piano faunistico-venatorio provinciale 2009-2013

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piano faunistico-venatorio provinciale 2009-2013
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
PROVINCIA
DI VIBO VALENTIA
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE
2009-2013
Gruppo di lavoro Università Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Agraria:
Luca Mattioli: Supervisione, Coordinamento generale, Pianificazione faunistico
venatoria
Vincenzo Palmeri: Coordinamento tecnico-scientifico, (Dip. GESAF)
Roberto Saija: Disposizioni generali (Dip. STAFA)
Giuseppe Bombino: Caratterizzazione territoriale, clima (Dip. STAFA)
Angelo Scuderi: Avifauna (Dip. GESAF)
Luca Racinaro: Mammalofauna (Dip. STAFA)
Francesco Scarfò: Chirotteri (Dip. GESAF)
Orlando Campolo, Giuseppe Algeri e Luigi Laudari:, Aree protette, Cartografia,
Pianificazione faunistico-venatoria (Dip. GESAF – Dip. STAFA)
1
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Gruppo di lavoro Provincia di Vibo Valentia:
Vibo Valentia – Dicembre 2009
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SOMMARIO
SOMMARIO
3
PREMESSA
10
1. DISPOSIZIONI GENERALI
12
1.1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
12
1.1.1. INTRODUZIONE
12
1.1.2. STRUMENTI DI TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA.
12
1.1.3. PROCEDURA DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA.
13
1.1.3.1. Il ruolo della Provincia.
13
1.1.3.2. Il ruolo della Regione.
14
1.2. INDICAZIONI PER LA PREDISPOSIZIONE DELLO STUDIO D‟INCIDENZA
16
1.3. INDICAZIONI SULLA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA (VAS)
19
2. QUADRO CONOSCITIVO
22
2.1.ASSETTO TERRITORIALE
22
2.1.1.CARATTERIZZAZIONE TERRITORIALE
22
2.1.1.1. Geomorfologia
29
2.1.1.2. Clima
36
2.2. LA COMPONENTE VEGETALE
40
2.2.1. FLORA
40
2.2.1.1. Fonti di documentazione
40
2.2.1.2. Consistenza del patrimonio floristico della Provincia di Vibo Valentia
40
2.2.1.3. Specie di particolare interesse geobotanico
41
2.2.1.3.1. Specie endemiche
41
2.2.1.3.2. Specie al limite d‟areale
42
2.2.1.3.3. Specie a rischio di estinzione
42
2.2.1.4. Specie contenute in particolari elenchi
3
46
2.2.1.4.1. Specie degli allegati alla direttiva CEE 92/43
46
2.2.1.4.2. Specie degli allegati CITES
47
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2.2.1.5. Specie esotiche
48
2.2.2. VEGETAZIONE
48
2.2.2.1. Concetti e definizioni
48
2.2.2.2. Fonti di documentazione
49
2.2.2.3. Sintesi sulle conoscenze sulla Vegetazione
50
2.2.2.3.1. Fascia Temperata
50
2.2.2.3.2. Fascia supramediterranea
51
2.2.2.3.3. Fascia mesomediterranea
51
2.2.2.3.4. Fascia termomediterranea
52
2.2.2.3.5. Vegetazione dei litorali
53
2.2.2.4. Vegetazione potenziale
53
2.2.2.4.1. Serie della quercia castagnara e dell‟olivastro (Oleo-Querceto virgilianae sigmetum)
54
2.2.2.4.2. Serie della quercia castagnara e dell‟erica (Erico-Querceto virgilianae sigmetum)
54
2.2.2.4.3. Serie del leccio con camedrio siciliano (Teucrio siculi-Querceto ilicis sigmetum)
55
2.2.2.4.4. Serie della quercia congesta (Erico arboreae-Querceto congestae sigmetum)
55
2.2.2.4.5. Serie del farnetto con citiso (Cytiso-Querceto frainetto sigmetum)
55
2.2.2.4.6. Serie del faggio con agrifoglio (Anemono apenninae-Fageto sigmetum)
56
2.2.2.4.7. Serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum)
56
2.2.2.4.8. Geosigmeto costiero della vegetazione psammofila dei sistemi dunari recenti (Cakiletea,
Ammophiletea, Helichryso-Crucianelletea, Quercetea ilicis)
56
2.2.2.4.9. Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione mediterranea (Salicion albae,
Populion albae, Alno-Ulmion)
57
2.2.3. HABITAT
59
2.2.3.1. Habitat di interesse comunitario della direttiva CEE 92/43 prioritari
59
2.3. AREE PROTETTE ISTITUITE AI SENSI DELLA LEGGE N. 394/91
66
2.3.1 PARCO NATURALE DELLE SERRE
68
2.3.1.1. Habitat sensibili e vulnerabili
68
2.4. SITI RETE NATURA 2000
72
2.4.1 ZONE DI PROTEZIONE SPECIALE
72
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2.5. ISTITUTI FAUNISTICI ISTITUITI AI SENSI DELLA LEGGE N. 157/92 E DELLA L.R. 17 MAGGIO 1996,
N.9 ED ALTRE SUPERFICI IN DIVIETO DI CACCIA: DISTRIBUZIONE, CARATTERISTICHE E
PROBLEMATICHE
75
2.5.1. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (ZPM)
75
2.5.2. CENTRI PUBBLICI DI PRODUZIONE DI SELVAGGINA (CPS)
75
2.5.3 FORESTE DEMANIALI E AREE RIMBOSCHITE
75
2.5.4. ALTRI ISTITUTI FAUNISTICI DI PROTEZIONE DELLA FAUNA
76
2.6. MIGLIORAMENTI AMBIENTALI REALIZZATI
76
2.7 RIPOPOLAMENTI EFFETTUATI DAGLI A.T.C. VIBO VALENTIA 1 E VIBO VALENTIA 2
76
2.8. CENTRI DI RECUPERO PER LA FAUNA SELVATICA AUTORIZZATI;
81
CENTRO RECUPERO ANIMALI SELVATICI
82
2.9. ASSETTO FAUNISTICO: IL QUADRO REGIONALE
84
2.9.1 QUADRO CONOSCITIVO DELLE SPECIE PRESENTI IN AMBITO PROVINCIALE
89
2.9.1.1. Avifauna
89
2.9.1.2 Famiglie e Specie dell‟allegato I della direttiva 79/409/CEE presenti o segnalate nel territorio
della Provincia di Vibo Valentia
90
2.9.1.3. Famiglie e specie cacciabili inserite in calendario nella stagione venatoria 2008/09
96
2.9.1.3.1.Acquatici
96
2.9.1.3.2. Fasianidi
102
2.9.1.3.3. Columbiformi
108
2.9.1.3.4. Passeriformi
110
2.9.1.4. Mammalofauna
113
2.10. ASSETTO SOCIALE
139
2.10.1. NUMERO DI CACCIATORI RESIDENTI
139
2.10.2. ETÀ DEI CACCIATORI
139
2.10.3. PROFILO SOCIALE DEI CACCIATORI
139
2.10.4. OPZIONI TERRITORIALI DI CACCIA
140
2.10.5. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, SUDDIVISI PER A.T.C.
140
2.10.6. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI RESIDENTI, PRATICANTI LA CACCIA AL CINGHIALE
SUDDIVISI PER A.T.C.
140
5
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2.9.7. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, PROVENIENTI DA STATI COMUNITARI O
ESTERI.
144
2.11. RISULTATI E CONSISIDERAZIONI SULLE STRATEGIE GESTIONALI PREVISTE DAL PRECEDENTE PFV 144
3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA
145
3.1. OBIETTIVI GENERALI DI PIANIFICAZIONE (DR.MATTIOLI)
145
3.2. DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE
147
3.2.1. ANALISI AMBIENTALE DEL TERRITORIO PROVINCIALE PER LA DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE
AGRO-SILVO-PASTORALE
147
3.2.2. USO DEL SUOLO
150
TAVOLA 1 – CARTA DELL’USO DEL SUOLO
153
3.2.3.DETERMINAZIONE E DESTINAZIONE DELLE SUPERFICI AGRO-SILVO-PASTORALI
154
TAVOLA 2 – CARTA DEL TERRITORIO AGRO-SILVO PASTORALE
158
3.3.INDIVIDUAZIONE DEI COMPRENSORI OMOGENEI
158
TAVOLA 3 – CARTA DEI COMPRENSORI OMOGENEI (ATC)
160
3.4. DETERMINAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA
160
3.4.1. DENSITÀ VENATORIA REALE
160
3.4.2. PROGRAMMAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA
162
3.5. CARTA DELLE IDONEITÀ AMBIENTALI (CAMPOLO, MATTIOLI)
163
3.5.1. LEPRE
163
3.5.2. CINGHIALE
170
3.5.3. CAPRIOLO
173
3.5.4. STARNA
176
3.5.5. COTURNICE
179
3.5.6. FAGIANO COMUNE
182
3.6. LA FAUNA SELVATICA: DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ
GESTIONALI
186
3.6.1. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE VENATORIO
DELL’AVIFAUNA
186
3.6.1.1. Coturnice e Starna
186
3.6.1.2. Fagiano
188
3.6.1.3. Quaglia
189
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3.6.1.4. Acquatici
189
3.6.2. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE VENATORIO DELLA
MAMMALOFAUNA (MATTIOLI)
190
3.6.2.1. Cinghiale
190
3.6.2.2. Lepre europea e Lepre italica.
191
3.6.2.3. Volpe
192
3.6.2.4.Cervidi e bovidi
193
3.6.2.5. Lupo e Gatto selvatico
194
3.7. GLI ISTITUTI DI PROTEZIONE E GESTIONE: VOCAZIONE FAUNISTICA E PIANIFICAZIONE DELLE
ATTIVITÀ GESTIONALI
3.7.1. AMBITI TERRITORIALI DI CACCIA
196
196
3.7.2. RAGGIUNGIMENTO DEL REQUISITO MINIMO DEL 20 % DI SUPERFICIE DESTINATA A PROTEZIONE
DELLA FAUNA
196
3.7.2. AREE PROTETTE REGIONALI : PARCO REGIONALE DELLE SERRE (O. CAMPOLO, L.MATTIOLI)
197
3.7.3. SITI RETE NATURA 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
198
3.7.4. OASI DI PROTEZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
199
3.7.5. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
200
3.7.6. ZONE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
203
3.7.7.CENTRI PUBBLICI E PRIVATI DI RIPRODUZIONE DELLA FAUNA
210
3.7.8. AZIENDE FAUNISTICO-VENATORIE E AGRITURISTICO VENATORIE (O. CAMPOLO, L.MATTIOLI)
211
3.7.8.1. Aziende Faunistico Venatorie (AFV)
211
3.7.8.2. Aziende Agrituristico Venatorie (ATV)
212
3.7.9. ZONE ADDESTRAMENTO CANI E GARE CINOFILE (CAMPOLO - VELLONE)
212
3.8. IDENTIFICAZIONE DELLE ZONE IN CUI SONO COLLOCABILI GLI APPOSTAMENTI FISSI
212
3.9. DANNI DA FAUNA SELVATICA, PREVENZIONE, ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CRITERI PER
L‟EROGAZIONE DEI RISARCIMENTI (CAMPOLO O., MATTIOLI L.)
213
3.9.1.PREMESSA
213
3.9.2. CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEI PROPRIETARI DEI FONDI RUSTICI PER I
DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA
3.9.2.1. Procedure per il risarcimento dei danni causati da fauna selvatica: principi generali
7
213
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3.9.2.1.1.Segnalazione dei danni
213
3.9.2.1.2.Accertamento dei danni
214
3.9.2.1.3. Operazioni di stima
215
3.9.2.1.4. Danni non ammessi a risarcimento
216
3.9.2.1.5. Tipologia dei danni risarcibili e modalità di valutazione
217
3.9.2.2. Modalità di liquidazione
219
3.9.2.2.1. Definizione delle quantità dei prodotti agricoli da risarcire
219
3.9.2.2.2. Calcolo degli importi di liquidazione
219
3.9.2.2.3. Liquidazione degli importi
219
3.9.2.2.4. Detrazione per costi tecnici
219
3.9.2.2.5. Riduzione percentuale per mancata prevenzione
219
3.9.2.3. Tecniche di prevenzione dei danni causabili dalla fauna
220
3.9.2.3.1. Specie selvatiche e danni alle produzioni agricolo-forestali
220
3.9.2.3.2. Interventi di prevenzione
222
3.9.2.3.3. Modalità di accesso ai fondi per le attività di prevenzione dei danni da fauna selvatica
223
3.10. CRITERI PER LA CORRESPONSIONE DEGLI INCENTIVI IN FAVORE DEI PROPRIETARI E CONDUTTORI
DEI FONDI RUSTICI
3.10.1.PREMESSA: GLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE
224
224
3.10.2. DIRETTIVE TECNICHE PER LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE 224
3.10.2.1. Interventi finalizzati al miglioramento degli habitat
224
3.10.2.1.1. - Colture a perdere – Mis. 1)
224
3.10.2.1.2. - Recupero a fini faunistici di terreni incolti - Mis. 2)
227
3.10.2.1.3. - Impianto di siepi - Mis. 3)
227
3.10.2.1.4. - Impianto o recupero di essenze arboree - Mis. 4)
228
3.10.2.1.5. -Iinterventi finalizzati alla tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica - Mis. 6)
229
3.10.2.1.6. -Realizzazione di strutture di ambientamento della fauna selvatica
230
3.11. BANCHE DATI FAUNISTICHE (MATTIOLI L.)
231
3.12. PIANO DI IMMISSIONE FAUNA SELVATICA
233
3.12.1. OBIETTIVI DELLE IMMISSIONI
233
3.12.2. CRITERI DELLE OPERAZIONI DI IMMISSIONE
234
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3.12.2.1. Lepre
234
3.12.2.3. Fagiano
235
3.12.2.4. Reintroduzioni
235
BIBLIOGRAFIA
236
ALLEGATO 1
244
ALLEGATO 2
248
ALLEGATO 3
287
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PREMESSA
L‟ambiente forestale, il patrimonio faunistico e le caratteristiche agro-silvo-forestali
rientrano tra le peculiarità principali che caratterizzano la Provincia di Vibo Valentia.
La loro tutela è alla base del categorico impegno che le Istituzioni, ma più che altro la
collettività deve perseguire prioritariamente.
L‟esigenza di porre in essere un regolamento a tutela dell‟habitat diviene uno degli
obbiettivi prioritari che garantiscono, parallelamente, la riproduzione delle specie e il
mantenimento delle condizioni favorevoli che consentiranno la loro sopravvivenza nel
lungo periodo.
L‟emanazione della Legge Regionale n° 9/96 in recepimento ed osservanza delle
direttive Comunitarie in materia di tutela dell‟ambiente e della fauna selvatica, fa propri
indirizzi specifici e strumenti tecnici di pianificazione faunistico-venatoria che si
affiancano alle politiche intraprese dall‟U.E. E‟ noto infatti che la Comunità su questa
problematica attraverso costanti modifiche e integrazioni nel tempo, ha mostrato
particolare interesse.
Gli strumenti da adottare devono rispondere alle caratteristiche e alle necessità del
territorio. E‟ attraverso tale strumento di programmazione istituzionale, infatti, che le
Provincie dovranno adottare gli indirizzi per governarne e gestire rispettosamente
l‟habitat nella sua accezione più ampia.
Il Piano Faunistico-Venatorio è uno strumento di programmazione settoriale,
programmatico, e in tal senso non può che raccordarsi con gli alttri strumenti provinciali
in atto; cioò diviene di particolare importanza laddove la tematica interessa azioni che
condizionino la gestione faunistica influenzandola in maniera determinante.
In ordine a tale presupposto, il Piano Faunistico-Venatorio della Provincia di Vibo
Valentia per le annualità 2009-2013 è il risultato sia dell‟elevato contributo scientifico
offerto dalla Facoltà di Agraria, Dipartimento di GEstione dei Sistemi Agrari e Forestali
-GESAF-, sia del contributo tecnico dei differenti settori dell‟Ente Provinciale che per
le differenziate competenze su ambiente, urbanistica, vigilanza e controlli, ha fornito
l‟indispensabile supporto alla stesura dello stesso. Pleonastico ma necessario è
sottolineare la professionalità espressa dall‟intero Assessorato “Agricoltura; Caccia e
Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica e Zooprofilassi; Flora, Fauna
e Forestazione; Produzione agroalimentare” tramite i propri funzionari esperti in
materia.
Aapprezzabili apporti sono stati profusi anche dagli ATC, e dalle Associazioni
venatorie.
La mutevole attività antropica e le indispensabili trasformazioni endogene dell‟habitat
s.l. impone che tale strumento possieda una proiezione limitata nel tempo; su tale
principio il Piano Faunistico venatorio è la restituzione di tutti i dati validi sino ad oggi
posseduti. Una coerente pianificazione delle attività coinvolte e la reale ricaduta di
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queste sul territorio, per certi versi determineranno il “successo” del piano stesso; ciò
dipenderà irrinunciabilmente e prima di ogni altra cosa dal monitoraggio delle azioni
pianificate. Nel quinquennio previsto sarà intento prioritario di questa Provincia rendere
operativo lo strumento programmatico predisposto, per affermare quanto oggi previsto
in vista di un esito favorevole e stabile nel lungo periodo.
Questo documento, che riproduce solo una sintesi dell‟impegno profuso negli ultimi
mesi dall‟intero gruppo di lavoro e che ha visto sinergicamente coinvolti numerosi
funzionari ed esperti, vuole configurarsi come uno strumento di programmazione volto
alla tutela e all‟implementazione della fauna, basato su una migliore padronanza
scientifica degli aspetti legati al patrimonio faunistico-venatorio. Questo patrimonio
rappresenta, infatti, la reale e originale risorsa di questo peculiare territorio italiano che
per la sua collocazione nel Mediterraneo, è divenuto il corridoio naturale di rotte di
specie migratorie e habitat di importanti specie autoctone, per la preservazione, la
custodia e il rispetto delle quali abbiamo l‟obligo di mettere in atto tutti gli strumenti di
cui disponiamo.
Il Dirigente del Settore ……………………………………….
Dott. ……………………………………………………………………
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1. DISPOSIZIONI GENERALI
1.1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
1.1.1. INTRODUZIONE
La materia è regolata, a livello nazionale, dalla nota legge 11 febbraio 1992, n. 157,
contenente “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio” e successive modifiche e integrazioni. Si tratta di una legge-quadro che
recepisce alcune importanti direttive comunitarie, e precisamente la dir. 79/409/CEE del
Consiglio del 2 aprile 1979, nonché la dir. 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio
1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati,
concernenti la conservazione degli uccelli selvatici. Non va trascurato, inoltre che la
legge citata costituisce attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa
esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19
settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.
La legge quadro del 1992, come risulta dall‟art. 1, comma 3, ha affidato alle Regioni a
Statuto ordinario (come la Calabria), il compito di emanare norme relative alla gestione
e tutela di tutte le specie della fauna selvatica.
Scopo principale della legge 157/1992 - che abroga espressamente la normativa
precedente (legge 27 dicembre 1977, n. 968) garantendo una maggior tutela della
conservazione della fauna selvatica rispetto alla protezione degli interessi venatori - è
quello di contemperare tre diversi interessi e precisamente la tutela e la conservazione
della fauna selvatica, la protezione degli interessi legati all‟attività venatoria, nonché la
difesa degli interessi legati alla produzione agricola.
1.1.2. STRUMENTI DI TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA.
Per realizzare le finalità della legge, essa si preoccupa di prevedere una serie di
strumenti tra cui fondamentale è la cosiddetta pianificazione faunistico-venatoria, cui la
legge sottopone tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale. La disciplina di questo
strumento è contenuta nell‟art. 10, ove si dice che il territorio di ogni regione è ripartito
in tre tipologie di aree e precisamente:
Zone destinate a protezione: il 20/30 % del territorio di ogni Regione è destinato alla
protezione della fauna selvatica (ad eccezione delle aree ricadenti nelle Alpi regolate in
maniera autonoma). Il territorio di protezione comprende le cd. oasi di protezione
destinate al rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica, le cd. zone di
ripopolamento e cattura destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato
naturale ed alla cattura della stessa per l‟immissione nel territorio in tempi e condizioni
utili all‟ambientazione fino alla ricostituzione e stabilizzazione della densità faunistica
ottimale per il territorio, le zone di protezione lungo le rotte di migrazione istituite ai
sensi della Dir. CEE 79/409 concernente la conservazione degli uccelli selvatici, le
foreste demaniali ad eccezione di quelle che le regioni, su parere dell‟INFS (oggi
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ISPRA), hanno indicato come non idonee alla conservazione della fauna selvatica, le
aree di rispetto intorno ai valichi montani eventualmente individuati dalla Regione, ed
infine i cd. centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato
naturale per la ricostituzione delle popolazioni autoctone. A questi istituti faunistici
previsti dalla Legge 157/1992 si vanno ad aggiungere le Aree protette propriamente
dette, ovvero Parchi Nazionali, Parchi Regionali, Riserve naturali istituite in attuazione
della Legge quadro sulle aree protette, L. 394/1992.
Zone destinate alla gestione in forma privata della caccia: il territorio agro-silvopastorale regionale può essere destinato (al massimo fino al 15%) a caccia riservata a
gestione privata organizzata in aziende faunistico-venatorie, in cui la caccia viene
consentita nelle giornate previste dal calendario venatorio secondo i piani di
assestamento e abbattimento e in cui non è consentito immettere o liberare fauna
selvatica dopo il 31 di agosto; aziende agri-turistico venatorie, ove sono consentiti
l‟immissione e l‟abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di
allevamento; centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale,
organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, in cui è
vietato l‟esercizio dell‟attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati
appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell‟impresa agricola, dipendenti
della stessa e persona specificamente indicate.
Zone destinate alla gestione programmata della caccia: sulla parte restante del territorio
agro-silvo-pastorale le Regioni possono promuovere forme di gestione programmata
della caccia osservando sempre le finalità sopra specificate e meglio indicate nell‟art. 1
della legge quadro n. 157/1992.
1.1.3. PROCEDURA DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA.
1.1.3.1. IL RUOLO DELLA PROVINCIA.
L‟Amministrazione provinciale ha il compito di predisporre, per la pianificazione
generale del territorio agro-silvo-pastorale, il piano faunistico venatorio. Esso va
articolato per comprensori omogenei. Esso deve contenere la ripartizione del territorio
in zone a vocazione diversa e precisamente: oasi di protezione, zone di ripopolamento e
cattura, centri pubblici di riproduzione, centri privati di riproduzione, zone e periodi per
l‟addestramento, allenamento e gare di cani, zone destinate agli appostamenti fissi.
Il piano deve prevedere i criteri per il risarcimento del danno a favore di proprietari ed
affittuari singoli o associati di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle
produzioni agricole ed alle opere approntate sui fondi vincolati, nonché i criteri per
corrispondere gli incentivi a favore dei proprietari o affittuari (singoli o associati) di
fondi rustici che si impegnino alla tutela e risparmio di habitat naturali ed
all‟incremento della fauna selvatica.
Tutte le zone individuate dal piano devono essere indicate, a sensi del comma 9°
dell‟art. 10, da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni impartite
dalle regioni, apposte a cura dell'ente, associazione o privato che sia preposto o
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incaricato della gestione della singola zona. La delibera che determina il perimetro delle
zone da vincolare, ad esclusione delle zone di protezione lungo le rotte di migrazione,
delle foreste demaniali e dei valichi montani, va notificata ai proprietari e affittuari dei
fondi rustici e pubblicata mediante affissione all‟Albo Pretorio dei Comuni interessati.
Ove nei 60 giorni successivi alla pubblicazione sia presentata opposizione motivata da
parte dei proprietari o conduttori di fondi che rappresentino almeno il 40% della
superficie complessiva che si intende vincolare, la zona non può essere istituita. In ogni
caso, nelle zone non vincolate a seguito dell‟opposizione manifestata dai proprietari o
affittuari di fondi rustici, l‟esercizio dell‟attività venatoria resta vietato.
1.1.3.2. IL RUOLO DELLA REGIONE.
Nella pianificazione faunistico-venatoria la Regione interviene in tre modi diversi, a
sensi dell‟art. 10, comma 10, ovvero:
tramite il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 dello stesso art. 10,
secondo criteri dei quali l‟Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce
l‟omogeneità e la congruenza, a norma dell‟art. 11;
tramite l‟esercizio dei poteri sostitutivi ove le Province non adempiano ai loro obblighi
inerenti la pianificazione;
con la redazione del cd. piano faunistico Regionale di cui all‟art. 10, comma 12, nonché
di cui all‟art. 14 della citata legge quadro n. 157/1992. Tale piano determina i criteri per
l‟individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunisticovenatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
In via eccezionale e ove ricorrano specifiche necessità ambientali, le Regioni possono
disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e
cattura, e l‟attuazione di piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7° dell‟art.
