Atti del convegno - Museo Storico della Guardia di Finanza

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Atti del convegno - Museo Storico della Guardia di Finanza
Il Contrabbando al confine
alpestre nel XIX e nel XX secolo
Atti del convegno organizzato dal
Museo Storico della Guardia di Finanza
in collaborazione con il Comando Provinciale
Guardia di Finanza di Como
Palazzo Terragni
Como 28-29 maggio 2013
Museo Storico della Guardia di Finanza
Comitato di Studi Storici
Roma
Consulenza e realizzazione tipografica
B.C. Giuseppe Finocchiaro
Impaginazione, montaggio e stampa
a cura della Tipografia della Scuola di Polizia Tributaria
della Guardia di Finanza
App.Sc. Francesco Rinaldi
App.Sc. Nello Corritore
App.Sc. Natalino Palermo
App.Sc. Rocco Recupero
Coordinamento generale
Gen. C.A. (c.a.) Luciano Luciani
M.O. Emiliano Stelluti
Dicembre 2013
Hanno partecipato al convegno:
Relatori:
• Alessandro Lodolini, Procuratore Generale onorario aggiunto
della Corte di Cassazione, Giudice e poi Sostituto Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Varese, Giudice presso la
Corte d’Appello di Milano, Presidente Aggiunto della Corte
d’Assise di Varese, Procuratore della Repubblica di Como.
Durante la carriera si è occupato lungamente di procedimenti
penali per contrabbando alla frontiera italo-svizzera.
• Bruno Buratti, Generale di Divisione, è il Capo del III Reparto
Operazioni del Comando Generale della Guardia di Finanza. Ha
frequentato
il
Master
universitario
in
“Diritto
Tributario
dell’impresa” presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di
Milano. Professore a contratto presso le facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Macerata e di Milano. E’ autore di alcune
pubblicazioni in materia di riciclaggio e diritto dei mercati
finanziari. Membro del Comitato di Sicurezza Finanziaria.
• Fabrizio Vismara, Professore associato presso l’Università degli
studi dell’Insurbia, sede di Como. Titolare del corso di diritto
internazionale e del corso di diritto dell’Unione europea presso
l’Università
degli
Studi
dell’Insurbia.
I
Docente
di
diritto
internazionale privato presso la Scuola di specializzazione per le
professioni legali presso l’Università degli Studi di Milano. Autore
di numerose pubblicazioni nell’ambito del diritto internazionale,
diritto
internazionale
privato
e
processuale,
commercio
internazionale e del diritto dell’Unione europea.
• Maurizio Pagnozzi, Colonnello della Guardia di Finanza,
attualmente Capo Ufficio Storico del Comando Generale del
Corpo. Nel corso della carriera ha ricoperto importanti incarichi di
comando e di staff a Brindisi, Salerno, Roma e Trapani. Ha
frequentato il 9° Corso Superiore di S.M. presso il Centro Alti
studi per la Difesa ed ha svolto qualificata attività di insegnamento
presso gli Istituti di Istruzione del Corpo. E’ membro del Consiglio
di Amministrazione del Museo Storico del Corpo.
• Luciano Luciani, Generale di Corpo d’Armata in congedo già
Comandante in seconda della Guardia di Finanza, è Presidente del
Museo Storico del Corpo. Ha pubblicato numerose opere di storia
militare tra le quali “Antonio Luigi Norcen, un soldato, un
finanziere, un comandante ed un geniale innovatore” (2008) e
“L’economia e la finanza di guerra nel secondo conflitto
mondiale” (2007). Master di II livello in Scienze Strategiche. E’
Presidente del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza e
membro della Consulta della Commissione italiana di Storia
Militare.
II
• Adriano Bazzocco, dottorando presso l’Università di Zurigo. Ha
partecipato a un progetto del Fondo nazionale svizzero per la
ricerca scientifica sui profughi in fuga dall’Italia verso la Svizzera
durante gli anni del fascismo. Ha svolto attività giornalistica e di
consulenza storica per la realizzazione di esposizioni e
documentari. Ha pubblicato studi scientifici sulla Svizzera italiana
durante la Seconda guerra mondiale e sul contrabbando alla
frontiera tra Italia e Svizzera.
• Gerardo Severino, Capitano, promosso ufficiale per meriti
eccezionali è Direttore del Museo Storico del Corpo e Capo
Sezione dell’Ufficio Storico del Comando Generale. E’ autore di
numerose pubblicazioni sulla storia della Guardia di Finanza, tra le
quali “Gli aiuti ai profughi ebrei ed ai perseguitati: il ruolo della
Guardia di Finanza (1943-45)” e “Storia dei Baschi Verdi”. E’,
altresì, segretario del Consiglio di Amministrazione del Museo
Storico della Guardia di Finanza.
• Salvatore Golino, Generale di Divisione in congedo della Guardia
di Finanza. Nel biennio 1976/1978 ha frequentato il V Corso
superiore di Polizia Tributaria e nell’anno accademico 1992/1993
il Centro Alti Studi Difesa. E’ insegnante a contratto di Diritto
Penale Tributario al Master di Diritto penale d’impresa presso
l’Università Luiss di Roma e insegnante della stessa materia presso
la Scuola di alta specializzazione per avvocati tributaristi.
III
Collabora con assiduità con riviste specializzate con articoli in
materia tributaria.
• Mauro Michelacci, Generale di Corpo d’Armata in congedo,
durante la carriera ha ricoperto numerosi incarichi presso Reparti
Territoriali e Nuclei di Polizia Tributaria a Brescia, Lucca, Roma e
Milano. Ha svolto importanti incarichi di staff al Comando
Generale. E’ stato titolare della Legione di Napoli e del Comando
Regionale di Napoli, del Comando Regionale Piemonte, del
Comando Interregionale dell’Italia Sud Occidentale di Napoli e del
Comando Aeronavale Centrale. Master di II livello di Diritto
Tributario presso l’Università Bocconi di Milano.
• Natalino Lecca, Generale di Divisione in congedo, durante la
carriera ha comandato numerosi reparti in Sicilia, Liguria, Lazio
Toscana ed ha svolto incarichi di polizia tributaria, e di Stato
Maggiore al Comando Generale per i quali ha conseguito la
promozione “per meriti eccezionali di servizio” a maggiore. E’
autore di numerose pubblicazioni sui petroli, sulle frodi
comunitarie, sull’organizzazione dei mercati agricoli europei e
sulle frodi alimentari.
• Mauro Saltalamacchia, Maresciallo della Guardia di Finanza in
servizio presso l’Ufficio Storico del Comando Generale. Ha
prestato servizio presso la Legione di Como ed il Nucleo di pt di
Bologna. E’ membro del “Nucleo di Ricerca” per reperire la
documentazione inerente l’opera di salvataggio degli ebrei durante
IV
la seconda guerra mondiale ad opera della Guardia di Finanza e
collabora con l’Ufficio Storico dello S.M. della Difesa
nell’organizzazione dei Convegni internazionali di storia militare
della CISM. E’ autore di pubblicazioni sulla storia della Guardia di
Finanza.
• Espedito Finizio, Generale di Divisione in congedo della Guardia
di Finanza, ha ricoperto, durante la carriera, numerosi incarichi di
comando e di Stato Maggiore. In particolare è stato a lungo
Comandante della Legione Allievi e poi Capo dell’Ufficio Storico
della Guardia di finanza. E’ stato direttore del periodico “Il
Finanziere”. Ha pubblicato 5 volumi riguardanti aspetti particolari
della vita del Corpo.
• Rodolfo Mecarelli, Generale di Brigata in congedo della Guardia
di Finanza, ha prestato servizio al comando di reparti territoriali,
articolazioni di Nuclei Regionali pt e di staff di Puglia, Marche,
Lombardia. Ha avuto incarichi anche per le missioni del Corpo
all’estero, in Romania ed Albania. Plurilauretao, insegna Diritto
Tributario presso l’Università dell’Insurbia di Como ed è membro
dell’Osservatorio per la Trasparenza e controllo della Provincia di
Milano.
• Diego Zoia, ricercatore storico, già insegnante di scuola
secondaria, segretario comunale e giudice di pace, ha pubblicato
volumi e saggi sul contrabbando in Valtellina, su statuti e
regolamenti di numerosi comuni medioevali, su vari argomenti
V
riguardanti le popolazioni rurali della Valtellina in epoca
medioevale e moderna. Coordinatore delle operazioni di riordino
ed inventariazione degli archivi storici di numerosi comuni della
provincia di Sondrio.
•
Enrico Fuselli, insegna Materie letterarie presso l’I.I.S. “Fabio
Besta” di Orte. Si dedica alla ricerca storica, privilegiando la storia
della Guardia di Finanza; è socio onorario e benemerito
dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia; è membro
dell’«Associazione Storica Alta Valle del Tevere» e della «Società
dei Verbanisti». È autore di diversi saggi, tra i quali: «L’A.N.F.I.
nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Storia dell’Associazione
Nazionale Finanzieri d’Italia (1899-2011)» (2011); «I picchetti
della Truppa di Finanza della “sezione” di Cospaia. La lotta al
contrabbando al confine con il Granducato di Toscana nel XIX
sec. (2012)».
• Roberto Mantini, Generale di Divisione in congedo della Guardia
di Finanza. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi tra
i quali il comando della Legione di Milano, del Centro di
Aviazione di Pratica di mare, del Gruppo Aereo di Roma e della
Sezione aerea di Intimiano. Presso il Comando Generale è stato
Capo del Reparto Aeronavale e capo dell’Ufficio Aereo del Corpo.
Infine, è stato Vice Direttore Operativo con funzioni vicarie della
Direzione Investigativa Antimafia.
VI
• Virgilio Ilari, allievo di Mario Talamanca, assistente e poi
professore associato di storia del diritto romano nelle università di
Roma Sapienza e di Macerata dal 1972 al 1990, poi chiamato da
Gianfranco Miglio alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università
Cattolica di Milano; fino al 2010 è stato professore associato di
storia delle istituzioni militari. Ha collaborato con l’Ufficio Storico
dello SME, con l’Istituto Affari Internazionali. È stato consulente
del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) ed ha collaborato
con il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD). Ha pubblicato
numerosi lavori insieme ad insigni storici militari come Ferruccio
Botti, Antonio Sema e Piero Crociani. È stato tra i fondatori della
Società Italiana di Storia Militare, della quale è presidente dal
2004 al 2008 e di nuovo dal 2010.
VII
INDICE
Indirizzo di saluto del Gen. C.A. Vincenzo Delle Femmine
Comandante Interregionale della Guardia di Finanza per
l’Italia Nord Occidentale ........................................................................ 1
Introduzione ai lavori del Gen. C.A. Luciano Luciani
Presidente del Museo Storico e del Comitato di Studi Storici
della Guardia di Finanza ........................................................................ 5
Relazione introduttiva del Dott. Alessandro Lodolini ......................... 9
Gen. D. Bruno Buratti
Il contrabbando alla frontiera terrestre oggi .......................................... 19
Prof. Fabrizio Vismara
Contrasto al fenomeno del contrabbando nel diritto italiano e
svizzero .................................................................................................... 41
Col. Maurizio Pagnozzi
Il contrabbando sulla frontiera terrestre nel XIX secolo ........................ 49
1. Il contrabbando nel 1800: Violazione doganale o anche di
Polizia? ............................................................................................. 49
2. Le dinamiche del contrabbando ....................................................... 53
3. Il Regno di Sardegna (1792 – 1859) ................................................ 55
4. Ducato Di Milano, Repubblica Cisalpina, Repubblica Italiana
e Regno d’Italia (1792 – 1814) ........................................................ 68
5. Il Regno del Lombardo – Veneto (1815 – 1859) ............................. 76
6. Il contrabbando sui laghi .................................................................. 80
7. Il Regno d’Italia (1861 – 1900) ........................................................ 87
8. Conclusioni....................................................................................... 97
Gen. C.A. Luciano Luciani ................................................................. 101
Il contrabbando alla frontiera terrestre nel XX secolo ......................... 101
1. Generalità ....................................................................................... 101
2. I protagonisti del fenomeno............................................................ 103
3. Geografia del contrabbando ........................................................... 108
4. I risultati dell' azione repressiva della Guardia di Finanza............. 115
5. Conclusioni..................................................................................... 118
IX
Dott. Adriano Bazzocco
L’atteggiamento della Confederazione Svizzera nei confronti del
contrabbando alla frontiera con l’Italia ............................................... 121
1. Inquadramento giuridico e amministrativo .................................... 123
2. Preparativi di un’operazione .......................................................... 125
3. Quantificazione .............................................................................. 126
4. Attriti, irritazioni, conflitti .............................................................. 129
5. Rilevanza economica per la Svizzera ............................................. 131
Cap. Gerardo Severino
Lo schieramento della Guardia di Finanza al confine alpestre nei
primi cento anni dall’Unità d’Italia ...................................................... 133
1. Il 1861 ed i nuovi confini nazionali ............................................... 133
2. L’ordinamento e lo schieramento operativo della Guardia
Doganale del Regno d’Italia (1862 – 1881) ................................... 139
3. Dalla riforma del 1881 alla nascita dei Comandi di Legione
(1881 – 1906) ................................................................................. 147
4. Gli ultimi sessant’anni (1900 – 1961) ............................................ 149
Gen. D. Salvatore Golino
L’uso delle armi nel servizio anticontrabbando.................................... 155
1. Premessa ......................................................................................... 155
2. Precedenti storici ............................................................................ 156
3. Il contesto socio-economico ........................................................... 161
4. L’entità del fenomeno del contrabbando ........................................ 162
5. Le finalità della legge n. 100/1958 ................................................. 164
6. Il testo della legge e le reazioni in Parlamento............................... 167
Gen. C.A. Mauro Michelacci
Il contrabbando di caffè al confine alpestre ......................................... 173
1. Premessa ......................................................................................... 173
2. Le cause e gli strumenti del contrabbando ..................................... 175
3. Il contrabbando di caffè.................................................................. 176
4. Conclusioni..................................................................................... 193
Gen. D. Natalino Lecca
La vita dei Finanzieri nei Distaccamenti di montagna ......................... 197
1. Il distaccamento del Giovo ............................................................. 202
2. Il dormitorio ................................................................................... 207
3. Lo svolgimento del servizio ........................................................... 209
4. L’attività’ di servizio ...................................................................... 211
5. La vita in distaccamento ................................................................. 215
X
Maresciallo Ord. Mauro Saltalamacchia
L’editoria e la pubblicistica sul contrabbando ..................................... 221
1. Premessa ......................................................................................... 221
2. Introduzione ................................................................................... 223
3. Periodo napoleonico, Restaurazione, Risorgimento ...................... 227
4. Dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale .............................. 230
5. Dal primo dopoguerra alla fine della seconda guerra
mondiale ......................................................................................... 233
6. Dal secondo dopoguerra alla fine del “contrabbando
romantico” ...................................................................................... 236
7. Dalla seconda metà degli anni ‘70 alla fine del XX Secolo ........... 239
8. Editoria e pubblicistica della Guardia di Finanza sulla
tematica del contrabbando .............................................................. 242
Bibliografia ragionata ............................................................................ 249
Gen. D. Espedito Finizio
Un contrabbandiere d’altri tempi Louis Mandrin (1725-1755) ........... 271
Gen. B. Rodolfo Mecarelli
Rete di confine ....................................................................................... 277
1. Il servizio anticontrabbando nelle cronache dei secoli scorsi ........ 283
Ricerche e bibliografia .......................................................................... 293
Dott. Diego Zoia
Il contrabbando tra Valtellina e Svizzera durante le due guerre
mondiali ................................................................................................. 295
1. Qualche notizia sul periodo del primo conflitto mondiale ............. 295
2. I primi anni della Seconda Guerra Mondiale ................................. 299
3. Dopo l’armistizio............................................................................ 304
4. L’espatrio degli Ebrei e di altri gruppi di persone ......................... 309
5. Le merci contrabbandate ................................................................ 310
6. I sacerdoti ....................................................................................... 311
Prof. Enrico Fuselli
I caduti ed i decorati della Guardia di Finanza nella lotta al
contrabbando......................................................................................... 315
1. I rapporti con le popolazioni delle zone di confine ........................ 315
2. Le condizioni operative .................................................................. 320
3. I caduti ............................................................................................ 328
4. I decorati ......................................................................................... 335
XI
Gen. D. Roberto Mantini
L’impegno degli elicotteri nel servizio anticontrabbando al
confine terrestre .................................................................................... 339
1. Precedenti storici ............................................................................ 339
2. La prima Sezione Aerea di montagna ........................................... 345
3. Come si sviluppa il Servizio Aereo e la vigilanza al confine
terrestre ........................................................................................... 347
4. Cenni sui risultati operativi ............................................................ 350
Prof. Virgilio Ilari
Conclusioni ............................................................................................ 355
Rassegna stampa.................................................................................... 367
XII
Palazzo Terragni
Il palazzo sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di
Como, ove si è svolto il convegno sul contrabbando al confine
alpestre. E’ l’utopistico sogno razionale di Giuseppe Terragni.
Costruito nel 1932-36, è l’opera più importante dell’architetto
comasco e forse una delle maggiori realizzazioni dell’architettura
italiana del XX secolo. Rigoroso, ma anche “lirico” nella sua bianca e
nitida astrazione, l’edificio è basato su un attento studio di piani
intersecanti e superfici correlate da rapporti matematici. Nell’impianto,
che riprende coscientemente l’impostazione della domus romana, con
cortile centrale, è un parallelepipedo movimentato su ciascuno dei
quattro lati da aperture di dimensioni differenti, anche se inscritte nel
medesimo schema modulare: spicca in particolare la facciata
principale dove a una griglia aperta di travi e pilastri che occupa i tre
quarti dello spazio si affianca una superficie piana e levigata, destinata
XIII
ad accogliere lastre di ferro smaltate, che tuttavia non vennero mai
applicate. Oggi si ammira in particolare la corte coperta e la suggestiva
loggia dell’ultimo piano da dove Terragni sembra aver voluto
instaurare un affascinante “dialogo urbanistico” con i volumi delle
absidi e della cupola del prospicente Duomo di Como.
XIV
INDIRIZZO DI SALUTO
Gen. C.A. Vincenzo Delle Femmine
Comandante Interregionale della Guardia di Finanza
per l’Italia Nord Occidentale
Autorità, gentili ospiti, desidero, innanzitutto, porgere a tutti voi, a
nome della Guardia di Finanza e mio personale, il più cordiale saluto e
ringraziamento per essere intervenuti al convegno sul tema "Il
contrabbando al confine alpestre nei secoli XIX e XX", ospitato in
1
questo prestigioso edificio, costruito dal famoso architetto Giuseppe
Terragni nel 1936 ed ora sede del Comando Provinciale di Como.
Rivolgo un particolare ringraziamento al Presidente del Museo
Storico, Generale Luciano Luciani, per essersi reso promotore
dell'iniziativa, che ha il merito di esaltare la storia della Guardia di
finanza ed il suo impegno a favore della collettività.
Studiare questo insidioso fenomeno illecito, spesso sottovalutato nella
sua portata e pericolosità, sia per il tessuto sociale che per il sistema
economico, significa ripercorrere la storia stessa del Corpo, fin dalle
sue origini.
Da quando, nel lontano 1774, Vittorio Amedeo III di Savoia istituì la
Legione Truppe Leggere, con la missione di combattere il dilagante
contrabbando lungo il c.d. "cordone doganale", che interessava buona
parte della frontiera con la Francia e con la Svizzera.
Altri Stati preunitari seguirono l'esempio del Regno di Sardegna,
istituendo Corpi armati, militari o civili, destinati primariamente al
controllo delle merci in entrata ed in uscita dai rispettivi confini ma
anche, in alcune situazioni contingenti, impiegati nel concorso alla
difesa politico - militare dei propri territori.
Con l'Unità d'Italia, il fenomeno del contrabbando crebbe di intensità
per l'aumento del prelievo doganale e per il proliferare di vere e
proprie organizzazioni di contrabbandieri, in grado di tessere e gestire
le fila di cospicui traffici illeciti.
Le merci contraffatte, introdotte attraverso la linea doganale, potevano
viaggiare in tutta la penisola e raggiungere anche i mercati più remoti,
con evidente danno per l'erario ed effetti distorsivi sulla concorrenza.
2
Oggi il contrabbando, che per lungo tempo è stato ammantato di un
alone di falso romanticismo, sottacendo, spesso, tante tragiche vicende
che hanno causato centinaia di vittime tra finanzieri e contrabbandieri,
ha finalmente gettato la maschera, appalesandosi alla società civile per
quello che è sempre stato: uno dei principali business delle
organizzazioni criminali, nel cui contesto pochi "capi" beneficiano di
ingenti profitti, a scapito di un'ampia manovalanza che rischia la vita
ed il carcere per pochi spiccioli.
Attualmente, la lotta al contrabbando, in primis nel settore dei
tabacchi lavorati esteri, vede la Guardia di finanza, nella sua
connotazione di polizia economico-finanziaria, impegnata:
-
in primo luogo, per la tutela delle entrate, in quanto il
contrabbando sottrae ingenti risorse al bilancio nazionale ed a
quello dell'unione europea, in termini di evasione di diritti
doganali e di accise;
-
in secondo luogo, per la tutela dei mercati e dell'economia,
minacciati dai patrimoni illecitamente accumulati dalle consorterie
criminali, destinati ad essere riciclati e reimpiegati nel circuito
finanziario e produttivo legale.
L'attività contrabbandiera, abbandonando le forme tradizionali che per
secoli l'hanno caratterizzata (dei quali i cosiddetti "spalloni"
costituiscono la più nota testimonianza), è divenuta, nel tempo, una
vera e propria "impresa multinazionale", contro la quale non sono più
sufficienti le strategie di contrasto fondate unicamente sulla
individuazione dei carichi di merce introdotti illegalmente e sulla
cattura dei soggetti coinvolti.
3
Occorre che ad esse si accompagni un'azione mirata a colpire i beni e
le disponibilità finanziarie illecitamente acquisiti e reinvestiti in Italia
ed all'estero, attraverso il miglioramento, anche sul piano normativo,
della cooperazione internazionale.
Permettetemi, infine, una breve digressione, per ricordare i numerosi
perseguitati - per motivi politici e razziali - che i finanzieri aiutarono a
far espatriare verso la Svizzera nel corso della seconda guerra
mondiale, proprio attraverso quella rete di confine che, sul finire del
XIX secolo, era stata eretta per porre un freno al contrabbando.
Molti di questi eroi con le fiamme gialle pagarono con la vita le loro
azioni umanitarie, poiché accusati dai nazisti, ironia della sorte, di
essere stati loro stessi "contrabbandieri di uomini".
La storia ha, così, dimostrato il grande valore dei finanzieri che, nei
momenti più critici e nelle condizioni più avverse, hanno agito nel
giusto, a tutela non solo delle casse erariali ma anche dei diritti
fondamentali dell'uomo.
Concludo questo mio indirizzo di saluto sottolineando l'importanza
delle tematiche che saranno affrontate nel corso del convegno, le cui
relazioni costituiscono un sapiente mix di passato ed attualità, assai
utile per delineare le prospettive future della lotta al contrabbando.
Vi ringrazio per l'attenzione e vi auguro buon lavoro!
4
INTRODUZIONE AI LAVORI
Gen. C.A. Luciano Luciani
Presidente del Museo Storico
e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza
Le giornate di studio, che ora iniziano, concludono un percorso
decennale durante il quale è stato investigato, sotto il profilo storico il
contrabbando extraispettivo, quello cioè perpetrato da uomini che a
piedi o con mezzi meccanici o battelli di ogni tipo attraversavano le
frontiera terrestre o marittima con carichi di merci sottoposte a dazio
doganale, forzando la vigilanza della Guardia di finanza.
Esso si differenzia da quello intraispettivo, cioè dal passaggio di merci
gravate da dazio attraverso i canali autorizzati accompagnate da
5
documentazione falsa attestante stati di fatto diversi da quelli reali, in
modo da godere di esenzioni o trattamenti agevolati.
Il contrabbando, fin verso il primo terzo del XX secolo è stata la
forma di evasione fiscale che maggiormente incideva sulle entrate
erariali,
provocando
legittime
preoccupazioni
alle
autorità
governative. Lo Stato molto si attendeva dall’ attività repressiva della
Guardia doganale e poi, dal 1881, dalla Guardia di finanza. Per tutti i
primi settant’anni dall’unità d’Italia ogni provvedimento legislativo
tendente ad incrementare le entrati fiscali era accompagnati da studi e
relative
disposizioni
di
legge
che
cercavano
di
migliorare
l’organizzazione, l’organico ed il trattamento dei finanzieri, e questo a
dimostrazione dell’importanza del loro ruolo nell’amministrazione
dello Stato.
Il contrabbando, come forma di evasione, a partire dalla fine della 2^
guerra mondiale, iniziò a incidere percentualmente sempre meno sul
totale delle entrate erariali, e ciò in relazione al crescere del
rendimento delle imposte indirette ed indirette, che alla fine degli anni
‘80 del secolo scorso rappresentavano oltre il 75% del gettito
tributario.
Il colpo di grazia al contrabbando extraispettivo al confine alpestre fu
poi dato dalla crisi petrolifera innescata dalla guerra arabo israeliana
del Kippur, dal 1973, che provocò un fortissimo disallineamento
valutario per effetto del quale il valore del franco svizzero rispetto alla
lira italiana salì a tali livelli che rese antieconomico l’acquisto delle
merci da contrabbandare, acquisto che veniva effettuato nella
Confederazione Elvetica.
6
Sopravvisse per qualche anno il contrabbando di caffè, ma anche esso
divenne ben presto antieconomico e fu abbandonato.
Il 1975
può quindi considerarsi l’ anno conclusivo di un ciclo
plurisecolare che vide gli uomini delle zone di confine sfidare la legge
ed i rigori della montagna per ottenere guadagni che consentissero
loro di godere di migliori condizioni di vita.
Gli illustri relatori che si avvicenderanno in queste due giornate, che
ringrazio per il loro impegno, daranno un quadro d’insieme di un
fenomeno, il contrabbando al confine terrestre, che da accadimento
investigato dai criminologhi è divenuto fenomeno oggetto di studi
storici.
È questo lo scopo che il Museo Storico della Guardia di finanza,
attraverso il suo comitato di Studi Storici, si era ripromesso all’inizio
del ciclo di convegni, scopo che ritengo sarà raggiunto con pienezza di
risultati.
7
Relazione introduttiva
Dott. Alessandro Lodolini
Nella mia lunga carriera di magistrato, ho lavorato spesso con militari
ed ufficiali di ogni grado della Guardia di Finanza, tutti
professionalmente preparati, con i quali sono rimasto legato da
sentimenti di sincera stima sviluppatisi, nel tempo, nei confronti di
alcuni di loro, in vera amicizia tutt’ora viva e sentita. Probabilmente
questa è la ragione, ma credo non la sola, che ha indotto gli
organizzatori di questo incontro a scegliere la mia persona quale
9
autore di una breve e libera relazione introduttiva al presente
convegno.
Avendo letto il programma dei lavori e gli argomenti specifici
assegnati ai relatori che mi seguiranno, limiterò il mio intervento ad
una sintetica trattazione del contrabbando da un punto di vista
fenomenologico, storico e sociale trascurando ogni accenno alle
fattispecie penali che lo definiscono ed alla sua attuale disciplina
giuridica penale ed amministrativa.
Il contrabbando è contemporaneo al formarsi dei primi gruppi sociali
organizzati. La sua nascita e il suo sviluppo sono da collocare in un
tempo immediatamente successivo alla avvertita necessità da parte di
singole comunità, divenute poi stati, di perseguire, con preferenza, gli
interessi comuni rispetto a quelli particolari e di tutelare i reciproci
scambi commerciali, con norme vincolanti che introducessero divieti e
limiti al commercio di quei beni, siano essi materiali o non materiali,
aventi, in un dato momento storico, un condiviso valore economico.
Si è assistito così ad un parallelo procedere: da un lato di sistemi
giuridici sanzionatori statali con norme eventi efficacia erga omnes e
dall’altro di sistemi contra legem dotatisi di norme, formatesi nel
tempo attraverso l’esperienza del delinquere, non scritte ma pur
sempre vincolanti per il perseguimento di interessi di gruppi più o
meno numerosi di persone.
I due sistemi sono stati e sempre saranno in contrasto, spesso aspro e
forte, tra di loro, con vittorie e sconfitte reciproche in una battaglia, tra
guardie e ladri, che non vedrà mai la supremazia o la sconfitta
dell’uno sull’altro perché forti sono i contrapposti interessi economici
ed anche finanziari in gioco.
10
Invero, molto evidenti e grandemente appetibili sono i guadagni in
denaro contante o in beni economici di diversa natura che sono
sempre derivati dall’importazione o dall’esportazione di merce in
violazione delle norme statuali con l’ausilio di mezzi, di uomini e di
tecniche per vincere i controlli istituiti dagli stati che, al fine di
contrastare il fenomeno criminoso, si sono avvalsi da parte loro di
specializzati corpi militari di polizia tributaria. Questi, con la
collaborazione di altre forze anticrimine, hanno spesso vittoriosamente
condotto una battaglia, con l’uso anche di armi, trasformatasi talvolta
in una vera guerra, contro i contrabbandieri dando inizio ad una
storia, in alcuni contesti con risvolti anche umani ma in seguito quasi
esclusivamente criminale, del contrabbando di cui, in relazione
all’aspetto italiano, si parlerà più avanti nel convegno.
All’origine di questa trasformazione in peius del contrabbando vi è
l’aumento costante dei reati in dipendenza degli ingenti vantaggi
economici che ne sono conseguiti per gli autori; la prospettiva,
pertanto, dei lucrosi affari condotti con successo, nonostante la
presenza di efficaci forze di polizia di contrasto, ha comportato
l’intervento di gruppi di persone titolari di cospicui interessi
economici e l’intervento di personaggi ed organizzazioni, a livello
mondiale, capaci di investire ingenti capitali e muovere i mezzi
materiali ed umani necessari ed idonei al conseguimento dei fini
perseguiti.
E’ sempre più frequente imbattersi, nel corso delle indagini, in vere e
proprie organizzazioni anche di grandi dimensioni, di rilevanza
nazionale ed internazionale, dedite ad attività illegali, quali il
contrabbando, all’interno delle quali, sovente, per rendere più
11
difficoltosa l’identificazione dei partecipanti, si agisce per gruppi
distinti al fine di impedire le reciproche conoscenze personali e
perfino l’incontro tra venditori e compratori prevedendo all’interno,
divisioni di competenze e di mansioni tra gli aderenti: grossisti, autisti,
addetti al carico, magazzinieri, spalloni ecc.
Un esempio di queste organizzazioni in chiaro-scuro sono quelle che
assumono la forma di società di prestanomi fiduciarie le quali
acquistano la merce da aziende estere produttrici per rivenderla nel
mercato interno con copertura commerciale fittizia, false fatturazioni,
nomi di fantasia provvedendo nel contempo ad accendere conti
fiduciari all’estero per il buon fine dei contratti conclusi.
Seguendo la mutevole realtà, anche le fattispecie penali contestate
sono cambiate: ecco le associazioni a delinquere con finalità di
contrabbando più pericolose del concorso di persone nel reato, per
l’indeterminatezza del programma criminoso e per la stabilità e
permanenza nel tempo del programma stesso.
Anche le rotte del contrabbando, come impongono gli interessi delle
organizzazioni criminali, seguono ora non solo itinerari nazionali ma
anche europei e addirittura mondiali siano essi di terra, di mare o di
cielo come richiede il valore in crescendo degli affari, quantificabile
in milioni di euro, soprattutto nel campo delle sigarette, dei preziosi,
dell’oro e del denaro.
Si assiste, così, ad una continua evoluzione della criminalità che si
modella in associazioni sempre più complesse capaci di gareggiare,
quanto ad impiego di capitali, uomini e mezzi, con le grandi
associazioni criminali internazionali protagoniste, sin dai tempi delle
guerre dell’oppio, del traffico di droga.
12
Questa evoluzione nel tempo della criminalità ha consentito il sorgere
graduale di una contrapposizione tra economia legale ed economia
illegale all’interno della quale le motivazioni del traffico illecito
vanno individuate nei vantaggi economici che ne sono derivati per i
protagonisti e per il territorio in cui costoro operavano. Questi
vantaggi di natura illegale hanno sempre più favorito l’espandersi del
fenomeno del contrabbando e la penetrazione dei gruppi criminali in
sfere di mercato con investimenti di denaro cospicui. Ciò ha
consentito l’acquisizione di mezzi e di proprietà in grado di facilitare
la conduzione dei traffici illeciti con interventi al ribasso sui prezzi dei
beni al fine di conseguire un apprezzabile guadagno risultante dalla
differenza tra il prezzo legale e quello illegalmente imposto e
praticato.
Abbiamo visto che il contrabbando ha una storia universale legata
all’esistenza dei confini che in tutto il mondo ancora dividono gli stati;
tuttavia, anche là dove, come in Europa, i confini hanno perso di
importanza, il fenomeno non è stato eliminato ma anzi è in crescendo.
Restringendo il campo di esame al tema del convegno, bisogna dire
che il contrabbando, nei secoli XIX e XX, è sempre stato, a seconda
dei periodi, più o meno fiorente tra gli stati confinanti con le alpi,
specialmente con la vicina Svizzera, senza mai conoscere soste,
neppure in presenza di conflitti armati, come nel corso delle due
ultime guerre mondiali, ed ha senz’altro contribuito, nello stesso
periodo, allo sviluppo di un’economia di guerra che ha arricchito
pochi e impoverito molti per mezzo soprattutto dell’illecito
commercio di beni di prima necessità al fine di soddisfare le esigenze
di vita di popolazioni spesso prive di redditi se non addirittura di cibo.
13
In quei territori che si andavano ad impoverire per la diminuzione
della ricchezza causata dalla scarsità di strutture economiche
produttive e dal progressivo spopolamento per emigrazione, anche in
tempo di pace la pratica del contrabbando ha dato un contributo non
trascurabile nel far nascere e mantenere un’economia che, seppure in
maniera illegale, era in grado di fornire il necessario per vivere.
Quella del contrabbando è una frontiera che divide ma nello stesso
tempo unisce: crea collaborazioni transfrontaliere a causa di un
legame solidale nato per motivi di carattere economico ed umano è
paragonabile ad un filtro che lascia passare alcune cose ed altre no e
che suscita uno scambio vicendevole di commerci tra una frontiera e
l’altra anche pluridirezionale.
Non bisogna dimenticare che la storia del contrabbando non è stata
scritta soltanto dalle persone direttamente interessate al traffico
illecito: nei territori ove si praticava, l’intera popolazione vi ha
partecipato spesso attivamente, fornendo assistenza logistica, aiuti
materiali e personali, altre volte passivamente, con condotte
conniventi proprie di chi sa ma non parla tanto da far ritenere a molti
che il contrabbando fosse diventato un fenomeno sociale e come tale
dovesse essere esaminato e studiato.
Protagonisti di questo periodo sono stati gli spalloni che hanno scritto
una storia sempre faticosa, a volte generosa e spesso violenta, e che
sono stati annoverati tra i principali attori del contrabbando nei
territori alpini. Erano uomini del luogo, spesso stimati dagli stessi
ticinesi per quanto riguarda il confine elvetico, che, sfidando la
sorveglianza delle guardie dell’una e dell’altra frontiera e scalando
sentieri spesso difficili ed impervi di montagna, d’estate e d’inverno,
14
con la neve e di notte, portavano a spalla, le loro bricolle. Ciascuna
bricolla poteva arrivare a pesare 35/40 Kg. di generi alimentari, oltre a
caffè, tabacco ed altro per rispondere alle richieste di una domanda
sempre presente; ciò fa comprendere le ragioni
per le quali il
contrabbando, nel corso della storia, in queste zone, non ha mai
conosciuto soste perché ha saputo sempre adeguare con il passare
degli anni, le sue dinamiche alle richieste del territorio.
Basti pensare alla sempre più variegata fantasia nell’uso dei mezzi di
trasporto e di nascondimento della merce, ai numerosi mercati ed alle
mutevoli
esigenze
della
domanda.
Esempi
eccellenti
di
nascondimento, specialmente nel campo dei trasferimenti di denaro,
oro e preziosi in Svizzera , sono quelli in cui gli spalloni si fingono
turisti alla guida di autovetture munite di doppi fondi o portando
addosso ben nascoste capienti panciere.
Il contrabbando di confine come quello tra l’Italia e la Svizzera alla
fine degli anni sessanta si snoda attraverso una lotta di violenti
contrasti tra contrabbandieri e guardie incaricate della sorveglianza,
lotta che è stata contrassegnata, per la verità, anche da momenti di
buoni rapporti. I buoni rapporti sono coincisi con i periodi in cui gli
spalloni lavoravano per bisogni personali e delle loro famiglie e non
per amore esclusivo del denaro e della ricchezza; si instaurava di fatto
tra spalloni e guardie di confine una collaborazione per effetto della
quale queste ultime fingevano di non vedere o sequestravano soltanto
una parte della merce contrabbandata. C’era sempre l’appostamento
dei finanzieri seguito dall’arrivo degli spalloni che utilizzavano le
aperture già esistenti nella rete di confine; quindi seguiva
15
l’intimazione”Alt…molla” delle guardie a lasciare le bricolle e la fuga
dei contrabbandieri con l’abbandono sul terreno di parte della merce.
Ricordo di aver avuto come giovane magistrato al tribunale di Varese,
tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta, esperienze
di questo genere nei numerosi processi per contrabbando specialmente
di sigarette estere conosciute con l’appellativo di “bionde”. In ogni
udienza si celebravano di media tre o quattro processi di t.l.e. (tabacco
lavorato estero) importato dalla vicina Svizzera ed in ciascuno di essi
il racconto dei fatti era quasi identico.
Un’area di romanticismo, aveva avvolto per un certo tempo questo
tipo di contrabbando che aveva dato vita ad una forma di
collaborazione extrafrontaliera vantaggiosa sia per gli svizzeri che
vendevano merce sia per gli spalloni che ne ricavavano un reddito
anche se misero, collaborazione non avvertita come illegale specie
dove erano state istituite tasse o forme di monopoli non condivise
dalle popolazioni. E’ un contrabbando che era nato, quindi, anche
come reazione allo stato centrale che aveva emanato norme restrittive
o proibitive non condivise.
Con il passar del tempo anche questo tipo di contrabbando lentamente
ha mutato pelle esplodendo sul piano quantitativo e qualitativo fino ad
assumere sempre più un carattere industriale in grado di muovere
cifre enormi di mercato con introiti elevatissimi. Era inevitabile di
conseguenza che, anche a causa dell’aumento del valore del franco
svizzero, iniziasse a diminuire nel tempo il lavoro degli spalloni
lavoro che però è continuato battendo altre strade e rotte ed
utilizzando mezzi di trasporto più potenti per assumere sempre più la
16
caratteristica di traffico dominato da organizzazioni criminali
internazionali.
Vorrei terminare con una considerazione che a prima vista appare
estranea al tema della mia relazione introduttiva ma che in realtà
rientra nell’eterno interrogativo della legittimità di una norma che
vieti determinate condotte perché ritenute illecite, in un determinato
momento storico, mentre tali non sono avvertite dai suoi destinatari.
Non esiste sempre un nesso indissolubile tra norma e comune sentire.
Non vi è dubbio che le norme sul contrabbando vanno ad incidere su
di una realtà non sempre oggettivamente antigiuridica ma anzi in
genere lecita ed essenziale per l’economia degli stati, quale è lo
scambio di merci o di altri beni attraverso le frontiere. V’è di più: di
frequente la diversità di disciplina sulla stessa materia fa sì che una
stessa condotta sia vietata da uno stato e consentita da un altro.
Esiste una strada che si può percorrere per raggiungere e
possibilmente far proprio l’ideale della giustizia e far sì che questo
ideale possa realizzarsi nei rapporti tra gli uomini ed ivi regnare?
Due sono, a mio avviso, le carreggiate che formano questa strada: la
giustizia e la verità. La giustizia da sola non è sufficiente per cui è
necessaria anche la individuazione della verità e solo quando i due
concetti coincideranno si avrà una giustizia vera.
17
Gen. D. Bruno Buratti
Il contrabbando alla frontiera terrestre oggi
Il termine “contrabbando” proviene da “contra bandum” o “bannum”
e indica un’azione compiuta in violazione di un’imposizione di legge,
un “bando” appunto, strumento in antichità usato per diffondere un
decreto, una legge o un ordine, “a suon di tromba” dal banditore.
Si tratta, dunque, di una condotta “criminosa”, finalizzata alla
introduzione di merci o beni nel territorio di uno Stato e in violazione
19
delle prescrizioni poste a tutela del pagamento dei cd. “diritti di
confine” o doganali.
Questa è la definizione riconosciuta, ancora oggi, nel nostro
ordinamento dal Testo Unico sulle Leggi Doganali, in linea con la
definizione comunitaria.
Nel Dizionario Storico della Svizzera1, Paese tradizionalmente
“prediletto” dal contrabbando terrestre e alpestre, il significato è
individuato “principalmente” da un punto di vista economico: il
contrabbandiere “supera delle barriere create per ragioni fiscali o di
politica economica, sfruttando così a suo vantaggio i divari di prezzo
naturali o artificiali fra diversi spazi economici. Ciò comporta un
riequilibrio dei prezzi favorevole sia al venditore che all'acquirente”.
“Al contrario di quanto avviene nell'U.E., in Svizzera il contrabbando
non è generalmente considerato un'azione criminosa, ma viene
perseguito nell'ambito del diritto penale fiscale”.
Cesare Beccaria definisce il contrabbando come “un vero delitto che
offende il sovrano e la nazione, ma la di lui pena non dev'essere
infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica
opinione”.
Nel periodo di espansione dell’Impero romano il contrabbando
avveniva in maniera piuttosto violenta, motivo per cui gli stationarii2
e i portitores3 furono affiancati da distaccamenti militari che potessero
impedire, con la forza, eventuali condotte di contrabbando.
1
2
3
Cfr. www.hls-dhs-dss.ch.
Nel periodo dell’Impero, la statio rappresentava una postazione di difesa, anche
militare, una postazione di controllo, un punto di osservazione soggetto
all’autorità di ufficiali dell'esercito romano.
Al tempo, le varie “gabelle” imposte ai sudditi delle provincie dell’Impero
comprendevano diritti diversi quali dazi, pedaggi, affitti di luoghi pubblici,
20
Nel Medioevo il fenomeno conobbe una forte propagazione nella
nostra penisola. Anche in conseguenza della pregnante influenza
arabo-islamica, si diffusero termini quali “dogana” (diwani,
letteralmente il registro del soldo delle milizie arabe e delle pensioni
di Stato, ma anche “divano”) e “tariffa” (ta’rifa, letteralmente
informazione o notificazione), e nacquero gli istituti del manifesto di
bordo e dei depositi doganali.
In questo periodo nascono e si diffondono pure le franchigie, come nel
caso di fiere o mercati particolari, soprattutto gestiti da istituzioni
religiose.
Degna di menzione è una previsione contenuta nelle leggi dello Stato
pontificio, nel periodo pre-unitario, cioè quella della “delazione”:
chiunque avesse aiutato a individuare e smascherare episodi di
contrabbando entro una giornata dall’avvenimento del fatto, sarebbe
stato premiato con cento scudi oltre che con la garanzia
dell’anonimato!
Con l’unificazione, il neo-Stato italiano fu costretto a ritoccare in
aumento le tariffe doganali, in un primo momento in misura moderata,
ma dopo l’inizio della guerra con l’Austria (1866) in maniera più
consistente, con conseguente incremento esponenziale dei fenomeni di
contrabbando, soprattutto lungo i confini settentrionali.
Già allora il Corpo della Regia Guardia di Finanza (denominazione
assunta con Legge 8 aprile 1881, n. 149) si dimostrava determinante
per la tutela degli interessi finanziari dello Stato soprattutto al confine
mercati e altri, e la loro riscossione era data in appalto a ricchi imprenditori, i cd.
“publicani” o “telonai”, i quali pagavano al procuratore della Provincia una certa
somma, di cui si rifacevano con la riscossione di una determinata partita di
gabelle: gli impiegati dipendenti da questi appaltatori generali erano gli
“exactores” o “portitores”, appunto.
21
italo-svizzero, se si pensa che il gettito delle imposte doganali passò
dai 100 milioni di lire del 1872 ai 208 milioni del 1884.
La situazione del contrabbando nel primo quarto di secolo dall’Unità
d’Italia,
tuttavia,
viene
ben
descritta
nella
relazione
di
accompagnamento al disegno di legge che diminuiva il prezzo del sale
e alcune imposte nonché prevedeva il miglioramento nelle carriere
della Guardia di Finanza per rendere più appetibili arruolamenti e
rafferma4. Nel documento, infatti, si rileva che nella seconda metà
dell’Ottocento il contrabbando continuava ad imperversare non
soltanto lungo i confini terrestri settentrionali ma anche sul mare,
agevolato da un litorale esteso e frastagliato dove la vigilanza riusciva
difficilissima.
Nei primi anni del XX secolo il fenomeno continuava a diffondersi via
terra, soprattutto nell’area lombarda, al confine con la Svizzera,
territorio che conosce le storie di contrabbando forse più note, intense
e drammatiche.
Regioni e territori quali Valle d'Aosta, Ossola, Valtellina e molte altre
assistevano al passaggio quasi quotidiano dei famosi “spalloni”
ovvero “sfrosœtt” che portavano, in grosse quanto ingombranti
“bricolle”, merce di vario genere e in entrambi i sensi di marcia: caffè
dalla Svizzera verso l’Italia; riso, soprattutto durante la seconda guerra
mondiale, dall’Italia verso la Svizzera, ma anche calzature, biciclette,
copertoni di auto, per ritornarvi “carichi” di zucchero, caffè e
saccarina. E poi, al termine della guerra, sigarette: ogni bricolla
4
Cfr. disegno di legge presentato dal Governo avente per oggetto “Dichiarazione
del prezzo del sale e dell’imposta sui terreni, e relativi provvedimenti finanziari.
Tornata del 25 novembre 1885. Atti parlamentari, n. 373”, custoditi presso
l’Archivio Storico del Museo della Guardia di finanza – ASMSGF).
22
arrivava a contenere fino a 749 pacchetti, non già 750 perché
altrimenti scattava l’arresto!
Questo fenomeno non sembrava non provocare alcun sentimento di
“censura”, in quanto più che un “crimine” appariva come una sorta di
maniera per “sbarcare il lunario”, un fenomeno sociale, soprattutto in
periodi di miseria e di fame. Un famoso proverbio lombardo ricorda
che “a fà cuntrabànd se perd al sach e tutt quant” che, in italiano,
suona più o meno: “a contrabbandare si perde il sacco e tutto quanto
in esso contenuto, cioè il carico”.
Nel gergo dei contrabbandieri, al sach (sacco) era la bricolla mentre
"andà cul sach", andare col sacco, era sinonimo di contrabbandiere o
contrabbandare.
Sempre in questi anni si diffondono, specialmente nelle zone lungo
l’arco alpino della penisola, ingegnosi sistemi di trasporto della merce
e curiose metodologie di contrabbando e si verificano eventi, spesso
tragici, che accomunano finanzieri e contrabbandieri.
Si afferma l’impiego dei cani “par sfrusà” (per frodare), che venivano
“addestrati” in cascinali e fattorie nei pressi del confine lombardoelvetico, affamati e bastonati da una persona travestita da finanziere;
successivamente, venivano trasferiti in Italia per essere accuditi e
abbondantemente nutriti, per poi essere riportati in Svizzera,
nuovamente bastonati. Da qui, ritornavano in Italia, carichi di merce
di contrabbando (non più di 10 Kg per volta), facendo ben attenzione
alla presenza delle “divise” delle fiamme gialle sul loro cammino!
Altrettanto peculiare è stato l’utilizzo del “sigaro del Ceresio”, un
piccolo, rudimentale sommergibile, con trazione a pedali, usato per
23
trasportare merce di contrabbando attraverso il lago di Como fino agli
anni '50 e scoperto a Porlezza(CO) nel 1948.
Nel secondo dopoguerra le forti innovazioni legislative connesse, in
particolare, alle nuove disposizioni del settore doganale, tanto più
severe poiché necessarie per aiutare la crescita e la ripresa di un Paese
devastato
dalla
guerra,
rappresentano
una
con-causa
del
peggioramento del fenomeno.
Uno spaccato in questo senso, soprattutto nell’area del territorio della
provincia di Sondrio e zone limitrofe, è rinvenibile in un articolo di
Diego Zoia, intitolato “Commercio minore e contrabbando”5 , nel
quale si legge che si arrivò “… gradatamente ad un evidente
snaturamento delle tradizionali forme di esplicazione dell'attività
contrabbandiera: ad una vera e propria esplosione del fenomeno
sotto il profilo quantitativo si accompagnò una grave degenerazione
delle sue caratteristiche. Nel solo 1965, secondo dati ufficiali, vennero
denunciate per contrabbando, in provincia 1339 persone e sequestrati
212.000 kg di caffè e 18.500 kg di tabacchi lavorati, oltre a 109
automezzi.…”.
La migliore e tangibile testimonianza del contrabbando fra Italia e
Svizzera, particolarmente attraverso il territorio alpino, è rappresentata
forse dalla necessità, avvertita dalle Autorità doganali ai primi del
Novecento, di installare, sulla linea di confine italo-elvetico, una “rete
di protezione fiscale”.
Un documento, dato a Milano il 24 febbraio 1955, a firma del Tenente
Colonnello della Guardia di Finanza Luigi Pagliaro che, nel descrivere
5
L’intervento è rinvenibile in “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo
territorio” (Milano, Silvana editoriale, 1955).
24
finalità e caratteristiche del manufatto, evidenzia che lungo la linea di
confine “laddove il terreno è di facile percorribilità, è stata costruita,
quale difesa passiva anticontrabbando da circa cinquant’anni, una
rete metallica alta oltre quattro metri applicata su pali e munita di
campanelli che suonano ad ogni soffiar di vento e non soltanto
quando la rete viene tagliata dai contrabbandieri”.
L’Ufficiale, consapevole della gravità assunta dal fenomeno negli anni
Cinquanta, suggerisce ai suoi Superiori una “ingegnosa” alternativa:
espropriare, lungo la linea di confine “una striscia di terreno,
profonda in media una dozzina di metri, su cui far crescere delle
piante fitte e spinose, entro cui si dovrebbero estendere grovigli di filo
spinato che non abbisognano di manutenzione”. In altre parole, in
luogo di una difesa passiva lineare come un rete metallica, dovrebbe
adottarsi una difesa “sufficientemente profonda, massiccia, irta di
ostacoli, se del caso disseminata da mine a scoppio deprimente e non
mortale, che dovrebbe essere superata con notevoli difficoltà da parte
dei contrabbandieri”.
Ai giorni nostri, il fenomeno del contrabbando, soprattutto di tabacchi
lavorati esteri, assume i caratteri principalmente del contrabbando
“intra-ispettivo”, che si realizza mediante tentativi di introduzione di
merce e prodotti attraverso i varchi doganali.
Diversamente, il contrabbando “extra-ispettivo” si commette tentando
di introdurre merce estera sottraendola ai previsti controlli doganali, al
di fuori degli spazi doganali e dei relativi varchi.
Il contrabbando dei tabacchi lavorati esteri ha visto il Corpo compiere
uno sforzo operativo e organizzativo senza precedenti.
Ma perché proprio i tabacchi lavorati esteri?
25
Una ricerca svolta dal Censis nell’ottobre 2011 evidenzia che,
nell’ultimo ventennio, il gettito fiscale da tabacchi è aumentato
costantemente, raddoppiando il valore in termini reali, passando da
1,34 euro a pacchetto a 2,86 euro, contribuendo nel 2011 alle finanze
pubbliche italiane con circa 14 miliardi di euro.
Di questi, oltre 10,5 mld. quali accise e oltre 3 mld. di IVA, tributi che
incidono complessivamente per quasi il 76% sul prezzo di vendita al
pubblico dei tabacchi.
I traffici illeciti di sigarette costituiscono per la criminalità organizzata
importanti opportunità di arricchimento, in ragione degli ingenti
profitti che consentono di accumulare e dei bassi costi e limitati rischi
che comportano rispetto agli altri tipi di traffici illeciti.
Il fenomeno del contrabbando di TLE investe, oggi, la maggior parte
dei Paesi dell’Unione Europea, alcuni della fascia mediterranea
(Francia, Italia, Spagna), altri dell’Europa continentale (Regno Unito,
Olanda, Germania e Belgio); per questi ultimi, il mare Mediterraneo
costituisce il canale d’ingresso preferenziale.
Oggi, rispetto al passato, l’Italia è interessata dal fenomeno del
contrabbando di tabacchi soprattutto quale area di transito del
commercio illegale verso gli altri Stati dell’Unione Europea, dove la
tassazione è sensibilmente più elevata.
Gli “spalloni” di oggi giungono in aeroporto, soprattutto a Milano
Malpensa, con zaini, borsoni e valigie con qualche centinaio di
pacchetti di sigarette nascosti, del tipo “cheap white” (o “illicit white”)
nuova frontiera del consumo di tabacchi lavorati esteri.
Si tratta di sigarette legittimamente prodotte nei Paesi di provenienza
(Russia, Emirati Arabi Uniti e Ucraina), ma irregolarmente introdotte
26
nel
territorio
comunitario,
non
essendo
commercializzabili
nell’Unione Europea e si collocano nella fascia di prezzo più
popolare.
Fra esse i marchi maggiormente sequestrati in Italia risultano essere
“Jin ling”, “Gold Classic”, “Raquel”, “Capital”, “Marble”, “MG
American Blend”, “Cooper”, “Miami”, “Five Stars”, “Affair” “Perfect
Blue”, “Pioneer”.
Questa tipologia di T.L.E., assolutamente economica quindi appetibile
per il consumatore, oggi rappresenta la stragrande maggioranza dei
sequestri condotta sul territorio nazionale: oltre il 72% del totale del
sequestrato nel 2012; soltanto nel 2009, l’incidenza era di poco più del
38%.
La loro diffusione è, evidentemente, connessa alla situazione di
perdurante crisi che ha creato problemi di disponibilità finanziarie
anche nei consumatori finali, i quali possono essere stati indotti ad
alimentare una domanda di prodotti a più basso costo, anche su
mercati clandestini.
Dall’analisi degli itinerari e delle modalità attuative del contrabbando,
condotta sulla base dei risultati delle operazioni dei Reparti del Corpo,
si conferma la tendenza, da parte dei contrabbandieri, a diversificare le
rotte e le basi logistiche.
Le principali aree di provenienza delle sigarette illegali sequestrate in
Italia sono la Grecia e gli Emirati Arabi Uniti che, tuttavia devono
essere considerate principalmente aree di stoccaggio dei carichi.
Le destinazioni più ricercate sono i Paesi che rappresentano un
mercato più remunerativo dell’Italia, come la Gran Bretagna, la
27
Francia, l’Olanda, la Germania e il Belgio, dove esiste un elevato
livello di tassazione sui tabacchi.
Secondo i dati diffusi dalla Commissione Europea6, un pacchetto di
sigarette può costare in media 1,63 euro in Lituania, mentre in Irlanda,
dove si raggiungono i livelli di tassazione più elevati, 9,10 euro, con
una differenza del 458%.
Un medesimo pacchetto di “Marlboro” costa 2,56 euro in Lituania, 4
euro in Grecia, 5 euro in Italia, mentre in Irlanda 9,10 euro.
La maggior parte dei tabacchi lavorati esteri sottoposti a sequestro
viene introdotta nel territorio comunitario attraverso gli ordinari varchi
doganali, e occultata all’interno di container, autotreni e altre
tipologie di veicoli, accompagnati da documentazione doganale
attestante differenti categorie merceologiche o destinazioni doganali
fittizie.
Sigarette illegali sono oggetto di sequestro anche su furgoni o autobus
provenienti dal confine terrestre nord-orientale, modalità di trasporto
del t.l.e. registrata, negli ultimi tempi, con sempre maggiore
frequenza.
In particolare, la strategia delle organizzazioni dell’est europeo
sembra sempre più orientarsi verso una parcellizzazione dei carichi di
sigarette e un impiego massiccio di automobili per il loro trasporto.
La mappatura di tali sequestri delinea i flussi e le rotte terrestri che,
dai Paesi est europei e balcanici, si estendono ai confini orientali del
Paese (Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), fino alle
6
Fonte: European Commission – Directorate General Taxation and Customs
Union Tax Policy, “Excise Duty Tables – Part III Manifactured tobacco March
2009”.
28
principali piazze di consumo della Campania, della Lombardia, del
Piemonte, dell’Emilia Romagna e del Lazio.
In
particolare,
organizzazioni
sul
territorio
contrabbandiere
sono
risultate
composte
da
attive
numerose
russi,
georgiani,
bielorussi e polacchi, alla continua ricerca di nuovi mercati di sbocco.
In tale scenario, si sono oramai inseriti e perfettamente integrati
soggetti campani.
Lo scenario del contrabbando è inciso, in maniera preoccupante,
anche dalla contraffazione di sigarette: secondo i dati forniti
dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato l’incidenza
delle sigarette contraffatte sul totale di quelle sequestrate, è pari in
Italia al 39%.
Una grossa fetta delle sigarette contraffatte sottoposte a sequestro in
Italia sono prodotte in Cina.
Ma la Cina non ha il “monopolio” essendo state individuate fabbriche
di sigarette contraffatte anche in Belgio, Lituania, Polonia e
Slovacchia da cui il “prodotto”, ancora una volta per via di terra,
giungeva in Italia.
La strategia di contrasto è attuata attraverso un dispositivo integrato
composto da presidi di vigilanza statica presso tutti i porti, aeroporti e
valichi di confine, supportati da servizi di vigilanza dinamica in
prossimità e nelle adiacenze di queste strutture.
A tali attività all’interno degli spazi doganali, la Guardia di finanza
affianca il controllo economico del territorio, del mare e dello spazio
aereo, che essa assicura, in totale autonomia.
Importanti sono poi le investigazioni finalizzate a colpire le
organizzazioni che in Italia e all’estero gestiscono i traffici illeciti di
29
tabacchi lavorati esteri, a ricostruire i relativi flussi finanziari e a
individuare e sequestrare gli illeciti profitti conseguiti.
In questo contesto assai preziosa è l’attività condotta dai Gruppi
Investigativi sulla Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) dei Nuclei di
Polizia Tributaria.
Le competenze dei GG.I.C.O., quali strutture referenti delle Direzioni
Distrettuali Antimafia, riguardano i reati la cui cognizione è
demandata alle medesime DD.D.A. ai sensi dell’art. 51 comma 3-bis
c.p.p. tra cui l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando
e alla contraffazione di tabacchi lavorati esteri.
Gli altri Reparti non dotati di G.I.C.O. svolgono attività d’indagine per
il contrasto al contrabbando/contraffazione di t.l.e. con riferimento ai
contesti caratterizzati da minore complessità.
Il raccordo investigativo in ambito nazionale in materia di
contrabbando di tabacchi è svolto dal Nucleo Speciale Spesa Pubblica
e Repressione Frodi Comunitarie, unitamente al Servizio Centrale
Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.).
Tutte le attività svolte e le informazioni acquisite dai Reparti del
Corpo che attengono all’analisi operativa nel comparto del
contrabbando di merci in genere e di tabacchi lavorati sono pertanto
comunicate al Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi
Comunitarie.
Le stesse informazioni sono, nel contempo, trasmesse anche allo
S.C.I.C.O. per consentire a quest’ultimo, in attuazione dell’art. 12 del
D.L. 13 maggio 1991, n. 152, di svolgere i compiti di raccordo
informativo,
analisi,
supporto
tecnico-logistico
30
e
operativo
relativamente alle attività investigative concernenti i traffici in
argomento.
In ragione della transnazionalità assunta dai fenomeni illeciti, con
sempre maggiore frequenza emerge la necessità, nell’ambito delle
indagini condotte dai Reparti del Corpo, di ricorrere a strumenti di
cooperazione
internazionale,
nelle
tre
distinte
forme
della
cooperazione amministrativa, di polizia e di intelligence.
Sul punto è bene sin da subito precisare che solo le prime due forme di
cooperazione trovano fondamento in previsioni normative e
convenzionali che forniscono la base giuridica per lo scambio di
informazioni.
Con riguardo alla cooperazione informale o d’intelligence, nel cui
ambito i dati vengono scambiati in forma riservata e confidenziale, il
Corpo intrattiene rapporti con organismi ed entità di molteplici Paesi
anche extracomunitari.
La cooperazione d’intelligence viene privilegiata laddove non siano
disponibili strumenti giuridici; gli elementi così ottenuti vengono
utilizzati esclusivamente per orientare l’attività d’indagine.
Nella prospettiva di rafforzare i rapporti bilaterali con i principali
collaterali esteri, la Guardia di Finanza ha stipulato Protocolli tecnici
d’intesa
con
la
Guardia
Civil
spagnola,
il
Ministero
dell’Amministrazione e dell’Interno romeno, il Central Board of
Excise & Customs indiano, l’Alcohol and Tabacco Tax and Trade
Bureau degli Stati Uniti d’America e con l’Amministrazione Federale
delle Entrate dell’Argentina.
Sono stati anche definiti un “Piano di misure congiunte” con il
Servizio Federale Doganale della Federazione Russa e un “Piano
31
d’azione per la cooperazione contro le violazioni delle leggi doganali”
con il Customs & Excise Department di Hong Kong.
Nel quadro della cooperazione internazionale un importante ruolo è
anche ricoperto dalla rete di 19 ufficiali fra Esperti presso le
rappresentanze diplomatiche e Ufficiali di collegamento distaccati
all’estero.
L’esperienza operativa maturata dai Reparti del Corpo ha posto in
evidenza tuttavia che il contrabbando non riguarda soltanto i tabacchi
lavorati esteri ma anche altri prodotti oggetto di commercializzazione
nonché, soprattutto, la valuta e i preziosi.
Uno dei fenomeni che crea maggiori danni all’Erario nazionale e
comunitario e che vede Dogana e Guardia di Finanza costantemente
impegnate, è la sotto-fatturazione del valore delle merci all’atto
dell’importazione.
Il criterio in base al quale viene determinato il “valore in dogana” è
quello del “valore della transazione” cioè il prezzo effettivamente
pagato o da pagare che risulta dalla documentazione prodotta
all’Autorità doganale.
Di norma, le mendaci dichiarazioni di valore vengono realizzate con:
− la presentazione in Dogana di una fattura falsa recante importi o
quantità inferiori a quelli reali;
− l’omissione dell’indicazione delle spese che concorrono alla
determinazione della base imponibile (spese di trasporto,
commissioni, diritti di licenza ecc.)
Nelle indagini condotte nel settore, oltre al contrabbando e
all’evasione fiscale, possono essere contestate le violazioni previste in
32
tema di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza
illecita, oppure di contraffazione.
Con riferimento al controllo transfrontaliero di valuta, l’esperienza
operativa del Corpo continua a segnalare casi di esportazioni illecite
perpetrate per finalità di sottrazione di ricchezza imponibile oltre che a
scopo di riciclaggio di proventi illeciti.
In questo ambito, la dimensione del contrabbando “per via di terra” è
sicuramente peculiare.
Dai risultati operativi del 2012 emerge che, avuto riguardo agli
importi dei trasferimenti di valuta al seguito non dichiarati, la Svizzera
è il primo Paese, con 52,8 milioni di euro accertati, per
movimentazioni in entrata nel territorio nazionale nonché, con 6,6
milioni di euro accertati, il secondo per movimentazioni in uscita dal
territorio nazionale (dopo la Cina, con i suoi 7,2 milioni di euro).
Nel settore dei traffici transfrontalieri di valuta l’attività di servizio
demandata alla Guardia di finanza è finalizzata essenzialmente a:
− controllare la regolarità dei flussi valutari, sia in entrata che in
uscita dal territorio dello Stato;
− verbalizzare le eventuali infrazioni riscontrate;
− rilevare qualsiasi elemento utile per risalire ad eventuali casi di
riciclaggio, o di traffici fraudolenti, connessi ai trasferimenti di
capitali da e verso l’estero;
− acquisire indizi tracce su flussi di capitali non dichiarati all’atto del
trasferimento all’estero e/o di rientro in Italia, ai fini dei successivi
approfondimenti economico e finanziari e più in particolare di
quelli di natura fiscale.
33
La dimensione transnazionale dei fenomeni illeciti connessi ai massici
trasferimenti illegali di valuta, si può considerare logica conseguenza
dell’abbattimento dei confini e delle opportunità offerte dalla
internazionalizzazione dei mercati, che se da un lato offrono
prospettive di sviluppo alle iniziative economiche lecite, dall’altro
consentono alle organizzazioni delinquenziali di ampliare lo spettro
delle attività illecite proiettando i loro interessi su aree territoriali
sempre più vaste.
In una telefonata intercettata nel novembre 1989, nei giorni
immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, un
affiliato alla mafia siciliana che si trovava nella parte occidentale della
città tedesca chiedeva istruzioni al proprio capo su cosa fare in quel
clima di cambiamenti epocali.
L’interlocutore senza esitazione gli raccomandava:
“Tu vai ad Est e compra”.
“Che cosa devo comprare?”, ribatteva l’inviato della mafia in terra
teutonica.
“Non importa, qualsiasi cosa, pizzerie, discoteche, alberghi,
l’importante è che compri”.
Gli stratagemmi adottati dai cosiddetti “cash courier” sono i più
disparati: non tramonta l’utilizzo di auto modificate per sfruttare
cavità e doppio fondi nell’abitacolo e nella carrozzeria, dove si
possono nascondere da alcune centinaia di migliaia di euro, fino a
qualche milione, a seconda del taglio delle banconote.
In un servizio svolto dal Gruppo di Ponte Chiasso al confine italosvizzero è stato individuato un soggetto che tentava di superare la
frontiera a bordo della propria auto con 393 mila euro occultati
34
all’interno di un vano ricavato sotto la leva del cambio, assicurato da
un’apertura meccanica, in cui i militari rinvenivano banconote da 100,
200 ma, soprattutto, 500 euro.
La maggior delle banconote da 500 euro circolanti in Italia (si parla di
una quota pari ai 4/5 del totale) sarebbe allocata in tre aree
geografiche ben definite: i comuni a ridosso del confine italo-svizzero,
la provincia di Forlì e il tri-veneto, ovvero le tre “rampe” di fuga
“terrestre” dei capitali dal nostro territorio, così come del loro rientro
clandestino in Italia.
Una valigetta 24 ore può contenere fino a 6 milioni di euro in
banconote di questo taglio.
I sistemi di occultamento di valuta tuttavia sono molteplici.
Uno dei più collaudati è il ricorso al cosiddetto fenomeno della
“polverizzazione” dei trasferimenti, attraverso la ripartizione delle
provviste in capo a più passeggeri, allo scopo di non eccedere il limite
quantitativo stabilito dalla legge.
Frequente risulta il trasporto di denaro sulla persona (scarpe, calzini,
slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da viaggio, nella
carta di imbarco e/o nei documenti portati a mano) ovvero il trasporto
nel bagaglio al seguito o già stivato a bordo degli autoveicoli,
all’interno dei “naturali” vani quali cassetti, braccioli e schienali
portaoggetti oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in
pacchi di biscotti, cioccolata, pasta ed altri generi alimentari, libri o
portafoto.
Un metodo riscontrato in molti casi nei confronti di soggetti d’etnia
cinese consiste nel celare denaro contante all’interno di sigarette,
preventivamente svuotate del tabacco.
35
Non mancano nella quotidianità operativa episodi “curiosi”, come
quello di un cittadino svizzero fermato alla dogana di Brogeda, con a
bordo dell’auto 100 mila euro in contanti.
Dopo il sequestro del 50% della somma non dichiarata, l'uomo ha
chiesto di poter tornare indietro. Un'ora dopo si è ripresentato al
confine: pensando di passare indenne è invece stato nuovamente
fermato per un controllo e gli sono stati trovati, questa volta, 26mila
euro in contanti, nello stesso nascondiglio a bordo della vettura;
questa volta ha pagato la multa e proseguito il viaggio.
Per fronteggiare questa nova frontiera del contrabbando, ormai da
qualche anno, la Guardia di finanza si è dotata, sull’esempio di altri
Paesi, di cani specializzati nella ricerca di valuta.
Si tratta di cani di razza “Labrador”, specializzati nel riconoscere
all’olfatto i segnali della presenza di carte filigranate e inchiostri
impiegati per la stampa di banconote, grazie a corsi di addestramento
mutuati dall’esperienza della polizia britannica.
Dopo un primo periodo di sperimentazione, le prime 7 unità sono
pienamente operative presso gli Aeroporti di Malpensa, Fiumicino,
Napoli, Venezia e Torino, nonché ai valichi lombardi con la Svizzera.
Nel complesso, i risultati del Corpo nel settore sono in ascesa se si
considera che nel 2012 l’importo complessivo della valuta intercettata
è aumentato del 14,5% passando da un valore di 100,3 milioni di euro
registrato nel 2011 a 114,9 milioni di euro lo scorso anno. A fronte di
tale incremento, nel 2012 l’importo di denaro contante sequestrato è
stato pari a 6,4 milioni di euro (nel 2011 era stato di 959 mila euro)
con un incremento di circa il 560 %, mentre l’ammontare delle
36
oblazioni ricevute è risultato pari a 2,6 milioni di euro (nel 2011 erano
1,56 milioni di euro).
Se questa è dunque la dimensione del fenomeno di illecita
esportazione, occorre muoversi lungo due linee direttrici.
La prima è finalizzata a migliorare e ampliare il patrimonio
informativo del Corpo utilizzato per l’analisi di intelligence
nell’attività operativa, acquisendo informazioni sulla frequenza ed
entità di operazioni di trasferimento al seguito di capitali, al fine di
valutarne la compatibilità con il profilo reddituale del soggetto in
questione. L’incrocio di tali risultanze consentirà di sviluppare in
modo selettivo approfondimenti investigativi mirati di polizia
economica e finanziaria, facendo emergere fenomeni di riciclaggio di
proventi illeciti, ricchezze non dichiarate al fisco ovvero, più in
generale, l’area del sommerso che notoriamente inquina i circuiti
legali dell’economia del nostro Paese.
La seconda linea d’indirizzo è quella di potenziare al massimo lo
scambio di esperienze e informazioni con i collaterali esteri.
Altra forma di contrabbando, in netto incremento negli ultimi anni,
riguarda l’oro e i preziosi in genere e può trovare motivazioni di fondo
nel particolare momento di crisi economico-finanziaria.
Infatti il prezzo dell’oro sale nei momenti di difficoltà delle borse e
intorno al metallo giallo possono innescarsi sistemi di speculazione: si
pensi che dal 2007 (periodo pre-crisi) al 2012 è stato registrato un
incremento medio del prezzo dell’oro superiore al 200%.
Altro fattore è rappresentato dal bisogno immediato di liquidità e dalle
difficili condizioni di accesso al credito che hanno spinto categorie di
37
imprenditori (ma non solo) a preferire la vendita diretta del proprio
oro piuttosto che rivolgersi al sistema bancario.
Il fenomeno risulta prevalentemente concentrato in corrispondenza di
valichi di frontiera di terra, ma riguarda anche gli scali portuali e
aeroportuali.
Nel periodo 2010-ottobre 2012 sono stati sequestrati i seguenti
quantitativi di metalli preziosi:
− kg 1.507 di argento non lavorato;
− kg 197,95 di oro non lavorato;
− n. 3.021 monete d’oro e d’argento;
− n. 3.753 orologi d’oro;
contestualmente, sono stati denunciati complessivamente 460 soggetti
di cui 150 tratti in arresto.
Anche riguardo al contrabbando di oro, l’occultamento in vani e
scomparti realizzati a bordo dei veicoli resta un sistema di trasporto
molto diffuso, come dimostra l’esito di un controllo doganale condotto
dai finanzieri del Gruppo di Ponte Chiasso i quali, attraverso lo
smontaggio del sedile anteriore di un’autovettura, rinvenivano un
“doppio-fondo”, ricavato sotto il pianale del veicolo e accessibile
tramite uno sportello meccanico, completamente nascosto alla vista,
azionabile con una piccola leva nascosta nella struttura del sedile.
All’interno del “doppio-fondo” venivano rinvenuti plichi, avvolti in
carta da giornale e nastro adesivo e racchiusi a loro volta in sacchi di
stoffa, recanti al loro interno “verghe” di oro massiccio, superiore ai
18 kt per un peso complessivo di kg. 49,830, per un valore superiore
ai 2 milioni di Euro.
38
Dinanzi a tale scenario, la Guardia di Finanza si pone come
imprescindibile presidio di legalità, in quanto impegnata in prima
linea nel contrasto a manifestazioni di criminalità economica, di cui il
contrabbando, in tutte le sue forme, costituisce una modalità
particolarmente insidiosa, il cui contrasto è da sempre considerato una
priorità istituzionale, al pari della lotta all’evasione fiscale.
Al riguardo, appare fondamentale la capacità del Corpo di
approfondire i contesti investigativi in modo da affrontare in maniera
trasversale tutte le possibili implicazioni d’ordine economicofinanziario connesse, valorizzando nel modo più efficace gli strumenti
normativi e operativi di cui dispone e adottando le più appropriate
tecniche investigative tipiche di un approccio di “polizia”.
Ciò rende il Corpo un unicum nel sistema di prevenzione e controllo,
ponendolo come importante presidio della sicurezza economico –
finanziaria del nostro Paese.
In questa prospettiva, la Guardia di Finanza proseguirà, con sempre
maggiore convinzione e determinazione, nell’azione di contrasto al
contrabbando per garantire Erario, consumatori, imprese oneste e
operatori economici che rispettano le regole.
39
Prof. Fabrizio Vismara
Contrasto al fenomeno del contrabbando
nel diritto italiano e svizzero
Il fenomeno del contrabbando costituisce oggetto di studio sotto
diversi profili. L'analisi può, infatti, essere condotta sul piano
terminologico, storico, economico o giuridico. Sul piano storico è
sufficiente ricordare come l’interesse al contrasto del fenomeno del
contrabbando sia risalente. Già infatti nel XV secolo risulta che
condotte rientranti nella nozione di contrabbando fossero oggetto di
41
previsioni sanzionatorie.
