IL CASO CLINICO Dal Colloquio alla Diagnosi

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IL CASO CLINICO Dal Colloquio alla Diagnosi
IL CASO CLINICO
Dal Colloquio alla Diagnosi
Nancy McWilliams
I - LA RELAZIONE TRA FORMULAZIONE DI UN CASO E PSICOTERAPIA
Partendo dalla considerazione che è necessario comprendere ogni paziente il più possibile al fine di
fornire raccomandazioni terapeutiche adatte ed informate (e non solo stereotipate in base alla
diagnosi), bisogna analizzare gli Obiettivi della Terapia Psicoanalitica Tradizionale:
1. Attenuazione dei Sintomi: benché spesso i soggetti si rechino in analisi lamentando un singolo
disturbo, è loro desiderio (già conosciuto a priori o che verrà fuori nel corso del trattamento, arrivare al
punto di poter padroneggiare le difficoltà e le tendenze che li rendono vulnerabili in quella data area.
In questo senso la psicoanalisi ha come obiettivo una salute più generale e non solo la rimozione di
qualche sintomo;
2. Insight: se questo termine era una volta considerato come comprensione accurata della propria
storia personale ottenuta con l'aiuto di un professionista distaccato ed obiettivo (Fenichel, 1945), ora è
un concetto più dinamico, che deriva da una relazione adeguata tra paziente e terapeuta che permetta
una narrazione che dia senso al passato del cliente e alla sua sofferenza (Shafer, 1992);
3. Agency: comprensione ed aiuto nello sviluppo del senso di libertà personale del paziente. Si tende
ad imporre la propria volontà solo nei casi di grave rischio per la vita dei soggetti;
4. Identità: in assenza di ruoli sociali rassicuranti, il senso di chi si è deve essere derivato dalla
propria integrità e autenticità interiore, rimanendo onesti rispetto i propri sentimenti, atteggiamenti e
motivazioni. Questo può essere un obiettivo primario o secondario dei soggetti in terapia;
5. Autostima: un mezzo attraverso cui l'autostima del paziente può essere accresciuta è l'ammissione
di responsabilità del terapeuta rispetto alla sua imperfezione e ai suoi fallimenti empatici. Inoltre è
importante un'accettazione non giudicante degli aspetti del paziente, sopratutto di quelli che considera
più terribili ed angoscianti, cercando sempre di evitare un ipocrita rafforzamento delle qualità positive;
6. Riconoscere e Padroneggiare i Sentimenti: quello che si cerca di ottenere con una terapia
psicoanalitica non è l'essere "disinibiti", ma una Maturità Emotiva (Saul, 1971) per cui il paziente
sappia quello che prova, capisca perché lo prova e abbia la libertà interiore di padroneggiare le
proprie emozioni in modi positivi per sé e per gli altri. Questo si ottiene aiutando i soggetti a tradurre in
parole tutto ciò che provano come elementi strettamente emotivi;
7. Forza dell'Io e Coesione del Sé: la Forza dell'Io (si basa sulla tripartizione di Freud tra Io, Super-Io
ed Es) si riferisce alla capacità di far fronte alle avversità della vita. Attribuire un Io forte a una persona
significa dire che quella persona non nega né distorce
realtà dolorose ma trova il modo per prevalere su di esse tenendone conto.
La Mancanza di Coesione del Sé si manifesta invece quando una persona reagisce allo stress con un
senso di completa disorganizzazione e frammentazione del suo senso di identità. L'obiettivo è quindi
far si che una persona sia in grado di confrontarsi con sfide difficili senza incorrere nell'esperienza
interna di frammentazione e annichilimento;
8. Amore, Lavoro e Dipendenza Matura: quando la psicoterapia funziona, il cliente impara ad
accettare non solo la propria complessa vita interiore e il suo Sé reale, ma anche la complessità e i
difetti degli altri. Avendo confidato i propri segreti più intimi a un terapeuta che non ne è rimasto
scioccato, si ha meno paura dell’intimità, e avendo esplorato il proprio lato ostile e aggressivo, si ha
meno paura del fatto che esso possa danneggiare le persone amate.
L'interiorizzazione della compassione del terapeuta, rende possibile la sua estensione anche ad altre
persone, ed inoltre migliora la capacità di lavorare, di trovare la propria creatività, e di risolvere i
problemi. Per quanto riguarda la dipendenza, un altro obiettivo importante è la trasformazione della
dipendenza infantile in una dipendenza adulta matura rendendo i pazienti non indipendenti ma capaci
di usare la loro dipendenza naturale al servizio dei propri interessi migliori.
Infine la differenza principale tra gli attaccamenti infantili e quelli adulti è la possibilità di scelta;
9. Piacere e Serenità: le credenze patogene e i modi in cui una persona pensa che la felicità possa
essere raggiunta e i modi di sostenere la propria autostima, sono spesso in conflitto con la ricerca di
un piacere e una serenità genuini.
Una buona psicoterapia farà sì che l’elaborazione del lutto per ciò che non è possibile lasci il posto al
godimento di ciò che lo è.
E' quindi necessaria una buona Formulazione Dinamica di alcune aree della psicologia di una
persona:
- Temperamento e Attributi Fissi;
- Temi della Maturazione;
- Pattern Difensivi;
- Affetti Centrali;
- Identificazioni;
- Schemi Relazionali;
- Regolazione dell'Autostima;
- Credenze Patogene.
II - ORIENTAMENTO AL COLLOQUIO
Partendo dalla considerazione che ogni terapeuta sviluppa uno stile di conduzione che è appropriato
alla sua personalità, al suo temperamento, alle sue convinzioni, al suo training e alla sua situazione
professionale, entro la fine della prima seduta il terapeuta deve realizzare una serie di Obiettivi:
- ascoltare la persona e dimostrare che si ci è fatti un'idea della sua sofferenza;
- valutare le reazioni a qualsiasi interpretazione rispetto ai suoi problemi;
- trasmettere speranza;
- fare un contratto (scritto o no) su elementi pratici.
- stabilire con il paziente la necessità di fornire al terapeuta una storia dettagliata della sua vita, in
modo da chiarire il contesto in cui sono emersi i problemi.
Le Ragioni delle Pratiche Adottate sono:
- Invitare il Cliente a Chiarire qual'è la sua Reazione al Terapeuta: in modo da far emergere gli
elementi trasferali più nascosti e di creare una relazione reciproca basata su scambio tra supporto
economico in cambio di supporto emotivo ed expertise;
- Comunicare Comprensione: chiarire al paziente che il proprio problema è comprensibile e
trattabile, iniziando a fare affermazioni ipotetiche per esplorare il problema;
- Valutare le Reazioni del Paziente alle Formulazioni Ipotetiche: capire il tipo di atteggiamento del
paziente e come questo può essere usato nel corso della terapia;
- Dare Speranza: vista la sfiducia del pazienti nei confronti dell'analista, bisogna comunicare speranza
rispetto alle possibilità di cura, speranza da fornire però in modo realistico e, se necessario, anche con
l'invio ad altri specialisti (ad es. psichiatra per cure farmacologiche);
- Affrontare i Problemi Pratici del Contratto Terapeutico: bisogna chiarire tutti gli aspetti pratici tra
cui:
- Durata degli Incontri: stabilire incontri regolari di durata stabilita (ad es. 45 minuti);
- Pagamento: da stabilire in modo schietto e ragionevole, senza sentirsi in colpa.
Aumenti o riduzioni della tariffa base devono essere presi in considerazione se
possono avere un significato terapeutico;
- Politica delle Cancellazioni: si può decidere di far pagare al paziente le ore che
non ha usato (Freud) oppure no (Fromm-Reichmann) in quanto non ha usufruito
del servizio. Bisogna comunque essere sempre chiari e dare anche a questo un
significato terapeutico (ad es. fare pagare le cancellazioni agli psicopatici per
dare un senso di responsabilità);
- Diagnosi da Cartella Clinica: una questione di rispetto di base è il fatto che il terapeuta condivida la
diagnosi con il paziente e gli chiarisca in che modo il trattamento sia appropriato al suo caso.
Nascondere la diagnosi potrebbe rinforzare nel paziente l’idea che i problemi emotivi siano qualcosa
di cui vergognarsi.
La diagnosi va condivisa con il paziente arrivando addirittura a mettere in mano il DSM al paziente e
far decidere a lui dove si ritrova, in quanto il terapeuta può avere expertise ma non può avere una
conoscenza specifica di quella persona maggiore della persona stessa;
- Invitare a Fare Domande: verso la fine del primo colloquio si può invitare il paziente a fare domande
al terapeuta, domande alle quali bisogna dare risposta ammesso che non siano troppo personali.
