemento di moto a luogo
Esistono delle varianti del complemento di moto a luogo:
1.
Il c o m p l e m e n t o d i m o t o a l u o g o f i g u r a t o , quando il luogo è astratto;
2. Il c o m p l e m e n t o a v v e r b i a l e d i m o t o a l u o g o , quando il complemento è
costituito da avverbi di luogo.
2.3.4.2.4.1. Esempi
1.
Vai al diavolo.
2.
Va’ all’inferno.
3.
Sono andato l ì .
2.3.4.3. Complemento
di moto da luogo
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i m o t o d a l u o g o indica il
luogo dal quale qualcuno o qualcosa si muove.
Si tratta di un complemento indiretto.
Il complemento risponde alle domande:

da dove?
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
Morfologia
da quale luogo?
2.3.4.3.1. Esempi

La nave è salpata da Venezia.

Non esco di casa da tre giorni.

Lo zio è tornato da Roma.

Siamo arrivati da Milano.

Il vaso è caduto dal davanzale.

I fiori sono stati portati per Laura addirittura da Bologna.
2.3.4.3.2. Varianti
del complemento di moto da luogo
Esistono delle varianti del complemento di moto da luogo:
1.
Il c o m p l e m e n t o d i m o t o d a l u o g o f i g u r a t o , quando il luogo è astratto;
2. Il c o m p l e m e n t o a v v e r b i a l e d i m o t o d a l u o g o , quando il complemento è
costituito da un avverbio di luogo.
2.3.4.3.3. Come
si presenta il complemento
Il complemento può essere introdotto da:

la preposizione da o, più raramente, di.
2.3.4.4. Complemento
di moto per luogo
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i m o t o p e r l u o g o indica il
luogo attraverso il quale qualcuno o qualcosa si muove.
Si tratta di un complemento indiretto.
Il complemento risponde alle domande:

per dove?

attraverso quale luogo?
2.3.4.4.1. Esempi

Siamo passati per i giardini.

Il comandante passò attraverso la Gallia per raggiungere l’accampamento.

Il sentiero si snoda tra gli alberi.

Vado a Via Marina attraverso i giardini pubblici.

Attila, flagello di Dio, per arrivare in Italia, fu costretto a passare ‘dalle alpi’ ‘.

Francesco è andato a Roma ed è dovuto passare per il Colosseo.
2.3.4.4.2. Come
si presenta il complemento
Il complemento può essere introdotto da:

le preposizioni per, attraverso, da, tra, o dalle locuzioni prepositive in mezzo a ecc.
2.3.4.5. Complementi
di luogo figurato
Sono sempre complementi di luogo, ma non si riferiscono ad ambienti reali, bensì a luoghi
immaginari, come modi di dire.
Gianni è partito da zero.
(Non esiste alcun luogo che si chiami zero.)
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Morfologia
2.3.5. Complemento di specificazione
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i s p e c i f i c a z i o n e precisa e
specifica il significato della parola da cui dipende. È introdotto dalla preposizione di, semplice
o articolata. Il complemento risponde alle domande:

di chi? (rivolto ad un essere animato)

di che cosa? (rivolto ad una cosa)
Si tratta di un complemento indiretto.
2.3.5.1. Esempi
1.
Alfredo è avido.
2.
Alfredo è avido di frittelle.
La frase 2. è più chiara della 1., perché precisa un’informazione, generica anche se logica,
specificando “di che cosa è avido Alfredo”. Il gruppo “di frittelle” si definisce complemento
di specificazione.

Il cestino di Cappuccetto Rosso era pieno di leccornie.

La nonna aveva paura del lupo cattivo.

Ho trovato il libro di Marco.

Ho visto un’eclissi di sole.

Ti ricordi ancora di Antonella?
2.3.5.2. Come
si presenta il complemento
Può dipendere: da nomi, da verbi e da aggettivi. Può esprimere una specificazione
possessiva, esplicativa e attributiva. Corrisponde, a grandi linee, al genitivo latino. Il
complemento di specificazione può essere costruito anche con la particella pronominale ne:

Ho visto un film e non ne (di questo) ricordo il titolo
Dal pronome relativo cui con o senza preposizione:

Ecco il problema la cui (del quale) soluzione troverai in fondo alla pagina
2.3.5.3. Particolarità
del complemento
Il complemento di specificazione ha un significato molto ampio, può:

precisare un’azione generica (Abbiamo seguito un corso di ricamo)

indicare il proprietario di qualcosa: (Quello è il motorino di Claudio!)

indicare una provenienza (Le pecore nere dell’Inghilterra sono molto costose)

indicare una parte di un oggetto (L’orlo dei miei jeans non mi piace - dove miei è
attributo)

indicare l’autore di qualcosa (Ho letto tutti i libri di Edgar Allan Poe)

una relazione affettiva (Lo zio di Marco è in vacanza)
2.3.5.4. Complemento
di specificazione attributiva
In certi casi il complemento di specificazione, può essere sostituito da un attributo; si
parlerà quindi di “C o m p l e m e n t o d i s p e c i f i c a z i o n e a t t r i b u t i v a ”. Ad esempio:

Molti valichi delle Alpi d’inverno sono chiusi al transito. In questo caso il
complemento di specificazione “delle Alpi” può essere tramutato nell’attributo “alpini” senza
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Morfologia
cambiare il significato della frase. Quindi diventerà: Molti valichi alpini d’inverno sono
chiusi al transito.

