nornativa comunitaria nazionale e regionale in materia di fauna
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nornativa comunitaria nazionale e regionale in materia di fauna
NORNATIVA COMUNITARIA NAZIONALE E REGIONALE IN MATERIA DI FAUNA SELVATICA • ANALISI NORMATIVA COMUNITARIA NAZIONALE E REGIONALE • ANALISI COMMENTI E GIURISPRUDENZA NORMATIVA COMUNITARIA – ATTUAZIONE A LIVELLO NAZIONALE Conservazione degli uccelli selvatici: OBIETTIVO: Proteggere e conservare a lungo termine tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri (ad eccezione della Groenlandia). ATTO: Direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici [Gazzetta ufficiale L 103, 25.04.1979] ; tale atto è stato oggetto di successive modifiche ed integrazioni. Le presenti direttive mirano a: proteggere, gestire e regolare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri - comprese le uova di questi uccelli, i loro nidi e i loro habitat; regolare lo sfruttamento di tali specie. Gli Stati membri devono anche preservare, mantenere o ripristinare i biotopi e gli habitat di questi uccelli: istituendo zone di protezione; mantenendo gli habitat; ripristinando i biotopi distrutti; creando biotopi. Per talune specie di uccelli identificate dalle direttive (allegato I) e le specie migratrici sono previste misure speciali di protezione degli habitat. Le direttive stabiliscono un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli, comprendente in particolare il divieto: di uccidere o catturare deliberatamente le specie di uccelli contemplate dalle direttive. Le direttive autorizzano tuttavia la caccia di talune specie a condizione che i metodi di caccia utilizzati rispettino taluni principi (saggia ed equa utilizzazione, divieto di caccia durante il periodo della migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura o di uccisione in massa o non selettiva); di distruggere, danneggiare o asportare i loro nidi e le loro uova; di disturbarle deliberatamente; di detenerle. Salvo eccezioni, in particolare per quanto concerne talune specie che possono essere cacciate, non sono autorizzati la vendita, il trasporto per la vendita, la detenzione per la vendita nonché l'offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello. Gli Stati membri possono, a certe condizioni, derogare alle disposizioni di protezione previste dalle direttive. La Commissione vigila affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con le direttive. Gli Stati membri devono incoraggiare le ricerche e i lavori a favore della protezione, della gestione e dell'utilizzazione delle specie contemplate dalle direttive. L'applicazione della Direttiva ha dato origine a conflitti interpretativi all'interno degli stati e tra Stati e Commissione; infatti la Corte di Giustizia Europea è intervenuta più volte sul tema. La direttiva Uccelli prevede la designazione di Zone Protezione Speciale (ZPS) che, insieme ai siti di importanza comunitaria (SIC) individuati ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE , costituiscono la rete Natura 2000. I parchi e le riserve naturali italiane non sono oggetto di una disciplina europea (competenza nazionale – legge 394/91) pur se a volte si sovrappongono alla rete natura 2000. In tali ultimi siti la caccia non è vietata ma vine considerata alla stregua di qualsiasi altra attività umana suscettibile di impatto negativo sulla avifauna ; nei piani di gestione potranno essere individuate aree con divieto assoluto nel caso di presenza di specie rare. Le specie cacciabili sono quelle incluse nell'allegato II della direttiva ; tutte le altre specie sono protette. Nessuna specie può essere cacciata durante la stagione riproduttiva (e prenuziale per quelle migratorie). Le date di chiusura ed apertura del calendario venatorio vengono stabilite per gruppi d ispecie simili e evitando il disturbo ad altre specie. Le deroghe ai sensi dell'art. 9 della citata direttiva sono previste solo per particolari casi essendo esse soggette a precise e stringenti limitazioni; la deroga può essere utilizzata solo laddove non siano possibili soluzioni alternative soddisfacenti, deve essere motivata, deve rispettare limiti precisi. La soluzione alternativa non può essere scartata perchè comporterebbe un cambio di abitudini inveterati o perchè giudicata scomoda; per la caccia ricreativa le deroghe devono essere utilizzate solo per situazioni eccezionali e non per una sistematica estensione del periodo venatorio . Le deroghe possono essere concesse per motivi di sicurezza a salute pubblica, sicurezza aerea, per evitare danni all'agricoltura, alla pesca e alle foreste, per la protezione di flora e fauna, per scopo scientifici, riproduzione in cattività. L'utilizzo della caccia ricreativa è ragionevole se garantisce il mantenimento delle popolazioni in buono stato di conservazione, la piccola quantità viene definita in relazione alla mortalità naturale della specie di riferimento , la deroga deve essere selettiva ( specie o addirittura classi di età e sesso) e vi devono essere condizioni controllate (tempi luoghi quantità ) . Le regole imposte dalla direttiva devono essere trasposte nella normativa nazionale con forza vincolante non questionabile . Con la Direttiva 92/431 CEE, la Comunità Europea ha imposto agli Stati membri, di salvaguardare la biodiversità nel territorio europeo mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. In particolare l'art. 6 della stessa Direttiva ha stabilito che gli Stati membri sono tenuti a impedire "il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative ...". Tali misure di salvaguardia devono applicarsi anche alle Zone di Protezione Speciale individuate in base alla Direttiva comunitaria 79/409/CEE, avente ad oggetto la conservazione degli uccelli selvatici. Con la delibera in esame la Comunità Europea si è prefissa la protezione, la gestione, la regolazione e la disciplina dello sfruttamento di tutte le specie di uccelli viventi, allo stato selvatico, nel territorio degli Stati membri. Per poter rendere effettivamente efficaci i sistemi di protezione disciplinati dalle convenzioni internazionali, il Ministero dell'Ambiente nel 1996 stabili una diversa classificazione delle aree naturali protette rispetto a quella contenuta nella legge quadro n. 394 del 6.12.1991. Sono aree naturali protette: a) il parco nazionale; b) la riserva naturale statale; e) il parco naturale interregionale; d) il parco naturale regionale; e) la riserva naturale regionale; f) la zona umida di importanza internazionale; g) la zona di protezione speciale (ZPS); h) la zona speciale di conservazione (ZQS); i) altre aree naturali protette. Pertanto, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della suddetta delibera del Ministero dell'Ambiente, ossia il 17.6.1997, le Zone di Protezione Speciali devono essere apprezzate a tutti gli effetti come aree naturali protette. Ciò è stato d'altra parte confermato dalla Cassazione penale, sez. III che, con sentenza n. 30 del 5.01.2000, ha affermato che nella nozione di area naturale protetta rientrano - oltre ai parchi nazionali - i parchi naturali interregionali e regionali, le riserve naturali, statali e regionali, le aree protette marine, le zone umide di importanza nazionale ai sensi della convenzione di Ramsar, le zone di protezione speciale degli uccelli selvatici, le zone speciali di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Sempre in attuazione della Direttiva 92/43/CEE, nel '97 fu previsto un procedimento di valutazione d'incidenza dei progetti che ricadono in Siti d'importanza Comunitaria (c.d. SIC) e in Zone di Protezione Speciale (c.d. ZPS) e dei progetti riguardanti interventi a cui non si applica la procedura di vantazione di impatto ambientale. L'art. 51 del Decreto in questione, modificato dal D.P.R. n. 120 del 2003, stabilisce che nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tener conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione. L'art. 6 precisa poi che "la rete 'Natura 2000' comprende le Zone di protezione speciale previste dalla direttiva 79/409/CEE e dall'art. 1, comma 5, della legge del febbraio 1992, n. 157. Gli obblighi derivanti dagli articoli 4 e 5 si applicano anche alle zone di protezione speciale". Lo Stato italiano ha comunque subito, da parte della Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione Europea, la procedura d'infrazione del 24.09.1998, per non aver dato effettiva attuazione alla Direttiva comunitaria 79/409/CEE riguardante gli uccelli selvatici. In risposta a tale infrazione il 24.12.98 il Ministero dell' Ambiente comunicò alla Commissione della Comunità Europea di aver dichiarato Zone di Protezione Speciale, diverse aree del territorio nazionale. A decorrere da tale data le predette Zone sono sottoposte alle misure di tutela e ai procedimenti di valutazione previsti dalla normativa italiana. Sotto gli aspetti considerati si ritiene che le Zone di Protezione Speciali possano configurarsi come aree naturali protette, a decorrere dal momento dell'avvenuta dichiarazione da parte dello Stato italiano. Pertanto, alle stesse zone dovrebbero essere posti i limiti di salvaguardia previsti dalla legge quadro n. 394/91 e come già osservato dalla Cassazione: "L'elencazione delle attività vietate però non deve considerarsi inoperante per le altre aree protette poiché l'art. 6 dispone che dall'istituzione dell'area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'art. 11". Tale equiparazione discende proprio dalla legge in virtù della previsione di cui alla deliberazione del 2.12.1996 del Ministero dell'Ambiente. In essa si elencano le aree naturali protette includendo le ZPS fra quelle tutelate dalla legge 394/91. È così una fonte normativa ad equiparare le ZPS alle aree naturali protette con conseguente applicazione delle disciplina anche penale della legge n. 394/91. Tale fonte normativa dettaglia e integra la disciplina della legge quadro sulle aree naturali protette che per quanto riguarda la classificazione delle aree è sicuramente norma penale in bianco. Dalla trasmissione degli elenchi alla Commissione U.E. da parte degli Stati membri, l'applicazione della Direttiva 92/43/CEE è diventata obbligatoria e con essa anche le correlate procedure di valutazione d'incidenza. I SIC e le ZPS dovranno essere definitivamente approvati dalla Commissione UE entro il 2006 per determinare la creazione di una rete di Zone Speciali di Conservazione (ZSC) denominata "Natura 2000" destinata a garantire uno stato di conservazione favorevole degli habitat naturali e delle specie prioritari e di interesse