10.
In particolare, la Regione Calabria è intervenuta con la Legge Regionale 17 maggio
1996, n. 9, contenente “Norme per la gestione e tutela della fauna selvatica e
l‟organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell‟esercizio
venatorio” (Legge Regionale n. 9/1996, come modificata dall‟art. 47. comma 5 L.R. 14
luglio 2003, n. 10). In quest‟ambito, di particolare interesse è l‟art. 5 che prevede che Il
territorio agro-silvo-pastorale regionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria
finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive
capacità riproduttive delle loro popolazioni e, per le altre specie, al conseguimento delle
densità ottimali ed alla loro conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse
ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio. La Giunta regionale attua la
pianificazione di cui al comma 1 mediante il coordinamento dei piani faunisticovenatori provinciali sulla base di criteri di cui l'I.N.F.S. garantisce l'omogeneità e la
congruità e nel rispetto delle seguenti indicazioni: a) destinare una quota massima del
26 per cento del territorio agro-silvo-pastorale della Regione a protezione della fauna
selvatica, comprendendo in essa tutte le aree ove sia comunque vietata l'attività
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venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni; b) destinare una quota massima
del 15 per cento del territorio agro-silvo-pastorale provinciale ad ambiti privati di
caccia, ivi compresi i centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato
naturale, le zone di addestramento e allenamento dei cani e per le zone per gare cinofile;
c) promuovere sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale forme di gestione
programmata della caccia; d) determinare criteri per la individuazione dei territori da
destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agro-turistico
venatorie e di centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale. Il
piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla Giunta regionale mediante il
coordinamento dei piani faunistico-venatori provinciali. Il piano faunistico-venatorio
regionale è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale, sentita
la Consulta Faunistica Venatoria Regionale. Il piano faunistico-venatorio regionale ha
durata quinquennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza su richiesta di
una o più province se le situazioni ambientali e faunistiche sulla base delle quali è stato
elaborato subiscano sensibili variazioni.
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1.2. INDICAZIONI PER LA PREDISPOSIZIONE DELLO STUDIO D’INCIDENZA
La citata legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e
di prelievo venatorio, integrata dalla legge 3 ottobre 2002, n. 221, è attuativa, come
anticipato, dell‟art. 9 della direttiva 79/409/CEE, del Consiglio concernente la
conservazione degli uccelli selvatici, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale L 103 del
25.4.1979, pagg. 1–18. La direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992,
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della
fauna selvatiche, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle CE L 206 del 22.7.1992,
pagg. 7–50 è stata recepita in Italia con il DPR n. 357/1997.
Le citate direttive partono dalle seguenti considerazioni di fondo:
la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, compresa la
conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono
un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente
all'articolo 174 (ex art. 130 R) del Trattato;
Scopo principale della direttiva n. 92/43/CEE è, com‟è noto, quello di promuovere il
mantenimento della biodiversità, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze
economiche, sociali, culturali e regionali. In questo modo il legislatore comunitario
contribuisce all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole. Il mantenimento di detta
biodiversità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la promozione di attività
umane;
Nel territorio europeo degli Stati membri, gli habitat naturali non cessano di degradarsi
e che un numero crescente di specie selvatiche è gravemente minacciato; gli habitat e le
specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunità e i pericoli che
essi corrono sono generalmente di natura transfrontaliera, per cui è necessario adottare
misure a livello comunitario per la loro conservazione;
Tenuto conto delle minacce che incombono su taluni tipi di habitat naturali e su talune
specie, è necessario definirli come prioritari per favorire la rapida attuazione di misure
volte a garantirne la conservazione;
Per assicurare il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di
interesse comunitario in uno Stato di conservazione soddisfacente, occorre designare
zone speciali di conservazione per realizzare una rete ecologica europea coerente
secondo uno scadenzario definito;
Tutte le zone designate, comprese quelle già classificate o che saranno classificate come
“Zone di Protezione Speciale” ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio,
concernente la conservazione degli uccelli selvatici, dovranno integrarsi nella rete
ecologica europea coerente;
In ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie in relazione agli
obiettivi di conservazione previsti;
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I siti che possono essere designati come zone speciali di conservazione vengono
proposti dagli Stati membri; si deve tuttavia prevedere una procedura che consenta, in
casi eccezionali, la designazione di un sito non proposto da uno Stato membro che la
Comunità consideri essenziale per il mantenimento di un tipo di habitat naturale
prioritario o per la sopravvivenza di una specie prioritaria;
Qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di
conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una
valutazione appropriata;
L'adozione di misure intese a favorire la conservazione di habitat naturali prioritari e
specie prioritarie di interesse comunitario è responsabilità comune di tutti gli Stati
membri; tali misure possono tuttavia costituire un onere finanziario eccessivo per taluni
Stati membri poiché, da un lato, tali habitat e specie non sono distribuiti uniformemente
nella Comunità e dall'altro, nel caso specifico della conservazione della natura, il
principio "chi inquina paga" è di applicazione limitata;
In questo caso eccezionale dovrebbe essere previsto un contributo mediante
cofinanziamento comunitario entro i limiti delle risorse disponibili in base alle decisioni
della Comunità;
Occorre incoraggiare, nelle politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, la gestione
degli elementi del paesaggio aventi un'importanza fondamentale per la flora e la fauna
selvatiche;
Occorre garantire la realizzazione di un sistema di verifica dello stato di conservazione
degli habitat naturali e delle specie di cui alla presente direttiva;
E‟ necessario istituire, a complemento della direttiva 79/409/CEE un sistema generale
di protezione di talune specie di fauna e di flora; si devono prevedere misure di gestione
per talune specie, qualora il loro stato di conservazione lo giustifichi, compreso il
divieto di taluni modi di cattura o di uccisione, pur prevedendo la possibilità di deroghe,
subordinate a talune condizioni;
Per garantire il controllo dell'attuazione della presente direttiva, la Commissione
europea periodicamente prepara una relazione di sintesi, basata, tra l'altro, sulle
informazioni trasmesse dagli Stati membri in merito all'attuazione delle disposizioni
nazionali adottate a norma della direttiva;
Il miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche è indispensabile per attuare la
presente direttiva e che occorre di conseguenza incoraggiare la ricerca e i lavori
scientifici necessari a tal fine;
Occorre prevedere misure complementari per regolamentare la reintroduzione di talune
specie di fauna e di flora indigene, nonché l'eventuale introduzione di specie non
indigene;
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L'istruzione e l'informazione generale relative agli obiettivi della presente direttiva sono
indispensabili per garantirne l'efficace attuazione.
Tutto ciò considerato, il legislatore comunitario ha fornito, nella citata direttiva
92/43/CEE, la definizione di “Zone Protezione Speciale” (ZPS), ovvero un sito di
importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare,
amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione
necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente,
degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato. Tali
ZPS svolgono un ruolo determinante nella conservazione delle specie di avifauna
migratoria. Onde rendere accettabile il disturbo causato dall‟attività venatoria sulle
specie citate, vengono adottate misure precauzionali per evitare impatti eccessivamente
devastanti, soprattutto nei periodi di migrazione prenuziale, evitando il più possibile che
vi siano abbattimenti accidentali o sottrazione di zone di alimentazione e rifugio, specie
nei periodi climaticamente più disagiati.
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1.3. INDICAZIONI SULLA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA (VAS)
Come è noto, i Piani faunistico-venatori provinciali devono essere assoggettati alla
VAS. La strategia dell‟Unione Europea per lo sviluppo sostenibile, adottata dal
Consiglio europeo di Göteborg nel 2001, ha messo in evidenza, quale elemento politico
fondamentale, il fatto che tutte le politiche debbano ruotare attorno al concetto di
sviluppo sostenibile. La strategia sottolineava inoltre che, per una valutazione
sistematica delle proposte, era necessario disporre di migliori informazioni. La direttiva
sulla VAS rappresenta uno strumento importante per fornire informazioni di questo
genere, che consentano di integrare più efficacemente le considerazioni ambientali nelle
proposte settoriali man mano che queste vengono presentate e trovare, dunque,
soluzioni più sostenibili.
Prima dell‟introduzione della direttiva 2001/42/CE, i progetti di rilevante entità che
potevano avere un impatto sull‟ambiente dovevano essere sottoposti a valutazione
nell‟ambito della direttiva 85/337/CEE1 concernente la valutazione dell‟impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
Tale valutazione avveniva, tuttavia, in una fase in cui le possibilità di apportare
cambiamenti sensibili erano spesso limitate: le decisioni riguardo all‟ubicazione del
progetto o alla scelte di alternative potevano, infatti, già essere state prese nell‟ambito di
piani riguardanti un intero settore o un‟area geografica.
La direttiva 2001/42/CE sulla VAS colma questa lacuna e stabilisce che vengano
valutati gli effetti ambientali di un ampio ventaglio di piani e programmi, in modo che
se ne tenga conto durante l‟effettiva elaborazione dei piani, e che questi vengano
adottati a tempo debito. Inoltre, il pubblico deve essere consultato sui progetti e sulla
valutazione ambientale e occorre tener conto delle opinioni che esprime. Come indicato
nel titolo della direttiva, l‟obiettivo del legislatore europeo è quello di “garantire un
elevato livello di protezione dell‟ambiente e di contribuire all‟integrazione delle
considerazioni ambientali nei piani e programmi sia all‟atto della loro elaborazione sia
all‟atto della successiva adozione” (art. 1). La direttiva definisce la “Valutazione
ambientale” come un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano
ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell‟ambito di programmi
– ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in
modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale e poste sullo stesso piano
delle considerazioni di ordine economico e sociale. In quest‟ottica la VAS è da
intendersi come uno strumento di supporto per le decisioni e tutto il processo di
valutazione è centrato attorno alla possibilità di migliorare la qualità della decisione.
Proprio per queste ragioni va inserita nei punti strategici del processo decisionale, fermo
restando la sua natura di processo valutativo. Viene applicata a tutti i piani e programmi
elaborati per i settori: agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, della
gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione
1
Direttiva sulla valutazione d’impatto ambientale o direttiva sulla VIA, GUCE L175 del 5.7.1985, pag. 40.
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territoriale o della destinazione dei suoli, dei trasporti, ai piani e programmi elencati
negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE applicati su piccole aree o per le loro
modifiche. Sono esclusi dall‟applicazione di questa direttiva piani e programmi destinati
a scopi di difesa nazionale e protezione civile e piani e programmi finanziari e di
bilancio. La VAS riguarda i processi di formazione dei piani più che i piani in senso
stretto. Si tratta quindi di uno strumento di aiuto alla decisione (DSS - Decision Support
System), più che un processo decisionale in se stesso. Per definire in termini concreti la
VAS occorre porre attenzione sull‟aggettivo “strategico”, che la differenzia in modo
sostanziale dalla VIA. Si prenda un esempio concreto: una necessità del territorio di
collegamento trasporti. - La VIA si pone il problema di verificare e mitigare gli impatti
ambientali rispetto ad una decisione già assunta, ad esempio di una strada che collega
un punto A ad un punto B. La VAS interviene a monte, giudicando come quel
collegamento possa essere “strategicamente” risolto: strada, autostrada, ferrovia,
ferrovia veloce, collegamento aereo. La VAS, quindi, non è solo elemento valutativo
ma “permea” il piano e ne diventa elemento costruttivo, gestionale e di monitoraggio. È
importante sottolineare che i processi decisionali politici sono fluidi e continui: quindi
la VAS deve intervenire al momento giusto del processo decisionale. Occorre quindi
certamente approfondire gli aspetti tecnico-scientifici, ma senza perdere il momento
giusto e rendendola inutile anche se rigorosa, ricordando che la VAS è uno strumento e
non il fine ultimo. Sempre più, negli ultimi tempi, l‟attenzione si è spostata quindi dalla
metodologia all‟efficacia. Come sottolinea la direttiva, la prima fase della valutazione
ambientale non può prescindere dall‟individuare gli interlocutori sociali (stakeholders)
per poi pianificare e gestire meglio la loro partecipazione alla discussione. Prima di
“entrare nel vivo” della valutazione è altresì necessario analizzare il processo
decisionale tramite il diagramma della decisione. In questa fase trova spazio una
rassegna esaustiva delle varie fasi del processo, degli attori coinvolti e del loro titolo,
per meglio individuare dove e come intervenire con le considerazioni relative alla
sostenibilità. In altre parole in questa fase si descrive l‟intero processo decisionale, si
identificano i momenti decisionali (decision windows) e si identificano dove devono
essere prese decisioni critiche con implicazioni ambientali. Successivamente si stila il
rapporto ambientale, nel quale si individuano, si descrivono e si valutano gli effetti
significativi che potrebbero realizzarsi con l‟attuazione di un determinato piano o
programma e contenente le seguenti informazioni: illustrazione dei contenuti, degli
obiettivi principali e del rapporto con altri piani o programmi; stato attuale
dell‟ambiente e sua evoluzione senza il piano; caratteristiche ambientali dell‟area
interessata; problemi ambientali esistenti; obiettivi di protezione ambientale; possibili
effetti significativi sull‟ambiente (biodiversità, fattori climatici, salute umana,
popolazione, flora e fauna, suolo, acqua, aria, beni materiali, patrimonio culturale,
patrimonio architettonico, patrimonio archeologico, paesaggio); misure per impedire,
mitigare o ridurre gli effetti negativi; sintesi dei motivi di scelta delle alternative;
descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Si costruisce così un rapporto
sintetico sulle criticità dell‟area o settore con dati, grafici e brevi commenti attraverso il
quale il decisore dovrebbe identificare immediatamente i punti forti e deboli di un‟area
o settore. La successiva fase ha l‟obiettivo di costruire l‟albero obiettivi, azioni e
indicatori per lo sviluppo sostenibile. Per quel che riguarda gli obiettivi generali di
sostenibilità le organizzazioni internazionali fanno riferimento a quattro - cinque
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obiettivi, per orientare con maggiore precisione le scelte. Si tratta di analizzare tali
obiettivi generali per evidenziare come le azioni del piano o programma permettono di
raggiungerli. Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di piano, sono proprio questi che
permettono il raccordo tra azioni di piano e obiettivi generali e rivestono un ruolo
centrale nella VAS. A questo punto la direttiva con l‟obiettivo di concludere il processo
di valutazione ambientale, per poi poter impostare correttamente il monitoraggio,
descrive il rapporto ambientale che alla luce di tutte le fasi precedenti si deve andare a
stilare. Il rapporto ambientale è la parte centrale della valutazione sull‟ambiente
richiesta dalla direttiva, che influenzerà la versione definitiva del piano o programma. Il
rapporto ambientale costituisce un importante strumento per l‟integrazione delle
considerazioni di carattere ambientale nell‟elaborazione e nell‟adozione di piani e
programmi in quanto garantisce che gli effetti significativi sull‟ambiente vengano
individuati, descritti, valutati e presi in considerazione nel corso di tale processo. La
preparazione del rapporto ambientale e l‟integrazione delle considerazioni ambientali
nella preparazione dei piani e dei programmi costituisce un processo iterativo che deve
contribuire al raggiungimento di soluzioni più sostenibili nell‟iter decisionale. L‟ultima
fase della valutazione, presa in esame dalla direttiva, riguarda il monitoraggio e il
controllo degli indicatori. “Gli Stati membri controllano gli effetti ambientali
significativi dell'attuazione dei piani e dei programmi al fine, tra l'altro, di individuare
tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e essere in grado di adottare le misure
correttive che ritengono opportune.” Il rapporto ambientale deve includere una
descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Il ruolo del monitoraggio è quello
di poter correggere le azioni qualora non venissero raggiunti gli obiettivi; attraverso una
relazione di monitoraggio si deve riportare l‟analisi del grado di raggiungimento degli
obiettivi, l‟analisi delle risposte, l‟analisi degli indicatori, l‟esame degli scostamenti,
l‟esame del feedback, l‟analisi della rete di monitoraggio, l‟azioni di miglioramento.
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2. QUADRO CONOSCITIVO
2.1.ASSETTO TERRITORIALE
2.1.1.CARATTERIZZAZIONE TERRITORIALE
La provincia di Vibo Valentia ha una estensione territoriale di circa 1.140 km2. Il
territorio si proietta ad ovest sul Mar Tirreno, si estende a est fino alla culminazione
topografica della catena delle Serre (Monte Pecoraro, 1423 m s.l.m.), supera lo
spartiacque idrografico N-S Tirreno-Jonio al bordo est (da Colle d‟Arena a Pietratonda)
dove confina con le zone di testata dei bacini idrografici Allaro (a Sud) e Ancinale e
Alaco (a Nord). In direzione NNE-SSO, il territorio in esame è dominato da tre unità
fisiografiche principali, tra loro allineate che, da Ovest verso Est, si identificano con il
promontorio del Poro, l‟ampia vallata del fiume Mesima e la catena delle Serre.
Nell‟ambito amministrativo del territorio della provincia di Vibo Valentia, che
costituisce il 7 % circa del territorio regionale, vive circa l‟8% della popolazione
calabrese.
Amministrativamente la provincia di Vibo Valentia è divisa in 50 Comuni (Tabella 1 e
Figura 1). In relazione alla complessa morfologia del territorio (Figura 2) i comuni della
provincia ricadono in aree montane e collinari; in particolare, 8 sono ubicati in
montagna (contribuendo a coprire il 16 % del territorio provinciale per circa 181 km2) e
42 in collina (84 % del territorio provinciale per circa 938 km2) (Tabella 2, Figura 2);
nonostante l‟ambito territoriale di importanti comuni balneari (quali Nicotera, Joppolo,
Ricadi, Tropea, Parghelia, Zambrone, Briatico, Vibo Valentia e Pizzo) si sviluppi lungo
la linea di costa per circa 70 km, le esigue superfici pianeggianti ricadenti nel loro
comprensorio risultano alquanto trascurabili rispetto alla retrostante parte di territorio, la
cui orografia risulta in massima parte ricadente nella fascia altimetrica collinare (Figura
2).
Dai dati elaborati dall‟ISTAT nell‟anno 2008 risulta una popolazione residente pari a
170.628 unità, a cui corrisponde una densità di 147 abitanti/ km2.
Nel decennio 1991-2001, circa il 15% dei comuni della provincia ha subito un
decremento demografico che oscilla tra il 12% ed il 9%.
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Tabella 1 - – Principali caratteristiche dei comuni della provincia di Vibo Valentia
(Fonte: ISTAT, 2008)
COD.
ISTAT
SUPERFICIE
ALTITUDINE (m)
(m2)
max
min
media
max (m)
Arena
102002
33841767.49
1170.0
220.06
895.01
949.94
Filadelfia
102011
31413403.42
909.99
40.00
483.11
869.99
S. Calogero
102032
25106699.78
384.03
35.03
159.64
348.99
Dinami
102008
44301391.55
1125.5
72.39
368.18
1053.1
Soriano
Calabro
Spadola
102040
14590007.26
609.84
125.00
265.09
484.84
102041
9370396.04
1270.0
750.00
897.95
520.00
Vallelonga
102045
17583080.42
950.00
240.00
637.67
710.00
San
Costantino
Calabro
Drapia
102033
7172270.40
496.38
200.00
376.05
296.38
102009
22055740.39
630.00
0.00
404.56
630.00
Maierato
102020
39461612.72
430.03
20.00
189.82
410.03
Nardodipace
102024
32404331.92
1360.0
161.81
863.26
1198.1
Serra
San
Bruno
Simbario
102037
40461844.82
1410.0
740.00
981.68
670.00
102038
20027811.49
960.00
570.00
747.95
390.00
San
Gregorio
Stefanaconi
102034
12421152.37
500.13
129.98
356.31
370.15
102043
23497124.46
555.01
124.61
247.78
430.41
Filogaso
102013
23943575.19
380.00
80.00
240.03
300.00
Monterosso
Calabro
102023
18282582.75
990.00
40.00
394.13
950.00
COMUNE
23
DISLIVELLO
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Francavilla
Angitola
Acquaro
102014
28412811.18
535.46
8.14
218.65
527.32
102001
24560025.41
1234.3
102.04
641.69
1132.2
Mileto
102021
34152689.86
370.01
70.00
213.07
300.01
Rombiolo
102031
21835698.72
634.99
8.79
514.92
626.21
Polia
102029
31406527.94
1020.0
53.20
515.09
966.80
S. Nicola da
Crissa
Vazzano
102035
19314282.50
910.00
100.00
530.96
810.00
102046
20460013.78
930.00
133.77
355.93
796.23
Francica
102015
23470373.46
347.07
95.52
244.52
251.55
Sorianello
102039
9504816.82
1033.8
240.00
640.73
793.80
Mongiana
102022
18231350.64
1420.0
645.76
1017.5
774.24
Dasà
102007
7116866.54
593.14
95.06
230.91
498.08
Limbadi
102019
28778944.68
660.00
10.63
293.10
649.37
Filandari
102012
18144334.66
640.00
210.05
474.56
429.95
Spilinga
102042
21264530.00
710.00
180.00
528.89
530.00
Cessaniti
102006
17712995.25
485.00
24.97
300.48
460.03
Brognaturo
102004
24502184.99
1262.6
690.00
984.93
572.68
Pizzoni
102028
22672057.82
931.50
0.23
483.97
931.27
Ionadi
102017
8174509.60
530.25
280.00
459.98
250.25
Fabrizia
102010
40124688.18
1290.0
500.00
944.90
790.00
Capistrano
102005
20831926.97
960.00
80.00
520.55
880.00
Sant'Onofrio
102036
18466157.89
480.00
150.04
277.29
329.95
24
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Gerocarne
102016
45366034.19
1100.0
53.24
424.03
1046.7
Zungri
102050
21783953.68
650.00
310.00
500.33
340.00
Zaccanopoli
102048
6264803.00
602.65
151.48
507.83
451.17
Nicotera
102025
33278762.48
685.00
0.00
204.39
685.00
Parghelia
102026
7763884.76
550.00
0.00
197.21
550.00
Briatico
102003
27432446.89
570.00
0.00
172.67
570.00
Pizzo
102027
22310177.59
430.02
0.00
142.54
430.02
Ricadi
102030
21786153.70
336.47
0.00
145.57
336.47
Ioppolo
102018
15023414.70
690.76
0.00
334.57
690.76
Tropea
102044
3607979.74
261.07
0.00
74.55
261.07
Vibo
Valentia
Zambrone
102047
45785524.35
559.98
0.00
289.01
559.98
102049
14697323.91
544.97
0.00
263.36
544.97
SUPERFICIE TOTALE
25
m2 1.140.173.038,35
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Tabella 2 - – Suddivisione dei comuni della Provincia di Vibo Valentia per zona
altimetrica (Fonte ISTAT, 2008)
ZONA
ALTIMETRICA2
COMUNE
Montagna
Serra San Bruno, Fabrizia, Nardodipace, Simbario, Mongiana,
Spadola, Brognaturo
Collina
Vibo Valentia, Mileto, Filaldelfia, Rombiolo, Cessaniti,
Dinami, Sant' Onofrio, Jonadi, Stefanaconi, San Gregorio
d'Ippona, San Costantino Calabro, Zungri, Monterosso
Calabro, Filandari, Arena, Francica, Spilinga, San Nicola da
Crissa, Sorianello, Polia, Vazzano, Capistrano, Zaccanopoli,
Vallelonga, Pizzo, Tropea, Nicotera, San Calogero, Ricadi,
Briatico, Limbadi, Soriano Calabro, Gerocarne, Francavilla
Angitola, Joppolo, Maierato, Drapia, Zambrone, Filogaso,
Parghelia, Pizzoni, Dasà
Pianura
///
2
Definita secondo le indicazioni fornite dal 5˚ Censimento Generale dell’Agricoltura del 2001. Montagna: territorio caratterizzato
dalla presenza di notevoli masse rilevate aventi altitudini, di norma, non inferiori a 700 metri. Le aree intercluse fra le masse
rilevate, costituite da valli, altopiani ed analoghe configurazioni del suolo, sono comprese nella zona di montagna. Collina:
territorio caratterizzato dalla presenza di diffuse masse rilevate aventi altitudini, di regola, inferiori a 700 metri. Eventuali aree di
limitata estensione aventi differenti caratteristiche,intercluse, sono comprese nella zona di collina. Pianura: territorio pianeggiante
e basso caratterizzato dall’assenza di masse rilevate. Sono incluse in questa zona altimetrica, sia le propaggini di territorio che nei
punti più discosti dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore a 300 metri, purché presentino, nell’insieme e senza
soluzioni di continuità, inclinazione trascurabile rispetto al corpo della zona di pianura, sia eventuali rilievi montagnosi o collinari
interclusi nella superficie pianeggiante di estensione trascurabile.
