ASCOLI PICENO La crisi c`è, ma per fortuna la solidarietà resiste. La

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ASCOLI PICENO La crisi c`è, ma per fortuna la solidarietà resiste. La
ASCOLI PICENO
● La crisi c’è, ma per fortuna la solidarietà resiste. La Provincia di Ascoli Piceno, per mezzo del suo Assessorato
delle Politiche per la Pace, grazie anche ad Augusto Piccioni, da tredici anni attua un programma che la vede attiva
finanziatrice di progetti di cooperazione allo sviluppo in paesi poveri. Finora ne ha potuto realizzare un centinaio per
un ammontare di circa 500mila euro. E molti artisti, più o meno noti, sensibili verso chi vive, senza colpa alcuna, in
zone devastate da guerre e carestie, continuano a donare opere che vengono dapprima esposte al pubblico, poi
messe all’asta. Il ricavato di “Aiutiamo la Pace” 2008 servirà per l’escavazione di un pozzo in un villaggio nella zona
di Mwongo in Tanzania; a sostenere attività agricole in un altro villaggio nel Congo Brazzaville; a impiantare un
laboratorio tessile e una scuola di taglio e cucito nella Yukatan (Messico) a favore di un gruppo Maya. Le opere
andate all’incanto sono state 130 di 112 artisti. Tra i nomi più conosciuti: Accardi, Alinari, Andersen, Aquilanti,
Baratella, U. Bartolini, Basilé, Bertocci, Cannavacciuolo, T. Cascella, Chiesi, M. Cingolani, Consorti, Damioli,
D’Arcevia, De Luca, De Paris, Diotallevi, Donzelli, Dormice, E.Esposito, Eusebi, Fioroni, C.Fontana, Galliano,
Giuliani, Guida, Jannini, Korzeniecki, Kostabi, Lucadei, Luciani, Mainolfi, G. R. Manzoni, Marcolini, F.Mariani, Massini,
Mazzoni, Mesciulam, Neri, Notari, Passarella, Pericoli, Pessoli, L. Pignatelli, Sofianopulo, Tavoletti, Ule, W.Vaccari,
A.Volpi. La risposta degli acquirenti, che al piacere d’investire in arte coniugano il dovere di partecipare
concretamente ad alleviare le sofferenze di popolazioni che vivono in condizioni disagiate, è stata encomiabile, segno
che in un mondo in recessione economica, ma anche in carenza di valori, ancora non tutto è perduto... Nel
sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani l’indigenza estrema non è stata sconfitta,
ma “We can”, anzi “We must”.
Anna Maria Novelli
BARI
● “Vintage. Fotografie di un passato presente” accoglie alla Galleria BLUorG le opere di Luigi Ghirri, Mario Cresci,
Angela Cioce, Beppe Gernone, Gianni Leone. L’intento dell’iniziativa - a cura di Berardo Celati - ruota intorno al
dibattito, sempre più problematico tra presente, passato e futuro, dove il senso generale di incertezza e di confusione
induce a rileggere il passato per misurarsi al meglio con il presente e sfidare il futuro. Già la ‘dimensione esistenziale
del ritorno’ di Cresci e la sua teoria del ‘vedere come rivedere’ rendono con chiarezza il senso del progetto espositivo,
che nel tempo sospeso e nel paesaggio deserto di Ghirri, nonché nel suo rapporto con la natura mediato dalla
cultura, offre risposte certe. Risposte che muovono lo sguardo interrogativo delle visioni degli spazi dell’assenza e
dell’intimità celebrati da Leone, delle provocazioni sull’insolito eccezionale di Gernone o delle composizioni misurate
ed accurate di Angela Cioce.
Presso lo Studio D’Arte Fedele di Monopoli la mostra “Il senso dei luoghi in metri quadri” propone le foto di Aldo
Grittani dedicate alle tracce di un territorio marginale sospeso tra città e campagna. Significativo appare l’elemento
naturale affiancato dai segni della presenza umana, presenza che rende la mappatura della geografia dei luoghi
calda ed emozionale (testo critico di A.Marino). Sempre allo Studio Fedele, in preparazione la personale di Vito
Sardano presentata da Valerio Dehò.
La XII edizione del Premio Pino Pascali è assegnato per il 2008 dal Museo Pascali di Polignano a Mare all’artista
belga Jan Fabre. “Attraverso la mia posizione di artista e la mia opera, assumo un punto di vista esplicito nei confronti
della società. Sono un artista che vive e opera out of place, out of time. In tal senso non sono mai stato un artista
contemporaneo”. Sostenute dalle affermazioni del loro stesso autore, le opere ironiche di Fabre - fuori dallo
spazio/tempo del presente - attingono dai diversi campi disciplinari dell’arte, del teatro, della filosofia, della scienza, le
suggestioni e i suggerimenti necessari per creare opere provocatorie e geniali. Anche in questa occasione, una
spettacolarità suggestiva anima le iridescenti sculture con scarabei, “simbolo di metamorfosi” come tiene a
sottolineare l’artista, le opere in ceramica bianca e i grandi disegni a biro, tutti generati dal sapiente incrocio tra analisi
concettuale, sintesi emozionale, osservazione sensoriale e concretezza dell’esperienza (catalogo con testo di
A.Bonito Oliva).
La personale di Giuseppe Caccavale alla Galleria Bonomo propone opere raffinatissime eseguite con tecniche
pittoriche inattuali (l’affresco e la pittura murale, il pastello e il disegno su parete, le matite e il carboncino su vetro
sabbiato, su carta Fabriano e Rosaspina, su carta da spolvero o sull’intonaco) che rendono visibilità a una figurazione
enigmatica e rarefatta, frutto di visioni meditate. Classicheggianti e solide, le immagini dell’artista napoletano
riproducono figure essenziali, forme quotidiane, giovani corpi in movimento, visi, fiori, animali, resi con accurata
perizia esecutiva, tonalità cromatiche chiare, ombre leggere, segno netto, spazialità ariosa e nitidezza compositiva.
