Art Nouveau - Liceo Artistico “Emilio Greco”
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Art Nouveau - Liceo Artistico “Emilio Greco”
Art Nouveau Gli ultimi anni dell’800 e i primi del ‘900 sono un periodo di relativa pace fra le potenze europee, tanto da essere indicati genericamente come la Belle Èpoque. Tuttavia questi anni sono contrassegnati anche da una profonda crisi di cui si vedono le conseguenze in quasi tutti gli artisti. Da un lato prosegue l’ottimistica fede nel progresso scientifico, che appare inarrestabile e tale da portare a soluzione ogni problema umano, dall’altro ci si rende conto che questa “felicità” universale è solo apparente: la borghesia si arricchisce sfruttando i lavoratori, la cui spiritualità è uccisa dalla meccanizzazione. Il Decadentismo è la risposta: per evadere la materialità volgare della realtà ci si rifugia in un mondo immaginario intimo e raffinato. È in questo clima «decadente» che nacque in Europa un movimento con caratteristiche simili ma diverse denominazioni in ogni nazione e che interessò soprattutto l’architettura e le arti applicate. Il fenomeno prese nomi diversi a seconda delle nazioni in cui sorse. Art Nouveau in Francia, in Germania prese il nome di «Jugendstil», in Austria fu denominato «Secessione», in Spagna «Modernismo». In Italia ebbe inizialmente il nome di «Floreale», per assumere poi il nome di «Liberty» (dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Liberty, che vendevano arredi, oggetti, tessuti e tappezzerie dal gusto floreale). L’Art Nouveau nacque dal rifiuto degli stili storici del passato e cercò invece ispirazione nella natura e nelle forme vegetali, creando uno stile nuovo, totalmente originale rispetto a quelli allora in voga. L’Art Nouveau nacque inizialmente in Belgio, grazie all’architetto Victor Horta che, ispirato dall’uso dei nuovi materiali (il ferro combinato con il vetro, mostrati ed esaltati nella loro evidenza strutturale), riuscì a rivoluzionare la figura dell’architetto e il modo di concepire gli edifici. Il compito dell’architetto spazia infatti, con lui, dalla progettazione di interni ed esterni sino allo studio di luci, arredi e decorazioni delle pareti. In particolare Casa Tassel (1893) è considerata una sorta di monumento-simbolo dell’Art Nouveau sia per l’esterno sia per l’interno. Victor Horta, Casa Tassel, Bruxelles E’ una casa a schiera di città, di tre piani, con una facciata molto stretta, caratterizzata da un volume centrale sporgente (un “bow window” - finestra ad arco, sormontato da un balcone) e dall’uso ridotto di rivestimento in pietra. L’edificio, che è un’opera straordinaria per la sua sintesi tra architettura e arti decorative, presenta i nuovi principi formali soprattutto all’interno, nell’ampio ingresso con la scala. Horta è uno dei primi architetti che fa uso del ferro nell’edilizia residenziale, ma è il trattamento del materiale che è innovativo. Il ferro, infatti, viene trattato come un filamento organico che si insinua nell’edificio e varia le sue forme diventando ora un corrimano, un pilastro, un apparecchio illuminante. Non c’è più differenza tra struttura e decorazione, ma tutti gli elementi concorrono, in una unica straordinaria sintesi ed in una continuità di forme, a definire il “carattere” dell’edificio. Prevalgono le superfici vetrate che creano un dialogo tra interno ed esterno e la linea curva che flette le pareti e informa anche il più piccolo dettaglio. In particolare, l’Hôtel Tassel è da considerare l’esempio più fulgido di questa nuova “Weltanschauung” fiorita ovunque in Europa dal seme parigino dell’Esposizione Universale del 1900. L’Art Nouveau si diffuse presto in tutta Europa divenendo in breve lo stile della nuova borghesia in ascesa. Esso si fondò sul concetto di coerenza stilistica e progettuale tra forma e funzione. Adottando le nuove tecniche di produzione industriale, ed i nuovi materiali quali il ferro, il vetro e il cemento, di fatto l’Art Nouveau giunse per la prima volta alla definizione di una nuova progettualità: quella progettualità che definiamo Industrial Design. Il problema di dare qualità alla produzione industriale era stato già avvertito dalla cultura precedente. Ma, nel caso del movimento Arts and Crafts inglese di Morris, la risposta data era semplicemente anacronistica: ritornare alla produzione artigianale. L’Art Nouveau invece diede per la prima volta la risposta giusta al problema della qualità del prodotto industriale. Il problema andava risolto sul piano della qualità progettuale. Quindi una delle caratteristiche comuni a tutti i filoni dell’Art Nouveau è proprio quella