tesori nascosti
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tesori nascosti
Aprile/Maggio n u m e r o 2 Anno 9 2009 bimestrale dell’Associazione cittadini e familiari per la prevenzione e lotta alla tossicodipendenza Poste italiane spa spedizione in A.P. – Dl 353/2003 (conv. in l.27/2/2004 n. 46) art.1, comma 2, Dcb TS. SOMMARIO RICKY MARTIN IN SALSA DI MALVASIA Intervista a Riky Malva, cabarettista triestino di successo (pagina 2) TESORI NASCOSTI Nata per essere creativa, mi tarpano le ali con la costrizione di un lavoro fisso. Mi vedevo inviata speciale, fotografa, cameraman. E mi ritrovo in un grigio ufficio. Mi inietto l’ispirazione nelle vene e continuo a cercare il tesoro nascosto dentro di me Nata per essere creativa, mi tarpano le ali con la costrizione di un lavoro fisso. Il timore di ritrovarmi a dormire fra cartoni maleodoranti per la strada o di cercarmi tra ospedali e patrie galere spingono i miei genitori a collocarmi in un posto statale che può garantirmi almeno il cibo. A 19 anni, con i sogni legittimi di un’adolescente, mi ritrovo in un grigio ufficio. Tra numeri, percentuali e pratiche asettiche lotto per la tranquillità dei miei cari. Sognavo colori e pennelli. Mi vedevo inviata speciale di guerra in posti lontani, esotici e pericolosi. Un corso di cameraman, un iscrizione a Bologna al Dams, un altro corso di fotografia. Poi nulla. La ricerca d’ispirazione (bugia letteraria) la iniettavo nelle vene e mi sentivo ora un poeta della beat generation, ora un classico dell’Ottocento inglese. Mantengo a fatica il lavoro, tra menzogne, aspettative e fughe in paesi lontani. Sento l’angelo del bello dentro di me. Credo di avere grandi potenzialità, poi le spengo con lo sguardo a spillo. Il percorso è lungo e faticoso. Non mollo. Cerco di leggere tutto quello che posso. Tento la scrittura e la pittura su vetro. Attimi fuggenti. Non ho tempo. Devo procurarmi il pane velenoso e proprio come il pane me ne devo nutrire quotidianamente. La sera, scaldata dall’oblio procurato, i deliri artistici escono ingombranti e passo dallo studio della mitologia alla filosofia. La mattina sto male ed il sapere acquisito si dissolve in polverine magiche. Nulla ha più importanza, devo riempire l’anima ed il corpo e conosco solo un modo sicuro per raggiungere la sazietà. Trascorro una vita intera tra corse affannate e immaginazione splendente. Non mollo. Continuo a cercare il mio talento. Lo sento, sono certa che esiste e quando la morte sopraggiungerà, il tesoro nascosto racchiuso in me accarezzerà l’anima di un nuovo nato e diventerò immortale. IN UNA NOTTE BUIA E TEMPESTOSA Nasco mentre i lupi ululano e mio padre se la squaglia (pagina 2) QUANDO LA BOXE TI SALVA LA VITA Botta e risposta con il pugile Fabio Tuiach (pagina 3) Gibi LA TIGRE E IL DIO Luca voleva vedere la tigre negli occhi. Roberto ridurre il suo karma offrendo il proprio destino a Krishna. Con Luca abbiamo fatto tutto il percorso per avere il passaporto, poi tribunali, questura, indulto, terapia a scalare, cena di addio. L’ho accompagnato a Venezia e se n’è andato, felice. Quello è stato il nostro ultimo abbraccio. Lui è rimasto là, in India guardando la tigre negli occhi, per sempre, come voleva. Roberto si è guadagnato non solo la mia ammirazione, ma quella di tutti, per una forza enorme. Ringraziava il sole che gli accarezzava la faccia, fino all’ultimo secondo. Krishna. Sono invidioso che adesso ce l’hai solo per te, perché lui per te era tutto. Erano qualcosa di più che due persone, erano due decisioni. In genere si vuole che la morte di un nostro caro ci appartenga. Si rimane stupefatti mentre la gente si avvicina e dice “mi dispiace”, come se si fosse l’interprete del defunto. Qui si è infranta la regola, non possiamo andare per la strada dicendoci a vicenda mi dispiace, non possiamo neanche dirglielo, LE