CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Ginevra Niccolini
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CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Ginevra Niccolini
CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Ginevra Niccolini Serragli 1 CITTÀ NUOVA, VITA NUOVA, GATTO VECCHIO Il lamento Non sei tu. È colpa mia Non è normale Non sembro sua sorella Città nuova, vita nuova, Gatto vecchio Esperienze internazionali Rapporti di buon vicinato Adattamento Blacky-goldy-silver-party A ciascuno il suo Il cubo di Rubik Il primo matrimonio Il secondo matrimonio Progetto M La cena Château de Voltaire La via della seta L’apparenza inganna Otto cani e due helper Sevva forever Uno più uno fa tre Quattro anni dopo 2 Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questa avventura, gli amici di sempre e i nuovi che si sono aggiunti. Tutte le persone che ho incontrato lungo il mio cammino e insieme alle quali ho percorso un tratto di strada, arricchendomi di esperienze. Spero che i miei figli leggano e apprezzino questo libro, sentendo ancora una volta la mia voce che li incita a non prendersi troppo sul serio e a non perdere per nessuna ragione la capacità di ridere. Lo stesso vale per mio marito, ovviamente! Ringrazio anche Peter per essermi stato così vicino mentre scrivevo… 3 IL LAMENTO Mi stavo chiedendo se davvero avevo di che lamentarmi. Il fatto che mi stessi addormentando davanti al computer che rifiutava ostinatamente di accendersi non contava certo come motivazione. Non potevo annoverare tra le cause di lamento nemmeno il fatto di non riuscire a tenere gli occhi aperti dal momento che ero tornata a casa verso le cinque del mattino. Non avrei potuto appigliarmi neanche alla scusa che durante la notte (quale notte? Dalle cinque alle sette del mattino conta come notte?) mi era venuto un mal di testa di quelli da estrema unzione, anche perché sarebbe stato difficilissimo evitarselo vista la quantità smodata d’alcol che avevo ingerito. Avevo anche un buon lavoro, alla fine. Via, ora “buono” potrebbe sembrare una parola grossa, ma bisogna pur automotivarsi in qualche maniera, no? Dopo mesi passati a fare la stagista, naturalmente non retribuita, e a fare la telefonista retribuita una cifra talmente ridicola da riuscire a pagarsi, forse, il biglietto dell’autobus che mi portava al lavoro, che di solito non pagavo per una vecchia questione di principio, avevo finalmente ottenuto il tanto agognato “posto”: a tempo determinato è vero. Ma era pur sempre qualcosa. Vendevo spazi pubblicitari per le pagine di cronaca del giornale dove lavoravo. Gli anni passati a studiare come una macchina schiacciasassi per conseguire una laurea in psicologia, un master in comunicazione, un corso di specializzazione in scrittura creativa (tempo che avevo faticosamente strappato alla mia attività prevalente: fumare e giocare con i videogiochi di mio fratello, oltre a cacciarmi nei migliori casini che potevo trovare nel raggio di chilometri) stavano dando gli agognati frutti: entravo nel mondo del lavoro dall’ingresso principale. Il computer dette una specie di rantolo cercando di comunicarmi che anche lui ce l’aveva fatta: finalmente 4 aveva deciso di collaborare. Guardai l’orologio calcolando mentalmente quanti minuti potevano mancare alla pausa caffè. E sigaretta. L’ufficio era per obblighi di legge non-fumatori e la direzione, per venire incontro alle necessità dei suoi dipendenti, aveva messo a disposizione dei tossici uno spazio apposito. Per arrivarci dovevi partecipare ad una vera gimkana percorrendo 46 km di corridoi, schivando 216 scrivanie, salire almeno 5 rampe di scale, rigorosamente di servizio, e oltrepassare il ripostiglio delle scope rischiando ogni volta di inciampare in qualche cosa lasciato lì con l’evidente intento di dissuaderti dal fumare. Alla fine arrivavi alla terrazzina di 2 metri quadrati dove se non pioveva, non tirava un vento cane, non batteva un sole dannato capace di infuocare quella minuscola superficie ricoperta di catrame non rifinito, potevi gustarti la tua sigaretta. Se trovavi posto. In caso contrario dovevi aspettare appollaiato su una specie di scala antincendio che il tossico davanti a te finisse e sloggiasse o venisse