CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Ginevra Niccolini

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CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Ginevra Niccolini
CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO
Ginevra Niccolini Serragli
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CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO
Il lamento
Non sei tu. È colpa mia
Non è normale
Non sembro sua sorella
Città nuova, vita nuova, Gatto vecchio
Esperienze internazionali
Rapporti di buon vicinato
Adattamento
Blacky-goldy-silver-party
A ciascuno il suo
Il cubo di Rubik
Il primo matrimonio
Il secondo matrimonio
Progetto M
La cena
Château de Voltaire
La via della seta
L’apparenza inganna
Otto cani e due helper
Sevva forever
Uno più uno fa tre
Quattro anni dopo
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Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questa avventura, gli amici di
sempre e i nuovi che si sono aggiunti. Tutte le persone che ho incontrato lungo il mio
cammino e insieme alle quali ho percorso un tratto di strada, arricchendomi di
esperienze.
Spero che i miei figli leggano e apprezzino questo libro, sentendo ancora una volta la
mia voce che li incita a non prendersi troppo sul serio e a non perdere per nessuna
ragione la capacità di ridere.
Lo stesso vale per mio marito, ovviamente!
Ringrazio anche Peter per essermi stato così vicino mentre scrivevo…
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IL LAMENTO
Mi stavo chiedendo se davvero avevo di che lamentarmi.
Il fatto che mi stessi addormentando davanti al computer
che rifiutava ostinatamente di accendersi non contava
certo come motivazione.
Non potevo annoverare tra le cause di lamento nemmeno
il fatto di non riuscire a tenere gli occhi aperti dal momento
che ero tornata a casa verso le cinque del mattino.
Non avrei potuto appigliarmi neanche alla scusa che
durante la notte (quale notte? Dalle cinque alle sette del
mattino conta come notte?) mi era venuto un mal di testa
di quelli da estrema unzione, anche perché sarebbe stato
difficilissimo evitarselo vista la quantità smodata d’alcol
che avevo ingerito.
Avevo anche un buon lavoro, alla fine. Via, ora “buono”
potrebbe sembrare una parola grossa, ma bisogna pur
automotivarsi in qualche maniera, no? Dopo mesi passati
a fare la stagista, naturalmente non retribuita, e a fare la
telefonista retribuita una cifra talmente ridicola da riuscire a
pagarsi, forse, il biglietto dell’autobus che mi portava al
lavoro, che di solito non pagavo per una vecchia questione
di principio, avevo finalmente ottenuto il tanto agognato
“posto”: a tempo determinato è vero. Ma era pur sempre
qualcosa.
Vendevo spazi pubblicitari per le pagine di cronaca del
giornale dove lavoravo.
Gli anni passati a studiare come una macchina
schiacciasassi per conseguire una laurea in psicologia, un
master in comunicazione, un corso di specializzazione in
scrittura creativa (tempo che avevo faticosamente
strappato alla mia attività prevalente: fumare e giocare con
i videogiochi di mio fratello, oltre a cacciarmi nei migliori
casini che potevo trovare nel raggio di chilometri) stavano
dando gli agognati frutti: entravo nel mondo del lavoro
dall’ingresso principale.
Il computer dette una specie di rantolo cercando di
comunicarmi che anche lui ce l’aveva fatta: finalmente
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aveva deciso di collaborare.
Guardai l’orologio calcolando mentalmente quanti minuti
potevano mancare alla pausa caffè. E sigaretta. L’ufficio
era per obblighi di legge non-fumatori e la direzione, per
venire incontro alle necessità dei suoi dipendenti, aveva
messo a disposizione dei tossici uno spazio apposito. Per
arrivarci dovevi partecipare ad una vera gimkana
percorrendo 46 km di corridoi, schivando 216 scrivanie,
salire almeno 5 rampe di scale, rigorosamente di servizio,
e oltrepassare il ripostiglio delle scope rischiando ogni
volta di inciampare in qualche cosa lasciato lì con
l’evidente intento di dissuaderti dal fumare. Alla fine
arrivavi alla terrazzina di 2 metri quadrati dove se non
pioveva, non tirava un vento cane, non batteva un sole
dannato capace di infuocare quella minuscola superficie
ricoperta di catrame non rifinito, potevi gustarti la tua
sigaretta. Se trovavi posto. In caso contrario dovevi
aspettare appollaiato su una specie di scala antincendio
che il tossico davanti a te finisse e sloggiasse o venisse
preso da un enfisema polmonare tale da volare di sotto.