Nelle giornate di pioggia Marco rimane volentieri a casa. diventerà: Nelle giornate
piovose Marco rimane volentieri a casa. Il complemento di specificazione “di pioggia” è stato
sostituito con l’attributo “piovose”, mantenendo lo stesso significato alla frase.
2.3.6. Complemento di termine
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i t e r m i n e si trova spesso come
argomento del predicato. Il complemento di termine è l’elemento a cui si rivolge o su cui
termina l’azione espressa dal predicato.
Il complemento risponde alle domande:

A chi? (rivolto ad un essere animato)

A che cosa? (rivolto ad una cosa)
Si tratta di un complemento indiretto e, in latino, corrisponde al caso dativo.
2.3.6.1. Esempi

Cappuccetto Rosso porta un cestino alla nonna.

Il cacciatore sparò al lupo.

Davide porta una rosa a Martina.

La professoressa ha detto a Luigi di non parlare.
2.3.6.2. Come
si presenta il complemento di termine
Il complemento di termine è introdotto quasi sempre dalla preposizione “a”, semplice o
articolata. Può dipendere da:

aggettivi come utile, dannoso, contrario, uguale, simile ecc. (Ho sentito molti pareri
contrari alla tua proposta - tua è attributo del complemento di termine) - (Il fumo è dannoso
“alla salute”).

nomi che derivano dagli aggettivi precedenti (Chiunque nota la sua somiglianza alla
madre)
Talvolta può consistere in un pronome personale complemento (mi, ti, gli, le, ci, vi, loro
ecc.) Es.: Luciana mi ha dato l’assegno.
In tal caso, ovviamente, il complemento di termine non è introdotto sempre dalla
preposizione “a”.
Il complemento di termine indica la persona, l’animale o la cosa alla quale è destinato ciò
che è espresso dal verbo, dal nome o dall’aggettivo che lo regge.
2.3.7. Complemento di causa
Nella sintassi della frase semplice il c o m p l e m e n t o d i c a u s a è un complemento
indiretto che indica la causa per cui viene compiuta l’azione espressa dal predicato.
Il complemento risponde alle domande:

A causa di cosa?

Per quale motivo?
2.3.7.1. Esempi

La nonna tremava di paura davanti al lupo cattivo.
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




Morfologia
Con questo traffico faremo tardi.
Ho chiesto qualche giorno di permesso per motivi di famiglia.
Il gatto miagolava per la fame.
Gli aeroporti sono nel caos a causa dello sciopero dei controllori di volo.
Mi sono ammalato per il freddo.
2.3.7.2. Dalla
frase semplice alla frase complessa
Oltre che con un nome, il complemento di causa può essere espresso anche con una
proposizione, chiamata subordinata causale.

Il cacciatore uccise il lupo perché aveva mangiato Cappuccetto Rosso e la nonna .
2.3.8. Complemento d’agente
Nella sintassi della frase semplice, in presenza di un verbo in forma passiva, il
c o m p l e m e n t o d ’ a g e n t e indica la persona o l’animale che compie l’azione indicata dal
verbo, dunque l’agente.
Esempi:

La bistecca è stata mangiata da un cane.

Il libro viene aperto da Luca.

L’America fu scoperta da Cristoforo Colombo.

Il premio fu ritirato da Giulia.
Quando l’azione è compiuta da un ente inanimato (compresi gli animali, se sono
considerati come tali) si parla di complemento di causa efficiente.
Secondo le grammatiche scolastiche, risponde alle domande da chi?, ad opera di chi?.
Appartiene alla categoria dei complementi indiretti.
2.3.8.1. Come
si presenta il complemento
Nelle frasi attive, soggetto logico e soggetto grammaticale coincidono; in quelle passive,
invece, il soggetto logico è il complemento di agente (o di causa efficiente), distinto dal
soggetto grammaticale, che concorda con il verbo in forma passiva.
In italiano, i complementi d’agente e di causa efficiente sono introdotti dalla preposizione
da, semplice o articolata, oppure dalla locuzione da parte di. Può essere usata anche la
particella pronominale ne.
2.3.8.2. Complemento
di causa
Nella sintassi della frase semplice il c o m p l e m e n t o d i c a u s a è un complemento
indiretto che indica la causa per cui viene compiuta l’azione espressa dal predicato.
Il complemento risponde alle domande:

A causa di cosa?

Per quale motivo?
2.3.8.3. Esempi

La nonna tremava di paura davanti al lupo cattivo.

Con questo traffico faremo tardi.

Ho chiesto qualche giorno di permesso per motivi di famiglia.

Il gatto miagolava per la fame.
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
Gli aeroporti sono nel caos a causa dello sciopero dei controllori di volo.

Mi sono ammalato per il freddo.
Morfologia
Il complemento si presenta in base alla domanda chi? Chi e? Esempi Chi e scemo? Lui chi
e ? E cosi si presenta il complemento Anche una frase Chi e un imbecille?
2.3.8.4. Dalla
frase semplice alla frase complessa
Oltre che con un nome, il complemento di causa può essere espresso anche con una
proposizione, chiamata subordinata causale.

