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FABRIZIO FONDI
IL SIERO DELLA FELICITA'
L'avidità di denaro è il più potente allucinogeno
sulla terra. Scatena le più grandi intuizioni dell'essere
umano e amplifica la sua genialità, regalandogli
scoperte straordinarie. Ma mentre fa questo,
lo conduce verso la rovina. L'avidità di denaro è il motore
del pianeta, solo che il conducente di quel motore è cieco.
Milano, Italia, 26 marzo 2019.
Con l'arrivo del buio il parco cambiava pelle. Di giorno era un posto accogliente,
rilassante, un'oasi benedetta in mezzo al mare di cemento che opprimeva la città. Ma
la notte lo trasformava. Nel rispetto di un accordo tacito e ormai secolare, con l'arrivo
del buio la metà tranquilla e pacifica della città si ritirava di buon grado e lasciava che
l'altra metà prendesse possesso del territorio.
In circostanze normali la donna non l'avrebbe mai attraversato, neppure sotto la
minaccia di una pistola. Ma adesso attraversare quella orribile zona era l'unico modo
per arrivare in tempo. Quella era l'occasione della sua vita e niente poteva garantire
che ce ne sarebbe stata un'altra. Il taxi era rimasto imbottigliato dentro la via
principale, soffocato da un traffico ormai letale in ogni ora della giornata. Allora lei
era scesa di corsa dall'auto e si era infilata dentro il parco senza pensarci due volte. I
cardini del grosso cancello arrugginito avevano rilasciato un paio di gemiti di quelli
che mettono i brividi, poi la porta si era lentamente aperta con un movimento che
assomigliava a un cortese inchino, accompagnando con quei lamenti l'ingresso della
donna. Adesso doveva tagliare il parco in diagonale e uscire dalla porta nord. Sarebbe
sbucata proprio di fronte all'Ambassador. La conferenza stava per cominciare e
probabilmente lei non avrebbe neppure avuto il tempo per dare una ripassata alla
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scaletta e ai suoi appunti. Niente da fare, il ritardo era la solenne maledizione della
sua vita. Una disfunzione cronica alla quale non era e non sarebbe mai riuscita a
porre rimedio. Con il tempo aveva perso il suo rozzo accento dell'entroterra, aveva
corretto le sue movenze contadine smussando quelle odiose asprezze che la facevano
assomigliare così tanto ai suoi fratelli, aveva elevato i suoi standard in materia di
gusto e di abbigliamento. Ma il ritardo, quello no. Quello era rimasto conficcato nelle
sue ossa come un chiodo piantato troppo a fondo.
Appoggiò una delle sue costosissime scarpe in una pozza di fango e vide l'intero piede
scomparire d'incanto sotto la melma.
«Cazzo...»
In una situazione di folle ritardo come quella, anche i suoi più alti standard di
eleganza subivano un brusco ribasso. Le sue origini contadine, rintanate negli angoli
più oscuri e lontani del suo Dna, schizzavano fuori senza preavviso e si
impadronivano della sua mente.
«Stronza che non sei altro... maledetta idiota incapace...stai rovinando tutto...»
Il buio in cui erano immerse le vie principali della città era niente rispetto a quello
che ammantava il parco. I lampioni erano radi e smorti, quasi fossero stati progettati
per produrre oscurità anziché luce.
Faceva freddo.
Una nebbiolina insistente si frapponeva tra lei e la luna. Disegnava forme inquietanti
e azzerava brutalmente ogni possibilità di vedere al di là di due metri.
Bastò un attimo; una distrazione durata cinque passi e il suo orientamento svanì nel
nulla. Un istante prima aveva chiara la direzione da seguire, un istante più tardi c'era
solo il vuoto. Ogni certezza sprofondò di colpo dentro quella melma che aveva
avviluppato i suoi piedi. Si fermò e girò su se stessa ma fu anche peggio. Gli alberi
erano tutti uguali, i sentieri erano tutti bui e privi di indicazione.
Faceva freddo.
Si strinse attorno alla pila di libri e appunti che teneva tra le braccia, unico conforto
che poteva trovare in quel momento, e d'un tratto, con l'istinto di sopravvivenza che
distingue tutte le prede, comprese che la sua priorità non era più quella di
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raggiungere in tempo l'Ambassador, ma di uscire da quel posto malefico senza
riportare troppi danni.
Si lasciò sfuggire un gemito di paura di cui si pentì subito. Era come lanciare un
invito ai predatori che le giravano intorno. Perché li aveva sentiti, li aveva sentiti
quasi subito anche se per qualche momento aveva voluto convincersi a forza che la
sua fosse solo suggestione. Solo adesso, memore delle ingegnose trappole che suo
padre costruiva e piazzava in mezzo ai boschi, si rendeva pienamente conto che
quella era la situazione ideale per un assalto. C'era l'oscurità, c'era la paura cruda e
paralizzante della preda, c'era la sua totale ignoranza delle strade, dei rifugi,
soprattutto delle vie che portavano fuori da quel posto. E i predatori si erano già
mossi. Sornioni come coccodrilli, avevano pazientemente atteso che la preda
raggiungesse il centro del fiume, il più lontano possibile da ogni via di salvezza.
Faceva freddo.
Il panico la colpì feroce come una bastonata. La donna cominciò a battere
selvaggiamente i denti senza riuscire a fermarsi. Un'ondata di spasmi le tolse il
controllo delle braccia e delle gambe. Sgranò gli occhi per vedere oltre quei pochi
metri di terra e foglie che le crescevano attorno ma non servì a niente. La pila di libri
cadde a terra e fu inghiottita per metà dal fango onnivoro che si era già fatto fuori le
sue scarpe.
Le sfuggì un altro gemito, poi un rantolo di terrore che si propagò tra gli alberi
rimbalzando da un ramo all'altro. Le pareva di percepire milioni di fruscii, di squittii,
di risolini gioiosi e terribilmente pericolosi.
Il suo respiro cominciò a farsi pesante e in quel momento l'uomo, che la seguiva da
quando lei aveva varcato la soglia, pensò che sarebbe stato ancora più facile del
solito. Quello era un regalo divino, un dono mandato dal cielo a saziare le sue
pulsioni più bestiali. Stava esplorando quel parco perché proprio lì aveva deciso di
pescare la sua prossima preda. Lo faceva di notte perché nessuno potesse vederlo.
Stava costruendo la sua tela, stava ancora pensando a dove piazzare le sue trappole,
stava ancora prendendo confidenza con il territorio. Perché ogni nuova preda doveva
avere un territorio diverso, un habitat diverso da tutti le altre. Solo così li avrebbe
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ingannati. Solo così sarebbe durato a lungo. Ne aveva già freddate cinque e loro
erano ancora lontanissimi dalla verità. Operando in quel modo li avrebbe tenuti
lontani per sempre.
Gli spasmi della donna erano ormai veri e propri conati di vomito. Lei vorticava su se
stessa senza tregua, un insetto invischiato in una tela che la sua mente sconvolta
aveva reso indistruttibile. L'uomo la osservò ancora per un po', nascosto dietro una
siepe dalla quale vedeva perfettamente le goffe e scomposte piroette di quella
creatura così sciocca e superficiale da azzardare da sola una traversata mortale come
quella. Si godette per qualche istante il suo malefico terrore , poi si preparò ad
attaccare.
Chiuse gli occhi e lasciò entrare tutta la sua furia. Lasciò libere tutte le sue pulsioni.
Respirò l'odore della paura e lo fece circolare dentro di sé, aspettando che trascinasse
la sua eccitazione fino al picco massimo.
Poi si sentì pronto.
Scostò un paio di frasche e uscì allo scoperto. La donna era a un paio di metri da lui,
rannicchiata su se stessa in attesa di un soccorso che non sarebbe arrivato mai. Lei
neppure ne aveva intuito la presenza e lui era già lì, a un passo dalla sua gola.
Avvicinò le mani al suo collo e si preparò a stringere mentre sentiva l'orgasmo
arrivare.
Ma un istante prima che le sue mani venissero a contatto con quella pelle, qualcosa
di rovente attraversò la sua schiena e lo lasciò senza respiro. Il dolore azzerò tutte le
sue facoltà. Un bianco abbacinante invase il suo cervello e lo mandò in tilt. Le gambe
persero forza. Si accasciò a terra come un pupazzo sgonfiato di colpo.
La donna si voltò di istinto, le mani davanti al corpo per tastare un buio spesso e
corposo come pece. Intuì a qualche metro una macchia nera che si allontanava
rapidamente da lei. Era rapida e silenziosa.
«Chi c'è? C'è qualcuno?»
La macchia continuò ad allontanarsi. Dopo qualche istante era scomparsa. Non
seppe mai che quella macchia l'aveva salvata da morte certa. Recuperò un minimo di
lucidità e sfilò rapidamente il cellulare dalla tasca interna del suo tailleur.
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«Ambassador buona sera».
«Buonasera, sono la dottoressa Sirchia. Sono la prima relatrice della conferenza che
sta per cominciare nella sala congressi del vostro albergo. Credo di avere un
problema...»
*
*
*
L'uomo aprì gli occhi. Gli faceva male la testa e il rumore nella stanza gli confondeva
le idee. Era sdraiato su un materassino di gomma e aveva un nastro sulla bocca.
Provò a muoversi ma le catene attorno ai suoi polsi e alle sue caviglie si tesero quasi
subito. Sotto una luce giallastra, a qualche metro da lui, tre uomini giovani e atletici,
vestiti in calzamaglia nera fino al collo, giocavano a carte usando come tavolo uno
sgabello. Su un altro sgabello erano appoggiati tre cappucci. L'intera stanza
dondolava come una giostra. Da fuori giungeva un rumore tremendo, una specie di
lamento meccanico che gli trapanava le orecchie.
L'uomo provò a parlare ma non ci riuscì. Gli venne fuori soltanto un penoso singulto.
Uno dei tre si voltò verso di lui:
«Sta' tranquillo, domani avrai recuperato. Sarai in perfetta forma...»
Gli altri rilasciarono una risata simile al latrato di una iena. Per la prima volta nella
sua vita l'uomo ebbe paura. Per la prima volta ebbe la certezza di essere incappato in
qualcosa di più forte e più cattivo di lui. Per la prima volta si trovò a pensare che
potevano esistere destini assai peggiori della morte. Si sentì catturato. E sapeva
molto bene cosa poteva succedere a chi veniva catturato.
«Tra
dieci
minuti
atterriamo»
disse
una
voce
metallica
che
proveniva
dall'altoparlante posizionato in un angolo della stanza. Gli uomini smisero di ridere,
si alzarono all'unisono e si sfilarono le tute. Cinque minuti più tardi erano tre distinti
uomini d'affari, completo azzurro e camicia bianca, cravatte con motivi floreali,
occhiali scuri, capelli corti e scolpiti dal gel, e un prezioso carico da consegnare. Uno
dei tre gli si avvicinò. Teneva in mano uno storditore elettrico, probabilmente lo
stesso che
aveva usato contro di lui nel parco. Erano stati veloci e silenziosi.
