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il tazebao 1 13-11-2006 il tazebao Giornale autogestito ANNO 4 - NUMERO UNO 13-11-2006 Sommario non c’è tre senza quattro... Casa internazio- 2 nale delle donne Lara 3G Commento al 3 Papa Ferdinando 5A Fatti e opinioni 4 David Braha I dolori del gio- 5 vane Walter Fabrizio 5A Elementi di dia- 6 lettica comune Alessandro 5A “Iene” censurate 7 Ferdinando 5A Dopo quattro anni, siamo ancora qua. I nostri lettori più affezionati avranno sicuramente notato alcune differenze rispetto agli anni precedenti: veste grafica rinnovata, sistema di direzione cambiato (introducendo il ruolo del vicedirettore) e una redazione in continua evoluzione. Come ogni anno è importante ricordare che il giornale è aperto a chiunque sia interessato a parteciparvi, nessuno escluso: abbiamo voluto creare un giornale assolutamente libero da censure, dove chiunque possa scrivere di qualsiasi cosa, o anche di niente (si ricordi in proposito l’articolo dell’anno scorso del nostro compianto ex collega Matteo Salvarezza, ora studente di Fisica, che pubblicò un puro esercizio di stile assolutamente vuoto nei contenuti). Nel corso degli anni si è scelto di cambiare la forma organizzativa scegliendo di eleggere di anno in anno un direttore che si occupasse dell’organizzazione delle riunioni e assicurasse uscite regolari. Questo sistema ha portato i suoi frutti e “il Tazebao” l’anno scorso (primo anno in cui si è eletto un direttore) ha superato tutti i record come numero di uscite e numero di pagine! Con la speranza di poter ulteriormente superare gli attuali record abbiamo deciso quest’anno di introdurre la figura del vicedirettore, in modo da garantire al giornale un forma sempre migliore e un’organizzazione più stabile. È comunque per me un vanto poter affermare che, nonostante questo nuovo sistema di organizzazione i miei timori non si sono verificati e il giornale ha mantenuto, contrariamente a quanto mi aspettassi, un carattere di assoluta libertà di espressione (e ricordo a riguardo l’introduzione polemica ad un mio articolo dell’anno scorso causato da un alterco con l’attuale ex direttore). Un altro importante cambiamento è quello relativo al sito web del giornale (www.iltazebao.altervista.org), su cui sono inseriti regolarmente tutti i numeri del giornale, prima ancora prima dell’uscita cartacea, che speriamo diventerà un’importante archivio on line (tutti gli articoli da me citati possono esse(Segue in ultima pagina) Dizionario infor- 8 matico Michele 5A Il telecomando 9 Fabio 4F A Matter of life 10 and death Niccolò e Fabrizio 5A Who’s next 12 Teo 4F Wolfmother 13 Marco 5G Burocrazia uni- 14 ca via Giulio 3D Dylan Dog 15 Alessandro 5A 13-11-2006 2 il tazebao Casa internazionale delle donne tra storia e ideologia La “Casa Internazionale delle Donne” si trova a Roma, in via della Lungara 19, occupa circa 1900 mq e comprende: un ampio cortile interno, un ristorante, una foresteria, un centro congressi, una biblioteca, “Archivia”, una libreria, un “bioristoro”, una bottega equosolidale e un ostello per donne. L`edificio, inoltre, ospita iniziative e incontri più o meno inerenti l’ambito femminile come ad esempio centri di consulenza psicologica e legale, presentazioni di libri, mostre, dibattiti e corsi promossi da esperte del settore. La casa è gestita da circa quaranta associazioni composte unicamente da donne e la sua nascita ed evoluzione sono strettamente correlate ad esse. Per saperne di più ho chiesto di poter incontrare una delle “storiche” del posto; in poco tempo ho ottenuto un appuntamento per il giorno seguente. Donatella si presenta, ci sediamo in giardino e mi racconta a grandi linee la storia del luogo. Nacque intorno al 1600 come primo reclusorio femminile carmelitano dello Stato della Chiesa, funzione che manterrà per molti secoli fino a diventare con l’avvento del regno d’Italia, un carcere statale amministrato da suore. Nel 1895 il carcere si trasferì poco lontano, a Regina Coeli. Nel 1983 le suore lasciarono l’edificio, che verrà poi destinato “a finalità sociali, con particolare riguardo alla cittadinanza femminile (Casa della donna, sede dei movimenti femministi)” (delibera n. 6325 del Comune di Roma) e assegnato, in parte, al Centro Femminista Separatista costituito da dieci associazioni e gruppi che, in cambio di questa sede, lasciarono la casa delle donne di Via del Governo Vecchio (dove a breve si terrà una mostra a tema). Seguono anni di contrattazione con il Comune e, nel 2000, si ottiene l’approvazione finale del progetto. “È un luogo aperto, libero, dove incontrarci” conclude Donatella. Mi chiedo cosa accomuni tante donne ed ho subito la mia risposta:”la coscienza femminista. Essa parte dall’esperienza di un corpo sessuato, intriso di relazioni che fa tutt’uno con il pensiero e il linguaggio”. Donatella cita Tamara Pitch dal XII Simposio IAPH (Associazione Internazionale delle Filosofe). ”In questa frase c’è tutto” mi fa notare, ”c’è il discorso della concezione della sessualità della donna, che viene messa in primo piano dal movimento femminista, c’è l’aspetto del rapporto con il proprio e l’altrui sesso, e il discorso “moderno” del linguaggio”. Linguaggio? Donatella me ne parla: il lavoro va avanti da molto e in vari paesi, quello che si sta facendo è cercare di rivedere alcune regole grammaticali. Tra tutte, la piu` discussa è quella che impone l’uso del plurale maschile per un insieme di cose o gente nel quale ci sia anche una sola cosa o persona maschile, poiché “chi non viene nominato non esiste”. Mi viene in mente il presidente Ciampi con il suo: ”cittadini e cittadine…”. A questo punto passa un’altra delle donne storiche della casa, che avvisa l’amica della fiaccolata del 14/10 contro le violenze sessiste a causa dell’ennesimo stupro. Mi stupisce che usi l’espressione “violenze sessiste” e non sessuali, quindi mi spiega: ”il concetto di sessuale è troppo bello, troppo importante per noi che non riesco ad accostarlo alla parola “violenza”. Lo stupro è un crimine che non ha nulla di sessuale, è un crimine che va contro le donne, le riporta alla concezione di “corpo” contro la quale abbiamo combattuto per anni”. Il concetto di sessualità è stato affrontato più volte durante questo incontro e degli anni ‘70 restano celebri slogan come: “il corpo è mio e me lo gestisco io“ ma, chiedo, perchè molto si basa su questo aspetto? “Il controllo della sessualità femminile è alla radice della separazione tra sfera privata e pubblica” come afferma Tamara Pitch. “È quello che ci ha permesso di uscire dal silenzio quando ci siamo “partorite da sole”, come si diceva negli anni di fermento, ed è anche quello che ci ha fatto capire che il solo movimento d’emancipazione, che puntava unicamente ad un’universalizzazione dei diritti, non bastava per poter rendere universale la società” conclude Donatella. “Bisogna muoversi ancora per arrivare ad una parità effettiva tra i sessi”. Oggi come si presentano i movimenti femministi? ”Non sono morti, come ad alcuni piace sostenere, ma vengono percepiti più come rivoli sotterranei, non riescono più ad emergere come negli anni ‘70. In quel periodo abbiamo ottenuto svolte significative: l’abolizione del delitto d’onore, la possibilità di abortire statalmente assistite,ecc… e tutto questo basato sull’autocoscienza”. Adesso quali potrebbero essere delle conquiste per le donne? ”Oggi la concezione del lavoro come 13-11-2006 3 identità è radicata in voi,ma il lavoro non ha ancora in sé la concezione delle donne; si sentono ancora, durante colloqui, domande sul matrimonio o sui figli. C’è un discorso positivo riguardo ai “bilanci di genere” che stanno prendendo piede già in molte città come Aosta, Genova e Modena. Potrebbero veramente offrire una lettura diversa della gestione dei fondi destinati al