MILLE RISORSE Di tregua LEGIONARIO Mente aperta, sfugge con cura schemi e pregiudizi (pagina 4) soffriamo in silenzio, piangiamo di nascosto, diciamo parolacce. Sono morti due amici e quanto scrivo non è rivolto alla loro memoria, ma alla mia per non dimenticarli mai. v ol e r e vola r e | p a g i n a 2 RICKY MARTIN IN SALSA DI MALVASIA A tu per tu con uno dei cabarettisti triestini più interessanti delle ultime stagioni, Riky Malva. Showman per passione e divertimento che non pensa ai soldi né ad andare in tivù. Ma sogna di riscoprire il morbìn, quell’approccio alla vita fatalista e ironico tipico dei triestini Riki da Ricky Martin. E Malva da Malvasia, apprezzata in tanti fraschi nostrani. Riky Malva, uno dei fenomeni più interessanti del cabaret triestino di questi anni, gioca disinvolto tra globale e casereccio. Sempre sul filo di un’ironia calibrata e mai aggressiva. Lo incontriamo un pomeriggio in redazione. Arriva puntualissimo alle 18 e subito ci spiazza. Nulla a che spartire con il palestrato e patinato Martin (per la delusione delle signore). E nulla a che vedere con quegli umori densi di vino e vivalàepobon che esalano da tante osmizze la domenica pomeriggio. Riky ha il garbo di chi ancora si stupisce di meritare un’intervista. Ama parlare. Ma non scorda di tenere aperto il canale dell’ascolto. La prima battuta è scontata (anche un po’ stupida). “Facci ridere”. Lui si rifiuta ma il ghiaccio è sciolto e il racconto di Riky Malva inizia a scorrere. “Nel ‘98 volevo cantare. Musica leggera, testi d’amore in italiano. Con un amico tentammo varie strade. Partecipammo anche al Festival della Canzone triestina. Dopo un po’ ci accorgemmo che ci divertiva storpiare i testi, tradurli in triestino. Capimmo che forse era questa la strada da seguire. Nacquero così i Scoverciai. Poi, mi misi in proprio e scelsi come nome d’arte Riki Malva, Riki da Ricky Martin che all’epoca andava molto di moda e Malva da Malva/sia”. Hai mai pensato di vivere solo del frutto di questo hobby? No, un lavoro ce l’ho già in fabbrica dove i fan sono tantissimi. Se mi esibissi per mestiere si perderebbe il senso di ciò che faccio. Ho conosciuto molte persone che si sono perse, che non godono e neanche credono più in quello che fanno. Mi diverto e soprattutto diverto la gente. Questo mi gratifica e mi rende felice. Potresti fare un po’ di soldi. Non m’interessa il danaro. Per lo meno non a discapito del piacere che ricevo, come un boomerang nel fare ridere gli altri. Quello che mi piace è essere riconosciuto e amato dal pubblico. Non faccio comunque molte serate. Uso prevalentemente il web. Ora collaboro con Robe fatte cacao, gruppo goliardico triestino impegnato nella produzione di cortometraggi comico-demenziali. In che tipo di famiglia sei cresciuto? Una famiglia allegra. Le battute si sprecavano. I problemi esistevano, ma l’ironia, il gusto dello scherzo mi hanno accompagnato fin dall’infanzia. Uno dei personaggi che ripropongo è proprio mio padre. Ne imito la voce, il modo di parlare ed oggi spesso ci prendiamo in giro giocando con le voci. Molti quando mi vedono vengono destabilizzati dal mio aspetto. Di solito s’immaginano un capellone, zeppo di tatuaggi e piercing. Trovandosi di fronte a un ragazzo, che lavora in fabbrica, con una splendida famiglia, una moglie e due magnifiche bambine, non ritrovano il personaggio e rimangono stupiti dalla mia normalità. A casa sei divertente come nelle tue rappresentazioni? La routine quotidiana cambia gli atteggiamenti. Ma in generale c’è allegria e mia moglie mi segue, critica e costruttiva. Nei tuoi spettacoli usi il dialetto, hai l’abitudine di documentarti su quest’aspetto? Le mie non sono vere e proprie ricerche. Mi piace però scoprire le parole che non si usano più. I modi di dire che si perdono nel tempo. Se te lo proponessero andresti in