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Talmente abili che neppure lui, il migliore dei predatori, era riuscito a sentirli.
Professionisti perfetti. Gente che non si scomoda per delle sciocchezze. Gente che
solitamente ha dietro di sé progetti imponenti e tanti soldi da spendere. L'uomo si
accosciò di fronte a lui. Per un istante i loro sguardi si incrociarono. L'uomo non
aveva alcun timore nel farsi osservare a fondo e questo lo riempì di paura.
«Devi farti un altro sonnetto» si limitò a dirgli. Poi gli appoggiò lo storditore sul collo
e lo tramortì ancora.
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Sapeva solo di non trovarsi più su un aereo.
Sapeva che i tre uomini neri lo avevano consegnato al loro cliente. Sapeva di essere
nella merda. Ma ancora non sapeva quanto. Era seduto su una sedia dura e scomoda,
le mani legate dietro la schiena e le caviglie bloccate alle zampe da una corda sottile e
tagliente. La stanza era piccola e fredda. Buia quasi quanto il parco, solo un piccolo
finestrino su una parete, blindato da grate massicce e nere. I muri erano ricoperti di
muffa. In fondo alla stanza c'era un tavolo di legno, butterato e spellato come la
carcassa di un vecchio animale morto, con un libro sotto una delle zampe. A sedere
sul tavolo un tizio grosso come un armadio, un minaccioso sfollagente nero legato
alla cintura e il solito storditore tra le mani. Probabilmente in tutta la sua vita non
aveva mai avuto bisogno di usarli. Non appena si accorse che l'uomo aveva aperto gli
occhi, scese dal tavolo e gli si fece incontro. Si fermò a un paio di metri da lui. Gli
appoggiò un piede enorme sulle palle facendolo sussultare.
«Aldo Cristofari, trentadue anni, professione finta operaio, professione vera omicida
seriale. Te ne abbiamo attribuite con certezza almeno quattro, ma probabilmente
sono di più. Ogni volta cambi modalità e luogo dell'esecuzione. Ti piace strozzare. Se
il soggetto è particolarmente interessante, non disprezzi una bella violenza carnale.
L'hai fatto un paio di volte. Hai scoperto le tue tendenze omicide circa tre anni fa e da
allora hai deciso di assecondarle e di coltivarle. Stanotte stavi per colpire ancora. Ma
stavolta non era programmato, è stato semplicemente un colpo di fortuna che non ti
aspettavi. Poi la tua fortuna si è esaurita e siamo arrivati noi. Adesso sei nostro».
L'uomo sentì il cuore sprofondargli nello stomaco. Tenerli lontani un cazzo.
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Chiunque fossero, sapevano tutto. E chissà da quanto tempo.
L'armadio gli fece un giro intorno, poi gli si fermò di nuovo di fronte.
«Sei nostro per sempre. Lo Stato italiano ti ha ceduto a noi e noi siamo liberi di
disporre della tua vita. Ti ha ceduto senza condizioni. Anzi: alla sola condizione che
nessuno permetta il tuo ritorno. Nessuno ti cercherà mai più, nessuno reclamerà la
tua scomparsa. Hai finito di causare danni alla società. Da domani comincerai a
renderti utile».
«Chi siete?»
«Non sei nella condizione di porre domande. Sapere chi siamo non ti servirà a
niente. Sei ancora vivo solo perché sei utile. Solo perché sei produttivo. Il giorno che
smetterai di esserlo, smetterai di vivere. Diventerai un fattore di produzione non più
utilizzabile e quindi verrai scartato per sempre. Ma vedi di non lamentarti troppo, in
fondo eri destinato al carcere a vita. Per lo Stato italiano sei già morto. Per la società
sei fortunatamente morto. Ma per noi sei fortunatamente vivo. Adesso dipende da te
restarlo il più possibile».
Estrasse da dietro la schiena un coltellaccio e con due colpi liberò le sue gambe. Gli
chiuse una catena attorno al collo e lo fece alzare come un cane al guinzaglio.
«Dove andiamo?»
Neppure fece in tempo a percepire il movimento che lo sfollagente gli aveva già
colpito la testa. Il dolore gli trapassò tutto il corpo scaricandosi sulle piante dei piedi.
«Ti ho già detto che non sei in condizioni di fare domande, ma evidentemente non
hai capito. D'ora in poi userò soltanto la lingua del bastone. Spero ti sia più chiara».
Lo trascinò lungo un corridoio completamente bianco. Sul lato destro, ogni due
metri, c'era una porta senza maniglie. Assomigliava al dormitorio di un orfanotrofio
o di uno squallido campo scuola. Niente scritte, niente disegni, niente indicazioni.
Tutto assolutamente bianco.
«Il tuo obiettivo di partenza sono cinque grammi al giorno» disse l'armadio
continuando a trascinarlo lungo il corridoio «ma tra un paio di mesi dovrai produrne
almeno dieci. Chi sta sotto questo livello è considerato non produttivo. E ti ho già
spiegato cosa succede ai fattori di produzione non produttivi».
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Di colpo si fermò davanti a una porta. Appoggiò il suo pollice su una piastra di
metallo incastrata nella parete situata all'altezza del campanello e la porta si aprì.
Sciolse la catena attorno al collo dell'uomo e lo spinse dentro la stanza.
«Questa è la tua nuova abitazione. Mettiti comodo e cerca di riposare. Domani si
comincia presto».
*
*
*
New York, Stati Uniti d'America, 30 marzo 2019.
Nella grande sala destinata alle riunioni regnava il silenzio. Il più anziano dei venti
presenti si sistemò nervosamente il nodo della cravatta. Si schiarì la voce, poi ruppe
gli indugi e si alzò in piedi.
«Signori amministratori, vi annuncio ufficialmente che siamo quasi pronti per il
lancio sul mercato del siero della giovinezza. Il prodotto è francamente fantastico. È
stato testato a fondo e vi posso assicurare che non ho mai visto un prodotto così
efficace. Il ringiovanimento effettivo medio è stato di quindici anni, con picchi di
diciannove in casi eccezionali. Un ringiovanimento reale e duraturo, migliore di un
intervento chirurgico e soprattutto esteso a tutto l'organismo. Non coinvolge soltanto
l'epidermide, ma anche gli organi e i muscoli del corpo, lo scheletro, perfino le facoltà
cerebrali. Una splendida macchina del tempo capace di riportare il nostro corpo
indietro di quindici anni. Un prodotto fantastico che rivoluzionerà l'intero mondo
dell'estetica e della cosmetica. I profitti saranno enormi, le richieste saranno
altissime. E questa, che è la notizia migliore, ha però anche dei risvolti piuttosto
negativi...»
«Quanto negativi?» Chiese dal fondo dell'enorme tavolo uno dei consiglieri.
«Dipende da diversi fattori» rispose il vecchio «il principale è dato dalla
composizione del prodotto. Come sapete, è sintetizzabile solo per il trenta percento.
L'altro settanta percento è composto da questa naturale tossina prodotta dalle
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ghiandole del corpo umano. L'abbiamo studiata a fondo, abbiamo provato a
sintetizzarla, abbiamo provato a produrre una sostanza che in qualche modo le
assomigliasse. È stato tutto inutile. L'unico modo è quello di estrarla naturalmente
dai soggetti che la producono. E questo ci crea il principale problema: quello della
materia prima. Secondo le nostre stime, dopo il primo lancio sul mercato dovremo
almeno quintuplicare la produzione. Il che significa quintuplicare la materia prima a
disposizione».
«Dobbiamo coinvolgere altri governi» propose un consigliere «estendere gli accordi
anche ai governi dell'Africa e dell'Asia. Credo che anche a per loro possa essere
interessante un accordo che prevede la cattura di tutti i soggetti con tendenze
omicide...»
«Lo stiamo già facendo, ma questo aumenta anche i rischi. Più persone conoscono il
nostro sistema, più sono alti i rischi che venga divulgato. E non tutti sono in grado di
capirlo e di accettarlo. Nonostante sia un sistema che fa piazza pulita di tutti i
maniaci e di tutti i soggetti socialmente pericolosi, c'è sempre qualche idiota che
mette i diritti dell'individuo davanti a tutto».
«Allora dobbiamo stimolare la produzione di questa tossina tra le persone normali».
«Ci abbiamo provato e continuiamo a lavorarci senza sosta, ma a quanto pare questa
possibilità non esiste. Le persone normali non sono in grado di produrre quella
tossina, nemmeno sotto stimolo. È una caratteristica unica dei soggetti con tendenze
omicide o altamente aggressive. Abbiamo cercato in soggetti con patologie simili ma
non abbiamo ottenuto nulla. Niente tra gli schizofrenici, niente tra i depressi.
Dobbiamo rassegnarci, signori: la nostra è una materia prima rara e preziosa».
«Potremmo provare a coltivarla, un po' come le piante in serra» suggerì un
consigliere «potremmo comprare degli orfanotrofi, degli asili nido, delle scuole
materne, e lavorare su quei bambini stimolandone le tendenze omicide o
aggressive».
«I nostri consulenti avevano pensato a qualcosa del genere» rispose il vecchio «ma
poi abbiamo scoperto che queste tendenze sono genetiche. Il loro sviluppo è naturale
e predeterminato. Al momento non è possibile impiantare o sviluppare tendenze
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omicide su chi non ha una predisposizione genetica fin dalla nascita. Perciò sarebbe
solo una perdita di tempo, non riusciremmo ad aumentare la nostra materia prima
neppure in cinquant'anni».
«E allora lavoriamo su quella che esiste già» propose un consigliere alzandosi in
piedi. I suoi occhi brillavano e guardavano molto lontano. Il suo sorriso, più simile a
un ghigno, ricordava quello di un vampiro pronto a colpire. L'intero consiglio di
amministrazione della S. K. si voltò a guardarlo. L'uomo si allontanò dal tavolo e si
avvicinò alla lavagna che stava accanto al consigliere anziano. Afferrò un pennarello e
cominciò a disegnare.
«Sappiamo che circa un cinque percento degli esseri umani nasce con tendenze
omicide. È una conformazione genetica e ad oggi noi non possiamo ancora
modificare questa percentuale. Però possiamo lavorare su tutti quelli che hanno
tendenze omicide in modo da farle emergere. Per quello che sappiamo, oggi la grande
maggioranza di coloro che hanno tendenze omicide riesce a reprimerle o a
controllarle mantenendole a uno stadio dormiente. Le leggi, la morale, i tabù, le
punizioni, sono tutti strumenti che in qualche modo reprimono queste tendenze. Il
che significa che la materia prima in circolazione sarebbe già sufficiente, se solo
riuscisse a manifestarsi in pieno. Non c'è bisogno di crearne di nuova, signori. Basta
rendere manifesta quella che esiste già».
«E come facciamo a renderla manifesta?»