pubblico. Prevedono infatti una ridistribuzione finanziaria e il tazebao un’erogazione di risorse in base ai bisogni delle donne. Sarebbe potuto essere un buon traguardo anche il referendum sulla fecondazione assistita che invece si è rivelato un grande fallimento del femminismo italiano”. Lara Vivian III G Commento al discorso del Papa all’Università Gregoriana L’importanza di una vita unica e finita Oggi, venerd’ 3 novembre, il Papa, nel discorso tenuto alla pontificia università gregoriana, ha affermato, tra le altre cose, che «il destino dell'uomo senza un riferimento a Dio non può che essere la desolazione dell'angoscia che conduce alla disperazione». Forse sarà solo un opinione mia, ma, in tutta franchezza, penso che se non vuole essere tacciato di pesante ipocrisia Benedetto XVI (pron. icsvì) dovrebbe dichiararsi l'ultima persona in grado di sapere come si sente un non credente. Ovverosia quello che mi chiedo è: come fa lui a sapere come si sente uno che non crede a ciò cui lui ha dedicato la sua esistenza? Casomai il papa potrà sapere come si sentirebbe lui se fosse privato di questa certezza, o può parlare per il cattolico tipo. Se l'avesse posta in questi termini avrebbe evitato una sommaria generalizzazione e avrebbe evitato di dare l'impressione di non aver mai sentito parlare di Epicuro, ma dubito che avrebbe ottenuto lo stesso impatto mediatico. Il papa sbaglia con il suo universalizzato finalismo. E' possibile vivere serenamente con la convinzione che in capo a cent'anni (massì, siamo pure ottimisti, la longevità sta aumentando rapidamente) saremo sicuri di ritrovarci sotto terra/in un loculo/cremati/lasciati a scheletrire da qualche parte. Io (e come me molti altri) vedo la consapevolezza che il mio tempo è destinato a finire e che un giorno uscirò di scena per sempre come qualcosa che renda prezioso e saporito il mio vivere, e in un certo qual modo sono anche lieto che sia così. Perchè ne sono lieto? Certo non per masochismo o per tedio esistenziale. Io amo la vita e sono felice di come io sto conducendo la mia, ma l'idea di vivere per sempre mi scuote un po'. Se dopo la morte ci fosse un'altra vita, allora alla lunga si trasformerebbe in qualcosa di terribilmente tedioso, senza contare il prosaico problema del sovraffollamento incredibile di anime che ci sarebbe sulla terra. Vivere per sempre sarebbe tedioso appunto perché sarebbe qualcosa di orribilmente uguale a se stesso. Pensateci bene: osservare come i progetti da noi lasciati incompiuti in vita sono terminati da altri potrebbe essere interessante, seguire i propri discendenti dopo la propria morte potrebbe essere una esperienza stuzzicante, osservare l'evoluzione della propria società può risultare stimolante, chiacchierare con gente di vari periodi storici e con i novelli defunti può essere costruttivo, ma per quanto tempo ciò ci porterà piacere? Cent'anni? Duecento anni? Cinquecento anni? Mille anni, addirittura? Ma questo tempo è in confronto all'eternità molto più piccolo di un granello di sabbia a confronto con un intera galassia. Cosa troveremmo di nostro interesse dopo centomila anni, che cosa non ci causerà una straziante nostalgia (sappiamo quanto chi ha vissuto tanto ne soffra) quando saremo sopravvissuti ad una terra precipitata dentro un espansivo sole oramai rosso? Come potremmo sopportare un eventuale trasloco dal nostro sistema solare ad un altro, quando, dopo cinque miliardi, la razza umana si sarà estinta o sarà diventata completamente irriconoscibile e il sole si sarà spento? Oppure, come potremmo rimanere a nostri agio nel buio nulla dello spazio se ci rifiutassimo di andarcene?Come potremmo evitare il tedio di sgomitare in una folla di miliardi di miliardi di persone che avremo avuto fin troppo tempo per conoscere e per, dopo miliardi di anni di forzata convivenza, ritenere insopportabile? L'unico modo per evitare questo tedio immane è fermarsi a quei 70, 80, 90 anni che speriamo la vita ci conceda. Oppure non ricordare niente di quanto ci è successo prima, con la reincarnazione. Vista così, ecco che la vita eterna non è più tanto desiderabile. Per quanto riguarda il valore della vita breve in quanto tale, propongo solo un paragone: più una qualche cosa è rara, unica e in quantità limitata e più è preziosa. Ferdinando Randisi V A 13-11-2006 4 il tazebao I fatti sono fatti. Le opinioni si discutono Nonostante il conflitto, la vita continua Cari redattori de “il Tazebao” e studenti del Righi, a diversi mesi dall’ultima uscita di questo giornale scolastico, rispondo nuovamente ad un articolo di Federico Bobbio (“il Tazebao” anno 3 n. 5) che a sua volta rispondeva ad una mia lettera sul tema del Sionismo (“il Tazebao” anno 3 n. 4). Prima di tutto ci tenevo a ringraziare Federico per le sue “precisazioni” su ciò che ho scritto; ma chi voglio ringraziare più di tutti è la persona misteriosa che ha redatto per mano di Federico il suddetto articolo, in quanto dubito fortemente che un ragazzo di secondo liceo invece dei fumetti e dei libri che gli assegnano a scuola va a cercarsi letture nella biblioteca dell’ONU. Ciò premesso, cito la frase con la quale ho concluso il mio ultimo pezzo: “E allora, cari lettori, […] riflettete su un fatto: le opinioni sono e devono essere oggetto di discussione. I fatti no”. Già queste parole rispondono quindi al primo punto, in cui Federico riporta il pensiero di Nathan Chofshi sulla presunta violenza e crudeltà con la quale gli ebrei obbligarono gli arabi a lasciare le proprie case. Egli infatti esprime una ben precisa opinione su determinati fatti, e non una verità oggettiva. Ognuno di noi, come è normale che sia, ha le proprie idee e, quando può, le esprime. Invito quindi Federico e, naturalmente tutti i lettori di questo giornale, ad analizzare i fatti storici e non le interpretazioni che le persone (chiunque esse siano) danno di questi. Per rispondere al secondo punto, userò un procedimento che in matematica chiamano “dimostrazione per assurdo”. Federico scrive: “Il 15/5/48 gli Stati arabi entrarono in conflitto con Israele per difendere i Palestinesi del territorio assegnato dall’O.N.U. agli arabi, senza mai entrare nel territorio dello Stato Ebraico”. Noi sappiamo che Israele, dichiarandosi indipendente, ha preso il controllo esclusivamente dei territori assegnatigli dall’U.N. . In altre parole, gli ebrei “non entrarono a casa degli arabi”. Ma secondo le parole che ho appena citato, anche gli arabi “non sarebbero entrati in casa degli ebrei”. Allora, se nessuno è entrato in casa dell’altro, cosa si è combattuto a fare?! Nelle parole di Federico vi è un’ulteriore imprecisione: rileggendo quelle righe, egli parla di “Palestinesi”. Il problema è che, a quell’epoca, i Palestinesi non esistevano. Fino ad appena venti anni prima (ai tempi della Prima Guerra Mondiale), il Medio-Oriente era controllato dall’Impero Ottomano, all’interno del quale non erano mai esistite delle vere e proprie identità popolari o nazionali (per intenderci, un popolo libanese, un popolo palestinese ecc…). Gli arabi che abitavano la regione nel ’48 quindi non solo non erano un popolo, ma addirittura non si sentivano tali! Per quanto queste parole possano apparire paradossali, ciò è confermato dal fatto che essi non avevano una struttura amministrativa e/o dei leaders. La vera identità palestinese, che oggi rivendica la nascita di uno Stato indipendente (ci tengo a sottolineare che io sono più che favorevole alla nascita di uno Stato Palestinese, ma questa è una mia opinione J), nacque a seguito della guerra del 1967 grazie alla presenza di strutture come l’OLP e al carisma di un personaggio come Yasser Arafat. Anche questa volta per problemi di “spazio editoriale”, mi asterrò dal rispondere al terzo punto. Ci tengo piuttosto a parlare di un’altra cosa. Come il mio caro amico