preso da un enfisema polmonare tale da volare di sotto. Con questa trovata dello “spazio fumatori” il capo della redazione aveva ottenuto ottimi risultati. Per prima cosa solo i veri irriducibili della nicotina sfidavano le avversità per andare a fumare e togliere minuti preziosi al lavoro; secondariamente veniva decisamente meno l’idea “ci fumiamo una sigaretta insieme e facciamo due chiacchiere?” a meno di non dotarsi di walkie-talkie; infine, e visto il sadismo del caporedattore questo doveva essere il suo unico obiettivo, arrivavi sul terrazzino con i polmoni talmente aperti che una sigaretta equivaleva ad un pacchetto intero e accorciavi in maniera smodata la durata di vita prevista per te. -Com’è andata la serata?Mi chiese bisbigliando un ciuffo di capelli incredibilmente ricci e incredibilmente rossi che sbucavano al di sopra di un pannello divisorio. -Che ti devo dire? Non ho di che lamentarmi- mentii senza pudore –Tommaso è stato talmente carino con me 5 che guarda, davvero non me l’aspettavoIncrociai per abitudine l’indice al medio come in tutti i casi nei quali mentivo e pensai come sempre alla mia amica Susanna, che prefigurava tutte le volte un rischio artrosi inverosimile. Visto che mi succedeva di mentire almeno la metà delle volte che aprivo bocca il rischio diventata via e più reale. -Che notizia straordinaria! Allora sono sicura che riuscirai a dimenticare il fatto che Alessandro si era...come dire? Astenuto dal farti presente che aveva moglie e figli? Chissà che questo Tommaso non duri più di tutti i fidanzati che hai avuto da quando sei quiStronza. Ecco cos’era quella maledetta rossa che occupava lo spazio davanti a me. -Davvero- trovai la forza di rispondere con voce falsamente sorridente, mentre avevo la morte nel cuore. Sentii delle risatine sghignazzanti intorno a me ma decisi di ignorarle. Iene. Ecco cos’erano tutti. Delle iene pronte ad avventarsi sulla loro prossima preda ma questa volta non avrei ceduto e nemmeno sotto tortura avrei fatto sapere in quell'orrendo hangar che conoscevo Tommaso da sempre e che tra noi non c'era e non ci sarebbe stato mai niente di niente. Gli sghignazzi delle belve pronte a scattare al crepuscolo aumentarono ma non potevo lamentarmi. Ero stata io l’ingenua che si era fatta scoprire. -Stacca sempre il telefono in ufficio- si era raccomandata Susanna che ormai lavorava a pieno titolo come giornalista di cronaca estera al piano sopra al mio -è un covo di vipere quello stanzone. Gli open-space sono studiati e immaginati apposta per privarti di ogni dignità umana e spingerti a non fare niente se non lavorare, quando ti ci trovi dentro. Fai attenzione soprattutto a Rossana. Lei è veramente una carognaIngenuamente un’unica volta avevo commesso l’errore di telefonare a Susanna per sfogarmi durante l’orario di lavoro: anche se la chiamata era partita rigorosamente e stranamente dal mio cellulare e non a spese della società, 6 ero stata punita. Quell’unica volta mi era stata fatale: la rossa aveva scoperto tutti gli affari miei e non si era fatta scrupoli a condividerli con gli altri. “Gli altri” era un termine metaforico per designare una decina di sfigati, più o meno repressi e frustati che condividevano le ore di inutile lavoro con me. I fatti erano semplici. Stavo raccontando a Susanna cosa mi era successo giorni prima. Nella posta elettronica avevo trovato uno stranissimo messaggio dal mio stupendo Alessandro. Era talmente dolce, il mio Ale. Quasi tutte le mattine trovavo una mail romantica dove mi dava il buongiorno. Non che fosse sempre necessariamente romantica: a volte erano delle frasi da linea erotica su cosa mi avrebbe fatto al nostro prossimo incontro e il ragazzo non si risparmiava in particolari degni di un regista di film per soli adulti. Ma riuscivo comunque a pensare che fossero ardori positivi, svolazzanti note d’amore di un uomo che pensava solo a me e al mio corpo. Non pensava mai alla mia mente; forse pensava poco in generale ma non aveva fatto nulla per nascondere il suo lato materiale: mi ero subito resa conto di essere io quella colta della coppia. Per farla breve tre giorni prima mi era arrivata una mail piena di insulti di ogni genere dall’indirizzo dell'amato bene. “Brutta puttana da