nornativa comunitaria nazionale e regionale in materia di fauna

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nornativa comunitaria nazionale e regionale in materia di fauna
NORNATIVA COMUNITARIA NAZIONALE E REGIONALE IN
MATERIA DI FAUNA SELVATICA
•
ANALISI NORMATIVA COMUNITARIA NAZIONALE E REGIONALE
•
ANALISI COMMENTI E GIURISPRUDENZA
NORMATIVA COMUNITARIA – ATTUAZIONE A
LIVELLO NAZIONALE
Conservazione degli uccelli selvatici:
OBIETTIVO: Proteggere e conservare a lungo termine tutte le specie di
uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo
degli Stati membri (ad eccezione della Groenlandia).
ATTO: Direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979,
concernente la conservazione degli uccelli selvatici [Gazzetta ufficiale L
103, 25.04.1979] ; tale atto è stato oggetto di successive modifiche ed
integrazioni. Le presenti direttive mirano a:
proteggere, gestire e regolare tutte le specie di uccelli viventi
naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri
- comprese le uova di questi uccelli, i loro nidi e i loro habitat;
regolare lo sfruttamento di tali specie.
Gli Stati membri devono anche preservare, mantenere o ripristinare i
biotopi e gli habitat di questi uccelli: istituendo zone di protezione;
mantenendo gli habitat; ripristinando i biotopi distrutti; creando biotopi.
Per talune specie di uccelli identificate dalle direttive (allegato I) e le
specie migratrici sono previste misure speciali di protezione degli habitat.
Le direttive stabiliscono un regime generale di protezione di tutte le
specie di uccelli, comprendente in particolare il divieto:
di uccidere o catturare deliberatamente le specie di uccelli contemplate
dalle direttive. Le direttive autorizzano tuttavia la caccia di talune specie a
condizione che i metodi di caccia utilizzati rispettino taluni principi
(saggia ed equa utilizzazione, divieto di caccia durante il periodo della
migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura o di
uccisione in massa o non selettiva); di distruggere, danneggiare o
asportare i loro nidi e le loro uova; di disturbarle deliberatamente; di
detenerle.
Salvo eccezioni, in particolare per quanto concerne talune specie che
possono essere cacciate, non sono autorizzati la vendita, il trasporto per la
vendita, la detenzione per la vendita nonché l'offerta in vendita degli
uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto
ottenuto dall'uccello. Gli Stati membri possono, a certe condizioni,
derogare alle disposizioni di protezione previste dalle direttive. La
Commissione vigila affinché le conseguenze di tali deroghe non siano
incompatibili con le direttive. Gli Stati membri devono incoraggiare le
ricerche e i lavori a favore della protezione, della gestione e
dell'utilizzazione delle specie contemplate dalle direttive.
L'applicazione della Direttiva ha dato origine a conflitti interpretativi
all'interno degli stati e tra Stati e Commissione; infatti la Corte di Giustizia
Europea è intervenuta più volte sul tema. La direttiva Uccelli prevede la
designazione di Zone Protezione Speciale (ZPS) che, insieme ai siti di
importanza comunitaria (SIC) individuati ai sensi della Direttiva Habitat
92/43/CEE , costituiscono la rete Natura 2000.
I parchi e le riserve
naturali italiane non sono oggetto di una disciplina europea (competenza
nazionale – legge 394/91) pur se a volte si sovrappongono alla rete natura
2000. In tali ultimi siti la caccia non è vietata ma vine considerata alla
stregua di qualsiasi altra attività umana suscettibile di impatto negativo
sulla avifauna ; nei piani di gestione potranno essere individuate aree con
divieto assoluto nel caso di presenza di specie rare. Le specie cacciabili
sono quelle incluse nell'allegato II della direttiva ; tutte le altre specie
sono protette. Nessuna specie può essere cacciata durante la stagione
riproduttiva (e prenuziale per quelle migratorie). Le date di chiusura ed
apertura del calendario venatorio vengono stabilite per gruppi d ispecie
simili e evitando il disturbo ad altre specie. Le deroghe ai sensi dell'art. 9
della citata direttiva sono previste solo per particolari casi essendo esse
soggette a precise e stringenti limitazioni; la deroga può essere utilizzata
solo laddove non siano possibili soluzioni alternative soddisfacenti, deve
essere motivata, deve rispettare limiti precisi. La soluzione alternativa
non può essere scartata perchè comporterebbe un cambio di abitudini
inveterati o perchè giudicata scomoda; per la caccia ricreativa le deroghe
devono essere utilizzate solo per situazioni eccezionali e non per una
sistematica estensione del periodo venatorio . Le deroghe possono essere
concesse per motivi di sicurezza a salute pubblica, sicurezza aerea, per
evitare danni all'agricoltura, alla pesca e alle foreste, per la protezione di
flora e fauna, per scopo scientifici, riproduzione in cattività. L'utilizzo
della caccia ricreativa è ragionevole se garantisce il mantenimento delle
popolazioni in buono stato di conservazione, la piccola quantità viene
definita in relazione alla mortalità naturale della specie di riferimento , la
deroga deve essere selettiva ( specie o addirittura classi di età e sesso) e vi
devono essere condizioni controllate (tempi luoghi quantità ) .
Le regole imposte dalla direttiva devono essere trasposte nella normativa
nazionale con forza vincolante non questionabile .
Con la Direttiva 92/431 CEE, la Comunità Europea ha imposto agli Stati
membri, di salvaguardare la biodiversità nel territorio europeo mediante
la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna
selvatiche. In particolare l'art. 6 della stessa Direttiva ha stabilito che gli
Stati membri sono tenuti a impedire "il degrado degli habitat naturali e
degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone
sono state designate nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere
conseguenze significative ...". Tali misure di salvaguardia devono
applicarsi anche alle Zone di Protezione Speciale individuate in base alla
Direttiva comunitaria 79/409/CEE, avente ad oggetto la conservazione
degli uccelli selvatici. Con la delibera in esame la Comunità Europea si è
prefissa la protezione, la gestione, la regolazione e la disciplina dello
sfruttamento di tutte le specie di uccelli viventi, allo stato selvatico, nel
territorio degli Stati membri. Per poter rendere effettivamente efficaci i
sistemi di protezione disciplinati dalle convenzioni internazionali, il
Ministero dell'Ambiente nel 1996 stabili una diversa classificazione delle
aree naturali protette rispetto a quella contenuta nella legge quadro n. 394
del 6.12.1991. Sono aree naturali protette: a) il parco nazionale; b) la
riserva naturale statale; e) il parco naturale interregionale; d) il parco
naturale regionale; e) la riserva naturale regionale; f) la zona umida di
importanza internazionale; g) la zona di protezione speciale (ZPS); h) la
zona speciale di conservazione (ZQS); i) altre aree naturali protette.
Pertanto, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
suddetta delibera del Ministero dell'Ambiente, ossia il 17.6.1997, le Zone
di Protezione Speciali devono essere apprezzate a tutti gli effetti come
aree naturali protette. Ciò è stato d'altra parte confermato dalla
Cassazione penale, sez. III che, con sentenza n. 30 del 5.01.2000, ha
affermato che nella nozione di area naturale protetta rientrano - oltre ai
parchi nazionali - i parchi naturali interregionali e regionali, le riserve
naturali, statali e regionali, le aree protette marine, le zone umide di
importanza nazionale ai sensi della convenzione di Ramsar, le zone di
protezione
speciale
degli
uccelli
selvatici,
le
zone
speciali
di
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della
fauna selvatiche. Sempre in attuazione della Direttiva 92/43/CEE, nel '97
fu previsto un procedimento di valutazione d'incidenza dei progetti che
ricadono in Siti d'importanza Comunitaria (c.d. SIC) e in Zone di
Protezione Speciale (c.d. ZPS) e dei progetti riguardanti interventi a cui
non si applica la procedura di vantazione di impatto ambientale. L'art. 51
del Decreto in questione, modificato dal D.P.R. n. 120 del 2003, stabilisce
che nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tener conto
della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza
comunitaria e delle zone speciali di conservazione. L'art. 6 precisa poi che
"la rete 'Natura 2000' comprende le Zone di protezione speciale previste
dalla direttiva 79/409/CEE e dall'art. 1, comma 5, della legge del febbraio
1992, n. 157. Gli obblighi derivanti dagli articoli 4 e 5 si applicano anche
alle zone di protezione speciale". Lo Stato italiano ha comunque subito, da
parte della Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione Europea,
la procedura d'infrazione del 24.09.1998, per non aver dato effettiva
attuazione alla Direttiva comunitaria 79/409/CEE riguardante gli uccelli
selvatici. In risposta a tale infrazione il 24.12.98 il Ministero dell' Ambiente
comunicò alla Commissione della Comunità Europea di aver dichiarato
Zone di Protezione Speciale, diverse aree del territorio nazionale. A
decorrere da tale data le predette Zone sono sottoposte alle misure di
tutela e ai procedimenti di valutazione previsti dalla normativa italiana.
Sotto gli aspetti considerati si ritiene che le Zone di Protezione Speciali
possano configurarsi come aree naturali protette, a decorrere dal
momento dell'avvenuta dichiarazione da parte dello Stato italiano.
Pertanto, alle stesse zone dovrebbero essere posti i limiti di salvaguardia
previsti dalla legge quadro n. 394/91 e come già osservato dalla
Cassazione:
"L'elencazione
delle
attività
vietate
però
non
deve
considerarsi inoperante per le altre aree protette poiché l'art. 6 dispone
che dall'istituzione dell'area protetta sino all'approvazione del relativo
regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui
all'art. 11".
Tale equiparazione discende proprio dalla legge in virtù della previsione
di cui alla deliberazione del 2.12.1996 del Ministero dell'Ambiente. In essa
si elencano le aree naturali protette includendo le ZPS fra quelle tutelate
dalla legge 394/91. È così una fonte normativa ad equiparare le ZPS alle
aree naturali protette con conseguente applicazione delle disciplina anche
penale della legge n. 394/91. Tale fonte normativa dettaglia e integra la
disciplina della legge quadro sulle aree naturali protette che per quanto
riguarda la classificazione delle aree è sicuramente norma penale in
bianco. Dalla trasmissione degli elenchi alla Commissione U.E. da parte
degli Stati membri, l'applicazione della Direttiva 92/43/CEE è diventata
obbligatoria e con essa anche le correlate procedure di valutazione
d'incidenza. I SIC e le ZPS dovranno essere definitivamente approvati
dalla Commissione UE entro il 2006 per determinare la creazione di una
rete di Zone Speciali di Conservazione (ZSC) denominata "Natura 2000"
destinata a garantire uno stato di conservazione favorevole degli habitat
naturali e delle specie prioritari e di interesse comunitario. La Direttiva
92/43/CEE è stata recepita con il Decreto del Presidente della Repubblica
8 settembre 1997 n.357.