di voler rendere esteticamente validi gli oggetti di uso comune che le industrie diffondono, per salvaguardarli dall’appiattimento e dalla banalizzazione della produzione in serie. Non è una novità in quanto, già nella metà dell’Ottocento il prussiano Michael Thonet aveva prodotto la sua famosa sedia in legno curvato n.14. La Thonet 14, brevettata nel 1859 e venduta in decine di milioni di pezzi, era un perfetto mix di tecnica ed estetica: realizzata con 6 soli pezzi da unire con 10 viti era robusta, essenziale ed economica. Tra l’altro, con la curvatura dei suoi elementi anticipa straordinariamente il linguaggio tipico del Liberty. (per un approfondimento sulla Thonet 14) L’estetica dell’Art Nouveau si affidò molto all’uso della linea e degli elementi lineari. Protagonista divenne soprattutto la linea curva definita «a colpo di frusta»: una linea, cioè, che dopo una curvatura ampia si torceva in repentini scatti di curvatura più stretta. Le immagini che si ottenevano producevano effetti decorativi molto suggestivi e di grande eleganza, ma che in genere tendevano all’astrazione più pura. Questo significa che l’utilizzo di motivi ornamentali ispirati alla natura ma sviluppati nella prospettiva di una sintesi e di una semplificazione assolute, aprirà di fatto la porta verso le prime avanguardie e, infine, verso esiti di astrazione. Gli elementi caratterizzanti l’Art Nouveau sono dunque: l’uso della linea curva l’uso del colore piatto il decorativismo l’aspirazione alla modernità il riferimento al mondo vegetale la ricerca di una nuova bellezza nei prodotti industriali la stilizzazione dei motivi ornamentali l’insistenza sulla figura femminile e sulla sua eleganza l’applicazione di questo stile in ogni forma di produzione artistica (architettura, pittura, scultura, arredi, monili, oggetti d’uso, abbigliamento, pubblicità, grafica, arredo urbano). A Parigi Hector Guimard (1867-1942) ridisegna le entrate della metropolitana (ancora oggi esistenti) con elementi in ghisa ondulati come fiori, conferendo loro un aspetto organico e vitale. In Italia, e in particolare in Sicilia, opera uno dei più autorevoli architetti liberty, il palermitano Ernesto Basile (1857-1932). Uomo assai colto, studioso raffinato e sensibile dell’architettura siciliana, arabo- normanna e rinascimentale, dopo un primo periodo di eclettismo Basile giunge ad un linguaggio più autonomo, un floreale ricco ed estremamente colto, caratterizzato da una peculiare interpretazione del rapporto architettura/decorazione, come negli interni di Villa Igiea, oggi hotel storico 5 stelle del palermitano. La Villa fu costruita alla fine dell’Ottocento in pieno stile neogotico e successivamente nel 1899 acquistato dai Florio, storica famiglia di imprenditori borghesi, che decisero di modificarla e a cui diedero il nome di “Igiea” in onore della loro figlia che scomparirà prematuramente in tenera età. Una delle stanze più conosciute è la Sala Basile, utilizzata oggi per le conferenze, dove gli affreschi si uniscono armoniosamente al mobilio e all’architettura realizzata Basile In particolare in questo periodo conobbe uno straordinario sviluppo la lavorazione del vetro come dimostrano le geniali creazioni di Emile Gallé1 che, all’ingresso del suo laboratorio, fece scrivere “le mie radici sono nel cuore dei boschi”, o quelle dell’americano Louis Comfort Tiffany famoso per le sue lampade e vetrate realizzate con vetri coloratissimi e legati a stagno, detti vetri Tiffany, ma anche pittore e creatore di gioielli ed elementi di arredo, ancora oggi apprezzati in tutto il mondo. 1 Émile Gallé è stato un vetraio e decoratore francese, nato da una famiglia di commercianti di cristalli. L’ispirazione alla natura e l’uso di nuovi materiali dettero un rivoluzionario impulso anche all’oreficeria che ebbe in René Lalique, l’inventore del gioiello moderno, uno dei suoi più geniali creatori. Con lui la tradizione orafa ottocentesca tesa all’esaltazione dei materiali preziosi venne superata per un gioiello capace di avere valore espressivo di per sé, prescindendo dal valore dei materiali usati. Nacquero così capolavori straordinari come la spilla a forma di Libellula (1897–98), in cui inquietante e seducente appare questo animale–donna che rimanda alla femme fatale per l’aggressività ed il senso di pericolo latente espresso negli artigli dorati. Fatale come le donne capaci d’indossare questi gioielli con disinvoltura sulla scena come nella vita, a cominciare dalla “divina” Sarah Bernhardt, la famosa attrice francese alla quale apparteneva la spilla acquistata nel 1903 dal Gulbenkian. E proprio l’immagine