la pastorale della musica e del canto nella diocesi di
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la pastorale della musica e del canto nella diocesi di
Conferenza Episcopale Italiana Corso di Perfezionamento Liturgico-Musicale (Co.Per.Li.M.) GRAZIANO GHISOLFI LA PASTORALE DELLA MUSICA E DEL CANTO NELLA DIOCESI DI CREMONA PROSPETTIVE E IPOTESI DI LAVORO Relatore: Prof. Franco Gomiero Luglio 2000 1 INDICE Introduzione 3 1. Il canto e la musica nella liturgia 1.1 1.2 Premessa Ruoli 1.2.1 1.2.2 1.2.3 1.2.4 1.2.5 4 5 5 6 8 11 14 Il Presidente L’assemblea Il cantore La Schola L’organista 2. Cantore e organista: un ministero? 2.1 2.2 Uno sguardo ai documenti Una proposta: il ministero del canto e della musica ovvero il “cantore 2.2.1 Rivalutazione e ampliamento di competenze del ministero del “cantore” 2.2.2 Passaggio da ministero di fatto a ministero istituito 2.2.3 Definizione di percorsi di formazione 2.2.4 Ipotesi di retribuzione 2.2.5 Ministero “ad tempus” 2.2.6 Ministero di fatto 17 23 26 27 28 31 31 32 3. Progetto di massima per la Diocesi di Cremona 33 3.1 3.2 Il Vescovo 33 La Sezione “Musica per la Liturgia dell’Ufficio Diocesano per il Culto Divino” 33 Le Parrocchie 36 3.3 Note Bibliografia 37 40 2 INTRODUZIONE La situazione liturgico-musicale della diocesi di Cremona, probabilmente non è molto differente da quella di tante altre. Tuttavia non si può dire di trovarsi completamente in linea con quanto il magistero della chiesa ha insegnato soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. Per questo motivo si rende necessario individuare linee di comportamento e percorsi di formazione che portino ad una completa attuazione di quanto già è stato indicato. Lo scopo di questo breve studio sarà quello di vedere concretamente, nella situazione attuale della diocesi di Cremona, quali possano essere le scelte prioritarie da attuare per una adeguata formazione degli attori della musica e del canto nella liturgia, avanzando pure delle nuove proposte. 3 1. IL CANTO E LA MUSICA NELLA LITURGIA 1.1 PREMESSA “La comunità cristiana è chiamata ad essere comunità cultuale: accoglie e proclama la parola, esprime la sua lode, attualizza il mistero pasquale ed esercita il servizio nell’amore fraterno. In essa, ciascuno esprime la sua maturità e responsabilità comunitaria secondo il dono personale ricevuto da Dio per il bene di tutti, ma che si radica sul dono fondamentale e basilare dell’appartenenza a Cristo e al suo corpo ecclesiale. Il battesimo, la confermazione e l’eucarestia completano nel credente la sua fisionomia di cristiano maturo in Cristo, conforme alla sua immagine, abilitato ad essere membro attivo di una comunità cultuale. Quindi sacerdote”.1 Il battesimo, infatti, rende ogni cristiano un sacerdote del sacerdozio comune o “dei fedeli”. Questa configurazione a Cristo e appartenenza attiva al corpo ecclesiale sono completate nell’unzione crismale e nella partecipazione all’eucarestia. “La Chiesa è un corpo, un organismo vivente che ha bisogno di articolare equilibratamente il ruolo specifico, insostituibile e complementare delle sue varie membra. Questa orchestrazione di ruoli non può partire da un progetto astratto, ma dalla natura stessa della realtà la quale deve suggerire specifici servizi e competenze. La vocazione ministeriale liturgica dovrebbe nascere concretamente dalla vita della comunità cultuale e svilupparsi ed esercitarsi in intima relazione con essa. Questa dovrebbe avere i ministri di cui ha bisogno e che le circostanze della crescita in sé e nella sua missione 4 vanno richiedendo. Il loro riconoscimento dipenderà dapprima dal discernimento della comunità, ma la vera accettazione, espressa nella delega, nell’approvazione o conferma, sarà offerta dal ministro ordinato, presbitero e vescovo, ossia dal responsabile primo della comunità”.2 1.2. RUOLI Nell’assemblea liturgica ci sono diversità di ruoli e di funzioni. Per quanto riguarda la musica e il canto li possiamo identificare così: Presidente, Assemblea, Cantore, Schola cantorum (o Coro), Organista (o altro strumentista). 1.2.1 IL PRESIDENTE Fra tutti i servizi utili o necessari all’assemblea liturgica, il più importante e più significativo è quello della presidenza. Qui la parola ha il senso forte ed etimologico di prae-esse, «essere posto davanti a». L’unità dell’assemblea che celebra è significata dal ruolo personale di colui che la presiede. Questo ruolo è operativo e, nello stesso tempo, mistico. Spetta anzitutto al presidente guidare la celebrazione, cioè far sì che l’assemblea assuma il più pienamente possibile l’azione liturgica comune. La sua autorità di servizio mira a far circolare fra tutti i partecipanti i valori di Chiesa che ognuno rappresenta. Nello stesso tempo, egli è un’immagine visibile di Cristo, capo della Chiesa e servitore dei suoi fedeli, presente e operante in mezzo al suo popolo. 5 “Il sacerdote presiede la santa assemblea in persona di Cristo. Le preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché proferite in nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti, devono essere da tutti ascoltate religiosamente”: così recita l’Istruzione Musicam Sacram (MS) al n. 14. E’ da notare il fatto che viene sottolineato che il presidente interviene a nome di tutti, perché in quel momento è tutta l’assemblea che celebra. Dunque, anche il canto del presidente svolge una funzione non di privilegio, ma di servizio. Nei Principi e Norme per l’uso del Messale Romano troviamo infatti (n. 59): “Pertanto, quando celebra l’Eucarestia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo”. 1.2.2 L’ASSEMBLEA La partecipazione dell’assemblea ha la sua origine nel Battesimo. Ogni battezzato è coinvolto nel processo e nell’evento che va dalla morte alla risurrezione, egli muore e risorge con Cristo. Questa è la sua «dote» che gli permette di inserirsi nella morte e nella risurrezione del Signore nel corso della Messa. L’assemblea diventa così il segno visibile del Cristo presente che si sacrifica, visibilmente presente come comunità celebrante. Nei Principi e Norme per l’uso del messale Romano leggiamo (NN.14ss): Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura ha carattere «comunitario», grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e 6 l’assemblea dei fedeli, e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea: sono soprattutto l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale e la preghiera del Signore. (…) I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali. Infatti il canto è segno della gioia del cuore. (…) Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto. L’Istruzione Musicam Sacram, al n.16, è ancora più esplicita sul canto dell’assemblea: Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine: a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici. 7 b) Con un’adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta. c) Si potrà affidare alla sola «Schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non sia escluso dalle altra parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «Schola» tutte le parti cantate del Proprio e dell’Ordinario, escludendo completamente il popolo dalla partecipazione nel canto. 