la pastorale della musica e del canto nella diocesi di

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la pastorale della musica e del canto nella diocesi di
Conferenza Episcopale Italiana
Corso di Perfezionamento Liturgico-Musicale
(Co.Per.Li.M.)
GRAZIANO GHISOLFI
LA PASTORALE
DELLA MUSICA E DEL CANTO
NELLA DIOCESI DI CREMONA
PROSPETTIVE E IPOTESI DI LAVORO
Relatore: Prof. Franco Gomiero
Luglio 2000
1
INDICE
Introduzione
3
1.
Il canto e la musica nella liturgia
1.1
1.2
Premessa
Ruoli
1.2.1
1.2.2
1.2.3
1.2.4
1.2.5
4
5
5
6
8
11
14
Il Presidente
L’assemblea
Il cantore
La Schola
L’organista
2.
Cantore e organista: un ministero?
2.1
2.2
Uno sguardo ai documenti
Una proposta:
il ministero del canto e della musica ovvero il “cantore
2.2.1 Rivalutazione e ampliamento di competenze
del ministero del “cantore”
2.2.2 Passaggio da ministero di fatto a ministero istituito
2.2.3 Definizione di percorsi di formazione
2.2.4 Ipotesi di retribuzione
2.2.5 Ministero “ad tempus”
2.2.6 Ministero di fatto
17
23
26
27
28
31
31
32
3.
Progetto di massima per la Diocesi di Cremona 33
3.1
3.2
Il Vescovo
33
La Sezione “Musica per la Liturgia dell’Ufficio Diocesano per il
Culto Divino”
33
Le Parrocchie
36
3.3
Note
Bibliografia
37
40
2
INTRODUZIONE
La
situazione
liturgico-musicale
della
diocesi
di
Cremona,
probabilmente non è molto differente da quella di tante altre. Tuttavia
non si può dire di trovarsi completamente in linea con quanto il
magistero della chiesa ha insegnato soprattutto a partire dal Concilio
Vaticano II. Per questo motivo si rende necessario individuare linee
di comportamento e percorsi di formazione che portino ad una
completa attuazione di quanto già è stato indicato.
Lo
scopo
di
questo
breve
studio
sarà
quello
di
vedere
concretamente, nella situazione attuale della diocesi di Cremona,
quali possano essere le scelte prioritarie da attuare per una
adeguata formazione degli attori della musica e del canto nella
liturgia, avanzando pure delle nuove proposte.
3
1. IL CANTO E LA MUSICA NELLA LITURGIA
1.1 PREMESSA
“La comunità cristiana è chiamata ad essere comunità cultuale:
accoglie e proclama la parola, esprime la sua lode, attualizza il
mistero pasquale ed esercita il servizio nell’amore fraterno. In essa,
ciascuno esprime la sua maturità e responsabilità comunitaria
secondo il dono personale ricevuto da Dio per il bene di tutti, ma che
si radica sul dono fondamentale e basilare dell’appartenenza a
Cristo e al suo corpo ecclesiale. Il battesimo, la confermazione e
l’eucarestia completano nel credente la sua fisionomia di cristiano
maturo in Cristo, conforme alla sua immagine, abilitato ad essere
membro attivo di una comunità cultuale. Quindi sacerdote”.1
Il battesimo, infatti, rende ogni cristiano un sacerdote del sacerdozio
comune
o
“dei
fedeli”.
Questa
configurazione
a
Cristo
e
appartenenza attiva al corpo ecclesiale sono completate nell’unzione
crismale e nella partecipazione all’eucarestia.
“La Chiesa è un corpo, un organismo vivente che ha bisogno di
articolare
equilibratamente
il
ruolo
specifico,
insostituibile
e
complementare delle sue varie membra. Questa orchestrazione di
ruoli non può partire da un progetto astratto, ma dalla natura stessa
della realtà la quale deve suggerire specifici servizi e competenze.
La vocazione ministeriale liturgica dovrebbe nascere concretamente
dalla vita della comunità cultuale e svilupparsi ed esercitarsi in intima
relazione con essa. Questa dovrebbe avere i ministri di cui ha
bisogno e che le circostanze della crescita in sé e nella sua missione
4
vanno richiedendo. Il loro riconoscimento dipenderà dapprima dal
discernimento della comunità, ma la vera accettazione, espressa
nella delega, nell’approvazione o conferma, sarà offerta dal ministro
ordinato, presbitero e vescovo, ossia dal responsabile primo della
comunità”.2
1.2. RUOLI
Nell’assemblea liturgica ci sono diversità di ruoli e di funzioni. Per
quanto riguarda la musica e il canto li possiamo identificare così:
Presidente, Assemblea, Cantore, Schola cantorum (o Coro),
Organista (o altro strumentista).
1.2.1 IL PRESIDENTE
Fra tutti i servizi utili o necessari all’assemblea liturgica, il più
importante e più significativo è quello della presidenza. Qui la parola
ha il senso forte ed etimologico di prae-esse, «essere posto davanti
a». L’unità dell’assemblea che celebra è significata dal ruolo
personale di colui che la presiede. Questo ruolo è operativo e, nello
stesso tempo, mistico. Spetta anzitutto al presidente guidare la
celebrazione, cioè far sì che l’assemblea assuma il più pienamente
possibile l’azione liturgica comune. La sua autorità di servizio mira a
far circolare fra tutti i partecipanti i valori di Chiesa che ognuno
rappresenta. Nello stesso tempo, egli è un’immagine visibile di
Cristo, capo della Chiesa e servitore dei suoi fedeli, presente e
operante in mezzo al suo popolo.
5
“Il sacerdote presiede la santa assemblea in persona di Cristo. Le
preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché proferite in
nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti, devono essere da
tutti ascoltate religiosamente”: così recita l’Istruzione Musicam
Sacram (MS) al n. 14. E’ da notare il fatto che viene sottolineato che
il presidente interviene a nome di tutti, perché in quel momento è
tutta l’assemblea che celebra. Dunque, anche il canto del presidente
svolge una funzione non di privilegio, ma di servizio. Nei Principi e
Norme per l’uso del Messale Romano troviamo infatti (n. 59):
“Pertanto, quando celebra l’Eucarestia, deve servire Dio e il popolo
con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le
parole divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo”.
1.2.2 L’ASSEMBLEA
La partecipazione dell’assemblea ha la sua origine nel Battesimo.
Ogni battezzato è coinvolto nel processo e nell’evento che va dalla
morte alla risurrezione, egli muore e risorge con Cristo. Questa è la
sua «dote» che gli permette di inserirsi nella morte e nella
risurrezione del Signore nel corso della Messa. L’assemblea diventa
così il segno visibile del Cristo presente che si sacrifica, visibilmente
presente come comunità celebrante.
Nei Principi e Norme per l’uso del messale Romano leggiamo
(NN.14ss):
Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura ha carattere
«comunitario», grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e
6
l’assemblea dei fedeli, e le acclamazioni. Infatti questi elementi non
sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma
favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo.
Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle
orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli
riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e
ravvivare l’azione di tutta la comunità.
Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione
attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea: sono soprattutto l’atto
penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale e la
preghiera del Signore. (…) I fedeli che si radunano nell’attesa della
venuta del loro Signore, sono esortati dall’Apostolo a cantare insieme
salmi, inni e cantici spirituali. Infatti il canto è segno della gioia del
cuore. (…) Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al
canto.
L’Istruzione Musicam Sacram, al n.16, è ancora più esplicita sul
canto dell’assemblea:
Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di
una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua
fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si
manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo
ordine:
a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del
sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le
antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici.
7
b) Con un’adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca
gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla
piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta.
c) Si potrà affidare alla sola «Schola» alcuni canti del popolo,
specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti,
o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il
popolo non sia escluso dalle altra parti che gli spettano. Ma non è
da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «Schola» tutte
le parti cantate del Proprio e dell’Ordinario, escludendo
completamente il popolo dalla partecipazione nel canto.
1.2.3 IL CANTORE
Nei Principi e Norme per l’uso del Messale Romano leggiamo al
numero 78: “ È bene che un accolito, un lettore e un cantore
assistano normalmente il sacerdote celebrante; è questa la forma
«tipica»”.
Questo significa semplicemente che il cantore non
dovrebbe mai mancare nella Messa.
Nei principi e Norme leggiamo pure al numero 64: “È opportuno che
vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto
del popolo. Anzi, mancando la «schola», è compito del cantore
guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che
gli spetta”.
“Questo testo fa delle affermazioni importanti. Per prima cosa
notiamo che esso è inserito nel paragrafo: «Ufficio e compito del
popolo di Dio». Perché il popolo di Dio, cioè la comunità radunata
per la messa, possa assolvere il suo compito in maniera degna, ci
vuole il cantore. In secondo luogo osserviamo che nel medesimo
8
paragrafo (n. 63) vengono fatte delle affermazioni a proposito della
funzione del coro: il suo «compito è quello di … promuovere la
partecipazione attiva dei fedeli nel canto». Nei testi della Chiesa la
schola cantorum o corale sta sempre ad indicare qualsiasi gruppo di
cantori. Al maestro del coro è affidata in modo particolare la cura del
canto della comunità; in altre parole, egli dovrebbe poter assolvere di
regola il ruolo del cantore. Dato che solo in poche messe si dispone
di una corale, le parrocchie dovrebbero fare in modo di trovare
singoli cantori che si assumono il compito di intonare e cantare da
soli, perché ciò è indispensabile. Si noti anche che l’introduzione
generale descrive il ruolo del cantore quando parla dell’«ufficio e
compito del popolo di Dio», e non nel paragrafo immediatamente
successivo dedicato agli «uffici particolari». Quindi nelle nostre
messe dovrebbe essere cosa normalissima la presenza di una
persona (o di un gruppo) che canta e intona”.3
Il Messale Romano fa una distinzione precisa fra cantore e salmista.
Al numero 67 dei Principi e Norme del Messale, infatti, si legge: “ È
compito del salmista proclamare il salmo, o il canto biblico, tra le
letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario
che il salmista possegga l’arte del salmodiare, e abbia una buona
pronuncia e una buona dizione”. Nella celebrazione eucaristica si
rende dunque necessaria la presenza anche di questo ministro
specializzato nel canto solistico.
Per quanto riguarda la figura del cantore “non si tratta di introdurre
qualcosa di completamente nuovo, ma di rinnovare un ufficio antico
e indispensabile. Per la liturgia ufficiale della Chiesa, i cantori furono
9
sempre necessari. A volte furono detti antifonari. Molto spesso
cantavano insieme, anche se si trattava di lunghi brani solistici come
i versetti alleluiatici. Invece, altre liturgie conoscono tutt’oggi, a
somiglianza del culto sinagogale, l’ufficio antichissimo del cantore
solista. Si tratta di un ufficio, cui è annessa grande importanza
ovunque esso esiste”.4
Dopo aver acquisito la necessaria esperienza il cantore può
accedere all’ambone per il canto del salmo responsoriale. Come
abbiamo descritto sopra si tratta di due ruoli diversi, ma viene da sé
che la scelta di una persona adatta a svolgere il ruolo del salmista
sia fatta a partire dai cantori.
Altro compito importante è quello di eseguire le parti solistiche non
presidenziali dei canti liturgici. “Tra i canti che si possono prendere in
considerazione vi sono le acclamazioni, come il Kyrie e l’Alleluia, i
canti eseguiti alternativamente come il Gloria e il Credo, i canti con
versetti intercalari come alla comunione o all’introito, il canto di salmi
da parte del popolo, gli inni con ritornelli. Nella liturgia delle Ore è
raccomandabile il canto alternato tra cantore e popolo”.5
Non meno importante è il compito di istruire l’assemblea sui canti
che le competono: “Qui il cantore può svolgere un servizio prezioso.
Anzitutto cantando così bene il proprio brano che l’assemblea non
può che imitarlo. Quando si provano brani nuovi, un ruolo decisivo
spetta al solista e all’intonatore. Se non è possibile fare una prova
con l’assemblea, il metodo migliore consiste nel far cantare prima ad
un singolo individuo, senza accompagnamento d’organo, con
10
chiarezza e in modo gradevole l’inno o il canto. L’assemblea allora
impara facilmente”.6
Da quanto si deduce dai documenti non farebbe necessariamente
parte dei compiti di un cantore il saper dirigere un coro, ma pare in
ogni modo conveniente che sappia svolgere anche questa funzione:
anzi, risulterebbe sommamente necessario che in una assemblea
liturgica ci fosse la presenza di un cantore in grado di dirigere sia il
coro che l’assemblea (animatore liturgico).
La liturgia rinnovata, poi, attribuisce grande importanza alla scelta
oculata dei canti: un cantore dovrebbe imparare a conoscere bene le
varie possibilità e il repertorio dell’assemblea.
Da ultimo non occorre dimenticare di saper cercare opportunamente
e continuamente nuove persone che si adoperino per svolgere
questo ministero.
1.2.4 LA SCHOLA
La Sacrosanctum Concilium (SC) definisce il canto sacro una “parte
necessaria ed integrante della liturgia solenne”.7 “Anche i membri
della schola cantorum svolgono un vero ministero liturgico”.8
L’istruzione Musicam Sacram dice: ”È degno di particolare
attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il coro”.9 Al n. 63 dei
Principi e Norme per l’uso del Messale Romano leggiamo:”Tra i
fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la «schola cantorum» o
«coro», il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le
sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la
partecipazione attiva dei fedeli nel canto”.
11
A proposito di Scholae Cantorum l’Ufficio Liturgico della Diocesi di
Cremona ha emanato nel 1985 un documento dal titolo “CANTARE
LA FEDE”10:
Nelle celebrazioni il compito delle “scholae” finora ha oscillato
continuamente tra l’assorbimento integrale del canto liturgico e la
funzione di sostegno nei confronti di quello del popolo. Considerato
che non sempre si rileva chiarezza di intenti sulla precisa funzione
delle corali, aprendo così il varco a forme svariate e persino opposte
di servizio, è parso opportuno ribadire le finalità specifiche di questi
gruppi ecclesiali, perché se ne promuova la formazione e il senso
autentico del loro situarsi nell’azione liturgica.