Con questa trovata dello “spazio fumatori” il capo della
redazione aveva ottenuto ottimi risultati. Per prima cosa
solo i veri irriducibili della nicotina sfidavano le avversità
per andare a fumare e togliere minuti preziosi al lavoro;
secondariamente veniva decisamente meno l’idea “ci
fumiamo una sigaretta insieme e facciamo due
chiacchiere?” a meno di non dotarsi di walkie-talkie; infine,
e visto il sadismo del caporedattore questo doveva essere
il suo unico obiettivo, arrivavi sul terrazzino con i polmoni
talmente aperti che una sigaretta equivaleva ad un
pacchetto intero e accorciavi in maniera smodata la durata
di vita prevista per te.
-Com’è andata la serata?Mi chiese bisbigliando un ciuffo di capelli incredibilmente
ricci e incredibilmente rossi che sbucavano al di sopra di
un pannello divisorio.
-Che ti devo dire? Non ho di che lamentarmi- mentii
senza pudore –Tommaso è stato talmente carino con me
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che guarda, davvero non me l’aspettavoIncrociai per abitudine l’indice al medio come in tutti i casi
nei quali mentivo e pensai come sempre alla mia amica
Susanna, che prefigurava tutte le volte un rischio artrosi
inverosimile. Visto che mi succedeva di mentire almeno la
metà delle volte che aprivo bocca il rischio diventata via e
più reale.
-Che notizia straordinaria! Allora sono sicura che
riuscirai a dimenticare il fatto che Alessandro si era...come
dire? Astenuto dal farti presente che aveva moglie e figli?
Chissà che questo Tommaso non duri più di tutti i fidanzati
che hai avuto da quando sei quiStronza. Ecco cos’era quella maledetta rossa che
occupava lo spazio davanti a me.
-Davvero- trovai la forza di rispondere con voce
falsamente sorridente, mentre avevo la morte nel cuore.
Sentii delle risatine sghignazzanti intorno a me ma decisi di
ignorarle. Iene. Ecco cos’erano tutti. Delle iene pronte ad
avventarsi sulla loro prossima preda ma questa volta non
avrei ceduto e nemmeno sotto tortura avrei fatto sapere in
quell'orrendo hangar che conoscevo Tommaso da sempre
e che tra noi non c'era e non ci sarebbe stato mai niente di
niente.
Gli sghignazzi delle belve pronte a scattare al crepuscolo
aumentarono ma non potevo lamentarmi. Ero stata io
l’ingenua che si era fatta scoprire.
-Stacca sempre il telefono in ufficio- si era
raccomandata Susanna che ormai lavorava a pieno titolo
come giornalista di cronaca estera al piano sopra al mio -è
un covo di vipere quello stanzone. Gli open-space sono
studiati e immaginati apposta per privarti di ogni dignità
umana e spingerti a non fare niente se non lavorare,
quando ti ci trovi dentro. Fai attenzione soprattutto a
Rossana. Lei è veramente una carognaIngenuamente un’unica volta avevo commesso l’errore di
telefonare a Susanna per sfogarmi durante l’orario di
lavoro: anche se la chiamata era partita rigorosamente e
stranamente dal mio cellulare e non a spese della società,
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ero stata punita. Quell’unica volta mi era stata fatale: la
rossa aveva scoperto tutti gli affari miei e non si era fatta
scrupoli a condividerli con gli altri. “Gli altri” era un termine
metaforico per designare una decina di sfigati, più o meno
repressi e frustati che condividevano le ore di inutile lavoro
con me.
I fatti erano semplici. Stavo raccontando a Susanna cosa
mi era successo giorni prima.
Nella posta elettronica avevo trovato uno stranissimo
messaggio dal mio stupendo Alessandro. Era talmente
dolce, il mio Ale. Quasi tutte le mattine trovavo una mail
romantica dove mi dava il buongiorno. Non che fosse
sempre necessariamente romantica: a volte erano delle
frasi da linea erotica su cosa mi avrebbe fatto al nostro
prossimo incontro e il ragazzo non si risparmiava in
particolari degni di un regista di film per soli adulti. Ma
riuscivo comunque a pensare che fossero ardori positivi,
svolazzanti note d’amore di un uomo che pensava solo a
me e al mio corpo. Non pensava mai alla mia mente; forse
pensava poco in generale ma non aveva fatto nulla per
nascondere il suo lato materiale: mi ero subito resa conto
di essere io quella colta della coppia.
Per farla breve tre giorni prima mi era arrivata una mail
piena di insulti di ogni genere dall’indirizzo dell'amato
bene.
