Cristina Beltrami – Banane al WTO INTRODUZIONE
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Cristina Beltrami – Banane al WTO INTRODUZIONE
3 Cristina Beltrami – Banane al WTO INTRODUZIONE Nell’Aprile di quest’anno la giuria del WTO allestita per esprimersi sulla questione delle banane che da tempo oppone Unione Europea ed USA si è risolta con una sostanziale adesione alle tesi americane che criticavano l’eccessivo favoritismo Ue nei confronti dei prodotti provenienti dalle ex colonie di alcuni Paesi membri. In sostanza gli Usa chiedevano l’abbattimento totale di ogni barriera protezionistica che privilegiasse le importazioni interne alla Comunità, chiamando in causa le regole del Wto che vietano ogni tipo di agevolazione commerciale concessa dagli Stati aderenti all’Organizzazione nata dagli accordi di Bretton Woods del 1944. Sebbene fino ad oggi si sia denotato un certo lassismo nell’applicazione integrale delle regole Wto (dovute principalmente alla riluttanza della Ue nell’accettare accordi che in qualche modo penalizzassero o mettessero in seria discussione il modello di sviluppo agricolo europeo), la situazione attuale ci segnala un certo irrigidimento delle posizioni statunitensi nell’esasperare gli scontri sulla gestione del commercio mondiale, al punto di riprendere la battaglia sulla ormai famosa "opzione zero"che gli Usa chiesero all’Uruguay Round. Il motivo di questo inasprimento delle tensioni commerciali fra Usa e Ue è dato dall’avvio del nuovo negoziato sulla riforma, o meglio, sull’evoluzione degli accordi Wto (definito "Millenium Round) e gli americani hanno quindi la necessità di mostrare i muscoli in funzione delle sempre più crescenti mire espansionistiche dettate dalla globalizzazione. La guerra delle banane si inserisce quindi in questo contesto, e le sanzioni approvate dal Wto nei confronti dell’Europa, ben 191 milioni di dollari, saranno usate ora come arma di ricatto rispetto a numerosi prodotti comunitari. Washington, con una scandalosa decisione, ha infatti deciso di trasformare queste sanzioni commerciali in superdazi da applicare ai prodotti Ue secondo la libera interpretazione dei governanti a stelle e strisce. Gli Usa potranno così imporre a loro piacimento barriere doganali ai prodotti comunitari che oggi danno maggiormente fastidio ai commercianti d’oltreoceano, distorcendo quindi a loro volta le regole del liberoscambismo. La guerra delle banane è solo la punta dell’iceberg: sotto di essa sono presenti le grandi lobbies del potere multinazionale che mirano al predominio mondiale dell’economia sulla politica. E' finita per le banane africane. Hanno stravinto le grandi multinazionali americane che controllano tutta la produzione di banane del Centramerica, di gran parte dell'America Latina e dell'Estremo Oriente: Chiquita, Del Monte, Dole. l'Unione Europea deve smantellare il regime di preferenza 4 riconosciuto ad alcuni suoi partners africani e permettere l'ingresso paritario nel suo territorio anche delle banane centroamericane prodotte dalle grandi multinazionali. L'Europa assorbe da sola il 35% della domanda mondiale di banane, ed è dunque un mercato importante per l'industria alimentare: fino ad ora la gran parte di questo mercato veniva soddisfatto da banane provenienti dall'Africa, da alcune isole caraibiche (soprattutto Saint-Lucie e Kitts and Nevis) e da dipartimenti europei come Guadalupa, Madeira e le isole Canarie. Il Protocollo n 5 della quarta Convenzione di Lomè garantisce ai produttori africani l'importazione di quote minime di banane: un modo per sostenere lo sviluppo di quei paesi, per assicurare reddito e futuro a centinaia di migliaia di famiglie di contadini e di piccole industrie locali che non hanno le strutture per far fronte alla concorrenza delle grandi multinazionali americane, per fare "Trade, not aid". Nessuna comparazione è infatti possibile tra i modelli produttivi intensivi della Chiquita in Nicaragua o nelle Filippine e quelli più tradizionali dell'Africa, della Somalia ad esempio. In più, le multinazionali hanno strutture di conservazione dei prodotti in grado di mantenere invariato per mesi il livello di maturazione delle "dollar bananas" che infatti non sanno mai da niente!-, cosa sconosciuta alle imprese africane. La decisione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio ha insomma un impatto nefasto sulle economie dei paesi più poveri, soprattutto africani, che senza colpo ferire, si vedono sempre più esclusi dal commercio mondiale.Ciò che fa impressione è che l’OMC ha totalmente scartato qualsiasi valutazione sull’impatto sociale che la sua decisione è destinata a produrre in Africa, sacrificando sull’altare della competitività e del puro liberoscambismo un sistema commerciale –quello europeoa cui peraltro siamo giuridicamente vincolati in ragione della quarta Convenzione di Lomè. Nessuna forma di compensazione finanziaria è prevista per i paesi africani che saranno colpiti dalla decisione dell’OMC. Alla faccia del giustissimo “trade, not aid”,ovvero “commercio, non aiuti”. Questo saggio si apre con un capitolo dedicato ad una sintetica scheda descrittiva del World Trade Organization con uno sguardo alla sua storia , ai principi su cui si basano gli accordi , ad una breve serie di punti usciti dalle trattative e si conclude analizzando il sistema di risoluzione delle dispute. Il secondo capitolo affronta il caso delle banane partendo dalla Quarta Convenzione di Lomè ai giorni nostri. Il terzo e conclusivo capitolo illustra come la guerra delle banane possa aver conseguenze nelle altre dispute commerciali oggi nel mirino Usa. 5 1. WTO World Trade Organization: Scheda descrittiva 1.1. Scheda Il WTO, sigla tradotta in italiano come OMC Organizzazione Mondiale del Commercio, è l’unica organizzazione internazionale che si occupa delle regole del commercio fra nazioni. Si fonda su diversi accordi (agreements) negoziati e firmati dalla maggior parte delle nazioni. Sono contratti firmati dai governi per mantenere le rispettive politiche commerciali dentro limiti concordati. L’obiettivo degli accordi è quello di aiutare i produttori di beni e servizi, importatori ed esportatori, a condurre i loro business. Oltre che sede mondiale dei negoziati, il WTO comprende al suo interno un meccanismo di risoluzione delle controversie dovute a differenti interpretazioni degli accordi. Scheda anagrafica: Sede : Ginevra Data di nascita: 1 gennaio 1995 Creato da : Uruguay Round (1986- 94) Membri: 134 Stati (al 18 marzo 1999) Budget: 117 milioni di franchi svizzeri per il 1998 Personale