1.2.3 IL CANTORE Nei Principi e Norme per l’uso del Messale Romano leggiamo al numero 78: “ È bene che un accolito, un lettore e un cantore assistano normalmente il sacerdote celebrante; è questa la forma «tipica»”. Questo significa semplicemente che il cantore non dovrebbe mai mancare nella Messa. Nei principi e Norme leggiamo pure al numero 64: “È opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la «schola», è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli spetta”. “Questo testo fa delle affermazioni importanti. Per prima cosa notiamo che esso è inserito nel paragrafo: «Ufficio e compito del popolo di Dio». Perché il popolo di Dio, cioè la comunità radunata per la messa, possa assolvere il suo compito in maniera degna, ci vuole il cantore. In secondo luogo osserviamo che nel medesimo 8 paragrafo (n. 63) vengono fatte delle affermazioni a proposito della funzione del coro: il suo «compito è quello di … promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto». Nei testi della Chiesa la schola cantorum o corale sta sempre ad indicare qualsiasi gruppo di cantori. Al maestro del coro è affidata in modo particolare la cura del canto della comunità; in altre parole, egli dovrebbe poter assolvere di regola il ruolo del cantore. Dato che solo in poche messe si dispone di una corale, le parrocchie dovrebbero fare in modo di trovare singoli cantori che si assumono il compito di intonare e cantare da soli, perché ciò è indispensabile. Si noti anche che l’introduzione generale descrive il ruolo del cantore quando parla dell’«ufficio e compito del popolo di Dio», e non nel paragrafo immediatamente successivo dedicato agli «uffici particolari». Quindi nelle nostre messe dovrebbe essere cosa normalissima la presenza di una persona (o di un gruppo) che canta e intona”.3 Il Messale Romano fa una distinzione precisa fra cantore e salmista. Al numero 67 dei Principi e Norme del Messale, infatti, si legge: “ È compito del salmista proclamare il salmo, o il canto biblico, tra le letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario che il salmista possegga l’arte del salmodiare, e abbia una buona pronuncia e una buona dizione”. Nella celebrazione eucaristica si rende dunque necessaria la presenza anche di questo ministro specializzato nel canto solistico. Per quanto riguarda la figura del cantore “non si tratta di introdurre qualcosa di completamente nuovo, ma di rinnovare un ufficio antico e indispensabile. Per la liturgia ufficiale della Chiesa, i cantori furono 9 sempre necessari. A volte furono detti antifonari. Molto spesso cantavano insieme, anche se si trattava di lunghi brani solistici come i versetti alleluiatici. Invece, altre liturgie conoscono tutt’oggi, a somiglianza del culto sinagogale, l’ufficio antichissimo del cantore solista. Si tratta di un ufficio, cui è annessa grande importanza ovunque esso esiste”.4 Dopo aver acquisito la necessaria esperienza il cantore può accedere all’ambone per il canto del salmo responsoriale. Come abbiamo descritto sopra si tratta di due ruoli diversi, ma viene da sé che la scelta di una persona adatta a svolgere il ruolo del salmista sia fatta a partire dai cantori. Altro compito importante è quello di eseguire le parti solistiche non presidenziali dei canti liturgici. “Tra i canti che si possono prendere in considerazione vi sono le acclamazioni, come il Kyrie e l’Alleluia, i canti eseguiti alternativamente come il Gloria e il Credo, i canti con versetti intercalari come alla comunione o all’introito, il canto di salmi da parte del popolo, gli inni con ritornelli. Nella liturgia delle Ore è raccomandabile il canto alternato tra cantore e popolo”.5 Non meno importante è il compito di istruire l’assemblea sui canti che le competono: “Qui il cantore può svolgere un servizio prezioso. Anzitutto cantando così bene il proprio brano che l’assemblea non può che imitarlo. Quando si provano brani nuovi, un ruolo decisivo spetta al solista e all’intonatore. Se non è possibile fare una prova con l’assemblea, il metodo migliore consiste nel far cantare prima ad un singolo individuo, senza accompagnamento d’organo, con 10 chiarezza e in modo gradevole l’inno o il canto. L’assemblea allora impara facilmente”.6 Da quanto si deduce dai documenti non farebbe necessariamente parte dei compiti di un cantore il saper dirigere un coro, ma pare in ogni modo conveniente che sappia svolgere anche questa funzione: anzi, risulterebbe sommamente necessario che in una assemblea liturgica ci fosse la presenza di un cantore in grado di dirigere sia il coro che l’assemblea (animatore liturgico). La liturgia rinnovata, poi, attribuisce grande importanza alla scelta oculata dei canti: un cantore dovrebbe imparare a conoscere bene le varie possibilità e il repertorio dell’assemblea. Da ultimo non occorre dimenticare di saper cercare opportunamente e continuamente nuove persone che si adoperino per svolgere questo ministero. 1.2.4 LA SCHOLA La Sacrosanctum Concilium (SC) definisce il canto sacro una “parte necessaria ed integrante della liturgia solenne”.7 “Anche i membri della schola cantorum svolgono un vero ministero liturgico”.8 L’istruzione Musicam Sacram dice: ”È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il coro”.9 Al n. 63 dei Principi e Norme per l’uso del Messale Romano leggiamo:”Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la «schola cantorum» o «coro», il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto”. 