La funzione della “schola” si definisce anzitutto in relazione con il
mistero che si celebra nel rito.
La liturgia, infatti, in quanto opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo
dove il divino e l’umano vengono a contatto fra di loro, affinché il
divino salvi ciò che è umano e l’umano acquisti dimensione divina.11
Anche il canto deve sottostare a questo fondamentale principio della
liturgia che, in quanto realtà in atto e non passiva, non può
ammettere rifugi fuori del tempo o esclusioni dei protagonisti della
celebrazione. Pertanto la musica nella celebrazione non può essere
che funzionale, cioè deve formare il più possibile un tutt’uno con ciò
che il rito esprime e attualizza.
In altre parole, i canti della “schola” non hanno il compito di decorare
le sacre funzioni, quasi come un abbellimento esteriore, ma di far
sentire e vivere i momenti celebrativi come momenti di salvezza.
Per cui a un Dio che si rivela attraverso la ritualità di poveri segni
corrisponde una risposta/adesione che, anche attraverso il canto,
diventa espressione della vita umana rapportata al mistero divino.
12
È così stabilito il criterio fondamentale circa i contenuti e la forma
espressiva del canto: da quando la parola di Dio s’è fatta carne e Dio
ha scelto di parlare e di essere lodato nella lingua degli uomini, ogni
parola
autenticamente umana è stata assunta nel mistero
dell’incarnazione e nessuna lingua umana potrà mai esserne esclusa.
Tutto ciò di cui l’uomo si serve per esprimere fede e disperazione,
gioia e pianto, vita e morte, speranza e paura, tutto è diventato carne
dell’eterna Parola di Dio e tutto è stato abilitato a dare espressione
all’inesprimibile.12
In concreto, prioritariamente la scelta dei canti è in riferimento ai
contenuti, poiché non sono ammissibili composizioni che non siano
strettamente legate al mistero celebrato; oppure che siano diventate
incomprensibili per l’assemblea celebrante, sia per la lingua che per
forme espressive vetuste e sorpassate.
Si deve tener presente, infatti, che la vera solennità di una azione
liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e
dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo
degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità
dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo
la loro natura.13
La “schola” rientra tra gli uffici e ministeri che vengono esercitati
durante le celebrazioni liturgiche. La sua collocazione più naturale è
tra il popolo di Dio in quanto tra i fedeli esercita il proprio ufficio
liturgico.
Infatti non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni
di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua
fede.14
Il compito della corale si qualifica quindi come un servizio, che non
deve mai oscurare né, tantomeno, sopprimere l’autentico soggetto
della celebrazione, l’assemblea.
13
La sua centralità costituisce al tempo stesso un diritto e un dovere.
Nell’atto liturgico, infatti, la comunità, destinataria e protagonista di
ogni celebrazione, esprime ed edifica se stessa, e mentre professa la
propria fede nel mistero della redenzione sempre più progredisce
sulla via della salvezza.15
Lo specifico ministero della “schola” è dunque quello di curare che,
pur svolgendo la sua necessaria funzione di guida, coinvolga l’intera
assemblea in una più attiva partecipazione.16
Per questo anche la sua sistemazione in chiesa deve chiaramente far
risaltare questa sua funzione e facilitare l’esecuzione del suo
ministero liturgico, tenendo conto dell’auspicio che sia assicurata a
ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla messa nel
modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale.17
1.2.5 L’ORGANISTA
Se in genere nei documenti ufficiali non si parla direttamente
dell’organista, si può comunque risalire all’identificazione di questa
figura considerando le molteplici prerogative che la Chiesa assegna
all’uso dell’organo nella liturgia.
“Nella chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, come
strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di
aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della chiesa, e di
elevare potentemente gli animi a Dio e alle realtà supreme”.18
Nell’Istruzione Musicam Sacram, dopo aver ripreso i dettami del
Concilio sul ruolo dell’Organo nella Liturgia, si inizia a parlare anche
dell’organista: “È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti,
oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento,
14
conoscano e penetrino intimamente lo spirito della Sacra Liturgia in
modo che anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della
sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e
favoriscano la partecipazione dei fedeli”.19
“Si legge qui la fattispecie di una carta d’identità dei veri musicisti di
Chiesa. Connotati:
- padronanza tecnica;
- formazione spirituale e liturgica, coinvolgente;
- capacità di improvvisazione, secondo l’opportunità e nel modo
più opportuno.
Da rimarcare questo ultimo aspetto. L’abilità improvvisatoria è
l’optimum che si può desiderare e sperare. Quando si dispone di
un’organista non improvvisato ma improvvisatore in seguito a serio
studio e con volontà ministeriale, si ha la possibilità più preziosa di
celebrazioni vive, scattanti, coerenti, proporzionate. Gli interventi
strumentali
offrono
«tutto
e
solo»
quanto
loro
compete,
ordinatamente al tempo opportuno, nel modo giusto: ed è «vera
solennità»”.20
Gli altri documenti ufficiali non sono certamente prodighi di
indicazioni sulla figura dell’organista. Troviamo un accenno nei
Principi e Norme per l’uso del Messale Romano. Al n.63 si
legge:”Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la «schola
cantorum» o «coro», il cui compito è quello di eseguire a dovere le
parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e
promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Quello che
15
si dice della «schola cantorum» vale anche, con gli opportuni
adattamenti, per gli altri musicisti, specialmente per l’organista”.
Nonostante i pochi pronunciamenti, nella celebrazione liturgica
l’organista occupa una posizione chiave: egli è collegato al
sacerdote, al cantore, al coro, all’assemblea.
È possibile sintetizzare la sua funzione in questi ambiti:
- accompagna (delicatamente) i canti gregoriani
- accompagna i canti in lingua volgare
- accompagna il salmista, il cantore e il coro nelle parti loro
affidate
- improvvisa quando necessario
- esegue composizioni.
Nel Direttorio Liturgico-Pastorale della Diocesi di Cremona si afferma
inoltre:”Anche gli organisti appartengono a pieno titolo alla comunità
cristiana e sono quindi tenuti a seguirne i ritmi formativi, senza mai
estraniarsi da essa. Perciò non si sentano dispensati dal partecipare
alla catechesi, al gruppo liturgico parrocchiale e ad altre iniziative
zonali e diocesane per la formazione alla liturgia. Queste
disposizioni si estendono anche agli altri strumentisti, che prestano
servizio liturgico”.21
16
2. CANTORE E ORGANISTA: UN MINISTERO?
2.1 UNO SGUARDO AI DOCUMENTI
Il 15 Agosto 1972 Paolo VI promulgava il Motu Proprio “Ministeria
Quaedam” (MQ) sui ministeri sulla Chiesa latina. Tale documento
intendeva rivedere e adattare, secondo le esigenze attuali, la prassi
ecclesiale riguardante gli ordini minori e i numerosi uffici ad essi
connessi. La riforma attuata da Paolo VI può essere sintetizzata in
quattro punti fondamentali:
1. Abolizione della tonsura;
2. Abolizione dell’ostariato, dell’esorcistato, del suddiaconato; e
mantenimento dei due uffici di lettore e accolito;
3. Cambiamento di nome degli “ordini minori” in “ministeri”;
4. Affidamento dei ministeri anche a laici, cessando di essere
riservati in modo esclusivo ai candidati al sacerdozio.