26
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Figura 1 Superficie territoriale della Provincia di Vibo Valentia e confini
amministrativi dei comuni in essa ricadenti (da: Terra & Acqua geological consulting)
27
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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25
20
43
15
n.
10
5
7
0
0
Montagna
Collina
Pianura
a)
100
90
80
70
83,8
60
%
50
40
30
20
16,2
10
0
Montagna
0,0
Collina
Pianura
b)
600
500
938,07
400
km2
300
200
100
0
181,58
0
Montagna
Collina
Pianura
c)
Figura 2 –
Numerosità (a), Distribuzione percentuale (b) e Superficie dei Comuni
della provincia di Vibo Valentia suddivisi per zona altimetrica
28
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2.1.1.1. GEOMORFOLOGIA
A causa del complesso assetto orografico della penisola calabrese, il territorio della
provincia di Vibo Valentia si estende, in prevalenza, su aree montane e collinari; una
minima parte del territorio interessa tuttavia aree di pianura, che concorrono a
rappresentare il sistema costiero della provincia (Figure 3 e 4).
Figura 3 Altimetria del territorio della provincia di Vibo Valentia (da: Terra &
Acqua geological consulting)
Il territorio della Provincia di Vibo Valentia si estende dalla culminazione topografica
delle Serre al mare con dislivello massimo di poco superiore ai 1400 m (1423 m, Monte
Pecoraro).
Geologicamente occupa un segmento centrale dell‟orogene Arco Calabro, dalla stretta di
Catanzaro alla Piana di Gioia Tauro.
Il Poro, grande promontorio granitico che si eleva fino ai 710 m s.l.m., rappresenta una
della principali unità fisiografiche del territorio provinciale. La sua struttura, delimitata ad
ovest dal mare, si estende proprio fino ai confini provinciali. La caratteristica morfologica
di questo sistema orografico è quella di un vasto falsopiano sommitale che si estende fino
all‟abitato di Vibo Valentia. Ad Ovest è lambito da versanti acclivi (con pendenza media
del 15-20%) raccordati alla costa, che possono presentare successioni di scarpate con
pendenze talora prossime al 100% (Figura 5), interrotte da aree terrazzate di limitata
estensione (testimonianza delle fasi di ritiro del mare e di antichi sollevamenti orogenici
del sistema). Sulle aree terrazzate costiere, interessate da recenti faglie ancora attive (come
29
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sui pianalti), insistono importanti centri quali Pizzo, Tropea, Parghelia, Joppolo, Briatico,
sulla costa, e Mileto e Vibo Valentia sulle aree sommitali.
I terreni che affiorano all‟interno del territorio provinciale sono costituiti dall‟unità
cristallino metamorfica che chiude la successione delle falde dell‟Arco (Unità Calabridi
riferita da Ogniben, 1979) e dalla sequenza sedimentaria neogenica trasgressiva (Nicotera,
1959), estesa dal Miocene superiore al Pleistocene.
Al di sotto dei complessi granitoidi e rocce associate non affiorano altre unità strutturali e
pertanto il settore d‟orogene in questione è certamente tra i meno conosciuti nella sua
costituzione più profonda. Più in dettaglio e per quanto concerne i due principali insiemi
litologici, quello cristallino-metamorfico ercinico di base e quello sedimentario neogenico
superiore, si rilevano complessi cristallino metamorfici e complessi sedimentari.
Complessi cristallino metamorfici costituiscono la porzione centrale della catena
topografica appenninica e del promontorio costiero del monte Poro, da Vibo a Capo
Vaticano, e sono separati dal sedimentario sul quale si apre l‟ampia vallata del Fiume
Mesima.
Per i complessi cristallino metamorfici del Poro Nicotera (1959) distingue essenzialmente
due litologie: granodioriti, da anfibolitici a biotitici, per il grosso del promontorio da Vibo
a Nicotera e Kinzingiti per gli affioramenti tra Vibo e la valle del Fiume Angitola. In
Amodio-Morelli (1976) entrambe le litologie vengono ascritte ad un‟unica Unità (Unità di
Polia-Copanello) in due delle sue facies caratteristiche: gneiss tonalitici e quarzo-dioritici;
gneiss a granato e sillimanite.
I complessi sedimentari marini datano dal Miocene superiore al Pleistocene e raggiungono
gli spessori massimi in asse alla valle del Fiume Mesima, dove la successione miopliocenica è pressoché completa con spessori massimi di oltre 350 m.
Nel quadro tettonico del territorio provinciale non si rilevano in affioramento elementi
significativi riconducibili all‟assetto strutturale profondo dell‟orogene Arco Calabro, quali
le sovrapposizioni tra le falde d‟ordine superiore al di sotto dell‟unità crostale superiore, la
loro costituzione e il loro assetto strutturale (Cello et al, 1989; Amodio-Morelli, 1976;
Tortorici, 1982). Solo indicazioni relitte di una tettonica
compressiva thrust-folds si rinvengono nel cristallino-metamorfico delle Serre (Calcaterra
et al 1993) e molto meno frequenti nei complessi sedimentari più antichi (arenarie
tortoniane di Troppa allo scoglio di S. Maria dell‟Isola: faglie inverse nord-vergenti;
rilevamento originale).
A riguardo le maggiori informazioni si rilevano in Ghisetti (1980) dalle quali si può
estrarre in sintesi quanto segue:
su un blocco ercinico crostale, la fossa del Mesima e relativa ingressione marina si
individua nel Tortoniano;
30
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nel Pliocene medio-inferiore una fase tettonica compressiva accentua i dislivelli tra la
valle del Mesima e gli horst marginali delle Serre e del Poro che tendono al sollevamento;
nel Pliocene superiore-Pleistocene, sistemi di faglie normali a prevalente direzione NESO, ONO-ESE, E-O guidano un più generalizzato sollevamento dell‟area Serre-Poro;
in tutto il Pleistocene, il sollevamento del massiccio del Poro e della Catena delle Serre è
fortemente asimmetrico, con velocità variabili tra 0,03 e 0,8 mm/a, comparando i dati per
tre intervalli cronologici rispettivamente 1,5 – 0,7 – 0,2 M.A, mentre il sollevamento della
Valle del Mesima si mantiene sostanzialmente uniforme; il sistema di faglie che guidano i
sollevamenti presentano sempre meccanismi normali.
Relativamente al massiccio del Poro il massimo del sollevamento complessivo si
individua attualmente nelle aree prossime agli abitati di Brattirò, Spilinga, Rombiolo,
Filandari e Jonadi.
Relativamente al sistema montuoso delle Serre il massimo del sollevamento complessivo
si individua nelle aree corrispondenti alla dorsale di Monte Pecoraro (con valori di
sollevamento fino a massimi di 1,3 mm/a e tendenza decrescente verso il recente).
35
30
25
20
%
15
10
5
0
> 1300
1100 - 1300
900 - 1100
700 - 900
500 - 700
300 - 500
100 - 300
< 100
H (m s.l.m.)
Figura 4 –
altimetrica
31
Suddivisione del territorio della provincia di Vibo Valentia per classe
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Figura 5 Acclività del territorio della provincia di Vibo Valentia e tipologia degli
insediamenti in essa ricadenti (da: Terra & Acqua geological consulting)
Il reticolo idrografico della provincia di Vibo Valentia (Figura 7) è quello ben noto della
penisola calabrese: corsi d‟acqua brevi profondamente incisi nei tratti montani, a regime
torrentizio, e con bassa gerarchizzazione (massimo 4÷5). I sistemi idrografici sono tutti in
netta fase di erosione giovanile, con pendenze d‟alveo spesso superiori al 7-8%, talora
finanche nelle porzioni vallive di foce (Figura 8). I complessi litologici che formano i
rilievi, sia per fattori genetici che per caratteri acquisiti (tettonizzazione e weathering),
presentano bassa resistenza meccanica agli agenti erosivi. Inoltre il rapido sollevamento in
atto della catena costiera (+0,9÷1,1 mm/anno, Westaway, 1993), nonché la particolarità
del regime pluviometrico di zona che vede la Calabria, ed in particolare la fascia tirrenica,
come una delle regioni più piovose dell‟Italia meridionale (1151 mm a fronte dei 970 mm
di media nazionale, Petrucci et al., 1996), tenderebbero a determinare un trend spontaneo
di elevato e rapido trasporto solido a mare con conseguente bilancio positivo nella
dinamica di alimentazione detritica dei litorali, ma, di contro, mostrerebbero una marcata
vulnerabilità ai processi di dissesto idrogeologico.
Singolare è infatti la connessione tra il dissesto idrogeologico e il regime idraulico dei
corsi d‟acqua che caratterizzano il territorio provinciale: all‟interno dei bacini idrografici
l‟interazione tra geo-morfologia e clima dà luogo a intensi processi di ruscellamento,
erosione dei versanti e trasporto solido nonché ad un regime di deflusso spiccatamente
torrentizio che può presentare, in occasione di eventi di pioggia particolarmente intensi,
una portata liquida (anche di 100 volte superiore a quella media annuale) capace di
trasportare ingenti volumi di materiale solido verso valle. Gli estremi pluviometrici tipici
di questa porzione di territorio calabrese rappresentano, in questo quadro, una delle
principali cause del dissesto idrogeologico (Figura 6).
32
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Tali fattori, unitamente alla ridotta estensione delle aree pianeggianti e alla conformazione
geografica del territorio provinciale, a cui si è già fatto cenno, occupata da rilievi che
degradano quasi ovunque al mare, ha impedito la formazione di sistemi fluviali evoluti.
I numerosissimi corsi d‟acqua che costituiscono la maggior parte della idrografica
provinciale sono, quindi, per lo più torrenti. Essi hanno un breve corso (qualche decina di
km) e un bacino imbrifero relativamente poco esteso (nella gran parte dei casi inferiore a
100 km2); la loro pendenza, elevatissima nei tratti montani, si riduce bruscamente a breve
distanza dal mare dove assumono spesso la forma di fiumare, con letti ampi e divaganti,
spesso occupati da ingenti masse detritiche che provengono dall‟intensa attività di
disfacimento operata dalle piogge e dai deflussi nella parte montana dei bacini.
L‟unico corso d‟acqua a cui si possa dare la denominazione di Fiume (ricadente in buona
parte nella provincia) è il Mesima (la cui sorgente si trova in località “Il Ceraso” a 800 m
s.l.m.); l‟Ancinale (sorgente in località “Santa Maria” a circa 1000 m s.l.m.) e l‟Angitola
(nascente in località “Angitolella” a 950 m s.l.m.), seppur di gran lunga minori rispetto al
Mesima meritano, comunque, particolare attenzione per le emergenze naturalistiche e
ambientali che esprimono.
Le principali caratteristiche dei più importanti corsi d‟acqua della provincia di Vibo
Valentia sono riportate nell‟allegato 1; nelle figure 7a, 7b e 7c vengono invece
rappresentate le curve ipsografiche dei principali corsi d‟acqua della provincia.
33
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Figura 6 Carta dei dissesti, distinti per tipologia, della Provincia di Vibo Valentia
(da: Terra & Acqua geological consulting)
Figura 7 Reticolo idrografico della Provincia di Vibo Valentia (da: Terra & Acqua
geological consulting)
34
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CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Mesima
Quote m.s.l .m.m.
2000
1500
1000
500
0
0
200
400
600
800
1000
1200
Sup. Kmq
CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Angitola
Quote m.s.l .m.m.
2000
1500
1000
500
0
0
100
200
300
400
500
Sup. Kmq
CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Ancinale
Quote m.s.l .m.m.
2000
1500
1000
500
0
0
100
200
300
400
500
Sup. Kmq
Figura 8 Curve ipsografiche dei bacini idrografici dei Fiumi Mesima (alto), Angitola
(centro)e Ancinale (basso) ricadenti all’interno del territorio della provincia di Vibo
Valentia
35
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2.1.1.2. CLIMA
Il clima della provincia di Vibo Valentia è piuttosto eterogeneo in relazione alla vastità del
territorio, alla notevole escursione altitudinale dei rilievi (dalla costa a oltre 1400 m s.l.m)
nonché alla diversa esposizione dei versanti.
Ai fini dell‟analisi climatica si è fatto riferimento (previa verifica dei dati disponibili) alle
stazioni termo-pluviometriche delle principali località ricadenti all‟interno del territorio
oggetto di studio, tenendo conto della necessità di ben rappresentare la complessa e
variegata realtà territoriale che caratterizza l‟ambito provinciale. La rete di stazioni
termometriche risulta, infatti, poco estesa, pertanto, per l‟elaborazione delle analisi
climatiche è stato necessario integrare i dati disponibili con stime della temperatura basate
sul metodo della correlazione statistica (Ciancio, 1973).
La rete di stazioni pluviometriche è, al contrario, più estesa e le stazioni risultano ben
distribuite su tutto il territorio indagato.
Le analisi dei regimi pluviometrici che caratterizzano il comprensorio evidenziano un
periodo piovoso con un‟elevata variabilità della distribuzione delle precipitazioni in
funzione prevalentemente dell‟altitudine. La piovosità massima si registra da novembre a
gennaio con valori massimi nel mese di gennaio di circa 280 mm (stazione di Serra San
Bruno); le precipitazioni medie annue nelle stazioni montane sono molto abbondanti con
valori che superano anche i 1800 mm; nella stazioni costiere esse si attestano invece
intorno ai 750 mm. La temperatura media mensile raggiunge il valore massimo nel mese
di agosto (circa 29 °C registrati nella stazione costiera di Tropea e 21 in quella montana di
Fabrizia) ed il valore minimo nei mesi di gennaio-febbraio (13-14 °C nella stazione
costiera di Tropea e 3,5 in quella montana di serra San Bruno). Nelle aree interne e sui
rilievi le escursioni termiche stagionali risultano alquanto accentuate; tale fenomeno si
attenua sensibilmente in prossimità dei territori costieri in relazione alla azione
termoregolatrice del mare.
Per quelle stazioni per cui si disponeva sia dei dati termometrici, sia di quelli
pluviometrici, sono stati elaborati i climogrammi (Figura 9) secondo il modello di
Bagnouls e Gaussen, che consentono di mettere in luce importanti caratteristiche del
clima.
Il regime termo-pluviometrico evidenziato dai climogrammi consente di ascrivere il clima
di tutte le località esaminate al tipo mediterraneo, nell‟ambito del quale sono tuttavia
riscontrabili significative differenze tra le stazioni costiere e quelle interne.
Dall‟analisi dei climogrammi (Figura 9) si rileva, come atteso, l‟alternanza di un periodo
temperato-umido (caratterizzato da un surplus idrico) e di un periodo caldo-arido (in cui si
evidenzia un deficit idrico).
Il periodo di aridità, identificato con quella porzione del grafico (Figura 9) in cui la linea
rossa (temperatura) si trova al di sopra della linea bleu (precipitazioni), è risultato variabile
tra 0,5 -2 (stazioni montane, ad esempio Serra San Bruno e Fabrizia) e 4 mesi (stazioni
costiere, ad esempio Tropea).
36
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Temperatura
340
320
300
280
260
240
220
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Temperatura (°C)
170
160
150
140
130
120
110
100
90
80
70
60
50
30
40
30
20
20
10
10
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
Precipitazioni (mm)
Precipitazione
Stazione di Fabrizia (948 m s.l.m.)
12
mesi
a)
Temperatura
260
240
220
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Temperatura (°C)
130
120
110
100
90
80
70
60
50
40
30
30
20
20
10
10
0
1
2
3
4
5
6
7
mesi
37
8
9
10
11
Precipitazioni (mm)
Precipitazione
Stazione di Serra San Bruno (790 m s.l.m.)
12
b)
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Temperatura
Temperatura (°C)
70
140
60
120
50
100
40
80
30
60
20
30
20
10
40
Precipitazioni (mm)
Precipitazione
Stazione di Mileto (368 m s.l.m.)
20
10
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
mesi
c)
Temperatura
Temperatura (°C)
70
140
60
120
50
100
40
80
30
60
20
30
20
10
40
Precipitazioni (mm)
Precipitazione
Stazione di Tropea (51 m s.l.m.)
20
10
0
0
1
2
3
4
5
6
7
mesi
8
9
10
11
12
d)
Figura 9 Diagrammi ombro-termici relativi alle stazioni montane (a e b), collinari
(c) e costiere (d) rappresentative della variabilità climatica del territorio della provincia
di Vibo Valentia
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In conclusione il territorio montano della provincia di Vibo Valentia secondo
Thornthwaite ha la seguente formula climatica (determinata per la stazione di Serra San
Bruno): clima perumido, con deficit idrico estivo assente o trascurabile, di varietà
climatica primo mesotermico ed una concentrazione estiva dell‟efficienza termica
(rapporto percentuale fra il valore dell‟evapotraspirazione potenziale dei mesi di giugno,
luglio e agosto e quello dell‟evapotraspirazione totale annua pari al 44,1%). Per la stazione
di Tropea, rappresentativa dei fascia costiera della provincia, il clima è invece definito
dalla seguente formula: clima da subumido a sub-arido, con forte eccedenza idrica in
inverno, di varietà climatica secondo mesotermico ed una concentrazione estiva
dell‟efficienza termica (rapporto percentuale fra il valore dell‟evapotraspirazione
potenziale dei mesi di giugno, luglio e agosto e quello dell‟evapotraspirazione totale annua
pari al 46,6%).
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2.2. LA COMPONENTE VEGETALE
La diversità biologica può essere analizzata a vari livelli. Nel presente capitolo viene
analizzata la biodiversità vegetale a livello di specie (flora), a livello di comunità vegetali
o fitocenosi (vegetazione) e a livello di habitat. In quest‟ottica, l‟analisi svolta è articolata
su tre tematiche tra loro strettamente relazionate, ciascuna delle quali può essere
considerata come un sottosistema del più vasto sistema biotico. L‟analisi svolta costituisce
il presupposto per le valutazioni sulla disponibilità di habitat e di risorse energetiche per la
fauna e in particolare per quella di interesse venatorio, oltre che per le valutazioni inerenti
il piano degli interventi di miglioramento ambientale.
2.2.1. FLORA
Per flora si intende l‟insieme delle specie vegetali, suddiviso per categorie sistematiche,
che vivono in un determinato territorio. Le specie vegetali stanno alla base del flusso di
energia e del ciclo della materia che interessa ogni ecosistema. Le piante costituiscono
quindi l‟elemento portante per la vita degli altri organismi viventi e per l‟equilibrio
dell‟ecosistema. La conoscenza del patrimonio floristico di un territorio costituisce uno
strumento di base per la conservazione e gestione sostenibile delle risorse naturali. La
flora di un territorio è il risultato di un lungo processo di evoluzione, migrazione,
estinzione di taxa ed è strettamente legata al territorio in cui si rinviene, costituendone uno
dei connotati salienti. In questa analisi sarà presa in considerazione la flora vascolare che
fa parte delle divisioni delle Pteridofite, Gimnosperme e Angiosperme.
2.2.1.1. FONTI DI DOCUMENTAZIONE
La flora della Provincia di Vibo Valentia è scarsamente conosciuta in quanto sono
disponibili pochi studi, inoltre manca per questo territorio una specifica opera di analisi
della flora, ne d‟altra parte esiste una flora della Regione Calabria dalla quale estrapolare i
dati. Si è quindi fatto riferimento ai pochi autori che si sono occupati della flora di questo
territorio. In particolare tra i floristi che hanno apportato contribuiti alla conoscenza della
flora del vibonese, soprattutto tra la fine del secolo scorso e l‟inizio di questo secolo sono
da citare, (Borzì, 1886; Damanti, 1886; Nicotra, 1886, 1896; Trotter, 1911) Porta (1879).
Questi autori hanno pubblicato florule riguardanti piccole aree o segnalazioni floristiche.
Altri lavori per l'area in questione sono stati realizzati a partire dalla metà del secolo
scorso (Chiarugi, 1955; Ferrarini e Padula, 1969; Padula, 1970; Barbagallo et al., 1982;
Corbetta,1986). Più recentemente sono state pubblicate alcune segnalazioni riguardanti
nuovi reperti per il territorio vibonese (Speta, 1990; Pisani, 1999, 2000, 2003; Bernardo,
Gargano, 2004; Cesca et. at., 2004; Peruzzi, Gargano, 2004; Peruzzi et al., 2004, Crisafulli
et al. 2006, Uzunov et al., 2006; Uzunov & Gangale, 2008).
2.2.1.2. CONSISTENZA DEL PATRIMONIO FLORISTICO DELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA
Sebbene non si abbia a disposizione un inventario completo della flora vascolare presente
sul territorio provinciale, dai dati bibliografici a disposizione e da dati personali inediti, la
flora del vibonese può essere stimata in circa 1.000 taxa (specie e sottospecie).
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Per tutta la Regione Calabria sono invece stimate circa 2629 taxa (Conti et al. 2005),
mentre per la flora italiana è costituita da 7634 taxa (Conti et al. l.c.). Da queste
considerazioni si evince che la Provincia di Vibo Valentia possiede una notevole ricchezza
floristica soprattutto se la si rapporta alla estensione della superficie provinciale.
L‟elevata ricchezza floristica del territorio provinciale, a cui corrisponde anche una elevata
biodiversità, è da collegare alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e alla sua
posizione geografica al centro del Mediterraneo ma in connessione tramite la catena
appenninica con la regione europea e con quella mediterranea. Sotto il profilo climatico
coesistono nell‟ambito della provincia due zone bioclimatiche ben distinte: la “zona
mediterranea” estesa da livello del mare fino a circa 800-1000 m e la “zona temperata” da
circa 800-1000 m in sù. Ciascuna di queste zone ospita una peculiare flora. La presenza
inoltre di una notevole varietà di substrati geo-pedologici, di una complessa morfologia e
di notevoli differenze climatiche, favoriscono la presenza habitat differenziati nei quali si
localizzano specifiche flore, che contribuiscono ad aumentare la biodiversità del territorio.
Percentualmente i vari gruppi di piante vascolari sono così rappresentati: Pteridofite (3%),
Gimnosperme (2%), Angiosperme dicotiledoni (76%), Angiosperme monocotiledoni
(19%).
Sotto l‟aspetto corologico i corotipi meglio rappresentati sono quello mediterraneo con il
38% suddiviso in eurimediterraneo con il 16 % e stenomediterraneo con l‟22%. Ben
rappresentate sono pure le specie europee (14%) e successivamente le Euroasiatiche
(10%), le Paleotemperate (9%) e le Settentrionali (8%).
2.2.1.3. SPECIE DI PARTICOLARE INTERESSE GEOBOTANICO
Tra le specie che compongono la flora di un territorio alcune assumono particolare
interesse geobotanico per l‟importanza che rivestono nel caratterizzare la biodiversità del
territorio. Tra le specie di particolare interesse vanno considerate le endemiche (specie
esclusive di un‟area ristretta), quelle al limite del loro areale e quelle a rischio di
estinzione.
2.2.1.3.1. Specie endemiche
I taxa endemici (specie o sottospecie a distribuzione limitata) hanno un particolare
significato, soprattutto in termini di conservazione della biodiversità.
La componente endemica della flora della provincia vibonese può essere articolata in:
Specie endemiche calabresi: Lereschia thomasii, Anthemis calabrica, Anthemis
triumfetti var. briquetii, Cardamine battagliae, Hypericum calabricum, Abies alba ssp.
apennina, Euphorbia corallioides, Salix brutia.
Specie endemiche di Aspromonte e Serre: Adenocarpus brutius, Centaurea poeltiana,
Limodorum brulloi, Epipactis aspromontana, Epipactis schubertiorum, Genista brutia.
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Specie endemiche dell’Appennino meridionale: Acer neapolitanum, Ajuga tenorii,
Alnus cordata, Anthemis sphacelata, Antirrhinum siculum, Arabis rosea, Arisarum
proboscideum, Aristolochia clusii, Artemisia variabilis, Bellevalia dubia, Bellis
margaritaefolia, Bunium petraeum, Brassica rupestris, Dianthus rupicola, Erucastrum
virgatum, Hyoseris taurina, Helleborus bocconei ssp. intermedius, Micromeria fruticulosa,
Thalictrum calabricum, Tolpis grandiflora, Viola messanensis.