comunitario. La Direttiva 92/43/CEE è stata recepita con il Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n.357. Infine, con Decreto del 3 aprile 2000 il Ministero dell'Ambiente ha reso ulteriormente pubblico l'elenco dei SIC e delle ZPS. Le individuate ZPS però sono state inviate alla Commissione UE il 24.12.1998 a seguito di procedura di infrazione. Dalla trasmissione degli elenchi alla Commissione UE l'applicazione delle Direttiva 92/43/CEE è divenuta obbligatoria. NORMATIVA NAZIONALE La legge n. 157/92 si basa su un unico grande principio, la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato e va tutelata nell’interesse nazionale ed internazionale. Pertanto, l’attività venatoria è solo un’attività che si può svolgere su concessione, nel rispetto dei principi di conservazione ecologica e ambientale. Al fine poi di difendere anche gli interessi di una delle più grandi risorse economiche del Paese, la caccia può essere esercitata solo nei luoghi dove è consentita, nel rispetto dell’attività agricola. Si ricorda che l’attaccamento del cacciatore al territorio è alla base della gestione programmata della caccia ed infatti, il fondamento della “residenza venatoria”, è teso a stabilire un costante ed univoco rapporto tra il cacciatore e il territorio in cui esso esercita la sua attività con evidenti ricadute gestionali, legate alla possibilità di responsabilizzazione e coinvolgimento diretto del cacciatore . Inoltre proprio al fine di porre un limite al bracconaggio e cercare di limitare i danni che provoca l’uccisione di animali in pericolo o in via di estinzione, sono stati previsti nel nostro ordinamento i reati venatori che hanno riconosciuto, a seconda della gravità, le attuali sanzioni penali. Con la proposta in discussione alla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, si vuole modificare una legge, la n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio che in Italia rappresenta l’unica legge per la tutela della fauna selvatica. Parte della dottrina favorevole alle esigenze di protezione della fauna ha aspramente criticato tale proposta su alcune tesi che si elencano: “Non è fondato su ragioni scientifiche l’allungamento della stagione da agosto a febbraio, dal momento che sia agosto, sia febbraio corrispondono ai momenti in cui le specie sono maggiormente affaticate o stanno accudendo i piccoli, o infine si stanno preparando alla migrazione. Con “il nomadismo venatorio”, poi, viene meno il principio della densità faunistica, altro elemento basilare della tutela delle specie, ovvero il rapporto tra il numero dei cacciatori e il territorio agro-silvo-pastorale, che consente l’equilibrio tra la pressione venatoria e la necessità conservazionistica della protezione della fauna. La proposta di depenalizzazione di alcuni tra i più gravi reati venatori è grave. Tra questi, oltre alla riduzione a sanzione amministrativa per la caccia nei parchi, aberrante in sé, c’è la depenalizzazione e la riduzione a mera sanzione amministrativa della crudele pratica della uccellagione che, come è noto, è una pratica non selettiva e pertanto causa la morte di specie anche protette e rarissime, in violazione di ogni principio di conservazione della natura e delle leggi internazionali di tutela della fauna. In proposito, bisogna ricordare quanto sia in Italia grave il fenomeno del bracconaggio che ogni anno causa la morte ingiustificata di animali protetti, tra cui anche super protetti come lupi, orsi, falchi, rapaci notturni, preziose risorse della fauna mondiale”La caccia o tecnicamente l’attività venatoria viene riconosciuta dalla legge n. 157/1992 come un diritto soggettivo di chi possegga i requisiti previsti e come tale viene tutelata. Il cacciatore può infatti invocare l’art. 53 c.p. che configura appunto l’esercizio di un diritto come causa di giustificazione di una condotta da ritenersi in altri casi illecita e quindi punibile. Tuttavia l’attività venatoria è disciplinata dalla legge in modo tale da renderla sempre e comunque subordinata alle esigenze primarie di conservazione della fauna selvatica cui la ratio legis è ispirata. L’art. 4 in tal senso è chiaro, affermando espressamente che "l'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole". L’art. 12, comma 2, da una definizione di esercizio venatorio, ritenendolo configurato da ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi vietati, non rientranti nel novero dei mezzi indicati dall’articolo 12 (fucile, arco, falco). Nonostante la caccia sia per esperienza identificata con l’uso di armi da fuoco o comunque di mezzi idonei all’uccisione di fauna selvatica, la norma ne accoglie un concetto più esteso considerando altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla (comma 3). Il concetto di esercizio venatorio ha quindi una portata molto ampia, tanto da includere tutta l’attività precedente e preparatoria a quella finale, ovvero l’abbattimento e la cattura vera e propria dell’animale. Un’attività che si manifesta nell’attesa o nella ricerca attiva della fauna, nell’impegno a provocarne l’uscita allo scoperto per giungere poi al suo conseguimento e abbattimento oppure alla sua cattura. Ne risulta che l’esercizio venatorio, così come inteso dalla norma, non richiede necessariamente l’utilizzo delle armi ma può essere svolto con gli altri mezzi e secondo le modalità riconosciuti dalla legge. Qualora, non solo le armi ma anche i mezzi utilizzati o le modalità impiegate non si confacciano alle disposizioni di cui all’art. 13, che indica quali sono i soli mezzi consentiti per l’esercizio venatorio, la condotta stessa risulterà penalmente vietata. Tanto più che l’art. 13, 5° co., esclude l’impiego di armi e mezzi non espressamente previsti, sottolineando che "sono vietati tutte le armi e tutti i mezzi per l’esercizio venatorio non esplicitamente ammessi dal presente articolo". Nell'ottica della conservazione di un bene collettivo ed insostituibile come il patrimonio faunistico la gestione, sia per le future generazioni che per una razionale utilizzazione energetica delle risorse naturali, deve basarsi su precise conoscenze bio-etnologiche nonché dello stato delle popolazioni anche in relazione all'ambiente in cui le stesse vivono e deve ispirarsi a criteri di gradualità e prudenza. Infatti le interazioni naturali che vengono a svilupparsi in un ecosistema sono molteplici e vengono a determinare un processo complesso, cosicché qualsiasi modificazione si ripercuote sulle altre componenti, provocando una serie di reazioni che finiscono per ricadere sull'agente iniziale. La caccia di selezione può così divenire strumento importante ai fini della gestione faunistica globale nel perseguimento dell'obiettivo di un ecosistema stabile e quanto più naturale, con l'aiuto di tutte le categorie interessate a farlo. In questo modo la pratica venatoria può rappresentare, su tutto il territorio, non più semplicemente un'attività ludica tollerata e controllata, ma valorizzata, integrata e coinvolta, parte importante della gestione dell'ambiente e dell'utilizzazione delle risorse naturali rinnovabili a vantaggio non di alcune categorie ma della collettività intera. La vigilanza sull'applicazione delle leggi sulla caccia (art. 27 L.157/92) è affidata a: Guardie Venatorie della Provincia, Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Municipale, Guardie volontarie venatorie delle associazioni ambientaliste e venatorie. Il cittadino può denunciare gli illeciti penali ed amministrativi a ciascuno dei corpi sopra elencati. Giova ricordare che l'art. 361 del Codice Penale "Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale" punisce il pubblico ufficiale, come il carabiniere, la guardia provinciale, il forestale, il finanziere, la guardia venatoria, il vigile urbano, il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, come ad esempio i reati sulla caccia denunciati a loro dai cittadini. Il cittadino deve quindi pretendere che le suddette autorità intervengano, ricevano la denuncia e denuncino alla Magistratura i reati commessi dai cacciatori. Le principali regole della caccia: vedi anche domande su altra dispensa Distanze dalle case: La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E’ vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri. Distanze da strade e ferrovie: La caccia è vietata per una distanza di 50 metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle ferrovie. E’ vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150 metri. Distanze da mezzi agricoli: La caccia è vietata a una distanza inferiore di 100 metri da macchine agricole in funzione. Distanze da animali domestici: La caccia nei fondi con presenza di bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla mandria, dal gregge o dal branco. Trasporto delle armi: È vietato trasportare le armi da caccia, che non siano scariche e in custodia, all’interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l’attività venatoria, a bordo di veicoli di qualunque genere e nei giorni non consentiti per l’esercizio venatorio. Mezzi vietati di caccia : Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbietrappola. Giorni vietati :Martedì e venerdì sono giorni di assoluto silenzio venatorio anche se festivi. Orari di caccia :La caccia è consentita da un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. Materia di ATC. - La legge quadro nazionale n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio impone ai cacciatori l'iscrizione in un ATC sulla base di un indice minimo di densità venatoria e, solo in tempi modi e luoghi prestabiliti, l'accesso ad un altro diverso ATC. La necessità di iscrizione in un ATC di residenza da parte del cacciatore rientra dunque nel concetto di "residenza venatoria", teso a stabilire un rapporto tra il cacciatore e il territorio in cui esso esercita la propria attività. Già con parere del 27 luglio 1992, l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) aveva evidenziato come gli ATC rappresentassero il principale istituto di gestione faunistico-venatoria previsto dalla legge. Il fondamento della "residenza venatoria", evidenzia dunque l'obbligo per ogni cacciatore di esercitare la propria attività esclusivamente nel solo ambito di residenza. Contro il cosiddetto "nomadismo venatorio", ovvero la possibilità di cacciare in vari ATC, si era espresso, già qualche anno fa, anche il TAR del Lazio con ordinanza del 27 ottobre 1999, confermata dal Consiglio di Stato, che aveva annullato la delibera provinciale con cui si autorizzava la costituzione di soli due ATC nel Lazio e la possibilità di