segretariato: 500 persone Direttore generale: Renato Ruggiero Funzioni: • Amministrazione accordi • forum per negoziati commerciali • gestione delle dispute • monitorizzazione politiche commerciali nazionali • assistenza tecnica e formazione per i paesi in via di sviluppo. Il WTO è nato il 1 gennaio 1995, ma le sue radici risalgono al 1948, all’ormai famosissimo GATT. 6 Riguardo a questa sigla è bene chiarire che indica due cose: 1. un accordo internazionale sulle tariffe e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade) e 2. una organizzazione internazionale creata successivamente per gestire e sviluppare questo accordo. Negli anni questo accordo è cresciuto attraverso vari negoziati, indicati col termine di "round". L’ultimo e il più importante è stato l’Uruguay Round, dal 1986 al 1994, terminato proprio con la creazione del WTO. Il GATT copriva il commercio dei beni, il WTO ora copre anche il settore dei servizi e delle proprietà intellettuali. Gli accordi WTO coprono: beni, servizi e proprietà’ intellettuali ed esprimono i principi della liberalizzazione includendo: • gli impegni dei singoli Paesi ad abbassare tariffe e barriere commerciali; • l’impegno ad aprire e mantenere aperti i mercati dei servizi; • definiscono le procedure per regolare le dispute; • prescrivono trattamenti speciali per paesi in via di sviluppo; • chiedono ai governi di mantenere trasparenti le rispettive politiche commerciali notificando al WTO le leggi e le misure adottate. Il Testo scaturito dall’Uruguay Round of multilateral Trade Negotiations comprende circa 60 accordi. Semplificando la sua struttura e’ la seguente: Beni Servizi Principi Base GATT GATS Ulteriori dettagli Altri accordi sulle merci e allegati Elenco impegni dei Paesi Allegati sui servizi Impegni apertura mercato Proprietà intellettuali TRIPS Dispute Sistema di risoluzione dispute Elenco impegni dei Paesi (ed eccezioni al trattamento MFN) I tre accordi pilastro: GATT (General Trade on tariffs and Trade), GATS (General Agreement on Trade in Service) e TRIPs (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) contengono le definizioni e i principi generali, nei rispettivi settori. Ad essi di collegano numerosi altri accordi ed allegati che si riferiscono a specifici settori; il tutto è completato da una dettagliata lista degli impegni dei singoli paesi per permettere ai prodotti stranieri 7 di accedere ai rispettivi mercati. Per il GATT questi impegni prendono la forma di binding commitments (impegni) sulle tariffe delle merci, mentre per i prodotti agricoli si parla sia di prezzi che di quote. Per il GATS, gli impegni degli stati includono un elenco di tipi di servizi dove i paesi dichiarano di non applicare il principio di non-discriminazione chiamato "most-favoured-nation" (MFN). Gli accordi extra Questi accordi si riferiscono a settori specifici e sono: Per i beni (sotto il GATT) Agricoltura Regolamenti sanitari dei prodotti agricoli Tessile e abbigliamento Standard dei prodotti Investimenti Anti-dumping Metodi di valutazione Ispezioni navali pre-imbarco Regole sull’origine dei prodotti Per i servizi (sotto il GATS) Movimento di persone Trasporto aereo Navigazione Telecomunicazioni Servizi finanziari Licenze d’importazione Sussidi e "counter measures" Salvaguardia Ulteriori accordi Ci sono altri due gruppi non inclusi nell’elenco: trade policy reviews e due accordi plurilaterali, non firmati da tutti i membri WTO: aviazione civile e government procurement (acquisti/appalti governativi). I principi su cui si basano tutti gli accordi WTO Tutti gli accordi si fondano su una visione dello sviluppo e del mercato ben precisa. Schematicamente possiamo definire così iI sistema commerciale immaginato e perseguito dal WTO: Senza discriminazioni – un paese non deve fare discriminazione fra partners commerciali, essi sono tutti egualmente garantiti dall'’MFN status di nazione più favorita. Questo principio è così importante che è il primo articolo del GATT, il secondo del GATS (articolo 2) e il quarto del TRIPS, sebbene in ciascun accordo sia definito in modo diverso. Il suo nome può trarre in inganno perché fa pensare a un trattamento di favore, ma il senso è che ciascun membro tratta gli altri come se 8 fossero il miglior partner. Potrebbe apparire davvero come un principio non-discriminatorio ma questo implica la fine di politiche di sussidio e supporto a realtà economiche locali per evitare la concentrazione delle attività economiche in poche potenti mani. Sono permesse delle eccezioni, per esempio per i paesi che fanno parte di un’area di libero scambio che generalmente hanno regole che favoriscono le nazioni all’interno dell’accordo, oppure un paese può alzare delle barriere (sanzioni) contro prodotti provenienti da specifici paesi che stanno attuando politiche commerciali discriminatorie. Anche nei servizi ci sono delle concessioni discriminatorie ma sotto condizioni precise e ristrette. Seconda pietra miliare del concetto di mercato libero è il cosiddetto Trattamento nazionale (National Treatment) che si traduce nel trattare prodotti stranieri e nazionali allo stesso modo. Questo ovviamente vale anche per i servizi, i marchi, copyrights e brevetti. Questo principio è indicato nell’art. 3 del GATT, nell’art.17 del GATS e nell’articolo 3 dei TRIPS. Si applica una volta che un prodotto è entrato in un mercato, perciò tasse sull’importazione non sono considerati violazione al trattamento nazionale e rientrano nelle tariffe sul cui abbattimento ha lavorato per cinquant’anni il GATT. Libero – con l’abbassamento delle barriere tramite i negoziati; L’abbassamento delle barriere è uno dei metodi per incoraggiare il commercio. Si intendono tasse doganali e misure come il divieto di importazione o quote che restringono la quantita’ di prodotto importabile. Senza imprevisti – le compagnie straniere, gli investitori e i governi devono sapere che le barriere commerciali non possono essere stabilite arbitrariamente; quando un paese firma un accordo si "lega" a una serie di impegni. Un paese può modificarli solo dopo aver negoziato le modifiche con i partners, il che può significare delle misure compensative per la perdita commerciale. Più competitivo – scoraggiando pratiche non eque come incentivi all’esportazione e vendita di prodotti sotto costo per aumentare quote di mercato. Il WTO si pone come obiettivo di creare un sistema di regole per una equa competizione. MFN e trattamento nazionale sono regole per questo obiettivo così come le regole anti dumping (con dumping si 9 intende la pratica di esportare sottocosto per guadagnare quote di mercato) e contro i sussidi. Ci sono altri accordi che vanno in questa direzione, come il government procurement che estende le regole della competizione agli acquisti fatti dalle realtà governative. Più flessibile e disponibile verso i paesi in via di sviluppo – definendo tempi più lunghi ai paesi in via di sviluppo per adeguarsi ai vari accordi. 