Sul piano economico, il contrabbando è legato al controllo dei flussi di
ricchezza attraverso le frontiere e costituisce il riflesso dell’esercizio
del potere sovrano sul territorio. La configurabilità del fenomeno è
quindi connessa alla definizione delle regole che disciplinano
l’attraversamento delle frontiere.
La rilevanza del fenomeno del contrabbando è altresì legata alla
preservazione degli interessi economici degli Stati, alla cui protezione,
in termini preventivi e repressivi, è finalizzato l’impianto normativo
sia in relazione alle forme di accertamento, sia in relazione alle scelte
sanzionatorie. Tuttavia, l’attività degli Stati volta all’imposizione dei
dazi di confine può sottendere non solo ragioni legate all’interesse
finanziario, all’acquisizione di entrate, ma anche ragioni di carattere
politico, economico e sanitario. Più precisamente, il contrasto al
fenomeno del contrabbando può riguardare la tutela di interessi non
strettamente economici. Ci si riferisce, in particolare, al contrabbando
economico che contraddistingue la violazione di divieti economici di
importazione e di esportazione, non necessariamente connessi con il
contrabbando doganale.
Sul piano definitorio, il termine "contrabbando" assume una valenza
generale, denotando fattispecie illecite che possono assumere caratteri
diversi tra loro, assimilabili per l’illiceità della condotta ed il
pregiudizio, attuale o potenziale, agli interessi dello Stato. Nel
contrabbando doganale, in particolare, l'interesse leso è quello dello
Stato alla riscossione dei diritti di confine, tali essendo, secondo
quanto previsto dal Testo Unico delle leggi in materia doganale, i dazi
di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre
42
imposizioni
all'importazione
o
all'esportazione
previste
dai
regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione. Tale
nozione include altresì, per quanto concerne le merci in importazione,
i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta
o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.
Il mutare dei contesti politici ed economici ha tuttavia influenzato i
fenomeni inerenti e collegati al contrabbando. Può ricordarsi, al
riguardo, la creazione di unioni doganali o di zone economiche
esclusive ed il loro impatto sulla regolamentazione dei flussi di
ricchezza attraverso i confini degli Stati ad esse appartenenti. Si
consideri, in particolare, l’istituzione di un’unione doganale da parte
della Comunità Economica Europea, poi divenuta Comunità Europea
ed ora Unione Europea, con la conseguente istituzione di una tariffa
doganale esterna comune e l’abbattimento delle frontiere interne tra
gli stati membri.
Nella prospettiva definitoria i commentatori hanno osservato, peraltro
anche con riferimento alla disciplina contenuta nella già vigente legge
doganale del 1940, che il termine contrabbando racchiude una
pluralità di fattispecie, tutte legate dal comune denominatore di
identificare comportamenti illeciti connessi mediante la violazione
delle norme in materia doganale.
I profili giuridici del fenomeno del contrabbando possono essere
utilmente presi in considerazione anche in una prospettiva comparata,
attraverso il raffronto tra regole adottate da diversi ordinamenti
giuridici per contrastare quelle condotte illecite che ne costituiscono
espressione.
Le regole rilevanti a tal fine risultano essere sia quelle propriamente
43
sanzionatorie, che colpiscono con finalità repressive o preventive, la
violazione di disposizioni in materia doganale, sia quelle riguardanti
l'accertamento delle condotte illecite e gli strumenti di cui dispongono
le competenti Autorità.
L'analisi comparata assume peraltro peculiare interesse laddove si
tratti di confrontare gli strumenti adottati per contrastare il fenomeno
del contrabbando da parte di Stati confinanti.
Sul piano normativo vanno considerate, in particolare, le previsioni
del Testo Unico in materia doganale (artt. 282 e ss.) ed i relativi profili
evolutivi rispetto alla legge doganale n. 1424 del 1940 (Titolo IX, “dei
reati doganali”). Nell’ordinamento svizzero rilevano, nello specifico,
le disposizioni di rilevanza penale contenute negli artt. 117 e ss. della
legge sulle dogane del 2005, anch’essa da considerare in relazione ai
profili evolutivi rispetto alla legge sulle dogane dell’1 ottobre 1925.
Peraltro, l’illiceità delle condotte rientranti nelle forme più gravi di
contrabbando, con particolare riguardo alla truffa legata alle
operazioni doganali, viene sanzionata nell’ambito della legge federale
sul diritto penale amministrativo (art. 14).
La varietà di condotte che possono configurare il reato in esame, con
particolare riguardo al contrabbando nel movimento di merci
attraverso i confini di terra e gli spazi doganali, è palesata dall’art. 282
del Testo Unico in materia doganale. Sul piano della ricostruzione dei
profili specifici e caratterizzanti dell’illecito in esame, l’elemento
oggettivo del reato di contrabbando è rappresentato dalla sottrazione
di merci ai diritti di confine: tale sottrazione può realizzarsi con varie
modalità, caratterizzate dal fatto di essere connesse ad una condotta
volta ad eludere i controlli prescritti.
44
Nella disciplina sanzionatoria dal fenomeno del contrabbando
contenuta nel Testo Unico delle disposizioni in materia doganale
emergono alcuni tratti caratteristici, evidenziati dai commentatori.
Emerge, in primo luogo, la necessità di estendere il regime delle
sanzioni ad ogni forma di condotta che possa rappresentare un
pregiudizio all’interesse dello Stato alla percezione dei diritti di
confine. A tal fine, per superare, sul piano probatorio, le difficoltà che
possono manifestarsi per individuare condotte lesive di tale interesse,
il legislatore ricorre alla costruzione di fattispecie caratterizzate da
presunzioni di sottrazione delle merci al pagamento dei diritti. Si
pensi, ad esempio, in relazione al contrabbando attraverso i confini di
terra, alle diverse previsioni dell’art. 282 del Testo Unico in materia
doganale, o all’art. 285 dello stesso Testo Unico in relazione al
contrabbando di merci per via aerea.
L’evidenziata esigenza di proteggere l’interesse dello Stato alla
riscossione dei diritti di confine si palesa altresì alla luce
dell’equiparazione del delitto tentato e consumato, realizzandosi in tal
modo un’anticipazione della tutela degli interessi erariali. Al riguardo
può richiamarsi l’art. 293 del Testo unico in materia doganale che
equipara quoad poenam il delitto tentato al delitto consumato.
Altrettanto in linea con le finalità sopra indicate, peraltro in
conformità ad un’impostazione già adottata nella previgente
normativa e, in particolare, nella legge doganale del 1940, è la
configurazione del reato di contrabbando mediante il ricorso, da un
lato, ad una elencazione dettagliata delle varie fattispecie rilevanti,
dall’altro, ad una norma di chiusura, tale essendo quella contenuta
nell’art. 292 del Testo Unico in materia doganale (“chiunque, al di
45
fuori dei casi preveduti negli articoli precedenti, sottrae merci al
pagamento dei diritti di confine dovuti, è punito con la multa non
minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti medesimi”).
Nella
prospettiva
dell'ordinamento
svizzero,
come
emerge
dall'Historisches Lexikon der Schweiz, il contrabbando viene
considerato come una forma di commercio transfrontaliero, tramite la
quale, eludendo gli uffici doganali o non dichiarando le merci soggette
a dazio, si superano le barriere create per ragioni fiscali o di politica
economica, sfruttando così i divari di prezzo naturali o artificiali fra
diversi spazi economici.
Le infrazioni di carattere fiscale o doganale risultano essere sanzionate
nell’ordinamento svizzero in termini meno gravi rispetto ai reati
contro il patrimonio previsti nel diritto penale. Con diversa previsione
viene sanzionata la messa in pericolo del dazio, producendo l’illecita
condotta il rischio della mancata riscossione, in tutto o in parte, dei
tributi doganali.
Deve peraltro considerarsi anche l’ipotesi della truffa doganale, che si
realizza laddove l’autore del comportamento illecito determini,
mediante mezzi fraudolenti, una sottrazione di entrate destinate alla
collettività pubblica, così producendo un danno di rilievo al
patrimonio di quest’ultima.
La legge doganale svizzera individua, nell’ambito delle disposizioni di
carattere penale, cinque infrazioni doganali, ovvero la frode doganale,
la messa in pericolo del dazio, l’infrazione di divieti, la ricettazione
doganale e la distrazione del pegno doganale. Interessante notare
come la frode doganale possa manifestarsi, sul piano soggettivo, sia in
presenza di una condotta dolosa, sia in presenza di una condotta
46
connotata da negligenza. La condotta può essere sia omissiva che
commissiva, con un vasto raggio d’azione la cui caratterizzazione
illecita è connessa alla sottrazione al pagamento dei tributi doganali. È
inoltre sanzionato il fatto di procurarsi altrimenti un profitto doganale
indebito.
La frode doganale viene quindi a caratterizzarsi sia per l’ampiezza
delle condotte che sono ad essa ascrivibili, sia per la connotazione che
può assumere l’elemento soggettivo. La condotta rilevante viene
opportunamente integrata, alternativamente, qualora si ometta di
dichiarare la merce, occultandola, dichiarandola inesattamente o in
qualsiasi altro modo si sottragga tutti o parte dei tributi doganali,
oppure qualora il soggetto agente procuri altrimenti a sé o a un terzo
un profitto doganale indebito.
Pur nell’ambito di un diverso approccio, l’uno più ad ampio raggio,
l’altro più selettivo, nel distinguo tra condotte fraudolente ed altre
infrazioni, la normativa italiana e la normativa svizzera risultano
condividere
significativi
punti
in
tema
di
repressione
del
contrabbando, ovvero l’ampiezza dell’ambito delle attività che
possono integrare le condotte rilevanti nonché l’attenzione a quelle
modalità di azione che determinino non solo un pregiudizio attuale
rispetto all’interesse dello Stato alla riscossione dei diritti di confine,
ma anche un pregiudizio potenziale a tale riscossione, anticipando così
la soglia di tutela.
47
Col. Maurizio Pagnozzi
Il contrabbando sulla frontiera terrestre nel XIX secolo
1. IL CONTRABBANDO NEL 1800: VIOLAZIONE DOGANALE O ANCHE DI
POLIZIA?
Il termine contrabbando, deriva dalla parola di origine latino
medievale “contra bannum”1, il cui significato originario era quello di
1
Composto dall’unione della parola latina contra (contro) con quella di origine
gotica bandwō (segno, annuncio pubblico) latinizzata in bandum e bannum, o,
anche, secondo alcuni, con quella di origine germanica ban o banno, che nel
49
“cosa o azione, compiuta trasgredendo a un bando, a una
disposizione di legge, contro la legge”. In epoca moderna, questo
vocabolo ha però definitivamente finito per assumere il senso di
violazione di una disposizione in materia doganale o sui monopoli di
Stato. Passo decisivo verso questa tipizzazione del suo contenuto,
individuato nell’ambito del diritto penale da una specifica condotta
antigiuridica, è stato la creazione delle frontiere politiche, tracciate per
dividere, spesso senza alcun criterio logico, territori omogenei per
cultura, lingua ed economia. Le principali conseguenze del nuovo
“status quo”, determinato da Stati sempre più agguerriti nel difendere
le proprie prerogative e le proprie economie, erano l’imposizione di
restrizioni alla movimentazione di talune merci e la tassazione con
dazi elevati di altre, che, da un lato finivano per privare le popolazioni
confinanti di una fonte di reddito o di un bene di prima necessità, e
dall’altro potevano generare ampie differenze di prezzo per beni della
stessa categoria merceologica, sulle quali, per bisogno, ma più spesso
per cupidigia, le stesse popolazioni finivano per realizzare ingenti
guadagni.
Il processo di mutamento del significato originario del termine
contrabbando, ha comunque richiesto un lungo periodo di tempo,
tanto è vero che, nel 1800, questa parola in alcuni casi veniva ancora
utilizzata nel senso di violazione di un precetto.
Ne sono la prova gli esempi che seguono.
Nel 1860, apparve sulla rivista trimestrale milanese “Annali universali
di Statistica”, la recensione di un opuscolo intitolato “Il contrabbando
diritto feudale si riferiva al potere esercitato dal detentore di una sovranità (regno
o feudo che sia) sui propri sudditi.
50
dei trovatelli ticinesi e lo spedale di Como”, il cui autore, Leone
Pedraglio, definiva come una delle più gravi piaghe d’Italia,
l’abbandono nella ruota dei trovatelli di Como di neonati provenienti
dal Canton Ticino, trasferiti di notte attraverso il confine, con le stesse
modalità con le quali si introduceva la “merce di contrabbando”, da
genitori che non volevano o non potevano permettersi di mantenerli2.
Altro esempio, fu l’introduzione clandestina di libri e opuscoli dei
quali era vietata la diffusione per motivi politici, tipica trasgressione
ad un divieto di polizia, piuttosto che una violazione di tipo doganale,
ma che nel XIX secolo era definita ancora col termine contrabbando o
con quello equivalente di ”sfroso” 3. Infatti, un’iscrizione posta
davanti alla casa dove ebbe sede la famosa “Tipografia elvetica”, a
Capolago4, definiva “Sacro contrabbando” l’attività dei patrioti
italiani che tentavano di introdurre, nel Lombardo-Veneto, libelli, libri
ed opuscoli, inneggianti agli ideali risorgimentali. Organizzatore di
2
3
4
“Annali universali di Statistica”, compilati da Giuseppe Sacchi e da vari
economisti italiani, volume quarto della serie quarta (ottobre, novembre,
dicembre 1860) – 1860, Milano, presso la società per la pubblicazione degli
annali universali delle scienze e dell’industria.
Il termine sfroso, era sinonimo di contrabbando, ed era molto comune nel Nord
Italia, in particolar nella legislazione piemontese, milanese e veneziana tra il
1600 ed il 1700. Da esso derivavano le parole sfrosare, cioè fare contrabbando e
sfrosatore, che indicava colui che commetteva il contrabbando. Questo termine,
che iniziò a diventare desueto a partire dalla prima metà del XIX secolo, era
ancora comunemente utilizzato agli inizi del 1800, tanto da essere menzionato
nel libro “Elenco di alcune parole, oggidì frequentemente in uso, le quali non
sono ne’ vocabolari italiani”, redatto, nel 1812, da Giuseppe Bernardoni, Capo
Divisione nel Ministero dell’Interno del Regno d’Italia, su incarico dello stesso
Ministro. Francesco Cherubini, nel suo “Vocabolario Milanese-Italiano”, edito
nel 1843 a Milano, fa discendere l’etimologia di “sfroso” dalla parola latina
“fraudare”, da cui l’italiano frodare, più volte corrotto nel tardo medioevo, in
froxare, frosare, sfrosare. Sempre il Cherubini, pur convenendo che le parole
contrabbando e sfroso, indichino entrambe una violazione di bandi pubblici,
attribuisce al secondo termine il significato specifico di comportamento contrario
alle leggi sulle gabelle.
Frazione del comune di Mendrisio nel Canton Ticino (CH).
51
questo contrabbando era Luigi Dottesio, il quale aveva formato una
vera e propria squadra di spalloni, che calavano dalla Svizzera per il
Monte Bisbino e la Valle d’Intelvi, cercando di dissimulare nei propri
bagagli i volumi stampati a Capolago o a Losanna. Passato il confine,
un padiglione situato nei pressi della magnifica Villa d’Este di
Cernobbio, fungeva da deposito, da dove, diverse signore e signorine,
fingendo di recarvisi per fini mondani, provvedevano a facilitare la
distribuzione di quei libri, occultandoli al di sotto degli ampi abiti
dell’epoca5.
Non deve quindi stupire se le autorità di polizia austriache giunsero a
considerare quei libri ben più pericolosi delle stesse armi, perché in
quanto ispirati agli ideali liberali e repubblicani, una volta diffusi tra la
popolazione, potevano creare gravi disordini, impossibili da
contenere. Il problema assunse dimensioni così rilevanti, che il
Governo di Milano inviò diverse note diplomatiche alle autorità
cantonali ticinesi, lamentando, tra l’altro, che “persone sospette,
stampe sediziose, ed oggetti di contrabbando”, venivano spesso
trasportati in Italia dal battello a vapore “Il Verbano”, che collegava in
sole sei ore il paese di Magadino, in Svizzera, a Sesto Calende, in
provincia di Varese6. Le insistenti pressioni diplomatiche austriache,
indussero, nel 1816, le autorità del Canton Ticino ad adottare una
formale dichiarazione con la quale si impegnavano ad una maggiore
sorveglianza sulla stampa e sugli stranieri, in particolare i patrioti
italiani, decisione sulla quale molto influì la grave minaccia di vedersi
5
6
“Il dinamismo del contrabbando”, dell’avv. Josto Satta – 1924, Roma, Studio di
Legislazione Speciale, pagg. 93 e 94.
“Stamperie ai margini d’Italia: editori e librai nella Svizzera italiana. 1746 –
1848”, di Fabrizio Mena – 2003, Edizioni Casagrande, Bellinzona.
52
cancellare le indispensabili forniture di sale. Le nuove misure,
comunque, ispirarono solo alcuni modesti interventi repressivi nei
confronti delle tipografie Ruggia e Landi, perché, con l’approssimarsi
del 1848, l’impegno dei tipografi-librai ticinesi in favore della causa
nazionale italiana, attraverso le produzioni clandestine degli esuli,
tornò ad aumentare, senza che l’Impero austriaco potesse opporvisi
efficacemente.7
2. LE DINAMICHE DEL CONTRABBANDO
Molti sono i fattori che hanno inciso sullo sviluppo del contrabbando e
che tutt’ora ne condizionano le sue dinamiche, primi fra tutti, i
mutamenti delle politiche doganali promosse dai singoli Stati.
L’intensità e la repentinità di questi cambiamenti, il loro grado di
interferenza sullo sviluppo sociale ed economico dei territori di
confine e nei rapporti tra le popolazioni ivi residenti, spesso unite da
stretti vincoli familiari o dalla comune ricerca di un sbocco
occupazionale, sono state loro volta influenzate da altre variabili che
potremmo definire geopolitiche: l’alternanza dei regimi politici, le
relazioni
diplomatiche
tra
Paesi
confinanti,
l’evoluzione
dell’economia nelle rispettive aree geografiche, le dinamiche del
commercio mondiale.
Con queste premesse, appare impresa assai ardua riuscire a trattare
esaurientemente il tema affidato, nel breve spazio di questa relazione.
Se infatti ci limitiamo a considerare solo il periodo compreso tra il
1796 ed il 1866, possiamo vedere come in appena 70 anni, le regioni
italiane ai piedi delle Alpi furono interessate da importanti eventi
7
Ibidem.
53
politici, militari ed economici, che portarono ad un radicale
stravolgimento dei confini e della stessa vita delle popolazioni locali.
Le campagne d’Italia di Napoleone, dalle quali scaturirono
l’occupazione del Piemonte e della Lombardia; la nascita delle
Repubbliche filofrancesi; l’annessione di Venezia all’Austria;
l’istituzione del Regno Italico; l’embargo continentale contro le merci
inglesi; il passaggio della Lombardia e del Veneto sotto la
dominazione austriaca; l’annessione della Repubblica di Genova al
Regno di Sardegna; le guerre di indipendenza italiane, ebbero tutte
conseguenze durature e rilevanti su direzione, composizione ed entità
del contrabbando.
La fine dell’epopea napoleonica, segnò, in particolare, la nascita di
stati nazionali fortemente centralizzati, ponendo definitivamente
termine a secolari equilibri politico-economici sulle Alpi, assicurati
dai tradizionali modelli di autogoverno locali, determinando una
sensibile restrizione dei transiti tra i versanti dello spazio alpino e la
nascita del moderno concetto di “confine”. Da quel momento in poi
gli Stati-nazione materializzarono, regolamentarono e sottoposero a
sorveglianza zone appartenenti a sistemi nazionali diversi, anche se
queste nuove entità, separate per politica ed amministrazione,
resteranno per lungo tempo astratte per i residenti dei territori
limitrofi, che ne subiranno le conseguenze, pur non avendo affatto
contribuito a determinarle. I passaggi, da una parte o dall’altra del
confine, nel quadro regolamentare e ufficiale, finiscono quindi per
generare il fenomeno della migrazione clandestina e del contrabbando,
dando anche vita a nuovi mestieri quale ad esempio quello dei
passatori specializzati. Dagli attraversamenti sporadici dei singoli,
54
fino
a
quelli
sapientemente
orchestrati
da
vere
e
proprie
organizzazioni, la trasgressione della frontiera da parte dei
contrabbandieri, diventa un fenomeno duraturo destinato a marcare la
memoria di quei luoghi, anche sotto l’aspetto toponomastico8. Così,
strade, sentieri e valichi alpini finiscono per essere identificati con chi
li aveva aperti o con chi li utilizzava frequentemente. Alcuni esempi:
“dei contrabbandieri” è detto lo stretto sentiero che nelle Alpi Graie,
da Pian della Mussa, porta alla cresta morenica al di sotto del
Ghiacciaio della Ciaramella; “Passo dei contrabbandieri” è chiamato
il valico nei pressi di Pizzo Camparasca, sui Monti dell’Alto Lario;
“Via dei contrabbandieri” è la strada sull’Aprica, che da Ponte Frera
giunge a Ronco di Schilpario; "Sentiero dei contrabbandieri" è il
percorso che sul lago di Idro porta a Castel San Giovanni di Bondone,
in provincia di Brescia.
3. IL REGNO DI SARDEGNA (1792 – 1859)
Ancora agli inizi del 1800, il Regno di Sardegna continuava ad essere
un eterogeneo e frazionato insieme di territori, legati alla dinastia
regnante da vincoli di carattere feudale e patrimoniale: le provincie “di
qua e di là del mare” e le provincie “di qua e di là dei monti” erano
infatti separate non solo da reali confini geografici, ma soprattutto da
diversità di lingua, di tradizioni culturali, di leggi e consuetudini, di
istituzioni e di privilegi. In particolare esisteva un differente grado di
8
“Luoghi della memoria, memoria dei luoghi nelle regioni alpine occidentali.
1940 – 1945” a cura di Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Istituto
Piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea
“Giorgio Agosti” – 2005, Blu edizioni S.r.l.
55
autonomia delle istituzioni rappresentative di Piemonte, Savoia e
Valle d’Aosta. Ovviamente questo stato di cose limitava in modo
sensibile, anche se in diversi gradi a seconda della consistenza e
dell’estensione dei privilegi locali, le possibilità di azione e
d’intervento dell’autorità centrale9.
Particolarmente strategica era la posizione della Savoia, attraversata
da due importanti vie commerciali, la “strada del Moncenisio”, posta
tra l’Italia settentrionale e la Francia centro settentrionale e la “strada
dell’attraversamento o obliqua”, che collegava la Svizzera con la
Francia centromeridionale, lungo le quali, si incanalava il traffico
commerciale diretto a Ginevra, proveniente dal Delfinato francese,
dalla Provenza e dalla regione di Lione, ed in senso contrario i
prodotti di lusso acquistati a Ginevra, che scarseggiavano sul mercato
francese perché proibiti o sottoposti ad altissimi dazi doganali. La
Repubblica di Ginevra, infatti, costituiva una specie di deposito
franco, dove confluivano e venivano smistate merci pregiate d’origine
inglese, olandese, svizzera ed in minor quantità tedesche ed italiane, la
cui classe dirigente era pronta ad effettuare qualsiasi operazione
commerciale, purché remunerativa rispetto al rischio d’impresa,
costituito dal sequestro della merce in Francia. Inoltre, nelle zone della
Savoia prossime alla frontiera con Ginevra, vi erano terre, villaggi e
proprietà sottoposte alla doppia giurisdizione, in quanto soggette
anche a diversi gradi di sovranità da parte della Repubblica svizzera.
Analoga situazione si verificava lungo il confine meridionale tra
Francia e Savoia, dove tra i due rami del fiume Guiers, si formava un
9
“All’origine della Legione delle truppe leggere: il problema della polizia
tributaria e doganale in Piemonte nel secolo XVIII”, di Guido Ratti, in “Rivista
della Guardia di Finanza”, anno XXV, 1976, n. 3.
56
cuneo di territorio generalmente considerato terra di nessuno, covo e
teatro d’azione ideale per i contrabbandieri10.
Tra Ginevra ed il Ducato di Savoia esisteva inoltre, una completa
libertà di commercio, sancita con il trattato di St Julien en Genevois
del 1603, dal quale era escluso solo il sale, monopolio della famiglia
reale. In virtù di tale accordo, le merci in transito da Ginevra verso la
Francia meridionale lungo le predette rotte commerciali, erano
esentate dal pagamento di pedaggi, essendo sufficiente, per gli
interessi di casa Savoia, il complesso di attività secondarie ad esse
connesse, che costituiva una non indifferente fonte di guadagno, tanto
per i privati quanto per l’erario. Invece il traffico tra l’Italia
settentrionale e la Francia, qualunque punto toccasse il territorio del
Piemonte, della Valle d’Aosta o della Savoia, era soggetto al dazio di
Susa, città ove normalmente si effettuava l’esazione del tributo.
Oltre ai pedaggi sui transiti, in Savoia vigevano anche un certo
numero di gabelle, la più importante delle quali riguardava il
monopolio del sale, che da sola rappresentava circa il 90% delle
entrate tributarie. Diversa natura aveva invece il monopolio della
commercializzazione del tabacco, introdotto più per proteggere la
produzione nazionale, quasi interamente nelle mani della famiglia
reale, che per accrescere l’Erario pubblico, tanto è vero che per
agevolarne l’esportazione verso la Francia, nei pressi della relativa
frontiera erano stati istituiti punti di vendita, nei quali, rispetto ai
prezzi correnti all’interno della Savoia, si praticavano sconti
dell’ordine del 20 – 25%, sconti poi successivamente estesi anche alle
10
“Dogane, gabelle e contrabbando in Savoia nel secolo XVIII” di Guido Ratti, in
“Rivista della Guardia di Finanza”, anno XXIII, 1974, n. 5.
57
regioni confinanti con Ginevra e con i Cantoni Svizzeri. Oltre a dare
luogo a frequenti incidenti di frontiera con la Francia, questa pratica
commerciale non proprio corretta, finì per favorire la diffusione del
contrabbando all’interno della stessa Savoia, nei cui territori iniziò a
circolare tabacco formalmente acquistato per essere esportato oltralpe,
ma di fatto rivenduto entro i domini piemontesi. Altre gabelle erano
pure presenti, come quelle relative al monopolio del salnitro, delle
polveri da sparo e dei piombi, ma queste non contribuirono ad
alimentare flussi di contrabbando, perché analoghi regimi di
monopolio esistevano anche negli Stati confinanti, accomunati dalla
preoccupazione di mantenere un certo controllo sulla diffusione delle
armi da fuoco.
Un discorso a parte merita, invece, l’imposizione, in alcune regioni, di
divieti e limitazioni all’esportazione delle eccedenze di produzione di
granaglie, carni e grassi animali. Particolarmente colpita da questi
divieti era la Savoia, le cui eccedenze di grano, tradizionalmente
convogliate verso il Cantone ginevrino, finirono per alimentare un
fiorente contrabbando, anche perché, sia i grossi produttori che i
piccoli contadini savoiardi, erano spinti ad aggirare le proibizioni per
procurarsi del numerario, che non mancava a Ginevra, rispetto alla
cronica deficienza monetaria della Savoia. Un ulteriore flusso di
contrabbando era alimentato da alcune merci, utilizzate come materie
prime dalle industrie dell’epoca, quali cuoio, pellame e stracci, per le
quali, fin dal 1730, esistevano una serie di vincoli all’esportazione,
nel tentativo di tutelare la ancora fragile industria manifatturiera
piemontese.
Ma
nonostante
i
divieti,
la
situazione
dovette
evidentemente peggiorare, tanto che nel 1770, gli industriali
58
piemontesi inoltrarono accorate lamentele all’Intendente Generale,
sostenendo che molte fabbriche erano state costrette a chiudere a
causa del contrabbando verso la Francia, dove fortissima era la
richiesta di quelle materie prime da parte delle manifatture locali.
Come abbiamo dunque visto, sin dal settecento la Savoia aveva finito
per rappresentare una importante via di transito per il contrabbando tra
Svizzera e Francia, le cui centrali operative ed i cui finanziatori si
trovavano a Ginevra, mentre invece i savoiardi fornivano soprattutto
manovalanza, con gli spalloni, le strade ed una certa compiacenza
delle Autorità locali, le quali, sfruttando i vantaggi dell’accordo di St.
Julien, avevano consentito ai mercanti ginevrini di stabilirvi depositi
di mercanzie destinate proprio all’esportazione illegale, alcuni dei
quali localizzati nei pressi dei più importanti posti di frontiera con la
Francia. Col tempo, gli elevati guadagni spinsero i savoiardi a passare
dalla semplice condizione di trasportatori delle merci in contrabbando,
ad organizzarsi in bande sempre più numerose, la più famosa delle
quali fu quella capeggiata da Louis Mandrin. La sua cattura in
territorio piemontese, nel 1755, ad opera dei “fermieri” francesi, cioè
le guardie doganali private, fu causa di un serio incidente diplomatico
tra la monarchia sabauda e quella transalpina, a seguito del quale però,
i Savoia, accusati di non impegnarsi a fondo nella lotta al
contrabbando, furono costretti ad affrontare energicamente il
problema, promuovendo, a più riprese, campagne militari per
stroncare almeno le bande più numerose. E proprio con tale finalità,
nel 1774, Vittorio Amedeo III decise di istituire la Legione Truppe
Leggere, corpo militare destinato in tempo di pace al servizio di
59
sorveglianza e di repressione delle frodi fiscali lungo i confini,
antesignano della attuale Guardia di Finanza.
Con lo scoppio della rivoluzione in Francia, nel 1789, gli incidenti
lungo la frontiera si intensificarono, causati sia dal tentativo di
penetrazione di agenti provocatori francesi - incaricati di diffondere
nel Regno sabaudo le idee di fratellanza, uguaglianza e libertà - che da
grandi masse di popolazione, desiderose di una maggiore libertà di
commercio e di transito, oltre che di minori dazi doganali. Come
conseguenza, i piemontesi rafforzarono il controllo politico militare
lungo il confine, senza però riuscire ad incidere sulla vasta portata che
aveva assunto il contrabbando, che però, questa volta, minacciava gli
interessi dell’Erario sabaudo, in particolare la Savoia, verso la quale si
incanalava il sale proveniente dalla Francia, venduto ad un prezzo
bassissimo, proprio allo scopo di scatenare agitazioni tra la
popolazione.
Di
questo
clima
ne
seppero
approfittare
i
contrabbandieri, i quali grazie alla difficile situazione per ciò che
riguardava l’ordine pubblico, in numerosi casi poterono transitare
indisturbati presso i posti di frontiera, mettendo le guardie in
condizione di non poter intervenire grazie al loro imponente numero.
Nel tentativo di arginare il fenomeno, i piemontesi si determinarono
anch’essi a ridurre il prezzo del sale, ma non in misura sufficiente,
poiché non solo prodotto delle saline francesi continuò ad essere il più
a buon mercato, ma anzi, i transalpini, cercando di trarre il massimo
profitto da tali turbamenti politici, autorizzarono l’apertura di appositi
punti vendita nei pressi della frontiera savoiarda, proprio allo scopo di
alimentare il contrabbando.
60
Oltre al sale, continuò ad essere fiorente il contrabbando di tabacco e,
complice la situazione politica francese, riprese con una certa
consistenza anche quello di valuta, dalla Francia verso la Svizzera.
Particolarmente praticato, in questo periodo, era anche lo “sfroso
politico”, con il quale venivano introdotti nel territorio savoiardo le
brochures rivoluzionarie incitanti a seguire l’esempio del popolo
francese11.
Con l’occupazione francese del Piemonte, nel 1792, il contrabbando
non ebbe termine, ma piuttosto cambiò nuovamente direzione: questa
volta, oggetto dei traffici illeciti erano tessuti inglesi, tabacco e polveri
da sparo provenienti dalla svizzera, che continuavano a riversarsi dai
confini tra Valais e Faucigny, nei nuovi dipartimenti francesi del
Mont-Blanc (Savoia) e del Leman (Ginevra).
Caduto Napoleone, la monarchia sabauda, nel tornare in possesso dei
propri domini, ai quali, con l’annessione della Repubblica di Genova,
aggiunse l’agognato sbocco al mare, trascurò di risolvere i problemi
derivanti dal persistere di una sostanziale disomogeneità di
trattamento fiscale e di fluidità dei flussi commerciali, fra antichi e
nuovi stati (Piemonte, Liguria, Savoia e Nizza), mantenendo in vigore,
fino al 1818, le ormai anacronistiche barriere doganali interne.
Con il Manifesto Camerale del 1 giugno 1814 venne anche mantenuta,
ancorché provvisoriamente, l’elevatissima tariffa doganale vigente
sotto la dominazione francese, suscitando il malcontento sia dei
commercianti, che invocavano un ritorno alla tariffa del 1798, che pur essendo spiccatamente protezionista - prevedeva comunque dazi
non superiori nella media del 25-30%, sia dei produttori, che invece
61
chiedevano un aumento dei dazi sulle importazioni, per impedire che
le cospicue scorte di prodotti finiti accumulate dall'Inghilterra durante
il blocco continentale, invadessero il mercato nazionale.
Con l'editto del 3 gennaio 181612, fu ulteriormente rafforzato il regime
vincolistico su alcuni generi alimentari, con il ritorno all'ammasso
obbligatorio ed alla proibizione di esportare le eccedenze di grano. Ma
l’assoluta incapacità del governo piemontese di rendere operante
l'editto del 1816 e quelli successivi, che prorogarono di volta in volta i
termini di consegna, ebbe come risultato di provocare accaparramenti,
un diffuso contrabbando e l'aumento del prezzo del pane. Nel
settembre 1816, il divieto di esportazione e di movimentazione tra le
province del regno, venne esteso anche a riso, patate e fagioli. Tutte
queste misure, impedendo la libera circolazione dei generi di prima
necessità, favorirono l'insorgere della carestia che, tra il 1816 ed il
1817, colpì particolarmente la Liguria e la Savoia, impedite di
rifornirsi sufficientemente di generi alimentari, sia dal più produttivo
Piemonte che dall'estero, danneggiando, inoltre, tanto gli agricoltori
della Savoia, che del vercellese, che nello stesso periodo fruivano di
un raccolto di riso quattro volte maggiore il fabbisogno interno, ed il
cui surplus finì per alimentare un fiorente contrabbando interno,
almeno fino a quando tali divieti furono tolti, rispettivamente, nel
1817 per il riso13 e nel 1818 per il grano14.
12
13
“REGIO EDITTO col quale si permettono i magazzinamenti di granaglie
mediante la loro consegna nel modo, e tempo ivi prescritti, con varie altre
provvidenze dirette ad impedire i monopoli in tal genere, e l’estrazione delle
granaglie fuori stato”, in “Raccolta di R. Editti, Proclami, Manifesti, ed altri
provvedimenti de' Magistrati ed Uffizi”, volume V, pag.1 e seg. – 1816, Torino,
dalla stamperia Davico e Picco.
“REGIE PATENTI, colle quali S. M. revoca sino a nuovo ordine la proibizione
portata dall’editto del 17 settembre 1816 dell’esportazione all’estero del riso,
62
Braccio armato dell’Amministrazione doganale piemontese, era il
“Corpo dei Preposti delle Regie Dogane”, organismo ad ordinamento
civile, ma militarmente organizzato, nato sotto l’amministrazione
francese, al quale, fino al 1821, furono affiancati reparti della Legione
Reale Leggera, erede delle tradizioni della disciolta Legione Truppe
Leggere.
La nuova Tariffa doganale del 1818, che restò in vigore fino al 1830,
fu
anch’essa
ispirata
a
logiche
prevalentemente
protettive,
contribuendo a prolungare lo stato di prostrazione economica in cui si
trovava lo Stato sabaudo, suscitando violente proteste sia da parte dei
genovesi, abituati al regime economico-politico della Repubblica di
Genova, che aveva nei commerci la ragione stessa della sua esistenza,
che dei nizzardi e dei savoiardi, che rimpiangevano la razionale e
coerente azione amministrativa sperimentata durante l’occupazione
francese.
Con la Tariffa del 19 febbraio 1830, il protezionismo Sardo raggiunse
il limite superiore e di rottura, al punto che, i diritti gravanti
sull’importazione di numerose materie prime, finirono per annullare i
vantaggi della protezione concessa ai prodotti finiti, creando disagio
addirittura tra i suoi principali fautori, cioè negli stessi ambienti
industriali, i cui interessi iniziavano finalmente a divergere da quelli
delle classi agrarie. Conseguenza di questo marcato protezionismo, fu,
ovviamente, il dilagare del contrabbando, che assunse una dimensione
14
sotto le condizioni e le cautele ivi espresse; delli 18 novembre 1817”, in
“Raccolta di Regj Editti, Proclami, Manifesti, ed altre provvidenze de' Magistrati
ed Uffizj”, volume IX,, pag. 137 e 138 – Torino, dalla stamperia Davico e Picco.
“REGIE PATENTI, colle quali si permette la libera circolazione delle granaglie
negli stati di terraferma; delli 20 marzo 1818”, in “Raccolta di Regj Editti,
Proclami, Manifesti, ed altre provvidenze de' Magistrati ed Uffizj”, volume IX,
pag. 36 e seg. – Torino, dalla stamperia Davico e Picco.
63
patologica, interessando non solo gli articoli di alto pregio quali
coloniali, profumi e tabacco, ma anche seta, filati, formaggio, pesce.
Nei settori ove il contrabbando si era maggiormente organizzato, era
addirittura in funzione un regolare servizio di assicurazione, che
copriva i rischi derivanti dal possibile sequestro della merce, il cui
costo, variabile tra il 10 ed il 20 % del valore del carico trasportato,
era tutto sommato ancora modico rispetto alla esosità dei dazi imposti
dalla tariffa doganale. I principali centri di irradiazione del
contrabbando erano il Nizzardo ed il porto franco di Genova, da dove
le merci partivano dirette verso il Lago Maggiore, per essere
formalmente esportate verso la Svizzera.
Larga diffusione ebbe il contrabbando di seta grezza, la cui
esportazione era colpita da dazi esorbitanti, a tutto vantaggio delle
manifatture sabaude. Esistevano a tale scopo delle organizzazioni
contrabbandiere altamente specializzate, in grado di offrire una vasta
gamma di servizi ai sericoltori piemontesi, a partire dal semplice
trasporto verso qualunque destinazione, fino a garantire i rischi di
perdita o sequestro del carico, attraverso la stipula di vere e proprie
polizze di assicurazione. Sulla opportunità di mantenere o meno un
così elevato livello di tassazione sulla seta grezza, allo scopo di
scoraggiarne l’esportazione, si accese un aspro dibattitto tra liberisti e
protezionisti, che diede vita, tra il 1832 ed il 1834, alla pubblicazione
di una lunga serie di memorie, con le quali i due schieramenti si
scambiarono feroci e reciproche accuse di voler causare la distruzione
della sericultura in Piemonte.15
15
“Della libera estrazione della seta greggia dal Piemonte”, di Giacomo
Giovanetti, seconda edizione – 1834, Vigevano, Tipografia Vescovile.
64
Il trattato siglato nel 1843 con la Francia, principale partner
commerciale della monarchia sabauda, riaccese la polemica sardoaustriaca in merito al commercio di transito verso la Svizzera e la
Germania meridionale, che vedeva contrapposti i porti concorrenti di
Genova e Trieste. La diatriba, che risaliva già ai primi anni della
Restaurazione, vedeva entrambe le monarchie impegnate ad investire
nella costruzione di nuove infrastrutture, allo scopo di rafforzare le
rispettive posizioni nell'acquisizione e nel mantenimento del
commercio di intermediazione tra gli Stati italiani peninsulari ed il
Centro Europa, e viceversa, questione di vitale importanza non solo
per i due predetti sistemi portuali, ma anche per i due complessi
regionali nord-occidentale e nord-orientale. Infatti, se fino al 1815, il
commercio di transito per la Svizzera passava principalmente
attraverso le città di Milano e Bergamo, nelle quali si concentravano le
sete grezze italiane, i coloniali e il cotone, sbarcati sia a Genova che a
Trieste, e da dove, in senso inverso transitavano i manufatti svizzeri,
tedeschi e dei Paesi Bassi, diretti verso gli Stati italiani, dopo
l’annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna, le
cose iniziarono a mutare. La monarchia sabauda infatti, interessata ora
a canalizzare i transiti per la Svizzera sul proprio territorio, aveva
migliorato la strada di Giovi per Novi Ligure, Novara, fino al Lago
Maggiore e contemporaneamente, al di là del lago, che sin dagli anni
'20 veniva attraversato con battelli a vapore, i cantoni svizzeri avevano
costruito - sembra con il contributo piemontese - la nuova carrozzabile
del San Bernardino (1817-24), alla quale si aggiunse, nel 1831, quella
del San Gottardo. Inoltre, nel 1814, fu decisa la costruzione della
strada ferrata da Genova ad Alessandria, da dove avrebbe dovuto
65
diramarsi con un tronco a Torino e con l'altro, via Novara, fino al
Lago Maggiore, e, contemporaneamente, furono avviate trattative con
i cantoni svizzeri per la sua prosecuzione. L'Austria, dal canto suo, si
era impegnata nella costruzione delle strade dello Spluga (1822) e
dello Stelvio (1824), alla sistemazione della carrozzabile per Como, al
potenziamento della navigazione sul Po con l'uso di battelli a vapore
ed infine, già da lungo tempo, avviata la costruzione delle ferrovie
Vienna – Trieste e Venezia – Milano.
Nel 1844, si ebbe il primo segno tangibile del mutamento dei rapporti
esistenti tra i due Stati, con il mancato rinnovo della Convenzione del
1834, stipulata proprio per la repressione del contrabbando sul Lago
Maggiore.
Nel 1846, si accese una nuova contesa diplomatica fra i due Stati, che
sfociò nella cosiddetta guerra del sale, perché il “casus belli”
riguardava proprio il monopolio delle forniture di questo prezioso
prodotto ai Cantoni ticinesi, da secoli appannaggio dell’Austria. E nel
1751, l’Impero, nell’intento di mantenere intatto questo monopolio di
fatto, aveva stipulato un trattato con il Regno di Sardegna, affinché
impedisse il transito attraverso il suo territorio del sale sbarcato a
Genova e diretto verso la Svizzera. L’accordo venne incautamente
rinnovato nel 1815, perché la monarchia sabauda non seppe valutarne
appieno le sue conseguenze e soprattutto tutelare i propri interessi, che
con l’annessione della Repubblica Ligure, erano invece orientati a
promuovere ed agevolare l’acquisto di sale sulla piazza di Genova, da
parte dei ticinesi. Di fronte al rifiuto del Governo Sardo di rispettare i
termini dell’accordo, l’Austria, per rappresaglia, raddoppiò il dazio
gravante sull’importazione dei vini piemontesi.
66
Fra il 1849 ed il 1851, vennero stipulati una serie di trattati
commerciali con Toscana, Portogallo, Belgio, Inghilterra, Svizzera,
Francia,
Zollverein16
e
Paesi
Bassi,
sostenuti
anche
dalla
promulgazione, nel 1851, di una nuova Tariffa doganale, considerata
il fiore all’occhiello dell’amministrazione del conte Cavour, che
prevedeva l'esenzione da dazi per molte materie prime, una forte
riduzione dei diritti gravanti sul grano e una generale riduzione
dell’imposizione doganale a meno di un decimo del valore delle
merci.
La riforma voluta dallo statista piemontese, che modificava in senso
liberale la politica doganale sabauda, suscitò, inizialmente, veementi e
diffuse proteste da parte degli industriali, ma contrariamente a quanto
auspicavano i protezionisti, sia il commercio, che la produzione
manifatturiera, ne trassero ampio giovamento, in particolare l'industria
serica, e si ebbe una generale diminuzione del contrabbando, che però
non scomparve mai, anche perché a fronte di un deciso abbassamento
delle tariffe, continuavano a permanere ulteriori ostacoli alla libera
circolazione delle merci, come ad esempio la stratificazione e la
frammentazione della legislazione in materia di dogane, contenuta in
una gran quantità di decreti, manifesti camerali e regi biglietti, spesso
16
La Zollverein, parola tedesca che significa "unione doganale", entrò in vigore
agli inizi del 1834 con l’accordo siglato inizialmente da 18 stati della
Confederazione Tedesca, con lo scopo di agevolare gli scambi commerciali,
attraverso l’abolizione dei dazi doganali e quindi ridurre la competizione interna,
dalla quale rimase però esclusa l'Austria, fino al 1853, a causa dell'elevato
regime protezionistico di cui godevano le sue industrie. La Zollverein, la cui
istituzione contribuì ad alimentare la conflittualità austro-prussiana, si dissolse il
1866 per il sostegno dato dagli stati tedeschi meridionali all'Austria, nella guerra
contro la Prussia, e venne rinegoziata, nettamente a vantaggio della Prussia nel
1867, che intendeva utilizzarla come strumento dell’unificazione politica degli
Stati tedeschi.
67
in contrasto o non coordinati tra loro, in grado di ingenerare
confusione e incertezze tra gli stessi impiegati delle dogane.
Le pene per il contrabbando rimasero alquanto severe, prevedendo la
confisca delle merci o il pagamento di un valore corrispondente, la
perdita degli animali da soma o da traino, dei mezzi di trasporto e
delle imbarcazioni sopra cui le merci fossero state scoperte.
Temperava, però, tale eccessivo rigore, il sistema delle transazioni,
grazie alle quali era possibile concordare l’entità della sanzione
applicabile, anche con cospicue riduzioni della pena edittale.
La tariffa venne nuovamente riformata nel 1853, con nuove riduzioni
dei dazi generali, l’esenzione dalle imposte sull'importazione per la
maggior
parte
delle
materie
prime,
l’abolizione
dei
dazi
all'esportazione, ad esclusione dei cereali, per i quali si dovette
aspettare l’anno successivo.
Nel 1859, venne infine emanata una nuova Tariffa Doganale, la cui
applicazione fu estesa alle regioni della penisola annesse al Regno
sabaudo, diventando dunque la prima Tariffa doganale italiana.
4. DUCATO DI MILANO, REPUBBLICA CISALPINA, REPUBBLICA
ITALIANA E REGNO D’ITALIA (1792 – 1814)
Nel 1770, nel Ducato di Milano fu abolita la “Ferma Generale”,
deputata a sovraintendere alla corretta riscossione delle varie imposte
appaltate ai privati, in quanto ritenuta onerosa, inefficace e spesso
fonte di abusi nei confronti della popolazione. La vigilanza fiscale, in
particolar modo la tutela delle privative su tabacchi, sale, polvere da
sparo e dazi doganali, tornò dunque ad essere un precipuo compito
68
dello Stato, che a tale scopo, istituì delle apposite squadre di Guardie
di Finanza17, affiancate, soprattutto nelle zone di confine, da
distaccamenti di reparti dell’esercito, quali Ussari e Dragoni.
Particolarmente fiorente era il contrabbando d’importazione dalla
Svizzera, che tra il 1791 ed il 1796, era diffusamente praticato dalle
popolazioni di confine, con il suo epicentro a Milano e Como,
attraverso il suo lago. Per altro, quest’ultima città, sebbene cinta di
mura e munita di porte vigilate, aveva visto nel tempo il proliferare di
accessi privati allo specchio lacustre: dagli appena 11 autorizzati nel
1791, si arrivò ai 22 aperti appena tre anni dopo, tutti più o meno
abusivi ed estremamente pericolosi sotto il profilo della vigilanza
fiscale. Nel fitto carteggio intrattenuto dall’Intendente di finanza di
Como con i suoi superiori a Milano, emergeva inoltre che, a dispetto
delle
preoccupazioni
destate
dalle
dimensioni
assunte
dal
contrabbando, non seguivano nei fatti adeguate contromisure da parte
delle autorità cittadine, che si mostravano alquanto indulgenti e più
attente a non recidere una importante fonte di guadagno per la
popolazione locale.
La situazione non mutò neanche con l’occupazione francese, anzi
peggiorò ulteriormente, perché con l’arrivo delle truppe napoleoniche
il contrabbando si estese lungo tutti i confini dell’ex Ducato, in alcuni
casi praticato dagli stessi soldati francesi, e per di più i presidi delle
Guardie di Finanza vennero disarmati18.
Nel 1797, terminò anche la dominazione del Cantone dei Grigioni
sulla Valtellina e sui Contadi di Chiavenna e Bormio, i cui territori
17
“La Guardia di Finanza nel Lombardo – Veneto”, di Giuliano Oliva – 1984,
Roma.
69
entrarono a far parte della neonata Repubblica Cisalpina. Alla
riapertura delle ostilità con l’Austria, la nuova Repubblica, temendo il
passaggio di truppe nemiche attraverso la Svizzera, decretò la chiusura
dei passi montani, mettendo però in seria difficoltà la popolazione dei
cantoni a maggioranza italiana, la quale, tradizionalmente si
approvvigionava di cereali sui mercati lombardi e di sale dalle
comunità valtellinesi, che, a loro volta, se lo procuravano attraverso
l’esportazione di vino in Austria, scambiato con il sale proveniente
dalle miniere di Hall, nel Tirolo. Le limitazioni imposte dalla guerra
fecero quindi esplodere in maniera esponenziale il contrabbando di
cereali, foraggi e sale, sia verso la Svizzera che verso l’Austria19.
Fenomeno che, per ampiezza e portata assunse nei territori di confine
della Repubblica Cisalpina aspetti veramente patologici, anche a causa
dell’introduzione di un nuovo sistema di tassazione, il cui ricavato
veniva versato direttamente al Tesoro nazionale, senza più nessuna
ricaduta in termini di maggiori servizi a favore delle comunità locali,
come per il passato, e che tra l’altro, aveva quale presupposto per il
suo regolare funzionamento, una elevata disponibilità di monetario, di
fatto praticamente inesistente nei territori montani. Inoltre, i nuovi
confini, quasi mai coincidenti con i limiti naturali delle proprietà
comunitarie e private, avevano finito per influire sensibilmente sul
regime dei transiti - ora disciplinati con regole del tutto nuove suscitavando sentimenti di accesa ostilità e incomprensione da parte
delle popolazioni locali, abituate da secoli a valicare quegli stessi
monti senza ostacoli.
19
“Storia della Svizzera italiana dal 1797 al 1802”, di Pietro Peri – 1864, Lugano,
Tipografia Cantonale.
70
Cessate le ostilità con l’Austria, nel 1802, la Repubblica Cisalpina
venne rimpiazzata dalla Repubblica Italiana, al quale, grazie anche ad
un relativamente lungo periodo di pace, pose mano ad un interessante
riforma doganale, varata nel 1803, che ebbe il pregio, tra l’altro, di
eliminare i diritti di transito, concedendo a tutti la facoltà di
trasportare merci soggette a dazi doganali; di avere uniforme
applicazione rispetto alle provenienze da qualsiasi Stato confinante; di
prevedere una modesta imposizione, con dazi in media del 4 - 5 % del
valore delle merci e sino all’8% solo per alcuni beni di lusso. Eppure,
la nuova tariffa doganale fu subito tacciata di poca attenzione verso la
nascente manifattura nazionale e le tradizionali produzioni agricole,
minacciate dalla agguerrita concorrenza di quelle estere, in particolare
quelle francesi20.
Ma il tempestoso mutare della situazione politica, con l’archiviazione
della parentesi repubblicana e l’istituzione del Regno d’Italia, la cui
corona fu cinta da Napoleone in persona, condizionò in negativo il
prosieguo delle riforma, ed i suoi principi ispiratori, innovativi e
liberisti, dovettero fare i conti, a partire dal 1805, con il bando che
vietava il commercio delle merci inglesi negli Stati collegati alla
corona napoleonica, anche se attraverso stati neutrali. Il regno italico
si vide dunque costretto a consentire l’ingresso nel proprio territorio,
quasi esclusivamente alle materie prime ed ai prodotti finiti
provenienti dalla Francia. Della situazione se ne avvantaggiarono le
più sviluppate manifatture francesi, le cui produzioni, nel 1808,
20
“Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal
1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag.
28.
71
poterono usufruire di un ulteriore dimezzamento dei dazi sugli scambi
commerciali con il Regno21.
Questa disparità di trattamento, che penalizzava in particolar modo le
merci provenienti dalla Svizzera, fu fraudolentemente raggirata dai
mercanti ticinesi, i quali riuscirono comunque a penetrare nei mercati
italiani sia con i propri prodotti che con quelli di provenienza inglese e
tedesca, grazie alla complicità di alcuni produttori francesi, disposti a
fornire false certificazioni di origine, con le quali superare il bando ed
ottenere il più favorevole regime doganale accordato alle merci
francesi22.
Un ulteriore stimolo al contrabbando, semmai ce ne fosse stato
bisogno, provenne dall’applicazione di una tariffa doganale analoga a
quella fracese, che per molti articoli di importazione, soprattutto
coloniali, come zucchero, cacao, caffè, ma anche oggetti di lusso,
medicinali ed alcune tipologie di legnami, prevedeva dazi superiori
anche al 200% del loro valore di mercato.
Il governo italiano tentò di correre ai ripari, emanando nuove e più
severe disposizioni contro il contrabbando, con l’inasprimento delle
pene, che prevedevano fino a dieci anni di lavori forzati e
l’introduzione, nel 1811, del concetto giuridico di circondario
confinante, territorio prossimo al confine di Stato, di ampiezza
variabile, ove vigevano particolari limitazioni al transito delle merci e
l’inversione dell’onere della prova per coloro che venivano sorpresi in
possesso di merci soggette a dazio o monopolio statale. Tra l’altro,
quest’ultima disposizione creò ulteriori difficoltà allo sfruttamento dei
21
22
Ibidem, pag. 30.
“Dell’indipendenza italiana”, cronistoria di Cesare Cantù, volume primo – 1872,
Unione tipografico-editrice torinese, pag. 453.
72
pascoli oltre confine ed al commercio dei relativi prodotti caseari da
parte dei legittimi proprietari, i quali erano costretti, per poter portare
le proprie mandrie a pascolare su terreni che gli appartenevano da
generazioni, a compiere larghi giri, allungando il tragitto, per
raggiungere i posti di avviso, vigilati dai finanzieri.
Intanto, nel 1804, il Corpo delle Guardie di Finanza, venne
riorganizzato con l’emanazione di un nuovo Regolamento, che ne
disciplinava l’ordinamento, il reclutamento, la disciplina, le paghe, le
promozioni, l’armamento, i premi e le gratificazioni spettanti per la
scoperta e l’arresto dei contrabbandieri23. Il Corpo, la cui forza
organica iniziale non superava le 1900 unità, arrivò anche ad avere
una consistenza di circa 3000 uomini24 e nel 1808 ebbe finalmente
anche una propria uniforme, in sostituzione dell’unico elemento
distintivo indossato in precedenza, che era la bandoliera25.
Particolare importanza nella lotta al contrabbando assunse la pratica
della delazione, che venne fortemente incentivata attraverso la
ricompensa agli autori, della terza parte del valore delle confische e
delle multe che si era contribuito a determinare. I lauti guadagni
spinsero taluni a fare di questa attività una vera e propria professione,
arrivando anche a guadagnare più di 15.000 lire l’anno, somma che,
23
24
25
“Decreto portante il Regolamento per l’organizzazione delle Guardie di
Finanza” del 26 giugno 1804.
“Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal
1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag.
82 e 83.
Con il Decreto del 2 marzo 1808, a firma di Eugenio Napoleone.
73
per quei tempi, quasi eguagliava quello delle prime cariche dello
Stato26.
Anche il sale divenne oggetto di un diffuso e generalizzato
contrabbando, soprattutto tra le popolazioni nelle zone montane di
confine, in molti casi per una necessità legata alla sopravvivenza
personale e della propria famiglia, giacché le tariffe di vendita, a
partire dal 1800, avevano subito aumenti via via crescenti, del tutto
sganciati dalle reali necessità e dalla precaria situazione economica
della popolazione. Nel tentativo di arginare il dilagare di questo
fenomeno, con il Decreto del 19 maggio 1811 fu accordata, ai comuni
ubicati nei Dipartimenti di confine27, una riduzione del prezzo di
acquisto del sale rispetto alla tariffa vigente, con l’obbligo però, per
l’Erario cittadino, di comprarne dai magazzini di Stato una prestabilita
quantità di sale, pari a 5 libbre per ogni abitante, salvo poi recuperare
le somme sborsate in anticipo con la forzata vendita del sale ai propri
amministrati. Il nuovo sistema non solo non contribuì a diminuire i
comportamenti illegali, per via del divario tra il prezzo del sale del
monopolio rispetto a quello comprato all’estero, rimasto ancora
elevato, ma anzi diede il via al contrabbando interno, tra i vari
Dipartimenti del Regno, a causa delle differenti tariffe in essi vigenti.
Inoltre, il nuovo sistema di vendita finì per portare molti comuni al
dissesto finanziario, perché si trovarono impossibilitati a recuperare le
somme anticipate all’erario per l’acquisto del sale, la cui quantità
26
27
“Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal
1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag.
33.
Particolarmente diffuso era il contrabbando di sale nel Dipartimento dell’Adige,
all’interno del quale circolava illegalmente quello proveniente dalle vicine
miniere del Tirolo austriaco.
74
minima obbligatoria era stata determinata senza tener conto del
fenomeno delle migrazioni stagionali, che portava via da quei luoghi,
anche per mesi, buona parte della popolazione adulta28.
Anche il tabacco fu oggetto di un fiorente contrabbando, soprattutto a
partire dal 1810, quando il previgente sistema del rilascio delle licenze
di fabbricazione, fu sostituito con il monopolio esclusivo da parte
dello Stato. La situazione assunse dimensioni patologiche soprattutto
nei dipartimenti dell’Adda, del Lario e dell’Agogna, che potevano
rifornirsi nel vicino Canton Ticino, ove il prezzo era nettamente
inferiore rispetto a quello imposto dal monopolio statale.
Nel novembre del 1810, una spedizione militare al comando del
generale Achille Fontanelli invase il Canton Ticino, occupandolo per
alcuni mesi. Ufficialmente questo aperto atto di guerra fu motivato
dalla volontà di punire gli svizzeri, colpevoli di aggirare il blocco
continentale, in particolare attraverso i magazzini presenti nelle città
di Bellinzona e Mendrisio, inondando l’Italia di merci inglesi. In
realtà, vi era uno scopo non dichiarato, cioè di costringere i ticinesi ad
entrare a far parte del Regno italico. Ma di fronte alla loro ferma
opposizione, i napoleonici pretesero solo una rettifica dei confini,
attraverso la cessione del territorio di Mendrisio. Il rovesciamento
delle sorti di Napoleone dopo la campagna di Russia, consentì al
Cantone ticinese, fortunatamente, di non dare seguito a quella
richiesta29.
28
29
“Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal
1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag.
49.
“Storia di Como”, di Maurizio Monti – 1831, Como, tipografia di C. Pietro
Ostinelli, pagine da 210 a 214.
75
5. IL REGNO DEL LOMBARDO – VENETO (1815 – 1859)
Nei primi anni della rinnovata occupazione austriaca sul LombardoVeneto, furono mantenute in vigore le tariffe doganali della
precedente amministrazione filo francese, applicate nella versione
originaria
del
1803,
cioè
con
dazi
generalmente
bassi
o
moderatamente protettivi solo per poche merci. Anche l’apparato
burocratico dell’Amministrazione finanziaria fu sostanzialmente
confermato, nell’ambito del quale mantennero il loro ruolo di
referente a livello periferico le vecchie Intendenze di Finanza. La
Guardia di Finanza, nel frattempo rinominata ”Forza armata di
finanza”, continuò a prestare servizio come nel passato, suddivisa in
un servizio attivo ed un servizio sedentario.
Tra il 1835 ed il 1836, al fine di rinforzare il dispositivo di vigilanza
lungo le frontiere, dove già dal 1820 venivano impiegate anche truppe
di linea in funzione anticontrabbando, la “Forz’armata attiva di
finanza” fu divisa, dando vita a due corpi separati: il primo
denominato “Imperial Regia Guardia di Confine” 30 e l’altro “Imperial
Regia Guardia di Finanza”31, entrambi comunemente chiamati “Corpi
di sorveglianza”.
Tra i compiti principali della nuova Guardia di Confine, vi erano la
lotta al contrabbando e la repressione di ogni altra trasgressione alle
30
31
Notificazione n. 24563 – 2593 del 14 agosto 1835 “Istituzione della Guardia di
Confine”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle disposizioni generali
emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1835, Milano, Imperiale Regia
Stamperia, pag. 74 e segg..
Notificazione n. 40764 – 5203 del 31 dicembre 1836, “Pubblicazione
dell’estratto del regolamento organico e di quello di servizio per la nuova
guardia di finanza”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle disposizioni
generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume IV – 1836, Milano, Imperiale
Regia Stamperia, pag. 1031 e segg..
76
leggi di finanza, ma anche impedire l’entrata nello stato di persone
sospette, attraverso una copertura di tipo militare delle frontiere. Per
tali
scopi
venne
assimilata
ai
reparti
militari
ed
operava
esclusivamente in uniforme
Anche la Guardia di Finanza ebbe tra i suoi compiti la repressione del
contrabbando e delle violazioni di natura finanziaria, ma a differenza
dell’altro corpo di sorveglianza, operava in una posizione più
arretrata, in seconda linea, normalmente al di fuori del circondario
confinante.
Il sistema, così congegnato, non si rivelò particolarmente efficiente,
ma anzi generò gelosie e non pochi contrasti tra i due Corpi, i cui
compiti si dimostrarono sostanzialmente sovrapponibili, al punto che,
nel 1843, vennero riunificati nella “Imperiale Regia Guardia di
Finanza”, Corpo armato ad ordinamento civile, ma militarizzato nei
gradi e nella disciplina32. Nelle sue fila, fu consentito l’arruolamento
anche ai giovani che non avevano ancora prestato il servizio militare, i
quali potevano così usufruire dell’esenzione temporanea dalla
coscrizione obbligatoria finché rimanevano in servizio. Fu proprio
grazie a questa possibilità che numerosi elementi ostili all'Austria
entrarono a far parte dell’I.R. Guardia di Finanza, riuscendo ad evitare
il servizio di leva e a non indossare l'odiata uniforme dell'esercito
austriaco.
Nel 1817, il sistema doganale ebbe una svolta in senso
dichiaratamente protezionistico, con l’introduzione di elevati dazi
32
Notificazione n. 22 del 20 luglio 1843, “Concentrazione delle due guardie di
confine e di finanza, ed attivazione del relativo regolamento organico di
servizio”. In “Raccolta Degli Atti dei Governo di Milano e di Venezia e delle
disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1843,
Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 81 e segg..
77
sulle importazioni di merci estere, per alcune delle quali ne fu
addirittura proibito l’ingresso, misure che, ovviamente, riattizzarono il
contrabbando.
Nel 1836, l’intera materia doganale e sui monopoli di Stato, fu oggetto
di una accurata razionalizzazione, con l’emanazione di un complesso
organico di leggi, tra le quali il “Codice per le contravvenzioni di
finanza”.
Furono introdotte numerose norme speciali, alcune non del tutto
nuove, come l’istituto giuridico del “circondario confinante”, di
napoleonica memoria, al cui interno vigevano stringenti limitazioni
alla movimentazione delle merci.
Le violazioni doganali furono distinte tra frodi e contravvenzioni
d'altro genere, suddivise in tre classi a seconda del loro impatto sul
gettito fiscale o per la elevata pericolosità sociale: contrabbando, gravi
contravvenzioni, semplici contravvenzioni. Le pene, potevano essere
solo pecuniarie, in misura fissa o proporzionata all'imposta dovuta o al
valore dell'oggetto della contravvenzione, oppure prevedere l’arresto,
distinto in semplice e “rigoroso”, comminabile tanto come pena
principale, quanto come pena sussidiaria. Furono altresì previsti
inasprimenti di pena, con il cumulo delle sanzioni, ed introdotte altre
pene
accessorie,
come
la
perdita
di
diritti
e
concessioni,
l’allontanamento dal territorio dello Stato o dal circondario
confinante, la sorveglianza di polizia.
Una serie di circostanze attenuanti o aggravanti, erano anche
contemplate per consentire al giudice di determinare le pene tra il
minimo ed il massimo, fissati dalla legge stessa.
78
Per il contrabbando semplice, la pena poteva variare da due a quindici
volte l’imposta evasa, ma se la violazione riguardava un divieto
all’importazione, la pena era applicata nella misura variabile da una a
quattro volte il valore della merce. Se invece venivano violate le
disposizioni sui divieti di esportazione o di transito, i limiti edittali
della pena erano ridotti alla metà.
Il contrabbando “temerario”, che era la fattispecie più grave, era
invece punito con la pena dell’arresto semplice o rigoroso, e
comprendeva ben
nove differenti
condotte
antigiuridiche:
il
contrabbando reiterato; l’utilizzo di armi; il contrabbando con
“attruppamento” (cioè da più persone insieme); la violenza; la
“seduzione”, intesa come corruzione di pubblici ufficiali; la stipula di
assicurazioni sul rischio di sequestro; la formazione di società dedite
al contrabbando; l’uso di documenti falsi; la rottura dei suggelli
doganali; l’utilizzo di mezzi appartenenti ad altri, stratagemma
utilizzato spesso per evitarne la confisca.
Se tra i colpevoli di contrabbando temerario vi erano commercianti o i
loro agenti e commessi, a costoro potevano essere inflitte le pene
accessorie della perdita della licenza commerciale o dell’incapacità
ad esercitare una professione, anche a tempo indeterminato.
Infine, gli stranieri colpevoli di contrabbando temerario potevano
essere “sfrattati” (espulsi) dallo Stato33.
Nel 1852, venne emanata una nuova tariffa doganale, che aboliva i
divieti di importazione o esportazione gravanti su talune merci,
33
Notificazione n. 980 - 138 del 1° febbraio 1836, “Promulgazione del codice per
le contravvenzioni di finanza”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle
disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1836,
Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 239 e segg..
79
mantenendo però dazi molto elevati a protezione delle industrie
nazionali, e che quindi non fu in grado di ridurre il fenomeno
contrabbando nel Lombardo-Veneto, che riguardava in particolare la
seta, sulla quale gravava un dazio all’esportazione così elevato da
metterla praticamente fuori commercio rispetto ai più concorrenziali
prodotti piemontesi e francesi e lo zucchero, il cui consumo illegale,
nel 1853, venne stimato in circa 20.000 quintali, pari cioè ad un quarto
di quello ufficiale34.
Inoltre, i commercianti milanesi erano particolarmente preoccupati per
la perdita di competitività della Lombardia, che si vedeva sottrarre
quote sempre più ampie del traffico commerciale proveniente da
Trieste e diretto in Svizzera, a tutto vantaggio del vicino Piemonte, nel
quale il progressivo sviluppo del sistema ferroviario, aveva reso più
rapido e economico il transito delle merci via Genova. Nel 1853,
venne addirittura inviata una supplica a Vienna, affinché le autorità
imperiali mettessero al più presto a frutto il prestito lanciato nel 1850,
proprio nel Lombardo-Veneto e destinato a dotare il paese di nuove
ferrovie35.
6. IL CONTRABBANDO SUI LAGHI
Nel 1796, pochi mesi dopo la conquista del Ducato di Milano,
l’amministrazione francese, nel tentativo di arginare il contrabbando
lungo i laghi al confine con la Svizzera, autorizzò l’armamento di due
34
35
“Guida statistica della Provincia di Milano. 1854” – Milano, editore Luigi di
Giacomo Pirola, pag. 224 e segg..
Ibidem.
80
barche cannoniere, con sede una a Bellagio e la seconda a Domaso.
Incaricate di controllare il traffico sul lago, le imbarcazioni si
rivelarono ben presto troppo lente e costose e quindi furono poste in
disarmo.
Dopo il breve ritorno degli austriaci, la risorta Repubblica Cisalpina,
provò a fronteggiare l’emergenza del contrabbando sui laghi,
ripristinando, il 31 ottobre del 1800, il servizio doganale, affidato ad
una scialuppa armata che stazionava nei pressi di Lugano, dove
solitamente si recavano i contrabbandieri per vendere il loro grano36.
Nuovamente soppresso, il servizio venne ripristinato alcuni anni dopo,
schierando questa volta ben tre barche cannoniere, alle quali vennero
attribuiti compiti di vigilanza politico-militare oltre che finanziaria,
ma anche in questo caso con poca fortuna.
Dopo la fine del periodo napoleonico, gli austriaci riorganizzarono il
servizio di polizia sul lago di Como, istituendo quattro diverse
squadriglie navali (Como, Sant’Agostino, Gravedona, Lecco), a cui
nel corso degli anni si aggiunsero quelle di Menaggio (1819),
Moltrasio (1822), Brienno e Carate (1825) e infine Argegno, nel 1830.
Il contrabbando che si praticava sui laghi, non riguardava solo le
merci che provenivano da oltre confine, ma anche, e spesso, le merci
nazionali o in transito destinate all’esportazione, che in quanto tali
erano esenti dai relativi dazi sui consumi o da imposte doganali. In
breve, accadeva che le imbarcazioni, una volta caricate le merci e
lasciati gli approdi lacustri, raggiunto il limite delle acque territoriali
svizzere, venivano affiancate, sottobordo, da una miriade di piccole
36
“Storia della Svizzera italiana dal 1797 al 1802”, di Pietro Peri – 1864, Lugano,
Tipografia Cantonale.
81
barche,
le quali, caricata la merce la reintroducevano,
in
37
contrabbando, nei territori di partenza, cioè Lombardia o Piemonte .
Per la repressione dei traffici illeciti nelle acque del Lago Maggiore, il
Regno di Sardegna e l’Impero Austriaco conclusero una prima
convenzione nel 1834, poi ratificata nel 1835, in base alla quale tutte
le imbarcazioni che entravano nelle acque territoriali di uno dei due
Stati, erano soggette a visita da parte degli uffici doganali per
verificare la presenza di sale, tabacco, polvere da sparo e salnitro. Per
il garantire il rispetto della convenzione, gli Stati firmatari potevano
effettuare la vigilanza doganale anche con mezzi navali, sui quali
erano imbarcati finanzieri.
Il Trattato, però, fu oggetto di dure contestazioni da parte piemontese,
che lamentavano frequenti e gravi abusi da parte dei finanzieri
lombardi, accusati di interpretare a proprio esclusivo vantaggio la
cornice normativa dell’accordo diplomatico, estendendo oltremodo il
pattugliamento del lago, spingendosi anche nelle acque territoriali del
Regno di Sardegna per fermare e sequestrare imbarcazioni sospettate
di contrabbando. E in effetti, proprio nel tentativo di dare concreta
risposta all’annoso problema, gli austriaci avevano collocato sulla
sponda lombarda del lago una serie di grosse barche, che fungevano
da postazione fissa per i finanzieri, dalle quali partivano numerose
piccole imbarcazioni che effettuavano spesso la ricognizione fin sotto
Arona, cioè in territorio piemontese38. Gli incidenti denunciati furono
così numerosi, che nel 1846 il re Carlo Alberto denunciò
37
38
“Atti del Parlamento subalpino. Sessione del 1851”, volume VII, dal 23
novembre 1850 al 27 febbraio 1852 – 1866, Firenze, Tipografia Eredi Botta, pag.
3706.
Ibidem.
82
l’applicazione della Convenzione, minacciando tra l’altro Vienna di
“soffiare sul fuoco dell’indipendenza lombarda”.
Dopo le disastrose campagne militari del 1848 e del 1849, lo Stato
sabaudo, dietro pressione Austriaca, fu indotto a firmare, nel 1851, la
nuova “Convenzione per la repressione del contrabbando nel Lago
Maggiore e nei fiumi Po e Ticino”. Il Trattato, seppure similare al
precedente del 1834, introduceva nuove e stringenti limitazioni alla
navigazione sul lago, a tutto vantaggio della vigilanza doganale, che
però non mancarono di suscitare un vivacissimo dibattito alla Camera
dei Deputati torinese, i cui rappresentanti, fra tutti il Depretis, ne
denunciarono l’inutilità da parte piemontese. Le proteste avevano in
effetti un fondamento di verità, poiché i maggiori benefici derivanti
dall’applicazione delle nuove norme era proprio a favore dell’Austria,
interessata a porre un freno al dilagante contrabbando che affliggeva il
proprio territorio, anche, e soprattutto, per il perdurare di una ostinata
politica protezionistica, con altissimi dazi sulle importazioni, che
colpivano, tra l’altro, gli stessi vini piemontesi39. Inoltre Austria e
Regno di Sardegna erano da anni in competizione per difendere gli
interessi commerciali e materiali dei rispettivi porti di Trieste e
Genova, presso i quali affluivano e partivano molti dei prodotti
destinati in Svizzera. Da parte piemontese, vi era dunque la
preoccupazione che il rafforzamento della vigilanza sul Lago
Maggiore, peraltro molto oneroso dal punto di vista economico,
avrebbe potuto in qualche modo ostacolare e ritardare il flusso delle
merci provenienti da Genova, a tutto vantaggio dell’Austria e della
39
“L’altro Piemonte e l’Italia nell’età di Urbano Rattazzi”, a cura di Balduzzi,
Ghiringhelli e Malandrino – 2009, Giuffrè Editore, pag. 127.
83
strada ferrata che collegava la Lombardia con Trieste. Inoltre, la
modesta riduzione dei dazi sui vini, accordata dall’Austria quale
contropartita, fu giudicata dalla Camera dei Deputati del tutto inutile,
perché sul mercato lombardo i prodotti piemontesi continuavano a non
essere competitivi, rispetto ai vini importati dai Ducati di Modena e
Parma, che potevano beneficiavano della completa esenzione da dazi,
in virtù della “Convenzione sulla libera navigazione del Po”, stipulata
dai predetti Ducati con l’Impero Austriaco nel 1849 ed entrata in
vigore proprio nel 1851.