televisione? E’ legato al discorso di prima. Non m’interessa. Tutto quel che faccio è davvero perché mi diverto. La paura di contaminare questa purezza, di non trovare un’ispirazione genuina, mi fa desistere dal trasformare il divertimento in lavoro. Non progetto nulla. Lascio che le cose vadano come devono andare, senza pianificare. Non potrei creare o scrivere su commissione. Hai un’ambizione? L’unica sarebbe quella di lasciare un segno a Trieste. Trasmettere la gioia di vivere, riscoprire il “morbìn”, quell’approccio alla vita tipico dei triestini, fatalista e ironico, con il divertimento che si espande a macchia d’olio. La continuità dello spirito di una volta. IN UNA NOTTE BUIA E TEMPESTOSA Nasco in una notte buia e tempestosa. Fa un freddo boia che congela anche i fulmini e le saette che si vedono in cielo. I lupi ululano e non alla luna che nemmeno c’è. Ululano alla creatura nata (io). Non vedono l’ora di mangiarmi. Mio padre, appena mi vede, dice: “Vado a comprare le sigarette”. Da allora penso sia diventato il magnate della Marlboro. A mia madre, per la disperazione, va il latte alla testa e devono ricoverarla in manicomio. Resto con una vecchia di cui non saprò mai il tipo di parentela. So però quante cose mi insegna: preparare trappole per i futuri mariti e bruciare i cibi. Presto si stanca del suo “tesoro” e… sorpresa… mi manda dalle suore. Prima la frusta, poi la carezza e mi ritrovo a Lourdes. Avrà fatto qualcosa di buono il viaggio? Torno all’educandato, già il nome è tutto un programma. Rispunta mia madre con gli assistenti sociali. Non fa che dirmi quanto mi ama. Presto mi porterà a casa. Un bell’inizio per un tesoro nascosto, vero…? La saga continua. Barbablu vol ere vol are | pa gi na 3 QUANDO LA BOXE TI SALVA LA VITA Botta e risposta con Fabio Tuiach che, entrato in palestra ragazzino solo per tenersi in forma, in pochi anni si è ritrovato ai vertici degli europei. Senza mai montarsi la testa. La cosa più bella della celebrità, assicura, sono i bimbi dell’asilo che giocano a dargli l’assalto E’ entrato in palestra a 16 anni giusto per stare in forma. Ma all’allenatore sono bastati pochi mesi per capire che in quel ragazzino covava la stoffa del campione. Fabio Tuiach ha iniziato così, un po’ per caso, la sua brillante carriera di pugile professionista. Dal ring di Chiarbola agli europei il cammino è stato folgorante, anche se non sempre indolore. Ma l’atleta triestino ha sempre tenuto salda la barra del buon senso. Lavora in porto (“in Italia è assai difficile vivere di pugilato”). Al pomeriggio si allena con i compagni di sempre e dedica serate, week end e vacanze alla moglie e ai figli. “Sono un ragazzo noioso”, dice di sé con un tocco di civetteria. Ma proprio in questo volare basso sta il segreto di un campione che deve alla boxe assai più che un attimo di gloria. Fabio, cos’è stato il pugilato per te ragazzino? Ho cominciato un po’ per per caso, solo per tenermi in forma. Ma ogni giorno ringrazio Dio per essere arrivato in palestra. Non per il successo. Ma perché la boxe mi ha aiutato a essere sereno, a stare bene con me stesso. Lo sport può essere un aiuto immenso. So di tanti ragazzi che proprio grazie al pugilato hanno ritrovato la strada giusta. Molto spesso la boxe viene identificata con il disagio sociale, con la vita di strada. Il pugilato è uno sport duro. Per questo forse è indicato, più di altre discipline, per ragazzi difficili. Ma non si deve dimenticare che è uno sport molto educativo e formativo che impone disciplina e impegno. E’ uno sport violento. Può sembrarlo, ma non è così. Sul ring ci sono due avversari con regole precise da rispettare: entrambi hanno la possibilità di vincere. Francamente mi sembra assai più violento il comportamento in campo di certi calciatori quando l’arbitro volta le spalle. Com’è la tua vita fuori della