Necessario è però far riflettere il paziente anche sul perché questi argomenti sono così importanti per
lui;
- Preparare il Paziente a Fornire un Resoconto della sua Storia: utile sia per ridurre l'angoscia
dovuta al dover iniziare una procedura sconosciuta ed intimidatoria, sia per dare al paziente la
possibilità di riflettere sulla sua storia personale e sul contributo che essa ha dato ai suoi problemi;
- Condividere con il Paziente una Formulazione Dinamica: comunicata con tatto e con speranza
ma necessaria per stabilire un'alleanza terapeutica;
- Educare il Paziente al Processo Terapeutico: spiegargli quali sono i fondamenti logici di tutte le
procedure che raccomanda, in un linguaggio non tecnico, e invitarlo a dire tutto quello che prova,
soprattutto le sue reazioni al terapeuta. Queste comunicazioni sono importanti per lo sviluppo di
un’alleanza di lavoro.
Ovviamente bisogna considerare che tutti questi elementi, ed anche quelli che verranno proposti più
avanti, emergono da vari colloqui e dal processo terapeutico, e non ci si può aspettare di coglierli in
sede di primo colloquio.
III - VALUTARE QUELLO CHE NON PUO' ESSERE CAMBIATO
L'idea che qualcosa non si possa cambiare può essere vissuta come una profondissima ferita
narcisistica.
Obiettivo terapeutico è però non solo il cambiamento, ma anche l’Adattamento su Aspetti che non
si possono Cambiare, il che aiuta ad elaborare il lutto per poi godere di ciò che invece c’è, aiuta a
mantenere obiettivi terapeutici reali e la rinuncia cosciente a desideri irrealizzabili consente alle
persone di impiegare una quota maggiore di energia psicologica nel perseguire obiettivi che possono
essere realisticamente raggiunti e che sono realmente gratificanti.
Il processo di adattamento implica il superamento del diniego, la trasformazione di idee magiche
nell’elaborazione di un processo di lutto e strategie di coping più efficaci, e la sostituzione delle
credenze patogene con spiegazioni realistiche. Tutto ciò apre le porte a relazioni migliori e più
autentiche basate sull’accettazione dei propri attributi immutabili. Naturalmente questo di per sé è un
cambiamento profondo.
Avere obiettivi ragionevoli è un fattore critico per il successo di qualsiasi terapia. Una formulazione
dinamica dovrebbe tra le altre cose fare una certa chiarezza nella mente del clinico rispetto a ciò che
è attuabile e ciò che non lo è.
Tra gli Elementi Immodificabili troviamo:
- Temperamento: grazie agli studi di Escalona e Thomas (1968), Chess e Birch (1968) e Kagan
(1994) si è venuto a determinare che l'elemento riguardante il temperamento è geneticamente
influenzato. Questo lo rende un elemento immodificabile dell'essere umano che va accettato per
com'è, mentre si può sempre lavorare sul cambiamento delle Espressioni Comportamentali;
- Condizioni Genetiche, Congenite e Mediche con Effetti Psicologici Diretti: bisogna determinare,
in fase diagnostica o di primo colloquio, se la patologia del paziente può essere determinata da
malattie o cause fisiche. Come aiuto vi è il libro di Morrison "When Psychological Problems Mask
Medical Disorders" (1997);
- Conseguenze Irreversibili di Traumi Cranici, Patologie e Agenti Tossici: solo un'attenta analisi
ed anamnesi può rivelare questi elementi, i quali risultano fondamentali per un trattamento corretto;
- Realtà Fisiche Immodificabili: è necessario per i pazienti abbandonare il diniego rispetto alle
proprie menomazioni e malattie fisiche, arrivando al punto di poterne parlare liberamente (esprimendo
anche rabbia e frustrazione rispetto a queste) così da gestirle nel modo ottimale;
- Circostanze di Vita Immodificabili: importante che il paziente (ma l'analista stesso in sede di
supervisione) sia aiutato a prendere coscienza dei propri desideri potenti ed irrazionali, e a scendere a
patti con l'impossibilità di realizzarli.
Rispetto a questi argomenti è utile considerare i pazienti facenti parte di minoranze etniche o sociali
(ad es. afro-americani, gay o lesbiche) con cui deve essere cura del terapeuta far emergere come essi
vivono la cosa, sia nella propria vita che nel contatto con l'analista;
- Storia Personale: è importante che il clinico, anche nel contesto di interventi brevi, colga quali sono
le conseguenze del passato del paziente che questi non vuole affrontare e lo aiuti ad elaborare il lutto,
attraverso un percorso che permetta il soggetto di esporre il proprio dolore e di comprenderlo, in
assenza di fantasie magiche-manipolative sulla possibilità di cambiare il passato.
Bisogna rendere cosciente il paziente che gli elementi con i quali si deve confrontare sono quelli
interni e non quelli reali.
IV - VALUTARE LE PROBLEMATICHE EVOLUTIVE
Partendo dal presupposto che la psicopatologia abbia basi evolutive, molte delle domande che i
terapeuti ritengono utile rivolgere ai loro probabili pazienti riguardano la maturazione.
Una buona comprensione dello sviluppo normale è essenziale poiché la terapia è uno sforzo teso a
rimettere in moto processi evolutivi precedentemente bloccati. Sotto stress, le persone tendono a
ritornare a metodi di coping caratteristici di una sfida evolutiva precedente, che hanno sentito simile
alla situazione attuale. Secondo la terminologia di Freud essi Regrediscono a un Punto di
Fissazione. Esso però è un elemento dinamico inguanto prevede una distinzione, che ha importanti
implicazioni pratiche:
- Conflitto Inconscio: regressione basata su uno sviluppo normale e dovuta ad elementi stressanti
successivi;
- Arresto Evolutivo: mancanze di sviluppo delle fasi precedenti che hanno creato problematiche mai
risolte.
Freud ha creato una Teoria Evolutiva Stadiale basata sulla spinta relativa al soddisfacimento delle
pulsioni:
- Fase Orale (0-18 mesi): bocca come organo di godimento ed rapporto con la madre rappresentato
da indifferenziazione;
- Fase Anale (18 mesi-3 anni): riguarda il problema dell'agency e si sviluppa con un conflitto tra
desideri del bambino e controllo sociale e genitoriale;
- Fase Edipica (3-6 anni): problematiche relative al potere, alle relazioni e all'identità. Nello sviluppo il
bambino attua prima un'idealizzazione e successivamente una deidealizzazione dei genitori,
realizzando un Super-Io maturo attraverso l'interiorizzazione delle autorità infantili;
- Fase di Latenza (6-12 anni): si ci concentra sulla socializzazione e sull'apprendimento, essendo
riusciti a sopire (momentaneamente) le spinte pulsionali primarie;
- Adolescenza: consolidarsi definitivo di tutte le sfide e soluzioni precedenti.
Dai tempi di Freud le Teorie Psicoanalitiche dello Sviluppo hanno seguito due correnti:
- hanno scomposto gli stadi preedipici nelle loro sottofasi componenti;
- hanno esteso il concetto di stadi ai periodi successivi del ciclo vitale.
Molti psicoterapisti moderni seguono invece le considerazioni teoriche di Erikson (1950) che ha voluto
integrare le teorie freudiane spostando l'attenzione dalle pulsioni alla relazionalità che
contraddistingue ogni fase.
Queste distinzioni hanno rilevanze terapeutiche importanti.
E’ importante Valutare il livello Evolutivo in cui la Persona è Organizzata Caratterialmente. I tre
livelli principali sono:
- Simbiotico-Psicotico;
- Borderline;
- Nevrotico.
Se le problematiche con cui lotta sono quelle della Fase Orale (“insicurezza ontologica”, “me versus
non me” ), il cliente sembrerà confuso circa quali pensieri e sentimenti siano dentro di lui e quali
vengano dall’esterno. La capacità di esame di realtà sarà problematica e la regolazione degli affetti
difficile. Il paziente può esprimere incertezza anche sulla propria natura di base (ad es. se è maschio
o femmina, buono o cattivo).