«Con una politica commerciale e culturale che vada in direzione contraria rispetto
alle leggi e alla morale. Dobbiamo imporre il modello culturale più utile per noi. La
cosa più semplice sarebbe quella di impiantare un canale televisivo in tutti i paesi
industrialmente avanzati o di impadronirci di quelli esistenti. Ci servirà per
promuovere i nostri valori. Lavorerà ventiquattro ore su ventiquattro al solo scopo di
stimolare queste tendenze omicide in chi si sforza di mantenerle allo stadio
dormiente».
«È un progetto complesso e impegnativo» obiettò qualcuno.
«Al contrario, è molto semplice. L'obiettivo principale è quello di amplificare il tasso
di frustrazione dei soggetti che ci interessano. La frustrazione, la bassa stima di sé, il
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disprezzo per le proprie incapacità, sono tutti elementi che spingono sulle proprie
tendenze distruttive favorendone lo scatenamento. Faccio un esempio: il soggetto
con marcate tendenze allo stupro dovrà essere bombardato con modelli che
prevedano una società fatta esclusivamente di donne bellissime e prontamente
disponibili al rapporto sessuale. Glielo inculchiamo attraverso spot pubblicitari,
telefilm, varietà e finti telegiornali. Lo bombardiamo fino al punto di fargli credere
che quello sia il mondo reale, dove le donne sono tutte bellissime e soggiogate a
qualunque richiesta maschile. Il contrasto tra il mondo reale e quello che si
svilupperà nella sua mente gli provocherà un corto circuito. Le sue tendenze allo
stupro saliranno velocemente a galla e si trasformeranno in pulsioni inarrestabili. La
stessa cosa potremmo fare verso i soggetti con tendenze omicide: gli costruiamo
attorno un mondo fatto di uomini bellissimi, brillanti, contornati di donne stupende
e consenzienti, perfettamente affermati nella loro professione, ricchi, pieni di amici
fedeli e brillanti come loro. Un mondo fatto esclusivamente di uomini di successo,
dove tutto funziona alla perfezione e i problemi non esistono. L'esatto contrario della
mediocre vita vissuta dall'uomo medio. Non ci vorrà molto perché la sua frustrazione
esploda...»
Si fermò di colpo e attese che le sue parole facessero breccia nella mente dei presenti.
Li osservò uno per volta, avvinghiandoli nel suo sguardo magnetico e intenso. Lasciò
che il silenzio li facesse riflettere, che ognuno di loro sviluppasse a modo suo quei
concetti, ognuno comunque irrimediabilmente imbrigliato dentro il solo e unico
obiettivo della massimizzazione dei profitti.
«Potrebbe funzionare» sibilò qualcuno.
«Potete scommetterci che funzionerà» sentenziò lui con un tono che non ammetteva
repliche «dovete soltanto votarla e affidare l'intera operazione a un gruppo di
professionisti con le idee chiare. E tra qualche anno non saprete più dove nascondere
i vostri soldi».
La porta della stanza si aprì alle sei di mattina in punto. Un uomo, diverso da quello
della sera precedente ma forse addirittura più grosso e minaccioso, entrò nella stanza
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senza avvertire. Si avvicinò al letto e appoggiò una pistola sul collo del prigioniero.
Non gli diede neppure il tempo di supplicare. Premette il grilletto e la pistola sibilò
per un microsecondo. Non fece troppo male, lo lasciò soltanto stordito per qualche
istante. Mentre cercava di riprendersi, l'uomo lo afferrò per il collo e lo trascinò fuori
dalla stanza.
«È un chip ad altissimo rilevamento. Praticamente ti può rintracciare su tutto il
pianeta. Possiede anche una microcarica esplosiva, nel caso in cui decidessimo di
rinunciare per sempre ai tuoi servizi. Giusto per darti un'idea di cosa succederà se
cercherai di scappare. E considera che ti abbiamo trovato anche senza il suo aiuto...»
L'uomo non replicò. In fondo non aveva niente da rispondere, ma era soprattutto il
terrore dello sfollagente a imporgli il silenzio. Si limitò a costatare, e si rese conto che
ciò lo terrorizzava, che dopo una sola notte già cominciava a comportarsi come una
bestiola perfettamente ammaestrata. I due camminarono per un po', infilando un
corridoio dietro l'altro senza che accadesse nulla. Tutte le porte erano chiuse, quel
posto sembrava deserto e privo di una qualsiasi forma di vita. Ma l'uomo sapeva
bene che non era così. In fondo anche lui confondeva e annientava le sue prede
nascondendo la realtà dietro l'apparenza. Quello era un posto che si presentava
perfettamente pulito, luminoso, silenzioso, ordinato. E ciò significava che nella realtà
era l'esatto contrario. Un posto pieno di dolore e di paura, magari in pieno centro, a
due passi da una stazione di polizia, dove neppure le leggi minimali del carcere più
duro potevano entrare. Il loro cammino si arrestò di colpo. Il gorilla aprì una delle
numerose porte di un'interminabile corridoio e lo spinse dentro. Era una stanza di
circa cinquanta metri quadri. Sulla parete più lontana era posizionato uno schermo
che la ricopriva interamente. Non fece in tempo a vedere altro. L'uomo lo afferrò
ancora e lo fece sedere sul letto. Gli mostrò uno strano oggetto simile a una piccola
spazzola. Aveva una ventina di minuscoli aghi piantati su una piastra ed era collegato
tramite un lungo tubicino di plastica a una vasca trasparente simile a quelle nei bar
che contengono le granite.
«Sdraiati» gli ordinò.
L'uomo non si mosse. I suoi occhi restarono incollati a quelli del suo carnefice. Non
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si azzardò a domandare, ma si impose di non obbedire.
«Non te lo dirò un'altra volta. Mi hanno già avvertito che sei un tipetto piuttosto
esuberante, ma io so bene come farti passare certe fantasie» gli disse il carnefice
appoggiando una mano sul manico dello sfollagente.
Preferì sdraiarsi. Ribellarsi sarebbe stato stupido e inutile. Lui era un predatore, il
principe dei predatori. Pazientare era il suo mestiere. Prima o poi sarebbe arrivata
l'occasione giusta.
Il carnefice gli conficcò gli aghi dentro il collo. Fu così veloce che il dolore arrivò
soltanto a cosa fatta. Poi spinse un bottone di un telecomando che teneva attaccato
alla cintura e l'uomo sentì gli aghi allungarsi e penetrare dentro di sé, li sentì
percorrere tutto il suo corpo, trapassare il suo cuore e il suo cervello. Li sentì
prendere possesso del suo intero organismo.
«Se cerchi di strapparli via, morirai. Ormai fanno parte del tuo corpo, come un osso
del tuo scheletro. Come il tuo cuore. Si cerchi di toglierli senza averli disattivati, sarà
come cercare di strapparti il cuore. E se non mi credi non devi fare altro che
provarci».
Abbozzò un sorriso freddo come un crotalo, poi si avviò verso l'uscita.
«E adesso mettiti al lavoro. E ricordati: non meno di cinque grammi. La tua vita
dipende solo da questo».
Non appena la porta si chiuse, l'uomo cominciò a osservare la stanza. Assomigliava
vagamente alla suite di un hotel, ma ancora una volta l'apparenza era ben lontana
dalla realtà. Solo allora si accorse di due ragazze che stavano sedute lungo la parete
alla sua sinistra. Sembravano stordite, avevano un'aria vagamente assente. Mentre
faceva qualche passo verso di loro si accorse che si trattava di bambole ad altissima
definizione umana. Due bambole a grandezza naturale di una bellezza sconcertante.
Erano vestite in modo piuttosto discinto e naturalmente esibivano un collo tra i più
belli che avesse mai visto. Sentì un tonfo al cuore e uno scatto dentro al suo corpo,
come se qualcosa si fosse improvvisamente attivato. Il suo respiro cominciò ad
accelerare, le mani presero a formicolare come due pezzi del suo corpo fuori
controllo. Osservò il tubicino che collegava gli aghi alla vaschetta. Una sostanza
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giallastra usciva dal suo collo e vi scorreva dentro. Ma in quel momento non aveva né
tempo né voglia per quella sciocchezza. Si avvicinò alla prima bambola e le appoggiò
una mano sotto al mento. La bambola mandò un gemito di paura.
«Non mi uccidere. Ti prego, non uccidermi...»
L'uomo ebbe un'erezione immediata. La sostanza del tubo si fece più densa e scura.
Tentò di frenare i suoi impulsi e per riuscirci cercò una qualche distrazione tra le cose
che stavano nella stanza. In un angolo c'era una pila di giornali. Afferrò il primo e
cominciò a sfogliarlo. Donne bellissime, sole e invitanti, primi piani che mostravano
un collo nudo, morbido, caldo. Un invito che non poteva essere più esplicito. Sentì le
pulsioni farsi di nuovo sotto e gli aghi riprendere a pompare dal suo organismo. In
quel momento l'altra bambola si fece sentire.
«Ho paura... ho tanta paura...»
L'uomo si voltò di colpo e le si avvicinò. Cominciò a carezzarla e scoprì che la sua
pelle era incredibilmente simile a quella di una donna vera. Morbida, calda, perfino
profumata. Non poté fare a meno di scendere verso il petto e scoprì che anche quello
era perfettamente identico. Forse...addirittura migliore.
«Oh cazzo...questo... questo è pazzesco... questo è...»
Lo schermo si accese in quel momento. Anche quello era ad altissima definizione,
sembrava di osservare una scena di vita reale dal davanzale di una finestra.
L'uomo sentiva il pene pulsargli tra le gambe. Erano le stesse lancinanti pulsazioni
che gli martellavano nel petto e sulle tempie. Lo schermo rimandava l'immagine di
una donna che passeggiava sola lungo una strada deserta e poco illuminata. La
telecamera la seguiva come gli occhi di un maniaco pronto a colpire. L'audio era
fantastico: il suono dei tacchi rimbalzava tra le pareti della stanza, depurato di ogni
interferenza esterna che ne potesse guastare la purezza. Agli angoli della stanza si
aprirono silenziosamente quattro bocchette. L'uomo non aveva una sufficiente
concentrazione per accorgersene. Restò ipnotizzato da quelle immagini mentre
nell'aria si propagava lentamente un dolce profumo femminile. La ragazza si voltò di
colpo e si guardò attorno con un misto di sospetto e apprensione. Il suo respiro,
fedelmente riportato dall'impianto acustico, si fece più teso. Riprese a camminare,
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stavolta con un passo più veloce. La telecamera perse terreno per qualche istante, poi
si fece di nuovo sotto. La ragazza imboccò un vicolo stretto che pareva affogare nel
buio e di colpo cominciò a correre.
«Ora» esclamò l'uomo nella stanza «devi prenderla ora! Non lasciarla scappare!»
La telecamera guadagnò terreno. La ragazza cominciò ad ansimare. Correre con i
tacchi era difficile, ma più difficile era tenere a bada quel terrore maligno che le
impediva di ragionare. Si voltò, gli occhi sgranati dalla paura, ma così facendo perse
quel minimo vantaggio che aveva guadagnato.