Infine, con Decreto del 3 aprile 2000 il Ministero dell'Ambiente ha reso
ulteriormente pubblico l'elenco dei SIC e delle ZPS. Le individuate ZPS
però sono state inviate alla Commissione UE il 24.12.1998 a seguito di
procedura
di
infrazione.
Dalla
trasmissione
degli
elenchi
alla
Commissione UE l'applicazione delle Direttiva 92/43/CEE è divenuta
obbligatoria.
NORMATIVA NAZIONALE
La legge n. 157/92 si basa su un unico grande principio, la fauna selvatica
appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato e va tutelata
nell’interesse nazionale ed internazionale.
Pertanto, l’attività venatoria è solo un’attività che si può svolgere su
concessione, nel rispetto dei principi di conservazione ecologica e
ambientale. Al fine poi di difendere anche gli interessi di una delle più
grandi risorse economiche del Paese, la caccia può essere esercitata solo
nei luoghi dove è consentita, nel rispetto dell’attività agricola. Si ricorda
che l’attaccamento del cacciatore al territorio è alla base della gestione
programmata della caccia ed infatti, il fondamento della “residenza
venatoria”, è teso a stabilire un costante ed univoco rapporto tra il
cacciatore e il territorio in cui esso esercita la sua attività con evidenti
ricadute gestionali, legate alla possibilità di responsabilizzazione e
coinvolgimento diretto del cacciatore . Inoltre proprio al fine di porre un
limite al bracconaggio e cercare di limitare i danni che provoca l’uccisione
di animali in pericolo o in via di estinzione, sono stati previsti nel nostro
ordinamento i reati venatori che hanno riconosciuto, a seconda della
gravità, le attuali sanzioni penali.
Con la proposta in discussione alla Commissione Agricoltura della
Camera dei Deputati, si vuole modificare una legge, la n. 157 del 1992
sulla protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio che in
Italia rappresenta l’unica legge per la tutela della fauna selvatica.
Parte della dottrina favorevole alle esigenze di protezione della fauna ha
aspramente criticato tale proposta su alcune tesi che si elencano: “Non è
fondato su ragioni scientifiche l’allungamento della stagione da agosto a
febbraio, dal momento che sia agosto, sia febbraio corrispondono ai
momenti in cui le specie sono maggiormente affaticate o stanno
accudendo i piccoli, o infine si stanno preparando alla migrazione. Con “il
nomadismo venatorio”, poi, viene meno il principio della densità
faunistica, altro elemento basilare della tutela delle specie, ovvero il
rapporto tra il numero dei cacciatori e il territorio agro-silvo-pastorale,
che consente l’equilibrio tra la pressione venatoria e la necessità
conservazionistica della protezione della fauna. La proposta di
depenalizzazione di alcuni tra i più gravi reati venatori è grave. Tra
questi, oltre alla riduzione a sanzione amministrativa per la caccia nei
parchi, aberrante in sé, c’è la depenalizzazione e la riduzione a mera
sanzione amministrativa della crudele pratica della uccellagione che,
come è noto, è una pratica non selettiva e pertanto causa la morte di
specie anche protette e rarissime, in violazione di ogni principio di
conservazione della natura e delle leggi internazionali di tutela della
fauna. In proposito, bisogna ricordare quanto sia in Italia grave il
fenomeno del bracconaggio che ogni anno causa la morte ingiustificata di
animali protetti, tra cui anche super protetti come lupi, orsi, falchi, rapaci
notturni, preziose risorse della fauna mondiale”La caccia o tecnicamente
l’attività venatoria viene riconosciuta dalla legge n. 157/1992 come un
diritto soggettivo di chi possegga i requisiti previsti e come tale viene
tutelata. Il cacciatore può infatti invocare l’art. 53 c.p. che configura
appunto l’esercizio di un diritto come causa di giustificazione di una
condotta da ritenersi in altri casi illecita e quindi punibile. Tuttavia
l’attività venatoria è disciplinata dalla legge in modo tale da renderla
sempre e comunque subordinata alle esigenze primarie di conservazione
della fauna selvatica cui la ratio legis è ispirata. L’art. 4 in tal senso è
chiaro, affermando espressamente che "l'esercizio dell'attività venatoria è
consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della
fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole".
L’art. 12, comma 2, da una definizione di esercizio venatorio, ritenendolo
configurato da ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna
selvatica mediante l'impiego dei mezzi vietati, non rientranti nel novero
dei mezzi indicati dall’articolo 12 (fucile, arco, falco).
Nonostante la caccia sia per esperienza identificata con l’uso di armi da
fuoco o comunque di mezzi idonei all’uccisione di fauna selvatica, la
norma ne accoglie un concetto più esteso considerando altresì esercizio
venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in
attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per
abbatterla (comma 3). Il concetto di esercizio venatorio ha quindi una
portata molto ampia, tanto da includere tutta l’attività precedente e
preparatoria a quella finale, ovvero l’abbattimento e la cattura vera e
propria dell’animale. Un’attività che si manifesta nell’attesa o nella ricerca
attiva della fauna, nell’impegno a provocarne l’uscita allo scoperto per
giungere poi al suo conseguimento e abbattimento oppure alla sua
cattura. Ne risulta che l’esercizio venatorio, così come inteso dalla norma,
non richiede necessariamente l’utilizzo delle armi ma può essere svolto
con gli altri mezzi e secondo le modalità riconosciuti dalla legge. Qualora,
non solo le armi ma anche i mezzi utilizzati o le modalità impiegate non si
confacciano alle disposizioni di cui all’art. 13, che indica quali sono i soli
mezzi consentiti per l’esercizio venatorio, la condotta stessa risulterà
penalmente vietata. Tanto più che l’art. 13, 5° co., esclude l’impiego di
armi e mezzi non espressamente previsti, sottolineando che "sono vietati
tutte le armi e tutti i mezzi per l’esercizio venatorio non esplicitamente
ammessi dal presente articolo".
Nell'ottica della conservazione di un bene collettivo ed insostituibile come
il patrimonio faunistico la gestione, sia per le future generazioni che per
una razionale utilizzazione energetica delle risorse naturali, deve basarsi
su
precise
conoscenze
bio-etnologiche
nonché
dello
stato
delle
popolazioni anche in relazione all'ambiente in cui le stesse vivono e deve
ispirarsi a criteri di gradualità e prudenza.
Infatti le interazioni naturali che vengono a svilupparsi in un ecosistema
sono molteplici e vengono a determinare un processo complesso, cosicché
qualsiasi modificazione si ripercuote sulle altre componenti, provocando
una serie di reazioni che finiscono per ricadere sull'agente iniziale.
La caccia di selezione può così divenire strumento importante ai fini della
gestione faunistica globale nel perseguimento dell'obiettivo di un
ecosistema stabile e quanto più naturale, con l'aiuto di tutte le categorie
interessate a farlo.
In questo modo la pratica venatoria può rappresentare, su tutto il
territorio, non più semplicemente un'attività ludica tollerata e controllata,
ma valorizzata, integrata e coinvolta, parte importante della gestione
dell'ambiente e dell'utilizzazione delle risorse naturali rinnovabili a
vantaggio non di alcune categorie ma della collettività intera.
La vigilanza sull'applicazione delle leggi sulla caccia (art. 27 L.157/92) è
affidata a: Guardie Venatorie della Provincia, Carabinieri, Corpo
Forestale dello Stato, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia
Municipale,
Guardie
volontarie
venatorie
delle
associazioni
ambientaliste e venatorie. Il cittadino può denunciare gli illeciti penali ed
amministrativi a ciascuno dei corpi sopra elencati.
Giova ricordare che l'art. 361 del Codice Penale "Omessa denuncia di
reato da parte del pubblico ufficiale" punisce il pubblico ufficiale, come il
carabiniere, la guardia provinciale, il forestale, il finanziere, la guardia
venatoria, il vigile urbano, il quale omette o ritarda di denunciare
all'Autorità giudiziaria un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a
causa delle sue funzioni, come ad esempio i reati sulla caccia denunciati a
loro dai cittadini. Il cittadino deve quindi pretendere che le suddette
autorità
intervengano,
ricevano
la
denuncia
e
denuncino
alla
Magistratura i reati commessi dai cacciatori.
Le principali regole della caccia: vedi anche domande su altra dispensa
Distanze dalle case: La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da
case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E’ vietato sparare in
direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri.
Distanze da strade e ferrovie: La caccia è vietata per una distanza di 50
metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle
ferrovie. E’ vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150
metri.
Distanze da mezzi agricoli: La caccia è vietata a una distanza inferiore di
100 metri da macchine agricole in funzione.
Distanze da animali domestici: La caccia nei fondi con presenza di
bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla
mandria, dal gregge o dal branco.
Trasporto delle armi: È vietato trasportare le armi da caccia, che non siano
scariche e in custodia, all’interno dei centri abitati e delle altre zone ove è
vietata l’attività venatoria, a bordo di veicoli di qualunque genere e nei
giorni non consentiti per l’esercizio venatorio.
Mezzi vietati di caccia : Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi
avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbietrappola.
Giorni vietati :Martedì e venerdì sono giorni di assoluto silenzio venatorio
anche se festivi.
Orari di caccia :La caccia è consentita da un’ora prima del sorgere del sole
fino al tramonto.
Materia di ATC. - La legge quadro
nazionale n. 157 del 1992 sulla
protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio impone ai
cacciatori l'iscrizione in un ATC sulla base di un indice minimo di densità
venatoria e, solo in tempi modi e luoghi prestabiliti, l'accesso ad un altro
diverso ATC. La necessità di iscrizione in un ATC di residenza da parte
del cacciatore rientra dunque nel concetto di "residenza venatoria", teso
a stabilire un rapporto tra il cacciatore e il territorio in cui esso esercita la
propria attività. Già con parere del 27 luglio 1992, l'Istituto Nazionale per
la
Fauna
Selvatica
(INFS)
aveva
evidenziato
come
gli
ATC
rappresentassero il principale istituto di gestione faunistico-venatoria
previsto dalla legge.
Il fondamento della "residenza
venatoria",
evidenzia dunque l'obbligo per ogni cacciatore di esercitare la propria
attività esclusivamente nel solo ambito di residenza. Contro il cosiddetto
"nomadismo venatorio", ovvero la possibilità di cacciare in vari ATC, si
era espresso, già qualche anno fa, anche il TAR del Lazio con ordinanza
del 27 ottobre 1999, confermata dal Consiglio di Stato, che aveva
annullato la delibera provinciale con cui si autorizzava la costituzione di
soli due ATC nel Lazio e la possibilità di cacciare in entrambi da parte dei
cacciatori iscritti nella provincia di Roma.