Il cacciatore uccise il lupo perché aveva mangiato Cappuccetto Rosso e la nonna .
2.3.9. Complemento di modo o maniera
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i m o d o o m a n i e r a è un
complemento indiretto che indica il modo in cui si svolge l’azione espressa dal verbo. Esso
dipende sempre da un verbo poiché spiega le modalità con cui si svolge un’azione.
Il complemento risponde alle domande:

come?

in che modo?

in che maniera?
Si tratta di un complemento indiretto.
2.3.9.1. Esempi

Cappuccetto Rosso si è liberata del lupo con grande fatica.

Il lupo balzò sul letto velocemente.

Giuseppe mangia voracemente.

La nonna ricama in rigoroso silenzio.

L’assassino ha colpito Marco violentemente.

Il ragazzo rispose alla madre senza paura.
2.3.9.2. Come
si presenta il complemento
Il complemento può essere costituito da:

un avverbio

un aggettivo usato però con valore avverbiale

un sostantivo preceduto dalle preposizioni a, di, in, con, per

alcune locuzioni avverbiali (ad arte, alla rinfusa, di buon grado, di mala voglia ecc.)
2.3.9.3. Dalla
frase semplice alla frase complessa
Oltre che con un nome, il complemento di modo o maniera può essere espresso anche con
una frase subordinata, chiamata proposizione modale. Quest’ultima in forma esplicita ha il
verbo coniugato ai modi indicativo o congiuntivo, in forma implicita all’infinito introdotto da
con, a forza di, al gerundio o al participio.

Il lupo balzò sul letto come se lo volesse sfondare.

Cappuccetto Rosso si è liberata del lupo correndo un grande rischio.
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2.3.9.4. Complemento
Morfologia
avverbiale di modo
Quando il complemento di modo è espresso da un avverbio si chiama c o m p l e m e n t o
a v v e r b i a l e d i m o d o . Di solito gli avverbi di modo terminano col suffisso “-mente
(velocemente, brutalmente, incomprensibilmente, loquacemente, incredibilmente etc).
2.3.9.4.1. Esempi

Mario correva velocemente.

Incredibilmente Giacomo superò l’esame.

L’orco lo aggredì brutalmente.
2.3.10. Complemento di mezzo o strumento
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i m e z z o o s t r u m e n t o indica
una persona, un animale o una cosa mediante cui si compie l’azione espressa dal predicato.
Nello specifico, con complemento di mezzo ci si riferisce a un essere vivente; con
complemento di strumento a un oggetto inanimato. Tuttavia questa distinzione non sempre è
presente nelle grammatiche.
Il complemento risponde alle domande:

per mezzo di chi/che cosa?

con chi/che cosa
Si tratta di un complemento indiretto.
2.3.11. Complemento di compagnia o unione
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o d i c o m p a g n i a indica la persona
con cui ci si trova in una determinata circostanza, o con la quale si compie una certa azione. Il
c o m p l e m e n t o d i u n i o n e , spesso associato al complemento di compagnia, indica la cosa
unitamente alla quale ci si trova o con la quale si compie un’azione.
Il complemento risponde alle domande:

Con chi? in compagnia di chi? (compagnia)

Con che cosa? unitamente a che cosa? (unione)
Si tratta di complementi indiretti.
2.3.11.1. Esempi

Cappuccetto Rosso vive con la mamma in una casa ai limiti del bosco. (compagnia)

Cappuccetto Rosso pranza insieme alla nonna. (compagnia)

Il cacciatore sopraggiunse con un fucile. (unione)

Paolo esce col nonno tutti i giorni. (compagnia)

Paolo esce con l’ombrello. (unione)

Giovanna gioca con Rachele. (compagnia)
2.3.11.2. Preposizioni
che introducono il complemento
Il complemento può essere introdotto:

dalla preposizione con

dalle locuzioni preposizionali: insieme a/con, assieme a/con, in compagnia di,
unitamente a.
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Morfologia
2.3.12. Complemento di causa efficiente
Nella sintassi della frase semplice, in presenza di un verbo in forma passiva, il
c o m p l e m e n t o d i c a u s a e f f i c i e n t e indica la cosa o l’animale reificato (cioè considerato
come se fosse un ente inanimato) che compie l’azione indicata dal verbo.
Quando l’azione è compiuta da un ente animato (una persona, un animale o una cosa
personificata) si parla di complemento di agente.
Risponde alla domanda da che cosa?, ad opera di che cosa?. Appartiene alla categoria dei
complementi indiretti.
2.3.12.1. Come
si presenta il complemento
Nelle frasi attive, soggetto logico e soggetto grammaticale coincidono; in quelle passive,
invece, il soggetto logico è il complemento di causa efficiente (o di agente), distinto dal
soggetto grammaticale, che concorda con il verbo in forma passiva.
In italiano, i complementi di causa efficiente e d’agente sono introdotti dalla preposizione
da, semplice o articolata, oppure dalla locuzione da parte di. Può essere usata anche la
particella pronominale ne.
2.3.12.2. Esempi

Le foglie di quell’albero furono scosse dal vento.

Il vetro è stato rotto da una pietra.
2.3.13. Complemento partitivo
Nella sintassi della frase semplice, il c o m p l e m e n t o p a r t i t i v o , è il complemento
indiretto che indica l’insieme di cui fa parte l’elemento di cui si parla. Quindi: il complemento
partitivo indica il tutto o l’insieme di cui fa parte la persona, l’animale di cui si parla. È
introdotto dalle preposizioni di, tra, fra.
Il complemento risponde alle domande:

tra chi?

tra che cosa?

all’interno di quale insieme?
2.3.13.1. Esempi

Il lupo era il più cattivo tra gli animali del bosco.