«No...» gemette alzando le braccia per proteggersi.
«Ti prego, no...»
Due mani le cinsero il collo e cominciarono a stringere.
«No» ripeté lei, ma adesso era solo un rantolo soffocato che non aveva più forza. Le
mani strinsero fino a diventare due morse bianche come latte, mentre sul volto della
donna affiorava la morte. I suoi occhi sfarfallarono un paio di volte, poi si spensero
senza reagire. Dalla sua bocca uscì un ultimo sibilo di preghiera, poi restò solo quel
buco spalancato che rappresentava così bene e il suo terrore.
L'uomo sentì l'orgasmo arrivare. Venne nelle mutande mentre le sue mani si
chiudevano a morsa sul collo di una delle due bambole. Lanciò un urlo selvaggio e
chiuse gli occhi. Per un attimo il mondo intero scomparve e lui si sentì in paradiso. Si
sentì all'apice delle sue aspirazioni, sentì completamente realizzata la sua reale
natura. Per un attimo si convinse di essere Dio. Onnipotente, eterno, nel punto più
alto dell'universo. Durò solo un istante ma fu la sensazione più intensa e
indimenticabile della sua vita. Avrebbe voluto stringerla tra le mani e farla durare per
sempre, ma tutto svanì di colpo come il fumo spazzato via dal vento. Restò solo una
squallida stanza con due pupazzi fatti di un materiale così simile alla carne umana,
uno schermo sofisticato e un avanzato sistema acustico e olfattivo. Il mutamento
repentino di sensazione lo lasciò smarrito. Percepì gli aghi raschiare nel suo collo, li
sentì risucchiare la sua forza, le energie e gli umori che lui secerneva nei suoi
momenti di eccitazione. La vaschetta posata su una mensola era piena per quasi un
quarto della sua capienza. Un liquido denso e giallastro percorreva quel tubo che gli
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usciva dalla gola e si tuffava, una goccia alla volta, dentro il contenitore.
Ecco cosa vogliono, pensò, ecco perché ti tengono in vita. Perché tu gli dai
questa roba. E ti fanno eccitare proprio per questo.
Fu in quel preciso momento che il suo stadio di esaltazione scomparve
completamente. Comprese che quel particolare trattamento, che aveva
scatenato le sue fantasie più perverse e aveva trascinato il suo godimento alle
stelle, avrebbe presto smesso di essere un piacere. Ripetuto dieci, cento, mille
volte, sarebbe diventato una condanna. Una maledizione che non gli avrebbe
dato scampo. Una schiavitù che lo avrebbe velocemente consumato fino a
dargli la morte. Non conosceva il perché e probabilmente non lo avrebbe mai
conosciuto, ma la verità era che lo stavano mungendo come una vacca.
Eppure la sua parte più genuina, quella che nella vita quotidiana era costretta a
nascondersi dietro le sue buone maniere, non la pensava esattamente così. Quella
parte, repressa per anni e costretta ad accontentarsi delle briciole, delle strade
deserte e delle zone più appartate, in quella stanza aveva finalmente trovato il suo
mondo. E adesso non aveva più intenzione di convivere con la sua parte urbana. La
maschera non le serviva più. Là dentro poteva scatenare la sua vera natura senza
inibizioni. Anzi, era proprio per quel motivo che lo tenevano in vita.
Ancora! Senti gridare da qualche parte nella sua testa.
Facciamolo ancora!
Le mani tornarono a formicolare. Le tempie tornarono a pulsare.
«Ti prego no...» gemette d'improvviso una bambola.
«Aiuto...» implorò di ritorno l'altra.
Il suono di tacchi sul selciato riprese a circolare nella stanza. Il liquido riprese a
scorrere copioso nel tubo. L'uomo si avvicinò a una bambola, l'afferrò e la sdraiò sul
letto. Santo Dio, era più donna lei di tutte le donne che aveva visto nella sua vita.
Sciolse la corda del corpetto che la vestiva e lasciò uscire metà capezzolo di uno dei
due seni. Non riuscì a frenare un gemito di piacere.
«Ti prego» disse lei «senti come batte il mio cuore...»
L'uomo ebbe un attimo di smarrimento, poi appoggiò una mano sullo sterno della
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bambola. Sentì qualcosa pulsare sotto il suo palmo.
«Non violentarmi. Lasciami andare. Ti scongiuro...»
Era viva. Viva!
La ragione scivolò fuori dal suo cervello in un attimo. La sua rabbia, la sua furia
incontenibile, la bestia selvaggia che gli viveva dentro esplosero tutte insieme e gli
annullarono ogni barlume di ragione. Strappò via con un solo colpo il corpetto della
bambola e si sdraiò sopra di lei. Affondò i suoi denti sul collo e chiuse le sue ganasce
fino a farsi male. La penetrò brutalmente, senza il minimo riguardo. Quei bastardi
avevano riprodotto fedelmente anche i suoi organi genitali, perfino gli umori prodotti
dalla sua fica.
Stavolta impazzisco davvero. Questa è la volta buona che mi friggo il cervello.
Prese ad affondare i suoi colpi di bacino fino a far traballare il letto. La bambola
assecondava i suoi movimenti, lanciando ogni tanto qualche ambiguo gemito. Era
programmata alla perfezione. Quei figli di puttana gliel'avevano costruita su misura.
Una perfetta e incantevole miscela di inferno e paradiso che lo avrebbe condotto alla
distruzione. Venne in mezzo alle cosce della bambola lanciando un ululato che non
aveva niente di umano.
Il liquido giallastro scorreva attraverso il tubo senza sosta.
Prima di sera si era fatto anche l'altra. Aveva la gola secca e sentiva qualche linea di
febbre bruciare dentro il suo corpo. Quando vennero a prenderlo per riportarlo in
cella era esausto. Scaricare senza alcun limite quella rabbia e quelle pulsioni era stato
fantastico ma lo aveva ridotto uno straccio. Si lasciò trascinare senza opporre la
minima resistenza.
«Se sei ridotto in questo modo al primo giorno, allora qua dentro non hai un gran
futuro, bello mio» gli disse il gorilla che lo accompagnava.
Aveva solo otto ore per riposare, poi il ballo sarebbe ricominciato.
Fu in quel momento che comprese che da quel posto non sarebbe mai scappato.
Perché non sarebbe mai vissuto abbastanza per programmare una fuga.
*
*
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*
New York, Stati Uniti, venti settembre duemilaventi.
Il vecchio non riusciva a mantenersi composto. Si torceva nervosamente su se stesso,
si fregava le mani, torturava la cravatta e il fazzoletto nel taschino del suo completo
gessato, si passava le dita tra i suoi capelli bianchi facendo attenzione a non rovinare
la piega. Attendeva con impazienza che il segretario dichiarasse aperta la riunione e
gli lasciasse raccontare le ultime importantissime novità. I consiglieri della S. K.
venivano da tutto il mondo. Alcuni di loro erano tra i soggetti più ricchi della terra,
altri erano ministri o parlamentari nei propri paesi, altri ancora erano i più
importanti esponenti della criminalità organizzata, alcuni addirittura latitanti da
decenni e ricercati dalle polizie di tutto il pianeta. Tutti insieme, senza
discriminazione alcuna, impegnati nella solenne fatica di moltiplicare al massimo le
proprie ricchezze. Si stringevano mani, si salutavano con sorrisi sinceri e abbracci
calorosi, si scambiavano promesse e appuntamenti. Ne approfittavano per stringere
affari e portare a casa qualche guadagno, giusto perché il loro tempo non andasse del
tutto sprecato.
Terminate le verbalizzazioni preliminari, il segretario fece cenno al presidente di
introdurre la riunione. L'uomo non si fece pregare.
«Signori, mi rendo conto che non è passato neanche un mese dall'ultima riunione e
che ognuno di noi ha un'infinità di impegni e di affari da seguire. Mi rendo conto che
molti di voi vengono dall'altra parte del pianeta e che per presenziare a questa
riunione devono impegnarsi in quindici o venti ore di aereo. Ma questa convocazione
era assolutamente irrinunciabile. Le informazioni che sto per darvi hanno
un'importanza vitale e trasformeranno radicalmente l'attività e la struttura della S.
K.. Ci siamo lasciati, ventiquattro giorni fa, con un resoconto decisamente
soddisfacente: i profitti crescono a una velocità impensabile, la domanda del
prodotto non subisce battute d'arresto, la produzione ha raggiunto buoni livelli di
organizzazione. Ebbene, tutto questo è niente rispetto a ciò che abbiamo ottenuto in
questi ventiquattro giorni! Nella dispensa che avete davanti troverete tutti i dettagli
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tecnici e il resoconto analitico dei risultati raggiunti. Ci sono considerazioni tecniche
che farete leggere ai vostri consulenti e che vi lasceranno sicuramente soddisfatti. Io
mi limito a dirvi che abbiamo finalmente raggiunto il controllo genetico della tossina.
Signori: sappiamo come stimolarla! Siamo finalmente in grado di fabbricare esseri
umani che possano produrre questa benedetta tossina! Possiamo manipolare il loro
patrimonio genetico e trasformarli in ciò di cui abbiamo bisogno! Siamo finalmente
in grado di creare la materia prima che ci serve!»
L'applauso scoppiò spontaneo, accompagnato da urli sguaiati e strette di mano.
Il vecchio era in preda a un entusiasmo febbrile e contagioso. I suoi occhi luccicavano
di avidità, le sue guance si erano imporporate di un rosso fuoco degno delle passioni
più intense e brucianti. Tremava come un bambino e li guardava negli occhi uno a
uno, fiero e orgoglioso di aver raggiunto un risultato al quale aveva dedicato la vita.
Si godette quell'applauso intenso, quei sorrisi di ammirazione e di gratitudine che
valevano più di ogni altra cosa, quelle decine di occhi da squalo, per una volta pregni
di commozione come solo il denaro, tanto denaro, sapeva infondere.
«Ma non siamo qui soltanto per festeggiare. Questa importante novità ci impone di
riflettere sulle nostre strategie commerciali e sulle nuove strade da battere. Quella
che una volta era un'ipotesi poco realistica e anzi addirittura improduttiva dal punto
di vista commerciale, diventa adesso un'idea piuttosto interessante sulla quale
riflettere attentamente. Ricordate, signori? Una volta discutemmo sulla possibilità di
impiantare veri e propri vivai: orfanotrofi, scuole materne, reclutamento fitto e
continuo di bambini di strada sui quali lavorare a fondo per ottenere una quantità
sufficiente di tossina. Allora era una strada impossibile, ma oggi, oggi che possiamo
controllare e manipolare il patrimonio genetico, diventa una straordinaria e
interessante possibilità. Sto parlando di allevamento in massa, signori, di uno
sviluppo colossale di soggetti con tendenze omicide sotto il nostro diretto controllo.