MQ si inserisce nel cammino del Concilio Vaticano II tentando di
esplicitare le linee teologiche della Lumen Gentium e della
Apostolicam Actuositatem.
È importante notare come questo documento costituisca il primo
tentativo di svincolare la ministerialità da un certo clericalismo. Infatti
i ministeri non vengono più considerati esclusivamente come
istituzioni previe per accedere agli ordini sacri, ma come uffici che
ogni cristiano può svolgere in forza del sacerdozio comune derivante
dal battesimo e dalla cresima.
17
La promulgazione di MQ, unitamente al Motu Proprio Ad
Pascendum, suscita l’immediato interesse dei vescovi italiani che
sono chiamati a stabilire quanto il Motu Proprio affida alle singole
conferenze episcopali.
Il 15 settembre 1973 la CEI pubblica il documento “I Ministeri nella
Chiesa” (MnC) in cui si pone in evidenza che la Chiesa continua a
riconoscere
carismi
e
ministeri
quali
doni
dello
Spirito.
Il
rinnovamento dell’antica disciplina sui ministeri è giustificato ed
esigito dalla rinnovata mentalità ecclesiale che riflette le attuali
condizioni ed esigenze della Chiesa poste in chiaro risalto dal
Concilio Vaticano II. Nuove le esigenze, ma nuova anche la
riflessione teologica intorno ai ministeri che pone le sue basi su
quattro pilastri:
1. l’ecclesiologia di comunione,
2. la sacramentalità della Chiesa,
3. la complementarietà tra sacerdozio comune e ministeriale,
4. la liturgia come fonte e culmine della vita e dell’attività della
Chiesa.22
La nuova impostazione teologica è in funzione di una ministerialità
che deve essere illuminata e sorretta da chiare motivazioni spirituali
e pastorali. I ministeri sono una grazia che viene conferita a colui
che ne è istituito, pertanto esigono in chi le assume consapevolezza,
costante sforzo ascetico, una vita spirituale più intensa.23
I ministeri, nati all’interno della comunità ecclesiale, sono da
espletare nell’ambito del proprio “alveo naturale”, del quale sono
espressione. Di particolare rilievo è la considerazione proposta dai
18
vescovi circa la connessione intercorrente tra ritualità e vita della
Chiesa nell’espletamento dei ministeri.24
Le premesse si concludono chiarendo differenze e affinità tra
l’istruzione ministeriale transeunte, conferita ai candidati al diaconato
o al presbiterato, e l’istruzione permanente conferita ai laici. Le
argomentazioni proposte sono le stesse di MQ.25
PARTE PRIMA. I ministeri del lettorato e dell’accolitato. Nella
prima parte del documento si entra dettagliatamente nel merito degli
uffici del lettore e dell’accolito. Di entrambi si chiarisce il ruolo
ministeriale, i destinatari della loro azione liturgico-pastorale,
l’impegno personale nell’esercizio delle proprie mansioni.26 Seguono
una serie di chiarificazioni riguardanti:
1. l’età minima per il conferimento;
2. la vita di fede, la capacità di servizio e la competenza propria
di ciascun ministero;
3. ruolo e impegno delle chiese locali e dei vescovi per il
discernimento e la formazione spirituale e pastorale di quanti
richiedono il conferimento dei ministeri;
4. ruolo e caratteristiche delle comunità che esprimono e
accolgono questi ministeri;
5. gli interstizi di tempo tra un conferimento e l’altro di ministeri
diversi alla medesima persona;
6. il rito liturgico di istituzione;
7. l’eventuale
esclusione
o
sospensione
ministero;
19
dell’esercizio
del
8. l’istituzione dei ministeri ai religiosi;
9. l’ambito territoriale dell’esercizio del ministero.27
SECONDA PARTE. I ministeri del lettorato e dell’accolitato
conferiti ai candidati al diaconato e presbiterato. Questa
seconda parte del documento centra la propria attenzione sul senso
e sulla finalità dell’istituzione dei ministeri ai candidati al diaconato o
al presbiterato. L’argomento esula, almeno in parte, dall’interesse
del presunto studio, ma cogliamo l’occasione per comprendere il
rapporto che intercorre tra ministeri permanenti e transeunti. Il testo
del documento è sufficientemente chiaro al riguardo:
Non c’è dunque una doppia fisionomia, laicale o clericale, dei
ministeri del lettorato e dell’accolitato in quanto tali: è diversa invece
la prospettiva in cui si colloca, in questi ministeri, chi trova in essi il
preciso modo di partecipare alla vita liturgica e apostolica della
Chiesa; e di chi passa per l’esercizio di questi ministeri nel momento
determinante del suo cammino verso diaconato e presbiterato.
C’è condivisione dell’identico ministero, ma in diversa vocazione: è
anzi pensabile che l’esercizio dei ministeri sia, di sua natura, capace
di suscitare chiamate al diaconato e al presbiterato: una “via verso
l’imposizione delle mani”.
28
Seguono una serie di norme disciplinari riguardanti esclusivamente i
candidati al diaconato e al presbiterato.
TERZA PARTE. Problemi particolari. I paragrafi conclusivi sono
dedicati allo sviluppo di tre punti di natura disciplinare e pastorale.
20
Un primo punto propone alcune puntualizzazioni circa il rito di
ammissione fra i candidati al diaconato e al presbiterato, circa il
luogo del conferimento dei ministeri e circa l’abito liturgico.29 Il
secondo punto prospetta una certa apertura verso l’istituzione di
ulteriori ministeri:
Il motu proprio Ministeria Quaedam prevede l’istituzione di nuovi
ministeri. Secondo una prima proposta, ancora bisognosa di
riflessione e di maturazione, sembrerebbe opportuno chiedere la
facoltà di istituire i seguenti ministeri:
a) il catechista: è un ministero molto vicino a quello del lettore.
Tuttavia, nell’attuale situazione italiana, sembra avere uno
spazio ed uno sviluppo proprio;
b) il cantore-salmista: è un ministero conosciuto dalla tradizione
più spesso con il nome di salmista e richiesto dalla liturgia.
