Cristina Beltrami – Banane al WTO INTRODUZIONE

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Cristina Beltrami – Banane al WTO INTRODUZIONE
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Cristina Beltrami – Banane al WTO
INTRODUZIONE
Nell’Aprile di quest’anno la giuria del WTO allestita per esprimersi sulla questione delle banane
che da tempo oppone Unione Europea ed USA si è risolta con una sostanziale adesione alle tesi
americane che criticavano l’eccessivo favoritismo Ue nei confronti dei prodotti provenienti dalle ex
colonie di alcuni Paesi membri. In sostanza gli Usa chiedevano l’abbattimento totale di ogni
barriera protezionistica che privilegiasse le importazioni interne alla Comunità, chiamando in causa
le regole del Wto che vietano ogni tipo di agevolazione commerciale concessa dagli Stati aderenti
all’Organizzazione nata dagli accordi di Bretton Woods del 1944. Sebbene fino ad oggi si sia
denotato un certo lassismo nell’applicazione integrale delle regole Wto (dovute principalmente alla
riluttanza della Ue nell’accettare accordi che in qualche modo penalizzassero o mettessero in seria
discussione il modello di sviluppo agricolo europeo), la situazione attuale ci segnala un certo
irrigidimento delle posizioni statunitensi nell’esasperare gli scontri sulla gestione del commercio
mondiale, al punto di riprendere la battaglia sulla ormai famosa "opzione zero"che gli Usa chiesero
all’Uruguay Round. Il motivo di questo inasprimento delle tensioni commerciali fra Usa e Ue è dato
dall’avvio del nuovo negoziato sulla riforma, o meglio, sull’evoluzione degli accordi Wto (definito
"Millenium Round) e gli americani hanno quindi la necessità di mostrare i muscoli in funzione delle
sempre più crescenti mire espansionistiche dettate dalla globalizzazione. La guerra delle banane si
inserisce quindi in questo contesto, e le sanzioni approvate dal Wto nei confronti dell’Europa, ben
191 milioni di dollari, saranno usate ora come arma di ricatto rispetto a numerosi prodotti
comunitari. Washington, con una scandalosa decisione, ha infatti deciso di trasformare queste
sanzioni commerciali in superdazi da applicare ai prodotti Ue secondo la libera interpretazione dei
governanti a stelle e strisce. Gli Usa potranno così imporre a loro piacimento barriere doganali ai
prodotti comunitari che oggi danno maggiormente fastidio ai commercianti d’oltreoceano,
distorcendo quindi a loro volta le regole del liberoscambismo. La guerra delle banane è solo la
punta dell’iceberg: sotto di essa sono presenti le grandi lobbies del potere multinazionale che
mirano al predominio mondiale dell’economia sulla politica.
E' finita per le banane africane. Hanno stravinto le grandi multinazionali americane che controllano
tutta la produzione di banane del Centramerica, di gran parte dell'America Latina e dell'Estremo
Oriente: Chiquita, Del Monte, Dole. l'Unione Europea deve smantellare il regime di preferenza
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riconosciuto ad alcuni suoi partners africani e permettere l'ingresso paritario nel suo territorio anche
delle banane centroamericane prodotte dalle grandi multinazionali. L'Europa assorbe da sola il 35%
della domanda mondiale di banane, ed è dunque un mercato importante per l'industria alimentare:
fino ad ora la gran parte di questo mercato veniva soddisfatto da banane provenienti dall'Africa, da
alcune isole caraibiche (soprattutto Saint-Lucie e Kitts and Nevis) e da dipartimenti europei come
Guadalupa, Madeira e le isole Canarie. Il Protocollo n 5 della quarta Convenzione di Lomè
garantisce ai produttori africani l'importazione di quote minime di banane: un modo per sostenere lo
sviluppo di quei paesi, per assicurare reddito e futuro a centinaia di migliaia di famiglie di contadini
e di piccole industrie locali che non hanno le strutture per far fronte alla concorrenza delle grandi
multinazionali americane, per fare "Trade, not aid". Nessuna comparazione è infatti possibile tra i
modelli produttivi intensivi della Chiquita in Nicaragua o nelle Filippine e quelli più tradizionali
dell'Africa, della Somalia ad esempio. In più, le multinazionali hanno strutture di conservazione dei
prodotti in grado di mantenere invariato per mesi il livello di maturazione delle "dollar bananas" che infatti non sanno mai da niente!-, cosa sconosciuta alle imprese africane. La decisione
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio ha insomma un impatto nefasto sulle economie dei
paesi più poveri, soprattutto africani, che senza colpo ferire, si vedono sempre più esclusi dal
commercio mondiale.Ciò che fa impressione è che l’OMC ha totalmente scartato qualsiasi
valutazione sull’impatto sociale che la sua decisione è destinata a produrre in Africa, sacrificando
sull’altare della competitività e del puro liberoscambismo un sistema commerciale –quello europeoa cui peraltro siamo giuridicamente vincolati in ragione della quarta Convenzione di Lomè. Nessuna
forma di compensazione finanziaria è prevista per i paesi africani
che saranno colpiti dalla
decisione dell’OMC. Alla faccia del giustissimo “trade, not aid”,ovvero “commercio, non aiuti”.
Questo saggio si apre con un capitolo dedicato ad una sintetica scheda descrittiva del World Trade
Organization con uno sguardo alla sua storia , ai principi su cui si basano gli accordi , ad una breve
serie di punti usciti dalle trattative e si conclude analizzando il sistema di risoluzione delle dispute.
Il secondo capitolo affronta il caso delle banane partendo dalla Quarta Convenzione di Lomè
ai
giorni nostri. Il terzo e conclusivo capitolo illustra come la guerra delle banane possa aver
conseguenze nelle altre dispute commerciali oggi nel mirino Usa.
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1. WTO World Trade Organization:
Scheda descrittiva
1.1. Scheda
Il WTO, sigla tradotta in italiano come OMC Organizzazione Mondiale del Commercio, è l’unica
organizzazione internazionale che si occupa delle regole del commercio fra nazioni.
Si fonda su diversi accordi (agreements) negoziati e firmati dalla maggior parte delle nazioni.
Sono contratti firmati dai governi per mantenere le rispettive politiche commerciali dentro limiti
concordati. L’obiettivo degli accordi è quello di aiutare i produttori di beni e servizi, importatori ed
esportatori, a condurre i loro business.
Oltre che sede mondiale dei negoziati, il WTO comprende al suo interno un meccanismo di
risoluzione delle controversie dovute a differenti interpretazioni degli accordi.
Scheda anagrafica:
Sede : Ginevra
Data di nascita: 1 gennaio 1995
Creato da : Uruguay Round (1986- 94)
Membri: 134 Stati (al 18 marzo 1999)
Budget: 117 milioni di franchi svizzeri per il 1998
Personale segretariato: 500 persone
Direttore generale: Renato Ruggiero
Funzioni:
•
Amministrazione accordi
•
forum per negoziati commerciali
•
gestione delle dispute
•
monitorizzazione politiche commerciali nazionali
•
assistenza tecnica e formazione per i paesi in via di sviluppo.