Federico ed altre persone del Righi sanno, io ho concluso il mio ciclo di studi in questa scuola appena tre mesi fa. A meno di un mese dalla fine della Maturità, sono andato in Israele, e più precisamente a Gerusalemme, per proseguire i miei studi universitari. Vi scrivo questo non per raccontarvi la storia della mia vita, ma per rendervi partecipi di ciò che segue. Vivendo da dentro una situazione delicata come questa, si capiscono molte cose in quanto le si vedono da punti di vista completamente nuovi e diversi. Personalmente dentro l’università ho conosciuto numerosi ragazzi palestinesi, due dei quali si trovano in classe con me, con cui ho legato in maniera stupenda e soprattutto serena. È per questo che mettersi a fare questo ping-pong di articoli, ora che vivo sulla mia pelle tutto ciò che succede, trovo che sia estremamente inutile e banale. Lo trovo banale perché, di nuovo, non discutiamo opinioni ma fatti; lo trovo inutile perché, continuando così, non se ne uscirebbe mai fuori. Io sono più che disposto a discutere (per esempio) su problemi come la legittimità della risoluzione O.N.U. che im- 13-11-2006 il tazebao 5 pose la spartizione dei territori fra ebrei ed arabi: quella è una questione di posizioni in quanto uno può essere d’accordo o meno; non sono invece disposto a discutere su invenzioni e falsità degne di un libro di fantasia che certa gente, o certe fonti, spacciano per vere. A questo punto il confronto perderebbe di significato in quanto si discuterebbe, come si dice, di “aria fritta”. Dovete inoltre sapere che un buon 80% di quello che i mass media riportano (lo stato di guerra totale, continuo e distruttivo; scontri, combattimenti, morti, feriti ecc…), non corrisponde a verità. A Gerusalemme, come nella maggior parte degli altri luoghi, la vita prosegue serenamente tanto quanto da voi a Roma. Purtroppo, i giornali non fanno gli interessi delle parti in causa ma fanno solo ed unicamente i propri: narrare in maniera eccessiva storie di sangue, violenza e morte procura più “audience” e comporta vendite maggiori; se tutto va liscio invece, la gente non è interessata. Ed è per questo che vengono fin troppo spesso tralascia- te immagini come quelle che potete vedere in questa pagina (soldati israeliani che giocano a calcio e che scherzano serenamente con bambini palestinesi). In fin dei conti gente, tutto quello che io e voi, così come la stragrande maggioranza di israeliani e di palestinesi desideriamo è una sola cosa: la pace. Ma il cammino per raggiungerla non è di certo semplice, anzi… Ma un ottimo passo per aiutare questi due popoli a raggiungerla è smetterla di raccontare bugie, guardare ai fatti così come sono e, se necessario discutere le opinioni. È per questo che invito tutti voi lettori, e naturalmente anche Federico, a credere solo ed unicamente a quello che vedete con i vostri occhi, e non a quello che vi raccontano. David Braha, ex studente del Righi (5H 05-06), ora studente alla Hebrew University of Jerusalem RACCONTO I dolori del giovane Walter Dopo l’ora d’educazione fisica Walter, tornando in classe avverte che qualcosa non va: il suo intestino sta borbottando come una caffettiera. Con la fronte imperlata di fredde gocce di sudore corre verso un bidello per chiedere un soffice, candido, vellutato rotolo di carta igienica. Utilizzando tutta la gentilezza che la sua condizione fisica consenta si rivolge all’uomo seduto sulla sedia che sta contando assorto una miriade di gessetti contenuti in una scatola. In risposta all’accorata supplica del ragazzo il collaboratore scolastico dapprima impreca contro il ragazzo che gli ha fatto perdere il conto e poi gli porge distrattamente un foglio di carta. - Non hai qualcosa di meglio?- chiede il giovane le cui gambe incominciano piegarsi dal dolore. - Non hai capito! Questo è il modulo 32/b per la richiesta di materiale extra-curricolare. Va compilato e portato giù in segreteria.La risposta dell’uomo produce sul volto dello sventurato una smorfia degna dei migliori film di Fantozzi, e presa una penna incomincia a riempire il modulo. Superato quest’odioso ostacolo l’alunno si dirige tra- felato verso le scale: Ogni passo fatto è un sussulto, ogni gradino sceso è un’ impresa. Scese le scale, Marco corre in la segreteria e consegna un modulo pieno di “orrori” grammaticali, reso umido dal sudore della mano che trema per la sofferenza, mentre le gambe si contorcono con le movenze di un twist anni ’60 per contenere l’ospite indesiderato. Ormai sente che la meta agognata è vicina, nella sua mente riesce quasi a palpare la soddisfazione che proverà fra qualche minuto. Con le ultime forze rimaste si dirige verso il bagno che si trova dalla parte opposta del corridoio: il dolore è insopportabile. Giunto davanti alla porta degli igienici la sua speranza naufraga alla lettura di un mesto cartello attaccato alla porta: FUORI SERVIZIO. Fabrizio Vitale V A 13-11-2006 6 il tazebao Elementi di dialettica comune “Non vorrei mai morire per le mie idee, assieme a noi, vediamo il prossimo come un ostacolo perché potrebbero essere sbagliate.” all’affermazione delle nostre idee, contrapposte senza Bertrand Russell possibilità di cambiamento, quasi a livello esistenziale. Ma sappiamo che tutti quelli che hanno improntato la Dal momento che, nella scuola e nella città, assistia- vita a questa contrapposizione, in genere, ce l’hanno mo spesso all’emersione di ideali diversi dai nostri, rimessa. bisognerà in primo luogo capire come avvengono e Spero quindi di dire una cosa universale, quando afcome si regolano gli scambi di idee tra persone civili. fermo che il rispetto per la persona viene a priori delle Quasi mai, e questo è sotto gli occhi di tutti, si riesce a sue idee. mantenere un dialogo costruttivo: si finisce in caciara, ovvero a un continuo urlarsi addosso dove ognuno La conoscenza è il fine rimane sulle proprie posizioni irremovibili, dettate dalle Quali sono allora i metodi e i fini del dibattito tra idee? ideologie, se non addirittura qualche volta si passa alle Ricordiamo sempre che non siamo solo noi a scegliemani. re come discutere, ma anche i nostri interlocutori. Un È positivo un dibattito del genere? Arricchisce l’ascol- pericolo si presenta spesso quando abbiamo a che tatore, oltre a sostenere le parti in causa? Garantisce fare con interlocutori politici, che mirano unicamente a lo scambio sereno e libero di idee? Permette a chiun- confutare le idee altrui. Ed è una trappola in cui si rique di esprimere la propria opinione? No. schia di cadere: anche il più bravo e rispettoso comunicatore, se provocato, spesso risponde all’offesa, prePrima delle idee viene la persona cipitando al basso livello di chi provoca. E questo è In questi casi l’ideologia costituisce un fattore negati- solo un esempio di tattica di chi cerca intenzionalmenvo, a partire dal rapporto con l’interlocutore che ci si te lo scontro. Di fronte a ciò bisogna mantenere l’intentrova davanti. Se uno sa di parzione di comunicare realmente lare con qualcuno di idee connon soltanto attraverso la forma, trapposte, per pregiudizio si poma denunciandolo esplicitamenne su un rapporto di opposiziote; mettere a nudo le intenzioni ne al proprio interlocutore che conflittuali per esprimere la voautomaticamente diventa un glia di costruzione. alieno, la personificazione del Finora si è detto di quanto il dinemico che bisogna combattere battito serva al progresso di ene sconfiggere. Personalmente lo trambe le parti; ma magari qualtrovo un sistema ripugnante, cuno, all’uso reiterato e nauseperché è lampante che non poante di questa parola progresso, trà mai portare a un progresso si sta un attimo confondendo. E ma sarà soltanto fonte di una ha ragione: con il termine proparalisi delle idee e dell’agire. Al gresso le teorie deterministe e contrario, quando si