Luoghi di divieto di caccia :Terreni di pianura innevati, stagni e laghi
ghiacciati, terreni allagati, giardini privati, parchi pubblici, centri abitati,
aree adibite a sport, parchi e riserve naturali, oasi, zone di ripopolamento,
foreste demaniali.
Allenamento dei cani da caccia :È consentito dalla terza domenica di
agosto fino alla seconda domenica di settembre, nei giorni di mercoledì,
sabato e domenica, dalle ore 6 alle ore 11 e dalle ore 16 alle ore 20, su
terreni incolti, boschivi di vecchio impianto, sulle stoppie, su prati
naturali e di leguminose, non oltre dieci giorni dall’ultimo sfalcio.
L’allenamento è poi consentito nei campi addestramento cani tabellati.
Colture agricole e caccia con i cani : L’accesso dei cani è vietato nei terreni
coltivati a riso, soia, tabacco ed ortaggi. L’uso dei cani è consentito in
numero massimo di due per cacciatore. L’esercizio venatorio è vietato in
forma vagante sui frutteti, vigneti fino alla data del raccolto, coltivazioni
di riso, soia e mais da seme.
Omessa custodia dei cani da caccia : L’articolo 672 del codice penale
“Omessa custodia e mal governo di animali” punisce chi lascia liberi, o
non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti.
Violazione di domicilio : L’articolo 614 del codice penale “Violazione di
domicilio” punisce chi si introduce nei giardini e nelle pertinenze delle
abitazioni civili.
Uccisione di cani, gatti, animali da cortile :L’articolo 638 del codice penale
“Uccisione o danneggiamento di animali altrui” punisce chi uccide o
rende inservibili, deteriora o avvelena gli animali che appartengono ai
privati.
Bocconi avvelenati :L’articolo 727 del codice penale “Maltrattamento di
animali” punisce anche chi causa la morte per avvelenamento di essi,
mentre la legge sulla caccia punisce penalmente chi utilizza bocconi
avvelenati.
Disturbo delle persone :L’articolo 659 del codice penale “Disturbo delle
occupazioni o del riposo delle persone” punisce chi con rumori molesti
disturba le occupazioni o il riposo delle persone.
Spari nei pressi delle abitazioni :L’art. 703 del codice penale “Accensioni
ed esplosioni pericolose” punisce penalmente chi in un luogo abitato o
nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara
con armi da fuoco.
Come vietare la caccia nei propri terreni? : le leggi vigenti impediscono di
fatto di vietare ai cacciatori di entrare nei terreni agricoli dei privati a
meno che non siano recintati con rete non inferiore a 1,20 metri. Solo in
particolari casi e solo ogni 5 anni può essere richiesto per legge il divieto
di caccia.
NORMATIVA REGIONALE
Legge regionale n. 70 del 4 settembre 1996 -Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio - (B.U.25 Settembre
1996, n. 39) .Finalita' della legge-.La Regione Piemonte, in attuazione
dell'articolo 5 del proprio Statuto, ritiene l'ambiente naturale bene
primario di tutta la comunita', ne promuove la conoscenza, riconosce la
fauna selvatica come componente essenziale di tale bene e la tutela
nell'interesse della comunita' internazionale, nazionale e regionale.
L'Osservatorio regionale sulla fauna selvatica nasce nel 2002 con delibera
di Giunta in ottemperanza all'articolo 27 della L.R. 70/96 "Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio".
Gli ambiti generali d'intervento in cui opera l'Osservatorio sono:
la pianificazione faunistico-venatoria;
la creazione e gestione banca dati sulla fauna selvatica; la tutela e gestione
della fauna e rapporti fauna-agricoltura-territorio; la formazione, la
divulgazione e la sensibilizzazione in materia di tutela e gestione della
fauna selvatica. Nei primi due anni di attività sono stati predisposti il
Piano faunistico-venatorio regionale e la Banca dati faunistica.
. Il Comitato di Gestione è nominato dalla Provincia secondo le modalità
attuative del disposto dell'art.18 comma 4 della legge regionale n.70 del 4
settembre 1996. Il Comitato di Gestione dura in carica quattro anni.
. Il Comitato di Gestione viene rinnovato alla scadenza dall'Ente delegato
con le modalità indicate dalle norme attuative delle direttive della legge
n.157 dell' 11 febbraio 1992 e della legge regionale n.70 del 4 settembre
1996, vigenti. Il Comitato di Gestione uscente resta in carica sino alla
nomina del nuovo Comitato. Componenti comitato : Associazioni
agricole, venatorie, ambientalistiche, enti locali .
A titolo esemplificativo si citi l'attività di un A.t.c piemontese : si occupa,
nell'ambito delle proprie funzioni di attuazione della programmazione e
della gestione faunistico - venatoria, si segnalano in particolare: » Attività
burocratiche relative alla caccia:Il personale dell'A.T.C. disbriga le
pratiche relative all'ammissione dei cacciatori e cura la distribuzione dei
tesserini venatori;
Prevenzione danni alle colture agricole: La
prevenzione dei danni alle colture agricole prevede, oltre all'attuazione di
interventi di controllo nel rispetto della normativa vigente, anche
l'utilizzo di apposite trappole per la cattura dei corvidi, al momento
principale causa di danno alle coltivazioni. Risarcimento danni causati
dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria alle colture agricole
Gli agricoltori che abbiano subito danni alle proprie coltivazioni possono
presentare richiesta di rimborso presso la sede operativa dell'Ambito
Territoriale di Caccia. Il tecnico incarico dal Comitato di Gestione
provvederà ad effettuare una perizia in loco per accertare l'entità del
danno e provvedere alle pratiche di liquidazione.
» Regolamenti di caccia Il Comitato di Gestione provvede, nei limiti delle
proprie competenze e nel rispetto delle normative in materia, a produrre
appositi regolamenti per il prelievo venatorio alle seguenti specie:
capriolo (Capreolus Capreolus) /cinghiale (Sus Scrofa) /volpe (Vulpes
Vulpes)
» Gestione migliorie ambientali Per potenziare la capacità portante del
territorio, che in alcune zone dell'Ambito ha subito delle notevoli
mutazioni, ogni anno l'A.T.C. provvede ad effettuare degli interventi di
miglioramento ambientale, che si diversificano, dall'acquisto di colture in
campo in modo da offrire riparo e nutrizione alla fauna, all'incentivazione
di colture alternative per compensare la monocoltura di mais in alcuni
comuni, all'impianto di rive, fossi, ecc.
» Gestione aree protette: Il Comitato di Gestione si occupa, a seguito di
convenzione stipulata con l'Amministrazione Provinciale ma senza
nessun contributo di fondi pubblici, della gestione delle Zone di
Ripopolamento e Cattura e delle Oasi di protezione ricadenti sul territorio
di competenza.
» Aree a caccia specifica:Con l'intento di salvaguardare specie di
particolare pregio in ambienti ad elevata vocazionalità pur consentendo al
tempo stesso il prelievo di altre specie il Comitato di Gestione richiede
l'istituzione e cura la gestione di Aree a Caccia Specifica (A.C.S.).»
Vigilanza: Per conseguire ancora maggior efficienza nelle azioni di
controllo e sorveglianza del territorio è stata stipulata una apposita
convenzione tra gli organi direttivi dell'A.T.C. e le associazioni di
vigilanza volontaria.
GIURISPRUDENZA
Fauna oggetto di tutela: - "esemplare di specie selvatica": nozione
Per "esemplare di specie selvatica" - oggetto della tutela che la legge 11
febbraio 1992 n. 157 (legge quadro) appresta alle "specie di mammiferi e
di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o
temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale" deve intendersi ogni esemplare animale di specie protetta "di origine
selvatica" o proveniente da nascita in cattività limitata alla prima
generazione. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha
osservato che l'imputato non aveva dimostrato che i due uccelli oggetto di
commercializzazione fossero "nati o riprodotti" in cattività).cass. Pen. Sez.
III, sent. n. 5345 del 06-06-1997
Il concetto di fauna selvatica è riferito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157
alle "specie", intese come categorie generali, di mammiferi ed uccelli, dei
quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, in
stato di naturale libertà, sul territorio nazionale. Oggetto di "particolare"
protezione, ai sensi dell'art. 2, seconda parte, della legge n. 157 del 1992
citata, sono alcune specie di mammiferi ed uccelli, espressamente
indicate, nonché tutte le altre specie di mammiferi "minacciate di
estinzione" in base alla normativa comunitaria ed internazionale
specificamente richiamata: per queste categorie esiste un divieto assoluto
ed incondizionato di abbattimento, cattura e detenzione ex art. 30, della
legge n. 157 del 1992, lett. b), senza che possa essere eccepita la
provenienza da allevamento. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso con
il quale l'imputato deduceva inidonea motivazione in ordine alla
circostanza della provenienza da allevamento degli animali e, quindi,
della carenza della natura selvatica degli stessi, la S.C., pacifico che la
detenzione
riguardava
due
specie
"particolarmente
protette",
espressamente vietata dalla legge e sanzionata penalmente, ha osservato
che "Il pretore correttamente ha ritenuto che è punita "la semplice
detenzione degli esemplari faunistici" costituiti da cigni e volpoche e,
benché non fosse richiesto dalla normativa, ha escluso con accertamento
di merito la provenienza da allevamento delle specie in questione").
Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 7159 del 22-07-1997,
Caccia - Esercizio della caccia - Nozione - Caccia - Esercizio della caccia Nozione - Effettiva cattura o uccisione di selvaggina - Attività
preliminare o atto desumibile - Fattispecie: perlustrazione notturna con
uso di strumenti di puntamento - L. n. 157/1992. La nozione di esercizio
di attività venatoria contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 15 non va
intesa in senso riduttivo, ricomprendendo non soltanto l'effettiva cattura
o uccisione della selvaggina, ma altresì ogni altra attività preliminare o
atto desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo e che si
mostri diretto a tale fine. Ric. Febi M. - CORTE DI CASSAZIONE Penale
Sez. III, del 16/04/2003 (CC. 6 marzo 2003) sentenza n. 18088
Esercizio di caccia: nozione :L'ampia nozione di esercizio di caccia
comprende non solo l'effettiva cattura od uccisione della selvaggina, ma
anche ogni attività prodromica o preliminare organizzazione dei mezzi,
nonché ogni atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di
luogo, che, comunque, appare diretto a tale fine. Tali sono l'essere
sorpreso nel recarsi a caccia, con l'annotazione sul relativo tesserino, in
possesso di richiami vietati; il vagare o il soffermarsi con armi, arnesi o
altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina.Cass.
