L`inno all`amore di Chiara Petrillo

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L`inno all`amore di Chiara Petrillo
 L'inno all'amore di Chiara Petrillo Questa giovane italiana è morta di tumore, il 13 giugno, a 28 anni, sacrificandosi per dare vita al suo piccolo. Riuniti per Famille Chrétienne, suo marito, Enrico Petrillo, e il suo direttore spirituale, Padre Vito d'Amato, testimoniano un itinerario di fede luminoso. Giovane e carina. Chiara Petrillo aveva tutto: bellezza, intelligenza, eleganza. E una fede profonda. È morta il 13 giugno di tumore, a 28 anni. Chiara soprannominava questa malattia "il drago". S'è battuta contro lui giorno e notte, ma ha rimandato il trattamento più pesante, prescrittole dai medici, fino alla nascita del suo terzo bambino. Per preservarlo. Enrico Petrillo e Chiara Corbella, due musicisti italiani, s'incontrano durante un pellegrinaggio in 2002. Dopo un fidanzamento lungo "punteggiato di litigi e separazioni", ricorda Enrico, ma ricco anche di ritiri spirituali e d'una solida formazione, si sposano il 21 settembre 2008 e aspettano una figlia. Presto, i medici diagnosticano alla bimba in utero un'anencefalia, una malformazione congenita e fatale del sistema nervoso centrale. La coppia rinuncia all'aborto che viene loro proposto. Maria Grazie Letizia nasce. Battezzata da Padre Vito, un amico francescano e direttore spirituale della coppia, parte verso il Cielo mezz'ora più tardi. I giovani genitori testimoniano in molte occasioni, nelle parrocchie e le associazioni pro‐
vita, della loro gioia d'aver accolto fino in fondo questo bambino. Qualche mese più tardi, un'altra gravidanza. La prima ecografia rivela che il piccolo non ha le gambe. Poi ci si accorge che gli organi interni non si sviluppano. Anche Davide muore poche ore dopo la sua nascita. Infine, una terza gravidanza. Gli esami confermano che il bimbo sta bene. È un maschietto, e si chiamerà Francesco. Ma al quinto mese, viene annunciato a Chiara che la ferita apparsa sulla sua lingua è in realtà un tumore maligno aggressivo. La giovane donna decide di rimandare il trattamento pesante propostole dai medici. Si accorda coi medici e riesce a rimandare l'intervento chirurgico all'ottavo mese. Il 30 maggio 2011, la nascita di Francesco viene stimolata. Chiara, dopo l'intervento, comincia la chemioterapia e la radioterapia. L'aprile scorso le viene fatto sapere che nessuna terapia sarà più utile. È la fase terminale della malattia. "Ma ero l'unico a sapere che l'ultima data era vicina, precisa Enrico. Chiara m'aveva chiesto de non svelarle nessuna prognosi affinché potesse continuare a vivere liberamente, nell'istante presente, senza dare presa all'avversario." Sfinita, avendo perso il suo occhio destro, decide nondimeno con Enrico di compiere un pellegrinaggio mariano per chiedere alla Vergine di aiutarli a accogliere la grazia del Signore, qualsiasi questa fosse. Duemila persone al suo funerale Il 12 giugno, intuisce che la sua ultima ora si avvicina. Avvertito, Padre Vito accorre e raggiunge Roma nella notte. Arriva dai Petrillo all'una di notte e celebra subito l'eucaristia davanti alla coppia e a qualche membro della famiglia. Il Vangelo è quello del "sale della Terra e luce del mondo". Il frate sottolinea che la Luce è Gesù, poi chiede a Chiara qual è il candelabro. Lei risponde "la Croce". Il francescano conclude "Se tu irradi luce in questo modo, Chiara, è perché sei sulla Croce con Lui." La giovane donna si spegne l'indomani, a mezzogiorno. Enrico chiede che sia rivestita del suo abito da sposa, spiegando che "parte verso il suo Sposo, quello che l'ama molto più di me". Duemila