“Brutta puttana da quattro soldi! Rivedi un’altra volta mio
marito e ti do fuoco mentre a lui taglio le palle. Quello
stronzo rifinito mi aveva promesso che avrebbe smesso di
andare a scopacchiare a destra e sinistra. Non sei la
prima, ma giuro che sarai l’ultima perché questa volta
l’ammazzo quel maiale. E sta’ attenta: come minimo rischi
la sifilide”.
Questo era quello che mi ero trovata a leggere in un
radioso mattino al posto delle vellutate parole d’amore di
Ale.
C’ero cascata come una scema. Non avevo immaginato
lontanamente che lui poteva essere sposato. Quasi un
mese di incontri infuocati e non mi ero accorta di niente. Lo
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avevo conosciuto a una festa dove probabilmente si era
imbucato insieme a due o tre amici, dal momento che
nessuno dei presenti sapeva chi fossero. Mi aveva offerto
da bere, poi da cosa era nata cosa –andiamo a casa tuaaveva detto dopo neanche mezz'ora; avevo resistito,
principalmente perché avevo ben chiara nella mente
l'immagine delle mie gambe con dei peli lunghi, grossi e
ispidi peggio di quelli di un orso di un qualche parco
nell'ovest degli Stati Uniti, e forse anche che avevo
indossato uno slip per niente coordinato con il reggiseno,
probabilmente anche un pochino slabbrato ai bordi, e lui
aveva spuntato solo un numero di telefono –mi accendi
dentro- aveva detto baciandomi delicatamente il collo.
Questo era bastato a farmi ritenere che fosse una specie
di principe senza macchia e senza paura, anche senza
cavallo aveva ritenuto opportuno farmi notare Susanna, la
mia pignolissima amica.
Al secondo incontro mi ero presentata con una pelle
liscissima, dopo aver speso una cifra considerevole in
biancheria intima, aver fatto manicure e pedicure e perfino
un salto dal parrucchiere, cosa che credo risalisse al
matrimonio di mio cugino tre o quattro anni prima.
Il mio romantico eroe aveva casualmente prenotato una
cena con stanza in un localino appena un centinaio di
chilometri lontano da casa per rendere la nostra serata
misteriosa quanto bastava. In effetti il “localino romantico”
in questione era una specie di motel di bassissima
categoria, frequentato da camionisti, prostitute e qualche
ingenua e ignara famigliola di stranieri. Ma con gli occhi
dell'amore era tutto perfetto. Se vogliamo passare sopra al
fatto che avevamo mangiato delle cose talmente schifose
da avere la certezza di aver contratto qualche malattia
esotica (alla faccia dei luoghi comuni che nei posti
frequentati dai camionisti si mangi benissimo), che le
lenzuola erano sicuramente usate, che il bagno aveva
visto l'ultima spugnetta con disinfettante prima della
grande guerra (in quell'occasione avevo capito che sì: quei
cessi delle pubblicità con schizzi e incrostazioni fino al
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soffitto non vengono partoriti dalla mente deviata di
qualche pubblicitario, cui la mamma faceva infilare le
pattine appena a casa e gli puliva sotto le unghie con le
graffette, ma esistono davvero) ecco, passando sopra
anche al fatto che eravamo praticamente sulla pista di
atterraggio di un aeroporto che doveva per forza risultare
tra i primi tre scali mondiali, Alessandro mi aveva stregato
con le sue dolci parole d'amore, e poco importava
nell'impeto del momento, se fossero per lo più volgarità di
bassa lega.
Per tre settimane mi ero sentita Alice nel Paese delle
Meraviglie: romatiche improvvisate (-ho un po' di tempo,
facciamo una sveltina?-), cene sontuose (-mi avanzano dei
buoni pasto dell'azienda, sarebbe un peccato non usarli-),
regali senza motivo (-ho trovato per strada questi guanti,
mi sembravano proprio carini-), frasi d'amore sussurrate (sei talmente bona che mi ti farei dappertutto-).
Certo mi pareva un po' strano che il suo coinquilino non
sloggasse mai da casa e che non ci fosse nemmeno una
pizzeria o un qualunque locale dove gli piacesse andare
entro i 50 km.da casa, nemmeno per un caffè a pensarci
bene, ma ero talmente deliziata che qualcuno si
interessasse a me da non notare questi piccoli segnali.
Povero il mio amore, faceva un lavoro talmente stressante
che era quasi sempre fuori città, soprattutto il fine
settimana e in particolare durante quelle tre feste
comandate che vennero a cadere proprio nei giorni del
fiorire della nostra relazione.
Tutto il mio sogno romantico era stato spappolato come un
gatto che si trovasse ad attraversare l'autostrada per il
mare il venerdi sera prima del 15 d’agosto, e lo dico
perché io amo a dismisura i gatti.