quattro soldi! Rivedi un’altra volta mio marito e ti do fuoco mentre a lui taglio le palle. Quello stronzo rifinito mi aveva promesso che avrebbe smesso di andare a scopacchiare a destra e sinistra. Non sei la prima, ma giuro che sarai l’ultima perché questa volta l’ammazzo quel maiale. E sta’ attenta: come minimo rischi la sifilide”. Questo era quello che mi ero trovata a leggere in un radioso mattino al posto delle vellutate parole d’amore di Ale. C’ero cascata come una scema. Non avevo immaginato lontanamente che lui poteva essere sposato. Quasi un mese di incontri infuocati e non mi ero accorta di niente. Lo 7 avevo conosciuto a una festa dove probabilmente si era imbucato insieme a due o tre amici, dal momento che nessuno dei presenti sapeva chi fossero. Mi aveva offerto da bere, poi da cosa era nata cosa –andiamo a casa tuaaveva detto dopo neanche mezz'ora; avevo resistito, principalmente perché avevo ben chiara nella mente l'immagine delle mie gambe con dei peli lunghi, grossi e ispidi peggio di quelli di un orso di un qualche parco nell'ovest degli Stati Uniti, e forse anche che avevo indossato uno slip per niente coordinato con il reggiseno, probabilmente anche un pochino slabbrato ai bordi, e lui aveva spuntato solo un numero di telefono –mi accendi dentro- aveva detto baciandomi delicatamente il collo. Questo era bastato a farmi ritenere che fosse una specie di principe senza macchia e senza paura, anche senza cavallo aveva ritenuto opportuno farmi notare Susanna, la mia pignolissima amica. Al secondo incontro mi ero presentata con una pelle liscissima, dopo aver speso una cifra considerevole in biancheria intima, aver fatto manicure e pedicure e perfino un salto dal parrucchiere, cosa che credo risalisse al matrimonio di mio cugino tre o quattro anni prima. Il mio romantico eroe aveva casualmente prenotato una cena con stanza in un localino appena un centinaio di chilometri lontano da casa per rendere la nostra serata misteriosa quanto bastava. In effetti il “localino romantico” in questione era una specie di motel di bassissima categoria, frequentato da camionisti, prostitute e qualche ingenua e ignara famigliola di stranieri. Ma con gli occhi dell'amore era tutto perfetto. Se vogliamo passare sopra al fatto che avevamo mangiato delle cose talmente schifose da avere la certezza di aver contratto qualche malattia esotica (alla faccia dei luoghi comuni che nei posti frequentati dai camionisti si mangi benissimo), che le lenzuola erano sicuramente usate, che il bagno aveva visto l'ultima spugnetta con disinfettante prima della grande guerra (in quell'occasione avevo capito che sì: quei cessi delle pubblicità con schizzi e incrostazioni fino al 8 soffitto non vengono partoriti dalla mente deviata di qualche pubblicitario, cui la mamma faceva infilare le pattine appena a casa e gli puliva sotto le unghie con le graffette, ma esistono davvero) ecco, passando sopra anche al fatto che eravamo praticamente sulla pista di atterraggio di un aeroporto che doveva per forza risultare tra i primi tre scali mondiali, Alessandro mi aveva stregato con le sue dolci parole d'amore, e poco importava nell'impeto del momento, se fossero per lo più volgarità di bassa lega. Per tre settimane mi ero sentita Alice nel Paese delle Meraviglie: romatiche improvvisate (-ho un po' di tempo, facciamo una sveltina?-), cene sontuose (-mi avanzano dei buoni pasto dell'azienda, sarebbe un peccato non usarli-), regali senza motivo (-ho trovato per strada questi guanti, mi sembravano proprio carini-), frasi d'amore sussurrate (sei talmente bona che mi ti farei dappertutto-). Certo mi pareva un po' strano che il suo coinquilino non sloggasse mai da casa e che non ci fosse nemmeno una pizzeria o un qualunque locale dove gli piacesse andare entro i 50 km.da casa, nemmeno per un caffè a pensarci bene, ma ero talmente deliziata che qualcuno si interessasse a me da non notare questi piccoli segnali. Povero il mio amore, faceva un lavoro talmente stressante che era quasi sempre fuori città, soprattutto il fine settimana e in particolare durante quelle tre feste comandate che vennero a cadere proprio nei giorni del fiorire della nostra relazione. Tutto il mio sogno romantico era stato spappolato come