Il WTO è nato il 1 gennaio 1995, ma le sue radici risalgono al 1948, all’ormai famosissimo GATT.
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Riguardo a questa sigla è bene chiarire che indica due cose:
1. un accordo internazionale sulle tariffe e il commercio (General Agreement on Tariffs and
Trade) e
2. una organizzazione internazionale creata successivamente per gestire e sviluppare questo
accordo.
Negli anni questo accordo è cresciuto attraverso vari negoziati, indicati col termine di "round".
L’ultimo e il più importante è stato l’Uruguay Round, dal 1986 al 1994, terminato proprio con la
creazione del WTO. Il GATT copriva il commercio dei beni, il WTO ora copre anche il settore dei
servizi e delle proprietà intellettuali.
Gli accordi WTO coprono: beni, servizi e proprietà’ intellettuali ed esprimono i principi della
liberalizzazione includendo:
•
gli impegni dei singoli Paesi ad abbassare tariffe e barriere commerciali;
•
l’impegno ad aprire e mantenere aperti i mercati dei servizi;
•
definiscono le procedure per regolare le dispute;
•
prescrivono trattamenti speciali per paesi in via di sviluppo;
•
chiedono ai governi di mantenere trasparenti le rispettive politiche commerciali notificando
al WTO le leggi e le misure adottate.
Il Testo scaturito dall’Uruguay Round of multilateral Trade Negotiations comprende circa 60
accordi. Semplificando la sua struttura e’ la seguente:
Beni
Servizi
Principi Base
GATT
GATS
Ulteriori dettagli
Altri accordi sulle
merci e allegati
Elenco impegni dei
Paesi
Allegati sui servizi
Impegni apertura
mercato
Proprietà
intellettuali
TRIPS
Dispute
Sistema di
risoluzione dispute
Elenco impegni dei
Paesi (ed eccezioni
al trattamento MFN)
I tre accordi pilastro: GATT (General Trade on tariffs and Trade), GATS (General Agreement on
Trade in Service) e TRIPs (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) contengono le
definizioni e i principi generali, nei rispettivi settori.
Ad essi di collegano numerosi altri accordi ed allegati che si riferiscono a specifici settori; il tutto è
completato da una dettagliata lista degli impegni dei singoli paesi per permettere ai prodotti stranieri
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di accedere ai rispettivi mercati. Per il GATT questi impegni prendono la forma di binding
commitments (impegni) sulle tariffe delle merci, mentre per i prodotti agricoli si parla sia di prezzi
che di quote. Per il GATS, gli impegni degli stati includono un elenco di tipi di servizi dove i paesi
dichiarano di non applicare il principio di non-discriminazione chiamato "most-favoured-nation"
(MFN).
Gli accordi extra
Questi accordi si riferiscono a settori specifici e sono:
Per i beni (sotto il GATT)
Agricoltura
Regolamenti sanitari dei prodotti agricoli
Tessile e abbigliamento
Standard dei prodotti
Investimenti
Anti-dumping
Metodi di valutazione
Ispezioni navali pre-imbarco
Regole sull’origine dei prodotti
Per i servizi (sotto il GATS)
Movimento di persone
Trasporto aereo
Navigazione
Telecomunicazioni
Servizi finanziari
Licenze d’importazione
Sussidi e "counter measures"
Salvaguardia
Ulteriori accordi
Ci sono altri due gruppi non inclusi nell’elenco: trade policy reviews e due accordi plurilaterali, non
firmati da tutti i membri WTO: aviazione civile e government procurement (acquisti/appalti
governativi).
I principi su cui si basano tutti gli accordi WTO
Tutti gli accordi si fondano su una visione dello sviluppo e del mercato ben precisa.
Schematicamente possiamo definire così iI sistema commerciale immaginato e perseguito dal
WTO:
Senza discriminazioni – un paese non deve fare discriminazione fra
partners commerciali, essi sono tutti egualmente garantiti dall'’MFN
status di nazione più favorita.
Questo principio è così importante che è il primo articolo del GATT,
il secondo del GATS (articolo 2) e il quarto del TRIPS, sebbene in
ciascun accordo sia definito in modo diverso.
Il suo nome può trarre in inganno perché fa pensare a un trattamento
di favore, ma il senso è che ciascun membro tratta gli altri come se
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fossero il miglior partner. Potrebbe apparire davvero come un
principio non-discriminatorio ma questo implica la fine di politiche di
sussidio e supporto a realtà economiche locali per evitare la
concentrazione delle attività economiche in poche potenti mani.
Sono permesse delle eccezioni, per esempio per i paesi che fanno
parte di un’area di libero scambio che generalmente hanno regole che
favoriscono le nazioni all’interno dell’accordo, oppure un paese può
alzare delle barriere (sanzioni) contro prodotti provenienti da specifici
paesi che stanno attuando politiche commerciali discriminatorie.
Anche nei servizi ci sono delle concessioni discriminatorie ma sotto
condizioni precise e ristrette.
Seconda pietra miliare del concetto di mercato libero è il cosiddetto
Trattamento nazionale (National Treatment) che si traduce nel trattare
prodotti stranieri e nazionali allo stesso modo. Questo ovviamente
vale anche per i servizi, i marchi, copyrights e brevetti.
Questo principio è indicato nell’art. 3 del GATT, nell’art.17 del
GATS e nell’articolo 3 dei TRIPS. Si applica una volta che un
prodotto è entrato in un mercato, perciò tasse sull’importazione non
sono considerati violazione al trattamento nazionale e rientrano nelle
tariffe sul cui abbattimento ha lavorato per cinquant’anni il GATT.
Libero – con l’abbassamento delle barriere tramite i negoziati;
L’abbassamento delle barriere è uno dei metodi per incoraggiare il
commercio. Si intendono tasse doganali e misure come il divieto di
importazione o quote che restringono la quantita’ di prodotto
importabile.
Senza imprevisti – le compagnie straniere, gli investitori e i governi
devono sapere che le barriere commerciali non possono essere
stabilite arbitrariamente; quando un paese firma un accordo si "lega"
a una serie di impegni. Un paese può modificarli solo dopo aver
negoziato le modifiche con i partners, il che può significare delle
misure compensative per la perdita commerciale.
Più competitivo – scoraggiando pratiche non eque come incentivi
all’esportazione e vendita di prodotti sotto costo per aumentare quote
di mercato.
Il WTO si pone come obiettivo di creare un sistema di regole per una
equa competizione. MFN e trattamento nazionale sono regole per
questo obiettivo così come le regole anti dumping (con dumping si
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intende la pratica di esportare sottocosto per guadagnare quote di
mercato) e contro i sussidi. Ci sono altri accordi che vanno in questa
direzione, come il government procurement che estende le regole
della competizione agli acquisti fatti dalle realtà governative.