Accanto ad un impegno costante ed ecclesiale esige una
conoscenza dei testi e delle celebrazioni. (…)
Prima di prendere qualsiasi decisione in merito a nuovi ministeri,
sembra tuttavia più opportuno attendere e valutare, nell’attuazione
pratica, l’istituzione del lettorato e dell’accolitato. (…)
Al tempo stesso dovrà sempre esser tenuto presente anche lo stretto
legame fra ufficio liturgico e conseguente impegno pastorale, così
come è stato evidenziato nei due motu proprio. 30
Nel 1977 la CEI emana un ulteriore documento intitolato
Evangelizzazione e Ministeri (EvM). Nella seconda parte, dopo aver
parlato dei ministeri ordinati e dei ministeri istituiti, si trattano alcune
“Questioni circa i ministeri”:
21
I ministeri istituiti (…) non esauriscono la ricchezza ministeriale che
può fiorire attorno ai ministeri ordinati a sostegno e sviluppo della
ministerialità della Chiesa. I ministeri istituiti di cui parliamo si
caratterizzano per il rito liturgico del loro conferimento, che tuttavia
non ne limita l’esercizio alla sfera strettamente liturgica. Il rito
liturgico, d’altra parte, non è l’unico modo di approvazione e di
investitura dei ministeri. Accanto al rito, ed equivalente nella
sostanza, può esservi il riconoscimento canonico, oppure il tacito ed
effettivo consenso dell’autorità ecclesiastica.
In quest’ultimo caso si hanno i cosiddetti ministeri di fatto, quei
ministeri cioè che senza titoli ufficiali compiono, nella prassi
pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla Chiesa. (…)
La nozione di ministero non ordinato è desumibile dagli elementi che
concorrono alla sua composizione. Essi possono così configurarsi:
a) Soprannaturalità di origine
Anzitutto, il ministero è originariamente determinato da un dono di
Dio. Il ministero non ordinato nasce cioè da una vocazione che è
dono e grazia dello Spirito Santo, il quale chiama qualcuno ad offrire
la propria fatica per la Chiesa. Lo ricorda il Concilio, quando,
trattando di tutti i ministeri, ordinati e non ordinati, dice che sono
“suscitati nell’ambito stesso della Chiesa da una vocazione divina”
(AG 15).
b) Ecclesialità di fine e di contenuto
Il ministero è un servizio prettamente ecclesiale nella sua essenza e
nella sua destinazione. Aiuta il ministero ordinato nelle sue funzioni e
contribuisce così, per la sua parte, alla formazione della comunità
cristiana nel lavoro della sua incessante fondazione, crescita e
missione.
22
c) Stabilità di prestazione
Il ministero non è un servizio temporaneo e transeunte, che chiunque,
per richiesta o per generosità, potrebbe in una data circostanza
offrire. Il ministero esige una certa stabilità, almeno l’impegno di
qualche anno, se non la donazione di tutta la vita.
d) Pubblicità di riconoscimento
Il ministero, che sorge dal seno della comunità e vive per il bene della
comunità, deve avere l’approvazione della comunità e, nella
comunità, da chi deve esercitare il servizio dell’autorità. I modi di
questo pubblico riconoscimento sono molteplici, come è già stato
notato; e tuttavia il riconoscimento che manifesti all’intera comunità la
qualità del servizio è indispensabile.
È certo, infine, che ogni tipo di ministero, oltre i requisiti suddetti,
vuole attitudine e competenza specifica, da verificarsi caso per
caso.31
Il Magistero ecclesiale, dunque, prospetta già delle linee guida per
poter inquadrare il ministero del canto e della musica nell’ampio
contesto della ministerialità della Chiesa.
2.2 UNA PROPOSTA: IL MINISTERO DEL CANTO E DELLA
MUSICA OVVERO IL “CANTORE”.
“Uno degli snodi non ancora pienamente risolti a livello celebrativo è
quello dell’esercizio di una diversificata e convergente ministerialità,
quale segno di una reale ricezione di una ecclesiologia di
comunione, per cui, come – grazie ai sacramenti dell’iniziazione –
tutti siamo Chiesa in Cristo, così la liturgia è azione di tutti i membri
della Chiesa, di cui è epifania. Purtroppo, a circa trent’anni dal motu
23
proprio Ministeria Quaedam, i ministeri istituiti non sono ancora
entrati come servizi permanenti nelle nostre comunità, nelle quali
spesso prevalgono invece forme spontanee di servizio, occasionali
e
improvvisate
(«ad
actum»),
quasi
come
un
volontariato
temporaneo e solo per benevola concessione del clero. Così
accolitato e lettorato rischiano di tornare a essere semplici passaggi
del cursus honorum dello stato clericale in preparazione al
diaconato e/o al presbiterato. In realtà, tutti – pastori e fedeli –
ciascuno secondo il suo status ecclesiale e il suo ruolo liturgico,
siamo «concelebranti», cioè attori nell’esercizio vitale e cultuale del
Sacerdozio di Cristo. In effetti, la dimensione sacerdotale appartiene
alla Chiesa intera. Però i suoi membri ne hanno una diversificata
partecipazione, che ne esplicita la ricchezza e ne specifica
l’esercizio. A somiglianza del corpo fisico, anche il corpo mistico di
Cristo ha molte membra, le quali, con coordinate funzioni di servizio,
concorrono al bene comune. La diversità dei ministeri ecclesiali, che
sono sorti nel corso dei secoli, esprime la molteplice iniziativa dello
Spirito, che riempie ed edifica il corpo di Cristo. Essi, infatti, fanno
riferimento alla Parola e all’Eucarestia, fulcro di tutta la vita cristiana
ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel
«sacramento dei fratelli», nei quali Cristo è riconosciuto, accolto e
servito. La ministerialità, non più privilegio del clero, ma dono dello
spirito e impegno per tutti i battezzati, esprimendosi in una
ripartizione più equilibrata di ruoli e compiti, dà una immagine più
vera di Chiesa e permette di recuperare preziose energie di natura e
di grazia al servizio del regno”.
32
24
E’ necessario, dunque, che la nostra Chiesa Diocesana si renda
sempre più conto di quanto sia importante valorizzare la
partecipazione di tutti alla vita della Chiesa stessa, che si esprime
prima di tutto nella convocazione liturgica. Nelle nostre assemblee
manca molto questa consapevolezza del celebrare insieme, in virtù
dell’appartenenza alla comunità dei credenti proveniente dal
battesimo. I servizi che vengono svolti nelle nostre assemblee
sembrano ancora servizi resi al presbitero-presidente, invece che
rendere
chiara
la
ministerialità
verso
un’unica
assemblea
celebrante.
In questo contesto, poi, ci pare sempre più urgente la necessità di
definire in prospettiva ministeriale il servizio del canto e della musica
nella liturgia. Diverse, infatti, sono le spinte verso un riconoscimento
professionale soprattutto della figura dell’organista liturgico. Ne sono
testimonianza la nascita di “associazioni di categoria” che puntano
alla stipulazione di contratti nazionali in cui inquadrare l’operato
degli organisti.33 Se questa è la strada giuridicamente più corretta,
non possiamo non chiederci quale sia la strada più conforme a una
visione ecclesiale di questa realtà.
Dopo aver accennato al contenuto di alcuni documenti del magistero
attinenti a questo problema, ci sembra utile fare le seguenti
proposte:
25
2.2.1 Rivalutazione e ampliamento di competenze del ministero
del cantore.
Si potrebbe pensare ad una figura che riassuma in sé tutte le
funzioni musicali in ambito liturgico, con investitura ministeriale. In
altri termini sarebbe auspicabile che almeno le chiese più importanti
di ogni Diocesi abbiano una figura stabile di musicista che svolga le
funzioni sia del cantore che dell’organista.34 Se, infatti, guardiamo
alla prassi in uso nelle piccole parrocchie, si nota che ormai di fatto
l’organista è la figura di riferimento per il canto nella liturgia: insegna
i canti, li accompagna all’organo, istruisce l’eventuale cantore
solista, sceglie il repertorio, dirige il coro, accompagna i riti liturgici
con il solo organo quando mancano i cantori.