palestra? Lavoro in porto. L’allenamento è il mio divertimento. Poi sto con la famiglia, i bambini, gli amici. Da un certo punto di vista sono un noioso. Ormai un personaggio famoso. Come vivi la tua celebrità? La cosa che mi diverte di più è quando arrivo all’asilo. I bambini sanno che sono un pugile e mi saltano addosso tutti insieme. Quando mi si aggrappano addosso mi sento tanto Schwarzenegger. QUEL TALENTO SPRECATO DEL MIO AMICO E’ un musicista bravissimo. Ma non ha mai usato le sue qualità artistiche per il denaro o per il successo. Il suo guadagno è il piacere della compagnia e il bere dal frasco. Fortunati noi che possiamo godere delle sue grandi capacità Ho un grande amico. Uno spirito libero, ciò che superficialmente si definisce “un talento sprecato”. Suona la chitarra e il piano. L’ho visto e sentito ascoltare un disco della Premiata Forneria Marconi e rifarlo con la chitarra in poco tempo. E’ conosciuto da molti musicisti, ma non ha mai usato questo talento per guadagnarsi da vivere o per sfondare nel mondo della musica, almeno da quando lo conosco io. Credo che il suo guadagno sia il piacere della compagnia, del mangiare e bere dal frasco. Ama frequentare qualsiasi locale, dalle zero alle cinque stelle, dove può allietare gli astanti con la sua arte. E’ come un jukebox. Qualsiasi cosa gli chiedi, se è in vena, te la suona. Sarebbe stato un ottimo, se non unico, professionista. Ma come tutti gli spiriti liberi non puoi contenerlo in orari di lavoro, non puoi pretendere che venga puntuale ad un concerto, non puoi essere sicuro non ti sconvolga la scaletta. In compenso puoi stare sicuro che sarebbe disposto a sacrificare tutto per le grazie di una procace signora o per il piacere di una “sana” bevuta. Sembra strano in quest’epoca d’interessati salutisti che una persona possa trovare piacere in un bicchiere o in una vita da bohemien. E ancor più strano che preferisca ricercare il piacere della compagnia piuttosto che rincorrere il successo. Ci sono persone consapevoli della morte, dove non porteremo nulla di tutti i beni materiali accumulati, che tendono a ricercare tutte le esperienze che arricchiscono l’anima. Sentimenti eterei che non si mostrano come trofei … Dell’amore ricevuto e dato puoi solo bearti al momento, sperando che il suo ricordo non sbiadisca. Una volta un triestino che lavora a Londra e organizza concerti e performance mi ha detto che se lo sentivo suonare avrei dovuto tagliargli le mani (metaforicamente parlando). Mi ha colpito molto il fatto che qualcuno possa pensare solo nei termini di guadagno o della vastità della platea. Come se il talento venisse riconosciuto solo dal danaro e dalla popolarità. Io sono del parere che il talento non sia mai sprecato. Il talento è qualcosa che una persona ha o non ha. Se qualcuno ne beneficia è giusto che lo condivida con chi ne prova piacere. Noi “poveri mortali” dovremmo gioire solo del fatto di aver potuto, nella nostra breve vita, avere l’opportunità di conoscere persone che ci hanno permesso di condividere queste loro capacità. Otto TESORI MIEI, NULLA MI COSTA PIÙ DI AMARVI AL BUIO Sono separato. E fin qui non c’è nulla di strano. La tragedia è che ho due figlie dalla donna che ho amato più di ogni altro al mondo. Ho avuto un passato d’inganni, scappatoie, sollazzi e giustifico il comportamento della mia ex (brutta parola oggi di tendenza) moglie. Ma il dolore che mi sta causando è tremendo. Non mi fa sentire e nemmeno vedere i miei unici tesori nascosti. Cerco di sdrammatizzare per non far scendere le lacrime e impazzire di dolore. Vorrei urlare, spaccare tutto, tanto non ho più nulla da perdere. Capisco l’arrabbiatura, perfino l’odio, ma non una persona adulta che non comprende che le prime persone a stare male sono le nostre figlie. Viene negato un diritto fondamentale a due creature meravigliose: vedere il proprio padre. L’unica soluzione sarebbe quella di contattarle tramite l’assistente sociale e questo non lo accetto. Preferisco farmi da parte e rinunciare momentaneamente ai miei due angeli. Non voglio far vivere loro un incontro con il papà tra gendarmi e burocrazia. Mi rimane una grande tristezza. Una situazione surreale. Potessi tornare indietro certi errori non li commetterei più. Nessuno sarebbe costretto a piangere lacrime amare. Tesori miei, nulla mi costa di più che amarvi nel buio. Sergio Sono nascosti tutti quei tesori di talento e affetti che vivono sotto i nostri occhi senza che noi si riesca ad apprezzarli come meritano. Perchè i pregiudizi ci impediscono di guardare davvero l’altro. O perché il proprietario del tesoro, per pudore o distrazione, preferisce schivare l’attenzione altrui. In queste pagine parliamo dunque di creatività e di abilità cercando di capire, nelle interviste a Riki Malva e a Fabio Tuiach, come vivono oggi il loro rapporto con la dimensione pubblica due giovani talenti triestini. Nella speranza di accendere un guizzo di curiosità negli occhi di tutti voi che ci leggete. dg v ol e r e vola r e | p a g i n a 4 LE MILLE RISORSE DI TREGUA IL LEGIONARIO Gira voce che abbia un passato da legione straniera. Età indefinibile, vive in casa di riposo e sfoga abilità e inventiva in costruzioni favolose immerse nellla campagna friulana. Mente aperta, fa a modo suo. Senza lasciarsi assorbire da schemi e preconcetti “Ehi, venite a vedere, guardate qua che roba, ma vi pare possibile?”. Increduli, divertiti e affascinati allo stesso tempo, fuori dal bar con il bicchiere in mano, scoprivamo da tutte le angolazioni una bici parcheggiata lì. Francamente non era un gran che di armonia. Tra sella ruote freni ecc. non c’era niente di normale: tutta costruita a mano, con soluzioni e meccanismi incredibili, ma Dio solo sa come funzionava bene. I freni tradizionali non esistevano. A sostituirli forcine di legno snodate tra loro e intagliate con un coltello, comandate da leve poste sul manubrio, della sella poi non parliamo e avanti così, tutto però di estrema quanto efficace semplicità: incredibile. “Ma di chi è?”. “E’ la bicicletta di Tregua il legionario”. “Aha, quello là!?”. “Sì, quello là”. Tregua il legionario è un tipo diciamo così … folcloristico. Età indefinibile, vive in una casa di riposo. Non conosce nessuno ma tutti sanno chi è. Gira voce che abbia un passato da legione straniera. Lui non dà fastidio a nessuno. E’ presente con la testa, ma se non gli si rivolge la parola non dice niente, se ne sta zitto. Si fa gli affari suoi e non cerca nessuno: è fatto così. Ogni tanto di punto in bianco sparisce per giorni senza dire niente a nessuno e si rifugia nelle grave in una capanna fatta con le sue mani. Questo mette in difficoltà la direzione di Casa Serena che non sa dove sbattere la testa per sapere se gli è successo qualcosa. Per risolvere il caso è intervenuto persino il Comune. Una volta saputo dov’era la baracca hanno pensato bene che abbattendola l’avrebbero costretto a rimanere in ospizio, e così hanno fatto. Ma non avevano fatto i conti con l’oste perché lui imperterrito ne ha approfittato per costruirne un’altra ancora più bella. Io non sapevo dove fosse la baracca di Tregua e se fossero solo voci che l’avesse ricostruita. Le grave sono grandi, molto grandi, e trovarla è praticamente impossibile se non per caso. Un giorno, girovagando con la mia bike lungo una strada sperduta tra sassi e buche, di colpo mi sono imbattuto in una casa incredibile fatta di legni intrecciati. Se ne stava lì su un’altura con a fianco una piccola legnaia e un ripostiglio. Il tutto circondato da un fosso profondo almeno quanto me, per difendere i fabbricati dall’acqua anche in caso di esondazione del fiume lì vicino. C’era addirittura un cunicolo sotterraneo