Dopo l’acquisizione del Veneto all’Italia, nel 1866, anche il lago di
Garda divenne frontiera del contrabbando, poiché il confine con il
Tirolo meridionale passava proprio attraverso di esso, fino all’altezza
di Bardolino e di Manerba. Non a caso, il trattato di pace tra Austria e
Regno d’Italia impegnava entrambi i contraenti, alla stipula, entro un
anno, di una convenzione per la repressione del contrabbando, e
disponeva, nelle more, la provvisoria applicazione della convenzione
stipulata nel 1851 per la repressione del contrabbando sul Lago
Maggiore. Questa appendice aggiuntiva, fu effettivamente siglata nel
1867, a Firenze, in occasione della stipula del nuovo Trattato di
commercio e navigazione.
Per quanto riguarda la vigilanza doganale sui laghi di confine, il
neonato Regno d’Italia puntò su un sistema di Brigate della Guardia di
Finanza, strategicamente posizionate presso gli approdi e lungo le
strade che conducevano ai villaggi intorno agli specchi d’acqua, ma,
contrariamente a quanto accaduto negli Stati preunitari, non si
premurò di dotare tali reparti di imbarcazioni idonee ad effettuare un
efficace pattugliamento degli specchi lacustri.
84
Per circa trent’anni la situazione rimase tale, finché nel 1891, tre
torpediniere del tipo “Thornycroft”, prestate dalla Regia Marina,
furono dislocate una nel Lago Maggiore e due in quello di Garda.
Grazie ai buoni risultati ottenuti, nel 1893 vennero formalmente
istituiti i “Servizi speciali per la vigilanza finanziaria di confine” sui
due laghi, la cui direzione operativa era attribuita ai comandi della
Guardia di finanza, mentre la responsabilità tecnica spettava a
personale della Regia Marina40.
Le predette unità, che inizialmente rimasero in carico alla Regia
Marina, conservarono il cannoncino Nordenfelt di cui erano dotate,
mentre furono sbarcati i tubi lanciasiluri. Un proiettore fu collocato su
un alto traliccio per consentire l’osservazione notturna, con qualche
pregiudizio per la già modesta stabilità dei battelli, come si dovette
constatare nella notte sull’8 gennaio 1896, quando, durante un
fortunale, presso l’approdo di Cannobio, sul Lago Maggiore, la
torpediniera 19/T “Locusta” si capovolse, scomparendo con l’intero
equipaggio, composto da 8 marinai e 4 finanzieri.
Nel 1896, il Ministero delle Finanze acquisì dalla Regia Marina
ulteriori 13 torpediniere, 10 del tipo “Thornycroft” e tre del tipo
“White”, per il servizio di vigilanza sui Laghi di Garda, di Lugano e
Maggiore e nella laguna di Venezia. Venne anche stabilita la
sostituzione del personale della Marina con equipaggi della Guardia di
Finanza, che veniva così ad assumere anche la direzione tecnica del
servizio. Le unità navali, ribattezzate “battelli incrociatori”, furono
40
Regio Decreto del marzo 1893, n.147, emanato di concerto tra i
Ministeri della Marina e delle Finanze. In “Raccolta delle disposizioni
legislative concernenti la Guardia di Finanza”, volume II – 1966, Comando
Generale della Guardia di Finanza. Archivio Museo Storico della Guardia di
Finanza (AMSGF).
85
poste alle dipendenze di comandi di “Stazione”, retti da tenenti,
istituiti a Cannobio (lago Maggiore), Nobiallo (lago di Como),
Porlezza (lago di Lugano) e Limone sul Garda41.
Nel 1900, con il Regio Decreto n. 29, venne emanato il “Regolamento
sul servizio di vigilanza finanziaria coi battelli incrociatori”, che fissò
le modalità per l'esecuzione del servizio sui laghi alpini e nella laguna
di Venezia, prevedendo con quali turni le unità dovevano svolgere il
servizio di guardia, di comandata e di riposo.
L’attività di vigilanza dei battelli incrociatori era poi integrata con una
serie di barche di perlustrazione a remi, assegnate alle Brigate di
confine dislocate lungo il laghi, incaricate di esplorare “continuamente
la zona illuminata dal fascio del proiettore [delle torpedini, N.d.A.],
per accertare che nessuna barca attraversi la zona di confine senza
essere riconosciuta e visitata”.
Al comando di ogni incrociatore vi era un sottufficiale della Guardia
di Finanza del ramo mare, in possesso di apposito certificato di abilitazione, rilasciato dal Ministero della Marina dopo uno speciale esame
teorico-pratico42.
41
42
Regio Decreto 8 marzo 1896, n.75. Il decreto stabiliva la cessione delle
torpediniere di IV classe (cioè le “Thornycroft”) aventi la seguente numerazione:
4,7,8,9,10,13,15,16,20,21 e le barche torpediniere “White” così contraddistinte:
V, VII e XIV. In “Raccolta delle disposizioni legislative concernenti la Guardia
di Finanza”, volume III – 1966, Comando Generale della Guardia di Finanza.
Archivio Museo Storico della Guardia di Finanza (AMSGF)
A cura del Direttore Generale delle Gabelle, vennero poi emanate le “Istruzioni
del 23 ottobre 1900 per l’applicazione del Regolamento sul servizio di vigilanza
finanziaria con i battelli incrociatori, e modelli ”. Dalla tabella allegata alle
predette istruzioni emerge che, nel 1900 le torpediniere in dotazione erano 16,
tutte costruite tra il 1884 ed il 1893, contraddistinte dalle seguenti lettere
dell’alfabeto: A,B,C,D,E,F,G,H,I,K,L,M,N,X,Y e Z. In “Raccolta delle
disposizioni legislative concernenti la Guardia di Finanza”, volume III – 1966,
Comando Generale della Guardia di Finanza. Archivio Museo Storico della
Guardia di Finanza (AMSGF).
86
7. IL REGNO D’ITALIA (1861 – 1900)
Con l’avvento di Cavour alla guida del Ministero delle Finanze, il
Piemonte aveva adottato nel 1859, una riforma doganale improntata al
libero scambio, la cui tariffa, con dazi in media dell’ordine del 3,5 %,
tra le più moderate in Europa, fu poi estesa anche agli Stati annessi al
Regno di Sardegna. Questa politica liberista, accompagnata dalla
stipula di numerosi trattati commerciali con i paesi limitrofi, suscitò
violente critiche da parte degli interessi agrari ed industriali italiani,
che accusarono il Governo di non proteggere adeguatamente
l’economia nazionale. Anche la Lombardia, che si trovava in una fase
di depressione economica per la forte crisi dell'industria della seta, fu
danneggiata dall’introduzione del regime doganale sardo, soprattutto
quelle categorie merceologiche che in precedenza, sotto il governo
austriaco, avevano beneficiato di elevati dazi protettivi .
Nonostante la moderazione dei dazi doganali, il contrabbando non
accennò comunque a diminuire, probabilmente a causa della relativa
mitezza delle sanzioni previste per i reati doganali.
Nel settembre del 1860, fu emanato un nuovo Regolamento
concernente le dogane ed i monopoli di Stato, che oltre ad accorpare
le numerose disposizioni allora esistenti, sparse in una moltitudine di
decreti, editti e manifesti, emanati nel Regno di Sardegna tra il 1815 e
il 1860, introduceva anche alcuni elementi di novità, come le
limitazioni al transito delle merci nella zona doganale, stabilendovi
orari, itinerari e documentazione di accompagnamento.
87
Anche l’apertura di nuove “fabbriche”43 o depositi di merci nelle zone
di confine, venne regolamentata attraverso il rilascio di una apposita
autorizzazione da parte del Ministero delle Finanze, mentre per gli
opifici già esistenti, la loro attività poté continuare ad essere
"tollerata" solo a seguito di una formale denuncia, con la quale
dovevano essere rese note: la distanza dal confine; il numero degli
operai addetti alla lavorazione; la quantità e la natura degli oggetti
fabbricati nell'arco di un mese.
Anche le disposizioni sulla navigazione nei laghi e nei fiumi furono
oggetto di revisione: il nuovo Regolamento consentiva ora alle
guardie doganali maggiori possibilità di effettuare ispezioni sulle
imbarcazioni.
Tra il 1864 ed il 1866, per fare fronte alle crescenti esigenze di finanza
pubblica, furono introdotti nuovi dazi, come per esempio su seta e
bestiame, che fino ad allora avevano goduto di una completa
esenzione ed aumentati quelli già esistenti, in particolare su coloniali,
vini ed alcuni prodotti agricoli di esportazione.
Questi
provvedimenti
suscitarono
un’ondata
di
malcontento,
soprattutto nelle zone prossime al confine con la Svizzera, la cui
economia già si sentiva profondamente minacciata e penalizzata dalla
politica doganale perseguita dalla Confederazione elvetica, dove
invece molti generi di monopolio e coloniali erano pressoché esenti da
dazi, garantendo quindi ai contrabbandieri ampie possibilità di
rifornimento e lauti guadagni, determinati proprio dalla differenza fra i
due regimi fiscali.
43
Per alcune categorie merceologiche, come ad esempio i tessuti, bastava avere
installati appena tre telai, per far sì che un semplice laboratorio artigianale,
venisse equiparato ad una "fabbrica".
88
Di questa situazione se ne avvantaggiavano sia le grandi
organizzazioni contrabbandiere, le cui redini erano tenute da uomini
senza scrupoli che si nascondevano nelle città lontane dai confini, sia
il tessuto economico che prosperava ai margini della linea doganale,
che comprendeva famiglie, commercianti e albergatori. Proprio per
l'omertà degli abitanti e per la tolleranza, quando non era proprio
connivenza, delle autorità locali, pochi erano i casi di contrabbando
che venivano denunciati.
La convinzione che condanne più severe avrebbero dissuaso i
contrabbandieri, portò alla emanazione di una nuova legge, la n. 3020
del 28 giugno 1866.
Composta da appena 14 articoli, la legge ebbe come principale
obiettivo la lotta contro il contrabbando in forma associata,
considerato la principale causa delle ingenti perdite subite dall'Erario,
introducendo le fattispecie aggravanti dell’”associazione”, della
“mano armata”, del “contrabbando in unione”, ed estendendo le pene
previste per gli autori del reato anche a coloro che provvedevano alla
assicurazione dei rischi del contrabbando .
La carcerazione venne portata da un minimo di 6 giorni a un massimo
di 6 mesi; alla confisca delle merci si aggiunse la perdita dei mezzi
utilizzati per il trasporto e le multe passarono da un minimo di 51 lire
ad un massimo di 1.000, senza contare che le pene aggiuntive
divennero proporzionali alla quantità di merce introdotta o esportata
illegalmente.
Anche per il contrabbando commesso col concorso di pubblici
ufficiali, fu previsto il carcere, con un minimo di tre mesi, che si
89
aggiungeva alle pesanti pene contemplate dal Codice Penale Militare
ed alla destituzione dagli incarichi.
Infine, fu introdotta anche la responsabilità civile dei datori di lavoro,
nell’ipotesi in cui il reato fosse stato commesso in locali aperti al
pubblico da parte di propri dipendenti, e questi si fossero rivelati
insolventi.
Gli effetti della nuova legge non tardarono a farsi sentire: già dal
primo anno della sua applicazione, i reati di contrabbando calarono,
rispetto al 1866, di circa il 15% e l'anno successivo si ridussero
ulteriormente. In realtà, se i traffici illegali diminuirono, questo fu
dovuto solo in parte alla nuova legge, perché la prospettiva del carcere
costituì un forte deterrente unicamente per i piccoli contrabbandieri,
che decisero di abbandonare il contrabbando ritenendolo ormai troppo
rischioso in rapporto ai guadagni. L’altro motivo che determinò il calo
del
numero
delle
violazioni
doganali
rapportate
all’autorità
giudiziaria, fu l’elaborazione di nuovi espedienti grazie ai quali fu
possibile ridurre il rischio di essere scoperti, tant’è vero che in questo
periodo aumentarono le denunce contro ignoti. Rimasero quindi sul
mercato uno zoccolo duro di "spalloni" professionisti, i quali, per
nulla scoraggiati dalla prospettiva del carcere, sfruttarono a loro
vantaggio l’aggravamento del “rischio d’impresa”, chiedendo, ed
ottenendo, maggiori compensi dalle organizzazioni di cui facevano
parte.
Tra gli accorgimenti utilizzati per eludere i controlli, ampia diffusione
ebbe l'utilizzo dei cani, addestrati a trasportare oltre confine,
attraverso la fitta boscaglia, al posto dei loro padroni, discreti
quantitativi di merce.
90
Maltrattati per mesi da estranei in divisa, le povere bestie imparavano
ben presto a stare alla larga dai finanzieri. Una volta ottenuto questo
primo risultato, i cani erano pronti per la fase successiva:
accompagnati dal padrone, percorrevano ripetutamente il sentiero che
attraversava il confine, andata e ritorno. Imparata la via da seguire,
venivano portati in Svizzera e, dopo un lungo digiuno, caricati con
bricolle contenenti la merce di contrabbando. Lasciati liberi durante la
notte, spinti dalla fame, i cani attraversavano di corsa il confine per
raggiungere il padrone che li aspettava in Italia, dal quale venivano
finalmente ricompensati con un lauto pasto.
Il rimedio si rivelò efficace e per diversi anni consentì agli autori del
contrabbando di agire indisturbati. Poi furono adottate adeguate
contromisure, disseminando il confine di tagliole e trappole di ogni
genere, nei pressi delle quali si appostavano i finanzieri. In breve
tempo furono catturati numerosi cani e confiscata una gran quantità di
merce, al punto che i contrabbandieri non ritennero più vantaggioso
servirsene e dovettero industriarsi per ricercare nuove strategie con le
quali sfuggire ai sempre più severi controlli.
Per evitare di incappare nei rigori della legge penale del 1866 e
soprattutto per non incorrere nelle maggiori sanzioni previste per i
reati associativi, le popolazioni al confine con la Svizzera ripresero ad
alimentare piccoli traffici locali, limitandosi ad acquistare, nel vicino
Canton Ticino, modeste quantità di tabacco, zucchero e caffè per poi
rivenderle a vicini di casa, parenti, albergatori, tabaccai e pizzicagnoli
della zona. Uno degli espedienti comunemente usato per coprire questi
traffici, era il pretesto di recarsi in territorio svizzero per la
coltivazione di fondi colà ubicati, grazie al era consentito attraversare
91
quotidianamente la frontiera: al ritorno in Italia, nella gerla carica di
prodotti della terra, veniva nascosta la merce di contrabbando.
Una delle contromisure adottate dal Governo per contrastare il
contrabbando di sale, fu il divieto di destinare quello proveniente dal
porto di Genova alle esportazioni verso la Svizzera, autorizzando a
tale scopo solo quello prodotto nella laguna veneta che aveva una
cristallizzazione ed un colore diverso, facilmente distinguibile durante
il controllo doganale.
Anche sul fronte diplomatico, il Governo italiano fu molto attivo,
tentando ripetutamente di ottenere
la collaborazione della
Confederazione Elvetica, anche attraverso l'istituzione di un "cartello
doganale", cioè un pacchetto di norme concordate per la repressione
del contrabbando, simile a quello che era stato stipulato con l'Austria
nel 1867, in occasione della firma del Trattato di commercio e di
navigazione.
Nel 1868, fu raggiunta a Firenze una prima intesa, che però riguardava
principalmente aspetti di natura commerciale, attraverso l’estensione
alle merci svizzere dello stesso trattamento di favore riservato ai
prodotti francesi e austriaci e con dei leggeri ribassi dei dazi gravanti
su orologi, nastri di seta, filati di lino e formaggi. Dal canto loro gli
svizzeri concessero la diminuzione delle tariffe d'importazione su
alcuni prodotti agroalimentari, come la pasta. Nulla da fare per il
cartello doganale, perché la Svizzera, sentendosi per nulla minacciata
dal contrabbando, rifiutò la proposta, motivandola, pretestuosamente,
con l’impossibilità di sostenere l’aumento dei costi in termini di
personale e mezzi, che una più stretta sorveglianza dei confini avrebbe
comportato.
92
Nel 1883, un nuovo trattato commerciale fu siglato con la Svizzera.
Basato sulla clausola della nazione più favorita, esso risultò molto
vantaggioso per l'Italia, che si assicurò, per la produzione vinicola
nazionale, il medesimo trattamento concesso ai vini francesi. Furono
ottenuti ribassi sui dazi anche per il sapone, la lana, le cere e la
ceramica e vennero evitati gli aumenti che gli svizzeri intendevano
applicare sulla seta e sullo zolfo. Il nostro Paese accolse le richieste di
parte svizzera, cioè la riduzione dei dazi sull’importazione di
formaggi, bestiame, carillon e orologi, dei quali in parte ne fu ridotto
il contrabbando, privato di buona parte della sua rimuneratività.
Una decisa inversione di tendenza si ebbe nel 1887, quando fu varata
una nuova tariffa doganale, con alti dazi a scopo protezionistico, che
colpì in modo particolare lo zucchero ed i suoi derivati, il tabacco, il
cacao, i coloniali in genere ed alcuni prodotti agricoli, contribuendo a
riallungare il divario tra l’imposizione doganale italiana e quella
svizzera.
Questa situazione determinò una vera e propria esplosione del
contrabbando, che ebbe un pesante impatto sul tessuto economico e
sociale di molti paesi di confine, perché l’aumento dei margini di
guadagno spinse molti contadini ad abbandonare la loro misera
condizione, per porsi al servizio di associazioni di contrabbandieri
professionisti, radicatisi in molte città italiane, specie lombarde.
In breve tempo, i rapporti fra Italia e Svizzera divennero tesi,
soprattutto per il ripetuto rifiuto della Confederazione di adottare il
tanto agognato cartello doganale, i cui effetti non tardarono a
manifestarsi nei i rapporti fra doganieri ticinesi e finanzieri, che
divennero sempre più difficili, quando questi ultimi furono accusati di
93
aver più volte violato il confine durante gli inseguimenti dei
contrabbandieri.
Questo stato di tensione peggiorò ulteriormente nel 1884, quando
un'epidemia di colera, scoppiata in Francia e subito passata nel Canton
Ticino, diede all’Italia una efficace scusa per attuare una rappresaglia
contro la Svizzera, istituendo lungo tutto il confine uno stringente
"cordone sanitario", che prevedeva rigorosi controlli e quarantene. Il
provvedimento, giudicato dal governo elvetico troppo severo in
rapporto alla limitata estensione dell'epidemia, venne visto come un
pretesto per ostacolare non solo il contrabbando, ma anche le stesse
attività commerciali dei ticinesi.
Il cordone sanitario però, non solo non diede i risultati sperati, ma anzi
causò un aumento del contrabbando, che assunse proporzioni
paragonabili a quelle di venti anni prima.
Nel 1889, venne stipulato un nuovo trattato con la Confederazione
Elvetica, con la reciproca concessione della clausola della nazione più
favorita, che assicurò all'Italia una riduzione dei dazi per
l'esportazione di prodotti quali seta, vini, bestiame, riso, salumi,
agrumi, pollame e uova. La Svizzera si avvantaggiava invece di una
riduzione della tassazione su formaggi, tessuti di lino, gioielli d'oro,
cioccolato, veicoli ferroviari di prima classe e orologi a carillon.
Ma appena un anno dopo, l’Italia varò, a protezione delle produzioni
nazionali, in un periodo di grave depressione economica, nuovi
aumenti dei dazi soprattutto su zucchero, vino, oli vegetali, filati di
lino e grano, che riportò il contrabbando a livelli elevatissimi.
Contro questo annoso fenomeno, nel 1893, fu ideato un nuovo sistema
di contrasto: lungo la linea di confine, dal Lago Maggiore all’alta valle
94
dell’Adda, fu steso un complesso sistema di reti dotato di campanelli,
che suonando ad ogni minima scossa, mettevano in allarme le
sentinelle di turno.
Purtroppo, gli effetti non furono quelli sperati, poiché il contrabbando,
soprattutto quello praticato dai professionisti, non accennò a
diminuire. Diverse erano le scappatoie usate per superare la rete
metallica: da quelle più banali, come la costruzione di improvvisate
gallerie o il taglio della rete, fino ad arrivare ad azioni più complesse
condotte da bande ben organizzate.
Ecco come si svolgevano: mentre la sentinella era impegnata a
percorrere il sentiero che rasentava la rete, a volte anche per un tratto
lungo mille metri, i contrabbandieri provenienti da oltre confine,
carichi di bricolle, si davano appuntamento in un punto convenuto con
i complici provenienti dal territorio nazionale. In pochi secondi il
carico veniva catapultato al di sopra della rete e caricato nei sacchi
vuoti e portato in paese. Nell’ipotesi in cui la sentinella non si fosse
allontanato dal punto di incontro, ecco che altri complici, in una zona
abbastanza distante, provvedevano a far suonare i campanelli,
provocando
il
pronto
accorrere
del
finanziere,
che
quindi,
inconsapevolmente, sgombrava il campo ai contrabbandieri.
Quando il sistema venne scoperto, i finanzieri ebbero l’ordine di
restare sul posto anche se avessero udito il tintinnio dei campanelli.
Ma i contrabbandieri, una volta convintisi che la sentinella non si
sarebbe mossa dal punto ove era, cambiavano tattica e punto di
incontro, andando a scaricare le bricolle proprio ove suonavano i
campanelli.
95
Oltre alla Svizzera, anche il Tirolo meridionale fu fortemente
interessato dal contrabbando transfrontaliero, pratica molto diffusa e
praticata da una rilevante fascia degli abitanti dei paesi a ridosso della
linea di confine. Per dare un'idea dell’ampiezza della diffusione del
fenomeno, basti ricordare che dopo la Grande Guerra, con
l’annessione di quei territori al Regno d’Italia, in molti paesi, ormai
privati della principale, se non unica fonte di sostentamento, cioè il
contrabbando, agli abitanti non rimase che intraprendere la via
dell’emigrazione, lasciando interi villaggi spopolati. Tra i principali
prodotti oggetto dei traffici illeciti vi era il tabacco, che iniziò ad
assumere proporzioni preoccupanti dopo l’annessione del Veneto,
anche per il divieto di coltivazione del tabacco che venne subito
imposto. Questa misura, che aveva ovviamente la finalità di
proteggere il monopolio italiano, spinse alcuni piccoli paesi ancora in
territorio austriaco, come Ala, a sviluppare l’intera filiera della
raccolta e della lavorazione del tabacco, destinato a rifornire, di
contrabbando, il mercato italiano.
Un efficace esempio di quanto questo fenomeno illecito abbia inciso
sulla vita quotidiana della popolazione dei territori al confine tra Italia
e Impero austriaco, ci è stato lasciato da Mario Rigoni Stern attraverso
la “Storia di Tönle”, romanzo pubblicato nel 1978, che prende spunto
proprio dall'esperienza autobiografica dell'autore. Al centro del
racconto sono le montagne dell'altopiano d'Asiago e Tönle Bintarn, un
contadino veneto, pastore e contrabbandiere, che si trovò ad essere
coinvolto nei grandi eventi storici della prima guerra mondiale. Dopo
aver ferito un finanziere che lo aveva sorpreso mentre trasportava
96
merce di contrabbando, fuggì in Austria, senza però mai dimenticare i
propri luoghi d’origine.
Un’altra provincia particolarmente afflitta dal fenomeno del
contrabbando con l’Austria era quella di Udine: a titolo di esempio,
nel solo 1869 vi furono ben 109 condanne per reati connessi alla
violazione delle leggi sui monopoli, in particolare sale e tabacco, con
le quali furono irrogati, complessivamente, ben 300 anni di prigione.
8. CONCLUSIONI
Per concludere e riassumere la situazione del contrabbando sul
confine alpino nel diciottesimo secolo, mi è sembrato particolarmente
utile per lo scopo di questo breve saggio, riportare alcuni interessanti
passaggi della relazione, presentata il 13 maggio del 1900, dall’allora
brigadiere allievo ufficiale Domenico Olivo, a conclusione del corso
frequentato presso la Scuola Allievi di Caserta44.
Il documento, oltre a descrivere minuziosamente i molteplici artifici
escogitati dai contrabbandieri per superare indenni la vigilanza
doganale, illustra anche quelle che, secondo l’esperienza di servizio
dell’autore, erano le motivazioni che spingevano le persone a
delinquere, offrendo un efficace spaccato di come doveva essere, in
quell’epoca, la vita nei paesi di confine. Lunghissima è la lista dei
metodi utilizzati per sviare i controlli: sacchi di zucchero occultati in
altri più grandi, contenenti cloruro di calce, merce che essendo esente
44
Biblioteca del Museo Storico della Guardia di Finanza, n. progressivo 116.
Domenico Olivo fu un brillante ufficiale della Guardia di Finanza, che iniziò la
sua carriera nel Corpo, nel 1889, quando si arruolò come allievo sottobrigadiere.
Promosso Sottotenente nel 1900, terminò la sua carriera nel 1935, con il grado di
Generale di Brigata in ausiliaria.
97
da dazio spesso non era oggetto di visita doganale; botti vuote, prima
esportate e poi reimportate, utilizzando alcune doghe cave per
nascondervi all’interno del tabacco; recipienti, carri, vetture e barche
con doppi fondi o nascondigli appositamente realizzati, riempiti di
merce di contrabbando; tavole di legno per i letti, svuotate nell’interno
e riempite di spagnolette di cotone; botti di spirito e casse di merci
varie, legate sotto la chiglia delle barche e rimorchiate di notte a
distanza tramite un filo; vesciche di animali ripiene di tabacco, gettate
da oltreconfine nei fiumi che scorrevano verso l’Italia, e poi ripescate
nel territorio nazionale; sacchetti di zucchero e di caffè avvolti in
stracci e modellati a somiglianza di neonati, coperti con degli scialle e
tenuti attaccati al seno della presunta madre per simulare
l’allattamento, allo scopo di evitare lo sguardo indiscreto dei
finanzieri; zoccoli di legno con la suola scavata e riempita di caffè;
seni falsamente voluminosi, gobbe e gravidanze finte, grazie ai quali
potevano essere nascosti gli involucri
contenenti merce di
contrabbando.
I contrabbandieri, gli spalloni, erano per lo più contadini, legnaioli e
carbonai, uomini forti ma agili, capaci di sfidare i pericoli della
montagna e del tempo, le cui sorti erano spesso accumunate a quelle
dei finanzieri, vittime dei tragici incidenti che spesso si verificavano:
assideramenti, cadute accidentali nei precipizi, valanghe.
Diverse erano le motivazioni che spingevano le persone a delinquere.
Oltre ai professionisti della bricolla, c’erano anche vecchi, donne e
ragazzini dei paesi prossimi al confine, che per fame o solo per
abitudine, si spingevano frequentemente in Svizzera e nel Tirolo
austriaco, rischiando il carcere per portare a casa pochi grammi di
98
tabacco, zucchero, caffè o cioccolata. L’allievo ufficiale Olivo,
inoltre, individuava almeno altre due categorie di contrabbando
improvvisato: quello c.d. “sportivo” e quello “domestico”. Il primo era
commesso da persone provenienti di solito dalla città, che si recavano
in Svizzera, in particolare a Chiasso, Mendrisio e Lugano, per
comprare zucchero, cioccolato o sigari da portare in Italia in
contrabbando, senza però avere né la reale necessità economica di
evadere le imposte doganali, ne di ricavarne un guadagno, ma
piuttosto per il puro brivido della trasgressione. Il contrabbando
domestico era invece quello praticato da alcuni negozianti di confine,
che spesso utilizzavano le donne del luogo quale mezzo per
commettere il contrabbando: queste, infatti, uscivano di casa di primo
mattino per attraversare il confine, vestite con abiti alquanto leggeri
nonostante il freddo, per poi tornare in Italia la sera, questa volta
coperte di costosi mantelli e magnificamente adornate con pizzi,
orologi e cappelli acquistati in Svizzera, indossati come fossero ad uso
personale, ma che una volta passato il confine, dovevano (a
malincuore) consegnare ai negozianti che ne avevano commissionato
l’acquisto.
99
Gen. C.A. Luciano Luciani
Il contrabbando alla frontiera terrestre nel XX secolo
1. GENERALITÀ
Nei primi decenni del 1900, come del resto nel secolo precedente,
gran parte della Guardia di finanza era impiegata nella lotta al
contrabbando, cosa ovvia, dal momento che la maggior parte delle
entrate erariali dello Stato proveniva da dazi doganali, monopoli ed
imposte sulla produzione.
Al giorno d'oggi l'immaginario collettivo associa l'evasione fiscale,
fenomeno distorsivo dell'ordinato vivere civile, alla mancata denuncia
101
e quindi corresponsione delle imposte dirette e di quelle indirette sugli
affari, il contributo delle quali è percentualmente più rilevante sul
totale del gettito. Cent'anni fa, invece il gettito delle imposte dirette ed
indirette era sensibilmente minore, per cui la relativa evasione non era
preoccupante, a differenza di quella delle altre imposte, il mancato
pagamento delle quali costituisce contrabbando.
La gravità del fenomeno, almeno fino all’inizio del secolo scorso, era
tale che alcuni definivano il contrabbando il corrispettivo nell’arco
alpino del brigantaggio meridionale, una forma di ribellione che
affondava le radici nell’insofferenza delle popolazioni locali per la
legislazione doganale dello Stato e nella loro percezione della
frontiera come naturale area di scambio sviluppatasi in assenza di
sbocchi economici alternativi.
Questo stato di cose giustifica l'attenzione che i Governi dell'epoca
che si succedevano alla guida del Paese ponevano al fenomeno, che
cercavano di fronteggiare incentivando l'efficienza della Guardia di
finanza, nell’intento di incrementare le entrate con un più valido
assetto della vigilanza.
A fotografare con mirabile sintesi e molta efficacia la situazione al
confine, in una seduta del Parlamento ad inizio secolo intervenne
mentre si discuteva sul contrabbando in uno dei numerosi dibattiti,
l’on. Farinet affermando “Un enorme esercito di agenti di finanza ben
disciplinato si sforza invano, sui pendii e sui colli alpini, sulle rive dei
nostri laghi, nelle strette delle nostre Alpi, a combattere un altro
esercito innumerevole, quantunque frazionato, infaticabile quanto
audace, ricolmante l’indomani i vuoti patiti alla vigilia, secondato
purtroppo dal favore delle popolazioni, sorretto dalla certezza di un
102
lauto guadagno, e contro il quale tutti gli sforzi, tutte le circolari, tutte
le leggi non hanno avuto che scarsi effetti.”
Finalmente, dopo cinquant'anni di tentativi di dare assetto definitivo al
Corpo, migliorando l'efficienza dell’organizzazione e lo status dei
finanzieri, nel 1906 fu varata la grande riforma ordinativa che rese la
Guardia di finanza autonoma, distaccandola dalla Direzione Generale
delle Gabelle e pose le basi per la sua connotazione in senso militare,
raggiunta pienamente pochi anni dopo. Il potere politico, infatti, si era
reso conto che ogni lira in più spesa per il Corpo a breve termine
consentiva conseguenti maggiori incassi per l'erario.
2. I PROTAGONISTI DEL FENOMENO
Sui confini alpestri, per oltre due secoli si sono fronteggiati e
combattuti, in taluni casi anche facendo uso delle anni da una parte e
dall'altra, i contrabbandieri ed i finanzieri.
Nelle aree a ridosso della frontiera il contrabbando, endemico da
secoli, era reputato un mestiere semilegale dalle popolazioni
frontaliere, che consideravano i finanzieri dei nemici da combattere
perché con i sequestri sottraevano ad essi il frutto della loro fatica,
spesso essenziale per la sopravvivenza della propria famiglia.
Tra le ragioni dello sviluppo del contrabbando in Italia va individuato
anche “l'occhio indulgente della collettività" che specie nella zona
prossima al confine con la Svizzera caratterizzata nel passato da un
alto tasso di disoccupazione, vedeva il contrabbando come mezzo di
sopravvivenza, considerandolo come una vera e propria professione.
Emblematica di questo sentimento è un passo di Cesare Beccaria, che
alla fine del XVIII secolo scriveva: “Il contrabbando è un vero delitto
103
che offende il Sovrano e la Nazione: ma la di lui pena non deve essere
infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica
opinione.
Ma dovrassi lasciare impunito un tale delitto contro chi non ha roba da
perdere? No: vi sono dei contrabbandi che interessano talmente la
natura del tributo, parte così essenziale e così difficile in una buona
legislazione, che un tale delitto merita una pena considerevole, fino
alla prigione medesima, fino alla servitù; ma prigione e servitù
conforme alla natura del delitto medesimo. Per esempio, la prigionia
del contrabbandiere di tabacco non deve essere comune con quella del
sicario o del ladro.”
L'attività degli "spalloni" non solo era tollerata dalla popolazione, ma
anche favorita, soprattutto nelle aree di basso sviluppo socioeconomico ove l'acquisto di generi sottratti ai dazi doganali era
considerata una innocente evasione di un imposta ritenuta vessatoria.
"Spallone" è un appellativo che in gergo significa "uomo dalle spalle
forti" e ben si attagliava a coloro che con pesanti carichi di merce
trasportata a piedi, sul dorso, superavano il confine, spesso attraverso
itinerari alpini aspri e poco frequentati.
Oggi l'opinione della collettività verso il contrabbando è senz'altro
mutata grazie alla marginalità del guadagno derivante dall' acquisto di
generi di contrabbando e ad una maggiore consapevolezza della stretta
correlazione tra contrabbando e grande criminalità organizzata,
evidenziatasi negli ultimi anni alla luce anche dei tragici episodi che
hanno portato alla perdita di vite umane da parte della Guardia di
finanza.
104
Accanto
al
grande
contrabbando
di
spietate
ed
efficienti
organizzazioni, tuttavia, è sempre esistito un contrabbando minuto, di
sopravvivenza che da tempo immemorabile ha caratterizzato le aree di
confine dell'Ossola, del Varesotto, del Comasco e della Valtellina.
Se i contrabbandieri "classici", almeno fino alla 2° guerra mondiale,
provenivano dai ceti più umili della popolazione delle aree di confine
e quindi si dedicavano ai traffici illeciti non per arricchirsi ma per
sopravvivere oppure per arrotondare i magri proventi dell'agricoltura, i
finanzieri che davano loro la caccia non si trovavano in condizioni
economiche e sociali migliori.
Innanzitutto essi erano, in gran parte, di provenienza meridionale e si
erano arruolati per sottrarsi ad un destino di fame e miseria, comune in
quei tempi a gran parte delle popolazioni delle regioni di origine.
Nella Guardia di finanza avevano trovato uno stipendio appena
dignitoso ed un rango sociale abbastanza elevato, ma solo nei luoghi
dove erano nati ed erano cresciuti ove tornavano solo in caso di rari
permessi o licenze.
Nelle zone di confine invece erano mal visti e derisi perché ritenuti a
torto il braccio armato di uno Stato che i contrabbandieri, e con essi
l'intera popolazione, ritenevano ingiusto e prevaricatore nei loro
confronti, dal momento che non solo poco faceva per sollevare le loro
condizioni economiche, ma perseguitava coloro che, tutto sommato, si
limitavano a trasportare merci da un luogo all'altro (e poco importava
che tra i due luoghi passasse il confine) come da tempo immemorabile
erano abituati a fare.
105
Da questo stato di fatto originava una profonda frustrazione nei
finanzieri che invece agivano nella consapevolezza di compiere il loro
dovere, peraltro in condizioni di estremo disagio.
In effetti, almeno fino alla 1^ guerra mondiale, le guardie di finanza
erano obbligate a risiedere in caserme decrepite e scarsamente
funzionali in località isolate e spesso malsane (vigeva l'obbligo per
tutti, celibi e ammogliati di pernottare in caserma fino al compimento
dei 45 anni), sottoposti ad una disciplina ferrea talvolta stupidamente
persecutoria, impiegati in turni di servizi massacranti, anche
settantadue ore continue di servizio, dopo le quali venivano concesse
dodici ore di riposo prima di essere nuovamente comandati di
servizio, In tempi di carenza di organici era normale un impiego in
servizio di sedici ore, intervallate da otto ore di riposo, e ciò per più
giorni di seguito. I riposi settimanali, inoltre, erano sconosciuti.
A tutto questo si aggiungeva il divieto di sposarsi prima dei
trentacinque anni di età, perché lo Stato non voleva sobbarcarsi l'onere
di corrispondere assegni familiari e men che meno pagare a mogli e
figli una pensione nel caso non infrequente di morte per causa di
Infine i finanzieri, nei rarissimi casi in cui essi potevano recarsi nel
paese più vicino per un turno di riposo, venivano ingiuriati e derisi
lungo le strade che percorrevano oppure nei locali pubblici in cui
entravano per riposarsi.
A lungo andare i nervi dei più deboli cedevano con tragiche
conseguenze: alcuni in preda allo sconforto si suicidavano, altri
passavano a vie di fatto con quei superiori che erano ritenuti privi di
senso di umanità per l'eccessiva durezza nell'amministrare la
106
disciplina, giungendo talvolta ad usare le anni contro di loro, altri
ancora disertavano nella vicina Confederazione Elvetica.
In questa situazione erano frequenti le risse con i paesani nelle osterie
e i pestaggi dei contrabbandieri quando i finanzieri riuscivano a
catturarli.
Talvolta si sparava contro i frodatori che peraltro non disdegnavano di
attraversare il confine armati ed impegnare conflitti a fuoco, alla fine
dei quali era difficile stabilire chi per primo aveva fatto uso delle armi.
In ogni caso, dal 1861 al 1940 il numero dei morti fra i
contrabbandieri fu considerevole, come furono moltissimi i finanzieri
caduti nell'adempimento del dovere, com'è attestato dalle lapidi erette
sul luogo del loro sacrificio.
Questi avvenimenti ebbero largo eco non solo sui giornali locali, ma
anche in Parlamento, ove i deputati eletti nelle zone di confine
prendevano apertamente la parte dei contrabbandieri, presentando
interpellanze e interrogazioni al Governo, chiedendo un intervento per
far cessare
quella che essi qualificavano come sopraffazione della Guardia di
finanza.
Nel secondo dopoguerra, specialmente dopo l'emanazione dell'ultima
legge sull'uso delle anni da parte della Guardia di finanza promulgata
il 4 marzo 1958, e soprattutto grazie all'incessante opera educatrice dei
superiori intesa ad inculcare nei dipendenti la necessità di usare le
anni soltanto nei casi estremi e grazie all'evoluzione economica e
sociale di cui hanno beneficiato le popolazioni di confine e gli
appartenenti al Corpo, gli episodi di ostilità ed intolleranza reciproca
si sono via via attenuati.
107
3. GEOGRAFIA DEL CONTRABBANDO
Le legioni di frontiera di Torino, Milano e Venezia, all'inizio del 900'
presidiavano con i loro reparti fittamente dislocati sulle Alpi e nella
pianura Veneto-friulana, il confine con la Francia, la Svizzera e
l'Austria-Ungheria.
Il contrabbando, pur presente ovunque, era poco sviluppato sulla
frontiera occidentale, perché la Francia aveva una tariffa doganale
molto simile a quella italiana e quindi non vi erano significative
differenze di prezzi sui generi tradizionalmente oggetto di traffici
illeciti, quali tabacchi, zucchero e caffè. Peraltro il confine con quella
nazione corre su catene montuose molto alte ed impervie e le zone
limitrofe sono scarsamente abitate.
Il contrabbando, invece, era endemico e molto praticato fin da tempi
antichi sul confine elvetico, che era vigilato sia dalla legione di Torino
sia da quella di Milano (saliente del Canton Ticino e Valtellina, Val
d'Aosta, Valsesia e Valdossola). Qui i traffici illeciti erano
praticamente incontenibili nella zona di pianura tra i laghi di Como e
Maggiore, ma erano anche largamente praticati nelle altre aree
montuose, che peraltro erano transitabili solo sui valichi e sui fondo
valle.
Anche sul confine orientale il contrabbando era fiorente, grazie ai
differenziali dei prezzi dei generi cosiddetti coloniali, seppur non così
elevati come con la Svizzera,
correnti nell’impero Asburgico. In
questo settore le aree maggiormente interessate erano quelle venete,
ad oriente del lago di Garda fino alle Dolomiti e quelle carniche e
soprattutto della pianura friulana tra Tarcento ed il mare. In alcuni
tratti di quest'ultima zona erano anche state erette le reti di confine, la
108
costruzione delle quali era stata portata a termine sul tratto
meridionale del confine svizzero nei primi anni del secolo.
Dopo la conclusione della prima guerra mondiale la situazione non
mutò per i tratti di confine con Francia e Svizzera. Ad oriente la
frontiera italiana si attestò sulla displuviale alpina dallo Stelvio a
Fiume, con due nuovi Stati confinanti: la repubblica austriaca ed il
regno jugoslavo, da Tarvisio al Quarnaro. In quest'area il controllo del
confine, dalla legione di Venezia fu trasferito alle neo costituite
legioni di Trento, Udine e Trieste.
Sulla frontiera della provincia di Bolzano, alla quale fu attribuito un
ulteriore tratto di confine con la Svizzera tra Stelvio e Resia, ove il
contrabbando continuò a svilupparsi, come del resto avveniva con il
precedente regime, i traffici illeciti con la confinante Austria andarono
gradualmente scemando di intensità. Ciò in quanto all'indomani della
cessazione dello stato di guerra sia la mancanza di generi alimentari,
sia l'inevitabile disordine amministrativo nel passaggio di due diverse
autorità statali avevano indotto le popolazioni locali, che mal
sopportavano la denominazione italiana, a continuare gli scambi
commerciali con i territori che da poco erano divenuti stranieri,
ovviamente senza rispettare le formalità doganali.
Con la stabilizzazione economica del dopoguerra, un po' alla volta la
situazione economica si era normalizzata ed i traffici di frontiera erano
rientrati nella legalità, anche perché le popolazioni locali non avevano
la consuetudine al contrabbando, proprie delle regioni lombarde di
confine.
In Carnia ove il confine prebellico era rimasto invariato il
contrabbando continuò su ritmi simili a quelli anteguerra, anche se poi
109
andò scemando e talvolta mutò direzione per l'aggravarsi della crisi
economica della repubblica confinante, ove l'approvvigionamento di
generi da introdurre illegalmente in Italia divenne non redditizio.
La situazione sul nuovo confine con la Jugoslavia, invece, fu diversa.
Le popolazioni dei nuovi territori annessi all'Italia, di etnia slava, non
accettavano la nuova dominazione, come a malincuore avevano fatto
gli altoatesini, che però si rendevano conto di aver rovinosamente
perso la guerra. Gli slavi, avendo conquistato l'indipendenza con la
rivoluzione, sia pure a spese del morente impero absburgico, erano
fieramente irredentisti e boicottavano in ogni modo lo Stato italiano,
ignorando deliberatamente le disposizioni doganali italiane. Coloro
che si dedicavano al contrabbando lo facevano con finalità ideali,
erano abbastanza scopertamente aiutati dalle autorità jugoslave e dalle
popolazioni di confine e non esitavano a far uso delle armi contro i
finanzieri.
Il contrabbando in quest'area, quindi, non era pericoloso sotto il
profilo erariale, perché le quantità di merce illecitamente introdotte
non erano significative, ma costituiva un problema di ordine pubblico
e come tale era stato affrontato.
Al termine della seconda guerra mondiale, la situazione mutò
radicalmente un'altra volta: il confine orientale fu riportato
sostanzialmente sulla linea antecedente al 1915, ma qui scese subito la
cortina di ferro, duramente presidiata dai "graniciari" jugoslavi che
non avevano remore a sparare su chiunque solo si avvicinasse al
confine ed ovviamente ogni traffico di contrabbando fu inconcepibile.
Nemmeno con lo strappo di Tito verso l'URSS la situazione al confine
orientale cambiò.
110
Anche la frontiera austriaca, ora presidiato dalle legioni di Udine e
Trento, rimase indenne dagli illeciti traffici sul confine alpestre, sia
per le difficoltà di attraversamento, sia per la sostanziale uniformità
delle tariffe doganali dei due stati confinanti. Uguale situazione
continuò a presentarsi al confine con la Francia, ove il contrabbando
extraispettivo fu scarsamente praticato per tutto il XX secolo.
Diversa la situazione sul confine lombardo ed, in parte, piemontese,
ove durante la guerra avevano continuato a prosperare traffici in
entrambi i sensi: i contrabbandieri italiani nel viaggio verso la
Svizzera portavano generi alimentari, specie riso, dei quali vi era
carenza nella Confederazione, ed al ritorno introducevano i
tradizionali
generi,
tabacco,
zucchero
e
talvolta
caffè.
I
contrabbandieri, poi, lucravano spesso sull' accompagnamento a
pagamento oltre frontiera di ebrei ed altri perseguitati.
Subito dopo la fine della guerra riprese in grande stile il contrabbando
di tabacchi, T.L.E. (tabacchi lavorati esteri) nella terminologia della
Guardia di finanza, favorito dal gran numero di disoccupati per la crisi
economica postbellica, disponibili a tutto pur di poter guadagnare
qualcosa per la sopravvivenza1 e dalla disorganizzazione dei reparti
della Guardia di finanza, che durante la Repubblica Sociale Italiana
erano stati allontanati dal confine perché i finanzieri si erano rifiutati
di opporsi agli espatri dei perseguitati.
La motivazione economica era comunque la principale. Nel quadro
generale di un’Italia uscita distrutta, anche economicamente, dalla
guerra, l’economia legale delle aree di confine entrava nella fase del
1
Tra questi anche il noto giornalista e scrittore Enzo Bettiza, che ha confessato
che nel 1945-46, esule e profugo da Spalato, sopravvisse facendo il
contrabbandiere di sigarette.
111
suo definitivo declino, non potendo garantire entrate sufficienti ad un
numero peraltro sempre minore di
abitanti. Inoltre, le condizioni
salariali dell’industria erano ben modeste ed in ogni caso la paga di
un operaio non era nemmeno lontanamente comparabile a quella
percepita per ogni viaggio di contrabbando.
Negli anni 50' i reparti del Corpo avevano riassunto l'organizzazione
del contrasto ai contrabbandieri prebellica, ma i traffici illeciti, ormai
polarizzati nelle province di Como, Varese, Sondrio e Novara, si
sviluppavano con notevole pericolosità. Il numero dei passatori era
divenuto ormai imponente: si erano organizzati in squadre agguerrite,
che disponevano di fiancheggiatori ed informatori sui movimenti delle
pattuglie dei finanzieri ed agivano non solo di notte ma anche di
giorno approfittando della scarsità degli organici dei reparti del Corpo
che quasi mai riuscivano a mantenere in servizio pattuglie sulle
ventiquattro ore su tutta la vasta circoscrizione.
In Valtellina, negli anni 50' prese l'avvio in grande stile il
contrabbando di caffè tostato in grani. Come sarà illustrato in una
successiva relazione, ciò fu dovuto al fatto che in caso di fermo del
contrabbandiere non era previsto l'arresto in flagranza, come invece
per i T.L.E. e che una volta introdotto il coloniale in una delle tante
torrefazioni sorte a ridosso del confine non era possibile per i
finanzieri sequestrare la merce, e ciò per carenze legislative che in
seguito si cercherà invano di sanare.
A metà degli anni 60' il contrabbando, fino ad allora appannaggio di
spalloni locali, che spesso si tramandavano di padre in figlio il
mestiere, che comunque alternavano con un’occupazione legale, fu
fortemente inquinato da elementi della malavita comune provenienti
112
da territori non di confine, attirati dai facili guadagni che forniva la
illecita attività.
In quegli anni il trasporto di una "bricolla" consentiva di percepire una
cifra da 10 a 15.000 lire; nelle zone di maggiore facilitazione alcuni
spalloni facevano anche due viaggi al giorno. Non era raro che i più
assidui guadagnassero 400 - 500.000 lire al mese, quando la paga di
un operaio specializzato si aggirava sulle 60.000 lire. Guadagni più
elevati spettavano agli autisti che trasportavano le sigarette nelle città
ove venivano spacciate, ed ancora maggiori agli organizzatori. In caso
di sequestro del carico da parte della Guardia di finanza, spalloni e
autisti perdevano il compenso del trasporto, ma gli organizzatori il
prezzo della bricolla, che si aggirava sulle 135 – 140.000 lire.
Naturalmente,
l'afflusso
della
delinquenza
comune
in
zone
sostanzialmente tranquille provocava turbamento all'ordine pubblico
per le frequenti risse, che sfociavano anche in accoltellamenti e
talvolta omicidi, spedizioni punitive a carico di concorrenti, spaccio di
droga, furti di autovetture che venivano utilizzate per il trasporto delle
sigarette, ecc ..
A questo punto gli amministratori locali, che fino ad allora avevano
considerato il contrabbando una consuetudine locale da tollerare, se
non da favorire, si preoccuparono e chiesero un più incisivo contrasto
del fenomeno da parte della Guardia di finanza. Il Corpo intanto non
era stato a guardare: al miglioramento degli organici e della
qualificazione dei finanzieri aveva fatto seguito il potenziamento dei
mezzi e la creazione delle sezioni mobili e dei nuclei mobili di
compagnia, reparti dotati oltre che di veloci autovetture da
inseguimento, di una certa capacità investigativa ed una accentuata
113
penetrazione informativa negli ambienti contrabbandieri ed infine,
nelle zone più minacciate, l'impiego delle compagnie di pronto
impiego, i cosiddetti "baschi verdi".
La situazione stava per essere pienamente posta sotto controllo
quando, nell'ottobre del 1973, scoppiò la guerra arabo - israeliana,
detta del Kippur, che innescò nel mondo occidentale una crisi
economica planetaria.
La guerra, limitata sul piano militare al Medio Oriente, ebbe effetti
catastrofici sull'economia europea per l'intervento dell'OPEC,
l'organizzazione che raggruppa i maggiori paesi produttori di petrolio
nella quale gli arabi hanno la maggioranza, che ordinò ai suoi aderenti
una sensibile diminuzione della produzione, al fine di indurre le
potenze occidentali a premere su Israele per farlo indurre a
sgomberare i territori palestinesi occupati.
La misura non ottenne gli effetti politici sperati, ma causò un rapido
ed incontrollato aumento del prezzo del greggio, che mise a mal
partito le economie più deboli, quale quella italiana. Le autorità
monetarie nazionali non riuscirono a trovare contromisure efficaci e
quindi il mercato riequilibrò automaticamente il sistema con un
aumento esponenziale dei prezzi che causò un'inflazione che si
protrasse per oltre 15 anni con saggi tra il l0 ed il 20%.
Una delle conseguenze immediate fu una rapida svalutazione della
lira, che perse in pochi mesi metà del suo valore nei confronti del
dollaro e del franco svizzero, che segue generalmente i movimenti
della moneta statunitense.
Questi avvenimenti ebbero una ripercussione sul contrabbando con la
Svizzera di portata storica: dopo secoli le sigarette e gli altri generi
114
coloniali nella Confederazione avevano un prezzo pari o superiore a
quello in Italia e pertanto l'illecita importazione nel nostro Paese di
generi di monopolio non godeva più di incentivi economici. Il 1974
quindi
è
l'anno
del
termine
del
tradizionale
contrabbando
extraispettivo di "bricolle" trasportate da "spalloni", seguito dopo un
anno di sopravvivenza dal contrabbando di caffè.
Una piccola minoranza di contrabbandieri venne allora assoldata da
organizzazioni criminali, che utilizzarono la loro esperienza
per
attività che richiedevano poco personale, come traffici di valuta, di
droga o finanche sequestri di persona a fini estorsivi.
4. I RISULTATI DELL' AZIONE REPRESSIVA DELLA GUARDIA DI FINANZA
Le rilevazioni statistiche sistematiche dei risultati in tutti i settori di
servizio della Guardia di finanza iniziarono dal 1955. Prima di allora
sono disponibili dati parziali, rilevati con sistemi non sempre
uniformi, che comunque non consentono di ricostruire una serie
storica continua.
Da fonti diverse, sono stati rilevati i quantitativi sequestrati dai
finanzieri nell'arco di novanta anni, che sono riportati nella seguente
tabella:
115
SEQUESTRI DI MERCI DI CONTRABBANDO
(Ton)
TABACCHI
Confine
Confine
Confine
Confine
Confine
terrestre
marittimo
terrestre
marittimo
terrestre
marittimo
Media
1927-37
Media
1965-70
1970
CAFFE’
Confine
1885
1938
COLONIALI
40
90
Dati non disponibili
5,6
215
45
6,5
73,5
40
55
30
10
267
144
91
218
896
205
10
260
Pur tenuto conto del tumultuoso sviluppo economico verificatosi in
Italia soprattutto nel secondo dopoguerra, che ha di molto incentivato i
consumi dei generi voluttuari, quali le sigarette, non si può non
rilevare l'aumento costante dei sequestri operati dal Corpo al confine
terrestre, che fu la conseguenza dell' ammodernamento dei mezzi in
dotazione e della migliore organizzazione del servizio di repressione
del fenomeno.
116
I dati suesposti inducono ad alcune considerazioni. Fino alla metà del
XX secolo l'entità del personale e dei reparti schierati sul confine
alpestre era rilevante. Ciò nonostante i sequestri operati prima della
seconda
guerra
mondiale
non
sono
nemmeno
lontanamente
comparabili a quelli degli anni 60' - 70'.
Questo avveniva perché prima della seconda guerra mondiale il
consumo delle sigarette confezionate in pacchetti non era diffuso
come ora. I ceti con redditi di poco superiori alla sussistenza, che
allora erano numericamente consistenti e che nel secondo dopoguerra
costituivano il mercato di consumo del contrabbando, fino agli anni
40’ confezionavano le sigarette da se, acquistando tabacco sfuso e
cartine. Pertanto
non erano interessati ad acquistare pacchetti di
sigarette di provenienza lecita od illecita
A partire dagli anni 50’, anche per la grande diffusione di sigarette
estere, soprattutto di produzione U.S.A., provocata dalle truppe di
occupazione al termine della seconda guerra mondiale, il consumo di
tabacco sfuso fu del tutto abbandonato con conseguente grande
espansione del mercato di vendita al dettaglio di pacchetti sia del
Monopolio, sia di illecita provenienza.
Di conseguenza, a maggiori quantitativi di T.L.E. introdotti di
contrabbando, corrispose una maggiore entità dei sequestri.
Analoghe motivazioni spiegano anche l’incremento dei sequestri di
caffè, prima considerato un consumo di lusso e poi un consumo di
massa. Il consumo degli altri generi coloniali (principalmente
zucchero,
cacao,
cioccolata,
saccarina
e
spezie)
rimase
sostanzialmente invariato nel corso del XX secolo, con conseguente
invariabilità negli anni dei sequestri.
117
Comunque, risultati di servizio così significativamente maggiori negli
ultimi anni sono dipesi, da un lato da una mirata revisione ordinativa
attuata dal Comando Generale del Corpo per effetto della quale furono
soppressi numerosi reparti ubicati in zone ove l'infiltrazione
contrabbandiera era da tempo insignificante, rinforzando con i
recuperi realizzati il dispositivo di vigilanza nelle aree più sensibili, e
dall'altro, dall'attuazione di una migliore qualificazione professionale
dei finanzieri che vennero anche dotati di materiali e mezzi tecnici più
aggiornati.
Notevole efficacia, inoltre, ha avuto, a partire dal 1954, l'immissione
in servizio del cane anticontrabbando, e, per i reparti di montagna,
nuovi e più efficaci programmi di addestramento all’alpinismo
introdotti nella Scuola Alpina del Corpo di Predazzo, fucina nella
quale venivano formati i finanzieri da destinare al servizio sul confine
alpestre.
5. CONCLUSIONI
Il contrabbando extraispettivo di tabacchi e coloniali alla frontiera
terrestre è ormai un fenomeno lasciato alle investigazioni degli storici.
Ciò è dovuto ai motivi economici già illustrati (svalutazione della lira
che ha reso antieconomico l'acquisto dei generi in Svizzera), ma anche
al progresso economico e sociale delle popolazioni frontaliere, che ha
eliminato le sacche di povertà e di sottosviluppo che servivano da
serbatoio di manodopera per le organizzazioni contrabbandiere.
La gente si è imborghesita.
Chi oggi si sentirebbe di percorrere
sentieri ripidi in montagna con una bricolla di 40 o 50 chili sulle
118
spalle, con il rischio immanente di perdere il carico e di essere
arrestato dai finanzieri?
Di tutto ciò rimane ora il ricordo degli ultimi protagonisti di queste
vicende, i finanzieri da una parte ed i contrabbandieri dall'altra, che
affidano alla penna (o meglio, alla tastiera di un computer) la memoria
di vicende che per secoli hanno caratterizzato la cultura ed il modo di
vivere di popolazione finalmente affrancatesi dal sotto.
119
Dott. Adriano Bazzocco
L’atteggiamento della Confederazione Svizzera nei
confronti del contrabbando alla frontiera con l’Italia
La frontiera tra Italia e Svizzera è stata oggetto nel corso del tempo di
intensi
traffici
illeciti
di
svariata
natura.
Occorre
dunque
preliminarmente delimitare il campo della ricerca. Quello di cui voglio
parlarvi
oggi
è
il
fenomeno
impropriamente
denominato
“contrabbando romantico”. È questa una definizione di grande
circolazione ma imprecisa e di scarsa utilità in sede di ricerca
scientifica. Si dovrebbe piuttosto parlare di “contrabbando sociale”,
121
sia per il gran numero di persone implicate a vario titolo, sia per il
forte radicamento nella società di questa forma di illegalismo
popolare.
Il contrabbando non è mai stato in alcun modo considerato un’attività
moralmente riprovevole soprattutto per due ragioni: perché era
praticato per fronteggiare situazioni di povertà endemica o
congiunturale e perché colpiva l’erario dell’avversato Governo
centrale, che nelle regioni di frontiera restò per lungo tempo un’entità
semisconosciuta, tanto latitante di fronte ai problemi del territorio,
quanto ben presente per drenare risorse umane e finanziarie,
rispettivamente con le chiamate di leva e le imposte.
Mi è stato chiesto di presentarvi il punto di vista svizzero. Ho deciso
di articolare la mia presentazione in cinque punti. Dapprima,
spiegherò come le autorità svizzere, segnatamente la Direzione
generale delle dogane, classificavano sotto il profilo legale e
amministrativo i flussi di merci verso l’Italia al di fuori dei valichi
doganali (1). Passerò poi dalla teoria alla pratica con una descrizione
dei preparativi sul versante svizzero di un’operazione di contrabbando
(2). Come emerge da alcuni dati quantitativi, la circolazione di merci e
persone a ridosso della frontiera fu intensissima (3). Il viavai
giornaliero di svariate centinaia di spalloni non poteva non porre
problemi di ordine pubblico e provocare incidenti di confine, che
diedero molto lavoro alle rappresentanze diplomatiche di Italia e
Svizzera (4). Infine, stilerò un bilancio sulla rilevanza economica del
contrabbando per la Svizzera (5).
122
1. INQUADRAMENTO GIURIDICO E AMMINISTRATIVO
Vi è reato di contrabbando quando si trasferiscono merci da uno Stato
all’altro eludendo il pagamento dei tributi fiscali. La giustapposizione
di economie nazionali dai regimi fiscali e doganali divergenti
determina rendite differenziali su alcuni beni, che fanno nascere
opportunità
di
guadagno.
A
fronte
di
un
regime
fiscale
tradizionalmente mite, come quello svizzero, l’imposizione in Italia su
beni come zucchero, caffè e, soprattutto, tabacco è stata per lungo
tempo davvero gravosa. Ne sono conseguiti intensi traffici di
contrabbando dalla Svizzera verso l’Italia.
L’esportazione di merci al di fuori dei valichi doganali, attraverso la
frontiera verde, non configurava secondo il diritto svizzero il reato di
“contrabbando”, perché non comportava alcuna violazione della legge
federale del 1° ottobre 1925 sulle dogane. La Confederazione, cui
incombeva e incombe tuttora la competenza esclusiva in materia
doganale, non subiva alcun danno fiscale da questo genere di traffici.
Al contrario: come vedremo, il contrabbando a danno dell'Italia era
molto redditizio per la Svizzera.
Durante gli anni della cosiddetta “tratta delle bionde”, dalla fine della
seconda
guerra
mondiale
alla
metà
degli
anni
Settanta,
nell’Amministrazione federale svizzera, quando si parlava di
“contrabbando” con l’Italia era invalsa l’abitudine di distinguere i
traffici di esportazione in tre categorie denominate: “esportazione I”,
“esportazione II” ed “esportazione III”.
Con esportazione I era definito il trasferimento all’estero di merci in
modo del tutto regolare, ossia a norma di legge sia in Svizzera sia in
Italia. In Svizzera il tabacco era assoggettato a un’imposta il cui
123
gettito contribuiva a finanziare l’Assicurazione vecchiaia e superstiti
(AVS), equivalente in Italia a grandi linee all’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS). Nel caso dell’esportazione I, al momento
di introdurre le sigarette su territorio estero, l’esportatore svizzero
otteneva dalla Stato il rimborso dell’imposta sul tabacco. All’ingresso
in Italia i tabacchi lavorati esteri erano in seguito assoggettati al
regime fiscale italiano, come noto particolarmente esoso. Ad esempio,
in Italia alla fine del 1967, l’onere fiscale sulle sigarette estere
equivaleva all’82,5 per cento del prezzo di vendita.
Nel caso dell’esportazione II, le sigarette erano regolarmente
dichiarate presso un ufficio doganale svizzero e introdotte in Italia al
di fuori dei valichi doganali attraverso la frontiera verde senza
dichiararle alla Guardia di Finanza. Era questa la categoria sotto la
quale ricadeva il contrabbando classico degli spalloni di sigarette o
caffè. Interessante notare che, in questo caso, l’imposta sul tabacco
non era restituita all’esportatore svizzero ma restava nelle casse
dell’AVS, a tutto beneficio del sistema pensionistico svizzero.
L’introduzione in Italia di merci non dichiarate a nessuna autorità dei
due Paesi era definita “esportazione III”. È il caso, per esempio, di
cittadini italiani che acquistavano sigarette in Svizzera e le
occultavano su autocarri. Le autorità svizzere sanzionavano questo
reato secondo l’articolo 30 capoverso 3 della legge sulle dogane con
una multa massima di 300 franchi.
L’industria del contrabbando sviluppatasi in Svizzera operava
totalmente secondo le modalità dell’esportazione II. Infatti, i fornitori
svizzeri e gli spalloni italiani avevano tutto l’interesse a notificarsi di
fronte alle autorità svizzere in modo da operare indisturbati sul
124
territorio. Secondo il diritto svizzero, l’introduzione in Italia di merci
attraverso la frontiera verde era ammessa, perché la legge federale del
1° ottobre 1925 sulle dogane non menzionava esplicitamente alcun
obbligo di esportare le merci da un valico doganale. Inoltre, la
Svizzera non riconosceva il principio dell’assistenza giudiziaria in
materia di delitti doganali o fiscali commessi ai danni di un altro
Stato. Semmai vi fosse stata da parte svizzera un qualche volontà di
prestare aiuto alla Guardia di Finanza nelle attività di controllo e
repressione, non sarebbe stato possibile farlo per la mancanza delle
necessarie basi giuridiche. O, perlomeno, queste era l’argomento
principale invocato dalle autorità svizzere per rispondere alle proteste
diplomatiche presentate a scadenza regolare delle autorità italiane.
2. PREPARATIVI DI UN’OPERAZIONE
Le leggi svizzere, dunque, consentivano agli spalloni di agire
indisturbati sul territorio della Confederazione. È però interessante
notare che l’esportazione di merci per vie traverse non era gestita
secondo i normali canali commerciali, bensì attraverso una filiera
distinta e parallela. Negli anni della “tratta delle bionde” lungo la
frontiera si era insediata una rete di cosiddetti “gros preneur”, grandi
acquirenti, che operavano dietro autorizzazione dell’Associazione
svizzera dei fabbricanti di sigarette. I “gros preneurs” erano i grossisti
a uso esclusivo del contrabbando. In genere, ogni gruppo organizzato
di spalloni faceva capo a un proprio “gros preneur” di fiducia dal
quale era solito rifornirsi. I “gros preneurs” erano specializzati nella
fornitura di merci in un determinato tratto di confine.
125
Erano in genere i “gros preners” che si occupavano di confezionare il
caratteristico sacco del contrabbandiere, la bricolla. Circa 25-30
chilogrammi di stecche di sigarette erano dapprima fasciate in una
speciale carta impermeabilizzante per proteggerle dal sudore dello
spallone e in seguito avvolte con tela di sacco di juta. Il risultato era
un grande involto a forma di parallelepipedo al quale gli spalloni
agganciavano due lacci per consentirne il trasporto a spalla a mo’ di
zaino. Con la tela di juta gli spalloni confezionavano anche i peduli,
particolari calzature cucite con spago grosso utilizzate allo scopo di
attutire lo scalpiccio e non lasciare tracce. I peduli si consumavano nel
giro di un viaggio e andavano pertanto sostituiti dopo ogni operazione
di sconfinamento. L’attrezzatura tipica del contrabbandiere era in
genere completata da un bastone utilizzato quale sostegno per
agevolare la marcia e da una roncola cui ricorrere in caso di
emergenza per recidere rapidamente le spalline allo scopo di liberarsi
del carico e darsi alla fuga.
3. QUANTIFICAZIONE
Le elaborazioni statistiche sul contrabbando al confine tra Italia e
Svizzera sono rare. Inoltre, i pochi studi disponibili sono in genere
approssimativi, se non talvolta del tutto errati. La fragilità delle basi
statistiche è dovuta soprattutto alla grande frammentarietà e
all’eterogeneità delle fonti archivistiche. Non è questa la sede per
affrontare
i
problemi
metodologici
relativi
alla
ricerca
sul
contrabbando. Mi limito qui a presentare alcuni dati che danno un'idea
sull'intensità con la quale il contrabbando è stato esercitato nel corso
del tempo.
126
Secondo quanto riportato da un articolo apparso sulla testata comasca
L’Araldo, nel 1882 furono sequestrati nel solo circondario di Como
2570 kg di sale, 14 195 kg di tabacco, 11 580 kg di generi coloniali,
344 kg di tessuti e 12 558 kg di altri generi per un totale di oltre 41
tonnellate di merci. Nel corso delle operazioni che portarono a questi
sequestri la Guardia di Finanza pronunciò 1310 contravvenzioni e
trasse in arresto 1063 persone.
Ovviamente, questi traffici di frodo erano assai pregiudizievoli per
l’erario italiano. Nel 1888, negli ambienti della diplomazia straniera a
Roma l’evasione fiscale derivante dai traffici di contrabbando con la
Svizzera era stimata a 10 milioni di franchi all’anno. Nel 1897, un
articolo apparso su L’Ossola indicava una cifra per i soli tabacchi di
almeno 15 milioni di lire all’anno.
Come detto in precedenza, gli spalloni notificavano le merci alle
guardie di confine svizzere prima di introdurle furtivamente su
territorio italiano. Per gli anni 1937-1939 è stato possibile recuperare
nei fondi dell’Archivio federale di Berna i dati relativi alle merci
esportate in Italia lungo le vie del contrabbando. Nel tratto di confine
lungo i cantoni Ticino e Grigioni sono esportati di frodo nel 1937
885 703 kg di merci, nel 1938 507 032 kg e nel 1939 464 249 kg. A
quell'epoca i beni maggiormente contrabbandati erano il caffè, lo
zucchero e i tabacchi.
La diminuzione registrata nel 1938 è dovuta allo scoppio di alcuni
focolai di afta epizootica. Per ragioni di profilassi veterinaria le
autorità elvetiche ordinarono per un certo periodo il divieto di
attraversamento del confine e, soprattutto, proibirono ai negozianti di
vendere merci presumibilmente destinate al contrabbando. L’ulteriore
127
diminuzione
nel
1939
è
dovuta
all’emanazione
dei
divieti
d’esportazione nell’ambito dell’economia di guerra. In effetti, allo
scoppio della seconda guerra mondiale la Svizzera pose bruscamente
fine al suo atteggiamento di interessata tolleranza e iniziò a reprimere
il contrabbando con grande determinazione e senza lesinare l’uso delle
armi: nel corso di quegli anni le guardie di confine e i soldati svizzeri
uccisero alcune decine di spalloni italiani.
La svolta repressiva svizzera fu breve. Terminata l’emergenza della
guerra, l’esportazione verso l’Italia attraverso la frontiera verde fu di
nuovo tollerata. Nel giro di pochi anni il contrabbando verso l’Italia
ritornò in auge come e più di prima. Basti pensare che, nel 1952, nel
posto doganale secondario del villaggio ticinese di Bruzella, nella
Valle di Muggio, furono dichiarate alle guardie di frontiera svizzere
ben 12mila bricolle da immettere in Italia lungo le vie del
contrabbando, equivalenti all’incirca a 360 tonnellate.
L’intensità massima dei traffici di frodo fu probabilmente raggiunta
agli inizi degli anni Settanta in Val Poschiavo. Nel 1971 nei due
valichi doganali in valle, a Campocologno e Viano, furono dichiarate
in totale 8917 tonnellate di merce, equivalenti a una media di 24
tonnellate e mezzo al giorno! La Val Poschiavo si specializzò nel
contrabbando di caffè: nel 1971 questo bene rappresentava il 95 per
cento delle merci esportate di frodo (8503 tonnellate). A Brusio erano
attive ben 8 torrefazioni di caffè e i fumi che esalavano avvolgevano
talvolta il villaggio in una nebbia bluastra.
Raggiunto l’apice nel 1971, i traffici di contrabbando declinarono
drasticamente negli anni successevi a causa dell’apprezzamento del
franco svizzero che erose i margini di guadagno dei contrabbandieri.
128
4. ATTRITI, IRRITAZIONI, CONFLITTI
Nelle regioni di frontiera la circolazione durante l’intero anno di
svariate centinaia di spalloni non poteva mancare di procurare
complicazioni di vario genere. Dallo spoglio dei faldoni dell’archivio
del Ministero degli Affari Esteri di Roma e dell’Archivio federale
svizzero di Berna emerge una sterminata sequela di incidenti di
confine che provocarono attriti diplomatici, talvolta molto forti, tra
Italia e Svizzera. Se intercettati, gli spalloni tentavano in qualsiasi
modo di darsi alla fuga verso il territorio svizzero, dove erano al
sicuro. Per la difficoltà, laddove non c’era la rete metallica, a stabilire
esattamente dove scorresse il confine o per l’impeto di voler a tutti
costi portare a segno un’operazione, le guardie di finanza finirono
spesso per sconfinare o esplodere colpi di arma da fuoco verso la
Svizzera. Ne seguiva l’immancabile nota di protesta da parte delle
autorità federali svizzere e un lungo strascico diplomatico con scambi
di lettere e incontri chiarificatori per stabilire se e come il confine
fosse stato effettivamente violato.
Ogniqualvolta erano intavolati negoziati bilaterali con la Svizzera per
stipulare accordi sul traffico di frontiera, trattati commerciali o
convenzioni di doppia imposizione, l’Italia non mancava di riproporre
la questione del contrabbando e chiedere che la Confederazione
facesse qualcosa per mettere freno al dilagare dei traffici di frodo,
senza però mai ottenere nulla di concreto. Da parte svizzera, si
rispondeva puntualmente che l’esportazione al di fuori dei valichi
doganali non costituiva reato e che l’assistenza giudiziaria in materia
di delitti fiscali e doganali non era riconosciuta. Le autorità svizzere
tentarono in più occasioni di trarsi d’impaccio ribaltando la colpa sul
129
dispositivo repressivo italiano ritenuto, a loro avviso inefficiente e
corroso dalla corruzione.
Oltre agli attriti diplomatici, il viavai sul territorio di migliaia di
spalloni in tutte le stagioni e a qualsiasi ora del giorno e della notte
pose inevitabilmente qualche problema. Durante l’inverno, per
ripararsi dal freddo i contrabbandieri erano soliti rifugiarsi in baite o
stalle discoste disabitate durante la brutta stagione. Per riscaldarsi
talvolta accesero fuochi utilizzando come legname di fortuna porte,
mobilio e suppellettili, causando ingenti danni. Nel 1933, ad esempio,
un pericolosissimo fuoco fu acceso in una stalla nella Valle di Fex, in
Engadina. Il proprietario inviò una lettera alle autorità della polizia
cantonale dei Grigioni nella quale chiedeva che si facesse rispondere
dei danni dei contrabbandieri i commercianti di Sils che li rifornivano.
Quale
reazione,
la
polizia
grigionese
lanciò
un’operazione
anticontrabbando nella zona di Fex. Ciò suscitò il malcontento dei
commercianti di Sils Maria e Vicosoprano, che lamentarono una
disparità di trattamento rispetto alla Bregaglia e alla Val Poschiavo,
dove gli spalloni potevano agire indisturbati. Nel frattempo, sempre
nei Grigioni, in Mesolcina, le autorità comunali di Cama avanzarono
la proposta di imputare i costi per i danni agli immobili direttamente
agli spalloni mediante il prelevamento di una tassa pro capite di una
lira e di obbligarli a rifornirsi nei negozi in paese. La proposta fece
insorgere i negozianti dei villaggi vicini di Grono e Leggia che
espressero la loro contrarietà all’introduzione di un monopolio
comunale sui traffici di contrabbando a favore di Cama. La questione
provocò una fitta corrispondenza tra privati cittadini, negozianti,
autorità comunali, cantonali e federali. Alla fine si decise di applicare
130
una sorta di tassa per ogni carico di merce contrabbandata di utilizzare
i proventi per risarcire i danni causati dagli spalloni. In Svizzera il
contrabbando toccava gli interessi di diversi attori economici e
istituzionali e generava conflitti cui si pose rimedio con soluzioni
pragmatiche.
La circolazione di numerose colonne di spalloni nelle ore notturne
poneva pure una questione di ordine pubblico. Su pressione della
popolazione le autorità svizzere furono costrette a intervenire per
disciplinare l'esercizio del contrabbando. Nel 1965 in Val Poschiavo i
contrabbandieri furono obbligati ed entrare in territorio svizzero
regolarmente attraverso il valico doganale regolare; l’attraversamento
della frontiera verde fu consentito soltanto per l’esportazione delle
merci. Furono inoltre introdotte limitazioni orarie per garantire una
certa tranquillità: l'esercizio del contrabbando era consentito tra le ore
22.00 e le 5.00 e durante i giorni festivi gli spalloni dovevano lasciare
la bricolla a terra.