incontra positiviste hanno giustificato nelqualcuno con una concezione la società e nella storia i più ordel mondo diversa dalla nostra, rendi crimini: classismo, liberibisognerebbe come prima cosa smo, eugenetica, razzismo, e ascoltarlo e capire da dove napiù in generale un processo di scono le sue idee. E questo disumanizzazione collettiva. semplicemente perché può alSe po’ dì ‘na cosa? Un dibattito largare i nostri orizzonti, farci non deve per forza portare al conoscere una visione diversa dalla nostra che non è progresso delle parti (vedi al capitolo tesi, antitesi, andetto sia tanto lontana. Ma sarebbe proficuo tentare di nullamento di entrambe → sintesi). Anzi, il progresso cogliere i punti che ci accomunano prima di quelli che non dovrebbe neppure esserne il fine. Il fine di un diaci dividono, per sviluppare una riflessione se non co- logo infatti è la conoscenza. Poi dalla conoscenza demune almeno in contatto; e questa sarebbe già una riverà un’evoluzione, e da questa un progresso. Ma scelta totalmente controcorrente rispetto alla cultura non è così scontato come sembra. politica che impone di vedere tra tutti noi quello che ci Quando incontriamo idee diverse, per forza queste distingue prima di quello che ci accomuna. mettono in crisi le idee che avevamo precedentemenProprio questa distorsione crea una visione del prossi- te. O si scontrano due ipotesi, e si genera una conmo non come un nostro simile bensì come un nostro traddizione che deriva dalla differenza dei principi ideavversario: e così, invece di considerare che si ha a ali, oppure si introduce una riflessione che magari non che fare con persone come noi, magari diverse in atto è stata affrontata, o lo è stata in modo diverso, e quema uguali nelle potenzialità, che non sono dei graniti sto sicuramente porta a una diversa visione delle coimmobili ma possono evolversi, riflettere e cambiare se. Se poi si vuole pensare a quello che ci viene detto, 13-11-2006 7 il tazebao si vuole capire profondamente l’impulso che ci viene dato, questo per forza genererà un cambiamento e magari un miglioramento. Altrimenti no, mi spiace tanto. Per questo dico che una discussione può anche non portare a niente: perché l’impatto sulla persona e sugli ascoltatori non è così immediato come sembra dalla dialettica politica. Se vogliamo fare in quel modo, allora non importa cosa dirà l’altro, tanto noi appena avremo capito qual è il tema della discussione staremo a pensare una risposta da dire subito, indifferentemente da cosa si è detto prima, per non farci sembrare dubbiosi, aperti e magari persino autocritici: efferati crimini in una democrazia parlamentare. Perciò, non vergogniamoci di cambiare idea, di mantenere sempre delle riserve su quello che si dice, di considerare le proprie idee legate a una nostra visione della realtà e non a una verità oggettiva. Il grande Bertrand Russell citato in apertura è un vero esempio: scriveva delle sue idee, ma non le imponeva a nessun altro. Argomentava, non urlava. Se incontrava qualcuno dalle idee diverse, cercava di mettere in comune la riflessione, piuttosto che confutare qualsiasi argomentazione altrui. E così, secondo la mia costruzione mentale, bisognerebbe facessimo anche noi: nelle assemblee come per strada, nei corridoi e in cortile, al bar e allo stadio. Dovunque, c’è bisogno di un nuovo modo di discutere. Libero dalle ideologie, dalle culture della conflittualità, volto al rispetto e alla conoscenza reciproca. Sto parlando di utopia? Beh, è proprio questo il bello! Lo scorso 10 ottobre la nuova stagione delle iene doveva iniziare con un servizio-bomba: 16 parlamentari su 50 risultano positivi ad un ufficioso controllo antidroga. Il test (denominato drug wipe, o tampone frontale) rivela l'uso di sostanze stupefacenti nelle ultime 36 ore, ed è stato somministrato ai parlamentari a loro insaputa da una presunta troupe di una televisione satellitare, ovviamente costituita da iene travestite. Il meccanismo era semplice: un cameraman, una truccatrice, una proposta di intervista, una passata di spugna sulla fronte sudata del parlamentare uscito or ora da una “faticosa e rovente discussione politica”, ed ecco prelevato un campione da analizzare in laboratorio. Risultato: un parlamentare su tre si rivela uno stucchino, facendo uso di cannabis o cocaina. O entrambe. Il fatto, rilevatosi la conferma di un ciò che sotto sotto tutti sospettavamo, ha subito scatenato un gran polverone. Ma il pomeriggio prima della messa in onda del servizio arriva il no dal garante della privacy, e la messa in onda del servizio salta. Quanto di legittimo c'è dietro tutto questo? Dopo un primo esame appare evidente quanto si sia abusato del potere per infangare una notizia compromettente, visto che la motivazione addotta dal garante non avrebbe violato la privacy di nessuno. Infatti, sarebbe stato impossibile riconoscere chi si celasse dietro il dischetto bianco che sarebbe stato messo sopra la faccia di ogni politico presente nel servizio. In realtà, nessuna informazione sarebbe stata rilasciata su di loro, eccezion fatta per la loro appartenenza al parlamento. Con l'oscuramento di questo sevizio abbiamo perso una buona occasione di svago e un buon modo per toccare con mano la corruzione e l'ipocrisia della classe politica, ma forse possiamo volgere la cosa a nostro vantaggio ponendoci una semplice, infantile domanda: cosa abbiamo imparato da tutto questo? Abbiamo imparato che la burocrazia, che a noi comuni mortali appare spesso come una macchina infernale creata per complicare le cose più semplici e per rallentare all'infinito la più stupida delle beghe, può in certi casi essere risolutiva, rapida e soprattutto efficiente. Ovviamente solo se si hanno i contatti giusti. O se si è i contatti giusti. Ma soprattutto abbiamo imparato che in questi casi ci sono due possibili modi di reagire ad una notizia simile. Infatti, se in condizioni standard si sarebbe valutata l'istituzione di un test periodico per accertarsi della pulizia del sangue dei parlamentari, e forse si sarebbero addirittura sentite tuonare, forconi e torce alla mano, le richieste infuocate dell'opinione pubblica benpensante di sapere chi esattamente è stato sorpreso a violare la legge, se c'è di mezzo un numero significativo di politici presi da vari partiti che hanno interesse al che qualcosa sia occultato allora possiamo stare sicuri che il dito verrà puntato sui giornalisti cattivi che “volevano violare la legge sulla privacy”. Tale è la politica (italiana?). Alessandro Manacorda V A Ferdinando Randisi V A 13-11-2006 8 il tazebao INFORMATICA Piccolo Dizionario dei termini informatici Ho scelto di continuare quest’anno il progetto iniziato l’anno scorso: creare un piccolo dizionario (in più “puntate”) delle unità di misura e dei termini informatici. La mia speranza è quella di poter rendere più comprensibili possibile e poter spiegare la reale utilità di termini che a prima vista possono sembrare “alieni”. L’anno scorso i termini da me scelti appartenevano quasi interamente al mondo dell’ “Hardware” (mia principale passione), quest’anno, invece, ho intenzione di inserire alcuni termini appartenenti anche al mondo del software. Michele A. Cecchi V A Hardware e software Presumo che la maggior parte di voi sia sicuramente a conoscenza della differenza tra hardware e software, ma preferisco non dare nulla per scontato. Dare una definizione precisa risulterebbe molto difficile (anche per tutta la storia che questi due termini hanno alle spalle) quindi cercherò di semplificare molto la cosa, a discapito della precisione. Appartengono all’Hardware tutte le componenti materiali di un computer (motherboard, processore, schermo, mouse etc.) tutte quelle parti che hanno “consistenza fisica”. Software sono invece i programmi. Possiamo riunire nella categoria