Chi di voi non ha mai sentito la favola di Cappuccetto Rosso?

La maggior parte degli invitati era composta da vecchi amici.

Marco e Anna sono i migliori tra i miei amici.

Qualcuno fra gli alunni deve essere interrogato.
2.3.13.2. Come
si presenta il complemento
Il complemento partitivo è introdotto da:

un sostantivo che indica una quantità. Esempio: Una parte di noi non accettò la
proposta.

un pronome numerale. Esempio: A caso verranno scelti quattro fra i partecipanti.

un aggettivo superlativo relativo. Esempio: La balena è il più grande tra i mammiferi
marini.
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Morfologia

un pronome interrogativo. Esempio: Quale delle seguenti parole è un avverbio?

un pronome indefinito. Esempio: Ciascuno dei membri del circolo riceverà l’invito.
Può essere anche introdotto dalle preposizioni “di”, “tra” e “fra”.
2.3.13.3. Partitivo
e articolo indeterminativo
In italiano (ma anche in altre lingue, per esempio il francese) alcune costruzioni partitive
hanno dato luogo alla nascita di un costrutto che esprime, al plurale, la non determinazione di
un nome, in modo analogo all’articolo indeterminativo.
Si ha così un nuovo paradigma:
Singolare
un ragazzo
Plurale
dei ragazzi
Data questa origine preposizionale del costrutto, può creare problemi stilistici l’uso
dell’articolo partitivo insieme a preposizioni (es. **in delle case, **per dei motivi, ecc.).
La evidente presenza delle preposizioni può costituire una difficoltà per gli studenti che
devono individuare, in esercizi di analisi logica, i casi retti, che normalmente sono privi di
preposizione (in particolare, ilsoggetto e il complemento oggetto). Per questo molte
grammatiche segnalano i partitivi con una terminologia particolare: “soggetto partitivo” (ad
esempio sono arrivati dei ragazzi, corrispondente al singolareè arrivato un ragazzo) e
“oggetto partitivo” (es. ho visto dei ragazzi, corrispettivo plurale di ho visto un ragazzo).
2.3.14. Complemento predicativo del soggetto
Il c o m p l e m e n t o p r e d i c a t i v o d e l s o g g e t t o è, nella sintassi della frase semplice, un
sostantivo o un aggettivo che si riferisce al soggetto, completando nel contempo il significato
del verbo.
2.3.14.1. Esempi
In corsivo il soggetto, in sottolineato il complemento predicativo, in corsivo sottolineato il
complemento predicativo del soggetto

Mario è nato ricco.

Radames, [tu] ritorna vincitore!

Il cacciatore fu considerato da tutti un eroe

La madre di Paola era ritenuta persona onesta e sincera

Nel 2005 Joseph Ratzinger fu eletto Papa Benedetto XVI

Luigi è stato nominato rappresentante di classe
2.3.14.2. Come
si presenta il complemento
Il complemento predicativo del soggetto può essere formato solo da predicati verbali alla
diatesi passiva e solo in alcuni gruppi di verbi:

Verbi elettivi, cioè verbi il cui significato è il verbo eleggere (come nominare,
proclamare, creare, scegliere, dichiarare e designare)

Verbi appellativi, in cui rientreano in categoria i verbi con significato di chiamare
(come soprannominare e dire)

Verbi estimativi, includenti verbi con significato di giudicare (come stimare e ritenere)

Verbi effettivi, il cui significato è fare (come rendere, ridurre e prendere)
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Morfologia
Il complemento predicativo del soggetto può essere introdotto da avverbi, preposizioni e
locuzioni prepositive(per, come, in veste di, in qualità di, in funzione di):

Fu scelto come aiutante

Fu mandato in veste di ambasciatore

Fu assunto in qualità di capo contabile
Il complemento predicativo del soggetto non deve essere confuso con il predicato
nominale. Il primo è formato dal verbo essereo dai verbi copulativi ed esprime una condizione
del soggetto;il secondo,invece,completa il significato del verbo.
2.3.15. Complemento predicativo dell’oggetto
Il c o m p l e m e n t o p r e d i c a t i v o d e l l ’ o g g e t t o è, nella sintassi della frase semplice, un
sostantivo o un aggettivo che si riferisce all’oggetto, completando nel contempo il significato
del verbo.
2.3.15.1. Esempi
In corsivo il complemento oggetto, in corsivo sottolineato il complemento predicativo
dell’oggetto

L’impiegato riteneva il direttore ignorante

Tutti considerarono il cacciatore un eroe

Il tiranno reputava i cittadini irresponsabili

Mario scelse Giovanni come amico del cuore

Gli alunni hanno eletto Luca rappresentante
2.3.15.1.1. Come
si presenta il complemento
Il complemento predicativo dell’oggetto è presente in concomitanza con:

Verbi appellativi in forma attiva: chiamare, soprannominare, apostrofare, ecc.

Verbi estimativi in forma attiva: credere, ritenere, considerare, ecc.

Verbi elettivi in forma attiva: nominare, eleggere, incoronare, ecc.