un gatto che si trovasse ad attraversare l'autostrada per il mare il venerdi sera prima del 15 d’agosto, e lo dico perché io amo a dismisura i gatti. La mail di quella donna mi aveva chiarito i tanti aspetti oscuri che stavano lentamente e faticosamente aprendo la coltre di fumogeni che avevo nel cervello. Alessandro, l'uomo che poteva significare per me cambiamento e stabilità dopo una serie irrisolta di situazioni ai limiti del grottesco che avrebbero fatto 9 impazzire anche Sigmund Freud, era semplicemente sposato. Ed era anche un bastardo. E sopratutto io ero davvero deficiente oltre il previsto. Per farla breve, dopo aver avuto la mail dalla dolce e delicata consorte dell'uomo della mia vita, avevo pianto per due giorni pieni pieni, completamente da sola nella casa dove di solito abitavamo in tre, mi ero ingozzata di gelato Hagen Daaz (e chi lo ha mangiato sa a che livello di depressione sei se riesci a mangiarlo a cucchiaiate), e una volta arrivata in ufficio, non avevo resistito alla tentazione di telefonare a Susanna per sfogarmi, raccontandole tutto. Quell’orrenda rossa aveva origliato digitando sul suo computer l'intera conversazione e mettendola in rete con i colleghi presenti al piano. A quel punto oltre all'umiliazione di aver sbagliato tutto nella vita privata affettiva (anche se non avevo bisogno di ulteriori conferme) mi ero rovinata quel poco di reputazione professionale che faticosamente stavo cercando di costruire, e mi ero guadagnata anche delle avances da parte del più brutto collega che avessi mai avuto, il quale si era premunito di informarmi che sua moglie non era per niente gelosa e aveva pensato anche di farmi ridere. Ecco perché, sapendo che tutti ancora una volta stavano origliando quel che dicevo a Rossana, risposi mentendo oltre il verosimile dicendo che la mia serata con Tommaso era andata alla grande. Non avevo di che lamentarmi. Tommaso è il mio migliore amico, rigorosamente gay, anche perché negli anni 2000 non si può non avere un amico gay; probabilmente hanno inventato anche un sito web dove te li procurano su richiesta. Tommaso è sempre stato parte della mia vita e dei miei casini aiutandomi come può, con l'affetto del fratello. Dice che mi deve tantissimo dal momento che si è reso conto della propria omosessualità proprio per merito mio. Non ho mai saputo interpretare questa cosa col giusto spirito. I fatti: avevamo sì e no quindici anni ed io ero follemente innamorata di lui, convinta anzi certa di essere ricambiata. Del resto era l'unico che si accorgeva se mi ero pettinata in un modo 10 diverso (forse se mi ero pettinata in generale), se avevo qualcosa di nuovo (anche perché ho passato i primi due anni di liceo in versione dark e quando ho cominciato a usare dei colori se ne sarebbe accorto anche un cieco), e perfino se avevo il ciclo (be', in quel caso non ci voleva un grande sforzo di attenzione: non facevo ginnastica e portavo un maglione che mi copriva almeno fino alle ginocchia); insomma Tommaso era speciale, mi ascoltava, mi guardava negli occhi mentre parlava a differenza di tutti gli altri maschi che avevano la sgradevole tendenza a guardare le tette invece degli occhi (che colpa ne avevo io se mi erano cresciute prestissimo e tantissimo? Solo dopo anni ho cominciato ad apprezzare i lati positivi della cosa). Un giorno, seduti sul mio letto in mezzo a cuscini a fiorellini rosa e a pupazzi di peluches, mi gettai all'attacco quasi sdraiandomi su di lui, andando vicina al soffocarlo con le mie tette, e decidendomi, a scapito della tradizione maschilista, che dovevo prendere in mano la situazione baciandolo e strusciandomi a lui. Le nostre labbra si unirono in maniera decisamente curiosa, le nostre lingue si intrecciarono in maniera ancor più curiosa, provocandoci un eccesso di salivazione difficile da arginare e io mi sentii incendiare da quell'incontro ravvicinato. Lui no. In seguito a questa prova decise di mettere a nudo la sua anima e mi disse che no, non ero io il problema, era che lui si era reso conto di essere attratto dagli uomini invece che dalle donne. Dopo aver accusato il colpo (inutile prendersiin giro: quando un amico gay vi dice di essere gay c'è sempre un colpo), lo supplicai di tenermi in