La mail di quella donna mi aveva chiarito i tanti aspetti
oscuri che stavano lentamente e faticosamente aprendo la
coltre di fumogeni che avevo nel cervello.
Alessandro, l'uomo che poteva significare per me
cambiamento e stabilità dopo una serie irrisolta di
situazioni ai limiti del grottesco che avrebbero fatto
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impazzire anche Sigmund Freud, era semplicemente
sposato. Ed era anche un bastardo. E sopratutto io ero
davvero deficiente oltre il previsto.
Per farla breve, dopo aver avuto la mail dalla dolce e
delicata consorte dell'uomo della mia vita, avevo pianto per
due giorni pieni pieni, completamente da sola nella casa
dove di solito abitavamo in tre, mi ero ingozzata di gelato
Hagen Daaz (e chi lo ha mangiato sa a che livello di
depressione sei se riesci a mangiarlo a cucchiaiate), e una
volta arrivata in ufficio, non avevo resistito alla tentazione
di telefonare a Susanna per sfogarmi, raccontandole tutto.
Quell’orrenda rossa aveva origliato digitando sul suo
computer l'intera conversazione e mettendola in rete con i
colleghi presenti al piano.
A quel punto oltre all'umiliazione di aver sbagliato tutto
nella vita privata affettiva (anche se non avevo bisogno di
ulteriori conferme) mi ero rovinata quel poco di reputazione
professionale che faticosamente stavo cercando di
costruire, e mi ero guadagnata anche delle avances da
parte del più brutto collega che avessi mai avuto, il quale si
era premunito di informarmi che sua moglie non era per
niente gelosa e aveva pensato anche di farmi ridere.
Ecco perché, sapendo che tutti ancora una volta stavano
origliando quel che dicevo a Rossana, risposi mentendo
oltre il verosimile dicendo che la mia serata con Tommaso
era andata alla grande. Non avevo di che lamentarmi.
Tommaso è il mio migliore amico, rigorosamente gay,
anche perché negli anni 2000 non si può non avere un
amico gay; probabilmente hanno inventato anche un sito
web dove te li procurano su richiesta. Tommaso è sempre
stato parte della mia vita e dei miei casini aiutandomi come
può, con l'affetto del fratello. Dice che mi deve tantissimo
dal momento che si è reso conto della propria
omosessualità proprio per merito mio. Non ho mai saputo
interpretare questa cosa col giusto spirito. I fatti: avevamo
sì e no quindici anni ed io ero follemente innamorata di lui,
convinta anzi certa di essere ricambiata. Del resto era
l'unico che si accorgeva se mi ero pettinata in un modo
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diverso (forse se mi ero pettinata in generale), se avevo
qualcosa di nuovo (anche perché ho passato i primi due
anni di liceo in versione dark e quando ho cominciato a
usare dei colori se ne sarebbe accorto anche un cieco), e
perfino se avevo il ciclo (be', in quel caso non ci voleva un
grande sforzo di attenzione: non facevo ginnastica e
portavo un maglione che mi copriva almeno fino alle
ginocchia); insomma Tommaso era speciale, mi ascoltava,
mi guardava negli occhi mentre parlava a differenza di tutti
gli altri maschi che avevano la sgradevole tendenza a
guardare le tette invece degli occhi (che colpa ne avevo io
se mi erano cresciute prestissimo e tantissimo? Solo dopo
anni ho cominciato ad apprezzare i lati positivi della cosa).
Un giorno, seduti sul mio letto in mezzo a cuscini a fiorellini
rosa e a pupazzi di peluches, mi gettai all'attacco quasi
sdraiandomi su di lui, andando vicina al soffocarlo con le
mie tette, e decidendomi, a scapito della tradizione
maschilista, che dovevo prendere in mano la situazione
baciandolo e strusciandomi a lui. Le nostre labbra si
unirono in maniera decisamente curiosa, le nostre lingue si
intrecciarono in maniera ancor più curiosa, provocandoci
un eccesso di salivazione difficile da arginare e io mi sentii
incendiare da quell'incontro ravvicinato.
Lui no. In seguito a questa prova decise di mettere a nudo
la sua anima e mi disse che no, non ero io il problema, era
che lui si era reso conto di essere attratto dagli uomini
invece che dalle donne. Dopo aver accusato il colpo
(inutile prendersiin giro: quando un amico gay vi dice di
essere gay c'è sempre un colpo), lo supplicai di tenermi in
considerazione, casomai gli fosse venuto in mente di non
essere più gay e avesse voluto provare a vedere come
funziona con una donna. Sono passati dodici anni e non
ha mai voluto provare, anche se sotto l'effetto di una
grandiosa quantità di alcol devo aver insistito in svariate
occasioni.