2.2.1.3.2. Specie al limite d‟areale
Per areale di una specie si intende l‟area in cui essa vive allo stato spontaneo,
localizzandosi in habitat idonei alle sue caratteristiche ecologiche. L‟ampiezza e la forma
di un areale sono determinati da fattori ecologici (clima e substrato) e fattori storici e
geografici (il punto nel quale la specie si è originata, la capacità di diffusione della specie
e la presenza di barriere geografiche).
Le specie al limite d‟areale danno utili informazioni nello studio di una flora riguardo
all‟esistenza di barriere ecologiche e geografiche significative e alla possibile
individuazione di ambiti floristici diversi. Le variazioni del limite d‟areale di una specie
possono essere anche una diretta conseguenza del cambiamento del clima, della
trasformazione dell‟habitat, ecc.
Nella flora vibonese sono presenti alcune specie di ambienti freddi, arrivate durante le
glaciazioni, in seguito sopravvissute in alcune stazioni montane, le cui popolazioni,
rimaste isolate rispetto all‟areale principale della specie. Fra queste ricordiamo:
Menyanthes trifoliata, (l‟unica popolazione calabrese è localizzata nella piana della
Lacina, che rappresenta anche il limite meridionale della distribuzione di questa specie);
Lysimachia vulgaris, Ranunculus flammula, Carex tumidicarpa e Ludwigia palustris
(localizzati negli ambienti palustri montani), Epilobium palustre, Cirsium palustre e Poa
palustris (localizzato nei boschi igrofili e nei cariceti), Juncus bulbosus (localizzato nei
giuncheti montani), Potamogeton polygonifolius (localizzato in aque stagnanti).
2.2.1.3.3. Specie a rischio di estinzione
L‟I.U.C.N. (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha formalizzato in
base a criteri oggettivi le categorie che definiscono lo stato di conservazione delle specie
viventi (Rizzotto, 1995). In Italia sono state svolte indagini per la valutazione dello stato di
conservazione della flora, che hanno prodotto elenchi di specie a rischio di estinzione, si
tratta in particolare della “Lista rossa della flora d‟Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1992) e
delle “Liste rosse regionali della flora d‟Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1997), è stato
inoltre prodotto un atlante della flora vascolare italiana a rischio di estinzione (Scoppola &
Spampinato 2005). Nella tabella che segue sono riportate le specie a rischio di estinzione
riportate nelle liste rosse regionali (Conti et al. 1997) e nella lista rossa nazionale (Conti et
al. 1992) con evidenziato lo status in base alle categorie IUCN (CR – gravemente
minacciata; EN – minacciata; VU – vulnerabile; LR – a minor rischio).
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In totale sono state censite 52 specie a rischio di estinzione così distribuite nelle classi di
rischio previste dall‟ I.U.C.N.:
gravemente minacciate
minacciate
2
vulnerabili
20
a minor rischio
2
28
Rispetto al totale della flora provinciale, che è stimato intorno alle 1000 taxa, le specie
minacciate ne rappresentano circa il 5 %. Per l„intera Regione Calabria sono state censite
216 specie a rischio, un quarto circa si trovano quindi in territorio vibonese. Per la flora
italiana sono state censite 450 specie a rischio che rappresentano l‟8,2 % della Flora
Italiana.
Tabella 3- Elenco della flora vascolare a rischio della provincia di Vibo Valentia. (CR –
gravemente minacciata; EN – minacciata; VU – vulnerabile; LR – a minor rischio; DD –
dati mancanti)
Taxa
Lista
regionale
Adenocarpus brutius Brullo, De Marco & Siracusa
LR
-
Adenostyles macrocephala Huter et al.
VU
-
Ajuga tenorei C. Presl
LR
-
Aquilegia viscosa Gouan
VU
-
Arisarum proboscideum (L.) Savi
LR
-
Blechnum spicant (L.) Roth
LR
-
Cardamine battagliae Cesca & Peruzzi
VU
-
Cardamine raphanifolia Pourr.
LR
-
43
rossa
Lista rossa
nazionale
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Carex pseudocyperus L.
VU
-
Carex tumidicarpa Anderss.
VU
-
Carpinus betulus L.
VU
-
Chaerophyllum calabricum Guss.
VU
-
Chrysosplenium dubium Gay
LR
-
Cirsium palustre (L.) Scop. var. horridum Posp.
LR
-
Crocus longiflorus Raf.
LR
-
Dianthus rupicola Biv.
LR
-
Digitalis purpurea L.
VU
-
Epipactis helleborine (L.) Crantz
LR
-
Epipactis palustris (L.) Crantz
VU
-
Epipactis. meridionalis H. Baumann & R. Lorenz
VU
-
Erucastrum virgatum (Presl) Presl
LR
-
Euphorbia amygdaloides L. subsp. arbuscula Meusel
LR
-
Euphorbia corallioides L.
LR
-
Fritillaria messanensis Raf.
VU
VU
Galanthus reginae-olgae Orph. subsp. vernalis
VU
-
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Kamari
Impatiens noli-tangere L.
LR
-
Lathraea clandestina L.
LR
-
Lereschia thomasii (Ten.) Boiss.
LR
VU
Lilium bulbiferum L. subsp. croceum (Chaix) Beker
LR
-
Ludwigia palustris (L.) Elliot
VU
EN
Lysimachia vulgaris L.
VU
-
Matthiola incana (L.) R.Br. subsp. rupestris
LR
-
Menyanthes trifoliata L.
VU
-
Neottia nidus-avis (L.) L.C. Rich.
LR
-
Ophrys apifera Hudson
LR
-
Ophrys bertoloni Moretti
LR
-
Ophrys sphecodes Miller ssp. Atrata
LR
-
Osmunda regalis L.
CR
-
Phyllitis scolopendrium (L.) Newman
LR
-
Potamogeton polygonifolius Pourr.
VU
-
Pteris cretica L.
EN
EN
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Ranunculus flammula L.
VU
-
Ranunculus fontanus C.Presl
VU
-
Salix cinerea L.
DD
-
Sorbus torminalis (L.) Create
LR
-
Sternbergia lutea (L.) Ker-Gawl.
LR
-
Taxus baccata L.
VU
-
Teline monspessulana (L.) K. Koch
VU
-
VU
-
Trifolium hirtum All.
DD
-
Veronica scutellata L.
CR
-
Woodwardia radicans (L.) Sm.
EN
VU
Tilia platyphyllos
Schneid.
Scop.
subsp.
pseudorubra
2.2.1.4. SPECIE CONTENUTE IN PARTICOLARI ELENCHI
2.2.1.4.1. Specie degli allegati alla direttiva CEE 92/43
Nell‟allegato II alla direttiva CEE 92/43 sono riportate solo due specie tra quelle presenti
nella flora della provincia di Vibo Valentia. Si tratta di:
Dianthus rupicola (Status IUCN: a minor rischio) localizza la maggior parte delle sue
popolazioni sulle rupi costiere prospicienti il Mar Tirreno, come quelle del SIC IT9340091
“Zona Costiera fra Briatico e Nicotera Briatico”.
46
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Woodwardia radicans (Status IUCN: Minacciata) localizzata in alcuni valloni
notevolmente umidi e in particolare nel SIC IT9340090 “Fiumara di Brattirò” che
conserva la popolazione più cospicua di tutto il territorio italiano.
2.2.1.4.2. Specie degli allegati CITES
La convenzione internazionale sul commercio sulle specie di flora e fauna minacciate di
estinzione (CITES) detta anche convenzione di Washington è stata fatta propria dalla CEE
con il regolamento 338/97. Il Corpo forestale con un suo specifico ufficio è preposto al
controllo del regolamento CITES. Negli elenchi allegati a tale regolamento sono riportate
le specie di cui è vietato il commercio, per quanto riguarda la flora la normativa si applica
solo alle specie selvatiche, non a quelle coltivate. In tali elenchi sonno presenti i le
seguenti gruppi di specie della flora vibonese: specie dei generi Cyclamen, Galanthus e
Stenbergia, specie della famiglia delle Orchideaceae.
Cyclamen. Questo genere (Ciclamino) è presente nel territorio vibonese con due specie C.
repandum e C. hederifolium, entrambe sono abbastanza diffuse e vivono nei querceti della
fascia mediterranea. Attualmente i ciclamini non corrono rischio di estinzione anche
perché è poco diffusa la raccolta in natura dei bulbi.
Galanthus. Questo genere (Bucaneve) è presente con due specie G. nivalis e G. reginaeolgae, sono entrambe piuttosto rare ma considerato l‟ambiente in cui vivono, in genere
faggete, non corrono attualmente seri rischi di estinzione e non sono stati inseriti tra le
specie a rischi di estinzione.
Stenbergia. Questo genere è presente con una sola specie S. lutea (Zafferanastro giallo),
che in considerazione del disturbo antropico che interessa le sue popolazioni è stata
inserita tra le specie a basso rischio di estinzione.
Orchideaceae. Questa famiglia conta 33 specie nella provincia di Vibo Valentia, elencate
nell‟elenco che segue.
Elenco delle Specie della Famiglia delle Orchidaceae presenti nella flora vibonese
Aceras anthropophorum (L.) R. Br., Anacamptis pyramidalis (L.) L.C. Rich., Barlia
robertiana (Loisel.) Greuter, Cephalanthera rubra (L.) L.C. Rich., Dactylorhiza saccifera
Brongn., Dactylorhiza sambucina (L.) Baumann & Kunkele, Epipactis aspromontana
Bartolo Pulvirenti & Robatsch , Epipactis helleborine (L.) Crantz, Epipactis meridionalis
Baumann H. & Lorenz, Epipactis microphylla (Ehrh.) Swartz, Epipactis muelleri Godfery,
Epipactis schuberttiorum Bartolo Pulvirenti & Robatsch, Epipogium aphyllum (Schmidt)
Swartz, Limodorum abortivum (L.) Swartz, Limodorum brulloi Bartolo & Pulvirenti,
Neotinea intacta (Link) Rchb. F., Neottia nidus-avis (L.) L.C. Rich., Ophrys apifera
Hudson, Ophrys bertoloni Moretti, Ophrys exaltata Ten., Ophrys fusca Link subsp.
iricolor (Desf.) O.Schwarz, Ophrys holoserica (N.L. Burn.) W. Greuter, Ophrys lutea
Cav., Ophrys sphecodes Miller, Ophrys sphecodes Miller ssp. atrata, Orchis coriophora L.
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ssp. fragrans (Pollini) Sudre, Orchis italica Poiret, Orchis mascula (L.) L., Orchis morio
L., Orchis papilionacea L. subsp. grandiflora (Boiss.) Nelson, Orchis provincialis Balb.,
Orchis tridentata Scop., Serapias lingua L., Serapias parviflora Parl., Serapias vomeracea
(Burm.) Briq., Spiranthes spiralis (L.) Koch.
2.2.1.5. SPECIE ESOTICHE
L‟introduzione di specie esotiche (sia vegetali che animali) determina spesso una
alterazione degli habitat naturali, favorisce inoltre fenomeni di inquinamento genetico e di
“erosione genetica” delle popolazioni locali. Le specie esotiche concorrono con quelle
autoctone per le risorse materiali ed energetiche e la presenza ha spesso favorito la
scomparsa di specie autoctone. Ugualmente problematica è l‟introduzione di specie
presenti nella flora con popolazioni provenienti da aree diverse. L‟introduzione di
individui di diversa origine determina a fenomeni di ibridazione o di competizione con gli
individui autoctoni, con compromissione dei genotipi locali.
Le specie esotiche hanno conseguenze negative anche sulla fauna in quanto modificano gli
habitat in cui si insediano. La fauna non è, infatti, adattata alla loro presenza e non riesce
ad utilizzarle come risorse energetiche così come fa con la flora autoctona.
Tra le specie esotiche legate ad attività agricola e silvicolturali sono da ricordare Robinia
pseudoacacia, Ailanthus altissima, Rhus coriaria, Ricinus communis, Eucaliptus sp. pl.,
Cupressus, Pinus sp. pl. Molte altre specie esotiche sono state introdotte a scopo
ornamentale come Impatiens balfourii, Impatiens noli-tangere, Laburnum anagyroides
Oenothera biennis, Oenothera parviflora, o accidentalmente come Amaranthus
paniculatus, Oxalis articulata Euphorbia cyparissias. In entrambi i casi esse
rappresentano un rischio potenziale per la stabilità della flora autoctona.
2.2.2. VEGETAZIONE
2.2.2.1. CONCETTI E DEFINIZIONI
La vegetazione può essere sinteticamente definita come il manto verde che ricopre il
pianeta Terra. Essa è il risultato della aggregazione degli individui vegetali che crescono
in un determinato sito nella loro disposizione naturale. La vegetazione è organizzata in
unità dette anche fitocenosi o associazioni vegetali, che sono il risultato dell‟aggrupparsi
delle specie vegetali sulla base delle caratteristiche ecologiche e dei rapporti di
concorrenza e di interdipendenza che si creano. L‟uomo agisce sulla vegetazione con varie
attività (pascolo, taglio, incendio, dissodamenti, ecc.) modificandola nella sua struttura e
nella sua composizione floristica.
Dal un punto di vista ecosistemico la vegetazione, e le fitocenosi che la compongono,
rappresentano i produttori primari dell'ecosistema, in grado di effettuare, mediante la
fotosintesi, l'organicazione della materia e la trasformazione del flusso di energia luminosa
proveniente dal sole in energia chimica che viene resa disponibile per i successivi livelli
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trofici dell'ecosistema. In particolare la materia organica sintetizzata dai vegetali è
utilizzata dai consumatori primari, innescando così il ciclo della materia e il flusso di
energia che consentono il funzionamento dell'ecosistema. Le fitocenosi assieme alle
comunità animali (zoocenosi) ed ai microrganismi presenti nel suolo costituiscono le
biocenosi, che rappresentano la componente biotica dell'ecosistema. Le biocenosi,
interagendo con l'insieme dei componenti abiotici, che nel loro insieme definiscono il
biotopo (roccia madre, suolo, fattori climatici, ecc.), danno origine alle biogeocenosi.
Queste sono le unità fondamentali della biosfera del nostro pianeta, vale a dire la parte
della terra che è interessata dagli esseri viventi.
Per l‟analisi della vegetazione si fa riferimento alla metodologia fitosociologica, quella più
diffusa in Europa per quanto riguarda studi sulla vegetazione (Braun-Blanquet 1964). La
metodologia fitosociologica individua nella copertura vegetale delle unità dette
"associazioni vegetali", che si differenziano da un lato per la composizione floristica e
dall‟altro per i peculiari caratteri ecologici. Ciò è da mettere in relazione al fatto che
l‟ambiente effettua una cernita sul popolamento floristico del territorio consentendo
l'insediamento solo delle specie meglio di altre adattate alle specifiche condizioni
ambientali. Secondo Braun-Blanquet, lo studioso franco-svizzero che all‟inizio del 1900
gettò le basi per lo sviluppo della fitosociologia, l‟associazione vegetale va considerata
come “un aggruppamento vegetale più o meno stabile nel tempo e in equilibrio con
l‟ambiente, con una tipica composizione in specie, alcune delle quali (specie
caratteristiche) rilevano con la loro presenza una ecologia specifica ed autonoma”. Le
associazioni vegetali sono denominate tramite le specie caratteristiche con l'aggiunta del
suffisso -etum. Così ad esempio l‟Anemono apenninae-Fagetum è una associazione
vegetale fisionomicamente caratterizzata dal faggio differenziata da un suo tipico
corteggio floristico nel quale si rinviene Anemone apennina, specie considerata come
caratteristica dell'associazione. Nell‟analisi fitosociologica è stato messo a punto un
sistema gerarchizzato su tre livelli per la classificazione della vegetazione. Gruppi di
associazioni similari per composizione floristica e per ecologia sono riuniti in alleanze,
che vanno intese come comunità vegetali più comprensive con un più largo significato
ecologico, anch‟esse caratterizzate da una tipica composizione floristica. Le alleanze
vengono denominate con l'aggiunta del suffisso -ion ad esempio Oleo-Ceratonion è
l'alleanza che riunisce le associazioni di macchia della fascia costiera. Le alleanze affini
sono riunite in ordini (suffisso -etalia) e questi in classi (suffisso -etea). Ad esempio la
vegetazione forestale mesofila a latifoglie decidue viene riunita nella classe QuercoFagetea, mentre quella termofila a dominanza di sclerofille sempreverdi è riunita nella
classe Quercetea ilicis.
2.2.2.2. FONTI DI DOCUMENTAZIONE
La vegetazione della Provincia di Vibo Valentia è stata oggetto di pochi contributi da parte
di diversi autori che ne hanno evidenziato il notevole interesse naturalistico e
paesaggistico. Si tratta in genere di studi nei quali sono esaminati ristretti settori del
territorio o singoli tipi vegetazionali. I principali contributi riguardano le tipologie forestali
(Mercurio & Spampinato, 2006) o determinate formazioni boschive, quali faggete
(Gentile, 1969a), querceti sempreverdi (Signorello, 1995; Gentile, 1969b), querceti
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caducifogli (Brullo et al. 1999) e ripisilve (Brullo & Spampinato, 1997), le praterie
steppiche a Lygeum spartum (Gentile & Di Benedetto, 1961; Brullo et al., 1990), le
formazioni casmofile (Brullo & Marcenò, 1979), le formazioni aeroaline delle rupi
costiere (Brullo, 2002). Altri studi, riguardanti diversi tipi di vegetazione sono stati
effettuati da Barbagallo et al. (1982) limitatamente al settore montano.
2.2.2.3. SINTESI SULLE CONOSCENZE SULLA VEGETAZIONE
Qui di seguito sono esaminate le principali tipologie di vegetazione in relazione alle fasce
bioclimatiche presenti nel territorio vibonese, in accordo alla classificazione di Rivas
Martinez (2008).
2.2.2.3.1. Fascia Temperata
Questa fascia di vegetazione è caratterizzata da un bioclima di tipo temperato con
ridottissima o assente aridità estiva. Esso è ben rappresentato nel continente europeo e si
estende ai territori mediterranei limitatamente alle zone montuose. Nella Provincia di Vibo
Valentia è presente con la fascia supratemperata e si estende a tutta l'area montana al di
sopra dei 1000-1100 m e con quella meso temperata, localizzata tra 700 e 1000 circa. La
fascia supratemperata è dominata dai boschi dei Fagetalia sylvaticae. Si tratta
essenzialmente di faggete, governate in genere a fustaia e diffuse su vaste superfici. Le
faggete presenti sulle Serre Vibonesi possono essere ascritte all‟Anemono apenninaeFagetum (= Aquifolio-Fagetum), faggeta macroterma legata ad un clima con marcati
caratteri di oceanicità caratterizzata dalla abbondanza nel sottobosco di agrifoglio (Ilex
aquifolium).
Nella faggeta Fagus sylvatica tende a costituire dei popolamenti puri, spesso però si
associa con l'abete bianco con la sottospecie meridionale (Abies alba subsp. apennina),
che ha in genere un ruolo subordinato. Le faggete miste con abete bianco rientrano nella
subassociazione Anemono apenninae-Fagetum abietosum albae
Su limitate aree con suoli rocciosi poco evoluti, l‟abete bianco diventa dominante e da
luogo a delle formazioni più o meno pure in genere con lo strato arboreo diradato si tratta
di abetine con ipopitide (Monotropa hypopitys) Monotropo-Abietetum apenninae
Le faggete sono talora sostituite da impianti artificiali di Pinus nigra ssp. calabrica (= P.
laricio) o di castagno (Castanea sativa). I castagneti in particolare sono molto diffusi in
tutto il territorio veibonese e costituiscono una importante risorsa economica. Essi sono
impiantati anche nella sottostante fascia mediteraanea.
Frammista al faggio si trova talora la rovere meridionale (Quercus petraea ssp.
austrotyrrhenica), la quale a causa di tagli e incendi si rinviene attualmente in individui
isolati, molto vetusti, o più raramente in piccoli nuclei.
Le faggete sono spesso attraversate da piccoli corsi d'acqua permanenti alimentati da
sorgenti, dove si localizzano aspetti di vegetazione igrofila erbacea interessati da una ricca
flora molto specializzata e caratterizzata dalle endemiche Lereschia thomasii, Adenostiles
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macrocephala, Chaerophyllum calabricum,. In particolare, nei ruscelli ombreggiati con
acqua correnti si rinviene il Chrysosplenio-Lereschietum thomasii, mentre nei tratti più
rialzati ed esterni all'alveo è frequente il Petasito-Chaerophylletum calabrici,
Sulle pareti stillicidiose prospicenti questi piccoli corsi d'acqua si rinviene invece
l'Adenostylo-Soldanelletum calabrellae.
Sugli altopiani come ad esempio quello tra Serra San Bruno e Mongiana le faggete sono
state eliminate per far posto alle colture di cerali e patate, o a impianti artificiali di pino
calabro (= pino laricio s.l.), di ontano napoletano (Alnus cordata) o di castagno (Castana
sativa). L‟abbandono delle colture determina l'arrivo della ginestra dei carbonai (Cytisus
scoparius), che forma fitti cespuglieti riferibili al Polygalo-Cytisetum scoparii, che nelle
zone più depresse e umide vengono sostituiti dal Genisto brutiae-Cytisetum scoparii,
associazione caratterizzata dalla presenza di Genista brutia specie endemica affine a G.
anglica dell‟Europa atlantica.
Sugli altopiani come il Piano della Lacina, sono presenti peculiari aspetti di vegetazione
igrofila e palustre a dominanza di giunchi, carici e alcune graminacee igrofile perenni
come Deschampsia caespitosa. Le aree interessate da una costante presenza di acqua sono
caratterizzate dai cariceti, comunità erbacee a dominanza di grandi carici (Carex rostrata,
Carex vesicaria, Carex pseudocyperus) e altre elofite (Typha latifolia e Sparganium
erectum). In questi ambienti si localizza la rarissima Menianthes trifoliata, specie a
distribuzione boreale che sulla Lacina ha il limite meridionale del suo areale di
distribuzione.
2.2.2.3.2. Fascia supramediterranea
Questa fascia è caratterizzata da un clima di tipo supramediterraneo ed è potenzialmente
interessata da querceti caducifogli mesofili. In particolare si localizzano qui i boschi a
Quercus frainetto appartenenti al Cytiso-Quercetum frainetto, e quelli di quercia congesta
(Quercus congesta), localizzati nei tratti meno acclivi, su suoli profondi, riferibili
all‟associazione Erico arboree-Quercetum congestae. Frequentemente i querceti
caducifogli sono sostituiti da castagneti, formazione colturale molto diffusa nel territorio
serrese.
Nei valloni più ombreggiati e freschi sono invece presenti i boschi mesofili misti di acero
napoletano (Acer neapolitanum), carpino nero (Ostrya carpinifolia) e leccio (Quercus
ilex) dell‟associazione Festuco-Aceretum neapolitani.
2.2.2.3.3. Fascia mesomediterranea
Questa fascia si localizza tra 400 e 800 m, soprattutto dove sono presenti ripidi pendii. È
caratterizzata dalle leccete mesofile del Teucrio siculi-Quercetum ilicis, formazione che,
grazie alla notevole oceanicità del clima, prendono spesso contatto diretto con le faggete
della fascia supratemperata. Le leccete sono comunemente utilizzate come ceduo semplice
o matricinato per la produzione di carbone.
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Più raramente, nelle stazioni con suoli sabbiosi acidi, si insediano le sugherete
dell'Helleboro-Quercetum suberis come ad esempio nella parte basale della valle
dell‟Angitola.
Sulle superfici meno acclivi le leccete sono sostituite dai boschi a quercia virgiliana dell‟
Erico-Quercetum virgilianae. Queste formazioni forestali sono attualmente localizzate in
poche aree in conseguenza della trasformazione agricola del territorio e dell‟impianto in
particolare di uliveti e di altre coltura arboree non irrigue.
Sul fondo di alcuni valloni localizzati in questa fascia, in prossimità di cascate e
percolamenti di acqua, si localizzano alcune stazioni della felce bulbifera (Woodwardia
radicans), specie relitta di una flora tropicale presente in Italia durante il Terziario che
caratterizza la particolare vegetazione idrofila del Conocephalo-Woodwardietum
radicantis.
I corsi d‟acqua, nei tratti più incassati, sono fiancheggiati dalle ripisilve a ontano nero
(Alnus glutinosa). In particolare nelle valli a forra, su alluvioni limoso-sabbiose, si
rinviene il bosco di ontano nero con felce setifera (Polystico-Alnetum glutinosae), mentre
nelle valli strette, su alluvioni ghiaioso-ciottolose, si localizza il bosco misto di ontano
nero e ontano napoletano (Alnus cordata) dell'Alnetum glutinoso-cordato. La dove invece
il corso d‟acqua si apre le ontanete lasciano il posto ai saliceti a salice bianco (Salix alba) e
salice calabrese (Salix brutia) del Salicetum albo-brutiae.