considerazione, casomai gli fosse venuto in mente di non essere più gay e avesse voluto provare a vedere come funziona con una donna. Sono passati dodici anni e non ha mai voluto provare, anche se sotto l'effetto di una grandiosa quantità di alcol devo aver insistito in svariate occasioni. Non avevo di che lamentarmi: era sempre stato il mio amico migliore, al quale potevo dire di tutto senza temere commenti inopportuni o giudizi; in numerosi casi si era finto 11 mio fidanzato alla perfezione e in altri io lo avevo perfino aiutato a rimorchiare, anche se detto così fa venire i brividi. Nessuna delle persone che frequentavamo insieme aveva la più pallida idea che tra di noi non potesse davvero esserci nulla, e la nostra amicizia era stata fonte di grandi gelosie da parte dei miei fidanzati, nella totalità dei casi talmente idioti da non rendersi conto che guardava più loro di me. La sera prima Tommaso aveva insistito perché uscissi con lui per dimenticare la mia brutta avventura con il re dei tradimenti e mi aveva invitato al locale dove il suo amico Roberto, detto Roby, curava gli eventi. Il fatto è che quando Roby mi aveva visto piangere disperatamente abbracciata a Tommaso era stato preso da una crisi di gelosia talmente forte che si era messo a piangere anche lui, battendo i piedi in terra e strillando come un invasato. Il povero Tommaso si era ritrovato a dover fronteggiare non una ma due situazioni a rischio e aveva trovato come unica soluzione quella di farci bere come delle spugne per arrivare a un innocuo stato di atarassia, dove almeno avremmo smesso di piangere. Con me aveva funzionato alla grande. Non con Roby che aveva continuato a squittire parole più o meno coerenti sull'amore, sulla famiglia e sul mondo in generale, passando anche per l'esistenza di Dio, mettendo Tommaso in imbarazzo. Non che fosse facile imbarazzarlo, ma quella pantomima di basso profilo gli aveva fatto aprire gli occhi sul fatto che Roby era decisamente troppo emotivo per lui e dopo averlo accusato di essere davvero una checca mi aveva preso per mano e riportato a casa. Ma queste cose non potevo dirle a Rossana e feci buon viso a cattivo gioco: serata bellissima, romantica, lume di candele, locale raffinato e, tocco di classe, conclusione con vocina ambigua -ma cosa vai a pensare? Tommaso è solo il mio migliore amico!- quel tanto che bastava per accendere una morbosa curiosità. Quella carogna rossa moriva dalla voglia di conoscere questo tanto rinomato Tommaso di cui anche Susanna 12 parlava con termini entusiasti. Io ero solo una povera sfigata deficiente, ma Susanna sapeva il fatto suo, era una gran donna con le palle, capace nel lavoro e nella vita: impossibile che Tommaso fosse al mio tanto basso livello nella scala sociale se una come lei ne parlava bene...per questo moriva dalla voglia di conoscerlo e farsi un bel mazzetto di cazzi suoi, cosa che amava letteralmente fare con tutti. Non sapeva come le sarebbe andata male in quel caso. In fondo non avevo di che lamentarmi. 13 NON SEI TU. E' COLPA MIA Quella sera decisi che sarei tornata a casa prima del solito. Anche Tommaso e Susanna avevano diritto alla loro razione di coccole nella nostra “comune” e per colpa della storia con Alessandro li avevo decisamente trascurati. Scesi dall'autobus ben due fermate prima di casa per fare un salto al cinese che si trovava all'angolo. Era stato chiuso per motivi d'igiene per tre mesi ma mi ero segnata sull'agenda del telefono quando avrebbe riaperto, in barba a chi dice che gli smart-phone non servono a nulla. Flemmaticamente ho sempre pensato che quando consumi qualcosa di cucinato da altri ti assumi le tue responsabilità e i tuoi rischi, né più né meno come quando compri i cibi biologici pagandoli il doppio di quelli normali, sapendo che: a)i maggiori appezzamenti di terreno coltivato biologico sono sotto l'autostrada, b)nel campo confinante usano i pesticidi e li spargono dall'aereo preferibilmente nei giorni di vento. Poi se mai avevo avuto ulteriori scrupoli sulla sana alimentazione li avevo persi tutti mangiando in quei postacci dove mi aveva portato Alessandro. Mi fermai perfino a prendere tre rose rosse per completare l'opera. Del resto anche Tommaso non era di certo in buona visto la serata