11 A proposito di Scholae Cantorum l’Ufficio Liturgico della Diocesi di Cremona ha emanato nel 1985 un documento dal titolo “CANTARE LA FEDE”10: Nelle celebrazioni il compito delle “scholae” finora ha oscillato continuamente tra l’assorbimento integrale del canto liturgico e la funzione di sostegno nei confronti di quello del popolo. Considerato che non sempre si rileva chiarezza di intenti sulla precisa funzione delle corali, aprendo così il varco a forme svariate e persino opposte di servizio, è parso opportuno ribadire le finalità specifiche di questi gruppi ecclesiali, perché se ne promuova la formazione e il senso autentico del loro situarsi nell’azione liturgica. La funzione della “schola” si definisce anzitutto in relazione con il mistero che si celebra nel rito. La liturgia, infatti, in quanto opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo dove il divino e l’umano vengono a contatto fra di loro, affinché il divino salvi ciò che è umano e l’umano acquisti dimensione divina.11 Anche il canto deve sottostare a questo fondamentale principio della liturgia che, in quanto realtà in atto e non passiva, non può ammettere rifugi fuori del tempo o esclusioni dei protagonisti della celebrazione. Pertanto la musica nella celebrazione non può essere che funzionale, cioè deve formare il più possibile un tutt’uno con ciò che il rito esprime e attualizza. In altre parole, i canti della “schola” non hanno il compito di decorare le sacre funzioni, quasi come un abbellimento esteriore, ma di far sentire e vivere i momenti celebrativi come momenti di salvezza. Per cui a un Dio che si rivela attraverso la ritualità di poveri segni corrisponde una risposta/adesione che, anche attraverso il canto, diventa espressione della vita umana rapportata al mistero divino. 12 È così stabilito il criterio fondamentale circa i contenuti e la forma espressiva del canto: da quando la parola di Dio s’è fatta carne e Dio ha scelto di parlare e di essere lodato nella lingua degli uomini, ogni parola autenticamente umana è stata assunta nel mistero dell’incarnazione e nessuna lingua umana potrà mai esserne esclusa. Tutto ciò di cui l’uomo si serve per esprimere fede e disperazione, gioia e pianto, vita e morte, speranza e paura, tutto è diventato carne dell’eterna Parola di Dio e tutto è stato abilitato a dare espressione all’inesprimibile.12 In concreto, prioritariamente la scelta dei canti è in riferimento ai contenuti, poiché non sono ammissibili composizioni che non siano strettamente legate al mistero celebrato; oppure che siano diventate incomprensibili per l’assemblea celebrante, sia per la lingua che per forme espressive vetuste e sorpassate. Si deve tener presente, infatti, che la vera solennità di una azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura.13 La “schola” rientra tra gli uffici e ministeri che vengono esercitati durante le celebrazioni liturgiche. La sua collocazione più naturale è tra il popolo di Dio in quanto tra i fedeli esercita il proprio ufficio liturgico. Infatti non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede.14 Il compito della corale si qualifica quindi come un servizio, che non deve mai oscurare né, tantomeno, sopprimere l’autentico soggetto della celebrazione, l’assemblea. 13 La sua centralità costituisce al tempo stesso un diritto e un dovere. Nell’atto liturgico, infatti, la comunità, destinataria e protagonista di ogni celebrazione, esprime ed edifica se stessa, e mentre professa la propria fede nel mistero della redenzione sempre più progredisce sulla via della salvezza.15 Lo specifico ministero della “schola” è dunque quello di curare che, pur svolgendo la sua necessaria funzione di guida, coinvolga l’intera assemblea in una più attiva partecipazione.16 Per questo anche la sua sistemazione in chiesa deve chiaramente far risaltare questa sua funzione e facilitare l’esecuzione del suo ministero liturgico, tenendo conto dell’auspicio che sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale.17 1.2.5 L’ORGANISTA Se in genere nei documenti ufficiali non si parla direttamente dell’organista, si può comunque risalire all’identificazione di questa figura considerando le molteplici prerogative che la Chiesa assegna all’uso dell’organo nella liturgia. “Nella chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, come strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle realtà supreme”.18 Nell’Istruzione Musicam Sacram, dopo aver ripreso i dettami del Concilio sul ruolo dell’Organo nella Liturgia, si inizia a parlare anche dell’organista: “È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, 14 conoscano e penetrino intimamente lo spirito della Sacra Liturgia in modo che anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscano la partecipazione dei fedeli”.19 “Si legge qui la fattispecie di una carta d’identità dei veri musicisti di Chiesa. Connotati: - padronanza tecnica; - formazione spirituale e liturgica, coinvolgente; - capacità di improvvisazione, secondo l’opportunità e nel modo più opportuno. Da rimarcare questo ultimo aspetto. L’abilità improvvisatoria è l’optimum che si può desiderare e sperare. Quando si dispone di un’organista non improvvisato ma improvvisatore in seguito a serio studio e con volontà ministeriale, si ha la possibilità più preziosa di celebrazioni vive, scattanti, coerenti, proporzionate. Gli interventi strumentali offrono «tutto e solo» quanto loro compete, ordinatamente al tempo opportuno, nel modo giusto: ed è «vera solennità»”.20 Gli altri documenti ufficiali non sono certamente prodighi di indicazioni sulla figura dell’organista. Troviamo un accenno nei Principi e Norme per l’uso del Messale Romano. Al n.63 si legge:”Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la «schola cantorum» o «coro», il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Quello che 15 si dice della «schola cantorum» vale anche, con gli opportuni adattamenti, per gli altri musicisti, specialmente per l’organista”. Nonostante i pochi pronunciamenti, nella celebrazione liturgica l’organista occupa una posizione chiave: egli è collegato al sacerdote, al cantore, al coro, all’assemblea. È possibile sintetizzare la sua funzione in questi ambiti: - accompagna (delicatamente) i canti gregoriani - accompagna i canti in lingua volgare - accompagna il salmista, il cantore e il coro nelle parti loro affidate - improvvisa quando necessario - esegue composizioni. Nel Direttorio Liturgico-Pastorale della Diocesi di Cremona si afferma inoltre:”Anche gli organisti appartengono a pieno titolo alla comunità cristiana e sono quindi tenuti a seguirne i ritmi formativi, senza mai estraniarsi da essa. Perciò non si sentano dispensati dal partecipare alla catechesi, al gruppo liturgico parrocchiale e ad altre iniziative zonali e diocesane per la formazione alla liturgia. Queste disposizioni si estendono anche agli altri strumentisti, che prestano servizio liturgico”.21 16 2. CANTORE E ORGANISTA: UN MINISTERO? 