1.2.La storia La creazione del WTO è stata la più importante riforma del commercio internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Dal 1948 al 1994, il GATT ha fornito le regole del commercio internazionale, sebbene fosse un accordo e un’organizzazione provvisoria. L’intenzione originale era di creare una terza istituzione da affiancare a quelle di Bretton Woods, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che si sarebbe dovuta chiamare ITO International trade organization. Ma le ambizioni erano superiori alle reali possibilità, così al termine del primo round di negoziati non venne creata questa nuova ITO e l’accordo venne firmato solo da 23 paesi. Eppure sino al ’95 questo accordo, il GATT, è rimasto l’unico testo legalmente riconosciuto a cui, negli anni, si sono aggiunti accordi plurilaterali e 8 rounds di trattative per ridurre le tariffe. Ecco l’elenco dei negoziati: Anno Luogo/Nome 1947 Argomento Paesi partecipanti Ginevra Tariffe 23 1949 Annecy Tariffe 13 1951 Torquay Tariffe 38 1956 Ginevra Tariffe 26 1960-61 Ginevra (Dillon Round) Tariffe 26 1964-67 Ginevra (Kennedy Round) Tariffe e misure antidumping 62 1973-79 Ginevra (Tokyo Round) Tariffe 102 1986-94 Ginevra Uruguay Round Tariffe, regole, servizi, proprietà intellettuali, 123 10 regolazione delle dispute, settore tessile, agricoltura, creazione WTO L’ultima maratona di trattative, l’Uruguay Round è durato sette anni e mezzo ed ha interessato 125 paesi, coprendo praticamente tutti i settori, dagli spazzolini per lavarsi i denti alle barche, dalla medicina ai settori bancari: sicuramente il più grande negoziato della storia. Ecco una breve serie di punti usciti dalle trattative: TARIFFE (DAZI DOGANALI) Tanto per capirci su cosa abbia prodotto questo negoziato, ben 22.500 pagine illustrano gli impegni dei paesi membri relativi a tagli delle tasse doganali sui prodotti d’importazione, spesso ridotte a zero. Per i paesi industrializzati questi impegni saranno completati nel 2000 e il volume di prodotti industriali "duty free" salira’ cosi’ dal 20% al 44%. Oltre a questo, sempre considerando i paesi industrializzati, il 99% dei prodotti non sara’ sottoposto ad aumenti di tariffe. I dazi per i prodotti agricoli sono bloccati. Quasi tutte le restrizioni come le quote d’importazione sono state tradotte in tariffe. Precedentemente più del 30% dei prodotti agricoli era sottoposto a quote o altre restrizioni all’importazione. Come primo passo sono state convertite in dazi doganali, ora si stanno gradualmente riducendo. Altra linea d’impegno: la riduzione dei sostegni ai prodotti interni e dei sussidi all’esportazione. AGRICOLTURA Il GATT permetteva il sistema delle quote e dei sussidi, con la nascita del WTO queste "distorsioni" al libero mercato sono state eliminate e verranno applicate in sei anni a partire dal 1995 per i paesi industrializzati, 10 per quelli in via di sviluppo. Riassumendo le nuove regole impongono che l’unica limitazione possibile sara’ quella tariffaria, che saranno, anche qui, gradualmente ridotti tutti i sussidi alla produzione interna e all’esportazione. L’accordo, in pratica, non permette più ai governi di sostenere le loro economie rurali. La tabella riporta i tagli previsti: Paesi sviluppati 6 anni: 1995 – 2000 Paesi in via di sviluppo 10 anni: 1995 - 2004 -36% -15% -24% -10% Tariffe Media dei tagli sui prodotti agricoli Minimo taglio per prodotto 11 Sovvenzioni interne Tagli totale settore (calcoli sul periodo 1986-88) -20% -13% -36% -21% -24% -14% Sostegno Esportazioni Valore dei sussidi Quantità sovvenzioni (calcoli sul periodo 1986-90) TESSILE Dal 1974 sino al 1995 il mercato è stato governato dall’accordo Multifibre, un accordo nato per porre dei tetti alle importazioni nel settore, stabilito dai paesi occidentali per evitare la concorrenza dei paesi più poveri (alla faccia del libero mercato !). Dal ’95 è gradualmente in applicazione il nuovo accordo ACT (Agreement on Texiles and Clothing) che soppianterà il multifibre entro il 2005. Entro quella data anche il settore tessile tornera’ sotto le regole del GATT, eliminando il sistema delle quote. SERVIZI Il GATS è l’accordo quadro di questo settore ed è composto da 29 articoli. Oltre al testo principale esistono molti accordi specifici perché mentre l’dea base del commercio delle merci è che queste possano passare liberamente da un paese all’altro, per i servizi il discorso è più complicato: banche, compagnie telefoniche e sistemi di trasporto sono realtà molto diverse fra loro. Dopo l’Uruguay Round, nel 1997 è stato firmato l’accordo base sulle telecomunicazioni, quello relativo al movimento di personale (per motivi connessi ai servizi) e il 1 marzo 1999 è entrato in vigore l’accordo sui servizi finanziari. PROPRIETA’ INTELLETTUALI E’ il secondo importante risultato dell’Uruguay Round. Copre il vasto settore dei diritti d’autore. La prima parte definisce, come nel GATS, i principi di non-discriminazione già noti: trattamento nazionale e trattamento di nazione più favorita. La seconda parte analizza i vari tipi di diritti di proprietà intellettuale e come proteggerli. Il TRIPS si rifà agli standard internazionali esistenti definiti da WIPO (World Intellectual Property Organization) aggiungendone dei nuovi. In realtà, si tratta di imporre universalmente il concetto di proprietà della società industriale capitalista, estrapolato dal campo della cultura e del sapere. Un concetto peculiare che è cresciuto in seno ad un sistema economico nel quale competitività e beneficio privato si postulano come strumenti ideali per il raggiungimento del bene comune. Conformemente a questa logica economica, la concessione di diritti di monopolio agli inventori, ed altre formule di protezione dei diritti di Proprietà Intellettuale costituiscono un incentivo all’innovazione, si dice, a beneficio di 12 tutta la società. La conoscenza "scientifica" (privata) rimane così mondialmente protetta, di fronte alla cultura ed alla saggezza comune dei popoli. E’ evidente che l’omologazione universale dei diritti di Proprietà Intellettuale spianerà il cammino alle corporazione multinazionali, proprietarie già di un 85% (3) dei brevetti registrati in tutto il