che aveva avuto con Roby e nemmeno Susanna, appena rientrata da un viaggio di lavoro; la nostra amica era venuta a vivere con noi solo due mesi prima, dopo essere scappata dall'appartamento che condivideva con il suo biondissimo e altissimo fidanzato olandese. Dico scappata perché era proprio scappata, al buio oltretutto: aveva impacchettato le sue cose mentre lui era all'aeroporto ad accogliere la famiglia che veniva da Amsterdam per conoscere finalmente questa tanto incantevole Susanna che sembrava facesse sul serio con il loro Yak. Susanna non si era resa conto di quanto fosse determinato Yak con lei fino a quel momento: insomma gli olandesi sono spiriti liberi, hanno un tasso di coppie sposate simile al numero di gatti nel canile 14 municipale, vivono insieme come coppie aperte prima, durante e dopo, con i figli che possono essere legittimi, illegittimi o metà e metà, insomma si fanno le canne da mattina a sera e prendono pasticche di tutti i colori, è il paese del sesso in vetrina...perché aveva trovato proprio lei l'unico olandese più tradizionalista di un contadino toscano di 150 anni fa? Quando Yak aveva parlato di sposarsi, regolarizzare la loro posizione e fare dei figli, Susanna aveva pensato che scherzasse. Ma quando gli aveva detto che voleva organizzare una gran festa di fidanzamento con genitori, nonni, zii, cugini e parenti alla lontana (meno male che è in Italia che le famiglie sono numerose...! Contandoli per un ipotetico invito a un ipotetico matrimonio Yak era arrivato ad un'ottantina solo con i parenti stretti!), Susanna aveva capito che faceva sul serio e aveva cominciato a pensare come prendere tempo. Non che lei fosse contraria al matrimonio, no. Non che Yak non le piacesse abbastanza, no; era qualcos' altro. Forse una indefinita e sottile paura di mettere un punto fermo alla sua vita: sola senza impegni poteva fare ancora le sue scelte senza dover rendere conto a nessuno. Era lanciatissima nella sua carriera di giornalista e a 28 anni era già una firma nel panorama editoriale. Paura. Susanna aveva semplicemente paura di cosa avrebbe implicato sposarsi con Yak che l'avrebbe messa a fare biondissimi e lunghissimi bambini e a quel punto avrebbe potuto mettere una bella croce sopra alla sua agognata carriera di corrispondente dall'estero. Era stato inutile cercare di spiegare a Yak il suo punto di vista. Semplicemente non capiva. Allora era rimasta solo la fuga. E dove altro poteva finire se non a casa dei suoi più sciroccati compagni di scuola e amici di sempre? Detto fatto era con noi da due mesi e aveva deciso di restarci un altro po'. Il povero Yak, dopo aver cercato inutilmente di riprendersela aveva desistito con una pausa di riflessione che lo aveva riportato ad Amsterdam per leccarsi le ferite e cercare di capire dove poteva aver sbagliato. 15 -Che bello Caro! Sei già a casa!- stava dicendo Tommaso chiudendo la porta e buttando le chiavi sul mobile dell’ingresso. Tommaso era fantastico quando tornava la sera: mi faceva sentire amata e tanto tanto felice, per quanto potessi avere avuto una giornata orrenda arrivava lui e pouff! per incanto spariva tutto. -Ciao bell'uomo!- feci io di rimando -novità?- urlai dalla cucina mettendo le bacchette cinesi sui bellissimi portabacchette, regalo di mio fratello l'ultimo Natale, dopo che una volta era venuto a cena da noi e avevamo mangiato giapponese nei piatti di carta con le bacchette di legno che ti danno nelle bustine del take-away: mio fratello Cosimo, astro nascente nel panorama dei grandi chef internazionali, ne aveva riportato dei veri e propri traumi, ai quali aveva cercato di porre rimedio regalandomi un set degno di una geisha. -E la femmina di yeti? Non è stata ancora avvistata nei dintorni?- mi chiese Tommaso entrando in cucina mmhm! Che profumino! Ha riaperto il venditore di piattole, scarafaggi e cavallette?-Esatto. Mi ero segnata quando si sarebbe verificato l'evento- mentre mi giravo sorridendo continuai – ma devi smetterla di chiamare così la povera Susi! Non è carino-Carino o no è lei che aveva un fidanzato col nome di una capra tibetana-Smettila subito!- gli intimai assestando una bacchettata sulla sua mano che stava prendendo un raviolo al vapore, appena prima di sentire la porta che si chiudeva -eccola!