Pen. Sez. III, sent. n. 6812 del 05-07-1996 (ud. del 05-06-1996
L'ampia nozione di esercizio di caccia comprende non solo l'effettiva
cattura od uccisione della selvaggina, ma anche ogni preliminare
organizzazione di mezzi, ogni atto che, comunque, appare diretto a tale
fine. Pertanto l'apprestamento dei richiami destinati ad attirare la
selvaggina di passo e la loro collocazione in un appostamento fisso di
caccia (lasciandoveli per tutta la notte) è atto di esercizio di caccia.
Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1908 del 30-12-1969 (ud. del 27-10-1969)
L'apprestamento di richiami per la selvaggina, in ore notturne diverse da
quelle consentite dall'art. 36, comma secondo, del T.U. 5 giugno 1939 n.
1016, modificato dall'art. 11 della legge 2 agosto 1967 n. 799, costituisce
reato, rientrando tale apprestamento nell'ampia nozione di esercizio di
caccia, comprensivo non solo dell'effettiva cattura ed uccisione della
selvaggina, ma anche di ogni preliminare organizzazione di mezzi diretti
a tale fine.Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5976 del 10-08-1973 (ud. del 02-041973),
Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia, vanno desunte
attraverso una situazione di pericolo, posta in essere con atti che abbiano
per fini ultimi l'uccisione o la cattura della selvaggina. Tale situazione di
pericolo è concretata da elementi sintomatici, quali il vagare o il
soffermarsi, con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o
di attesa della selvaggina. Pertanto, l'uso di fari abbaglianti per attirare le
lepri, costituisce un modo idoneo allo scopo.
Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5327 del 19-05-1975 (ud. del 21-11-1974),
Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia vanno desunte
attraverso una situazione di pericolo, che viene realizzata da quegli atti
che abbiano, per fine ultimo, l'uccisione o la cattura della selvaggina.
Detta situazione è posta in essere da elementi sintomatici, quali il vagare
od il soffermarsi, con armi, arnesi od altri mezzi idonei, in attitudine di
attesa o di ricerca della selvaggina. Ne consegue che l'uso dei fari
abbaglianti di un'autovettura che abbagliano le lepri costituisce un mezzo
di caccia idoneo allo scopo. Quindi anche al di fuori o senza i mezzi
comuni usati per la cacciagione (fucili, lacci, eccetera) costituisce esercizio
di caccia.
Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 9753 del 22-10-1975 (ud. del 23-01-1975),
Caccia - Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
il prelievo venatorio - Esercizio della caccia - Compiti dell'I.N.F.S. Abbattimento selettivo di specie nocive - Artt. 4, 7, 19 L. n. 157/1992. In
tema di reati venatori, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), è
rivolta ad apprestare le più ampie forme di tutela della fauna selvatica,
nell'ambito di una normativa che disciplina anche l'attività venatoria
quale mezzo consentito di cattura e di abbattimento delle specie protette
nei limiti imposti dalla stessa legge; sicché la fauna selvatica, in quanto
appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, può essere sottratta
alla sua destinazione naturale solo nei limiti e con le modalità previste
dalla legge. Ne consegue che ai sensi degli artt. 7 e 19 della detta legge il
potere deliberante in materia di controllo della fauna selvatica, nella cui
nozione rientra la previsione di abbattimento selettivo di specie nocive o
l'adozione di misure atte a determinare la riduzione numerica di alcune
specie in favore di altre incompatibili con le prime e ritenute meritevoli di
maggior tutela, è attribuito in via esclusiva alle Regioni. CORTE DI
CASSAZIONE Penale Sez. III, del 31/01/2003 (UD. 11/12/2002) sentenza
n. 4694
Effettiva cattura o uccisione di selvaggina - Attività preliminare o atto
desumibile - Fattispecie: perlustrazione notturna con uso di strumenti
di puntamento - L. n. 157/1992. La nozione di esercizio di attività
venatoria contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 15 non va intesa in
senso riduttivo, ricomprendendo non soltanto l'effettiva cattura o
uccisione della selvaggina, ma altresì ogni altra attività preliminare o atto
desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo e che si
mostri diretto a tale fine. Ric. Febi M. - CORTE DI CASSAZIONE Penale
Sez. III, del 16/04/2003 (CC. 6 marzo 2003) sentenza n. 18088;
Divieto di caccia nelle zone percorse dal fuoco: La nuova legge quadro
in materia di incendi boschivi L 353/2000 all'art. 10 comma 1 vieta per
dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal
fuoco, il pascolo e la caccia, prevedendo una sanzione da 400.000 lire a
800.000 lire. La stessa legge impone alle regioni di redigere un piano
regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi
boschivi Nel caso della Regione Piemonte è a disposizione in rete, sia il
piano, che la cartografia aggiornata degli ultimi 3 anni con le aree
interessate dagli incendi dove e' chiaramente vietata la caccia.
La caccia illecita nei parchi ed aree protette: l’eventuale assenza dei
cartelli delimitativi dei confini del parco è rilevante ai fini della
integrazione delle violazioni? Si sostiene infatti che se mancano i cartelli
(spesso divelti dolosamente) gli illeciti non sono contestabili…
La questione della inesistenza dei cartelli delimitatori delle aree protette:
Una teoria dottrinaria e giurisprudenziale, isolata, vuole i bracconieri
impuniti e impunibili se vanno a caccia in un parco o in un’area protetta e
i cartelli delimitativi non sono stati ancora installati o, peggio, sono stati
preventivamente eliminati. Si richiama sul punto la buona fede e la
presunta ignoranza dei confini da varcare. Registriamo sul tema due
importanti e condivisibili sentenze del Pretore di Patti (sez. Distaccata di
Naso, 7 dicembre 1995, n. 266 e 267 -) ed una del Pretore di Roma (sez. I 14 gennaio 1995 - ) che condannano diversi imputati accusati di aver
esercitato la caccia in area parco pur in assenza dei cartelli delimitativi del
parco stesso.Si sottolinea il concetto in base al quale gli artt. 21 e 30 della
legge n. 157/92 (legge quadro sulla caccia) non costituiscono norme
penali in bianco e dunque «esse non rimandano, ai fini della punibilità dei
contravventori, alla emanazione di atti di normazione secondaria quali
possono essere quelli di competenza della Regione e degli enti deputati in
riferimento alla tabellazione della perimetrazione dei parchi naturali,
giacché la norma commina incondizionatamente le sanzioni penali a chi
esercita la caccia nei parchi naturali e delle oasi di protezione». E dunque
la cartellonistica non viene ritenuta dal Pretore di Patti elemento
essenziale per la conoscenza dei confini anche perché «attraverso un
accurato esame dello strumento cartografico regionale è possibile
individuare con esattezza la perimetrazione del Parco dei Nebrodi»; ed
anche la campagna attuata dai cacciatori locali contro il parco stesso viene
ritenuta dal pretore ulteriore elemento di certezza di conoscenza della sua
precisa esistenza dato che non si trattava «di un ignoto parco o ignota
riserva regionale».Il Pretore di Roma, a sua volta, evidenzia che pur in
assenza della tabellazione l’area del divieto di attività venatoria ove era
stato individuato l’imputato in atteggiamento di caccia «era ben
evidenziabile sia dalla planimetria predisposta dalla “Ripartizione
caccia”, sia dal calendario venatorio predisposto dalla Federazione
Italiana della Caccia, strumenti questi di facile e necessaria consultazione
per chi voglia esercitare la caccia»; si sottolinea poi che «il reato p.e p.
dall’art. 30 lett. D legge n. 157/92 è ipotesi contravvenzionale
sanzionabile soggettivamente anche a titolo di mera colpa».
Successivamente la Corte di Cassazione ha ribadito e confermato questi
concetti: «I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con
appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non
necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come
aree ove sia vietata l’attività venatoria. A questi non si applica pertanto la
disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede
la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunisticovenatoria». (Cass. pen., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4756 - Giacometti P.).
Il principio è dunque chiarissimo. La buona fede per il superamento dei
confini non tabellati di un parco non può certo essere riconosciuta a colui
che esercita la caccia in un’area che è ben nota come parco o zona protetta
e non si può dunque accedere all’alibi precostituito del difetto di
tabellazione.
La delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall'articolo
18 della legge n. 157 del 1992, sia con riferimento alle regioni ad
autonomia ordinaria sia alle regioni (e province) ad autonomia speciale
(sentenze n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002) "è da considerare come rivolta
ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili,
corrispondendo quindi, sotto questo aspetto, all'esigenza di tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva
dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi
di tutela della fauna" (sentenza n. 311 del 2003). Analoga ratio va
riconosciuta alla previsione del termine giornaliero, anch'esso fissato al
fine di garantire la sopravvivenza e la riproduzione delle specie
cacciabili.
Caccia - L. 157/92 - Finalità primaria - Protezione della fauna. Il fine
pubblico primario e prevalente perseguito dalla L. 157/92 (anche in
attuazione di obblighi comunitari e internazionali) consiste nella
protezione della fauna, obiettivo prioritario al quale deve subordinarsi e
aderire la regolamentazione dell’attività venatoria. Pres. Coraggio, Est.