Verbi effettivi in forma attiva: trovare, credere, ecc.
È considerabile come complemento diretto, tuttavia può essere accompagnato da
preposizioni o locuzioni preposizionali come da, per, “a”, come, in qualità di ecc.
2.4. L’apposizione.
L’a p p o s i z i o n e (dal latino apposĭtio, “aggiunta”) è una nozione della grammatica
tradizionale che indica un’unità sintattica (composta di una sola parola o da un sintagma
nominale o preposizionale) riferita ad un nome con cui stia in relazione di coreferenza.
L’apposizione non ha autonomia semantica o sintattica e di norma serve in funzione
attributiva, specificando la testa cui fa riferimento: ometterla non comporta dunque alcuna
alterazione della grammaticalità di una frase. Può, come l’attributo, dipendere sintatticamente
sia da un soggetto sia da un complemento.
Di seguito alcuni esempi in lingua italiana:
«Gina Lollobrigida, la Gina nazionale.»
«Boccaccio scrisse il Decamerone, una raccolta di novelle.»
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Morfologia
In italiano (e in alcune altre lingue neolatine) l’apposizione può sia precedere sia seguire la
testa cui si riferisce: se è un titolo professionale di norma la precede:
«Il ministro Martelli parlò ai giornalisti.»
Nel caso in cui un titolo professionale segua la testa, perde l’articolo:
«Il Ministro della Repubblica, Claudio Martelli...»
«Claudio Martelli, Ministro della Repubblica...»Più spesso l’apposizione segue la testa e,
in questo caso, può essere introdotta da preposizione, caratterizzandosi da determinatore della
testa:
«Maria, da sposata, ha acquisito un carattere più mansueto.»
La linguistica moderna ha criticato la nozione di apposizione in quanto controversa. In
particolare, nei casi di sintagmi costituiti da due nomi, di cui uno proprio o un numerale,
appare oscuro il criterio secondo cui si individua la testa e, reciprocamente, l’apposizione.
2.5. Predicato.
Il p r e d i c a t o (dal latino praedicatum ‘ciò che viene affermato’) è un elemento della frase
(una parola o un gruppo di parole) o una frase elementare che può costituire insieme al
soggetto una frase completa. Definisce meglio il soggetto.
In italiano il predicato è per lo più un sintagma composto da un verbo o un verbo servile
unito ad un aggettivo o ad un avverbio. Il predicato può essere un gruppo di parole
comprensivo (io sono felice) o racchiudere altri elementi della frase (io ti ho visitato).
Il predicato esprime solitamente una relazione fra soggetto e oggetto (Anna prende il libro,
Mario corre) e viene quindi definito p r e d i c a t o v e r b a l e , oppure esprime una qualità o uno
stato relativo al soggetto (si parlerà allora di p r e d i c a t o n o m i n a l e ): Il pane è buono (è
svolge la funzione di c o p u l a ), la Liguria è parte dell´Italia.
Di conseguenza il predicato nominale, dato il fatto che introduce un modo di essere, ha
sempre come ausiliare il verbo essere.
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Morfologia
CAPITOLO 1° ............................................................................................................. 2
Morfologia .............................................................................................................................................................. 2
1.1. Parti variabili del discorso. .......................................................................................................................... 2
1.1.1. Sostantivo............................................................................................................................................. 2
1.1.1.1. Che cos’è il nome e quali funzioni svolge. ................................................................................... 2
1.1.1.2. Analisi linguistica. ........................................................................................................................ 2
1.1.1.2.1. Nomi comuni e nomi propri ................................................................................................. 2
1.1.1.2.2. Nomi concreti e nomi astratti ............................................................................................... 3
1.1.1.2.3. Nomi individuali e nomi collettivi ........................................................................................ 3
1.1.1.2.4. Nomi numerabili e nomi non numerabili .............................................................................. 3
1.1.1.3. Nomi difettivi ............................................................................................................................... 3
1.1.1.4. Nomi sovrabbondanti ................................................................................................................... 4
1.1.1.5. Nomi invariabili ........................................................................................................................... 4
1.1.1.6. Derivazione. ................................................................................................................................. 5
1.1.1.6.1. Meccanismi di derivazione ................................................................................................... 5
1.1.1.6.1.1. Affissazione .................................................................................................................. 5
1.1.1.6.1.2. Conversione .................................................................................................................. 5
1.1.1.6.1.3. Parasintesi ..................................................................................................................... 6
1.1.1.6.1.4. Agglutinazione .............................................................................................................. 6
1.1.1.6.2. Altri meccanismi di derivazione ........................................................................................... 6
1.1.1.6.3. Regole di riaggiustamento .................................................................................................... 7
1.1.1.7. Alterazione. .................................................................................................................................. 7
1.1.1.7.1. Diminutivo ed accrescitivo ................................................................................................... 7
1.1.1.7.2. Vezzeggiativo e peggiorativo ............................................................................................... 8
1.1.1.7.3. L’alterazione nelle parti del discorso .................................................................................... 8
1.1.1.7.4. Casi apparenti e casi particolari di alterazione ..................................................................... 9
1.1.1.7.5. I falsi derivati........................................................................................................................ 9
1.1.1.8. La composizione. ......................................................................................................................... 9
1.1.1.8.1. Meccanismi di composizioni ................................................................................................ 9
1.1.2. Articoli. .............................................................................................................................................. 10
1.1.2.1. Articoli determinativi. ................................................................................................................ 11
1.1.2.2. Articoli indeterminativi .............................................................................................................. 12
1.1.2.3. Articoli partitivi .......................................................................................................................... 12
1.1.3. L’aggettivo ......................................................................................................................................... 13
1.1.3.1. Classificazioni ............................................................................................................................ 14
1.1.3.2. Aggettivo qualificativi................................................................................................................ 14
1.1.3.2.1. Primitivi, derivati, alterati e composti ................................................................................ 15
1.1.3.2.1.1. Aggettivi primitivi ...................................................................................................... 15
1.1.3.2.1.2. Aggettivi derivati ........................................................................................................ 15
1.1.3.2.1.3. Aggettivi alterati ......................................................................................................... 15
1.1.3.2.1.4. Aggettivi composti...................................................................................................... 15
1.1.3.2.2. Grado di comparazione ....................................................................................................... 16
1.1.3.2.2.1. Il comparativo ............................................................................................................. 16
1.1.3.2.2.2. Il superlativo ............................................................................................................... 17
1.1.3.2.2.3. Comparativi e superlativi particolari .......................................................................... 18
1.1.3.3. Aggettivi determinativi .............................................................................................................. 20