5. RILEVANZA ECONOMICA PER LA SVIZZERA
Gli importanti sforzi profusi sul versante svizzero per disciplinare
l’esportazione di merci in violazione delle leggi italiane sono una spia
della notevole rilevanza economica dei traffici di frodo. Il
contrabbando rappresentava per la Svizzera innanzitutto uno sbocco
commerciale supplementare con un notevole indotto a livello
regionale: basti pensare alla rete dei grossisti di sigarette e ai numerosi
esercizi commerciali (negozi, ristoranti) frequentati da una nutrita
clientela di contrabbandieri.
Nelle regioni di frontiera svizzere il contrabbando svolse una funzione
131
di strutturazione del tessuto socioeconomico. Ad esempio, le
manifatture di tabacco, che si svilupparono in Ticino nella seconda
metà dell’Ottocento, sorsero a ridosso del confine, nel Mendrisiotto e
nel Locarnese, sia per attingere al mercato del lavoro italiano per il
reclutamento delle sigaraie, sia per la prossimità ai canali di smercio
illegali.
Quando si valuta l’indotto per la Svizzera dell’esportazione di merci
in violazione delle leggi italiane si tralascia spesso l’aspetto fiscale.
Come rilevato in precedenza, nell’esportazione II, il regime sotto il
quale operavano i contrabbandieri, l’imposta svizzera sui tabacchi
esportati non era restituita come nel caso dell’esportazione I, ma
restava nelle casse dell'AVS. Il contrabbando generava dunque un
gettito supplementare che contribuiva a finanziare il sistema
pensionistico svizzero. Nel 1968 la Direzione generale delle dogane di
Berna stimava a 100 milioni di franchi all’anno l’introito fiscale
derivante dalle esportazioni di tabacco verso l’Italia. Un tale importo
significa che in quegli anni un pensionato svizzero su venti riceveva
una rendita di vecchiaia finanziata mediante il gettito fiscale del
contrabbando di tabacco verso l’Italia.
Nel corso del tempo la fenomenologia del contrabbando si è
progressivamente trasformata con una netta accentuazione, negli
ultimi decenni, dei tratti delinquenziali e la rimozione del radicamento
sociale. Ai nostri giorni, le cronache riportano sul contrabbando
notizie inquietanti che parlano di riciclaggio di denaro sporco, droga,
armi, corruzione ai massimi vertici e tratta di esseri umani. Questa è
tutt’altra storia, estranea all’epopea del contrabbando sociale, più
interessante per i criminologi, che per lo storico.
132
Cap. Gerardo Severino
Lo schieramento della Guardia di Finanza
al confine alpestre nei primi cento anni dall’Unità d’Italia
1. IL 1861 ED I NUOVI CONFINI NAZIONALI
All’indomani dell’unificazione nazionale del 1861, il cosiddetto
“confine alpestre” era limitato al solo tratto che separava il neonato
Regno d’Italia con la Francia e la Svizzera, mancando, infatti,
all’appello sia il Veneto che il Mantovano, ancora sotto la
dominazione austro-ungarica. In verità, un capitolo a parte andrebbe
133
dedicato anche ai confini che separavano ancora il nuovo Regno sia
con lo Stato Pontificio, le cui frontiere si estendevano per centinaia di
chilometri, interessando le regioni della Toscana, Umbria, Abbruzzo e
Molise ed ovviamente la Campania. Pur non essendo oggetto della
materia da me trattata, mi limiterò solo a ricordare che tale frontiera,
che secondo l’ordinamento doganale del 1862, assumerà il titolo di
“Linea delle provincie romane”, verrà caratterizzata dalla presenza di
ben 36 uffici doganali, compresi i posti d’osservazione, con altrettante
Brigate di Preposti Doganali, ovvero di Guardie dei Dazi Indiretti (per
il tratto riguardante l’Abruzzo e la Campania). Per quanto riguarda il
primo caso, l’organizzazione doganale frontaliera interessò sia il
territorio che separava l’Italia dal Veneto occidentale, meridionale e
dal Mantovano, con la conseguente istituzione di reparti di frontiera
nel Bresciano ed in Emilia (linea del ferrarese e del basso Po), affidati
ancora ai Preposti Doganali dell’ormai ex Regno di Sardegna, in
attesa della costituzione di un nuovo Corpo di finanzieri nazionale.
Nel marzo del 1861, l’ordinamento del Dispositivo di vigilanza
doganale lungo i confini francese e svizzero rimase immutato, tant’è
vero che nell’area geografica che comprendeva la Liguria il Piemonte
e la Valle d’Aosta fu mantenuta in piedi l’organizzazione operativa
rappresentata
dal
citato
Corpo
de
Preposti
Doganali.
Tale
configurazione comprendeva la presenza sul territorio di un certo
numero di Comandi retti da ufficiali, i cosiddetti “Commissariati di
Brigata”, dai quali dipendevano le numerose Brigate di frontiera dei
Preposti,
stanziate
da
Mortola
Superiore
(Luogotenenza
di
Ventimiglia) a Ponte Caffaro (Luogotenenza di Anfo, Brescia). I
Commissariati dipendevano, a loro volta dalle Ispezioni o Vice
134
Ispezioni delle Gabelle, uffici periferici dipendenti dalle varie
Direzioni delle Gabelle operanti nell’ambito delle cosiddette “Antiche
Provincie” (che distinguevano i vecchi possedimenti del Regno di
Sardegna dalle nuove regioni annesse. La “Linea delle Alpi e dei
Fiumi e Laghi promiscui”, così come la definirà il nuovo Ordinamento
Doganale italiano1, nel comprendere anche la Lombardia, per la quale
ritorneremo a breve, verrà caratterizzata dalla presenza di ben 98 fra
Dogane di confine e Posti d’Osservazione, con affiancati altrettanti
reparti dei Preposti Doganali, operanti quest’ultima lungo il tratto di
demarcazione di pertinenza delle attuali provincie di Como e Varese.
Procediamo con ordine, ricordando quanto accadde nel 1859. Sin dalla
metà dell'aprile 1859, la situazione politica internazionale sembrava
far precipitare gli avvenimenti, tanto da ritenere imminente la guerra
tra l'alleanza franco-piemontese e l'impero austriaco. Il 3 maggio
veniva, quindi, istituita presso il ministero degli esteri di Torino, ma
senza essere resa pubblica per evitare proteste e complicazioni
internazionali, la cosiddetta Direzione Generale delle Province
Italiane, diretta dal Minghetti (Segretario Generale agli Esteri), divisa
a sua volta in due uffici: uno per “le province unite ai regi stati”,
affidato ad Antonio Allievi, al quale partecipò inizialmente anche il
Farini, e uno per “le province poste sotto la protezione di S.M.”,
diretto da Costantino Nigra. La Direzione, che venne formalmente
resa nota con il decreto 11 giugno 1859, fu dunque lo strumento per
coordinare il centro decisionale piemontese con i centri delle
amministrazioni delle province annesse (Lombardia e i Ducati, in base
1
Regio Decreto in data 16 ottobre 1862, avente per titolo “Classificazione delle
Dogane”.
135
alla validità del voto di fusione sancito già del 1848) e delle province
poste sotto la tutela della monarchia costituzionale di Vittorio
Emanuele II, quali l’Emilia e la Toscana. Riguardo alla Lombardia,
che rappresenta il caso più emblematico di tale processo storico per il
quale vale la pena di soffersi un attimo, occorre dire che il progetto
temporaneo di riorganizzazione amministrativa (scaturito dai lavori
della nota Commissione Giulini), si basava su alcune direttive
impartite direttamente da Cavour, il quale ovviamente considerato
ancora valido il voto plebiscitario del 1848, presupposto della
“immediata unione politica della Lombardia cogli Stati Sardi” sotto
la sovranità di Vittorio Emanuele II. Dopo aver previsto la gestione
commissariale
dei
territori,
veniva
successivamente
regolato
l'ordinamento amministrativo-tributario-giudiziario, adeguandolo alle
nuove condizioni politiche. In sintesi l'amministrazione avrebbe fatto
a capo a un governatore, residente a Milano e ministro senza
portafogli del gabinetto piemontese, che sarebbe subentrato al
luogotenente. Il consiglio di luogotenenza lombardo-veneto sarebbe
stato sostituito da un consiglio amministrativo, composto dal
governatore, da un vicepresidente e dai diversi direttori delle sezioni
centrali dell'amministrazione, ridotti però di numero. A Milano si
sarebbe poi creato un tribunale di terza istanza, a completamento
dell'organizzazione giudiziaria dopo la soppressione del tribunale
supremo di giustizia austriaco che risiedeva a Verona. L'ordinamento
provinciale
proposto
dalla
commissione
prevedeva
una
responsabilizzazione politica dei capi delle province - i governatori ai quali sarebbero stati direttamente subordinati tutti gli uffici e le
autorità provinciali: i questori, i commissari distrettuali, gli uffici di
136
sanità, delle poste e delle pubbliche costruzioni. In sintesi dunque il
progetto prevedeva un sostanziale mantenimento delle istituzioni
locali - concedendo loro tuttavia una maggiore autonomia l'accentramento del potere politico nelle province nelle mani del
rappresentante del governo e una estrema limitazione delle
attribuzioni del governo centrale, premessa alla scomparsa della
Milano "capitale" una volta unificata la legislazione delle province del
nuovo Regno. Commissario regio generale fu nominato il 22 maggio
Emilio Visconti Venosta, già membro della commissione Giulini, con
l'incarico di affiancarsi al generale Garibaldi che si accingeva a entrare
in Lombardia. Secondo le istruzioni dategli dal Cavour, Visconti
Venosta avrebbe dovuto cercare di far insorgere i paesi e provvedere
al governo civile dei paesi che saranno occupati dalle nostre armi o si
dichiareranno per la causa nazionale. In seguito alla battaglia di
Magenta che liberò alle truppe franco- piemontesi la via verso Milano,
la congregazione municipale, nel confermare il patto votato nel 1848,
proclamava l'annessione della Lombardia al Piemonte. Le linee
fondamentali dell'organizzazione temporanea della Lombardia furono,
quindi, stabilite dal decreto 8 giugno 1859. In virtù di tale
provvedimento, al vertice dell'amministrazione veniva nominato un
Governatore – nella persona del magistrato piemontese Paolo Onorato
Vigliani – il quale avrebbe rappresentato il re, investito dei pieni
poteri per la gestione dell'amministrazione civile, con competenza
anche in materia di leggi e regolamenti e il potere di promulgare
decreti. Alle dirette dipendenze del governatore venivano poste tutte le
autorità delle province lombarde e a lui dovevano essere indirizzati
tutti gli affari che, sotto il cessato regime austriaco, dovevano
137
indirizzarsi al governatore generale del regno e ai dicasteri centrali.
Inoltre il governatore aveva la facoltà di nominare commissioni
speciali con carattere consultivo per le questioni politiche ed
economiche che fossero elette tra i rappresentanti più autorevoli della
cittadinanza milanese. In Lombardia – e torniamo all’argomento della
relazione – prima della 2^ Guerra d’Indipendenza (1859) operava la
“Imperial Regia Guardia di Finanza del Lombardo-Veneto”, sorta
all’indomani del noto Congresso di Vienna. All’atto del “passaggio” o
annessione di quei territori al Regno di Sardegna, si assistette
all’iniziale sopravvivenza del citato Corpo, al quale verrà timidamente
affiancato quello dei Preposti Doganali Sardi, come nel caso di cui
parleremo a breve. Un chiaro esempio di “pacifica convivenza” è
contenuto nella Circolare n. 6561-606 del 15 marzo 1860, inviata dalla
Regia Prefettura delle Finanze in Milano alle varie Regie Intendenze
di Finanza (attive sotto gli austriaci), rimaste anch’esse in piedi dopo
l’annessione al Piemonte, e dalle quali dipendevano i vari Comandi di
Sezione della Guardia di Finanza. A questo punto, nel riepilogare
l’ordinamento dell’ex (ma non ancora soppresso) Corpo doganale
austriaco nelle nuove provincie annesse, la Circolare parla
espressamente di una Stazione dei Preposti Sardi a Como, chiamata
evidentemente ad operare in collaborazione con i finanzieri dell’ex
Regno Lombardo-Veneto. Il punto 4 della circolare evidenzia infatti
che: “La sezione di Preposti doganali sardi già esistente sotto la
dipendenza dell’Intendenza di Finanza di Como è stata divisa in due
Comandi. Uno trovasi ancora a Como, e forma un’Ispezione con tre
Commissariati a Como, Geronico, e Cazzone, la quale nella
Forz’Armata di Finanza di Lombardia figurerà come Sezione III. Per
138
l’altro Comando s’istituì a Porlezza una Vice Ispezione di Preposti
doganali Sardi con due Commissariati a Menaggio e S. Fedele…”. La
Forza Armata di Finanza operò in Lombardia sino al 31 dicembre
1860, data in cui, sulla base del Decreto n. 4481 che il Principe
Eugenio di Savoia firmò il precedente giorno 26 dicembre, il Corpo fu
sciolto, le armi ed i mezzi passati alla Direzioni delle Gabelle, mentre
il personale che ne faceva parte licenziato, segno evidente che nel
frattempo il dispositivo di distribuzione del Comandi dei Preposti
Doganali Sardi era stato ormai completato.
2. L’ORDINAMENTO E LO SCHIERAMENTO OPERATIVO DELLA GUARDIA
DOGANALE DEL REGNO D’ITALIA (1862 – 1881)
Come è facile comprendere, le problematiche legate alla riforma dei
Corpi di Finanza pre-unitari non apparivano di facile soluzione ed il
dibattito parlamentare prometteva di trascinarsi stancamente per
alcuni mesi2. Già nel 1861, presso la Direzione Generale delle
Gabelle, venne istituita una apposita commissione di studio (composta
da nove deputati), che avrebbe dovuto procedere alla riforma del
Corpo dei Preposti Doganali. Ne scaturirono diverse proposte, quasi
tutte tese a trasformare il vecchio Corpo doganale piemontese in una
organizzazione più rispondente alle accresciute esigenze dello Stato
unitario, pur valorizzando il patrimonio umano e professionale
impersonato dai militi appartenuti ai precedenti Corpi pre-unitari. Al
termine di non facili discussioni parlamentari, riguardo alle sorti ed ai
2
Gerardo SEVERINO, “L’unificazione dei Corpi di Finanza pre-unitari e la
nascita della Guardia Doganale (1859 – 1862)”, in atti del convegno storico “I
Finanzieri per il Risorgimento e l’unità d’Italia”, Edizione Museo Storico della
G. di F. Roma, 20 maggio 2011, pagg. 241-265.
139
compiti da affidare al futuro Corpo di doganieri italiani, si giunse
finalmente all’approvazione della Legge 13 maggio 1862, n. 616, con
la quale fu istituito il “Corpo delle Guardie Doganali” del Regno
d’Italia, con un organico composto da 14.073 uomini, distinti in 180
Luogotenenti, 120 Sotto Tenenti, 3.495 fra Brigadieri e Sotto
brigadieri, 7.341 guardie del contingente di terra, 3.237 guardie di
mare e “sedentarie”, cui si aggiungono 200 mozzi per il servizio delle
imbarcazioni
doganali.
Il
neo
costituito
Corpo
doganale,
pregiudizialmente escluso dal consorzio militare, si compose, quindi,
di personale variegato: “militarizzato” fino ai gradi d’ufficiale
inferiore (guardie, brigadieri, tenenti delle varie classi), destinatari dei
rigori della disciplina militare; “civile”, rappresentato da coloro che
ricoprivano funzioni direttive (sotto ispettori ed ispettori comandati di
Distretto o di Circolo), creando spesso – come approfondiremo in
seguito – qualche confusione con le attribuzioni ed i compiti
demandati agli altri funzionari dell’amministrazione doganale. Posto,
sin da allora, alle dipendenze del Ministro (e non del Ministero) delle
Finanze, il “Corpo delle Guardie Doganali” fu inquadrato
nell’ambito della Direzione Generale delle Gabelle del Ministero delle
Finanze, presso la quale fu istituita la VI Divisione “Guardia
Doganale”, inizialmente presieduta dal Dott. Paolo Azzolini. Il Corpo
ebbe, quale compito principale la: “repressione del contrabbando e la
tutela dei dazi, la cui riscossione è affidata all'Amministrazione delle
Gabelle”, così come cita l'art. 2 del Regolamento Organico del Corpo
stesso emanato il successivo 13 novembre 18623. Quale compito
secondario troviamo, invece, il concorso, nei limiti stabiliti dallo
3
Con R. Decreto n. 989.
140
stesso regolamento alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica,
ed al mantenimento delle prescrizioni di polizia marittima ed, in caso
di guerra, alle operazioni militari. In caso di mobilitazione, le guardie
sarebbero passate alle dipendenze del Ministero della Guerra e di
quello della Marina, e quindi assoggettate alle leggi e ai regolamenti
militari, pur conservando la divisa, i gradi e il soldo propri del Corpo
d’appartenenza,
come
avverrà
nel
corso
della
3^
guerra
d’Indipendenza e alla liberazione di Roma. Il comando dei reparti
mobilizzati delle guardie doganali sarebbe stato assunto da ufficiali
scelti dai due citati ministeri. Tuttavia, anche se si trattava di un Corpo
di polizia civile, l’ordinamento della Guardia Doganale era
marcatamente militare, frutto questo di un compromesso fra le diverse
tendenze espresse durante il dibattito parlamentare che aveva
preceduto l’approvazione della legge istitutiva del ’62. Per
l’esecuzione del servizio, il Corpo era ripartito in 27 Divisioni, 74
Circoli, 76 Distretti, 296 Luogotenenze e 1.535 Brigate, con una
dislocazione territoriale alquanto capillare e similare a quella dei Reali
Carabinieri, con una maggiore intensità lungo le frontiere terrestri e
marittime del Regno, in maniera tale da dar vita ad una fitta maglia di
vigilanza costiera e doganale. L'esecuzione del servizio di vigilanza
era generalmente affidata alle Brigate (i reparti più piccoli del Corpo),
dislocate “a cordone” lungo le coste ed i confini terrestri, mentre per
la vigilanza in mare erano disponibili, nel 1861, circa 211 unità: fra
scorridore, paranzelle, speronate e gozzi, poi passate, nel volgere di
poco tempo a 393 unità4. Torniamo all’ordinamento. A Capo delle
4
Nel 1863, la forza doganale di mare verrà dotata di altri 72 nuovi natanti, ai quali
successivamente si aggiungerà il contributo della navigazione a vapore. Qualche
141
Divisioni5 (generalmente rispondenti ad una Regione o a parte di essa)
vi erano i citati Direttori Compartimentali delle Gabelle, i quali, oltre
al Corpo dei finanzieri, dirigevano anche gli uffici esecutivi doganali
esistenti nella propria giurisdizione. Dai Circoli (corrispondenti ad una
Provincia o parte di essa), retti da Ispettori, dipendevano uno o più
Distretti, comando retto da un Sotto Ispettore, che aveva competenza
territoriale su vari i Mandamenti6 o Circondari7. Anche se non
direttamente inclusi nell’organico del Corpo, che come abbiamo
ricordato prevedeva solo “ufficiali inferiori” (Luogotenenti e Sotto
Tenenti), gli Ispettori e i Sotto Ispettori delle Gabelle verranno
considerati a tutti gli effetti ufficiali superiori del Corpo. A sua volta,
il Distretto era articolato in alcune Luogotenenze (rette da tenenti o
luogotenenti) e da numerose Brigate poste al comando di brigadieri o
sotto brigadieri8. In realtà, i Circoli ed i Distretti, così come si
esprimeva il regolamento Doganale del 1862, erano altrimenti definiti
rispettivamente “Ispezioni” e “Sotto Ispezioni delle Gabelle”, in
relazione al grado ricoperto dal funzionario titolare, Ispettore o Sotto
5
6
7
8
tempo dopo seguì la costruzione di 40 paranzelle a vela e si ottenne dal
Ministero della Marina la cessione del piroscafo "San Paolo", dislocato in
crociera nell'Adriatico, lungo la costa che va da Ferrara a Manfredonia.
Il termine “Divisione” non indicava uno speciale organo, diverso dal direttore
delle Gabelle, dal quale dipendevano le guardie doganali, ma solo il contingente
assegnato ad ogni Direzione delle Gabelle.
Il Regno d’Italia era stato suddiviso in Regioni, Province, Circondari,
Mandamenti e Comuni. Mentre il Circondario era diretto da un Vice Prefetto, il
Mandamento era posto sotto la direzione del Pretore, carica analoga anche in
campo giudiziario.
R. Decreto 9 ottobre 1862 dal titolo “Organizzazione delle Direzioni, ispezioni e
Sotto Ispezioni delle Gabelle”.
Sulla base dell'art. 12 del R.O., gli Ispettori e di Sotto Ispettori, pur conservando
la qualifica di "impiegati amministrativi" delle Gabelle avevano la qualità di
ufficiali superiori delle Guardie Doganali e, per questo, dovevano vestire la
divisa sulla quale venivano apposti gli equivalenti gradi militari di Tenente
Colonnello e Maggiore.
142
Ispettore, dal quale dipendevano, oltre alle Guardie Doganali, anche
gli altri uffici gabellari e doganali stanziati nel territorio di
competenza. Da quel momento, sia negli atti ufficiali che nelle
cronache del tempo, non vi fu una netta separazione fra i due termini, i
quali perciò furono indifferentemente utilizzati sia riguardo alla
gestione del Corpo, sia riguardo all’amministrazione “civile” delle
Gabelle, sia riguardo all’area di competenza territoriale. Da ciò si
evince che al Corpo fu conferito un ordinamento misto: civile rispetto
alla dipendenza gerarchica nei gradi superiori e nei rapporti con
l'Esercito in tempo di pace; militare per rendere possibile un'eventuale
mobilitazione in caso di guerra, con conseguente passaggio alle
dipendenze del Ministero della Guerra. I Comandi di Divisione della
Guardia Doganale dai quali dipese il servizio di vigilanza doganale dei
confini alpestri furono essenzialmente cinque, riepilogati secondo
l’ordine geografico partendo dalla Liguria, vale a dire: Oneglia
(attuale Imperia), Torino, Como, Novara e Brescia9. Il sistema di
9
Dalla Divisione di Oneglia dipendevano il Distretto e la Luogotenenza di
Ventimiglia, con alle dipendenze le Brigate di Ventimiglia, Mortola Inferiore e
Superiore, Latte, S. Pancrazio, Olivetta, Libri e Pigna, quasi tutte con un
organico di un brigadiere/sottobrigadiere e quattro o cinque guardie. Dalla
Divisione di Torino dipendevano il Circolo ed il Distretto di Cuneo, a loro volta
articolati nelle Luogotenenze di Tenda (Brigate di San Dalmazzo, Briga e
Tenda); Borgo San Dalmazzo (Brigate di Vernante, Entraques e Valdieri);
Pietraporzio (Brigate di Pietraporzio, Ponte Bernardo, Vinadio e Argentera);
Prazzo (Brigate di Pratorotondo, Acceglio, Prazzo e Saretto); Sampeyre (Brigate
di Bellino, Chianale, Ponte Chianale, Crissolo e Casteldelfino). Vi erano poi il
Circolo ed il Distretto di Susa, articolati nelle Luogotenenze di Oulx (Brigate di
Champlas du Col, Bousson, Clavières, Cesana, Boulard, Melezet, Bardonecchia
ed Oulx) e di Susa (Brigate di Giaglione, Bard, Ferrera, Novalesa, Venans,
Exilles e Susa). Alla Luogotenenza di Torre Pellice, che dipendeva direttamente
dal Circolo di Torino, appartenevano, invece, le Brigate di Miraberes, Bobbio,
Prales, Perrero e Torre Pellice. Dal Distretto di Aosta, che dipendeva anch’esso
dal Circolo di Torino, dipendevano le Luogotenenze di Près San Didier (Brigate
di La Thuille, Courmayeur, Entrèves, Près S. Didier e Valgrisanche), di Aosta
(Brigate di N.D. de Rhémes, Bosses S. Remy, S. Remy, Entroubles e Valpellina)
143
vigilanza doganale così concepito era definito “a cordone”, come
anticipato prima, secondo la tradizione piemontese sperimentata dalla
Brigate dei Regi Preposti Sardi. I minuscoli reparti di frontiera
e di Chatillon (Brigate di Valtournanche, Ayas S. Giacomo e Gressoney la
Trinite). Il “Cordone Doganale” proseguiva, poi, con i reparti della Divisione di
Novara, dal cui dipendente Circolo di Arona (con i Distretti di Domodossola,
Arona e Luino) erano rispettivamente inquadrate le Luogotenenze di
Domodossola (Brigate di Iselle, Crovea, Formazza, Baceno, Pistarena, Vanzone
e Domodossola); Craveggia (Brigate di Craveggia, Revalgezzo, Curzolo e
Malesco); Cannobio (Brigate di Piaggio Valmara, Treffiume, Cannobio,
Carmine, Cannero, Oggebbio e Cavaglio, nonché Brigate di Mare di Cannobio e
Cannero); Intra (Brigate di Intra, Ghiffa e Trobaso, nonché di Mare a Intra);
Arona (Brigate di Arona e Gravellona, e di Mare di Belgirate ed Arona); Ispra
(Brigate di Sesto Calende, Angera, Ispra, Arolo e Laveno, nonché Brigate di
Mare di Ispra e Laveno); Germignaga (Brigate di Germignaga, Bieviglione,
Cremenaga e Cassano, nonché di Mare a Porto Valtravaglia); Luino (Brigate di
Luino, Fornasette, Dumenza e Zenna, nonché Brigate di Mare di Luino,
Maccagno e Poggio). La Divisione di Como, che per intero riguardava la
frontiera con la Svizzera, era quella che disponeva di un numero elevato di
reparti confinari, risultando articolata nei Comandi di Circolo di Varese, Como e
Chiavenna. Seguendo l’ordine riscontriamo che il Circolo ed il Distretto di
Varese erano a loro volta suddivisi nelle Luogotenenze di Ghirla ((Brigate di
Ponte Tresa, Cuasso al Monte, Ghirla e Brusimpiano, con le Brigate di Mare di
Lavena e Brusimpiano); Viggiù (Brigate di Besano, Viggiù, Saltrio, Clivio e
Porto Codelago, nonché Brigata di Mare di Porto Codelago); Cazzone (Brigate
di Gaggiolo, Rodero, Cazzone e Cagno); Olgiate (Brigate di Binago, Gerbo,
Olgiate, Olbiona, Civello e Grandate); Parè (Brigate di Parè, Drezzo, Gironico al
Piano e Cavallasca); Camerlata (Brigate di Camerlata, Tavernerio, Capiago,
Cucciago e Fino); Uggiate (Brigate di Bizzarone, Somasso, Ronago, Casanova
ed Uggiate); Como 2^ (Brigate di Cernobbio e Blevio); Ponte Chiasso (Brigate
di Ponte Chiasso, Maslianico, Sagnino, Brugedo, Sant’Ambrogio e Cardano);
Carate (Brigate di Rovenna, Moltrasio, Carate, Lenna, con Brigate Mare a
Torriggia d Torno); Argegno (Brigate di Brienno, Argegno e Spurano, con
Brigate di Mare di Brienno, Nezzo ed Argegno); San Fedele (Brigate di
Schignano, Casasco, Lanzo, Penna e San Fedele d’Intelvi); Porlezza (Brigate di
Porlezza, Cusino, S, Nazzaro, Carlazzo, Menaggio, Oria ed Osteno, con Brigate
Mare di Oria, Osteno e Porlezza); Gravedona (Brigate di Musso, Garzeno, Dosso
del Liro e Gravedona); Chiavenna (Brigate di Monte Spluga, Campo Dolcino,
Villa di Chiavenna e Riva di Chiavenna); Tirano (Brigate di Piattamala, Lovero,
Tirano, Stazzona e Vervio); Bormio (Brigate di Stelvio, Bormio e Samogo);
Teglio (Brigate di Teglio, Olivi, Ponte ed Aprica). Rimangono nel novero dei
reparti di frontiera al confine alpestre anche taluni reparti della Divisione di
Brescia (confini con il Tirolo ed il Lombardo-Veneto, in area alpina) così
composti. Luogotenenza di Edolo (Brigate di Ponte di Legno, Breno, Edolo e
Codegolo); Desenzano del Garda (Brigate di Rivoletta, Colombare, Sermione e
Lugana).
144
(Brigate e Distaccamenti, con organico di quattro/sei uomini) erano
quindi ubicati proprio lungo la linea di frontiera, ad intervalli più o
meno regolari, in maniera tale che il servizio potesse essere svolto
attraverso
un diuturno pattugliamento del
proprio tratto di
competenza, che contemplava il cosiddetto “scambio visti” fra reparti
confinanti. Ciò nella consapevolezza del fatto che il deleterio
fenomeno del contrabbando non potesse efficacemente reprimersi se
non con una vigilanza attiva, giammai interrotta, la quale necessitava
di gravosi turni di sentinella, vedetta, perlustrazione ed appostamento.
Nel 1866, scoppiava un’altra guerra con l’Austria per risolvere con le
armi la questione veneta. Passerà alla storia come 2^ Guerra
d’Indipendenza. A tal riguardo occorre ricordare che, mossi dal nobile
e generoso intento di concorrere comunque alla grande lotta, un buon
numero di Finanzieri non assorbiti dall’esercito regolare o dai reparti
mobilitati del Corpo, disertarono per vestire la camicia rossa.
Altrettanto fecero moltissime guardie di finanza del Veneto, o
abbandonando il servizio dell’Austria, oppure, pur rimanendo al loro
posto, rifiutando di prendere le armi contro le truppe italiane10.
10
Animati dal loro tradizionale spirito militare e patriottico, alcuni valorosi
Finanzieri versarono molto sangue per la conquista delle gloriose tappe di
Caffaro, Montebello, Darzo, Staro, Condino, Ampolo e Bezzecca. Tutti gli altri
Finanzieri stanziati nella zona di frontiera o non aggregati alle truppe regolari e
volontarie, parteciparono del pari alle operazioni di guerra, sia vigilando i passi
alpini minacciati dal nemico - che tennero sempre in rispetto con la loro
fermezza - sia facendo il servizio di guida e di esplorazione. Nel combattimento
di Vezza d’Oglio (Valcamonica), una compagnia di doganieri italiani aggregata
al 4° Reggimento volontari si distinse oltremodo per ardimento e valore
nell'affrontare il nemico. In Valtellina un’altra compagnia di guardie doganali
partecipò ai combattimenti di Ponte del Diavolo e dei Bagni di Bormio. Ai
Bagni, per tagliar la ritirata al nemico, un manipolo di cinquanta uomini tra i più
abili e risoluti, in buona parte Finanzieri, con alla testa il Tenente Pedranzini dei
“Tiratori di Bormio”, si lasciò andar giù a corpo perduto da una ghiacciaia che
stava sopra la posizione del Diroccamento, giungendo ancora in tempo ad
145
Conquistato all’Italia il Veneto, il Mantovano ed il basso Friuli
(mancheranno ancora all’Italia il Trentino e la Venezia Giulia), il
Ministero delle Finanze, Direzione Generale delle Gabelle, emanò una
circolare con la quale istituiva le cosiddette “Ispezioni delle Gabelle e
della Guardia Doganale nelle Provincie Venete e di Mantova”11. In
virtù di tale provvedimento furono creati vari Comandi di Circolo, con
altrettante Luogotenenze e Brigate nelle nuove provincie annesse,
alcune delle quali aventi circoscrizione di servizio lungo la nuova
frontiera con l’Impero Austro-Ungarico. E’ il caso dei Circoli di
Verona, Vicenza, Belluno e di Udine. Nel complesso verranno istituiti
numerosi uffici doganali, compresi i posti d’osservazione12, affiancati
da altrettante Brigate o Distaccamenti fissi o temporanei della Guardia
Doganale13. Una più capillare e concreta organizzazione territoriale
dei reparti frontalieri del Corpo fu determinata in seguito alla
11
12
13
arrestare settantacinque austriaci sulla strada. Per quell’azione il Pedranzini ebbe
la medaglia d'oro al valor militare, mentre i finanzieri Curci, Avanzi e Tei quella
d'argento; altri cinque quella di bronzo e parecchi la promozione per merito di
guerra. Un nuovo attacco offensivo ebbe poi luogo nel mattino del 16 luglio alla
IV cantoniera dello Stelvio; ma dopo molte ore di persistenza gli austriaci, resi
convinti della inanità dei loro sforzi, dovettero battere in ritirata. Pochi giorni
appresso il nemico era vinto dai Prussiani a Sadowa e il Veneto passava a far
parte del Regno d'Italia.
Circolare n. 116/Gab. in data 18 febbraio 1867.
Crf. R. D. n. 3671 in data 28 marzo 1867 con oggetto “Organamento delle
Dogane nelle Provincie Venete e di Mantova”.
Dal Circolo di Udine dipendevano Luogotenenze di Gemona, Moggio,
Tolmezzo, Palmanova, Portonogaro, Cividale, San Giovanni Manzano e Udine,
le Brigate di Timau, Pontebba, Stupizza, Visinale, S. Giovanni di Manzano,
Palma, Mediuzza, Trivignano, Jalmicco, Portonogaro, Pertegata e Torre di
Zuino. Dal Circolo di Belluno dipendevano le Luogotenenze di Santo Stefano
Comelico, Tai di Cadore, Agordo, Caprile e Feltre, e le Brigate di Montecroce,
S. Vito, Caprile, Falcade, Gosaldo e Zorzoi. Dal Circolo di Vicenza dipendevano
le Luogotenenze di Val d’Astico e Valdagno e le Brigate di S. Pietro Val
d’Astico, Piano delle Fugazze, Bassano e Primolano. Dal Circolo di Verona le
Luogotenenze di Garda, Peri, Chiesanova e Verona, e le Brigate di Peschiera,
Malcesine, Peri e Belluno Veronese.
146
importante e decisiva riforma del 1881, varata dal Parlamento
nazionale attraverso l’approvazione della Legge n. 149 dell’8 aprile,
in virtù della quale, oltre al titolo del Corpo, mutato in Guardia di
Finanza, furono conferiti ai Finanzieri nuovi e più incisivi poteri
(tutela delle imposte di fabbricazione, dei dazi di consumo e, in
generale, di tutti i cespiti della pubblica finanza). Fu accorciata, di
conseguenza, la meta della militarizzazione. Furono conferiti alle
Guardie di Finanza ruoli ben precisi nell’eventualità di un conflitto
armato, prevedendo, in caso di mobilitazione generale, la creazione di
appositi Battaglioni e Compagnie, ma soprattutto furono creati i
Depositi d’Istruzione per gli allievi14. Fu esteso anche alla Guardia di
Finanza il grado di Maresciallo: grado che da quel momento
rivestiranno gran parte dei comandanti di Brigata, mentre sul piano
operativo furono previste, oltre alle Brigate di “frontiera”, anche le
Brigate “porto”, “lago” o “laguna” con competenza limitata al
porto, al lago o alla laguna ove erano stanziate.
3. DALLA RIFORMA DEL 1881
LEGIONE (1881 – 1906)
ALLA NASCITA DEI
COMANDI
DI
Esattamente dieci anni dopo, grazie alla Legge n. 398 del 14 luglio
1891, varata dal Parlamento soprattutto per combattere più
efficacemente il contrabbando (che proprio in quegli anni aveva
registrato un’incredibile impennata), oltre al ripristino dei Comandi
Divisionali15, fu istituto, nell’ambito del Ministero delle Finanze, il
14
15
Gerardo Severino, “I Depositi d’Istruzione della Guardia di Finanza”, in Rivista
della Guardia di Finanza, n. 1 – Gennaio-Febbraio 1992.
In realtà i Comandi Divisionali erano già stati istituiti nel 1869 (con R. D.. del 26
dicembre, n. 5417), in contemporanea con la costituzione delle Intendenze di
147
cosiddetto “Comitato del Corpo”. Organo collegiale apparentemente
simile a quello dell’Arma dei Carabinieri16, il “Comitato” contribuì a
dare alla Guardia di Finanza un assetto sempre più militare,
sperimentando metodologie gestionali che, tempo dopo, fecero capo al
Comando Generale ed alle sue strutture interne. La Legge n. 398,
rappresentò, dunque, una delle più importanti riforme che fossero mai
state desiderate dal Corpo. Con essa, principalmente, si ripartì (a
norma dell’art. 8) il contingente della Guardia di Finanza in 8
Comandi di Divisione, con sedi a Milano (1^), Genova (2^), Verona
(3^), Ancona (4^), Roma (5^), Bari (6^), Napoli (7^) e Messina (8^).
A ciascuno di essi venne posto un “Ispettore Divisionale di 1^ o di 2^
classe”, gradi che la stessa legge aggiunse alla gerarchia del Corpo,
pareggiandoli a quelli militari di Colonnello e Ten. Colonnello. A tali
ufficiali superiori furono, quindi, conferite le facoltà punitive che
precedentemente ricoprivano gli Intendenti di Finanza, ma soprattutto
la vigilanza sul servizio svolto dalla Guardia di Finanza. Istituito per
disposizione dell’art. 10, il “Comitato del Corpo”, alla cui direzione
fu posto un Generale del Regio Esercito, era composto da un Ispettore
Generale e dal un Capo di Divisione del Ministero delle Finanze, da
un ufficiale superiore del Regio Esercito e da un ispettore Comandante
di Divisione della Guardia di Finanza. Le nuove esigenze operative,
16
Finanza. La loro vita fu brevissima in quanto soppressi nel 1873, per effetto del
R. D. n. 1615 del 9 ottobre. Ne fu causa principale la mancanza di un vero e
proprio coordinamento con la Direzione Generale delle Gabelle, gli scarsi poteri
di controllo nei riguardi dei Comandi di Circolo, ma soprattutto lo strapotere e le
interferenze delle locali Intendenze di Finanza.
Il Comitato dell’Arma dei Carabinieri Reali era stato istituto con R. D. del 24
gennaio 1861, in sostituzione del Comando Generale. Composto da soli ufficiali
dell’Arma, il Comitato operò fino al 16 novembre 1882, data in cui fu soppresso
in seguito al ripristino della carica di Comandante Generale.
148
nello specifico settore della lotta al contrabbando frontaliero,
determinarono, oltre ad un nuovo ordinamento circoscrizionale dei
reparti17, con conseguente aumento degli organici, anche il
potenziamento del servizio di vigilanza doganale terrestre, con
l’adozione della “rete metallica” nei tratti pianeggianti o comunque di
facile attraversamento della linea di confine, ed il pattugliamento dei
laghi di frontiera (Maggione e Garda), attraverso i cosiddetti
“Incrociatori o Battelli Doganali”, sorto verso il 1881 ma
regolamentato solo nel 1896, o stesso anno in cui il Ministero delle
Finanze emanò un nuovo ruolo organico del Corpo della Guardia di
Finanza18.
4. GLI ULTIMI SESSANT’ANNI (1900 – 1961)
Agli inizi del Novecento, lo schieramento operativo, mantenuto in
efficienza ed organizzato dal Corpo lungo i confini alpestri, risulta
ancora composto da una interminabile sequenza di Brigate, dipendenti
da importanti Circoli di frontiera quali – il riepilogo segue l’ordine
alfabetico citato nella circolare - Aosta (10 Brigate), Bassano (9
Brigate), Belluno (24 Brigate), Breno (4 Brigate), Cividale (19
Brigate), Como (19 Brigate), Cuneo (10 Brigate), Domodossola (14
Brigate), Luino (18 Brigate), Menaggio (19 Brigate), Novara (Brigata
di Varallo), Salò (13 Brigate), Sondrio (23 Brigate), Tolmezzo (8
Brigate), Torino (14 Brigate), Udine (15 Brigate), Varese (18 Brigate),
17
18
Circolare n. 48953/3513 della Direzione Generale delle Gabelle in data 28 aprile
1892, avente per titolo “Sede e circoscrizioni dei Circoli, sedi delle Tenenze e
indennità agli ufficiali della R. Guardia di Finanza”.
R. D. n. 16 in data 16 gennaio 1896.
149
Ventimiglia (7 Brigate), Verona (18 Brigate) e Vicenza (10 Brigate)19.
Tale dispositivo verrà, in parte, modificato nel 1906, l’anno in cui il
Corpo ottenne la sua più importante riforma ordinativa. Con la Legge
n. 367 del 9 luglio 1906, la Guardia di Finanza ottenne l’agognata
autonomia, principalmente attraverso l’istituzione del Comando
Generale del Corpo, che avrebbe garantito unità di criteri e di azione
direttiva. Dipendente direttamente dal Ministro delle Finanze, il
Comando fu quindi reso autonomo rispetto alla Direzione Generale
delle Gabelle. Alla sua guida fu posto un Generale del Regio Esercito,
rivestito di tutte le prerogative e le facoltà occorrenti per il governo
del personale. Furono istituiti 8 Comandi di Legione (Milano,
Venezia, Bari, Roma, Bologna, Napoli, Torino e Messina), nei quali
furono raggruppati i numerosi Comandi di Circolo sparsi sul territorio
nazionale, dai quali sarebbero dipese le Compagnie (reparti di nuova
formulazione), Tenenze, Sezioni e Brigate20. I reparti di frontiera,
dalla Liguria al Friuli, verranno quindi assorbiti rispettivamente dalle
Legioni di Torino, Milano e Venezia, secondo uno schema gerarchico
basato ancora sul sistema dei Comandi di Circolo, generalmente
ubicati in sede di Provincia e nelle principali località d’intesse
operativo, come nel caso della frontiera alpestre. Pur risultando
ridimensionati i reparti all’interno del territorio e delle principali città,
pressoché immutato rimase l’impianto o schieramento lungo le
frontiere alpestri e marittime, ove la vigilanza anticontrabbando
19
20
Circolare n. 30241 – Div. III della Direzione Generale delle Gabelle in data 10
dicembre 1903, avente per oggetto “Elenco delle Brigate dislocate lungo il
confine di terra”.
La riforma del 1906 decretò anche l’istituzione di una Legione Allievi (con sede
a Maddaloni) per l’istruzione delle reclute, ed il miglioramento del sistema
disciplinare ed una più precisa determinazione dei reati d’indole militare.
150
rimarrà ancora poggiata sul sistema detto “ a cordone”.
Con la
partecipazione italiana alla “Grande Guerra”, la situazione operativa
del Corpo lungo la frontiera alpestre vedrà impegnati, oltre ai
tradizionali reparti territoriali, anche i Battaglioni mobilitati, reclutati
per finalità belliche presso vari “Centri di Mobilitazione” aventi sede
presso importanti località nazionali. Durante il conflitto, al quale
prenderanno parte anche talune Compagnie Autonome, i confini
subiranno frequenti variazioni, determinate spesso dall’andamento
stesso dei combattimenti, anche in termini di dipendenza delle Brigate
adibite alla loro vigilanza. Da tale situazione derivò, da parte del
Comando Generale del Corpo, la necessità di istituire altri Comandi di
Legione territoriale, come nel caso di Verona. Il Decreto
luogotenenziale n. 961 del 10 giugno 1917 motivò tale scelta con la
seguente necessita: “…le attuali condizioni della vigilanza demandata
alla R. Guardia di Finanza richiedono un contingente di uomini
notevolmente superiore a quello normale, per i quali occorre istituire
i Comandi che debbono regolarne l’azione di servizio”. Da quel
momento, e sino al 1919/1920, la Legione di Verona amministrò i
Comandi di Circolo di Belluno, Brescia, Verona e Vicenza, con le
dipendenti Compagnie, Tenenze e Brigate, molte delle quali “di
frontiera”. I militari del Corpo intrapresero le loro tradizionali attività
di servizio anche nelle valli del Trentino, dell’Alto Adige, della Val
Pusteria e nelle altre valli minori della provincia di Bolzano, così
come a Trieste e nella Venezia Giulia, immediatamente dopo la
cessazione delle ostilità con l’Austria-Ungheria. Il 5 aprile 1919, sulla
base di un’ordinanza del Comando Supremo, nascevano le Legioni
della Regia Guardia di Finanza di Trento e Trieste, con giurisdizione
151
rispettivamente nel territorio del Governatorato del Trentino, nella
Venezia Giulia e Tridentina21.
Pur tuttavia, l’organizzazione
territoriale dei reparti delle neonate Legioni non poté essere
completata in breve spazio temporale, essendo la stessa condizionata
dalle esigenze imposte dalla difesa politico-militare di quella “zona
d’armistizio”, peraltro ancora sottoposta alle Autorità Militari, in
attesa delle definitiva sistemazione della linea di confine (trattato di
Saint-Germain e di Rapallo). Ancor prima della costituzione di quei
Comandi di Corpo, i contingenti che in quell’area costituirono le
prime Compagnie territoriali, con relative Tenenze, Brigate e
Distaccamenti furono quelli facenti ancora parte dei Battaglioni
mobilitati che avevano preso parte al conflitto mondiale. A tali reparti
spettò l’occupazione e la tutela della zona d’armistizio, che già in quei
primi mesi causò la morte di non poche Fiamme Gialle, come nel caso
della povera guardia Luigino Pilo, barbaramente assassinato da un
colpo di pistola sparatogli a bruciapelo da alcuni contrabbandieri che
aveva fermato il 6 agosto 1919 in località Klammen Joch, in Val
Taufers22. Tali tragedie si verificheranno anche negli anni seguenti,
fino a quasi la vigilia della 2^ guerra mondiale, registrando una
violenza inaudita certamente non frutto solo dell’esigenza di salvare
carichi di contrabbando, ma certamente condizionata da un odio
atavico contro gli italiani che difendevano quei tratti di confine. Ben
21
22
Il Comando Supremo ne aveva chiesto l’istituzione direttamente al Dicastero
delle Finanze, nella necessità di “meglio organizzare e coordinare il servizio di
vigilanza finanziaria lungo la linea di armistizio e la linea costiera e per tutti i
servizi di polizia fiscale nell’interno dei territori occupati, tanto più importanti
in quanto la condizione creata dallo stato di armistizio e l’abbattimento della
preesistente barriera doganale hanno sensibilmente migliorata e risvegliata
l’attività economica di quei territori…”.
Alla memoria del Pilo verrà concessa la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
152
presto, alla repressione del contrabbando doganale si associò, in quei
primi mesi di presenza in Alto Adige e nelle Venezie, la vigilanza
politico-militare lungo la citata linea d’armistizio, in virtù della quale
furono respinti non pochi assalti da parte di fuoriusciti, arrestati
prigionieri di guerra austriaci fuggiti dai campi di concentramento, ma
anche disertori italiani diretti verso la Svizzera. Lo schieramento
operativo del Corpo in area alpestre rimarrà pressoché immutato per
tutto il ventennio successivo, almeno sino all’inizio della 2^ Guerra
Mondiale. Terminato il conflitto, il tracciato confinario risultò
modificato largamente, soprattutto sul fronte orientale, sin lì di
pertinenza della Legione di Trieste, ovviamente sciolta nel ’45 a
seguito dell’occupazione militare alleata. Nel dopoguerra, la
compagine operativa della Guardia di Finanza lungo il confine alpino
s’arricchì di un nuovo Comando di Legione, quello di Como, che dal
dicembre ’45 amministrerà i Circoli di Como, Varese, Menaggio e
Sondrio, operanti lungo la delicatissima frontiera con la Svizzera, che
dal 1906 si trovavano alle dipendenze della Legione di Milano23. Lo
schieramento verrà, infine, completato nel 1973, con la ricostituzione
della Legione di Trieste, articolata nei Gruppi di Trieste, Trieste Porto,
Gorizia e Stazione Navale di Trieste. a partire, infine, dal 1954, la
vigilanza anticontrabbando delle frontiere alpine s’avvalse di un
nuovo e più efficace strumento: il mezzo aereo, utilizzato anche per la
salvaguardia della vita umana, in concorso con gli ancora numerosi
piccoli reparti del Corpo che solo verso la metà degli anni ’90 del
Novecento inizieranno a diminuire, cedendo il passo inizialmente alla
tecnologia, con l’uso variegato del mezzo terrestre, ed in seguito agli
23
La Legione di Como fu istituita con D.M. 11 dicembre 1945.
153
accordi europei che via via hanno decretato quella che agilmente
potremmo definire la “smilitarizzazione doganale” delle frontiere.
154
Gen. D. Salvatore Golino
L’uso delle armi nel servizio anticontrabbando
1. PREMESSA
Il tema oggetto della mia relazione può suscitare interesse sotto un
duplice profilo:
155
• per rivedere un pezzo di storia della Guardia di Finanza attraverso
l’esame di una legge che rimarcò la rilevanza di un fenomeno
economico-sociale di vaste proporzioni;
• per valutare l’importanza che si attribuiva a fatti lontani nel tempo
e che non presentano ormai alcun motivo di allarme anche sul
piano dell’antigiuridicità.
Parleremo della legge 4 marzo 1958, n. 100, che consentiva (e
consente, perché tuttora in vigore) di fare uso delle armi da parte di
militari della Guardia di Finanza, nella zona di vigilanza doganale,
verso persone in attitudine di contrabbando di tabacchi lavorati esteri
attraverso la frontiera, sempre che si verifichino determinate
condizioni.
La prima sorpresa deriva dal fatto che si tratta di una legge tuttora in
vigore, atteso che per effetto del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 è
stata inserita fra le disposizioni legislative statali, pubblicate
anteriormente al 1 gennaio 1970, delle quali si ritiene indispensabile la
permanenza in vigore.
Dico ciò perché oggi sarebbe impensabile ricorrere all’uso delle armi
per un reato che, tutto sommato, non desta particolare allarme sociale
e che, comunque, viene contrastato con altri mezzi, essendo anche
cambiate le modalità con le quali viene attualmente perpetrato.
2. PRECEDENTI STORICI
La possibilità di prevedere una causa di giustificazione per i pubblici
ufficiali che ricorressero all’uso delle armi nell’esercizio di un loro
dovere di ufficio fu prevista per la prima volta nel codice Rocco del
1930. Prima di allora e, quindi, sotto la vigenza del codice Zanardelli
156
del 1889 la tradizione giuridica italiana prevedeva un regime paritario,
in materia di scriminanti, tra cittadini e autorità pubblica: sicché i
pubblici ufficiali potevano fare legittimamente uso delle armi negli
stessi casi previsti per i privati cittadini, e cioè per legittima difesa o
per stato di necessità.
Con il codice Rocco del 1930 si intesero superare delle incertezze
giurisprudenziali sull’uso delle armi contro atti di ribellione
all’autorità e si previde, nell’art. 53 c.p., l’uso legittimo delle armi da
parte dei pubblici ufficiali che, nell’adempimento di un dovere del
loro ufficio, facessero uso delle armi per vincere una violenza o
respingere una resistenza. Questa norma è stata poi modificata nel
1975 per legittimare l’uso delle armi, pur in assenza di violenza o
resistenza, allo scopo di impedire la consumazione di determinati
gravissimi reati, tassativamente elencati, quali i reati di strage,
omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina a mano
armata, ecc..
Ma già prima del 1930 erano state emanate leggi speciali che
prevedevano l’uso delle armi da parte delle “Guardie doganali”
impiegate nella vigilanza alla frontiera. Con il R. Decreto 13
novembre 1862, n. 989 veniva approvato il Regolamento organico del
Corpo delle Guardie doganali, che all’art. 40 prevedeva che le Guardie
di ogni grado ed i mozzi potevano far uso delle armi nei seguenti casi:
• nei servizi di pubblica sicurezza;
• per necessaria difesa onde respingere un’aggressione con vie di
fatto;
157
• per vincere una violenta resistenza all’esecuzione del loro servizio,
previa però formale intimazione ai resistenti di desistere
dall’opposizione.
Detta norma veniva in sostanza ribadita e confermata nel 1909 e nel
1923, fino a quando con il Regolamento di servizio per il Corpo della
Guardia di Finanza, approvato con regio decreto 6 novembre 1930, n.
1643, si consentì ai militari del Corpo, comandati, in zona di vigilanza
doganale, nei servizi di sentinella, di vedetta, di appostamento e di
perlustrazione di fare legittimamente uso delle armi contro le persone
sorprese in attitudine di contrabbando, previa esecuzione di tutte le
misure di intimidazione volte ad indurre alla desistenza: intimazione
di alt con la voce e con i gesti, ripetute più volte in modo da essere
sicuri di aver richiamato l’attenzione dei soggetti da fermare; altre
misure idonee a seconda delle circostanze di tempo e di luogo;
esplosione di colpi in aria.
Quest’ultima norma, ancora più permissiva della scriminante prevista
dal codice Rocco sull’uso legittimo delle armi, perché prescindeva
dalla sussistenza delle
condizioni di vincere una violenza o di
respingere una resistenza, rifletteva chiaramente il carattere autoritario
del regime che l’aveva generato.
Negli anni cinquanta, a seguito di gravi incidenti alla frontiera dovuti
ad un eccessivo uso delle armi verso i contrabbandieri, si pensò di
varare una disciplina legislativa speciale per vietare, in generale,
l’impiego delle armi volto a contrastare il fenomeno ormai dilagante
del contrabbando di tabacchi lavorati esteri, salvo determinati casi
tassativamente indicati. L’intento della legge era, quindi, di limitare e
disciplinare con una normativa più rigorosa e puntuale i pochi e rari
158
casi nei quali sarebbe stato consentito il ricorso all’uso delle armi.
Trattandosi di una norma speciale da applicare per i casi non previsti
dal codice penale, dovevano sussistere tutte le condizioni preliminari
previsti dal codice per l’uso legittimo delle armi: necessità ed
inevitabilità, proporzione fra attività di contrasto e attività da
reprimere, e sempre che non fosse possibile un altro mezzo di
coazione di pari efficacia ma meno rischioso (Cass.: 22 settembre
2000, n. 9961).
Peraltro, a partire dagli anni settanta, la riflessione della dottrina
penalistica ha progressivamente sostituito al concetto classico della
proporzionalità, quello del rilievo costituzionale dei beni in conflitto;
si richiede, in sostanza, un bilanciamento dei diritti costituzionalmente
garantiti. In tale ottica, i beni della vita e della integrità fisica si
pongono al vertice della gerarchia dei valori, essendo collocati nelle
norme di apertura (art. 2 Cost.) fra i diritti inviolabili dell’uomo.
E’ il principio dell’estrema ratio, che informava anche Regolamento
organico e di servizio dell’I.R. Guardia di Finanza nelle province
tedesche e galiziane e nel regno Lombardo-Veneto del 1843, laddove,
al § 57, si legge: “Anche nei casi in cui si verificano gli estremi per far
uso delle armi, queste non potranno adoperarsi che nella misura
indispensabilmente necessaria a respingere l’aggressione o a
superare la violenta resistenza. Oltre a ciò si dovrà sempre usare la
precauzione che non ne venga messa in pericolo senza necessità la
vita d’un uomo: per quanto sia conforme ai doveri della Guardia di
Finanza di rendere efficaci e rispettati coll’uso legale delle armi i
servigi che le incombono, altrettanto non deve essa mai perdere di
vista che adoperandola inconsideratamente, per capriccio o
159
malvagità, si caricherebbe di grave responsabilità verso Dio e verso
gli uomini, e secondo le circostanze incorrerebbe nelle sanzioni delle
leggi penali generali”.
La legge del 1958 ha carattere sussidiario rispetto alle norme di
valenza generale previste dal codice penale e, quindi, prevede cause di
giustificazione applicabili nei casi in cui non ricorrono i presupposti
per la legittima difesa, per l’uso legittimo delle armi e per lo stato di
necessità. Essa rientra nella previsione di cui al comma 3 dell’art. 53
c.p., che così recita: “La legge determina gli altri casi nei quali è
autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”.
Sicchè, la legge in questione costituisce una forma speciale di uso
legittimo delle armi, derivando la sua specificità dalla norma di
valenza generale del codice penale.
La discussione in Parlamento sulla proposta di legge del senatore
Spallino, che originariamente voleva limitare l’uso delle armi ai soli
casi previsti dal codice penale, si protrasse per due legislature, con
polemiche molto accese tra coloro che peroravano “le esigenze di
difesa di interessi fondamentali dello Stato” e coloro che si
opponevano, con altrettanto vigore, “alla pena di morte preventiva”
per i contrabbandieri.
Gli oppositori sostenevano in Parlamento che non si possono mettere
sullo stesso piano la vita di un uomo ed una bricolla di sigarette,
concludendo che l’uso delle armi da parte dei militari doveva essere
limitato ai soli casi previsti dal codice penale.
Al termine del travagliato iter parlamentare, fu approvata la legge 4
marzo 1958, n. 100, che prevedeva appunto, in casi eccezionali e
previo adempimento di talune misure di avvertimento e di intimazione
160
a desistere, il ricorso all’uso delle armi per bloccare persone in
attitudine di contrabbando attraverso la frontiera.
3. IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO
Per capire, quindi, il clima nel quale maturò la decisione di emanare
una legge speciale in funzione anticontrabbando bisogna esaminare le
condizioni
socio-economiche
dell’Italia
nel
dopo
guerra
e,
segnatamente, nei primi anni cinquanta, durante i quali si verificarono
profonde trasformazioni di carattere economico e sociale.
Era in atto la trasformazione del sistema produttivo e, quindi, il
passaggio da un’economia agricola ad una economia industriale, con
tutte le implicazioni di carattere sociale che ne derivarono, come il
fenomeno dell’emigrazione dalle Regioni meridionali alle Regioni
settentrionali. Nel Mezzogiorno, tra la fine degli anni quaranta e i
primi anni cinquanta la povertà era molto diffusa. E’ significativa, a
questo proposito, una sentenza della Corte di Cassazione del 15
giugno 1960, n. 1052, nella quale si disquisisce sulla natura
dell’illecito derivante dalla vendita di tabacco ricavato dalle cicche di
sigarette abbandonate dal fumatore, sotto il profilo della legge sul
monopolio dei tabacchi lavorati.
In quell’epoca il bilancio dello Stato era di dimensioni molto ridotte,
nel 1958 le entrate ammontavano a 3.387 miliardi di lire ed erano
costituite prevalentemente dalle imposte indirette sugli affari e sui
consumi, che rappresentavano il 63% del totale, mentre le imposte
dirette sul reddito e sul patrimonio rappresentavano appena il 28%.
Una gran parte dei proventi erariali derivava dalle imposte indirette in
genere, prima fra tutte l’I.G.E., dai monopoli dei tabacchi, dai diritti di
161
confine, dalle imposte di fabbricazione (alcol, benzina, ecc…..). Ciò si
spiega con la più semplice esazione delle imposte indirette e con la
struttura ridotta dell’apparato dei controlli in materia di imposte
dirette, il che rendeva più facile l’evasione di queste imposte e il
conseguente ricorso da parte dello Stato alle imposte indirette. D’altra
parte, all’epoca, non c’era ancora l’attuale sistema di protezione
sociale, il c.d. welfare, per cui la spesa pubblica era limitata ad
assicurare la prestazione dei servizi pubblici essenziali.
L’anno che segnò il c.d. boom economico è il 1960, nel quale si
registrò il PIL più alto della storia e con incrementi, nel primo
semestre, del 17% della produzione industriale e del 40% delle
esportazioni. La pressione fiscale era del 23%. Taluni sostengono che
il boom di quegli anni derivò dalla bassa pressione fiscale e dalla
rilevante evasione delle imposte dirette.
Solo con la riforma Vanoni del 1951 e con la legge Tremelloni del
1956 si varò una prima architettura sulla quale si sarebbe poi
sviluppata e potenziata la tassazione sul reddito, culminata nella
riforma degli anni 1972/1973.
4. L’ENTITÀ DEL FENOMENO DEL CONTRABBANDO
In questa situazione dei conti pubblici, la sottrazione di gettito che
comportava un’attività di contrabbando massiccia e pervasiva,
esercitata su tutta la frontiera terrestre e marittima da potenti
organizzazioni criminali che disponevano di ingenti mezzi finanziari,
rappresentava un serio pericolo per le finanze statali. Lungo la
frontiera con la Svizzera negli anni cinquanta si operavano in media
300 fermi mensili, con un incremento esponenziale negli anni sessanta
162
e nei primi anni settanta, dovuto soprattutto al contrabbando lungo la
frontiera marittima, che consentiva lo sbarco di ingenti quantitativi di
tabacchi esteri. Si trattava di un fenomeno imponente che faceva capo
a “holding” internazionali del crimine con varie ramificazioni, che
dagli Stati Uniti e dal Nord-Europa acquistavano ingenti quantitativi
di sigarette del valore di decine di miliardi di lire per introdurli
clandestinamente nel territorio nazionale.
In queste condizioni, l’attività di contrasto al contrabbando di tabacchi
lavorati esteri lungo il confine svizzero, particolarmente pericoloso
per le caratteristiche orografiche del terreno, rappresentò una esigenza
prioritaria, il cui peso si riversò interamente sul Corpo di polizia che
per vocazione e per tradizione era deputato al controllo militare e
doganale delle frontiere.
La Guardia di Finanza fu, quindi, chiamata ad attrezzarsi per opporsi
al dilagare dell’invasione di merci introdotte in contrabbando, sia con
l’allestimento di una consistente flotta di natanti in grado di affrontare
il mare anche in avverse condizioni meteo, sia con un presidio
massiccio e permanente di militari dislocati in piccoli reparti lungo il
confine con la Svizzera, più esposto e più favorevole al transito
clandestino. Negli anni cinquanta furono messi in linea i primi
elicotteri per l’attività di ricognizione e di avvistamento lungo il
vastissimo confine marittimo e terrestre. Allo stesso periodo risale
l’impiego dei primi cani addestrati per fermare persone in attitudine di
contrabbando, in alternativa all’uso delle armi. Si trattò di una felice
iniziativa, che poi ha avuto la sua più efficace applicazione nella
repressione del traffico di sostanze stupefacenti.
163
Per quanto riguarda il territorio nazionale immediatamente a ridosso
del confine (la zona di vigilanza doganale terrestre larga 10 km dalla
linea di confine e 5 km dal lido del mare verso l’interno del territorio)
nel quale possono essere esercitati particolari poteri per il controllo
delle merci di provenienza estera (ricordo, tra tutti, l’inverisone
dell’onere della prova), il Corpo si dotò di autovetture da
inseguimento, in modo da costituire una seconda linea di contrasto per
intercettare le merci che, superato il confine, venivano poi trasportate
con automezzi veloci lungo le rotabili nei mercati di smistamento e di
consumo.
Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno basta considerare che
venivano introdotte dalla Svizzera, molto tollerante (per usare un
eufemismo) nei confronti dei contrabbandieri, anche per i vantaggi
economici che derivavano alla Confederazione dalla loro attività, le
merci più varie e disparate, oltre a quelle nettamente preponderanti per
quantità: i tabacchi lavorati esteri ed il caffè. Attraverso quel confine
venivano, infatti, introdotti: orologi, argento grezzo in grani,
accendini, cioccolato, pietrine focaie, persino puntine di metallo per
penne a biro.
5. LE FINALITÀ DELLA LEGGE N. 100/1958
In questa situazione, che potremmo definire di emergenza, si pensò
anche di predisporre gli strumenti giuridici per favorire e rafforzare
l’attività di contrasto e per affermare la supremazia della legge contro
coloro che la violavano giornalmente e talvolta con atteggiamenti di
resistenza attiva, se non proprio di violenza contro i militari, evitando
al tempo stesso abusi e perdite di vite umane.
164
Si pensi alla forza di intimidazione che può esercitare, di notte e in
montagna, una colonna costituita da 30/40 spalloni nei confronti di
una pattuglia isolata e costituita da due o tre finanzieri. Si ritenne,
quindi, di dotare anche i militari di un sistema di dissuasione in grado
di prevenire atti di violenza e di sopraffazione da parte di soggetti che
operavano in numero nettamente preponderante o con atteggiamenti di
violenza o, quanto meno, di resistenza attiva nei confronti dei pubblici
ufficiali in attività di servizio per la repressione del contrabbando. Si
pensò, quindi, di regolare con una normativa rigorosa e puntuale l’uso
delle armi, prevedendo tassativamente i casi nei quali poteva essere
invocata una causa di giustificazione, che escludesse l’antigiuridicità
del fatto, ancorché teoricamente riconducibile ad una fattispecie
penalmente rilevante.
La ratio che informava la legge era l’esigenza, da un lato, di evitare
un facile ricorso all’uso delle armi, dall’altro, di dotare i militari di un
mezzo estremo a tutela della loro incolumità e degli interessi erariali.
In verità, la legge trovò applicazione in rarissimi casi e in circostanze
di particolare pericolo per l’incolumità dei militari, tanto da poter
ricondurre, nella gran parte dei casi, il loro operato alla fattispecie
della legittima difesa o dell’uso legittimo delle armi.
Infatti, tutte le disposizioni operative di dettaglio erano improntate a
principi di estrema prudenza ed equilibrio anche per evitare reazioni
della popolazione locale, che non vedeva nel contrabbando un
comportamento moralmente disdicevole. Ciò rendeva ancora più
difficile l’operato dei finanzieri, che erano costretti ad agire in un
contesto ostile e caratterizzato da una giustificazione preconcetta a
favore “della povera gente” che ricorreva ad una forma di commercio
165
vietato dalla legge ma giustificato dalle miserevoli condizioni di vita
delle popolazioni di confine. Anche il Clero, i Parlamentari, le
Autorità locali e, soprattutto, gli organi di stampa locali erano
propensi ad un atteggiamento di tolleranza e comunque contrari ad atti
di coazione che prevedessero l’uso di armi da fuoco.
Dalla “Lettera aperta ai Finanzieri”, pubblicata su “La Provincia” del
22 giugno 1952: “ Poi venne il ventennio, che anche in questa materia
volle essere maschio e guerriero e perentorio……….. A voi, ubbidienti
esecutori di ordini iniqui, venne tutto il peso dell’impopolarità: e ciò
non è giusto poiché chi uccide lo spallone non è il milite che, stanco e
snervato dalla notte di appostamento in luoghi selvatici, preme il
grilletto del suo mitra, ma il burocrate romano, il legislatore romano
che non ha voluto mettere fra le leggi da abrogare, perché frutto e
arma di tirannide, anche la legge che condanna a morte, a metà del
ventesimo secolo, il contrabbandiere.
Ed ora, cari amici finanzieri, bravi ragazzi di ogni parte d’Italia che
siete comandati alla frontiera per difendere gli interessi dello Stato,
ponetevi una mano sulla coscienza:…………..abbiamo appreso che il
vostro Corpo è sotto la protezione di un Santo, S. Matteo, che da
gabelliere passò al seguito del Messia; chiedete, dunque, a S. Matteo,
che vi illumini e vi guidi quando vi trovate di fronte a quattro o cinque
rozzi e spauriti montanari con bricolla. Lasciarli passare, no
assolutamente: fermateli come potete, ma lasciate stare il mitra! Il
mitra è birbone, voi credete di scaricarlo contro le nuvole e magari
una pallottola rimbalza contro una nuvola e finisce nella groppa di un
contrabbandiere fuggente….. E poi? Poi la Giustizia,che non soffre di
simpatie e antipatie, prende quel morto e vuol sapere perché lo hanno
166
ucciso. E voi finite in carcere, malgrado le circolari del Direttore
generale che se ne sta a Roma…….”
6. IL TESTO DELLA LEGGE E LE REAZIONI IN PARLAMENTO
Ma vediamo ora cosa dispone la legge in questione.
6.1. La legge esordisce all’art. 1 stabilendo il divieto, di valenza
generale, di far uso delle armi da parte di ufficiali e agenti di P.G.
(cioè tutti) in servizio di repressione del contrabbando in zona di
vigilanza doganale, fatta eccezione per i casi di legittima difesa (art 52
c.p.), di uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.) di stato di necessità (art.
54 c.p.) e quando:
a) il contrabbandiere sia armato palesemente;
b) il contrabbando sia compiuto in tempo di notte;
c) i contrabbandieri agiscano raggruppati in non meno di tre persone.
Si tratta quindi di condizioni tassative, ma alternative, che possono
legittimare l’uso delle armi da parte degli agenti comandati “in
servizio di repressione del contrabbando in zona di vigilanza
doganale”, anche al di fuori dei casi previsti dal codice penale sopra
citati, e, in particolare, quando non si riscontra la necessità di
respingere una violenza o di vincere una resistenza, secondo la norma
di cui all’art. 53 c.p. Anche se non espressamente detto, si deve
ritenere che questa norma si riferisca alla zona di vigilanza doganale
terrestre, perché nel successivo art. 6, che riguarda la zona di vigilanza
doganale marittima, si prevede che l’uso delle armi “non è vietato” se
le imbarcazioni non ottemperano alle intimazioni di fermo, che di
167
notte vanno eseguite anche con segnali luminosi, previa esplosione di
almeno tre colpi in aria.
Su questo primo articolo si obiettò, durante la discussione in
Parlamento, che prevedere l’uso delle armi solo perché il
contrabbando veniva esercitato in tempo di notte non trovava alcuna
valida giustificazione, sia perché di solito i contrabbandieri agivano in
tempo di notte, sia perché al buio e in ambiente di montagna è
estremamente pericoloso esplodere colpi di intimidazione e di
avvertimento, senza correre il rischio di colpire le persone a causa
della irregolare conformazione del terreno. A maggior ragione, non si
doveva ammettere il ricorso alle armi quando le persone in attività di
contrabbando agivano in non meno di tre, considerato che il numero
non costituisce di per sé una situazione di pericolo per l’incolumità dei
militari.
6.2. Nell’art. 2 si fa divieto dell’impiego delle armi quando il
contrabbandiere si dà alla fuga e abbandona il carico. Su questa norma
la discussione in Parlamento fu particolarmente accesa per la strenua
opposizione di coloro che erano contrari a consentire l’impiego delle
armi nei confronti del contrabbandiere in fuga che però non
abbandona il carico, soprattutto alla luce di una uccisione avvenuta in
quel periodo ai danni di un giovane che stava portando in casa una
bricolla di sigarette. Sotto questo aspetto, la norma è più permissiva
delle norme previgenti, atteso che l’uso delle armi era precluso in caso
di desistenza del contrabbandiere che, per esempio, si dava alla fuga
verso il confine pur mantenendo il possesso del carico.
In effetti, sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte,
consolidatasi in periodi successivi e fino ad oggi, la fuga del
168
malvivente che ha consumato un reato è considerata resistenza passiva
e rappresenta una situazione che impedisce al pubblico ufficiale l’uso
legittimo delle armi agli effetti dell’art. 53 del c.p., salvo che si profili
un pericolo per l’incolumità degli agenti o di terzi che potrebbero
essere coinvolti nella vicenda, come nel caso che l’autore del reato,
fuggendo, mantenga il possesso dell’arma.
La resistenza posta in essere con la fuga, infatti, determina la
mancanza del rapporto di proporzione tra l’uso dell’arma e il carattere
non violento della resistenza opposta. Su questo aspetto esiste una
copiosa giurisprudenza concorde della Suprema Corte, che ha ribadito
più volte questo principio in occasione di processi nei confronti di
agenti delle Forze dell’ordine che avevano aperto il fuoco in direzione
di autovetture il cui conducente non aveva ottemperato alle
intimazioni di alt.
Questo impedimento sussiste anche quando il rapinatore fugge con la
refurtiva ma dopo aver abbandonato l’arma di cui si è avvalso per
commettere il reato.
Alla luce di quanto sopra, sarebbe ora considerato illecito far fuoco
verso un contrabbandiere che fugge con il suo carico e si correrebbe il
rischio di essere incriminati per omicidio. Naturalmente, si tratta di
una caso scolastico, atteso che quelle modalità di esercitare il
contrabbando sono ormai desuete, anche nel caso di sostanze
stupefanti, che vengono introdotte clandestinamente in modo
intraispettivo, cioè eludendo i controlli presso i valichi di frontiera
autorizzati.
Tuttavia, in questo caso, si potrebbe prospettare, ai sensi dell’art. 158,
ultimo comma, del regio decreto 773/1931 (TULPS), un uso legittimo
169
delle armi per impedire i passaggi abusivi di trafficanti che tentassero
di forzare i valichi di frontiera e, dunque, per il contrasto di una
condotta attiva invasiva e non di fuga. Ma si tratta di una causa di
giustificazione prevista da un’altra norma di legge: il Testo Unico
delle leggi di pubblica sicurezza.
6.3. Nell’art. 3 la norma così recita: “L’uso delle armi non è vietato
contro gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto veloci quando i
conducenti non ottemperino all’intimazione di fermo e i militari non
abbiano la possibilità di raggiungerli”.
In questo caso si tratta di una norma dalla formulazione ambigua che
ha portato, in passato, ad incidenti talvolta gravi per una errata
interpretazione della stessa. E, comunque, l’attuale indirizzo
giurisprudenziale esclude che una pattuglia appiedata possa usare le
armi in direzione di un’autovettura il cui conducente non abbia
ottemperato alle intimazioni di fermo. E’, quindi, una norma da
considerare desueta per il rilievo nettamente preminente del diritto alla
vita rispetto a qualsiasi altro interesse riconducibile all’affermazione
dell’Autorità dello Stato e del rispetto della legge.
E’, inoltre, da escludere l’uso delle armi per le pattuglie dotate di
automezzi idonei ad inseguire coloro che non ottemperino alle
intimazioni di fermo, ancorché si tratti di mezzi meno potenti rispetto
a quelli usati dai malviventi. Per questo motivo dagli anni cinquanta si
pensò si predisporre blocchi stradali occulti con l’impiego di catene
chiodate per fermare gli automezzi fuggitivi. Naturalmente, si trattava
di un sistema al limite della legalità per il pericolo di coinvolgere altri
utenti della strada, ma che comunque evitava pericolosissimi
170
inseguimenti con attraversamento ad alta velocità di centri abitati e
con i gravi pericoli insiti in questo tipo di contrasto.