Buonauro - W.W.F. Italia (Avv. Balletta) c. Provincia di Caserta (n.c.) T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 27 maggio 2005, n. 7269
Caccia - Aree naturali protette - Attività venatoria - Divieto di caccia in
zone sottoposte a vincolo ex legge 394 del 1991 - Facoltà delle regioni di
perimetrazione delle zone di divieto - Zona precedentemente perimetrata
- Nuova perimetrazione con decreto regionale - Conseguente legittimità
della caccia - Art. 21, L. n. 157/1992. In materia di caccia, la facoltà delle
Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali
regionali, ove restringere il divieto sancito dalla legge statale, ex art. 21,
legge 11 febbraio 1992 n. 157, anche se esercitata con decreto
dell'assessore regionale, determina la abolizione della fonte subprimaria
integrativa della fattispecie ed il conseguente disvalore penale dell'attività
di caccia, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della
condotta punibile. Presidente: Papadia U. Estensore: Franco A. Relatore:
Franco A. Imputato: Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla
senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE
Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143
Aree Protette - Caccia - Riserva naturale - Abusivo esercizio della caccia
all'interno di una riserva regolarmente istituita - Assenza di
tabellazione - Buona fede - Esclusione - Onere dell’esatta individuazione
dei confini dell’area protetta. Non è invocabile la buona fede in ordine
all’esercizio della caccia all'interno di una riserva regolarmente istituita
(nella specie con decreto della Regione Sicilia), ma non segnalata da
apposite tabelle. Sicché, i parchi nazionali, essendo stati istituiti e
delimitati con appositi provvedimenti pubblicati nulla Gazzetta ufficiale,
non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come
aree ove sia vietata l’attività vessatoria (Cassazione Sezione terza,
4756/98, Giacometti, Rv 210516). Nella specie infatti col decreto istitutivo
della riserva è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale regionale anche la
relativa planimetria donde la presunzione di conoscenza dei relativi
confini, pertanto l’introduzione a fini di caccia non può essere in alcun
modo giustificata sussistendo a carico di chi esercita attività venatoria
l’obbligo di acquisire tutti i dati conoscitivi necessari per il suo corretto
esercizio desumibili oltre che dallo strumento cartografico regionale, dalla
pubblicazione calendario venatorio. Ne consegue che l’abusivo esercizio
della caccia è sanzionabile a titolo di colpa anche in assenza di
tabellazione gravando su chi esercita la caccia l’onere dell’esatta
individuazione dei confini dell’area protetta nella specie violati in
profondità. CORTE DI CASSAZIONE Sez III, 26 gennaio 2005, Sentenza
n. 5489
Caccia e pesca - Caccia - Piano faunistico venatorio - Associazioni
faunistiche - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva - Limiti. Le
associazioni venatorie non sono legittimate a far valere in giudizio motivi
di censura che riguardino il procedimento di formazione del piano
faunistico venatorio, in quanto la L. 157/92 non riconosce loro alcun ruolo
specifico nella fase procedimentale di approvazione del piano; possono
invece far valere eventuali illegittimità di aspetti contenutistici del piano
che incidano direttamente sull’attività faunistica o venatoria e che, quindi,
richiamino direttamente l’interesse diffuso di cui i predetti enti siano
soggetti esponenziali. Pres. Tosti, Est. Lo Presti - E.P.S. (Avv. Giuffrè) c.
Regione Lazio (Avv. Bottino) - T.A.R. LAZIO, Sez. I ter - 21 gennaio 2005,
n. 500
Caccia e pesca - Caccia - Piano faunistico venatorio - Aree da tutelare Individuazione
di
caratteristiche
dimensionali
minime
al
fine
dell’assoggettamento alla disciplina vincolistica - Legittimità - Potere di
valutazione tecnico discrezionale dell’amministrazione. Appartiene al
potere di valutazione tecnico discrezionale dell’Amministrazione che
predispone il piano faunistico venatorio stabilire la tutelabilità soltanto di
aree che, anche in considerazione delle dimensioni, risultino tali da
evidenziare una valenza precipua sul piano della salvaguardia ambientale
e faunistica, con conseguente esclusione delle aree troppo ridotte sul
piano dimensionale dalla percentuale complessiva di quelle assoggettabili
alla disciplina vincolistica. - T.A.R. LAZIO, Sez. I ter - 21 gennaio 2005, n.
500 Detenzione di animali di specie protetta. L’art. 1 della legge n. 150
del 1992, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 59 del 1993, nel punire
chi, in violazione di quanto disposto dal D.M. 31 dicembre 1983, detiene
animali di specie protetta, non richiede affatto che la detenzione sia
finalizzata alla vendita, essendo sufficiente che la detenzione di tali
animali sia frutto di una importazione illegittima. Cass. pen., sez. III, 1
marzo 2000, n. 2598
Detenzione di uccelli imbalsamati appartenenti a specie protette - reato
ex art. 1 L.150\92. La detenzione di uccelli imbalsamati appartenenti
alle specie tutelate dall'art. 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, non
integra il reato contravvenzionale previsto dall'art. 30, comma 1, lett. b) di
detta legge, atteso che questa intende solo tutelare la fauna selvatica in
quanto possibile oggetto di attività venatoria. Né potrebbe trovare
applicazione il disposto di cui al comma 2 del citato art. 30 (in base al
quale la violazione delle disposizioni in materia di imbalsamazione e
tassidermia dettate dalla stessa legge n. 157/92 è soggetta alle medesime
sanzioni previste per l'abbattimento degli animali le cui spoglie vengano
sottoposte ai suddetti trattamenti), dal momento che l'art. 6, comma 3,
della legge in questione, al quale fa implicito richiamo l'art. 30, comma 2,
sanziona solo le condotte illecite di imbalsamatori e tassidermisti, e non
anche quelle di terzi detentori di "preparazioni tassidermiche e trofei". È
configurabile, invece, il reato di cui all'art. 1 della legge 7 febbraio 1992 n.
150, qualora gli uccelli imbalsamati, pur se non detenuti a fine di
commercio, appartengano alle specie minacciate di estinzione, quali
indicate negli allegati al Reg. CEE n. 3626/82 (poi sostituito dal Reg. n.
338/1997, a sua volta modificato dal Reg. n. 938/1997), cui si fa
riferimento nella norma incriminatrice. Cass. pen., sez. III 18 aprile 2000,
n. 4752
Furto venatorio Cassazione su: Caccia – Selvaggina – appropriazione
illecita e furto“ Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del
patrimonio indisponibile dello Stato è ancora oggi applicabile nel
regime della legge n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui
l’apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona
non munita di licenza di caccia.” (Cass. Pen., sez. IV, 11 agosto 2004, n.
34352 (ud. 24 maggio 2004) Peano e altro);Furto venatorio
Cassazione su: Caccia – Appropriazione illecita –Furto venatorio – Fatto
commesso da persona no munita di licenza di caccia – Configurabilità
del reato ex L. n. 157/92 – Fondamento-CORTE DI CASSAZIONE La
nuova legge sulla caccia 11 febbraio 1992, n. 157 non esclude in via
assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio”; in realtà al
contrario prevede tale esclusione solamente in relazione ai casi
specificamente previsti dagli artt. 30 e31, e cioè quelli riguardanti il
cacciatore munito di licenza che viola la stessa e caccia di frodo. Ne deriva
che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio
indisponibile dello Stato è dunque ancora oggi applicabile nel regime
della L. n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui l’apprensione o il
semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di
licenza di caccia. (Mass. Redaz.)
Periodo di caccia non consentita -Cassazione su: Caccia – Esercizio della
caccia – limitazioni – reato di caccia in periodo non consentito“Il reato
di esercizio della caccia in periodo di divieto previsto dall’art. 30,
comma 1 lett a), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, è configurabile anche
nel caso in cui, pure essendo aperta la caccia in via generale, venga
abbattuto un esemplare per il quale lo specifico esercizio venatorio non
sia consentito ex art. 18 della citata legge n. 157. “ (Cass. Pen.; sez. III, 18
giugno 2004 n. 27485)
in precedenza invece: 'impossessamento della fauna selvatica - parte
integrante del patrimonio dello Stato - pur quando sia stato realizzato
in violazione alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'attività
venatoria, ovvero quando abbia avuto a oggetto esemplari sottratti, in via
definitiva o provvisoria, alla caccia, non può essere più punito a titolo di
furto, in base a quanto disposto dal terzo comma dell'art. 30 della legge 11
febbraio 1992 n. 157, ma può solo integrare una delle ipotesi
contravvenzionali espressamente previste dall'art. 30 della stessa legge.
Viceversa, il tentativo di impossessamento della fauna selvatica, pur se
compiuto in violazione delle medesime prescrizioni, non solo non può
configurare il delitto di tentato furto, essendo, "ex lege", interdetta
l'applicazione degli artt. 624-625 e 626 c.p., ma neppure può essere
sussumibile in alcuna delle ipotesi contravvenzionali indicate nell'art. 30
della citata legge, prevedendo queste soltanto l'effettivo abbattimento
ovvero l'avvenuta cattura di alcuni esemplari protetti: in mancanza di
un'espressa deroga all'art. 56 c.p., la disciplina normativa del tentativo
non è estensibile alle contravvenzioni, ancorché queste siano realizzabili
con condotte complesse e frazionabili.
Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 5548 del 12-05-1992 (ud. del 12-03-1992),
Placenti. Si ripete :L'impossessamento della fauna selvatica - parte
integrante del patrimonio dello Stato - pur quando sia stato realizzato
in violazione alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'attività
venatoria, ovvero quando abbia avuto a oggetto esemplari sottratti, in via
definitiva o provvisoria, alla caccia, non può essere più punito a titolo di
furto, in base a quanto disposto dal terzo comma dell'art. 30 della legge 11
febbraio 1992 n. 157, ma può solo integrare una delle ipotesi
contravvenzionali espressamente previste dall'art. 30 della stessa legge.
Viceversa, il tentativo di impossessamento della fauna selvatica, pur se
compiuto in violazione delle medesime prescrizioni, non solo non può
configurare il delitto di tentato furto, essendo, "ex lege", interdetta
l'applicazione degli artt. 624-625 e 626 c.p., ma neppure può essere
sussumibile in alcuna delle ipotesi contravvenzionali indicate nell'art. 30
della citata legge, prevedendo queste soltanto l'effettivo abbattimento
ovvero l'avvenuta cattura di alcuni esemplari protetti: in mancanza di
un'espressa deroga all'art. 56 c.p., la disciplina normativa del tentativo
non è estensibile alle contravvenzioni, ancorché queste siano realizzabili
con condotte complesse e frazionabili.Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 5548 del
12-05-1992 (ud. del 12-03-1992).
Divieto di attività venatoria Cassazione in materia di caccia – Divieti Divieto di attività venatoria – Contenuto del divieto“Il contenuto del
divieto dell’attività venatoria, come enunciato nell’art. 18 della legge 11
febbraio 1992, n. 157(norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio), va individuato facendo ricorso
alla legge regionale, poiché il comma primo della citata disposizione
attribuisce alle Regioni il potere di stabilire il calendario dell’intera annata
venatoria ed in questa materia la legge statale ha uno spazio di
applicazione residuale, secondo quanto stabilito dall’art. 117 Cost. inoltre
il contenuto generale del divieto, in base al combinato disposto tra l’art.
18 e l’art. 30, lett. a) della citata legge, non cessa di essere tale anche nel
caso in cui la legislazione regionale individui i destinatari di esso solo nei
soggetti non residenti nella Regione stessa, con la finalità di tutelare la
fauna dagli abbattimenti eccessivi.” (Cass. Pen., sez. III, 12 maggio 2004,
n. 22753 (ud. 11 marzo 2004), Rea. (L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18; L. 11
febbraio 1992, n. 157, art. 30).
Caccia - Divieti - Aree protette - Parchi nazionali : I parchi nazionali,
essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione
perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l'attività
venatoria. A questi non si applica pertanto la disciplina di cui all'art. 10
della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede la perimetrazione delle
aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria.Cass. pen., sez. III, 22
aprile 1998, n. 4756 (ud. 9 marzo 1998
La direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, si
applica alle sottospecie di uccelli che vivono naturalmente allo stato
selvatico soltanto al di fuori del territorio europeo degli Stati membri se la
specie cui appartengono o altre sottospecie di questa vivono naturalmente
allo stato selvatico nel detto territorio.