Crescono sulle superfici nella calma del silenzio e della riflessione, nella certezza del progetto rigoroso, nella
ripetitività di un gesto consapevole. Serene ed eleganti, le figure metafisiche dei lavori vengono accolte da uno spazio
immoto, e sembrano appartenere non al mondo dei sensi ma a quello – algido e distaccato – della genesi mentale.
Maria Vinella
BERGAMO
● La GAMeC ha ospitato Art in the Auditorium, un progetto ideato da Whitechapel Gallery di Londra. L’iniziativa si è
proposta l’obiettivo di gettare uno sguardo su alcuni dei migliori artisti che lavorano con film, video e animazione.
Nove istituzioni internazionali hanno collaborato per proporre una collettiva di altrettanti artisti, allestita nei diversi
spazi espositivi: Ballroom Marfa (Texas), Fundacion Proa (Argentina), GAMeC (Italia), Henie Onstad Kunstsenter
(Norvegia), Moderna Museet (Svezia), Kunsthaus Zürich, (Svizzera), The Institute for the Readjustment of Clocks
presso the Koç Foundation (Turchia), Whitechapel Gallery (Regno Unito), Ullens Centre for Contemporary Art (Cina).
E questi sono i nomi dei nove artisti che vi hanno preso parte: Lene Berg, Nathalie Djurberg, Leandro Erlich, Wang
Jianwei, Ömer Ali Kazma, Shahryar Nashat, Cornelia Parker, Diego Perrone, Ryan Trecartin.
Angela Maderna
BOLOGNA
● Sei gli artisti invitati alla galleria Artsinergy per la mostra dal titolo “Il supplizio dell’identità” a cura di Francesca
Baboni e Stefano Taddei. Gli artisti (Silvia Camporesi, Massimo Festi, il gruppo Amae, Eleonora Rossi, Eleonora
Chiesa, Fabrizio Orsi) hanno incentrato la loro ricerca sul concetto metamorfico dell’identità umana e le mille
maschere che come individui mutanti indossiamo. È un analisi critica “Il supplizio dell’identità”, sulla società
contemporanea vista da diverse angolazioni a cominciare dal sé e le implicazioni con l’alterità, attraverso il concetto
di mimesi, di trasformazione, di straniamento, di smarrimento, di spaesamento. Mutazioni rappresentate
artisticamente nelle diverse tipologie espressive, con interventi di pittura, installazione, fotografia, e video.
Irene Zangheri
BRESCIA
● “In caso di nebbia…”: sono queste le istruzioni per un viaggio nel mondo dell’arte che la galleria Colossi propone
nella stagione, per eccellenza, delle nebbie: istruzioni di viaggio che si articolano in una mostra collettiva capace di
proporsi come una mappa in costante evoluzione dove le stazioni e le strade della creatività sono ben tracciate e
saldamente collegate le une alle altre, dalla Pop Art all’astrazione materica e gestuale degli anni Cinquanta, dal
Nouveau Réalisme al concettuale, selezionando artisti e opere di grande qualità espressiva; tra gli altri: Pino Pascali,
Mario Nigro, Mimmo Rotella, Daniel Spoerri, Getulio Alviani, Aldo Mondino. Ma capiterà, lungo il tragitto, di imbattersi
anche in qualche giovane artista come Francesco De Molfetta che ha saputo percorrere, con convinzione e passione
la strada indicata, perché l’arte nasce sempre da un lavoro lento, carico di riflessioni e pazienti elaborazioni.
COMO
● Il 4 dicembre, durante l’inaugurazione di “Public Improvisation” esposizione conclusiva del XIV Corso Superiore di
Arti Visive della Fondazione Ratti guidato da Yona Friedman, una giuria composta da Carla Conca (Business
Manager Videoproiettori di Epson Italia), Giorgio Verzotti (critico d’arte e curatore) e Corinne Diserens (curatrice e
critico d’arte) ha decretato i vincitori della terza edizione del Premio Epson FAR 2008 per la ricerca artistica. Al primo
posto, “per la capacità di intervenire con mezzi e procedure semplici su materiali che assumono forte spessore
simbolico grazie all’uso che ne fa la collettività”, l’artista svizzero Oppie De Bernardo, che ha presentato Relax, una
panchina bianca ricavata da una bara usata; a seguire l’italiano Giovanni de Lazzari con la serie di disegni Piccole
Eco ed al terzo posto lo statunitense Gabriel Martinez, con l’opera Improvised Exhibition Devices. Dalla Fondazione
Ratti arriva anche la comunicazione del prossimo visiting professor, sarà infatti l’artista libanese Walid Raad
(fondatore nel 1999 di The Atlas Group) a tenere, nel luglio del 2009, la XV edizione dello CSAV. Il corso è aperto a
venti partecipanti selezionati da una commissione scientifica.