1.1.3.3.1. Aggettivi possessivi. ........................................................................................................... 20
1.1.3.3.2. Aggettivi numerali .............................................................................................................. 20
1.1.3.3.3. Aggettivi dimostrativi ......................................................................................................... 21
1.1.3.3.3.1. In riferimento allo spazio ............................................................................................ 21
1.1.3.3.3.2. In riferimento al tempo ............................................................................................... 22
1.1.3.3.3.3. In riferimento al discorso ............................................................................................ 22
1.1.3.3.3.4. Stesso, medesimo, tale ................................................................................................ 22
1.1.3.3.3.5. Funzione dell’articolo determinativo .......................................................................... 23
1.1.3.3.4. Aggettivi indefiniti. ............................................................................................................ 23
1.1.3.3.5. Aggettivo interrogativo ed esclamativo .............................................................................. 25
1.1.3.4. Genere e numero ........................................................................................................................ 26
1.1.3.5. Formazione del plurale ............................................................................................................... 27
1.1.3.6. La concordanza .......................................................................................................................... 28
1.1.3.7. La posizione dell’aggettivo qualificativo ................................................................................... 28
1.1.3.8. L’aggettivo sostantivato e con valore avverbiale ....................................................................... 29
1.1.4. Verbo ................................................................................................................................................. 29
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Morfologia
1.1.4.1. Tempo dei verbi ......................................................................................................................... 29
1.1.4.1.1. Tempi composti .................................................................................................................. 30
1.1.4.1.2. Tempi semplici ................................................................................................................... 30
1.1.4.2. Modo dei verbi ........................................................................................................................... 30
1.1.4.2.1. Finiti. .................................................................................................................................. 30
1.1.4.2.2. Modi indefiniti .................................................................................................................... 31
1.1.4.3. Diatesi ........................................................................................................................................ 31
1.1.4.4. Verbi ausiliari ............................................................................................................................. 31
1.1.4.4.1. Ausiliare coi verbi servili ................................................................................................... 31
1.1.4.5. Verbi servili ................................................................................................................................ 32
1.1.4.5.1. Analisi logica dei verbi servili ............................................................................................ 33
1.1.4.6. Verbi transitivi e intransitivi....................................................................................................... 33
1.1.4.6.1. Proprietà semantica ............................................................................................................ 33
1.1.4.7. Verbi impersonali ....................................................................................................................... 35
1.1.4.8. Verbi fraseologici ....................................................................................................................... 35
1.1.4.9. Coniugazione dei verbi............................................................................................................... 35
1.1.4.10. La prima coniugazione ............................................................................................................. 36
1.1.4.10.1. Particolarità della coniugazione ........................................................................................ 36
1.1.4.11. La seconda coniugazione.......................................................................................................... 36
1.1.4.11.1. Particolarità della coniugazione ........................................................................................ 37
1.1.4.12. La terza coniugazione............................................................................................................... 37
1.1.4.12.1. Particolarità della coniugazione ........................................................................................ 38
1.1.4.12.2. Participi in -iente .............................................................................................................. 38
1.1.5. Pronome ............................................................................................................................................. 39
1.1.5.1. Tipi di pronomi .......................................................................................................................... 39
1.1.5.2. Pronome personale ..................................................................................................................... 40
1.1.5.2.1. Forme dei pronomi personali .............................................................................................. 40
1.1.5.2.2. Pronomi personali soggetto ................................................................................................ 40
1.1.5.2.2.1. Approfondimento ........................................................................................................ 41
1.1.5.2.3. Pronomi personali complemento ........................................................................................ 42
1.1.5.2.3.1. Approfondimento ........................................................................................................ 43
1.1.5.2.4. Influenze dialettali .............................................................................................................. 44
1.1.5.2.5. Pronomi personali riflessivi ................................................................................................ 45
1.1.5.2.6. I pronomi allocutivi di cortesia ........................................................................................... 46
1.1.5.3. Pronome possessivo ................................................................................................................... 47
1.1.5.3.1. L’uso sostantivato ............................................................................................................... 47
1.1.5.4. Pronome dimostrativo ................................................................................................................ 47
1.1.5.4.1. Forme ................................................................................................................................. 47
1.1.5.4.2. Uso del pronome dimostrativo ........................................................................................... 48
1.1.5.5. Pronome indefinito. .................................................................................................................... 48
1.1.5.6. Pronome interrogativo ed esclamativo ....................................................................................... 49
1.1.5.6.1. Pronomi interrogativi .......................................................................................................... 49
1.1.5.6.2. Pronomi esclamativi ........................................................................................................... 49
1.1.5.7. Pronome relativo ........................................................................................................................ 49
1.1.5.7.1. Il pronome relativo che ....................................................................................................... 50
1.1.5.7.2. Il pronome relativo il quale ................................................................................................ 50
1.1.5.7.3. Il pronome relativo cui ....................................................................................................... 51
1.1.5.7.4. Pronomi relativi doppi (o misti) ......................................................................................... 51
1.2. Parti invariabili del discorso. ..................................................................................................................... 51
1.2.1. Avverbio. ........................................................................................................................................... 51
1.2.1.1. Esempi ........................................................................................................................................ 51