- dissi mentre le correvo incontro. -Wow! Mi fate sentire parte della famiglia più che ospite pagante!Il sorriso della mia amica Susanna era capace di scaldarmi il cuore. Li osservai mentre Tommaso apriva le birre per un brindisi serale a qualcosa che senz'altro ci sarebbe venuto in mente per motivare il solito tracannamento senza limiti. Susanna e Carolina, lei tutta panna, io la mucca. Alle elementari ci avevano fatte morbide per queste innocenti 16 rime da pubblicità anni 70. Ma io mi chiedo: i pubblicitari pensano mai a quanto male hanno fatto a tutte quelle povere Susanne e Caroline? Evidentemente no, ma a noi questo era servito per fare muro contro il mondo e diventare inseparabili come due gemelle siamesi. Ero strafelice che Susi abitasse con me, anche se ero molto triste per lei e per il coraggio che non aveva avuto. Il suo caprone tibetano era davvero un ottimo elemento, e avrebbe potuto avere una vita felice con lui, felice e piena di bambinialti e biondi. Ero perfino invidiosa. Nel senso positivo, ma invidiosa. Io non avevo mai avuto una storia che potesse dichiararsi importante come quella sua con Yak, se escludiamo Tommaso, con il quale vivevo da anni ma non avevo alcuna storia. In una manciata di secondi, mentre bevevamo birra e Tommaso ci raccontava i progressi del suo ultimo progetto per un mega centro commerciale, ripercorsi i miei ex fidanzati. Tutto era cominciato con Pietro. Bello, bellissimo come solo un adolescente sa essere, con i capelli un po' lunghi, uno sguardo da ironica lotta contro un mondo avverso e pronto a scalare le montagne più alte in sella alla sua moto da cross. Quando era entrato in classe il suo primo giorno di scuola e mi aveva squadrato con un'occhiata degna di una massaia che al mercato rionale valuta la freschezza di frutta e verdura, mi erano tremate le gambe e il cuore aveva fatto una capriola. Poi aveva spostato i suoi occhioni neri sulla mia vicina di banco, la bella della classe che gli aveva sorriso. Quando dopo qualche mese la bella in questione gli aveva dato il benservito per uno dell'ultimo anno che aveva già la macchina, era tornato a guardare me ed avevamo cominciato a uscire. La mia storia con Pietro aveva lasciato un segno indelebile nella mia crescita. Nel senso letterale del termine. Per uscire con lui la prima volta mi ero messa in ghingheri con una gonnellina cortissima e vaporosa. Solo non avevo tenuto conto della marmitta 17 aberrante che sporgeva con un calore infernale dalla sua potente moto e mi ero provocata un' ustione da paura sul polpaccio. Avevo ancora la cicatrice. Per tre meravigliosi mesi avevamo solcato stradine di campagna in cerca di luoghi appartati dove dare sfogo ai nostri bestiali istinti adolescenziali, prefigurando scenari di viaggi in cima al mondo alla ricerca di noi stessi, giurandoci eterno amore, confabulando su un matrimonio che avrebbe avuto luogo su una spiaggia caraibica, testimoni il sole e il mare, arrivando a ipotizzare una vita fantastica su una barca a vela che avrebbe sfidato le tempeste degli oceani. Poi un giorno, che casualmente coincideva con il mio compleanno, dandomi un regalo (un disco di musica di artisti di strada colombiani che dovevano essere sotto l'effetto di non so che acidi quando lo avevano composto) mi aveva detto che non se la sentiva più di stare con me. -Non sei tu- aveva detto -è colpa mia. Mi sono reso conto che non sono fatto per la vita avventurosa che vorresti avere e so che non sarò mai in grado di offrirti quello che desideri, ti lascio perché ti amo troppo per costringerti a vivere in un modo banale e scontato. Però sappi che mi resterà sempre nel cuore il tuo insegnamento di vivere come uno zingaro senza piegarmi ai voleri di una società che cerca di forgiarmi a suo piacimentoDopo tre giorni stava già con un'altra, che evidentemente aveva meno pretese di me e si aspettava solo delle romantiche serate fatte di cinema e di pizzerie. Poi era stata la volta di Giulio. Avevo resistito per mesi al suo pressing incessante fatto di poesie, dichiarazioni d'amore scritte nel bagno delle femmine e perfino mazzi di fiori recapitati a casa. -Tu sei diversa- mi diceva -mi completi. Le nostre anime sono state un'anima sola