Infatti, in primo luogo risulta sia dal secondo e dal terzo 'considerando' e
dall' art. 1 della direttiva, sia dalla direttiva nel suo complesso che questa
mira alla efficace protezione dell' avifauna europea e che tale protezione
si basa sulla nozione di specie, la quale comprende, nella tassonomia
aviaria, tutte le suddivisioni di una specie, quali le razze e le sottospecie.
In secondo luogo, considerato che la nozione di sottospecie non si fonda
su criteri distintivi così rigorosi ed oggettivi come quelli impiegati allo
scopo di delimitare le specie tra loro, se la sfera di applicazione della
direttiva si limitasse alle sottospecie viventi nel territorio europeo e non si
estendesse alle sottospecie non europee, sarebbe difficile applicare la
direttiva negli Stati membri e si rischierebbe pertanto di causare un'
applicazione non uniforme della medesima nella Comunità. Specie
cacciabili e specie protette
L'abbattimento di animali cacciabili nel corso della stagione venatoria ,
ma in periodo non ammesso per la singola specie : per la Cassazione
equivale a caccia in periodo di divieto generale. Con la recente Sentenza
n.27485 del 18 giugno 2004 della III Sezione Penale della Corte di
Cassazione, conforme alle precedenti n.34293 del 2002, e n.2499 del 1999,
si è ormai ampiamente consolidata l'innovativa tesi giurisprudenziale
secondo la quale abbattere una specie cacciabile fuori dal periodo
espressamente indicato per la specie stessa, anche se in stagione venatoria
aperta, equivale a cacciare in periodo di divieto generale.
L'interpretazione sopra evidenziata ha conseguenze, sempre in campo
penale,
differenti
per
l'autore
dell'illecito,
essendo
il
reato
contravvenzionale previsto dall'art. 30, primo comma -lettera a) della
legge 157/92, inerente la caccia di frodo in periodo di divieto generale,
sanzionato più pesantemente rispetto all'ipotesi di abbattimento di specie
protette, contemplato dalla successiva lettera h) del medesimo articolo.
Peraltro, mentre nel caso dell'abbattimento di una specie protetta, la
sospensione della licenza da uno a tre anni in caso di condanna definitiva
si applica solo alle ipotesi di recidiva, nel caso della caccia in periodo di
divieto generale la sospensione stessa diventa applicabile già alla prima
condanna definitiva.
Il personale di vigilanza dovrà anche tenere conto che, ipotizzando nelle
proprie comunicazioni di notizia di reato per questa fattispecie la
violazione dell l'art. 30/lett. a) della legge 157/92, sarà tenuto, in caso di
mancata
oblazione
entro
30
giorni,
ad
effettuare
la
prescritta
comunicazione al Questore per la eventuale sospensione cautelare della
licenza di porto di fucile, in attesa del pronunciamento del giudice.
Caccia - Calendario venatorio - Inizio o fine dei periodi di caccia nei
giorni di silenzio venatorio - Previsione - Necessità - (c.d. giornate di
silenzio venatorio). Nel silenzio del calendario venatorio, che prevede
alcuni giorni iniziali e finali che cadono proprio nelle due giornate della
settimana precluse per legge alla caccia - le c.d. giornate di silenzio
venatorio (che, come è noto, sono martedì e venerdì) - non può essere
risolto sul piano interpretativo il dubbio sulla eventuale permissione o
sulla vigenza del divieto di legge anche nei predetti giorni, con
conseguente necessità di riformulare il calendario, in modo conforme al
dettato legislativo, ( legge n. 157/1992) senza prevedere inizio o fine dei
periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio o prevedendo che
comunque deve essere assicurato il rispetto di tali giorni di astensione
dalla caccia, con conseguente automatico slittamento dei termini.
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (cc. 15 giugno 2004),
sentenza n. 7491 Caccia - Calendario venatorio - Inizio o fine dei periodi
di caccia nei giorni di silenzio venatorio - Previsione - Necessità - (c.d.
giornate di silenzio venatorio). Nel silenzio del calendario venatorio, che
prevede alcuni giorni iniziali e finali che cadono proprio nelle due
giornate della settimana precluse per legge alla caccia - le c.d. giornate di
silenzio venatorio (che, come è noto, sono martedì e venerdì) - non può
essere risolto sul piano interpretativo il dubbio sulla eventuale
permissione o sulla vigenza del divieto di legge anche nei predetti giorni,
con conseguente necessità di riformulare il calendario, in modo conforme
al dettato legislativo, ( legge n. 157/1992) senza prevedere inizio o fine dei
periodi di caccia nei giorni di silenzio venatorio o prevedendo che
comunque deve essere assicurato il rispetto di tali giorni di astensione
dalla caccia, con conseguente automatico slittamento dei termini.
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (cc. 15 giugno 2004),
sentenza n. 7491
La delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall’art. 18
della legge n. 157 del 1992 - nucleo minimo di salvaguardia della fauna
selvatica - esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema illegittimità dell’estensione del periodo venatorio in deroga alla
previsione legislativa statale. La delimitazione temporale del prelievo
venatorio disposta dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad
assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e
risponde all’esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema per il cui
soddisfacimento l’art. 117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario
l’intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale. Come già
affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, vi è un "nucleo
minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi accanto all’elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità
di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali
misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento
agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio". La legge regionale
impugnata ha inciso proprio su questo nucleo minimo di salvaguardia
della fauna selvatica, procrastinando la chiusura della stagione venatoria
oltre il termine previsto dalla legge statale. In base alla legge impugnata,
la stagione di caccia è stata così prolungata per diverse specie di fauna
selvatica (alzavola, cesena, colombaccio, beccaccia, beccaccino, marzaiola,
pavoncella, tordo bottaccio e tordo sassello) oltre il termine del 31
gennaio, secondo quanto risulta dal calendario venatorio 2002/2003
contenuto nel decreto dell’Assessore della difesa dell’ambiente della
Regione Sardegna del 3 luglio 2002, n. 19/V. L’estensione del periodo
venatorio operata in tal modo dalla regione costituisce una deroga
rispetto alla previsione legislativa statale, non giustificata da alcun
elemento peculiare del territorio sardo, anche in considerazione del fatto
che l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, organismo tecnico
scientifico cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza
sulla materia, ha espresso in proposito un valutazione negativa. Né essa
può farsi rientrare tra le deroghe al regime di protezione della fauna
selvatica che la direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli
uccelli selvatici, consente all’art. 9 solo per le finalità ivi indicate, rivolte
alla salvaguardia di interessi generali (sentenza n. 168 del 1999), fra le
quali non possono essere comprese quelle perseguite dalla legge
regionale impugnata. Corte Costituzionale, del 20 dicembre 2002,
sentenza n. 536.
DOTTRINA
Recupero animali selvatici feriti -Domanda :Sempre più spesso viene
richiesto dai cittadini, ma anche dai comuni e dalle forze di polizia
generale e locale, l'intervento della polizia provinciale per il recupero di
animali selvatici feriti, quali cigni, gufi, rondoni, ecc.Ragionevoli
appaiono
soluzioni
operative,
già
poste
in
essere
da
alcune
Amministrazioni Provinciali , con cui non solo i compiti di cura
veterinaria, ma anche del mero recupero sul territorio, sono stati assegnati
dalla Provincia stessa ad altri soggetti (enti, associazioni, ecc.), anche
mediante apposite convenzioni a titolo oneroso per l'Ente. Ciò ferme
restando più specifiche previsioni stabilite dalla normativa venatoria
regionale Il personale della nostra amministrazione provinciale provvede
al recupero e poi al trasporto presso un apposito Centro di recupero
animali selvatici.Sembra però che le norme vigenti assegnino questa
incombenza solo per gli animali selvatici sottoposti a sequestro dagli
stessi agenti.
Risposta :A prescindere dalle disposizioni di dettaglio sulla fauna
selvatica sequestrata, contenute nell'art. 28 , terzo comma, della legge
157/92 ,che attiene ai compiti del personale di vigilanza , non c'è dubbio
che che il recupero degli animali selvatici feriti o in difficoltà
(appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato) , e la loro eventuale
cura e destinazione, possa a pieno titolo rientrare tra le funzioni
amministrative di "protezione della fauna" già a suo tempo assegnate alle
Province dalla legge 142/90 (richiamata dall'art. 9 delle legge 157/92
nell'ambito della ripartizione dei compiti in campo faunistico-venatorio).
Iter amministrativi per escludere un territorio dalla caccia :Domanda:
Qual'è l'iter che una amministrazione comunale dovrà intraprendere
per far sì che il proprio territorio venga escluso dagli ATC provinciali di
caccia e/o come poter inibire l'attività venatoria nel proprio territorio?
due sembrano gli strumenti per poter inibire l'attività venatoria in un
certo territorio, e
sempre fatta salva l'ipotesi che lo stesso non sia
ricompreso all'interno di aree in cui la caccia è vietata ex lege (es. aree
protette, valichi
montani, aree boscate percorse dal fuoco).Il primo,
azionabile nel breve periodo, è quello delle ordinanze sindacali
contingibili e urgenti. Come è noto, l'art.54 del D.lgs. n.267/00 (TU degli
enti locali) prevede espressamente che il Sindaco, in qualità di ufficiale di
governo, possa adottare, con atto motivato e nel rispetto dei principi
generali dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti in materia
di sanità, igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire o eliminare
gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini. Laddove
ne
ricorrano i presupposti di legge (diversamente le ordinanze de quibus
sarebbero facilmente oggetto di impugnativa innanzi ai TAR regionali),
va
sicuramente riconosciuto al Sindaco il potere
periodo di
di vietare, per un
tempo e in una zona circoscritta, l'esercizio della caccia,
generalmente motivando in ordine alla tutela della pubblica incolumità. (
su questo specifico punto, vadasi, ex multis, CdS, VI, 26.5.03 n.2387) e
fatta salva la possibilità che le condotte serbate dai cacciatori possano, in
concreto
particolare
essere ricondotte a quelle rubricate nel codice penale, con
riferimento agli artt. 614 8violazione di domicilio), 635
(danneggiamento), 636 (Introduzione o abbandono di animali nel fondo
altrui e pascolo abusivo), 637 (Ingresso abusivo nel fondo altrui), 659
(Disturbo delle occupazioni e riposo delle persone) e 703 (Accensioni ed
esplosioni pericolose) c.p.