Sto parlando di un investimento massiccio e impegnativo, che coinvolge in modo
determinante i governi e che richiede grande collaborazione da parte di tutti. Questo
permetterà alla S. K. di entrare su mercati enormi ai quali abbiamo sempre dovuto
rinunciare perché la nostra capacità produttiva era inadeguata. Tutta l'Asia, signori:
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la Cina, l'India, il Giappone! Una penetrazione più profonda e capillare in Australia!
E un domani, quando le condizioni lo permetteranno, l'avvio di una seria politica
commerciale in Africa. Ma tutto questo richiede un cambio radicale della nostra
organizzazione produttiva. Richiede coraggio, capacità di azzardare e di guardare
lontano. Richiede una profonda convinzione, perché una volta intrapresa questa
strada non sarà più possibile tornare indietro. Ecco perché sono qui a chiedere a
questo consiglio di amministrazione di pronunciarsi su questa proposta».
Il silenzio durò solo qualche istante. Al vecchio sembrò un'eternità. Poi dal fondo
della sala si levò una voce.
«Io non ho alcun motivo di dubitare delle tue capacità. Fino ad oggi hai lavorato
benissimo e ci hai fatto guadagnare bene. Ti abbiamo dato fiducia e siamo stati
ripagati. Vuoi fare un altro passo? Per me puoi andare. Finché i risultati sono questi,
nessuno di noi avrà mai nulla da obiettare».
L'uomo che aveva parlato era un ometto dall'aspetto insignificante. Barba lunga di
qualche giorno, vestiti raffazzonati e vecchi di almeno vent'anni. La polizia italiana lo
cercava da mezzo secolo e lo costringeva alla latitanza da un casolare all'altro della
Sicilia. Aveva le unghie sporche di terra e un viso solcato da rughe quasi disegnate.
La pelle era maltrattata dal sole come quella di un vecchio afflitto da una vita di
stenti. Quell'uomo, il perfetto paradigma del povero vecchio in attesa della morte,
movimentava ogni giorno centinaia di miliardi sulle piazze finanziarie di tutto il
mondo. Si voltò verso gli altri in cerca del loro consenso. I suoi erano i movimenti di
un uomo abituato a comandare più con i gesti che con le parole. Attorno a sé scorse
soltanto cenni di assenso, molti convinti, alcuni addirittura entusiasti.
Allargò le braccia e si esibì in un sorriso sdentato.
«Come vedi, il consiglio è con te. Dunque dritti fino in fondo. A tenere a bada i
governi ci pensiamo noi...»
*
*
*
Il prodotto era stato lanciato in contemporanea sui mercati degli Stati Uniti e
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dell'Europa. Aveva davvero del miracoloso: veniva iniettato per via intramuscolare e
l'organismo che lo assumeva subiva un processo di ringiovanimento assoluto. Corpo
e cervello tornavano indietro di quindici, venti anni. La chirurgia estetica fu spazzata
via nel giro di due mesi. Il siero rappresentava un passo avanti stratosferico rispetto a
qualunque tecnica chirurgica, coinvolgeva sia l'aspetto estetico che quello
intellettuale, era indolore e produceva i suoi effetti nell'arco di dieci giorni. Dopo un
primo lancio in sordina, quasi sperimentale, l'assalto agli scaffali fu devastante. La S.
K. quintuplicò il prezzo di vendita, nella speranza di rallentare almeno
temporaneamente il processo di accaparramento, ma non servì a niente. La domanda
si propagò a tutti gli strati sociali come una febbre inarrestabile mentre l'idea del
ringiovanimento si trasformava, da leggenda una volta raccontata nelle favole, a
valore unico e assoluto che sovrastava e annientava ogni altro possibile obiettivo
dell'esistenza. Perfino gente che non aveva ancora compiuto trent'anni pareva non
poter farne a meno: possederlo e utilizzarlo diventò subito un dovere, a prescindere
dalla sua effettiva utilità. Nel giro di tre mesi il prezzo era salito a dodici volte quello
iniziale. Ci furono naturalmente anche casi di overdose e di uso improprio. Qualcuno
confuse l'idea di ringiovanimento con l'idea di immortalità, convinto che raddoppiare
o triplicare la dose avrebbe amplificato i suoi effetti, con l'unico risultato di vedere
prematuramente terminata la propria esistenza. Un'intera famiglia, nello Stato di
New York, venne trovata dalla polizia rinchiusa nel proprio appartamento dopo una
decina di giorni dalla morte di tutti i membri. Avevano assunto una dose almeno
quadrupla rispetto a quella consigliata e dopo appena un mese dalla precedente
assunzione, mentre le indicazioni della casa produttrice raccomandavano di lasciar
passare almeno dodici mesi tra un'assunzione e l'altra. Ma nel complesso, esclusi
clamorosi casi di esagerazione o di isteria prossima alla demenza, il prodotto
funzionò alla grande. La popolazione degli Stati Uniti e dell'Europa subì un brusco e
fantastico ringiovanimento. Nessuno di quegli accaniti consumatori perse tempo a
domandarsi cosa ci fosse dietro. Quelli erano inutili paranoie di chi voleva per forza
complicarsi la vita. In fondo c'era sempre qualche diffidente in cerca di pubblicità che
vedeva complotti ovunque al solo scopo di distinguersi e uscire dalla mediocrità.
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Qualche mosca bianca avanzò alcune domande impertinenti e si avventurò in
qualche ipotesi da fantascienza, ma nel complesso nessuno gli diede l'ascolto che
meritava. Il prodotto funzionava e non dava effetti collaterali e questo, in fondo, era
ciò che i clienti chiedevano. Bastava seguire fedelmente le istruzioni e saper
rinunciare a gran parte della vita condotta fino a quel momento. Perché ormai il siero
aveva raggiunto costi altissimi e molte famiglie accendevano mutui e rinunciavano a
vivere un'esistenza normale per entrare in possesso di quelle fiale. La S. K. non ebbe
neppure bisogno di inventarsi costose e coinvolgenti campagne pubblicitarie: il volto,
il corpo, la forma smagliante di chi faceva uso del siero parlavano da soli. La
trasformazione lasciava a bocca aperta. I corpi riacquistavano una agilità, una
solidità, una luminosità che faceva pensare al miracolo. Nessuna tecnica chirurgica
avrebbe mai potuto tanto. La pelle si rassodava, i muscoli riacquistavano tono, le
rughe sparivano per incanto. Gli occhi, i denti, i capelli: ogni parte del corpo umano
tornava magicamente indietro di almeno quindici anni. Nei casi eclatanti, quelli che
la S. K. decise di documentare per esibirli orgogliosamente ai congressi medici più
importanti, si erano toccati picchi di ventidue anni, certificati da analisi autorevoli
condotte dai migliori esperti del mondo. Le prestazioni sportive, sessuali,
intellettuali, subivano trasformazioni probabilmente anche maggiori. Il sentirsi
giovani, oltre all'esserlo veramente, dava al corpo una consapevolezza e una forza che
probabilmente non aveva avuto neppure nella sua giovinezza originaria. Ma in quel
caso si trattava di processi non estetici e dunque meno interessanti dal punto di vista
commerciale. Quasi nessuno assumeva il siero per ragioni legate alle prestazioni. Era
l'apparenza il vero e unico volano di tutta l'operazione. I popoli industrializzati
avevano finalmente scoperto il segreto dell'eterna giovinezza. Ma i popoli
industrializzati rappresentavano a stento un terzo del pianeta. Al di là di quello
steccato esisteva un enorme mercato potenziale che aveva bisogno solo dei giusti
stimoli per avviarsi nella stessa direzione. E una volta che negli Stati Uniti e in
Europa le vendite si furono assestate, sempre comunque su livelli altissimi, la S. K.
cominciò a dirottare le sue attenzioni su quella parte di clientela che non aveva
ancora avuto il piacere di fare la conoscenza del siero. Una porzione di pianeta
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sconfinata, composta da miliardi di potenziali compratori che si sarebbero
catapultati sugli scaffali dei negozi saccheggiandoli fino all'esaurimento. Ma questo
richiedeva un nuovo e marcato cambiamento di rotta. E la S.K., ancora una volta, fu
pronta a imboccare la strada giusta.
*
*
*
Sul volto del presidente della S. K. non c'era alcuna traccia di nervosismo o di ansia.
Stavolta era una innata dose di narcisismo che lo spingeva a passarsi le mani sui
capelli. Non erano più bianchi adesso. Avevano riacquistato il loro originario colore
castano e le venature di bianco erano sporadiche e gli infondevano, così diceva ai suoi
amici, quella giusta dose di fascino e autorevolezza che gli serviva. Aveva perso
almeno quindici chili e le sue mani avevano smesso di tremolare come la fiamma di
una candela esposta alla brezza. L'entusiasmo per i risultati raggiunti dalla S.K. aveva
fatto il resto, infondendogli un'energia e una forza che non ricordava di aver avuto
neppure da ragazzo. Ma questo valeva anche per i componenti del consiglio di
amministrazione, tutti magicamente ringiovaniti e felici di aver ricevuto in regalo
altri quindici anni nei quali poter accumulare nuove ricchezze.
«Signori» tuonò improvvisamente il presidente per richiamare l'attenzione dei
presenti «abbiamo appena celebrato un successo senza precedenti. La S. K. fa
addirittura fatica a contenere i suoi profitti. In borsa sta volando e viene
continuamente sospesa dal mercato per eccesso di rialzo. La produzione è al
massimo e non è praticamente possibile accumulare scorte. Il prodotto viene esaurito
di giorno in giorno. Ma tutto questo mi spinge a chiedermi cosa potrebbe accadere se
ci decidessimo una volta per tutte ad attaccare il mercato dell'Asia e dell'Australia.
Potremo guadagnare dieci volte quello che stiamo guadagnando adesso! E io credo
che questo sia un nostro preciso dovere, signori. La S. K. è uno strumento nato per
produrre profitti, e noi siamo i suoi piloti. Abbiamo tra le mani il prodotto del secolo,
forse del millennio, e non possiamo esimerci dal trarre il massimo profitto da questa
possibilità. Credo che su questo siate d'accordo tutti».
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Seguì qualche pigro applauso e qualche ovvia considerazione di assenso. Poi il
silenzio tornò di colpo, come se una eccessiva distrazione fosse una specie di atto
criminale. Ognuno dei consiglieri sapeva bene che non era stato convocato
semplicemente per celebrare i grandiosi successi della S. K.. Il presidente non era
tipo da cullarsi sugli allori. Cinque minuti di festeggiamenti erano più che sufficienti.
Adesso era il momento della proposta. Adesso era il momento di darsi da fare per
cercare nuove possibilità di ricchezza.