Più flessibile e disponibile verso i paesi in via di sviluppo –
definendo tempi più lunghi ai paesi in via di sviluppo per adeguarsi ai
vari accordi.
1.2.La storia
La creazione del WTO è stata la più importante riforma del commercio internazionale dopo la
seconda guerra mondiale.
Dal 1948 al 1994, il GATT ha fornito le regole del commercio internazionale, sebbene fosse un
accordo e un’organizzazione provvisoria. L’intenzione originale era di creare una terza istituzione
da affiancare a quelle di Bretton Woods, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che si
sarebbe dovuta chiamare ITO International trade organization.
Ma le ambizioni erano superiori alle reali possibilità, così al termine del primo round di negoziati
non venne creata questa nuova ITO e l’accordo venne firmato solo da 23 paesi. Eppure sino al ’95
questo accordo, il GATT, è rimasto l’unico testo legalmente riconosciuto a cui, negli anni, si sono
aggiunti accordi plurilaterali e 8 rounds di trattative per ridurre le tariffe.
Ecco l’elenco dei negoziati:
Anno
Luogo/Nome
1947
Argomento
Paesi partecipanti
Ginevra
Tariffe
23
1949
Annecy
Tariffe
13
1951
Torquay
Tariffe
38
1956
Ginevra
Tariffe
26
1960-61
Ginevra (Dillon Round)
Tariffe
26
1964-67
Ginevra (Kennedy Round)
Tariffe e misure antidumping
62
1973-79
Ginevra (Tokyo Round)
Tariffe
102
1986-94
Ginevra Uruguay Round
Tariffe, regole, servizi,
proprietà intellettuali,
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regolazione delle
dispute, settore tessile,
agricoltura, creazione
WTO
L’ultima maratona di trattative, l’Uruguay Round è durato sette anni e mezzo ed ha interessato 125
paesi, coprendo praticamente tutti i settori, dagli spazzolini per lavarsi i denti alle barche, dalla
medicina ai settori bancari: sicuramente il più grande negoziato della storia.
Ecco una breve serie di punti usciti dalle trattative:
TARIFFE (DAZI DOGANALI)
Tanto per capirci su cosa abbia prodotto questo negoziato, ben 22.500 pagine illustrano gli impegni
dei paesi membri relativi a tagli delle tasse doganali sui prodotti d’importazione, spesso ridotte a
zero. Per i paesi industrializzati questi impegni saranno completati nel 2000 e il volume di prodotti
industriali "duty free" salira’ cosi’ dal 20% al 44%. Oltre a questo, sempre considerando i paesi
industrializzati, il 99% dei prodotti non sara’ sottoposto ad aumenti di tariffe.
I dazi per i prodotti agricoli sono bloccati. Quasi tutte le restrizioni come le quote d’importazione
sono state tradotte in tariffe. Precedentemente più del 30% dei prodotti agricoli era sottoposto a
quote o altre restrizioni all’importazione. Come primo passo sono state convertite in dazi doganali,
ora si stanno gradualmente riducendo. Altra linea d’impegno: la riduzione dei sostegni ai prodotti
interni e dei sussidi all’esportazione.
AGRICOLTURA
Il GATT permetteva il sistema delle quote e dei sussidi, con la nascita del WTO queste "distorsioni"
al libero mercato sono state eliminate e verranno applicate in sei anni a partire dal 1995 per i paesi
industrializzati, 10 per quelli in via di sviluppo.
Riassumendo le nuove regole impongono che l’unica limitazione possibile sara’ quella tariffaria,
che saranno, anche qui, gradualmente ridotti tutti i sussidi alla produzione interna e all’esportazione.
L’accordo, in pratica, non permette più ai governi di sostenere le loro economie rurali.
La tabella riporta i tagli previsti:
Paesi sviluppati
6 anni: 1995 – 2000
Paesi in via di sviluppo
10 anni: 1995 - 2004
-36%
-15%
-24%
-10%
Tariffe
Media dei tagli sui prodotti agricoli
Minimo taglio per prodotto
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Sovvenzioni interne
Tagli totale settore (calcoli sul periodo
1986-88)
-20%
-13%
-36%
-21%
-24%
-14%
Sostegno Esportazioni
Valore dei sussidi
Quantità sovvenzioni (calcoli sul
periodo 1986-90)
TESSILE
Dal 1974 sino al 1995 il mercato è stato governato dall’accordo Multifibre, un accordo nato per
porre dei tetti alle importazioni nel settore, stabilito dai paesi occidentali per evitare la concorrenza
dei paesi più poveri (alla faccia del libero mercato !). Dal ’95 è gradualmente in applicazione il
nuovo accordo ACT (Agreement on Texiles and Clothing) che soppianterà il multifibre entro il
2005. Entro quella data anche il settore tessile tornera’ sotto le regole del GATT, eliminando il
sistema delle quote.
SERVIZI
Il GATS è l’accordo quadro di questo settore ed è composto da 29 articoli. Oltre al testo principale
esistono molti accordi specifici perché mentre l’dea base del commercio delle merci è che queste
possano passare liberamente da un paese all’altro, per i servizi il discorso è più complicato: banche,
compagnie telefoniche e sistemi di trasporto sono realtà molto diverse fra loro.
Dopo l’Uruguay Round, nel 1997 è stato firmato l’accordo base sulle telecomunicazioni, quello
relativo al movimento di personale (per motivi connessi ai servizi) e il 1 marzo 1999 è entrato in
vigore l’accordo sui servizi finanziari.
PROPRIETA’ INTELLETTUALI
E’ il secondo importante risultato dell’Uruguay Round. Copre il vasto settore dei diritti d’autore. La
prima parte definisce, come nel GATS, i principi di non-discriminazione già noti: trattamento
nazionale e trattamento di nazione più favorita. La seconda parte analizza i vari tipi di diritti di
proprietà intellettuale e come proteggerli. Il TRIPS si rifà agli standard internazionali esistenti
definiti da WIPO (World Intellectual Property Organization) aggiungendone dei nuovi.
In realtà, si tratta di imporre universalmente il concetto di proprietà della società industriale
capitalista, estrapolato dal campo della cultura e del sapere. Un concetto peculiare che è cresciuto in
seno ad un sistema economico nel quale competitività e beneficio privato si postulano come
strumenti ideali per il raggiungimento del bene comune. Conformemente a questa logica
economica, la concessione di diritti di monopolio agli inventori, ed altre formule di protezione dei
diritti di Proprietà Intellettuale costituiscono un incentivo all’innovazione, si dice, a beneficio di
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tutta la società. La conoscenza "scientifica" (privata) rimane così mondialmente protetta, di fronte
alla cultura ed alla saggezza comune dei popoli.