In quel periodo il numero delle vittime per incidenti stradali, sia per i
militari della Guardia di Finanza sia per i contrabbandieri, fu di gran
lunga più alto delle vittime causate dall’uso delle armi, che, ripetiamo,
fu episodico e di dimensioni irrilevanti, anche per effetto di rigorose
direttive impartite dal Corpo per indurre i militari a desistere
dall’azione di contrasto nei casi nei quali non era possibile fermare i
soggetti in attitudine di contrabbando, piuttosto che ricorrere alle armi.
È una lotta che si protrae per oltre un trentennio, segnato da gravi
incidenti a danno dei contrabbandieri e dei finanzieri che persero la
vita nelle circostanze più imprevedibili e disparate, finché il cambio
sfavorevole del franco svizzero e l’avvento di traffici molto più
pericolosi e redditizi, aventi per oggetto sostanze stupefacenti, resero
via via meno remunerativo il contrabbando di tabacchi lavorati esteri.
In conclusione, si può affermare che la legge sull’uso delle armi, al di
là di quanto in essa previsto, è stata sempre applicata con estremo
rigore e prudenza, tenendo presente l’assoluta preminenza del diritto
alla vita rispetto a qualsiasi altro diritto ancorché di rilevanza
costituzionale. Si è anticipato quanto poi maturato in giurisprudenza e
in dottrina circa il necessario bilanciamento fra interessi in gioco,
salvaguardando sempre e comunque il diritto all’incolumità personale
di qualsiasi soggetto, salvo i casi nei quali fosse stata messa in
pericolo anche l’incolumità dei finanzieri, valorosi servitori dello
Stato, meritevoli di altrettanta tutela.
171
Gen. C.A. Mauro Michelacci
Il contrabbando di caffè al confine alpestre
1. PREMESSA
Buon pomeriggio, desidero innanzitutto porgere un cordiale saluto a
tutti gli intervenuti ed esprimere un sentito ringraziamento in
particolare al Generale Luciani per l’invito rivoltomi che mi offre
l’occasione di fornire un contributo nell’ambito di questo importante
convegno.
Prima di parlare dell’oggetto del mio intervento, è d’obbligo
premettere che il contrabbando rievoca in me, come credo in ogni
finanziere particolari ricordi e profondi sentimenti risalenti a un’epoca
173
in cui il contrabbando si poteva definire più “genuino” o che alcuni
scrittori definiscono, forse esagerando un po’, addirittura “romantico”.
Tali ricordi e siffatti sentimenti sono peraltro ben rappresentati anche
da un’ampia filmografia e produzione musicale nazionale.
L’Adelina-Sofia Loren del film “Ieri, oggi, domani” di Vittorio De
Sica che piazza un banchetto e vende sigarette nei vicoli di Napoli è
l’icona evidente di quella Napoli e dell’Italia di quegli anni.
Quella pellicola del 1963 racconta la vera storia di Concetta
MUCCARDI che continuò la sua attività fino alla morte, all’età di 78
anni, nel 2000, epoca in cui io ho prestato servizio proprio a Napoli
a
quale Comandante della ex X
Legione, prima e Comandante
Regionale, poi, fino al 2003.
Oppure mi sovviene alla memoria la famosa canzone di Ivan Graziani
“Lugano addio”, dove il cantante, nipote di un finanziere, canta
riferendosi all’immaginaria Marta “tu mi parlavi di frontiere di
finanzieri e contrabbando mi scaldavo ai tuoi racconti”.
Inoltre, come non ricordare i finanzieri che negli anni ’50 e ’60 e fino
ai primi anni ’70 trascorrevano le notti a ridosso del confine in attesa
degli “spalloni”, di coloro cioè che trasportavano in contrabbando
merce di ogni genere (sigarette, caffè, alcolici, ecc.).
E poi, gli anni, come dicevo ’70 caratterizzati, invece, dagli
inseguimenti a bordo delle nostre “alfa” per contrastare il traffico di
sigarette, anni in cui ho vissuto da Tenente episodi davvero nostalgici,
prima quale Comandante della allora Tenenza di Dongo e, quindi,
della Sezione Operativa della Compagnia di Ponte Tresa, con l’allora
Magg. Luciani, Comandante del locale Gruppo.
174
E ancora gli anni ’80 e ’90 che, sempre a contrasto del contrabbando
di sigarette, hanno visto la G. di F. protagonista dapprima nella cattura
dei motoscafi veloci che tentavano di forzare il dispositivo di
vigilanza marittimo nelle acque del canale d’Otranto e lungo le coste
pugliesi e quindi di grandi navi sequestrate, proprio dai miei Reparti
nel golfo di Napoli.
Oggi,
come
noto,
il
contrabbando
ha
assunto
dimensioni
transnazionali e rappresenta un fenomeno di accresciuta pericolosità
economica, finanziaria e fiscale, perché in grado di sottrarre ingenti
risorse al bilancio nazionale e a quello dell’Unione Europea e di
finanziare in modo rilevante l’attività delle organizzazioni criminali.
Il contrabbando, in sintesi, è un delitto commesso da chi, con un
comportamento doloso e, quindi, cosciente e volontario, sottrae o tenta
di sottrarre merci estere al pagamento dei diritti di confine.
Lo stesso costituisce, peraltro, un fenomeno criminale in continua
evoluzione che assume forme sempre nuove, attraverso continue e
rapide trasformazioni che impongono alla Guardia di Finanza
l’adozione di adeguate e innovative strategie di contrasto.
2. LE CAUSE E GLI STRUMENTI DEL CONTRABBANDO
Nei primi anni del XX secolo, il fenomeno, naturalmente oltre che via
mare, continuò a diffondersi via terra ai confini alpestri con la
Svizzera,
territori
che
conoscono
sicuramente
le
storie
di
contrabbando forse più note.
Infatti, non dobbiamo dimenticare che la frontiera terrestre tra il
nostro Paese e la Confederazione elvetica si estende per ben 740 km,
iniziando con il monte Dolent nella parte settentrionale del monte
175
Bianco, dove è collocata la triplice frontiera tra la Francia, l’Italia e la
Svizzera e termina ad est con una seconda triplice frontiera tra
l’Austria, l’Italia e la Svizzera.
Territori quali l’Ossola, il Ticino, il Vallese, la Valtellina, la
Valchiavenna, la provincia varesotta e comasca (in particolare con le
città di Como, Drezzo, Faloppio, Olgiate Comasco, Rodero, Ronago,
Uggiate Trevano, Maslianico, Bizzarone, Cavallasca, Ponte Chiasso,
Villa Guardia Lomazzo, ma anche Ponte Tresa, Luino, Clivio,
Cantello) assistevano al passaggio quasi quotidiano dei famosi
“spalloni” che portavano, nelle pesanti “bricolle”, merce di vario
genere in entrambi i sensi di marcia.
In effetti la povertà, da una parte e dall’altra della frontiera,
costringeva la popolazione a ricorrere a tali piccoli traffici, come
forma di economia parallela e talvolta di sopravvivenza.
Basti pensare che prima del secondo conflitto mondiale un viaggio tra
la Svizzera e l’Italia con un sacco da trenta chili di caffè poteva far
guadagnare ben sei lire, una cifra rilevante per quell’epoca!
L’emigrazione e il contrabbando ricevettero all’epoca un progressivo
impulso da una serie di misure “accessorie” imposte dal regime
fascista e dalle ripercussioni delle sue disgraziate avventure coloniali.
La chiusura delle frontiere e le merci gravate da dazi crearono così la
situazione ideale per lo sviluppo del contrabbando.
3. IL CONTRABBANDO DI CAFFÈ
Nel nostro Paese, fin dal 1919 vigeva il monopolio sul caffè e tale
prodotto, una volta sbarcato nei porti europei, compiva tragitti
davvero singolari per giungere, poi, illegalmente a destinazione.
176
Ercole Guarisco, un contrabbandiere di Bognanco, nel Verbano,
affermava: “lo scaricavano dalle navi a Genova; da lì passava in
Svizzera per il Gottardo; e rientrava in Italia sulle nostre spalle,
attraverso il passo del Monscera”.
Il caffè veniva inizialmente importato in contrabbando, crudo, e
tostato con il “tostin” che ogni famiglia di quelle zone di confine
aveva in casa, anche se doveva prestare attenzione, perché l’aroma del
caffè tostato, si percepiva a distanza con il rischio che i finanzieri
arrivassero subito in casa per i relativi controlli.
Allora il caffè, per il suo pregio, era considerato come se fosse “oro
nero” e con l’avvento dell’autarchia, durante il periodo fascista, le
famiglie furono costrette ad arrangiarsi sempre di più.
Chi non poteva permetterselo, tostava addirittura le ghiande di rovere
e poi le macinava, ovvero ricorreva alla cicoria essiccata, con risultati
facilmente intuibili.
Per dare un’idea delle persone coinvolte, all’epoca, nei traffici di caffè
è sufficiente rilevare che, tra il 1930 e il 1939, le persone giudicate per
reati di contrabbando dal Tribunale di Pallanza, nell’odierna provincia
di Verbano Cusio Ossola, furono 794, con una punta di 148 imputati
nel 1937, cifra questa sicuramente parziale considerando che non tutti
i contrabbandieri finivano sempre nella rete dei controlli della Guardia
di Finanza.
La forma più diffusa nelle modalità del contrabbando era quella del
sacco diviso in due cilindri, ottenuti cucendolo a metà per tutta la
lunghezza; in questo modo, la spina dorsale non veniva direttamente
interessata dalla pressione dei chicchi, si dava maggiore rigidità al
carico, e si rendeva, per quanto possibile, meno gravoso il trasporto.
177
L’inverno, poi, aggiungeva disagi e rischi ai viaggi, ma i
contrabbandieri, almeno i più tenaci, si adeguavano al tempo con
racchette, abiti pesanti, scarponi chiodati e piccozza; in alcuni casi si
muovevano anche con l’ausilio degli sci.
I carichi sequestrati ad ogni spallone fermato variavano da pochi chili
fino a oltre 35.
Quanto al margine di guadagno, da una sentenza del 1932 si rileva, ad
esempio, che il caffè sequestrato era stato acquistato a lire 16 al
chilogrammo, laddove solo il dazio sarebbe stato di lire 17,60.
Quanto ai rischi, invece, si poteva finire processati per contrabbando
anche per quantità minime di merce, quelle cioè che venivano trovate
addosso o in casa agli incauti acquirenti finali.
Per esempio una sentenza del 1936 ricostruisce il quadro di povertà
entro cui il contrabbando si svolgeva.
Agli atti processuali a carico di una coppia di Falmenta (VB) si legge
che: “oltreché per il rinvenimento nel di lei possesso di beni
contrabbandati, anche per la stessa sua ammissione di aver ricevuto il
caffè da una sconosciuta della Val Vigezzo in cambio di un sacchetto
di castagne secche”.
Inizialmente, il caffè di contrabbando veniva introdotto in Italia crudo:
serviva in prevalenza per i consumi della zona e veniva torrefatto in
piccoli quantitativi, a livello familiare.
In genere il compito degli “spalloni” si concludeva nelle stalle
deposito poste attorno ai paesi, mentre il viaggio del caffè ovviamente
proseguiva con i mezzi più disparati.
Quanto al contrasto, lo zelo con cui la Guardia di Finanza cercava di
reprimerne il contrabbando era encomiabile, anche se durante il
178
regime fascista i suoi compiti spesso si sovrapponevano a quelli della
neonata milizia confinaria.
La milizia, a differenza dell’origine meridionale della gran parte dei
finanzieri, era spesso costituita da personale settentrionale o del luogo
e, per tale motivo, evidentemente più indulgente verso i cittadini
locali.
A titolo indicativo, andando avanti negli anni ed esaminando i dati dei
sequestri di caffè e tabacchi effettuati, tra il 1966 e il 1993, dalla
dogana Svizzera a Campocologno e Viano in esportazione verso
Tirano (SO), emerge che gli sdoganamenti di tali prodotti verso
l’Italia andarono progressivamente aumentando fino alla metà degli
anni ’70; nel 1966, per esempio, a Campocologno furono sdoganati
6.459 tonnellate di caffè e circa 295 tonnellate di tabacchi, a Viano
oltre 1.600 tonnellate di caffè e 22 tonnellate di tabacchi, l’anno
successivo 1.378 tonnellate di caffè e 285 tonnellate di tabacchi a
Campocologno.
Nel 1970 a Campocologno furono sdoganati 5.275 tonnellate di caffè
e 589 tonnellate di tabacchi, mentre a Viano 5.095 tonnellate di caffè e
solo 92 kg. di tabacchi.
Il lavoro di sdoganamento della dogana Svizzera presso i citati valichi
di confine andò, invece, diminuendo vistosamente intorno alla metà
degli anni ’70.
Sul fronte italiano i funzionari della dogana e i finanzieri svolgevano
al meglio il loro lavoro, ma era raro che all’intimazione dell’alt dei
finanzieri i contrabbandieri si fermassero; sui verbali si evidenzia
costantemente l’intimazione del fermo, contrabbandiere che “molla” il
sacco, colpo in aria, contrabbandiere che fugge.
179
In alcuni casi vi furono anche veri e propri conflitti a fuoco tra
contrabbandieri e finanzieri.
Tale
Schmid
di
Agaro,
originario
forse
della
Svizzera,
contrabbandiere e bracconiere a tempo pieno, era noto e temuto, per la
sua confidenza con le armi, il suo coraggio e la spavalderia delle sue
provocazioni; famoso fu il suo tiro al bersaglio di cui fu oggetto la
bottiglia di due allibiti finanzieri al Passo della Rossa (VB), anche se
si trattava comunque di una provocazione rara per l’epoca.
Un personaggio leggendario del contrabbando ossolano e vigezzino
fu, invece, un certo Bartolomeo Pietro Margaroli da Mozzio, classe
1888, detto il “Negus”, una figura a suo modo mitizzata, in un
ambiente dove il contrabbando costituiva consolidata tradizione e
ragione spesso di sopravvivenza.
Il “Negus”, gestiva tuttavia quello che oggi verrebbe definito il
“racket” del caffè.
A lui toccavano i contatti con i fornitori oltreconfine, i pagamenti
(della merce e degli “spalloni”), e i rapporti, non sempre facili, con i
ricettatori.
Delle sue gesta parlano numerosi atti giudiziari dell’epoca.
Per esempio, una volta il “Negus” fu accusato di contrabbando di 180
chili di caffè, ma negò ogni accusa, mentre tale Cervo Antonio,
anch’egli noto contrabbandiere, accusò se stesso.
Cosicché il “Negus”, in quel caso se la cavò, per modo di dire, con
una dichiarazione di colpevolezza per contrabbando semplice e fu
condannato al pagamento di 7.000 lire di multa.
Dalla seconda metà degli anni ’50 si cominciò invece a importare, in
quantitativi via via crescenti, caffè già torrefatto di qualità inferiore,
180
distribuendolo poi in zone gradatamente sempre più ampie del nord
dell’Italia, nei bar e nelle torrefazioni, dove veniva utilizzato per
tagliare caffè di qualità più pregiata.
Nella circoscrizione della 6^ Legione di Como, l’espansione del
contrabbando di caffè fu certamente favorita dalla posizione
geografica di alcuni paesi, perché caratterizzati da numerosi passaggi
di confine, alcuni dei quali abbastanza agevoli e altri meno.
Per esempio, il tiranese era collegato con una fitta rete di vie montane,
ormai in disuso, ma sempre percorribili, che superavano le Orobie, le
valli bergamasche e le valli bresciane.
Nei periodi di blocco delle strade statali a Tresenda ed all’Aprica si
passava dal Passo del Mortirolo, da quello di Guspessa, da Trivigno,
dal Pian di Gembro, dalla Val Belviso.
L’altro fattore essenziale fu la presenza in quelle zone di confine di
manodopera disponibile ed assai esperta, costituita da persone che
avevano esercitato il contrabbando da sempre e che conoscevano alla
perfezione i territori, riducendo in tal modo la possibilità di essere
fermate dai finanzieri.
Peraltro il rischio nel contrabbando di caffè era minore rispetto a
quello delle sigarette, sia per il più basso costo della merce, che
riduceva i danni in caso di sequestro, sia per le minori pene edittali in
caso di condanna e sia, soprattutto, perché si intuì presto che era
possibile aggirare con maggiore facilità le disposizioni doganali, vista
l’indeterminatezza delle norme in materia di caffè.
Infatti,
mentre
era
possibile
per
la
Finanza
individuare
immediatamente la provenienza dei tabacchi di contrabbando,
181
altrettanto non era per il caffè, che veniva commerciato in sacchi dei
quali non era possibile accertare la provenienza.
Fu, così, elaborato lo strumento che anziché, comprimere, permise
invece un’espansione incontrollata del contrabbando di caffè nelle
zone alpestri.
Tale strumento fu la licenza di commercio di caffè o quello, ancora
più subdolo, della licenza di torrefazione.
Le torrefazioni ebbero uno sviluppo addirittura impensabile: ad
esempio negli anni ’60 furono tra le 15 e le 20 nella sola frazione di
Roncaiola di Tirano (che aveva intorno ai 50 residenti) e circa una
cinquantina nella provincia di Sondrio, quasi tutte gestite, anche
tramite prestanome, da persone di Villa di Tirano, Baruffini e
Roncaiola.
Aperta la torrefazione, tutto diventava relativamente semplice. Si
acquistava con regolare fattura un certo quantitativo di caffè crudo, si
effettuava la sua torrefazione (o, in molti casi, ci si limitava a
sostituirlo con analogo quantitativo di caffè di contrabbando già
torrefatto) e lo si caricava su auto o furgoni che partivano dal tiranese
per tentare la vendita del prodotto in tutto il nord Italia.
L’automezzo giungeva spesso a destinazione senza controlli, si
scaricava la merce in nero e si poteva così riutilizzare la fattura o
bolletta in un successivo viaggio; date in bianco, scritturazioni
confuse, fatture dubbie o false e trucchi del genere facilitavano le
frodi.
Si arrivò addirittura ad acquistare dalle periodiche aste doganali,
grossi quantitativi di caffè spesso deteriorato rivendendone poi i
corrispondenti quantitativi, costituiti però da caffè di contrabbando.
182
Si rivelava, pertanto, assai problematico per la Finanza, in caso di
fermo, accertare eventuali irregolarità anche perché non era consentito
l’arresto degli autisti: quando, in un momento successivo, anche a
breve distanza di tempo, si controllavano le torrefazioni, i quantitativi
venivano di norma riscontrati regolari, anche se verosimilmente
perché ricostruiti attraverso complicati giri di fatture o bollette di
dubbia attendibilità.
L’unico rimedio efficace era quello di sequestrare il caffè crudo prima
che entrasse nelle torrefazioni della fascia di confine.
Le località in cui si svolsero le più brillanti operazioni delle Fiamme
Gialle furono
prevalentemente il
Tiranese,
il
Bormiese,
la
Valchiavenna, il Verbano nonché le strade statali di confine del
comasco e del varesotto.
Da sottolineare in particolare anche la crescente espansione del
fenomeno nella zona di Livigno, nella quale i redditi da contrabbando
costituirono un importante volano per la realizzazione delle strutture
ricettive turistiche.
In quegli anni di boom del contrabbando al confine alpestre vi furono
anche morti tra i finanzieri, come nel corso di una operazione di lunga
durata un servizio di 56 ore consecutive in un clima siberiano, con 20
gradi sotto lo zero, 3 finanzieri furono investiti da una valanga, uno
solo si salvò, anche se dovette essergli amputata una gamba; mentre i
suoi due compagni, perirono.
Nel 1975, ci furono invece un morto e due feriti gravi, a causa di
un’uscita di strada di un’auto della Guardia di Finanza, in prossimità
di Villa di Tirano.
183
Da sottolineare, comunque, che gli sforzi dei finanzieri non sempre
erano premiati, perché spesso i procedimenti penali si concludevano
con l’assoluzione degli imputati, e ciò soprattutto per la carenza nelle
disposizioni di legge relative al contrabbando di caffè.
Si fece interprete di questo disagio “l’Eco delle Valli”, giornale della
Valtellina, in un articolo dei primi anni ’60, dal titolo significativo “la
G. di F. sequestra, il Tribunale li assolve”.
Il giornalista sottolineava la necessità di una nuova e più certa
disciplina legislativa relativamente al reato di contrabbando perpetrato
con caffè in modo da evitare, da un lato, processi inutili e, dall’altro la
demotivazione dei finanzieri.
Era innegabile, infatti, che una moltitudine di soggetti si
avvantaggiava della situazione: i contrabbandieri, e con loro avvocati,
i venditori di auto e negozianti in genere tutti, facevano buoni affari
grazie all’indotto di questo fenomeno fraudolento.
Per non parlare poi delle banche locali, per le quali il contrabbando fu
senz’altro, insieme all’attaccamento al risparmio delle popolazioni
della zona, all’origine delle loro fortune.
Nelle periodiche rilevazioni sulla situazione economica delle diverse
province non un cenno era riservato a tale attività; un settore che,
negli anni ’60 e nei primi anni ’70, contribuì alla formazione del PIL
della provincia di Sondrio almeno per il 20-25%.
Nel 1961 venne attivato, per un certo periodo, un posto di blocco fisso
a Tresenda (SO), creando lunghe code di auto con esasperazione di
abitanti e turisti.
184
Sommerso dalle critiche il blocco venne tolto e venne sostituito da
quello, ancora peggiore, del controllo accurato per non dire vessatorio,
delle dogane di Piattamala di Tirano e Villa di Chiavenna.
Gli svizzeri, che pure erano cointeressati al traffico, quando era il
momento di chiudere chiudevano! Il vero “stop” al contrabbando si
ebbe infatti nel 1961, quando scoppiò un’epidemia di afta epizzotica:
la Svizzera chiuse le frontiere.
Il contrabbando di caffè si fermò quasi del tutto e come scriveva un
giornale all’epoca: ”la serrata decretata dagli svizzeri, è stata
completa. Gli spalloni dell’Alta Valtellina si sono trovati, da un
giorno all’altro, disoccupati”. Disoccupazione che durò, peraltro,
abbastanza poco: circa un mese dopo la via era già riaperta.
Anche più avanti, nel periodo di maggior espansione del contrabbando
di caffè, gli svizzeri adottarono provvedimenti restrittivi.
Nel 1965 venne infatti vietata dalle autorità del Cantone di Grigioni la
circolazione degli spalloni dalle 22 alle 6 di mattina e proibita la
circolazione del caffè di domenica, nei giorni delle festività nazionali
e di quelle religiose.
In una riunione indetta nello stesso anno (1965) dal Prefetto di
Sondrio le autorità di pubblica sicurezza della provincia cercarono di
mettere in atto un piano d’intervento organico contro il contrabbando;
vennero adottati alcuni provvedimenti - tampone: un po’ di fogli di
via, qualche diffida ai contrabbandieri più noti, una maggior vigilanza
sui pubblici esercizi sospetti, un più incisivo pattugliamento sulle
strade, il rinvio di qualche decina di minorenni in famiglia.
La
richiesta
di
nuove
misure
legislative
che
riguardassero
l’importazione del caffè erano comunque ormai nell’aria: già all’inizio
185
del 1961 il deputato liberale Trombetta interrogava il Ministro delle
Finanze per conoscere se non ritenesse opportuno di intervenire
finalmente con sistemi e mezzi adeguati per combattere il
contrabbando di caffè, soprattutto nella zona di Tirano.
L’interrogante prospettava, davvero con lungimiranza, per scongiurare
il contrabbando di caffè, una riduzione dell’onere fiscale sul prodotto.
Le persone cominciavano, in effetti, a porsi qualche interrogativo sul
cosa stesse veramente evolvendo il contrabbando e sul permanere
dello stato di necessità che per secoli ne aveva giustificato l’esercizio.
Pochi mesi dopo la menzionata interrogazione parlamentare, il
comitato di presidenza della Federazione Italiana importatori di caffè,
evidentemente preoccupato per le dimensioni che il contrabbando
stava assumendo, oltre che per i danni per i suoi associati, chiedeva
anch’esso una modificazione della legislazione vigente, come detto
lacunosa ed imprecisa e che danneggiava pesantemente la categoria
degli importatori.
Nell’anno successivo (novembre 1962) in una serie di articoli sul
giornale sondriese “l’Ordine”, Giuseppe Mambretti, senza dubbio il
più lucido commentatore di quegli anni, tornava sull’argomento
segnalando che: “la legge relativa il caffè è lacunosa e permette di
legittimare con un capace giro di bollette un quantitativo illegittimo.
Il liberale on. Trombetta ha tuonato alla camera affermando che
l’attuale legislazione è iniqua. Gli hanno dato ragione i suoi colleghi
e la pubblica opinione, ma la legge è rimasta quella che era”.
L’articolista dopo aver fornito alcuni dati complessivi sugli ingenti
sequestri nel periodo, cercava di analizzare proprio le mutazioni, in
corso, del contrabbando.
186
Ricordava così le due posizioni contrapposte sull’argomento: “in
alcuni casi il fenomeno fa gridare allo scandalo, in altri porta a
giustificare per intero i contrabbandieri e il loro lavoro suggerendo
considerazioni non sempre veritiere, la nostra è una vallata dove il
contrabbandiere è di casa. Lo spallone, il contrabbandiere, per il
valtellinese, non è un fuorilegge”.
“Subito dopo il secondo conflitto mondiale la valle dell’Adda, specie
l’alta valle, era priva di industrie, valicare la linea di confine con un
carico di caffè o di sigarette era, allora, spesso una necessità. Tutti i
centri della provincia, da Chiavenna a Bormio, possono oggi contare
su complessi industriali.
I posti di lavoro non mancano, le cause che avevano originato il
contrabbando sono sparite o stanno per sparire. Perché gli spalloni, i
contrabbandieri, si sono assuefatti a un tenore di vita condito di
rischio e di forti guadagni, con possibilità di disporre di denaro, auto
e tempo e non vogliono rinunciarvi”.
L’autore prendeva in esame due tipi di contrabbandieri, diceva che
alcuni vivevano come i loro padri, sgobbando dalla mattina a sera,
portando il sacco di notte per comperare, magari, il trattore. Ma erano
poche queste persone.
La maggior parte di essi viveva alla giornata. La vera maggioranza
silenziosa degli spalloni, infatti, anche se meno appariscente,
alimentava i propri risparmi, li convertiva in immobili o li metteva in
banca e taceva, come peraltro l’enorme sviluppo edilizio del periodo e
la floridezza delle banche locali dimostravano in modo evidente.
Il contrabbando del caffè, scriveva il Mambretti nel 1964, “è diventato
una proficua industria, i contrabbandieri per far fronte alla richiesta
187
del loro mercato in continua espansione hanno dato vita a pericolosi
fenomeni
marginali,
creando
la
categoria
degli
addetti
al
reclutamento che raccolgono nuove leve, in un ambiente fino ad ora
indenne dall’influenza negativa del contrabbando, quello studentesco
del capoluogo e degli altri centri della vallata”.
Per sintetizzare, il fenomeno andava davvero degenerando ed
assumendo caratteristiche sempre più pericolose facendo venir meno
anche le possibili giustificazioni sul piano etico.
Il contrabbando di caffè assumeva in altri termini dimensioni sempre
più preoccupanti. Nel 1965 vennero, ad esempio, individuati ben 100
spalloni che marciavano in colonna e sequestrati 60 sacchi di caffè.
Invece di seguire la naturale via della riduzione dei dazi,
accompagnata da più incisive possibilità di controllo, si scelse di
nuovo quella della pura e semplice repressione.
Arrivò così la tanta sospirata legge n. 344 del 26 maggio 1966, frutto
del disegno di legge del 15 dicembre 1964 del Ministro delle Finanze,
On. Tremelloni.
Se la nuova legge frenò in effetti in un primo periodo il fenomeno,
certo non riuscì a sconfiggerlo, né tanto meno a rimuoverne gli aspetti
patologici. Anzi, aggravando le sanzioni ne favorì una più marcata
criminalizzazione.
Le nuove disposizioni erano, a prima vista, draconiane, ma troppo
complicate; oltre ad aumentare in modo notevolissimo le pene, fu
istituito un rigido sistema di autorizzazioni al commercio e alla
torrefazione del caffè, che prevedeva scritturazioni contabili analitiche
di carico e scarico e la commercializzazione dello stesso solo in
sacchetti di 5 kg., sigillati e con l’etichetta della torrefazione.
188
Tutto ciò, se determinò aumenti certi nel prezzo del caffè, non pose
fine ai traffici illeciti. Determinò piuttosto, fino al settembre 1966, un
aumento dei quantitativi introdotti in frode.
Ben presto l’inesauribile fantasia degli operatori individuò nuovi
sistemi di evasione.
Già nei primi mesi del 1967, a San Giacomo di Teglio, in provincia di
Sondrio, i finanzieri facevano irruzione in una abitazione privata e in
un locale rinvenivano tutta quanta l’attrezzatura per insacchettare e la
confezione dei pacchi di caffè da cinque chilogrammi: una macchina
auto punzonatrice e confezionatrice di pacchi, un recipiente
misuratore per insacchettatura, un piccolo silos, punzoni vari,
sacchetti però senza alcuna dicitura, una bilancia con relativi pesi ed
accessori vari oltre a 260 chili di caffè tostato in grani, parti dei quali
già confezionati in sacchetti.
Sempre a San Giacomo, nell’ottobre dello stesso anno, i finanzieri
fermarono una Citroen sulla quale si trovavano 245 kg. di caffè
confezionato
in
pacchi,
infatti
le
confezioni
figuravano
apparentemente regolari, ma ad un più minuzioso controllo risultava
che le etichette dei sacchetti, incollate di fresco, si staccavano
facilmente, veniva pertanto effettuata un’ispezione nella torrefazione
e, dal controllo del registro di carico e scarico, risultò che la merce
doveva essere stata messa in commercio già da circa un mese e
mezzo.
Nel novembre del 1967 vi fu poi un episodio eclatante.
Presso un edificio di Madonna di Tirano vennero sequestrati, insieme
a più di mezza tonnellata di caffè e al solito materiale, un silos per
confezionare sacchetti di caffè, 1 macchinetta rivettatrice normale, 1
189
bilancia, 1 macchinetta rivettatrice a mano, 1 timbro con cuscinetto
per la stampigliatura delle sigle e anche altri oggetti, tra cui una
mitragliatrice, una baionetta, 30 candelotti di gelatina esplosiva, 20
cariche di tritolo, 1 mitra Sten, 8 caricatori da 40 colpi, un arsenale in
piena regola.
A Roncaiola vennero addirittura, come scriveva nel 1970 “l’Eco delle
Valli”, trovate persone, che lavoravano sull’aia a confezionare il caffè.
In una serie di articoli del 1969, il solito Mambretti scriveva: “sono
tutti incensurati, hanno il loro contabile, il loro laboratorio funziona,
non è più un ammasso di ferraglia piena di ruggine com’era prima
della legge. Per loro la vita è difficile e si svolge a cronometro. Tanto
caffè se ne va nei sacchetti confezionati con timbro e bollo, tanto ne
deve arrivare ma al momento giusto, non prima che il carico sia
piazzato e non molto dopo, perché un controllo può mandare a monte
parte della copertura ed allora l’acquisto deve essere regolare ed in
questo caso non si parla di guadagno ma di perdita netta. Con la
nuova legge sul caffè i pasticci sono aumentati, il controllo è stato
aggiornato, i piccoli quantitativi fanno aver grane quanto i grandi”.
La nuova legge, lasciava tuttavia inalterati, o quasi, i problemi sociali
legati al contrabbando, soprattutto quello dei minori utilizzati come
spalloni, quello dei trasporti e dei mezzi usati per effettuarli e quello
dei fenomeni di violenza e di corruzione.
Il fenomeno del contrabbando di caffè era ormai entrato, in modo
irreversibile, nella sua fase discendente. Gli adulti si indirizzavano
ormai, quando possibile, verso lavori onesti e lasciavano il campo ai
soli professionisti accompagnati da gruppi di giovani inesperti che
190
venivano mandati allo sbaraglio ed erano pertanto i primi ad essere
fermati e denunciati.
Nel 1969, nel pieno del fenomeno, il solito “Gim” (Giuseppe
Mambretti) scriveva che anche gli autisti dovevano essere giovani e si
dividevano in due categorie: quelli d’assalto e i signorini.
Ai primi spettavano i trasporti pericolosi, scoperti, ove o si passava
per il blocco rischiando l’osso del collo, o si fuggiva per abbandonare
l’auto. Agli altri toccava invece il gioco sottile, quello del
doppiofondo con la divisa da turista, da commerciante, da commesso
viaggiatore.
Quanto ai viaggi d’assalto, in caso di posto di blocco con catena, la
fuga restava di solito l’unica via.
Il copione era sempre lo stesso: il contrabbandiere alla guida dell’auto
arrestava bruscamente il mezzo e si dava alla fuga per le campagne,
inseguito dalla Guardia di Finanza.
Fughe notturne, caroselli cittadini, stridore di gomme ed incidenti
divennero, all’epoca, una costante nella vita delle valli.
A volte i contrabbandieri, magari con uso di chiodi a 3 o 4 punte o
seminando olio sull’asfalto, o imboccando mulattiere sui monti,
riuscivano a fuggire, più spesso però, una volta individuati, finivano la
loro corsa sulle catene chiodate dei posti di blocco.
Anche la Guardia di Finanza allora si attrezzò meglio ed incominciò
ad usare l’elicottero, che costituiva il vero terrore dei contrabbandieri
d’alta quota, i quali fino ad allora, avevano avuto paura solo dei cani
anticontrabbando.
191
Sulle cime ed allo scoperto, di giorno, se interveniva l’elicottero non
c’era scampo. Molti fermi vennero infatti effettuati a seguito di
ricognizioni aeree o con intervento diretto dall’elicottero.
Comunque la situazione andava evolvendosi verso il peggio.
Alcuni contrabbandieri di caffè stavano rapidamente scivolando verso
la delinquenza comune.
L’ultimo tragico omicidio sulla via del caffè si verificò sulla piazza
della chiesa di Roncaiola, nella notte del 1 dicembre 1971. Un giovane
contrabbandiere, che era stato fermato ed ammanettato, estrasse una
rivoltella che teneva nascosta sotto il giubbetto e sparò 6 colpi contro
il finanziere che lo sorvegliava, riuscendo poi a fuggire.
Si consegnò qualche giorno più tardi, venne processato e condannato a
22 anni di reclusione.
Il finanziere, un giovane sardo di poco più di 20 anni, non aveva
neppure estratto la sua arma e il gesto non aveva alcuna possibile
giustificazione. Fu il segnale definitivo che il contrabbando, che pure
era stato per lunghi anni una componente tacitamente accettata del
vivere sociale e che aveva spesso rappresentato l’estremo rimedio alla
miseria, si era ormai trasformato in un’attività del tutto diversa, con
precise denotazioni delinquenziali, come tale da allora venne
considerato.
Il contrabbando di caffè del secondo dopo guerra era stato alimentato,
essenzialmente, da due condizioni: la possibilità di reperire
manodopera di buon livello ed affidabilità in quantità adeguate, ma
soprattutto la relativa stabilità del cambio tra franco svizzero e lira
italiana e gli elevati dazi di importazione.
192
La cosa consentiva di approvvigionarsi sul mercato elvetico di merci a
prezzi abbastanza concorrenziali, anche se per il caffè di qualità
scadente, e di ammortizzare i rischi dell’attività contrabbandiera ed i
maggiori
costi
di
trasporto.
ma la situazione si
modificò
profondamente.
Per prima cosa il rapporto lira/franco cambiò rapidamente, riducendo
sempre più il margine di guadagno per gli organizzatori, fino a farlo
sparire quasi del tutto. In secondo luogo molti spalloni tradizionali,
annusata l’aria, si erano dati ad altre attività lecite. L’ultima, definitiva
mazzata al contrabbando del caffè venne data dalla nuova politica
doganale seguita dallo stato italiano: negli anni ‘70 i dazi sul caffè
vennero ridotti e si esaurì ogni interesse economico all’esercizio di
tale attività.
4. CONCLUSIONI
Cosa rimane di quel periodo? Sicuramente i ricordi di tante avventure
in montagna sia da parte dei contrabbandieri di allora, sia da parte dei
militari del Corpo che li contrastavano.
Nel libro di Erminio Ferrari, “Contrabbandieri: Uomini e bricolle tra
Ossola, Ticino e Vallese”, che costituisce ancora oggi il più famoso
saggio sull’argomento, un ex “spallone”, con un po’ di nostalgia,
dichiarava che “…certe albe, certi colori, certe atmosfere di quegli
anni sono impagabili. Non li dimenticherò mai”.
A testimonianza di un’epoca, da alcuni definita “romantica”, perché
emblema di un’Italia povera e, allo stesso tempo, ingegnosa,
rimangono i numerosi passi di montagna come il passo del
Contrabbandiere, nei pressi della Punta d’Arbola nelle Alpi
193
Leopontine, il Pizzo Zucchero a 2.321 metri, affiancato da un Pizzo
Caffè a 2.352 metri, che sono due torrioni rocciosi nei pressi del Passo
delle Balmelle vicino alla Punta Valgrande nel contrafforte del monte
Leone, al confine tra il Piemonte e il Canton Ticino svizzero, un altro
Pizzo Zucchero, che si trova tra la Valle Onsernone e la Valle
Vergelletto in Svizzera, nonché i numerosi e, a volte epici racconti
estratti dalle cronache dell’epoca, alcuni dei quali abbiamo
velocemente ripercorso nel corso di questo intervento.
Oggigiorno è di tutta evidenza come sia ormai anacronistico e
improduttivo il riferimento agli schemi “classici” dell'attività
anticontrabbando dell’epoca che abbiamo sin qui esaminato.
E' invece indispensabile un approccio globale al problema, in cui,
tenendo conto delle effettive caratteristiche del mercato unico, venga
realizzato un sistema armonico di vigilanza e sicurezza finanziaria,
articolato in stretta aderenza alle necessità imposte dalle condizioni
economiche di riferimento.
In questo contesto, diventa di fondamentale importanza sviluppare
moduli sempre più efficaci di cooperazione internazionale.
Infatti, le criticità normalmente riscontrate in servizio hanno natura
prevalentemente tecnica ed operativa, in quanto il contrabbando ed il
riciclaggio dei relativi proventi hanno una rilevanza transnazionale,
che interessa le competenze e le giurisdizioni di differenti Stati e
Continenti.
Per questo motivo, si è proceduto verso un deciso rafforzamento dei
canali
di
cooperazione
internazionale,
sia
giudiziaria
che
amministrativa, per incentivare sempre di più l’attività di scambio info
– operativo, di supporto e coordinamento delle investigazioni condotte
194
in questo delicato contesto di polizia, soprattutto al di fuori dei confini
nazionali.
Solo attraverso una collaborazione più intensa tra stati si può
raggiungere l’obiettivo di individuare e disarticolare, anche in tempi
rapidi,
organizzazioni
criminali
altamente
specializzate,
interrompendo così fenomeni criminosi che mettono a rischio la
sicurezza economica e finanziaria dell’Italia e dell’Unione Europea.
Ringrazio tutti i presenti per l’attenzione.
*FONTI:
-
Contrabbandieri: Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese di
Erminio Ferrari, 1996;
-
La Carga, contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, di Massimo
Mandelli e Diego Zoia, 1998;
-
Relazioni e scambi alla frontiera tra Italia e Cantone Grigioni
negli anni della seconda guerra mondiale di Adriano Bazzocco, in
Le Alpi e la guerra: funzioni e immagini. Atti del convegno
internazionale di studi, Lugano 1 – 2 ottobre 2004, a cura di N.
Valsangiacomo, Bellinzona 2007;
-
Contrabbando alla frontiera italo – ticinese nella seconda metà
dell’Ottocento. Stato delle ricerche, problemi metodologici,
proposte interpretative, in Lo spazio insubrico, di Adriano
Bazzocco;
-
Il contrabbando nelle vallate comasche, in Val Cavargna.
Tradizioni popolari Magnani contrabbando, 1993;
-
Atti dei sequestri della Dogana svizzera a Campocologno e Viano.
195
Gen. D. Natalino Lecca
La vita dei Finanzieri nei Distaccamenti di montagna
All’inizio degli anni sessanta del secolo scorso ho avuto la ventura di
dover comandare quello che, a buona ragione, veniva considerato il
più disagiato dei distaccamenti di montagna della Guardia di Finanza
al confine italo elvetico: IL GIOVO.
Giovanissimo vicebrigadiere, all’uscita dalla scuola sottufficiali del
lido di Ostia, con il merito di essere risultato capo corso su 623 allievi
mi venne proposto dal mio comandante di compagnia, Cap. Montuori,
di restare alla scuola con l’incarico di istruttore.
197
Io durante la frequenza del corso sono stato più volte punito, secondo
me ingiustamente, dagli inflessibili istruttori che ero giunto alla
convinzione fossero sbirri di professione che godevano nel punire i
poveri allievi. Così quando mi venne richiesto se avessi gradito
esercitare tali funzioni manifestai la mia netta contrarietà indicando in
alternativa, a domanda, che avrei preferito essere assegnato ‘al più
disagiato distaccamento della Legione di Como’. Fu così che venni
accontentato appieno. Nel Corpo non era facile avere simile
considerazione e poter scegliere dove andare trasferiti. Io però fui
accontentato.
Così quando uscirono i trasferimenti trovai la destinazione per la
legione di Como. Era il 5 di agosto del 1961.
In attuazione della nuova legge di ordinamento del 1959 i parametri
per partecipare al concorso per la scuola sottufficiali erano stati ridotti.
Potevano concorrere i finanzieri e gli appuntati con meno di 35 anni di
età, con valutazioni di merito di almeno ‘superiore alla media’ e con
aver compiuto almeno 6 mesi di servizio al confine. Il limite
precedente era di 2 anni. Io entrai per il rotto della cuffia perché alla
data del concorso avevo raggiunto 6 mesi e qualche giorno. Così
all’uscita dalla scuola non avevo ancora raggiunto i due anni di
servizio e mi ritrovai, primo caso sino allora vicebrigadiere in ferma
volontaria. Il breve periodo precedente alla scuola lo avevo trascorso
in gran parte al confine Jugoslavo ed al gruppo sportivo Fiamme
Gialle.
Il 5 di agosto dopo la nomina, il nuovo giuramento e la consegna della
tessera di riconoscimento fummo messi in libertà con 12 giorni di
198
licenza al termine dei quali avremmo dovuto presentarci al reparto di
assegnazione.
Il 17 agosto
mi presentai a questa bellissima sede comasca del
Palazzo Terragni. Diligentemente avevo spedito i miei bagagli alla 6^
Legione di Como ma al mio arrivo non si trovarono. Appresi in
seguito che erano andati a Napoli. Di conseguenza dovetti partire per
il mio reparto di assegnazione con gli abiti estivi che indossavo
venendo via dalla Sardegna.
Dopo un lungo giorno di viaggio arrivai prima a Dongo e poi a
Germasino con un autobus vecchio e malandato che ad ogni tornante
doveva fare complicate manovre per proseguire. Ma alla fine arrivò.
Era ormai buio quando riuscii a capire dove era la caserma. Notai che
la gente che incontravo non era proprio ben disposta nei miei riguardi.
Ma giunsi a casa.
Era un vecchio lugubre casolare in pietra, quasi fatiscente e
scarsamente illuminato nel cui muro di cinta erano infisse delle lapidi
che ricordavano la storia della cattura di Mussolini e l’ultima notte da
vivo che aveva qui trascorsa.
Dopo aver scampanellato più volte venne ad aprire un finanziere che
dopo avermi scrutato per bene mi chiese cosa volevo. Probabilmente
mi aveva scambiato per uno spallone; senza bagagli, senza uniforme
ed in camicia estiva non pensava certo di aver a che fare con un nuovo
arrivato e si sorprese molto nel sentirsi dire chi ero. Prese il mio foglio
di viaggio e mi disse di aspettare.
Dopo un po’ venne all’uscio il comandante della Brigata; il Brig Neva
che mi fece strada verso il suo ufficio. Mi disse che non era ancora
giunta la comunicazione del mio arrivo ma che attendeva due nuovi
199
sottufficiali che avrebbero dovuto comandare i distaccamenti del
Giovo e di Sommafiume.
Io ero arrivato prima del previsto ma la cosa gli andava benissimo
perché il precedente comandante del Giovo era già partito per altra
destinazione ed al distaccamento i finanzieri erano rimasti soli. Avrei
dovuto quindi affrettarmi a raggiungere il reparto del quale avrei
dovuto assumere subito il comando.
Il Neva si preoccupò del mancato arrivo del mio bagaglio e del come
avrei vissuto lassù in montagna senza l’attrezzatura occorrente, ma la
cosa che mi chiese con maggiore insistenza fu se “sapevo fare i conti
del vitto”. Capì dal mio stupore che non sapevo di cosa si trattasse ed
io a mia volta realizzai che avrei dovuto coniugare immediatamente
l’uso del verbo “arrangiarsi”. Senza scomporsi troppo mi rassicurò che
qualcuno dei finanzieri mi avrebbe spiegato come fare.
Essendo ormai tarda ora non potevo avventurarmi per la montagna e
non avendo chi poteva accompagnarmi trasse la conclusione che avrei
dovuto dormire in brigata.
Non vi erano posti liberi. Si pose così l’alternativa di trovarmi un
cantuccio con un sacco a pelo o dormire nella stanza museo nella
quale si trovava la branda da campo che aveva utilizzato il duce
l’ultima notte da vivo. Quella che sta attualmente al museo di Dongo è
posticcia.
Si trattava di un branda militare con fondo di tela ruvida e senza
materasso. Mi sembro comunque la soluzione più conveniente e presi
alloggio. Mi dovetti adattare. Non avendo al seguito alcunché dormii
vestito.
200
Più che dormire restai sveglio pensando ai fatti accaduti in quei luoghi
e mi dedicai alla lettura dei documenti che erano custoditi nel locale.
Dopo incubi prolungati riuscii anche a dormire ma fui repentinamente
svegliato all’alba perché dovevo partire per il Giovo.
Non era ancora giorno quando il Brig. Neva mi accompagnò all’uscio
dove mi aspettava un giovane finanziere per scortarmi al
distaccamento. Fui rassicurato del fatto che la permanenza sarebbe
durata circa un mese, al termine della quale avrei avuto il cambio. Mai
affermazione fu così mendace. Non scesi a valle per tutto il periodo di
permanenza al Giovo. Un anno circa.
Così alle sei del mattino iniziai la mia vita di finanziere di
distaccamento di montagna.
Il mio accompagnatore ogni tanto mi guardava e mi chiedeva qualcosa
sui miei scarponi da sci, sul mio vestiario alpestre, sul materiale da
montagna e così via.
Io lo seguivo inconsciamente senza rendermi conto del perché delle
sue domande. Nessuno mi aveva reso edotto sulla vita in alta
montagna e nessuna attrezzatura mi era stata fornita al riguardo. Fu
più facile capire a cosa si riferisse man mano che salivamo di quota e
dopo l’arrivo al Giovo. Superato il paese di Garzeno ed usciti dalla
quota dei boschi incominciammo a salire per un sentiero pietroso
dove le mie scarpe da spiaggia incominciarono a logorarsi.
Salimmo per ore, superando baite e luoghi che la zelante guida
indicava per nome: il baitone, berseglio, il dosso di brente, il paraone
e così via.
201
Percorrendo il sentiero il finanziere lo indicava come “la strada
militare”. Altro non era che uno scosceso sentiero pietroso che si
inerpicava zigzagando su per il motto paraone.
Sul più bello si fermò per sparare contro una vipera che soleggiava sul
sentiero e quasi a titolo provocatorio mi chiese se avevo la mia
dotazione di siero antivipera. Alla mia risposta negativa mi tenne una
dotta lezione sul caso dicendomi che avrei sempre dovuto portare al
seguito tale medicinale e che avrei dovuto assicurarmi che tutti i
finanzieri ne fossero provvisti quando si recavano in servizio.
Continuammo ad arrampicarci finchè la mia guida mi fece notare in
lontananza su una brulla ed altissima vetta un’asta metallica con in
cima la bandiera italiana. Quello era il punto dove si trovava il Giovo.
Avevamo il sole a picco quando finalmente giungemmo in vetta. Al
nostro arrivo tutti i componenti vennero fuori dalla casermetta e si
riunirono nello spiazzo antistante da dove guardavano incuriositi il
nuovo arrivato che non riuscivano ad immaginare fosse il loro nuovo
comandante. Non avevo vestiario militare e nessuna insegna di grado
ed ero più giovane di molti di loro. Senza formalità militari iniziava
così la mia vita di finanziere nel distaccamento di montagna più
disagiato come da me richiesto.
1. IL DISTACCAMENTO DEL GIOVO
Il distaccamento del Giovo non era dissimile da altri disseminati lungo
l’arco alpino italo elvetico che dal lago di Lugano si inerpica verso est
sino a raggiungere il passo dello Spluga e lo Stelvio. Era stato
costruito per finalità militari di protezione della frontiera ed era stato
202
affidato nel 1870 alla Guardia di Finanza congiuntamente a quelli di
Sommafiume e del Vincino per l’attività anticontrabbando.
Alla sommità della valle Albano esisteva anche il distaccamento di
S.Iorio nel quale nel tempo avevano stazionato truppe alpine e che era
ormai dismesso ed abbandonato.
Tali distaccamenti per oltre un secolo hanno garantito la difesa
militare della frontiera ed il contrasto al contrabbando in prima linea.
Erano posizionati a circa 1800 metri slm.
Dalla vicina Svizzera venivano trasportate clandestinamente in Italia
su sacchi a spalla, le cosiddette “bricolle”, stivate sino all’inverosimile
di generi ad alta incidenza fiscale che consentivano lauti guadagni
all’atto della rivendita. Si trattava in gran parte di tabacchi lavorati
esteri e di caffè.
La povertà della vita nelle valli di frontaliera e le misere condizioni
degli abitanti rendeva per loro assai appetibile e conveniente questa
attività illecita che per molti rappresentava l’unica fonte di
sostentamento di tante famiglie ed era incoraggiata dai valligiani. Gli
spalloni erano gli eroi locali.
Lo Stato contrastava tali attività con il servizio della Guardia di
Finanza ed i finanzieri erano i loro odiati sbirri.
In prima linea agiva il personale dei distaccamenti di montagna che
operava ad alta quota. Erano le “vedette insonni del confine” e le più
sole. Più a valle agivano le brigate, i nuclei mobili, le tenenze e gli
altri reparti di stanza nel lungo lago lariano. Una speciale squadriglia
navale a sua volta pattugliava i due laghi.
L’attività più faticosa, difficile e pericolosa era svolta però dai
distaccamenti che operavano in condizioni climatiche ed ambientali al
203
diffuori di ogni immaginazione. Nevi eterne, valanghe, slavine, dirupi
scoscesi, valli impervie e sentieri sdrucciolosi, piogge intense,
grandinate e nebbioni impenetrabili costituivano l’ambiente di lavoro
di tutti i giorni. Così per lustri e decenni dal 1870 in poi.
Ho preso in consegna il distaccamento da un giovane finanziere con 2
anni di servizio. Era il più anziano del reparto. All’epoca l’anzianità,
anche relativa esistente tra i pari grado imponeva il rispetto gerarchico
totale. Gli altri componenti del reparto gli dovevano obbedienza. Oggi
tutto ciò fa sorridere. Il cameratismo e la democrazia imperano anche
dove se ne dovrebbe fare a meno.
Il distaccamento era costituito da un tozzo fabbricato in pietra,
semiscavato sulla montagna, grezzo all’esterno e rivestito di legno
all’interno e con un tetto metallico che garantiva la tenuta per la
pioggia e per la neve, sempre tanta e copiosa.
Il piano terra era costituito da un grande locale, buio e disadorno nel
quale era stivata una grande quantità di legna da ardere. Veniva
approvvigionata d’estate da legnaioli incaricati dall’amministrazione
Ad una parete era addossata una vecchia rastrelliera alla quale si
appoggiavano gli sci, le racchette da neve ed altri materiali. Una parte
del locale era recintato con una rete metallica e serviva per
l’alloggiamento dei cani anticontrabbando quando le condizioni meteo
non consentivano di tenerli all’aperto. Una vecchia porta in legno
permetteva di uscire all’esterno al lato valle. Una scala in pietra
portava invece al piano ammezzato. Addossato alla scala era ricavato
un misero gabinetto, una latrina con una tazza alla turca, senza acqua e
senza illuminazione. Costituiva la dotazione dei servizi igienici del
reparto. Il piano terra risultava seminterrato rispetto al terreno
204
adiacente ed alla prima neve la porta doveva essere chiusa ed i cani
alloggiati all’interno.
Sulla parete esterna a fianco della porta risaltava una lapide che
ricordava la fucilazione di quattro finanzieri da parte delle truppe
tedesche. Erano responsabili di aver aiutato un gruppo di ebrei a
raggiungere la Svizzera attraverso il passo di S. Iorio.
Al piano ammezzato, rivestito di legno dal pavimento, alle pareti ed al
soffitto, si trovava l’ufficio, piccolo e angusto che fungeva anche da
camera da letto del comandante. Vi erano sistemati oltre al letto la
rastrelliera con le armi, un misero scrittoio con le carte del reparto e la
radio trasmittente. Questo apparato rappresentava il nostro unico
collegamento con il mondo. Sinchè la batteria teneva la radio
consentiva di ricevere le notizie per il lavoro e quelle riguardanti i
singoli. Il nostro corrispondente era la Brigata di Germasino (cigno 4)
ma a tale altezza giungevano anche riverberi di trasmissioni da
Porlezza e da Menaggio.
Con la radio i finanzieri avevano saputo del mio arrivo.
Nello stesso piano si trovavano i locali logistici del reparto: la cucina,
rappresentata da una grossa stufa a legna in ghisa posizionata su una
parete del salone che serviva per cucinare e per scaldare l’ambiente, i
tavoli della sala mensa ed il magazzino.
Quest’ultimo era il locale più importante di tutti. Era la nostra
cambusa ove erano stivati tutti i viveri che dovevano assicurare la
sopravvivenza del personale. Purtroppo non c’era possibilità alcuna di
approvvigionarsi altrove, specialmente quando le tempeste di neve
impedivano di uscire all’esterno del caseggiato o di ricevere soccorsi
da valle.
205
I viveri erano censiti meticolosamente ed inventariati con i prezzi di
ciascun tipo. La pasta, il lo scatolame, i fiaschi di vino ed i generi a
lunga conservazione rappresentavano le voci più importanti. Vi erano
accumulati anche sacchetti di castagne secche e funghi porcini secchi
che però non erano inventariati perché procurati dai finanzieri che li
raccoglievano diligentemente durante i servizi effettuati a valle
durante i mesi estivi. Le castagne erano utilissime per la
sopravvivenza durante i servizi di lunga durata.
Nessuna traccia di carni, di verdure e di frutta. Nessuna cella
frigorifera od altre attrezzature per la conservazione dei viveri, scarso
pentolame di alluminio affumicato e posate appena sufficienti per
tutti.
I generi deperibili venivano portati su dal porta viveri il “Beppe” che
almeno due volte al mese, quasi sempre di sabato, saliva da
Germasino con i suoi muli stracarichi. Spesso lo accompagnava la
moglie Carlotta. Quando le condizioni meteo lo consentivano arrivava
fin su con le bestie dalla strada militare. Quando queste divenivano
proibitive
si fermava a fondo valle. Si utilizzavano le scorte
preesistenti. In casi estremi provvedeva l’elicottero. La “volpe” era
sempre ben gradita anche se la sua presenza era veramente rara ed
indicava situazioni di estrema emergenza. Sino al 1950 il servizio era
assicurato da un finanziere portaviveri che disponeva di un mulo in
Germasino. I viveri venivano approvvigionati per un anno intero nel
periodo estivo a cura del FAF che ne anticipava il prezzo d’acquisto e
ne assicurava la consegna. Venivano poi rimborsati dai finanzieri man
mano che si utilizzavano a mensa di giorno in giorno.
206
Da queste circostanze capii a cosa si riferisse il comandante Neva
quando voleva sapere se sapessi fare i conti del vitto. Era una cosa
importante. Ho imparato guardando i precedenti. Al riguardo esisteva
una ponderosa documentazione contabile che consentiva giornalmente
di scaricare i generi prelevati dal magazzino che venivano adoperati.
Ai commensali venivano addebitate le spese sostenute ripartendole in
quote personali. All’epoca non esistevano mense obbligatorie, buoni
pasto od altre facilitazioni. Il vitto era a carico dei commensali ed
ognuno pagava ciò che consumava.
Il comandante doveva giornalmente compilare il carpettone, la
carpetta e gli altri fogli vitto. I conti si inviavano in brigata ed i valori
venivano mensilmente addebitati in detrazione dallo stipendio.
2. IL DORMITORIO
Al piano alto si trovava la camerata finanzieri con i letti affiancati.
Nessun mobile esisteva per la custodia degli effetti personali. Nessun
armadio, neanche per l’uso comune. Sulla testata di ciascun letto un
rustico attaccapanni di ferro consentiva di appendere il vestiario
lungo, tuta pantaloni, giacche e giubbotti. Ai piedi del letto una rustica
panca consentiva di appoggiare lo zaino individuale ove veniva
riposta la biancheria, le calze, le camicie e gli altri effetti personali.
Scarpe e scarponi sotto il letto. La biancheria sporca veniva custodita
dentro un sacchetto munito del nome del titolare che ognuno teneva
sospeso alla testiera posteriore del letto in attesa di poterlo consegnare
al porta viveri per il recapito alla lavandaia convenzionata della
brigata.
207
Certamente il sistema non favoriva la salubrità dell’ambiente che per
quanto venisse areato restava sempre impregnato degli odori delle
persone. L’occupazione dei letti teneva conto dell’anzianità degli
occupanti; i più giovani vicino agli spifferi della finestra e se
occorreva si dovevano montare i letti a castello. La forza effettiva
media del reparto, costituita da 18 finanzieri circa non rendeva però
necessario montare il soppalco. Nei mesi invernali, quando la
temperatura diveniva molto rigida e la caserma restava quasi per
intero sommersa sotto la neve il dormitorio si riempiva di coperte e di
sacchi a pelo. Talvolta la finestra diveniva l’unica via di transito per
l’esterno.
In tutta la caserma non esisteva impianto di riscaldamento ne alcuna
predisposizione antincendio. Non vi era la luce elettrica ne l’acqua
corrente. L’illuminazione era assicurata dalle steariche e da qualche
lume ad olio artigianale ricavato dalle scatolette di latta. Solo in sala
mensa e nell’ufficio del comandante esisteva un lume a gas, ma le
reticelle si rompevano subito per cui il lusso apparente si
concretizzava quasi sempre nel buio. Anche perché le ingombranti
bombole occorrenti venivano recapitate raramente e malvolentieri dal
porta viveri. Anche in ufficio lume ad olio. A dire il vero al posto
delle quasi inutili bombole preferivamo ricevere batterie di scorta per
la radio del reparto e per quelle portatili che erano molto più utili per
la sopravvivenza e per il servizio.
L’’acqua occorrente per la cucina, per l’igiene personale e per la
latrina veniva portata in caserma con i secchi da una sorgentella che
sgorgava poco a monte del distaccamento. D’inverno tutto gelava e
208
per avere l’acqua venivano portati dentro casa cumuli di ghiaccio col
toboga e con i secchi.
3. LO SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO
Per contrastare il contrabbando venivano quotidianamente comandati
faticosi e lunghissimi turni di servizio.
Raramente
restava
qualcuno
“disoccupato”.
Ogni
giorno
si
organizzavano pesanti turni di “perlustrazione con appostamento” per
vigilare quantomeno le “bocchette” di maggiore pericolosità di
transito degli spalloni. Si trattava di una attività ragionata, disposta
con un certo acume operativo in funzione delle notizie riguardanti i
movimenti degli spalloni nel territorio svizzero. Per meglio capire
cosa fare nei primi tempi ho effettuato una meticolosa ed attenta
ricognizione della circoscrizione, ho ascoltato con attenzione i
consigli dei finanzieri più anziani e mi sono letto le scritture di
servizio dei mesi precedenti.
Non molto utile risultava il documento di impianto del reparto,
l’Ordine permanente di servizio non forniva indicazioni utili sul come
operare. Riportava una stringata mappa cartografica con i limiti della
circoscrizione, una dettagliata indicazione dei luoghi di vietato
attraversamento che non potevano essere percorsi dalle pattuglie,
specie d’inverno.
Dal mio arrivo sino a gran parte del mese di settembre il tempo si
mantenne abbastanza buono e ne approfittai per fare molte
ricognizioni. Così mi divennero noti i luoghi che avevo trovato
indicati nei fogli di servizio predisposti prima del mio arrivo. Scoprii
l’ubicazione dell’albergo Pomodoro ricavato a favor di vento nelle
209
adiacenze dell’omonima bocchetta. Il nomignolo serviva a non
scoraggiare i finanzieri che vi si recavano per la prima volta. In breve
tempo mi divennero noti e familiari i nomi di tutte le bocchette dalle
quali potevano più facilmente transitare gli spalloni. Albano,
Nenbruno, Traversa, S:Iorio, Cima di Cugn, Stazzona e così via. In
poco tempo entrarono nel frasario di servizio. Scoscesi dirupi
mozzafiato rappresentavano le valli di Albano e di S:Iorio i cui
torrenti riversavano le loro acque sul lago di Como. In poco spazio in
linea d’aria si scendeva dai 2200 metri delle creste ai 250 metri del
lago.
Col bel tempo il panorama sulle cime era ammirevole e questo
compensava in parte il disagio di permanere lassù. Il bel tempo però
era assai raro ma quando ciò accadeva potevano mirarsi le bellezze del
lago Maggiore e dell’alto Ticino, del Lago di Lugano e dell’alto Lario.
Tutto però spariva in un baleno. Nebbioni impenetrabili, tormente di
neve, piogge e grandinate e violentissime bufere di vento si
susseguivano per tutto l’inverno. Talvolta era talmente difficile
orientarsi e per rientrare dovevamo farci aiutare dalla nostra bandiera
che da lontano guidava i nostri passi verso casa.
Dopo l’innevamento le porte non erano agibili e si usciva dalla scala
della sala mensa e nei casi più tristi dall’abbaino del dormitorio.
Il divieto di transito di molte zone rendeva più lungo e difficoltoso
raggiungere i punti di appostamento. Per molti mesi il Paraone e la
valle di confine sotto S: Iorio erano intransitabili. Lungo il percorso
affioravano numerose lapidi poste nel tempo a testimonianza
dell’estremo sacrificio di molti colleghi che in tali montagne hanno
perso la vita nell’adempimento del dovere.
210
Giungere al Giovo d’inverno dalla strada militare non era possibile.
Per scendere si doveva puntare al fondo valle diritti in giù fino al letto
innevato del torrente Albano e da qui raggiungere faticosamente
Germasino. Tra lo spiazzo antistante il Giovo ed il fondo valle si
trovava una cordata metallica. Per venire su al Giovo bisognava
percorrerla tutta.
Tale via era normalmente seguita anche dal porta viveri con i suoi
muli stracarichi. D’inverno però ciò non era possibile. Troppo ripido il
percorso. I finanzieri del distaccamento dovevano quindi portarsi a
fondo valle ad attenderlo e risalire lungo la cordata portando su quanta
più roba possibile cadauno. Così, in ore ed ore di sacrifici si compiva
quest’opera. Un passo avanti e tre indietro, con la neve sino al petto e
le mani spellate dal contatto della corda gelata. Ma questo era l’unico
modo di avere i viveri freschi, la posta privata e d’ufficio le batterie e
la biancheria pulita.
Il giorno del mio arrivo, avvenuto secondo la guida agevolmente
lungo la via militare, (6 ore di marcia) bagnato di sudore sino
all’inverosimile mi ero permesso di chiedere di poter fare una doccia,
sollevando l’ilarità di tutti. Il sistema per non restare puzzolenti in
eterno consisteva di prendere un pò di acqua tiepida dalla cucina e di
riversarla in un catino che veniva usato per tale incombenza. Sapone e
spugna per completare l’opera.
4. L’ATTIVITÀ’ DI SERVIZIO
Il servizio anticontrabbando veniva svolto da pattuglie di tre o due
militari. Non si usciva a caso ma ci si organizzava a ragion veduta. Il
tutto era legato ai movimenti degli spalloni. Quando si allontanavano
211
dalle loro case a valle si disponevano appositi punti di osservazione
per cercare di stabilire quali strade avrebbero percorso per rientrare
carichi in Italia.
Molte volte raggiungevano la Svizzera dal valico di Oria e poi si
recavano nell’abitato di Carena e risalivano verso l’alpe del Gesero ed
alle baite del Giggio. Altre volte risalivano la valle Albano da dove
raggiungevano direttamente le baite del Giggio.
Gli itinerari di rientro riguardavano quasi sempre le valli Albano o S.
Iorio. Quotidianamente veniva organizzato un servizio di vedetta in
Marmontana od all’alpe di Cugn. Il finanziere di guardia con il
binocolo cercava di capire le reali intenzioni degli spalloni e le
direzioni prese e con la radio segnalava al Giovo ogni circostanza.
Spesso però le tormente e la nebbia pregiudicavano tali osservazioni
ed il servizio doveva essere svolto comunque sperando di azzeccare le
piste di rientro.
Le pattuglie lasciavano il distaccamento prima che gli spalloni
lasciassero le baite del Giggio in modo da portarsi verso le bocchette
senza essere individuati dalla controsservazione nemica, che talvolta
era assicurata dalle guardie svizzere. Tanta fatica risultava talvolta
vana ed inutile.
Le pattuglie che dovevano raggiungere le bocchette più lontane
svolgevano turni di servizio di 72 ore. Non era certo facile trascorrere
tre giorni all’addiaccio senza tenere in conto le condizioni del tempo.
Le pattuglie partivano dal distaccamento portando al seguito
cappottoni da scolta, mantelle impermeabili, l’armamento, lo zaino
affardellato con i viveri ed il sacco a pelo.
212
Portavano anche la radio portatile e talvolta anche un sacco a pelo di
scorta per il cane anticontrabbando. Nello zaino venivano stivati i
viveri: salumi, scatolame, fiaschi di vino, la grappa e le gallette.
Vederli partire con la gavetta ed il bicchiere di alluminio penzolanti
dallo zaino faceva molta tenerezza. Non c’erano però in loro segni di
sconforto, anche se non avevano l’aspetto severo e marziale di una
pattuglia militare da parata, ma in loro emergeva la consapevolezza di
svolgere il proprio lavoro sapendo che ciò rappresentava il comando
ed il giuramento prestato. Non mancava in essi la speranza di premio,
cioè di rientrare con altri carichi: le bricolle sequestrate.
Per i posti di appostamento più vicini si organizzavano pattuglie più
leggere, con turni di 24 ore o anche inferiori. Questi turni si
svolgevano anche dopo poche ore dalla fine dei servizi precedenti.
Sacrifici su sacrifici senza mugugni o proteste. Le ore giornaliere
obbligatorie previste dall’O.P.S. erano un optional e nessuno faceva
caso al numero delle ore effettive prestate. Non esistevano gli
straordinari ma tutto rientrava nell’ordinarietà delle cose.
Stare in servizio per tante ore era molto faticoso e pericoloso, anche
perché si doveva attentamente ascoltare senza fiatare. All’ascolto non
vi era diversivo.
Quando la temperatura scendeva molti gradi sotto lo zero bisognava
stare attenti a coprirsi al meglio ed a non addormentarsi. La
conseguenza più normale sarebbe stata l’assideramento delle mani e
dei piedi. Per fortuna però questo raramente avveniva.
Nella neve venivano ricavate profonde buche che venivano chiuse
contro vento e ricoperte da un lenzuolo candido per evitare che
venissero individuate dalle staffette degli spalloni.
213
Abbastanza di frequente questi venivano intercettati ed al grido di
“molla!” venivano costretti ad abbandonare il carico. Raramente
capitava di arrestare i colpevoli. Esisteva un tacito modus operandi
che giudicava conclusa l’operazione di servizio con il sequestro del
carico e non anche con l’arresto degli spalloni. In questi casi questi
potevano rientrare indenni alle loro case dopo tanta fatica per nulla.
All’arresto si procedeva in caso di resistenza violenta o di reazione
fisica od armata.
I fermi non erano infrequenti, a dimostrazione che le strategie di
contrasto erano abbastanza valide. Le bricolle però raramente
venivano portate su al distaccamento ma venivano fatte scivolare giù
sino alla brigata con l’aiuto di altri finanzieri.
In brigata tutti festeggiavano ed organizzavano le cerimonie delle foto
ricordo nelle quali raramente comparivano gli effettivi sequestratori.
Gli incontri con gli spalloni erano spesso fortuiti, talvolta per caso, al
buio, altre volte occorrevano lunghe e faticose rincorse sino al fondo
valle per raggiungerli. Raramente occorreva far uso delle armi, ciò
accadeva se si incrociavano grossi assembramenti in grado di
sopraffare le sguarnite pattuglie. Di notte per aiutarsi si impiegavano i
razzi di segnalazione minolux.
Diversi finanzieri preferivano operare da soli. Si trattava dei più
accaniti e fanatici, affetti da “bricollite acuta” molto difficili da
gestire. Sparivano dal reparto, talvolta con pochi viveri e senza radio.
Ma bisogna convenire che erano anche i più produttivi ed erano i più
temuti dagli spalloni. A volte operavano sequestri che poi non erano
in grado di gestire da soli ed occorreva mandar loro incontro rinforzi
per evitare che i valligiani si riappropriassero delle bricolle.
214
5. LA VITA IN DISTACCAMENTO
All’Ordine permanente di Servizio era allegato l’Ordine delle
operazioni Giornaliere, che stabiliva come dovevano svolgersi le
“operazioni di giornata”. Sveglia, aereazione degli effetti letterecci,
pulizia dei locali, orario di mensa, libera uscita, ritirata, etc. Questa
disposizione, simile a quella dei reparti ordinari non era attuabile in
distaccamento. Faceva abbastanza sorridere.
La sveglie era una cosa molto teorica. Le pattuglie rientravano quasi
sempre in piena notte, stanche morte, fradice ed affamate. La prima
operazione che veniva effettuata, peraltro certamente non codificata
era quella di cucinare per tutti la pasta alla finanziera. Spaghetti aglio,
olio ed acciughine in quantità. Dopo questa lauta e robusta colazione
fuori orario tutti andavano a dormire ed il dormitorio restava chiuso e
buio. Così gli orari della sveglia e dell’aereazione degli effetti
letterecci restavano lettera morta, così come la pulizia del locale. Tutto
passava in second’ordine e bisognava attendere il risveglio per potervi
accedere.
Entrando nel dormitorio ci si scontrava con odori poco piacevoli di
sudore e di fumo. Occorreva percorrerlo al buio e senza far rumore
perché si rischiavano violente scarpate.
Il fumare non era vietato ma in merito dopo violenti alterchi e bisticci
tra i tabagisti ed i non fumatori venne imposto il divieto di fumare
all’interno della caserma. Anche perché io non fumavo. Chi voleva
fumare poteva farlo recandosi fuori del caseggiato. Per taluni
ironicamente questa era la libera uscita.
Tra i servizi più importanti rientrava quello del casermiere che durava
senza sosta per una settimana. Il militare prescelto doveva saper
215
cucinare. Veniva aiutato da un altro finanziere, di solito più giovane e
inesperto delle cose di cucina che in tal modo imparava il mestiere. Il
casermiere ed il suo aiutante dovevano alzarsi al mattino presto,
accendere la cucina a legna o riattizzare il fuoco lasciato acceso la
notte per scaldare la caserma, dovevano portare l’acqua dalla sorgente
ed assicurare la pulizia dei locali e della latrina.
Le operazioni di cucina vere e proprie iniziavano in tarda mattinata.
C’era da preparare il sugo, pelare le patate e disporre i piatti e le
posate per il pranzo. Le cose non erano difficili ed erano sempre
uguali. Le dotazioni di viveri a secco non consentivano molte varianti
ed il menù non lasciava scampo. Non esisteva alcuna commissione
vitto ed i commensali erano rassegnati a subire la monotona
quotidianità del menù predisposto senza molta fantasia dal casermiere.
Il lavoro pesante svolto e la giovane età dei commensali non
lasciavano spazio a proteste. Tutto era legato alle disponibilità di
magazzino. Poiché il porta viveri veniva su tradizionalmente il sabato,
ci si rendeva conto della domenica perché a tavola venivano servite le
bistecche e l’insalata. Ma si trattava di cose che duravano poco. Una
variante molto gradita derivava dall’attività dei finanzieri barbaricini
che riuscivano ogni tanto a barattare con i valligiani all’alpeggio
qualche capretto in cambio dei nostri fiaschi di vino. Era festa grande,
anche se il vitto speciale non coincideva con ricorrenze religiose o con
particolari festività.
Raramente ricevevamo al passo di S. Iorio la visita dei gendarmi
svizzeri. Questi si facevano vedere solo quando gli occorreva la pasta
o l’ottimo vino italiano, che permutavano con la loro cioccolata.
216
Per il resto i giorni in distaccamento erano sempre tutti uguali. Non
abbiamo mai visto un cappellano od un medico. L’unica cosa che
ognuno annotava erano i giorni che gli mancavano presumibilmente
per rientrate in brigata a valle. Non aveva alcun significato la libera
uscita od il riposo settimanale. In distaccamento non si disponeva di
abiti civili. La cosa era vietata.
Molti neo finanzieri che giungevano da Predazzo senza neanche
sostare il brigata non avevano la minima idea di dove fossero.
Venivano eruditi dai più anziani che raccontavano loro delle bontà
delle ragazze di Garzeno, di Germasino e di Dongo. Comunque quasi
tutti chiedevano 48 ore di riposo dopo aver superato almeno due
settimane di intenso e continuo lavoro per recarsi a valle. Taluni
riuscivano anche a raggiungere Como e Milano ed al rientro
raccontavano le loro gesta amorose vere o presunte riempendo di
invidia i colleghi all’alpeggio. Qualcuno ogni tanto faceva una
scappatella in svizzera rabberciando capi di vestiario degli uni e degli
altri. In uniforme non era assolutamente possibile varcare la frontiera
ed i rigorosi controlli della gendarmeria scoraggiavano anche i più
audaci. La meta di questi raid era lo chalet del Gesero, dove esisteva
un bar ed una appetibile sala da ballo con belle signore svizzere. Ma
questa avventura da sogno era appannaggio di pochi.