Se la persona è preoccupata da Temi Anali (lotta diadica tra autonomia versus vergogna e dubbio, me
buono versus me cattivo), l’esistenza del Sé non sembrerà fragile, ma la lotta fra l’impotenza infantile
e un’aggressiva conquista di potere sarà intensa. Le immagini delle persone significative per il cliente
saranno rigide e prive di sfumature (o tutte buone o tutte cattive). L’esame di realtà sarà adeguato, ma
l’identità sembrerà tenue, e le difese primitive (ad es. scissione e identificazione proiettiva)
predomineranno per risolvere i problemi.
Se la persona vede il mondo attraverso le lenti della Fase Edipica è possibile notare la suscettibilità
della persona ai conflitti relativi al sesso, all’aggressività. La complessità del sé e degli altri è
compresa, il cliente è capace di assumere una posizione di osservatore verso la propria vita affettiva,
e di provare rimorso o senso di colpa. L’esame di realtà è sicuro e le persone significative per il
paziente sono rappresentate come esseri umani vivi e tridimensionali. L’individuo si presenta come
una persona separata con un forte senso di Sè-ità e la sua sofferenza è limitata a un’area particolare.
A seconda di questi elementi si possono usare diverse Tecniche:
- Terapia Supportiva;
- Terapia Espressiva;
- Terapia tesa alla Scoperta.
Una buona comprensione dei diversi aspetti maturativi della struttura di personalità è utile nel valutare
la natura delle Esperienze di Angoscia e Depressione fatte da una persona. Vi sono diversi Tipi di
Angoscia:
- Angoscia di Annichilimento (fase simbiotica): rappresentata dal terrore che il Sé sia sopraffatto da
un altro e cessi di esistere. Quando le difese non riescono a contenere questo sentimento si può
entrare nella schizofrenia;
- Angoscia di Separazione (fase di separazione-individuazione): minaccia il Sé con il fantasma della
dissoluzione e in assenza della persona cui si è attaccati, ci si sente vuoti o privi di sostanza. E'
propria dell'esperienza borderline;
- Angoscia Superegoica o Edipica (fase edipica): implica la paura di essere puniti per desideri
sessuali, aggressivi o di dipendenza inaccettabili. L’identità del Sé non è messa in discussione ma
può essere compromesso il proprio senso di essere sufficientemente buoni.
Anna Freud chiama questi tipi Angoscia dell’Es, dell’Io e del Super-Io.
Importante è considerare quanto questi elementi siano soggettivamente variabili e non stabili.
Allo stesso modo quando qualcuno è depresso, il senso di miseria può essere soverchiante tanto da
rendere pericolosamente cattivi (Depressione Psicotica), oppure un senso di vuoto, disperazione,
abbandono traumatico (Livello Borderline), oppure una convinzione per cui perseguire la felicità può
essere pericoloso (Depressione Nevrotica).
Alcuni Fattori Scatenanti della Ricerca della Psicoterapia sono:
- Reazione Inconscia da Anniversario (è passato un certo lasso di tempo dall'evento stressante);
- Anno in cui il Figlio Raggiunge l'Eta in cui loro stessi sono stati Vittime di Esperienze Traumatiche:
queste reazione ha alcune componenti fondamentali tra cui:
- rifare esperienza del trauma attraverso l'identificazione con il figlio;
- paura superstiziosa e desiderio di allontanare il dolore;
- invidia nei confronti del figlio.
E' importante analizzare insieme al paziente perché la persona ha cercato aiuto proprio in quel
momento.
Inoltre alcuni fattori stressanti hanno una tendenza naturale ad Attivare le Problematiche di una
Particolare Fase Evolutiva:
- l’esperienza di essere arbitrariamente oppressi, o mentalmente manipolati e confusi è probabile che
sollevi problematiche relative alla fase simbiotico-psicotica;
- l’esperienza di perdere una persona amata o di essere rifiutati stimolerà le problematiche della fase
di separazione-individuazione;
- l’esperienza della tentazione sessuale o di relazioni triangolari competitive tenderà a riattivare
tematiche edipiche.
E’ importante capire questo processo così da non ipopatologizzare né iperpatologizzare un paziente
sulla base dei temi evolutivi catalizzati in lui da un particolare fattore di stress.
E' infine fondamentale Valutare lo Stile di Attaccamento in quanto esso influenza fortemente lo
sviluppo ed è importante che i clinici non assimilino uno stile di attaccamento individuale e stabile a un
arresto evolutivo.
Bisogna quindi fornire il modello relazionale di cui il soggetto è stato deficitario.
Mary Ainsworth (1978), sulla scia delle ricerche di Bowlby, ha delineato tre diversi Stili di
Attaccamento:
- Sicuro;
- Evitante;
- Ambivalente-Resistente.
Tutti appartengono al range normale delle differenze individuali, eccetto i margini estremi del
continuum evitante e di quello ambivalente.
Ricerche successive (Main e Solomon, 1986) hanno stabilito l’esistenza di un quarto gruppo,
caratterizzato da uno stile disadattivo, l’Attaccamento Disorganizzato-Disorientato, caratteristico dei
bambini maltrattati, con madri depresse e/o alcolizzate. Questi bambini prima cercano e poi evitano
l’attaccamento, si mostrano impauriti, tristi, confusi, aggressivi, in preda al panico e apatici e hanno
problemi di concentrazione e spesso espressioni facciali inebetite.
V - VALUTARE LE DIFESE
Nella formulazione di un caso è importante Valutare le Difese. Di queste bisogna determinare la
Tipologia e la Natura (caratteriali/reattive), e questo permette di decidere la modalità di trattamento del
paziente e delle difese stesse (andando a fondo delle stesse/andando al di sotto di esse).
La valutazione delle tendenze di un persona contribuisce a rendere il più efficace possibile una
psicoterapia. La maggior parte delle osservazioni del terapeuta sulle difese, derivano dal
comportamento complessivo della persona nella situazione del colloquio.
Alcune domande per evidenziare il funzionamento difensivo di una persona sono:
- cosa fa di solito quando è angosciato?
- come si consola quando sta male?
- vi è qualche storia su di lei che ha sentito raccontare dai suoi familiari e che pensa catturi la sua
personalità di base?
- che tipo di osservazioni o critiche gli altri sono portati a fare sul suo conto?
- che tipo di reazioni suscita in lei la mia presenza?
Le Difese possono Alterare la Percezione di uno o tutti i seguenti punti:
- il Sé;
- gli Altri;
- le Idee;
- i Sentimenti.
Inoltre le Difese possono Operare nell’ambito di:
- cognizione;
- emozione;
- comportamenti;
- qualche combinazione tra le tre.
I pattern difensivi delle persone sono loro peculiari, per aiutare una persona abbiamo bisogno di
comprendere il modo particolare in cui usa i sentimenti, i pensieri, le azioni, per alleviare stati interiori
spiacevoli.
Una delle prime distinzioni è:
- Risposta Difensiva Dettata dalla Struttura Caratteriale (ad es. un paranoico usa la proiezione in
ogni situazione);
- Risposta Difensiva Situazionale (uso di difese in certe situazioni o condizioni).
Considerando che tutte le reazioni difensive costituiscono una miscela di inclinazioni personali e
situazionali, per operare una Distinzione bisogna considerare:
- Risposta Soggettiva Interna del Terapeuta:
- se caratteriologica è usata in modo istantaneo e poco riflessivo;
- se reattiva è usata in modo funzionale alla situazione.
- Domande sulla Storia della Persona e sul suo Comportamento al di fuori dell’Ambito Problematico
(capire se usa sempre la stessa difesa).
Tradizionalmente in una Terapia Lunga si può fare una valutazione attenta delle difese e un pattern
di difese si può modificare liberamente così da liberare le persone consentendo esperienze più ricche.
I pazienti possono iniziare ad individuare il momento in cui “stanno per andare in automatico” e
fermarsi per riflettere e pensare se quella è la risposta più efficace alla situazione in cui si trovano,
sostituendo ad essa una azione volontaria e pensata a una involontaria, priva di riflessione e dannosa.
Bisogna ricordarsi che nei casi di attacchi alle difese da parte del terapeuta, il paziente ha solo due
possibilità:
- abbandonare la difesa e soccombere all'angoscia (oppure idealizzare il terapeuta spostando solo il
problema);
- rifiutare e difendersi dall'attacco.
Queste cose sono da considerare sopratutto nei casi di Terapie Brevi, in cui la mappatura delle
difese è comunque importante per scegliere lo stile di intervento che sarà assimilato da quel paziente,
ma risulta necessario anche scoprirle proprio per muoversi entro di esse e usare la modalità del
paziente a vantaggio della terapia.