persone assistono ai funerali di Chiara, tre giorno dopo, nella parrocchia di Santa Francesca Romana a Roma. La liturgia non è quella dei defunti, ma quella della Vergine Maria, alla quale la coppia si consacrava ogni mattino. Il Cardinale Agostino Vallini, vicario generale di Roma, assiste semplicemente alla Messa per lasciare a Padre Vito di celebrare, secondo la volontà di Chiara. I canti, composti da Enrico, sono quelli del loro matrimonio."Questo ha sicuramente contribuito all'atmosfera gioiosa e piacevole che regnava durante la celebrazione, dice. Al punto che alcuni, entrando in chiesa, hanno creduto essersi sbagliati d'indirizzo!" Il piccolo Francesco, con l'incoscienza di un bimbo di un anno, corre tra i banchi. Un giorno, potrà ascoltare la lettera che sua madre gli ha scritto una settimana prima di morire, e di cui suo padre legge alcuni estratti al microfono: "Siamo nati un giorno, e non moriremo mai più. Qualsiasi cosa tu faccia nella vita, non scoraggiarti mai, figlio mio: se Dio ti toglie qualcosa, è per darti di più. È bello poter disporre di esempi di vita che ti ricordano che possiamo raggiungere il massimo della gioia già qui, su questa Terra, lasciando Dio guidarci. L'amore è la sola cosa che conta. Lo scopo della nostra vita in terra è il paradiso, e dare la vita per amore è qualcosa di così bello. Me ne vado in cielo a occuparmi di Maria e Davide; tu resta con babbo. Da lassù, pregherò per voi. Francesco, il Signore t'ha voluto da sempre e ti mostrerà il cammino da seguire se gli apri il cuore. Dagli fiducia, ne vale la pena. Chiara, tua mamma". La Croce è leggera, quando la si vive con Cristo Enrico Petrillo, il marito di Chiara, assieme a Padre Vito d'Amato, hanno accompagnato la giovane donna fino in fondo. Entrambi dicono aver visto morire una donna piena di speranza. Enrico, il 21 settembre avresti festeggiato il quarto anniversario di matrimonio con Chiara. Come hai vissuto gli ultimi mesi della tua sposa? E. Sono stati al contempo dolorosi e magnifici. Chiara sentiva dolori dappertutto, ma riuscivamo ad affrontare il quotidiano assieme, una cosa alla volta. La nostra vita coniugale non ha fatto altro che approfondirsi attraverso la prova. Il Signore era realmente presente tra noi. È così bello essere accompagnati da Cristo stesso sulla nostra croce! Chiara ha potuto trascorrere le sue ultime ore con Gesù esposto davanti ai suoi occhi. Ero meravigliato nel vederla così innamorata del suo divino Sposo, il suo amato Gesù, che l'ama molto di più di me! Non sei geloso di Gesù? E. (Risate) Non posso essere geloso, visto che l'amo anch'io! Ed è il solo Sposo che non delude mai... Chiara è andata verso Colui che ama! È in questo amore per Cristo che attingeva il suo amore coniugale. Padre Vito, come spiega la gioia ai funerali di Chiara, il 16 giugno? P.V. Come il compimento di una preghiera. Il 4 aprile, quando le hanno annunciato che la medicina non poteva più fare nulla, Chiara è entrata in casa e ha annunciato la notizia alla famiglia e agli amici. Tutti hanno fatto una faccia da funerale! Allora Chiara ha detto: "Signore, chiedimi tutto, ma co' 'ste facce, non ce la posso fare!". È stata esaudita: non ho mai visto un funerale così gioioso. Non dimenticherà mai nemmeno la messa celebrata da loro alla vigilia della sua morte... P.V. Certamente no! Alla fine della messa, Chiara era raggiante. Era come Gesù sulla croce che dice "Tutto è compiuto". Non abbiamo visto morire una donna serena, ma una donna felice, pienamente felice. Abbiamo visto ciò che, duemila anni fa, ha visto il centurione che ha esclamato "Costui è davvero il figlio di Dio". Al