E’ evidente che l’omologazione universale dei diritti di Proprietà Intellettuale spianerà il cammino
alle corporazione multinazionali, proprietarie già di un 85% (3) dei brevetti registrati in tutto il
mondo, eliminando ostacoli per il loro libero movimento e per il controllo dell’economia mondiale.
(tratto da: Il GATT94 e i diritti dii proprietà intellettuale, Isabel Bermejo, 19995)
1.3. WTO e il Millenium Round
La Comunità Europea è stata tra i principali promotori dell’avvio di un nuovo ciclo di negoziati
commerciali (il cosiddetto “Millenium Round”) nel quadro dell’OMC nel 2000. Nelle sue
Conclusioni del 30 marzo, 30 aprile e 18 maggio 1998 nonché del 21 giugno 1999, il consiglio ha
approvato all’unanimità tale obbiettivo. Da una parte i grandi produttori, capeggiati da Stati Uniti e
Giappone, con una parola d'ordine: a governare deve essere un mercato il più libero possibile.
Dall'altra l'Europa, con il suo presidente italiano della Commissione, Romano Prodi, e una diversa
parola d'ordine: l'economia di mercato non può schiacciare le politiche di sostegno ai Paesi poveri.
In questo quadro, l'Italia è portatrice di una tesi, quella della globalizzazione dal volto umano. Gli
argomenti che saranno in discussione investono interessi formidabili. Vincoli ambientali e sviluppo
sostenibile impegnano scelte che riguardano processi di produzione rispettosi della sicurezza del
cittadino e del lavoratore e ne salvaguardino in primo luogo la salute; la politica agricola, che sta
penalizzando l'Europa in favore dei grandi Paesi produttori, riguarda anche la tutela dei prodotti doc
e, soprattutto, il problema della sicurezza alimentare, divisa tra lo sviluppo delle biotecnologie e la
scelta delle colture biologiche; il commercio mondiale si trova non solo ad affrontare l'ingresso
delle nuove tecnologie ma anche il problema dei Paesi in via di sviluppo e dei loro accessi ai
mercati, quindi quello dei dazi per l'export; il rapporto tra commercio e lavoro riguarda non solo il
tema della sicurezza, ma anche la piaga del lavoro minorile, e su questo l'Europa è intenzionata a
proporre misure restrittive; servizi, investimenti, concorrenza, appalti, proprietà intellettuale,
investono centinaia di settori e decine di categorie. Nel campo degli appalti, ad esempio, la
Comunità europea vuole arrivare, anche se nel lungo termine, ad integrare il settore degli appalti
pubblici nel quadro dell'Organizzazione mondiale per il commercio, l'OMC. Anche per quanto
riguarda la proprietà intellettuale, sul cui tema negli ultimi tempi sono stati realizzati importanti
accordi che potrebbero essere nuovamente messi in discussione, l'Europa si prepara ad affrontare un
duro braccio di ferro. La protezione del consumatore è, infine, uno dei settori in cui l'Unione
europea sostiene la necessità di confermare il diritto di ogni Stato a stabilire quale sia il proprio
livello di sicurezza, fino al punto di ricorrere a misure commerciali restrittive nei confronti di altri
partner, nel caso ritenga che le loro misure non garantiscano il livello deciso.
L’ICC è il principale gruppo di pressione delle multinazionali composto da membri di 137 paesi
diversi. L’ICC sostiene che il mondo d’oggi è molto diverso da quello in cui fu lanciato l’Uruguay
Round, nel 1986, “l’obbiettivo del nuovo round dovrà risiedere in un concetto piu’ ampio di accesso
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al mercato su regole internazionali che permettano alle società per competere liberamente e su basi
eque sul mercato globale”. Fra i punti considerati prioritari per il nuovo round all’OMC:
- ulteriore liberazione nei servizi
- limitazione delle misure protettive nel settore agricolo
- ulteriore riduzione ed eliminazione nei dazi doganali
- creazione di regole per la liberalizzazione e la protezione degli IDE Investimenti Esteri Diretti
- considerare che le regole di eco-etichettatura (le etichette di certificazione dei prodotti bio/ecologici ) possono diventare di fatto barriere commerciali
- elaborare nuove regole per la semplificazione delle procedure doganali
- estendere l’applicazione dell’accordo sui government procurement (gli acquisti appalti
governativi)
Cruciale per ottenere benefici dalla globalizzazione sarà il mantenimento di condizioni di pace fra i
vari stati nazionali. L’assenza di conflitti politici è una pre-condizione per lo sviluppo
imprenditoriale e per gli investimenti esteri.
1.4. Il sistema di risoluzione delle dispute.
Secondo Renato Ruggiero è il maggior contributo del WTO alla stabilità dell’economia mondiale.
Senza di esso, infatti, le regole rimarrebbero inapplicate. Tutto ha origine dal Dispute Settlement
Body, entità che ha il compito di creare, di volta in volta, la giuria (panel) di esperti per la
valutazione delle cause.
Generalmente il panel è composto da tre persone, possibilmente scelte con il consenso delle due
parti, in ogni caso direttamente nominati dal Direttore Generale che ha perciò mano libera in questo.
Il verdetto della giuria viene alla fine presentato al Dispute Settlement Body che può accettarlo o
no.
Durata di una richiesta di giudizio
60 giorni per consultazioni e mediazioni
45 giorni per stabilire la giuria
6 mesi perche’ la giuria emetta il verdetto
3 settimane rapporto finale della giuria al Dispute Settlement Body
60 giorni per il Dispute Settlement Body di accettare il verdetto
In totale 1 anno (In caso di appello la durata del processo si allunga di tre mesi)
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2. LA GUERRA DELLE BANANE
2.1. Il frutto della discordia
La guerra delle banane viene ufficialmente combattuta fra due “regioni” (Stati Uniti ed Europa )
che in realtà non coltivano banane . Il Brasile e l’India (dove si coltivano più banane che in
qualsiasi altro paese ) non hanno niente a che fare con il commercio internazionale .
Meno di un quarto di tutte le banane del mondo sono destinate al commercio internazionale e solo
in questo caso entrano in contatto con l’industria delle banane, dove le cose possono diventare
spietate.Attualmente si da la preferenza a una sola specie la Cavendish nana. Nelle immense
piantagioni che ricoprono il Centroamerica, l’Equador,la Columbia, l’Africa e parte dell’Asia, un
gran numero di cloni vengono piantati su una terra piatta e spazzata via dagli uragani. Il suolo
deforestato su cui crescono è arido e rovinato.Ibanani sono sottoposti a infiniti trattamenti con
fertilizzanti tossici,erbicidi,insetticidi e fungicidi. I frutti vengono raccolti ancora verdi , fragili e
non commestibili.Poi i caschi vengono appesi ai cavi che li trasportano altrove per essere lavati e
cosparsi di sostanze chimiche.Selezionato e inscatolato, spedito in navi frigorifere in Europa e Nord
America , il frutto viene fatto maturare per gli ipermercati e circondato da un’immagine di “qualità”
che la gente beatamente ignorante della verità è pronta a consumare in quantità sempre maggiore.