Non avevo di che lamentarmi: era sempre stato il mio
amico migliore, al quale potevo dire di tutto senza temere
commenti inopportuni o giudizi; in numerosi casi si era finto
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mio fidanzato alla perfezione e in altri io lo avevo perfino
aiutato a rimorchiare, anche se detto così fa venire i brividi.
Nessuna delle persone che frequentavamo insieme aveva
la più pallida idea che tra di noi non potesse davvero
esserci nulla, e la nostra amicizia era stata fonte di grandi
gelosie da parte dei miei fidanzati, nella totalità dei casi
talmente idioti da non rendersi conto che guardava più loro
di me.
La sera prima Tommaso aveva insistito perché uscissi con
lui per dimenticare la mia brutta avventura con il re dei
tradimenti e mi aveva invitato al locale dove il suo amico
Roberto, detto Roby, curava gli eventi. Il fatto è che
quando Roby mi aveva visto piangere disperatamente
abbracciata a Tommaso era stato preso da una crisi di
gelosia talmente forte che si era messo a piangere anche
lui, battendo i piedi in terra e strillando come un invasato. Il
povero Tommaso si era ritrovato a dover fronteggiare non
una ma due situazioni a rischio e aveva trovato come
unica soluzione quella di farci bere come delle spugne per
arrivare a un innocuo stato di atarassia, dove almeno
avremmo smesso di piangere. Con me aveva funzionato
alla grande. Non con Roby che aveva continuato a squittire
parole più o meno coerenti sull'amore, sulla famiglia e sul
mondo in generale, passando anche per l'esistenza di Dio,
mettendo Tommaso in imbarazzo. Non che fosse facile
imbarazzarlo, ma quella pantomima di basso profilo gli
aveva fatto aprire gli occhi sul fatto che Roby era
decisamente troppo emotivo per lui e dopo averlo accusato
di essere davvero una checca mi aveva preso per mano e
riportato a casa.
Ma queste cose non potevo dirle a Rossana e feci buon
viso a cattivo gioco: serata bellissima, romantica, lume di
candele, locale raffinato e, tocco di classe, conclusione
con vocina ambigua -ma cosa vai a pensare? Tommaso è
solo il mio migliore amico!- quel tanto che bastava per
accendere una morbosa curiosità.
Quella carogna rossa moriva dalla voglia di conoscere
questo tanto rinomato Tommaso di cui anche Susanna
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parlava con termini entusiasti. Io ero solo una povera
sfigata deficiente, ma Susanna sapeva il fatto suo, era una
gran donna con le palle, capace nel lavoro e nella vita:
impossibile che Tommaso fosse al mio tanto basso livello
nella scala sociale se una come lei ne parlava bene...per
questo moriva dalla voglia di conoscerlo e farsi un bel
mazzetto di cazzi suoi, cosa che amava letteralmente fare
con tutti. Non sapeva come le sarebbe andata male in quel
caso.
In fondo non avevo di che lamentarmi.
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NON SEI TU. E' COLPA MIA
Quella sera decisi che sarei tornata a casa prima del solito.
Anche Tommaso e Susanna avevano diritto alla loro
razione di coccole nella nostra “comune” e per colpa della
storia con Alessandro li avevo decisamente trascurati.
Scesi dall'autobus ben due fermate prima di casa per fare
un salto al cinese che si trovava all'angolo. Era stato
chiuso per motivi d'igiene per tre mesi ma mi ero segnata
sull'agenda del telefono quando avrebbe riaperto, in barba
a chi dice che gli smart-phone non servono a nulla.
Flemmaticamente ho sempre pensato che quando
consumi qualcosa di cucinato da altri ti assumi le tue
responsabilità e i tuoi rischi, né più né meno come quando
compri i cibi biologici pagandoli il doppio di quelli normali,
sapendo che: a)i maggiori appezzamenti di terreno
coltivato biologico sono sotto l'autostrada, b)nel campo
confinante usano i pesticidi e li spargono dall'aereo
preferibilmente nei giorni di vento. Poi se mai avevo avuto
ulteriori scrupoli sulla sana alimentazione li avevo persi
tutti mangiando in quei postacci dove mi aveva portato
Alessandro.