La presenza, inoltre, di un grande patrimonio di organi storici nella
nostra diocesi, richiede senza dubbio una grande competenza in
grado di valorizzare pienamente le notevoli risorse timbriche di tali
strumenti. Spesso, infatti, gli organi antichi presentano soluzioni e
congegni tecnici di particolare complessità, tale da ostacolare
l’approccio anche dell’organista discretamente preparato. Pertanto,
se l’organista-cantore professionalmente competente è auspicabile
ovunque, a maggior ragione se ne rende necessaria la presenza
laddove vi sia un organo di particolare pregio storico-artistico.
Nei confronti del patrimonio organario storico, l’organista-cantore
riveste, dunque, un duplice ruolo: da un lato, mediante l’uso
liturgico, egli rende attuali e vive nel presente questa preziose
testimonianze artistiche del passato; dall’altro, con il suo operato
svolge fondamentali mansioni di tutela e salvaguardia culturale.
26
2.2.2 Passaggio da ministero di fatto a ministero istituito.
Essendo potere del Vescovo istituire nuovi ministeri secondo le
esigenze del popolo di Dio, si può proporre di istituire legittimamente
il ministero del “cantore” (inteso in questo senso lato). Questo
passaggio risulta importante per determinare l’ecclesialità della
figura dell’organista soprattutto, perché si corre sempre il rischio di
“assumere” musicisti con la sola intenzione di uno sbocco
professionale. Naturalmente questo sviluppo richiede che vengano
rispettati tutti i passaggi necessari
per l’affidamento ad ogni
candidato di tale ministero: oltre ai quattro criteri ricordati sopra
(soprannaturalità di origine, ecclesialità di fine e di contenuto,
stabilità di prestazione, pubblicità di riconoscimento)35 si rende
necessaria una profonda competenza sia musicale che liturgica,
teologica e pastorale; ci sembra poi importante ricordare, a questo
proposito, un altro passo di EvM:
Preme piuttosto indicare alcuni criteri per il discernimento dei
candidati ai suddetti ministeri. È il vescovo che deve compierlo, di
fronte all’azione invisibile dello Spirito Santo nelle anime. Ma è
opportuno che anche i fedeli non ignorino i segni che, oltre le
attitudini e le competenze, permettono di riconoscere queste
chiamate divine.
Il vescovo farà attenzione alle seguenti garanzie:
-
la presenza della carità, che è il carisma eccellente e il più
edificante atteggiamento interiore di servizio;
-
la professione della vera fede;
27
-
la
finalità
e
l’intenzione,
limpida
e
sincera
di
collaborare
all’edificazione della comunità cristiana;
-
la
volontà
della
comunione,
della
convergenza,
e
della
compartecipazione nell’esercizio del proprio ministero in armonia
con tutti gli altri.
Solo così i ministeri lavorano per la pace, la forza e la fecondità della
vita e della missione ecclesiale.36
2.2.3 Definizione di percorsi di formazione
La Diocesi, a questo punto, si deve attrezzare per un’adeguata
formazione di eventuali candidati a tale ministero.
Si richiede prima di tutto una adeguata competenza musicale, che
può essere raggiunta attraverso due canali principali: Diploma di
Conservatorio (Organo e C.O., Musica Corale e Direzione di Coro,
altro strumento) oppure Diploma in apposito Istituto Diocesano di
Musica Sacra.
A questa si deve accompagnare una solida formazione organaria e
organologica, per essere in grado di svolgere le necessarie funzioni
di tutela degli organi storici.
Un terzo ambito di competenze, non meno importante, è quello
liturgico-teologico: non essendo i nostri Conservatori in grado di
offrire un’adeguata formazione di questo tipo, è assolutamente
necessario frequentare l’Istituto Diocesano di Musica Sacra oppure
un Pontificio Istituto. Sarà importante, però, non limitarsi alla
educazione strettamente liturgica, ma dare una formazione più
ampia.
28
È anzitutto necessario una formazione globale e fondamentale di tutti
coloro che sono chiamati a compiere un ministero liturgico. La sola
competenza liturgica è insufficiente e, in certo qual modo,
“pericolosa” nella misura in cui non si àncora su una globale capacità
di
progettazione,
che
impedisca
l’affiorare
di
una
mentalità
panliturgica, il cui rischio sarebbe lo spegnimento della capacità della
liturgia di essere celebrazione del mistero di Cristo nella Chiesa per la
salvezza dell’uomo.
È assolutamente normale infatti che gli spazi di creatività previsti
dalla stessa legislazione liturgica siano intelligentemente utilizzati, al
punto da rendere la celebrazione capace di rivelare la ricchezza
globale del mistero cristiano, con la sua attenzione all’uomo e alla
storia, attenzione resa più urgente dalla Parola che chiama i credenti
alla comunione con la Pasqua del Signore. Per questo gli animatori
della celebrazione sono chiamati a possedere una competenze più
vasta dello stretto ambito liturgico e le chiese locali sono a loro volta
chiamate ad offrire itinerari di formazione di base, sui quali innestare
poi le specializzazioni.37
Sarà cura della diocesi fornire pure gli adeguati strumenti per una
solida formazione spirituale.
Il tema della spiritualità dell’animatore musicale della liturgia può
apparire alquanto insolito. Quando parliamo di questo ministero,
infatti, siamo soliti riferirci ai suoi compiti, dimenticando o dando per
scontato il cammino che egli, come cristiano, è chiamato a
percorrere. Non dobbiamo dimenticare, però, che l’animatore
musicale è prima di tutto un credente e, proprio in virtù di questo,
29
svolge il suo ministero. Non è quindi da trascurare l’aspetto spirituale
di questa figura.
La propria disponibilità è premessa indispensabile per avviarsi su
questa strada. Fino a quando considereremo la nostra fede come un
fatto scontato, sarà molto difficile decidersi per il primo passo. Per chi
lavora in parrocchia è facile credere che sia sufficiente il “fare”
qualcosa di concreto, di pratico, come testimonianza della propria
fede.
Se siamo disposti a prendere in seria considerazione questa
dimensione spirituale, penso che il primo passo da fare sia quello di
chiedersi quale tipo di rapporto viviamo con il Signore e col suo
Corpo che è la Chiesa. Se si tratta, cioè, di un rapporto che ci
coinvolge o se, piuttosto, è un rapporto formale, a scadenze
settimanali o, ancora, come quello che viviamo con persone che
conosciamo ma con le quali non abbiamo alcunché da condividere,
se non un semplice saluto. È un rischio che tutti corriamo e dal quale
anche l’animatore deve difendersi. Infatti, può spesso accadere che
la preoccupazione degli aspetti strettamente tecnici del proprio ruolo,
prevalga sull’attenzione all’esperienza di fede che si fa.