«E allora, signori, torna purtroppo alla ribalta un vecchio problema che per un po' di
tempo siamo riusciti a tenere a bada. Stiamo parlando di tre miliardi, forse anche di
più, di possibili compratori. Un mercato immenso di fronte al quale quello degli Stati
Uniti o dell'Europa fanno ridere. Abbiamo imparato che non servono investimenti
pubblicitari, basta posare il prodotto sugli scaffali e il resto viene da sé. Ma la
produzione... quella rimane un maledetto problema. La nostra struttura produttiva è
dannatamente inadeguata rispetto a quei mercati. I nostri... allevamenti riescono a
malapena a tenere il passo nei confronti dei mercati attuali. Senza contare che hanno
comunque un notevole costo: i soggetti che producono la tossina devono mangiare,
devono dormire, hanno bisogno di naturali periodi di pausa, ogni tanto si ammalano
e vanno rimpiazzati. E poi hanno una mortalità media piuttosto alta: la loro
resistenza alla stimolazione decresce col tempo e il loro sistema nervoso collassa.
Producono molto, ma durano poco. Il tasso di rotazione è molto alto e richiede un
notevole impegno, un monitoraggio continuo e una organizzazione che scenda fin nei
minimi dettagli. Con questo sistema non potremmo mai e poi mai in affrontare un
mercato come quello asiatico. La domanda ci travolgerebbe e ciò potrebbe
danneggiare la credibilità che abbiamo raggiunto con tanta fatica. Ecco perché siamo
qui. È arrivato il momento di cambiare rotta ancora una volta. Finora abbiamo
scherzato, signori. Adesso cominciamo a fare sul serio».
Le luci si abbassarono e sulla parete più lontana si accese uno schermo. Su di esso si
alternarono per circa un quarto d'ora grafici, cifre, cartine geografiche, valori di
borsa, previsioni ed estrapolazioni, ipotesi e informazioni di cui nessuna polizia del
mondo era a conoscenza. Poi lo schermo si spense e tornò la luce.
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«Il nostro sistema produttivo va radicalmente cambiato» riprese il presidente con
rinnovata energia «e io sono qui a chiedervi un atto di coraggio, convinto che ancora
una volta otterremo i risultati che meritiamo».
L'uomo si tolse la giacca e si arrotolò le maniche della camicia. Mentre faceva questo
si spostò fino a raggiungere il centro dello schermo. Voleva la massima attenzione da
parte di tutti.
«Signori: è l'ora di abbandonare gli allevamenti».
Seguì un brusio e un attimo di stordimento generale. Qualcuno era sicuro di aver
frainteso. Qualcun altro, invece, era curioso di vedere fino a che punto si sarebbe
spinto il coraggio di quell'uomo.
«E la materia prima dove la andiamo a prendere?» chiese un consigliere.
«La andiamo a prendere in tutto il pianeta. Il mondo intero deve diventare il nostro
impianto di allevamento. Abbiamo scoperto come manipolare il patrimonio genetico,
abbiamo scoperto come provocare le tendenze omicide in quei soggetti che non le
possiedono. Ma ci siamo illusi che i nostri allevamenti potessero bastarci. E per un
po' è andata così. Abbiamo ragionato e agito con l'occhio corto, ci siamo limitati a
quella parte di pianeta che poteva rispondere alle nostre sollecitazioni. Ma questo
adesso non ci basta più: l'intero pianeta diventerà il nostro mercato. E l'intero
pianeta deve diventare il nostro vivaio».
«Quindi dovremmo applicare questa manipolazione genetica... ovunque?»
«Esattamente. Vi faccio l'esempio delle vasche di allevamento ittico: hanno un
altissimo costo, ma sono comunque convenienti perché nessun mare al mondo ha la
stessa pescosità di una vasca di allevamento. Ma se il mare avesse la stessa densità di
pesci di una qualunque vasca, nessun produttore esiterebbe ad attingere il pesce
laddove la natura glielo fornisce gratis, piuttosto che allevarlo a sue spese. Oggi noi
abbiamo la possibilità di avere nel mondo una altissima densità di soggetti con
tendenze omicide. Ci basta trovare i giusti canali per applicare questa trasformazione
genetica e in un paio di mesi potremo decuplicare la produzione. Di fronte a questa
possibilità, i nostri allevamenti perdono di qualunque significato. Dobbiamo pensare
in grande, signori. Dobbiamo pensare in termini planetari».
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«Tutto questo è giustissimo e interessante in linea teorica» replicò un consigliere
alzandosi «ma nella realtà pratica potrebbe provocare grossi problemi anche alla
nostra vita: il tasso di criminalità subirà una forte impennata in tutto il mondo. Ci
saranno aggressioni, omicidi, il mondo diventerà un posto decisamente meno sicuro
e meno vivibile di come è oggi. Il mio non è uno scrupolo morale, ma una riflessione
pratica: l'incremento dei profitti potrebbe essere annullato dal netto peggioramento
delle nostre condizioni di vita».
«La tua è un'osservazione interessante, ma trascura un aspetto decisivo» rispose un
altro consigliere dal fondo del tavolo. Era l'uomo con lo sguardo da squalo che già
una volta aveva invitato il presidente ad accelerare in quella direzione.
Probabilmente aspettava quel momento da anni. Quel giorno i suoi occhi brillavano
come due diamanti.
«Dici che in questo modo peggioreremo la società e renderemo il mondo meno
sicuro. Può darsi che sia così. Anzi, sarà certamente così. Ma io voglio domandarti: è
forse un problema nostro? Noi abbiamo denaro a sufficienza per crearci un mondo in
miniatura fatto secondo le nostre esigenze e le nostre necessità. Per quanto mi
riguarda, quello che succede là fuori non mi interessa. Mi interessano i profitti, è con
quelli che costruisco il mio mondo. E il mio mondo è perfettamente sicuro e
perfettamente obbediente. Con i profitti posso fare del mio mondo quello che voglio.
E questo vale anche per tutti voi».
«Però tirare troppo la corda potrebbe essere un...»
«Per aumentare i profitti è sempre necessario tirare la corda. Io non conosco altri
modi, in verità nessuno di voi li conosce. Tirare la corda fino a sfiorare la rottura.
Spremere il limone fino al massimo. Raschiare il barile fino in fondo. È sempre stato
e sempre sarà così. Lo fanno i petrolieri, lo fanno i fabbricanti di armi, lo fanno gli
industriali che producono scorie, metalli pesanti, o altissime emissioni di anidride
carbonica. Lo fanno i produttori di droga. Lo fanno i palazzinari, lo fanno perfino
quelli che giocano a fare gli ambientalisti. Forse qualcuno di loro se ne preoccupa
davvero? Esistono centinaia di studi che calcolano i danni prodotti ogni giorno e
prevedono nei minimi dettagli cosa succederà a questo pianeta nei prossimi
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trent'anni. Lo sanno tutti, ma nessuno se ne preoccupa veramente. E nessuno fa un
passo indietro, perché questo significa ridurre i suoi profitti. Ogni giorno milioni di
persone muoiono per cancro, incidenti stradali, condizioni lavorative inadeguate,
situazioni di guerra, perfino per fame. E nessuno di coloro che hanno causato o
favorito queste situazioni ci perde il sonno. Perché dovremmo farlo noi? Il novanta
percento dei decessi è causato dagli esseri umani. Tutti lo sanno e nessuno fa niente.
Chi siamo noi, angeli? No, signori: noi siamo imprenditori. Il nostro mestiere è
quello di produrre denaro. Lasciamo i problemi della società a chi ha deciso di
farsene carico. E andiamo a prenderci i nostri mercati. Andiamo a prenderci i nostri
soldi».
Dopo quel discorso appassionato calò il silenzio. Non ci fu bisogno di altre
considerazioni.
«Dunque chi approva questa proposta?» chiese rapido il presidente prendendo la
palla al balzo.
L'intero consiglio di amministrazione alzò la mano.
*
*
*
Roma, Italia, diciotto ottobre duemilacinquantadue.
Alle venti e cinquantanove tutti i network del paese sospesero le proprie trasmissioni
e si sintonizzarono con Palazzo Chigi. Appartenevano tutti allo stesso proprietario,
perciò non era stato necessario emanare un decreto di urgenza che costringesse i
direttori delle reti a seguire quel consiglio. Alle ventuno partiva l'intervista trasmessa
a reti unificate al direttore del governo. L'avrebbe condotta l'unico giornalista
autorizzato a conferire con il direttorio, ossia l'organo che accorpava ormai da
qualche anno i poteri legislativo ed esecutivo, ma naturalmente il suo non era altro
che il ruolo di una spalla. Serviva a presentare sotto forma di dialogo quello che era
in realtà un discorso ai cittadini ma che sotto forma di monologo sarebbe risultato
estremamente noioso. Gli ultimi studi avevano rilevato una soglia di attenzione
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dell'italiano medio pari a quarantadue secondi, e adesso il direttore aveva bisogno di
farsi ascoltare per almeno cinque minuti. Quello era il suo ultimo tentativo per
rassicurare il suo popolo. Le ondate di violenza dell'ultimo decennio avevano
trasformato il paese in un girone dell'inferno. Aggressioni, omicidi in pieno giorno,
violenze carnali nelle piazze più affollate della città, perfino qualche episodio di
cannibalismo che i media avevano cercato senza successo di nascondere. Il terrore,
che per qualche anno aveva serpeggiato tra la gente, adesso traboccava dalle loro
anime e rendeva impossibile perfino a affacciarsi dalla finestra della propria casa. Un
popolo intero si stava sbranando, ma nel resto dell'Europa le cose andavano nella
stessa maniera. Si contavano centinaia di omicidi al giorno, di stupri, di aggressioni a
ogni angolo di strada. Il paese era in agonia, la paura paralizzava ogni attività. La
produttività era scesa ai livelli del settecento, le attività turistiche e ricreative erano
scomparse nel giro di pochi anni, gli spostamenti erano riservati a quei pochi che
possedevano auto di ultima generazione, blindate e dotate di pistole elettriche a
bordo. Il direttorio aveva dunque optato per un gesto estremo e aveva appena
registrato una legge che avrebbe dovuto, nelle sue miopi intenzioni, arginare quel
terribile fenomeno. Adesso una nazione intera stava davanti al video rassegnata a
bersi le promesse del suo direttore. Anche le reti informatiche erano state invase
dalla sua presenza ossessiva e i computer si erano automaticamente accesi in ogni
casa alle venti e cinquantacinque. Solo quei pochi che possedevano esemplari di
vecchissima generazione furono in grado di risparmiarsi quella scena. Il direttore si
presentò davanti alle telecamere sereno e sorridente. Gli italiani si stavano
annientando e lui sembrava giusto arrivato da un paese lontano per regalare a tutti
felicità e benessere. Il giornalista lo introdusse illustrando per qualche minuto i suoi
innumerevoli meriti, poi andò al sodo della questione.
«Direttore, oggi il governo ha registrato una legge importante, no?»
«È una legge che riporterà la sicurezza e la tranquillità nel paese. È una legge storica.
Da domani le cose cambieranno sul serio».
Si voltò di scatto verso le telecamere e puntò l'indice verso l'obiettivo: «Io vi
restituirò l'Italia, cittadini. Io farò in modo che questo paese torni a essere uno dei
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più sicuri del mondo».