mondo, eliminando ostacoli per il loro libero movimento e per il controllo dell’economia mondiale. (tratto da: Il GATT94 e i diritti dii proprietà intellettuale, Isabel Bermejo, 19995) 1.3. WTO e il Millenium Round La Comunità Europea è stata tra i principali promotori dell’avvio di un nuovo ciclo di negoziati commerciali (il cosiddetto “Millenium Round”) nel quadro dell’OMC nel 2000. Nelle sue Conclusioni del 30 marzo, 30 aprile e 18 maggio 1998 nonché del 21 giugno 1999, il consiglio ha approvato all’unanimità tale obbiettivo. Da una parte i grandi produttori, capeggiati da Stati Uniti e Giappone, con una parola d'ordine: a governare deve essere un mercato il più libero possibile. Dall'altra l'Europa, con il suo presidente italiano della Commissione, Romano Prodi, e una diversa parola d'ordine: l'economia di mercato non può schiacciare le politiche di sostegno ai Paesi poveri. In questo quadro, l'Italia è portatrice di una tesi, quella della globalizzazione dal volto umano. Gli argomenti che saranno in discussione investono interessi formidabili. Vincoli ambientali e sviluppo sostenibile impegnano scelte che riguardano processi di produzione rispettosi della sicurezza del cittadino e del lavoratore e ne salvaguardino in primo luogo la salute; la politica agricola, che sta penalizzando l'Europa in favore dei grandi Paesi produttori, riguarda anche la tutela dei prodotti doc e, soprattutto, il problema della sicurezza alimentare, divisa tra lo sviluppo delle biotecnologie e la scelta delle colture biologiche; il commercio mondiale si trova non solo ad affrontare l'ingresso delle nuove tecnologie ma anche il problema dei Paesi in via di sviluppo e dei loro accessi ai mercati, quindi quello dei dazi per l'export; il rapporto tra commercio e lavoro riguarda non solo il tema della sicurezza, ma anche la piaga del lavoro minorile, e su questo l'Europa è intenzionata a proporre misure restrittive; servizi, investimenti, concorrenza, appalti, proprietà intellettuale, investono centinaia di settori e decine di categorie. Nel campo degli appalti, ad esempio, la Comunità europea vuole arrivare, anche se nel lungo termine, ad integrare il settore degli appalti pubblici nel quadro dell'Organizzazione mondiale per il commercio, l'OMC. Anche per quanto riguarda la proprietà intellettuale, sul cui tema negli ultimi tempi sono stati realizzati importanti accordi che potrebbero essere nuovamente messi in discussione, l'Europa si prepara ad affrontare un duro braccio di ferro. La protezione del consumatore è, infine, uno dei settori in cui l'Unione europea sostiene la necessità di confermare il diritto di ogni Stato a stabilire quale sia il proprio livello di sicurezza, fino al punto di ricorrere a misure commerciali restrittive nei confronti di altri partner, nel caso ritenga che le loro misure non garantiscano il livello deciso. L’ICC è il principale gruppo di pressione delle multinazionali composto da membri di 137 paesi diversi. L’ICC sostiene che il mondo d’oggi è molto diverso da quello in cui fu lanciato l’Uruguay Round, nel 1986, “l’obbiettivo del nuovo round dovrà risiedere in un concetto piu’ ampio di accesso 13 al mercato su regole internazionali che permettano alle società per competere liberamente e su basi eque sul mercato globale”. Fra i punti considerati prioritari per il nuovo round all’OMC: - ulteriore liberazione nei servizi - limitazione delle misure protettive nel settore agricolo - ulteriore riduzione ed eliminazione nei dazi doganali - creazione di regole per la liberalizzazione e la protezione degli IDE Investimenti Esteri Diretti - considerare che le regole di eco-etichettatura (le etichette di certificazione dei prodotti bio/ecologici ) possono diventare di fatto barriere commerciali - elaborare nuove regole per la semplificazione delle procedure doganali - estendere l’applicazione dell’accordo sui government procurement (gli acquisti appalti governativi) Cruciale per ottenere benefici dalla globalizzazione sarà il mantenimento di condizioni di pace fra i vari stati nazionali. L’assenza di conflitti politici è una pre-condizione per lo sviluppo imprenditoriale e per gli investimenti esteri. 1.4. Il sistema di risoluzione delle dispute. Secondo Renato Ruggiero è il maggior contributo del WTO alla stabilità dell’economia mondiale. Senza di esso, infatti, le regole rimarrebbero inapplicate. Tutto ha origine dal Dispute Settlement Body, entità che ha il compito di creare, di volta in volta, la giuria (panel) di esperti per la valutazione delle cause. Generalmente il panel è composto da tre persone, possibilmente scelte con il consenso delle due parti, in ogni caso direttamente nominati dal Direttore Generale che ha perciò mano libera in questo. Il verdetto della giuria viene alla fine presentato al Dispute Settlement Body che può accettarlo o no. Durata di una richiesta di giudizio 60 giorni per consultazioni e mediazioni 45 giorni per stabilire la giuria 6 mesi perche’ la giuria emetta il verdetto 3 settimane rapporto finale della giuria al Dispute Settlement Body 60 giorni per il Dispute Settlement Body di accettare il verdetto In totale 1 anno (In caso di appello la durata del processo si allunga di tre mesi) 14 2. LA GUERRA DELLE BANANE 2.1. Il frutto della discordia La guerra delle banane viene ufficialmente combattuta fra due “regioni” (Stati Uniti ed Europa ) che in realtà non coltivano banane . Il Brasile e l’India (dove si coltivano più banane che in qualsiasi altro paese ) non hanno niente a che fare con il commercio internazionale . Meno di un quarto di tutte le banane del mondo sono destinate al commercio internazionale e solo in questo caso entrano in contatto con l’industria delle banane, dove le cose possono diventare spietate.Attualmente si da la preferenza a una sola specie la Cavendish nana. Nelle immense piantagioni che ricoprono il Centroamerica, l’Equador,la Columbia, l’Africa e parte dell’Asia, un gran numero di cloni vengono piantati su una terra piatta e spazzata via dagli uragani. Il suolo deforestato su cui crescono è arido e rovinato.Ibanani sono sottoposti a infiniti trattamenti con fertilizzanti tossici,erbicidi,insetticidi e fungicidi. I frutti vengono raccolti ancora verdi , fragili e non commestibili.Poi i caschi vengono appesi ai cavi che li trasportano altrove per essere lavati e cosparsi di sostanze chimiche.Selezionato e inscatolato, spedito in navi frigorifere in Europa e Nord America , il frutto viene fatto maturare per gli ipermercati e circondato da un’immagine di “qualità” che la gente beatamente ignorante