cacciare in entrambi da parte dei cacciatori iscritti nella provincia di Roma. Luoghi di divieto di caccia :Terreni di pianura innevati, stagni e laghi ghiacciati, terreni allagati, giardini privati, parchi pubblici, centri abitati, aree adibite a sport, parchi e riserve naturali, oasi, zone di ripopolamento, foreste demaniali. Allenamento dei cani da caccia :È consentito dalla terza domenica di agosto fino alla seconda domenica di settembre, nei giorni di mercoledì, sabato e domenica, dalle ore 6 alle ore 11 e dalle ore 16 alle ore 20, su terreni incolti, boschivi di vecchio impianto, sulle stoppie, su prati naturali e di leguminose, non oltre dieci giorni dall’ultimo sfalcio. L’allenamento è poi consentito nei campi addestramento cani tabellati. Colture agricole e caccia con i cani : L’accesso dei cani è vietato nei terreni coltivati a riso, soia, tabacco ed ortaggi. L’uso dei cani è consentito in numero massimo di due per cacciatore. L’esercizio venatorio è vietato in forma vagante sui frutteti, vigneti fino alla data del raccolto, coltivazioni di riso, soia e mais da seme. Omessa custodia dei cani da caccia : L’articolo 672 del codice penale “Omessa custodia e mal governo di animali” punisce chi lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti. Violazione di domicilio : L’articolo 614 del codice penale “Violazione di domicilio” punisce chi si introduce nei giardini e nelle pertinenze delle abitazioni civili. Uccisione di cani, gatti, animali da cortile :L’articolo 638 del codice penale “Uccisione o danneggiamento di animali altrui” punisce chi uccide o rende inservibili, deteriora o avvelena gli animali che appartengono ai privati. Bocconi avvelenati :L’articolo 727 del codice penale “Maltrattamento di animali” punisce anche chi causa la morte per avvelenamento di essi, mentre la legge sulla caccia punisce penalmente chi utilizza bocconi avvelenati. Disturbo delle persone :L’articolo 659 del codice penale “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” punisce chi con rumori molesti disturba le occupazioni o il riposo delle persone. Spari nei pressi delle abitazioni :L’art. 703 del codice penale “Accensioni ed esplosioni pericolose” punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco. Come vietare la caccia nei propri terreni? : le leggi vigenti impediscono di fatto di vietare ai cacciatori di entrare nei terreni agricoli dei privati a meno che non siano recintati con rete non inferiore a 1,20 metri. Solo in particolari casi e solo ogni 5 anni può essere richiesto per legge il divieto di caccia. NORMATIVA REGIONALE Legge regionale n. 70 del 4 settembre 1996 -Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio - (B.U.25 Settembre 1996, n. 39) .Finalita' della legge-.La Regione Piemonte, in attuazione dell'articolo 5 del proprio Statuto, ritiene l'ambiente naturale bene primario di tutta la comunita', ne promuove la conoscenza, riconosce la fauna selvatica come componente essenziale di tale bene e la tutela nell'interesse della comunita' internazionale, nazionale e regionale. L'Osservatorio regionale sulla fauna selvatica nasce nel 2002 con delibera di Giunta in ottemperanza all'articolo 27 della L.R. 70/96 "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio". Gli ambiti generali d'intervento in cui opera l'Osservatorio sono: la pianificazione faunistico-venatoria; la creazione e gestione banca dati sulla fauna selvatica; la tutela e gestione della fauna e rapporti fauna-agricoltura-territorio; la formazione, la divulgazione e la sensibilizzazione in materia di tutela e gestione della fauna selvatica. Nei primi due anni di attività sono stati predisposti il Piano faunistico-venatorio regionale e la Banca dati faunistica. . Il Comitato di Gestione è nominato dalla Provincia secondo le modalità attuative del disposto dell'art.18 comma 4 della legge regionale n.70 del 4 settembre 1996. Il Comitato di Gestione dura in carica quattro anni. . Il Comitato di Gestione viene rinnovato alla scadenza dall'Ente delegato con le modalità indicate dalle norme attuative delle direttive della legge n.157 dell' 11 febbraio 1992 e della legge regionale n.70 del 4 settembre 1996, vigenti. Il Comitato di Gestione uscente resta in carica sino alla nomina del nuovo Comitato. Componenti comitato : Associazioni agricole, venatorie, ambientalistiche, enti locali . A titolo esemplificativo si citi l'attività di un A.t.c piemontese : si occupa, nell'ambito delle proprie funzioni di attuazione della programmazione e della gestione faunistico - venatoria, si segnalano in particolare: » Attività burocratiche relative alla caccia:Il personale dell'A.T.C. disbriga le pratiche relative all'ammissione dei cacciatori e cura la distribuzione dei tesserini venatori; Prevenzione danni alle colture agricole: La prevenzione dei danni alle colture agricole prevede, oltre all'attuazione di interventi di controllo nel rispetto della normativa vigente, anche l'utilizzo di apposite trappole per la cattura dei corvidi, al momento principale causa di danno alle coltivazioni. Risarcimento danni causati dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria alle colture agricole Gli agricoltori che abbiano subito danni alle proprie coltivazioni possono presentare richiesta di rimborso presso la sede operativa dell'Ambito Territoriale di Caccia. Il tecnico incarico dal Comitato di Gestione provvederà ad effettuare una perizia in loco per accertare l'entità del danno e provvedere alle pratiche di liquidazione. » Regolamenti di caccia Il Comitato di Gestione provvede, nei limiti delle proprie competenze e nel rispetto delle normative in materia, a produrre appositi regolamenti per il prelievo venatorio alle seguenti specie: capriolo (Capreolus Capreolus) /cinghiale (Sus Scrofa) /volpe (Vulpes Vulpes) » Gestione migliorie ambientali Per potenziare la capacità portante del territorio, che in alcune zone dell'Ambito ha subito delle notevoli mutazioni, ogni anno l'A.T.C. provvede ad effettuare degli interventi di miglioramento ambientale, che si diversificano, dall'acquisto di colture in campo in modo da offrire riparo e nutrizione alla fauna, all'incentivazione di colture alternative per compensare la monocoltura di mais in alcuni comuni, all'impianto di rive, fossi, ecc. » Gestione aree protette: Il Comitato di Gestione si occupa, a seguito di convenzione stipulata con l'Amministrazione Provinciale ma senza nessun contributo di fondi pubblici, della gestione delle Zone di Ripopolamento e Cattura e delle Oasi di protezione ricadenti sul territorio di competenza. » Aree a caccia specifica:Con l'intento di salvaguardare specie di particolare pregio in ambienti ad elevata vocazionalità pur consentendo al tempo stesso il prelievo di altre specie il Comitato di Gestione richiede l'istituzione e cura la gestione di Aree a Caccia Specifica (A.C.S.).» Vigilanza: Per conseguire ancora maggior efficienza nelle azioni di controllo e sorveglianza del territorio è stata stipulata una apposita convenzione tra gli organi direttivi dell'A.T.C. e le associazioni di vigilanza volontaria. GIURISPRUDENZA Fauna oggetto di tutela: - "esemplare di specie selvatica": nozione Per "esemplare di specie selvatica" - oggetto della tutela che la legge 11 febbraio 1992 n. 157 (legge quadro) appresta alle "specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale" deve intendersi ogni esemplare animale di specie protetta "di origine selvatica" o proveniente da nascita in cattività limitata alla prima generazione. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha osservato che l'imputato non aveva dimostrato che i due uccelli oggetto di commercializzazione fossero "nati o riprodotti" in cattività).cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5345 del 06-06-1997 Il concetto di fauna selvatica è riferito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 alle "specie", intese come categorie generali, di mammiferi ed uccelli, dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà, sul territorio nazionale. Oggetto di "particolare" protezione, ai sensi dell'art. 2, seconda parte, della legge n. 157 del 1992 citata, sono alcune specie di mammiferi ed uccelli, espressamente indicate, nonché tutte le altre specie di mammiferi "minacciate di estinzione" in base alla normativa comunitaria ed internazionale specificamente richiamata: per queste categorie esiste un divieto assoluto ed incondizionato di abbattimento, cattura e detenzione ex art. 30, della legge n. 157 del 1992, lett. b), senza che possa essere eccepita la provenienza da allevamento. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso con il quale l'imputato deduceva inidonea motivazione in ordine alla circostanza della provenienza da allevamento degli animali e, quindi, della carenza della natura selvatica degli stessi, la S.C., pacifico che la detenzione riguardava due specie "particolarmente protette", espressamente vietata dalla legge e sanzionata penalmente, ha osservato che "Il pretore correttamente ha ritenuto che è punita "la semplice detenzione degli esemplari faunistici" costituiti da cigni e volpoche e, benché non fosse richiesto dalla normativa, ha escluso con accertamento di merito la provenienza da allevamento delle specie in questione"). Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 7159 del 22-07-1997, Caccia - Esercizio della caccia - Nozione - Caccia - Esercizio della caccia Nozione - Effettiva cattura o uccisione di selvaggina - Attività preliminare o atto desumibile - Fattispecie: perlustrazione notturna con uso di strumenti di puntamento - L. n. 157/1992. La nozione di esercizio di attività venatoria contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 15 non va intesa in senso riduttivo, ricomprendendo non soltanto l'effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma altresì ogni altra attività preliminare o atto desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo e che si mostri diretto a tale fine. Ric. Febi M. - CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 16/04/2003 (CC. 6 marzo 2003) sentenza n. 18088 Esercizio di caccia: nozione :L'ampia nozione di esercizio di caccia comprende non solo l'effettiva cattura od uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività prodromica o preliminare organizzazione dei mezzi, nonché ogni atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che, comunque, appare diretto a tale fine. Tali sono l'essere sorpreso nel recarsi a caccia, con l'annotazione sul relativo tesserino, in possesso di richiami vietati; il vagare o il soffermarsi con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina.Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 6812 del 05-07-1996 (ud. del 05-06-1996 L'ampia nozione di esercizio di caccia comprende non solo l'effettiva cattura od uccisione della selvaggina, ma anche ogni preliminare organizzazione di mezzi, ogni atto che, comunque, appare diretto a tale fine. Pertanto l'apprestamento dei richiami destinati ad attirare la selvaggina di passo e la loro collocazione in un appostamento fisso di caccia (lasciandoveli per tutta la notte) è atto di esercizio di caccia. Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1908 del 30-12-1969 (ud. del 27-10-1969) L'apprestamento di richiami per la selvaggina, in ore notturne diverse da quelle consentite dall'art. 36, comma secondo, del T.U. 5 giugno 1939 n. 1016, modificato dall'art. 11 della legge 2 agosto 1967 n. 799, costituisce reato, rientrando tale apprestamento nell'ampia nozione di esercizio di caccia, comprensivo non solo dell'effettiva cattura ed uccisione della selvaggina, ma anche di ogni preliminare organizzazione di mezzi diretti a tale fine.Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5976 del 10-08-1973 (ud. del 02-041973), Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia, vanno desunte attraverso una situazione di pericolo, posta in essere con atti che abbiano per fini ultimi l'uccisione o la cattura della selvaggina. Tale situazione di pericolo è concretata da elementi sintomatici, quali il vagare o il soffermarsi, con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina. Pertanto, l'uso di fari abbaglianti per attirare le lepri, costituisce un modo idoneo allo scopo. Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5327 del 19-05-1975 (ud. del 21-11-1974), Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia vanno desunte attraverso una situazione di pericolo, che viene realizzata da quegli atti che abbiano, per fine ultimo, l'uccisione o la cattura della selvaggina. Detta situazione è posta in essere da elementi sintomatici, quali il vagare od il soffermarsi, con armi, arnesi od altri mezzi idonei, in attitudine di attesa o di ricerca della selvaggina. Ne consegue che l'uso dei fari abbaglianti di un'autovettura che abbagliano le lepri costituisce un mezzo di caccia idoneo allo scopo. Quindi anche al di fuori o senza i mezzi comuni usati per la cacciagione (fucili, lacci, eccetera) costituisce esercizio di caccia. Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 9753 del 22-10-1975 (ud. del 23-01-1975), Caccia - Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio - Esercizio della caccia - Compiti dell'I.N.F.S. Abbattimento selettivo di specie nocive - Artt. 4, 7, 19 L. n. 157/1992. In tema di reati venatori, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), è rivolta ad apprestare le più ampie forme di tutela della fauna selvatica, nell'ambito di una normativa che disciplina anche l'attività venatoria quale mezzo consentito di cattura e di abbattimento delle specie protette nei limiti imposti dalla stessa legge; sicché la fauna selvatica, in quanto appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, può essere sottratta alla sua destinazione naturale solo nei limiti e con le modalità previste dalla legge. Ne consegue che ai sensi degli artt. 7 e 19 della detta legge il potere deliberante in materia di controllo della fauna selvatica, nella cui nozione rientra la previsione di abbattimento selettivo di specie nocive o l'adozione di misure atte a determinare la riduzione numerica di alcune specie in favore di altre incompatibili con le prime e ritenute meritevoli di maggior tutela, è attribuito in via esclusiva alle Regioni. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 31/01/2003 (UD. 11/12/2002) sentenza n. 4694 Effettiva cattura o uccisione di selvaggina - Attività preliminare o atto desumibile - Fattispecie: perlustrazione notturna con uso di strumenti di puntamento - L. n. 157/1992. La nozione di esercizio di attività venatoria contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 15 non va intesa in senso riduttivo, ricomprendendo non soltanto l'effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma altresì ogni altra attività preliminare o atto desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo e che si mostri diretto a tale fine. Ric. Febi M. - CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 16/04/2003 (CC. 6 marzo 2003) sentenza n. 18088; Divieto di caccia nelle zone percorse dal fuoco: La nuova legge quadro in materia di incendi boschivi L 353/2000 all'art. 10 comma 1 vieta per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia, prevedendo una sanzione da 400.000 lire a 800.000 lire. La stessa legge impone alle regioni di redigere un piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi Nel caso della Regione Piemonte è a disposizione in rete, sia il piano, che la cartografia aggiornata degli ultimi 3 anni con le aree interessate dagli incendi dove e' chiaramente vietata la caccia. La caccia illecita nei parchi ed aree protette: l’eventuale assenza dei cartelli delimitativi dei confini del parco è rilevante ai fini della integrazione delle violazioni? Si sostiene infatti che se mancano i cartelli (spesso divelti dolosamente) gli illeciti non sono contestabili… La questione della inesistenza dei cartelli delimitatori delle aree protette: Una teoria dottrinaria e giurisprudenziale, isolata, vuole i bracconieri impuniti e impunibili se vanno a caccia in un parco o in un’area protetta e i cartelli delimitativi non sono stati ancora installati o, peggio, sono stati preventivamente eliminati. Si richiama sul punto la buona fede e la presunta ignoranza dei confini da varcare. Registriamo sul tema due importanti e condivisibili sentenze del Pretore di Patti (sez. Distaccata di Naso, 7 dicembre 1995, n. 266 e 267 -) ed una del Pretore di Roma (sez. I 14 gennaio 1995 - ) che condannano diversi imputati accusati di aver esercitato la caccia in area parco pur in assenza dei cartelli delimitativi del parco stesso.Si sottolinea il concetto in base al quale gli artt. 21 e 30 della legge n. 157/92 (legge quadro sulla caccia) non costituiscono norme penali in bianco e dunque «esse non rimandano, ai fini della punibilità dei contravventori, alla emanazione di atti di normazione secondaria quali possono essere quelli di competenza della Regione e degli enti deputati in riferimento alla tabellazione della perimetrazione dei parchi naturali, giacché la norma commina incondizionatamente le sanzioni penali a chi esercita la caccia nei parchi naturali e delle oasi di protezione». E dunque la cartellonistica non viene ritenuta dal Pretore di Patti elemento essenziale per la conoscenza dei confini anche perché «attraverso un accurato esame dello strumento cartografico regionale è possibile individuare con esattezza la perimetrazione del Parco dei Nebrodi»; ed anche la campagna attuata dai cacciatori locali contro il parco stesso viene ritenuta dal pretore ulteriore elemento di certezza di conoscenza della sua precisa esistenza dato che non si trattava «di un ignoto parco o ignota riserva regionale».Il Pretore di Roma, a sua volta, evidenzia che pur in assenza della tabellazione l’area del divieto di attività venatoria ove era stato individuato l’imputato in atteggiamento di caccia «era ben evidenziabile sia dalla planimetria predisposta dalla “Ripartizione caccia”, sia dal calendario venatorio predisposto dalla Federazione Italiana della Caccia, strumenti questi di facile e necessaria consultazione per chi voglia esercitare la caccia»; si sottolinea poi che «il reato p.e p. dall’art. 30 lett. D legge n. 157/92 è ipotesi contravvenzionale sanzionabile soggettivamente anche a titolo di mera colpa». Successivamente la Corte di Cassazione ha ribadito e confermato questi concetti: «I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l’attività venatoria. A questi non si applica pertanto la disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunisticovenatoria». (Cass. pen., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4756 - Giacometti P.). Il principio è dunque chiarissimo. La buona fede per il superamento dei confini non tabellati di un parco non può certo essere riconosciuta a colui che esercita la caccia in un’area che è ben nota come parco o zona protetta e non si può dunque accedere all’alibi precostituito del difetto di tabellazione. La delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall'articolo 18 della legge n. 157 del 1992, sia con riferimento alle regioni ad autonomia ordinaria sia alle regioni (e province) ad autonomia speciale (sentenze n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002) "è da considerare come rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, corrispondendo quindi, sotto questo aspetto, all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi di tutela della fauna" (sentenza n. 311 del 2003). Analoga ratio va riconosciuta alla previsione del termine giornaliero, anch'esso fissato al fine di garantire la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Caccia - L. 157/92 - Finalità primaria - Protezione della fauna. Il fine pubblico primario e prevalente perseguito dalla L. 157/92 (anche in attuazione di obblighi comunitari e internazionali) consiste nella protezione della fauna, obiettivo prioritario al quale deve subordinarsi e aderire la regolamentazione dell’attività venatoria. Pres. Coraggio, Est. Buonauro - W.W.F. Italia (Avv. Balletta) c. Provincia di Caserta (n.c.) T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 27 maggio 2005, n. 7269 Caccia - Aree naturali protette - Attività venatoria - Divieto di caccia in zone sottoposte a vincolo ex legge 394 del 1991 - Facoltà delle regioni di perimetrazione delle zone di divieto - Zona precedentemente perimetrata - Nuova perimetrazione con decreto regionale - Conseguente legittimità della caccia - Art. 21, L. n. 157/1992. In materia di caccia, la facoltà delle Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali, ove restringere il divieto sancito dalla legge statale, ex art. 21, legge 11 febbraio 1992 n. 157, anche se esercitata con decreto dell'assessore regionale, determina la abolizione della fonte subprimaria integrativa della fattispecie ed il conseguente disvalore penale dell'attività di caccia, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile. Presidente: Papadia U. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143 Aree Protette - Caccia - Riserva naturale - Abusivo esercizio della caccia all'interno di una riserva regolarmente istituita - Assenza di tabellazione - Buona fede - Esclusione - Onere dell’esatta individuazione dei confini dell’area protetta. Non è invocabile la buona fede in ordine all’esercizio della caccia all'interno di una riserva regolarmente istituita (nella specie con decreto della Regione Sicilia), ma non segnalata da apposite tabelle. Sicché, i parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati nulla Gazzetta ufficiale, non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l’attività vessatoria (Cassazione Sezione terza, 4756/98, Giacometti, Rv 210516). Nella specie infatti col decreto istitutivo della riserva è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale regionale anche la relativa planimetria donde la presunzione di conoscenza dei relativi confini, pertanto l’introduzione a fini di caccia non può essere in alcun modo giustificata sussistendo a carico di chi esercita attività venatoria l’obbligo di acquisire tutti i dati conoscitivi necessari per il suo corretto esercizio desumibili oltre che dallo strumento cartografico regionale, dalla pubblicazione calendario venatorio. Ne consegue che l’abusivo esercizio della caccia è sanzionabile a titolo di colpa anche in assenza di tabellazione gravando su chi esercita la caccia l’onere dell’esatta individuazione dei confini dell’area protetta nella specie violati in profondità. CORTE DI CASSAZIONE Sez III, 26 gennaio 2005, Sentenza n. 5489 Caccia e pesca - Caccia - Piano faunistico venatorio - Associazioni faunistiche - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva - Limiti. Le associazioni venatorie non sono legittimate a far valere in giudizio motivi di censura che riguardino il procedimento di formazione del piano faunistico venatorio, in quanto la L. 157/92 non riconosce loro alcun ruolo specifico nella fase procedimentale di approvazione del piano; possono invece far valere eventuali illegittimità di aspetti contenutistici del piano che incidano direttamente sull’attività faunistica o venatoria e che, quindi, richiamino direttamente l’interesse diffuso di cui i predetti enti siano soggetti esponenziali. Pres. Tosti, Est. Lo Presti - E.P.S. (Avv. Giuffrè) c. Regione Lazio (Avv. Bottino) - T.A.R. LAZIO, Sez. I ter - 21 gennaio 2005, n. 500 Caccia e pesca - Caccia - Piano faunistico venatorio - Aree da tutelare Individuazione di caratteristiche dimensionali minime al fine dell’assoggettamento alla disciplina vincolistica - Legittimità - Potere di valutazione tecnico discrezionale dell’amministrazione. Appartiene al potere di valutazione tecnico discrezionale dell’Amministrazione che predispone il piano faunistico venatorio stabilire la tutelabilità soltanto di aree che, anche in considerazione delle dimensioni, risultino tali da evidenziare una valenza precipua sul piano della salvaguardia ambientale e faunistica, con conseguente esclusione delle aree troppo ridotte sul piano dimensionale dalla percentuale complessiva di quelle assoggettabili alla disciplina vincolistica. - T.A.R. LAZIO, Sez. I ter - 21 gennaio 2005, n. 500 Detenzione di animali di specie protetta. L’art. 1 della legge n. 150 del 1992, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 59 del 1993, nel punire chi, in violazione di quanto disposto dal D.M. 31 dicembre 1983, detiene animali di specie protetta, non richiede affatto che la detenzione sia finalizzata alla vendita, essendo sufficiente che la detenzione di tali animali sia frutto di una importazione illegittima. Cass. pen., sez. III, 1 marzo 2000, n. 2598 Detenzione di uccelli imbalsamati appartenenti a specie protette - reato ex art. 1 L.150\92. La detenzione di uccelli imbalsamati appartenenti alle specie tutelate dall'art. 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, non integra il reato contravvenzionale previsto dall'art. 30, comma 1, lett. b) di detta legge, atteso che questa intende solo tutelare la fauna selvatica in quanto possibile oggetto di attività venatoria. Né potrebbe trovare applicazione il disposto di cui al comma 2 del citato art. 30 (in base al quale la violazione delle disposizioni in materia di imbalsamazione e tassidermia dettate dalla stessa legge n. 157/92 è soggetta alle medesime sanzioni previste per l'abbattimento degli animali le cui spoglie vengano sottoposte ai suddetti trattamenti), dal momento che l'art. 6, comma 3, della legge in questione, al quale fa implicito richiamo l'art. 30, comma 2, sanziona solo le condotte illecite di imbalsamatori e tassidermisti, e non anche quelle di terzi detentori di "preparazioni tassidermiche e trofei". È configurabile, invece, il reato di cui all'art. 1 della legge 7 febbraio 1992 n. 150, qualora gli uccelli imbalsamati, pur se non detenuti a fine di commercio, appartengano alle specie minacciate di estinzione, quali indicate negli allegati al Reg. CEE n. 3626/82 (poi sostituito dal Reg. n. 338/1997, a sua volta modificato dal Reg. n. 938/1997), cui si fa riferimento nella norma incriminatrice. Cass. pen., sez. III 18 aprile 2000, n. 4752 Furto venatorio Cassazione su: Caccia – Selvaggina – appropriazione illecita e furto“ Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è ancora oggi applicabile nel regime della legge n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di licenza di caccia.” (Cass. Pen., sez. IV, 11 agosto 2004, n. 34352 (ud. 24 maggio 2004) Peano e altro);Furto venatorio Cassazione su: Caccia – Appropriazione illecita –Furto venatorio – Fatto commesso da persona no munita di licenza di caccia – Configurabilità del reato ex L. n. 157/92 – Fondamento-CORTE DI CASSAZIONE La nuova legge sulla caccia 11 febbraio 1992, n. 157 non esclude in via assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio”; in realtà al contrario prevede tale esclusione solamente in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30 e31, e cioè quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che viola la stessa e caccia di frodo. Ne deriva che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è dunque ancora oggi applicabile nel regime della L. n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di licenza di caccia. (Mass. Redaz.) Periodo di caccia non consentita -Cassazione su: Caccia – Esercizio della caccia – limitazioni – reato di caccia in periodo non consentito“Il reato di esercizio della caccia in periodo di divieto previsto dall’art. 30, comma 1 lett a), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, è configurabile anche nel caso in cui, pure essendo aperta la caccia in via generale, venga abbattuto un esemplare per il quale lo specifico esercizio venatorio non sia consentito ex art. 18 della citata legge n. 157. “ (Cass. Pen.; sez. III, 18 giugno 2004 n. 27485) in precedenza invece: 'impossessamento della fauna selvatica - parte integrante del patrimonio dello Stato - pur quando sia stato realizzato in violazione alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'attività venatoria, ovvero quando abbia avuto a oggetto esemplari sottratti, in via definitiva o provvisoria, alla caccia, non può essere più punito a titolo di furto, in base a quanto disposto dal terzo comma dell'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, ma può solo integrare una delle ipotesi contravvenzionali espressamente previste dall'art. 30 della stessa legge. Viceversa, il tentativo di impossessamento della fauna selvatica, pur se compiuto in violazione delle medesime prescrizioni, non solo non può configurare il delitto di tentato furto, essendo, "ex lege", interdetta l'applicazione degli artt. 624-625 e 626 c.p., ma neppure può essere sussumibile in alcuna delle ipotesi contravvenzionali indicate nell'art. 30 della citata legge, prevedendo queste soltanto l'effettivo abbattimento ovvero l'avvenuta cattura di alcuni esemplari protetti: in mancanza di un'espressa deroga all'art. 56 c.p., la disciplina normativa del tentativo non è estensibile alle contravvenzioni, ancorché queste siano realizzabili con condotte complesse e frazionabili. Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 5548 del 12-05-1992 (ud. del 12-03-1992), Placenti. Si ripete :L'impossessamento della fauna selvatica - parte integrante del patrimonio dello Stato - pur quando sia stato realizzato in violazione alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'attività venatoria, ovvero quando abbia avuto a oggetto esemplari sottratti, in via definitiva o provvisoria, alla caccia, non può essere più punito a titolo di furto, in base a quanto disposto dal terzo comma dell'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, ma può solo integrare una delle ipotesi contravvenzionali espressamente previste dall'art. 30 della stessa legge. Viceversa, il tentativo di impossessamento della fauna selvatica, pur se compiuto in violazione delle medesime prescrizioni, non solo non può configurare il delitto di tentato furto, essendo, "ex lege", interdetta l'applicazione degli artt. 624-625 e 626 c.p., ma neppure può essere sussumibile in alcuna delle ipotesi contravvenzionali indicate nell'art. 30 della citata legge, prevedendo queste soltanto l'effettivo abbattimento ovvero l'avvenuta cattura di alcuni esemplari protetti: in mancanza di un'espressa deroga all'art. 56 c.p., la disciplina normativa del tentativo non è estensibile alle contravvenzioni, ancorché queste siano realizzabili con condotte complesse e frazionabili.Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 5548 del 12-05-1992 (ud. del 12-03-1992). Divieto di attività venatoria Cassazione in materia di caccia – Divieti Divieto di attività venatoria – Contenuto del divieto“Il contenuto del divieto dell’attività venatoria, come enunciato nell’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157(norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), va individuato facendo ricorso alla legge regionale, poiché il comma primo della citata disposizione attribuisce alle Regioni il potere di stabilire il calendario dell’intera annata venatoria ed in questa materia la legge statale ha uno spazio di applicazione residuale, secondo quanto stabilito dall’art. 117 Cost. inoltre il contenuto generale del divieto, in base al combinato disposto tra l’art. 18 e l’art. 30, lett. a) della citata legge, non cessa di essere tale anche nel caso in cui la legislazione regionale individui i destinatari di esso solo nei soggetti non residenti nella Regione stessa, con la finalità di tutelare la fauna dagli abbattimenti eccessivi.” (Cass. Pen., sez. III, 12 maggio 2004, n. 22753 (ud. 11 marzo 2004), Rea. (L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18; L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30). Caccia - Divieti - Aree protette - Parchi nazionali : I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l'attività venatoria. A questi non si applica pertanto la disciplina di cui all'art. 