«Ci spieghi i punti fondamentali della legge, direttore. Lo sa che, secondo qualche
corrispondente estero, se ci fosse stato ancora il Parlamento l'avrebbe bocciata?»
«Quelli possono dire tutte le stupidaggini che vogliono. Il Parlamento non c'è più da
un pezzo, e questo è un bene per il paese. Inutile tornare a discutere di rottami che la
storia ha già trasformato in scorie. La legge ha un solo obiettivo: azzerare il tasso di
criminalità nel paese. E noi prevediamo di raggiungerlo in ventiquattro mesi».
«In che modo?»
«Anzitutto, da domani è autorizzata la costituzione di corpi specializzati nella cattura
di soggetti violenti. Avranno maggiori poteri della polizia stessa. Ognuno di loro avrà
un territorio di propria competenza. Lo Stato italiano appalterà la ricerca e la cattura
dei soggetti violenti a questi corpi specializzati. Non dovranno seguire nè regole né
procedure, saranno liberi di effettuare le loro ricerche secondo i metodi che
riterranno più validi».
«Questo cosa dovrebbe comportare secondo voi?»
«Avremo immediatamente una intensificazione delle ricerche e uno snellimento delle
procedure. I corpi speciali non avranno limiti e non dovranno rispondere a nessuno
del proprio operato. Sono liberi cacciatori e non avranno nessun ostacolo sulla
propria strada. Inoltre chi si macchia di reati odiosi come l'omicidio o lo stupro perde
automaticamente ogni diritto. I soggetti che verranno catturati dai corpi speciali
saranno privi di ogni tutela. I corpi speciali diventeranno i loro padroni assoluti.
Potranno disporne come meglio credono».
«Lei crede che questa sia davvero la strada giusta?»
«La polizia di Stato ha dimostrato di non essere all'altezza. Troppi limiti, troppa
burocrazia, troppe norme restrittive. E anche una preoccupante mancanza di
motivazioni. I corpi speciali saranno un'altra cosa. In pochi mesi vedremo i risultati e
allora ne riparleremo».
«Qualcuno ha avanzato dubbi di natura giuridica sul trattamento che avete riservato
agli assassini. Cosa risponde?»
«Rispondo che sono proprio quei dubbi che li hanno fatti vincere fino ad oggi. Vede,
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venti anni fa abbiamo cancellato quel ferrovecchio che era la Costituzione, ma la sua
presenza spirituale ha continuato a farsi sentire per anni. Diritti, diritti, sempre solo
diritti. Oggi abbiamo finalmente fatto un passo avanti. Gli uomini non sono tutti
uguali. Chi ammazza, chi stupra, chi aggredisce gli altri non può avere gli stessi diritti
di un cittadino onesto. Da oggi è così. Nel momento in cui questo assassino viene
preso dai corpi speciali, diventa un oggetto a loro disposizione. Loro decideranno
cosa farci. Per lo Stato italiano la sua esistenza e i suoi diritti sono terminati nel
momento in cui lui ha deciso di mettersi contro la legge».
«Prima di chiudere, vuole dire un'ultima cosa ai telespettatori?»
L'uomo si voltò nuovamente verso le telecamere. Una patina di sudore freddo gli
imperlava la fronte. Il pomo di Adamo gli si era ingrossato e spiccava sulla sua gola
come una grossa biglia pulsante. Intrecciò le mani per fermare il loro tremolio. Una
ciocca di capelli tinti si era staccata dalla chioma e gli scendeva sulla tempia come un
piccolo grumo di bitume. Si lasciò scappare una smorfia di dolore che riuscì a
smorzare con fatica e troppo tardi. Le telecamere sparavano sugli schermi il ritratto
di un uomo sull'orlo di una crisi devastante.
«Ce la faremo. Da domani cominceremo a risalire la china. I cittadini onesti non
hanno nulla da temere, ma gli omicidi sappiano che per loro non c'è più scampo. Da
domani sono di esclusiva competenza dei corpi speciali. E quelli non scherzano».
Si alzò rapido dalla poltrona, quasi avesse il fuoco sulla schiena, e lasciò la
stanza senza dire altro. I telespettatori lo videro scappare come un evaso
braccato dalla polizia. Uscì dagli studi televisivi correndo come un forsennato
con la scorta che faceva fatica a stargli dietro. La sua auto lo aspettava appena
fuori dai cancelli. L'autista lo sentì sbatacchiare sui vetri blindati e rischiò
l'infarto per la paura. L'uomo picchiava sugli sportelli e gli gridava di aprire
come fosse inseguito dalla morte in persona. Si tuffò dentro senza neppure
attendere il via libera della sua scorta.
«Parti. Parti!»
L'auto sgommò e lasciò gli studi televisivi ruggendo furiosamente. Si immise sulla
strada principale senza neppure guardare. L'auto che arrivava dietro fu costretta a
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inchiodare per evitare un disastro.
«Alla villa, più veloce che puoi. Metti le sirene. Se non si fanno da parte, spara».
L'autista azionò la luce blu sul tettuccio e cominciò a guidare come se la strada fosse
sua. Sorpassava, imboccava le vie contromano, si inseriva prepotente negli incroci
sicuro che nessuno si sarebbe messo contro di lui. Il direttore si tolse giacca e
camicia. La sua canottiera era fradicia di sudore. Indossò una felpa, poi si tolse le
scarpe e pantaloni.
«Quanto manca?» Chiese al suo autista. Nella sua voce strisciava una vena di
angoscia e di impazienza.
«Quattro minuti e trenta secondi, direttore».
L'uomo indossò i pantaloni di una tuta. Quando ebbe allacciato le scarpe da jogging,
l'auto stava entrando nella sua villa. Le ante del cancello di entrata si stavano
lentamente aprendo. Quattro uomini con un fucile in braccio fecero il segno
all'autista di avvicinarsi lentamente.
Era al limite della sopportazione, ma ancora mancava un paio di chilometri. Sua
moglie aveva preteso che la casa fosse circondata da un parco enorme e lui l'aveva
accontentata. Solo che in quel momento quello spazio sconfinato costituiva un
problema smisurato. Si infilò un fazzoletto tra i denti e strinse forte fino a sentir male
alle tempie. Temeva di non farcela. Temeva che non avrebbe potuto resistere ancora
così tanto.
Appoggiò la mano sulla superficie del vetro e attese che uno dei controllori
scansionasse le sue impronte. Un istante più tardi l'uomo fece segno all'autista che
poteva entrare.
«Più veloce» gli ordinò il direttore.
L'auto attraverso il parco come un proiettile impazzito. Fendeva l'aria buia e calda
(ormai era estate otto mesi all'anno) divorando la strada. Non le servì molto per
raggiungere la villa.
Di fronte all'entrata della casa tre maggiordomi con tanto di livrea aspettavano il
direttore con atteggiamento austero e professionale. Ognuno di loro teneva in mano
un vassoio d'argento. Su ogni vassoio c'era un'arma: un coltello sul primo, un'ascia
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sul secondo, un arco sul terzo. Il direttore si fermò davanti ai tre servi. Solitamente
controllava il loro vestiario e la loro postura, ma stavolta non poteva permetterselo.
La crisi di astinenza era quasi alla fase topica. Ancora un po' e sarebbe impazzito.
«Quante sono?» Chiese ai camerieri.
«Due» rispose il più anziano «Le abbiamo fatte riposare. Hanno mangiato, sono
state rivestite nel modo più consono, poi, due ore fa, le abbiamo liberate. Volevano
scappare assieme, ma le abbiamo costrette a scegliere strade separate. Una ha preso
per il versante est, l'altra si è incamminata verso nord. Desidera una torcia?»
Il direttore gliela strappò dalle mani senza rispondere. Era un atto di grande slealtà e
lo sapeva. Il vero cacciatore catturava le prede cercando di non approfittare della sua
situazione di superiorità. Ma la crisi era vicina. Ogni mezzo per accelerare la cattura
era il benvenuto.
«Vuole vedere una foto delle signorine?» Chiese il maggiordomo senza occultare
troppo il suo tono ironico.
«No» rispose secco il direttore «voglio solo che teniate lontani i cani. Devo catturarle
e ammazzarle da solo».
«I cani sono tutti rinchiusi, direttore. Ma devo avvertirla che le signorine sono
piuttosto atletiche e determinate...»
«Meglio così. Ormai sono diventato piuttosto bravo. L'ultima l'ho presa in
quattordici minuti. Spero che queste durino un po' di più».
«Glielo auguro, direttore».
I tre maggiordomi si ritirarono nella casa e lo lasciarono solo. L'uomo allacciò l'ascia
a un passante dei pantaloni e si mise al lavoro. Finalmente solo con la sua passione.
Un safari umano nella sua proprietà, lontano da sguardi indiscreti e soprattutto
dall'azione dei corpi speciali. Perché un articolo della legge, occultato dagli omissis,
prevedeva l'esenzione per i membri del direttorio. Loro potevano coltivare
liberamente le loro tendenze omicide senza temere rappresaglie e catture. E i più
furbi si erano già organizzati per tempo.
«Tutti contro tutti» sibilò l'uomo nel buio «e ognuno per sé. E che Dio ci assista».
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New York, Stati Uniti d'America, venti novembre duemilasettantadue.
Non aveva funzionato da nessuna parte. Nessun governo era riuscito neppure a
rallentare lo straripamento della violenza. Era un maledetto circolo vizioso infernale
e impenetrabile che aveva una conclusione obbligata. I corpi speciali rastrellavano
centinaia di persone al giorno. Per la S. K. era una vera e propria manna: la rotazione
della materia prima era altissima, lo sfruttamento aveva raggiunto un livello
intensivo spaventoso. Ormai i fattori produttivi non duravano più di una settimana.
I corpi speciali giravano per le città coi loro furgoni attaccando i branchi proprio
come i leoni della savana che si buttavano in mezzo alle gazzelle per acchiapparne
qualcuna. Circolavano senza regole tra le strade, si fermavano di colpo, scendevano e
sequestravano al volo un paio di soggetti da un gruppo di ragazzi fermi a un incrocio.
Fare resistenza era sempre la soluzione peggiore: significava morire sotto i loro colpi
davanti agli occhi di spettatori che si guardavano bene dall'intervenire. Poi facevano
rientro nelle loro sedi coi furgoni stipati di prigionieri. La pesca era sempre ottima e
abbondante. Lungo le strade della metropoli i rilevatori a bordo dei furgoni
sembravano impazziti: i valori erano sempre al picco massimo, gli apparecchi
vibravano fuori controllo senza smettere per un solo istante. Era come gettare le reti
in mezzo a un branco infinito di pesci.