Nelle stazioni collinari le leccete, normalmente governate a ceduo, sono rappresentate
dall'Erico-Quercetum ilicis, lecceta termofila ricca in lentisco ed erica arborea. Queste
leccete, che giungono fino in prossimità del mare, vengono sostituite in seguito a processi
di degradazione, da una fitta macchia riferibile all' Erico arboreae-Myrtetum communis e
da praterie steppiche a tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus).
2.2.2.3.4. Fascia termomediterranea
La vegetazione naturale di questa fascia si presenta spesso degradata dalle attività
antropiche e in particolare dall‟incendio e dal pascolo. Essa è caratterizzata da querceti
termo-xerofili caducifogli a quercia castagnara (Quercus virgiliana) e olivastro (Olea
europea subsp. sylvestris) dell‟Oleo-Quercetum virgilianae, che nei versanti più freschi e
ombreggiati sono sostituiti dalle leccete con erica dell'Erico arboreae-Quercetum ilicis. La
degradazione di questi boschi, in seguito al pascolo e agli incendi, favorisce l'insediamento
di macchia dell'Oleo-Ceratonion e, più frequentemente, dei cisteti del CistoMicromerietea. Sui versanti più acclivi, con roccia affiorante, si insedia la macchia a
euforbia (Euphorbia arborea) e olivastro (Olea europaea subsp. sylvestris) (OleoEuphorbietum dendroidis). L‟incendio reiterato determina la sostituzione delle formazioni
forestali con le praterie steppiche secondarie. La fascia termomediterranea attualmente è
infatti in gran parte occupata da praterie steppiche dei Lygeo-Stipetea caratterizzate da
varie graminacee cespitose quali il barboncino mediterraneo (Hyparrhenia hirta) e il
tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus).
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Le rupi costiere ospitano un contingente di specie strettamente adattate. Si tratta di
casmofite come Dianthus rupicola, Erucastrum virgatum, Brassica rupestris, ecc. La
vegetazione di queste rupi viene riferita all‟alleanza Dianthion rupicole e in particolare
all‟associazione Erucastretum virgatae.
2.2.2.3.5. Vegetazione dei litorali
La costa di natura sedimentaria, basse e sabbiose, si presentano per lunghi tratti degradate
da impianti artificiali, urbanizzazioni e infrastrutture. Lo spianamento delle dune per far
posto a strade, ferrovie, urbanizzazioni e coltivi, ha determinato una profonda alterazione
dell‟ambiente costiero. E‟ così scomparsa gran parte dell'originaria vegetazione
psammofila, e attualmente restano solo limitati tratti del litorale dove è possibile osservare
la vegetazione delle spiagge. Tipicamente questa vegetazione si organizza in fasce
parallele alla linea di costa, infatti il fattore ecologico che più di altri influenza la
vegetazione è il mare con i venti carichi di aerosol marino che soffiano verso l‟interno.
Dopo la linea della battigia priva di vegetazione per il continuo movimento delle moto
ondoso si insedia la vegetazione annuale, alofila e nitrofila a salsola erba-cali (SalsoloCakiletum maritimae) localizzata soprattutto in corrispondenza di materiale spiaggiato
durante le mareggiate invernali. Segue più internamente la vegetazione a gramigna delle
spiagge (Cypero mucronati-Agropyretum farcti), legata alle dune embrionali che grazie
alla presenza delle specie che compongono questo tipo di vegetazione cominciano ad
innalzarsi. La sabbia trasportata dal vento si deposita infatti attorno alle piante che per
evitare di essere sotterrate si innalzano continuamente e con i loro apparati radicali
stabilizzano la duna. Sulle dune ormai formate, localizzate più internamente si insedia la
vegetazione psammofila a sparto pungente (Medicagini-Ammophiletum arundinaceae).
Nel retroduna, su suoli sabbiosi dove ormai è iniziato il processo pedogenetico si localizza
la rara vegetazione psammofila a efedra distica (Helichryso italici-Ephedretum
distachyae) caratterizzata da piccole camefite a struttura pulvinata.
Sulle coste rocciose, che sono ben rappresentate lungo la costa tirrenica, si insedia la tipica
vegetazione aeroalina a finocchio di mare (Crithmun maritimum) del Crithmo-Limonion.
Nella parte sommitale delle falesie si rinviene invece la vegetazione a Hyoseris taurina.
2.2.2.4. VEGETAZIONE POTENZIALE
La vegetazione presente su una certa superficie non è statica nel tempo ma, soprattutto in
assenza di disturbo antropico, tende ad evolversi verso forme strutturalmente via via più
complesse. Il culmine di questo processo dinamico di evoluzione è rappresentato dalla
vegetazione climatofila o semplicemente climax. La tipologia di vegetazione climax è
legata essenzialmente a fattori ecologici di tipo climatico (temperatura, precipitazioni,
umidità, insolazione ecc.). Il raggiungimento del climax avviene attraverso una serie di
fitocenosi intermedie (stadi) che sono tra di loro dinamicamente collegate in una scala
temporale. In ciascuna serie dinamica la fitocenosi meno evoluta prepara le condizioni
ecologiche, soprattutto di tipo edafico, perché possa insediarsi lo stadio successivo. Ad
ogni vegetazione climatofila corrisponde quindi una serie dinamica e nel territorio, a
seconda del livello di impatto antropico, è possibile osservare la vegetazione climax con
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gli stadi collegati o solo questi se il livello di pressione antropica è stato tale da
determinare la perdita delle fitocenosi climax. Dallo studio fitosociologico della
vegetazione è possibile ricostruire le varie tappe che portano alla vegetazione climatofila.
Nei nostri territori il climax è normalmente rappresentato da una vegetazione di tipo
forestale, qui le interrelazioni ecologiche tra le specie componenti raggiungono il massimo
grado di complessità, e ciò conferisce stabilità al sistema. Il climax non è però statico nel
tempo, ma subisce delle fluttuazioni intorno a uno stadio medio.
La vegetazione climax assume un notevole significato applicativo, in quanto permette di
pianificare gli interventi di restauro ambientale e di riforestazione tenendo conto delle
potenzialità della vegetazione. Si evitano così errori quali l'impianto di specie non idonee,
che comportano dei danni sia dal punto di vista ambientale che economico. Basti pensare
agli impianti di conifere attaccate dalla processionaria o a quelli di specie esotiche affini a
quelle autoctone che creano non pochi problemi di inquinamento genetico delle
popolazioni locali. Tenendo conto delle potenzialità della vegetazione è invece possibile
riportare naturalità all'interno di un'area attualmente degradata, consentendo il riformarsi
di una vegetazione stabile, in equilibrio con l‟ambiente ed in grado di automantenersi nel
tempo. Il ripristino della vegetazione naturale permetterà inoltre di limitare gli interventi
di gestione e manutenzione.
Qui di seguito sono descritte le serie di vegetazione climatofila presenti nel territorio della
provincia di Vibo Valentia.
2.2.2.4.1. Serie della quercia castagnara e dell‟olivastro
(Oleo-Querceto virgilianae sigmetum)
Questa serie si localizza nella fascia collinare. L‟associazione climatofila è costituita dal
bosco di quercia castagnara con olivastro (Oleo-Quercetum virgilianae). Fanno parte della
serie le seguenti fitocenosi: garighe a cisti (Cisto-Ericion), praterie steppiche a tagliamani
(Avenulo-Ampelodesmion), praticelli effimeri (Tuberarion guttatae). All‟interno di questa
serie si rinvengono la edafoserie xerofila dell‟euforbia arborea e dell‟olivastro (OleoEuphorbieto dendroidis sigmetum) e quelle igrofile del salice bianco e del salice calabrese
(Saliceto albo-brutiae sigmetum) e dell‟oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum). La
serie è localizzata su calcari, arenarie, argille e più raramente su metamorfiti in ambiti a
bioclima termomediterraneo subumido.
2.2.2.4.2. Serie della quercia castagnara e dell‟erica
(Erico-Querceto virgilianae sigmetum)
Questa serie è ben rappresentata nella fascia collinare e submontana in aree con bioclima
mesomediterraneo subumido. Si rinviene su substrati cristallini quali filladi, scisti, gneiss,
graniti, conglomerati, sui quali si originano suoli bruni acidi (Tipic xerumbrepts)
L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco di quercia castagnara con erica
(Erico-Quercetum virgilianae). Fanno parte della serie la macchia a calicotome e erica
arborea (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), le garighe a cisto rosso e salvione
(Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae), i cespuglieti a ginestra odorosa (Spartium
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junceum), le praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion mauritanici), i
pascoli aridi subnitrofili (Echio-Galactition), ed i pratelli annuali effimeri (Tuberarion
guttatae). Le edafoserie associate sono: serie dell‟euforbia e dell‟olivastro (OleoEuphorbieto dendroidis sigmetum), serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis
sigmetum), serie dell‟ontano nero e dell‟ontano napoletano (Alneto glutinoso-cordatae
sigmetum), serie del salice bianco e del salice calabrese (Saliceto albo-brutiae sigmetum),
serie dell‟oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum).
2.2.2.4.3. Serie del leccio con camedrio siciliano
(Teucrio siculi-Querceto ilicis sigmetum)
La serie è localizzata nella fascia collinare superiore e submontana soprattutto sui versanti
settentrionali e occidentali (da 300-600 m a 900-1000 m) con bioclima meso o
supramediterraneo umido su vari substrati (filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati) e
su suoli a pH acido di tipo Ranchers (Typic Haplumbrepts), ben drenati e ricchi in
scheletro grossolano, talora poco evoluti (protorankers).
L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco di leccio con camedrio siciliano
(Teucrio siculi-Quercetum ilicis). Fanno parte della serie: cespuglieti a citiso villoso e
ginestra dei carbonai (Cytiseto villoso-scoparii calicotometosum infestae), cespuglieti a
ginestra viscosa calabrese (Centaureo-Adenocarpetum brutii), pratelli annuali effimeri
(Tuberarion guttatae). All‟interno di questa serie si rinvengono le edafoserie della sughera
(Helleboro-Querceto suberis sigmetum), dell‟ontano nero e dell‟ontano napoletano
(Alneto glutinoso-cordatae sigmetum), dell‟ontano nero e della felce setifera (PolystichoAlneto glutinosae sigmetum), e dell‟acero napoletano e del carpino nero (Festuco
exaltatae-Acereto neapolitani sigmetum).
2.2.2.4.4. Serie della quercia congesta
(Erico arboreae-Querceto congestae sigmetum)
Questa serie si localizza sui versanti poco acclivi o pianeggianti della fascia submontana e
montana inferiore da 800 a 1200 m, si localizza in ambienti con bioclima
supramediterraneo umido o iperumido su suoli bruni acidi profondi e ben evoluti.
L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco a quercia congesta ed erica arborea
(Erico arboreae-Quercetum congestae); fanno parte della serie i cespuglieti dei Cytisetea
striato-scoparii, in particolare il Cytisetum villoso-scoparii, e i pascoli mesofili dei
Molinio-Arrhenatheretea. Le edafoserie correlate sono quella xerofila del pino calabrese
(Hypochoerido-Pineto calabricae sigmetum), quella igrofila dell‟ontano nero e della felce
setifera (Polysticho-Alneto glutinosae sigmetum).
2.2.2.4.5. Serie del farnetto con citiso
(Cytiso-Querceto frainetto sigmetum)
Si localizza nella fascia submontana e montana da 700 a 1200 m dei versanti poco o
mediamente acclivi nella fascia bioclimatica supramediterraneo umida o iperumida su
suoli bruni acidi profondi e ben evoluti.
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L‟associazione climax è rappresentata dai boschi di farnetto con citiso trifloro (CytisoQuercetum frainetto). Fitocenosi componenti la serie sono i cespuglieti a citiso trifloro e
ginestra dei carbonai (Cytisetum villoso-scoparii), i pascoli mesofili (MolinioArrhenateretea) e le garighe a Calicotome infesta e cisti (Cisto-Ericion).
2.2.2.4.6. Serie del faggio con agrifoglio
(Anemono apenninae-Fageto sigmetum)
L‟associazione climatofila è rappresentata dalla faggeta ad agrifoglio (Anemono
apenninae-Fagetum). Le fitocenosi che compongono la serie sono: cespuglieti a ginestra
dei carbonai (Polygalo-Cytisetum scoparii), vegetazione a felce aquilina (Pteridium
aquilinum), pascoli mesofili (Barbareo-Bellidetum aspromontanae). A questa serie sono
collegate le edafoserie dell‟ontano nero e dell‟euforbia (Euphorbio-Alneto glutinosae
sigmetum), quelli di tasso dell‟Ilici-Taxetum baccatae localizzati nei valloni esposti verso
il tirreno, e quella dell‟ontano napoletano con asperula (Asperulo-Alneto cordatae
sigmetum) localizzata sui versati caratterizzati dall‟affioramento della falda freatica o da
una sua notevole superficialità. La serie è presente sul versante settentrionale da 800-900
m a 1300-1400 m e lungo il Dossone della Milia, in ambiti a bioclima supratemperato
inferiore (submediterraneo) umido o iperumido con marcati caratteri di oceanicità. Si
insedia su scisti, gneiss e graniti che originano suoli bruni acidi profondi (Haplic
phaeozen).
2.2.2.4.7. Serie della sughera
(Helleboro-Querceto suberis sigmetum)
Normalmente questa edafoserie si insedia su substrati di natura granitica profondamente
alterati particolarmente acidi. L‟associazione finale della serie è rappresentata dal bosco di
sughera con elleboro (Helleboro-Quercetum suberis); si localizza nella fascia
mesomediterranea subumida o umida. Fanno parte della serie la macchia a erica e
corbezzolo (Erico-Arbutetum), le praterie steppiche ad Ampelodesmos mauritanicus del
Seselio-Ampelodesmetum mauritanici e i pratelli effimeri del Tuberarion guttatae. Si
rinviene soprattutto nella Vallata dell‟Angitola.
2.2.2.4.8. Geosigmeto costiero della vegetazione psammofila dei sistemi dunari recenti
(Cakiletea, Ammophiletea, Helichryso-Crucianelletea, Quercetea ilicis)
Questa geoserie si insedia sulle coste basse sabbiose di natura sedimentaria. La geoserie è
formata da una successione di fitocenosi che si insediano lungo fasce parallele alla linea di
costa. Schematicamente partendo dal mare possiamo distinguere le seguenti associazioni:
- Salsolo kali-Cakiletum, vegetazione annuale alo-nitrofila della prima linea di costa;
- Echinophoro spinosae-Elytrigetum juncetum, vegetazione erbacea perenne
psammofila delle dune embrionali;
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- Echinophoro spinosae-Ammophiletum, vegetazione erbacea perenne psammofila
delle dune stabilizzate;
- Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae, macchia psammofila delle dune
fisse;
- Ephedro-Helichrysetum italicae vegetazione psammofila dei retroduna.
Il notevole impatto antropico rende frammentaria la presenza delle fitocenosi di questo
geosigmeto e solo su tratti molto limitati è possibile osservare tutti i termini della geoserie.
Le fitocenosi più evolute della geoserie sono spesso sostituite da impianti artificiali.
2.2.2.4.9. Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione mediterranea
(Salicion albae, Populion albae, Alno-Ulmion)
Questa geoserie si rinviene lungo i tratti terminali dei principali fiumi (Petrace, Ancinale,,
ecc.), che presentano portate persistenti tutto l‟anno. Su suoli alluvionali a tessitura
sabbiosa o limosa, inondati in inverso e fortemente influenzati dalla falda nella restante
parte dell‟anno.
Il geosigmeto è costituito da varie fitocenosi che si sostituiscono in relazione al disturbo
arrecato dalle piene invernali, alla natura delle alluvioni e alla profondità della falda. Tra
le principali associazioni edafo-climatiche che lo costituiscono sono da citare:
- Salicetum albo-brutiae, boscaglie igrofile prettamente pioniere a salice bianco
(Salix alba) e salice calabrese (Salix brutia), si insediano nella parte interna delle
sponde fluviali.
- Alnetum glutinoso-cordatae, boschi ripali igrofili dell‟ontano nero (Alnus
glutinosa) e dell‟ontano napoletano (Alnus cordata), si insediano sulle alluvioni
più stabili di natura ciottolosa o ghiaiosa;
- Angelico-Alnetum glutinosae, boschi ripali igrofili a ontano nero (Alnus glutinosa)
con e angelica (Angelica sylvestris) localizzati su alluvioni stabili di natura
argillosa.
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Figura 10 - Carta delle principali “Serie di Vegetazione” della Provincia di Vibo
Valentia (1 - Serie della quercia castagnara e dell’olivastro; 2 - Serie della quercia
castagnara e dell’erica; 3 - Serie del leccio con camedrio sicoilino; 4 - Serie del faggio
con agrifoglio; 5 - Serie del farnetto con citiso; 6 - Geosigmeto costiero della vegetazione
psammofila; 7 - Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione
mediterranea.
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2.2.3. HABITAT
Dalla interazione della vegetazione (fitocenosi) con la zoocenosi e con la componete
abiotica dell‟ambiente sono definiti gli habitat. L‟habitat costituisce l‟ambiente (l‟insieme
di fattori ambientali) in cui si sviluppa una specie o una comunità.
Gli habitat riportati in questo contributo sono stati definiti in accordo con la Direttiva CEE
43/93.
Recentemente il Ministero dell‟Ambiente ha contribuito a realizzare un “Manuale italiano
di interpretazione degli habitat della direttiva CEE 92/43” che precisa e definisce il
significato di ciascun habitat.
2.2.3.1. HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO DELLA DIRETTIVA CEE 92/43 PRIORITARI
La direttiva CEE 92/43, recepita in Italia dal D.P.R. n. 357 del 8.9.1997, definisce come
habitat di interesse comunitario quelli inseriti nell‟allegato I della stessa direttiva. Si tratta
di ambienti molto peculiari, di notevole importanza per la conservazione della biodiversità
nel territorio della CEE. In particolare l‟art. 2 della su citata direttiva definisce gli habitat
di interesse comunitario come ”i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire, per la
cui conservazione l‟Unione Europea ha una responsabilità particolare a causa
dell‟importanza della loro area di distribuzione naturale” Tali habitat hanno un'area di
ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è
intrinsecamente ristretta. Essi inoltre costituiscono esempi notevoli di caratteristiche
tipiche di una o più delle sette regioni biogeografiche presenti in Europa (alpina, atlantica,
boreale, continentale, macaronesica, mediterranea e pannonica-steppica).
Alcuni di tali habitat sono considerati prioritari e riportati nell‟allegato A della direttiva
CEE 92/43 con un asterisco. Tali habitat hanno notecole importanza in quanto nella
designazione dei S.I.C. (Siti di Importanza Comunitaria) per la realizzazione della Rete
ecologica europea “Natura 2000” i criteri utilizzati erano quelli che contenessero habitat
prioritari o specie prioritarie.
Qui di seguito sono riportati gli habitat prioritari dell‟allegato A alla direttiva CEE 99/43
presenti nella Provincia di Vibo Valentia. Per ciascuno viene data una breve descrizione,
ne viene illustrata l‟importanza nella strategia di conservazione della biodiversità. Viene
inoltre esaminata la distribuzione, la corrispondenza con le fitocenosi e i siti SIC dove è
presente l‟habitat. Nella Fig. 11 è evidenziata la distribuzione dei SIC presenti nella
provincia.
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Figura 11 - Distribuzione dei SIC della provincia di Vibo Valentia. 1. IT9330089 Dune
dell’Angitola; 2. IT9340086 Lago dell’Angitola; 3. IT9340090 Fiumara di Brattirò; 4.
IT9340091 Zona Costiera fra Briatico e Nicotera; 5. IT9340092 Fondali di Pizzo
Calabro; 6. IT9340094 Fondali di Capo Cozzo-S. Irene; 7. IT9340093 Fondali di Capo
Vaticano. 8. IT9340119 Marchesale; 9. IT9340118 Bosco Santa Maria; 10. IT9340120
Lacina; 11. IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo
2250* Dune costiere con Juniperus spp.
Descrizione: Macchia costiera psammofila a ginepri (Juniperus oxycedrus subsp.
macrocarpa, J. phoenicea ssp. turbinata) ed altre specie arbustive sclerofille sempreverdi.
Si localizza sui cordoni dunali più stabilizzati e rappresenta la fitocenosi più evoluta del
geosigmeto dunale.
Importanza: Habitat molto vulnerabile, viene facilmente distrutto dalle attività connesse
allo sfruttamento turistico che comportano alterazioni della micro morfologia dunale,
dall‟urbanizzazione delle coste sabbiose e dagli interventi di rimboschimento con specie
estranee alla vegetazione dunale.
Distribuzione nel territorio: Si rinviene come frammento nella fascia costiera sabbiosa
presso la foce del Fiume Angitola.
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Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae,
macchia psammofila delle dune fisse.
SIC dove è presente: IT9330089 Dune dell‟Angitola
3170* Stagni temporanei mediterranei
Descrizione: Piccole depressioni umide periodicamente soggette nel corso dell‟anno a
temporanee sommersioni da parte di acque meteoriche che non superano alcuni centimetri.
Sono interessati da una vegetazione effimera a dominanza di nanoterofite, piccole geofite
ed emicriptofite.
Importanza: Gli stagni temporanei mediterranei ospitano una flora costituita da piccole
igrofite effimere rare o poco comuni esclusive di questi ambienti. Si tratta di ambienti
molto fragili che sono facilmente impattati da azioni quali le trasformazioni agricole del
territorio.
Distribuzione nel territorio: Depressioni umide degli altopiani, depressioni ai margini dei
corsi d‟acqua soprattutto nei tratti terminali in prossimità delle foci.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Rientrano in questo habitat le fitocenosi igrofile
effimere degli stagni temporanei della classe Isoëto-Nanojuncetea Br.-Bl. & R. Tx. ex
Westhoff et al. 1946; Vegetazione igrofila effimera a lisca setacea e centocchio dei ruscelli
(Isolepido-Stellarietum alsines W. Koch ex Libbert 1932); Vegetazione igrofila effimera a
zigolo nero e spergularia comune (Cypero fusci-Spergularietum rubrae Brullo, Scelsi &
Spampinato 2001)
SIC dove è presente: IT9340120 Lacina; IT9340086 Lago dell‟Angitola.
6220* Pseudosteppe di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea
Definizione: Formazioni erbacee a dominanza di specie annuali (terofite) della fascia
termo e meso mediterranea tipiche di suoli oligotrofici sia calcarei che silicei. Questo
habitat si trova spesso all‟interno di formazioni erbacee perenni quali le praterie steppiche
a sparto (Lygeum spartum), tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus) e barboncino
(Hyparrhenia hirta).
Distribuzione nel territorio: Questo habitat prioritario è ben rappresentato nel territorio
vibonese soprattutto nella fascia costiera in quella collinare, mentre diventa più sporadico
in quella submontana.
Importanza: Questo habitat contribuisce in modo determinante al mantenimento degli
elevati valori di biodiversità presenti nel territorio. Esso presenta un ricco corteggio di
piante annuali (terofite) e di bulbose (geofite), tra le quali bisogna annoverare diverse
specie di orchidee spontanee.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: In questo habitat rientrano numerose fitocenosi
a dominanza di specie annuali che possono essere complessivamente riunite in due classi
di vegetazione: Vegetazione annuale termo-xerofila basifila (Thero-Brachypodietea Br.61
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Bl. 1947); Vegetazione annuale termo-xerofila acidofila (Tuberarietea guttatae (Br.-Bl.)
Rivas Goday & Rivas Martinez 1963)
SIC dove è presente: IT9340086 Lago dell‟Angitola, IT9340090 Fiumara di Brattirò
(Valle Rufa).
6230* Formazioni erbose a Nardus
Ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane
dell'Europa continentale)
Descrizione: Praterie chiuse mesofile, perenni, a prevalenza o a significativa
partecipazione di Nardus stricta, localizzate in aree pianeggianti o poco acclivi, da
collinari ad montane, sviluppate su suoli acidi, derivanti da substrati a matrice silicatica.
Distribuzione nel territorio: E presente sugli altopiani della fascia montana
Importanza: Questo habitat consente la conservazione di specie rare e peculiari legate a
suoli acquitrinosi acidi come Nardus stricta. In Calabria gli ambienti acquitrinosi montani
sono rari e spesso degradati in conseguenza della captazione delle acque e del pascolo
intenso.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione erbacea dell'alleanza RanunculoNardion
SIC dove è presente: IT9340120 Lacina.