Angela Maderna
FIRENZE
● La Galleria Alessandro Bagnai ha presentato la mostra di Marco Tirelli con circa venti opere di grandi dimensioni,
su tela e su carta, tempere o carboni, realizzate proprio per questa occasione. Dalla fine degli anni ‘70 a oggi, Tirelli
non si è mai sottratto al suo impegno nei confronti della pittura anche se la sua formazione mentale è maturata
nell’ambito dell’Arte Concettuale. In questi anni, ha portato avanti una ricerca formale dominata dall’essenzialità delle
forme che è ancora la cifra distintiva del suo lavoro. Nelle sue tele, le figure sono apparizioni volumetriche cariche di
pathos, di sensualità fisica, che toccano le corde più intime del nostro inconscio. Qui ordine e disordine, visionarietà,
vigore e azzardo convivono. Le sue opere sono finestre aperte sul buio dell’infinito, superfici che l’artista illumina
morbidamente come se le forme fossero carpite al buio, creando un percorso fortemente emozionale in cui si mette in
risalto appieno la sua ricerca di forme, modellate con un perfetto gioco chiaroscurale. Luce e ombra si
contrappongono sul tessuto dell’opera ma è la luce a permettere alle forme di uscire. La superficie segna il limite tra il
fisico e il mentale e questo è il luogo che interessa all’artista, la porta fra la realtà e il possibile. In contemporanea
Antonella Villanova ha presentato per “Outsider project”, spazio interno alla galleria dedicato al rapporto fra arte
contemporanea e design, Enzo Cucchi. In mostra troviamo una ceramica inedita, pezzo unico, creata appositamente
e tre bracciali in oro giallo, realizzati nel 2008, dai titoli Mare che sei nostro, Le case si riempiono a metà, Giù la
piazza nessuno. In queste opere l’artista ribadisce le tematiche a lui care: lo sconfinamento nel territorio del mito,
l’evocazione di una sacralità mediterranea, la scansione di architetture sospese in una sorta di mistero metafisico.
Frittelli arte contemporanea dedica il secondo appuntamento della stagione espositiva a Umberto Buscioni,
protagonista di un eccezionale percorso nella pittura figurativa del secondo Novecento e oggi al centro di una
rinnovata attenzione critica e di pubblico. Per questa occasione Maurizio Calvesi ha curato un’antologica e un
esaustivo catalogo dal titolo “Quel che resta è la pittura”, in cui viene ripercorsa la ricerca artistica di Buscioni dagli
esordi fino ai nostri giorni. Aldilà di classificazioni, categorie e correnti quel che resta è la pittura, una pittura condotta
con mestiere, dove la superficie del quadro è protagonista e in cui ogni rimando metaforico è secondario, poiché
quello che veramente muove l’artista è l’analisi del mezzo pittorico. In mostra possiamo rileggere tutte le fasi
attraverso le quali il lavoro di Buscioni è passato: dal superamento dell’informale all’avvicinamento alla realtà,
passando a un progressivo recupero degli oggetti che conducono l'artista a un segno pittorico sempre più netto, fino
ad arrivare alla fase Pop in cui Buscioni raggiunge un linguaggio più maturo, in coincidenza con quella che Cesare
Vivaldi definì la Scuola di Pistoia formata da Barni, Buscioni, Ruffi e Natalini.
Da Santo Ficara ci è stata offerta l’occasione di vedere una bella personale dell’artista Agostino Bonalumi: esposte
una serie di tele in cui si può leggere appieno la ricerca da tempo affrontata, quelle estroflessioni che creano, sulla
superficie monocroma del quadro, lo spazio in cui avviene l’azione, come luogo in cui si svolge l’evento. Difatti questa
personale fiorentina ha per titolo “colore luce spazio”: è il riassunto perfetto dell’arte e il senso dell’opera di Bonalumi:
la ricerca artistica per comprendere lo spazio e la luce, attraverso, appunto, l’oggetto quadro “modellato”, se così
possiamo dire, da sottili geometrie che delineano la composizione e mettono in evidenza il rapporto luce-ombra,
colore-spazio (nella pittura monocroma di rossi, neri e blu). Catalogo con testo di Giorgio Bonomi.
Raffaello Becucci
MILANO
● T.J. Wilcox (1965, Seattle Washington vive e lavora a New York), noto per i video su pellicola super 8 e per i
collage che raccontano, con poesia struggente ed eleganza sublime, vicende di personaggi storici noti e meno noti
(Ortino: il cane della zarina Anastasia), in occasione della sua personale da Raffaella Cortese presenta L’eau de vie:
una serie di collage e un video composto da tre capitoli in cui l’acqua è l’elemento che unisce le diverse storie
narrate. I protagonisti sono personaggi curiosi (come la provocante Marchesa Casati con le sue escursioni notturne in
gondola tra le calli veneziane e il milionario americano Diamond Jim Brady, passato alla storia per il suo anomalo
appetito), ma il vero racconto è tessuto dall’acqua: tanti rivoli nati da sorgenti separate che formano uno stesso
corposo
fiume.
“Ero più vecchio allora di quanto non sia più giovane adesso”, cantava nel 1964 Bob Dylan nell’album Another Side
of Bob Dylan. Nel 1967 i Byrds – il mitico gruppo californiano – ne realizza una cover, che sancisce il successo della
canzone. My Back Pages viene magistralmente reinterpretata da Bob Dylan nel 1992, in occasione del concerto che
celebra i trent’anni della sua carriera musicale, insieme ai grandi del rock - Roger McGuinn, George Harrison, Tom
Petty, Neil Young ed Eric Clapton - eseguendo ciascuno una strofa. Nel testo affiorano i capitoli del suo passato, che
raccontano la vita, i pensieri, le paure di un ragazzo diventato poi un idolo per diverse generazioni. Ed è proprio
attraverso questo sguardo a ritroso che l’esposizione, curata da Luca Beatrice, per la galleria di Antonio Colombo
prende avvio. In mostra ci sono gli artisti emersi in Italia tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, e attivi da
quasi un ventennio, che rappresentano una micro-generazione nata a sua volta nei ‘60, epoca del primo benessere,
dello sviluppo sociale ed economico, e cresciuta durante la fase dei grandi cambiamenti culturali, nella politica e nella
musica, nella moda e nel sesso. Alcune immagini sembrano estratte dal patrimonio della memoria condivisa, altre
riguardare strettamente il vissuto quotidiano di ciascuno, eppure la tensione, per certi versi, risulta analoga.