La vita del distaccamento si svolgeva entro le quattro mura della
caserma e nello spiazzo antistante. L’attività più ricorrente riguardava
il gioco delle carte. Si svolgevano tornei di briscola e di scopone con i
quali ci si giocavano i turni di servizio da effettuare. Ai perdenti
restavano i turni più faticosi ed i fiaschi di vino da pagare per la
comunità.
217
In distaccamento non erano attuabili neanche le punizioni disciplinari.
La minaccia di consegna faceva sorridere. Così i puniti dovevano fare
altre cose prima fra tutte pagare i fiaschi di vino, che venivano appesi
in bella mostra ai grossi chiodi infissi nel trave principale del soffitto
della sala mensa. Le altre punizioni disciplinari consistevano nel dover
spaccare la legna per la cucina, approvvigionare la neve per fare
l’acqua, pulire la latrina e preparare il vitto per i cani.
A questo però provvedevano quasi sempre i cinofili che mettevano da
parte i rifiuti della mensa. Anche i cani soffrivano delle ristrettezze
alimentari del reparto. Niente pasta con verdura e carne tritata o riso
bollito come stabilito dalla dieta veterinaria.
Una cosa che tutti mal tolleravano era l’obbligo, che durava tutto
l’inverno, di rendere libero lo spiazzo necessario per l’atterraggio
dell’elicottero. Spesso si dovevano spalare metri di neve. La
predisposizione però dava una contropartita interessante. All’interno si
potevano realizzare combattute partite di pallavolo o di calcetto.
Anche in tal modo ci si giocava la scelta dei turni di servizio. Tutto
andava bene finché il pallone non superava il bordo esterno della
pista. Il pallone andava a fondo valle con buona pace dei contendenti e
se tutto andava bene si recuperava col disgelo a primavera. Quando
c’era il sole nella neve alta venivano stese coperte da campo e
lenzuola e si poteva fare l’elioterapia, sarebbe meglio dire la tintarella
integrale. Non c’era pericolo di essere visti da terzi. Quando si poteva
si organizzavano dei corsi sci lungo la linea dei tralicci ENEL. Ma la
cosa era molto difficoltosa e pericolosa.
Ma c’erano dei pazzoidi scalmanati che andavano sino alla vetta del
Paraone e scendevano a capofitto per il traverso provocando anche
218
slavine e valanghe. Questo consentiva di alleggerire la massa nevosa
che gravava sulla strada militare, che però rimaneva comunque
impercorribile.
Altra situazione di disagio era legata all’assistenza sanitaria. Mai
visto un medico al Giovo. Mai effettuati controlli sanitari. In
distaccamento esisteva solo una cassetta di pronto soccorso, con un
flacone di acqua ossigenata e di alcool denaturato di piccole
dimensioni, qualche garza ed un rotolo di cerotto autoadesivo. L’unica
cosa abbondante erano le fiale antivipera. Insomma senza infermiere o
altri addetti il comandante e qualche elemento di buona volontà si
dovevano arrabattare per far fronte ai piccoli imprevisti e nulla di più.
Quando qualche militare malauguratamente aveva una frattura o la
febbre alta ed abbisognava di cure
o di essere ricoverato tutto
diventava molto complicato. Via radio arrivava sempre lo stesso
ordine: trascinatelo a valle.
Così scattava una penosa gara di solidarietà tra i colleghi e se il ferito
non era in grado di tenersi in piedi si metteva in uso il toboga.
Scivolando penosamente lungo la cordata metallica i volenterosi
cercavano senza scossoni di farlo arrivare a fondo valle tutto intero. Il
personale della brigata veniva incontro a questi disperati e completava
l’opera di assistenza sino all’ospedale di Gravedona. D’inverno tutto
era molto più complicato ed al rischio sanitario si aggiungeva quello
ambientale per il malato e per i soccorritori.
Mai una volta che qualche anima buona avesse pensato di dare
disposizioni
per
l’uso
dell’elicottero,
che
puntualmente se l’infortunato era uno dei cani ac.
219
invece
arrivava
Ci si sentiva talvolta trattati peggio dei cani. I cinofili commentavano
sempre amaramente che nel caso si fossero fatti male avrebbero
acciaccato il loro cane per fruire dello stesso volo.
Tutto sommato però, ad eccezione di qualche raro caso la situazione
sanitaria si manteneva buona ed il morale alto. Si trattava di giovani
temprati alla fatica e di ottimi soldati.
Il tempo trascorreva serenamente e dopo periodi più o meno lunghi
l’amministrazione si poneva cura di far cessare
questo servizio
disagiato disponendo trasferimenti verso reparti migliori. Comunque
tutto era migliore rispetto al Giovo e a Sommafiume.
Da vecchi il ricordo di quei tempi non è venuto meno. Il
distaccamento del Giovo è diventato un gradevole rifugio alpino CAI.
“Quelli del Giovo” hanno posto fuori dell’uscio una targa a ricordo
dei cento e passa anni di servizio svolto lassù e per ricordare i colleghi
caduti nell’adempimento del dovere. I più intraprendenti hanno scritto
un libro a ricordo e censito diligentemente i nomi di tutti coloro che vi
hanno vissuto . Ci si raduna annualmente al Giovo, dove ove ora che i
finanzieri non servono più si arriva in macchina da una comoda strada
di montagna, c’e la luce elettrica e la televisione, il riscaldamento un
ottimo bagno con doccia ed altri confort. E si mangia veramente bene.
Ma il piatto più richiesto e sempre quello della pasta alla finanziera
delle tre di notte. Spaghetti all’aglio e olio ed acciughine.
Gen. D. Dott. Natalino Lecca
Uno di “Quelli del Giovo”
220
Maresciallo Ord. Mauro Saltalamacchia
L’editoria e la pubblicistica sul contrabbando
1. PREMESSA
I Desidero in primo luogo porgere a tutti gli intervenuti il mio più
cordiale saluto e ringraziare in particolar modo il Presidente ed il
Direttore del Museo Storico, per l’invito rivoltomi ed i miei superiori,
per aver consentito la mia partecipazione a queste giornate di studi.
Prima di esporre la mia relazione, consentitemi una breve digressione
biografica, anche se di ben altra caratura rispetto a quelle sentite
221
finora. Non vi nascondo infatti l’emozione di parlare proprio in questo
edificio, che mi ebbe a battesimo come neo finanziere assegnato alla
6a Legione di Como in anni relativamente recenti, ma nei quali essere
annoverati tra le “vedette insonni del confine” aveva ancora un
significato non solo nostalgico, ed i colleghi più anziani ammonivano
i nuovi arrivati sui bar e i locali da non frequentare, poiché se ne
aveva ancora memoria come ritrovo di contrabbandieri.
Il ricordo di questo recente passato, ci conduce all’argomento della
mia relazione, la quale verterà sull’editoria e sulla pubblicistica sul
contrabbando, ossia sulle opere dei più disparati generi realizzate dagli
uomini e dalle donne che hanno inteso cristallizzare i propri ricordi e
pensieri, per tramandare le vicende di cui furono protagonisti o
spettatori.
I fatti, gli avvenimenti, le interpretazioni giuridiche e sociologiche, i
ricordi personali dei protagonisti, messi per iscritto, diventano storia,
apocrifa o ufficiale, ma che solo raramente possiamo rinvenire nei
documenti d’archivio. È la memoria sostanziale di un passato che ha
influito sull’evoluzione stessa della nostra Nazione, se pensiamo al
contrabbando come alla circolazione transfrontaliera non solo di beni,
bensì anche di persone, di idee ed ideologie.
La puntuale disamina storiografica condotta questa mattina,
riguardante l’evoluzione del contrabbando al confine alpestre negli
ultimi due secoli, mi consente di introdurre direttamente l’ambito della
presente ricerca. Anzi, ho notato con interesse come tutti i relatori che
mi hanno preceduto abbiano citato per gli argomenti di loro
competenza ampi esempi di editoria e pubblicistica. Cercherò,
pertanto,
di
stimolare
maggiormente
222
l’interesse
dell’uditorio,
rimandando la consultazione di una bibliografia ragionata alla
relazione che verrà acclusa agli atti, dove potrà essere proficuamente
apprezzata.
2. INTRODUZIONE
Mi sembra utile ribadire come il contrabbando si sia particolarmente
sviluppato nel nostro Paese in ragione della collocazione geografica
della penisola e dell’ampiezza dei suoi confini alpini, che attualmente
si estendono per oltre 1.200 Km attraverso l’area montana più
densamente popolata del Vecchio Continente.
Di rilevante interesse scientifico e didattico, inerisce all’argomento
un’opera in lingua francese Les Alpes, tradotta sei anni più tardi
proprio col titolo Le Alpi. Barriera naturale, individualità umana,
frontiera politica1, costituita dagli atti del 25° Congresso Geografico
Internazionale, tenuto nel 1984 a Parigi, organizzato dalla Francia in
collaborazione con Germania Federale, Svizzera, Austria e Italia.
Questo testo evidenzia come gli scritti inerenti il contrabbando siano
stati influenzati dalle modifiche che negli ultimi due secoli hanno
subito i confini ed i regimi economici e doganali degli Stati frontalieri;
mostra l’importanza degli aspetti geopolitici e sociologici e della
corografia delle zone di nostro interesse.
Dati questi presupposti, nell’affrontare il contrabbando al confine
alpestre abbiamo la necessità di adottare, in termini attuali, i punti di
vista francese (contrebande), svizzero, austriaco (konterbande,
schmuggel), sloveno (tihotapstvo), concentrando però maggiormente
1
Domenico Ruocco (a cura di), Le Alpi. Barriera naturale, individualità umana,
frontiera politica, Pàtron Editore – Bologna, 1990.
223
l’attenzione sul punto di vista italiano, pur fornendo qualche utile
riferimento della produzione letteraria originata sull’argomento al di là
delle Alpi, la quale potrà essere oggetto di ulteriori futuri
approfondimenti.
Mi preme intanto sottolineare come la pubblicistica sul contrabbando
si estenda in maniera trasversale attraverso molteplici generi letterari:
il saggio (incluso quello breve su quaderni e riviste), il manuale
giuridico od economico, la tesi di laurea, il romanzo, la novella o il
racconto, l’articolo su quotidiani o periodici; e si allarghi a pieno titolo
ad altre espressioni artistiche. Queste ultime, evolutesi nel tempo,
ancora oggi meritano di essere annoverate tra fonti di cui è utile o
quantomeno interessante la consultazione, fosse anche solo per
l’aspetto sociologico che fanno emergere e per la grande quantità di
notizie che forniscono sull’ambiente in cui si evolvette il
contrabbando.
Mi riferisco qui alle poesie e alle ballate, ai libretti lirici e alla musica,
al teatro, ai dipinti, alle copertine illustrate ed al fumetto (che Hugo
Pratt definisce quale “letteratura disegnata”2), ai radiodrammi, ai
documentari, alla cinematografia.
Non possiamo ignorare il fatto che l’attendibilità di un contenuto
letterario sia influenzata dalla tipologia della fonte, nonché dallo
stesso produttore: noteremo perciò la differenza tra gli scritti ufficiali
e le testimonianze del ricordo popolare e del mito, indifferentemente
se siano stati realizzati dagli appartenenti all’apparato di controllo
dello Stato ovvero da coloro che del contrabbando sono stati testimoni
2
Giovanni Marchese, Leggere Hugo Pratt: l’autore di Corto Maltese tra fumetto
e letteratura, Latina: Tunué, 2006, p. 56.
224
o autori. Possono, entrambi, aver raccontato i fatti secondo un’ottica
fin troppo personalistica, alternativamente troppo indulgente o
eccessivamente rigorosa, facendo venir meno il quadro generale delle
vicende.
Prima di entrare nello specifico della trattazione e per una panoramica
sull’editoria dell’epoca, cito a titolo di esempio, per avere un’idea
della sua diffusione fra la popolazione italiana, che se nel 1911 il 37%
di essa era analfabeta3, oggi tale percentuale si può valutare in circa il
2%4.
Più che un popolo di lettori, però, sembra che quello italiano si sia
trasformato in uno di scrittori: dalla consultazione dei dati ISTAT
risulta che la pubblicazione di opere in Italia è passata da 1,6 libri ogni
10.000 abitanti nel 1926 a 9,8 nel 2008, per un aumento di oltre il
600% della produzione editoriale, senza tener conto di riviste e
periodici5.
Accanto a tutto ciò, vanno tenuti nella dovuta considerazione i canali
alternativi di produzione editoriale, o ad essa assimilabile. L’ultimo
decennio del XX Secolo ha infatti visto la nascita di Internet, la quale
ha rivoluzionato enormemente il modo di comunicare, con il recente
sviluppo di blog nei quali il prodotto editoriale solo raramente subisce
un qualche tipo di controllo redazionale. Questo fenomeno, il quale
tende ad aumentare con il progredire della familiarità con gli strumenti
3
4
5
Luisa Finocchi e Ada Gigli Marchetti (a cura di), Sommario di statistiche
storiche 1861-1975, Istat, Roma, 1976, in Editori e lettori: la produzione
libraria in Italia nella prima metà del Novecento, Franco Angeli ed., Milano,
2000, p. 301.
A cura della Direzione centrale comunicazione ed editoria, Italia in cifre 2011,
ISTAT, Roma, 2011, p. 14.
Sistema statistico nazionale, Istituto nazionale di statistica, L’Italia in 150 anni:
sommario di statistiche storiche 1861-2010, Istat, Roma, 2011, pp. 413-416.
225
informatici delle nuove generazioni, va affiancato all’apparentemente
più tradizionale, ma sostanzialmente altrettanto innovativo self
publishing,
il
quale
incrementerà
notevolmente
il
materiale
pubblicistico disponibile.
Allo stato attuale, comunque, Internet ci offre enormi risorse,
mettendo a disposizione anche dei cataloghi informatizzati quando
non addirittura intere biblioteche digitalizzate. È ovvio che queste
fonti non possono ancora rimpiazzare la ricerca fatta mediante una
sapiente mediazione umana – ad esempio per la presenza di errori
nelle letture OCR – ma l’ausilio che forniscono al ricercatore è
indubbio.
Dalla lettura di queste considerazioni, possiamo valutare l’editoria e la
pubblicistica una miniera, le cui dimensioni si sono ampliate a
dismisura nell’ultimo cinquantennio del secolo scorso, dalla quale è
però diventato ancor più difficile trarre le pietre rare che possono
valorizzare la nostra ricerca.
Andrò ora ad esporre brevemente alcune tra le opere che ho
individuato, suddivise per periodo storico, dedicando in chiusura un
più ampio spazio alla produzione editoriale di cui è stata promotrice la
Guardia di Finanza. L’elencazione non può certo ritenersi esaustiva,
ma può senz’altro fornire una esemplificazione delle pubblicazioni
nelle varie epoche di riferimento.
Ho selezionato le opere non tanto in base alla loro qualità scientifica,
ardua da determinare per i motivi che ho poc’anzi esposto, bensì
nell’ottica di mantenere desto l’interesse dei presenti, proponendo
delle particolarità che ritengo non note ai più.
226
3. PERIODO NAPOLEONICO, RESTAURAZIONE, RISORGIMENTO
Cominciando col periodo napoleonico, sul libro a cura di Claudio
Donati Alle frontiere della Lombardia: politica, guerra e religione
nell’età moderna, leggiamo come all’inizio dell’800 il contrabbando
fosse estremamente diffuso tra il Regno d’Italia e l’Impero Francese,
tanto che gli sconfinamenti di gendarmi e doganieri da entrambi le
parti furono numerosi. Quando poi tra il 1805 e il 1808 furono
emanati provvedimenti normativi e venne firmato un trattato
commerciale,
da
cui
emergevano
chiaramente
gli
intenti
protezionistici dalla Francia nei confronti del Regno d’Italia, esso
sembrò estremamente vessatorio alle popolazioni rivierasche del
Sesia, che effettuavano il contrabbando su larga scala6.
Il contrabbando nelle valli dell’Adda e della Mera/Liro, è ampiamente
ricostruito storicamente da Massimo Mandelli e Diego Zoia ne La
carga: contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, del 1998. Il libro,
attraverso le fonti attinte all’Archivio di Stato di Sondrio, alle
cronache sui periodici e agli archivi storici dei Comuni locali, ci
mostra il contrabbando come una manifestazione di disagio
conseguente all’annessione della Valtellina e della Valchiavenna, nel
1797, alla Repubblica Cisalpina7.
Proseguendo, nel libro di Thierry Couzin Passer par le XIXème siècle.
les frontières, le capitalisme et L’Occident tra le altre cose, viene
ricostruita l’economia di Nizza e della Savoia nella prima metà del
XIX Secolo ed i commerci che intrattenevano col Piemonte, incluso il
6
7
Claudio Donati (a cura di), Alle frontiere della Lombardia: politica, guerra e
religione nell’età moderna, Milano, F. Angeli, 2006, p. 251.
Massimo Mandelli e Diego Zoia, La carga: contrabbando in Valtellina e
Valchiavenna, L’officina del libro, Sondrio, 1998, pag. 33.
227
contrabbando tra Francia e Nizza, che secondo il console di francese a
Nizza era la maggiore risorsa di quella città8.
Tra i vari romanzi e racconti che parlano di avvenimenti del XIX
Secolo, mi preme citarne alcuni che trattano gli avvenimenti di alcune
zone di confine: L’album della suocera e altri racconti, tra cui Il
contrabbando, scritto nel 1858 sulla terra friulana da Caterina Percoto,
dove ella nacque nel 1812, autrice attenta alla vita dei ceti bassi e abile
nel mettere in risalto i personaggi della sua piccola commedia umana,
come il contadino che per sostentare la sua famiglia diventa
contrabbandiere di tabacco9.
Riguardo il confine occidentale, Giuseppe Giacosa realizzava nel
1886 un volumetto d’indole verista, il quale si dimostra un ottimo
strumento per far conoscere vita e costumi della Valle d’Aosta. Tra i
protagonisti di alcune delle sue novelle non potevano mancare i
contrabbandieri, ritratti in perenne competizione con le guardie. In
particolare, nel racconto Storia di due cacciatori leggiamo: «I
contrabbandieri dal canto loro odiavano cordialmente le guardie […]
e nelle alte solitudini non tutte le schioppettate miravano agli
stambecchi, né tutti i lamenti di feriti erano urli di fiera»10.
Tra le pubblicazioni periodiche, ricordiamo l’utile Manuale della
provincia di Como, analogo agli almanacchi statistici esistenti in
numerose altre città degli stati preunitari. In particolare, accanto
all’indicazione delle personalità locali, dei funzionari pubblici –
8
9
10
Thierry Couzin, Passer par le 19. siècle: les frontières, le capitalisme et
l’Occident : aux origines européennes de l’unification italienne, Bern, Peter
Lang, 2009, pp. 194-195.
Caterina Percoto, “Il contrabbando”, in L’album della suocera e altri racconti,
Muggiani Tipografo ed., Milano, 1945.
Giuseppe Giacosa, Novelle e paesi valdostani, Torino : F. Casanova, 1886.
228
inclusi quelli delle dogane – e degli esercenti attività professionali e
commerciali, nell’edizione del 1858 possiamo cogliere accanto alle
consuete nozioni statistiche alcune valutazioni su quelle che oggi
chiamiamo “verifiche fiscali”, le quali recavano: «gravissimo danno
agli esercenti il commercio in dettaglio» e si rivelavano «troppo
moleste e defatiganti all’onesto commerciante, senza portare alcun
utile per la Finanza», poiché solo di rado venivano elevate
contravvenzioni per gravi mancanze11.
Non possiamo poi non ricordare che con il Risorgimento si creò un
particolare tipo di contrabbando, detto “delle idee”, di opuscoli e
scritti anti austriaci, che stampati segretamente dalla Tipografia
elvetica di Capolago venivano contrabbandati attraverso la nostra
frontiera in tutto il Lombardo-Veneto. Durò fino al 1851 quando il
comasco Luigi Dottesio fu scoperto dalla polizia austriaca e
condannato alla pena capitale12.
Di questa epoca anche un altro particolare contrabbando, di bambini,
affidati da mamme ticinesi disperate ai contrabbandieri che, passata la
frontiera, li collocavano in Italia. Sull’argomento, nel 1859 a Como è
stato pubblicato il libro di Leone Pedraglio Il contrabbando dei
trovatelli ticinesi e lo Spedale di Como. Memoria13.
11
12
13
Manuale della provincia di Como per l’anno 1858, Como: Ostinelli, 1858, pp.
27-28.
Alessandro Repetti, Luigi Dottesio da Como e la tipografia Elvetica di capolago
(1840-1851): Ricordi, Roma, Tip. Nazionale, 1887.
Leone Pedraglio, Il contrabbando dei trovatelli ticinesi e lo Spedale di Como.
Memoria, Tip. Ostinelli, Como, 1859.
229
4. DALL’UNITÀ D’ITALIA ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Passando ora ad analizzare la produzione editoriale nel periodo che va
dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale iniziamo dai romanzi:
nel 2010 tra la produzione di Arturo Zanuso (1903-1968), molta
ancora inedita, è pubblicato La strada delle piccole Dolomiti:
racconto di montanari e contrabbandieri14, in cui vengono affrontate
le vicende territoriali conseguenti alla III Guerra d’Indipendenza,
quando al passaggio del Veneto al Regno d’Italia, nel 1866, la
Lessinia alense ed il Baldo aviense si trovarono al confine con
l’Impero austro-ungarico, anche se solo per pochi decenni.
Per quanto riguarda i quotidiani, quello molto diffuso nel Canton
Ticino, la Gazzetta Ticinese, pubblica il 5 ottobre 1861 un trafiletto
concernente l’emanazione del nuovo Regolamento Doganale. I
giornali italiani davano infatti scarsa attenzione alla politica doganale,
diversamente dagli altri Stati confinanti che ne davano la massima
pubblicità. Tale regolamento istituì presso le Dogane la figura di
“visitatrice”, cioè personale incaricato della “visita personale” delle
donne che provenivano dalla Svizzera15.
Tra i periodici la cui pubblicazione abbraccia un lungo lasso di tempo,
dobbiamo ricordare il «Bollettino del Club Alpino Italiano» nato nel
186516, tra le più antiche riviste di alpinismo al mondo, nonché le
14
15
16
Arturo Zanuso, La strada delle piccole Dolomiti: racconto di montanari e
contrabbandieri: parte prima del romanzo Emilio Ersego, Sommacampagna,
Cierre, 2010.
Cfr. Roberta Lucato, Contrabbandiere mi voglio fare: storia del contrabbando
tra Canton Ticino e provincia di Varese, Macchione, Azzate, 1998, pp. 18-19.
Paolo Micheletti (a cura di), Indice generale della rivista mensile: 1882-1954,
Milano, Club Alpino Italiano, 1957, e Gianfranco Bettoni (a cura di;
collaborazione di Dante Colli), Indice generale della rivista: 1955-2004,
Milano, Club Alpino Italiano. Commissione Centrale per le Pubblicazioni, 2005.
230
riviste sezionali, che negli tempo hanno divulgato il patrimonio
documentario e fotografico custodito dalle centinaia di Sezioni del
Club disseminate in tutta Italia. L’importanza di questa stampa sociale
emerge chiaramente anche nell’ambito della nostra ricerca, poiché
ogni aspetto storico e culturale che riguarda la montagna e gli
avvenimenti locali finisce con l’intrecciarsi con le storie di quelli che
in una fase della propria vita potrebbero aver esercitato il
contrabbando in montagna: cito, ad esempio, gli articoli: La
Valchiavenna
dei
contrabbandieri17,
Storie
di
ordinario
contrabbando: racconto18 e Val d’Ossola. Puniti dalla valanga: storie
di miseria e di contrabbando19. Già dal 1989 è stata intrapresa dalla
Commissione Centrale per le pubblicazioni del CAI un’opera di
censimento delle pubblicazioni sezionali, che prosegue tutt’ora anche
con l’implementazione di un database informatizzato che ne contiene
lo spoglio20.
L’importante ruolo dei periodici nel divulgare i fatti di cronaca venne
amplificato dalle immagini riportate sulla prima e quarta di copertina
delle riviste illustrate, come «La Domenica del Corriere» e «La
Tribuna Illustrata». Poiché i quotidiani dell’epoca erano composti da
poche pagine e lunghissimi testi, con queste vere e proprie
rappresentazioni pittoriche è stato possibile aprire una finestra sul
mondo e, per quanto ci riguarda, anche sui fatti di contrabbando che
17
18
19
20
La Valchiavenna dei contrabbandieri, in «Rivista della Montagna», n. 212,
maggio 1998, CDA, Torino, pp. 62-68.
Storie di ordinario contrabbando: racconto, in «Rivista della Montagna», n.
160, gennaio 1994, CDA, Torino, pp. 78-82.
Val d’Ossola. Puniti dalla valanga: storie di miseria e di contrabbando, in
«Rivista della Montagna», n. 245, marzo/aprile 2001, CDA, Torino, pp. 66-71.
Cfr.
il
motore
di
ricerca
all’indirizzo
Internet
http://www.bibliocai.it/Gruppi/Indici/ricerca.asp.
231
vennero considerati più eclatanti: tra tutti, vi cito la Tragica lotta di un
brigadiere di finanza con un contrabbandiere sul monte Fiorina, di
Bea A., copertina de «La Tribuna Illustrata» del 2 settembre 1906.
Il contrabbando dal punto di vista di Beltrame è di nuovo protagonista
sulle copertine dell’8 gennaio 1911 della «La Domenica del Corriere»,
intitolata Durante una lotta avvenuta presso Dumenza (confine italosvizzero) una guardia ed un contrabbandiere precipitano in un dirupo
e del 16 aprile dal titolo Tormenta di neve travolge ed uccide dieci
contrabbandieri presso il confine nell’alto vicentino. Nell’edizione del
24 agosto 1913, autore Salvadori, viene invece riportata l’immagine
dal titolo I drammi del contrabbando: maggiore di Finanza che tenta
di trattenere una barca con contrabbando sul Lago Maggiore e viene
ucciso, dedicata a Gioacchino Silani.
Un doveroso accenno lo merita anche la «Rivista delle dogane»,
organo dell’Amministrazione delle Dogane Svizzere, che in occasione
del centenario della costituzione del Corpo delle guardie di confine, ha
pubblicato un numero speciale dedicato alla storia dell’istituzione a
partire dal 1° gennaio 1894, ripercorrendone i compiti fiscali, in
particolare della lotta al contrabbando, ampliatisi nel secondo
dopoguerra anche nell’ambito della polizia di sicurezza e di
migrazione21.
21
Il Corpo delle Guardie di Confine 1894-1994, in «Rivista delle dogane», 1994,
n. 2 (edizione speciale per il centenario del Corpo delle Guardie di Confine),
Amministrazione delle Dogane Svizzere, Berna.
232
5. DAL
PRIMO DOPOGUERRA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA
MONDIALE
Tra le opere pubblicate nel primo dopoguerra, un cospicuo numero è
composto da quelle in materia di diritto e sugli aspetti economici del
contrabbando.
Nel 1922 a Como, il Capitano della Guardia di Finanza Cristoforo
Pezza, con Contrabbando, contrabbandieri e polizia finanziaria22,
provvede a fornire brevi consigli pratici risultati dalle lunghissime
indagini e dalla lunga esperienza dei vecchi finanzieri, dalle
confessioni e dalle astuzie dei contrabbandieri e dei militari contro le
frodi all’erario sul confine alpestre, i tranelli e i travestimenti
utilizzati, i fatti verificatisi, accennando altresì allo studio dei metodi
di riconoscimento dei contrabbandieri, il cosiddetto ritratto parlato.
Nel libro del 1934 di Amedeo Giannini, Documenti per la storia dei
rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia23, è riportato un utile ausilio
normativo per documenti diplomatici che riguardano i rapporti fra
l’Italia e la Jugoslavia, incluse le disposizioni doganali per i cittadini
che hanno le proprie abitazioni o poderi in località di frontiera.
Per quanto riguarda i periodici, invece, anche nel primo dopoguerra
alcune copertine illustrate sono state riservate al fenomeno del
contrabbando. Quella de «La Domenica del Corriere» del 21 gennaio
1934, disegni di Walter Molino, è intitolata Due contro cento, dove i
due valorosi erano Guardie di Finanza della Legione di Milano che
affrontarono in val d’Intelvi una colonna di ben cento spalloni armati,
22
23
Cristoforo Pezza, Contrabbando, contrabbandieri e polizia finanziaria, Tip.
Editrice Cavalleri e C., Como, 1922.
Amedeo Giannini, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la
Jugoslavia, Roma, Istituto per l’Europa orientale, 1934.
233
ne arrestarono uno e costrinsero gli altri a fuggire. Nel 1937, poi, nella
cronaca del settimanale «Popolo Valtellinese», il giornale ufficiale del
regime, è esaltato con compiacimento l’uso della moderna tecnologia
nei confronti del contrabbando. Da tale anno iniziarono infatti i
contrabbandi “motorizzati”, come quando «le Guardie di Finanza che
attendevano
i
contrabbandieri
su
due
tassì
si
buttarono
all’inseguimento di due auto provenienti da Sondrio, scoprendo poi
sotto i sedili quattro quintali di caffè»24.
Nel numero 5 di giugno 2007 della Rivista semestrale di Storia
contemporanea «I sentieri della ricerca», promossa dal Centro studi
Piero Ginocchi di Crodo, è ospitata la monografia di Riccardo Ajolfi,
Corrispondenze d’emergenza nella seconda guerra mondiale: i
corrieri ossolani: un caso di contrabbando postale25, dalla quale
emerge che in analogia con il traffico clandestino di altre merci
attraverso il confine durante il periodo di guerra, anche il
contrabbando postale riusciva solitamente ad eludere ampiamente
l’intercettazione doganale elvetica, per opera dei contrabbandieripostini.
L’autore opera anche un parallelismo tra queste vicende e quelle
avvenute al confine orientale d’Italia nel 1919-20, quando fu decretato
il blocco delle corrispondenze lungo la linea di armistizio con il regno
dei Serbi-Croati-Sloveni (SHS), determinando quindi anche in quel
caso lo sviluppo del loro contrabbando.
24
25
Massimo Mandelli e Diego Zoia, La carga: contrabbando in Valtellina e
Valchiavenna, L’officina del libro, Sondrio, 1998, p. 156.
Riccardo Ajolfi, Corrispondenze d’emergenza nella seconda guerra mondiale, in
«I sentieri della ricerca», n. 5, giugno 2007, pp. 7-44.
234
Tra le monografie riguardanti il contrabbando ed i passatori vi è stata
una ampia produzione. Vi accennerò più avanti a quella riguardante
espressamente i finanzieri, mentre esporrò qui un paio di esempi
comunque interessanti.
Edito a Torino nel 2004, il libro di Enrico Bertone, Quegli anni del
Novecento: storie di partigiani, soldati, contrabbandieri e frati, narra
le vicende di Timoteo Garnier, (classe 1915) di Bobbio, il più alto
comune dell’alta Valle Pellice, vicino al confine con la Francia,
quando fino ai primi anni ‘40, da contrabbandiere e con il benestare
francese, portava in Italia il caffè sul suo zaino, e alla fine della guerra
quando barattava il riso con lo scarso sale26.
Nel 2005 il libro edito a Torino, Luoghi della memoria, memoria dei
luoghi nelle regioni alpine occidentali, (1940-1945), raccoglie, a cura
di Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, gli Atti
dell’omonimo Convegno, che si svolse a Torino il 7-9 maggio 2001.
Nel libro, oggetto di un’indagine storica sulle vicende di tre Paesi
(Italia, Francia e Svizzera) che ebbero posizioni diverse durante la
seconda guerra mondiale, accanto al rigoroso censimento dei luoghi
della memoria raccontano le vicende delle frontiere, compreso il
contrabbando27.
Il libro, oltre ai contrabbandieri, mette in risalto gli altri principali
attori coinvolti con i confini, quali i “passeurs”, che svolgevano il
contrabbando dei prodotti, ma soprattutto, sulla frontiera italo-ticinese,
26
27
Enrico Bertone, Quegli anni del Novecento: storie di partigiani, soldati,
contrabbandieri e frati, Blu edizioni, Torino, 2004.
Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Luoghi della memoria,
memoria dei luoghi nelle regioni alpine occidentali, Blu edizioni, Torino, 2005.
235
la guida dei clandestini e dei fuggitivi, dei profughi, degli sbandati e
dei partigiani28.
Tra le tesi di laurea è interessante ricordare quella di Adriano
Bazzocco, L’epoca del riso. Il contrabbando degli affamati alla
frontiera italo-elvetica (1943-1947), in cui si evidenzia l’eccezionalità
del traffico di merci dall’Italia verso la Svizzera, per ottenere i
preziosi franchi svizzeri che al mercato nero venivano cambiati con
ingenti quantità dell’inflazionata lira29.
6. DAL
SECONDO DOPOGUERRA ALLA FINE DEL
ROMANTICO”
“CONTRABBANDO
Emblematico delle vicende italiane alla fine della seconda guerra
mondiale è il film del 1958 La legge è legge, interpretato da Totò (il
contrabbandiere napoletano Giuseppe La Paglia) e Fernandel (il
doganiere francese Ferdinand Pastorelli). Il film si ispira alle difficoltà
amministrative causate dall’annessione alla Francia del comune di
Briga Marittima, che divenne francese nel 1947, mentre alcune sue
frazioni rimasero italiane.
Dall’ampia produzione editoriale del secondo dopoguerra, traggo
alcuni spunti: a Torino, nel 2000, è pubblicato il libro di Francis Tracq
Pastori, contrabbandieri e guide. Tra valli di Lanzo e Savoia, che
tratta del commercio del sale; i trucchi del mestiere; equipaggiamento
di altri tempi; i guardiani dei valichi; i contrabbandieri che diventano
28
29
Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Luoghi della memoria…, cit.,
p.141.
Adriano Bazzocco, L’epoca del riso. Il contrabbando degli affamati alla
frontiera italo-elvetica (1943-1947), tesi di laurea, Università di Zurigo, 1996.
236
guide alpine30. Ricordo poi un romanzo pubblicato nel 2005 da Lucia
Paris, Lunghe notti per albe lontane. Romanzo tratto da una storia
realmente accaduta31, che riscrive l’antica lotta fra i contrabbandieri
valtellinesi e le guardie di finanza a partire dagli anni’50.
Nel 1998 a Milano, della scrittrice poetessa Elsa Somalvico di
Brienno è pubblicato I padron de SumaÍna : poesie di Brienno e del
Lago di Como32, tra cui I sfrusaduur, poesia in dialetto laghèe, in cui
si parla proprio di contrabbandieri, con quaranta chili di roba sulle
spalle e di Finanza, che salta fuori dal boschetto e intima il rituale
“molla!”
Sulla proliferazione delle torrefazioni nella fascia italiana di confine,
danno ampia descrizione Stefano Cassinelli e Pierfranco Mastalli
autori di Lungo i sentieri del contrabbando storie, testimonianze,
appunti di viaggio, pubblicato a Varese nel 2006, evidenziando
addirittura un caso limite dove in un Comune di 300 abitanti sono
state installate ben 19 torrefazioni33. All’interno del libro, di estremo
interesse è l’intervista rilasciata dal Generale del Corpo Paolo Salerno,
che ci parla degli scarpasacch (appellativo con cui venivano indicati
sia i finanzieri che i contrabbandieri) e delle gare in montagna tra
finanzieri di vari reparti, che servivano anche a testarne la
30
31
32
33
Francis Tracq, Pastori, contrabbandieri e guide. Tra valli di Lanzo e Savoia, Il
punto, Torino, 2000.
Lucia Paris, Lunghe notti per albe lontane. romanzo tratto da una storia
realmente accaduta, Litografia La Cartotecnica, Provaglio d’Iseo, 2005.
Elsa Brigatti Somalvico, I padron de SumaÍna: poesie di Brienno e del Lago di
Como, Edlin, Milano, 1998.
Stefano Cassinelli e Pierfranco Mastalli, Lungo i sentieri del contrabbando
storie, testimonianze, appunti di viaggio, Macchione editore, Varese, 2006, p.
185.
237
preparazione fisica necessaria a svolgere in ambito montano l’attività
anticontrabbando.
Il contrabbando è stato anche l’argomento di canzoni. Ometto in
questa sede le ballate ed i libretti lirici, ma mi sembra opportuno citare
due autori molto conosciuti tra i finanzieri ed i contrabbandieri. Il
primo, Ivan Graziani, cantautore abruzzese, nel 1977 pubblica l’album
I lupi, che contiene il singolo Lugano addio, che lo fa conoscere al
grande pubblico. In una strofe della canzone una ragazza, Marta, parla
«di frontiere di finanzieri e contrabbando» e riferendosi al proprio
padre dice che «Quassù in montagna ha combattuto!»34
L’altro autore è Davide Van De Sfroos. Gran parte delle sue canzoni
si riferiscono al lago, ove ha trascorso la sua infanzia. Inoltre, maggior
parte dei suoi testi è pensata, scritta e cantata in dialetto tremezzino
(cosiddetto laghée): qui vi cito la Ninna nanna del contrabbandiere,
tratta dall’album Breva e Tivan del 1999, in cui c’è un esplicito
riferimento ad un contrabbandiere, padre del bimbo che sta per
addormentarsi.
L’ultima canzone, sempre di Van De Sfroos, è La ballata del Cimino
dall’album: Pica!, del 2008. Qui il protagonista è un contrabbandiere,
chiamato il Cimino, che si getta a nuoto nel lago per sfuggire alle Alfa
della Finanza, riuscendo nel suo intento.
Cambiando genere, possiamo facilmente intuire che i quotidiani
nazionali e locali (alcuni dei quali tuttora esistenti, come «La
Provincia», testata nata nel 1892 a Como, «Il Piccolo» di Trieste,
1881) riportarono numerosi articoli riguardanti le vicende del
34
Lorenzo Arabia, Ivan Graziani. Viaggi e intemperie, Minerva edizioni, Bologna,
2011, p. 159.
238
contrabbando, così come pure vennero realizzati programmi televisivi
e radiofonici inerenti il medesimo argomento.
Passando però alle riviste, di grande interesse si rivela l’articolo scritto
su «Qualestoria» dallo sloveno Božo Repe, Confini aperti e stile di
vita in Slovenia dopo la seconda guerra mondiale, riguardante sia gli
aspetti sociologici che più prettamente economici del contrabbando al
confine Sloveno fino ai primi anni ‘90. Per sommi capi, ricordiamo
che i prodotti contrabbandati dagli sloveni in entrambe le direzioni
erano quelli alimentari, mentre i prodotti tecnologici o di
abbigliamento giungevano in Jugoslavia per soddisfare una richiesta
fortemente influenzata dal mito occidentale.
Questi traffici illeciti, però, come già in altri luoghi ed altre epoche
storiche, favorirono la circolazione di idee e contribuirono a modellare
lo stile di vita sloveno nel periodo postbellico, esercitando allo stesso
tempo una pressione anche sulla politica, costretta ad estendere i
propri orizzonti al di là dei limiti posti dallo Stato35.
7. DALLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI ‘70 ALLA FINE DEL XX SECOLO
Possiamo adesso esaminare rapidamente le vicende più recenti, quelle
avvenute dalla seconda metà degli anni ‘70 in poi, quando le mutate
condizioni economiche e politiche internazionali hanno influito anche
sul contrabbando.
Specifico del periodo attualmente in esame si rivela lo studio: Note
criminologiche e sostanziali sul fenomeno del contrabbando nel
territorio di Como nel periodo compreso fra il 1970 e il 1990,
35
Božo Repe, Confini aperti e stile di vita in Slovenia dopo la seconda guerra
mondiale, in «Qualestoria», anno 1999, Vol. 27 - Fasc. 1, pp. 215-229.
239
commentato da Enrico Mancuso, Giurista e dottore di ricerca presso la
Cattedra di Medicina Legale e Criminologia nell’Università degli
Studi dell’Insubria. L’analisi viene condotta incrociando i dati, le
sentenze emesse in materia di contrabbando dal Tribunale di Como fra
il 1970 e il 1990, per anno di nascita, sesso, i luoghi più colpiti, l’esito
dei processi degli arrestati. Il risultato ci fornisce importanti
indicazioni sull’andamento del fenomeno del contrabbando, più
consistente nel decennio 1970-1980, fino quasi a sparire alla fine degli
anni ‘80, con un intenso picco nel quinquennio 1971-7636.
Un manuale completo e che ha avuto successivi aggiornamenti è La
lotta alla mafia: strumenti giuridici, strutture di coordinamento,
legislazione vigente, del Generale del Corpo, attualmente in congedo,
Gaetano Nanula, in cui l’ampia disamina sulle fonti di finanziamento
della criminalità organizzata non poteva certo prescindere dall’analisi
del contrabbando di armi, esseri umani, merci e capitali, anche
attraverso i confini settentrionali della Penisola37.
Posso poi proseguire presentandovi un libro pubblicato nel 2010 a
cura di Maurizio Centi: Racconti di frontiera: antologia letteraria dei
doganieri italiani38, che ha per titolo e tema la frontiera, con racconti
dedicati propriamente al lavoro di dogana e quelli speculari sul
contrabbando.
Per quanto riguarda un genere che ho finora trascurato: i fumetti, un
doveroso cenno lo merita senz’altro l’albo Diabolik, nato da un’idea
36
37
38
Enrico Mancuso (commentato da), Note criminologiche e sostanziali sul
fenomeno del contrabbando nel territorio di Como nel periodo compreso fra il
1970 e il 1990, reperibile su Internet all’indirizzo http://www.originedumonde.it.
Gaetano Nanula, La lotta alla mafia: strumenti giuridici, strutture di
coordinamento, legislazione vigente, Milano: Giuffrè, 1992.
Maurizio Centi (a cura di), Racconti di frontiera: antologia letteraria dei
doganieri italiani, Laboratorio Gutenberg, Roma, 2010.
240
delle sorelle Giussani, milanesi, le quali non possono non essere state
influenzate dalla vicinanza del confine elvetico dal capoluogo
lombardo. Clerville, la località immaginaria dove sono ambientate le
vicende dell’eroe mascherato, potrebbe essere una qualsiasi delle
località oltre confine ove giungevano i traffici illeciti. L’albo di cui
parliamo
è
intitolato
Contrabbando
di
valuta39,
del
1967,
probabilmente ispirato alle modalità impiegate negli anni ‘60-’70 per
sottrarre i capitali italiani agli accertamenti fiscali, esportandoli oltre
frontiera.
Un altro tipo di traffico che ha sempre attratto il contrabbando è stato
quello degli animali, che dal contrabbando di animali da soma e
bovini della metà dell’800 ha assunto oggi delle connotazioni
completamente diverse, come possiamo leggere in Zoomafia. Mafia,
camorra & gli altri animali, di Ciro Troiano. L’inchiesta condotta ha
permesso di capire che il Friuli, grazie alla vicinanza con il confine
orientale, è diventato la porta d’ingresso del traffico di animali, che
vengono smistati e venduti in diverse città del Nord Italia. Ad
esempio, secondo l’Osservatorio sui Balcani, ogni giorno dalla Bosnia
ed Erzegovina vengono esportate illegalmente specie di uccelli
protetti, che poco dopo finiscono nei piatti di esclusivi ristoranti
italiani40.
39
40
Angela e Luciana Giussani, Diabolik - Contrabbando di valuta, Anno VI, n°: 9,
data uscita: 1 maggio 1967.
Ciro Troiano, Zoomafia. Mafia, camorra & gli altri animali, Torino,
Cosmopolis, 2000.
241
8. EDITORIA
E PUBBLICISTICA DELLA
TEMATICA DEL CONTRABBANDO
GUARDIA
DI
FINANZA
SULLA
Veniamo ora ad un argomento sconosciuto ai più, ma non agli illustri
partecipanti a questo convegno: la tradizione delle pubblicazioni della
Guardia di Finanza.
Proprio alle pagine di alcuni periodici, grosso modo a partire dalla
seconda metà dell’800, venne affidato il compito di diffondere tramite
apposite rubriche le vicende storiche dei Corpi di finanza degli Stati
preunitari e del nuovo Corpo delle Guardie Doganali. Queste
pubblicazioni, all’inizio sporadiche e a diffusione locale, precedettero
di poco la fondazione de «Il Monitore della R.Guardia di finanza»,
che nel 1886 sarebbe divenuto «Il Finanziere».
Questo periodico rimane ancora oggi una fonte insostituibile di
documentazione della vita del Corpo nella sua duplice veste di house
organ, dedicato all’attività istituzionale ed operativa e di magazine,
per gli argomenti di carattere generale trattati. Di grande interesse si
rivelano le serie di articoli dedicati alla vita nei reparti del Corpo,
ripresa anche oggi dopo il recente restyling della testata, in cui
possiamo leggere un’indispensabile cronaca dei luoghi in cui si
svolgeva il servizio, affiancati da una rubrica che ancora oggi elenca i
principali risultati operativi suddivisi per reparto operante. Molti altri
articoli, invece, sono stati dedicati nel tempo alle vicende che videro
coinvolti i finanzieri in servizio sul confine, l’indicazione degli atti di
valore compiuti e delle ricompense conseguite.
Accanto a «Il Finanziere» va citato il periodico dell’A.N.F.I. «Fiamme
Gialle», sul quale vengono pubblicate storie di vita vissuta relative al
secolo passato, fornendo in molti di questi racconti uno spaccato del
242
servizio anticontrabbando, sia pure ammantate di un’aura nostalgica e
dal solo punto di vista dell’uomo in divisa.
A partire dall’estate 1950, e per pochi anni, venne pubblicato anche
«Fiamme Gialle di Trieste», la cui serie si interruppe col ritorno
all’Italia del capoluogo giuliano. Anche qui sono riportati risultati di
servizio e momenti di vita del Corpo, nella configurazione della
“Finance Guard Branch”, alle dipendenze dell’“Allied Military
Government” (A.M.G.).
Nel 1952 fu fondata anche la «Rivista della Guardia di Finanza», che
pubblica studi originali di carattere giuridico, economico, militare,
storico e tecnico-professionale, realizzati sia da appartenenti al Corpo
che da studiosi ed esperti.
Per quanto riguarda, invece, le opere a stampa a carattere storico,
incluse quelle che toccano l’argomento del contrabbando, la loro
presenza all’interno dell’Istituzione è stata inizialmente marginale
come quantità, benché significativa per i contenuti: si trattò infatti
principalmente della memorialistica dei singoli finanzieri, i quali tra la
fine dell’800 e gli inizi del ‘900 narravano le vicende personali ed
inerenti il servizio, talvolta producendo anche componimenti poetici.
Ricordiamo qui l’Ufficiale del Corpo Sante Nodari col libro Le vittime
della valanga di Frasselle 41, in ricordo dei finanzieri suoi dipendenti
vittime della slavina che colpì quella località in provincia di Vicenza,
nel 1895, quando ancora si trattava di una zona nei pressi del confine
con l’Impero austro-ungarico.
41
Sante E. Nodari, Commemorazione delle vittime della valanga che colpì il
drappello delle Guardie di Finanza il 14 marzo 1895 in quel di Frasselle
(Campo d’Albero), Verona, Stabilimento Tipogr. di G. Civelli, 1897.
243
Tra il 1906 e la fine degli anni ‘30, conseguentemente alle modifiche
ordinative subite dal Corpo, ci fu una produzione che ebbe
prevalentemente ad oggetto i fatti d’arme in cui si erano distinti i
finanzieri o i loro antesignani, quasi ignorando, purtroppo, ciò che
atteneva allo svolgimento dei compiti istituzionali.
L’unico a discostarsi dal genere rievocativo fu il Ten.Col. Vittorio
Galiano, autore del famoso romanzo Esposti a settentrione42, dedicato
alla secolare sfida tra finanzieri e contrabbandieri sul confine italo
elvetico. Questo libro ispirò il film ambientato al confine con la
Francia Barriera a Settentrione, della fine degli anni ‘40, interpretato
dal celebre Amedeo Nazzari.
Nell’immediato dopoguerra, accanto ad isolati casi di memorialistica
personale, l’editoria concernente la storia della Guardia di Finanza fu
per anni assicurata dal Comando Generale del Corpo, generalmente
attraverso il suo Ufficio Stampa, finché a partire dagli anni ‘70 il
Museo Storico della Guardia di Finanza iniziò ad assumere anche il
ruolo di promotore ed editore di opere scientifiche.
In questa ottica vennero pubblicati Finanzieri in copertina: raccolta di
tavole a colori su periodici illustrati d’epoca, 1894-196243 del 1980,
curato dal Gen. Espedito Finizio e da questi congiuntamente al Gen.
Pierpaolo Meccariello Le cartoline dei finanzieri44, del 1996 e Cento
42
43
44
Vittorio Galiano, Esposti a settentrione, Roma : Libreria Italia, 1938 (Poligrafica
Laziale) – prima edizione.
Espedito Finizio, Finanzieri in copertina: raccolta di tavole a colori su periodici
illustrati d’epoca, 1894-1962 [ricerche iconografiche e documentarie, testi e
copertina di Espedito Finizio] [S.l.], Comando Generale della Guardia di
Finanza, 1980
Le cartoline dei finanzieri, Roma, Museo Storico della Guardia di Finanza, 1996.
244
immagini
per
interessantissime
un
secolo45,
immagini
del
sullo
1999,
che
svolgimento
riportano
del
delle
servizio
anticontrabbando e delle tecniche di frode adottate per eludere la
vigilanza dei finanzieri.
Il Museo grazie alla collaborazione con l’Ente Editoriale del Corpo e,
a partire dal 2003, attraverso l’istituzione nel proprio ambito del
Comitato di Studi Storici, ha attuato una proficua attività di ricerca,
rivalutando numerose vicende del passato che erano state trascurate.
Nel 2005, ad opera del Gen. Luciani e del Cap. Severino ha visto la
luce la prima edizione del libro Gli Aiuti ai profughi ebrei ed ai
perseguitati: il ruolo della Guardia di Finanza (1943-1945), in cui si
parla appunto delle attività clandestine svolte dai finanzieri in ausilio
ai perseguitati politici e razziali anche sul confine che si snoda lungo
l’arco alpino. Oltre alla seconda edizione riveduta ed ampliata del
volume, negli anni successivi hanno visto la luce anche una serie di
monografie dedicate ai finanzieri protagonisti di quelle vicende, di cui
è stato quasi sempre autore il Cap. Severino.
Tra le opere c.d. “di Reparto”, cioè promosse dai Reparti del Corpo,
cito solo a titolo di esempio il volume: Fiamme Gialle in Liguria
1908-2008 le immagini di un “centenario”. Altre opere sono state
anche realizzate da studiosi esterni al Corpo come Fiamme di lago46 di
Enrico Fuselli, in cui si ripercorre anche la vicenda del finanziere
Angelo Cicerchia, gravemente ferito in attività di servizio nel 1904, nei pressi di
45
46
Cento immagini per un secolo, Roma, Museo Storico della Guardia di Finanza,
1999.
Enrico Fuselli, Fiamme di lago. Cent’anni della sezione luinese
dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia, Roma - Brezzo di Bedero,
A.N.F.I. – Museo Storico della Guardia di Finanza - Marco Cattaneo Editore,
2007, pp. 73-88.
245
Dumenza (VA), in conseguenza di una colluttazione con un contrabbandiere e
congedato nell’anno successivo per le gravi lesioni riportate.
Ricordiamo inoltre Fiamme Gialle di confine. La storia della Compagnia della
Guardia di Finanza di Olgiate Comasco 1927-2007, scritto da Guido Bertocchi e il
suggestivo libro fotografico di Gea Casolaro Permanente presenza. Immagini di vita
della Guardia di Finanza in Trentino-Alto Adige47.
Ancora al Museo Storico sono infine da ascrivere la realizzazione di interessanti
convegni e la pubblicazione dei relativi atti, con la collaborazione della Scuola di
Polizia Tributaria, dei quali rammento quello attinente al nostro ambito e risalente al
2003, organizzato dall’Accademia di Bergamo.
Tra le pubblicazioni in cui le immagini hanno un ruolo fondamentale, annoveriamo
le annate di una Rivista illustrata della R. Guardia di finanza, di proprietà privata,
Fiamme Gialle d’Italia – Rivista Mensile Illustrata della Regia Guardia di Finanza,
nonché il Calendario Storico della Guardia di Finanza, nel quale la parte testuale è
corredata da ricca iconografia. Delle varie annate, è opportuno citarne alcune in
particolare: nel 1955, ‘56, ‘58 e ‘59, il tema del calendario furono i differenti settori
di servizio, tra i quali quello alpestre ha avuto il ruolo principale, con numerose foto
che raffigurano i controlli svolti dai finanzieri al confine, in montagna e vengono
inseriti alcuni risultati operativi, sequestri di merce di contrabbando. Il numero
relativo
all’anno 1987, invece, è espressamente dedicato al «finanziere
secolare custode dei confini della patria», come viene riportato nella
sua premessa. Mediante le immagini raccolte nella pubblicazione, si
cerca di rappresentare l’isolamento dei reparti e l’asprezza degli
itinerari di vigilanza, fino a pochi anni prima ancora perlustrati con
grande rigore.
Sempre nell’ambito delle illustrazioni, è utile rammentare che negli
anni ‘70 su «Il Finanziere» venivano correntemente pubblicate
vignette umoristiche basate sui vari settori d’impiego del Corpo, di
vari autori, in cui i finanzieri in servizio al confine alpestre potevano
47
Gea Casolaro, Permanente presenza. Immagini di vita della Guardia di Finanza
in Trentino-Alto Adige, Trento, Temi Editrice, 2007.
246
riconoscersi e ironizzare sui disagi e sulla disciplina a cui erano
sottoposti.
In questa sede va precisato l’interesse del Corpo per le ricerche
bibliografiche. Non vorrei che sembrasse un moto promozionale, ma
lo scorso anno l’Ufficio Storico ha emanato una circolare48 secondo la
quale i reparti devono comunicare al Comando Generale i libri
inerenti la storia della Guardia di Finanza pubblicati nella loro zona di
competenza, così come pure quelli da essi promossi o realizzati dai
militari dipendenti. In questo modo, sarà molto più facile ricevere
aggiornamenti periodici di opere di una certa rilevanza, incluse quelle
sul contrabbando.
Grazie per la cortese attenzione.
48
La n. 68429/032 in data 6 marzo 2012, avente per oggetto: Pubblicazioni a
carattere storico concernenti la Guardia di Finanza.
247
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
Nella presente sezione bibliografica si propone una rassegna di
pubblicazioni – in edizione italiana ovvero in lingua originale – il cui
tema principale è il contrabbando al confine alpestre. La collocazione
temporale va dal XIX al XX Secolo; per garantire una migliore
fruibilità, la bibliografia è stata suddivisa, di massima1, in ulteriori
periodi storici ed ordinata alfabeticamente.
Le indicazioni bibliografiche riportate di seguito sono il risultato di
una attività di ricerca bibliografica che ha proceduto “dal particolare al
generale”: dapprima ci si è avvalsi delle citazioni in nota che
accompagnano le opere riportate nella presente relazione; si è
proseguito attingendo alle banche dati on line (OPAC SBN; ESSPER;
banche dati di settore), approfondendo, ove possibile ed agevole,
mediante la consultazione diretta delle opere.
Come già più volte precisato, pur non potendosi ritenere completa la
bibliografia che qui viene presentata, l’intendimento è quello di offrire
con ponderazione degli spunti che possano suscitare l’interesse degli
accademici, degli addetti al settore e dei semplici appassionati.
1. Periodo napoleonico, Restaurazione, Risorgimento
Amé, Léon, Étude économique sur les tarifs des douanes, Guillaumin,
Paris, 1859
1
Poiché il contenuto di molti testi riguarda argomenti di vari paragrafi della
relazione.
249
Austria – impero, Regolamento sulle dogane e sulle privative dello Stato, Imperiale
regia stamperia, Milano, 1835
Boiteau, Paul, Les traités de commerce: texte de tous les traités en vigueur
notamment des traités conclus avec l’Angleterre, la Belgique, la Prusse (Zollverein)
et l’Italie, avec une introduction historique et économique des renseignements sur
les monnaies, les mesures, les douanes, les usages et un catalogue alphabétique des
principaux articles tarifés dans les divers pays du monde, Guillaumin, Paris, 1863
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religione nell’età moderna, Milano, Franco Angeli, 2006
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droits d’entrée et de sortie, dressé et publié par les soins del M. le conseiller d’Etat
directeur général…, de l’Imprimerie Royale, Paris, octobre 1822
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de France, dressé et publié par les soins de l’administration, et approuvé par le
ministre secrétaire d’Etat des finances, de l’Imprimerie Royale, Paris, juin 1845
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Gen. D. Espedito Finizio
Un contrabbandiere d’altri tempi
Louis Mandrin (1725-1755)
Louis Mandrin è un personaggio realmente esistito: nato nel 1725 a
Saint-Etienne de Saint Geoirs, nella provincia del Delfinato, fu un
famoso brigante e contrabbandiere. Alla morte del padre FrançoisAntoine, commerciante, diviene, a 17 anni, capo famiglia, una
famiglia una volta ricca, ma in declino.
271
Sostituisce il padre anche nelle attività d'affari. In una di tali occasioni
prende i primi contatti con la compagnia finanziaria incaricata della
riscossione dei tributi indiretti, denominata "Férme générale", che
noleggiai da lui circa 100 muli per l'armata di Francia on Italia.
Nell'attraversamento delle Alpi molti muli periscono e solo diciassette
animali, in condizioni deplorevoli, fanno ritorno a Saint -Etienne.
La Férme générale si rifiuta di risarcire il danno. Il 27 luglio 1753, a
seguito di una rissa in cui ci sono dei morti. Luois Mandrin e il suo
amico Benedetto Brissaud, sono condannati a morte. Mandrin riesce a
fuggire, mentre l'amico viene impiccato sulla Place du Breuil a
Grenoble.
Lo stesso giorno Pierre Mandrin, fratello minore di Luigi viene
impiccato anche esso per falsificazione. Mandrin, così decide di
iniziare la sua guerra contro le autorità ed in particolare agli esattori
della Férme générale.
La Férme générale, era molto odiata dalla popolazione, essa applicava
esose tasse sulle merci, la più nota era quella sul sale, ma anche su
altri prodotti tra cui il tabacco.
Il sistema di riscossione delle imposte comportava notevoli abusi; la
Férme générale accumulava notevoli ricchezze, di cui a volte solo un
quarto delle imposte che raccoglieva, venivano versate al Re.
Mandrin entra in una banda che faceva contrabbando, in particolare di
tabacco, tra i cantoni svizzeri, la Francia e lo Stato di Savoia.
Diviene il leader della banda formata da circa 500 uomini, che
organizza come un piccolo esercito, ben armato, soprattutto di pistole,
grazie alle armi sottratte dai depositi militari. Si proclama "Capitano
Generale". Il suo obbiettivo principale rimane però la Férme gènèrale.
272
Egli dà vita ad una fiorente attività di contrabbando: quando arriva nei
villaggi carico di tabacco, tessuti, pollame e spezie, vende tutto,
ovviamente senza il pagamento di tasse con aste trasparenti.
In talune circostanze costringe gli stessi doganieri, sotto la minaccia
delle armi, ad acquistare la merce di contrabbando. Inoltre libera dalle
carceri solo i prigionieri vittime dei conflitti con l'amministrazione
delle imposte, ma non i ladri e gli assassini.
Promuove durante il 1754 ben sei campagne di stile militare, la sua
area di influenza in Francia va al di là del Delfinato e copre
praticamente tutte le attuali regioni del Rhòne-Alpes e Auvergne, la
Franche-Comté e la Borgogna. Divenne così popolare, sostenuto dagli
agricoltori e protetto dalle autorità, dalle quali veniva considerato "un
bandito sociale", ovvero un uomo di origine povera, ma che aveva
dimostrato la sua capacità di affermarsi e sopravvivere in un ambiente
tanto difficile. Arriva a godere l'ammirazione addirittura di Voltaire.
La Férme gènèrale esasperata dalle azioni di Mandrin, chiede ed
ottiene dal re una campagna militare contro di lui. Delle truppe
leggere e mobili: i fucilieri di Morlière ed i Cacciatori di Fischer
vanno a rafforzare le truppe dei volontari del Delfìnato. Mandrin si
rifugia presso la città di frontiera di Pont-de Beauvois.
Ma grazie ad una delazione di due uomini di Mandrin, la Férme
gènèrale entrando illegalmente in Savoia riesce a catturarlo presso il
castello di Rochefort-en-Novalaise grazie a 500 uomini travestiti da
contadini.
Quando Carlo Emanuele III, re di Sardegna apprende di questa
intrusione nel suo territorio, pretende la restituzione del prigioniero da
parte di Luigi XV, che deve porgere le sue scuse.
273
Ma la Férme gènèrale, decisa a farla finita con Mandrin, ne accelera il
processo e lo condannato a morte con il supplizio della ruota.
Questo tipo di esecuzione, era una forma di tortura e di pena capitale
usato nel Medioevo e secoli seguenti. Il condannato era legato per i
polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano
rotte le ossa di braccia e gambe. Talvolta veniva dato un colpo di
grazia sullo sterno, provocandone la morte. In altri casi invece veniva
lasciato vivo per ore esposto al pubblico prima di essere ucciso. In
altre circostanze la persona che aveva commesso il crimine era legata
sulla ruota che veniva fatta girare per indurre nausea e vomito. Se la
rotazione era veloce e prolungata il suppliziato poteva soffrire di
disturbi circolatori. Questa forma di tortura raramente si rivelava
mortale.
In alcuni casi sotto la ruota del supplizio venivano messe delle punte
su cui la persona strusciava e infine moriva dissanguata. Il 24 maggio
1755 a Valence davanti a 6000 curiosi fu ucciso. Mandrin sopporta il
supplizio senza lamenti, anzi incitando a continuare la rivolta contro il
fisco. Due suoi fratelli cercarono di portare avanti la sua azione.
Grazie ad una ballata, "Complainte de Mandrin", di autori ignoti, la
sua leggenda viene portata avanti. Egli diviene una sorta di Robin
Hood francese che si opponeva all'assolutismo, erano gli anni poco
precedenti la Rivoluzione, ancora oggi nel Delfinato e nella Savoia, ed
in misura minore, la sua figura rimane popolare, tanto che molti
luoghi portano ancora il suo nome in seguito al suo reale o presunto
passaggio, come da noi accade per Garibaldi.
A Saint-Etienne-de-Saint-Geoirs si svolgono ogni cinque anni
festeggiamenti dedicati a Mandrin: le "mandrinades". Gli abitanti di
274
questo villaggio sono anche chiamati Mandrinois. La popolarità di
Mandrin si manifesta con diverse produzioni culturali: libri, mostre,
fumetti, dischi rock e produzioni televisive e cinematografiche.
Il cinema ha dedicato ben 5 film a Mandrin: uno muto addirittura nel
1924, tra questi uno nel 1951: "Le avventure di Mandrin", una coproduzione italo-francese viene diretta da Mario Soldati con Silvana
Pampanini e Raf Vallone protagonisti.
Altre due pellicole seguirono: nel 1962 dal titolo "il ladro gentiluomo"
ed una addirittura uscita nelle sale lo scorso anno dedicata alle
avventure dei compagni di Mandrin dopo la sua morte.
La televisione nel 1971 ha trasmesso uno sceneggiato in 6 puntate
dedicato al contrabbandiere diretto da Philippe Fourastié, ebbe grande
successo.
Se capitate a Grenoble potrà accadere, ancor oggi che se ordinate una
birra, ve ne portino una dedicata al contrabbandiere Mandrin.
275
Gen. B. Rodolfo Mecarelli
Rete di confine
Che un confine si potesse delimitare e difendere per decine di
chilometri per mezzo di una rete metallica a maglie larghe
probabilmente non era cosa facile da immaginare.
Eppure, è accaduto allo stato italiano, prima come regno d’Italia e poi
anche come repubblica.
Il confine tra l’Italia e la confederazione elvetica si sviluppa lungo
dorsali alpine che da sole bastano a rendere impervio il passaggio da
277
un paese all’altro. Ma, in alcuni tratti, i sentieri lo attraversano
piuttosto agevolmente.
E proprio in corrispondenza di queste zone di frontiera,
per
contrastare il contrabbando, presente – come abbiamo visto ieri anche prima dell’800, a cura della Guardia di Finanza - in particolare
del Finanziere Luca Bongiovanni (morto a Como, a 92 anni) – la rete
viene studiata, preparata e collocata lungo la linea di confine. Fornita
di campanelli, aveva lo scopo di impedire e segnalare il passaggio non
solo delle persone ma, soprattutto, dei cani.
Si, dei cani contrabbandieri che intorno al 1881 (per le severe norme
doganali vigenti era previsto per il contrabbando, in quegli anni, anche
il confino) cominciarono ad essere impiegati per portare merce
contenuta in una bastina fissata intorno al loro corpo (dai 5 ai 10
chilogrammi di merce per volta). Erano animali allevati nel comasco
che una volta portati in svizzera, e lasciati senza cibo, tornavano
istintivamente a casa attraversando, per l’appunto, la frontiera. Dai
documenti della regia Guardia di Finanza di Como, del 1892,
sappiamo che in una notte potevano sconfinare anche cento cani,
addestrati perfino ad evitare i finanzieri.
Ecco, allora, la rete chiamata fiscale o di stato, che non segnava il
confine dovendo trovare collocazione sul territorio italiano.
Il primo tratto, a cominciare dal 1894, fu steso tra Rodero e Bizzarone.
E da quel momento nacquero diversi problemi tra i proprietari dei
terreni dove la reta veniva via via stesa, anche perché nelle vicinanze
furono edificate altre opere come, per esempio, una gradinata - da
Ponte Chiasso a Cavallasca - rimasta nella memoria delle fiamme
gialle, che durante i loro turni “sotto rete” hanno contato, chissà
278
quante volte, uno per uno, tutti i 667 scalini per circa 300 metri di
altezza. La “scala del paradiso” – così fu chiamata - diventò uno dei
luoghi più ricordati tra i finanzieri.
Non solo problemi con i proprietari dei terreni. Anche con le comunità
locali, come per esempio quella di Rovenna (sopra Cernobbio) che
chiese, ed ottenne, alcune aperture diurne e notturne, le prime per
contadini e pastori, le seconde per consentire lo svolgimento delle
feste religiose al santuario del monte Bisbino.
Lungo la rete di stato, nelle zone tra questa e il confine segnato dai
cippi all’interno del territorio nazionale, quante storie in tutto il XX
secolo.
Tornando ai cani, il 1° settembre 1894, nei pressi di Uggiate Trevano,
i finanziari ne catturarono uno con un carico di circa 5 chilogrammi di
tabacco e sigari (all’epoca non erano ancora comparse le sigarette).
Fu arrestata la proprietaria che però venne assolta per insufficienza di
prove, perché non si riuscì a dimostrare, al processo, l‘effettiva
proprietà dell’animale.
Il 10 aprile 1890, sempre nella zona di Uggiate, un finanziere che
aveva abbandonato il reparto scappando in Svizzera, venne sorpreso
alla testa di una banda di contrabbandieri mentre sabotava il sistema
d’allarme della rete. Addosso aveva una lettera con la quale un altro
finanziere – in servizio - gli prometteva il “passo” in frontiera.
E in prossimità della rete, ovviamente al di là della frontiera, i
doganieri elvetici registravano le bricolle in uscita percependo i diritti
all’esportazione. In particolare, quella chiamata “esportazione 2”, che
permetteva alla svizzera la libera esportazione all’estero dei tabacchi
lavorati. Quindi, in Italia.
279
La “ramina”, come viene chiamata in dialetto ticinese, fece cessare
l’uso dei cani ma non l’attività dei contrabbandieri che, aprendo dei
varchi nelle maglie metalliche, prima facevano passare le bricolle poi
passavano loro.
Lungo la rete, il 20 febbraio 1923, nei pressi del monte Bisbino,
durante uno scontro tra Guardie di finanza e contrabbandieri rimase
ferito un Finanziere. Ad aprile, all’Alpe del Bonello, in uno scontro tra
Finanzieri e una colonna di circa quaranta spalloni un contrabbandiere
rimaneva ucciso.
La rete, essendo in ogni caso un impedimento, ritardava la marcia dei
contrabbandieri i quali, per non lasciare tracce dei loro passaggi, dopo
aver aperto i varchi erano costretti a richiuderli.
E, addirittura, la mancanza della rete fiscale fu addotta a scusante di
uno sconfinamento dei Finanzieri in territorio elvetico (a detta degli
svizzeri) nella stessa notte in cui un contrabbandiere di Colonno Domenico Gerletti - fu ucciso al confine nei pressi di Pellio d’Intelvi.
Era il 3 dicembre 1954 e questa morte fu commentata sulla stampa
locale dal Senatore Lorenzo Spallino, di Como, che esortò i suoi
colleghi parlamentari a pervenire, in tempi rapidi, all’approvazione del
disegno di legge sull’uso delle armi. Proprio quella legge - la nr.100,
promulgata quattro anni dopo - della quale ha, ieri, parlato il generale
Golino.
La “siepe metallica” (con questo termine era indicata nei documenti
dei reparti della Guardia di Finanza relativi ai preventivi per
acquistare i materiali necessari alla sua costruzione) venne posta in
opera, nei primi anni del ‘900, a cura degli stessi militari, anche lungo
280
il confine tra ponte chiasso e il Bisbino, la Valle d’Intelvi, Valsolda,
Val Cavargna e Val Rezzo oltre che lungo la frontiera varesina.
Prima che iniziasse il XX secolo, tra Varese, Luino e Como, erano
stati già realizzati oltre 30 chilometri di rete.
La lunghezza complessiva, alla fine dei lavori, negli anni della 6^
legione che fu istituita nel 1945, risultò pari ad oltre 72 chilometri
lungo un confine che si estende complessivamente per 521 chilometri,
dal cippo di confine di Zenna (Varese) a quello del Passo dello
Stelvio.
Per evitare lo sfondamento della rete con gli automezzi - nel frattempo
il contrabbando aveva avuto una evoluzione, dagli spalloni che a
piedi passavano la frontiera agli automezzi come mezzo di trasporto e
di fuga - negli anni ’60 fu iniziata la costruzione di una palizzata di
cemento armato ma, per fortuna, non se fece nulla poiché il
contrabbando di sigarette finì nei primi anni ’70 per le cause che
abbiamo ascoltato ieri.
Il passaggio della rete non fu solo da parte dei contrabbandieri ma
anche dei prigionieri di guerra che – dopo l’8 settembre del ‘43 –
furono aiutati a fuggire in Svizzera.
Fra i percorsi seguiti ci fu quello della Bocchetta Stabiello, dopo il
Pizzo di Gino, per raggiungere il primo paese in territorio elvetico,
Carena. E così la “via del tabacco” diventò la via per salvare tante di
queste persone. Forse 800 ne arrivarono a Carena. Assieme a loro
anche tanti militari italiani che scappavano non avendo scelto di fare
la guerra con le insegne della appena nata Repubblica di Salò. Ma non
avendo scelto anche di lottarci contro, né tra i partigiani né con il
281
Governo Badoglio, schierato con gli eserciti alleati che stavano
risalendo la penisola.
Lungo i varchi della rete, promulgate le leggi razziali, sono stati
contrabbandate pure le persone, gli ebrei.
Non tutti li hanno aiutati per denaro: alcuni contrabbandieri non hanno
voluto soldi. Altri uomini, di un genere diverso, sono stati uccisi per
averlo fatto: è il caso del Finanziere Salvatore Corrias fucilato – dalle
Brigate Nere al Bugone - nel gennaio del 1945.
La rete non ha evitato l’ingresso in Svizzera dei clandestini, altro
gravissimo fenomeno iniziato sul finire degli anni ’70, e, fino agli
attuali anni, presente sul confine. Stavolta, non si chiamano
contrabbandieri ma “passatori” che accompagnano, pagati,
alla
frontiera gli “stranieri” pronti, se scoperti dalle Forze di polizia, a
mollare, questa volta, non il sacco ma le persone, trattate, così, come
merce di contrabbando.
Un ricordo per non dimenticare la tragedia dei migranti: al Passo
Spluga sotto una bufera di neve, nell’ottobre del 1988, un bambino
turco di sette anni morì tra le braccia del padre.
La rete è rimasta al suo posto fino ai giorni nostri. Senza denaro per
farne la manutenzione. In ogni caso – seppur ci fosse stato – non
sarebbe stato certamente speso per un manufatto diventato inutile.
Inutile per le maniere diverse con le quali i criminali effettuano, da
anni, i traffici illeciti attraverso più stati (dalla droga alle merci
contraffatte e alle stesse sigarette) utilizzando loro questa volta, tra i
diversi sistemi organizzativi, una rete però diversa: quella mondiale
chiamata internet. Di quella metallica se ne è riparlato agli inizi del
xxi secolo per esaminare come, eventualmente, rimuoverla (quella
282
rimasta in piedi, ancora visibile, tenuto conto che in diverse zone del
terreno la folta vegetazione la nasconde anche alla vista di coloro che
ne conoscono l’esatta ubicazione).
Intanto, da un articolo del 7 aprile 2012 pubblicato da “la provincia”
di Como, si è appreso che gli alpini della Sezione di Maslianico hanno
avuto la lodevole iniziativa di mettersi al lavoro per recuperare i
vecchi sentieri lungo il confine e lungo la rete mentre l’ente turistico
di Mendrisio ha inserito – nel pacchetto delle escursioni – anche
quelle lungo la rete italiana.
1. IL
SERVIZIO ANTICONTRABBANDO NELLE CRONACHE DEI SECOLI
SCORSI
Nell’archivio del giornale “la Provincia” di Como, in uno dei primi
numeri, quello del 4 ottobre 1893, si può leggere di un contrabbando
tentato a Brogeda cercando di corrompere, ma inutilmente, il
finanziere di guardia offrendogli direttamente del denaro.