Questa è la banana da “dollari”: rappresenta l’ottanta percento dei frutti mangiati al Nord ed è
controllata da tre compagnie ( Chiquita, Dole e Del Monte) che a loro volta sono affiliate a
conglomerate come l’American Financial Group . Insieme le Tre Grandi formano un oligopolio che
controlla il rifornimento di banane, fissa i prezzi ( non esiste un prezzo mondiale) e ha uno smodato
amore per la segretezza.
BANANE, CHI CI GUADAGNA
Come viene distribuito il prezzo di una banana
Produttore
Costi di esportazione
Trasporti internazionali
Licenze di importazione
Profitti
Processo di maturazione
Tasse
Distribuzione e vendita
5%
4%
11 %
9%
17 %
5%
15 %
34 %
15
Fonte : The New Internationalist
Banane,da dove vengono
mondo
America Latina
Estremo Oriente
Africa
Caraibi
1997
1988
0
5000
10000
15000
esportazioni di banane. Cifre in migliaia di
tonnellate.
Fonte: The New Internatinalist
2.2. Il Quinto Protocollo
Il fatto è che l'Unione Europea ha una particolare "organizzazione comune del mercato delle
banane" ("OCM banane") che tiene conto dei rapporti storici tradizionali che il Vecchio Continente
ha con le Antille Francesi, le Canarie, Creta, Madeira e -soprattutto- i cosiddetti "Paesi ACP",
ovvero i paesi di "Africa, Caraibi e Pacifico" (ACP) legati all'Unione Europea dalla Quarta
Convenzione di Lomé. In questa convenzione -che disciplina tutti gli aspetti della cooperazione
economica, politica e allo sviluppo con settanta Paesi ACP- esiste anche il "Protocollo numero
cinque" che garantisce l'accesso al mercato europeo ai "fornitori tradizionali ACP" di banane.
Quest'ultimi sono, ad esempio, la Costa d'Avorio, il Camerun, il Suriname, la Somalia, la Giamaica,
le isole caraibiche di Sainte Lucie, il Belize, Capo Verde, il Madagascar. Paesi insomma che
l'Unione Europea "privilegia" nelle sue strategie di importazione di banane proprio per cercare di
promuovere lo sviluppo economico di quei paesi poveri. Un modo per fare del commercio sano e
dell'inutile assistenzialismo, un modo per creare meccanismi di sviluppo autentico e duraturo. Ed è
proprio contro questo "regime preferenziale" che si sono scagliati gli strali degli Stati Uniti e di
alcuni paesi latinoamericani; i quali, insistendo sul fatto che l'Unione Europea è firmataria degli
"Accordi di Marrakesh" da cui è nata l'Organizzazione Mondiale del Commercio, sostengono che il
"regime preferenziale" va contro le regole del liberoscambismo e dunque dev'essere dichiarato
"illegale" sul piano internazionale. Proprio per questo è stato messo in piedi un "tribunale" (il
suddetto “panel") che alla fine ha dato ragione a Stati Uniti & C.
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Non siamo di fronte ad una decisione qualsiasi, bensì ad una presa di posizione dell'OMC che
può avere conseguenze pesantissime sulle economie dei paesi più poveri produttori di banane.
Dietro agli Stati Uniti ed i loro alleati commerciali, infatti, si celano le grandi compagnie
multinazionali agroalimentari che controllano il mercato mondiale della produzione di banane (oltre
che di tante altre cose). Chiquita, Dole e Del Monte hanno in mano praticamente tutta la produzione
di banane latinoamericane (dette anche "dollar bananas") e detengono una sostanziale posizione di
monopolio mondiale dato che assicurano il 75% dell'offerta internazionale di banane. La struttura
produttiva dei "fornitori tradizionali ACP", invece, è quasi a "carattere familiare", ovvero composta
da più o meno piccole imprese, cooperative, aziende di trasformazione agroalimentare che non
possono concorrere con i potenti mezzi tecnici e finanziari delle multinazionali americane.
2.3. Mercato Comune
Il conflitto sulle banane parte da lontano. Risale almeno al luglio 1993, quando entrò in vigore
un'organizzazione comune del mercato interno sulle banane che cercava di armonizzare tra i paesi
europei i meccanismi di commercio di quel frutto. Tutto ciò per evitare distorsioni di mercato o per
impedire che in uno stato piuttosto che in un altro si verificassero differenziali di prezzo tali da
"drogare" il mercato interno. Fu allora che entrò in azione il regolamento 404/93, risultato di un
compromesso tra chi voleva proteggere i produttori tradizionali e chi (come la Germania) già allora
voleva aprire il mercato europeo alle "dollar bananas". La struttura della "OCM banana" è composta
da tre differenti settori:
1) il primo riguarda l'importazione di banane provenienti dai territori comunitari, come le Canarie
(territorio spagnolo), l'isola di Madeira (territorio portoghese) o alcune isole sotto sovranità francese
e inglese; da queste aree è prevista l'importazione di 854.000 tonnellate di banane, ed una serie di
sovvenzioni finanziarie sono accordate ai soggetti produttori per il danno ricevuto dall'approvazione
della "OCM banana" (nel senso che in base al regolamento 404/93 le banane vengono importate
anche da altri posti e non più in via esclusiva da territori comunitari).
2) il secondo settore riconosce ai "Paesi ACP fornitori tradizionali di banane" il diritto di esportare
"a tariffe doganali zero" (senza ostacoli tariffari) verso l'Unione Europea una quantità di banane pari
a 857.000 tonnellate. Ciò in nome della Quarta Convenzione di Lomé che, ad esempio, contempla
regimi commerciali simili per lo zucchero, il rhum, la carne, eccetera. Godono di questo trattamento
anche i "Paesi ACP fornitori non tradizionali di banane", come ad esempio la Repubblica
DominicanaoHaiti.