Per la sua seconda personale in Italia Daniel Silver (Londra, 1972) ha scelto la Galleria Suzy Shammah. Silver
continua la propria ricerca sulla figura tridimensionale partendo ora da alcune copie di marmi grecoromani
recentemente scolpite a Carrara, le ritocca, quasi a cancellarne i lineamenti originali, e ne inventa il piedistallo. Il
risultato è un lavoro che sta tra espressione spontanea e ideazione concettuale, tra compiuto e incompiuto, prodotto
seriale e pezzo unico.
Lorella Giudici
● Da un’idea di Loerza Boisi, in via Guido Guinizelli 6, ha aperto i battenti MARS, nuovo spazio no profit interamente
gestito da artisti. Ogni partecipante disporrà dello spazio espositivo per una settimana e attualmente aderiscono
all’iniziativa: Alessandro Roma, Andrea Dojmi, Antonio Barletta, Dacia Manto, David Casini, Ivan Malerba, Jacopo
Miliani, Laura Pugno, Lidia Sanvito, Lorenza Boisi, Luca Bertolo, Luca Trevisani, Luigi Presicce, Manuele Cerutti,
Nicola Gobbetto, Paolo Gonzato, Sergio Breviario, Simone Tosca, Stefano Mandracchi.
Il 18 novembre invece Simona Vendrame, ex direttrice della rivista “Tema Celeste”, ha inaugurato la sua galleria
milanese che prende il nome dalla fondatrice stessa. Lo spazio espositivo, sito in via Cernia 4, ha esordito con The
invented life personale del giovane Benjamin Greber (Halle, 1979) che dopo il debutto italiano in Viafarini ora
presenta qui il suo lavoro ispirato al rapporto tra tecnologia ed essere umano. Tematica che accompagna l’artista sin
dall’inizio dei suoi studi e in questo caso è ispirato alle riflessioni di Josè Ortega e Martin Heidegger. I tralicci elettrici, i
trasformatori, i distributori di vivande e gli idranti, posti su pedane diventano i simboli dei bisogni umani a cui ormai la
tecnologia è in grado di sopperire portando l’essere umano a perdere il senso della propria esistenza e
costringendolo di conseguenza a crearsene una inventata. L’esposizione, suddivisa nelle due sale, presenta nella
prima oggetti dalla colorazione gialla intensa, tinta industriale ma anche simbolo della luminosità naturale; mentre nel
seminterrato sono stati posti oggetti legati al tema dell’acqua in un suggestivo ambiente pervaso da un’illuminazione
verde.
Dopo la sua partecipazione italiana a The Rocky Mountain Picture Show, Olaf Breuning (Schaffhausen, 1970) ha
occupato con un nuovo progetto la Galleria Conduits di Gea Politi. L’artista svizzero, che solitamente lavora con
differenti media, in quest’occasione ha presentato una serie di wall painting e disegni che ben si sono accostati al
precedente progetto di Olimpia Scarry. Alle pareti la satira dell’artista svizzero provoca e diverte l’osservatore con la
semplicità del suo tratto netto e deciso. Afferma l’artista: “Lavorare mi rende felice, è qualcosa che faccio e che per la
maggior parte del tempo mi fa sentire molto bene. Credo che ci siano molte persone che sperano di fare qualcosa
che renda la loro vita migliore e più piacevole, nel mio caso si tratta dell’arte”. Forse le sue opere non renderanno
migliore la nostra vita, ma certamente osservare le sue creazioni ha strappato un sorriso a chiunque.
Francesca Minini ha ospitato il padiglione site specific ideato da Dan Graham per gli spazi della galleria. Attraverso
l’utilizzo del vetro a riflessione, mantenuta in una bassa percentuale, l’artista crea un gioco di riflessi e trasparenze
che interagiscono con il pubblico. All’interno di questi spazi il fruitore è attore e spettatore allo stesso tempo.
Sostiene, infatti, l’artista: “Sono interessato all’intersoggettività, esplorata dalla persona, in un preciso e dato
momento, percepita da lui/lei stessa mentre nello stesso tempo guarda altre persone che girano attorno
guardandolo/la. A quattordici anni lessi L’essere e il nulla di Jean Paul Sartre e realizzai come, da giovani,
sviluppiamo la nozione di Ego nel momento in cui sentiamo che qualcuno ci sta guardando”. In mostra oltre al
padiglione principale, dalle forme sinuose che restituiscono un riflesso deformato rispetto all’originale, offrendo così
allo spettatore un’esperienza straniante, anche i plastici di altri padiglioni, un video e delle fotografie, il tutto legato a
questo interesse nei confronti del connubio trasparenza/riflesso. Seguirà la collettiva dal titolo Don’t Expect Anything.
Allo Studio Guenzani la doppia personale di Gabriele Basilico e Alberto Garutti. Forse piuttosto debole l’idea alla
base di questa singolare congiuntura. È infatti il tema della distanza ad avvicinare i due artisti in questo caso. Se però
Garutti lavora su questo concetto e nelle sue opera la distanza che separa due luoghi diventa un segno grafico
ininterrotto, ciò che dovrebbe legare le città geograficamente distanti delle immagini di Basilico è la comune presenza
dell’acqua. Ma mentre il lavoro del primo trae la propria origine dal tema stesso, le fotografie del secondo non sono
nate sulla base di quest’idea bensì sembrano essere state raggruppate attorno ad essa a posteriori. Senza nulla
togliere né all’apprezzabilissimo lavoro di Basilico né a quello di Garutti, ciò che lascia perplessi sono la debolezza e
la pretestuosità del concetto che si pone l’obiettivo di accomunare i lavori dei due artisti. A seguire la doppia
personale di Claudio Gobbi e Marcello Mariana. Per concludere una segnalazione su uno spazio istituzionale: allo
Spazio Oberdan Ivan, poesia viva, la personale del giovane esponente del movimento della street art italiana. La
mostra, promossa dalla Provincia di Milano e prodotta dall’associazione Art Kitchen, è a cura di Jacopo Perfetti.