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria.Cass. pen., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4756 (ud. 9 marzo 1998 La direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, si applica alle sottospecie di uccelli che vivono naturalmente allo stato selvatico soltanto al di fuori del territorio europeo degli Stati membri se la specie cui appartengono o altre sottospecie di questa vivono naturalmente allo stato selvatico nel detto territorio. Infatti, in primo luogo risulta sia dal secondo e dal terzo 'considerando' e dall' art. 1 della direttiva, sia dalla direttiva nel suo complesso che questa mira alla efficace protezione dell' avifauna europea e che tale protezione si basa sulla nozione di specie, la quale comprende, nella tassonomia aviaria, tutte le suddivisioni di una specie, quali le razze e le sottospecie. In secondo luogo, considerato che la nozione di sottospecie non si fonda su criteri distintivi così rigorosi ed oggettivi come quelli impiegati allo scopo di delimitare le specie tra loro, se la sfera di applicazione della direttiva si limitasse alle sottospecie viventi nel territorio europeo e non si estendesse alle sottospecie non europee, sarebbe difficile applicare la direttiva negli Stati membri e si rischierebbe pertanto di causare un' applicazione non uniforme della medesima nella Comunità. Specie cacciabili e specie protette L'abbattimento di animali cacciabili nel corso della stagione venatoria , ma in periodo non ammesso per la singola specie : per la Cassazione equivale a caccia in periodo di divieto generale. Con la recente Sentenza n.27485 del 18 giugno 2004 della III Sezione Penale della Corte di Cassazione, conforme alle precedenti n.34293 del 2002, e n.2499 del 1999, si è ormai ampiamente consolidata l'innovativa tesi giurisprudenziale secondo la quale abbattere una specie cacciabile fuori dal periodo espressamente indicato per la specie stessa, anche se in stagione venatoria aperta, equivale a cacciare in periodo di divieto generale. L'interpretazione sopra evidenziata ha conseguenze, sempre in campo penale, differenti per l'autore dell'illecito, essendo il reato contravvenzionale previsto dall'art. 30, primo comma -lettera a) della legge 157/92, inerente la caccia di frodo in periodo di divieto generale, sanzionato più pesantemente rispetto all'ipotesi di abbattimento di specie protette, contemplato dalla successiva lettera h) del medesimo articolo. Peraltro, mentre nel caso dell'abbattimento di una specie protetta, la sospensione della licenza da uno a tre anni in caso di condanna definitiva si applica solo alle ipotesi di recidiva, nel caso della caccia in periodo di divieto generale la sospensione stessa diventa applicabile già alla prima condanna definitiva. Il personale di vigilanza dovrà anche tenere conto che, ipotizzando nelle proprie comunicazioni di notizia di reato per questa fattispecie la violazione dell l'art. 30/lett. a) della legge 157/92, sarà tenuto, in caso di mancata oblazione entro 30 giorni, ad effettuare la prescritta comunicazione al Questore per la eventuale sospensione cautelare della licenza di porto di fucile, in attesa del pronunciamento del giudice. Caccia - Calendario venatorio - Inizio o fine dei periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio - Previsione - Necessità - (c.d. giornate di silenzio venatorio). Nel silenzio del calendario venatorio, che prevede alcuni giorni iniziali e finali che cadono proprio nelle due giornate della settimana precluse per legge alla caccia - le c.d. giornate di silenzio venatorio (che, come è noto, sono martedì e venerdì) - non può essere risolto sul piano interpretativo il dubbio sulla eventuale permissione o sulla vigenza del divieto di legge anche nei predetti giorni, con conseguente necessità di riformulare il calendario, in modo conforme al dettato legislativo, ( legge n. 157/1992) senza prevedere inizio o fine dei periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio o prevedendo che comunque deve essere assicurato il rispetto di tali giorni di astensione dalla caccia, con conseguente automatico slittamento dei termini. CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (cc. 15 giugno 2004), sentenza n. 7491 Caccia - Calendario venatorio - Inizio o fine dei periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio - Previsione - Necessità - (c.d. giornate di silenzio venatorio). Nel silenzio del calendario venatorio, che prevede alcuni giorni iniziali e finali che cadono proprio nelle due giornate della settimana precluse per legge alla caccia - le c.d. giornate di silenzio venatorio (che, come è noto, sono martedì e venerdì) - non può essere risolto sul piano interpretativo il dubbio sulla eventuale permissione o sulla vigenza del divieto di legge anche nei predetti giorni, con conseguente necessità di riformulare il calendario, in modo conforme al dettato legislativo, ( legge n. 157/1992) senza prevedere inizio o fine dei periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio o prevedendo che comunque deve essere assicurato il rispetto di tali giorni di astensione dalla caccia, con conseguente automatico slittamento dei termini. CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (cc. 15 giugno 2004), sentenza n. 7491 La delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 - nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica - esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema illegittimità dell’estensione del periodo venatorio in deroga alla previsione legislativa statale. La delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all’esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema per il cui soddisfacimento l’art. 117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario l’intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale. Come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, vi è un "nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi accanto all’elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio". La legge regionale impugnata ha inciso proprio su questo nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, procrastinando la chiusura della stagione venatoria oltre il termine previsto dalla legge statale. In base alla legge impugnata, la stagione di caccia è stata così prolungata per diverse specie di fauna selvatica (alzavola, cesena, colombaccio, beccaccia, beccaccino, marzaiola, pavoncella, tordo bottaccio e tordo sassello) oltre il termine del 31 gennaio, secondo quanto risulta dal calendario venatorio 2002/2003 contenuto nel decreto dell’Assessore della difesa dell’ambiente della Regione Sardegna del 3 luglio 2002, n. 19/V. L’estensione del periodo venatorio operata in tal modo dalla regione costituisce una deroga rispetto alla previsione legislativa statale, non giustificata da alcun elemento peculiare del territorio sardo, anche in considerazione del fatto che l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, organismo tecnico scientifico cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza sulla materia, ha espresso in proposito un valutazione negativa. Né essa può farsi rientrare tra le deroghe al regime di protezione della fauna selvatica che la direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, consente all’art. 9 solo per le finalità ivi indicate, rivolte alla salvaguardia di interessi generali (sentenza n. 168 del 1999), fra le quali non possono essere comprese quelle perseguite dalla legge regionale impugnata. Corte Costituzionale, del 20 dicembre 2002, sentenza n. 536. DOTTRINA Recupero animali selvatici feriti -Domanda :Sempre più spesso viene richiesto dai cittadini, ma anche dai comuni e dalle forze di polizia generale e locale, l'intervento della polizia provinciale per il recupero di animali selvatici feriti, quali cigni, gufi, rondoni, ecc.Ragionevoli appaiono soluzioni operative, già poste in essere da alcune Amministrazioni Provinciali , con cui non solo i compiti di cura veterinaria, ma anche del mero recupero sul territorio, sono stati assegnati dalla Provincia stessa ad altri soggetti (enti, associazioni, ecc.), anche mediante apposite convenzioni a titolo oneroso per l'Ente. Ciò ferme restando più specifiche previsioni stabilite dalla normativa venatoria regionale Il personale della nostra amministrazione provinciale provvede al recupero e poi al trasporto presso un apposito Centro di recupero animali selvatici.Sembra però che le norme vigenti assegnino questa incombenza solo per gli animali selvatici sottoposti a sequestro dagli stessi agenti. Risposta :A prescindere dalle disposizioni di dettaglio sulla fauna selvatica sequestrata, contenute nell'art. 28 , terzo comma, della legge 157/92 ,che attiene ai compiti del personale di vigilanza , non c'è dubbio che che il recupero degli animali selvatici feriti o in difficoltà (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato) , e la loro eventuale cura e destinazione, possa a pieno titolo rientrare tra le funzioni amministrative di "protezione della fauna" già a suo tempo assegnate alle Province dalla legge 142/90 (richiamata dall'art. 9 delle legge 157/92 nell'ambito della ripartizione dei compiti in campo faunistico-venatorio). Iter amministrativi per escludere un territorio dalla caccia :Domanda: Qual'è l'iter che una amministrazione comunale dovrà intraprendere per far sì che il proprio territorio venga escluso dagli ATC provinciali di caccia e/o come poter inibire l'attività venatoria nel proprio territorio? due sembrano gli strumenti per poter inibire l'attività venatoria in un certo territorio, e sempre fatta salva l'ipotesi che lo stesso non sia ricompreso all'interno di aree in cui la caccia è vietata ex lege (es. aree protette, valichi montani, aree boscate percorse dal fuoco).Il primo, azionabile nel breve periodo, è quello delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti. Come è noto, l'art.54 del D.lgs. n.267/00 (TU degli enti locali) prevede espressamente che il Sindaco, in qualità di ufficiale di governo, possa adottare, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità, igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini. Laddove ne ricorrano i presupposti di legge (diversamente le ordinanze de quibus sarebbero facilmente oggetto di impugnativa innanzi ai TAR regionali), va sicuramente riconosciuto al Sindaco