Nel lungo periodo, al contrario, lo strumento da azionare è quello del
piano-faunistico venatorio. Di recente, ad esempio, su ricorso di diverse
associazioni ambientaliste, il TAR Liguria ha annullato in toto i Piani
adottati dalla Province di Genova e Imperia, proprio perché contenenti
previsioni che violavano la normativa statale in tema di caccia, e perché,
in ogni caso, era stata varata una programmazione venatoria affatto
insostenibile per i territori interessati.
Cane da ferma
Domanda: Un cane da ferma che durante un
addestramento da parte di un cacciatore catturi un esemplare di fauna
selvatica durante una giornata di silenzio venatorio o in periodo di
divieto generale può essere considerato mezzo di caccia vietato o il
possessore del cane incorrerà solamente in una sanzione amministrativa
per ad esempio detenzione di esemplare di fauna selvatica? Si può qundi
considerare l'addestramento con conseguente abbattimento di fauna per
mezzo del cane come atteggiamento di caccia nonostante il cacciatore sia
sprovvisto di fucile? Il cacciatore in questione in quale reato o violazione
amministrativa incorre? Se questa stessa ipotesi si verificasse ad opera di
un cane di proprietà di un non cacciatore?
Il cane impiegato nelle attività venatorie per scopi di ricerca e recupero
della selvaggina può essere considerato un mezzo di caccia ausiliario,
benchè non ammesso per fini di uccisione diretta delle prede (in quanto i
mezzi autorizzati sono solo le armi contemplate dall'art. 13 della legge
157/92).Conforta in tal senso l'esclusione del cane dai mezzi di caccia
soggetti a sequestro penale (art. 28,secondo comma, legge 157/92), con ciò
implicitamente considerandosi il cane stesso un possibile mezzo di caccia.
L'uccisione dolosa di un selvatico per mezzo di un cane ,di qualunque
razza,in periodo di silenzio venatorio o di chiusura generale dovrebbe
pertanto integrare le corrispondenti ipotesi di reato, anche se non siamo a
conoscenza di precedenti giurisprudenziali per questa fattispecie.
Ricordiamo che l'abbattimento, la cattura o la detenzione di un esemplare
di specie protetta comportano la medesima sanzione penale,ex art.
30,primo comma-lett. h), della legge 157/92, sicchè è scarsamente
influente –a fini sanzionatori - la modalità con cui sia stata sottratta in
natura la selvaggina non cacciabile, fatta salva la discrezionalità del
giudice nel determinare l'importo dell'ammenda.
Si ritiene non incorra in reato chi allena il cane in periodo di divieto
generale senza apprensione di fauna selvatica, in quanto la definizione di
"atteggiamento di caccia" presuppone (ex art. 12, commi secondo e terzo ,
legge 157/92) una ricerca o un'attesa da parte del cacciatore per
“abbatterla" con i mezzi di cui all'art. 13 (armi da fuoco a canna lunga
espressamente elencate).Si applicheranno in tal caso le specifiche sanzioni
amministrative previste dalle apposite norme regionali.
Peraltro il quarto comma del già citato art. 12 esenta da responsabilità nei
casi abbattimento per casi fortuiti con altri mezzi (ipotesi che potrebbe
calzare per un cane di proprietà sfuggito al controllo del padrone senza
intenzioni di tipo venatorio
Governo di cinghiali in periodo di silenzio venatorio -Domanda:
Commettono reato o altra violazione specifica quei cacciatori che nel
periodo di silenzio venatorio governano con mangimi, cereali ecc... i
cinghiali (presso pozze d'acqua nel bosco) al fine di mantenerli nella zona
e cacciarli successivamente in periodo di esercizio venatorio?Risposta
Non esiste, a livello di normativa statale, una fattispecie di reato o di
infrazione aministrativa per attività di questo tipo. La pratica della
collocazione di cereali finalizzata a dissuadere locali popolazioni di
cinghiale dall'alimentarsi presso zone coltivate,talvolta promosa da
amministrazioni provinciali ed Ambiti Territoriali di Caccia, è tuttora
oggetto di un controverso dibattito tra gli addetti ai lavori (vi è chi
auspica che tali metodiche "alleggeriscano" la pressione degli ungulati su
alcune produzioni agricole,mentre altri sostengono che in tal modo si
riduce la mortalità naturale fornendo fonti di cibo supplementari,e spesso
non alternative, a quelle dei coltivi che si vogliono tutelare). Per
riscontrare violazioni in tal senso ,se previste,occorre fare riferimento ad
eventuali divieti previsti da norme regionali,regolamentazioni provinciali
o di singoli enti parco.
Domanda: Ai parchi nazionali si applica la disciplina di cui all’art. 10
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che prevede la perimetrazione delle
aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria?Risposta: No. La
Cassazione si e’ pronunciata su questo tema: “Ai parchi nazionali non si
applica la disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157
che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione
faunistico-venatoria, atteso che essendo stati istituiti e delimitati con
appositi
provvedimenti
pubblicati
sulla
Gazzetta
Ufficiale,
non
necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come
aree ove sia vietata l’attività venatoria.” ( Cass. pen., sez. III, 6 giugno
2003, n. 24786, Fiorelli ed altro)
ASPETTI GIURIDICI CONNESSI ALLA RES COMMUNIS :
Per i romani la fauna selvatica non apparteneva a nessuno, ovvero
diventava di proprietà di chi la catturava.; anteriormente alla Legge 27
dicembre 1977 n. 968 si era ritenuto che la selvaggina appartenesse
all'ampio e variegato genus delle res nullius , alla luce del combinato
disposto dell'art. 923 c.c. e Testo Unico della Caccia approvato con regio
Decreto 1939 n. 1016; la questione dell'applicabilità dell'art. 2052 non si
poneva nemmeno; quindi anteriormente al 1977 non potendosi dire che
la selvaggina appartenesse a qualcuno, nessuno era tenuto alla vigilanza
rispondendo dei danni da essa provocati o meglio rispondeva solo colui
che l'aveva catturata perché catturandola ne era diventato proprietario. Il
quadro
normativo
ha
subito
una
trasformazione
radicale
con
l'approvazione della citata legge quadro sulla caccia; infatti l'art. 1 della
Legge n. 968/77 , introducendo una profonda innovazione normativa e
concettuale, stabilì l'inclusione della fauna selvatica nel patrimonio
indisponibile dello Stato vanificando la prima interpretazione sopra
riportata che qualificava la fauna selvatica res nullius ;tale interpretazione
non era condivisa da parte autorevole della dottrina amministrativistica
(Sandulli- Mazzarolli- Loverso); la proprietà era intesa allo stato Ente e
non allo stato comunità; si arrivava alla qualificazione di una proprietà
senza possesso per cui lo Stato è proprietario affinché la collettività possa
usufruirne ( Giannini).; secondo altri la configurabilità di un possesso in
senso tecnico non può essere disconosciuta, e si ammetterebbero anche le
azioni possessorie, l'azione di reintegrazione contro lo spoglio violento o
clandestino : è pacifica l'azione a difesa della proprietà .
E' venuto meno pertanto l'ostacolo di carattere formale (la
qualificazione di res nullius) che aveva determinato l'rrisarcibilità di
queste ipotesi di danno e l'ingiustificata attribuzione di un privilegio alla
P.A.
Si
formarono
ancora
una
volta,
diversi
orientamenti
giurisprudenziali e dottrinali in subiecta materia. Soprattutto per
i
Pretori, ai sensi dell'art. 2052 del c.c., l'Amministrazione pubblica
risponde dei danni arrecati ai privati dalla fauna selvatica, responsabilità
che deriva dall'appartenenza di tutti gli animali a l patrimonio
indisponibile dello Stato (Trib. Perugia 11 dicembre 1995, Pret Reggio
Emilia 4 novembre 1993; Pret. Cosenza 5 luglio 1998; Pret. Ceva 28 agosto
1988, in Giur . Ag. it. 1990 n. 110).
La P.A. o risponde per il solo fatto di esserne “proprietaria”, anche
se gli animali liberi non sono per loro natura, suscettibili di controllo o di
“ custodia”; non conta l'obiezione che i beni siano destinati a soddisfare
interessi generali perché vale sempre il principio del neminem laedere
secondo cui ogni attività o ogni diritto deve essere esercitato senza recare
danno ad altri .
I giudici di legittimità hanno poi adottato un orientamento
antitetico, divenuto poi prevalente; la Cassazione esclude che si possa
affermare una responsabilità dell'Ente pubblico proprietario fondata
sull'art. 2052, proprio perchè la fauna selvatica non può essere, con tutta
la buona volontà e la diligenza, per sua natura vigilata, al massimo si può
delineare una responsabilità e art. 2043 c.c. anche in tema di onere della
prova (Cass. 15 marzo 996 n. 2192, Cass. 12 agosto 1991 n. 8788; Cass Sez
Unite 29.03.1983 n. 2446; Trib Firenze 13 maggio 1994 in Arch. Giur. circ e
sin. 1195 n. 46).
In seguito è entrata in vigore la Legge 11 febbraio 1992 n. 157 che
ha trasferito alle Regioni il potere di emanare norme relative alla gestione
ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica.; lo Stato non si è
spogliato della titolarità dei beni de quibus..; secondo il Giudice di Ceva (
sulla responsabilità civile dello stato derivante dai danni arrecati alle
colture agricole) lo Stato deve custodire e preservare i terzi da danni in
quanto tali obblighi gravano sullo Stato proprio perché proprietario della
selvaggina.; in sintesi si avrebbe un' ingiustificata ed incostituzionale
disparità di trattamento tra Stato e “privato proprietario” , dato che
quest'ultimo è responsabile comunque ex. Art. 2052 c.c. dei danni da
questo cagionati dall'animale, salvo che provi il caso fortuito.
Nella controversia decisa da Pret. Cosenza, 7.7.88, in Foro It. si è
ritenuta responsabile la Regione Calabria, in quanto proprietaria e
custode di tutte le specie esistenti sul territorio.
In buona sostanza, con
l'attribuzione allo Stato della titolarità
domenicale della fauna, si è verificata l'attrazione di tale tipo di
responsabilità nell'orbita dell'art. 2052; la scelta della protezione della
natura non può ricadere, nelle conseguenze dannose, solo sui singoli
malcapitati .
Ora l'orientamento prevalente tende ad escludere
l'applicabilità dell'art. 2052 c.c. per i danni provocati a persone o cose,
diversi da quelli all'agricoltura , in
cui esiste una disciplina speciale
(fondo regionale) viene fatta salva la pretesa risarcitoria per l'eventuale
violazione dei doveri di cui all'art. 2043 c.c. ( Cass. 15.3.96 n. 2192); la
Pubblica Amministrazione non assume la veste di dominus in relazione
alla fauna selvatica per il suo trovarsi in stato di completa libertà, non le è
riconosciuto il potere dovere di inibire il ibero spostamento della fauna.