software principalmente tre grandi categorie Sistemi Operativi, Driver e Programmi Applicativi. Ho già in programma di scrivere qualche cosa sui sistemi operativi nel prossimo numero, quindi, per questa volta mi limiterò a citarli. La principale differenza, se non si fosse ancora capita, sta semplicemente nel fatto che l’hardware lo si può vedere e toccare, il software lo si può usare e osservare, ma non “toccare”. Motherboard Nel breve testo precedente ho citato questa importante componente hardware. Ma che cos’è in realtà una “scheda madre”? È una piastra con tanti microcircuiti che ha la principale funzione di mettere in collegamento le varie componenti necessarie in un assemblaggio. Una motherboard presenta tanti “slot” (spazi vuoi in cui si posso inserire componenti informatiche) che vanno riempite con i “pezzi giusti” affinché il computer funzioni. La motherboard ospita più spazi per moduli Ram, spazi per connettori IDE o SATA (per la connessione di Dischi rigidi o lettori cd, o comunque unità ottiche in generale), uno slot per processore e uno per scheda video (nei casi dei più comuni PC da casa) e vari slot per periferiche PCI (come schede di rete o di acquisizione video, solo per citarne un paio, che aggiungono funzionalità alla macchina), porte per periferiche esterne (come porte seriali parallele e USB, solo per citarne alcune) e una quantità di componenti integrate che non sto a citare. Inutile dire che per le sue caratteristiche la scheda madre è una componente fondamentale nell’assemblaggio. Dissipatori Un’altra componente essenziale in un computer sono i dissipatori. Durante il funzionamento il computer produce calore (in particolare i processori); per far sì che queste componenti non si brucino (smettendo poi di funzionare) o funzionino più lentamente è necessario dissipare il calore correttamente, ovvero sottrarlo dalla superficie e disperderlo nell’ambiente. La cura per i dissipatori è spesso praticata unicamente da coloro che vogliono “overclockare” il processore (cioè spingerlo oltre le velocità per cui è stato predisposto). Questo è un grave errore: succede spesso che la polvere intasi la ventola posta sopra il dissipatore (nei dissipatori attivi, il tipo più comune), impedendone il corretto funzionamento. È consigliabile controllare ogni tanto lo stato del dissipatore. Un altro tipo di problema che può essere causato dal dissipatore è l’eccessiva rumorosità del computer, a cui si può rimediare installando una nuova ventola o inserendo un dissipatore passivo (senza ventola, come quello in foto). Per poterne installare uno di questo tipo è necessario, però, avere un computer con almeno un paio di ventole sul case. 13-11-2006 9 il tazebao Firewall Un firewall è un importante sistema di protezione che può essere utile installare sul proprio computer. L’azione che compie un firewall è molto diversa da quella che compie un antivirus: un antivirus cerca e elimina (nei migliori casi!) i virus; un firewall, invece, cerca di prevenire intrusioni da parte di altre persone nel nostro computer e controlla i programmi che accedono ad internet. Per questa ragione l’installazione di tale software è decisamente consigliata per coloro che sono connessi alla rete per molte ore al giorno ed è superflua per quelli che non si connettono mai o al massimo solo per pochi minuti senza avventurasi in reti interne o siti pericolosi. Peer To Peer Esistono molti programmi che utilizzano questo sistema di comunicazione. Il termine vuol dire “da pari a pari” ed è un sistema molto impiegato nei programmi per condividere file online (come ad esempio eMule o dc++). Il peer to peer è una modalità di trasferimento di dati senza intermediari: i file vengono inviati direttamente da colui che possiede i file a colui che vuole scaricarli. Il server serve solo come snodo e come luogo di “incontro” tra vari utenti, ma non ospita nessun file, senza violare, quindi, nessuna legge sul copyright. Il telecomando LA RIFORMA DEL SISTEMA D’INFORMAZIONE è stata approvata all’unanimità dal Consiglio dei Ministri il testo di Gentiloni – Ministro delle Comunicazioni – che si distacca completamente dalla precedente legge Gasparri. Il commento di Prodi è stato : “è una riforma che risponde alle esigenze di concorrenza e pluralismo del mondo radio televisivo italiano”. Berlusconi insorge e accusa il governo di vendicarsi contro Mediaset : egli si riferisce al fatto che nella manovra sia prevista una concentrazione pubblicitaria massima del 45% (abbondantemente sforato da Canale 5 e compagnia) e dichiara che “una democrazia non è più tale nel momento in cui una fazione andata al governo aggredisce lo schieramento opposto nel suo leader e nelle sue aziende” Ma quali aziende?! Berlusconi non ha aziende, le ha tutte lasciate ai suoi figli e amici, lui non ha più il controllo su nulla... o almeno così ha detto… che non sia vero? Mentiva dunque? Incredibile… Ma tornando a noi siamo davvero certi che questa legge vada contro Mediaset? Da quanto deciso RAI3 e RETE4 andranno sul satellite… RAI3 diventerebbe a tutti gli effetti canale culturale… e della Rai cosa resta? La Ventura che grida di non arrendersi anche se il vicino di tenda russa e sull’isola piove da 3 giorni… Bello… Interessante… Per attirare l’audience sarebbe magari più utile approfondire lo sport, cosa che fa oggettivamente meglio Mediaset senza contare che ITALIA1 trasmette un’entusiasmante MotoGp contro una noiosissima F1 della Rai. Wild West e Reality Circus passando per Campioni, Operazione Trionfo, l’Isola dei Famosi, la Fattoria, Amici di Maria de Filippi, la Talpa, Music Farm, Ballando con le stelle, Unan1mous, il Ristorante, La Pupa e il Secchione. Probabilmente ne ho anche dimenticato qualcuno… Inutile sperare che il telespettatore maturi… Bisogna sperare semmai in una crisi di rigetto verso il “Reality” in generale. E tutto sommato si può essere speranzosi visti i flop delle ultime settimane di alcuni di questi show… Speriamo che il troppo “stroppi” pure in questo caso. PROGRAMMAZIONE AUTUNNALE - Per quanto riguarda le trasmissioni di attualità, politica e informazione, hanno ripreso regolarmente l’Infedele di Gad Lerner e Ballarò di Giovanni Floris, senza stupire per gli ascolti, ne in bene ne in male. E’ tornato sulla Rai Santoro con Anno zero, con l’evidente intenzione di evocare Sciuscià, la sua precedente trasmissione, tuttavia gli ascolti sono stati piuttosto bassi. Proprio lunedì 16 ottobre è tornato Crozza Italia su La 7 a tratti davvero di un ottimo livello comico non solo di Maurizio Crozza, ma anche della moglie Carla Signoris e dello straordinario Elio, proprio il cantante di “Elio e le storie tese”. Sempre su buoni livelli anche Le Iene, che continuano a denunciare le anomalie del nostro paese. A parte questi programmi però, siamo costretti a riconoscere con rammarico che il livello del palinsesto tv sta continuando a scendere vertiginosamente… Per chi non ama le soap, ad eccezione dei Simpson al pomeriggio sono rimaste solo trasmissioni indecorose REALITY - Senza scendere nei dettagli è chiaro a tutti come L’Italia sul 2, Al Posto Tuo o La Vita in Diretta che se hanno questo successo sono visti da molta più con un pietoso Cucuzza. Che amarezza. gente di quanto si possa credere… I reality-show ci calano in un mondo completamente trasparente che Fabio Perrone IV F cade però troppo spesso nella crudezza e nell’obbrobrio senza limiti… Dal Grande Fratello si è arrivati a 10 13-11-2006 il tazebao MUSICA A matter of life and death (Una questione di vita o di morte) Band : Iron Maiden Durata : 72 min. Produttore: Steve Harris e Kevin Shirley Etichetta : Columbia records,EMI Finalmente, a tre hanni (come scrisse Gianmarco Trulli) dall’uscita di “Dance Of Death”, il 25 Agosto è uscito il nuovo lavoro in studio degli Iron Maiden, aspettato