Ma tutto questo non fu sufficiente. La S. K. abbassava il tasso di violenza attraverso i
suoi corpi ma la rimetteva in circolo attraverso le sue subdole infiltrazioni in tutti gli
ambienti nei quali fosse possibile manipolare e modificare il patrimonio genetico
della gente. Anzitutto nei servizi sanitari, ma anche nel settore alimentare e perfino
in quello del tabacco. I modi per alterare il patrimonio genetico di un individuo
pacifico e trasformarlo in un soggetto violento erano quasi infiniti e S. K. li utilizzava
tutti, senza mezze misure.
Di colpo, senza alcun preavviso, il pianeta oltrepassò il limite e avviò la sua rapida
discesa verso la fine. L'errore più clamoroso che l'umanità potesse commettere, e che
in effetti commise, fu nel calcolo dei tempi. Nessuno pensava che sarebbe stato così
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veloce. Ne avevano tutti piena coscienza eppure, per uno strano e bizzarro
meccanismo mentale di autodifesa, erano tutti convinti che sarebbe toccato alle
prossime generazioni affrontare e risolvere il problema. La specie umana era in
pericolo, ma non in serio pericolo. nel corso dei secoli qualcuno si sarebbe pur
inventato qualcosa per uscire dal pantano. E poi c'era gente pagata apposta per
pensare alle sorti del proprio popolo: se non prendevano provvedimenti loro, chi
avrebbe dovuto farlo?
In questo clima di apatia e di disinteresse la violenza raggiunse livelli inauditi. Si
propagò come un virus e fu accettata dai popoli come un fatto abituale, una funzione
fisiologica come bere o mangiare. Alzarsi al mattino, uscire di casa e non rientrare
mai più divenne un fatto di ordinaria amministrazione. Morire di aggressione o di
violenza carnale smise di fare notizia. Gli esseri umani cominciavano ogni giornata
consapevoli che per molti di loro sarebbe stata l'ultima. Il modo di vivere e di pensare
subì trasformazioni radicali. Scomparve ogni progetto a lungo termine, scomparvero
gli orizzonti di largo respiro e le iniziative che guardavano al domani. In realtà
scomparve ogni obiettivo che non fosse la pura e semplice sopravvivenza. Arrivare
integri alla fine della giornata, superare i percorsi di morte, passare indenni
attraverso la giungla, questo era l'unico comandamento che guidava la vita degli
esseri umani. E quelli che arrivavano a sera erano comunque sempre accompagnati
dalla terribile sensazione che prima o poi la fortuna avrebbe potuto abbandonarli.
Nessuno aveva spezzato la spirale e ormai era troppo tardi. La S. K. aveva contato
fino in fondo sulla possibilità che un pianeta vasto e variegato come la terra potesse
assorbire i costi sociali della sua politica. In fondo tutte le multinazionali avevano
sempre ragionato così: intascare i profitti della propria attività e spargere la propria
merda ai quattro angoli del mondo aveva sempre funzionato. Il mondo si era rivelato
una spugna dalle mille risorse. Aveva sopportato per secoli le peggiori violenze:
inquinamento massivo, disboscamento di territori, distruzione di ghiacciai,
estinzione di migliaia di specie animali, guerre e stermini dalla durata infinita. E ogni
volta la terra aveva rialzato la testa, ferita ma mai doma. Ogni volta si era rimessa in
marcia, con un altro squarcio sulla schiena sul petto ma ancora incantevole e zeppa
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di meraviglie.
Ma stavolta no.
Stavolta le cose volgevano davvero al peggio. I governi avevano dimostrato tutta la
loro inadeguatezza. Le loro leggi, spesso peraltro disattese da tutti, avevano avuto la
stessa efficacia dell'aspirina contro il cancro.
Stavolta la terra era davvero alla resa dei conti.
E il colpo di grazia le arrivò il dieci dicembre duemilasettantacinque. Il giorno in cui
si riunì per l'ultima volta il consiglio di amministrazione della S. K..
New York, Stati Uniti d'America, dieci dicembre duemilasettantacinque.
Per la prima volta nella gloriosa e redditizia storia della S. K. l'atmosfera era
davvero tesa. Niente abbracci, niente sorrisi, niente scambi di promesse.
Tanta tensione e tanta paura. Cattivi presentimenti. Tanta rabbia: il
giocattolo si era rotto e aveva smesso di produrre profitti a catinelle. Il clima
era quello tipico del funerale.
L'uomo che prese la parola e aprì la riunione di quel consiglio era un uomo teso e
stanco. I suoi occhi da squalo erano ancora minacciosi, ma avevano perso quella luce
sinistra e lungimirante che per decenni aveva atterrito i suoi avversari. L'energia
c'era ancora, la determinazione anche, ma le circostanze dell'ambiente attorno a lui
erano spaventosamente cambiate. Non c'erano più le condizioni: il mercato, la
concorrenza, la lotta per il potere e per i profitti erano un lontano ricordo. Adesso la
lotta, ogni lotta, aveva il solo scopo di conservare la vita.
«Benvenuti a questa riunione, signori. Credo proprio che sarà l'ultima volta che ci
vedremo in questa sede. Salto tutti i convenevoli e vado subito al sodo. Chiedo la
messa in liquidazione della S. K.».
Un brusio sommesso si alzò nella sala.
«È stato bello finché è durato, signori. Ma il prodotto della S. K. non realizza più i
profitti di una volta. Anzi, ad essere sinceri non realizza più profitti. La gente non è
più nella condizione mentale di pensare all'estetica e alla bellezza. Per le strade si
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muore. Ovunque si muore. Nessuno ha più voglia di coltivare il suo aspetto esteriore
quando non sa neppure se riuscirà ad arrivare a domattina. È così in tutto il mondo,
signori, lo sapete bene. Per chi è interessato, comunico che i nostri esperti sono già al
lavoro per sondare nuove forme di investimento in quello che sarà il settore più
importante dei prossimi anni: la protezione e la sicurezza della persona. Ma questo è
un altro discorso e se volete lo affronteremo in separata sede. Torniamo invece alla S.
K.: l'azienda ha fatto ciò che doveva, ci ha regalato anni indimenticabili e profitti alle
stelle come nessun'altra azienda è mai riuscita a fare. Adesso ha fatto il suo tempo. È
cotta e non ha nessuna possibilità di riprendersi. Signori: è l'ora di chiudere
bottega».
Un consigliere si alzò dal fondo del tavolo.
«E che ne sarà degli... insomma... dei personaggi che attualmente si occupano della
produzione? E i corpi speciali che fine faranno?»
«Non ne ho la minima idea» rispose il presidente allargando le braccia «e
francamente la cosa non mi interessa».
«Si tratta di migliaia di soggetti con tendenze omicide...»
«Qualche migliaio in più o in meno non farà tutta questa differenza. Gettare un
secchio di merda in un fiume fatto solo di merda non sposta di molto le cose».
«Ma i corpi speciali garantivano un minimo di protezione. Tenevano sotto controllo
il territorio, davano la caccia agli...»
«I corpi speciali non erano progettati per dare protezione. I corpi speciali erano
strumenti di raccolta per procurarci la materia prima. Il fatto che garantissero una
minima protezione alla società era del tutto secondario. Non li pagavamo certo per
questo. Con la chiusura della S. K. il loro compito è terminato. Le conseguenze per la
società non sono un problema nostro. Siamo al si salvi chi può, signori. Non credo
proprio sia il caso di metterci a riflettere sul destino della società. Chi vota per la
messa in liquidazione?»
L'intero consiglio di amministrazione alzò la mano.
«Bene signori. Da questo momento le nostre strade si dividono nuovamente. Vi
auguro ogni bene».
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Una patina di sudore freddo gli imperlava la fronte. Il pomo di Adamo gli si era
ingrossato e spiccava sulla sua gola come una grossa biglia pulsante. Intrecciò le
mani per fermare il loro tremolio. Poi si avviò rapido verso l'uscita senza voltarsi
indietro.
L'umanità fu ufficialmente classificata come "razza in via di estinzione" nel mese di
marzo
dell'anno
duemilaottantasette.
Secondo
i
parametri
e
i
protocolli
internazionali usati dagli scienziati di tutto il mondo, una razza animale veniva così
classificata quando le sue possibilità di riproduzione e di perpetuazione scendevano
sotto un certo indice minimo. Le persone ancora vive sul pianeta erano, a quella data,
circa dieci milioni e le probabilità che la razza umana potesse arrivare alla fine del
secolo erano ormai prossime allo zero. Gli adulti in grado di riprodursi erano appena
cinque milioni. Ma molti non erano ancora pronti ad accettare l'idea che la razza che
aveva dominato il pianeta per migliaia di anni potesse sparire d'incanto, annientata
da se stessa. Molti di loro preferirono dedicare la propria vita all'accumulazione di
denaro. Invasi da un morbo che in pochi sapevano riconoscere, e al quale nessuno
sapeva resistere, si sforzarono di approfittare delle favolose opportunità che
l'estinzione della razza umana poteva offrire. Assolutamente privi di lungimiranza,
come del resto la razza umana era stata anche al culmine della sua naturale
evoluzione fisica e intellettuale, preferirono rinchiudersi nelle loro prigioni dorate e
continuare a pensare che qualcuno, da qualche parte, avrebbe alla fine trovato il
giusto rimedio; che l'ingegno umano, una risorsa che nessun'altra razza animale
poteva vantare, avrebbe in qualche modo messo a posto le cose. Preferirono pensare
che il compito fosse di qualcun altro, e che ognuno dovesse in fondo limitarsi a fare
ciò che sapeva fare meglio.
La vita dell'ultimo essere umano si spense il ventiquattro aprile dell'anno
duemilacentoquattro. Aveva vagato per molti giorni tra le vie della città di Pechino,
cercando una traccia dell'esistenza di un altro uomo tra i negozi, tra le case, tra i
vagoni dei treni e della metropolitana. Aveva frugato tra le automobili, nelle stanze
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degli ospedali, perfino nelle stanze dei ministeri. Poi la follia gli aveva avvolto la
mente tra le sue spire e gli aveva reso gli ultimi giorni meno dolorosi.
Era l'uomo più ricco del pianeta. Aveva a disposizione tutte le ricchezze del mondo. E
nessuno a competere con lui, nessuno in grado di portargliele via. Aveva raggiunto il
più alto obiettivo che la razza umana inseguiva da secoli. Era arrivato dove nessun
altro sarebbe mai riuscito ad arrivare.
Ma niente di tutto questo gli permise di evitare una fine atroce.
Eppure, il giorno prima che la follia se lo divorasse, aveva passato tutta la giornata
all'interno del caveau della Banca centrale di Pechino, con l'intenzione ossessiva di
spalancare la massiccia porta dei suoi forzieri e stringere tra le mani quelle centinaia
di lingotti dorati che una volta costituivano la ricchezza della sua nazione. Alla fine
della giornata, esausto, si era dovuto arrendere.
Forse era proprio questo che l'aveva fatto impazzire.
Questo racconto è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi, avvenimenti sono il
prodotto dell'immaginazione dell'autore e, se reali, sono utilizzati in modo assolutamente
fittizio. Ogni riferimento a fatti e persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
Proprietà e riproduzione riservate
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