in una vita passataDue palle! Ma alla fine avevo deciso che anche se non mi piaceva affatto era un vero peccato sprecare l'occasione di trovare un ragazzo tanto innamorato. Eravamo usciti insieme per tre mesi quando un giorno mi 18 aveva detto – Devo aprire la mia anima alla realtà dei fatti: non sei tu- aveva detto -è colpa mia che non sono stato in grado di cogliere i segnali che mi invia il mio karma. Ho sbagliato a interpretarli e tu che sei molto più compiuta e profonda di me, te ne eri accorta subito che non poteva funzionare. Ho bisogno di una pausa di riflessione per ritrovare me stesso. Ma sappi che il tuo insegnamento a guardare oltre la superficie resterà sempre dentro di meE anche se a quel punto Giulio mi piaceva davvero e avrei voluto essere un po' meno compiuta e un po' meno profonda, visto che ero dotata di un karma abbastanza rallentato, non avevo fatto nulla per trattenerlo, chiedendomi ancora oggi se mi ha lasciato dopo quella volta che mi aveva portato in un romantico angolo appartato sulla riva di un laghetto (si potrebbe definirlo stagno ma perderebbe il romanticismo), dove io mi ero rifiutata di fare il bagno a causa delle alghe limacciose che apparivano sotto la superficie, soprattutto dopo che lui mi aveva detto -fai finta che sia il Gange e buttatiPotevo annoverare nelle storie da un trimestre anche Lorenzo. C'eravamo conosciuti al mare, tre giorni prima che io partissi per tornare in città, l'estate della maturità. Giurandoci eterno amore avevamo sfidato la cattiva sorte (abitavamo a 100 km di distanza) e soprattutto gli scioperi di treni e pullman per riuscire ad incontrarci ogni fine settimana, visto che nessuno dei due aveva la macchina; solo in seguito scoprii che lui la macchina in realtà ce l'aveva ma era troppo tirchio per pagarsi la benzina. Intervallavamo i nostri incontri con telefonate fiume, che a pensarci bene erano fiume solo se chiamavo io, cosa che facevo ogni sera dallo sgabuzzino di casa, tra la scarpiera e la lucidatrice per evitare che mio fratello e mia sorella mi origliassero. Una volta mi disse che aveva la casa libera il sabato notte. Con l'aiuto di Susanna riuscii a inventare per i miei una storia molto ben articolata sul fatto che andavamo insieme da una sua amica che abitava fuori città in un posto assai sperduto e saremmo rimaste là a 19 dormire. La stessa balla fu pari pari propinata ai genitori di Susanna, che ne avrebbe approfittato per andare a dormire dal suo ragazzo. Tutto filò liscio. O quasi. Quando mi ritrovai semi nuda sdraiata nel letto di Lorenzo a fissare poster di moto intervallati da attricette decisamente spogliate e in pose provocatorie, fui presa da un attacco di panico inverosimile, rifiutando categoricamente di arrivare al dunque. Lorenzo era un gentiluomo e non se la prese più di un tanto per il mio rifiuto, limitandosi a sparire per qualche minuto nel bagno e tornando assai più soddisfatto, ma insistette per farmi prendere l'ultimo treno della sera che mi avrebbe riportato a casa -tanto se non vuoi scopare che resti a fare qui?Dopo quell'amplesso mancato non l'ho più rivisto. Una sera di qualche giorno dopo, per telefono (lo avevo chiamato io come sempre) mi disse -Non sei tu. E' colpa mia che mi aspettavo troppo da te. Sei ancora una bambina ed io ho bisogno di una donna con la quale convidere i miei interessi- e mentre io riflettevo se rientravano più negli interessi le moto o le donnine nude lui mise la ciliegina sulla torta -mi ricorderò sempre di te come quella che non c'è stataI mesi passavano ed ero velocemente arrivata all'università dove finalmente avevo incontrato l'uomo della mia vita: Giuseppe. La mia storia con lui è durata un record assoluto: quasi un anno. Giuseppe era già fuori corso quando io ero una matricola e ci sapeva fare davvero. Non posso dire di non essere stata felice con lui. Sono sicura che mi amava, a modo suo. E' stato il mio primo vero amore, nel senso biblico del termine. Mi faceva sentire unica e importante, mi elogiava in tutto quello che facevo dicendo che ero sempre la migliore. Mi manipolava come un regista. Nel giro di qualche mese avevo cambiato tutto di me, dal modo di vestire al modo di pensare; ero passata dallo stile sport-casual (della serie: 20