Le difese di un’altra persona vanno comprese e i propri commenti devono essere formulati in modo
che non si faccia violenza ai modi abituali di pensare, sentire e comportarsi di quella persona.
L'Approccio Psicoanalitico Classico alle Difese richiede che si vada dalla superficie al profondo
cioè che si visualizzi l’organizzazione mentale del paziente come una struttura stratificata dove ogni
strato dipende dall’altro. Il terapeuta si rivolge quindi con tatto alle parti consce il cliente si sente
sempre più conosciuto e sicuro, e gli strati sottostanti di difesa emergono progressivamente e il
terapeuta li affronta quando appaiono nella relazione del trattamento.
Se prova ad andare sotto le difese con interpretazioni dirette la maggior parte dei pazienti troverebbe
quella interpretazione tanto distante da sé o si sentirebbero traumaticamente scoperti e in entrambi i
casi potrebbero avere difficoltà a continuare a cooperare con il terapeuta.
Ci sono però Pattern Difensivi che Richiedono Altre Strategie, maggiormente simili ad un attacco
diretto al profondo:
- pazienti ipomaniacali e ciclotimici, che usano il diniego come difesa principale, necessitano di una
tecnica che vada direttamente in profondità, bypassando la superficie e ignorando lo stato di diniego;
- pazienti paranoidi che usano difese (diniego, proiezione e formazione reattiva) per paura di essere
pericolosamente potenti all'interno, hanno bisogno di un atteggiamento diretto per due motivi:
- vedere il terapeuta forte e lucido, in modo da non aver paura di danneggiarlo;
- sentimento originario trasformato così tante volte che è quasi irraggiungibile.
VI - VALUTARE GLI AFFETTI
Tomkins (1991) e vari autori successivi hanno sviluppato una teorizzazione che mette al centro del
modello di sviluppo non le spinte pulsionali (come faceva Freud a causa della sua formazione medica)
ma gli Affetti, intesi come tutti gli stati della mente e le condizioni di arousal che abbiamo appreso a
descrivere come esperienze emotive discrete.
Il pattern idiosincratico di arousal affettivo è specifico per ogni individuo e viene trasmesso attraverso
vari canali (Kernberg, 1997):
- comunicazione verbale;
- linguaggio del corpo;
- trasmissione affettiva tramite espressioni del volto e tono della voce.
Per capire un persona dobbiamo comprendere non solo le sue difese, ma anche gli affetti che sono
tenuti sotto controllo da quelle difese e quali affetti fungono essi stessi da difesa. Spesso è lo
psicoterapeuta dover identificare le emozioni perché il paziente non è in grado di associare le
rappresentazioni agli affetti perché non ha consapevolezza di questi.
Non esistono domande specifiche per valutare il pattern affettivo di una persona ma è un’area
facilmente valutabile perché assumiamo che gli affetti sono contagiosi per cui, attraverso un'attenta
analisi di Trasfert e Controtransfert, sarà importante notare le nostre Reazioni Emotive alla persona
che abbiamo di fronte, infatti spesso la valutazione del proprio affetto consente al terapeuta importanti
inferenze diagnostiche (ad es. utile anche per capire se la persona sa di quei sentimenti che però
tiene difensivamente lontani oppure se non è capace di rappresentare le proprie esperienze interne,
nel primo caso si
avvertirà irritazione e impazienza, nel secondo caso confusione, per cui nel primo caso il terapeuta
prova un affetto che preme per la scarica, nel secondo invece prova una sensazione diffusa che non
ha nome) È più raro che l’affetto emerga dalle parole della persona e quindi fondamentali sono le
comunicazioni non verbali.
Una distinzione importante in questo senso è tra (Racker, 1968):
- Controtransfert Concordante (provo quello che il paziente provava da bambino);
- Controtransfert Complementare (provo quello che provava il caregiver del paziente).
Va però ricordato che, anche se l’universalità dei nostri affetti centrali ci permette di risuonare con una
gran parte di affetti, noi tutti abbiamo dei limiti, per cui c’è sempre la possibilità di fraintendere
qualcosa semplicemente perché è fuori dalla nostra esperienza soggettiva.
Vi sono alcune Psicopatologie caratterizzate principalmente dall'Anormalità degli Affetti e tra
questo possiamo notare:
- depressioni e manie;
- angoscia e disturbo di panico;
- fobie;
- disturbi schizofrenici ed ossessivo-compulsivi.
Nonostante la psicofarmacologia abbia fatto passi da gigante nel settore del disturbo degli affetti,
rimane fondamentale una psicoterapia che svolga alcune importanti Funzioni:
- motivazione dei pazienti a prendere le terapie;
- padroneggiare in modo migliore la propria vita;
- parlare dei sentimenti relativi alla necessità di prendere pillole;
- parlare della loro sofferenza.
Va infine ricordato che, se è stato dimostrato che la chimica del cervello influenza l'esperienza
emotiva, è vero anche il contrario.
Vi sono alcune Domande Centrali per la Valutazione degli Affetti:
- Il Paziente Riesce a Distinguere gli Affetti dalle Azioni?: bisogna lavorare diversamente con i
pazienti che riescono a separare gli affetti dalle azioni e con quelli che invece non ci riescono, in
quanto quest'ultimi devono comprendere che l’espressione fantastica di sentimenti forti può essere un
sostituto del comportamento (liberando l'affetto senza conseguenze pratiche gravi);
- Il Paziente può Rappresentare la Propria Esperienza Emotiva in Parole?: i pazienti Alessitimici (non
in grado di comunicare gli affetti) tendono ad agire i propri sentimenti ammalandosi, in quanto privi di
etichette simboliche interiori. Inizialmente è quindi utile soffermarsi non sui sentimenti che generano
quel malessere, in quanto sono sconosciuti, e focalizzarsi sui sentimenti che invece genera quella
specifica malattia per far sentire il paziente legittimato nella sua sofferenza, ponendo comunque un
focus sul tema affettivo a cui magari il paziente può non essere abituato;
- In che Modo il Paziente Usa gli Affetti a Scopo Difensivo?: alcuni affetti possono difendere il paziente
da altri elementi affettivi inconsci e di cui non si ha la gestione. E' utile valutarli attentamente (non
secondo il proprio modello ma secondo quello del paziente) in quanto hanno molta rilevanza nel
trattamento (ad es. i soggetti abusanti non hanno problemi nella gestione della rabbia ma la loro
violenza è usata come difesa da sentimenti di abbandono, vergogna, umiliazione e colpa);
- La Sofferenza del Paziente è più Legata alla Colpa o alla Vergogna?: Tutti provano entrambi questi
sentimenti, ma differiscono per il prevalere dell’uno o dell’altro nella personalità. Per di più qualsiasi
problema particolare può essere un indicatore tanto di colpa che di vergogna. La Colpa implica il
senso di un potere malevolo, un sentimento di profonda distruttività e malvagità personale. La
Vergogna implica un senso di vulnerabilità
impotente, il rischio cronico di essere esposti alle critiche e al disprezzo altrui. Le loro differenze
qualitative implicano una diversità sostanziale tra gli interventi efficaci per i sensi di colpa e quelli
efficaci per la vergogna (ad es. perfezionismo patologico caratterizzato da colpa o da vergogna).
Nelle storie di vita di molti pazienti i Caregiver possono aver:
- trascurato i loro sentimenti;
- nominato i sentimenti per sottolineare la loro negatività (stai male solo per te stesso);
- punito per i loro sentimenti (ora ti do un buon motivo per piangere);
- fatto attribuzioni non adeguate rispetto ai sentimenti (non se geloso ma la ami).
L'Interesse del Terapeuta per l'Area Affettiva ha quindi alcune funzioni:
- Trascuratezza compensata con la disponibilità ad accogliere l'effettività;
- Nominare gli affetti senza giudicarli limita la negatività;
- Incoraggiare i sentimenti in un logo protetto mitiga la punizione;
- Nominare in modo adeguato gli affetti mitiga le attribuzioni inadeguate (questo è il punto più difficile,
non è facile essere accurati perché le nostre esperienze individuali pongono limiti alla nostra empatia).
Tutto questo è necessario perché l’accuratezza nell’etichettamento delle emozioni favorisce la
Maturazione Affettiva e Sociale. Infatti i nostri pazienti spesso sono molto indietro in questo
processo perché i cargiver non li hanno aiutati in tal senso. Il terapeuta favorisce, nominando gli
affetti, lo sviluppo nel paziente di un senso di padronanza su certi arousal diversi e complessi.