Un anno prima, il 3 dicembre, alcuni contrabbandieri scoperti dai
finanzieri, nel tentativo di scappare annegano nell’Adda in prossimità
del Lago di Como.
Ancora nel 1893, il 28 febbraio, una grave disgrazia a Chiasso: una
Guardia, durante il controllo alla ferrovia, cade sotto il treno e dopo
aver subito l’amputazione di una gamba muore per le altre gravi ferite
riportate.
Il 10 dicembre dello stesso anno, il giornale ci informa che il
Brigadiere della Guardia di Finanza di Menaggio merita “sinceri
encomi perché quasi ogni giorno sequestra tabacchi”.
283
Ecco, da queste prime notizie, si comprende immediatamente come
l’attività illecita del contrabbando commesso lungo tutta la frontiera
con la svizzera sia antica, invasiva nella società locale, collegata ad
altri gravi reati e a tragici eventi dovuti ad incidenti e agli scontri tra
guardie e contrabbandieri.
Lo “sfroso”, come viene definito il contrabbando nel comasco, per
come è stato raccontato dalla stampa, nella letteratura, dagli studiosi,
dagli stessi contrabbandieri e, naturalmente, dai finanzieri ha assunto,
nel tempo, varie colorature.
Forse, a tutt’oggi, non si è riusciti a darne una lettura autentica, anche
cruda direi, che tenga conto sì delle molteplici cause che lo hanno
generato e tenuto prospero per intere e numerose generazioni, ma che
esponga i fatti così come sono, senza per forza calarsi in una delle
parti in causa.
leggiamo sul “nuovo Lario” del 1885 un racconto – a puntate – sulle
“gesta” di un noto contrabbandiere dell’epoca, tale “Cecco” che dopo
avere contrabbandato merci per 25 anni diventò postino delle lettere di
Mazzini negli anni ‘48/’49. Poco prima, negli anni 1883/’84 “la
Provincia di Como” aveva pubblicato, sempre a puntate, un novella:
“la fidanzata del contrabbandiere”.
Scrive Bruno Soldini: “dove c’è confine c’è contrabbando” nel suo
libro “uomini da soma. Contrabbando di fatica” quasi a evidenziare
una costante di questa attività illecita lungo ogni frontiera.
Il 13 gennaio 1895, due finanzieri di Gravedona (Tommaso Berrino e
Luigi Gavazza), nella Valle del Dosso, rimasero uccisi, sepolti sotto
una valanga.
284
Il 14 agosto 1917, due finanzieri vennero uccisi da quattro disertori
vicino alle sponde del lago di Darengo. Il 2 marzo dell’anno dopo una
valanga seppellisce il Distaccamento della Foppa: 8 morti, il
comandante e 7 suoi militari nati in Piemonte, Lombardia, Toscana,
Sicilia. Ma i morti sono di più: restano sotto la valanga anche due
portavivande del posto, abitanti a Dosso del Liro.
Le valanghe uccisero anche numerosi contrabbandieri:
una ne
travolse 13, cogliendoli tutti assieme in colonna, uccidendone 10. Era
il 20 gennaio del 1948, in Val Senagra.
Nel
1969, il 14 gennaio, nella Valle Albano, due finanzieri del
distaccamento del Giovo perdono la vita assieme a quella del loro
cane anticontrabbando, sepolti da una valanga. Solo in primavera
vennero recuperate i corpi.
Dalle tragedie in montagna si passa ai sequestri originali che hanno
fatto sorridere, come quello delle pellicole cinematografiche della
lunghezza complessiva di ben 80 chilometri, scoperte in un doppio
fondo di un carretto, il 12 marzo 1924, alla dogana di Ponte Chiasso.
Il 23 giugno 1933, nella località “Valle Fiorina” di Valsolda, un
contrabbandiere spinse in un burrone un finanziere, uccidendolo.
Un anno dopo, la “Domenica del Corriere” del 21 gennaio, con una
celebre tavola del pittore Achille Beltrame, dai tratti decisamente
retorici, immortala un ingente sequestro di sigarette fatto da due soli
finanzieri, una volta intercettata una colonna composta da ben cento
contrabbandieri a Lanzo d’Intelvi. Un
arresto e 96 bricolle
abbandonate sulla neve per trenta quintali di tabacco, zucchero e caffè,
dopo un conflitto a fuoco: rivoltelle dei contrabbandieri e moschetti
’91 dei militari. Il capo della colonna era Clemente Malacrida di Pellio
285
d’Intelvi, conosciuto come il “duca della montagna” , uno dei
rarissimi “padroni” passati a fare anche gli “spalloni”.
Questo contrabbandiere portava, come gli atri, la merce fino alle
sponde del lago nei vari paesi della Tremezzina. Qui, il carico veniva
diviso e trasportato all’altra sponda con delle imbarcazioni chiamate
“sandolini”.
Durante il contrabbando del riso (contrabbando di guerra dall’Italia
alla Svizzera, e non si trasportava solo riso) durato fino al ’48, le
guardie di confine della Confederazione Elvetica avevano ordine di
sparare. Le cronache del tempo, infatti, riportano scontri cruenti con i
contrabbandieri, a volte armati.
Si è ucciso per il riso: il ferimento di un finanziere appena arrivato in
Val d’Intelvi preso a fucilate mentre era fuori servizio fa comprendere
come in quel periodo gli animi fossero accesi e le persone pronte a
tutto. E in territorio svizzero ci furono scontri a fuoco tra guardie e
contrabbandieri, feriti se non addirittura uccisi: il 30 ottobre 1945 a
Roggiana di Vacallo, un doganiere elvetico resta ucciso da una raffica
di mitra sparata da un gruppo di contrabbandieri di Maslianico.
Un'altra guardia svizzera, il 17 settembre del ‘45 a Brusino, cadde
colpita da tre colpi di pistola.
Dal 1943 al 1948, nel territorio elvetico furono uccisi 31
contrabbandieri mentre le guardie ebbero tre caduti.
“L’ordine” del 13 luglio 1945, in proposito così scriveva: …<< il
contrabbando non è erbaccia nuova, spuntata ai margini delle macerie
morali e materiali che ci circondano. E’ un reato dalle radici profonde.
Consistendo in un’evasione ai dazi doganali, il contrabbando
appartiene ad una vasta categoria delle infrazioni fiscali; rappresenta
286
uno dei mille modi con cui la fertile fantasia del contribuente cerca di
sfuggire alle maglie del fisco. L’omicidio, il furto, la violenza sono
fatti dalle ampie ripercussioni sulla società. Destano allarme sociale e
dalla massa sono perciò “sentiti” come reato. Ma chi “sente” da noi,
come reato, l’evasione fiscale? Se la norma punisce come delitto il
furto e l’omicidio, interpreta la volontà popolare. Ma quando colpisce
l’infrazione fiscale, assume l’aspetto della tirannia…>>.
E non si può dimenticare che, durante la guerra, soprattutto dopo l’8
settembre 1943, i contrabbandieri furono considerati in maniere
diametralmente opposte.
Da un lato, i contrabbandieri-patrioti che portavano di nascosto su per
i sentieri della frontiera il cibo, il denaro e le persone che non
dovevano essere catturate dai fascisti o nazisti come i prigionieri di
guerra che ho ricordato parlando della rete fiscale.
Ed erano tempi nei quali tutti contrabbandavano tutto: la prefettura, il
Comando germanico di Colico, la X Mas e la segreteria particolare di
Benito Mussolini (oro, orologi, valuta, tela blu, tagli d’abito, gomme
d’automobili, scarpe, caffè).
Dall’altro, il comando militare della zona liberata (Ossola, settembreottobre 1944) emetteva il bando con il quale disponeva: < tutti coloro
che verranno sorpresi in flagrante contrabbando o che dalle indagini
risulterà che facciano tale contrabbando, saranno passati per le armi>.
Pagine ancora sconosciute, intrise di intrighi, delazioni, compromessi,
assenza di regole, sopravvivenza giornaliera senza possibilità di poter
contare su un futuro appena programmabile, morte spesso di uno per
salvare la propria vita.
287
E’ in questi tempi che, a Roma, la Guardia di Finanza decide di
istituire un Comando di Legione a Como.
Nata da pochi mesi la 6^ Legione di Como, il primo importante
sequestro non fu di tabacco lavorato, le sigarette, ma una tonnellata di
seta che, il 24 maggio 1946, stava per essere importata illegalmente
nei pressi di mulini.
In pochi mesi, 3 luglio e 18 novembre sempre del ’46, due conflitti a
fuoco tra militari e contrabbandieri: il primo in Valsolda, il secondo a
Casasco d’Intelvi dove viene lanciata contro i finanzieri una bomba a
mano che ferisce un militare.
Nel settembre e ottobre del ’47 a Lissone presso un magazzino un
quintale di saccarina; in val Cavargna, altra saccarina, zucchero e
caffè; a Dongo, 1 tonnellata di sigarette.
A luglio del ’48, 8 tonnellate di sigarette nascoste nei vagoni
ferroviari, scoperte tra Ponte Chiasso e Milano. La notte dell’Epifania
del ‘49, a Schignano, 40 colpi di moschetto per fermare un camion
con a bordo oltre 2 quintali di sigarette.
14 colpi di moschetto e 10 di pistola vengono sparati per bloccare una
colonna di 12 spalloni a Pellio d’Intelvi, nel mese di maggio. Ad
agosto, altri 30 colpi di moschetto alla bocchetta di San Bernardino
(San Fedele d’Intelvi) una volta intercettati alcuni contrabbandieri che
non vogliono lasciare i sacchi.
Nell’ottobre, a Menaggio, grazie
all’intervento di un Finanziere riuscito a saltare sul predellino di un
altro camion vengono presi 5 quintali di sigarette trovate in un doppio
fondo. Il 5 dicembre, lungo la statale tra Colico e Dervio due
finanzieri motociclisti inseguono e catturano, sparando alle gomme,
un’ auto con bordo le bricolle. L’anno si chiude con una importante
288
attività investigativa del nucleo di polizia tributaria svolta con i reparti
di Milano, Ferrara, Cremona e Monza: 17 persone denunciate per il
contrabbando di 45 tonnellate di zucchero e 20 di farina bianca.
E così per tanti anni ancora: di notte, soprattutto, ma anche alla luce
del sole, lungo la rete, ai passi di montagna, nella acque dei laghi, ai
valichi di confine. Portate, le sigarette, sui mezzi della (allora)
pubblica sicurezza; su quelli camuffati da vigili del fuoco e croce
rossa. Nascoste nei posti più disparati, aiutati in questo, i
contrabbandieri, dalla forte omertà dei compaesani. Nelle stalle, nelle
cascine, nelle arnie delle api (ad Albate, a bordo di un camion il 18
giugno 1951), sotto trucioli di ferro, tra scatole di scarpe, ceste di
vimini, nelle legnaie, parafanghi delle auto, ceste della frutta,
autobotti, vagoni ferroviari, camion frigoriferi, bottiglie del latte.
Nella casa parrocchiale di Bizzarone, l’11 dicembre 1960 vengono
trovati 4 quintali di sigarette. Denunciato il parroco.
Quel parroco non sapeva probabilmente che – oltre un secolo prima il vescovo di Como, sollecitato dal comandante della Guardia di
Finanza, così scriveva – il 6 novembre 1851 - al curato di Garzeno il
quale si era interessato troppo alla restituzione di una partita di merce
di contrabbando ad alcuni sedicenti proprietari: <<… ella sa a qual
genere di vita si abbandona il contrabbandiere. Scambia la notte per il
giorno per compiere il suo delitto. Di sacramenti non si cura, ne è
degno perché esercita così immorale mestiere. Di pietà non si occupa;
di doveri di padre, di marito o di figlio neppure uno ne soddisfa.
Tanto guadagna tanto sciupa in gozzoviglie; i suoi compagni sono
degni di lui; il parlare è turpe; e posso accertare, reverendo, d’aver
imparato dall’esperienza del ministero parrocchiale che ho esercitato,
289
che dal contrabbando all’assassinio non avi che un passo. E a tal fatta
di persone che arrischiano la loro personale libertà ma ben anche la
vita, giammai in retta coscienza si potrà avere riguardo alcuno, e lo
stesso si dica dei loro committenti…>>.
Inseguimenti con qualsiasi mezzo utile. Anche con le biciclette, con le
quali - due giorni dopo 31 colpi di moschetto sparati per fermare una
colonna di spalloni a pian d’alpe – a gennaio del 1951, nella mattinata,
in via martino anzi di Como, riescono a fermare un autocarro con la
targa del Canton Ticino: a bordo 1 tonnellata di sigarette. Ma non
solo. Le indagini portano alla denuncia di 8 persone di cui 2 finanzieri
per collusione in contrabbando.
Nel ’56, a Lezzeno, anche una barca a remi è impiegata dai finanzieri
per sequestrare 3 quintali di sigarette.
I finanzieri di Barletta informano quelli di Como: 39 persone
denunciate per contrabbando di 14 quintali di saccarina consumati in
frode nei mercati di Bari, Bologna, Napoli, Agrigento, Asti, Taranto,
Cagliari, Nuoro, Terni, Palermo, Firenze ed Ancona.
Nella notte del 3 novembre 1951, un finanziere prima salva un
contrabbandiere che stava annegando nelle acque di Argegno e poi lo
arresta.
Tra quintali e quintali di sigarette, a Bizzarone anche 1100 flaconi di
penicillina, ad ottobre del ’52.
A Colonno, una folla di 60 persone si ribella contro un finanziere
“reo” di controllare due donne delle quali una nota contrabbandiera.
Nel ’53, la notte del 12 giugno, lungo la sponda di Cremia, dopo un
tentativo di speronamento contro la motolancia dei finanzieri, due
290
contrabbandieri a bordo di un motoscafo vengono uccisi dai colpi
sparati dai militari.
L’anno dopo, nella notte del 21 settembre, sulla strada da Varenna a
Lecco, dalla macchina dei contrabbandieri in fuga vengono lanciati
contro l’auto dei finanzieri chiodi, fumogeni e acceso un faro per
abbagliare il militare alla guida.
Al termine di una perlustrazione la motolancia nr. 24 non rientra agli
ormeggi. E’ la notte tra il 5 e il 6 novembre 1960. Dopo due giorni
vengono ritrovati annegati nelle acque del lago i due militari di bordo.
Nel 1963, il 10 marzo, i contrabbandieri dopo essere stati scoperti
tentano di riprendersi le bricolle dai finanzieri che devono fare uso
delle armi.
Due giorno dopo, 200 facinorosi aggredendo i militari provano a
recuperare la merce appena sequestrata: 6 quintali di sigarette, 27
milioni di lire e 2 autocarri. 14 vengono arrestati senza uso delle armi
da parte delle Fiamme Gialle.
Il 1° aprile, una bomba alla caserma di Chiavenna provoca, per
fortuna, solo danni alle cose.
Gli anni ’60, come è stato detto ieri, si caratterizzano anche per l’altro
tipo di merce di contrabbando: il caffè trasportato, a tonnellate, con
gli spalloni e automezzi.
E mentre le associazioni criminali si ingegnano a trovare le maniere
per fare sempre più ingenti, illeciti guadagni, si continua a morire in
montagna: sul monte Pravello (Varese), il 9 giugno del ‘63, un
fulmine colpisce la garitta uccidendo i due militari di guardia.
Mentre a Villa Olmo nel ’64 vengono sequestrati 4000 orologi, a
Lecco un’autocisterna a bordo porta 6 tonnellate di caffè crudo; a
291
Sondrio, un furgone con le insegne dei vigili del fuoco trasporta 6
quintali di sigarette; all’Aprica, un camion con altre bricolle. Dopo
pochi giorni di nuovo a Villa Oolmo, questa volta
4 quintali di
sigarette sotto rotoli di nylon.
Il 21 ottobre di quell’anno l’elicottero mm80289 si inabissa nelle
acque davanti Sala Comacina del lago di Como. Muore il pilota (brig.
Alfonso Pozzi).
Nel tempo in cui qualcuno muore durante il proprio servizio, altri
militari – questa volta infedeli - pensano a come arricchirsi con i soldi
sporchi dei contrabbandieri: infatti, sempre nello stesso mese di
ottobre, 7 finanzieri che avevano prestato servizio in Valtellina
vengono denunciati, assieme ad altri 10 contrabbandieri, per
corruzione, collusione in contrabbando e contrabbando.
Gli ultimi anni ’60, come in un canto del cigno, si presentano ancora
con una intensa attività illegale dalla svizzera in Italia. Alcuni dati per
tutti della sola legione di Como: nel 1969, 193 persone arrestate; 64
tonnellate di sigarette e 13 tonnellate di caffè sequestrate; valuta per
437 milioni di lire.
Poi, le cronache del tempo raccontano altri fatti: un contrabbando che
si era trasferito sul mare, prima il Tirreno poi l’Adriatico, anche se
qualche tir carico di bionde continuò a transitare per Brogeda.
Le navi “madri” e poi quelle
tonnellate di sigarette nelle
“nonne”, portando centinaia di
stive, non fecero certo rimpiangere
qualche migliaio di spalloni.
E dopo, le modalità e i mezzi usati e ben collaudati in tanti anni per il
traffico delle sigarette furono messi a disposizione – dalle
organizzazioni criminali transnazionali tra le quali, in particolare,
292
quelle di stampo mafioso – di un altro traffico, ben più lucroso e
devastante, il traffico degli stupefacenti.
Alcune cose rimasero, però, uguali: qualche banca svizzera, la
residenza elvetica delle “menti” del contrabbando internazionale, il
riciclaggio dei proventi illeciti.
Prima di lasciare palazzo Terragni a Como, dove ho potuto rileggere i
preziosi diari storici della 6^ legione, ho sfogliato l’albo d’oro.
Ricordavo bene il contenuto più importante: sono proprio 112 i caduti
in servizio anticontrabbando lungo il confine
tra le provincie di
Varese, Como, Sondrio e la Svizzera.
E forse – all’appello - ne manca qualcuno.
vi ringrazio
RICERCHE E BIBLIOGRAFIA
Archivio dello stato di Como
Archivio del quotidiano “La Provincia di Como”
Museo della 6^ Legione della Guardia di Finanza di Como
Tesi di laurea della dott.ssa Franca Ronchetti, a/a 1990-91 Università
degli studi di Milano, facoltà di scienze politiche: <Il contrabbando
nel comasco tra cultura e subcultura>
<antica vita fra la Masoni. Garzeno>, di Rita Pellegrini, ed. Attilio
Sampietro, 2009
<insieme cultura>, Rivista della Provincia di Como, numeri 5 (1984)
e 12 (1989).
293
Dott. Diego Zoia
Il contrabbando tra Valtellina e Svizzera
durante le due guerre mondiali
1. QUALCHE NOTIZIA SUL PERIODO DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Durante il primo conflitto mondiale il fenomeno del contrabbando tra
Italia e Svizzera cessò quasi completamente anche in Valtellina.
La chiamata alle armi di quasi tutti gli uomini validi, insieme al fatto
che le frontiere erano chiuse e che la provincia venne considerata,
295
almeno in alcuni periodi, zona di operazioni militari, ridusse
grandemente il numero dei maschi che esercitassero tale attività.
Nei pochi casi di contrabbando operato da uomini validi, tra l’altro,
alle pene ordinarie si accompagnavano quelle per entrata clandestina
nello Stato e per violazione del “bando Cadorna” , in quanto si
trovavano in zona di operazioni senza salvacondotto.
Le poche notizie che si sono raccolte, tratte quasi esclusivamente da
atti giudiziari, sono infatti relative a isolati episodi, quasi tutti di
natura “atipica” o compiuti da minorenni o da donne.
Spicca in particolare il caso di una di queste ultime, residente a
Roncaiola di Tirano, imputata “in violazione dell’art. 1della legge
sull’Emigrazione..”per avere “ il 31 Gennaio 1916 provocato e
favorito l’emigrazione da Tirano verso la Svizzera a cinque persone,
indicando la via per un sentiero, dopo aver esplorato se era
sorvegliato...”.
Si tratta, a quanto è noto, del primo caso di “passatrice”: ben più
importante divenne il fenomeno pochi anni più tardi, con l’entrata in
vigore delle nuove disposizioni in materia di Pubblica Sicurezza del
1926, ma soprattutto – come si dirà - durante il secondo conflitto
mondiale.
Un altro episodio ci è stato raccontato da un noto scrittore lombardo,
Carlo Emilio Gadda, che nel suo “Diario di guerra e di prigionia”
racconta la condanna di un suo collega ufficiale, di stanza ad Edolo in
Valcamonica, per contrabbando.
Questi aveva fatto trasferire della merce vietata (forse generi
alimentari) alla moglie, che viveva a Zurigo: con la possibilità quindi
296
– anche se la cosa appare abbastanza teorica - di rivenderlo ai nostri
nemici.
Quasi certamente il fatto avvenne a Tirano, anche perché proprio da
tale località partiva già in quel periodo la Ferrovia del Bernina, che
collegava la rete ferroviaria italiana con quella elvetica.
Sembra, tra l’altro, che il fatto non fosse isolato: nel 1919 venne infatti
disposto dal Tribunale di Sondrio di non farsi luogo a procedere, per
intervenuta amnistia, nei confronti di un negoziante di Madonna di
Tirano, imputato di aver somministrato “mediante pacchi diretti in
Svizzera... generi per cui è prescritto l’uso della tessera municipale a
persone che ne erano sprovviste...”.
Ben più numerosi furono invece, in quel periodo, i furti – a centinaia,
solo quelli accertati - e i molti episodi di aperta violazione delle leggi
legati alla assoluta scarsità di generi alimentari.
Se si vuole intendere con una certa ampiezza il termine “contra
bannum” come violazione delle prescrizioni di legge, si può ad
esempio ricordare che nel 1917, una volta di più a Tirano, la folla
inferocita, formata quasi per intero da donne, chiamata a raccolta dal
suono della campana a stormo, diede l’assalto ad un magazzino di
viveri gestito dal locale Ente autonomo dei consumi, il cui consiglio di
amministrazione si era reso colpevole di “aver lasciato la popolazione
spessissimo senza generi, e ciò per aver tenuto i generi nei
magazzini... in attesa di un prezzo molto superiore ai costi...”.
La cosa era ben più grave della stessa attività contrabbandiera: per la
cronaca, i viveri furono distribuiti tra la popolazione e non si ebbero, a
quanto è noto, conseguenze penali per la cosa; l’episodio che veniva
297
ricordato come “L’assalto al banco” è rimasto a lungo nelle
fabulazioni popolari.
Per tornare al contrabbando vero e proprio, restò in sostanza attivo
nella zona solo il piccolo “sfroso” locale esercitato da donne delle
frazioni di montagna del versante Retico, che arrotondavano le
magrissime entrate con l’importazione illegale di limitati quantitativi
di zucchero o caffè, che nascondevano in genere nelle “bastine”
(specie di contenitori a sacco che si portavano sotto gli abiti) o in
mutande chiuse al ginocchio o alle caviglie: con tutte le conseguenze,
sul piano igienico, che si possono facilmente immaginare.
Del tutto isolati invece furono, a quanto appare dai pochissimi atti
pervenutici, gli episodi di contrabbando esercitati da uomini.
Tra questi, merita di essere ricordato il caso di tre ragazzi della
Valchiavenna rispettivamente di 14, 15 e 17 anni, fermati con 5,5 Kg.
di tabacco e 1 Kg. di cioccolata (tra tutti): furono implacabilmente
condannati per contrabbando in unione: buon per loro che non erano
ancora soggetti ad alcun obbligo di natura militare.
Usufruirono invece dell’amnistia due giovani di Schilpario (in Val di
Scalve) che furono fermati a Sernio con una bricolla di sigari ed una
di tabacco, oltre a 17 sigari ed a un falcetto con lama superiore ai 10
cm: erano stati imputati, oltre che di contrabbando, anche per aver
“violato il bando Cadorna, trovandosi in zona di operazioni senza
salvacondotto”. 1
1
Molte delle informazioni che si forniscono sono tratte dal volume La carga;
contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, di Massimo Mandelli e Diego Zoia:
in particolare a pp.139-141 e 158-174.
298
2. I PRIMI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Durante il secondo conflitto mondiale, sul quale si sono potuti
raccogliere dati più completi ed organici, il fenomeno assunse invece
un’importanza del tutto diversa, in particolare nell’ultimo periodo.
Per prima cosa, la Svizzera conservò sempre il suo non facile “status”
di neutralità; la cosa aveva determinato, già dall’inizio delle
operazioni
belliche,
una
situazione
di
grave
penuria
negli
approvvigionamenti sia di generi alimentari, sia di prodotti industriali:
in particolare per l’impossibilità di accesso al mare e per le
caratteristiche del suo territorio, in larga parte montano.
Tale situazione si era aggravata dopo il blocco navale messo in atto da
Francia ed Inghilterra, tanto che nel Gennaio del 1940 il capo
dell’Ufficio federale di guerra per l’alimentazione ricordava che
“Dobbiamo renderci conto che... bisogna abituarsi alla prospettiva di
una completa indipendenza nel settore alimentare. Così l’idea di
autarchia, che come paese esportatore abbiamo sempre respinto, è
diventata una necessità operativa...”.
D’altro
canto,
già dal
1939,
le superfici
coltivate furono
progressivamente aumentate – persino i giardini pubblici furono
destinati
a
coltura
–
e
vennero
introdotti
razionamenti
progressivamente crescenti nei generi di più largo consumo.
Le razioni mensili di farina, pasta, riso, olio, zucchero furono così
gradatamente ridotte fino a scendere sotto lo stesso livello di
sussistenza; la razione di riso, a partire dal Maggio 1942, venne
addirittura soppressa 2.
2
I dati sono riportati da Erminio Ferrari in: Contrabbandieri; uomini e bricolle tra
Ossola, Ticino e Vallese, pag. 59.
299
Risulta evidente, da tali premesse, che si sarebbe dovuto reprimere
ogni contrabbando in uscita e che vi fossero invece le condizioni per
uno sviluppo dei traffici illegali in direzione opposta: le cose
puntualmente si avverarono.
Ne fece le spese, proprio in quel periodo, un giovane di Villa di
Tirano, che portava un carico di caffè e che fu colpito a morte da una
guardia confinaria elvetica, che sparò ben 12 colpi contro un gruppo di
contrabbandieri che non si erano fermati all’intimazione di alt e che
tentavano di rientrare in Italia.
Fu il primo di una lunga e dolorosa serie di morti, nella zona, che durò
fino al termine del conflitto e oltre.
Tra l’altro già nei primi anni di guerra, dal Dicembre del 1940, la
frontiera con la Svizzera era stata chiusa e sempre in quell’anno erano
state indurite, in Italia, le pene per contrabbando.
La chiamata alle armi della maggior parte degli uomini validi aveva
tra l’altro ridotto, come era in precedenza accaduto nel corso del
precedente conflitto, il numero dei maschi in età valida che potevano
dedicarsi a tale attività, senza peraltro fermarla del tutto.
La cosa risulta evidente da un articolo su Cavaione (una frazione di
montagna di Brusio in prossimità del confine, che faceva parte fino
alla metà dell’Ottocento del Comune di Tirano) pubblicato nel Marzo
del 1942 sul “Grigione Italiano”, un periodico stampato a Poschiavo.
Si ricordava nello scritto che “nella nostra valle i commercianti
vendevano caffè, zucchero, cioccolata e poche altre cose ai
contrabbandieri, che erano esclusivamente Italiani...”.
Dopo una dettagliata illustrazione sul come l’attività veniva esercitata,
si aggiungeva che “Tutte le leggi e proibizioni non riusciranno mai a
300
eliminare o almeno a far stagnare il contrabbando. Vi riuscirono
parzialmente i decreti emanati per impedire la propagazione dell’afta
epizootica... vi riuscì totalmente la seconda guerra mondiale che
chiuse il mercato ai clienti italiani...”.
La fame svizzera aveva cominciato in ogni caso a farsi sentire e la
relativa disponibilità di prodotti alimentari in Valtellina determinò, già
nei primi anni ’40, un primo afflusso verso la Svizzera di merci non
del tutto regolari.
Per prime, le castagne, largamente prodotte nelle valli italiane di
confine e quasi del tutto assenti nella Confederazione Elvetica.
Gruppi di donne, che orgogliosamente ricordano di non aver mai
contrabbandato merci di altro genere 3, varcavano il confine portando
in Svizzera sacchetti dei preziosi frutti: gli stessi erano utilizzati sia
freschi, che essiccati, che macinati in farina.
Alle castagne si accompagnavano a volte altre merci derivanti
dall’attività agricola locale: ad esempio farina – in particolare quella
di grano saraceno - o insaccati, o addirittura animali vivi. I maialini ad
esempio, che erano trasportati nelle gerle, venivano prima di partire
ubriacati con grappa, affinché non grugnissero.
Un altro prodotto divenne poi oggetto di contrabbando, anche se
abbastanza atipico: il vino.
Da moltissimo tempo cittadini Svizzeri erano proprietari di estese
superfici a vigneto in territorio italiano, o semplicemente le
coltivavano: gli stessi avevano la franchigia del dazio per quanto da
loro prodotto direttamente.
3
Si può consultare ad esempio la testimonianza raccolta da Agnese Bombardieri
nella sua recente tesi di laurea Il contrabbando in Valtellina: un’analisi
sociologico-giuridica, pag. 128.
301
Evidentemente, non tutti si limitavano a tali quantitativi, tanto che la
Direzione del III Circondario Doganale di Coira dovette avvertire nel
1942 “i proprietari ed usufruttuari di vigneti nella zona economica
valtellinese che la franchigia totale o parziale di dazio viene concessa
solo per i prodotti della corrente annata... Incorre in contravvenzione
chi... importa o tenta di importare
1)vino di altre annate
2)uva fresca o pigiata, vino o vinacce di altra produzione che la
propria
3)i prodotti dei propri fondi commisti con prodotti di altra
provenienza.
Al denunciante verrà attribuito un premio adeguato.”
Ma... dagli “sfrosi” in materia, oltretutto quasi impossibili da accertare
se non in presenza di assolutamente improbabili delazioni, ci
guadagnavano tutti: i produttori italiane di uve, che ne vendevano una
parte alle ditte elvetiche; le ditte stesse, che potevano effettuare
importanti ricarichi sui prezzi in esenzione dal dazio, i cittadini
Svizzeri che avevano a disposizione un prodotto di buona qualità ad
un prezzo minore.
A quanto è noto, l’esportazione dalla Valtellina di vino per il tramite
delle ditte produttrici elvetiche continuò, bene o male, per tutto il
conflitto.
Tanto più che le ditte stesse davano lavoro a molti lavoratori Italiani
(soprattutto donne), contribuendo in modo significativo a ridurre le
durissime condizioni di vita dei contadini locali, in particolare nelle
frazioni di montagna.
302
Si deve aggiungere che, già nel Settembre del 1942 (e quindi ben
prima dello sfaldamento dell’esercito italiano), il Consiglio Federale
svizzero aveva stabilito che “Chiunque, sottraendosi al controllo di
confine svizzero, entra o esce dalla Svizzera... è punito con la
detenzione”.
E le guardie di frontiera elvetiche non scherzavano.
Dopo la chiusura della frontiera con la Svizzera potevano passare il
confine solo coloro che ne fossero espressamente autorizzati ed
unicamente nei valichi, stradali o ferroviari, presidiati in permanenza:
sostanzialmente solo Villa di Chiavenna, Campocologno e Viano nel
Tiranese e, in alcuni periodi, alcuni passi del Bormiese.
Tutti i sentieri di montagna, sui quali si esercitava tradizionalmente
l’attività contrabbandiera, erano chiusi e sorvegliati: coloro che
tentavano di varcare il confine utilizzandoli venivano arrestati.
Le guardie intimavano l’alt e, in caso di fuga, sparavano sui fuggitivi
senza altro avviso: e sparavano bene.
Tale stato di cose durò fino al termine del conflitto e per l’anno
successivo, attenuandosi in seguito fino a sparire quasi del tutto.
Ne fecero le spese molte persone, uccise o ferite durante la fuga: nella
sola zona del Tiranese, almeno una decina.
Tale stato di cose non era certo visto con favore dalla popolazione
locale su entrambi i lati della frontiera, poiché tutto sommato il
contrabbando portava in territorio italiano qualche soldo in più, in
periodi tanto grami, e nella fascia svizzera di confine la possibilità di
disporre di beni: in particolare alcune derrate alimentari – riso,
soprattutto – altrimenti introvabili.
303
Vi furono quindi, in territorio elvetico, diverse sollevazioni, anche
aperte, contro gli eccessi delle guardie nell’uso delle armi: questo, in
particolare, nel Ticino. La cosa venne comunque repressa con
fermezza dalle autorità.
Nella zona che interessa non si arrivò a sollevazioni aperte, ma furono
continue le recriminazioni della popolazione locale contro il corpo
della polizia di frontiera, costituita per lo più da persone provenienti
dalle aree tedescofone della Svizzera e spesso riformati.
In Val Poschiavo, in particolare,erano assai più vicini alla popolazione
locale i contrabbandieri, affini per lingua e quasi sempre per credo
religioso: in qualche caso addirittura amici.
La sorda ostilità nei confronti delle guardie di confine durò addirittura
per almeno un decennio dopo la fine del conflitto
3. DOPO L’ARMISTIZIO
Quali furono le principali vicende nella zona dopo l’armistizio
dell’otto Settembre 1943?
Verso la fine dell’estate del 1943 l’Italia attraversò una crisi, politica e
sociale, gravissima, che culminò con la cessazione dello stato di
guerra con gli Alleati, ma soprattutto con la sostanziale dissoluzione
dell’esercito: privi di riferimenti superiori, incerti sul da farsi, interi
reparti militari si sfaldarono e migliaia di soldati tentarono il ritorno
alle loro abitazioni con ogni mezzo, per lo più a piedi. Nel Nord Italia
venne costituita la Repubblica Sociale Italiana, di fatto strettamente
controllata dall’esercito tedesco.
Migliaia di fuggiaschi, che semplicemente avevano lasciato le loro
unità o che erano apertamente oppositori del nuovo regime, cercarono
304
di raggiungere il territorio svizzero, varcando il confine, o salirono in
montagna dandosi alla macchia e costituendo i primi nuclei di quelle
che sarebbero state le formazioni partigiane.
Nelle regioni del Nord anche i corpi militari più strettamente legati al
territorio – vale a dire i Carabinieri e, nelle zone di frontiera, le
Guardie di Finanza – si trovarono, in molti casi, in gravi difficoltà,
costretti a complicate operazioni di equilibrismo per destreggiarsi tra i
loro convincimenti (sia la Guardia di Finanza, sia i Carabinieri, erano
in larga parte filo-monarchici ed antifascisti) e la necessità di
obbedire, almeno formalmente, alle autorità tedesche e del nuovo
regime.
Molti militari anche di queste forze armate si unirono così alle
migliaia di persone che, soprattutto attraverso i sentieri di montagna,
cercavano rifugio in terra elvetica.
Le truppe tedesche, dal canto loro, unite ai reparti della R. S. I. di
provata affidabilità (in particolare della Milizia Confinaria, poi
Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera della Legione Monte
Rosa), si adoperarono per chiudere, quanto più rapidamente possibile,
almeno una parte dei valichi di frontiera: nella zona, almeno quelli più
facilmente controllabili.
L’afflusso di profughi fu molto intenso nelle zone di confine del
Ticino e della Mesolcina, con migliaia di espatri già nei primi giorni
dopo l’armistizio 4; già dai primi giorni iniziarono però, nella zona, i
primi importanti respingimenti.
4
Un’interessante descrizione della confusa situazione nella zona in quei giorni è
data da Adriano Bazzocco in Fughe, traffici e intrighi.............; in particolare pp.
186 ss.
305
In Valtellina e Valchiavenna – zona più periferica e di accesso ben più
difficoltoso - la situazione presentò in un primo periodo minori
difficoltà, in quanto tutti i fuggitivi verso il Cantone dei Grigioni
erano, a quanto è noto, accettati.
Il 22 Settembre 1943 il “Grigione Italiano” scriveva però che
“domenica scorsa (il 19 Settembre) i Tedeschi presero possesso anche
delle dogane e ordinarono la chiusura del confine. La misura venne
presa in seguito al grande numero di profughi che abbandonarono
l’Italia per rifugiarsi tra noi.”
La chiusura, che aveva interessato “il doppio valico, stradale e
ferroviario, di Piattamala” non fu, almeno in un primo momento,
estesa ai valichi di montagna (attraverso i quali doveva, in ogni caso,
esercitarsi il traffico di frontiera degli abitanti delle frazioni di Tirano
del versante Retico, che possedevano numerosi alpeggi in territorio
elvetico sui quali inviavano nel periodo estivo i loro animali,
trasportandone poi in Italia i prodotti).
In ogni caso a Piattamala, un valico di confine importante, per una
decina di giorni la frontiera restò aperta.
Lo stesso giornale aggiungeva poi che “stando ai si dice, la frontiera
del Sasso del Gallo sarebbe ancora aperta per il piccolo traffico”.
Con tutta probabilità, tale valico era ancora controllato dalla Guardia
di Finanza.
In ogni caso il giornale precisava, quanto agli espatri che “durante gli
ultimi giorni si ebbero a registrare numerosi passaggi clandestini
della frontiera. Si trattava di soldati italiani ed anche di civili che
cercavano asilo in terra neutrale. Militari come civili vennero
306
sottoposti ad una visita sanitaria e poi diretti oltre alpe per essere
internati in campi di concentramento”.
Di fatto, gli internati godevano di una relativa libertà ed erano
impiegati – almeno i Valtellinesi - nell’aiuto ai contadini della zona;
in alcuni casi stabilendo rapporti abbastanza amichevoli con la
popolazione.
Il controllo su di loro non era comunque molto stretto, tanto che
parecchi di loro rientrarono in Italia (probabilmente con il tacito
consenso delle autorità elvetiche) unendosi alle neonate formazioni
partigiane o dandosi semplicemente alla macchia: questo soprattutto
dall’estate del 1944.
In altri casi, invece, già dall’autunno 1943, gruppi di sbandati che
avevano abbandonato i reparti si rifugiarono nelle baite di montagna e
costituendo per gradi, in particolare nella parte alta della valle, le
prime formazioni partigiane.
Il sostanziale crollo delle strutture di governo e dei corpi armati
militarizzati, sostituiti solo con difficoltà dalle nuove strutture della
Repubblica Sociale e dai militari tedeschi, uniti alla presenza di larghi
strati di popolazione impossibilitati a procurarsi adeguati mezzi di
sostentamento, fece peraltro dilagare a dismisura il fenomeno del
contrabbando - peraltro già presente, anche se in forma attenuata,
come osservato – nelle due direzioni di attraversamento del confine,
ma in particolare dall’Italia verso la Svizzera, con inversione delle
usuali direttici del traffico: iniziò infatti
il periodo del
cosiddetto”contrabbando in dentro”.
Le autorità tradizionali di sorveglianza, vale a dire la Guardia di
Finanza ed i Carabinieri, che come detto non si identificavano con la
307
nuova forma di governo, in numerosi casi, ebbero sistematici rapporti
con le persone alla macchia e non si occuparono più di tanto di
reprimere il fenomeno del contrabbando, comportandosi con umanità
nei confronti della popolazione, spesso assumendosi anche gravi rischi
personali.
L’unico corpo che si sforzò di reprimere in ogni modo il fenomeno, a
volte in forma brutale, furono i già ricordati reparti di frontiera della
milizia fascista, ai quali fu affidato l’incarico della sorveglianza sui
passaggi del confine: cosa che fecero con solerzia spesso veramente
eccessiva.
Gravi e numerosi furono gli episodi di violenza armata, con uccisioni
ripetute ed in molti casi immotivate di persone inermi: in particolare a
Tirano un milite, soprannominato “ al cupatücc”
- vale a dire
l’ammazzatutti - si rese responsabile di parecchi omicidi, a volte
sparando sulle persone da notevole distanza e senza naturalmente aver
dato alcuna intimazione di “alt” o aver minimamente verificato di chi
si trattasse e quale fosse il motivo della loro presenza sul luogo.
Non bisogna dimenticare, peraltro, che la presenza di gruppi armati di
sbandati metteva a volte in grave difficoltà i distaccamenti di
montagna delle guardie: si verificò, in particolare, un gravissimo
episodio in Val di Togno, dove vennero uccisi – in modo crudele ben 6 componenti del locale gruppo di militi.
Anche se il comportamento delle guardie in precedenza non era stato
certo tenero, si trattava pur sempre di militari che svolgevano il loro
servizio e gli omicidi sono non giustificabili in nessun caso.
308
4. L’ESPATRIO DEGLI EBREI E DI ALTRI GRUPPI DI PERSONE
Una vicenda collettiva che assunse particolare importanza nella zona,
soprattutto in quei giorni, fu quella dell’espatrio, nella zona del
Tiranese, di un nutrito gruppo di Ebrei: tra questi un gruppo di
provenienti dai territori della ex-Jugoslavia, erano stati inviati al
confino nel vicino paese di Aprica.
Si trattava di oltre 200 persone che, con l’aiuto di due sacerdoti, oltre
che di membri dei Carabinieri e della Guardia di finanza e col
supporto delle popolazioni della zona trovarono rifugio in Svizzera,
scampando così al certo invio nei campi di sterminio.
Un raro esempio collettivo di altruismo in un periodo non certo felice.
La già ricordata “liberalità” del Cantone dei Grigioni nel ricevere i
profughi fece sì che anche negli anni successivi molti altri Ebrei,
residenti a Milano o in altre città della pianura, affrontassero i
gravissimi rischi di un trasferimento fino nella zona per varcare la
frontiera.
Molti furono catturati dai Tedeschi o dai militari della R. S. I., ma
molti altri riuscirono a riparare in Svizzera, salvando così le loro vite.
Tutte le vicende del periodo sono state oggetto di numerose indagini,
anche in questi ultimi anni e ho ritenuto utile pertanto fornire al
riguardo solo poche notizie essenziali5 .
5
In particolare, tra gli altri, si deve ricordare Alan Poletti, un professore
Neozelandese la cui famiglia era originaria di Villa di Tirano, nella sua
recentissima pubblicazione “Una seconda vita” offre una ricostruzione
dettagliata non solo delle vicende che si accompagnarono all’espatrio di un folto
gruppo di Ebrei, ma anche di tutte quelle del periodo; sono contenute nel volume
anche numerose interviste coi sopravvissuti.
Il ruolo complessivo della Guardia di Finanza è stato invece preso in esame da
Luciano Luciani e Gerardo Severino nel bel volume Gli aiuti ai profughi ebrei e
309
5. LE MERCI CONTRABBANDATE
Qualche cenno è utile anche circa le merci oggetto di contrabbando
nel periodo bellico.
Si sono già ricordati alcuni prodotti alimentari : tra questi il riso era di
tanta importanza, anche sotto il profilo quantitativo, che nell’epoca
l’ultimo treno che raggiungeva Tirano proveniente da Milano e dalla
pianura padana era significativamente definito “il treno bianco”.
Vale la pena di riportare quanto scriveva, nel Febbraio 1944, il
“Popolo Valtellinese”, che era il giornale ufficiale del regime: “
...Migliaia e migliaia di pecore e di capre, quintali di insaccati di
suini, tonnellate di riso e di farine, centinaia di cavalli e di muli,
tessuti, conserve, amianto... hanno clandestinamente varcato il
confine in questi ultimi anni e lo sconcio non accenna a cessare...”.
Anche molti prodotti industriali furono oggetto di attivo contrabbando
in quegli anni: questo perché nell’Italia settentrionale le fabbriche
continuarono sempre ad operare durante tutto il periodo bellico e la
Confederazione Elvetica aveva difficoltà di approvvigionamento.
Così passarono ad esempio la frontiera, in quegli anni, quantitativi
ingenti di prodotti in gomma: suole di scarpe, pneumatici per
biciclette e veicoli vari – addirittura gomme per autocarri del peso
unitario di svariate decine di kilogrammi -, tettarelle per infanti,
addirittura profilattici; il fenomeno era tanto diffuso che arrivarono in
Val Poschiavo, per effettuare gli acquisti della merce contrabbandata,
persino commercianti di Zurigo.
ai perseguitati: il ruolo della Guardia di Finanza (1943-1945), completo
soprattutto nella seconda edizione del 2008.
310
Una menzione particolare merita lo stagno, che era confezionato in
pani da 50 Kg, non facilmente trasportabili, che passò la frontiera
soprattutto nel primo dopoguerra.
Altri oggetti molto ricercati in Svizzera erano alcuni prodotti della
meccanica: dalle macchine per confezionare la pasta, alle biciclette e
persino motociclette, ai cuscinetti a sfera, alle fisarmoniche.
I tessuti di diversa natura e gli indumenti erano pure oggetto di attivo
contrabbando: dai tessuti in lana e seta – dei paracadute, dopo i lanci
degli Alleati nell’ultimo periodo del conflitto -, agli indumenti, quali
completi o pull-over in lana, giacche, impermeabili, cappelli, guanti,
tappeti, borsette e così via.
In direzione opposta, dalla Svizzera all’Italia, continuarono invece a
transitare, anche se in quantitativi ridotti, le merci solite: per primo il
sale, del quale era grave la carenza nel nord-Italia e che serviva per
conservare gli alimenti, oltre che per l’uso domestico, ma anche
sigarette e tabacchi, prodotti coloniali, orologi.
Nella sostanza, al di là dell’irrigidimento delle disposizioni, il
fenomeno non si fermò mai, in entrambe le direzioni.
6. I SACERDOTI
Resta da dire, per concludere, del rapporto dei sacerdoti cattolici con il
contrabbando nel periodo bellico.
Sulla scia di una lunga tradizione che teneva nettamente distinta la
illegittimità del contrabbando dalla immoralità dello stesso, e che
considerava
il
comportamento
dei
contrabbandieri
del
tutto
giustificabile sul piano etico quando si era in presenza di un evidente
stato di necessità, si deve ricordare che buona parte dei sacerdoti in
311
quel periodo agevolarono, oltre che il ricordato espatrio di ebrei, in
non pochi casi anche alcuni contrabbandieri di merci, in particolare
fornendo aiuto ed assistenza alle loro famiglie.
Questo avvenne soprattutto dopo l’otto Settembre 1943, quando più
impellenti si fecero le necessità di larga parte della popolazione.
Le condizioni di vita di molti nella zona, tradizionalmente molto
difficili soprattutto nei villaggi di montagna lungo il confine, in
qualche caso addirittura precipitarono: fu rigidamente vietato ogni
avvicinamento al confine e divenne così estremamente difficile, ed in
qualche caso impossibile, l’alpeggio estivo degli animali nelle
numerose
zone
in
prossimità
della
frontiera;
aumentarono
notevolmente le difficoltà nella lavorazione delle vigne; per un non
breve periodo si arrivò addirittura a disporre lo sgombero totale dei
centri abitati posti a una distanza di 3 Km dalla linea della frontiera e
si possono facilmente immaginare le conseguenze per la popolazione
contadina residente, che traeva dallo sfruttamento degli alpeggi a
cavallo del confine una parte importante del suo reddito.
L’aiuto dei sacerdoti alle popolazioni fu sistematico ed impegnato,
spesso con opposizione alle prescrizioni delle autorità e in molti casi
con gravi rischi personali: in quel periodo era infatti molto facile
essere arrestati o addirittura deportati in Germania.
Se si fossero trovate, nelle canoniche o addirittura nei campanili,
merci di contrabbando o addirittura persone nascoste – cose che
avvennero in diverse occasioni, la cosa sarebbe stata molto probabile.
In altri casi servirono da tramite tra le autorità tedesche o della R. S. I.
ed i partigiani, dei quali furono sovente i “cappellani militari”, ma
312
soprattutto difesero in ogni modo, nei confronti delle autorità, non
certo comprensive, le popolazioni loro affidate.
Mi sembra doveroso ricordare i nomi almeno dei numerosi che ho
conosciuto personalmente: di tutti rammento l’umanità e lo spirito di
sacrificio nei confronti di chiunque ne avesse necessità. Insieme a
Cirillo Vitalini, all’epoca a Bratta di Bianzone - che organizzò con
don Carozzi il ricordato salvataggio di centinaia di Ebrei -, Tarcisio
Salice a Roncaiola, Gino Menghi a Baruffini, Renato Rossi a Vervio;
tutti sono purtroppo morti, ma il loro esempio rimane ed il loro
ricordo e rimpianto sono tuttora vivissimi nella gente.
313
Prof. Enrico Fuselli
I caduti ed i decorati della Guardia di Finanza
nella lotta al contrabbando
1. I RAPPORTI CON LE POPOLAZIONI DELLE ZONE DI CONFINE
La scelta di arruolarsi nel Corpo da parte di molti giovani del Centro e
Sud Italia, soprattutto negli anni più lontani, si spiega con il desiderio
di sfuggire ad un’esistenza difficile; l’indossare una divisa
rappresentava, a quell’epoca, una possibilità concreta di riscatto e
garantiva, davanti al gruppo sociale di appartenenza, rispetto e
315
ammirazione. Nelle località di confine, invece, i finanzieri sono
sempre stati malvisti: gli epiteti con cui li si chiamava hanno tutti,
invariabilmente, un’accezione negativa.1
Quello classico è burlandòtt, utilizzato unitamente alla variante
burlanda; il termine, d’origine milanese, indica nel linguaggio
familiare una “minestra scipita” e, in senso figurato, un “uomo senza
sugo, senza personalità”2. Spesso li si apostrofava con il vocabolo
borlacàtt, che originariamente si riferiva a un giovane di commercio,
dallo stipendio molto basso, e che in seguito, per estensione, era
passato a denotare chiunque faticasse a sbarcare il lunario.3 Altro
termine è robasacc, ovvero “ladro di sacchi”, usato spesso assieme a
1
2
3
Non mi occupo di quello che forse è l’epiteto più diffuso e offensivo, “caini”;
ricordo, tuttavia, che il cap. Alcide Montagni, brillante avvocato e presidente
della sezione varesina dell’A.N.F.I., scrisse un gustoso racconto, imperniato
proprio su tale termine, pubblicato nella rivista del Corpo alla fine degli anni
Quaranta del XX sec. (A. MONTAGNI, «Caini»… ma non sempre, «Il
Finanziere», anno LXIII, n. 22, 30/7/1949).
Per Cherubini il termine è da mettere in relazione con la voce piemontese
berlandot; cfr. F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Aldo
Martello Editore, 1968 (ed. anastatica dell’edizione del 1839), p. 136. Secondo
P. FRIGERIO, Storia di Luino e delle sue valli, Varese, Macchione, 2008, p. 200,
il sostantivo deriva dal francese brelander, traducibile con “vagare”,
“vagabondare”. Nel Bergamasco il termine, oltre a essere impiegato per indicare
i finanzieri, designava un personaggio negativo, assolutamente privo di qualità,
un poco di buono; cfr. A. TIRABOSCHI, Vocabolario dei dialetti bergamaschi
antichi e moderni compilato da Antonio Tiraboschi, Bologna, Forni Editore,
2002 (ristampa fotomeccanica dell’edizione del 1873), vol. I, p. 200.
L’appellativo è usato anche nel Comasco; cfr. P. MONTI, Vocabolario dei dialetti
della città e diocesi di Como con esempi e riscontri di lingue antiche e moderne,
Bologna, Forni Editore, 1969 (ristampa anastatica dell’edizione del 1848 Milano, Società Tipografica de’ classici italiani), p. 26.
Per l’uso di borlacàtt, cfr. N. BAZZETTA DE VEMENIA, Dizionario del gergo
milanese e lombardo, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 2003 (edizione anastatica
dell’edizione del 1940), p. 7; per il significato, vedi. F. ANGIOLINI, Vocabolario
milanese-italiano coi segni per la pronuncia preceduto da una breve
grammatica del dialetto e seguito dal repertorio italiano-milanese, Bologna,
Forni Editore, 1967 (ristampa fotomeccanica dell’edizione di Milano 1897), p.
126.
316
sgarbasacc, ovvero “devastatore di sacchi”, nelle quali espressioni
“sacco” sta per bricolla, il classico contenitore del quale si servivano
gli spalloni per trasportare il carico. Tutti i due termini indicano azioni
negative: il rubare e il rovinare.4
A Montegrino (VA), paese di nascita di mia madre, i finanzieri erano
appellati anche canaritt, per il colore delle mostrine della divisa; li si
gratificava comunque anche del termine pitocc (pidocchio). Si
intendeva sottolineare come il finanziere “spulciasse la pelle del
pidocchio”, ovvero fosse eccessivamente zelante e invadente nella
propria attività di contrasto del contrabbando e indulgesse spesso a
controlli fin troppo minuziosi.5
Con una certa frequenza li si offendeva rivolgendo loro espressioni
come “mangiapane a tradimento” o “mascalzoni”,6 in accordo con una
convinzione, piuttosto diffusa nelle zone di confine, che non
considerava il contrabbando come un reato.7
4
5
6
7
L. SQUADRANI, Frammenti di vita di un vecchio finanziere scarpone, Roma, «Il
Finanziere», 1939, p. 35.
Devo le informazioni al sig. Giuseppe Contini, classe 1926, di Montegrino
Valtravaglia (VA), depositario della memoria storica del piccolo centro
prealpino.
Un episodio del genere, accaduto all’inizio del 1910, è ricostruito con dovizia di
particolari in Cronaca e corrispondenze. Da Luino (Como), «Il Finanziere», anno
XXIV, nn. 12-13, 20/2/1910.
In C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Milano, Garzanti, 1987, pp. 78-79, si
legge: “Ma perché questo delitto [il contrabbando] non cagiona infamia al di lui
autore, essendo un furto fatto al principe, e conseguentemente alla nazione
medesima? Rispondo che le offese che gli uomini credono non poter essere loro
fatte, non l’interessano tanto che basti a produrre la pubblica indignazione contro
di chi le commette. Tale è il contrabbando. Gli uomini su i quali le conseguenze
rimote fanno debolissime impressioni, non veggono il danno che può loro
accadere per il contrabbando, anzi sovente ne godono i vantaggi presenti. Essi
non veggono che il danno fatto al principe; non sono dunque interessati a privare
dei loro suffragi chi fa un contrabbando, quanto lo sono contro chi commette un
furto privato, contro chi falsifica un carattere, ed altri mali che posson loro
317
Per concludere, i finanzieri erano tutt’altro che amati nelle terre in cui
lavoravano e spesso erano oggetto di manifesto disprezzo. Talvolta
l’antipatia per le fiamme gialle giungeva a tal punto che, in occasione
dell’arresto di un contrabbandiere, soprattutto nel passato, gli amici o i
colleghi cercassero di liberarlo. L’ufficiale Luigi Squadrani racconta
che egli, subito dopo avere conseguito nel 1908 un clamoroso fermo
di merci di contrabbando a Viggiù (VA), dovette dapprima invitare
alcuni individui ad andarsene, per poi esplodere un colpo di rivoltella
in aria, aggiungendo che, qualora essi non si fossero ritirati
immediatamente, avrebbe sparato di nuovo, mirando molto più in
basso.8
Le cronache giornalistiche offrono numerosi esempi di tale
atteggiamento da parte di civili: due ufficiali della R. Guardia di
Finanza, che nel febbraio 1892 si stavano recando da Maccagno a
Lozzo (in provincia di Varese), tra Cadero e Graglio furono insultati,
senza alcun motivo, da alcuni abitanti del luogo.9 Possiamo ricordare
la sassaiola di cui furono vittime i finanzieri della brigata di Cuasso al
Piano la sera di Natale del 1909, mentre passavano per la piazza di
Besano (in quell’occasione, per disperdere gli aggressori ed evitare
guai peggiori, i finanzieri furono costretti a ricorrere alle armi,
esplodendo alcuni colpi in aria),10 oppure il trattamento riservato ad
un finanziere nel corso dell’anno successivo a Laveno (VA), mentre si
trovava in servizio (l’agente Massimino Fiorentino, che vestiva in
8
9
10
accadere. Principio evidente che ogni essere sensibile non s’interessa che per i
mali che conosce.”
SQUADRANI, Frammenti di vita di..., cit., p. 133.
Malvagità e ignoranza, «La Tresa», anno II, n. 5, 3/2/1892.
Cronaca e corrispondenze. Da Varese (Como), «Il Finanziere», anno XXIV, n.
1/1/1910.
318
borghese, fu aggredito - senza alcuna motivazione da un gruppo di
giovani, che lo presero a bastonate, tanto da ferirlo e da renderne
necessario il ricovero in ospedale).11
Talvolta si ebbero a registrare delle vere e proprie tragedie, con la
morte di alcuni finanzieri; nell’aprile 1895 gli agenti Giuseppe
Vergnano e Teobaldo Cioci, appartenenti alla brigata di Solitudine
(ovvero di Cavaglio, in provincia di Verbania), furono vittime della
violenza di una banda di contrabbandieri mentre si trovavano di
servizio nei pressi del confine con la Svizzera.12
A fronte di questo atteggiamento apertamente ostile, le guardie di
finanza si prodigavano per soccorrere gli abitanti dei centri in cui
risiedevano nei momenti di particolare difficoltà: i giornali locali
diedero frequentemente notizia di soccorsi prestati a persone che
stavano per annegare nelle acque dei laghi prealpini,13 di interventi per
11
12
13
Cronaca e corrispondenze. Da Laveno (Como), «Il Finanziere», anno XXIV, n.
66, 30/10/1910.
Un drappello di guardie di finanza scomparso, «Cronaca Prealpina», anno VIII,
n. 1365, 10/4/1895; Un terribile dramma del contrabbando. Due guardie di
finanza uccise, «Cronaca Prealpina», anno VIII, n. 1367, 12/4/1895; La grave
tragedia sulle Alpi al confine, «Cronaca Prealpina», anno VIII, n. 1368;
13/4/1895; L’assassinio delle due guardie di finanza, «Cronaca Prealpina», anno
VIII, n. 1369, 14/4/1895; Valle Cannobina. Le due guardie di finanza
assassinate, «La Voce del lago Maggiore, dell’Ossola e del Cusio», n. 31,
16/4/1895; Le due guardie di finanza scomparse, «Il Monitore delle Regie
Guardie di Finanza», anno IX, n. 16, 17/4/1895; Ancora delle due guardie di
finanza scomparse, «Il Monitore delle Regie Guardie di Finanza», anno IX, n.
16, 17/4/1895. Si occupano della morte degli agenti anche Rubrica triste. In
memoria, «La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana», anno IV, n.
23, 1/12/1904, e C. SABINO, Martirologio, «Il Finanziere», anno XV, n. 8,
2/2/1902.
Stilare un elenco di tali situazioni è praticamente impossibile; ricordo, a puro
titolo esemplificativo, il salvataggio di due uomini, finiti nelle acque del lago
Maggiore dopo il rovesciamento della loro imbarcazione (provocato da una
manovra errata e dal forte vento) il 26 ottobre 1902, operato dal sotto-brigadiere
Antonio Sergi e dalle guardie Domenico Castellano e Pasquale Cilone. I tre
finanzieri rifiutarono cortesemente la ricompensa che uno dei due uomini
319
lo spegnimento di incendi,14 di aiuto fornito alle vittime di
inondazioni15 e di altre azioni degne di nota.16
2. LE CONDIZIONI OPERATIVE
Le modalità operative lungo la frontiera italo-elvetica, estremamente
impegnative, hanno comportato un pesante tributo di sangue per il
Corpo della Guardia di Finanza: molti sono stati i finanzieri che hanno
perso la vita per motivi di servizio. Anziché redigere un elenco di
caduti - operazione che risulterebbe noiosa, oltre che inutile17 intendo presentare alcune situazioni esemplari di ciò che accadde nelle
aree prossime al confine con la Svizzera, dopo aver chiarito quale
fosse la vita condotta dai finanzieri.
14
15
16
17
intendeva consegnar loro, asserendo di avere compiuto semplicemente il proprio
dovere (Cronaca e corrispondenze. Da Cannobio, «Il Finanziere», anno XX, n. 7,
15/1/1906).
Nel luglio 1881 alcuni agenti della brigata di Zenna (VA) vennero encomiati dal
Ministero dell’Interno per avere cooperato allo spegnimento di un incendio
scoppiato in Svizzera; cfr. Premi accordati alle guardie di finanza nel mese di
luglio 1881, «Bollettino Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», I (1881),
p. 13.
In occasione dello straripamento del lago Maggiore nel 1868 i componenti la
brigata di “mare” di Luino (VA) dimostrarono abnegazione e coraggio,
prodigandosi per soccorrere gli abitanti della vicina cittadina di Germignaga;
vedasi Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale» (suppl.
al n. 22 del «Bollettino Gabellario»), III, n. 11, 1° dicembre 1868, p. 106.
Il brigadiere Giuseppe Zorzolo durante la notte del 19 giugno 1866 eseguì, nelle
acque del lago Maggiore, l’arresto di due uomini accusati di omicidio; cfr.
Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale» (supplemento
al n. 16 del «Bollettino Gabellario»), I, n. 8, 1° settembre 1866, p. 80.
Il Museo Storico della Guardia di Finanza di Roma ha curato la pubblicazione del
Libro d’oro della Guardia di Finanza [Roma], Museo Storico della Guardia di
Finanza, 1965, al quale hanno fatto seguito Aggiunte al Libro d’oro della
Guardia di Finanza. Edizione 1965 (aggiornato al 31 dicembre 1969), [Roma],
Museo Storico della Guardia di Finanza, s.d., e Aggiunte al Libro d’oro della
Guardia di Finanza (aggiornato al 31 dicembre 1974), [Roma], Museo Storico
della Guardia di Finanza, 1975. Il Museo Storico del Corpo è impegnato in un
continuo lavoro di controllo dei dati disponibili, operando aggiornamenti ed
integrazioni.
320
In primo luogo occorre riflettere sulle caratteristiche peculiari di una
parte della linea di demarcazione tra Italia e Svizzera. Le affermazioni
del generale di artiglieria, barone Heinrich Hermann von Hess,
contenute in un rapporto rimesso al governo milanese il 7 agosto
1849, come punto di partenza per un’eventuale rettifica della frontiera
tra il Regno Lombardo–Veneto e la Svizzera (che, nei fatti, rimase
sulla carta), permettono di avere un quadro più chiaro della situazione.
Oltre a sottolineare le difficoltà di natura politica e militare che il suo
andamento comportava, il barone sosteneva:
Il confine è precisamente conformato nel modo che dovrebbe esserlo
ove fosse stato fatto da e per i contrabbandieri. Colla massima facilità
si sottraggono le numerose e completamente organizzate bande di
contrabbandieri alla sorveglianza della forza che le persegue sul
confine cotanto sinuoso e sprovveduto di segni naturali.18
Il colonnello dell’esercito italiano Vittorio Adami nel 1926,
riferendosi alla parte del confine tra Canton Ticino e Lombardia,
affermò:
Il confine politico d’Italia verso il Canton Ticino segue una linea così
irregolare, così disforme dal confine geografico, così illogica, che per
darcene ragione bisogna tenere presente le vicende politiche delle
quali essa è stata la risultante.19
18
19
V. ADAMI, Storia documentata dei confini del Regno d’Italia, Roma,
Stabilimento Poligrafico per l’Amministrazione dello Stato, 1926, vol. II, pp.
354-360. Il generale Tancredi Saletta, nel 1900, evidenziò l’andamento
“sfavorevole” del tracciato di confine per l’Italia anche sotto il punto di vista
militare, auspicando che si provvedesse “a rendere meno sfavorevoli le
condizioni di questa nostra frontiera”; cfr. Stralci della relazione del “Viaggio di
S. M.” dell’anno 1900, condotto nella zona di frontiera italo-svizzera, in A.
ROVIGHI, Un secolo di relazioni militari con la Svizzera 1861–1961, Roma,
Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, 1987, p. 304.
ADAMI, Storia documentata dei confini…, cit., vol. II, p. 25. Una ricostruzione
321
Il gen. Oliva, autore di un pregevole studio sulle caratteristiche del
contrabbando, scrisse:
Il confine italiano con la Svizzera si presenta per una gran parte tale
da rendere estremamente agevole il contrabbando. Il territorio
svizzero si incunea profondamente nel territorio italiano tagliando il
lago Maggiore e il lago di Lugano e giungendo sin quasi alla pianura
milanese.
Altra penetrazione abbastanza profonda si verifica in prossimità di
Tirano, nella Valtellina. I corrispondenti salienti italiani nel territorio
svizzero che culminano rispettivamente nel passo di San Giacomo e
nel passo dello Spluga, sono invece circondati da alte montagne.
Tra queste due estreme punte italiane, il Canton Ticino, fittamente
popolato si addentra verso la pianura padana sì che lo scambio di
persone e di merci è estremamente agevolato anche dal terreno
collinare o da montagne che, non superando i duemila metri, sono
facilmente valicabili, quasi ovunque.20
Un articolo della «Provincia di Como», comparso all’inizio del 1898 e
ripreso dalla rivista del Corpo, «Il Monitore delle Regie Guardie di
Finanza», permette di comprendere quanto fosse pesante il servizio
prestato dai finanzieri nelle acque dei laghi prealpini per contrastare il
contrabbando:
Ed a questo proposito, sento ancora viva l’impressione che mi fece circa due anni fa - il vedere, in un mattino freddo di primavera alcune
guardie accoccolate in fondo ad una di quelle barche dette veneziane,
20
delle vicende legate alla definizione di tale confine è presente in F. DI LEO,
Questioni di confine. La frontiera italo-svizzera Zenna–Ponte Tresa, «Il Rondò»,
XIX (2007), pp. 149-170.
G. OLIVA, Il contrabbando. Aspetti del fenomeno e misure di contrasto, Roma,
Guido Pastena Editore, 1977, p. 10.
322
di color grigio, colle quali i doganieri [sic] inseguono i
contrabbandieri. Mi trovavo allora a Porlezza; una nebbia fredda ed
umida si levava dal lago ancora addormentato e gli erti monti che
rinserrano quell’estremo lembo del Ceresio si ergevano cupi nel primo
chiaror mattinale. Io passeggiava lungo il muricciuolo del porto in
compagnia di un amico e vedendo in quella barca a fior d’acqua degli
uomini avvolti nella nebbia ed in poche coperte chiesi:
-
Chi sono?
-
Guardie doganali - rispose l’amico.
-
Ed hanno passata la notte lì?
-
Sicuro.
Le nostre voci destarono quelle guardie; vidi muoversi sotto la nebbia
qualcosa, poi emergere una bella testa di giovane bruno, voltarsi in su
e guardarmi con due occhi assonnati.
Tirai innanzi con una gran melanconia nell’animo e fantasticando
sulla terribile vita di questi custodi dell’erario nazionale, di questi
infaticabili cacciatori di spalloni e pensando nel tempo stesso che
anche gli spalloni sono povera gente dannata a vite d’inferno! E
guardando le vette nere dei monti che si disegnavano nel cielo pallido
mi pareva di vedere al di là, come in un panorama sterminato e
pauroso tutto un accavallarsi di roccie, tutto uno scintillare di nevi,
tutto un rovinar di torrentacci sinistri per le balze solitarie; e ad ogni
svolto di sentiero rupestre, mi pareva di scorgere, mezzo assiderato dal
gelo, co’ piedi confitti nella neve, il capo flagellato dal vento
ghiacciato del crepuscolo alpestre, un atomo umano perduto
323
nell’immensità di quel caos, una povera guardia doganale avvolta di
coperte e condannata al supplizio dell’appostamento.21
Un altro pezzo giornalistico, stavolta comparso ne «Il Corriere della
Sera», si occupò del servizio di appostamento:
Forse non tutti i lettori sanno che cosa sia un servizio d’appostamento.
Ecco: un drappello di guardie parte dalla caserma e s’inerpica per
monti verso il confine; ogni guardia ha con sé la provvista per otto
giorni, un cappottone e un sacco a pelo nel quale avvolgerà i piedi
quando sarà di sentinella. Giunto il drappello al luogo designato trova
qualche volta una capanna che serve come corpo di guardia e
comincia il servizio che è regolato così: otto ore di sentinella, otto di
riposo, otto di sentinelle e così via per tutta la durata degli otto giorni.
Come vedete è la teoria del tre otto applicata in un modo non mai
sognato da nessun capo socialista.
E non dovete mica immaginarvi che in quelle otto ore di sentinella
siano sopportabili come a passarle sul marciapiedi davanti ad una
caserma cittadina! Oh! Tutt’altro! Il doganiere è piantato nella
solitudine immensa della montagna, sull’orlo di un burrone, all’angolo
di qualche sentiero rupestre balzante in capricciosi zig-zag per la china
rovinosa, o seppellito dalla neve e dal ghiaccio. Tutt’intorno è neve, è
gelo, è silenzio alto di tomba. Spesso tra quelle forre inospitali infuria
la tormenta gelata, rovinano le valanghe ed irrompono nella loro furia
selvaggia gli uragani delle Alpi. Ma il doganiere [sic] deve starsene lì,
per otto ore, di giorno o di notte, brillino le stelle nel cielo assiderato,
imperversi la tramontana, splenda il sole sulle abbacinanti nevi o
21
La “Provincia di Como” e la Guardia di Finanza, «Il Monitore delle Regie
Guardie di Finanza», anno XII, n. 4, 29/1/1898.
324
s’addensi il turbine sulle vette paurose. Egli deve starsene colà
coll’occhio vigile, il fucile pronto, per attendere al varco altri
disgraziati, ma meno disgraziati di lui, poiché i contrabbandieri
corrono, si muovono, vanno ai loro rifugi, hanno l’aculeo del
guadagno illecito, ma desiderato.22
Le lunghe testimonianze sono interessanti soprattutto perché relative a
civili e quindi non tacciabili, come era possibile per gli scritti
memorialistici dei finanzieri, di indulgere ad “una funerea retorica del
sacrificio, al limite del vittimismo”.23
La stessa disciplina alla quale erano sottoposte le guardie di finanza
contribuiva a mantenerle in uno stato continuo di tensione, che spesso
determinava atti inconsulti e tragedie.24 La scelta di un regolamento
disciplinare ai limiti della sopportabilità intendeva assicurare
l’obbedienza soprattutto nei piccoli reparti, spesso retti da semplici
sottufficiali.25
Oltre che al senso del dovere, il particolare impegno dei finanzieri
nell’esercizio delle proprie mansioni dipendeva dalla possibilità di
ottenere delle entrate supplementari, particolarmente importanti
soprattutto per sottufficiali e guardie, malamente retribuiti.26 La
22
23
24
25
26
Un altro articolo sulle Guardie di Finanza, «Il Monitore delle Regie Guardie di
Finanza», anno XII, n. 4, 29/1/1898.
P. MECCARIELLO, Storia della Guardia di Finanza, Roma-Firenze, Museo
Storico della Guardia di Finanza-Le Monnier, 2003, p. 71.
È assodato, peraltro, che alcuni ufficiali ricorrevano abitualmente allo spionaggio
tra i propri subalterni, suscitando risentimenti e tensioni; cfr. DE MAN., Lo
spionaggio fra le guardie, «Il Monitore delle Regie Guardie di Finanza», anno
XII, n. 25, 24/6/1898.
Cfr. G. OLIVA, La Guardia di Finanza pontificia, Roma, Museo Storico della
Guardia di Finanza, 1979, p. 51.
Interessante quanto scriveva, animato certo da spirito polemico, un anonimo
articolista del foglio democratico varesino «Cacciatore delle Alpi»,
nell’appoggiare una raccolta di fondi lanciata a Varese a favore di una guardia
325
retribuzione percepita dagli agenti nei primi anni di esistenza era
estremamente bassa, tanto che numerosi agenti furono deferiti ai
competenti organi di disciplina per la “vendita di oggetti di divisa”,
dovuta alla pressante necessità di garantirsi del danaro per far fronte
alle proprie necessità.27
Tornando alla possibilità offerta ai finanzieri di guadagnare di più, era
stato previsto sin dalla fine del 1889 un premio a livello nazionale di
1.000 lire, da attribuirsi all’agente che avesse conseguito nel corso
dell’anno i migliori risultati di servizio; si trattava, con tutta evidenza,
27
congedata d’ufficio, Angelo Cicerchia, divenuto inabile al servizio e congedato,
al quale era stata liquidata una pensione vergognosamente bassa: “Un povero
diavolo che la fame e l’ignoranza ànno [sic] spinto a indossare la disadorna
divisa delle guardie di finanza, avendo un giorno voluto pigliare sul serio il
proprio mestiere, s’è buscato una piova tale di busse e contumelie, e, peggio,
venne sì malamente arroncolato da una masnada audace di contrabbandieri, che
per poco non ci perse la vita. Ma ci rimise la salute. E le ossa, quanto mai dure,
resistettero alla suprema jattura, non furono però da tanto da sapersi sì
acconciamente rabberciare da poter reggere più oltre alle fatiche d’ogni dì.
Uomo rovinato dunque. E il ministero, dove sono infiniti gli impiegati e i
mantenuti perché inabili, fu lesto a mandare a carte quarantotto quel
disgraziatissimo fra i disgraziati. Non senza liquidargli la relativa pensione: che
fu e sarà di italiane lire zero e cinquanta centesimi giornalieri. Non contando,
s’intende, la sacramentale trattenuta di ricchezza mobile. […] Ma non possiamo
dimenticare l’inganno con cui il governo le tratta [le guardie]: e le promesse
fittizie, i premi d’incoraggiamento: ma non possiamo dimenticare la vitaccia
cane cui li sottopone: e le umiliazioni e le tristissime condizioni economiche e
intellettuali delle regioni obbligate a sacrificare annualmente tanti loro figli ai
bisogni del governo. E quando alcuna di loro, sia pure in causa del servizio,
incoglie qualche malanno, ci sentiamo rinascere un sentimento di compassione e
di pietà. Perché allora scompare nella dimenticanza la figura dello scherano, e
crediamo veder rinascere l’uomo. […] E quando alcuna di esse per un
sentimento che può sembrare di dovere, s’è esposta a rendersi inabile al lavoro e
viene poi compensata con mezza lira al giorno, non possiamo noi rattenere la
nostra forte disapprovazione, per quel governo che sfrutta senza ritegno le
giovani energie delle sue pagate milizie e le getta come bucce spremute quando
le à rovinate”; A. L., Postille verdi, «Il Cacciatore delle Alpi», anno XIX, n. 18,
30/4/1911.