femminile è un altro dei temi ricorrenti delle creazioni di questo periodo, una figura sensuale, sofistica e sfuggente, a volte ambigua e viperina, come nei bellissimi disegni di Beardsley, o ammiccante e di solare bellezza come nei manifesti di Mucha. Nel primo caso parliamo soprattutto delle illustrazioni realizzate da Aubrey Beardsley per Salomé, un dramma in atto unico, scritto nel 1891 da Oscar Wilde. Le illustrazioni non piacquero molto a Wilde che, conscio della grandezza e finezza rappresentativa di Beardsley, temeva che la sua opera letteraria ne potesse uscire mortificata e messa in secondo piano rispetto all’apparato figurativo. Ne nacque una querelle artistica che affondava le sue radici nella volontà di autoaffermazione personale di entrambi gli autori. Wilde e Beardsley, infatti, oltre a contendersi la scena artistica, si contendevano anche la presenza nei salotti più civettuoli e à la mode della Londra di fine secolo. Entrambi incarnavano la figura del dandy che eleva se stesso e la sua vita ad opera d’arte, attraverso un narcisistico compiacimento della propria raffinatezza estetica e un atteggiamento eccentrico fortemente caricato e pubblicamente sbandierato. Fu, forse, proprio questo modo comune di sentire la vita e la realtà a porre in perfetta sintonia gli intenti dei due autori, tanto che, nella Salomè, parola scritta e immagine disegnata si compenetrano e fondono creando un’impareggiabile sinfonia. Decorazioni piatte, asimmetriche, superficiali, in netto contrasto con il naturalismo, con le forme massicce, pesanti, sovraccariche, con l’eccesso dei particolari, insomma con la moda dell’epoca vittoriana matura. Nella sua arte emerge una sessualità intensissima trattata spesso in modo dissacrante: bellezza e crudeltà, energia e caricatura, si mescolano ad affermare una visione nera e ridicola della realtà. Il segno tagliente e compulsivo diventa il mezzo per tracciare un mondo esageratamente calcato, dove convivono angeli e demoni, eros e morte, santità e dannazione. La produzione di Alfons Mucha invece, ceco di origine, comprende moltissime opere, divise principalmente in dipinti, grafiche e manifesti pubblicitari, tutti permeati dagli elementi caratteristici dell'Art Nouveau. Egli, trasferitosi a Parigi per proseguire i suoi studi artistici, trovò la sua fortuna quando gli venne chiesto di realizzare un poster per pubblicizzare "Gismonda", un'opera teatrale con protagonista Sarah Bernhardt. La finezza del disegno convinse l'attrice a proporre a Mucha un contratto della durata di 6 anni. Si racconta che la Bernhardt vedendo l’opera dirà: “Signor Mucha, lei mi ha reso immortale”. Dopo la famosa Sarah Bernhard, anche i produttori di profumi, di champagne, di sigarette e di qualsiasi altra cosa facevano la coda davanti alla porta di Mucha. Da qui Mucha procede in una continua esaltazione della bellezza affidata a figure femminili disinvolte e accattivanti, colte in pose studiate per esaltarne l’eleganza e la dinamicità, rese con un segno grafico marcato e serpentino, adornate da vesti morbide e splendi gioielli. I profili femminili hanno linee flessuose, ispirate a soggetti naturali: ninfee, rose e narcisi, pavoni, pesci fluttuanti, farfalle e libellule, diventano gli emblemi del nuovo immaginario figurativo. Capigliature stravaganti si sviluppano in arabeschi talmente eccessivi da diventare astratti, circondando il soggetto con spire interpretabili come segni tangibili della sua sensibilità. Considerato uno dei fondatori-ideatori del manifesto quale veicolo pubblicitario, probabilmente aveva intuito che ciò che maggiormente attrae l’occhio del consumatore non è il prodotto in quanto tale, bensì le emozioni che ad esso si associano. E se queste erano raffigurate nel volto di una bella donna, allora l’effetto era ancora più potente. Il segreto dell’attrazione esercitata dalle sue opere era diventato il corpo di una bella fanciulla incastonato nei ricchi motivi ornamentali, capace di richiamare immediatamente l’attenzione. Questa unicità, rispetto all’arte del tempo, assicurò all’autore una popolarità durata fino ai giorni nostri: Mucha era riuscito a cogliere non solo l’ideale di bellezza del tempo, ma anche il nuovo approccio alla pubblicità – usato ancora oggi, nel quale i prodotti vengono reclamizzati da modelle di fama mondiale – e, trattandosi di una stampa, aveva offerto il manifesto al pubblico, dando a quest’ultimo il modo di acquistarlo e di servirsene anche per decorare la propria casa, divenendo in questo forse precursore addirittura di quel movimento che successivamente con Warhol sarà identificato come “Pop Art”.