2.1 UNO SGUARDO AI DOCUMENTI Il 15 Agosto 1972 Paolo VI promulgava il Motu Proprio “Ministeria Quaedam” (MQ) sui ministeri sulla Chiesa latina. Tale documento intendeva rivedere e adattare, secondo le esigenze attuali, la prassi ecclesiale riguardante gli ordini minori e i numerosi uffici ad essi connessi. La riforma attuata da Paolo VI può essere sintetizzata in quattro punti fondamentali: 1. Abolizione della tonsura; 2. Abolizione dell’ostariato, dell’esorcistato, del suddiaconato; e mantenimento dei due uffici di lettore e accolito; 3. Cambiamento di nome degli “ordini minori” in “ministeri”; 4. Affidamento dei ministeri anche a laici, cessando di essere riservati in modo esclusivo ai candidati al sacerdozio. MQ si inserisce nel cammino del Concilio Vaticano II tentando di esplicitare le linee teologiche della Lumen Gentium e della Apostolicam Actuositatem. È importante notare come questo documento costituisca il primo tentativo di svincolare la ministerialità da un certo clericalismo. Infatti i ministeri non vengono più considerati esclusivamente come istituzioni previe per accedere agli ordini sacri, ma come uffici che ogni cristiano può svolgere in forza del sacerdozio comune derivante dal battesimo e dalla cresima. 17 La promulgazione di MQ, unitamente al Motu Proprio Ad Pascendum, suscita l’immediato interesse dei vescovi italiani che sono chiamati a stabilire quanto il Motu Proprio affida alle singole conferenze episcopali. Il 15 settembre 1973 la CEI pubblica il documento “I Ministeri nella Chiesa” (MnC) in cui si pone in evidenza che la Chiesa continua a riconoscere carismi e ministeri quali doni dello Spirito. Il rinnovamento dell’antica disciplina sui ministeri è giustificato ed esigito dalla rinnovata mentalità ecclesiale che riflette le attuali condizioni ed esigenze della Chiesa poste in chiaro risalto dal Concilio Vaticano II. Nuove le esigenze, ma nuova anche la riflessione teologica intorno ai ministeri che pone le sue basi su quattro pilastri: 1. l’ecclesiologia di comunione, 2. la sacramentalità della Chiesa, 3. la complementarietà tra sacerdozio comune e ministeriale, 4. la liturgia come fonte e culmine della vita e dell’attività della Chiesa.22 La nuova impostazione teologica è in funzione di una ministerialità che deve essere illuminata e sorretta da chiare motivazioni spirituali e pastorali. I ministeri sono una grazia che viene conferita a colui che ne è istituito, pertanto esigono in chi le assume consapevolezza, costante sforzo ascetico, una vita spirituale più intensa.23 I ministeri, nati all’interno della comunità ecclesiale, sono da espletare nell’ambito del proprio “alveo naturale”, del quale sono espressione. Di particolare rilievo è la considerazione proposta dai 18 vescovi circa la connessione intercorrente tra ritualità e vita della Chiesa nell’espletamento dei ministeri.24 Le premesse si concludono chiarendo differenze e affinità tra l’istruzione ministeriale transeunte, conferita ai candidati al diaconato o al presbiterato, e l’istruzione permanente conferita ai laici. Le argomentazioni proposte sono le stesse di MQ.25 PARTE PRIMA. I ministeri del lettorato e dell’accolitato. Nella prima parte del documento si entra dettagliatamente nel merito degli uffici del lettore e dell’accolito. Di entrambi si chiarisce il ruolo ministeriale, i destinatari della loro azione liturgico-pastorale, l’impegno personale nell’esercizio delle proprie mansioni.26 Seguono una serie di chiarificazioni riguardanti: 1. l’età minima per il conferimento; 2. la vita di fede, la capacità di servizio e la competenza propria di ciascun ministero; 3. ruolo e impegno delle chiese locali e dei vescovi per il discernimento e la formazione spirituale e pastorale di quanti richiedono il conferimento dei ministeri; 4. ruolo e caratteristiche delle comunità che esprimono e accolgono questi ministeri; 5. gli interstizi di tempo tra un conferimento e l’altro di ministeri diversi alla medesima persona; 6. il rito liturgico di istituzione; 7. l’eventuale esclusione o sospensione ministero; 19 dell’esercizio del 8. l’istituzione dei ministeri ai religiosi; 9. l’ambito territoriale dell’esercizio del ministero.27 SECONDA PARTE. I ministeri del lettorato e dell’accolitato conferiti ai candidati al diaconato e presbiterato. Questa seconda parte del documento centra la propria attenzione sul senso e sulla finalità dell’istituzione dei ministeri ai candidati al diaconato o al presbiterato. L’argomento esula, almeno in parte, dall’interesse del presunto studio, ma cogliamo l’occasione per comprendere il rapporto che intercorre tra ministeri permanenti e transeunti. Il testo del documento è sufficientemente chiaro al riguardo: Non c’è dunque una doppia fisionomia, laicale o clericale, dei ministeri del lettorato e dell’accolitato in quanto tali: è diversa invece la prospettiva in cui si colloca, in questi ministeri, chi trova in essi il preciso modo di partecipare alla vita liturgica e apostolica della Chiesa; e di chi passa per l’esercizio di questi ministeri nel momento determinante del suo cammino verso diaconato e presbiterato. C’è condivisione dell’identico ministero, ma in diversa vocazione: è anzi pensabile che l’esercizio dei ministeri sia, di sua natura, capace di suscitare chiamate al diaconato e al presbiterato: una “via verso l’imposizione delle mani”. 28 Seguono una serie di norme disciplinari riguardanti esclusivamente i candidati al diaconato e al presbiterato. TERZA PARTE. Problemi particolari. I paragrafi conclusivi sono dedicati allo sviluppo di tre punti di natura disciplinare e pastorale. 20 Un primo punto propone alcune puntualizzazioni circa il rito di ammissione fra i candidati al diaconato e al presbiterato, circa il luogo del conferimento dei ministeri e circa l’abito liturgico.29 Il secondo punto prospetta una certa apertura verso l’istituzione di ulteriori ministeri: Il motu proprio Ministeria Quaedam prevede l’istituzione di nuovi ministeri. Secondo una prima proposta, ancora bisognosa di riflessione e di maturazione, sembrerebbe opportuno chiedere la facoltà di istituire i seguenti ministeri: a) il catechista: è un ministero molto vicino a quello del lettore. Tuttavia, nell’attuale situazione italiana, sembra avere uno spazio ed uno sviluppo proprio; b) il cantore-salmista: è un ministero conosciuto dalla tradizione più spesso con il nome di salmista e richiesto dalla liturgia. Accanto ad un impegno costante ed ecclesiale esige una conoscenza dei testi e delle celebrazioni. (…) Prima di prendere qualsiasi decisione in merito a nuovi ministeri, sembra tuttavia più opportuno attendere e valutare, nell’attuazione pratica, l’istituzione del lettorato e dell’accolitato. (…) Al tempo stesso dovrà sempre esser tenuto presente anche lo stretto legame fra ufficio liturgico e conseguente impegno pastorale, così come è stato evidenziato nei due motu proprio. 