1.2.1.2. Avverbi di modo ........................................................................................................................ 52
1.2.1.3. Altri tipi di avverbi ..................................................................................................................... 52
1.2.1.4. Gradi e alterazioni degli avverbi ................................................................................................ 53
1.2.1.5. Distinguere gli avverbi dalle altre parti del discorso .................................................................. 53
1.2.2. Preposizione ....................................................................................................................................... 53
1.2.3. Congiunzione ..................................................................................................................................... 54
1.2.3.1.1. Classificazione in base alla forma ...................................................................................... 54
1.2.3.1.2. Classificazione in base alla funzione .................................................................................. 54
1.2.3.1.2.1. Congiunzioni coordinanti ........................................................................................... 54
1.2.3.1.2.2. Congiunzioni subordinanti .......................................................................................... 55
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Morfologia
CAPITOLO 2° ........................................................................................................... 56
Sintassi .................................................................................................................................................................. 56
2.1. Il soggetto. ................................................................................................................................................. 56
2.2. Proposizione. ............................................................................................................................................. 57
2.2.1. Frase semplice e frase complessa ....................................................................................................... 57
2.2.1.1. Periodo o frase complessa .......................................................................................................... 57
2.2.1.1.1. Periodo e proposizioni ........................................................................................................ 58
2.2.2. Proposizione principale ...................................................................................................................... 58
2.2.2.1. Tempi ......................................................................................................................................... 59
2.2.2.1.1. Con l’indicativo .................................................................................................................. 59
2.2.2.1.2. Con il congiuntivo .............................................................................................................. 59
2.2.2.1.3. Con il condizionale ............................................................................................................. 59
2.2.2.1.4. Con l’imperativo ................................................................................................................. 59
2.2.2.1.5. Con l’infinito ...................................................................................................................... 59
2.2.3. Proposizione subordinata ................................................................................................................... 59
2.2.3.1. Proposizioni subordinate a seconda della funzione .................................................................... 60
2.2.3.2. Subordinazione esplicita ............................................................................................................ 60
2.2.3.3. Subordinazione implicita............................................................................................................ 60
2.2.3.4. I gradi della subordinazione ....................................................................................................... 61
2.2.3.5. Proposizione dichiarativa ........................................................................................................... 61
2.2.3.5.1. Forma esplicita e forma implicita ....................................................................................... 61
2.2.3.6. Proposizione interrogativa indiretta ........................................................................................... 61
2.2.3.6.1. Forma esplicita ................................................................................................................... 62
2.2.3.6.2. Forma implicita .................................................................................................................. 62
2.2.3.7. Proposizione concessiva ............................................................................................................. 62
2.2.3.8. Proposizione avversativa ............................................................................................................ 62
2.2.3.9. Proposizione relativa. ................................................................................................................. 63
2.2.3.10. Proposizione causale ................................................................................................................ 64
2.2.3.11. Proposizione temporale ............................................................................................................ 64
2.2.3.11.1. Subordinazione esplicita ................................................................................................... 64
2.2.3.11.2. Subordinazione implicita .................................................................................................. 65
2.2.3.12. Proposizione finale ................................................................................................................... 65
2.2.3.12.1. Finale esplicita ed implicita .............................................................................................. 65
2.2.3.13. Proposizione consecutiva ......................................................................................................... 66
2.2.3.14. Proposizione condizionale. ....................................................................................................... 66
2.2.3.15. Proposizione comparativa ........................................................................................................ 67
2.2.3.16. Proposizione modale. ............................................................................................................... 67
2.2.3.17. Proposizione oggettiva ............................................................................................................. 67
2.2.3.18. Proposizione soggettiva ............................................................................................................ 68
2.2.3.19. Proposizione limitativa ............................................................................................................. 69
2.2.3.20. Proposizione interrogativa indiretta. ........................................................................................ 69
2.2.3.20.1. Forma esplicita ................................................................................................................. 69
2.2.3.20.2. Forma implicita ................................................................................................................ 69
2.2.4. Proposizione coordinata ..................................................................................................................... 69
2.2.4.1. Tipologie .................................................................................................................................... 70
2.2.4.2. Coordinazione ............................................................................................................................ 71
2.2.5. Proposizione incidentale .................................................................................................................... 71
2.2.5.1. Sintassi ....................................................................................................................................... 71
2.3. Il complemento .......................................................................................................................................... 71
2.3.1. Caratteristiche dei complementi ......................................................................................................... 71
2.3.2. Complemento diretto e indiretto ........................................................................................................ 72
2.3.2.1. Complemento oggetto ................................................................................................................ 72
2.3.2.1.1. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 72
2.3.2.1.2. Dalla frase semplice alla frase complessa .......................................................................... 73
2.3.2.1.3. Errori comuni ..................................................................................................................... 73
2.3.2.2. Complementi indiretti ................................................................................................................ 73