momento della morte di Chiara, abbiamo visto Gesù vivo in uno dei suoi figli. E. Valeva la pensa di vivere tutta la vita solo per questa messa. Dopo l'Eucarestia, Chiara ha detto a ciascuno quanto l'amava. Ogni parola era per lodare, benedire, rendere grazie. Qual è, secondo voi, il segreto della sua gioia? P.V. Il suo principio di vita: non dobbiamo possedere nulla come se ci fosse dovuto, ma ricevere tutto come un dono. Chiara accoglieva la vita come un dono... e sapeva riconoscere il Donatore. Ha attraversato situazioni oggettivamente molto difficili: ne usciva sempre grazie a questo gesto d'abbandono, con il quale riconosceva che c'è qualcuno che veglia su di lei e che ha un disegno d'amore sulla sua vita. O vivi la tua esistenza come un dono e la doni, o vivi in una ricerca di possesso sempre più grande e quindi nella paura di perdere. È così che gli altri, perfino il proprio figlio, possono finire per diventare una minaccia. Cosa direste a quelli che non sentono lo stesso coraggio? P.V. Vedere come Chiara ha compiuto il suo viaggio terreno è stato per me un'immensa lezione: aveva capito che siamo fatti per la vita eterna e che questa comincia quaggiù. Guardandola, ho capito che un’esistenza si valuta dalla fine. Chiara è morta felice perché ha visto la sua vita all'indietro, non rimpiangendo nessuna scelta presa. Testimoniava spesso che se avesse abortito Maria avrebbe avuto un'ossessione costante: dimenticare quel giorno. Mentre la sua nascita, come quella di Davide, è stata una gioia immensa! È per questo che vi auguro una bella morte, bella come la sua. Perché conoscere una bella morte vuol dire aver avuto una bella vita. Vi auguro di vivere come figli di Dio per non morire mai. E. Avevo da tempo nel cuore, come una domanda, questa frase evangelica dove Gesù afferma che il suo giogo è dolce, e il suo fardello leggero. Il mattino dell'ultimo giorno, verso le otto del mattino, ho osato chiedere a Chiara "Amore mio, ma davvero il giogo del Signore è dolce?". Respirava e parlava a fatica, ma ha risposto chiaramente, sorridendo: "Sì, Enrico, molto dolce". È morta a mezzogiorno. Sì, abbiamo visto morire una donna felice. Amate la Croce? E. No, non amo la Croce, e Chiara nemmeno. Ciò che amiamo è Chi è sulla Croce. La perla preziosa scoperta lungo questi anni, è che la Croce diventa leggera se la si porta con Cristo. E che non è così brutta come la si dipinge, se ci unisce a Lui! Se sai che Dio vuole amarti nel fuoco, ebbene, ti butti nel fuoco! I vostri primi due figli erano handicappati e sono morti molto rapidamente. Come l'avete vissuto? E. Come una prova e una grazia. Grazie a loro, abbiamo scoperto che non c'è una reale differenza tra una vita che dura mezz'ora e una che dura cent'anni. Dietro questi crucci e questi drammi si nascondeva una grazia più grande del Signore, che ci faceva crescere nell'amore. E noi ci innamoravamo sempre di più, a ogni volta... Innamorati? E. Innamorati l'uno dell'altro, e innamorati di Gesù. Il suo amore non ci ha mai delusi. Abbiamo vissuto una vita piena, e un amore più forte della morte. La grazia ricevuta è stata di non mettere limiti alla sua grazia. Abbiamo detto di sì, e ci siamo aggrappati a Lui con tutte le nostre forze. Perché quello che ci chiedeva era più grande di noi. Non potevamo viverlo da soli. Avete parlato della guarigione di Chiara. Ora, non è stata guarito. Non siete arrabbiati con Dio? E. Ogni giorno abbiamo pregato per questa intenzione. Ma con l'abbandono di non sapere che cosa fosse meglio. Quando in aprile abbiamo saputo la diagnosi finale di Chiara, ero in lacrime. Chiara mi ha detto: "Enrico, se tu sapessi che