30 Nel 1977 la CEI emana un ulteriore documento intitolato Evangelizzazione e Ministeri (EvM). Nella seconda parte, dopo aver parlato dei ministeri ordinati e dei ministeri istituiti, si trattano alcune “Questioni circa i ministeri”: 21 I ministeri istituiti (…) non esauriscono la ricchezza ministeriale che può fiorire attorno ai ministeri ordinati a sostegno e sviluppo della ministerialità della Chiesa. I ministeri istituiti di cui parliamo si caratterizzano per il rito liturgico del loro conferimento, che tuttavia non ne limita l’esercizio alla sfera strettamente liturgica. Il rito liturgico, d’altra parte, non è l’unico modo di approvazione e di investitura dei ministeri. Accanto al rito, ed equivalente nella sostanza, può esservi il riconoscimento canonico, oppure il tacito ed effettivo consenso dell’autorità ecclesiastica. In quest’ultimo caso si hanno i cosiddetti ministeri di fatto, quei ministeri cioè che senza titoli ufficiali compiono, nella prassi pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla Chiesa. (…) La nozione di ministero non ordinato è desumibile dagli elementi che concorrono alla sua composizione. Essi possono così configurarsi: a) Soprannaturalità di origine Anzitutto, il ministero è originariamente determinato da un dono di Dio. Il ministero non ordinato nasce cioè da una vocazione che è dono e grazia dello Spirito Santo, il quale chiama qualcuno ad offrire la propria fatica per la Chiesa. Lo ricorda il Concilio, quando, trattando di tutti i ministeri, ordinati e non ordinati, dice che sono “suscitati nell’ambito stesso della Chiesa da una vocazione divina” (AG 15). b) Ecclesialità di fine e di contenuto Il ministero è un servizio prettamente ecclesiale nella sua essenza e nella sua destinazione. Aiuta il ministero ordinato nelle sue funzioni e contribuisce così, per la sua parte, alla formazione della comunità cristiana nel lavoro della sua incessante fondazione, crescita e missione. 22 c) Stabilità di prestazione Il ministero non è un servizio temporaneo e transeunte, che chiunque, per richiesta o per generosità, potrebbe in una data circostanza offrire. Il ministero esige una certa stabilità, almeno l’impegno di qualche anno, se non la donazione di tutta la vita. d) Pubblicità di riconoscimento Il ministero, che sorge dal seno della comunità e vive per il bene della comunità, deve avere l’approvazione della comunità e, nella comunità, da chi deve esercitare il servizio dell’autorità. I modi di questo pubblico riconoscimento sono molteplici, come è già stato notato; e tuttavia il riconoscimento che manifesti all’intera comunità la qualità del servizio è indispensabile. È certo, infine, che ogni tipo di ministero, oltre i requisiti suddetti, vuole attitudine e competenza specifica, da verificarsi caso per caso.31 Il Magistero ecclesiale, dunque, prospetta già delle linee guida per poter inquadrare il ministero del canto e della musica nell’ampio contesto della ministerialità della Chiesa. 2.2 UNA PROPOSTA: IL MINISTERO DEL CANTO E DELLA MUSICA OVVERO IL “CANTORE”. “Uno degli snodi non ancora pienamente risolti a livello celebrativo è quello dell’esercizio di una diversificata e convergente ministerialità, quale segno di una reale ricezione di una ecclesiologia di comunione, per cui, come – grazie ai sacramenti dell’iniziazione – tutti siamo Chiesa in Cristo, così la liturgia è azione di tutti i membri della Chiesa, di cui è epifania. Purtroppo, a circa trent’anni dal motu 23 proprio Ministeria Quaedam, i ministeri istituiti non sono ancora entrati come servizi permanenti nelle nostre comunità, nelle quali spesso prevalgono invece forme spontanee di servizio, occasionali e improvvisate («ad actum»), quasi come un volontariato temporaneo e solo per benevola concessione del clero. Così accolitato e lettorato rischiano di tornare a essere semplici passaggi del cursus honorum dello stato clericale in preparazione al diaconato e/o al presbiterato. In realtà, tutti – pastori e fedeli – ciascuno secondo il suo status ecclesiale e il suo ruolo liturgico, siamo «concelebranti», cioè attori nell’esercizio vitale e cultuale del Sacerdozio di Cristo. In effetti, la dimensione sacerdotale appartiene alla Chiesa intera. Però i suoi membri ne hanno una diversificata partecipazione, che ne esplicita la ricchezza e ne specifica l’esercizio. A somiglianza del corpo fisico, anche il corpo mistico di Cristo ha molte membra, le quali, con coordinate funzioni di servizio, concorrono al bene comune. La diversità dei ministeri ecclesiali, che sono sorti nel corso dei secoli, esprime la molteplice iniziativa dello Spirito, che riempie ed edifica il corpo di Cristo. Essi, infatti, fanno riferimento alla Parola e all’Eucarestia, fulcro di tutta la vita cristiana ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel «sacramento dei fratelli», nei quali Cristo è riconosciuto, accolto e servito. La ministerialità, non più privilegio del clero, ma dono dello spirito e impegno per tutti i battezzati, esprimendosi in una ripartizione più equilibrata di ruoli e compiti, dà una immagine più vera di Chiesa e permette di recuperare preziose energie di natura e di grazia al servizio del regno”. 