3) infine, in base alla "OCM banane" ben 2.200.000 tonnellate di quel frutto possono essere
esportate verso l'Unione con "tariffe doganali ridotte". Di questo regime godono soprattutto le
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banane prodotte dalle multinazionali centro-latinoamericane, che possono sopportare i costi più
elevati proprio perché più forte è la loro struttura produttiva e commerciale.
la struttura della "OCM banana"
Territori comunitari
22%
Multinazionali
latinoamericane
56%
22% Paesi ACP
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3. SCONTRO USA-UE
3.1. Direttiva modificata
Da un punto di vista politico, è esattamente contro il sistema dell’ “OCM banane”che il "tribunale"
della Organizzazione Mondiale del Commercio ha dato ragione agli Stati Uniti. L'Organizzazione
ha infatti ravveduto in quel sistema un qualche cosa di ingiusto, e ha ritenuto che la preferenza data
ai "produttori tradizionali ACP" non si giustificasse. Il colpo è duro, anche perché nel 1994 la
Commissione di Bruxelles aveva già modificato negativamente per gli ACP il mercato comune
delle banane sopra descritto in tre punti, in seguito alla adesione di Austria, Svezia e Finlandia
all'Unione Europea. Modifica giustificata dall'alto consumo di banane in questi paesi: la Svezia è ad
esempio il paese europeo in cui si mangiano più banane (soprattutto "dollar bananas"). Per far
fronte alle nuove esigenze del mercato comune in seguito all'adesione di tre nuovi stati, la
Commissione di Bruxelles decise di aumentare il contingente tariffario (ovvero il volume di
importazione) di banane di 353.000 tonnellate mettendole praticamente tutte in quota alle
multinazionali americane delle banane
Nel Luglio 1996 entrarono in vigore nuove pesantissime barriere doganali della CE contro le
banane latino americane . I Quindici stabilirono un tetto massimo di importazioni dal Sud America
pari a due milioni di tonnellate di banane l'anno, su cui gravò un'aliquota del 20%. Superata questa
quota,
ulteriori
partite
furono
tassate
del
170%
rendendone
di
fatto
impossibilela
commercializzazione. Le banane latino-americane sono le più a buon mercato del mondosi il
provvedimento si tradusse in un aumento del prezzo finale di questa frutta tropicale sugli scaffali
dei supermercati. La Germania, maggior mercato europeo delle banane (i tedesche ne mangiano 16
chili a testa l'anno, un record) si oppose sino alla fine dell'adozione delle quote di importazione, ma
fu messa in minoranza da un compatto "cartello" guidato, secondo valutazioni diplomatiche latino
americane, da Gran Bretagna e Francia, e composto da Spagna, Portogallo e Italia.
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Bollettino UE 3-1996
Politica agricola (9/20)
1.3.135. Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CEE) n. 404/93
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della banana.
Regolamento da modificare: regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio - GU L 47 del 25.2.1993 e Boll.
1/2-1993, punto 1.2.74 -, modificato da ultimo dal regolamento (CEE) n. 3290/94 - GU L 349 del
31.12.1994
Riferimenti:
Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio COM(96) 37 e Boll. 1/2-1996, punto 1.3.171
Proposta di regolamento del Consiglio recante adattamento del regolamento (CEE) n. 404/93 in ordine al
volume del contingente tariffario annuo di importazione di banane nella Comunità in seguito all'adesione
dell'Austria, della Finlandia e della Svezia - GU C 136 del 3.6.1995, COM(95) 115 e Boll. 4-1995, punto
1.3.110
Relazione della Commissione sul funzionamento dell'organizzazione comune del mercato delle banane Boll. 10-1995, punto 1.3.178
Adozione da parte della Commissione in data 6 marzo. Questa proposta, che completa le due proposte
attualmente allo studio presso il Consiglio, riprende le conclusioni della relazione presentata nell'ottobre
1995 dalla Commissione, e si prefigge il fine di risolvere il problemi sorti nel quadro del funzionamento
dell'organizzazione comune dei mercati, creando un equilibrio nuovo e duraturo tra i diversi interessi in
causa e salvaguardando nel contempo i principali obiettivi del regime. La proposta prevede,
essenzialmente:
? la modifica della ripartizione del contingente tariffario tra le tre categorie d'operatori interessate per
tener conto del fatto che le importazioni di banane dei tre nuovi Stati membri provengono
essenzialmente dall'America latina;
? l'allineamento delle condizioni di rilascio dei certificati di importazione per le banane ACP non
tradizionali con quelle già in vigore per le banane ACP tradizionali;
? l'inserzione di disposizioni che consentano di tener conto, per gli operatori confrontati da circostanze
avverse di forza maggiore, un periodo di riferimento meno penalizzante;
? la possibilità, per i nuovi importatori che soddisfino a talune condizioni (quali l'importazione di una
quantità minima per tre anni consecutivi), di passare alla categoria degli importatori tradizionali.
[ GU C 121 del 25.4.1996 e COM(96) 82 ]
Il provvedimento aveva come risultato la mancata importazione di oltre 600 milioni di tonnellate di
frutta all’anno. Dall'altro lato dell'oceano, le conseguenze si annunciarono addirittura catastrofiche:
almeno 180 mila licenziamenti (che equivale a lasciare altrettante famiglie - almeno 600 mila
persone - senza mezzi di sussistenza) ed una perdita economica valutata in oltre 1500 miliardi di lire
nei tre anni successivi. Una classica guerra dei poveri, insomma, che rischia di mettere in ginocchio
le diverse "Repubbliche delle banane" la cui economia si basa in gran parte proprio su questa
monocultura: tutti i Paesi dell'America Centrale, a cominciare da Costa Rica e Honduras, ma anche,
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Ecuador, che vive di petrolio e di frutta (è il maggior produttore mondiale di banane: 2,5 milioni di
tonnellate l'anno).
Nel maggio 1997, una "commissione di arbitraggio" (detta "panel") della "Organizzazione
Mondiale del Commercio" (OMC) ha dato ragione agli Stati Uniti e a quattro paesi latinoamericani
(Ecuador, Guatemala, Messico e Honduras) nel conflitto che li oppone all'Unione Europea a
proposito delle esportazioni di banane. Nel suo rapporto finale, il "panel" dell'OMC ha deciso che il
sistema europeo di organizzazione del mercato delle banane non è conforme alle regole del
commercio multilaterale e, dunque, deve essere rapidamente smantellato in nome del libero
scambio.
Ecco il testo della risoluzione B4-377/97 del Parlamento Europeo, votata all'unanimità il 15 maggio
1997 a Strasburgo.
Il Parlamento europeo,
? visto l'accordo GATT e il proprio parere conforme del 14 dicembre 1994 sulle procedure di
composizione delle controversie nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio 1 ,
? vista la positiva composizione delle controversie in casi precedenti,
1. esprime preoccupazione riguardo alla situazione problematica in cui si trovano i piccoli
produttori dei paesi tradizionalmente esportatori di banane e analoghi fornitori in seno all'Unione
europea;
2. ritiene che il parere espresso dal panel OMC sia inaccettabile e sollecita pertanto la
Commissione a esaurire completamente la procedura di ricorso sui punti non regolamentati da
chiare disposizioni GATT;
3. esprime profonda preoccupazione per le ripercussioni che tale parere ha già causato tra i
produttori di banane nella Comunità e i tradizionali esportatori di banane dei paesi ACP;
4. sollecita la Commissione a presentare una strategia chiara in merito al futuro del mercato delle
banane, che permetta all'Unione di soddisfare gli obblighi contratti con i suoi partner ACP e con i
produttori dell'Unione;
5. si dichiara favorevole al mantenimento e al miglioramento del regime comunitario della banana
onde proteggere gli interessi dei produttori dei paesi ACP, conformemente agli impegni sottoscritti
nella Convenzione di Lomé, e dei produttori comunitari;
6. sottolinea tuttavia che esiste la necessità, da parte di coloro che sono interessati al futuro del
regime, di iniziare a concepire proposte per un regime alternativo che risponda agli obiettivi di una
produzione sostenibile delle banane, di concerto con le organizzazioni dei rappresentanti dei piccoli
produttori e lavoratori direttamente interessati dal regime;
7. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione
nonché ai governi dei paesi ACP e degli Stati membri dell'Unione.