Angela Maderna
PALERMO
● Il Riso – Museo d’arte contemporanea della Sicilia (l specifica è necessaria per non pensare a Guglielmo da
Baskerville/Sean Connery o al neorealismo di Riso amaro) ha aperto i battenti, raccogliendo l’eredità del Grande
Cretto di Burri e il lavoro anticipatore di Antonio Presti, figura particolarissima di promotore/collezionista. Il direttore
incaricato della gestione del museo è Sergio Alessandro. Il prossimo appuntamento programmato per il museo è per i
mesi di febbraio/maggio: “Sicilia 1968/2008 Lo spirito del tempo”, mostra ideata da Renato Quaglia (già curatore del
progetto “5venti”), e curata da Valentina Bruschi, Salvatore Lupo, Sergio Troisi.
ROMA
● Fino al 29 marzo il CIAC - Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea, Castello Colonna di Genazzano,
ospita la seconda edizione della rassegna “Appunti” dal titolo Memoria/memorie a cura di Claudio Libero Pisano. Una
sorta di percorso collettivo che ha unito otto artisti, Matteo Fato, Inés Fontenla, Eva Gerd, Sabrina Muzi, Aino
Nebel, Davide Orlandi Dormino, Laura Palmieri, Luana Perilli, in una ricerca collettiva e intima del concetto di
memoria. Il giorno del vernissage una lettura in musica di brani tratti dal visionario testo del 1936 del poeta ebreo
polacco Julian Tuwim, “Il Ballo all’Opera”, ha simbolicamente dato il via a una sorta di viaggio nei meandri del
ricordo. Il percorso del visitatore è un’esperienza di stimoli diversi che gli artisti disseminano lungo il tragitto.
Comincia Luana Perilli con una videoinstallazione in cui il flusso di immagini proiettate anima schermi sagomati a
forma di cornice ovale confondendo la realtà e la sua rappresentazione in un dialogo sovrapposto. È il ricordo che
diventa palpabile o è l’immagine mnemonica che confonde la nostra percezione? Anche Inés Fontenla gioca con il
confine ambiguo della realtà tridimensionale e della sua rappresentazione. Le sedie accatastate che si confondono in
una finzione scenografica fino a perdersi nella grande immagine fotografica di Verso Itaca non possono non far
pensare all’ottocentesco olandese “Panorama Mesdag”. L’oggetto reale e il suo doppio appare anche nel lavoro di
Sabrina Muzi. Rami tenuti insieme da cerotti di nastro adesivo rievocano l’azione del video in cui lei stessa è
protagonista di una ricerca di fusione con la natura per ritrovare la memoria atavica, radice dell’esistenza. Davide
Orlandi Dormino dissemina il pavimento di fogli bianchi che sembrano essersi cristallizzati in uno still temporale. La
flessibilità leggera della carta si tramuta in una rigidità sospesa. I fogli in resina sono bianchi non perché ancora da
scrivere ma perché l’inchiostro si è sbiadito ed è scomparso. Il lavoro di Dormino è un’invocazione alla memoria,
all’importanza di tenerla sempre viva per non dimenticare. Matteo Fato indaga sulla relazione tra ricordo e memoria
del sé. Negli autoritratti in china interrotti e non finiti, il segno diventa ipotesi conoscitiva di una memoria
indissolubilmente legata all’immagine visiva e al suo tratto costruttivo. Osservato da lontano il lavoro di Eva Gerd ci
sembra un’installazione di Vettor Pisani ma il miraggio svanisce presto avvicinandosi di più. Un grande osso pende
dal soffitto avvolto da un ricamo. Nella sua Requie ricamata c’è il disperato tentativo di ricomporre il ricordo di
qualcosa un tempo vivo. Di ambito pienamente mitteleuropeo è il lavoro della tedesca Aino Nebel, oggetti che
sembrano giacere dimenticati evocano il dialogo continuo tra la vita e la morte. Il lavoro di Laura Palmieri dà
finalmente una sferzata di vitale ironia. Dietro un’apparente leggerezza l’artista cela un invito a mantenere vigile la
memoria troppo spesso distratta. Immagini in bianco e nero di famiglie felici degli anni Cinquanta fanno da contrasto
ai colori accesi di bandiere che riempiono gli sfondi svuotati delle immagini da cartolina. Sono l’urlo identitario di chi
paga quotidianamente l’ipocrita benessere di pochi.
La stanza come luogo fisico concreto e reale oppure universale e onirico in cui l’artista trova l’ispirazione è il concetto
sul quale rotea alla Galleria Cortese & Lisanti la mostra “Stanza d’artista”. I lavori di Francesco Cervelli, Stefania
Fabrizi, Roberto Falconieri, Marzia Gandini, Marina Haas, Marco Verrelli, hanno fatto da cornice all’opera del 2004 di
Piero Pizzicannella “Particolare per una camera d’artista” che costituisce il perno concettuale e costruttivo
dell’esposizione.
Si è chiusa il 21 febbraio la mostra “Common Place” di Gilad Efrat alla Galleria Oredaria. L’artista israeliano ha
esposto un ciclo di nuovi lavori pittorici in cui il colore dopo essere stato steso sulla tela, viene sottratto e svelato.