32 24 E’ necessario, dunque, che la nostra Chiesa Diocesana si renda sempre più conto di quanto sia importante valorizzare la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa stessa, che si esprime prima di tutto nella convocazione liturgica. Nelle nostre assemblee manca molto questa consapevolezza del celebrare insieme, in virtù dell’appartenenza alla comunità dei credenti proveniente dal battesimo. I servizi che vengono svolti nelle nostre assemblee sembrano ancora servizi resi al presbitero-presidente, invece che rendere chiara la ministerialità verso un’unica assemblea celebrante. In questo contesto, poi, ci pare sempre più urgente la necessità di definire in prospettiva ministeriale il servizio del canto e della musica nella liturgia. Diverse, infatti, sono le spinte verso un riconoscimento professionale soprattutto della figura dell’organista liturgico. Ne sono testimonianza la nascita di “associazioni di categoria” che puntano alla stipulazione di contratti nazionali in cui inquadrare l’operato degli organisti.33 Se questa è la strada giuridicamente più corretta, non possiamo non chiederci quale sia la strada più conforme a una visione ecclesiale di questa realtà. Dopo aver accennato al contenuto di alcuni documenti del magistero attinenti a questo problema, ci sembra utile fare le seguenti proposte: 25 2.2.1 Rivalutazione e ampliamento di competenze del ministero del cantore. Si potrebbe pensare ad una figura che riassuma in sé tutte le funzioni musicali in ambito liturgico, con investitura ministeriale. In altri termini sarebbe auspicabile che almeno le chiese più importanti di ogni Diocesi abbiano una figura stabile di musicista che svolga le funzioni sia del cantore che dell’organista.34 Se, infatti, guardiamo alla prassi in uso nelle piccole parrocchie, si nota che ormai di fatto l’organista è la figura di riferimento per il canto nella liturgia: insegna i canti, li accompagna all’organo, istruisce l’eventuale cantore solista, sceglie il repertorio, dirige il coro, accompagna i riti liturgici con il solo organo quando mancano i cantori. La presenza, inoltre, di un grande patrimonio di organi storici nella nostra diocesi, richiede senza dubbio una grande competenza in grado di valorizzare pienamente le notevoli risorse timbriche di tali strumenti. Spesso, infatti, gli organi antichi presentano soluzioni e congegni tecnici di particolare complessità, tale da ostacolare l’approccio anche dell’organista discretamente preparato. Pertanto, se l’organista-cantore professionalmente competente è auspicabile ovunque, a maggior ragione se ne rende necessaria la presenza laddove vi sia un organo di particolare pregio storico-artistico. Nei confronti del patrimonio organario storico, l’organista-cantore riveste, dunque, un duplice ruolo: da un lato, mediante l’uso liturgico, egli rende attuali e vive nel presente questa preziose testimonianze artistiche del passato; dall’altro, con il suo operato svolge fondamentali mansioni di tutela e salvaguardia culturale. 26 2.2.2 Passaggio da ministero di fatto a ministero istituito. Essendo potere del Vescovo istituire nuovi ministeri secondo le esigenze del popolo di Dio, si può proporre di istituire legittimamente il ministero del “cantore” (inteso in questo senso lato). Questo passaggio risulta importante per determinare l’ecclesialità della figura dell’organista soprattutto, perché si corre sempre il rischio di “assumere” musicisti con la sola intenzione di uno sbocco professionale. Naturalmente questo sviluppo richiede che vengano rispettati tutti i passaggi necessari per l’affidamento ad ogni candidato di tale ministero: oltre ai quattro criteri ricordati sopra (soprannaturalità di origine, ecclesialità di fine e di contenuto, stabilità di prestazione, pubblicità di riconoscimento)35 si rende necessaria una profonda competenza sia musicale che liturgica, teologica e pastorale; ci sembra poi importante ricordare, a questo proposito, un altro passo di EvM: Preme piuttosto indicare alcuni criteri per il discernimento dei candidati ai suddetti ministeri. È il vescovo che deve compierlo, di fronte all’azione invisibile dello Spirito Santo nelle anime. Ma è opportuno che anche i fedeli non ignorino i segni che, oltre le attitudini e le competenze, permettono di riconoscere queste chiamate divine. Il vescovo farà attenzione alle seguenti garanzie: - la presenza della carità, che è il carisma eccellente e il più edificante atteggiamento interiore di servizio; - la professione della vera fede; 27 - la finalità e l’intenzione, limpida e sincera di collaborare all’edificazione della comunità cristiana; - la volontà della comunione, della convergenza, e della compartecipazione nell’esercizio del proprio ministero in armonia con tutti gli altri. Solo così i ministeri lavorano per la pace, la forza e la fecondità della vita e della missione ecclesiale.36 2.2.3 Definizione di percorsi di formazione La Diocesi, a questo punto, si deve attrezzare per un’adeguata formazione di eventuali candidati a tale ministero. Si richiede prima di tutto una adeguata competenza musicale, che può essere raggiunta attraverso due canali principali: Diploma di Conservatorio (Organo e C.O., Musica Corale e Direzione di Coro, altro strumento) oppure Diploma in apposito Istituto Diocesano di Musica Sacra. A questa si deve accompagnare una solida formazione organaria e organologica, per essere in grado di svolgere le necessarie funzioni di tutela degli organi storici. Un terzo ambito di competenze, non meno importante, è quello liturgico-teologico: non essendo i nostri Conservatori in grado di offrire un’adeguata formazione di questo tipo, è assolutamente necessario frequentare l’Istituto Diocesano di Musica Sacra oppure un Pontificio Istituto. Sarà importante, però, non limitarsi alla educazione strettamente liturgica, ma dare una formazione più ampia. 28 È anzitutto necessario una formazione globale e fondamentale di tutti coloro che sono chiamati a compiere un ministero liturgico. La sola competenza liturgica è insufficiente e, in certo qual modo, “pericolosa” nella misura in cui non si àncora su una globale capacità di progettazione, che impedisca l’affiorare di una mentalità panliturgica, il cui rischio sarebbe lo spegnimento della capacità della liturgia di essere celebrazione del mistero di Cristo nella Chiesa per la salvezza dell’uomo. È assolutamente normale infatti che gli spazi di creatività previsti dalla stessa legislazione liturgica siano intelligentemente utilizzati, al punto da rendere la celebrazione capace di rivelare la ricchezza globale del mistero cristiano, con la sua attenzione all’uomo e alla storia, attenzione resa più urgente dalla Parola che chiama i credenti alla comunione con la Pasqua del Signore. Per questo gli animatori della celebrazione sono chiamati a possedere una competenze più vasta dello stretto ambito liturgico e le chiese locali sono a loro volta chiamate ad offrire itinerari di formazione di base, sui quali innestare poi le specializzazioni.37 Sarà cura della diocesi fornire pure gli adeguati strumenti per una solida formazione spirituale. Il tema della spiritualità dell’animatore musicale della liturgia può apparire alquanto insolito. Quando parliamo di questo ministero, infatti, siamo soliti riferirci ai suoi compiti, dimenticando o dando per scontato il cammino che egli, come cristiano, è chiamato a percorrere. Non dobbiamo dimenticare, però, che l’animatore musicale