7110* Torbiere alte attive
Descrizione: Ambienti umidi con acque acide e oligotrofiche caratterizzati da una
vegetazione igrofila a sfagni e musci che grazie al clima particolarmente umido formano
una massa di sostanza organica detta torba sulla quale si insediano piante vascolari. La
torbiera si dice attiva se il processo di formazione della torba è ancora in atto.
Distribuzione nel territorio: E presente sugli altopiani della fascia montana
Importanza: Le torbiere sono ambienti unici che ospitano una diversità di forme di vita sia
animale che vegetale strettamente legata a questo ambiente. Parecchie delle specie che vi
si rinvengono sono considerate a rischio di estinzione per la ridotta estensione di questo
ambiente e la costante pressione antropica cui è sottoposto che ne sta determinando una
sempre più accentuata riduzione. Tra le specie a rischi presenti in questo habitat sono da
ricordare Veronica scutellata, Potamogetom polygonifoius, e Ranunculus fontanus.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione delle torbiere a sfagno inondato e
carice stellata (Sphagno inundati-Caricetum stellulatae Brullo, Scelsi & Spampinato
2001); Vegetazione rivulare delle torbiere a brasca poligonifolia e ranuncolo fontinale
(Ranunculo fontani-Potametum polygonifolii Brullo, Scelsi & Spampinato 2001);
Vegetazione fontinale a carice ascellare e osmunda regale (Carici remotae-Osmundetum
regalis Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)
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SIC dove è presente: IT9340120 Lacina.
7220* Sorgenti pietrificanti con formazione di travertino (Cratoneurion)
Descrizione: Habitat a distribuzione puntiforme o lineare caratterizzato dalla presenza del
muschio Cratoneuron commutatum, in grado di far depositare i sali di calcio dando origine
a rocce di origine biogena.
Distribuzione nel territorio: Questo habitat si localizza in genere in valli profonde su
superfici molto acclivi in corrispondenza dell‟affioramento della falda in prossimità di
corsi d‟acqua.
Importanza: In questi ambienti sullo strato muscinale di Cratoneuron commutatum si
insediano in genere varie pteridofite comuni come il capel venere (Adianthus capillus
veneris) ma altre rare come la felce bulbifera (Woodwardia radicans) e la pteride a foglie
lunghe (Pteris vittata)
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione rupicola igrofila a capelvenere
(Eucladio-Adiantetum Br.-Bl. ex Horvatic 1934); Vegetazione rupicola igrofila a
cratoneuro e capelvenere (Adianto-Cratoneuretum commutati Privitera & Lo Giudice
1986); Vegetazione rupicola igrofila a trachelio azzurro (Trachelio-Adiantetum O. Bolòs
1957); Vegetazione fontinale basifila a cratoneuro (Cratoneuretum commutati Aichinger
1933)
SIC dove è presente: IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa).
91AA* Boschi orientali di quercia bianca
Descrizione: Boschi mediterranei e submediterranei a dominanza di Quercus virgiliana, Q.
dalechampii, Q. pubescens e Fraxinus ornus. Si tratta di queceti termofili, indifferenti alla
natura substrato geopedologico.
Distribuzione nel territorio: è distribuito prevalente nella fascia collinare e submontana di
tutta la provincia.
Importanza: Questo habitat stato frequentemente eliminato per destinare le superfici
all‟agricoltura o al pascolo. In esso si localizzano varie specie forestali e nemorali, spesso
con distribuzione mediterraneo orientale, che stanno divenendo sempre più rare.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Querceti decidui termo xerofili a quercia
virgiliana (Quercus virgiliana); Erico-Qrcetum virgilianae; Oleo-Quercetum virgilianae
SIC dove è presente: IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa); IT9340086 Lago
dell‟Angitola.
9180* Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion
Descrizione: Boschi misti di latifoglie mesofile decidue localizzati in forre e valli profonde
caratterizzati da Acer pseudoplatanus, Fraxinus excelsior, Tilia cordata, Ulmus glabra,
Corylus avellana. Nel territorio questi boschi si arrochiscono di Acer neapolitanum e
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Ostrya carpinifolia. Sono localizzati su substrati sia calcarei che silicei in corrispondenza
di macereti, depositi colluviali grossolani ai piedi di versanti.
Distribuzione nel territorio: Questo habitat è presente in alcuni valloni particolarmente
umidi e freschi situati nella fascia collinare e submontana tra 400 e 1000 m di quota
Importanza: In questo habitat si localizzano alcune “latifoglie nobili” come specie del
genere Carpinus, Acer, Tilia e Ulmus di notevole interesse oltre che naturalistico anche
tecnologico e forestale. I Boschi di forra contribuiscono in modo determinante nel
controllo della stabilità dei versanti e nel mantenimento di condizioni microclimatiche
stabilmente umide e ombrose che consentono la sopravvivenza di altre fitocenosi di
particolare pregio naturalistico come la vegetazione a Woodwardia radicans.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Bosco misto di nocciolo e acero napoletano
(Corylo-Aceretum neapolitani Brullo, Scelsi & Spampinato); Bosco di acero napoletano
con festuca maggiore (Festuco exaltatae-Aceretum neapolitani Mazzoleni & Ricciardi
1995)
SIC dove è presente: IT9340119 Marchesale.
91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Salicion
albae)
Descrizione: Foreste ripali su suoli alluvionali della fascia monatana e submontana
caratterizzate dalla dominanza di ontano nero (Alnus glutinosa) al quale si associano altri
alberi igrofili come Fraxinus excelsior, Fraxinus angustifolia e Salix alba.
Distribuzione nel territorio: Questo habitat si localizza lungo i corsi d‟acqua perenni della
fascia montana e submontana.
Importanza: Le ontanete ripali costituiscono un habitat che offre rifugio a diverse specie
igrofile tra cui in particolare alcune rare felci come Osmunda regalis, Woodwardia
radicans, Dryoptersis affinis e Asplenium scolopendrium.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Boschi ripali ad ontano nero e napoletano
(Alnetum glutinoso-cordatae Brullo & Spampinato 1997); Alneto a felce setifera
(Polysticho-Alnetum glutinosae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001); Alneto con euforbia
corallina (Euphorbio corallioides-Alnetum glutinosae Brullo & Furnari in Barbagallo et al.
1982 )
SIC dove è presente: IT9340119 Marchesale.
9210* Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex
Descrizione: Faggete termofile dell‟Appennino con presenza nello strato arbustivo o
arboreo di tasso (Taxus baccata) e/o agrifoglio (Ilex aquifolium)
Distribuzione nel territorio: L‟habitat 9210 è nel complesso ben rappresentato in tutta la
fascia montana della provincia.
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Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed
anemone appenninica (Anemono apenninae-Fagetum (Gentile 1969) Brullo 1984 em.
Ubaldi et al 1990); Faggete con tasso e agrifoglio (Ilici-Taxetum baccatae Brullo,
Minissale & Spampinato 1996)
SIC dove è presente: IT9340118 Bosco Santa Maria; IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco
Archiforo; IT9340119 Marchesale.
9220* Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis
Definizione: Boschi misti di faggio (Fagus sylvatica) ad abete bianco (Abies alba) con
dominanza dell'una o dell'altra specie.
Distribuzione nel territorio: L‟habitat 9220 è abbastanza diffuso in tutta la fascia montana
sopra i 900-1000 m
Importanza: Questo habitat assume particolare importanza nella conservazione della
particolare biodiversità rappresentata delle popolazioni meridionali di abete bianco che
nelle loro caratteristiche ecologiche e morfologiche differiscono da quella tipica e sono
state riferite ad una particolare sottospecie (Abies alba ssp. appenninica) (Brullo, Scelsi &
Spampinato 2001). Questo particolare taxa si trova anche nell‟habitat 9510 che però è
estremamente localizzato nel territorio.
Fitocenosi che rientrano in questo Habitat: Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed
anemone mista ad abete bianco
SIC dove è presente: IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo; IT9340119 Marchesale.
9510* Foreste sud-appenniniche di Abies alba
Definizione: Boschi relitti a dominanza di abete bianco dell‟Appennino meridionale,
localizzati all‟interno della fascia delle faggete.
Distribuzione nel territorio: Versanti erosi della fascia montana
Importanza: Le abetine sono formazioni relittuali la cui origine può essere fatta risalire al
terziario quando sulle montagne mediterranee era ben sviluppata una fascia di vegetazione
a conifere. L‟arrivo del faggio nel quaternario, in seguito ad una modificazione del clima
verso una maggiore oceanicità, ha determinato l‟accantonamento di queste peculiari
formazioni forestali in poche aree di limitata estensione.
Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Abetine con ipopitide (Monotropo-Abietetum
apenninae Brullo Scelsi & Spampinato 2001)
SIC dove è presente: IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo; IT9340118 Bosco Santa
Maria.
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2.3. AREE PROTETTE ISTITUITE AI SENSI DELLA LEGGE N. 394/91
La legge quadro 394/91 prevede il riconoscimento ufficiale, da parte dello Stato, delle aree
protette rispondenti a determinati requisiti e stabilisce che presso il Ministero
dell'Ambiente sia tenuto un Elenco ufficiale delle stesse (art. 5).
Attualmente il sistema delle aree naturali protette è articolato come segue:
Parchi nazionali
I Parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono
uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più
formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o
nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da
richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni
presenti e future.
Parchi naturali regionali e interregionali
I Parchi naturali regionali o interregionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali
ed eventualmente da tratti di mare prospicenti la costa, di valore naturalistico e
ambientale, che costituiscono, nell'ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema
omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e
artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali.
Riserve naturali
Le Riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che
contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero
presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la
conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali
in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati.
Zone umide di interesse internazionale
Le Zone umide di interesse internazione sono costituite da aree acquitrinose, paludi,
torbiere oppure zone naturali o artificiali d'acqua, permanenti o transitorie comprese zone
di acqua marina la cui profondità, quando c'è bassa marea, non superi i sei metri che, per
le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi
della convenzione di Ramsar.
Altre aree naturali protette
Altre aree naturali protette sono aree (oasi delle associazioni ambientaliste, parchi
suburbani, ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione
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pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione
privata, istituite con provvediementi formali pubblici o con atti contrattuali quali
concessioni o forme equivalenti.
Zone di protezione speciale (Zps)
Le Zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/Cee, sono
costituite da territori idonei per estensione e/o localizzazione geografica alla
conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato I della direttiva citata, concernente
la conservazione degli uccelli selvatici.
Zone speciali di conservazione (Zsc)
Le Zone speciali di conservazione sono designate ai sensi della direttiva 92/43/Cee e sono
costituite da aree naturali, geograficamente definite e con superficie delimitata che:
contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche
geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali) e che
contribuiscono in modo significativo a conservare, o ripristinare, un tipo di habitat
naturale o una specie della flora e della fauna selvatiche di cui all'allegato I e II della
direttiva 92/43/Cee, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della
flora e della fauna selvatiche in uno stato soddisfacente a tutelare la diversità biologica
nella regione paleartica mediante la protezione degli ambienti alpino, appenninico e
mediterraneo;
sono designate dallo Stato mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale
e nelle quali siano applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al
ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle
popolazioni delle specie per cui l'area naturale è designata.
Tali aree vengono indicate come Siti di importanza comunitaria (Sic).
Nel territorio della Provincia di Vibo Valentia sono attualmente presenti le seguenti aree
protette:
Riserva Naturale Integrale denominata Bacino dell‟Angitola di 794,36 ha di superficie,
istituita con decreto del M.A.F. del 30.9.95 e classificata anche come area umida di
interesse internazionale.
Riserva Naturale Biogenetica di Cropani-Micone, in comune di Mongiana, di 249,89 ha di
superficie, istituita con decreto M.A.F. del 13.7.77;
Riserva Naturale Biogenetica di Marchesale, nei comuni di Arena e Acquaro, di 1314,89
ha di superficie, istituita con decreto M.A.F. del 13.7.77.
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Tabella 4 – Elenco Aree protette istituite in Provincia di Vibo Valentia
AREE PROTETTE
P.N.R. Delle
Serre
Comune
Serra
San
Bruno,
Fabrizia,
Spadola,
Mongiana,
Soriano
Calabro.
R.N.S.
Cropani
Micone
Mongiana
(VV)
R.N.S.
Marchesale
A.A.
Lago
dell‟Angitola
Acquaro
(VV), Arena
(VV).
Maierato (VV),
Monterosso
Calabro (VV).
2.3.1 PARCO NATURALE DELLE SERRE
Il Parco Naturale Regionale delle Serre, istituito con legge regionale n 48 del 5 maggio
1990, si estende su un territorio di 17.687 ettari. L‟area ricadente nella provincia di Vibo
Valentia ammonta a 10.021,91 ettari, comprensiva anche della zona umida di valore
internazionale del Lago dell‟Angitola la cui estensione è di 794,36 ettari, la quale anche se
posta fuori dalla sua continuità territoriale, ne fa parte.
L‟area del Parco delle Serre, istituito ai sensi della Legge Regionale n°10 del 14/07/03,
comprende i valori naturalistici, culturali storici e antropologici che concorrono a
determinare il toponimo delle Serre. Il territorio del parco comprende le abetine, pure e
miste di abete bianco, le pinete di pino laricio, le faggete, i castagneti, i pioppeti, i
querceti.
2.3.1.1. HABITAT SENSIBILI E VULNERABILI
All‟interno del PNR delle Serre, vengono individuati ben quattro Siti di interesse
Comunitario (SIC), rispettivamente :
1. Bosco Santa Maria
2. Lacina
3. Stilo-Archiforo
4. Lago Angitola.
Tali aree ammontano in totale a 6630,67 ha ed occupano il 66,16 % della superficie del
PNR delle Serre ricadente nella provincia di Vibo Valentia, la cui superficie è di 10021,91
ha.
Il Bosco Santa Maria, avente codice sito IT 9340118, si estende a sud ovest del paese di
Serra San Bruno, ha una superficie di 806,40 ha ed occupa, rispetto all‟area a Parco, il
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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4,03%. Esso è caratterizzato dall‟habitat 9220*, Faggete degli Appennini con Abies alba e
faggeti con Abies nebrodensis ( cfr. paragrafo 2.2.3.1. ) dove la specie più importante è
Canis lupus.
L‟importanza che il SIC “Lacina” ha nel contesto regionale e nazionale è dovuto al fatto
che è una delle poche zone umide montane meridionali, ad alta concentrazione di specie
rare, relitte e a limite di distribuzione e alla elevata ricchezza di habitat che esso contiene.
La Pianura della Lacina, avente codice sito IT 9340120, ha una superficie di 326,32 ha ed
occupa rispetto alla superficie totale del Parco il 1,75%. Essa comprende l‟habitat 9220*
Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis (cfr. paragrafo
2.2.3.1.), l‟habitat 9210* Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex (cfr. paragrafo
2.2.3.1.). La Lacina, fa parte del comprensorio montano delle Serre Calabre e si trova ad
un‟altitudine tra 970 - 1028 m. Dal punto di vista Idrologico nasce dal bacino del torrente
Alaco.
Al suo interno si trova l‟unica popolazione calabrese di Menyanthes trifoliata che si trova
al limite meridionale del suo areale. Per quanto riguarda la flora, in questa vasta pianura
sono presenti più di 300 specie, di cui circa il 26 % è rappresentato da specie rare.
Numerose specie sono di interesse fitogeografico. I principali habitat sono rappresentati
dalle: faggete, alnete arbusteti xerofili. Più esternamente all‟area troviamo anche delle
Pinete ed incolti. Vivono inoltre popolazioni di alcune specie rare come Carex rostrata,
Carex sp.pl.,
Il bosco Stilo-Archiforo, avente codice sito IT9340121, è situato nel territorio del Comune
di Serra San Bruno, ha una superficie di 4.703,59 ha ed occupa rispetto alla superficie
totale del Parco il 26,50%. Esso è caratterizzato dall‟habitat 7110*, Torbiere alte attive
(cfr. paragrafo 2.2.3.1.), dove le specie più importanti sono Lereschia, thomasii
Rhinolophus hipposideros, Canis lupus Amphibians Birds, Epomis. Esso rappresenta una
delle più significative testimonianze dell‟originario paesaggio boscato delle Serre. E‟ un
raro esempio di formazione praticamente pura a disseminazione naturale di antichissime
origini digradante lungo le pendici occidentali del monte Pietra del Caricatore. Il bosco è
dominato dall‟abete bianco che è presente con esemplari colossali, nella parte superiore, in
prossimità della vetta, si associa al faggio. Altra caratteristica peculiare è la presenza del
gatto selvatico e di numerosi branchi di cinghiali.
L‟oasi naturalistica del lago dell‟Angitola è una delle riserve più importanti del
mediterraneo. Il lago fu creato artificialmente nel 1966 sul vecchio alveo del fiume
Angitola, che nasce a Capistrano, dal Reschia, proveniente da S. Nicola e dal torrente Nia,
che attraversa Maierato. Situato nel territorio di Maierato, lungo il corso del fiume
Angitola, il lago si trova all‟estremità meridionale della Piana di Sant‟ Eufemia. Il
territorio dell'oasi ricade, nei comuni di Francavilla Angitola, Maierato, Monterosso
Calabro, Pizzo Calabro e Polia.
Fu vincolato come oasi con D.P.G.R. n. 557 del 12/05/1975. Attualmente la gestione
dell'oasi è affidata al WWF Italia. Il lago è vincolato a zona di protezione della fauna ed è
dichiarato “zona umida di valore internazione” ai sensi della convenzione di RAMSAR
(D.M. 30/09/1985). Il lago si inserisce bene in quella che fu, probabilmente nel
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quaternario, una conca lacustre. Esso occupa una superficie di 794,36 ha, occupa rispetto
alla superficie del Parco il 4,8% (è lungo 3,5 kmq, largo 1,5 Km), ha una profondità
massima di 29 m., contiene 21.000.000 metri cubi di acqua.
Il lago è circondato da declivi ricoperti da uliveti, da macchia mediterranea ed una fascia
di rimboschimento, con predominanza di Pino d‟Aleppo, mentre: Pioppi neri, Cannucce
Tife, Salice bianco, Ontani Neri, Mazze Sorde crescono sulla riva, dando vita a lembi di
bosco idrofilo e piccole paludi. Crescono sulla riva anche Eucalipti e Querce da sughero.
Questa magnifica oasi, per le sue particolari condizioni climatiche e l‟abbondanza di cibo,
vede la presenza di di oltre cento specie diverse di uccelli, tra cui spiccano : il Falco
Pescatore, il Falco di Palude, l‟Airone bianco maggiore, l‟Airone Rosso, l‟Airone
cenerino, il Cormorano, la Garzetta, il Germano reale, il Gabbiano Corallino, il
Mignattaio, la Spatola, lo Svasso Maggiore, che qui trovano il luogo ideale per una sosta e
per la riproduzione. In autunno e primavera transitano grandi flussi migratori di uccelli e
in inverno si riscontra la maggior concentrazione di uccelli svernanti.
L'oasi, pur essendo riconosciuta “zona umida di valenza internazionale” ai sensi della
citata convenzione, non risultava però area protetta nazionale ai sensi della 394/91 e
pertanto è stata inglobata nel perimetro del Parco. Il lago infatti presenta un alto grado di
vulnerabilità poiché è un ambiente artificiale in cui la gestione della variazione delle acque
è fondamentale per il mantenimento delle caratteristiche delle catene trofiche acquatiche a
della vegetazione di sponda, importante per la nidificazione degli uccelli, anatidi in
particolare.
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Bosco Archiforo
4.703,59
Oasi dell'Angitola
794,36 ha
PNR delle Serre
10.021,91 ha
Pianura delle Lacina
326,32 ha
Bosco Santa Maria
806,40 ha
Figura 12 - Siti di interesse comunitario presenti nell’area del Parco e relative superfici
(la superficie del PNR delle Serre è quella generale).
All‟interno del Parco Naturale Regionale delle Serre l‟attività venatoria è vietata, in
osservanza a quanto stabilito dalla Legge Regionale n. 48 del 5 maggio 1990 con la quale
è stato istituito il Parco, che all‟art. 7 comma 4d detta le norme specifiche, in accordo con
la Legge quadro 394/91 art. 22 comma 6, non essendo state autorizzate attività di prelievo
faunistico e/o abbattimento selettivo.
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2.4. SITI RETE NATURA 2000
I siti caratterizzati dalla presenza di habitat di interesse comunitario o che ospitano
popolazioni significative di specie animali e vegetali di interesse comunitario fanno parte
della Rete "Natura 2000", istituita dalla Direttiva "Habitat". Più in dettaglio fanno parte
della Rete "Natura 2000":
- i siti candidabili ai sensi della Direttiva "Habitat", denominati dapprima S.I.C. (cioè Siti
di Importanza Comunitaria) e, una volta approvati dai singoli Stati membri, denominati
Z.S.C. (Zone Speciali di Conservazione);
- le cosiddette Z.P.S. (ossia Zone di Protezione Speciale), designate a norma della
Direttiva "Uccelli" perché ospitano popolazioni significative di specie ornitiche di
interesse comunitario.
L'attivazione della Rete Natura 2000 è ormai quasi completata:
- gli Stati membri dell'Unione Europea hanno indicato tutti i siti potenzialmente
candidabili (p.S.I.C.) e stanno ultimandosi i lavori delle diverse Conferenze
biogeografiche che, per ogni regione biogeografica europea, elaborano le liste finali dei
S.I.C. che saranno approvate dalla Commissione Europea; entro sei anni dall'approvazione
di queste liste, gli Stati membri (per l'Italia il Ministero dell'Ambiente), dovranno infine
ufficialmente designare tali siti come Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.),
sancendone così l'entrata nella Rete "Natura 2000";
- una volta approvate, le Zone di Protezione Speciale della Direttiva "uccelli" entrano
invece automaticamente a far parte della rete Natura 2000 e su di esse si applicano
pienamente le indicazioni della Direttiva "Habitat" in termini di tutela e gestione; al
momento lo Stato italiano deve ancora redigere (attraverso le indicazioni fornite dalle
Regioni) la lista definitiva delle Z.P.S..
La Regione Calabria, nell'ambito del PIS Rete Ecologica Regionale - Misura 1.10 del POR
Calabria 2000/2006, ha disposto i finanziamenti necessari alle cinque Province calabresi
per la redazione dei piani di gestione dei siti Natura 2000 compresi nel territorio
provinciale di appartenenza, ma non compresi all'interno dei confini di aree naturali
protette già istituite (Parco regionale delle Serre); Sono in fase di redazione i piani di
gestione delle ZPS, che il Dipartimento Politiche dell'Ambiente ha affidato, alle
Amministrazioni provinciali.
2.4.1 ZONE DI PROTEZIONE SPECIALE
La direttiva comunitaria 79/409/CEE, chiamata direttiva "Uccelli" prevede una serie di
azioni per la conservazione di numerose specie di uccelli, indicate negli allegati della
Direttiva stessa, e l'individuazione da parte degli Stati membri dell'Unione Europea, di
aree da destinarsi alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS).
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Il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dopo aver ricevuto comunicazione
con l'elenco delle ZPS individuate dalle singole regioni e dalle provincie autonome di
Trento e Bolzano, ha pubblicato il DECRETO 25 marzo 2005. In allegato a questo decreto
è riportato l'elenco delle zone di protezione speciale classificate ovvero istituite ai sensi
della direttiva 79/409/CEE.
L'elenco generale di dette Zone è possibile trovarlo nell' Allegato A - Zone di protezione
speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del Decreto 3 aprile
2000 - Ministero dell'Ambiente - Supplemento ordinario N. 65 alla GAZZETTA
UFFICIALE 22-4-2000 - Serie generale - n. 95
Qui di seguito si riporta una tabella riepilogativa con l‟elenco dei SIC, ZSC e ZPS
ricadenti nella Provincia di Vibo Valentia.
Tabella 5 – S.I.C., Z.S.C. e Zone di Protezione Speciale della Provincia di Vibo Valentia
73
CODICE SITO
DENOMINAZIONE
COMUNI
Divieto di
caccia
IT9340086
Lago dell‟Angitola
Maierato,Pizzo,
Monterosso
SI
IT9340090
Fiumara di Brattirò (Valle
Rufa)
Drapia, Ricadi,
Spilinga
NO
IT9330089
Dune dell‟Angitola
Pizzo
NO
IT9340091
Zona Costiera fra Briatico e
Nicotera
Briatico
–
Nicotera (VV)
NO
IT9340092
Fondali di Pizzo Calabro
Pizzo Calabro
(VV)
----
IT9340093
Fondali di Capo Vaticano
Ricadi
----
IT9340094
Fondali di Capo Cozzo-S.