Prima di invitare l’assemblea a cantare, l’animatore deve avere già
dentro di sé il desiderio di esprimere la lode al Signore. Questo
desiderio è il frutto di un rapporto profondo e costante con lui. È
l’esperienza di chi, come il salmista, può dire al Signore: “hai messo
più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento (Salmo
4,8)”. È la gioia incontenibile di chi sperimenta nella propria
limitatezza la grandezza di Dio e, giorno dopo giorno, è disposto a
consumare tutte le sue energie perché questo rapporto non tramonti
mai. Tutti siamo chiamati a vivere questo rapporto con il Signore
alimentandolo con la preghiera e attraverso il compito che ci è
affidato.
30
Se cominceremo a preoccuparci non soltanto di cosa e come far
cantare l’assemblea, ma anche e prima di tutto di come fare per
vivere il nostro rapporto autentico con il Signore, saremo già a metà
del cammino e l’essere animatori della liturgia sarà veramente un
“servire il Signore nella gioia”.38
2.2.4 Ipotesi di retribuzione
Potrebbe sembrare un aspetto marginale o poco consono allo spirito
con cui si è affrontato sino ad ora l’argomento. È importante però
sottolineare che, qualora si arrivi a dare investitura canonica a
questo ministero, si rende necessario retribuire in maniera adeguata
il “ministro” che, istituito dal Vescovo, assolve a tempo pieno a
questo compito. Fuori dalla logica del contratto professionale, il
cantore-organista avrà diritto ad un adeguato compenso:
Essi hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro
condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto
delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle
della famiglia; hanno inoltre il diritto che si garantiscano la
previdenza sociale, le assicurazioni sociali e l’assistenza sanitaria.39
2.2.5 Ministero “Ad tempus”
Un’ultima considerazione riguarda la durata di questo ministero. È
auspicabile che venga affidato solo per un certo periodo (ad
esempio per 5 anni reiterabili), in modo che risulti comunque chiaro
il fatto che è la Chiesa la fonte primaria di questa ministerialità.
31
2.2.6 Ministero di fatto
Naturalmente, non tutte le parrocchie potranno usufruire al loro
interno di una figura ministeriale così definita. Ciononostante ogni
parroco si deve fare carico di individuare persone adatte a svolgere
questo ministero, anche solo di fatto, cui chiedere in ogni caso una
adeguata formazione secondo i programmi diocesani.
32
3. PROGETTO DI MASSIMA PER LA DIOCESI DI
CREMONA
3.1 Il Vescovo
In base a quanto è emerso sopra sulla ministerialità della chiesa, il
Vescovo potrebbe istituire per la diocesi il ministero del “cantore”
(nel senso di cui si è già parlato). Naturalmente un passo di questo
tipo si dovrebbe inserire in un più ampio ripensamento della
ministerialità della Chiesa Diocesana.
Al Vescovo spetterebbe il compito di valutare l’affidamento di
questo ministero a quei candidati che, dopo adeguata preparazione
indicata dalla diocesi, fossero presentati a lui dalle singole comunità
di provenienza.
Nell’ambito di un serio progetto di formazione, l’Ordinario dovrebbe
pure creare un apposito Istituto Diocesano di Musica Sacra,
avvalendosi in questo della collaborazione dell’ Ufficio Diocesano
per il Culto Divino – Sezione “Musica per la Liturgia”, organismo che
dovrebbe curarne l’istituzione.
3.2
La Sezione “Musica per la Liturgia dell’Ufficio Diocesano
per il Culto Divino”
Questa commissione si dovrebbe occupare prima di tutto della
creazione dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra, facendo confluire
in esso le forze della Scuola d’Organo “M.A.Ingegneri” già presente
e operante in Diocesi.
33
Per quanto riguarda i programmi si potrebbe ipotizzare un doppio
canale che curi la formazione sia del candidato al ministero di
“cantore”, sia di coloro che svolgono di fatto questo ministero nelle
parrocchie, pur non giungendo ad un livello “professionale”.
I programmi degli Istituti Diocesani di Musica Sacra sono già stati
proposti a suo tempo dall’Ufficio Liturgico Nazionale.40 Questa
programmazione
eventuale
dovrà
formazione
tenere
musicale
conto
già
necessariamente
conseguita
a
della
livello
di
Conservatorio. Non andrà dimenticata la formazione di carattere
ecclesiologico, spirituale e organologico.
Questa commissione potrà suggerire al Vescovo un proprio parere
circa le persone che chiederanno di accedere al ministero del
“cantore”.
Sarà cura, inoltre, della commissione proseguire nella formazione e
nell’aggiornamento di tutti gli operatori liturgico-musicali presenti sul
territorio. A tal proposito rimangono preziose le indicazioni fornite
dall’Ufficio Liturgico Nazionale a proposito delle iniziative Diocesane
di animazione.41
Non sono da sottovalutare i momenti celebrativi comuni già
esistenti: raduno biennale delle “Scholae Cantorum”, grandi
celebrazioni e veglie diocesane col Vescovo; si tratta di momenti in
cui si può “fare formazione” attraverso l’esperienza concreta di una
celebrazione.
L’uscita imminente del Repertorio Diocesano dei canti diventerà
l’occasione per un ampliamento dei singoli repertori parrocchiali. A
questo
proposito
sarà
importante
34
prevedere
dei
regolari
appuntamenti zonali in cui invitare gli animatori musicali del
territorio, per insegnare loro canti nuovi comuni e fornire corrette
indicazioni liturgico-celebrative.
I membri della commissione, anche con aiuti esterni, potrebbero
mettersi a disposizione per incontrare frequentemente e stabilmente
le commissioni liturgiche zonali e parrocchiali, per accompagnarle e
sostenerle sotto l’aspetto musicale.
Circa i compiti della Commissione rimane comunque importante la
sintesi scritta da Franco Gomiero:
Che cosa dovrebbe fare una commissione diocesana?
-
aggiornare le parrocchie e le associazioni sulle direttive emanate sul
settore e informare circa le iniziative promosse;
-
studiare la situazione locale, per conoscerne le urgenze, le carenze,
le difficoltà e le potenzialità;
-
promuovere la formazione musicale-liturgica per ogni tipo di
operatori (animatori, compositori, strumentisti, coristi, catechisti,
presbiteri…) con iniziative di vario genere:
•
a carattere stabile (scuola diocesana);
•
corsi ciclici;
•
corsi residenziali di alcune giornate;
•
incontri straordinari.
-
proporre repertori e sussidi, approvare raccolte di canti;
-
indire manifestazioni diocesane, quali raduni di cori, momenti di
studio e di confronto fra coristi;
-
programmare e curare lo svolgimento delle celebrazioni più
importanti della diocesi, perché siano esemplari;
-
vegliare sui concerti nelle chiese;
35
-
3.3
approvare progetti di costruzione e di restauro di organi.42
Le Parrocchie
Ogni singola Parrocchia deve diventare il primo referente per la
scelta, la cura e la formazione dei singoli operatori liturgico-musicali.