Loris Schermi
● Z2O-Sara Zanin ha ospitato la prima personale romana di Heidi McFall. L’artista americana ha esposto otto opere
pop-oniriche di grande formato che appaiono come immagini fotografiche digitali ritoccate. Personaggi in primo piano,
per lo più bambini, sorridono e si dedicano ad attività ludiche immersi in una giocosa atmosfera estiva. Le figure così
ingigantite mantengono il loro aspetto gioioso e pop, pur se realizzate in bianco e nero. A uno sguardo distratto
queste immagini di allegri personaggi sembrano fotografie ma se solo ci si sofferma più attentamente si ha
l’impressione di trovarsi di fronte a un’opera realizzata ad aerografo, non resta che leggere la didascalia per scoprire
che si tratta di pastello ad olio utilizzato con estrema maestria tecnica. Sullo sfondo, omogeneo e piatto, ritagliate e
applicate, si stagliano immagini di architetture, piante, fiori, nuvole che con colori sgargianti si staccano dal fondo
anche grazie alla tecnica del collage utilizzata per questi particolari. Così il soggetto principale, interprete umano, è
disegnato in bianco e nero, il paesaggio, sfondo, è fotografia a colori applicata a collage. L’effetto globale è quello di
un istante bloccato nel tempo e nello spazio. Il tutto risulta incredibilmente illusorio, costruito, come fosse una
immagine pubblicitaria volutamente eccessiva o un momento estrapolato da un sogno dove il banco/nero e il colore si
accostano senza sfumature, senza confondersi.
La Dorothy Circus Gallery, spazio dedicato alle nuove tendenze dell’arte figurativa lowbrow e al pop surrealism, ha
chiuso il 2008 con la mostra “Inside Nostalghia”. Tredici artisti, Natalie Shau, David Stoupakis, Camille Rose
Garcia, Zoe Lacchei, Naoto Hattori, Prunelle Silvia Idili, Andy Fluon, Paul Chatem, Ciou, Elena Rapa, Adam
Wallacavage, Arash Radpour, si sono confrontati nella galleria romana già fortemente connotata, su tematiche
emo-dark tutte tese a esorcizzare la paura della morte e dell’abbandono. Alexandra Mazzanti e Karen N. Wikstrand
con l’incipit di Ugo Foscolo “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna” (Dei sepolcri) partono per
ideare una mostra ben fatta, appassionante e struggente al punto giusto.
Una carrellata pulp ha coinvolto emotivamente gli osservatori che si potevano soffermare sulle raffinate donne di
Natalie Shau come uscite dai momenti più conturbanti di “Eyes way shut” di Stanley Kubrick o sulle inquietanti figure
di Silvia Idilli che ritaglia, su sfondi neri, illustrazioni di bambini e adulti con teste animali, così perfettamente
assemblate da passare quasi inosservate. Anche Esao Andrews pare illustrare una favola horror, una “Alice nel
paese del terrore” dove le figure vengono risucchiate da vortici, la volpe comodamente sdraiata sul divano si ritrova il
collo annodato come un sacchetto perché la sua testa è finita impagliata a mo’ di trofeo e l’albero cavo che doveva
accogliere i puffi o i folletti svela un’agghiacciante volto di teschio che spunta tra la chioma. Davvero delicate le opere
di Travis Louie, piccoli ritratti perfettamente incorniciati e rigorosamente in bianco e nero, come fossero immagini
ricordo di famiglia, il nonno ambasciatore, lo zio generale… solo che ogni antenato mostra le sue divertenti
particolarità: l’assenza del naso, sei occhi o più, le orecchie appuntite.
Zoe Lacchei presenta tre languide fanciulle, ognuna delle quali è accompagnata da un animale legato
tradizionalmente all’oscurità: il pipistrello, la falena, il topo. Tara McPherson espone le sue ragazze tra il pop e il pulp
con corpi segnati da cuori infranti, trafitte dal dolore, tra lacrime e sgorghi di sangue.
Paola Donato
● Astrazione consapevole che scava tra le pieghe della visione e dell’inconscio senza mai abbandonare del tutto le
coordinate terrestri per l’intangibilità dell’universo. Così Matteo Montani si propone per la sua seconda personale “il
bacio e altre strade per le stelle”: lavori di diverso formato, creati appositamente per lo spazio di Valentina Bonomo,
che già nel 2004 lo aveva ospitato con “i Lunatici”. Ancora una volta il nero della carta abrasiva viene eletto quale
supporto ideale per un nuovo “racconto” del colore. Terminata la ricerca precedente, dove la liturgia del “blu reale”
traduceva il linguaggio della riflessione e della introspezione, ora è la luce siderale a scandire le tappe di questa
esperienza mentale e sensoriale: sulle tele si concentrano declinazioni del ghiaccio e del bianco abbacinante, mentre
un inaspettato “oro” crea bagliori freddi e luminosi. Così facendo, l’artista rilegge e reinterpreta una pagina
fondamentale della storia dell’arte: inverte il canonico passaggio dall’oro al blu come percorso verso la trascendenza,
piegandola in questo caso a una veste più umana che divina. Montani sembra aver appagato la sua necessità di
ripiegamento: ora guarda al Mondo, all’altro da sé. La comunicazione autoreferenziale si scioglie in un dialogo
sempre sussurrato ma più espresso. Alla scelta “emotiva” del bianco e dell’oro si accompagna l’indagine sulle
potenzialità espressive che la composizione chimica di questi colori permette; cambiato il medium, cambia la tecnica:
le velature e trasparenze si infittiscono in un gioco più materico e meno diluito, le campiture si assottigliano. Lo
sguardo si fa alto su praterie lunari, colate laviche ossidate, mari di altri pianeti, città polari, vedute aeree dove il limite
tra cielo, terra e voce narrante non sembra essere così definito né così essenziale.