Nella sola ispezione di Como, nella seconda metà dell’anno 1881, furono ben 12
le guardie punite per avere venduto effetti delle rispettive divise; cfr. «Bollettino
Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», I (1881), pp. 85-87; 173-176;
432-434.
326
di una somma notevole, la cui erogazione aveva anche lo scopo di
evitare che la mala pianta della corruzione si diffondesse nelle fila
della Finanza.28
L’amministrazione doganale, inoltre, insisteva sulla necessità che,
oltre a sventare l’introduzione illegale di merci nel nostro paese, gli
agenti arrestassero anche chi se ne fosse reso responsabile.29
Divennero, ovviamente, sempre più violenti gli scontri con gli
spalloni, da parte loro intenzionati a guadagnare e poco propensi naturalmente - a farsi arrestare dai tutori degli interessi del pubblico
erario e, di conseguenza, pronti a difendere se stessi e la merce ad
ogni costo.
I numerosi sostenitori del “contrabbando romantico” asseriscono che
la violenza sarebbe stata la conseguenza della trasformazione in senso
industriale dei tradizionali traffici illegali al confine;30 purtroppo per
loro, non mancano le testimonianze che smentiscono questo luogo
comune.
Ad esempio, verso la mezzanotte del 12 maggio 1892, presso il
confine italo-svizzero, tra le località di Dumenza (VA) e di Astano,
28
29
30
Circ. n. 160698-27497, Div. I, del 25 novembre 1889 del Ministero delle
Finanze, in Ricompense per la repressione del contrabbando, «Bollettino
Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», IX (1889), pp. 464-466.
La disposizione ministeriale del 3 marzo 1886, n. 42035-1851, aveva stabilito un
premio di lire 20 per ogni contrabbandiere arrestato dalle guardie di finanza o da
agenti degli altri corpi armati nell’atto di varcare il confine con un carico di
spirito estero; cfr. Ricompense per la repressione del contrabbando, «Bollettino
Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», IX (1889), pp. 464-466.
Una delle affermazioni più dolciastre e stucchevoli che mi sia mai capitato di
leggere è contenuta in P. CORSINI, Una casa, la vita, «Il Rondò», VI (1994), p.
56: “Noi amiamo credere che siano le tracce delle voci soffocate dei
contrabbandieri che «frequentarono» quella casa vera di via Portovaltravaglia
[sic]. I ladri comuni non ne avrebbero avuto tanto rispetto. I nostri
contrabbandieri, che da sempre praticano un codice cavalleresco di
comportamento, sì”; superfluo ogni commento...
327
cinque finanzieri in servizio di appostamento intimarono il fermo a
una banda di venti contrabbandieri, alcuni dei quali armati. Dopo il
classico “molla” e qualche colpo esploso in aria dagli agenti, i
contrabbandieri si disposero immediatamente a difesa, dimostrando
così d’essere intenzionati a proseguire ad ogni costo; ne seguì un
furioso scambio di colpi d’arma da fuoco – sul terreno vennero
raccolti oltre 60 bossoli – nel corso del quale un finanziere rimase
ferito, mentre un contrabbandiere fu ucciso.31
3. I CADUTI
Uno dei maggiori problemi per i finanzieri era costituito dalla
mancanza di qualsiasi addestramento per vivere ed operare in
montagna;
altrettanto
preoccupante
era
l’utilizzo
di
un
equipaggiamento assolutamente inadeguato (evidenziato da diversi
casi di assideramento). Come se ciò non fosse bastato, le condizioni
sanitarie, soprattutto nei piccoli distaccamenti ubicati in località
isolare, erano pessime. Ciò provocò, purtroppo, il frequente ripetersi
di tragedie.32
Diverse guardie persero la vita per lo scatenarsi degli elementi
naturali. Drammatica la vicenda di due giovani agenti in servizio
presso la brigata di frontiera di Monte Casolo, nei pressi di Porto
Ceresio (VA), i fin. Cosimo Mazzotta e Liberato Riviello. Il giorno 9
giugno 1963, mentre i militari stavano effettuando un servizio di
perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando,
31
32
Conflitto tra guardie e contrabbandieri, «Il Monitore delle Regie Guardie di
Finanza», anno VI, n. 20, 18/5/1892.
MECCARIELLO, Storia della Guardia di..., cit., p. 71.
328
sulla zona dove si trovavano si abbatté all’improvviso un temporale; i
due uomini, per ripararsi, si rifugiarono nella garitta posta nelle
vicinanze del cippo 59/B, nella località di Piano Sella. Un fulmine
folgorò gli sfortunati militari.33 Il fin. Vincenzo Principi, socio della
sezione A.N.F.I. di Viterbo, in quel giorno di servizio come
casermiere a Monte Casolo, aveva preso il posto del parigrado
Riviello, che gli aveva chiesto il favore di sostituirlo per partecipare
nei giorni successivi ad una cerimonia.34
Talvolta erano i laghi ad uccidere; non credo sia il caso di tornare
sulla vicenda della torpediniera 19/T “Locusta”, ben conosciuta negli
ambienti militari.35 Nel 1878 due finanzieri, Giovanni Ferrero e
Onofrio Lolli, rimasero vittime di un fortunale che sconvolse il lago
Maggiore. La barca sulla quale si trovavano, assolutamente non in
grado di reggere alla tempesta, fu travolta dalla furia delle acque del
lago nei pressi di Piaggio Valmara (VB).36 Resta a loro ricordo una
piccola cappella lungo la strada che, costeggiando la riva del Verbano,
da Cannobio conduce a Piaggio Valmara.37
33
34
35
36
37
Almanacco fotografico, «Il Finanziere», anno LXXVII, n. 13, 15/7/1963; Libro
d’oro della…, 1965, p. 554: “Mazzotta Cosimo, fin., 9/6/1963, Piano Sella, Leg.
Como”; Ivi, p. 562: “Riviello Liberato, fin., 9/6/1963, Piano Sella, Leg. Como”.
Testimonianza orale resa all’autore dal fin. in congedo Vincenzo Principi, di
Viterbo, che ringrazio per cortesia e disponibilità.
Le torpediniere vennero impiegate nei laghi prealpini e nella laguna veneta per
“servizi speciali per la vigilanza finanziaria di confine”. Cfr. R. Decreto n. 147
del 9 marzo 1893 che istituisce sui laghi Maggiore e di Garda servizi speciali per
la vigilanza finanziaria di confine, «Collezione degli Atti della Amministrazione
delle Gabelle del Regno d’Italia», XXXIII (1893), pp. 534-535.
Piaggio di Valmara, «Il Finanziere», anno XVI, n. 8, 2/2/1902 (nell’articolo si
sostiene che la morte delle guardie avvenne nel luglio del 1878); G. CAPITANI,
Due dimenticati, «La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana»,
anno II, n. 8, 16/4/1902, pp. 107-108; Libro d’oro..., cit., pp. 546; 551.
La cappellina reca la seguente iscrizione: “Lolli Onofrio, d’anni 24 / da Cento /
Ferrero Giovanni, d’anni 21 / da Pinerolo / guardie di dogana / il 19 maggio
1878 / sorpresi da forte buffera [sic] / dalle onde travolti / vittime del dovere /
329
Quasi 25 anni più tardi, il 12 luglio 1902, nelle acque di Cannobio
(VB) perse la vita la guardia Luigi Neato, che morì a causa
dell’improvvisa rottura di un cavo che assicurava l’imbarcazione sulla
quale il finanziere si trovava, mentre stava provvedendo, assieme ad
alcuni commilitoni, alla sostituzione della catena di una boa. La barca
si rovesciò, gli altri militari riuscirono fortunatamente a salvarsi ma la
guardia Neato batté la testa contro lo scafo, perse i sensi e scomparve
nelle acque del Verbano; il lago non restituì mai le spoglie dello
sfortunato finanziere.38
Ancora negli anni Sessanta del XX secolo il Corpo ebbe a pagare un
pesante tributo di sangue: le guardie Francesco Longo e Angelo
Malerba nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1960 persero la vita nelle
acque del lago di Como, vittime di una tempesta mentre, a bordo del
motoscafo M/24, erano impegnate in un servizio di perlustrazione.39
Numerosissimi anche gli incidenti verificatisi in montagna, soprattutto
durante la cattiva stagione; una banale caduta, specialmente in
presenza di ghiaccio, poteva facilmente trasformarsi in un incidente
mortale. Perirono per tale motivo, in epoche diverse, la guardia
Giovanni Mandini, precipitato in un burrone nei pressi di Cavaglio
San Donnino (VB) nel 1895;40 il fin. Domenico Marchese, che mentre
tornava dal servizio prestato sul monte Limidario, nei pressi di
38
39
40
perirono / memori / di loro virtù / di cittadino e soldato / gli amici e fratelli
d’arme / dolenti / posero”.
Una vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XVI, nn. 53-54, 19/7/1902; P.
ROMEO, Da Cannobio, «Il Finanziere», anno XVI, n. 74, 28/9/1902; Libro
d’oro..., cit., p. 556.
Caduti nell’adempimento del dovere, «Il Finanziere», anno LXXIV, n. 22,
30/11/1960; Libro d’oro..., cit., pp. 551; 552.
Corrispondenza da Cannobio: disgrazie a S. Donnino; la festa del Rosario a
Viggiona; la visita pastorale di mons. Lachat a Locarno - 1885, «Il Bescapé»,
anno IV, n. 40, 2/10/1885.
330
Cannobio, l’8 gennaio 1917 perse l’equilibrio e cadendo nel vuoto;41 il
fin. Cesare Di Giulio Maria, anch’egli caduto in un profondo dirupo il
13 marzo 1917 nei pressi di Monteviasco (in provincia di Varese).42
Con buona pace dei molti - troppi - che si ostinano a parlare di
“contrabbando romantico”, non sono mancati i casi di assassinio di
agenti a sangue freddo.
La morte del maggiore Gioacchino Silani, brillante comandante del
Circolo di Varese, scomparso nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1913,
è da addebitarsi alla fredda determinazione di alcuni contrabbandieri,
che gli tesero un agguato mentre l’ufficiale stava partecipando ad
un’operazione di servizio per il contrasto e la repressione del
contrabbando presso la foce del torrente Boesio, a Laveno (VA).43 I
due uomini accusati dell’assassinio di Silani, nonostante le numerose
prove raccolte contro di loro, vennero inopinatamente assolti
dall’accusa, con una sentenza che fece a lungo discutere.44
Nel 1931 il finanziere Livio Da Prato, venticinquenne di Camaiore
(LU) in forza al distaccamento di Ponte di Spoccia (VB), in Val
Cannobina, venne ucciso da due colpi di arma da fuoco alla testa;
assolutamente inutili i soccorsi prontamente prestatigli da un
41
42
43
44
Cronaca e corrispondenze. Da Cannobio (Novara), «Il Finanziere», anno XXXI,
n. 3, 21/1/1917; Libro d’oro..., cit., p. 553.
Cronaca e corrispondenze. Una vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XXXI,
n. 11, 20/3/1917; Libro d’oro..., cit., p. 444, che indica come data della morte il 4
marzo 1917.
Tragica vendetta di contrabbandieri; «Il Finanziere», anno XXVII, n. 52,
17/8/1913; Il maggiore Silani vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XXVII,
nn. 55-56, 31/8/1913; P. CIUFFO, Un martire del dovere, «Il Finanziere», anno
XLIII, n. 37, 16/9/1929.
Informazioni. Il processo per l’uccisione del maggiore Silani, «Il Finanziere»,
anno XXVIII, n. 29, 2/8/1914; Il processo per l’uccisione del magg. Silani, «Il
Finanziere», anno XXVIII, n. 30, 9/8/1914.
331
commilitone.45 In tempi più recenti possiamo ricordare la morte,
avvenuta in circostanze mai completamente chiarite, del fin. Gino
Nobili, di soli 20 anni, della brigata di Dumenza (VA), scomparso
nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 1967; pare che la guardia sia stata
spinta nel vuoto dal ponte tra Dumenza e Runo da alcuni
contrabbandieri, mentre era impegnata in un servizio di appostamento
per la repressione del contrabbando.46
Un altro agente, Secondo Villalta scomparve invece nel 1868, vittima
della propria generosità; il 17 ottobre partecipò, assieme ad alcuni
commilitoni, allo spegnimento di un incendio scoppiato a Zenna
(VA). L’azione delle guardie doganali fu assai efficace, tanto che esse
furono encomiate per il loro pronto ed efficace intervento; purtroppo
Villalta rimase asfissiato.47
Un elemento emerge con chiarezza da queste vicende; il fortissimo
spirito di cameratismo che univa i finanzieri, frutto della condivisione
di anni di duro lavoro (se non di vero e proprio sacrificio). Tale
sentimento, che portò per altro verso alla nascita delle prime
associazioni di guardie di finanza in congedo a cavallo tra XIX e XX
45
46
47
Roma, Archivio del Museo Storico della Guardia di Finanza (d’ora in poi
AMSGDF), Foglio matricolare di Da Prato Livio. Il resoconto dell’assassinio del
giovane e delle onoranze funebri riservategli è in Livio Da Prato: presente!, «Il
Finanziere», anno XLV, n. 21, 25/5/1931; si veda anche N. LEOTTA, Livio Da
Prato, «Il Finanziere», anno XLV, n. 23, 8/6/1931.
AMSGDF, Diario storico della VI Legione, vol. IV, anno 1967, 13 ottobre 1967,
nota n. 6598/21 del 12 ottobre 1967 del Nucleo PT di Varese; Aggiunte al Libro
d’oro della Guardia di Finanza. Edizione 1965 (aggiornato al 31 dicembre
1969), cit., p. 22; L. FULCINITI-A. BERTOCCO (a cura di), “Albo d’oro” dei caduti
per servizio vittime del dovere in tempo di pace, Milano, Sezione Provinciale
Unione Nazionale Mutilati per Servizio (U.N.M.S.), 1998, p. 195.
Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale», anno III, n.
11, 1° dicembre 1868, p. 108; Libro d’oro..., cit., p. 569.
332
secolo,48 si manifestò in ogni situazione di difficoltà e in occasione di
tragedie nelle forme più diverse (dalle raccolte di danaro alle decisioni
di
ricordare
i
commilitoni
scomparsi
con
lapidi
e
targhe
commemorative).
L’esempio più eclatante è legato alla tragica scomparsa del maggiore
Gioacchino Silani, ufficiale protagonista di una brillante carriera nel
Corpo, rimasto vittima - come abbiamo visto - di un agguato di
contrabbandieri nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1913 a Laveno,
presso la foce del torrente Boesio. I suoi subordinati si preoccuparono
di onorarne degnamente la memoria, sistemando una lapide con un
bassorilievo dello scomparso su un’ala del municipio di Laveno:
Il maggiore della Regia / Guardia di Finanza / Gioacchino / Silani /
soldato cittadino / padre esemplare / in queste acque / fu spento con
violenza / il XII agosto MCMXIII / cadde da prode / per obbedire /
alle sante leggi / della patria / fieri del suo sacrificio / i commilitoni
posero.
Esso si manifestava anche in situazioni particolari; emblematico il
caso di Silvio Desideri, un sotto-brigadiere scomparso a Porlezza il 1°
settembre 1909. Nel piccolo cimitero di Oria, in Valsolda, una
semplice lapide - comunque dignitosa - recita:
A / Desideri Silvio / sotto brigadiere / della R. Guardia di Finanza / i
commilitoni della / Compagnia di Porlezza / in segno di affetto posero
/ morto I° novembre 1909
48
Sulla storia dell’A.N.F.I., si vedano E. FUSELLI, ...e le Fiamme Gialle
continuano a brillare. Storia dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia
(1899-2009), Roma, A.N.F.I.-Museo Storico della Guardia di Finanza, 2009, e
IDEM, L’A.N.F.I. nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Storia dell’Associazione
Nazionale Finanzieri d’Italia (1899-2011), Roma, A.N.F.I.-Museo Storico della
Guardia di Finanza, 2011.
333
Il sottufficiale, originario di Rivodutri (RI) e dell’età di 33 anni, si
tolse la vita, a quanto pare, per motivi di cuore; la donna che egli
amava aveva bruscamente interrotto la relazione e l’agente non riuscì
a sopportare il dolore.49 I suoi commilitoni, nonostante non fosse
morto per motivi di servizio, vollero egualmente testimoniargli la
propria solidarietà.50
Degna di essere ricordata anche la raccolta di danaro organizzata a
favore del giovane finanziere Angelo Cicerchia, rimasto vittima della
violenza di un contrabbandiere e al quale fu liquidata, in maniera
vergognosa, una pensione da fame. Accanto alla sottoscrizione
promossa da una rivista del Varesotto, si ebbe quella organizzata da
un sottufficiale del Corpo, il brigadiere Pietro Solarino, che permise di
prestare un valido aiuto al buon Cicerchia.51 Anche la rivista del
Corpo, «Il Finanziere», lanciò una colletta a beneficio dello sfortunato
agente.52
49
50
51
52
La ricostruzione dei fatti è basata su Cronaca e corrispondenze. Da Porlezza
(Como), «Il Finanziere», anno XXIII, nn. 72-73, 28/11/1909.
Per completezza d’informazione, la vicenda dello sfortunato sotto-brigadiere non
costituisce un caso isolato; la rivista del Corpo giunse addirittura ad istituire una
rubrica per dare conto dei frequenti suicidi, spesso motivati dall’impossibilità di
coronare il proprio sogno d’amore con la donna amata. Cfr., a mo’ d’esempio, A.
FIGINI, Amori in grigioverde, «Il Rondò», XX (2008), pp. 205-213, in cui - sotto
pseudonimo - ho ricostruito la tragedia che nel lontano 1880 vide come
protagonisti una guardia di finanza e la sua donna, suicidatisi assieme nelle
acque del Tresa per l’impossibilità di convolare a giuste nozze.
Cfr. La sottoscrizione per un valoroso doganiere, «Cronaca Prealpina», anno
XXIV, n. 6464, 11/5/1911; Il generoso intervento delle guardie di finanza del
Varesotto a favore di un loro sventurato compagno, «Cronaca Prealpina», anno
XXIV, n. 6469, 16/5/1911.
Un caso pietoso, «Il Finanziere», anno XXV, nn. 42-43, 9/7/1911.
334
4. I DECORATI
Non sempre si parlava di finanzieri per eventi tragici legati alla lotta al
contrabbando; talvolta ci si occupava di loro per l’eroismo e il
coraggio che dimostravano nell’affrontare i “derelitti di coscienza
tributaria”. In alcune occasioni il comportamento degli agenti era
motivo di conferimento di decorazioni al valore e di orgoglio per tutto
il Corpo. I finanzieri meritavano la concessione delle medaglie per
l’atteggiamento fermo e deciso tenuto di fronte ai contrabbandieri.
La vicenda commovente di un mio conterraneo, la guardia Angelo
Cicerchia, nativa di Castiglione del Lago (PG), dimostra come, anche
prima della trasformazione del contrabbando in chiave “industriale”
avvenuta negli anni Cinquanta, il comportamento dei contrabbandieri
fosse spesso estremamente violento.53
Alle ore 23 del 4 aprile 1904 il finanziere Angelo Cicerchia, della
brigata di Dumenza (VA), si trovava appostato nella località Valle
Oscura, quando vide avvicinarsi, proveniente dalla Svizzera, un uomo
che si muoveva con fare assai circospetto. Ritenendo che potesse
trattarsi di un contrabbandiere (giacché indossava una giacca munita
di capaci tasche), la guardia gli intimò di seguirlo in dogana per un
controllo. L’individuo si diede alla fuga, prontamente inseguito
dall’agente Cicerchia, che riuscì a bloccarlo; ne nacque una furibonda
colluttazione, nel corso della quale il finanziere venne ripetutamente
colpito con il falcetto dal contrabbandiere, che, credendo di averlo
ucciso, si eclissò.54 Il povero Cicerchia se la cavò con 66 punti di
53
54
Alcuni anni dopo lo scontro con il contrabbandiere, a causa delle gravi ferite
riportate, ad Angelo Cicerchia fu amputato il braccio destro; cfr. FUSELLI,
L’A.N.F.I. nei 150..., cit., p. 360.
Per la ricostruzione dell’accaduto, vedasi Cronaca del Circondario. La terribile
335
sutura e una lunga degenza presso l’ospedale di Luino; il suo corpo
sarebbe rimasto per sempre segnato dai tremendi fendenti infertigli dal
contrabbandiere.55 L’eroismo e il sacrificio di Angelo Cicerchia
furono ricompensati con la concessione della medaglia d’argento al
valor militare, che avvenne con il r.d. del 29 settembre 1904.56
Non è, quella di Cicerchia, l’unica vicenda del genere; capitò qualcosa
del genere - con esito fortunatamente diverso - al finanziere Calisto
Pero, della brigata di Dumenza (VA). Il 26 gennaio di quell’anno la
guardia, in servizio con un commilitone in una località piuttosto aspra
dell’alto Verbano, dopo aver individuato due contrabbandieri, intimò
loro l’alt. Come accadeva sempre in situazioni del genere, gli uomini
si dettero alla fuga; la guardia Pero immediatamente ne inseguì uno.
Dopo che l’agente ebbe raggiunto il fuggiasco, i due ingaggiarono una
dura colluttazione, nel corso della quale rotolarono in un dirupo;
l’energumeno, tratto di tasca un falcetto, tentò di colpire il finanziere
(il contrabbandiere vibrò cinque colpi, ferendo per fortuna solo
lievemente l’agente). Il contrabbandiere, rimasto illeso al pari della
guardia, fuggì nuovamente, ma il finanziere, raggiuntolo nuovamente,
lo arrestò con l’aiuto del proprio commilitone, prontamente accorso.
55
56
lotta tra una guardia di finanza ed un contrabbandiere, «Cronaca Prealpina»,
anno XVII, n. 4109, 7/4/1904, e F. BOSCARDI, Cinque medaglie d’argento al
valor militare, «La Rivista Illustrata della Regia Guardia di Finanza italiana»,
anno V, n. 7, 1/4/1905, p. 75.
Notiziario e corrispondenza. Guardie di finanza ferite, «La Rivista Illustrata
della Regia Guardia di Finanza italiana», anno IV, n. 9, 1/5/1904 (in cui il
cognome è storpiato in Cisterchia); Note di cronaca e corrispondenze. Una
vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XVIII, n. 37, 6/7/1904.
Vedasi Libro d’oro della..., cit., pp. 27-28: “Di servizio in alta montagna, inseguì
da solo per pericolosi dirupi un contrabbandiere: raggiuntolo alfine, benché nella
corsa avesse perduto la rivoltella, lottò a lungo animosamente per trarlo in
arresto, finché cadde esaurito per molte e gravissime ferite di falcetto infertegli
dal ribelle - Dumenza (Como), 4 aprile 1904”.
336
La medaglia fu conferita alla guardia con il R.D. del 29 giugno
1902.57
L’11 aprile 1903 due guardie di finanza, Ruggero Mellardi e Venanzio
Perinetti, intercettarono nei pressi di Lozzo (VA) altrettanti
contrabbandieri; datisi questi ultimi alla fuga, i finanzieri si lanciarono
al loro inseguimento, raggiungendoli ben presto. L’agente Mellardi
tuttavia, nella foga della corsa cadde e i due contrabbandieri gli furono
subito addosso, prendendolo a bastonate e colpendolo col falcetto; per
evitare il peggio, l’agente fu costretto a sparare all’uomo che si stava
particolarmente accanendo contro di lui. Il commilitone, nel frattempo
accorso in suo aiuto, aveva ingaggiato una colluttazione con l’altro
energumeno e riuscì a strappargli il bastone; la guardia venne
comunque ferita e, per salvarsi, dovette colpire ripetutamente il
contrabbandiere con una pietra. Il 25 settembre 1903 il re insignì i due
agenti della medaglia d’argento al valor militare, che fu loro
materialmente consegnata l’11 novembre 1903 a Caserta.58
Un dramma particolarmente pietoso si consumò nel 1966;
protagonista un giovanissimo finanziere cinofilo, Dario Cinus, che
perse la vita il 29 agosto nei pressi di Tirano (SO), in Valtellina, nel
generoso ma vano tentativo di salvare un contrabbandiere che stava
57
58
Cronaca e corrispondenze. Da Dumenza (Como), «Il Finanziere», anno XV, n.
9, 7/2/1902; Libro d’oro..., cit., p. 37. Per la ricostruzione completa della
vicenda, vedasi E. FUSELLI, Piccola storia di contrabbando, «Il Rondò», XIX
(2007), pp. 207-212.
Cronaca e corrispondenze. Da Como, «Il Finanziere», anno XVII, n. 26-27,
18/4/1903; E. DE ANGELIS, Tre medaglie d’argento, «La Rivista Illustrata della
R. Guardia di Finanza italiana», anno III, n. 23, 1/12/1903, p. 294; Libro d’oro...,
cit., p. 26.
337
precipitando in un burrone. Alla memoria dello sfortunato agente il 15
ottobre 1966 fu conferita la medaglia d’argento al merito civile.59
Una vicenda assai singolare accadde nel gennaio 1969 e vide come
protagonisti due finanzieri e un cane anticontrabbando - storia quanto
mai drammatica ma estremamente significativa. Due militari, i
finanzieri Dino Piras, ventiseienne di Oristano, e Serafino Scalise,
ventunenne cosentino, in forza alla brigata di Garzeno (CO), uscirono
dalla caserma del distaccamento di Giovo in perlustrazione con il cane
Foch G.F. 433. I tre furono travolti da una slavina. L’animale,
avvertito l’imminente pericolo, cercò di mettere sull’avviso il proprio
conduttore; se lo avesse voluto, il cane avrebbe potuto salvarsi. Non lo
fece; rimase vicino al cinofilo Piras e all’altra guardia. I soccorritori
trovarono i loro corpi alcuni mesi più tardi, quando le condizioni
ambientali ne resero possibile il recupero; il cane e il conduttore
furono trovati abbracciati, vicino all’altro agente60.
59
60
È caduto da eroe il finanziere Cinus, «Il Finanziere», anno LXXX, n. 17,
15/9/1966; Aggiunte al Libro d’oro della Guardia di Finanza. Edizione 1965
(aggiornato al 31 dicembre 1969), cit., p. 12.
Travolti da una slavina, «Il Finanziere», anno LXXXII, n. 2, 31/1/1969; AA. VV.,
La Guardia di Finanza dalle origini, Roma, Comando Generale della Guardia di
Finanza, 1977, pp. 465-466.
338
Gen. D. Roberto Mantini
L’impegno degli elicotteri nel servizio
anticontrabbando al confine terrestre
1. PRECEDENTI STORICI
Comincio con il ricordare che la componente aerea della Guardia di
Finanza annovera pionieri del volo prima che l’Aeronautica Militare
fosse costituita in Forza Armata.
Infatti il Cap. Luca Bongiovanni, finanziere e pioniere aviatore, nel
1908 era al comando della Tenenza di Bergamo e vi fondò,con pochi
339
altri appassionati, un Aero Club che prese parte ad una delle prime
manifestazioni aviatorie in Italia.
Frattanto l’interesse per l’aviazione si faceva vivissimo in ambiente
militare e nel gennaio del 1912 fu indetto il primo corso di pilotaggio
della aviazione militare cui prese parte il Cap Bongiovanni unitamente
ad altri 20 ufficiali di altri Corpi Militari.
Con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale l’Ufficiale fu
trasferito al Servizio Aeronautico e rientrò nel Corpo a fine 1916 per
essere poi destinato alla Legione di Napoli, quale aiutante maggiore.
Nel 1920 lasciò il servizio per dedicarsi alle sue ricerche aeronautiche.
Morì a Como nel 1966.
Vi furono altri finanzieri aviatori tra i quali ricordo il brig. Giuseppe
Bigliani, decorato di medaglia d’argento al valor militare per le azioni
di bombardamento compiute nel 1917; il brig. Umberto Cacciuolo,
primo istruttore di volo del Corpo; il Ten Mario De Bartolomeis,
anch’egli istruttore di volo, che nel 1918 addestrò
allievi piloti
statunitensi tra i quali Fiorello La Guardia, futuro sindaco di New
York.
Va ancora ricordato che, cessate le esigenze belliche e costituitasi
l’Aeronautica come Forza Armata, non fu più dato corso al distacco
di militari della Guardia di Finanza ma si manifestò l’esigenza di
disporre di ufficiali in grado di svolgere funzioni di osservazione aerea
e di collegamento con i Reparti di volo.
Furono così formati e brevettati ufficiali “Osservatori
dall’
aeroplano”, con appositi corsi interforze, cui parteciparono anche
ufficiali delle Fiamme Gialle fin dal 2° corso nel 1926..Tra questi va
ricordato il Ten Raffaello Tani che, per l’esperienza acquisita nel
340
servizio di volo e per l’attività svolta
a cavallo del 2° conflitto
mondiale presso il Comando Generale, fu un convinto assertore
dell’impiego del mezzo aereo nella vigilanza
principali promotori
e quindi
uno dei
della istituzione, nel Corpo, di un Servizio
Aereo.
La visione operativa del Ten Tani, affinatasi attraverso studi e
valutazioni risalenti fino agli anni’30, quando però l’impiego di
ricognitori non poteva non apparire sproporzionato, derivava dalla
esigenza di realizzare un consistente ausilio alla vigilanza terrestre e
marittima, imposta dall’evoluzione del fenomeno contrabbandiero che
cominciava a costituire una pericolosa minaccia prevalentemente da
mare.
Ma in breve tempo, vista l’altissima redditività del traffico, si andò
incrementando anche la tradizionale attività degli spalloni al confine
italo-svizzero . In buona sostanza il fenomeno andava assumendo la
caratteristica di “ contrabbando d’impresa” in cui il traffico fu
monopolizzato da poche ma grosse organizzazioni, largamente dotate
di risorse finanziarie in grado di provvedere all’acquisto, al trasporto
ed all’immissione dei tabacchi nei mercati di consumo.
Mentre da un lato, per questi motivi, andava rafforzandosi
la
prospettiva di acquisire mezzi aerei da destinare alla sorveglianza del
confine, faceva la sua comparsa in Italia l’ala rotante cui si
attribuivano caratteristiche di volo innovative.
Alla presentazione di due elicotteri Bell 47 D alla Fiera di Milano
presenziò il Capo Ufficio Servizi del Comando Generale a
dimostrazione della sensibilità che la gerarchia
341
riservava alla
problematica
operativa
indotta
dal
crescente
fenomeno
contrabbandiero.
Alle valutazioni
conseguenti partecipò, con un articolo sul
”Finanziere”, anche il Ten Col. Tani al quale va il merito di aver
elaborato una prima impostazione razionale
d’impiego con la
individuazione dei possibili campi d’azione.
Così nell’agosto de 1950 un elicottero fu posto a disposizione della
Legione di Trento e della Scuola Alpina di Predazzo per lo
svolgimento di una serie di sperimentazioni in ambiente montano, con
lo svolgimento di missioni di collegamento, ricognizione e soccorso.
Si trattava di un elicottero , ancora in fase prototipica, dotato di un
motore Franklin da 200 hp che consentiva una velocità di circa 77
nodi (142,6 km/h) ed una tangenza di 10900 feet ( 3322 mt ) per un
peso max. di 1065 kg.
Vale ricordare per sommi capi il programma di carattere operativo
attuato lungo una ipotetica linea di confine di circa 16 km con quote
variabili tra i 600 mt. e gli oltre 2000 mt. nella Legione di Trento:
-
collegamento rapido in montagna;
-
trasporto e controllo di pattuglie in appostamento;
-
perlustrazione per la repressione del contrabbando lungo la
supposta linea di confine.
La sperimentazione si svolse come programmato e con esito positivo
ma rimasero perplessità nei vertici del Corpo dovute sostanzialmente
ai limiti del mezzo nel volo notturno, nelle condizioni meteo avverse,
nelle sue capacità di carico.
Dico subito che tali perplessità sarebbero state superate molti ma molti
anni dopo con l’evoluzione dello stato dell’arte.
342
Tuttavia si aprì una riflessione sull’esigenza di ammodernamento del
dispositivo di vigilanza. Anche in questo caso manifestò il suo
pensiero, dalle pagine della “Rivista tecnico professionale del Corpo”,
il Ten. Col. Tani il quale, traendo spunto dagli esperimenti condotti
due anni prima, sostenne che il sistema di vigilanza doveva evolversi
da sistema “a cordone” in dispositivo elastico dotato di mobilità e di
un efficiente sistema di trasmissioni.
Vi fu quindi un momento di riflessione in cui entrarono anche
valutazioni di ordine economico. Ma la prospettiva di incrementare l’
efficienza del dispositivo di contrasto in un’ottica di crescita dei
risultati, pur in presenza delle limitazioni di impiego sopra accennate,
costituiva l’elemento che teneva vivo il dibattito.
A tale pausa si affiancò anche un rallentamento nel processo
commerciale di introduzione in Italia del mezzo ad ala rotante che
durò dal 1950 al 1952, quando i fratelli Agusta rilevarono la licenza di
costruzione degli elicotteri dalla Bell Aircraft.
Con l’annunciato avvio della produzione in serie su licenza dell’
elicottero “Bell 47D” il Comando Generale, siamo al settembre del
1953, ruppe gli indugi e stipulò con l’Aeronautica Militare una
Convenzione per il supporto necessario all’ acquisto di elicotteri,
all’organizzazione
tecnico-logistica
ed
all’addestramento
del
personale.
Nacque così, il 1° febbraio 1954, il Servizio Aereo che cominciò ad
operare nell’estate dell’anno successivo con l’assegnazione dei primi
due elicotteri AB 47 G alla neo istituita Sezione Aerea di Napoli.
Quanto agli obiettivi che si intendeva perseguire va detto che
all’epoca si usarono proposizioni alquanto generiche del tipo:
343
“l’utilizzo dell’elicottero in funzione anticontrabbando al confine di
terra rappresenterà un potente apporto al servizio di vigilanza….con
ampie possibilità di scoprire….qualsiasi tentativo di forzare la linea
doganale” ed, ancora, si definiva così la finalità dell’impiego:
“evitare la dispersione delle forze sulla linea di vigilanza
nel
tentativo di colpire il contrabbando là dove l’iniziativa dell’
organizzazione contrabbandiera ha deciso di operare”.
“L’elicottero”, concludeva lo studio, “sarà in definitiva l’osservatorio
che guiderà l’attività di servizio dei reparti di frontiera, consentendone
l’azione a massa verso concreti obiettivi”.
In sostanza, se ci si poteva avvalere dell’esperienza dell’ Aeronautica
per risolvere problemi tecnici ed organizzativi del nuovo Servizio,
l’impiego operativo dell’elicottero, specie al confine terrestre, andava
inventato partendo da zero, in base alla progressiva conoscenza delle
possibilità e delle limitazioni del mezzo, nonché alla crescita
professionale del personale specializzato.
Così, dopo gli esperimenti dell’estate ’50, furono nuovamente svolte
missioni di collegamento in montagna nel ’57 a Passo Rolle
utilizzando un AB47G, a dimostrazione dell’interesse, fortemente
sentito, di contrastare il crescente fenomeno contrabbandiero al
confine terrestre. Naturalmente , date le caratteristiche del mezzo,
furono confermate le limitazioni in termini di impiego e capacità di
carico.
L’entrata in linea dell’AB47J, agli inizi del 1958, offrì la soluzione
consentendo di ipotizzare forme di intervento repressivo diretto per la
sua capacità di trasporto di una piccola pattuglia.
344
Si trattava infatti di un elicottero multiruolo dotato di un propulsore
Lycoming da 260 Hp capace di raggiungere i 91 nodi di velocità ( 166
km/h ) ed una quota di tangenza massima di 9300 feet ( 2834 mt. )
per un peso complessivo di 1293 kg.
Appariva infatti apprezzabile il contributo che questo mezzo avrebbe
potuto fornire nel dispositivo di vigilanza al confine terrestre fatto di
numerosi, piccoli reparti dislocati in zone impervie.
2. LA PRIMA SEZIONE AEREA DI
MONTAGNA
Si arriva così al luglio del 1958 quando, dopo le esperienze operative
nel contrasto al contrabbando via mare delle 5 Sezioni Aeree
marittime già schierate, fu costituita la prima Sezione Aera di
montagna alle dipendenze della Legione di Como.
Il Reparto fu dislocato nell’idroscalo della città ma, dopo pochi mesi,
fu realizzato un eliporto ad Intimiano dove aveva già sede il Centro
Addestramento Cinofili.
L’elisuperficie fu dotata di un piccolo Hangar e di tre piazzole in
cemento. Vi furono assegnati due elicotteri AB 47J, da poco entrati in
linea e, come detto, idonei al trasporto di una piccola pattuglia.
La circoscrizione della Legione di Como comprendeva le province di
Como,Varese e Sondrio con 464 Comuni dispiegati lungo il confine
svizzero che, da Zenna (Va ) al passo dello Stelvio, misura 521,5 km.
In particolare, poiché la parte di confine compresa tra Zenna e
Porlezza è caratterizzata, in vari tratti, da terreno facile e collinoso con
numerosi sentieri che intersecano la linea di confine senza alcun
ostacolo naturale, vi è stata posta a difesa, una rete metallica che in
totale somma ben 72,610 km.
345
Naturalmente il percorso della rete, con tutte le sue anse anche
improvvise e molto angolate, doveva essere conosciuto alla perfezione
dai piloti della Sezione per scongiurare possibili e problematici
sconfinamenti in territorio elvetico che avrebbero comportato
comprensibili proteste ed attriti con le autorità di quel Paese.
Inizialmente l’elicottero fu impiegato soprattutto come mezzo di
trasporto rapido di personale destinato ad operare in prossimità del
confine.
Fu costituito anche un “nucleo eliportati” con unità cinofile abilitate
all’elisbarco in volo stazionario in effetto suolo per interventi diretti.
Tali interventi divennero sempre più numerosi e frequenti soprattutto
nelle zone più impervie dove venivano spesso avvistati gruppi di
“spalloni”, i tradizionali contrabbandieri comaschi e valtellinesi, che
era possibile attaccare con le pattuglie lanciate dal velivolo.
Si passò poi all’intervento diretto nei confronti delle autovetture
sorprese in fase di carico nelle immediate vicinanze della linea di
confine o intercettate cariche sulle rotabili
del varesotto o del
comasco.
Fu anche curata la cooperazione con i reparti terrestri e con le unità
navali adibite alla sorveglianza dei laghi, nell’avvistamento,
inseguimento e fermo dei mezzi contrabbandieri.
Va qui ricordato che, proprio nel corso di un inseguimento di
un’autovettura sospetta lungo il lago di Como, il 21 /10/1964
l’elicottero AB 47 J3 Volpe 30 si inabissò nelle acque del lago e vi
perse la vita il pilota Brig. Alfonso Pozzi, primo caduto del servizio
aereo del Corpo. Si salvarono fortunatamente lo specialista e la
vedetta.
346
3. COME SI SVILUPPA IL SERVIZIO AEREO E LA VIGILANZA AL CONFINE
TERRESTRE
L’estensione della vigilanza aerea al confine terrestre e l’incremento
dei tipi di velivoli in linea evidenziarono alcuni problemi alla
soluzione dei quali era subordinato l’ulteriore sviluppo del Servizio
Il primo problema era costituito dalla mancanza di un inquadramento
normativo che regolasse la vita della nuova specialità. Intanto furono
gradualmente estesi al personale del Servizio Aereo i provvedimenti
di contenuto economico del personale aeronavigante e specialista delle
altre Forze Armate.
A seguire si pensò di emanare una “Istruzione sul Servizio Aereo”
che definiva le varie forme d’impiego dei mezzi aerei e stabiliva le
relative procedure tattiche.
La positiva esperienza maturata nei circa sette anni di attività di volo
in montagna portò frattanto, nel giugno del 1967, alla istituzione di
una seconda Sezione Aerea “alpina” con sede a Bolzano.
La decisione fu assunta nell’ottica di dare supporto ai reparti
impegnati
nella
vigilanza
del
confine
italo-austriaco,
allora
particolarmente sensibile per la recrudescenza dell’attività terroristica.
Era entrato anche in linea l’AB47G3B1 “superalpino” il cui primo
esemplare fu assegnato nell’ottobre ’65 alla Sezione di Intimiano e
due anni dopo ne fu dotata anche la neo istituita Sezione di Bolzano.
Si trattava di un elicottero dalle caratteristiche di volo esuberanti
rispetto agli AB47G2 ed AB47J, soprattutto in termini di potenza,
grazie ad un turbocompressore che gli consentiva di ristabilire le
condizioni di potenza in quota.
347
Poteva raggiungere i 103 nodi di velocità (190 km/h) ed una tangenza
massima di 18800 feet ( 5730 mt.) per un peso complessivo di 1340
kg.
L’organizzazione aerea continuò a svilupparsi sui binari imposti dalla
scelta strategica di impiegare elicotteri leggeri ma con un progressivo
affrancamento dall’Aeronautica
Militare per quanto riguarda
la
condotta ed il mantenimento in efficienza dei mezzi, attività alle quali
era ormai destinato personale delle Fiamme Gialle.
E la Sezione Aerea di Intimiano fu la prima ad essere comandata da
un Ufficiale del Corpo dal 16 giugno del 1959. Le altre 5 Sezioni lo
furono entro la fine dello stesso anno.
Furono così fissati i compiti dei militari preposti ai singoli incarichi;
furono definite le caratteristiche dell’esplorazione aerea ( ricerca,
pattugliamento, mantenimento del contatto ) e della ricognizione con
schemi standardizzati e modalità esecutive; vennero impartite
disposizioni per l’organizzazione delle telecomunicazioni e per
l’assistenza logistica degli elicotteri.
Per migliorare l’assetto logistico della Sezione di Intimiano, nel 1972
il reparto fu trasferito a Calcinate, sul lago di Varese, dove era già
operativo un aeroporto particolarmente orientato all’esercizio del volo
a vela.
Parallelamente si andava potenziando la flotta aerea che già disponeva
della intera gamma degli elicotteri leggeri prodotti dall’Agusta, e che,
nel maggio del 1973, si arricchì con quattro elicotteri a turbina NH
500M, dalle caratteristiche tecnico-operative decisamente superiori
rispetto ai velivoli convenzionali quali: autonomia equivalente ma
348
con velocità praticamente doppia, maneggevolezza, prestazioni in
quota e capacità di carico nettamente migliori.
Andava adeguandosi la tecnologia ma, trattandosi comunque di
elicotteri leggeri, non mutarono sostanzialmente i criteri e le
procedure d’impiego. Si confermò invece, nonostante le limitazioni
già note, l’efficacia dell’elicottero nel contesto operativo.
Nel marzo 1976 entrò in linea l’ NH500MC con turbina C/20 dalle
prestazioni sensibilmente superiori rispetto a quelle della precedente
serie NH500M.
Dopo circa vent’anni dalla sua istituzione il Servizio Aereo, autonomo
e ben strutturato, poteva contare su 14 reparti di volo . Erano entrati in
linea anche gli NH500MD mentre gli elicotteri della serie AB 47
erano stati progressivamente radiati.
Nel contesto della evoluzione dei mezzi va anche ricordato che, per
superare le limitazioni
di autonomia, di carico e la carenza di
dotazioni elettroniche, all’inizio degli anni ’80 si avviò l’acquisizione
dell’ Agusta A109 A II, bimotore in versione realizzata appositamente
per la Guardia di Finanza, con capacità di volo strumentale e notturno
e con più ampie capacità di carico.
Tornando
all’adeguamento
del
dispositivo
di
contrasto,
con
l’istituzione nel 1978 della Sezione Aerea di Cuneo-Levaldigi fu
estesa la vigilanza anche al confine nord-occidentale, completando
così il presidio di tutto l’arco alpino.
Tuttavia l’analisi dell’attività operativa fece all’epoca ritenere la
minaccia collocata prevalentemente nel bacino del Mediterraneo
mentre era da considerarsi praticamente scomparso il traffico al
confine italo-svizzero, per le profonde modificazioni indotte dallo
349
sviluppo economico nel tessuto sociale delle zone prossime alla
frontiera.
Così agli inizi degli anni ’80 apparve evidente la difficoltà di
sostenere
un dispositivo
di 14 Sezioni Aeree, a fronte di una
situazione di cronica insufficienza di disponibilità di bilancio.
Tenuto conto della evidente prevalenza delle necessità della vigilanza
costiera, pertanto, nell’estate del 1982 fu decisa la soppressione delle
Sezioni di frontiera di Cuneo, Varese e Bolzano e l’assegnazione dei
relativi velivoli ai reparti operanti sul mare.
La scelta, all’epoca obbligata, fece venir meno un importante
elemento di supporto ai Reparti alpestri e rischiò la dispersione di
esperienze e capacità tecniche relative al volo in montagna, acquisite
in più di venti anni di volo.
A questi inconvenienti si pose rimedio con la ricostituzione della
Sezione Aerea di Varese disposta nell’ agosto del 1986 e della
Sezione Aerea di Bolzano nella primavera del 1989.
4. CENNI SUI RISULTATI OPERATIVI
Alla elencazione dei risultati conseguiti va premesso che , dato il
tempo trascorso, non è stato possibile ricostruirne la totalità ma solo
alcune serie che, tuttavia, forniscono una significativa indicazione
dell’apporto fornito, anche in termini di deterrenza, alla attività di
contrasto.
Non tragga, però, in inganno l’entità dei risultati che potrebbero
apparire modesti, in termini di costi/benefici, poiché è di tutta
evidenza che il Reparto di volo è deputato alla vigilanza, alla
350
segnalazione ed alla cooperazione con i Comandi di terra cui è
demandata la conclusione del servizio.
Perciò va detto che la gran parte dei risultati è stata contabilizzata dai
Reparti territoriali con i quali la Sezione Aerea aveva cooperato,
mentre quelli realizzati autonomamente dall’elicottero sono “ulteriori”
e dovuti solo alla particolare situazione operativa del momento che ha
indotto nell’equipaggio una favorevole valutazione per un intervento
diretto.
Altro importante elemento da avere in evidenza è costituito dalle
limitazioni operative del mezzo ( meteorologiche e di luce) di cui si è
fatto cenno in precedenza . In sostanza l’attività di volo poteva essere
svolta dall’alba al tramonto ed in condizioni meteo accettabili.
E’ da tenere infine in considerazione il contesto ambientale,
particolarmente impegnativo, in cui i piloti si trovavano ad operare,
nonché il progressivo affinamento di procedure di ingaggio maturate
“sul campo” sulla base delle esperienze di ciascuno, dello scambio di
informazioni e di un sano spirito di emulazione.
Desidero a questo punto, spendere una parola sul profilo del
personale, sulla passione ed abnegazione, sull’affiatamento degli
equipaggi. Lo dico con assoluta certezza per esserne stato testimone
diretto: si tratta di eccellenti piloti, specialisti e vedette di elicottero
che, non senza rischi, ma con assoluta professionalità hanno scritto
una pagina memorabile nella storia del Servizio Aereo.
Ma
veniamo
ora
a
qualche
flash
sulla
anticontrabbando realizzata dal Reparto di volo .
351
attività
operativa
Nei primi anni di attività, dal ’60 al ’63 non si rinvengono che pochi
risultati realizzati nella zona di Sondrio e Tirano con il sequestro di
circa 700 kg di caffè
Nel ’64 si è trovata traccia di un sequestro di 350 kg. di caffè in
Valtellina e del sequestro di un’ autovettura e di 200 kg. di tle. in Val
Mulini all’interno di una cascina.
Degli anni dal ’65 al ‘67 non sono stati rinvenuti dati ma va anche
osservato, dai risultati dell’epoca di alcuni Reparti di frontiera del
comasco, che sono stati realizzati sequestri di autovetture, con tle a
bordo, prevalentemente nel corso della notte.
Non è azzardato dedurre, quindi, che l’impresa contrabbandiera aveva
reagito all’entrata in linea degli elicotteri eliminando o riducendo in
modo significativo il traffico diurno secondo una propria valutazione
di costi/benefici della specifica attività illecita.
Interessanti i dati degli anni ’68, ’69 e ’70, periodo nel quale è
sicuramente cambiato il volume del particolare traffico, per una
evidente maggior convenienza economica del contrabbando.
Infatti:
-
nel 1968 sono stati sequestrati kg. 1350 di tle. 14 autovetture ed
arrestati 4 responsabili;
-
nel 1969 sono stati sequestrati kg 850 di tle. 10 autovetture ed
arrestati 3 responsabili;
-
nel 1970 sono stati sequestrati kg. 2500 di tle. 300 kg di caffè e 15
autovetture ed arrestati 2 responsabili.
Negli anni ’71, ’72 e ’73 comincia a cambiare lo scenario in quanto,
dai dati rinvenuti, si desume un minor interesse
352
dell’impresa
contrabbandiera per il tabacco ed una preferenza per il traffico illecito
di caffè.
Sono stati infatti sequestrati nel periodo circa kg. 1700 di tle., 6500
kg. di caffè, 5 autovetture, 4 furgoni, 2 camion ed arrestati 5
responsabili.
A dimostrazione della modifica dei traffici illeciti va segnalato ad es.
il sequestro di 1200 musicassette, 1000 lt. di grappa e 2000 kg. di
zucchero ed un certo numero di alambicchi.
Per il periodo dal ’74 al’76 si rinvengono solo pochi risultati con
sequestri di caffè e tle. ma in ogni caso si può affermare che, a fronte
del progressivo mutare delle condizioni socio-economiche nell’area
del confine italo elvetico, va scemando fino a scomparire, quella
modalità di illecito che possiamo considerare oggi come fenomeno
che ha caratterizzato un’epoca ormai lontana.
Ma, a conclusione di questo breve excursus storico, avendo parlato
dell’ambiente operativo e ricordato alcuni sequestri operati, potrebbe
porsi un legittimo quesito: “ ma come
si può con un elicottero
operare il sequestro di un automezzo e talvolta procedere anche
all’arresto di un responsabile?
A
questa ipotetica domanda si può rispondere citando un breve
articolo di un giornale dell’epoca, “La Notte” del 1972, che cosi
riporta un intervento anticontrabbando dal titolo “AVEVA PENSATO
A TUTTO MA NON ALL’ELICOTTERO”:
“ ….all’inizio non si era ( il conducente di una 125 con oltre 100 kg di
tle.) nemmeno accorto di ciò che gli stava per capitare tra capo e collo
e, quando se ne è reso conto, era ormai troppo tardi perché l’elicottero
stava già quasi posandosi sul cofano motore della macchina.
353
Anche se preparato a tutte le eventualità a quella non ci aveva proprio
pensato, sicchè non ha trovato altra via di uscita che piantare
l’automobile e darsi alla fuga a piedi attraverso i campi, senza pensare
che dall’alto i finanzieri potevano tenerlo costantemente d’occhio.
Anzi, dopo qualche centinaio di metri, gli sono piombati addosso ed
anche la colluttazione che egli ha impegnato con uno di essi, non è
valsa a salvarlo. Immobilizzato è stato tratto in arresto e, dopo le
formalità di legge, trasferito alle carceri. Il carico e l’auto sono stati
sequestrati.”
Ho concluso questa mia esposizione che, partendo dalle origini della
specifica attività, si è soffermata sulla Sezione Aerea di Intimiano e
sull’evoluzione del dispositivo di contrasto per concludersi con cenni
sui risultati operativi. Mi auguro di essere riuscito a presentare un
quadro sufficientemente esaustivo sugli aspetti che hanno riguardato
l’impiego degli elicotteri nel servizio anticontrabbando al confine
terrestre.
354
Prof. Virgilio Ilari
Conclusioni
La storia dei Corpi di polizia, anche di quelli a ordinamento militare, è
più complessa e per molti aspetti difficile della storia delle Forze
Armate. Quest’ultima, infatti, è già abbastanza strutturata nel quadro
della storiografia classica e dei generi storiografici specialistici che si
sono sviluppati da quasi due secoli, ossia la storia della guerra, della
sicurezza internazionale e del pensiero strategico e geopolitico. La
storia delle forze armate e delle istituzioni militari è da sempre uno dei
capitoli o dei settori non solo della storia militare tecnico355
professionale, ma anche della storia politica, sociale, giuridica,
economica nazionale, regionale e comparata. Nel caso delle forze di
polizia, invece, la maggiore difficoltà è data dal fatto che, a causa
delle loro funzioni estese a tutti i settori della vita pubblica e della loro
operatività quotidiana, la loro storia non può essere neppure ricostruita
senza raccordare tra loro una molteplicità di ricerche storiografiche.
Questo convegno è dedicato alla storia del contrabbando alla frontiera
italo-svizzera dall’unità d’Italia agli anni Settanta del secolo scorso;
ed è, di conseguenza, dedicato anche alla storia della 9° Legione della
Guardia di Finanza, la Legione di Como. Si intrecciano qui diverse
fasi del lavoro storico. Anzitutto il vissuto personale e collettivo, la
narrazione del quotidiane che emerge e si snoda attraverso le cronache
(gazzette e diari), la memorialistica e gli atti amministrativi e
giudiziari. Poi la laboriosa costruzione delle serialità statistiche e
l’individuazione degli snodi significativi, che non di rado differiscono
a seconda della disciplina storica nella quale collochiamo la ricerca:
diversa infatti è la prospettiva della storia giuridica e istituzionale da
quelle della storia politica, economica e sociale. Infine la fase
dell’intreccio
fra
queste
varie
prospettive,
onde
ricavare
interpretazioni e giudizi.
Ricordiamo qualche importante dato quantitativo citato in questo
convegno.
Trentamila
giovani,
in
maggioranza
meridionali,
avvicendatisi in un secolo nella 9a Legione di Como, buona parte dei
quali stabilitisi poi qui con le loro famiglie, con un forte impatto sulla
cultura e la mentalità della provincia di Como. Tremila vittime del
contrabbando, tra contrabbandieri, militi e persone coinvolte
fortuitamente in incidenti e conflitti a fuoco. Ventisette elicotteri per il
356
controllo doganale dei valichi alpini, con un rocambolesco sequestro
di 5.000 accendini … Un’attività che fino agli anni Sessanta
coinvolgeva una parte significativa dei ceti più poveri e che non era
perciò soggetta a riprovazione morale, tanto che i parroci e i sindaci si
preoccupavano più degli eccessi repressivi che del contrabbando e gli
stessi tribunali erano generalmente comprensivi. Dall’altra parte del
confine, poi, l’esportazione clandestina di generi di largo consumo in
Italia era perfino incoraggiata, come dimostrano gli incredibili
regolamenti amministrativi ticinesi. Del resto da questa attività
l’erario svizzero ha tratto un profitto pari a un quinto dell’intera spesa
pensionistica federale nei cent’anni considerati. Il grosso di questo
profitto era costituito dal contrabbando di sigarette estere, importate
legalmente in Svizzera con regolare pagamento del dazio, e riesportate
illegalmente in Italia lucrando il differenziale del dazio, che
rappresentava anche una forma, sia pure illecita, di redistribuzione del
reddito a favore delle famiglie indigenti.
Questi dati sembrano porci una domanda: in termini non solo
economici, ma pure politici e sociali, la spesa è valsa l’impresa? Non
si sarebbe potuto azzerare la convenienza economica almeno del
contrabbando di sigarette azzerando il differenziale (a quanto pare
modesto, circa del 5 per cento) tra il dazio d’importazione italiano e
quello svizzero? A questa domanda, al tempo stesso ingenua e
provocatoria, non saremmo ancora in grado di rispondere, neanche se
avessimo tentato un calcolo econometrico dei costi e dei ricavi diretti
e indiretti di cent’anni di commercio legale e illegale di generi di largo
consumo alla frontiera italo-svizzera e delle relative attività di
controllo e di repressione dei reati connessi.
357
Dovremmo infatti inserire quel dato nel contesto della politica fiscale
dell’epoca: e, come ci rammenta la Carmen di Bizet, dovremmo
subito notare che in tutta Europa, per circa un secolo, il monopolio
statale dei tabacchi lavorati fu al primo o al secondo posto fra le
principali entrate accertate (imposte, dogane, monopoli e tasse sugli
affari), oltre che uno dei fronti caldi delle guerre doganali e della
stessa competizione coloniale. Tra infiniti esempi, ricordiamo il
rapporto riservato del ministero degli esteri italiano, del 20 settembre
1908, sulle conseguenze sociali e politiche provocate nel Montenegro
dall’introduzione del monopolio sui tabacchi, avvenuta nel 1903 a
beneficio di uno speculatore italiano, con la rovina dei coltivatori,
rivolte sociali, odio anti-italiano e linciaggi di guardie del monopolio
per rappresaglia degli eccidi da loro commessi1. Nel primo decennio
dell’unità lo stato italiano ricavava dal monopolio dei tabacchi lavorati
77 milioni di lire, pari al 15,5 % delle principali entrate accertate;
percentuale diminuita cent’anni dopo (1961-1970) appena al 14,8
(pari a circa 590 miliardi di lire su quasi 4.000)2. Ma ancora nel 2001,
secondo un rapporto del Nomisma, il ricavo dell’erario italiano
dall’accisa e dall’lVA sui tabacchi lavorati era di 9,5 miliardi di euro,
pari al 75% del prezzo finale di vendita al consumo, al 26% dei ricavi
totali delle accise e al 3% delle entrate fiscali complessive.
Quanto al contrabbando di sigarette, il mestiere di Filomena
Marturano sembra rifiorire in luoghi e forme nuove. A Milano
vengono sequestrati dai “ghisa” 190 kg di sigarette al mese, e nel
primo trimestre del 2013 la guardia di finanza ne ha sequestrati 600
1
2
Pubblicato in Gnosis, N. 3/2005, online nel sito Aisi.
ISTAT, Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, Tav. 122, pp.
164-165.
358
solo all’aeroporto di Orio al Serio. Meritata nemesi storica, le sigarette
vengono adesso proprio dal Montenegro e arrivano a Milano in
camion da Trieste o in aereo dai porti di Ancona e di Bari: sono
soprattutto Marlboro e Chesterfield, smerciate al 60 per cento del
prezzo italiano nei punti di ritrovo degli immigrati dell’Europa
dell’Est e acquistate da pensionati e altri indigenti italiani, che le
spacciano a loro volta all’80 per cento3.
Nel luglio 2012 è stato scoperto un tunnel di 700 metri usato per
contrabbandare sigarette dall’Ucraina nei paesi dell’area Schengen. In
Irlanda, in un colpo solo, sono state sequestrate sigarette illegali per
4,3 milioni di euro, giunte via mare dalla Malesia. Ogni mese negli
aeroporti inglesi vengono sequestrati 50 milioni di sigarette illegali
provenienti dalla Spagna. Si calcola che in media un terzo del
consumo mondiale di sigarette sia illegale, con punte dell’89 per cento
nel Brunei e del 45 per cento in Malesia. Secondo l’Euromonitor il
danno per le entrate fiscali di tutti i governi derivante dal
contrabbando di sigarette sarebbe di 50 miliardi di dollari, e quello per
i soli paesi europei di 12 miliardi di euro. E in un numero crescente di
casi è stato provato che i proventi del contrabbando venivano
impiegati per finanziare attività terroristiche4.
Ma il principale incentivo al contrabbando di sigarette è l’aumento
esorbitante delle tasse, per giunta in misura diversa da paese a paese.
Negli Stati Uniti il prezzo è stabilito dai singoli stati dell’Unione, col
risultato di aver scatenato la guerra doganale interna e moltiplicato i
3
4
La Repubblica Milano, 3 ottobre 2013.
Sari Horwitz, “Cigarette Smuggling Linked to Terrorism”, in Washington Post,
June 8th, 2004.
359
profitti del bootlegging5, finanziando in tal modo anche tutti gli altri
settori dell’economia illegale6.
Sorprendentemente, il contrabbando di generi di largo consumo
sembra essere un tema alquanto trascurato da parte della teoria
economica. Bisogna risalire al 1971 per trovare un saggio con questo
titolo, nel quale si sostiene che il contrabbando, pur “affamando la
bestia”, cioè spostando risorse dal settore pubblico al settore privato,
può alla lunga non avere effetti benefici sul benessere della
popolazione7.
Mohammed
Emdadul
Haque
Chowdhury,
un
economista del Bangladesh, ha analizzato il contrabbando di sigarette
nel suo paese come un caso di duopolio antagonista tra produttore e
contrabbandiere, calcolando che ridurre le tasse sulle sigarette, almeno
fino ad un certo livello, in realtà aumenta il gettito, perché favorisce la
produzione per il mercato interno ed estero.
In realtà la teoria economica di un fenomeno presuppone che ne sia
conosciuta la storia, non solo economica, ma anche sociale e politica
e, nel caso del contrabbando, pure la storia militare, considerata
l’estrema importanza che ha avuto in tutte le guerre dall’antichità al
mondo moderno, anche prima che la guerra economica soppiantasse
del tutto la guerra militare, com’è avvenuto a partire dall’ultima fase
della guerra fredda8. Basti pensare al famoso blocco continentale
5
6
7
8
Come negli Stati Uniti viene chiamato il contrabbando di sigarette.
Jerry Gilbert Thursby, Interstate cigarette bootlegging: extent, revenue losses,
and effects of federal intervention, National Bureau of Economic Research,
1994.
Jagdish N. Bhagwati and Bent Hansen, A Theoretical Analysis of smuggling, M.
I. T., 1971.
Peter Andreas, “Smuggling Wars: Law Enforcement and Law Evasion in a
Changing World”, Transnational Organized Crime, Vol. 4, No. 2, Summer
1998, published by Frank Cass, London, pp. 75-90.
360
proclamato da Napoleone per affamare l’Inghilterra, che, se da un lato
dette origine ai moderni corpi di polizia militare fiscale inclusa la G.
d. F.9, sotto il profilo strategico fu un clamoroso autogol, perché
provocò le due catastrofiche campagne di Spagna e di Russia, la
rovina del commercio continentale e la perdita del consenso da parte
della plutocrazia, ossia della classe sociale su cui poggiava il Primo
Impero. Provocò inoltre gravi conflitti doganali all’interno dello stesso
impero napoleonico, che poetarono all’annessione francese del Regno
d’Olanda e alla minaccia di annessione del Regno d’Italia, evitata dal
viceré Eugenio solo mediante l’occupazione militare italiana dei
Baliaggi svizzeri del Ticino10. Padroni del mare dopo Trafalgar
(1805), gli inglesi avevano infatti trasformato in empori le piccole
isole prospicenti le coste continentali (Guernsey, Jersey, Man, Ponza,
Capri, Lissa), e da lì foravano come burro i cordoni costieri guarniti da
40.000 preposti di finanza e cannonieri guardacoste, inondando il
continente di merci a prezzo di dumping11. E al tempo stesso i corsari
attaccavano il residuo commercio continentale, miseramente ridotto al
cabotaggio costiero in convogli di torre in torre.
Quello fu il canto del cigno della guerra di corsa, che non ebbe poi più
modo di manifestarsi. La differenza tra corsari (privateers) e pirati è
che i primi agiscono su licenza di un legittimo belligerante, e dunque
9
10
11
La Legione Truppe Leggere, i Fucilieri da montagna, il Battaglione dei corsi
sono solo precursori ideali che solo con molta buona volontà possono essere
considerati antenati dell’odierna GdF, mentre le guardie di finanza degli antichi
stati italiani 1814-1870 derivano direttamente dai preposti doganali istituiti
durante la dominazione napoleonica della Penisola.
Kurt Baumgartner, Il Cantone Ticino occupato dalle Truppe napoleoniche del
Regno d’Italia (1810-1813), Lugano, Armando Dadò editore, 2013. .
G. Daly, “English Smugglers, the Channel, and the Napoleonic Wars, 18001814”, Journal of British Studies, 46 (2007), (1), pp. 30-46.
361
la corsa presuppone uno stato formale di guerra. Il contrabbando,
invece, è, o almeno può essere, una forma di guerra economica
effettiva e devastante condotta formalmente in tempo di pace, come
fu, a tutti gli effetti, la secolare guerra doganale tra Svizzera e Italia
(perduta dall’Italia pere non averla saputa disinnescare con adeguate
misure di politica fiscale). Infatti vige qui la stessa identica differenza
che corre tra “terroristi” e “freedom fighters”: dipende dal punto di
vista. “One nation’s smuggler was another nation’s legitimate
merchant”12.
Un caso interessante circa la diversità dei punti di vista sul commercio
internazionale di sigarette, come pure circa le nuove possibilità di
elusione dei diritti erariali offerte dal web, è quello della causa Philip
Morris-Yesmoke. La Yesmoke era in origine un semplice negozio di
Balerna, in Svizzera, che dal gennaio 2000 vendeva online stecche da
200 sigarette di marche popolari come Marlboro, Camel e Winston
prodotte nell'Unione Europea, in Svizzera e nelle Filippine e destinate
al mercato estero. Lo stesso anno l’Imported Cigarette Compliance
Act federale vietò l’importazione negli Stati Uniti di prodotti con
marchio registrato negli USA, senza l'autorizzazione del proprietario
del marchio. Sulla base di questa legge, nel 2001 la Philip Morris
intentò causa contro la Yesmoke, accusandola di vendere le Marlboro
soprattutto sul mercato americano senza esserne stata autorizzata.
L’effetto immediato dell’azione legale fu di fare pubblicità alla
Yesmoke e far aumentare le vendite annuali da 6 a 7,9 milioni di
12
Kenneth J. Banks, “Official Duplicity. The Illicit Slave Trade of Martinique,
1713-1763”, in Peter A. Coclanis (Ed.), The Atlantic Economy During the
Seventeenth and Eighteenth Centuries, Charleston, University of South Carolina,
2005, p. 230.
362
stecche, ma nel dicembre 2003 la Philip Morris vinse la causa e chiese
un risarcimento di 548 milioni di dollari per concorrenza sleale e
violazione del copyright. Malgrado ciò il servizio postale americano
continuava a recapitare le stecche Yesmoke ai clienti americani in
base alla legge federale che sancisce il diritto del cittadino di
importare sigarette dall’estero mediante dichiarazione doganale e
pagamento del dazio (che però di fatto il servizio doganale continuava
a non richiedere, per cui gli acquisti restavano duty free). Il 20 agosto
2004 la Philip Morris ottenne il possesso cautelare del dominio
Yesmoke.com, ma la vendita proseguì sul dominio Yesmoke.ch. Il 16
novembre 2004 un Boeing 747 della DHL con 150.000 stecche di
Marlboro Yesmoke fu circondato all’aeroporto J. F. Kennedy di New
York da 200 agenti di 9 diverse agenzie investigative federali e il
carico fu confiscato. Il 13 marzo 2005 il giudice ridusse il
risarcimento dovuto dalla Yesmoke a 173 milioni. Nell’estate
l’azienda si trasformò in S. p. A: e, approfittando della fine del
monopolio italiano dei tabacchi, si spostò a Torino per produrre una
propria sigaretta, la Yesmoke, dal classico American blend ottenuto
mediante una mistura di sei diversi tabacchi. La fabbrica, situata a
Settimo Torinese, fu inaugurata il 7 agosto 2007, con una capacità
produttiva annuale di 50 milioni di stecche (10 miliardi di sigarette),
commercializzate con lo slogan “chi fuma Marlboro è un c.”(!).
Oggi si comincia già ad accumulare un discreto patrimonio di studi,
soprattutto in inglese, sulla storia del contrabbando. In merito è già
disponibile una delle Oxford Online Bibliographies curata da Mark G.
Hanna, peraltro ben lungi dall’essere esaustiva perché limitata alla
sola area atlantica. Il più noto tra i lavori pionieristici di storia del
363
contrabbando è King's Cutters and Smugglers 1700-1855 di E. Keble
Chatterton, pubblicato a Londra nel 1912 e, a quanto mi consta, il
primo tentativo di storia globale del fenomeno risale al 197313. In
seguito si sono moltiplicati gli studi su epoche e contesti particolari14,
e Alan L. Karras ha prodotto nel 2010 un nuovo tentativo di storia
generale del contrabbando15.
Il libro che ha però suscitato maggior scalpore è Smuggler Nation:
How Illicit Trade Made America, di Peter Andreas16, professore di
scienze politiche alla prestigiosa Brown University. la settima più
antica università degli Stati Uniti, fondata nel 1764 a Providence
da James Manning, che porta il nome del cofondatore e benefattore
John Brown (1736-1803), il quale, a differenza del suo più celebre
omonimo, doveva la sua fortuna alla tratta dei negri. Pur
mantenendo nello statuto il divieto puritano di studiare legge ed
economia (sterco del diavolo), la Braunensis è stata la prima
13
14
15
16
David Phillipson, Smuggling: a history, 1700-1970, David & Charles, 1973.
Citiamo, a titolo di puro esempio: Robles, Gregorio de. América a fines del siglo
XVII: Noticia de los lugares de contrabando. Valladolid, Spain: Casa-Museo de
Colón, 1980. Mary Waugh, Smuggling in Kent and Sussex 1700-1840,
Countryside Books, 1985, updated 2003; Lance Grahn, The Political Economy of
Smuggling: Regional Informal Economies in Early Bourbon New Granada,
Westview Press, 1997; B.- E. E. Alford, W. D. and H. O. Wills and the
Development of the UK Tobacco Industry: 1786-1965, Taylor & Francis, 2005;
Joshua M. Smith, Borderland Smuggling: Patriots, Loyalists and Illicit Trade in
the Northeast, 1783-1820, Gainesville, University Press of Florida, 2006;
Klooster, Wim. “Inter-imperial Smuggling in the Americas, 1600–1800.” In
Soundings in Atlantic History: Latent Structures and Intellectual Currents,
1500–1830. Edited by Bernard Bailyn and Patricia L. Denault, 141–180.
Cambridge, MA: Harvard University Press, 2009; Evan T. Jones, Inside the
Illicit Economy. Reconstructing the smuggler’s trade of Sixteenth Century
Bristol, Ashgate Publications Farnham, 2012.
Alan L. Karras, Smuggling: Contraband and Corruption in World History,
Plymouth, UK, Rowman & Littlefield, 2010.
Peter Andreas, Smuggler Nation: How Illicit Trade Made America, Watson
Institute, Brown University, Oxford U. P., 2013.
364
università non confessionale e una delle prime ad ammettere le
ragazze. Dal 2001 è presieduta da una docente afroamericana e nel
2007 una commissione ufficiale ha contestato che il denaro del
benefattore eponimo provenisse dal commercio di schiavi.
Andreas sostiene che i politici i quali invocano maggiori controlli
delle frontiere americane soffrono di amnesia storica. I confini
americani non sono mai stati sicuri, mentre contrabbando e frontiere
porose hanno giocato un ruolo chiave nella nascita degli Stati Uniti e
nel loro sviluppo economico. Lungi dall'essere un nuovo pericolo per
il paese, il substrato illecito della globalizzazione è in realtà una
tradizione americana, dall’ “epoca d'oro del commercio illegale" alla
rivoluzione industriale sino all’attuale "guerra alla droga". Nel corso
del tempo, il contrabbando ha spaziato dalle munizioni alla tratta dei
neri e delle bianche, dai gioielli alle droghe, e tutti hanno avuto un
enorme impatto sull'economia e sulla cultura americana. Andreas
discute anche i climi socio-politici che hanno dato origine a queste
tempeste di commercio illecito. Lungi dal fare l’apologia del
commercio illegale, Andreas sottolinea in quali aspetti e in quali
misure il flusso di merci illecite abbia nel tempo contribuito a dare
forma alla nazione, sia riguardo alla generazione e redistribuzione
della
ricchezza,
sia
riguardo
alla
reazione
sociale
e
alla
regolamentazione del commercio.
Comincio con il ricordare che la componente aerea della Guardia di
Finanza annovera pionieri del volo prima che l’Aeronautica Militare
fosse costituita in Forza Armata.
Infatti il Cap. Luca Bongiovanni, finanziere e pioniere aviatore, nel
1908 era al comando della Tenenza di Bergamo e vi fondò,con pochi
365
altri appassionati, un Aero Club che prese parte ad una delle prime
manifestazioni aviatorie in Italia.
366
CONVEGNO “IL CONTRABBANDO AL CONFINE ALPESTRE
DEI SECOLI XIX E XX”
RASSEGNA STAMPA
Video TV/internet news
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http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Contrabbando-Gdf-dallesigarette-alla-valuta-fenomeno-in-aumento_32238984335.html
http://www.metronews.it/master.php?pagina=notizie_rss.php&id=97068
http://it.finance.yahoo.com/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-valuta200600371.html?g_q=Contrabbando%3A%20Gdf%2C%20dalle%20sigarette%20al
la%20valuta%2C%20fenomeno%20in%20aumento
http://it.finance.yahoo.com/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valutafenomeno-aumento-180600378.html
http://www.sassarinotizie.com/24ore-articolo-193303contrabbando_gdf_dalle_sigarette_alla_valuta_fenomeno_in_aumento.aspx
http://www.liberoquotidiano.it/news/1251166/Contrabbando-Gdf-dalle-sigarettealla-valuta-fenomeno-in-aumento.html
http://www.sardiniapost.it/italia-e-dal-mondo/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-allavaluta-fenomeno-inaumento/?g_q=Contrabbando%3A%20Gdf%2C%20dalle%20sigarette%20alla%20v
aluta%2C%20fenomeno%20in%20aumento
http://www.arezzoweb.it/notizie/speciale.asp?idnotizia=90460&g_q=Contrabbando
%3A%20Gdf%2C%20dalle%20sigarette%20alla%20valuta%2C%20fenomeno%20i
n%20aumento
http://www.news100.it/news/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valutafenomeno-in-aumento-122012
http://www.lavoce-nuova.it/content/adnkronos?id=ADN20130528200605
http://www.lasua.com/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-inaumento/
http://attual.it/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-inaumento
http://attual.it/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-inaumento-2
http://www.intopic.it/notizia/4958000/
http://www.freenewspos.com/notizie/archivio/d/777695/oggi/contrabbando-gdfdalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-aumento
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http://www.ilcittadino.it/p/2013/05/28/AB9AjraCcontrabbando_aumento_fenomeno_sigarette.html
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