è prima di tutto un credente e, proprio in virtù di questo, 29 svolge il suo ministero. Non è quindi da trascurare l’aspetto spirituale di questa figura. La propria disponibilità è premessa indispensabile per avviarsi su questa strada. Fino a quando considereremo la nostra fede come un fatto scontato, sarà molto difficile decidersi per il primo passo. Per chi lavora in parrocchia è facile credere che sia sufficiente il “fare” qualcosa di concreto, di pratico, come testimonianza della propria fede. Se siamo disposti a prendere in seria considerazione questa dimensione spirituale, penso che il primo passo da fare sia quello di chiedersi quale tipo di rapporto viviamo con il Signore e col suo Corpo che è la Chiesa. Se si tratta, cioè, di un rapporto che ci coinvolge o se, piuttosto, è un rapporto formale, a scadenze settimanali o, ancora, come quello che viviamo con persone che conosciamo ma con le quali non abbiamo alcunché da condividere, se non un semplice saluto. È un rischio che tutti corriamo e dal quale anche l’animatore deve difendersi. Infatti, può spesso accadere che la preoccupazione degli aspetti strettamente tecnici del proprio ruolo, prevalga sull’attenzione all’esperienza di fede che si fa. Prima di invitare l’assemblea a cantare, l’animatore deve avere già dentro di sé il desiderio di esprimere la lode al Signore. Questo desiderio è il frutto di un rapporto profondo e costante con lui. È l’esperienza di chi, come il salmista, può dire al Signore: “hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento (Salmo 4,8)”. È la gioia incontenibile di chi sperimenta nella propria limitatezza la grandezza di Dio e, giorno dopo giorno, è disposto a consumare tutte le sue energie perché questo rapporto non tramonti mai. Tutti siamo chiamati a vivere questo rapporto con il Signore alimentandolo con la preghiera e attraverso il compito che ci è affidato. 30 Se cominceremo a preoccuparci non soltanto di cosa e come far cantare l’assemblea, ma anche e prima di tutto di come fare per vivere il nostro rapporto autentico con il Signore, saremo già a metà del cammino e l’essere animatori della liturgia sarà veramente un “servire il Signore nella gioia”.38 2.2.4 Ipotesi di retribuzione Potrebbe sembrare un aspetto marginale o poco consono allo spirito con cui si è affrontato sino ad ora l’argomento. È importante però sottolineare che, qualora si arrivi a dare investitura canonica a questo ministero, si rende necessario retribuire in maniera adeguata il “ministro” che, istituito dal Vescovo, assolve a tempo pieno a questo compito. Fuori dalla logica del contratto professionale, il cantore-organista avrà diritto ad un adeguato compenso: Essi hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre il diritto che si garantiscano la previdenza sociale, le assicurazioni sociali e l’assistenza sanitaria.39 2.2.5 Ministero “Ad tempus” Un’ultima considerazione riguarda la durata di questo ministero. È auspicabile che venga affidato solo per un certo periodo (ad esempio per 5 anni reiterabili), in modo che risulti comunque chiaro il fatto che è la Chiesa la fonte primaria di questa ministerialità. 31 2.2.6 Ministero di fatto Naturalmente, non tutte le parrocchie potranno usufruire al loro interno di una figura ministeriale così definita. Ciononostante ogni parroco si deve fare carico di individuare persone adatte a svolgere questo ministero, anche solo di fatto, cui chiedere in ogni caso una adeguata formazione secondo i programmi diocesani. 32 3. PROGETTO DI MASSIMA PER LA DIOCESI DI CREMONA 3.1 Il Vescovo In base a quanto è emerso sopra sulla ministerialità della chiesa, il Vescovo potrebbe istituire per la diocesi il ministero del “cantore” (nel senso di cui si è già parlato). Naturalmente un passo di questo tipo si dovrebbe inserire in un più ampio ripensamento della ministerialità della Chiesa Diocesana. Al Vescovo spetterebbe il compito di valutare l’affidamento di questo ministero a quei candidati che, dopo adeguata preparazione indicata dalla diocesi, fossero presentati a lui dalle singole comunità di provenienza. Nell’ambito di un serio progetto di formazione, l’Ordinario dovrebbe pure creare un apposito Istituto Diocesano di Musica Sacra, avvalendosi in questo della collaborazione dell’ Ufficio Diocesano per il Culto Divino – Sezione “Musica per la Liturgia”, organismo che dovrebbe curarne l’istituzione. 3.2 La Sezione “Musica per la Liturgia dell’Ufficio Diocesano per il Culto Divino” Questa commissione si dovrebbe occupare prima di tutto della creazione dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra, facendo confluire in esso le forze della Scuola d’Organo “M.A.Ingegneri” già presente e operante in Diocesi. 33 Per quanto riguarda i programmi si potrebbe ipotizzare un doppio canale che curi la formazione sia del candidato al ministero di “cantore”, sia di coloro che svolgono di fatto questo ministero nelle parrocchie, pur non giungendo ad un livello “professionale”. I programmi degli Istituti Diocesani di Musica Sacra sono già stati proposti a suo tempo dall’Ufficio Liturgico Nazionale.40 Questa programmazione eventuale dovrà formazione tenere musicale conto già necessariamente conseguita a della livello di Conservatorio. Non andrà dimenticata la formazione di carattere ecclesiologico, spirituale e organologico. Questa commissione potrà suggerire al Vescovo un proprio parere circa le persone che chiederanno di accedere al ministero del “cantore”. Sarà cura, inoltre, della commissione proseguire nella formazione e nell’aggiornamento di tutti gli operatori liturgico-musicali presenti sul territorio. A tal proposito rimangono preziose le indicazioni fornite dall’Ufficio Liturgico Nazionale a proposito delle iniziative Diocesane di animazione.41 Non sono da sottovalutare i momenti celebrativi comuni già esistenti: raduno biennale delle “Scholae Cantorum”, grandi celebrazioni e veglie diocesane col Vescovo; si tratta di momenti in cui si può “fare formazione” attraverso l’esperienza concreta di una celebrazione. L’uscita imminente del Repertorio Diocesano dei canti diventerà l’occasione per un ampliamento dei singoli repertori parrocchiali. A questo proposito sarà importante 34 prevedere dei regolari appuntamenti zonali in cui invitare gli animatori musicali del territorio, per insegnare loro canti nuovi comuni e fornire corrette indicazioni liturgico-celebrative. I membri della commissione, anche con aiuti esterni, potrebbero mettersi a disposizione per incontrare frequentemente e stabilmente le