21
Nel gennaio 1998 la Commissione di Bruxelles presentò una proposta di modifica per adeguarsi alla
sentenza; proponendo una disciplina speciale per l'assistenza ai fornitori ACP tradizionali di banane
per un periodo non superiore ai 10 anni, scopo di questa assistenza finanziaria e tecnica sarebbe
stato quello di facilitare l'esecuzione di programmi destinati a promuovere la competitività nel
settore della banana, in particolare mediante l'aumento della produttività nel rispetto dell'ambiente,
il miglioramento della qualità, l'adattamento dei metodi di produzione, di distribuzione e di
commercializzazione alle norme qualitative stabilite dall'articolo 2 del regolamento (CEE)
n.404/93. La controproposta europea in pratica sosteneva che i paesi ACP non operano in
condizioni di equa competizione perchè la loro produzione è il frutto di piccole piantagioni rispetto
ai latifondi latinoamericani controllati o direttamente posseduti dalle grosse società come Chiquita,
Dole e Del Monte.
Nell’ Aprile scorso la giuria del WTO allestita per esprimersi sulla questione delle banane ha deciso
a favore degli Usa. La sentenza doveva dire se le modifiche che l’UE aveva introdotto
soddisfacevano la sua precedente sentenza del 1997. La giuria ha rilevato che le regole dell’UE
violano gli articoli XIII , Paragrafi 1 e 2 del GATT, così come l’articolo I (trattamento di nazione
più favorita) e il II e XVII (sempre trattamento di nazione più favorita e trattamento nazionale).
3.2 Competitività impossibile
L'impatto sulle economie dei paesi più poveri produttori di banane della decisione presa
dall'Organizzazione Mondiale del Commercio può essere devastante, perché tocca gli interessi vitali
di milioni di piccoli contadini ed organizzazioni economiche che, soprattutto in Africa e nei Caraibi,
basano il loro reddito sull'esportazione delle banane. Innanzittutto, non saranno in grado di dar vita
ad uno sfruttamento intensivo delle piantagioni: non hanno a disposizione i grandi macchinari della
Chiquita o della Dole, né tantomeno hanno a disposizione il famigerato "uomo Del Monte" che
controlla banana per banana il grado di maturazione del frutto. Può sembrare solo una battuta
quest'ultima, ma la conservazione del prodotto è uno degli aspetti fondamentali nella
commercializzazione internazionale della banana: nelle grandi piantagioni, infatti, il frutto viene
staccato quando non è ancora maturo, viene poi stoccato in grandi frigoriferi e può giacere in quei
depositi anche per molte e molte settimane. I piccoli produttori, invece, hanno strumenti inadeguati
22
a conservare per lunghi periodi le banane, e hanno perciò una percentuale di perdita del prodotto
molto alta, cosa che già li mette in difficoltà nel mercato.
Ma è chiaro che la sostanza del problema è politica, nel senso che rinvia al tipo di relazioni
economiche e commerciali che vogliamo avere con i paesi in via di sviluppo (PVS). Come
possiamo pensare che i PVS possano sviluppare le loro economie se li costringiamo a inserirsi nel
mercato globale in condizioni di inferiorità? Il libero scambio può anche essere una bella cosa, ma a
condizione che dia a tutti le stesse condizioni di partenza e di commercio. Ora, siamo ben lontani da
questa situazione: con la decisione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio di dichiarare
"illegale" il sistema europeo di importazione delle banane si vede chiaramente che il
liberoscambismo serve solo ai più forti. La Chiquita non sembra essere molto interessata alle sorti
economiche di intere strutture produttive in molti PVS... Un episodio -questo delle banane- che
illustra chiaramente le ragioni delle organizzazioni internazionali di solidarietà quando, già molti
anni fa, dicevano che gli accordi commerciali firmati a Marrakesh costituivano uno "specchietto per
le allodole", che erano funzionali solo agli interessi del Nord del mondo e che non erano in grado di
garantire la crescita economica del Sud. Il principio è un po' quello del cacao, per il quale esiste una
decisione della Commissione Europea di Bruxelles di autorizzare la sostituzione del 5% di burro di
cacao nella produzione di cioccolato con altri prodotti vegetali. Da una parte ci si riempie la bocca
di (falsi) principi ispirati allo sviluppo e dall'altra si prendono decisioni concrete che vanno nella
parte opposta, che non fanno altro che aumentare la povertà nel Sud del mondo. Almeno ci venga
risparmiata la "retorica sviluppista" di tanti leader mondiali...
3.3.Scontro USA-UE
La decisione finale sulla questione della guerra delle banane è stata formulata dalla commissione
competente in seno alla WTO, appena dopo le feste pasquali, riconoscendo danni per 191 milioni di
dollari all'economia statunitense.L’ ufficio del rappresentante commerciale Usa, rivendicando una
vittoria significativa nonostante il valore delle sanzioni sia stato dimezzato, ha immediatamente
sottolineato che la decisione autorizza gli Stati Uniti ad implementare le sanzioni programmate
contro i prodotti europei, e pubblicherà un elenco di prodotti coinvolti nei superdazi che verranno
calcolati con effetto retroattivo a partire dal 3 marzo. La decisione della Wto sulla guerra delle
banane potrebbe divenire un precedente e avere conseguenze nelle altre dispute commerciali oggi
nel mirino Usa, quali la carne agli ormoni e l'acciaio.
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Al primo annuncio delle ritorsioni Usa sui prodotti europei, risalente agli inizi di marzo, il ministro
del Commercio estero italiano, Piero Fassino, aveva osservato che l'Italia risulta essere il Paese
europeo più penalizzato, con un danno alle esportazioni intorno ai 250 miliardi, solo per quanto
riguarda i prodotti inclusi nella guerra delle banane. Gli Stati Uniti, in attesa di un verdetto finale
della Wto, sono andati avanti con le sanzioni, introducendo i cosiddetti "banana bonds", eliminando
di fatto i prodotti europei inclusi nella lista nera dall'importazione nel mercato statunitense. Gli Usa
d'altronde hanno solide ragioni dalla loro parte: soprattutto perché nel merito delle specifiche
questioni, le posizioni della Ue sono piuttosto difficili da difendere, tenendo conto delle passate
decisioni della Wto in materia. In coda alla guerra delle banane si è aperto un altro conflitto
commerciale sul divieto di importazione in Europa delle carni agli ormoni provenienti dagli Stati
Uniti.