della verità è pronta a consumare in quantità sempre maggiore. Questa è la banana da “dollari”: rappresenta l’ottanta percento dei frutti mangiati al Nord ed è controllata da tre compagnie ( Chiquita, Dole e Del Monte) che a loro volta sono affiliate a conglomerate come l’American Financial Group . Insieme le Tre Grandi formano un oligopolio che controlla il rifornimento di banane, fissa i prezzi ( non esiste un prezzo mondiale) e ha uno smodato amore per la segretezza. BANANE, CHI CI GUADAGNA Come viene distribuito il prezzo di una banana Produttore Costi di esportazione Trasporti internazionali Licenze di importazione Profitti Processo di maturazione Tasse Distribuzione e vendita 5% 4% 11 % 9% 17 % 5% 15 % 34 % 15 Fonte : The New Internationalist Banane,da dove vengono mondo America Latina Estremo Oriente Africa Caraibi 1997 1988 0 5000 10000 15000 esportazioni di banane. Cifre in migliaia di tonnellate. Fonte: The New Internatinalist 2.2. Il Quinto Protocollo Il fatto è che l'Unione Europea ha una particolare "organizzazione comune del mercato delle banane" ("OCM banane") che tiene conto dei rapporti storici tradizionali che il Vecchio Continente ha con le Antille Francesi, le Canarie, Creta, Madeira e -soprattutto- i cosiddetti "Paesi ACP", ovvero i paesi di "Africa, Caraibi e Pacifico" (ACP) legati all'Unione Europea dalla Quarta Convenzione di Lomé. In questa convenzione -che disciplina tutti gli aspetti della cooperazione economica, politica e allo sviluppo con settanta Paesi ACP- esiste anche il "Protocollo numero cinque" che garantisce l'accesso al mercato europeo ai "fornitori tradizionali ACP" di banane. Quest'ultimi sono, ad esempio, la Costa d'Avorio, il Camerun, il Suriname, la Somalia, la Giamaica, le isole caraibiche di Sainte Lucie, il Belize, Capo Verde, il Madagascar. Paesi insomma che l'Unione Europea "privilegia" nelle sue strategie di importazione di banane proprio per cercare di promuovere lo sviluppo economico di quei paesi poveri. Un modo per fare del commercio sano e dell'inutile assistenzialismo, un modo per creare meccanismi di sviluppo autentico e duraturo. Ed è proprio contro questo "regime preferenziale" che si sono scagliati gli strali degli Stati Uniti e di alcuni paesi latinoamericani; i quali, insistendo sul fatto che l'Unione Europea è firmataria degli "Accordi di Marrakesh" da cui è nata l'Organizzazione Mondiale del Commercio, sostengono che il "regime preferenziale" va contro le regole del liberoscambismo e dunque dev'essere dichiarato "illegale" sul piano internazionale. Proprio per questo è stato messo in piedi un "tribunale" (il suddetto “panel") che alla fine ha dato ragione a Stati Uniti & C. 16 Non siamo di fronte ad una decisione qualsiasi, bensì ad una presa di posizione dell'OMC che può avere conseguenze pesantissime sulle economie dei paesi più poveri produttori di banane. Dietro agli Stati Uniti ed i loro alleati commerciali, infatti, si celano le grandi compagnie multinazionali agroalimentari che controllano il mercato mondiale della produzione di banane (oltre che di tante altre cose). Chiquita, Dole e Del Monte hanno in mano praticamente tutta la produzione di banane latinoamericane (dette anche "dollar bananas") e detengono una sostanziale posizione di monopolio mondiale dato che assicurano il 75% dell'offerta internazionale di banane. La struttura produttiva dei "fornitori tradizionali ACP", invece, è quasi a "carattere familiare", ovvero composta da più o meno piccole imprese, cooperative, aziende di trasformazione agroalimentare che non possono concorrere con i potenti mezzi tecnici e finanziari delle multinazionali americane. 2.3. Mercato Comune Il conflitto sulle banane parte da lontano. Risale almeno al luglio 1993, quando entrò in vigore un'organizzazione comune del mercato interno sulle banane che cercava di armonizzare tra i paesi europei i meccanismi di commercio di quel frutto. Tutto ciò per evitare distorsioni di mercato o per impedire che in uno stato piuttosto che in un altro si verificassero differenziali di prezzo tali da "drogare" il mercato interno. Fu allora che entrò in azione il regolamento 404/93, risultato di un compromesso tra chi voleva proteggere i produttori tradizionali e chi (come la Germania) già allora voleva aprire il mercato europeo alle "dollar bananas". La struttura della "OCM banana" è composta da tre differenti settori: 1) il primo riguarda l'importazione di banane provenienti dai territori comunitari, come le Canarie (territorio spagnolo), l'isola di Madeira (territorio portoghese) o alcune isole sotto sovranità francese e inglese; da queste aree è prevista l'importazione di 854.000 tonnellate di banane, ed una serie di sovvenzioni finanziarie sono accordate ai soggetti produttori per il danno ricevuto dall'approvazione della "OCM banana" (nel senso che in base al regolamento 404/93 le banane vengono importate anche da altri posti e non più in via esclusiva da territori comunitari). 2) il secondo settore riconosce ai "Paesi ACP fornitori tradizionali di banane" il diritto di esportare "a tariffe doganali zero" (senza ostacoli tariffari) verso l'Unione Europea una quantità di banane pari a 857.000 tonnellate. Ciò in nome della Quarta Convenzione di Lomé che, ad esempio, contempla regimi commerciali simili per lo zucchero, il rhum, la carne, eccetera. Godono di questo trattamento anche i "Paesi ACP fornitori non tradizionali di banane", come ad esempio la Repubblica DominicanaoHaiti. 3) infine, in base alla "OCM banane" ben 2.200.000 tonnellate di quel frutto possono essere esportate verso l'Unione con "tariffe doganali ridotte". Di questo regime godono soprattutto le 17 banane prodotte dalle multinazionali centro-latinoamericane, che possono sopportare i costi più elevati proprio perché più forte è la loro struttura produttiva e commerciale. la struttura della "OCM banana" Territori comunitari 22% Multinazionali latinoamericane 56% 22% Paesi ACP 18 3. SCONTRO USA-UE 3.1. Direttiva modificata Da un punto di vista politico, è esattamente contro il sistema dell’ “OCM banane”che il "tribunale" della Organizzazione Mondiale del Commercio ha dato ragione agli Stati Uniti. L'Organizzazione ha infatti ravveduto in quel sistema un qualche cosa di ingiusto, e ha ritenuto che la preferenza data ai "produttori tradizionali ACP" non si giustificasse. Il colpo è duro, anche perché nel 1994 la Commissione di Bruxelles aveva già modificato negativamente per gli ACP il mercato comune delle banane sopra descritto in tre punti, in seguito alla adesione di Austria, Svezia e Finlandia