Mi fermai perfino a prendere tre rose rosse per completare
l'opera. Del resto anche Tommaso non era di certo in
buona visto la serata che aveva avuto con Roby e
nemmeno Susanna, appena rientrata da un viaggio di
lavoro; la nostra amica era venuta a vivere con noi solo
due mesi prima, dopo essere scappata dall'appartamento
che condivideva con il suo biondissimo e altissimo
fidanzato olandese. Dico scappata perché era proprio
scappata, al buio oltretutto: aveva impacchettato le sue
cose mentre lui era all'aeroporto ad accogliere la famiglia
che veniva da Amsterdam per conoscere finalmente
questa tanto incantevole Susanna che sembrava facesse
sul serio con il loro Yak. Susanna non si era resa conto di
quanto fosse determinato Yak con lei fino a quel momento:
insomma gli olandesi sono spiriti liberi, hanno un tasso di
coppie sposate simile al numero di gatti nel canile
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municipale, vivono insieme come coppie aperte prima,
durante e dopo, con i figli che possono essere legittimi,
illegittimi o metà e metà, insomma si fanno le canne da
mattina a sera e prendono pasticche di tutti i colori, è il
paese del sesso in vetrina...perché aveva trovato proprio
lei l'unico olandese più tradizionalista di un contadino
toscano di 150 anni fa? Quando Yak aveva parlato di
sposarsi, regolarizzare la loro posizione e fare dei figli,
Susanna aveva pensato che scherzasse. Ma quando gli
aveva detto che voleva organizzare una gran festa di
fidanzamento con genitori, nonni, zii, cugini e parenti alla
lontana (meno male che è in Italia che le famiglie sono
numerose...! Contandoli per un ipotetico invito a un
ipotetico matrimonio Yak era arrivato ad un'ottantina solo
con i parenti stretti!), Susanna aveva capito che faceva sul
serio e aveva cominciato a pensare come prendere tempo.
Non che lei fosse contraria al matrimonio, no. Non che Yak
non le piacesse abbastanza, no; era qualcos' altro. Forse
una indefinita e sottile paura di mettere un punto fermo alla
sua vita: sola senza impegni poteva fare ancora le sue
scelte senza dover rendere conto a nessuno. Era
lanciatissima nella sua carriera di giornalista e a 28 anni
era già una firma nel panorama editoriale. Paura. Susanna
aveva semplicemente paura di cosa avrebbe implicato
sposarsi con Yak che l'avrebbe messa a fare biondissimi e
lunghissimi bambini e a quel punto avrebbe potuto mettere
una bella croce sopra alla sua agognata carriera di
corrispondente dall'estero. Era stato inutile cercare di
spiegare a Yak il suo punto di vista. Semplicemente non
capiva. Allora era rimasta solo la fuga.
E dove altro poteva finire se non a casa dei suoi più
sciroccati compagni di scuola e amici di sempre?
Detto fatto era con noi da due mesi e aveva deciso di
restarci un altro po'. Il povero Yak, dopo aver cercato
inutilmente di riprendersela aveva desistito con una pausa
di riflessione che lo aveva riportato ad Amsterdam per
leccarsi le ferite e cercare di capire dove poteva aver
sbagliato.
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-Che bello Caro! Sei già a casa!- stava dicendo
Tommaso chiudendo la porta e buttando le chiavi sul
mobile dell’ingresso. Tommaso era fantastico quando
tornava la sera: mi faceva sentire amata e tanto tanto
felice, per quanto potessi avere avuto una giornata orrenda
arrivava lui e pouff! per incanto spariva tutto.
-Ciao bell'uomo!- feci io di rimando -novità?- urlai
dalla cucina mettendo le bacchette cinesi sui bellissimi
portabacchette, regalo di mio fratello l'ultimo Natale, dopo
che una volta era venuto a cena da noi e avevamo
mangiato giapponese nei piatti di carta con le bacchette di
legno che ti danno nelle bustine del take-away: mio fratello
Cosimo, astro nascente nel panorama dei grandi chef
internazionali, ne aveva riportato dei veri e propri traumi, ai
quali aveva cercato di porre rimedio regalandomi un set
degno di una geisha.
-E la femmina di yeti? Non è stata ancora avvistata
nei dintorni?- mi chiese Tommaso entrando in cucina mmhm! Che profumino! Ha riaperto il venditore di piattole,
scarafaggi e cavallette?-Esatto. Mi ero segnata quando si sarebbe
verificato l'evento- mentre mi giravo sorridendo continuai –
ma devi smetterla di chiamare così la povera Susi! Non è
carino-Carino o no è lei che aveva un fidanzato col nome
di una capra tibetana-Smettila subito!- gli intimai assestando una
bacchettata sulla sua mano che stava prendendo un
raviolo al vapore, appena prima di sentire la porta che si
chiudeva -eccola!- dissi mentre le correvo incontro.