Bisogna ad ogni modo saper distinguere quando nominando gli affetti si sta facendo una scoperta di
sentimenti che già esistevano e venivano tenuti lontani dalla coscienza o se la tale risposta emotiva
manca proprio. In questo secondo caso si può orientare la persona in modo diverso rispetto la propria
esperienza. Ecco perché, anche se si sono convinti di non influenzare pedagogicamente la vita delle
persone, gli analisti svolgono soprattutto attraverso gli affetti proprio questa funzione, che permette
agli affetti di divenire Fattori Motivanti. Esempio di queste considerazioni è il Lutto, elemento che
permea tutto l'esperienza di analisi basata sulla necessità che il paziente accetti che i problemi non
sono una sua colpa, ma che solo lui (e non l'oggetto buono onnipotente rappresentato dal terapeuta)
può farci qualcosa (Stark, 1994).
VII - VALUTARE LE IDENTIFICAZIONI
Conoscere le Identificazione e le Controidentificazioni dei pazienti è fondamentale per orientare il
trattamento in quanto non esiste un comportamento ed un atteggiamento che non sia influenzato da
identificazioni o da controidentificazioni e la natura di queste ultime può variare ampiamente, per cui
per ottenere un effetto terapeutico ottimale i clinici devono conoscere i significati identificatori degli
atteggiamenti e dei comportamenti dei loro pazienti.
Per operare tale Valutazione è necessario:
- in un primo colloquio si chiedere informazioni sui genitori del paziente o sui cargiver primari (ad es.
sono vivi?, se no da quando sono morti?, se vivi quanti anni hanno?, che lavoro fanno?, che
personalità hanno?, che genitori sono?);
- si può chiedere a chi il paziente somigli e da che punto di vista;
- chiedere anche quali influenze significative ha avuto durante lo sviluppo.
Visto che a volte le persone sono del tutto inconsapevoli della loro somiglianza con un oggetto
d’amore, in un colloquio clinico è utile Valutare il Tono Globale del Transfert (a volte le sue
manifestazioni sono sottili, altre volte più sorprendenti e crude).
Freud ha descritto due tipi di Processi Identificatori:
- Identificazione Anaclitica: coinvolge un oggetto d’amore precoce e non conflittuale;
- Identificazione con l’Aggressore: si verifica in situazioni dolorose o traumatiche e opera come difesa
contro la paura e il senso di impotenza. Essa è più automatica e meno volontaria.
L’identificazione con il genitore dello stesso sesso per mezzo del quale si conclude la fase edipica è
fondamentalmente un’identificazione con l’aggressore, sebbene l’aggressività non appartenga al
genitore ma sia la conseguenza delle proiezioni del bambino.
Alcune identificazioni sembrano un modo di “inghiottire per intero” la persona presa dentro di sé. In
altri casi l’identificazione colpisce per il carattere più sfumato e soggettivamente più volontario in
quanto la persona assume alcune caratteristiche dell’oggetto ma ne rifiuta altre.
Shafer (1968) ha descritto il progredire dei bambini da un tipo di assimilazione globale attraverso stadi
di riflessione e discriminazione via via maggiore, fino a un processo maturo di identificazione nel quale
l’oggetto è concepito come altro complesso e differenziato, delle cui qualità il bambino si appropria in
modo selettivo e volontario.
Il processo di identificazione sembra uniforme nelle varie famiglie e diverse culture, il contenuto varia
invece significativamente e può essere sia benigno, sia profondamente problematico.
Da un punto di vista intersoggettivo il Processo Identificatorio è Bidirezionale: il bambino
assume le caratteristiche di sua madre, questa cambia il suo comportamento per adattarsi al suo
particolare bambino, e quest’ultimo reinteriorizza la madre che ha modificato il suo comportamento e
così via. Questa danza intersoggettiva ci fa capire come non sia possibile pensare che un oggetto
interiorizzato sia l’equivalente di una persona vivente.
Quindi una parte importante di qualsiasi formulazione diagnostica è la valutazione di quanto i processi
identificatori del cliente siano primitivi o maturi.
In linea generale, descrizioni degli altri globali e olistiche che sottolineano la loro completa bontà o
irrimediabile cattiveria sono caratteristiche degli individui borderline o psicotici, mentre gli individui
nevrotici e quelli sani forniscono resoconti equilibrati e multidimensionali delle altre persone.
Informazioni di questo tipo sono importanti poiché consentono ai terapeuti di scegliere se condurre
una terapia di tipo espressivo, supportivo o teso alla conoscenza.
Le Implicazioni Cliniche della Comprensione delle Identificazioni sono:
- i dati sulle interiorizzazioni segnalano come si possa entrare in contatto con il paziente e come
mostrare la propria differenza con gli oggetti patogeni interni (ad es. al paziente con oggetti interni
centrati su se stessi serve un terapeuta con sensibilità altruistica);
- i dati forniscono anticipazioni su quali manifestazioni di transfert appariranno con ogni probabilità
durante il trattamento;
- comprendere ogni carattere che vive nella mente di un paziente aiuta ad escogitare strategie utili di
aiuto al paziente e per avere una posizione di influenza;
- capire le presenze primitive e unidimensionali nel paziente perché l’apprezzamento della
complessità e delle contraddizioni presenti in se stessi e negli altri è aspetti centrale della maturità
psichica. Per questo bisogna aiutare il paziente a complessificare queste descrizioni per giungere
all’accettazione della complessità (sottolineare anche il positivo di oggetti odiati e viceversa il negativo
di oggetti eccessivamente idealizzati).
Le Controidentificazioni (pazienti determinati a essere l’esatto opposto di un genitore distruttivo)
sono fenomeni comuni nella pratica clinica. Uno dei problemi è però che esse
tendono a essere totali e intransigenti. Ci sono quindi pazienti che non possono prendere in
considerazione l’idea di modificare il proprio comportamento in una direzione positiva perché l’oggetto
con cui sono controidentificati agiva a volte in quel modo.
In questi casi possono essere necessarie due diverse strategie:
- un’osservazione relativamente gentile può liberare un paziente dall’atteggiamento automatico di una
controidentificazione;
- fare interpretazioni più penetranti per rendere il paziente conscio della controidentificazione.
Spesso ,comunque, non è possibile fare progressi fino a quando queste azioni non appaiono nel
transfert.
E' altresì possibile trarre vantaggio da una controidentificazione per aiutare una persona a cambiare in
una direzione desiderata.
Nel caso di pazienti appartenenti a Culture Razze ed Etnie Diverse è importante che il terapeuta
raccolga tutte le informazioni disponibili utili per poter lavorare insieme e che, se non ha familiarità con
le implicazioni psicologiche dell’appartenenza a un particolare background etnico, razziale, o culturale,
deve semplicemente fare domande al paziente per essere istruito sui valori e gli assunti del suo
gruppo di appartenenza (questo tra l'altro è molto gradito dai pazienti sia per il senso d'interesse che
sentono da parte del terapeuta, sia perché li posiziona in un ruolo di "esperti" rispetto ai curanti).
Quindi quando tra un terapeuta e un paziente che hanno un background differente ci sono dei
fraintendimenti, il primo non deve saltare immediatamente alle conclusioni, ma deve invitare il
paziente a parlare delle sue esperienze, delle sue aspettative e dei suoi assunti.
Un’area in cui è necessario stare molto attenti è quella dei casi in cui i pazienti portano un
regalino al terapeuta (per regola esso deve essere sempre rifiutato) in quanto culture differiscono nelle
funzioni e i significati che attribuiscono ai regali e rispetto ai modi in cui è corretto riceverli.
Esistono casi specifici in cui rifiutare un regalo fatto da una persona che si identifica fortemente con
uno dei suoi caregiver, e appartiene a una subcultura in cui fare regali è una pratica attesa (sia nei
rapporti personali che professionali) significa favorire una crisi terapeutica.
Quindi i terapeuti che lavorano con persone di etnia, religione, razza, classe, cultura e orientamento
sessuale molto diverso dal loro hanno del lavoro extra da svolgere per capire tanto le identificazioni
quanto i loro pregiudizi e gli assunti silenziosi che guidano il loro comportamento.