all'Unione Europea. Modifica giustificata dall'alto consumo di banane in questi paesi: la Svezia è ad esempio il paese europeo in cui si mangiano più banane (soprattutto "dollar bananas"). Per far fronte alle nuove esigenze del mercato comune in seguito all'adesione di tre nuovi stati, la Commissione di Bruxelles decise di aumentare il contingente tariffario (ovvero il volume di importazione) di banane di 353.000 tonnellate mettendole praticamente tutte in quota alle multinazionali americane delle banane Nel Luglio 1996 entrarono in vigore nuove pesantissime barriere doganali della CE contro le banane latino americane . I Quindici stabilirono un tetto massimo di importazioni dal Sud America pari a due milioni di tonnellate di banane l'anno, su cui gravò un'aliquota del 20%. Superata questa quota, ulteriori partite furono tassate del 170% rendendone di fatto impossibilela commercializzazione. Le banane latino-americane sono le più a buon mercato del mondosi il provvedimento si tradusse in un aumento del prezzo finale di questa frutta tropicale sugli scaffali dei supermercati. La Germania, maggior mercato europeo delle banane (i tedesche ne mangiano 16 chili a testa l'anno, un record) si oppose sino alla fine dell'adozione delle quote di importazione, ma fu messa in minoranza da un compatto "cartello" guidato, secondo valutazioni diplomatiche latino americane, da Gran Bretagna e Francia, e composto da Spagna, Portogallo e Italia. 19 Bollettino UE 3-1996 Politica agricola (9/20) 1.3.135. Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CEE) n. 404/93 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della banana. Regolamento da modificare: regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio - GU L 47 del 25.2.1993 e Boll. 1/2-1993, punto 1.2.74 -, modificato da ultimo dal regolamento (CEE) n. 3290/94 - GU L 349 del 31.12.1994 Riferimenti: Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio COM(96) 37 e Boll. 1/2-1996, punto 1.3.171 Proposta di regolamento del Consiglio recante adattamento del regolamento (CEE) n. 404/93 in ordine al volume del contingente tariffario annuo di importazione di banane nella Comunità in seguito all'adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia - GU C 136 del 3.6.1995, COM(95) 115 e Boll. 4-1995, punto 1.3.110 Relazione della Commissione sul funzionamento dell'organizzazione comune del mercato delle banane Boll. 10-1995, punto 1.3.178 Adozione da parte della Commissione in data 6 marzo. Questa proposta, che completa le due proposte attualmente allo studio presso il Consiglio, riprende le conclusioni della relazione presentata nell'ottobre 1995 dalla Commissione, e si prefigge il fine di risolvere il problemi sorti nel quadro del funzionamento dell'organizzazione comune dei mercati, creando un equilibrio nuovo e duraturo tra i diversi interessi in causa e salvaguardando nel contempo i principali obiettivi del regime. La proposta prevede, essenzialmente: ? la modifica della ripartizione del contingente tariffario tra le tre categorie d'operatori interessate per tener conto del fatto che le importazioni di banane dei tre nuovi Stati membri provengono essenzialmente dall'America latina; ? l'allineamento delle condizioni di rilascio dei certificati di importazione per le banane ACP non tradizionali con quelle già in vigore per le banane ACP tradizionali; ? l'inserzione di disposizioni che consentano di tener conto, per gli operatori confrontati da circostanze avverse di forza maggiore, un periodo di riferimento meno penalizzante; ? la possibilità, per i nuovi importatori che soddisfino a talune condizioni (quali l'importazione di una quantità minima per tre anni consecutivi), di passare alla categoria degli importatori tradizionali. [ GU C 121 del 25.4.1996 e COM(96) 82 ] Il provvedimento aveva come risultato la mancata importazione di oltre 600 milioni di tonnellate di frutta all’anno. Dall'altro lato dell'oceano, le conseguenze si annunciarono addirittura catastrofiche: almeno 180 mila licenziamenti (che equivale a lasciare altrettante famiglie - almeno 600 mila persone - senza mezzi di sussistenza) ed una perdita economica valutata in oltre 1500 miliardi di lire nei tre anni successivi. Una classica guerra dei poveri, insomma, che rischia di mettere in ginocchio le diverse "Repubbliche delle banane" la cui economia si basa in gran parte proprio su questa monocultura: tutti i Paesi dell'America Centrale, a cominciare da Costa Rica e Honduras, ma anche, 20 Ecuador, che vive di petrolio e di frutta (è il maggior produttore mondiale di banane: 2,5 milioni di tonnellate l'anno). Nel maggio 1997, una "commissione di arbitraggio" (detta "panel") della "Organizzazione Mondiale del Commercio" (OMC) ha dato ragione agli Stati Uniti e a quattro paesi latinoamericani (Ecuador, Guatemala, Messico e Honduras) nel conflitto che li oppone all'Unione Europea a proposito delle esportazioni di banane. Nel suo rapporto finale, il "panel" dell'OMC ha deciso che il sistema europeo di organizzazione del mercato delle banane non è conforme alle regole del commercio multilaterale e, dunque, deve essere rapidamente smantellato in nome del libero scambio. Ecco il testo della risoluzione B4-377/97 del Parlamento Europeo, votata all'unanimità il 15 maggio 1997 a Strasburgo. Il Parlamento europeo, ? visto l'accordo GATT e il proprio parere conforme del 14 dicembre 1994 sulle procedure di composizione delle controversie nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio 1 , ? vista la positiva composizione delle controversie in casi precedenti, 1. esprime preoccupazione riguardo alla situazione problematica in cui si trovano i piccoli produttori dei paesi tradizionalmente esportatori di banane e analoghi fornitori in seno all'Unione europea; 2. ritiene che il parere espresso dal panel OMC sia inaccettabile e sollecita pertanto la Commissione a esaurire completamente la procedura di ricorso sui punti non regolamentati da chiare disposizioni GATT; 3. esprime profonda preoccupazione per le ripercussioni che tale parere ha già causato tra i produttori di banane nella Comunità e i tradizionali esportatori di banane dei paesi ACP; 4. sollecita la Commissione a presentare una strategia chiara in merito al futuro del mercato delle banane, che permetta all'Unione di soddisfare gli obblighi contratti con i suoi partner ACP e con i produttori dell'Unione; 5. si dichiara favorevole al mantenimento e al miglioramento del regime comunitario della banana onde proteggere gli interessi dei produttori dei paesi ACP, conformemente agli impegni sottoscritti nella Convenzione di Lomé, e dei produttori comunitari; 6. sottolinea tuttavia che esiste la necessità, da parte di coloro che sono interessati al futuro del regime, di iniziare a concepire proposte per un regime alternativo che risponda agli obiettivi di una produzione sostenibile delle banane, di concerto con le organizzazioni dei rappresentanti dei piccoli produttori e lavoratori direttamente interessati dal regime; 7. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione nonché ai governi dei paesi ACP e degli Stati membri dell'Unione. 21 Nel gennaio 1998 la Commissione di Bruxelles presentò una proposta di modifica per adeguarsi alla sentenza; proponendo una disciplina speciale per l'assistenza ai fornitori ACP tradizionali di banane per un periodo non superiore ai 10 anni, scopo di questa assistenza finanziaria e tecnica sarebbe stato quello di facilitare l'esecuzione di programmi destinati a promuovere la competitività nel settore della banana, in particolare mediante l'aumento della produttività nel rispetto dell'ambiente, il miglioramento della qualità, l'adattamento dei metodi di produzione, di distribuzione e di commercializzazione alle norme qualitative stabilite dall'articolo 2 del regolamento (CEE) n.404/93. La controproposta europea in pratica sosteneva che i paesi ACP non operano in condizioni di equa competizione perchè la loro produzione è il frutto di piccole piantagioni rispetto ai latifondi latinoamericani controllati o direttamente posseduti dalle grosse società come Chiquita, Dole e Del Monte. Nell’ Aprile scorso la giuria del WTO allestita per esprimersi sulla questione delle banane ha deciso a favore degli Usa. La sentenza doveva dire se le modifiche che l’UE aveva introdotto soddisfacevano la sua precedente sentenza del 1997. La giuria ha rilevato che le regole dell’UE violano gli articoli XIII , Paragrafi 1 e 2 del GATT, così come l’articolo I (trattamento di nazione più favorita) e il II e XVII (sempre trattamento di nazione più favorita e trattamento nazionale). 3.2 Competitività impossibile L'impatto sulle economie dei paesi più poveri produttori di banane della decisione presa dall'Organizzazione Mondiale del Commercio può essere devastante, perché tocca gli interessi vitali di milioni di piccoli contadini ed organizzazioni economiche che, soprattutto in Africa e nei Caraibi, basano il loro reddito sull'esportazione delle banane. Innanzittutto, non saranno in grado di dar vita ad uno sfruttamento intensivo delle piantagioni: non hanno a disposizione i grandi macchinari della Chiquita o della Dole, né tantomeno hanno a disposizione il famigerato "uomo Del Monte" che controlla banana per banana il grado di maturazione del frutto. Può sembrare solo una battuta quest'ultima, ma la conservazione del prodotto è uno degli aspetti fondamentali nella commercializzazione internazionale della banana: nelle grandi piantagioni, infatti, il frutto viene staccato quando non è ancora maturo, viene poi stoccato in grandi frigoriferi e può giacere in quei depositi anche per molte e molte settimane. I piccoli produttori, invece, hanno strumenti inadeguati 22 a conservare per lunghi periodi le banane, e hanno perciò una percentuale di perdita del prodotto molto alta, cosa che già li mette in difficoltà nel mercato. Ma è chiaro che la sostanza del problema è politica, nel senso che rinvia al tipo di relazioni economiche e commerciali che vogliamo avere con i paesi in via di sviluppo (PVS). Come possiamo pensare che i PVS possano sviluppare le loro economie se li costringiamo a inserirsi nel mercato globale in condizioni di inferiorità? Il libero scambio può anche essere una bella cosa, ma a condizione che dia a tutti le stesse condizioni di partenza e di commercio. Ora, siamo ben lontani da questa situazione: con la decisione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio di dichiarare "illegale" il sistema europeo di importazione delle banane si vede chiaramente che il liberoscambismo serve solo ai più forti. La Chiquita non sembra essere molto interessata alle sorti economiche di intere strutture produttive in molti PVS... Un episodio -questo delle banane- che illustra chiaramente le ragioni delle organizzazioni internazionali di solidarietà quando, già molti anni fa, dicevano che gli accordi commerciali firmati a Marrakesh costituivano uno "specchietto per le allodole", che erano funzionali solo agli interessi del Nord del mondo e che non erano in grado di garantire la crescita economica del Sud. Il principio è un po' quello del cacao, per il quale esiste una decisione della Commissione Europea di Bruxelles di autorizzare la sostituzione del 5% di burro di cacao nella produzione di cioccolato con altri prodotti vegetali. Da una parte ci si riempie la bocca di (falsi) principi ispirati allo sviluppo e dall'altra si prendono decisioni concrete che vanno nella parte opposta, che non fanno altro che aumentare la povertà nel Sud del mondo. Almeno ci venga risparmiata la "retorica sviluppista" di tanti leader mondiali... 3.3.Scontro USA-UE La decisione finale sulla questione della guerra delle banane è stata formulata dalla commissione competente in seno alla WTO, appena dopo le feste pasquali, riconoscendo danni per 191 milioni di dollari all'economia statunitense.L’ ufficio del rappresentante commerciale Usa, rivendicando una vittoria significativa nonostante il valore delle sanzioni sia stato dimezzato, ha immediatamente sottolineato che la decisione autorizza gli Stati Uniti ad implementare le sanzioni programmate contro i prodotti europei, e pubblicherà un elenco di prodotti coinvolti nei superdazi che verranno calcolati con effetto retroattivo a partire dal 3 marzo. La decisione della Wto sulla guerra delle banane potrebbe divenire un precedente e avere conseguenze nelle altre dispute commerciali oggi nel mirino Usa, quali la carne agli ormoni e l'acciaio. 