Per quanto riguarda la “vocazione” al ministero del “cantore”, deve
essere
la
comunità
parrocchiale
a
farsi
carico
del
primo
riconoscimento di tale ministero; l’iniziativa non può essere lasciata
sempre e solo al singolo musicista, che rischia di vedere in questa
possibilità un mero sbocco professionale. La Parrocchia individua la
persona adatta, la sostiene e l’accompagna nel cammino di
formazione, la propone al Vescovo, che, in base ai criteri sopra
descritti, valuterà se affidargli il ministero.
Una Commissione Liturgica Parrocchiale, poi, non dovrebbe
mancare: questa dovrebbe essere il riferimento costante sia per la
preparazione delle celebrazioni, sia per la formazione permanente
degli operatori. Essa si dovrà fare carico della educazione di tutti al
canto, ponendo una cura particolare alle giovani generazioni.43
36
NOTE
1
A. MENEGHETTI, I laici fanno liturgia?, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1989, p. 17.
2
A. MENEGHETTI, op. cit., pp. 41- 44 (passim).
3
J. SEUFFERT, Il ministero liturgico del cantore, in A. KUHNE, I ministeri liturgici nella chiesa,
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, pp. 106 – 107 (passim).
4
J. SEUFFERT, op. cit., 108.
5
J. SEUFFERT, op. cit. 111.
6
J. SEUFFERT, op. cit. 111.
7
SC n. 112.
8
SC n. 29.
9
MS n. 19.
10
UFFICIO LITURGICO DIOCESANO, CANTARE LA FEDE – Indicazioni per l’animazione del canto
nelle assemblee liturgiche, Cremona, 1985.
11
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Il rinnovamento liturgico in Italia. Nota
pastorale a vent’anni dalla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium, (21 – 09 – 1983), n. 23.
[D’ora in poi: Nota CEI].
12
Nota CEI n.13.
13
MS, n.11.
14
MS, n.16.
15
Nota CEI n.10.
16
Nota CEI n.14.
17
MS, n.23.
18
SC, n.120.
19
MS, n.67.
20
F. RAINOLDI, Per cantare la nostra fede, LDC, Leuman (Torino), 1993, pp. 126–127.
21
DIOCESI DI CREMONA, Direttorio Liturgico-Pastorale, Nuova Editrice Cremonese, Cremona, 1998.
22
CEI, I ministeri nella chiesa, 15.9.1973, n.3, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, Vol.
2, Edizioni Dehoniane Bologna, 1985, 551-554.
23
MnC n.4.
37
24
MnC n. 4.
25
MnC n. 5-6.
26
MnC n. 7-8.
27
MnC n. 9-20.
28
MnC n. 22.
29
MnC n.38.
30
MnC n.39-40 (passim).
31
CEI, Evangelizzazione e Ministeri, 15.8.1977, nn. 67-69, in Enchiridion della Conferenza Episcopale
Italiana, Vol. 2, Edizioni Dehoniane Bologna, 1985, 2826-2834.
32
A. SORRENTINO, I ministri laici dell’eucarestia: accoliti, ministri straordinari, ministranti, in Rivista
di pastorale liturgica, n.220, 3 (2000), pp.29-30.
33
Nel foglio informativo dell’Associazione italiana degli organisti di Chiesa viene ripreso un articolo di
Marino Tozzi apparso su Bollettino Ceciliano in cui si propone di assumere in ogni Cattedrale italiana un
organista professionista avvalendosi dei fondi dell’otto per mille destinati a ciascuna diocesi. (cfr. Mondo
organistico, anno 1 n. 0 – dicembre 1999).
34
Il modello di riferimento si potrebbe accostare alla figura del Kantor che, soprattutto nella chiesa
luterana aveva mansioni non solo direttoriali ma anche didattiche (cfr. voce Cantor in Dizionario
Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, UTET, Torino 1983, pp.490-491; e anche A.
BASSO, Frau Musika, EDT, Torino 1979, vol. I, pp.160-161), mettendo in luce in questo modo che la
figura del cantore non si può ridurre alla sola funzione del canto.
35
EvM n.68.
36
EvM n.93.
37
G. COLOMBO, Condizioni di ministerialità nella Chiesa per una piena attuazione della riforma
liturgica, in Rivista Liturgica n.3/1986 p.336.
38
M. FALCO, Servite il Signore nella gioia. Per una spiritualità dell’animatore musicale della liturgia,
Progetto Vallisa, Bari 1990, pp. 5-7.
39
Codice di Diritto canonico, Can. 231 §2.
40
CEI-Ufficio Liturgico Nazionale, Proposte per la formazione di animatori musicali della Liturgia,
Roma 30 giugno 1988, pp.13-33. Cfr. anche F. GOMIERO, Perché tutti i cristiani cantino, CLV-Edizioni
Liturgiche, Roma 1999 pp.301-315.
41
CEI-Ufficio Liturgico Nazionale, op. cit., pp. 7-10. E F. GOMIERO, op. cit., pp.299-301.
42
F.GOMIERO, op.cit., pp. 261-262.
38
43
Cfr. F.GOMIERO, op.cit., pp. 253-260.
39
BIBLIOGRAFIA
A. Documenti
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, in Enchiridion
Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981.
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Lumen Gentium, in Enchiridion
Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981.
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Apostolicam
Enchiridion Vaticanum vol. 1, EDB, Bologna 1981.
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in
SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Musicam Sacram, in Enchiridion
Vaticanum vol. 2, EDB, Bologna 1981.
PAOLO VI, Ministeria Quaedam, in Enchiridion Vaticanum vol. 4, EDB, Bologna
1978.
PAOLO VI, Ad Pascendum, in Enchiridion Vaticanum vol. 4, EDB, Bologna
1978.
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del Messale Romano, in Enchiridion Vaticanum vol. 3, EDB, Bologna, 1982.
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CEI, I Ministeri nella Chiesa, in Enchiridion CEI, vol. 2, EDB, Bologna 1985.
CEI, Evangelizzazione e Ministeri, in Enchiridion CEI, Vol. 2, EDB, Bologna
1985.
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Il rinnovamento liturgico in
Italia. Nota pastorale a vent’anni dalla Costituzione Conciliare Sacrosanctum
Concilium, in Enchiridion CEI, vol. 3, EDB, Bologna 1986.
UFFICIO LITURGICO DIOCESANO, CANTARE LA FEDE – Indicazioni per
l’animazione del canto nelle assemblee liturgiche, Cremona 1985.
DIOCESI DI CREMONA,
Cremonese, Cremona 1998.
Direttorio
40
Liturgico-Pastorale,
Nuova
Editrice
B. Testi
A.BASSO, Frau Musika, EDT, Torino 1979.
G.COLOMBO, Condizioni di ministerialità nella Chiesa per una piena attuazione
della riforma liturgica, in Rivista di Pastorale Liturgica, n. 3 (1986).
A.DONGHI (a cura di), I Praenotanda dei nuovi libri liturgici, Editrice Ancora,
Milano 1995.
M.FALCO, Servite il Signore nella gioia. Per una spiritualità dell’animatore
musicale della Liturgia, Progetto Vallisa, Bari 1990.
J.GELINEAU (a cura di), Assemblea Santa, EDB, Bologna 1990.
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