commissioni liturgiche zonali e parrocchiali, per accompagnarle e sostenerle sotto l’aspetto musicale. Circa i compiti della Commissione rimane comunque importante la sintesi scritta da Franco Gomiero: Che cosa dovrebbe fare una commissione diocesana? - aggiornare le parrocchie e le associazioni sulle direttive emanate sul settore e informare circa le iniziative promosse; - studiare la situazione locale, per conoscerne le urgenze, le carenze, le difficoltà e le potenzialità; - promuovere la formazione musicale-liturgica per ogni tipo di operatori (animatori, compositori, strumentisti, coristi, catechisti, presbiteri…) con iniziative di vario genere: • a carattere stabile (scuola diocesana); • corsi ciclici; • corsi residenziali di alcune giornate; • incontri straordinari. - proporre repertori e sussidi, approvare raccolte di canti; - indire manifestazioni diocesane, quali raduni di cori, momenti di studio e di confronto fra coristi; - programmare e curare lo svolgimento delle celebrazioni più importanti della diocesi, perché siano esemplari; - vegliare sui concerti nelle chiese; 35 - 3.3 approvare progetti di costruzione e di restauro di organi.42 Le Parrocchie Ogni singola Parrocchia deve diventare il primo referente per la scelta, la cura e la formazione dei singoli operatori liturgico-musicali. Per quanto riguarda la “vocazione” al ministero del “cantore”, deve essere la comunità parrocchiale a farsi carico del primo riconoscimento di tale ministero; l’iniziativa non può essere lasciata sempre e solo al singolo musicista, che rischia di vedere in questa possibilità un mero sbocco professionale. La Parrocchia individua la persona adatta, la sostiene e l’accompagna nel cammino di formazione, la propone al Vescovo, che, in base ai criteri sopra descritti, valuterà se affidargli il ministero. Una Commissione Liturgica Parrocchiale, poi, non dovrebbe mancare: questa dovrebbe essere il riferimento costante sia per la preparazione delle celebrazioni, sia per la formazione permanente degli operatori. Essa si dovrà fare carico della educazione di tutti al canto, ponendo una cura particolare alle giovani generazioni.43 36 NOTE 1 A. MENEGHETTI, I laici fanno liturgia?, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1989, p. 17. 2 A. MENEGHETTI, op. cit., pp. 41- 44 (passim). 3 J. SEUFFERT, Il ministero liturgico del cantore, in A. KUHNE, I ministeri liturgici nella chiesa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, pp. 106 – 107 (passim). 4 J. SEUFFERT, op. cit., 108. 5 J. SEUFFERT, op. cit. 111. 6 J. SEUFFERT, op. cit. 111. 7 SC n. 112. 8 SC n. 29. 9 MS n. 19. 10 UFFICIO LITURGICO DIOCESANO, CANTARE LA FEDE – Indicazioni per l’animazione del canto nelle assemblee liturgiche, Cremona, 1985. 11 COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Il rinnovamento liturgico in Italia. Nota pastorale a vent’anni dalla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium, (21 – 09 – 1983), n. 23. [D’ora in poi: Nota CEI]. 12 Nota CEI n.13. 13 MS, n.11. 14 MS, n.16. 15 Nota CEI n.10. 16 Nota CEI n.14. 17 MS, n.23. 18 SC, n.120. 19 MS, n.67. 20 F. RAINOLDI, Per cantare la nostra fede, LDC, Leuman (Torino), 1993, pp. 126–127. 21 DIOCESI DI CREMONA, Direttorio Liturgico-Pastorale, Nuova Editrice Cremonese, Cremona, 1998. 22 CEI, I ministeri nella chiesa, 15.9.1973, n.3, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, Vol. 2, Edizioni Dehoniane Bologna, 1985, 551-554. 23 MnC n.4. 37 24 MnC n. 4. 25 MnC n. 5-6. 26 MnC n. 7-8. 27 MnC n. 9-20. 28 MnC n. 22. 29 MnC n.38. 30 MnC n.39-40 (passim). 31 CEI, Evangelizzazione e Ministeri, 15.8.1977, nn. 67-69, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, Vol. 2, Edizioni Dehoniane Bologna, 1985, 2826-2834. 32 A. SORRENTINO, I ministri laici dell’eucarestia: accoliti, ministri straordinari, ministranti, in Rivista di pastorale liturgica, n.220, 3 (2000), pp.29-30. 33 Nel foglio informativo dell’Associazione italiana degli organisti di Chiesa viene ripreso un articolo di Marino Tozzi apparso su Bollettino Ceciliano in cui si propone di assumere in ogni Cattedrale italiana un organista professionista avvalendosi dei fondi dell’otto per mille destinati a ciascuna diocesi. (cfr. Mondo organistico, anno 1 n. 0 – dicembre 1999). 34 Il modello di riferimento si potrebbe accostare alla figura del Kantor che, soprattutto nella chiesa luterana aveva mansioni non solo direttoriali ma anche didattiche (cfr. voce Cantor in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, UTET, Torino 1983, pp.490-491; e anche A. BASSO, Frau Musika, EDT, Torino 1979, vol. I, pp.160-161), mettendo in luce in questo modo che la figura del cantore non si può ridurre alla sola funzione del canto. 35 EvM n.68. 36 EvM n.93. 37 G. COLOMBO, Condizioni di ministerialità nella Chiesa per una piena attuazione della riforma liturgica, in Rivista Liturgica n.3/1986 p.336. 38 M. FALCO, Servite il Signore nella gioia. Per una spiritualità dell’animatore musicale della liturgia, Progetto Vallisa, Bari 1990, pp. 5-7. 39 Codice di Diritto canonico, Can. 231 §2. 40 CEI-Ufficio Liturgico Nazionale, Proposte per la formazione di animatori musicali della Liturgia, Roma 30 giugno 1988, pp.13-33. Cfr. anche F. GOMIERO, Perché tutti i cristiani cantino, CLV-Edizioni Liturgiche, Roma 1999 pp.301-315. 41 CEI-Ufficio Liturgico Nazionale, op. cit., pp. 7-10. E F. GOMIERO, op. cit., pp.299-301. 42 F.GOMIERO, op.cit., pp. 261-262. 38 43 Cfr. F.GOMIERO, op.cit., pp. 253-260. 39 BIBLIOGRAFIA A. Documenti CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, in Enchiridion Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Lumen Gentium, in Enchiridion Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Apostolicam Enchiridion Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981. Actuositatem, in SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Musicam Sacram, in Enchiridion Vaticanum vol. 2, EDB, Bologna 1981. PAOLO VI, Ministeria Quaedam, in Enchiridion Vaticanum vol. 4, EDB, Bologna 1978. PAOLO VI, Ad Pascendum, in Enchiridion Vaticanum vol. 4, EDB, Bologna 1978. SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Principi e Norme per l’uso del Messale Romano, in Enchiridion Vaticanum vol. 3, EDB, Bologna, 1982. CODICE DI DIRITTO CANONICO, in Enchiridion Vaticanum vol. 8, EDB, Bologna 1984. CEI, I Ministeri nella Chiesa, in Enchiridion CEI, vol. 2, EDB, Bologna 1985. CEI, Evangelizzazione e Ministeri, in Enchiridion CEI, Vol. 2, EDB, Bologna 1985. 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