-Wow! Mi fate sentire parte della famiglia più che
ospite pagante!Il sorriso della mia amica Susanna era capace di scaldarmi
il cuore. Li osservai mentre Tommaso apriva le birre per un
brindisi serale a qualcosa che senz'altro ci sarebbe venuto
in mente per motivare il solito tracannamento senza limiti.
Susanna e Carolina, lei tutta panna, io la mucca. Alle
elementari ci avevano fatte morbide per queste innocenti
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rime da pubblicità anni 70. Ma io mi chiedo: i pubblicitari
pensano mai a quanto male hanno fatto a tutte quelle
povere Susanne e Caroline? Evidentemente no, ma a noi
questo era servito per fare muro contro il mondo e
diventare inseparabili come due gemelle siamesi. Ero
strafelice che Susi abitasse con me, anche se ero molto
triste per lei e per il coraggio che non aveva avuto. Il suo
caprone tibetano era davvero un ottimo elemento, e
avrebbe potuto avere una vita felice con lui, felice e piena
di bambinialti e biondi. Ero perfino invidiosa. Nel senso
positivo, ma invidiosa. Io non avevo mai avuto una storia
che potesse dichiararsi importante come quella sua con
Yak, se escludiamo Tommaso, con il quale vivevo da anni
ma non avevo alcuna storia.
In una manciata di secondi, mentre bevevamo birra e
Tommaso ci raccontava i progressi del suo ultimo progetto
per un mega centro commerciale, ripercorsi i miei ex
fidanzati.
Tutto era cominciato con Pietro.
Bello, bellissimo come solo un adolescente sa essere, con
i capelli un po' lunghi, uno sguardo da ironica lotta contro
un mondo avverso e pronto a scalare le montagne più alte
in sella alla sua moto da cross. Quando era entrato in
classe il suo primo giorno di scuola e mi aveva squadrato
con un'occhiata degna di una massaia che al mercato
rionale valuta la freschezza di frutta e verdura, mi erano
tremate le gambe e il cuore aveva fatto una capriola. Poi
aveva spostato i suoi occhioni neri sulla mia vicina di
banco, la bella della classe che gli aveva sorriso. Quando
dopo qualche mese la bella in questione gli aveva dato il
benservito per uno dell'ultimo anno che aveva già la
macchina, era tornato a guardare me ed avevamo
cominciato a uscire. La mia storia con Pietro aveva
lasciato un segno indelebile nella mia crescita. Nel senso
letterale del termine. Per uscire con lui la prima volta mi
ero messa in ghingheri con una gonnellina cortissima e
vaporosa. Solo non avevo tenuto conto della marmitta
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aberrante che sporgeva con un calore infernale dalla sua
potente moto e mi ero provocata un' ustione da paura sul
polpaccio. Avevo ancora la cicatrice. Per tre meravigliosi
mesi avevamo solcato stradine di campagna in cerca di
luoghi appartati dove dare sfogo ai nostri bestiali istinti
adolescenziali, prefigurando scenari di viaggi in cima al
mondo alla ricerca di noi stessi, giurandoci eterno amore,
confabulando su un matrimonio che avrebbe avuto luogo
su una spiaggia caraibica, testimoni il sole e il mare,
arrivando a ipotizzare una vita fantastica su una barca a
vela che avrebbe sfidato le tempeste degli oceani. Poi un
giorno, che casualmente coincideva con il mio
compleanno, dandomi un regalo (un disco di musica di
artisti di strada colombiani che dovevano essere sotto
l'effetto di non so che acidi quando lo avevano composto)
mi aveva detto che non se la sentiva più di stare con me.
-Non sei tu- aveva detto -è colpa mia. Mi sono reso
conto che non sono fatto per la vita avventurosa che
vorresti avere e so che non sarò mai in grado di offrirti
quello che desideri, ti lascio perché ti amo troppo per
costringerti a vivere in un modo banale e scontato. Però
sappi che mi resterà sempre nel cuore il tuo insegnamento
di vivere come uno zingaro senza piegarmi ai voleri di una
società che cerca di forgiarmi a suo piacimentoDopo tre giorni stava già con un'altra, che evidentemente
aveva meno pretese di me e si aspettava solo delle
romantiche serate fatte di cinema e di pizzerie.
Poi era stata la volta di Giulio. Avevo resistito per mesi al
suo pressing incessante fatto di poesie, dichiarazioni
d'amore scritte nel bagno delle femmine e perfino mazzi di
fiori recapitati a casa. -Tu sei diversa- mi diceva -mi
completi. Le nostre anime sono state un'anima sola in una
vita passataDue palle! Ma alla fine avevo deciso che anche se non mi
piaceva affatto era un vero peccato sprecare l'occasione di
trovare un ragazzo tanto innamorato.