il potere periodo di di vietare, per un tempo e in una zona circoscritta, l'esercizio della caccia, generalmente motivando in ordine alla tutela della pubblica incolumità. ( su questo specifico punto, vadasi, ex multis, CdS, VI, 26.5.03 n.2387) e fatta salva la possibilità che le condotte serbate dai cacciatori possano, in concreto particolare essere ricondotte a quelle rubricate nel codice penale, con riferimento agli artt. 614 8violazione di domicilio), 635 (danneggiamento), 636 (Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo), 637 (Ingresso abusivo nel fondo altrui), 659 (Disturbo delle occupazioni e riposo delle persone) e 703 (Accensioni ed esplosioni pericolose) c.p. Nel lungo periodo, al contrario, lo strumento da azionare è quello del piano-faunistico venatorio. Di recente, ad esempio, su ricorso di diverse associazioni ambientaliste, il TAR Liguria ha annullato in toto i Piani adottati dalla Province di Genova e Imperia, proprio perché contenenti previsioni che violavano la normativa statale in tema di caccia, e perché, in ogni caso, era stata varata una programmazione venatoria affatto insostenibile per i territori interessati. Cane da ferma Domanda: Un cane da ferma che durante un addestramento da parte di un cacciatore catturi un esemplare di fauna selvatica durante una giornata di silenzio venatorio o in periodo di divieto generale può essere considerato mezzo di caccia vietato o il possessore del cane incorrerà solamente in una sanzione amministrativa per ad esempio detenzione di esemplare di fauna selvatica? Si può qundi considerare l'addestramento con conseguente abbattimento di fauna per mezzo del cane come atteggiamento di caccia nonostante il cacciatore sia sprovvisto di fucile? Il cacciatore in questione in quale reato o violazione amministrativa incorre? Se questa stessa ipotesi si verificasse ad opera di un cane di proprietà di un non cacciatore? Il cane impiegato nelle attività venatorie per scopi di ricerca e recupero della selvaggina può essere considerato un mezzo di caccia ausiliario, benchè non ammesso per fini di uccisione diretta delle prede (in quanto i mezzi autorizzati sono solo le armi contemplate dall'art. 13 della legge 157/92).Conforta in tal senso l'esclusione del cane dai mezzi di caccia soggetti a sequestro penale (art. 28,secondo comma, legge 157/92), con ciò implicitamente considerandosi il cane stesso un possibile mezzo di caccia. L'uccisione dolosa di un selvatico per mezzo di un cane ,di qualunque razza,in periodo di silenzio venatorio o di chiusura generale dovrebbe pertanto integrare le corrispondenti ipotesi di reato, anche se non siamo a conoscenza di precedenti giurisprudenziali per questa fattispecie. Ricordiamo che l'abbattimento, la cattura o la detenzione di un esemplare di specie protetta comportano la medesima sanzione penale,ex art. 30,primo comma-lett. h), della legge 157/92, sicchè è scarsamente influente –a fini sanzionatori - la modalità con cui sia stata sottratta in natura la selvaggina non cacciabile, fatta salva la discrezionalità del giudice nel determinare l'importo dell'ammenda. Si ritiene non incorra in reato chi allena il cane in periodo di divieto generale senza apprensione di fauna selvatica, in quanto la definizione di "atteggiamento di caccia" presuppone (ex art. 12, commi secondo e terzo , legge 157/92) una ricerca o un'attesa da parte del cacciatore per “abbatterla" con i mezzi di cui all'art. 13 (armi da fuoco a canna lunga espressamente elencate).Si applicheranno in tal caso le specifiche sanzioni amministrative previste dalle apposite norme regionali. Peraltro il quarto comma del già citato art. 12 esenta da responsabilità nei casi abbattimento per casi fortuiti con altri mezzi (ipotesi che potrebbe calzare per un cane di proprietà sfuggito al controllo del padrone senza intenzioni di tipo venatorio Governo di cinghiali in periodo di silenzio venatorio -Domanda: Commettono reato o altra violazione specifica quei cacciatori che nel periodo di silenzio venatorio governano con mangimi, cereali ecc... i cinghiali (presso pozze d'acqua nel bosco) al fine di mantenerli nella zona e cacciarli successivamente in periodo di esercizio venatorio?Risposta Non esiste, a livello di normativa statale, una fattispecie di reato o di infrazione aministrativa per attività di questo tipo. La pratica della collocazione di cereali finalizzata a dissuadere locali popolazioni di cinghiale dall'alimentarsi presso zone coltivate,talvolta promosa da amministrazioni provinciali ed Ambiti Territoriali di Caccia, è tuttora oggetto di un controverso dibattito tra gli addetti ai lavori (vi è chi auspica che tali metodiche "alleggeriscano" la pressione degli ungulati su alcune produzioni agricole,mentre altri sostengono che in tal modo si riduce la mortalità naturale fornendo fonti di cibo supplementari,e spesso non alternative, a quelle dei coltivi che si vogliono tutelare). Per riscontrare violazioni in tal senso ,se previste,occorre fare riferimento ad eventuali divieti previsti da norme regionali,regolamentazioni provinciali o di singoli enti parco. Domanda: Ai parchi nazionali si applica la disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria?Risposta: No. La Cassazione si e’ pronunciata su questo tema: “Ai parchi nazionali non si applica la disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria, atteso che essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l’attività venatoria.” ( Cass. pen., sez. III, 6 giugno 2003, n. 24786, Fiorelli ed altro) ASPETTI GIURIDICI CONNESSI ALLA RES COMMUNIS : Per i romani la fauna selvatica non apparteneva a nessuno, ovvero diventava di proprietà di chi la catturava.; anteriormente alla Legge 27 dicembre 1977 n. 968 si era ritenuto che la selvaggina appartenesse all'ampio e variegato genus delle res nullius , alla luce del combinato disposto dell'art. 923 c.c. e Testo Unico della Caccia approvato con regio Decreto 1939 n. 1016; la questione dell'applicabilità dell'art. 2052 non si poneva nemmeno; quindi anteriormente al 1977 non potendosi dire che la selvaggina appartenesse a qualcuno, nessuno era tenuto alla vigilanza rispondendo dei danni da essa provocati o meglio rispondeva solo colui che l'aveva catturata perché catturandola ne era diventato proprietario. Il quadro normativo ha subito una trasformazione radicale con l'approvazione della citata legge quadro sulla caccia; infatti l'art. 1 della Legge n. 968/77 , introducendo una profonda innovazione normativa e concettuale, stabilì l'inclusione della fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato vanificando la prima interpretazione sopra riportata che qualificava la fauna selvatica res nullius ;tale interpretazione non era condivisa da parte autorevole della dottrina amministrativistica (Sandulli- Mazzarolli- Loverso); la proprietà era intesa allo stato Ente e non allo stato comunità; si arrivava alla qualificazione di una proprietà senza possesso per cui lo Stato è proprietario affinché la collettività possa usufruirne ( Giannini).; secondo altri la configurabilità di un possesso in senso tecnico non può essere disconosciuta, e si ammetterebbero anche le azioni possessorie, l'azione di reintegrazione contro lo spoglio violento o clandestino : è pacifica l'azione a difesa della proprietà . E' venuto meno pertanto l'ostacolo di carattere formale (la qualificazione di res nullius) che aveva determinato l'rrisarcibilità di queste ipotesi di danno e l'ingiustificata attribuzione di un privilegio alla P.A. Si formarono ancora una volta, diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in subiecta materia. Soprattutto per i Pretori, ai sensi dell'art. 2052 del c.c., l'Amministrazione pubblica risponde dei danni arrecati ai privati dalla fauna selvatica, responsabilità che deriva dall'appartenenza di tutti gli animali a l patrimonio indisponibile dello Stato (Trib. Perugia 11 dicembre 1995, Pret Reggio Emilia 4 novembre 1993; Pret. Cosenza 5 luglio 1998; Pret. Ceva 28 agosto 1988, in Giur . Ag. it. 1990 n. 110). La P.A. o risponde per il solo fatto di esserne “proprietaria”, anche se gli animali liberi non sono per loro natura, suscettibili di controllo o di “ custodia”; non conta l'obiezione che i beni siano destinati a soddisfare interessi generali perché vale sempre il principio del neminem laedere secondo cui ogni attività o ogni diritto deve essere esercitato senza recare danno ad altri . I giudici di legittimità hanno poi adottato un orientamento antitetico, divenuto poi prevalente; la Cassazione esclude che si possa affermare una responsabilità dell'Ente pubblico proprietario fondata sull'art. 2052, proprio perchè la fauna selvatica non può essere, con tutta la buona volontà e la diligenza, per sua natura vigilata, al massimo si può delineare una responsabilità e art. 2043 c.c. anche in tema di onere della prova (Cass. 15 marzo 996 n. 2192, Cass. 12 agosto 1991 n. 8788; Cass Sez Unite 29.03.1983 n. 2446; Trib Firenze 13 maggio 1994 in Arch. Giur. circ e sin. 1195 n. 46). In seguito è entrata in vigore la Legge 11 febbraio 1992 n. 157 che ha trasferito alle Regioni il potere di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica.; lo Stato non si è spogliato della titolarità dei beni de quibus..; secondo il Giudice di Ceva ( sulla responsabilità civile dello stato derivante dai danni arrecati alle colture agricole) lo Stato deve custodire e preservare i terzi da danni in quanto tali obblighi gravano sullo Stato proprio perché proprietario della selvaggina.; in sintesi si avrebbe un' ingiustificata ed incostituzionale disparità di trattamento tra Stato e “privato proprietario” , dato che quest'ultimo è responsabile comunque ex. Art. 2052 c.c. dei danni da questo cagionati dall'animale, salvo che provi il caso fortuito. Nella controversia decisa da Pret. Cosenza, 7.7.88, in Foro It. si è ritenuta responsabile la Regione Calabria, in quanto proprietaria e custode di tutte le specie esistenti sul territorio. In buona sostanza, con l'attribuzione allo Stato della titolarità domenicale della fauna, si è verificata l'attrazione di tale tipo di responsabilità nell'orbita dell'art. 2052; la scelta della protezione della natura non può ricadere, nelle conseguenze dannose, solo sui singoli malcapitati . Ora l'orientamento prevalente tende ad escludere l'applicabilità dell'art. 2052 c.c. per i danni provocati a persone o cose, diversi da quelli all'agricoltura , in cui esiste una disciplina speciale (fondo regionale) viene fatta salva la pretesa risarcitoria per l'eventuale violazione dei doveri di cui all'art. 2043 