VIII - VALUTARE I PATTERN RELAZIONALI
Il concetto di Pattern Relazionali concerne il modo in cui si esprimono i rapporti della persona con i
suoi principali oggetti d’amore. Spesso non è necessario fare domande in merito perché i problemi
interpersonali ricorrenti sono spesso tra le principali ragioni per cui si richiede la terapia, ma se il
problema è un disturbo non direttamente connesso al tema interpersonale allora il terapeuta deve
inferire i conflitti relazionali centrali dai dati del transfert e dalle informazioni storiche che il paziente
offre, e possono rivelarsi utili a volte anche delle domande (ad es. come descriverebbe le sue relazioni
importanti?).
L'interesse dei ricercatori per questo tema ha permesso di individuare dei Temi Relazionali (o
relazioni oggettuali interiorizzate) ripetitivi e costanti nei soggetti, siano essi adattivi o no.
All'interno del Transfert i Pattern Relazionali devono essere indagati seguendo due direzioni:
- descrizione del pattern che viene messo in atto;
- origini, significati, motivazioni e rinforzi ricevuti dalla persona per lo specifico pattern.
La tendenza del paziente ad affrontare in un certo modo i rapporti è visibile già nel primo colloquio e
dovrà essere considerata come uno dei fattori della formulazione completa di un caso. Anche qui,
oltre le informazioni fornite dal cliente, bisogna che il terapeuta utilizzi la propria soggettività per
comprendere il probabile significato della forma relazionale che il paziente sta mettendo in atto.
Si da infatti molta importanza nel training alla analisi personale del terapeuta proprio per rendere il
terapeuta consapevole dei propri pattern in modo da distinguere tra quello che il paziente sta
inducendo (bisogna sempre ricordarsi che il Transfert è co-costruito, come definito da Orange) e ciò
che è proprio. Infatti il fatto che in presenza di qualcuno di provi qualcosa non significa
necessariamente che il paziente sta mettendo in noi quei sentimenti (ad es. sessualizzazione nelle
relazioni terapeuta-paziente), ma non si può neanche pensare che tutto ciò che avviene in noi sia
esclusivamente frutto delle nostre spinte emotive.
Sapere che il terapeuta con la sua soggettività può dire molte cose del proprio paziente, non esclude
che il terapeuta deve restare aperto a molte possibilità esplicative.
Nonostante nella psicoanalisi tutto il processo sia basato sullo sviluppo di una Nevrosi di Transfert,
la quale incoraggia l'emergere di pattern relazionali problematici in tutta la loro intensità emotiva e con
tutti i loro dettagli, vi sono pazienti che necessitano di diversi trattamenti, in cui il problema dei pattern
è più difficile da far emergere (ammesso che non sia manifesto).
Elemento fondamentale, messo in luce negli ultimi anni dalla Psicologia del Sé e dagli
Intersoggettivisti (Kohut, 1977; Ornstein, 1985; Wolf, 1988) con la loro concezione di Deficit, è
l'Assenza di Alcuni Pattern nel Paziente. Bisogna in questo senso ricordare che quello che è
mancato nell’infanzia spesso è importante tanto quanto quello che è stato presente (ad es. non
focalizzarsi solo sugli errori delle madri ma anche sulle mancanze date dai padri assenti).
Si richiede allora al terapeuta un salto empatico nelle aree di vuoto e di mancanza che il paziente per
definizione non può verbalizzare (in quanto non conosce) e, una volta individuati, bisogna cercare di
capire come poter reintrodurre ciò che è mancato nel trattamento in modo emotivamente saliente così
che il paziente possa elaborare il lutto relativo a ciò che non ha avuto acquisendo inoltre capacità che
prima non poteva nemmeno immaginare.
È importante stabilirlo perché quest’aspetto costituisce uno degli aspetti terapeutici della
relazione che si instaurerà successivamente.
Non sempre tutto è discernibile nel transfert, specialmente in un primo colloquio. La raccolta di una
buona Anamnesi quindi, sulla storia della famiglia, della vita sociale, sessuale e lavorativa, può
illuminare i temi che diventeranno centrali per il trattamento. Temi che suggeriranno quello che alla
fine sarà terapeutico per un certo paziente, e che hanno bisogno di essere compresi immediatamente
per consolidare l'alleanza terapeutica che farà tornare il paziente ad ogni nuova seduta. E'
particolarmente importante ottenere anche una descrizione di eventuali altre terapie che il paziente ha
seguito, soprattutto se non hanno avuto un esito positivo, per due motivi principali:
- evitare alcuni degli errori fatti dai professionisti precedenti e un
- predire al cliente il fatto che lo stesso pattern può facilmente presentarsi anche nella nuova terapia e
premunirci contro esso.
Questa comunicazione salva sia il paziente che il terapeuta da pretese irrealistiche, e trasmette il
messaggio per cui, quando le persone sono deluse, possono tirare fuori da quella esperienza
qualcosa di diverso dalla disperazione.
I Pattern Sessuali, in quanto contengono temi relazionari in forma condensata e affettivamente molto
carica, danno molte informazioni circa gli aspetti (problematici e non) relazionali del paziente.
Bisogna fare un'ultima distinzione rispetto alle Terapia a Breve o a Lungo Termine:
- Terapie a Lungo Termine: ci si può aspettare che i temi relazionali emergeranno spontaneamente
nel corso del tempo;
- Terapie a Breve Termine: la capacità del professionista di focalizzare la propria attenzione sul
pattern relazionale conflittuale più importante è cruciale per fare un buon uso del tempo limitato che si
ha a disposizione.
Una delle motivazioni al cambiamento attiva nelle terapie a lungo termine è quindi il fatto che il
paziente alla fine diventa consapevole, dispiaciuto e anche un po’ annoiato dal sentire che descrive
sempre le stesse interazioni. Dopo un po’ diventa più facile provare qualcosa di nuovo che tornare dal
terapeuta e confessare di aver nuovamente messo in atto lo stesso vecchio pattern.
Nelle terapie a breve termine questo beneficio motivazionale può verificarsi solo se il terapeuta ha
identificato correttamente un pattern, lo ha nominato e ha creato un ambiente sicuro in cui può essere
discusso più e più volte.
Così, prima si riesce a cogliere e mettere in parole una dinamica relazionale, più velocemente si può
aiutare una persona a sostituirla con un modo più sano di relazionarsi con gli altri.
IX - VALUTARE L'AUTOSTIMA
L'Autostima (o Narcisismo) è un elemento fondamentale nella psicoterapia in quanto permette di
spiegare una serie di comportamenti (positivi o negativi) che i soggetti hanno, relazionandoli con il loro
bisogno di autoriconoscimento e coerenza con le loro credenze.
Essa può essere desunta con domande che valutano il livello proiettivo (ad es. "cosa ammira nelle
persona?) o direttamente (ad es. quali sono le cose che la rendono soddisfatta/insoddisfatta di sé?).
Importante è non avere un atteggiamento che premia e loda azioni banali, in quanto questo è visto
come un inganno (evitare quindi da dare feedback solo positivi).
Il punto in cui la Teoria Psicoanalitica Classica incontra il problema dell’Autostima è nel concetto di
Super-Io, in cui essa è intesa come rappresentazione che ciascuno ha di se, rappresentazione che
viene connessa al funzionamento dell’ideale dell’io che inizialmente sarà l’unico a porsi di fronte all’io
e in seguito si configurerà come super-Io che contempla dentro di sé l’ideale dell’Io (l’Io è la proiezione
della superficie corporea mentre l’Ideale dell’Io è l’idealizzazione di questa rappresentazione).
Alla fine della fase della fase edipica il bambino risolve i suoi desideri sessuali e aggressivi
problematici identificandosi con il genitore con cui si sente maggiormente in competizione. Questo
significa interiorizzare il sistema di valori di quella persona e far dipendere la propria autostima da un
comportamento conforme agli standard stabiliti dai propri genitori.
Ci sono pazienti, ad esempio i borderline, che mancano di un senso morale integrato, e oscillano tra
sentimenti completamente buoni o completamente cattivi. Si presume che questi pazienti si
comportamenti così a causa della combinazione del loro temperamento con un insieme di esperienze
infantili fatte con caregiver che hanno reso la problematica la risoluzione della fase edipica per mezzo
dell’identificazione (gli oggetti d’amore devono essere infatti sufficientemente idealizzabili).
Le influenze della Psicoterapia Esistenziale, Umanistica, del Sé e Intersoggettivista (Rogers,
Maslow, Frankl e May), combinate con il lavoro di Kohut (1971) sul Narcisismo e con le ricerche
empiriche contemporanee sull’infanzia, hanno dato vita a un movimento teso a ridefinire la teoria
evolutiva freudiana e la tecnica clinica in modo che rispettino il ruolo centrale attribuito al Sé.