Eravamo usciti insieme per tre mesi quando un giorno mi
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aveva detto – Devo aprire la mia anima alla realtà dei fatti:
non sei tu- aveva detto -è colpa mia che non sono stato in
grado di cogliere i segnali che mi invia il mio karma. Ho
sbagliato a interpretarli e tu che sei molto più compiuta e
profonda di me, te ne eri accorta subito che non poteva
funzionare. Ho bisogno di una pausa di riflessione per
ritrovare me stesso. Ma sappi che il tuo insegnamento a
guardare oltre la superficie resterà sempre dentro di meE anche se a quel punto Giulio mi piaceva davvero e avrei
voluto essere un po' meno compiuta e un po' meno
profonda, visto che ero dotata di un karma abbastanza
rallentato, non avevo fatto nulla per trattenerlo,
chiedendomi ancora oggi se mi ha lasciato dopo quella
volta che mi aveva portato in un romantico angolo
appartato sulla riva di un laghetto (si potrebbe definirlo
stagno ma perderebbe il romanticismo), dove io mi ero
rifiutata di fare il bagno a causa delle alghe limacciose che
apparivano sotto la superficie, soprattutto dopo che lui mi
aveva detto -fai finta che sia il Gange e buttatiPotevo annoverare nelle storie da un trimestre anche
Lorenzo. C'eravamo conosciuti al mare, tre giorni prima
che io partissi per tornare in città, l'estate della maturità.
Giurandoci eterno amore avevamo sfidato la cattiva sorte
(abitavamo a 100 km di distanza) e soprattutto gli scioperi
di treni e pullman per riuscire ad incontrarci ogni fine
settimana, visto che nessuno dei due aveva la macchina;
solo in seguito scoprii che lui la macchina in realtà ce
l'aveva ma era troppo tirchio per pagarsi la benzina.
Intervallavamo i nostri incontri con telefonate fiume, che a
pensarci bene erano fiume solo se chiamavo io, cosa che
facevo ogni sera dallo sgabuzzino di casa, tra la scarpiera
e la lucidatrice per evitare che mio fratello e mia sorella mi
origliassero. Una volta mi disse che aveva la casa libera il
sabato notte. Con l'aiuto di Susanna riuscii a inventare per
i miei una storia molto ben articolata sul fatto che
andavamo insieme da una sua amica che abitava fuori
città in un posto assai sperduto e saremmo rimaste là a
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dormire. La stessa balla fu pari pari propinata ai genitori di
Susanna, che ne avrebbe approfittato per andare a
dormire dal suo ragazzo.
Tutto filò liscio. O quasi. Quando mi ritrovai semi nuda
sdraiata nel letto di Lorenzo a fissare poster di moto
intervallati da attricette decisamente spogliate e in pose
provocatorie, fui presa da un attacco di panico
inverosimile, rifiutando categoricamente di arrivare al
dunque. Lorenzo era un gentiluomo e non se la prese più
di un tanto per il mio rifiuto, limitandosi a sparire per
qualche minuto nel bagno e tornando assai più soddisfatto,
ma insistette per farmi prendere l'ultimo treno della sera
che mi avrebbe riportato a casa
-tanto se non vuoi
scopare che resti a fare qui?Dopo quell'amplesso mancato non l'ho più rivisto. Una
sera di qualche giorno dopo, per telefono (lo avevo
chiamato io come sempre) mi disse -Non sei tu. E' colpa
mia che mi aspettavo troppo da te. Sei ancora una
bambina ed io ho bisogno di una donna con la quale
convidere i miei interessi- e mentre io riflettevo se
rientravano più negli interessi le moto o le donnine nude lui
mise la ciliegina sulla torta -mi ricorderò sempre di te come
quella che non c'è stataI mesi passavano ed ero velocemente arrivata
all'università dove finalmente avevo incontrato l'uomo della
mia vita: Giuseppe. La mia storia con lui è durata un record
assoluto: quasi un anno.
Giuseppe era già fuori corso quando io ero una matricola e
ci sapeva fare davvero.
Non posso dire di non essere stata felice con lui. Sono
sicura che mi amava, a modo suo. E' stato il mio primo
vero amore, nel senso biblico del termine.
Mi faceva sentire unica e importante, mi elogiava in tutto
quello che facevo dicendo che ero sempre la migliore. Mi
manipolava come un regista. Nel giro di qualche mese
avevo cambiato tutto di me, dal modo di vestire al modo di
pensare; ero passata dallo stile sport-casual (della serie:
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