con trepidazione dai numerosi fan. Primo nella classifica dei cd più venduti sin dai primi giorni (in Italia, Spagna, Finlandia e Svezia), “A Matter Of Life And Death” sembra aver riscosso un gran successo, di certo non inaspettato, viste le vendite dei biglietti per i concerti, che si terranno a Milano il 2/12 e il 3/12 (entrambi sold-out da mesi). L’album composto alla fine del 2005 è stato ultimato e registrato in presa diretta nei Sarm West Studios di Londra; il titolo dell'album è ispirato all'omonimo film di Michael Powell e Emeric Pressburger del 1946. Con questo progetto la band londinese sembra così restare al centro della scena musicale mondiale, raccogliendo però alcune critiche negative. Infatti una parte dei fan (nostalgici delle produzioni degli anni ’80) che hanno ascoltato il cd sono rimasti deluse dalle sue sonorità, che ricalcano quelle dei precedenti “Brave New World” (2000) e il già citato “Dance Of Death” (2003). Forse speravano in qualcosa di più simile agli immortali “Powerslave” (1984) o “Iron Maiden” (1980); d’altronde né si può pretendere che si suoni la stessa musica per più di cinque lustri (ventisei anni per l’esattezza) né si può avere la sfrontatezza di chiedere ad un gruppo di tornare a suonare in quel modo, soprattutto se parliamo di una delle band che ha inventato il metal! Difatti la “Vergine di Ferro” non sarebbe certo diventata così celebre se non avesse ricercato un’evoluzione della propria musica e tornare indietro sarebbe impossibile, perché se è pur vero che gli album storici sono delle pietre miliari del genere (e nessuno può negarlo!) ormai sono prodotti di venti anni e fa rimanere ostinatamente attaccati a qualcosa del passato può avere il solo effetto di rovinarne il ricordo. L’album affronta tematiche d’attualità come la guerra e il progresso accantonando (ma non del tutto) i temi più epici e aggressivi che hanno impresso il loro marchio nella storia della musica (vedi “Run To The Hills”, “The Trooper”, “Killers” o la celeberrima “The Number Of The Beast”). L’album si apre con “Different World”, classica “apripista” degli album dei Maiden, sostenuta da una chitarra ritmica incalzante da linee melodiche coinvolgenti. Nel testo si affronta il tema del modo che ognuno ha di vivere la propria vita e come non si finisca mai di imparare. Questa è seguita dalla suite “These Colours Don’t Run”, che parla della figura del soldato, uomo comune che rischia la vita per il proprio lavoro, una critica alla guerra e ai suoi effetti dannosi. Si apre con un arpeggio di chitarra accompagnata da un basso dal suono caldo e da un sottofondo di una chitarra distorta che ci accompagnano in un crescendo che culmina con il ritornello(da cantare a squarciagola) in cui possiamo apprezzare la qualità vocali di Bruce Dickinson. Segue “Brighter Than A Thousand Suns”, nella quale si possono notare delle influenze prog (infatti la strofa della canzone è in 7/4). Nella strofa troviamo una ritmica incisiva diretta dai colpi secchi di Niko McBrain sul rullante. Il testo affronta una critica alla società moderna rappresentata dalla bomba atomica e alla corsa folle per il progresso (definita “the race to suicide”), la canzone termina con una constatazione espressa a voce bassa, quasi morente: Holy Father we have sinned . Quindi abbiamo “The Pilgrim”, dal ritmo cadenzato e 13-11-2006 11 sostenuto. Gli assoli hanno un suono che richiama sonorità orientali (dovuto al fatto che sono composti su scale armoniche). “The Longest Day” è una canzone dai toni cupi (accentuati da una chitarra distorta effettata con il flanger), un oscuro giro di basso ci trasporta sulle spiagge della Normandia dove i soldati affrontano la morte e nuotano in un mare tinto di rosso per raggiungere il nemico. “Out of the Shadows”, la sesta traccia dell’ album è una semi-ballata dove il connubio chitarra acustica ed elettrica produce una melodia trascinante con influenze blues in cui si nota il consistente apporto dato da Dickinson alla composizione del brano. Finalmente si arriva al primo singolo dell’album “The Reincarnation Of Benjamin Breeg”, caratterizzato da un tema più epico e un’introduzione di chitarra e basso che forma un’atmosfera cupa, che farà da eco ad un ritmo cavalcato, sostenuto dalla voce dai toni misti di tristezza e rabbia di Bruce. In “For The Greater Good Of God” troviamo di nuovo il tema dell’uomo e guerra che si concentra nel ritornello dalla linea vocale epica e nel verso dal ritmo serrato. “Lord Of Light” ha forse uno dei testi più epici (su Dio e Lucifero) dell’intero album, scandito da un intro cupo di chitarra con una voce quasi sussurrata, che fanno da preludio ad una cavalcata “vecchio stile. Ultima viene “The Legacy”, dalle influenze più prog e un’atmosfera fra le più cupe dell’album. I riff armonizzati incalzanti delle chitarre e il basso dal tocco duro e incisivo fanno sì che questo quattordicesimo album in studio degli Iron Maiden si chiuda in bellezza con una canzone molto originale; le idee racchiuse in questo brano sono fulminanti, il ritornello è particolare e d'impatto e la parte strumentale è ben congeniata. La qualità di alcune canzoni (“These colours don’t il tazebao run”, “The Legacy”) rende il cd pregevole. Senza dubbio l’album per essere apprezzato nella sua completezza necessita di maggior numero di ascolti rispetto agli storici album degli anni ’80 che li hanno consacrati quali “signori del metal”. I tempi sono mutati, assieme alla musica e chi l’ha composta. Dal punto di vista tecnico le chitarre di Adrian & co. delineano un’ armonia originale data dalla ricerca di un suono compatto e potente; purtroppo l’album non contiene assoli che spicchino. Il basso di Steve Harris (l’anima del gruppo) è impeccabile come sempre: caldo e dal suono morbido, o duro e incisivo a seconda delle necessità. Niko Mc Brain, con la sua batteria, dirige questa piccola orchestra metallara aggiungendo una buona dose di adrenalina alle canzoni. Infine Dickinson colora con toni epici l’intero album come nei precedenti. Ma l’età comincia a farsi sentire anche per lui tanto che la sua formidabile voce risulti talvolta forzata e innaturale negli acuti (“Brighter than Thousand Suns”). Complessivamente l’album raggiunge un buon livello (forse migliore rispetto al precedente) dimostrando che questi “ragazzi” (età media 50 anni) hanno ancora molta voglia di stupire e divertirsi con un lavoro che merita di stare nella playlist di un amante del heavy metal. UP THE IRONS!!! VOTO: 80/100 Niccolò De Maria V A Fabrizio Vitale V A THE GREATEST ROCK ALBUMS OF ALL TIMES In questa rubrica vogliamo dedicarci alla presentazione ed all'analisi dei grandi album della storia del rock, la cui storia si protrae con alti e bassi dalla fine degli anni '50 fino ai giorni nostri. Questo essenzialmente per due motivi: uno è l'integrare una porzione di sapere, quella musicale, che nella nostra società può venir sviluppata soltanto individualmente, cosa grave considerato il grande interesse e la naturale propensione che si ha verso la musica; il secondo motivo è che, tutta la musica ma il rock in particolar modo, è specchio del mondo in cui viviamo, veicolo di idee, critiche e sentimenti, quindi più semplicemente espressione dell'essere umano. E' bellissimo ascoltare buona mu- sica, ma ancora più bello è secondo me discuterne, analizzarne i testi e i contenuti di essi. Spero che questo spazio sia adatto per poterlo fare. Poniamo ora la prima pietra, ma invitiamo chiunque volesse a seguire l'esempio inviandoci una sua recensione/commento/etc. di un disco del quale è particolarmente affezionato. Let's rock. Teo Martin IV F Marco Bernardini V G 13-11-2006 il tazebao 12 WHO'S NEXT - The Who La storia di questo grandissimo album ha inizio nel 1970, quando, un hanno dopo il grande successo della sua prima