Barbara Dicorato
SENIGALLIA
● Nell’ampia sala a volte della Galleria Expo-Ex, con il patrocinio del Comune di Senigallia, Patrizia Pasquini ha
allestito una sua personale dal titolo “tra segno e materia”. Una cinquantina le opere esposte, di varie dimensioni, che
all’inaugurazione hanno visto la partecipazione di numerosissimo pubblico. Nei suoi lavori Patrizia condensa
emozioni e vibranti tensioni quasi a creare un tessuto pittorico informale dove la materia ora si scioglie in velate
campiture monocrome ora s’addensa in solidi grumi, grinze e segni gocciolati. Il paesaggio dell’anima si apre a
molteplici interpretazioni e i motivi ispiratori sgorgano direttamente nell’emozione del costruire senza rappresentare.
Emozione pura della materia che, con risvolti quasi metafisici, oltrepassa sé stessa. I colori in polvere, lasciati cadere
a pioggia danno vita a effetti particolari, talvolta gioiosi a volte inquieti. La sensibilità lirica e onirica la vincono
sull’assenza di alcunché di riconoscibile.
Dino Sileoni
TORINO
● La Novalis Fine Art Gallery ha voluto dedicare l'inizio dell'anno alle personali di due artisti torinesi. Il fotografo
Flavio Tiberti presenta The New Prophet, con scatti rigorosamente in bianco e nero ci parla provocatoriamente
dell’atteggiamento consumistico e politico attuale, sorprendendoci nell’atipico avvalersi della figura del derviscio
sufico per farlo. L’atto rituale della danza, il tagliente andamento circolare delle gonne si traspone nell’allegoria del
Nuovo Profeta e delle sue parole: un movimento ipnotico ininterrotto, forte e persuasivo nel trasmettere messaggi
poco chiari, sfilacciati dalla velocità, che non restano nitidamente impressi neanche sulla pellicola fotografica, ma che
conquistano lo spettatore con la loro spettacolarità; “He was born to be a senator. He never said anything important,
and he always said it sonorously. (Sinclair Lewis da Elmer Gantry, 1927)” cita significativamente l’artista stesso.
Guglielmo Castelli porta invece in una dimensione fiabesca e melanconica senza mai abbandonarsi al melenso: nei
lavori che vanno dal disegno all'installazione sperimentale, figure esili, dai contorni sfumati dall'acquerello o di
vecchie foto, dotati di una singolare e inaspettata forza emotiva, riescono a emergere da fondi perlacei come picchi
di una riflessione su di un mondo di ricordi privato ma condivisibile. Nelle opere in mostra, l’artista individua e
interagisce con topos e figure poetiche efficaci, dove non sono rari i rimandi ad altre espressioni culturali: “Lo stesso
titolo della mostra, Cor meum vulneravit ( [...] egli ferì il mio cuore), si rifà a un commento di Bernardo di Chiaravalle
sul Cantico dei Cantici. Ma è soprattutto, di per sé presa, una frase intensa, che già da sola dona un preciso taglio
poetico a tutto il progetto espositivo (M. C. Strati)”.
Eleonora Andreis
● Stridori comunicativi, solitudini, cortocircuiti dei sensi, dissoluzione dell’essere: queste sono le varie condizioni
psicologiche ed espressive che si percepiscono nei video di Masbedo esposti da Marco Noire di via Piossasco 29. È
davvero straordinaria l’impalcatura scenica sostenuta dalle opere filmiche che hanno nella chiarezza e nella lucida
verità delle immagini fotografiche il supporto più potente e nel contempo evidente competenza nella scelta delle
inquadrature. Tasselli di un racconto più vasto che hanno nella forza narrativa il centro propulsore nell’evolversi della
trama. Da Allegretti Contemporanea un omaggio a Daniel Spoerri con un’opera unica, un fregio lungo cento metri
suddiviso in pannelli di 2.50 metri ciascuno. Si tratta di un accrochage di migliaia di oggetti acquistati in trent’anni
dall’artista al Marché aux Puces di Parigi, come ricorda titolo emblematico “La catena genetica del mercato delle
pulci”. Come una formazione cellulare 40 quadri-trappola contengono gli oggetti di qualsiasi genere che, esposti a
parete, assumono l’aspetto di un insolito bassorilievo. Seguendo un tema preciso, dal banale all’insolito, Spoerri li
sceglie, li accosta, li mischia, in un complesso processo che coniuga arte e vita, per raccontare una storia che lui solo
conosce e che ognuno può reinterpretare. A seguire la mostra di Francesco Lauretta.
Da Giorgio Persano la seconda personale italiana di Lida Abdul. La giovane artista afgana, nata a Kabul nel 1973,
torna a Torino per presentare una serie di lavori inediti. “In Transit”, l’opera che dà il titolo alla mostra, viene
presentata per la prima volta in Italia e racchiude la sua filosofia di lavoro. Girato, come tutti i suoi video in
Afghanistan, il video presenta la fantasia poetica di un gruppo di bambini che vorrebbero far volare un vecchio aereo
russo crivellato di colpi d’arma da fuoco. “Il lavoro” - spiega l’artista - “funziona sia come performance sia come film.
Ho lavorato con circa settanta bambini dai 5 ai 9 anni. Questi bambini riempiono di cotone ogni singolo buco nella
fusoliera dell’aereo, poi tramite delle funi tentano alzarlo in cielo come un aquilone”. ”Speacking and Hearing”
appartiene invece a una serie di lavori realizzati tra il 1999 e il 2001, il cui tema principale è la memoria. Nel video
Lida Abdul inscena una performance in cui estrae dalla bocca due fotografie. La prima ritrae suo zio ucciso negli anni
dell’occupazione sovietica, la seconda un edificio andato distrutto durante la stessa guerra. “Voglio fare emergere la
tragica bellezza del modo in cui i bambini affrontano scenari violenti e mostrare come possano essere flessibili in
simili condizioni creando con la loro innocenza un antidoto alla guerra. Senza i bambini che giocano e corrono per le
strade di Kabul, l’Afghanistan di oggi sarebbe un luogo ancora più violento di quello che è”.