il sacrificio che ti è proposto può salvare dieci persone, lo faresti? ‐ Sì, lo farei, ma soltanto con la sua grazie. ‐ Anch'io, Enrico. È per questo che prego per la mia guarigione, ma senza davvero sperarla". Padre Vito, come riassumerebbe il messaggio spirituale di Chiara? P.V. Preciserei: il messaggio di Enrico e Chiara. Chiara si è consacrata a Gesù attraverso il suo dono a Enrico, e viceversa. Hanno mostrato la bellezza e il limite del matrimonio umano. La bellezza: la parola coniugi significa "che portano il medesimo giogo". Enrico e Chiara hanno portato il medesimo giogo in Cristo. Hanno fatto un'alleanza con un alleato molto potente: con Lui, hanno percorso dei sentieri inaccessibili con le nostre sole forze. Il limite: il vero matrimonio è quello tra il Creatore e la sua creatura. Siamo tutti destinati all'unione con Lui. E se il Cristo è lo Sposo della Chiesa, lo è anche di ciascun anima. Il rito del matrimonio insiste sul valore dell'amore umano come icona dell'amore divino, e sottolinea fino a che punto Dio invita gli sposi a amarsi per dare loro parte un giorno al suo amore eterno. Chiara è arrivata al matrimonio con Dio attraverso il suo matrimonio umano. E. Quando, il mattino del 13 giugno, abbiamo sentito che era la fine, abbiamo mandato un sms ad alcuni preti e amici perché pregassero per noi in queste ore ultime. Guardando Chiara, non ho potuto che scrivere "Le lampade sono accese. Aspettiamo lo Sposo". Noi eravamo pronti, lo Sposo è venuto. Si può avere la tentazione di pensare "È molto bello, ma è troppo per me". P.V. Effettivamente è una grande tentazione quella di dirsi "È roba per santi!" Ma bisogna ricordarsi che Chiara e Enrico sono arrivati a questo progressivamente, e che il Signore li ha condotti passo dopo passo. Avevano adottato la regola delle tre P: i "piccoli passi possibili". Spesso, di fronte a eventi che ci superano, pensiamo che saremo incapaci di viverli. La tecnica di Chiara era di fare ciò di cui era capace, a quel momento, senza lasciarsi sommergere dalla paura del domani. Il Signore non ci chiede di cambiare l'acqua in vino, ma di riempire le giare. La Chiesa propone a ciascuno la santità: vivere come figli di Dio. Ciascuno, a modo suo, risponde, passo dopo passo. Enrico, come parlerai a Francesco di sua madre? E. Ogni mattino recitiamo davanti alla sua foto (la chiama mamma!) la consacrazione a Maria che dicevo con Chiara. Più tardi, proverò a dirgli "La cosa più importante nella vita è di lasciarsi amare, per potere amare e morire felici. È quello che tua madre ha vissuto pienamente". S'è lasciata amare, e, in un certo senso, credo che ora stia amando il mondo intero. La sento più viva che mai. Il fatto di vederla morire felice è per me non soltanto un'enorme consolazione, ma la disfatta della morte: la certezza che "dall'altra parte" c'è qualcosa di sublime che ci aspetta. Ecco le parole del Cardinale Agostino Vallini, vicario generale di Roma, alla fine dei funerali di Chiara Petrillo. "La vita è come un arazzo, di cui non vediamo che il rovescio, il lato pieno di fili in disordine; ma ogni tanto la fede ci permette di sollevarne un lembo... Chiara ci lascia una grande lezione di vita, una luce, un frutto, il frutto di un meraviglioso disegno di Dio che ci sfugge ma che è là. Non so che cosa Dio abbia preparato per noi, per la città di Roma, per il mondo, attraverso questa nuova Beretta Molla [canonizzata nel 2004], ma certamente è qualcosa che non abbiamo il diritto di lasciare passare; ecco perché siamo invitati a raccogliere quest'eredità che ci ricorda come dare il giusto valore a ogni gesto quotidiano, anche il più piccolo."