Si potrà
parlare di responsabilita' della p. a. per danni
arrecati da fauna selvatica ed individuare una responsabilità della
regione per i danni arrecati dai cinghiali affermata sulla scorta di
quanto previsto, all'interno della legge 157, 3 comma art. 1 ( “Le
regioni provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla
tutela di tutte le specie di fauna selvatica”), dal 2 ° comma dell'art.
19 (“Le regioni provvedono al controllo della specie di fauna
selvatica anche nelle zone vietate alla caccia” ) e dagli articoli 10 e
26 (i quali prevedono l'istituzione di un fondo regionale destinato
ala risarcimento dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle
produzioni ed ai manufatti rurali), indirizzo confermato da recenti
pronunce della Cassazione ( si veda Cass. Civ. III 12 agosto 1991
n. 8788).
Le norme dale quali ricavare al responsabilità della Regione
sono
di
origine
statale,
quelle
da
interpretare
ai
fini
dell'affermazione della responsabilità della Provincia possono
essere contenute sia in leggi statali che regionali, cosicché l'analisi
giuridica non può essere condotta con uniformità rispetto al
territorio nazionale, in Piemonte
i Giudici di pace
hanno
interpretato in modo difforme la Legge Regionale 4 settembre 1996
n. 70 che conferisce funzioni amministrative in materia agli Enti
provinciali. Con l'emanazione della
Legge Regionale 27 gennaio
2000 n.9 su piani di contenimento cinghiali ed in precedenza con
la D.G.R
n. 30- 23995 del 16.02.98 su criteri generali per la
ripartizione tra le Province del fondo regionale da destinare alla
corresponsione degli indennizzi
per danni provocati
da fauna
selvatica e dall'esercizio venatorio ( tale fondo riguarda i danni alle
colture) ; art. 1 – i danni provocati nei terreni compresi nelle
aziende faunistico venatorie e risarcimento da parte dei titolari
pare chiaro che i fondi per il risarcimento debbano essere stanziati
dalla Regione. Parte della dottrina aveva sostenuto che la Legge
regionale avesse diversificato tra funzioni di pianificazione e
controllo in capo alla Regione, e funzioni di attuazione ed
esecuzione
in capo alla Provincia, dalla
quale sembrava
discendere
una responsabilità solidale o quantomeno ripartiti tra
i due Enti .
Giurisprudenza : Danni da fauna selvatica e risarcimenti Danni
cagionati dalla fauna selvatica. Risarcibilità da parte della P.A. a
norma dell'art. 2043 (Cass. Civ. 24 giugno 2003, n. 10008)Massima: In
tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna
selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art.
2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici,
ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 cod.
civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione
di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico.Cass.
Civile 24 giugno 2003, Sentenza n. 10008, sez. 3;
La giurisdizione per l’azione di risarcimento per danni provocati dalla
fauna selvatica : pronunciamento della cassazione civile a sezioni unite.
Massima
-Giurisdizione
civile
-
Giurisdizione
ordinaria
o
amministrativa - Azione di risarcimento proposta nei confronti della
P.A. per danni provocati al privato dalla fauna selvatica - Giurisdizione
del giudice ordinario Spetta al giudice ordinario la cognizione della
domanda promossa dal privato per conseguire dalla P.A. il risarcimento
dei danni da esso subiti dall'improvviso attraversamento della sede
stradale da parte di fauna selvatica. Né la giurisdizione del giudice
amministrativo in ordine a detta domanda risarcitoria può trovare
fondamento nel testo novellato dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n.
1034: infatti detta norma - la quale prevede che quando è chiesto al
giudice
amministrativo,
l'annullamento
del
facendosi
provvedimento
valere
un
interesse
amministrativo,
alla
legittimo,
domanda
principale d'annullamento può essere cumulata una domanda di
risarcimento del danno, in tal modo evitandosi la necessità del doppio
processo (il primo, dinanzi al giudice amministrativo, per l'annullamento
dell'atto; il secondo, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del
danno) - non opera allorché, come nella specie, difettando un
provvedimento amministrativo, manchi una domanda d'annullamento,
ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del
danno nei confronti della P.A., nella quale ciò che rileva è la liceità e non
la legittimità dell'azione amministrativa.*Cass. civ., sez. un., 24 marzo
2005, n. 6332 Ric. Regione Liguria - c. Sale ed altri. 157/1992 - Fauna
domestica - Nozione - Fattispecie. Per la definizione della fauna selvatica
non è rilevante la nocività dell'animale. È noto anzi che alcune specie
protette della fauna selvatica sono nocive: si pensi al cinghiale, che reca
gravi danni alle colture. L'unico elemento giuridicamente rilevante è dato
dallo stato di libertà naturale, atteso che secondo l'art. 2 della legge
11.2.1992 n. 157 fanno parte della fauna selvatica, oggetto di tutela della
legge, "le specie di mammiferi e uccelli dei quali esistono popolazioni
viventi stabilmente o temporaneamente in stato di libertà naturale nel
territorio nazionale". Sotto il profilo giuridico lo stato di libertà naturale
coincide con una condizione di vita indipendente dall'uomo per quanto
attiene alla riproduzione, alla alimentazione e al ricovero. La fauna
diventa domestica solo quando la sua condizione di vita è interamente
governata dall'uomo in ordine ai profili riproduttivi, alimentari e
abitativi. Sotto questo aspetto non può dirsi che il piccione torraiolo
appartenga a una specie animale domestica, giacché - pur vivendo
prevalentemente in città - si riproduce, si alimenta e si ricovera in modo
autonomo, indipendente dall'intervento umano (neppure per i piccioni di
Piazza S. Marco a Venezia l'alimentazione è totalmente dipendente dal
mangime offerto dai turisti, e comunque questa tradizionale abitudine
non li consegna al completo controllo dell'uomo). Ne deriva che la
distinzione giuridica tra fauna selvatica e fauna domestica non coincide
con la classificazione in uso nella scienza zoologica, che tendenzialmente
assegna alla fauna selvatica solo la specie Columbia livia. Al contrario,
secondo la nozione positiva adottata dal legislatore, anche il colombo o
piccione torraiolo va incluso tra gli animali selvatici, in quanto "vive in
stato di libertà naturale nel territorio nazionale", mentre appartengono
alle specie domestiche o addomesticate il piccione viaggiatore e quello
allevato per motivi alimentari o sportivi. (Conforme Cass. Sezioni Unite
sentenza n. 25 del 28.12.1994, CORTE DI CASSAZIONE Sez.III Penale,
del 26 gennaio 2004 (Ud. 25/11/2003), Sentenza n. 2598
.Caccia - Tutela della fauna selvatica - Patrimonio indisponibile dello
Stato - Regioni - Poteri di gestione, tutela e controllo - Province Funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna Animali selvatici - Danni provocati a persone o a cose - Responsabilità Regione - L. 157/1992 - L. 140/1990 Art. 2043 c.c.. In tema di tutela della
fauna selvatica, pur rientrando nel patrimonio indisponibile dello Stato, la
disciplina contenuta nella legge n. 157 del 1992, attribuisce alle regioni a
statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione e alla tutela
di tutte le specie della fauna selvatica e affida alle medesime i poteri di
gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni
amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna a esse
delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990. Ne consegue che la regione,
in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee a evitare che la
fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex articolo 2043 del Cc
dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui
risarcimento non sia previsto da norme specifiche. - Martinelli c.
Provincia La Spezia. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III 04-11-2003,
n. 16520
Caccia e pesca - Agricoltura - Azienda faunistico venatoria - Danno Soggetto obbligato a risarcire - Nesso eziologico - Elementi costitutivi Fattispecie: responsabilità dell’A.F.V. cagionati dai passeri alle
coltivazioni di un privato. In tema di responsabilità oggettiva, il nesso
eziologico tra il soggetto obbligato a risarcire il danno ed il danno stesso
scaturisce da una fattispecie complessa, costituita, da un lato, dalla
causazione del danno ricollegabile ad una cosa, ad un animale o ad una
persona, dall’altro, da un rapporto giuridico (e/o eccezionalmente di
mero fatto) tra detto soggetto obbligato e la cosa, l’animale o la persona.
Fattispecie: responsabilità riconosciuta all’azienda faunistico venatoria
competente per territorio per danni alle coltivazioni di un privato
cagionati dai passeri. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 29 ottobre
2003, Sentenza n. 16226
per il furto vedi sopra e dispense di penale
ANIMALI ESOTICI
Il Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 09 dicembre 1996,
disciplina la protezione di specie selvatiche della flora e della fauna
importate in Comunità, nati o allevati in cattività o riprodotti
artificialmente, gli esemplari di proprietà personale o domestica e i
prestiti, le donazioni e gli scambi di natura non commerciale fra scienziati
e istituzioni scientifiche registrati. Lo stesso provvedimento mira ad
assicurare la conservazione degli esemplari viventi in questione mediante
il controllo del loro commercio e lo spostamento, nonché delle condizioni
di sistemazione e di mantenimento.
La legge 07 febbraio 1992, n.150, e successive integrazioni e modificazioni,
disciplinano i reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul
commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di
estinzione, firmata a Washington il 03 marzo 1973, nonché la
commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e
rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica.
All’articolo 6 della L.150/92 viene espressamente vietato a chiunque di
detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed
esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in
cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità
pubblica, salvo deroghe specifiche nei confronti: dei giardini zoologici,
delle aree protette, dei parchi nazionali, degli acquari e delfinari,
dichiarati idonei; dei circhi e delle mostre permanenti o viaggianti,
dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e
incolumità
pubblica;
delle
istituzioni
scientifiche
e
di
ricerca
opportunamente iscritte e registrate.
Tenuto conto della molteplicità di fattori biologici ed ecologici che
vengono presi in causa nella gestione degli animali esotici, selvatici e delle
specie che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità
pubblica, nonché alla luce del fatto che il Servizio Veterinario delle
Aziende USL è l’organo tecnico coinvolto in materia di salute e benessere
degli animali nel territorio di competenza, la Regione Veneto ha ritenuto
necessario fornire delle linee guida di indirizzo per la gestione uniforme
nel territorio della problematica in questione.
Normativa di riferimento
Direttiva 1999/22/CE del Consiglio, del 29 marzo 1999, relativa alla
custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici.
Legge_07
febbraio
1992,
n.
150
"Disciplina
dei
reati
relativi
all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale
delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il
3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento
(CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la
commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e
rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica"
Testo coordinato ed aggiornato al D.Lgs. 300/1999