JOVANOTTI - “PENSO MENO, AGISCO DI PIÙ” È stato un disco

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JOVANOTTI - “PENSO MENO, AGISCO DI PIÙ” È stato un disco
Da mondoerre.it – 26 agosto 2005
JOVANOTTI - “PENSO MENO, AGISCO DI PIÙ”
È stato un disco atteso, annunciato, rimandato. Ma il rapper
voleva fare le cose per bene, calibrare parole e suoni in ogni
canzone. È scaturito “Buon sangue”, “l’album più mio tra quelli
finora incisi”.
di Claudio Facchetti
Ci ha lavorato sopra per oltre un anno a questo lavoro,
rimandandone l’uscita annunciata a inizio 2005. Segno che Lorenzo
Cherubini, in arte Jovanotti, voleva fare un album che
“spaccasse”, come dice lui. Il rapper di Cortona, dove è nato,
arrivava da un disco, Il quinto mondo, che non era andato
benissimo sul piano delle vendite, ma solo bene. Un risultato che
avrebbe fatto felice qualsiasi artista di questi tempi, ma per uno
abituato a totalizzare grandi numeri, la cosa aveva destato forse
qualche allarmismo.
Jovanotti ha così preferito staccare la spina per un po’ di tempo
dallo spettacolo. Si è rintanato nella sua casa, si è goduto la
famiglia, ha viaggiato e cominciato a scrivere le canzoni che
sarebbero finite nel nuovo Buon sangue. Brani che ha levigato,
coccolato, corretto insieme a un gruppo di amici-collaboratori,
offrendo alla fine un catalogo variegato di convincenti suoni,
melodie, ritmi, parole.
D. Il disco doveva uscire a gennaio, poi è stato pubblicato a
maggio. Cosa è accaduto?
R. L’album ha avuto in effetti un percorso travagliato. Durante la
sua incisione, mi si è ribellato contro: scappava, io lo
riacciuffavo per poi sfuggirmi ancora. Ho così sentito l’esigenza
di chiedere aiuto ad altre persone per poterlo domare, musicisti e
collaboratori. E ci sono riuscito solo lavorando insieme a loro.
Ho realizzato così un disco che ritengo il più “mio” di tutti
quelli finora incisi. Sembra un paradosso: per arrivare a un album
così personale ho avuto bisogno di una squadra su cui contare. Ma
è solo attraverso lo scambio di idee e la fiducia negli altri che
si ottengono buoni risultati.
D. Perché lo hai intitolato “Buon sangue”?
R. C’è stata discussione sul titolo, il riferimento al sangue
destava qualche perplessità. In realtà, non ha alcun significato
negativo, bensì ottimista, con uno sguardo rivolto ai proverbi
come “Buon sangue non mente”. Ha dentro di sé qualcosa di antico e
tradizionale, ma al tempo stesso di molto vivo. E infatti lo
ritengo un album sanguigno.
D. Uno dei pezzi più significativi dell’album lo hai intitolato
“Coraggio”. È un’esortazione a reagire a questi tempi non facili?
R. “Coraggio” è una parola talmente retorica che, nel parlarne, si
rischia di fare confusione. Nonostante ciò, ho voluto costruire la
canzone proprio su di essa. È un richiamo, una specie di “chiamata
alle armi”, rivolta a tutte le persone per reagire a questa
atmosfera un po’ negativa che si respira in giro, a cominciare da
me stesso.
D. Cosa ti preoccupa?
R. Il mondo non è messo bene e talvolta mi sento scoraggiato.
Fortunatamente, una parte di me trova sempre la spinta per
reagire. Per questo, ho usato la parola coraggio nella canzone.
Comunque, non ho smarrito la mia serenità. Sono solo meno
scanzonato rispetto ad alcuni anni fa, ma credo sia dovuto anche
alle responsabilità di avere una famiglia.
D. Non vale più il tuo “penso positivo”?
R. Oggi penso meno di ieri, benché sempre in positivo, e provo ad
agire con maggiore forza. Sono meno razionale e più viscerale. E
il disco segue sostanzialmente questo aspetto. È un lavoro in cui,
rispetto ad altri, prevale il carattere, lasciando un po’ in
disparte la virtù.
D. Come definiresti il tuo album?
R. È un disco di forte comunicazione, fatto per il pubblico. Una
mattina stavo correndo al parco Sempione di Milano e ho visto due
ragazzini seduti sulla panchina. Mi sono detto: devo riuscire a
“parlare” con loro, è questa la sfida che devo tentare di vincere
realizzando il disco.
D. E quali suoni hai usato per comunicare con loro?
R. Sono un innamorato dei suoni etnici, ma girovagando per il
mondo mi sono accorto che i ragazzi, a qualsiasi latitudine e
condizione sociale, ascoltano in prevalenza un solo genere: l’hip
hop. Magari è plasmato con le sonorità del proprio Paese, ma
rimane sempre hip hop. E allora, su questa base, ho provato a
sviluppare il mio disco. Certo, in Italia il fenomeno forse è meno
marcato, ma le sonorità stanno andando in quella direzione. La
canzone è roba vecchia. Possiamo continuare a farla, perché è un
bell’esercizio, però la musica sta seguendo altre strade.
D. Quale messaggio contiene l’album?
R. Non c’è un vero e proprio messaggio, nessun slogan particolare.
Se dovessi riassumerne i contenuti direi che si indirizzano tutti
verso una sola considerazione: la vita non è facile, ma è un
“luogo” comunque e sempre entusiasmante. L’esistenza porta anche
sofferenze, a prendere delle “strambate”, ma poi ci si può
risollevare e ricominciare di nuovo con rinnovate energie.