XXX.DdP La liturgia della Parola di questa XXX domenica dopo
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XXX.DdP La liturgia della Parola di questa XXX domenica dopo
XXX.DdP La liturgia della Parola di questa XXX domenica dopo Pentecoste offre diverse opportunità di lettura. Una potrebbe costituire il testo della P iniziale insieme a quello della 1L; un’altra, il versetto del R con la conclusione del V; una terza via, infine, la nota autobiografica di Paolo nella 2L, che, con un certo adattamento, si presta anche come pensiero finale della riflessione. Un cenno per le prime due. Prima interpretazione: aumento delle virtù teologali. La P iniziale si apre con la potente affermazione di due attributi importanti di Dio, l’onnipotenza e l’eternità, con i quali si caratterizza comunemente il mistero della Divinità nella sua accezione generale e impersonale. Entrando nell’ambito della rivelazione, tale mistero si precisa e puntualizza in un concetto personalizzato, perché si presenta come un Dio, Uno e Trino, che in Cristo Gesù si manifesta visibilmente rivelando anche la sua Volontà, con il grandioso disegno della creazione, di cui proprio lo stesso Cristo Gesù è architetto e costruttore, in quanto costituito fundamentum et forma dell’intera azione ad extra di Dio. Questa prima caratteristica di Cristo si personifica nel concetto di “Mediatore unico” (1Tm 2, 5). Nella visione immensa del disegno divino, oltre alla caratteristica di Mediatore, è preordinata anche quella di Redentore e di Glorificatore. Tralasciando tutto l’antefatto che ha portato il Cristo a voler realizzare liberamente l’azione redentrice con il sublime mistero pasquale, i cui effetti perdurano nella storia attraverso i segni sacramentali, si concentri un attimo l’attenzione sulle tre virtù teologali, delle quali si chiede nella P l’aumento, perché ognuno possa meglio realizzare il disegno di Dio che vuole tutti santi e immacolati al suo cospetto nel regno celeste. Per essere accresciute, le virtù teologali devono prima essere ricevute, onde la domanda: donde come e quando si ricevono le virtù teologali? Normalmente, le virtù teologali insieme a quelle cardinali vengo infuse nella recezione del Battesimo, che, insieme ad altri doni di grazia particolari, costituiscono il cosiddetto patrimonio personale di ogni battezzato, con il quale può vivere degnamente la sua identità di cristiano, e portare a maturazione il suo cammino di perfezione secondo il disegno divino. Con questo specifico “patrimonio” spirituale, ogni battezzato è veramente uguale presso Dio, in Cristo. E su questa base di uguaglianza spirituale, la riflessione può utilizzare il testo sapienziale della 1L che afferma che davanti al Signore “non c’è preferenza di persone”, perché “uno solo è il Padre vostro” (Mt 23, 9) e in Cristo siete tutti fratelli, avendo come “unico Maestro il Cristo” (Mt 23, 10), che ha una predilezione per i “poveri” in senso lato, in quanto lui stesso si è fatto “Povero” per arricchire chi lo accetta! L’inizio dell’arricchimento spirituale dell’uomo è il Battesimo, con il quale si riceve in nuce tutto il patrimonio personale, comprendente tra l’altro il settenario delle virtù, le tre virtù teologali e quattro virtù cardinali, con le prime l’uomo può regolare i rapporti verso Dio in Cristo, e con le altre i rapporti verso gli uomini e le cose. Nel settenario delle virtù, bisogna distinguere l’aspetto oggettivo da quello soggettivo: l’uno viene direttamente da Cristo ed è uguale per tutti e non va soggetto a mutamento alcuno perché è stabile; l’altro, invece, dipende dal comportamento dell’uomo e fruttifica in proporzione alla cura che si ha verso il valore oggettivo del dono. Di conseguenza, anche l’aumento delle virtù del settenario riguarda solamente la dimensione soggettiva e non quella oggettiva. Ora, come ogni dono spirituale, così anche le virtù infuse si accrescono normalmente con la conoscenza del mistero di Cristo, nella quadruplice dimensione paolina: “ampiezza lunghezza altezza e profondità” (Ef 3, 18), che si ottiene specialmente attraverso la Parola, la partecipazione alla vita liturgica, la frequenza ai sacramenti, l’esercizio della virtù, la preghiera, le opere buone… Grazie, Gesù del dono della tua Povertà! e dell’esempio di Paolo che “ha conservato la fede”! ^^^^ Seconda interpretazione: chi si umilia sarà esaltato. L’episodio evangelico, al di là della ricorrente frase “chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato”, permette altresì di utilizzare l’identità concettuale tra “umiltà” e “povertà”, così da poter risalire all’idea che Cristo, come si è fatto povero per arricchire l’uomo, così si è umiliato per esaltare l’uomo fino alla gloria celeste. Difatti, la radice latina di “umiltà”, humiltas, include anche l’idea di povertà, di miseria, di terra, di polvere… da cui ogni essere proviene per creazione cristica. E così Cristo si presenta all’uomo, non solo come “povero”, ma ugualmente come modello di “umiltà”, perché da Dio ha voluto assumere l’Umanità per elevarla alla dignità divina per partecipazione. Tremendamente stupenda e sublime a un tempo è la descrizione di Paolo: “[Cristo] pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 6-11) Due i movimenti nel testo: discensionale e ascensionale. Nel primo, Cristo, dallo splendore della divinità che gli appartiene per natura, sceglie di scendere fino all’umiliazione della morte di croce, rivelandosi come “unico redentore”, e partecipando autenticamente alla realtà umana di dolore e di morte. Il secondo movimento svela la gloria pasquale di Cristo che, dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina. Difatti, il Padre, come aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, così ora lo “esalta” in modo sovraeminente. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un “nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Al Figlio, che per amore si è umiliato fino alla morte di croce, il Padre conferisce una dignità incomparabile, il Nome più eccelso, quello di Kyrios, “Signore”, che è proprio il Nome di Dio, sacro e innominabile. Grazie, Signore del tuo esempio, e di quello di Paolo che ha ottenuto la “corona di giustizia”!