Francesca Zanetti
TRENTO
● Ci può essere una figurazione ironica, distaccata, non sottotono e allo stesso tempo moderna (narrativamente
moderna, pittoricamente moderna)? Sì, pare proprio di sì, ci vien da dire, visto che ci sono autori che non accettano il
pastiche, il grumo materico, la scansione gestuale, il sordo accento dialettale, e mantengono un giusto distacco tra
autore e dipinto, tra presente e dato storico, come in una sorta di understatement, o di “vacanza del pennello”,
volendo coniare un bel giro di parole che spero all’autore non dispiaccia. Mi sto riferendo a James Rielly che, allo
Studio Raffaelli, ha proposto dei lavori impegnativi e simpatici, di grande impatto e di grande novità. Il tratto tipico
della sua pittura si riproduce in una sorta di farsesca grandiosità, tanto che, all’interno di un processo trasformativo,
ogni cosa viene a sdoppiarsi (o mima lo sdoppiamento), in un gioco sottile di osmosi formali, mediante fallaci
rispondenze attributive e modificate funzioni, in una giocosità insidiosa e divertente.
● Arte Boccanera Contemporanea di Giorgia Lucchi ha presentato la prima personale europea del giovane
sudafricano Johann Nortje intitolata “Amniotic Dreams”: un’originale interazione tra fumetto e scultura, una storia
raccontata attraverso comic pages dell’artista realizzate con inchiostri e acrilici su cartone, dalle quali scaturiscono
delle vere e proprie opere scultoree in ferro. L’opera di Nortje racconta un modo geniale e fantastico di ricostruire la
propria esistenza interiore ed esteriore, in una situazione difficile come quella dell’apartheid. La separazione tra
persone che si sentono diverse è comune a tutte le società e “Amniotic Dreams” rappresenta il sogno possibile
dell’emancipazione completa da un sistema che tende a schiacciare le anime. Il protagonista del fumetto riesce a
trasformarsi in un gigantesco condor, simbolo di forte libertà e consapevolezza. L’opera di Johann Nortje è, quindi,
incentrata sull’importanza di un liquido amniotico nel quale ci si potrà trasformare e liberare dal dolore.
F.Fabris
TRIESTE
● A più di tre anni di distanza la Galleria Torbandena ha presentato “Tempo de Grajal” una personale dedicata alla
più recente produzione del pittore sloveno Cveto Marsic.
Nato a Koper nel 1960 ha vissuto per molti anni a Madrid, trasferendosi poi definitivamente a Lisbona.
Marsic sembra seguire la grande linea dell’Informale e della pittura di materia, ma con una forza e una
varietà di soluzioni particolari, quasi un punto d’incontro tra la cultura mitteleuropea delle sue origini e i
colori accesi e timbrici della luce del Sud. Considerato uno dei migliori talenti nell’ambito dell’astrazione
contemporanea ha partecipato a molte fiere internazionali: Londra, New York, Madrid, Milano, Parigi,
Chicago, Bologna. Negli ultimi anni molte fondazioni e musei d’arte contemporanea hanno acquistato
opere di Cveto Marsic. Proprio di recente i direttori del Museo d’arte contemporanea di Dublino e quello
di St. Etienne hanno acquisito una sua tela per il fondo artistico della Comunità Europea.
● Factory-Art contemporanea ha presentato, in anteprima per l’Italia, la mostra dell’artista olandese Saskia van Dijk
con una serie di lavori che vanno da disegni in china, a sipari a candele. Il focus su cui ruota il lavoro di Saskia van
Dijk è l’uomo nei piccoli dettagli del quotidiano. Ma il lavoro non si ferma solo a questo aspetto: da questa piattaforma
l’artista prende lo spunto per vedere il corpo umano nei suoi cambiamenti, elevarne il contenuto e sublimarlo con
tocco gentile e poetico. Si passa così da una installazione site-specific che ispirata dall'altezza della galleria dove teli
dipinti con la ruggine, ispirati dalla sindone ma attuali nel segno che richiama la donna e la sua maturazione nella
maternità, anticipano i disegni in china su carta: delicate metafore dell’essere uomo che con gesti dosati, quasi un
rituale, diafani nella loro essenzialità escono dallo spazio a loro usualmente dedicato, facendoci vedere la
metamorfosi del gesto stesso. Ciglia che sconfinano oltre la soglia del volto, mani che si accarezzano ma già bruciate
dalla luce che le divora.
TREVISO
● Nelle due sedi della Galleria Polin (vicolo san Pancrazio, in zona Quartiere Latino), troviamo una mostra di Flavio
Lucchini, con altorilievi in polystyrene, gesso e acrilico e tele stampate e dipinte. L’iconografia, alla lontana, richiama
alla mente un pop italico, dalla tipicità allegra e scanzonata: bambole colorate e caramellate e figure femminili
trasformate dal vestito. Lucchini è artista anomalo, arrivato all’arte dopo una vita trascorsa nel mondo della moda in
veste di art director e queste opere ne sono una chiara dimostrazione, oltre a essere testimonianza della carica
emotiva che i giocattoli hanno avuto su tanti artisti e, in questo caso, anche su Lucchini. A seguire la mostra di Andy
che tanto successo ha riscontrato anche presso il pubblico giovanile. Per ulteriori info: [email protected]