c.c. ( Cass. 15.3.96 n. 2192); la Pubblica Amministrazione non assume la veste di dominus in relazione alla fauna selvatica per il suo trovarsi in stato di completa libertà, non le è riconosciuto il potere dovere di inibire il ibero spostamento della fauna. Si potrà parlare di responsabilita' della p. a. per danni arrecati da fauna selvatica ed individuare una responsabilità della regione per i danni arrecati dai cinghiali affermata sulla scorta di quanto previsto, all'interno della legge 157, 3 comma art. 1 ( “Le regioni provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica”), dal 2 ° comma dell'art. 19 (“Le regioni provvedono al controllo della specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia” ) e dagli articoli 10 e 26 (i quali prevedono l'istituzione di un fondo regionale destinato ala risarcimento dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni ed ai manufatti rurali), indirizzo confermato da recenti pronunce della Cassazione ( si veda Cass. Civ. III 12 agosto 1991 n. 8788). Le norme dale quali ricavare al responsabilità della Regione sono di origine statale, quelle da interpretare ai fini dell'affermazione della responsabilità della Provincia possono essere contenute sia in leggi statali che regionali, cosicché l'analisi giuridica non può essere condotta con uniformità rispetto al territorio nazionale, in Piemonte i Giudici di pace hanno interpretato in modo difforme la Legge Regionale 4 settembre 1996 n. 70 che conferisce funzioni amministrative in materia agli Enti provinciali. Con l'emanazione della Legge Regionale 27 gennaio 2000 n.9 su piani di contenimento cinghiali ed in precedenza con la D.G.R n. 30- 23995 del 16.02.98 su criteri generali per la ripartizione tra le Province del fondo regionale da destinare alla corresponsione degli indennizzi per danni provocati da fauna selvatica e dall'esercizio venatorio ( tale fondo riguarda i danni alle colture) ; art. 1 – i danni provocati nei terreni compresi nelle aziende faunistico venatorie e risarcimento da parte dei titolari pare chiaro che i fondi per il risarcimento debbano essere stanziati dalla Regione. Parte della dottrina aveva sostenuto che la Legge regionale avesse diversificato tra funzioni di pianificazione e controllo in capo alla Regione, e funzioni di attuazione ed esecuzione in capo alla Provincia, dalla quale sembrava discendere una responsabilità solidale o quantomeno ripartiti tra i due Enti . Giurisprudenza : Danni da fauna selvatica e risarcimenti Danni cagionati dalla fauna selvatica. Risarcibilità da parte della P.A. a norma dell'art. 2043 (Cass. Civ. 24 giugno 2003, n. 10008)Massima: In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico.Cass. Civile 24 giugno 2003, Sentenza n. 10008, sez. 3; La giurisdizione per l’azione di risarcimento per danni provocati dalla fauna selvatica : pronunciamento della cassazione civile a sezioni unite. Massima -Giurisdizione civile - Giurisdizione ordinaria o amministrativa - Azione di risarcimento proposta nei confronti della P.A. per danni provocati al privato dalla fauna selvatica - Giurisdizione del giudice ordinario Spetta al giudice ordinario la cognizione della domanda promossa dal privato per conseguire dalla P.A. il risarcimento dei danni da esso subiti dall'improvviso attraversamento della sede stradale da parte di fauna selvatica. Né la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a detta domanda risarcitoria può trovare fondamento nel testo novellato dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034: infatti detta norma - la quale prevede che quando è chiesto al giudice amministrativo, l'annullamento del facendosi provvedimento valere un interesse amministrativo, alla legittimo, domanda principale d'annullamento può essere cumulata una domanda di risarcimento del danno, in tal modo evitandosi la necessità del doppio processo (il primo, dinanzi al giudice amministrativo, per l'annullamento dell'atto; il secondo, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno) - non opera allorché, come nella specie, difettando un provvedimento amministrativo, manchi una domanda d'annullamento, ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A., nella quale ciò che rileva è la liceità e non la legittimità dell'azione amministrativa.*Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2005, n. 6332 Ric. Regione Liguria - c. Sale ed altri. 157/1992 - Fauna domestica - Nozione - Fattispecie. Per la definizione della fauna selvatica non è rilevante la nocività dell'animale. È noto anzi che alcune specie protette della fauna selvatica sono nocive: si pensi al cinghiale, che reca gravi danni alle colture. L'unico elemento giuridicamente rilevante è dato dallo stato di libertà naturale, atteso che secondo l'art. 2 della legge 11.2.1992 n. 157 fanno parte della fauna selvatica, oggetto di tutela della legge, "le specie di mammiferi e uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di libertà naturale nel territorio nazionale". Sotto il profilo giuridico lo stato di libertà naturale coincide con una condizione di vita indipendente dall'uomo per quanto attiene alla riproduzione, alla alimentazione e al ricovero. La fauna diventa domestica solo quando la sua condizione di vita è interamente governata dall'uomo in ordine ai profili riproduttivi, alimentari e abitativi. Sotto questo aspetto non può dirsi che il piccione torraiolo appartenga a una specie animale domestica, giacché - pur vivendo prevalentemente in città - si riproduce, si alimenta e si ricovera in modo autonomo, indipendente dall'intervento umano (neppure per i piccioni di Piazza S. Marco a Venezia l'alimentazione è totalmente dipendente dal mangime offerto dai turisti, e comunque questa tradizionale abitudine non li consegna al completo controllo dell'uomo). Ne deriva che la distinzione giuridica tra fauna selvatica e fauna domestica non coincide con la classificazione in uso nella scienza zoologica, che tendenzialmente assegna alla fauna selvatica solo la specie Columbia livia. Al contrario, secondo la nozione positiva adottata dal legislatore, anche il colombo o piccione torraiolo va incluso tra gli animali selvatici, in quanto "vive in stato di libertà naturale nel territorio nazionale", mentre appartengono alle specie domestiche o addomesticate il piccione viaggiatore e quello allevato per motivi alimentari o sportivi. (Conforme Cass. Sezioni Unite sentenza n. 25 del 28.12.1994, CORTE DI CASSAZIONE Sez.III Penale, del 26 gennaio 2004 (Ud. 25/11/2003), Sentenza n. 2598 .Caccia - Tutela della fauna selvatica - Patrimonio indisponibile dello Stato - Regioni - Poteri di gestione, tutela e controllo - Province Funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna Animali selvatici - Danni provocati a persone o a cose - Responsabilità Regione - L. 157/1992 - L. 140/1990 Art. 2043 c.c.. In tema di tutela della fauna selvatica, pur rientrando nel patrimonio indisponibile dello Stato, la disciplina contenuta nella legge n. 157 del 1992, attribuisce alle regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna a esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990. Ne consegue che la regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee a evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex articolo 2043 del Cc dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da norme specifiche. - Martinelli c. Provincia La Spezia. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III 04-11-2003, n. 16520 Caccia e pesca - Agricoltura - Azienda faunistico venatoria - Danno Soggetto obbligato a risarcire - Nesso eziologico - Elementi costitutivi Fattispecie: responsabilità dell’A.F.V. cagionati dai passeri alle coltivazioni di un privato. In tema di responsabilità oggettiva, il nesso eziologico tra il soggetto obbligato a risarcire il danno ed il danno stesso scaturisce da una fattispecie complessa, costituita, da un lato, dalla causazione del danno ricollegabile ad una cosa, ad un animale o ad una persona, dall’altro, da un rapporto giuridico (e/o eccezionalmente di mero fatto) tra detto soggetto obbligato e la cosa, l’animale o la persona. Fattispecie: responsabilità riconosciuta all’azienda faunistico venatoria competente per territorio per danni alle coltivazioni di un privato cagionati dai passeri. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 29 ottobre 2003, Sentenza n. 16226 per il furto vedi sopra e dispense di penale ANIMALI ESOTICI Il Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 09 dicembre 1996, disciplina la protezione di specie selvatiche della flora e della fauna importate in Comunità, nati o allevati in cattività o riprodotti artificialmente, gli esemplari di proprietà personale o domestica e i prestiti, le donazioni e gli scambi di natura non commerciale fra scienziati e istituzioni scientifiche registrati. Lo stesso provvedimento mira ad assicurare la conservazione degli esemplari viventi in questione mediante il controllo del loro commercio e lo spostamento, nonché delle condizioni di sistemazione e di mantenimento. La legge 07 febbraio 1992, n.150, e successive integrazioni e modificazioni, disciplinano i reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 03 marzo 1973, nonché la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. All’articolo 6 della L.150/92 viene espressamente vietato a chiunque di detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica, salvo deroghe specifiche nei confronti: dei giardini zoologici, delle aree protette, dei parchi nazionali, degli acquari e delfinari, dichiarati idonei; dei circhi e delle mostre permanenti o viaggianti, dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica; delle istituzioni scientifiche e di ricerca opportunamente iscritte e registrate. Tenuto conto della molteplicità di fattori biologici ed ecologici che vengono presi in causa nella gestione degli animali esotici, selvatici e delle specie che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica, nonché alla luce del fatto che il Servizio Veterinario delle Aziende USL è l’organo tecnico coinvolto in materia di salute e benessere degli animali nel territorio di competenza, la Regione Veneto ha ritenuto necessario fornire delle linee guida di indirizzo per la gestione uniforme nel territorio della problematica in questione. Normativa di riferimento Direttiva 1999/22/CE del Consiglio, del 29 marzo 1999, relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici. Legge_07 febbraio 1992, n. 150 "Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica" Testo coordinato ed aggiornato al D.Lgs. 300/1999