che mi sono guardato bene dall’esplorare che puntava dritto verso la casa, tutto puntellato a mo’ di miniera. ALT Associazione di cittadinie familiari per la prevenzione e la lotta alla tossicodipenza. Siamo a disposizione di chi si trova in difficoltà per l’abuso di sostanze illegali e delle famiglie che si confrontano con questo problema. Proponiamo incontri informativi, gruppi di auto aiuto per i famigliari, gruppi con lo psicologo e formazione. Siamo presenti lunedì e mercoledì dalle 16 alle 18 nella sede di via Pindemonte 13 (vicino la rotonda del Boschetto, a San Giovanni). La nostra e mail è: [email protected] Bici alla mano, sono entrato superando un ponticello in terra battuta messo in sicurezza da rinforzi di legno e, a bocca aperta ho studiato la costruzione. Gli angoli poggiavano su alberi che fungevano da struttura portante, con un sistema di incastri di legni intagliati e intrecciati ad arte bloccati dal loro stesso peso. Neanche un chiodo: assolutamente geniale. Dentro, una stufa ancora calda e davanti una panca fatta con legno del posto come tutto il resto. Capii subito che avevo trovato la baracca di Tregua il legionario e che se n’era andato da poco. Così. dando un’ultima occhiata, decisi di ritirarmi in buon ordine e di non violare la sua “tana”. Che tipo … Bollato come strano e isolato da tutti perché ciò che non si capisce si evita, Tregua il legionario in realtà è uomo dalle mille risorse. E non solo per queste cose, che fanno pensare a tecniche di sopravvivenza apprese durante il servizio da legionario. Lui è così su tutto. Fa a modo suo, senza lasciarsi condizionare da cosa o come fanno gli altri. Ha mente aperta e va oltre le consuetudini. E’ depositario di una grande anche se per lui elementare ricchezza. E’ una condizione che grandi pensatori ricercano, a volte inutilmente per una vita intera. Fu un attimo rapportare tutto a me stesso. Io vengo fresco da un punto e a capo della mia vita. Ho potuto ricominciare e mi sono accorto di godere di un’invidiabile condizione: quella di ripartire da zero ma con l’esperienza maturata a disposizione, perché quella non si azzera mai. Ho aperto gli occhi su di me e mi sono accorto che dal ritorno nel mondo dei non incasinati di sostanze ho scoperto un tesoro. E ho capito qual è il segreto. Bisogna buttarsi, provarci a modo proprio, senza paura. Così mi sono messo in gioco liberando le mie risorse e i miei piaceri e ne sono nate grandi novità. Nel mio piccolo, proprio come Tregua, mi sono inventato le mie cose. Ho dovuto trovarmi di fronte all’ultimo mio passo però per scoprirlo. Questo dice quanto ero ingoiato dagli ingranaggi di quello che chiamiamo progresso, che ci assorbe poco per volta senza scampo in una vita schematica, fatta di regole e preconcetti che non ci aiutano certo a vivere meglio. Chissà Tregua il legionario, lo strano, cosa pensa di noi nel suo silenzio. Magari che per complicarci la vita in questo modo siamo i tipi strani siamo proprio noi. Gueri 06 Volere Volare anno 9, numero 2 bimestrale dell’Associazione cittadini e familiari per la lotta alla tossicodipendenza registrazione al Tribunale di Trieste n. 1042 del 1/3/2002. Direttore editoriale Pino Roveredo Direttore responsabile Daniela Gross Redazione Barbablù, Daniela Colomban, Duilio, Gigliola, Gibi, Gueri, Luca, Marko, Otto, Sergio, Teo Verdiani Coordinamento Gabriel Schuliaquer Grafica & impaginazione Emilio Porto e Nanni Spano [email protected] Stampa Tipografia Opera Villaggio del fanciullo – Opicina, Trieste Volerevolare Via Pindemonte 13/b Trieste Tel. 040 55122 [email protected] Questo numero è illustrato dalle belle immagini stenopeiche di Luigi Tolotti. Grazie all’autore per la gentile concessione e agli amici dell’Associazione culturale Daydreaming project per la sempre preziosa collaborazione artistica. (www.ddmagazine.it)