23 Al primo annuncio delle ritorsioni Usa sui prodotti europei, risalente agli inizi di marzo, il ministro del Commercio estero italiano, Piero Fassino, aveva osservato che l'Italia risulta essere il Paese europeo più penalizzato, con un danno alle esportazioni intorno ai 250 miliardi, solo per quanto riguarda i prodotti inclusi nella guerra delle banane. Gli Stati Uniti, in attesa di un verdetto finale della Wto, sono andati avanti con le sanzioni, introducendo i cosiddetti "banana bonds", eliminando di fatto i prodotti europei inclusi nella lista nera dall'importazione nel mercato statunitense. Gli Usa d'altronde hanno solide ragioni dalla loro parte: soprattutto perché nel merito delle specifiche questioni, le posizioni della Ue sono piuttosto difficili da difendere, tenendo conto delle passate decisioni della Wto in materia. In coda alla guerra delle banane si è aperto un altro conflitto commerciale sul divieto di importazione in Europa delle carni agli ormoni provenienti dagli Stati Uniti. L'Organizzazione mondiale del commercio del resto aveva già deciso sulla questione della carne agli ormoni, dichiarando illegittimo il divieto di importazioni nell'Unione europea di carne trattata con ormoni per la crescita, decisione che gli Stati Uniti intendono mantenere valida. Washington è disponibile a trattare solo sull'unica ipotesi di compromesso emersa finora, cioè la marcatura delle carni americane con etichetta di provenienza che può renderle facilmente individuabili al consumatore. Tuttavia, l'Unione europea aveva respinto questa ipotesi, chiedendo un rinvio della decisione a quando saranno resi noti, dopo un accurato studio scientifico, i rischi della carne agli ormoni sull'organismo umano, rinvio che gli Stati Uniti non intendono accettare. Nella guerra agli ormoni sono inclusi prodotti europei quali pelati, conserve alimentari, tartufi, cioccolata, motociclette di cilindrata fino a 500cc. Si è così passati da un danno economico per la Ue calcolato intorno ai 200 milioni di dollari con la sola questione delle banane ad un danno di circa 900 milioni di dollari. Il danno per l'Italia, uno dei maggiori esportatori di prodotti alimentari, è notevolmente aumentato e, secondo le autorità italiane, ingiustamente e sproporzionatamente. BILANCIA COMMERCIALE USA - UE Gennaio 1999 Dicembre 1998 Import Usa da Ue 13.353 15.923 Export Usa verso Ue 12.237 12.688 Saldo Usa - 1.116 - 3.235 Fonte : http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html 24 Intanto, il deficit commerciale Usa totale è salito ancora a gennaio al livello record di 17 miliardi di dollari, dai 14 miliardi del mese precedente. L'interscambio degli Stati Uniti con l'Unione europea vede un saldo attivo per la Ue per il solo mese di gennaio 1999 di 1.116 milioni di dollari contro un valore di 3.235 di dicembre 1998 Le esportazioni Usa verso l'Unione europea hanno totalizzato a gennaio 12.237 milioni di dollari, quasi invariate rispetto al dicembre del 1998, mentre le importazioni statunitensi dalla Ue hanno raggiunto un valore di circa 13.353 milioni di dollari contro i 15.923 di dicembre. Per l'Italia si riscontra a gennaio un saldo attivo con gli Usa di 865 milioni di dollari, contro i 1.035 di dicembre. Le esportazioni statunitensi verso l'Italia, per il solo mese di gennaio hanno totalizzato circa 730 milioni di dollari, contro i 795 di dicembre, mentre le importazioni di prodotti Ue sono ammontate a circa 1.596 milioni di dollari contro i 1.829 milioni di dicembre. BILANCIA COMMERCIALE USA - ITALIA Gennaio 1999 Dicembre 1998 Import Usa da Italia 1.596 1.829 Export Usa verso Italia 730 795 Saldo Usa - 865 - 1.035 Fonte : http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html È da segnalare comunque che gennaio non è da considerare, su base annua, un mese molto attivo nel commercio internazionale statunitense. Per l'economia Usa continua il trend positivo di crescita. La revisione del Pil Usa nell'ultimo trimestre '98, che fissa una crescita del 6% dal 6,1% precedente, conferma la solidità della ripresa. Il tasso di disoccupazione rimane stabile intorno al 4.2%, mentre il tasso di inflazione annuo rimane ancora molto contenuto intorno all'1.3 per cento. Totale Prodotti Servizi BILANCIA COMMERCIALE USA Gennaio 1999 Gennaio 1998 1998 - 16.990 - 10.022 - 169.288 - 23.420 - 17.187 - 248.159 + 6.430 + 7.165 + 78.871 25 Fonte :http://www.amcham.it/doc/scontro_usa_ue.html CONLUSIONI Insomma, per i "produttori tradizionali ACP"sarebbe meglio che l’ Europa continuasse a rispettare gli obblighi fissati nel quinto protocollo sulle banane allegato alla Quarta Convenzione di Lomé. Anzi, da parte della "Commissione Sviluppo e Cooperazione" del Parlamento Europeo è più volte venuta la richiesta -inascoltata- di estendere le garanzie concesse ai produttori ACP rispetto al loro accesso al mercato europeo. Da notare anche che la domanda europea di banane è da anni in constante crescita, e non si capisce perché ai "produttori tradizionali ACP" non debba essere riservata una quota-parte di questo mercato. Parallelamente alla campagna in atto all'interno della Organizzazione Mondiale del Commercio per smantellare il sistema europeo, le grandi multinazionali agroalimentari hanno "buttato" nel mercato enormi quantitativi di banane sinora conservate nei loro depositi, sia per piegare la competitività ACP sia per dimostrare quanto sia inefficace il sistema europeo. Una forma grave e scorretta di concorrenza che dovrebbe essere colpita dall'Organizzazione Mondiale del Commercio. Tanto per cambiare siamo di fronte ad una scelta politica: o permettiamo ai paesi più poveri un reale sviluppo che passa eventualmente anche attraverso la protezione temporanea delle loro capacità produttive, oppure facciamo finta che siamo tutti uguali e facciamo viaggiare tutti "alla stessa velocità di mercato". Ma l'economia del Giappone è forse la stessa di quella della Giamaica? Quella dell'Italia è forse la stessa del Burkina Faso o della Costa d'Avorio? Quella della Germania è la stessa della Cambogia? Eppure le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio solo le stesse per tutti, il principio del libero mercato è imposto a tutti, per tutti vale la stessa competitività. Peccato pero' che tutto ciò sia un'illusione ottica che serve a noi per conquistare anche i mercati dei paesi poveri e nulla abbia a che fare con uno sviluppo endogeno, sostenibile, degno della persona umana. Pensateci quando mangerete la prossima volta una "banana Chiquita"... 26 Informazioni sul WTO sono disponibili su questi siti: Sito ufficiale WTO: www.wto.org Public Citizen's Global trade Watch, USA www.tradewatch.org Institute for Agricolture and Trade Policy, USA www.iatp.org Third World network, Malesia www.twinside.org.sg Corporate Europe Observatory http://www.xs4all.nl/~ceo/wto/ Council of Canadians http://www.canadians.org/ SEED Europe http://www.antenna.nl/aseed/trade/ Friends of the Earth www.foe.org Questo testo è stato prodotto utilizzando come base "A Citizen's Guide to the World Trade Organization", pubblicato nel luglio 1999 dal Gruppo di lavoro sul WTO/MAI, disponibile sul sito: http://www.citizen.org/pctrade/whatsnew/new.htm, traduzione e integrazione di roberto meregalli.