Irene
Briatico,Vibo
Valentia
----
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IT9340118
Bosco Santa Maria
Serra S: Bruno
SI
IT9340119
Marchesale
Acquaro-Arena
(VV)
SI
IT9340120
Lacina
Brognaturo
SI
IT9340121
Bosco
di
Archiforo
Serra S. Bruno,
stilo
SI
Stilo-Bosco
COMPLETARE LA COLONNA DEI COMUNI
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2.5. ISTITUTI FAUNISTICI ISTITUITI AI SENSI DELLA LEGGE N. 157/92 E DELLA L.R. 17
MAGGIO 1996, N.9 ED ALTRE SUPWERFICI IN DIVIETO DI CACCIA: DISTRIBUZIONE,
CARATTERISTICHE E PROBLEMATICHE
2.5.1. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (ZPM)
La Provincia di Vibo Valentia annoverava una sola ZPM, denominata Stefanaconi, situata
nell‟omonimo comune, e di superficie pari a 1.220 ha, istituita con Del. G.R. n. 4715 del
29/01/1993.Tale ZPM è stata abolita con Delibera della Giunta Regionale.
2.5.2. CENTRI PUBBLICI DI PRODUZIONE DI SELVAGGINA (CPS)
Nel territorio provinciale esiste un solo CPS, situato all‟interno del complesso demanilae
di Pecoraro, nel comune di Mongiana, di superficie pari a 300 ha. Il centro produce
cinghiali, allevati in apposite strutture recinatate.
2.5.3 FORESTE DEMANIALI
E AREE RIMBOSCHITE
Ai sensi dell‟art. 21, comma 1 lett. C) della legge n. 157/1992 nelle foreste demaniali è
vietato l‟esercizio dell‟attività venatoria, ad eccezione di quelle, che secondo le
disposizioni regionali, sentito il parere dell‟ISPRA (ex INFS), non presentino condizioni
favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica.
L‟art. 15 della L.R. n. 9/1996 conferma i divieti contenuti nella sopracitata legge
Nazionale.
Secondo i dati dell‟Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Vibo Valentia, le foreste
demaniali presenti sul territorio provinciale sono tutte regionali, occupano una superficie
pari a 2.680 ettari e sono le seguenti:
La Lacina (Comune di Brognaturo 358 ha) ricadente nel Parco delle Serre
Bruno Grillo e San Mauro (Comune di Fabrizia 615 ha) ricadente nel Parco delle Serre
Fallà (Comune di Filogaso 192ha e Comune di Nicola da Crissa 103 ha)
Prasto (Comune di Gerocarne 635 ha, Comune di Serra San Brune 43 ha, Comune di
Spatola 37 ha) ricadente nel Parco delle Serre
Pecoraro (Comune di Mongiana 248 ha) ricadente nel Parco delle Serre
Morrone (Comune di Pizzoni 293 ha) ricadente nel Parco delle Serre
Le Divise (Comune di Spadola 156ha) ricadente nel Parco delle Serre
Oltre alle foreste demaniali esistono 4.357 ha di aree rimboschite in base a programmi
regionali, anch‟esse in divieto di caccia, sia ai sensi della L. 157/92, sia ai sensi del R.D. n.
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3267/1923. Di tali superfici 3.300 ha sono al di fuori del PNR delle Serre, mentre i restanti
1.057 ha sono all‟interno del parco e quindi già computati.
2.5.4. ALTRI ISTITUTI FAUNISTICI DI PROTEZIONE DELLA FAUNA
Al momento della redazione del Piano non esistono sul territorio provinciale altri istituti
faunistici destinati alla protezione della fauna tra quelli individuati dalla L.157/92 e dalla
l.r. 9/96, quali le Zone di ripopolamento e cattura, le Oasi di protezione, le aree di rispetto
intorno ai valichi montani individuati dalle Regioni.
2.6. MIGLIORAMENTI AMBIENTALI REALIZZATI
Non è stato realizzato alcun tipo di miglioramenti ambientale.
2.7 RIPOPOLAMENTI EFFETTUATI DAGLI A.T.C. VIBO VALENTIA 1 E VIBO VALENTIA 2
Dati relativi alle attività di ripopolamento od immissione di fauna selvatica sono
disponibili soltanto per l‟anno 2009.
Da alcuni in Provincia di Vibo Valentia non sono state effettuate immissioni di cinghiale.
L‟attività dei due A.T.C. in merito alle immissioni di piccola fauna stanziale finalizzate al
ripopolamento è sintetizzata nelle tabelle seguenti
Ripopolamenti effettuati dall‟ATC VV1 nell‟anno 2009:
COMUNI
SPECIE
N° ESEMPLARI
ZONE
Francavilla Angitola
Fagiano
30
S. Martino
Spadola
Fagiano
25
Morrone
Simbario
Fagiano
25
Pietre Bianche
San Nicola da Crissa
Fagiano-Coturnice
25-10
Lacco del yazzo Lorizzi
Ionadi
Fagiano
25
Mancusi
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Brognaturo
Fagiano
25
Pippo
San Costantino
Fagiano
25
Vaiia-Scagliola
Stefanaconi
Fagiano- Leprotti 25
(2 coppie)
Gallo-S. Sosti
Monterosso
Fagiano
25
Lonzaria-Ligoni
Sorianello
Fagiano
30
Dalì
Vallelonga
Fagiano-Coturnice
25-10
Carcari-Coste
Abbandonate
Filadelfia
Fagiano-Coturnice- 25-10
Leprotti (3 coppie)
Vibo Valentia
Piscopio)
Sgarro
Palermi
(fraz. Fagiano-Coturnice
30-30
Vibo Valentia (Fraz. Fagiano-Coturnice
Triparni)
20-20
Pizzoni
Fagiano-Coturnice
25-10
Peppè-Timpa Liscia
Vazzano
Fagiano-Coturnice
25-40
Madama-PollaPosto-Signora
Francica
Fagiano
30
Campo
Pizzo
Fagiano-Coturnice- 20-10
Leprotti (3 coppie)
Scrisi
Serra San Bruno
Fagiano
25
Croce
Guido
Polia
Fagiano
30
Mercato
77
Iacò
Ferrata-
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Maierato
Fagiano-Leprotti
(4 coppie)
30
Sant‟Onofrio
Fagiano-Cotunice
25-10
Fego- Palombaro
Filogaso
Fagiano
25
Lago-Urta
San Gregorio d‟Ippona
Fagiano
30
Cervo
Capistrano
Fagiano
25
CerasaraChiallarello
Soriano
Fagiano-Coturnice- 20-10
Leprotti (3 coppie)
TOTALE
COPPIE
FAGIANI N° 645
Castagneto-Rocca
San Nicola-Corazzo
Sabatino
COTURNICI N° 160
LEPROTTI N° 15
Ripopolamenti effettuati dall‟ATC VV2 nell‟anno 2009:
COMUNI
SPECIE
N° esemplari
Mileto
FagianoCoturnice-Lepre
136-50coppie
Filandari
FagianoCoturnice-Lepre
72-40-3 coppie
Palumbaru,
Scaliti,
Grande Pietra, Ficareda,
Occhio di Mari
San Calogero
Fagiano-
68-10-2 coppia
Le Querce, Conturella,
Porello,
Machina,
78
ZONE
4 Curricolo,
Fego,
Cardidi,
Malifusti,
Marinaro, Mandra, Iori,
Ventaglia,
Momma,
Finocchio, Ferruggio
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Coturnice-Lepre
Palumbaru
Dinami
FagianoCoturnice-Lepre
68-30-3 coppie
C/da
Umbro,
Monsoreto, C/da Croce,
Breo, Marazziti-Breo
Zungri
FagianoCoturnice-Lepre
64-30-3 coppie
Arghellusa,
Nicapudi,
Petrosi,
Contura
Zaccanopoli
FagianoCoturnice-Lepre
72-30-4 coppie
Agrilloni, Foculio, Ex
compattatore, Timpa a
Porta, Guardia
Parghelia
FagianoCoturnice
56-40
Piana Fitili
Drapia
FagianoCoturnice-Lepre
92-60-4 coppie
Scrizzi, Petti i Caria,
Minotari, San Cosmo,
C/da
Spaccio,
Apparizione
Gesù,
Monaci, S. Isidoro,
Marrì, Mammina
Spilinga
FagianoCoturnice-Lepre
84-50-2 coppie
Criti, S. Luisi, Cuniti,
Martino, Fiumara Ruffa,
Cimitero, Pietra Grande
Ricadi
FagianoCoturnice-Lepre
89-50-2 coppie
Padellaro,
Umbri,
Serbatoio, Petti di Lupo,
Rovereto,
Sferruzza,
Pantano,
Torretta,
Capra bianca, Ceramiti
Zambrone
FagianoCoturnice-Lepre
72-20-3 coppie
Medico, Daffinacello,
Giardino,
Daffinà,
Cucummarara, Runci
Briatico
Fagiano-
76-50-3 coppie
Piana
San
Chiesiola,
79
Paolina,
Martidi,
Nicapudi,
Leo,
Bivio
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Potenzoni,
Briatico
Vecchio, Puiastro, S.
Rocco
Coturnice-Lepre
Cessaniti
FagianoCoturnice-Lepre
72-50-3 coppie
Castellana, Batia, Livito,
S.
Andrea,
Cava,
Grancara, Grutta
Nicotera
FagianoCoturnice-Lepre
72-30- 2 coppie
Madonna a Grazia,
Fontana Vecchia, Valeri,
Poima Scianco, Casa
bianca
Ioppolo
FagianoCoturnice-Lepre
89-50- 4 coppie
Baronia,
Parnaso,
Quaranta, Petto a resca,
Petti Coccorino, Torre
Limbadi
FagianoCoturnice-Lepre
72-10-3 coppie
Cataldo, Costa della
Pugliesa, Cardenusa, S.
Andrea,
Cimitero
vecchio, C/da Masenzio
Rombiolo
FagianoCoturnice-Lepre
72-10-3 coppie
Propani, Acquabianca,
Petto a casa, Cucco,
Condotti, Santa Croce
Acquaro
FagianoCoturnice-Lepre
68-20-3 coppie
Monaci,
Grancito, Cuzzi
Dasà
FagianoCoturnice-Lepre
64-10-2 coppie
Chiusa,
Maguli
Gerocarne
FagianoCoturnice-Lepre
72-30-3 coppie
Centofontane,
Ariola,
Pardinella, C/da Pozzo,
Seriata
Arena
FagianoCoturnice-Lepre
60-10-2 coppia
Piani di Arena, Giogà
Mongiana
Fagiano-
60-20- 2 coppia
Allaro, Inticco
80
Carrà,
Bracciata,
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Coturnice-Lepre
Fabrizia
FagianoCoturnice-Lepre
60-20- 2 coppia
C/da Rina, C/da Cilia,
Cuture
Nardodipace
FagianoCoturnice-Lepre
60-30- 4 coppie
Bosco Grifi, Liegoli,
Occhio, Gremi
TOTALE
COPPIE
FAGIANI N° 1770
COTURNICI N° 750
LEPROTTI N° 66
Complessivamente sono stati immessi 2415 soggetti di fagiano, 910 coturnici e 162 lepri.
Le densità di immissione per 100 ha di SASP sono state pari a 2,2 fagiani 0,8 coturnici e
0,15 lepri. Si può quindi affermare che l‟intensità di ripopolamento è stata moderata.
2.8. CENTRI DI RECUPERO PER LA FAUNA SELVATICA AUTORIZZATI;
Non esistono Centri di recupero per la fauna selvatica autorizzati nel territorio della
Provincia di Vibo Valentia.
Qui di seguito si riporta una breve descrizione ed i dati relativi all‟attività di recupero dei
due centri esistenti nella Regione Calabria in quanto di interesse per una migliore
descrizione delle specie ornitiche presenti nel territorio provinciale.
Il Centro di Recupero Animali Selvatici (CRAS) del Comitato Italiano per la Protezione
degli uccelli Rapaci (CIPR) è una realtà importante per il soccorso agli animali selvatici in
difficoltà e rappresenta il punto di riferimento più significativo della regione per la cura di
centinaia di animali di ogni specie (soprattutto uccelli rapaci) e per l'affidamento di specie
protette sottoposte a sequestro giudiziario.
Per ogni animale portato al CRAS, accompagnato o meno da un verbale di consegna, a
seconda che il recupero sia avvenuto ad opera di un corpo di polizia (CFS, Carabinieri
ecc.) o meno, viene compilata una scheda di ingresso paragonabile ad un modulo di
accettazione e ricovero che alla fine della degenza diverrà una sorta di cartella clinica del
ricoverato. Tutti i dati, annualmente, sono elaborati ed utilizzati per analisi statistiche. Gli
animali ricoverati dal 1987 ad oggi sono stati 1450. E‟ molto importante che durante il
tempo trascorso al Centro gli animali non si abituino all'uomo, che non si creino situazioni
di dipendenza e di confidenza altrimenti verrebbe messa in discussione la possibilità, una
volta ristabilitisi fisicamente, di essere liberati.
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CENTRI RI RECUPERO IN CALABRIA
CENTRO
RECUPERO
SELVATICI
ANIMALI
Via Vinicio Cortese, Parco della
Biodiversità Mediterranea, Catanzaro
CENTRO
SELVATICI
ANIMALI
Istituto Todaro, Contrada Lacone di Rende
(Cosenza)
RECUPERO
I dati inerenti la fauna soccorsa nel periodo 2003/2009, sintetizzati nel grafico seguente,
evidenziano come le specie oggetto di recupero e invio ai centri di recupero extraprovinciali si riferiscono esclusivamente a uccelli, mentre del tutto assenti sono i
mammiferi e i rettili. Nella tabella 6 sono invece riportati i dati annuali di tali soccorsi.
N° esemplari soccorsi (2003-2009)
Airone bianco
Airone rosso
Allocco
Assiolo
Barbagianni
Cicogna bianca
Civetta
Falco pellegrino
Fenicottero
Gabbiano comune
Gabbiano reale
Gazza
Germano Reale
Gheppio
Gruccione
Poiana
Rondone Comune
Figura 13 – rappresentazione grafica del numero di volatili soccorsi dall'anno 2003
all'anno 2009
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Tabella6 – Numero ed elenco dei volatili soccorsi dall'anno 2003 all'anno 2009
Specie
Airone bianco
Airone rosso
Allocco
Assiolo
Barbagianni
Cicogna bianca
Civetta
Falco pellegrino
Fenicottero
Gabbiano comune
Gabbiano reale
Nome scientifico
Egretta alba
Ardea purpurea
Strix aluco
Otus scopus
Tyto alba
ciconia ciconia
Athene noctua
Falco peregrinus
Phoenicopterus ruber
Larus ridibundus
Larus cachinnans
2003
1
Gazza
Germano Reale
Gheppio
Gruccione
Poiana
Rondone Comune
Totali
Pica pica
Anas plathyrhynchos
Falco tinnunculus
Mepops apiaster
Buteo buteo
Apus apus
1
83
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2
3
1
1
1
6
1
3
1
1
2
1
1
1
1
2
7
1
25
1
1
1
2
2
3
0
6
1
1
3
12
10
Tot. esemplari
1
1
6
1
6
1
3
4
1
1
1
1
1
4
1
19
1
53
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2.9. ASSETTO FAUNISTICO: IL QUADRO REGIONALE
La Calabria è una regione particolarmente importante dal punto di vista faunistico. La sua
posizione geografica la rende un passaggio obbligato per la quasi totalità delle specie
migratrici che utilizzano il territorio nazionale o provenienti dai Balcani per raggiungere
l‟Africa. Inoltre rappresenta l‟estrema propaggine meridionale dell‟areale di distribuzione
di molte specie di mammiferi ed uccelli stanziali.
Il territorio provinciale è interessato da continui ed imponenti flussi di specie migratrici;
qui passa la più importante rotta di migrazione italiana e la terza del Paleartico
Occidentale, infatti tutte le specie di uccelli che attraversano il Mediterraneo centrale
utilizzano quest‟area per ridurre il tratto di mare aperto da sorvolare per raggiungere il
territorio siciliano e quindi l‟Africa.
Annualmente, durante la migrazione pre-nuziale, nell‟area dello Stretto di Messina
vengono censiti mediamente 27000 rapaci e cicogne (dato medio relativo alle osservazioni
del periodo 1996-2008, GIORDANO et al.), per l‟area si stima un transito di oltre 40-45000
individui (CORSO, 2005). I conteggi massimi giornalieri danno valori di diverse migliaia di
individui (9343 falchi pecchiaioli il 5-5-2000, ZALLE & BILDSTEIN, 2000; CORSO, 2001;
GIORDANO, dati WWF inediti) e, includendo anche i passeriformi, si superano le decine di
migliaia. Il passaggio dei rapaci e delle cicogne durante la migrazione post-nuziale risulta
più diluito nel tempo e nello spazio, infatti il fronte utilizzato e notevolmente più ampio ed
il passaggio è apprezzabile da metà-fine luglio a inizio-metà novembre, con picchi
nell‟ultima decade di agosto e tra la seconda e la terza di settembre.
Lo Stretto di Messina è uno dei 106 siti (bottle neck) nel mondo nei quali vengono
regolarmente censiti più di 10000 rapaci, e tra i siti italiani è sicuramente il più importante;
a livello europeo solo nello stretto di Gibilterra (>100.000 rapaci) ed a Eliat in Israele
(>1.000.000) si registrano numeri più alti.
La conformazione geografica del territorio provinciale favorisce il concentramento degli
uccelli migratori in due zone specifiche:
il tratto della dorsale appenninica che va da Colle di Monaco a Monte Contessa (Provincia
di Catanzaro), passando per Monte Mozzucolo, Monte Cucco e Monte Coppari;
l‟area di Capo Vaticano utilizzata come approdo e punto di lancio dai migratori che
utilizzano l‟arco eoliano.
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Figura 14. - Principali rotte di migrazione europee
Questa porzione del territorio nazionale è l‟area più importante per gli accipitriformi,
falconiformi e ciconiformi, sia a livello nazionale che per il Mediterraneo centrale.
Censimenti regolari danno un valore medio di 27828 rapaci censiti negli ultimi 12 anni. Le
specie censite sono 37, ovvero la quasi totalità delle specie di rapaci del paleartico
occidentale.
I dati riportati in tabella sono il risultato delle osservazioni effettuate sullo Stretto, infatti
per le aree limitrofe non esistono dati a cui fare riferimento.
Tabella 9 – Specie di rapaci e cicogne osservate nel periodo 1996-2008. (Da Giordano A.
et. al. modificato)
Nome volgare
Nome scientifico
Somma
Media
1
Pecchiaiolo
Pernis apivorus
293851
22604
2
Nibbio bianco
Elaneus caeruleus
1
3
Nibbio reale
Milvus milvus
38
3
4
Nibbio bruno
Milvus migrans
8517
655
85
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5
Grifone
Gyps fulvus
22
6
Monaco
Aegypius monachus
2
7
Capovaccaio
Neophron percnopterus
67
6
8
Biancone
Circaetus gallicus
38
3
9
Falco pescatore
Pandion heliaetus
190
17
10
Falco di palude
Circus aeruginosus
26859
2066
11
Albanella reale
Circus cyaneus
366
28
12
Albanella minore
Circus pygargus
4453
343
13
Albanella pallida
Circus macrourus
842
65
14
Astore
Accipiter gentilis
7
15
Sparviere
Accipiter nisus
177
16
Sparviere levantino
Accipiter brevipes
1
17
Poiana
Buteo buteo buteo
953
73
18
Poiana delle steppe
Buteo b. vulpinus
275
25
19
Poiana codabianca
Buteo rufinus
100
9
20
Aquila
maggiore
Aquila clanga
2
86
anatraia
4
14
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21
Aquila anatraia minore
Aquila pomarina
16
2
22
Aquila reale
Aquila chrysaetos
28
4
23
Aquila imperiale
Aquila heliaca
1
24
Aquila delle steppe
Aquila nipalensis
1
25
Aquila minore
Hieraaetus pennatus
244
26
Aquila del Bonelli
Hieraaetus fasciatus
7
27
Gheppio
Falco tinnunculus
6387
491
28
Grillaio
Falco naumanni
776
60
29
Falco cuculo
Falco vespertinus
6093
469
30
Falco dell'Amur
Falco amurensis
3
31
Smeriglio
Falco columbarius aesalon
21
3
32
Lodolaio
Falco subbuteo
1806
139
33
Falco della regina
Falco eleonorae
276
25
34
Pellegrino
Falco peregrinus
170
15
35
Pellegrino artico
Falco peregrinus calidus
62
6
36
Lanario
Falco biarmicus feldeggi
9
37
Sacro
Falco cherrug cherrug
13
87
20
1
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Accipitridae non id.
4298
Falconidae non id.
1927
Cicogna bianca
Ciconia ciconia
2069
159
Cicogna nera
Ciconia nigra
759
58
Ciconia sp.
32
Totale
361759
27828
Il transito principale è quello pre-nuziale, al quale si riferiscono i dati sopra riportati, in
migrazione post-nuziale le osservazioni non sono state effettuate con continuità e i dati si
riferiscono solo a pochi anni. I conteggi danno valori inferiori sia perché le osservazioni
abbracciano periodi di tempo più limitati, sia perché la migrazione post-nuziale avviene su
un fronte ampio e quindi più difficile da gestire.
Molte specie di mammiferi trovano in Calabria un limite fisico alla loro diffusione verso
sud: lo Scoiattolo meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis), il Lupo (Canis lupus), il
Tasso (Meles meles), la Faina (Martes foina), il Capriolo italico (Capreolus capreolus
italicus).
Per l‟analisi della situazione faunistica della provincia di Vibo Valentia si è fatto
riferimento, non essendo oggetto dell‟incarico la realizzazione di rilievi di campagna, alle
informazioni desunte dalla bibliografia esistente e dal precedente Piano faunistico
venatorio provinciale 1998. Il lavoro si basa su dati di censimenti e studi effettuati a livello
nazionale o europeo da varie organizzazioni, che seppur difficilmente utilizzabili per una
pianificazione di livello locale, ci consentono di ricavare dei trend demografici e delle
stime di popolazione sufficientemente attendibili.
I dati sulla migrazione dei rapaci sono il risultato dei censimenti effettuati da varie
associazioni (LIPU, WWF, MAN, ecc.); per altri gruppi di specie si è fatto riferimento alle
banche dati del Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare o alle
osservazioni raccolte personalmente.
L‟elaborazione dei dati ha consentito di stilare le liste degli uccelli e dei mammiferi
presenti sul territorio provinciale. Per l‟avifauna accanto ad ogni specie, laddove
disponibile, è riportato lo status.
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2.9.1 QUADRO CONOSCITIVO DELLE SPECIE PRESENTI IN AMBITO PROVINCIALE
2.9.1.1. AVIFAUNA
Le conoscenze relative a questa classe sono riunite nella Check-list degli uccelli della
Calabria aggiornata a gennaio 1993, di Scebba et al. (1992-93), da questo lavoro sono
state estrapolate le informazioni relative alla provincia di Vibo Valentia. Lo status delle
specie presenti sul territorio provinciale è stato aggiornato al 2009 con i dati presenti in
bibliografia.
Per l‟ordine sistematico e la nomenclatura ci si è attenuti alla Check-list degli uccelli
italiani (Brichetti & Massa, 1984).
Le specie di cui è accertata la presenza nella Provincia sono 261 (19 ordini e 58 famiglie).
Ad oggi 111 specie sono nidificanti (B), di cui 102 regolari, 3 irregolari (B irr), per 6
specie la nidificazione è da accertare (B?). Le specie svernanti (W) sono 72, di cui 52
regolari (W) e 16 irregolari (W irr), 210 sono migratrici (M), di queste 21 in maniera
irregolare (M irr). Le specie di comparsa accidentale (A) sono 12. Per molte specie le
informazioni si riferiscono a porzioni limitate del territorio provinciale o a singole
osservazioni, per una migliore definizione dello status è necessario avviare una campagna
di indagine specifica
L‟elenco completo delle specie è riportato nell‟allegato 2 del volume ALLEGATI al Piano
faunistico provinciale.
Nella 8a colonna di destra, è indicato lo status legale delle specie presenti. 78 specie
risultano inserite nell‟allegato I della direttiva “Uccelli” (dir. 79/409/CEE), 170 specie
risultano inserite nell‟allegato 2 della convenzione di Berna (1979), 129 specie risultano
inserite nell‟appendice 2 della convenzione di Bonn (1979).