rock opera "Tommy" Pete Townshend, poliedrico e geniale chitarrista-leader dei The Who, si mette al lavoro per un altro concept album, "Lifehouse"*. Sulla cresta dell'onda di un eccezionale successo (che li vede ancora sul palco dopo 40 anni di onorata carriera musicale), impegnati dalle numerose date dei tour, il progetto fallisce momentaneamente, quindi Pete decide di raccogliere le canzoni composte per Lifehouse e di farne un album, "Who's Next" appunto, pubblicato nel giugno 1971. La tracklist originale conta 9 brani cui se ne aggiungono altri 7 nella riedizione di metà anni '90. Il brano d'apertura, "Baba O'Riley", poggia su una base di sintetizzatore che già dall'inizio infiamma gli animi e che, passo passo, viene arricchita dal continuo aggiungersi di nuovi elementi, prima il basso monolitico di Entwistle, poi la voce di Daltrey e la batteria di Moon, quindi la chitarra di Townshend. I suoi piccoli interventi, rivestendo la duplice veste di cantante e chitarrista, sono quei particolari che sommati fanno uscir fuori un capolavoro. Il pezzo si chiude con un crescendo, un bellissimo assolo di violino a cui fa da base la cavalcante base arricchita da basso e chitarra. Per quanto riguarda il testo ci colleghiamo con un altro capolavoro assoluto, anch'esso contenuto nel disco, "Won't Get Fooled Again". E' di rivolta generazionale, di lotta per l'affermazione della propria individualità che si parla, temi oltremodo attuali e cari al gruppo fin da "My Generation". Gli altri brani della raccolta originale sono canzoni d'amore struggenti, in cui ad un romanticismo e ad una devozione portati agli estremi s'aggiunge anche l'ironia ("My Wife"). "Behind Blue Eyes" è forse la più bella ballad dell'album, sia per i fantastici versi ma soprattutto per la musica, in cui assistiamo ad un iniziale arpeggio di chitarra acustica per esplodere poi in una scarica di rock puro e genuino. Per quanto riguarda i brani aggiunti nella ristampa essi sono vecchi pezzi che non erano stati inclusi negli album precedenti, ma noti al pubblico ("Water" e "I Don't Even Know Myself" per esempio) per le frequenti esibizioni live, come quello storico concerto dell'agosto 1970 all'Isle of White Festival. E' poi presente una seconda versione di "Behind Blue Eyes", leggermente differente. e di emissione radiofonica, più che meritato. Musicalmente sono intoccabili, Entwistle e Moon sono considerati tra i migliori (se non i migliori) bassista e batterista rispettivamente della storia del rock, Townshend ha rivoluzionato il modo di suonare la chitarra e anche Daltrey ha fatto storia; ma c'è di più: loro sono stati uno dei simboli d'un'epoca, per la loro rabbia generazionale che qui trova una tra le sue più grandi espressioni. Teo Martin IV F Tracklist 1. Baba O'Riley - 5:08 2. Bargain - 5:32 3. Love Ain't For Keeping - 2:11 4. My Wife - 3:41 5. The Song Is Over - 6:16 6. Getting In Tune - 4:50 7. Going Mobile - 3:42 8. Behind Blue Eyes - 3:41 9. Won't Get Fooled Again - 8:32 10. Pure And Easy - 4:19 11. Baby Don't You Do It - 5:13 12. Naked Eye - 5:22 13. Water - 6:25 14. Too Much Of Anything - 4:24 15. I Don't Even Know Myself - 4:54 16. Behind Blue Eyes - 3:25 The Who - Formazione Roger Daltrey - voce. John Entwistle - basso, cori. Pete Townshend - chitarra, voce, tastiere. Keith Moon - batteria, cori. *Il progetto "Lifehouse" viene portato a compimento dal solo Townshend nel 2004, con le rappresentazioni teatrali svoltesi a New York e a Londra. Lo documenta anche il dvd "Pete Townshend Psychoderelict Live In New York". "I'll tip my hat to the new constitution Take a bow for the new revolution Smile and grin at the change all around Pick up my guitar and play Insomma, non sta a me dire se "Who's Next" è il mi- Just like yesterday glior album della produzione dei The Who, senz'altro è Then I'll get on my knees and pray quello che ha avuto il maggior successo commerciale We don't get fooled again." 13 13-11-2006 il tazebao Wolfmother, la rinascita dell’Hard Rock Wolfmother, un nome poco conosciuto ma che a breve potrebbe diventare protagonista dell’attuale paronama musicale internazionale. Il Trio australiano, Andrew Stockdale (voce e chitarra), Chris Ross (basso e tastiere), Myles Heskett (batteria), tramite l’album omonimo e grazie al suono inconfondibilmente 70’s (con influenze di Led Zeppelin, Black Sabbath e Deep Purple) è riuscito in pochi mesi a sfondare in patria e, successivamente, in Europa e Nord America. Il successo è sicuramente dovuto all’astinenza da Hard Rock che il pubblico faceva ormai fatica a sopportare: basti pensare che dal disco, una miscela esplosiva di interminabili e potenti riff, assoli e grida strazianti, sono stati estratti solo in Australia ben 11 singoli (tra qui "Mind's Eye", "Woman" , “White Unicorn”, “Love Train”, "Dimension"). Nel 2005 il gruppo, inserito da “Rolling Stone” fra le “10 band da tenere d’occhio nel 2006”, è stato invitato a numerosi festival in giro per il mondo coronando così il loro successo, e recentemente sono impegnati nel Tour 2006 dei Pearl Jam Gli addetti ai lavori tuttavia si dividono: c’è chi esalta il “power trio” definendo la loro apparizione come la rinascita del rock, quello vero, e chi invece, senza avere torto, critica il gruppo per la sua impostazione ormai anacronistica, mancante di innovazioni stilistiche, apportate invece da band quali Radiohead (con la nuova psichedelica sperimentale), Muse, Strokes, Franz Ferdinand. Fatto sta che “Wolfmolther” è uno di quei dischi che si è stabilmente inserito tra le migliori produzioni musicali degli ultimi anni, in grado di far sognare i nostalgici di quel sound, ribelle e allo stesso tempo così semplice nella sua potenza espressiva, colonna sonora della grande rivoluzione SOCIO-culturale (più che politica) degli anni ’60-’70. Marco Bernardini V G !!!!!!!!!!! ROCK ‘N ROLLLLLLLLLL !!!!!!!!!!! Tracklist (Versione Internazionale) 1. Dimension – 4:21 2. White Unicorn – 5:04 3. Woman – 2:56 4. Where Eagles Have Been – 5:33 5. Apple Tree – 3:30 6. Joker & The Thief – 4:40 7. Colossal – 5:04 8. Mind's Eye – 4:54 9. Pyramid – 4:28 10. Witchcraft – 3:25 11. Tales – 3:39 12. Love Train – 3:03 13. Vagabond – 3:50 13-11-2006 il tazebao 14 Burocrazia unica via È una fredda mattina di novembre, come spesso può capitare il mio autobus si intoppa e arrivo a scuola con quindici minuti di ritardo. La mia rigida prof della prima è molto fiscale e non posso entrare oltre il limite. “Poco male - penso ignaro - potrò fare una colazione come si deve”, conclusione errata: una volta entrati a scuola, se minorenne, non puoi uscire fino alla fine delle lezioni! Abbozzo un attimo e aspetto di fare il permesso per entrare in seconda, permesso negato: sarebbe la quarta nel trimestre, per entrare devono venire i miei genitori a firmare! Chiamare una madre alle 9 del mattino non è mai una cosa buona, qualsiasi tentativo di poter fare giustificazioni telefoniche o altro è impossibile, deve venire qui. Infatti passa un’ora e l’esercente della famosa patria potestà scrive finalmente il suo nome su un pezzo di carta, rendendomi libero di non poter essere libero. Torno in classe e girano voci di un collettivo da mettere nell’ora di latino del giorno dopo. Ecco che tocca scrivere la richiesta e scendere giù dalla vicepreside a farla firmare, sbagliato ancora: un fogliaccio di carta non è degno del mio collettivo di classe, dovevo scaricarmi il modulo dal sito! La mia speranza di poter sbrigare tutto la mattina dopo è breve quanto fallimentare: non si può chiedere un collettivo per il giorno stesso, la macchina della burocrazia non è così rapida come noi! Triste e shockato me ne ritorno nella mia classe, la cara Antonietta entra con un pacchetto di fogli di carta, sono circolari. Il professore tenta l’impresa di leggerne qualcuna: la prima