2.3.2.2.1. Altri complementi indiretti ................................................................................................. 73
2.3.2.2.2. Complementi indiretti circostanziali................................................................................... 74
2.3.3. Complemento di tempo ...................................................................................................................... 74
2.3.3.1. Tempo determinato .................................................................................................................... 75
2.3.3.1.1. Esempi ................................................................................................................................ 75
2.3.3.1.2. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 75
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Morfologia
2.3.3.2. Tempo continuato ....................................................................................................................... 75
2.3.3.2.1. Esempi ................................................................................................................................ 75
2.3.3.2.2. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 76
2.3.4. Complementi di luogo ........................................................................................................................ 76
2.3.4.1. Complemento di stato in luogo .................................................................................................. 76
2.3.4.1.1. Esempi ................................................................................................................................ 76
2.3.4.1.2. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 76
2.3.4.1.3. Complemento di stato in luogo figurato ............................................................................. 76
2.3.4.2. Complemento di moto a luogo ................................................................................................... 77
2.3.4.2.1. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 77
2.3.4.2.2. Esempi ................................................................................................................................ 77
2.3.4.2.3. Particolarità del complemento ............................................................................................ 77
2.3.4.2.4. Varianti del complemento di moto a luogo ........................................................................ 77
2.3.4.2.4.1. Esempi ........................................................................................................................ 77
2.3.4.3. Complemento di moto da luogo ................................................................................................. 77
2.3.4.3.1. Esempi ................................................................................................................................ 78
2.3.4.3.2. Varianti del complemento di moto da luogo ...................................................................... 78
2.3.4.3.3. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 78
2.3.4.4. Complemento di moto per luogo ................................................................................................ 78
2.3.4.4.1. Esempi ................................................................................................................................ 78
2.3.4.4.2. Come si presenta il complemento ....................................................................................... 78
2.3.4.5. Complementi di luogo figurato .................................................................................................. 78
2.3.5. Complemento di specificazione ......................................................................................................... 79
2.3.5.1. Esempi ........................................................................................................................................ 79
2.3.5.2. Come si presenta il complemento .............................................................................................. 79
2.3.5.3. Particolarità del complemento .................................................................................................... 79
2.3.5.4. Complemento di specificazione attributiva ................................................................................ 79
2.3.6. Complemento di termine .................................................................................................................... 80
2.3.6.1. Esempi ........................................................................................................................................ 80
2.3.6.2. Come si presenta il complemento di termine ............................................................................. 80
2.3.7. Complemento di causa ....................................................................................................................... 80
2.3.7.1. Esempi ........................................................................................................................................ 80
2.3.7.2. Dalla frase semplice alla frase complessa .................................................................................. 81
2.3.8. Complemento d’agente ...................................................................................................................... 81
2.3.8.1. Come si presenta il complemento .............................................................................................. 81
2.3.8.2. Complemento di causa ............................................................................................................... 81
2.3.8.3. Esempi ........................................................................................................................................ 81
2.3.8.4. Dalla frase semplice alla frase complessa .................................................................................. 82
2.3.9. Complemento di modo o maniera ...................................................................................................... 82
2.3.9.1. Esempi ........................................................................................................................................ 82
2.3.9.2. Come si presenta il complemento .............................................................................................. 82
2.3.9.3. Dalla frase semplice alla frase complessa .................................................................................. 82
2.3.9.4. Complemento avverbiale di modo ............................................................................................. 83
2.3.9.4.1. Esempi ................................................................................................................................ 83
2.3.10. Complemento di mezzo o strumento................................................................................................ 83
2.3.11. Complemento di compagnia o unione .............................................................................................. 83
2.3.11.1. Esempi ...................................................................................................................................... 83
2.3.11.2. Preposizioni che introducono il complemento ......................................................................... 83
2.3.12. Complemento di causa efficiente ..................................................................................................... 84
2.3.12.1. Come si presenta il complemento ............................................................................................ 84
2.3.12.2. Esempi ...................................................................................................................................... 84
2.3.13. Complemento partitivo .................................................................................................................... 84
2.3.13.1. Esempi ...................................................................................................................................... 84
2.3.13.2. Come si presenta il complemento ............................................................................................ 84
2.3.13.3. Partitivo e articolo indeterminativo .......................................................................................... 85
2.3.14. Complemento predicativo del soggetto ............................................................................................ 85
2.3.14.1. Esempi ...................................................................................................................................... 85
2.3.14.2. Come si presenta il complemento ............................................................................................ 85
2.3.15. Complemento predicativo dell’oggetto ............................................................................................ 86
2.3.15.1. Esempi ...................................................................................................................................... 86
2.3.15.1.1. Come si presenta il complemento ..................................................................................... 86
2.4. L’apposizione. ........................................................................................................................................... 86
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2.5. Predicato. ................................................................................................................................................... 87
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