Il senso della propria identità personale, i mezzi utilizzati per confermarla, la capacità di acquisire un
senso di coesione del sé, e le strategie utilizzate per mantenere e ristabilire la propria autostima sono
diventate le categorie analitiche dominanti. I sintomi e le sindromi sono state ripensate cercando di
chiarire non come facilitino il padroneggiamento dell’angoscia, ma come sostengano i sentimenti critici
di continuità e valore del Sé.
In questo senso anche la tecnica psicoanalitica ha subito revisioni.
Gli intersoggettivisti e gli psicologi del Sé hanno dato più importanza alla soggettività e alla
sintonizzazione empatica che all’oggettività interpretativa del terapeuta. Quindi se il terapeuta non è
sensibile alle richieste narcisistiche del paziente, o questo abbandonerà la terapia, o comunque
l’alleanza terapeutica sarà continuamente compromessa.
Di conseguenza attività del terapeuta come accettare piccoli doni e offrire sostegno e lodi, grazie alle
formulazioni di Kohut, sono diventate non parametri o deviazioni dalla tecnica, ma espressioni
importanti del rispetto e della comprensione e preserva l’autostima del paziente.
Le Implicazioni Cliniche della Valutazione dell'Autostima riguardano principalmente alcuni settori:
- capire se il sistema di valori è abbastanza simile al nostro o se almeno è comprensibile;
- preservare nel paziente un livello di autostima sufficiente a proseguire il trattamento;
- aiutare il paziente a cambiare le basi della sua autostima.
Questi elementi creano Problematiche Specifiche:
- I requisiti dell’autostima di questa persona mi consentono di lavorare con lei in modo
efficace?: è importante capire se il sistema di valori di una persona è abbastanza simile al nostro, in
quanto lavorare con una persona il cui narcisismo è basato su assunti radicalmente diversi dai propri
è molto problematico.
Il terapeuta rischia di non essere empatico con un paziente che sente troppo diverso da sé e la stessa
capacità del paziente di identificarsi e fare un uso terapeutico del clinico è compromessa perché ci
sono disparità significative tra le richieste dell’autostima del terapeuta e quella del paziente.
Una regola di vecchia data (ancora attuale) è quella per cui un buon terapeuta deve fare un’analisi
personale che gli consenta di entrare in contatto con gli aspetti nascosti della propria personalità e
della struttura della propria autostima, con il vantaggio che il range di pazienti che è possibile aiutare
aumenta ogni volta che raggiunge un nuovo insight;
- Come posso dare ai miei pazienti informazioni utili senza ferire la loro autostima?: è
necessario trovare il modo di intervenire preservando l’autostima del paziente. Ogni interpretazione
psicoterapeutica è una Ferita Narcisistica e il lavoro del terapeuta è far sì che questa ferita sia minima.
La tecnica analitica classica implica che, ogni volta che sia possibile, dovrebbe essere il paziente a
raggiungere autonomamente gli insight, che derivano dalle sue libere associazioni, dai suoi sogni e
dalle sue reazioni di transfert, e l’attività dell’analista dovrebbe essere limitata al superamento delle
resistenze che tengono lontane dalla coscienza alcune conoscenze relative a se stessi. Con questa
tecnica l’aumento del narcisismo che si verifica ogni volta che il paziente raggiunge da solo una nuova
comprensione che lo riguarda compensa la ferita narcisistica connessa al riconoscimento del fatto che
queste cose prima non le sapeva.
Gli psicologi del sé si spingono anche più avanti nella protezione dell’autostima del paziente,
sottolineando la natura bi-personale di ogni interazione e affermano che quando l’analista riconosce di
partecipare e contribuire a quello che succede tra lui e il paziente e si sente responsabile per il
contributo che egli stesso porta agli stati emotivi problematici che si presentano in terapia, il paziente
si vergogna di meno per quello che accade e la sua autostima sarà preservata.
Quindi un modo per comunicare idee potenzialmente dolorose a una persona con vulnerabilità
narcisistica è fare interventi che non facciano sentire il paziente solo criticato, ma anche accettato e
ammirato nelle componenti importanti per la sua autostima (questi commenti devono però essere
genuini, altrimenti vengono presi come falsi e manipolatori);
- Come si può modificare il pattern disadattivo dell’autostima di questa persona?: riguarda il
difficile problema di come aiutare il paziente a modificare il modo di valutare se stessi quando le basi
della loro autostima sono chiaramente irrealistiche e disadattive. Questo perché molto spesso i motivi
che spingono le persone verso la terapia è proprio che non si è riusciti ad abbandonare una certa
fonte di autostima anche se le circostanze della vita l’abbiano ormai resa inaccessibile, spesso infatti
sono semplicemente gli accidenti della vita che distruggono le nostre strategie che ci consentono di
provare un positivo rispetto.
Questo mostra come sia pericoloso far dipendere la propria autostima solo da un fattore per questo un
obiettivo del lavoro terapeutico è proprio quello di espandere i criteri di autostima dei propri pazienti,
soprattutto se sono rigidi.
Non è però un lavoro semplice, in quanto mettere in discussione gli standard interiori di una persona
significa criticare i suoi oggetti d’amore interiori, quelli di cui ha assimilato le idee, la cui separazione
da questi significa un prezzo in senso di alienazione e pericolo. Quindi per suggerire ad una persona
modo diversi di orientarsi bisogna passare innanzitutto per una comprensione profonda degli sforzi del
paziente per orgoglio ed evitare la vergogna servendosi di metodi ben consolidati (ad es. mi sembra
che per lei sia molto importante tenere tutto sotto controllo), comunicando la propria comprensione ma
anche l’implicito per cui è possibile stare bene anche senza tenere tutto sottocontrollo. In questo modo
il paziente viene incoraggiato affinché cominci a considerare alieno rispetto al proprio superio quello
che prima era in sintonia con lo stesso;
- Come è possibile aiutarlo a creare una base ragionevole per la sua autostima?: se i pazienti
sono cresciuti senza che si creasse un organizzatore interno che li orienti verso atti che li rendano
orgogliosi di sé legittimamente, dobbiamo aiutarli ad articolare e definire i loro valori.
Inoltre gli analisti hanno notato da decenni che è più facile ammorbidire un superio troppo rigido che
non rafforzarne uno troppo debole;
- Come posso orientare l’autostima di questa persona per ridurne la sua eterodistruttività?: è il
caso del paziente con patologia narcisistica grave, del paziente
psicopatico e di quello dipendente, che alimentano la loro autostima a scapito della sofferenza altrui.
In questo caso l’obiettivo è non solo facilitare l’acquisizione del controllo sui comportamenti
problematici, ma anche produrre un cambiamento delle strutture interne di regolazione dell’autostima
nel tentativo di ri-orientare quell’individuo verso sentimenti prosociali. Il terapeuta però non deve
sentimentalizzare il comportamento pro-sociale e deve cercare di empatizzare con il cinismo del
paziente, mantenendo il focus su questioni concrete, come la capacità di controllarsi e il rischio di
apparire deboli o stupidi. E, naturalmente, l’orgoglio provato dal terapeuta per un comportamento etico
alla fine sarà recepito dal paziente, specialmente se questo atteggiamento rimane imperturbabile al
cospetto di comportamenti opposti messi in atto dal paziente.
L’Autostima come argomento è importante anche perché molti Disturbi di Personalità sono
descrivibili in base alle fonti di autostima che la persona in questione ha:
- Psicopatico: diviene pieno di sé quando si eccita e sente di aver potere;
- Narcisista: aumenta la propria autostima grazie all’ammirazione delle persone;
- Schizoide: aspira a una validità creativa;
- Depresso: desidera di essere accettato e avere intimità con gli altri;
- Ossessivo-Compulsivo: cerca il controllo.
X - VALUTARE LE CREDENZE PATOGENE
Partendo dalla Teoria di Freud (1911) che sosteneva l'esistenza di un Processo Primario di Pensiero,
quindi l'esistenza di una serie di idee prelogiche, egocentriche e pulsionali a livello inconscio
nell'individuo, le Credenze Patogene, successivamente studiate dall'orientamento chiamato
"Control-Master Theory" (Sampson e Weiss, 1993), sono inconsce e da intendersi come profezie che
si autoavverano (o, nella terminologia psicoanalitica, identificazioni proiettive). Se una persona è stata
abbastanza fortunata da interiorizzare credenze benigne ed adattive, allora ha buone possibilità di
vivere in modo soddisfacente, mentre se ha interiorizzato credenze relative alla cattiveria del sé o alla
futilità dei propri sforzi o ai pericoli dell’intimità o all’inevitabilità del tradimento allora è destinata a
soffrire molto.