circolare parla delle olimpiadi di matematica, la seconda dello sportello di latino, la terza dello spostamento dello sportello di latino al giorno successivo, la quarta lo riporta al giorno precedente, la quinta invece lo trasforma in uno sportello di inglese, poi vedendo di non essere arrivato neanche a metà si arrende e torna alla fisica. È interessante pensare al fatto che in due mesi di scuola abbiamo già raggiunto il numero di circolari dell’anno scorso! Magari la prossima volta usassero gli sms, la Tim sarebbe molto più ricca, ma l’Amazzonia avrebbe qualche migliaio di alberi in più. Alla fine della mia giornata spero di finire anche la mia odissea nella burocrazia, all’ultima ora con la classe ci guardiamo un film con la prof di inglese, cosa mai potrà succedere? Scendiamo in aula multimediale e ce la troviamo occupata; ripieghiamo così nel vederlo magari in classe. Sciaguratamente, qualcuno ha portato il televisore al secondo piano, cerchiamo di portarlo in classe ma ci bloccano: “se non c’è uno del personale Ata, la tv non si porta da nessuna parte”, ci proponiamo noi di portarlo ma incontriamo un altro rifiuto, ma che rischiamo di fulminarci mettendo le dita nella corrente?! (Nda: fatto realmente accaduto in un’altra classe). L’ora passa nell’ozio e all’ultimo la professoressa mi ricorda di portare la firma per l’assemblea di domani, non la porterò: se la burocrazia è l’unica via, allora il caos sarà la mia malattia. Giulio Breglia III D Ps: mi giunge voce che un giorno ci sono state 3 quinte che avevano un buco alle ultime due ore, ma, visto che l'assenza dell'insegnante non costituisce un problema evidente, non sono stati fatti uscire, anche se essendo maggiorenni potevano benissimo farlo. (Ndr: evidentemente due ore del tempo di uno studente non valgono niente se non possono nemmeno mandarli a casa, magar a studiare, piuttosto che in classe a far niente.) 13-11-2006 il tazebao 15 FUMETTO Dylan Dog: Vent’anni portati bene 28 settembre 2006: Dylan Dog, ha trent’anni da 20 anni. Era una gelida e nebbiosa mattina di un inizio autunno 1986 nel segno dell’horror quando la Bonelli, evitando pericolosi agguati di morti viventi e gatti magici consegnava alle edicole il primo numero di quello che sarebbe stato il maggiore successo fumettistico degli anni ’90, che si mantiene ancora oggi. Ovviamente sto dicendo buffonate, dato che nel 1986 non ero neanche nato, ma spero di aver reso bene l’atmosfera che si respira quando si legge uno degli episodi di Dylan Dog. È un fumetto straordinario. Ti prende e non ti lascia più. È capace di trasportarti in un mondo realistico popolato da vampiri, spettri, dimensioni parallele, demoni, inferni che sembrano paradisi o viceversa, patti con il diavolo, avventure al confine tra il concetto di vita e di morte. Sa farti dimenticare il mondo reale proiettandoti in una dimensione romantica della vita circondata da un’ironia onnipresente, il buon vecchio Groucho, spalla marxista. Dylan Dog attrae e piace, oltre perché è bello alto con gli occhi azzurri e pieno di ragazze, proprio per il suo scetticismo e il suo anticonformismo che non fanno di lui uno snob o un presuntuoso, bensì uno che pensa con la propria testa, costi quel che costi. Talmente propria che incarna esattamente la figura dell’antieroe, in tutti i sensi: è talmente lontano dall’eroe classico che potrebbe essere definito eroe romantico, se non fosse che questo causerebbe una conformazione a un altro schema. E allora Dylan rinnega anche il romanticismo, con la sua capacità dissacrante di ironizzare su tutto, di mantenere la mente lucida ma non soltanto raziocinante, pronto a sdrammatizzare anche il peggiore degli incubi con una battuta. Forse è proprio la perdita di questi elementi a stupirci di più e a creare la bellissima atmosfera che si respira nei due numeri che festeggiano il ventennale, Xabaras! e Nel nome del padre, usciti nei mesi di ottobre e novembre. Una storia a due puntate che ti fa aspettare un mese di angoscia per sapere come va a finire (e che fine!) e che, una volta di più, esprime in pieno la bellezza di questo personaggio mitico. Alessandro Manacorda V A Gli alunni della classe 5 A rievocano la memoria del compianto compagno GIANMARCO TRULLI sparito prematuramente il giorno 7 novembre 2006, ora naviga in più liete acque (presso il “De Merode”). Noi, suoi compagni ed amici, piangiamo la mancanza di un uomo che ci ha rappresentati adeguatamente e che ha lasciato numerose tracce di sé sul registro di classe. Ha frequentato assiduamente per quasi cinque anni il Liceo Augusto Righi dove sarà sempre ricordato con affetto. Lascia 19 compagni di classe e un corpo docente profondamente addolorati. Fu per noi un grande stimolo a migliorare: il suo parlare erudito fatto di antiche espressioni (“Sì zì!” - che si pronuncia “süi zì” -, “No zì!”, “Amara!”, “Ve’?”) è sempre stato un obbiettivo da perseguire. GRAZIE PER TUTTO REQUIESCAT IN PACEM Α†Ω il tazebao 16 13-11-2006 (Segue dalla prima) re, infatti, rintracciati sul sito). Per quest’anno si è scelto di concentrare le forze della redazione ormai “storica” in rubriche, come quella da me iniziata l’anno scorso di informatica, crediamo che questa scelta possa garantirci sempre la presenza di articoli interessanti e possa aprire spazi per veri e propri dibatti. Colgo l’occasione per presentare le varie rubriche. Non ho intenzione di seguire un ordine di importanza, ma le elencherò semplicemente come mi vengono in mente. Teo Martin si occuperà insieme a Marco Bernardini di musica, come anche altri i prodi Niccolò De Maria e Fabrizio Vitale, i quattro scriveranno in due gruppi articoli “a quattro mani”. Teo e Marco scriveranno nella rubrica “The Greatest Rock Albums Of All Times” progetto che descrivono all’inzio del loro articolo e su cui non mi soffermerò di più. Fabrizio e Niccolò scriverano di nuovi dischi, offrendo commenti tecnici e abbastanza precisi (almeno così paiono ad un profano come me!) in una rubrica cui stiamo ancora cercando il nome (si accettano suggerimenti!!). Fabio Perrone, invece, si occuperà de “il Telecomando” che, come suggerisce il nome tratterà di televisione. Alessandro Manacorda presenterà, invece, una rubrica filosofica piena di tanti spunti interessanti da cogliere. Io, dal prossimo numero, dovrei riprendere la rubrica iniziata l’anno scorso dove cercherò di trattare vari argomenti collegati con l’informatica. Come alcuni di voi forse (spero…) si ricorderanno, l’anno scorso avevo incominciato un “piccolo dizionario dei termini informatici” (che invece continuerà a partire da questo numero) con definizioni esatte e reali significati dei termini informatici più comuni che, a volte, causano i più grandi problemi. In fondo al giornale sarà inserita una parte, sopra lo spazio dedicato alla redazione, contenente i prossimi appuntamenti e riunioni della redazione (riunioni che, ricordo, sono aperte a tutti). Inauguriamo così il quarto anno del giornale, sperando che anche quest’anno riesca ad essere centro della comunicazione e del dibatto al Righi e che riesca a coinvolgere il maggior numero di studenti possibili, sia attivamente che passivamente. Vi saluto, vi ringrazio e vi auguro buona lettura. Michele Angelo Cecchi VA il tazebao è il giornale autogestito degli studenti del Righi Direttore: Michele Angelo Cecchi V A Vicedirettore: Teo Martin IV F Redazione: Niccolò De Maria, Alessandro Manacorda, Ferdinando Randisi, Fabrizio Armando Vitale V A, Marco Bernardini V G, Fabio Perrone IV F, Giulio Breglia III D, Lara Vivian III G Hanno collaborato a questo numero: David Braha (ex studente) Per informazioni, domande o richieste: www.iltazebao.altervista.org - [email protected] Prossima riunione del giornale: Mercoledì 15 novembre ore 14 via Boncompagni USCITO IN DATA 13 novembre 2006 - TIRATURA 600COPIE