L'Organizzazione mondiale del commercio del resto aveva già deciso sulla questione della carne
agli ormoni, dichiarando illegittimo il divieto di importazioni nell'Unione europea di carne trattata
con ormoni per la crescita, decisione che gli Stati Uniti intendono mantenere valida. Washington è
disponibile a trattare solo sull'unica ipotesi di compromesso emersa finora, cioè la marcatura delle
carni americane con etichetta di provenienza che può renderle facilmente individuabili al
consumatore. Tuttavia, l'Unione europea aveva respinto questa ipotesi, chiedendo un rinvio della
decisione a quando saranno resi noti, dopo un accurato studio scientifico, i rischi della carne agli
ormoni sull'organismo umano, rinvio che gli Stati Uniti non intendono accettare. Nella guerra agli
ormoni sono inclusi prodotti europei quali pelati, conserve alimentari, tartufi, cioccolata,
motociclette di cilindrata fino a 500cc. Si è così passati da un danno economico per la Ue calcolato
intorno ai 200 milioni di dollari con la sola questione delle banane ad un danno di circa 900 milioni
di dollari. Il danno per l'Italia, uno dei maggiori esportatori di prodotti alimentari, è notevolmente
aumentato e, secondo le autorità italiane, ingiustamente e sproporzionatamente.
BILANCIA COMMERCIALE USA - UE
Gennaio 1999
Dicembre 1998
Import Usa da Ue
13.353
15.923
Export Usa verso Ue
12.237
12.688
Saldo Usa
- 1.116
- 3.235
Fonte : http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html
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Intanto, il deficit commerciale Usa totale è salito ancora a gennaio al livello record di 17 miliardi di
dollari, dai 14 miliardi del mese precedente. L'interscambio degli Stati Uniti con l'Unione europea
vede un saldo attivo per la Ue per il solo mese di gennaio 1999 di 1.116 milioni di dollari contro un
valore di 3.235 di dicembre 1998
Le esportazioni Usa verso l'Unione europea hanno totalizzato a gennaio 12.237 milioni di dollari,
quasi invariate rispetto al dicembre del 1998, mentre le importazioni statunitensi dalla Ue hanno
raggiunto un valore di circa 13.353 milioni di dollari contro i 15.923 di dicembre. Per l'Italia si
riscontra a gennaio un saldo attivo con gli Usa di 865 milioni di dollari, contro i 1.035 di dicembre.
Le esportazioni statunitensi verso l'Italia, per il solo mese di gennaio hanno totalizzato circa 730
milioni di dollari, contro i 795 di dicembre, mentre le importazioni di prodotti Ue sono ammontate a
circa 1.596 milioni di dollari contro i 1.829 milioni di dicembre.
BILANCIA COMMERCIALE USA - ITALIA
Gennaio 1999
Dicembre 1998
Import Usa da Italia
1.596
1.829
Export Usa verso Italia
730
795
Saldo Usa
- 865
- 1.035
Fonte : http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html
È da segnalare comunque che gennaio non è da considerare, su base annua, un mese molto attivo
nel commercio internazionale statunitense. Per l'economia Usa continua il trend positivo di crescita.
La revisione del Pil Usa nell'ultimo trimestre '98, che fissa una crescita del 6% dal 6,1% precedente,
conferma la solidità della ripresa. Il tasso di disoccupazione rimane stabile intorno al 4.2%, mentre
il tasso di inflazione annuo rimane ancora molto contenuto intorno all'1.3 per cento.
Totale
Prodotti
Servizi
BILANCIA COMMERCIALE USA
Gennaio 1999
Gennaio 1998
1998
- 16.990
- 10.022
- 169.288
- 23.420
- 17.187
- 248.159
+ 6.430
+ 7.165
+ 78.871
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Fonte :http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html
CONLUSIONI
Insomma, per i "produttori tradizionali ACP"sarebbe meglio che l’ Europa continuasse a rispettare
gli obblighi fissati nel quinto protocollo sulle banane allegato alla Quarta Convenzione di Lomé.
Anzi, da parte della "Commissione Sviluppo e Cooperazione" del Parlamento Europeo è più volte
venuta la richiesta -inascoltata- di estendere le garanzie concesse ai produttori ACP rispetto al loro
accesso al mercato europeo. Da notare anche che la domanda europea di banane è da anni in
constante crescita, e non si capisce perché ai "produttori tradizionali ACP" non debba essere
riservata una quota-parte di questo mercato. Parallelamente alla campagna in atto all'interno della
Organizzazione Mondiale del Commercio per smantellare il sistema europeo, le grandi
multinazionali agroalimentari hanno "buttato" nel mercato enormi quantitativi di banane sinora
conservate nei loro depositi, sia per piegare la competitività ACP sia per dimostrare quanto sia
inefficace il sistema europeo. Una forma grave e scorretta di concorrenza che dovrebbe essere
colpita dall'Organizzazione Mondiale del Commercio.
Tanto per cambiare siamo di fronte ad una scelta politica: o permettiamo ai paesi più poveri un
reale sviluppo che passa eventualmente anche attraverso la protezione temporanea delle loro
capacità produttive, oppure facciamo finta che siamo tutti uguali e facciamo viaggiare tutti "alla
stessa velocità di mercato". Ma l'economia del Giappone è forse la stessa di quella della Giamaica?
Quella dell'Italia è forse la stessa del Burkina Faso o della Costa d'Avorio? Quella della Germania è
la stessa della Cambogia? Eppure le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio solo le
stesse per tutti, il principio del libero mercato è imposto a tutti, per tutti vale la stessa competitività.
Peccato pero' che tutto ciò sia un'illusione ottica che serve a noi per conquistare anche i mercati dei
paesi poveri e nulla abbia a che fare con uno sviluppo endogeno, sostenibile, degno della persona
umana. Pensateci quando mangerete la prossima volta una "banana Chiquita"...
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Informazioni sul WTO sono disponibili su questi siti: Sito ufficiale WTO:
www.wto.org Public Citizen's Global trade Watch, USA www.tradewatch.org
Institute for Agricolture and Trade Policy, USA www.iatp.org Third World
network, Malesia www.twinside.org.sg Corporate Europe Observatory
http://www.xs4all.nl/~ceo/wto/ Council of Canadians
http://www.canadians.org/ SEED Europe http://www.antenna.nl/aseed/trade/
Friends of the Earth www.foe.org
Questo testo è stato prodotto utilizzando come base "A Citizen's Guide to
the World Trade Organization", pubblicato nel luglio 1999 dal Gruppo di
lavoro sul WTO/MAI, disponibile sul sito:
http://www.citizen.org/pctrade/whatsnew/new.htm, traduzione e integrazione
di roberto meregalli.