L'esistenza di queste credenze inconsce rappresenta un punto di unione tra psicoanalisi a approcci
cognitivo-comportamentali.
È vero anche che le convinzioni centrali di un ampio numero di persone sono non inconsce ma
Egosintoniche per cui molti pazienti le comunicano apertamente (ad es. tutto ciò che tocco diventa
merda), ma quello che resta inconscio spesso è lo scenario interpersonale che l’ha creata.
Spesso i pazienti non possono modificare le proprie credenze patogene se non vengono a
conoscenza della loro origine e si rendono conto che servono a proteggere il sé da pericolo che non
esistono più da tempo. Questo perché le credenze che sono irrazionali per noi adulti non sono tali per
i bambini che messi davanti a situazioni che non capiscono perché non possono capirle non
avendone ancora i mezzi prendono i loro sentimenti netti e poco sfumati e ne traggono
generalizzazioni (Ad es. in caso di divorzio il bambino penserà: "papà non va via perché non va più
d’accordo con mamma, ma perché io non sono buono, quindi io non sono buono e tutti andranno
prima o poi via da me), quindi mettono insieme la migliore spiegazione che riescono a dare delle
situazioni in base alle informazioni limitate che hanno e traggono le migliori conclusioni disponibili su
come far fronte alla vita ("per cui visto che tutti andranno via io non avvicinerò nessuno in modo da
non soffrire per il loro abbandono). Inoltre generano anche le spiegazioni più parsimoniose possibili.
Alcuni riescono ad arrivare alle proprie convinzioni illogiche solo attraverso il contesto regressivo della
terapia e restano meravigliate da quante credenze illogiche le muovano.
Le convinzioni più profonde ed irrazionali sono notoriamente molto resistenti al cambiamento, centrale
per il compito di modificare le credenze patogene è che il terapeuta colga le principali cognizioni
disadattive del paziente, perché come accade con gli affetti è facile proiettare qualcosa di proprio
nell’altro, e a questo bisogna stare attenti.
La Valutazione delle Cognizioni Patogene (che di solito è casuale) necessita il porre attenzione agli
incisi del discorso del paziente che mostrano la sua visione generale della vita. In generale si può
considerare:
- Commenti Generali sulla Vita (ad es. ogni volta che qualcosa va bene in qualche modo la dovrò
pagare);
- Descrizioni delle Storie Individuali: oltre alla storia del paziente è importante conoscere anche dati
demografici semplici perché subculture diverse hanno credenze diverse rispetto a vari settori (privacy,
genere, intimità...). Oltre a questo è utile conoscere anche la religione di appartenenza e le
associazioni che frequenta, perché si tende a scegliere di entrare in quei gruppi che incarnano le
proprie idee preesistenti (anche gli atteggiamenti politici ne sono un veicolo);
- Pattern Relazionali e Comportamentali Ricorrenti (ad es. infedeltà ricorrente nei confronti del
partner);
- Relazioni Transferali: nei trattamenti a lungo termine queste idee si rivelano lentamente, ma nei
lavori a breve termine bisogna fare salti inferenziali utili per fare un lavoro mirato, perché più
accuratamente si coglie l’idea di base del paziente più lo si può influenzare. Queste informazioni si
possono rilevare anche da piccoli informazioni di transfert anche nel primo colloquio (ad es. come il
paziente pone le domande, come evita il contatto visivo, lo spirito con cui discute le problematiche
relative al contratto...). Le Implicazioni Cliniche della Comprensione delle Credenze Patogene
provengono dall'importanza relativa al fatto che il terapeuta non rinforzi le credenze disadattive del
paziente. Conoscere l’esatta natura delle credenze patogene sulle cose temute è utile a pianificare un
buon trattamento, in quanto esse sono maggiormente influenzabili se sono coscienti, il terapeuta non
solo deve agire in un modo diverso da come agivano gli oggetti problematici della storia, ma deve
anche aiutare la persona a vedere quali aspettative ha portato in terapia. Solo allora il paziente può
notare che siano state sconfermate.
Conoscerne le origini è importante per tre motivi:
- i pazienti che conoscono le origini infantili delle proprie credenze patogene a cui sono legati ma che
hanno influenza negativa sulla loro vita, possono differenziare la realtà del presente da quella del
passato e quindi vedere se quelle credenze sono ancora pertinenti;
- se sanno perché hanno quella credenza si sentono meno folli ad avere idee illogiche;
- i pazienti che comprendono quanto terrore infantile sia contenuto nelle proprie credenze patogene
riusciranno a tollerare maggiormente l’angoscia che dovranno affrontare quando cercheranno di agire
sulla base di assunti diversi.
In base alle credenze patogene vi sono alcuni Test per il Terapeuta da parte del paziente, e che
sono solitamente di due tipi (Sampson e Weiss):
- Test di Transfert: il paziente mette alla prova il terapeuta per vedere se si comporterà come l’oggetto
precoce che ha gettato le basi delle sue credenze patogene;
- Test Connessi alla Trasformazione di Passività in Attività: il paziente tratta il terapeuta come si è
sentito trattato da bambino e lo osserva con attenzione per vedere come si comporta e se riesce a
gestire la situazione senza ricorrere alle proprie stesse convinzioni per far fronte a quel tipo di
trattamento.
Bisogna superare i test ma questo non basta , perché dobbiamo aiutare a mostrare al paziente quali
sono le convinzioni per cui quei test si sono generati, come hanno avuto origine e come ora operano
nel senso opposto.
Un terapeuta farà molto, anche in un lavoro a breve termine, se non si limiterà a sconfermare le
credenze del paziente ma commenterà anche il motivo per cui esistono ed il loro probabile significato
infantile. Se ciò non avviene esse rinizieranno ad esistere dopo il trattamento.
Esistono infine casi in cui qualsiasi azioni porterà a far fallire il test. In questo caso è necessario
interpretare verbalmente il problema al paziente che potrà condividere con noi i dubbi, non subendo
frustrazioni eccessive per il suo desiderio (ad es. un abbraccio chiesto da una paziente borderline
significa accettazione ma anche incapacità a mantenere i limiti da parte del terapeuta. Unica via di
uscita è verbalizzare alla paziente il problema che si pone all'analista).
COMMENTI CONCLUSIVI
La formulazione di un caso è molto diversa dalla nosologia. Essa implica che si colga il senso della
vita interiore di una persona e che si avanzi a tentoni nei diversi aspetti del suo mondo privato
cercando di capire cosa significhi vivere nella sua pelle.
Bisogna evitare domande dirette proprio perché per consentire alla psicologia del paziente di avere
impatto sulla nostra è necessario tollerare un certo grado di disorganizzazione ed ambiguità. A tale
scopo è importante conservarsi un po’ di tempo alla fine del primo colloquio per osservare le proprie
reazioni emotive al tale paziente
Per raggiungere un certo grado di empatia è importante comprendere qualsiasi somiglianza esistente
tra noi e il paziente, perché è meglio una identificazione eccessiva (che può essere corretta e non
implica scostanza e umiliazione) che troppo debole.
E poi bisogna tenere presente sempre che due persone con diagnosi simili hanno comunque mondi
interni completamente diversi per cui diversi saranno i trattamenti.
Sono infine utili alcuni Consigli:
- non si può conoscere la psicologia di una persona dopo un primo colloquio, anche se dopo un’ora
con un paziente ho possibile farsene una idea generale sui punti prima menzionati;
- se una certa tecnica abbiamo appreso e capiamo che con quel paziente non funzionerà dobbiamo
scartarla, in quanto una pratica clinica generalmente utile se usata su una persona sbagliata per essa
genera più danni che benefici;
- è importante far parte di gruppi di supervisione e presentare in essi la formulazione dei casi perché
in un setting gruppale è possibile che qualcun altro noti elementi alla formulazione del caso che il
professionista curante può non aver notato;
- bisogna far capire al paziente che la nostra curiosità è maggiormente volta alla sua persona per
intero piuttosto che al nostro bisogno di veder confermate le nostre formulazioni.
La capacità di dire verità anche spiacevoli, le quali diventano poi strumenti terapeutici, è una delle
migliori caratteristiche della psicoanalisi.