Secondo la lista rossa degli uccelli italiani (Calvario, 1999) 3 specie (Albanella reale,
Falco pescatore e Gru) risultano inserite nella categoria “Ex” - estinte come nidificanti sul
territorio provinciale e nazionale, 13 specie (Mignattaio, Canapiglia, Moretta tabaccata,
Moretta, Capovaccaio, Schiribilla, Piviere tortolino, Pittima reale, Mignattino, Mignattino
alibianche, Colombella, Rondine rossiccia e Forapaglie) sono inserite nella categoria “CR”
- in pericolo in modo critico, 23 specie sono inserite nella categoria “EN” - in pericolo, 26
specie sono inserite nella categoria di minaccia “VU” sono quindi specie vulnerabili, 29
specie sono a più basso rischio di minaccia, categoria “LR”. Per 21 specie, nidificanti
irregolari o con la prima nidificazione dopo il 1988, lo status non è stato valutato “NE”, 4
specie appartenenti a sottospecie o popolazioni isolate rimangono a status indeterminato
“DD”
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2.9.1.2 FAMIGLIE E SPECIE DELL‟ALLEGATO I DELLA DIRETTIVA 79/409/CEE PRESENTI O
SEGNALATE NEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA
Fam. Procellariidae
Nell‟area dello Stretto e nel Tirreno meridionale vi sono siti importanti di nidificazione
per la Berta maggiore (Calonectris diomedea diomedea). Il tratto di mare antistante la
costa tirrenica della Calabria è una importante area di foraggiamento per la Berta
maggiore. La specie si osserva tra metà-fine febbraio e inizio-metà novembre, con picco
durante i movimenti pre-riproduttivi a fine marzo - metà aprile e picco post-riproduttivo
a fine settembre – metà ottobre. I siti costieri della provincia vengono regolarmente
frequentati, molto probabilmente dalla popolazione delle isole Eolie, come aree di
alimentazione. Il sito migliore è Capo Vaticano.
Fam. Phalacroracidae
Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) specie di comparsa accidentale,
segnalato nel 1993 sullo Stretto. Sembra che da metà anni 90 piccoli nuclei abbiano
iniziato a fare la loro comparsa in periodo invernale – inizio primavera sulle Eolie (Lo
Cascio & Navarra, 2003).
Fam. Ardeidae
Tarabuso (Botaurus stellaris stellaris), Tarabusino (Ixobrychus minutus minutus),
Nitticora (Nycticorax nycticorax nycticorax), Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides),
Garzetta (Egretta garzetta garzetta), Airone bianco maggiore (Egretta alba alba), Airone
rosso (Ardea purpurea purpurea). Tutte le specie, sopra elencate, appartenenti alla
famiglia degli ardeidi, vengono regolarmente osservate sul territorio provinciale in
movimento migratorio, sia pre-nuziale che post-riproduttivo. I periodi di movimento
vanno da metà-fine febbraio a metà-fine maggio con picco in aprile per la migrazione
pre-nuziale, da fine agosto a fine novembre, con picco a inizio-metà settembre, per la
migrazione post-riproduttiva. Importante area di sosta e foraggiamento è l‟invaso
dell‟Angitola dove si concentrano decine di individui, in particolare garzetta, nitticora e
airone cenerino.
Fam. Ciconidae
Cicogna nera (Ciconia nigra), migratore regolare, sia in primavera che in autunno. Più
frequente durante la migrazione pre-nuziale con conteggi record sullo stretto di Messina
di 139 individui nella primavera del 1999, segnalata in sosta migratoria nell‟invaso
dell‟Angitola.
Cicogna bianca (Ciconia ciconia ciconia) migratore regolare, più frequente durante la
migrazione pre-nuziale. La specie nidifica ormai regolarmente sul territorio regionale.
Fam. Threskiornithidae
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Mignattaio (Plegadis falcinellus falcinellus) migratore regolare. Movimenti prerirproduttivi tra metà marzo e metà maggio, più raro durante la migrazione postriproduttiva.
Spatola (Platalea leucorodia leucorodia) migratore regolare, più abbondante in
primavera.
Fam. Anatidae
Moretta tabaccata (Aythya nyroca) migratore regolare con stormi di qualche decina di
individui, più frequente in primavera.
Fam. Accipitridae
Tra i rapaci che attraversano lo stretto di Messina, e quindi il territorio calabrese, il
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) è la specie più abbondante. Questo sito è il
principale sia per tutta l‟Italia che per il Mediterraneo centrale. I movimenti preriproduttivi si registrano a partire da metà-fine marzo, con picco tra fine aprile e la
seconda decade di maggio, singoli individui si osservano fino a fine giugno. Nell‟area
transitano regolarmente oltre 20000 individui, sono noti conteggi record giornalieri di
oltre 9000 individui e massimi annui di 38469 individui (Ricciardi et al., 2009). I
movimenti post-riproduttivi hanno inizio dalla seconda decade di agosto e si protaggono
fino a fine ottobre, il picco si registra tra fine agosto e la prima decade di settembre, per
gli adulti, e tra la seconda e la terza decade di settembre, per i giovani.
Durante il transito primaverile l‟area di Capo Vaticano è la più importante per la
provincia.
Per la nidificazione la specie è legata ad ambienti forestali, principalmente faggete, si
nutre principalmente di imenotteri e sembra preferire le fustaie adulte e ben strutturate.
Il massiccio dell‟Aspromonte e l‟area delle Serre sono aree più importanti per la specie
in ambito regionale.
Nibbio bruno (Milvus migrans migrans), migratore regolare con diverse centinaia di
individui, più frequente durante la migrazione post-nuziale. E‟ uno dei rapaci più
precoci, si osserva già a fine febbraio e passa fino a metà giugno, in migrazione postriproduttiva individui già dal 10 agosto con picco a fine agosto prima decade di
settembre.
Capovaccaio (Neophron percnopterus percnopterus), migratore regolare osservato con
pochi individui nell‟area dello Stretto, più abbondante durante la migrazione postriproduttiva (15 ind. nel 2006).
Falco di palude (Circus aeruginosus aeruginosus), dopo il pecchiaiolo è la specie più
abbondante ad attraversare lo stretto. Annualmente vengono censiti oltre 2000 individui,
movimenti pre-riproduttivi tra fine febbraio e inizio-metà giugno, con due picchi: fine
marzo (ad., principalmente ♂♂) e fine aprile (imm.). I conteggi durante il periodo post-
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riproduttivo danno numeri elevati (2800 ind. nel 2006), ma l‟attitudine della specie a
migrare su un fronte molto ampio fa presupporre il passaggio di contingenti superiori.
Albanella reale (Circus cyaneus cyaneus), migratore regolare con qualche decina di
individui, probabilmente individui svernanti in Sicilia.
Albanella pallida (Circus macrourus), migratore regolare, più comune durante la
migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da metà-marzo a metà-fine maggio,
rara durante la migrazione post-nuziale. L‟area dello stretto di Messina è la più
importante in Europa per il transito della specie.
Albanella minore (Circus pygargus) migratore regolare, più comune durante la
migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da fine-febbraio a fine giugno, con
picco tra metà-fine aprile, meno comune durante la migrazione post-nuziale che va dalla
seconda decade di agosto alla seconda di ottobre. L‟area dello stretto di Messina è una
delle più importanti rotte di migrazione del Paleartico occidentale per la specie.
Aquila minore (Hieraaetus pennatus) migratore regolare con mediamente 20 individui
(max 59 individui nel 2006) censiti sullo stretto di Messina.
Fam. Pandionidae
Falco pescatore (Pandion haliaetus haliaetus) migratore regolare con una media di 17
individui censiti nel periodo primaverile. Regolarmente segnalato in sosta nell‟invaso
dell‟Angitola
Fam. Falconidae
Grillaio (Falco naumanni) migratore regolare con decine di individui (min.18, max
159).
Smeriglio (Falco columbarius) migratore scarso o irregolare segnalati irregolarmente
pochi individui (1-2).
Falco della regina (Falco eleonorae) migratore regolare , si osserva a partire da maggio
con picco nella seconda decade, qualche individuo può essere osservato durante il
periodo estivo sul versante tirrenico, ne è stata sospettata la nidificazione. L‟area di
Capo Vaticano è frequentata da individui molto probabilmente provenienti dalle Eolie.
Sacro (Falco cherrug) negli ultimi anni alcuni individui facenti parte del progetto Life
in Ungheria su questa specie, dotati di trasmettitori satellitari, hanno regolarmente
attraversato il territorio provinciale, testimoniando che una buona percentuale degli
individui della popolazione europea utilizza la rotta centrale per l‟attraversamento del
Mediterraneo o per lo svernamento nel sud Italia.
Pellegrino (Falco peregrinus brookei) nidificante regolare sul territorio provinciale. Le
sottospecie peregrinus e calidus sono migratori regolari nell‟area dello Stretto.
Fam. Phasianidae
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Coturnice (Alectoris graeca saxatilis), sedentaria e nidificante scarsa e molto
localizzata. La popolazione presente è gravemente minacciata dell‟introduzione, anche
in tempi recenti, di individui appartenenti a ceppi di origine ignota o da coturnici
orientali (Alectoris chukar).
Fam. Rallidae
Voltolino (Porzana porzana), Schiribilla (Porzana parva), Schiribilla grigiata (Porzana
pusilla), Re di quaglie (Crex crex). Tutte le specie appartenenti alla famiglia dei rallidi
sono elusive e difficili da osservare, migratrici scarse e localizzate sul territorio
provinciale, più frequenti durante la migrazione pre-nuziale. Delle quattro specie qui
descritte il Re di quaglie ha mostrato una forte contrazione, non più segnalato come
svernante negli ultimi anni le segnalazioni sono divenute rara ed irregolari.
Fam. Gruidae
Gru (Grus grus grus) migratore regolare, il transito autunnale è più evidente. Conteggi
record di 1500 individui il 15-03-1997 (Corso A., 2005). La specie migra in gruppi da
qualche decina a oltre cento individui, spesso gli spostamenti avvengo di notte per cui
risulta difficile stimarne il numero.
Fam. Recurvirostridae
Cavaliere d‟Italia (Himantopus himantopus himantopus) migratore regolare. Movimenti
pre-riproduttivi da inizio-metà marzo a fine maggio – metà giugno, post-riproduttivi tra
inizio luglio e fine ottobre.
Avocetta (Recurvirostra avosetta) migratore regolare, la si osserva con numero ridotto
di individui (1-5), soprattutto durante la migrazione post-riproduttiva. Il sito più
importante per la specie è l‟Invaso dell‟Angitola.
Fam. Burhinidae
Occhione (Burhinus oedicnemus oedicnemus) migratore regolare, osservato con singoli
individui o gruppi di 2-4. Movimenti tra metà marzo e metà-fine maggio e settembre e
metà novembre. Più comune in migrazione post-riproduttiva.
Fam. Charadridae
Piviere tortolino (Charadrius morinellus) migratore regolare scarso, un tempo più
frequente oggi segnalato con singoli individui. E‟ una specie molto fedele ai siti di sosta
migratoria e molto confidente.
Piviere dorato (Pluvialis apricaria) migratore regolare, movimenti pre-riproduttivi tra
metà febbraio e metà aprile, osservati sullo stretto di Messina fino a 100 indd. nei giorni
di picco, in migrazione post-riproduttiva da fine settembre (individui precoci) ai primi
di dicembre.
Fam. Scolapacidae
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Combattente (Philomachus pugnax) migratore regolare, movimenti post-riproduttivi
molto precoci, fine giugno-inizio novembre (max settembre-ottobre) e, in migrazione
pre-riproduttiva da febbraio a maggio (max marzo-aprile). Netta separazione dei sessi,
arrivo precoce dei maschi adulti, seguiti dalle femmine e poi dai soggetti immaturi.
Croccolone (Gallinago media) migratore regolare con pochi individui, raro negli ultimi
anni, le abitudini della specie e la somiglianza a Gallinago gallinago rendono difficile
stabilire con certezza il suo reale status. La specie era regolare con decine di individui
negli ultimi 10-15 anni ha fatto registrar ovunque una sensibile diminuzione.
Pittima minore (Limosa lapponica lapponica) migratore regolare più facile da osservare
in migrazione post-riproduttiva, sogetti giovani. Movimenti tra agosto-metà novembre e
marzo-inizio giugno.
Piro piro boschereccio (Tringa glareola) migratore regolare comune. Si osserva
precocemente in migrazione post-riproduttiva, da metà giugno fino ad ottobre, e durante
la migrazione pre-riproduttiva da metà marzo a fine maggio primi di giugno. Osservato,
nel mese di maggio, in ambienti inusuali quali prati aciutti a ridosso delle dune sullo
stretto di Messina.
Fam. Laridae
Gabbiano corallino (Larus melanocephalus) migratore regolare comune, sverna con
numeri ridotti di individui. Movimenti pre-riproduttivi da fine – febbraio a metà aprile,
post-riproduttivi da fine luglio a fine novembre – primi di dicembre. In attraversamento
dello stretto si osservano, nei giorni di picco, centinaia di individui con record di oltre
1000 individui. Regolarmente osservato lungo tutta la costa con maggiore frequenza
nell‟area di Capo Vaticano.
Gabbiano roseo (Larus genei) migratore regolare più abbondante durante la migrazione
post-riproduttiva (metà luglio – metà ottobre). Sullo stretto si osserva con singoli
individui o piccoli gruppi. Regolarmente osservato lungo tutta la costa con maggiore
frequenza nell‟area di Capo Vaticano.
Gabbiano corso (Larus audouinii) accidentale storico una sola segnalazione nota per la
specie. L‟assenza di ulteriori segnalazioni è molto probabilmente dovuta ad insufficienti
indagini. In Puglia (Isola di Sant‟Andrea) si stima che nidifichi il 5% della popolazione
italiana di questa specie nidifica con poche coppie in Campania (Capo Palinuro) e in
Sicilia orientale (Capo Passero e Capo Murro di Porco) viene regolarmente osservata.
E‟ opportuno approfondire le conoscenze sullo status di questa specie nella provincia.
Fam. Sternidae
Sterna zampenere (Gelochelidon nilotica nilotica), Sterna maggiore (Sterna caspia),
Beccapesci (Sterna sandvicensis), Sterna comune (Sterna hirundo), Fraticello (Sterna
albifrons), Mignattino piombato (Chlidonias hybridus hybridus), Mignattino
(Chlidonias niger niger).
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Le specie della famiglia degli sternidi sopra riportate sono tutte migratrici da poco
comuni a rare (sterna comune), il beccapesci appare in maniera regolare e viene
osservato regolarmente anche in inverno.
Fam. Strigidae
Gufo reale (Bubo bubo) sedentaria e nidificante, sull‟Appenino è localizzata con nuclei
di poche coppie. Non ci sono stima sulla consistenza della popolazione calabrese,
segnalata la sua presenza nei boschi di Serra San Bruno.
Gufo di palude (Asio flammeus) migratore regolare, recentemente è segnalato
raramente. Più frequente durante la migrazione post-nuziale tra fine settembre e ottobre.
Fam. Caprimulgidae
Succiacapre (Caprimulgus europaeus meridionalis) migratore e nidificante regolare.
Osservato sia in primavera che in autunno con decine di individui nei giorni di picco. La
specie è presente anche come nidificante.
Fam. Alcedidae
Martin pescatore (Alcedo atthis) svernante, localmente sedentaria e migratrice comune.
Alla fine del periodo riproduttivo, i primi ad intraprendere i movimenti dispersivi sono i
giovani che lasciano il territorio parentale già pochi giorni dopo aver raggiunto
l‟indipendenza. L‟apice della dispersione si ha alla fine dell‟estate quando si osservano
intensi movimenti che interessano le zone umide interne e soprattutto le zone costiere.
La migrazione primaverile comincia già da febbraio e prosegue sino a marzo quando
vengono progressivamente rioccupati i territori di nidificazione. La nidificazione in
provincia è da accertare, lo svernamento avviene lungo tutte le coste.
Fam. Coraciidae
Ghiandaia marina (Coracias garrulus) migratrice regolare. Tutta la popolazione migra e
sverna nell‟Africa tropicale, soprattutto nelle regioni orientali del continente. La
migrazione primaverile inizia già nel mese di marzo, raggiunge il picco in aprile e si
conclude entro il mese di maggio, mentre la migrazione autunnale si compie tra metà
agosto e ottobre.
Fam. Picidae
Picchio nero (Dryocopus martius martius) nidificante stanziale. La Calabria rappresenta
il limite meridionale alla diffusione di questa specie, estinta in Sicilia. E‟ localizzato in
alcune aree dove sono presenti formazioni forestali mature senza soluzioni di continuità
e di sufficiente estensione. I dati disponibili si riferiscono ad alcune aree del
comprensorio delle Serre.
Picchio rosso mezzano (Picoides medius) la presenza della specie è stata sospettata,
l‟habitat di preferenza della specie è presente ed abbastanza diffuso ma attualmente non
si hanno notizie attendibili.
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Fam. Alaudidae
Calandra (Melanocorypha calandra) migratore regolare scarso, in diminuzione negli
ultimi anni. Segnalato con un numero ridotto di individui.
Calandrella (Calandrella brachydactyla) migratore regolare e nidificante localizzato,
negli ultimi anni la specie ha fatto registrare una diminuzione in tutto il suo areale.
Tottavilla (Lullula arborea) è nidificante abbastanza diffusa ma mai con numeri elevati.
Viene osservata sullo stretto con numero di individui sempre contenuto (1-5 ind.)
soprattutto in migrazione post-riproduttiva.
Fam. Motacillidae
Calandro (Anthus campestris) nidificante localizzato, migratore regolare comune. Più
facile da osservare durante la migrazione primaverile lungo la costa ionica, dai primi di
aprile a metà maggio, numeri limitati durante la migrazione post-riproduttiva.
Fam. Turdidae
Pettazzurro (Luscinia svecica) migratore regolare con pochi individui osservati nelle
aree adatte (Angitola).
Fam. Sylviidae
Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon) migratore regolare con pochi
individui osservati nelle aree adatte (Angitola) e altre piccole aree umide costiere.
Magnanina (Sylvia undata) anche per questa specie, la cui presenza è certa, non si
hanno dati in merito alla consistenza della popolazione ed alla sua distribuzione.
Fam. Muscicapidae
Balia dal collare (Ficedula albicollis) migratore regolare poco comune, passa tra fine
marzo e metà maggio, raro durante il passaggio post-riproduttivo.
Fam. Laniidae
Averla piccola (Lanius collurio) nidificante regolare, migratore scarso. Localizzato
nella fascia montana della provincia al di sopra degli 800-1000 metri in ambienti aperti
contigui ai principali sistemi forestali.
2.9.1.3. FAMIGLIE
E SPECIE CACCIABILI INSERITE IN CALENDARIO VENATORIO NELLA
STAGIONE VENATORIA 2008/2009
2.9.1.3.1.Acquatici
Nel gruppo degli acquatici vengono inseriti, oltre agli Anseriformi, anche i Gruiformi e
i Caradriformi per l‟affinità di gestione e per i comuni problemi di conservazione.
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Gli acquatici sono, tra gli uccelli, il gruppo che ha maggiormente risentito delle
trasformazioni ambientali, riduzione delle zone umide e modifica di quelle rimaste. Nei
limiti dell‟estenzione territoriale questo vale anche per il territorio in studio. La
conservazione di questa risorsa deve quindi passare da una oculata gestione dei prelievi,
dalla gestione degli ambienti favorevoli e, soprattutto, dalla ricostituzione delle zone
umide.
La definizione di zone umide attualmente accettata a livello internazionale è la
seguente: “le zone umide sono aree palustri, acquitrinose o torbose o comunque specchi
d‟acqua, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua ferma o corrente,
dolce o salmastra o salata, compresi i tratti di mare la cui profondità non ecceda i sei
metri con la bassa marea”.
Tali aree rivestono una grande importanza sotto il profilo idrogeologico, economico e
sociale, naturalistico e paesaggistico.
La Calabria ha perso la quasi totalità delle zone umide costiere, mentre all‟interno
rimangono porzioni molto limitate di territorio (torbiere, stagni temporanei e
permanenti). Come prima azione è necessario avviare il censimento dettagliato di tutte
le aree umide e dei siti di possibile ricostituzione delle stesse.
Il contributo che il territorio provinciale può dare alla gestione di questo gruppo di
uccelli è importante, infatti pur non essendo interessato da un elevato numero di specie
nidificanti, sia per la mancanza di habitat che per la posizione geografica, esso gioca un
ruolo fondamentale per il transito migratorio. La gestione delle aree umide residue ed
una eventuale, nonché auspicabile, ricostituzione è un fattore primario per favorire la
sosta e lo svernamento degli acquatici.
Si tratteranno brevemente le specie di acquatici inserite in calendario venatorio nella
stagione venatoria 2008/2009: Fischione, Canapiglia, Alzavola, Germano reale,
Codone, Marzaiola, Mestolone, Moriglione, Moretta, Porciglione, Gallinella d‟acqua,
Folaga, Pavoncella, Combattente, Frullino, Beccaccino, Beccaccia.
Di nessuna delle specie su riportate sono presenti dati aggiornati che consentano di
avere informazioni di dettaglio sullo status reale o sul trend a livello provinciale.
Fischione (Anas penelope)
In Italia è svernante e nidificante irregolare, la popolazione svernante in Europa è stabile
ed il suo stato di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale
viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone umide di modesta
estensione.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista
rossa: non valutata, nidificante occasionale.
Canapiglia (Anas strepera)
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Svernante e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in
forte decremento, lo status di conservazione è in diminuzione (depleted). Nel territorio
provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato.
Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1; Berna All. III; Bonn All. II.
Lista rossa: in pericolo in modo critico.
Alzavola (Anas crecca)
Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in
Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Nel
territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone
umide di modesta estensione o lungo i corsi d‟acqua principali.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista
rossa: in pericolo.
Germano reale (Anas platyrhynchos)
Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, è l‟anatra più comunemente
osservata. La popolazione svernante in Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato
di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata
regolarmente, nel periodo invernale, in tutte le zone umide o lungo i corsi d‟acqua
principali.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II.
Codone (Anas acuta)
Svernante e nidificante irregolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in
Europa è in declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio
provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato.
Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, All III/2; Berna All. III; Bonn
All. II. Lista rossa: non valutata.
Marzaiola (Anas querquedula)
Nidificante regolare e svernate irregolare in territorio nazionale, la popolazione
svernante in Europa è stimata in 390000-590000 coppie, non è possibile stabilire con
precisione il trend che, in base alle informazioni presenti, sembra essere in leggera
diminuzione. Il suo stato di conservazione è valutato in declino (declining). Nel
territorio provinciale viene segnalata regolarmente durante i movimenti migratori, più
frequentemente in migrazione pre-nuziale, i siti di osservazione sono principalmente, o
quasi esclusivamente, le coste con l‟area dello stretto che è il sito principale di
passaggio.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista
rossa: in pericolo.
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Mestolone (Anas clypeata)
Svernante e nidificante localizzata in territorio nazionale, la popolazione svernante in
Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel
territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti
limitato, si osserva dai siti costieri ed alle foci dei principali corsi d‟acqua.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista
rossa: in pericolo.
Moriglione (Aythya ferina)
Svernante comune e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in
Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel
territorio provinciale le segnalazioni sono regolari, si osserva dai siti costieri più
frequentemente durante la migrazione post-riproduttiva o durante le soste migratorie.
Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All.
II. Lista rossa: vulnerabile.
Moretta (Aythya fuligula)
In Italia è svernante e nidificante di recente immigrazione, la popolazione svernante in
Europa è moderato declino e ed il suo stato di conservazione è in declino (declining).
Nel territorio provinciale viene segnalata raramente.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista
rossa: non valutata, nidificante occasionale.
Porciglione (Rallus acquaticus)
Sedentaria e nidificante in quasi tutte le regioni con 3000-6000 coppie stimate a livello
nazionale, localizzata in Calabria. Popolazione europea in leggero declino, il suo stato
di conservazione è sicuro (secure). Censito regolarmente in quasi tutte le zone umide
per la facilità di individuazione dovuta alle frequenti emissioni sonore.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III. II. Lista rossa: a più basso
rischio.
Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus)
Sedentaria e nidificante comune in tutte le regioni. Localizzata nella porzione
meridionale della Calabria per la rarità delle aree adatte alla nidificazione. Il trend delle
popolazioni europee ed italiane è stabile, il suo stato di conservazione è sicuro (secure).
In provincia di Reggio Calabria è nidificante anche in aree umide di modesta estensione
dove è presente sufficiente vegetazione ripariale.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III.
Folaga (Fulica atra)
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Sedentaria e nidificante presente in tutte le regioni. Localizzata nelle regioni
meridionali. Il trend delle popolazioni europee è in moderato declino, il suo stato di
conservazione è sicuro (secure). Nella provincia è nidificante nell‟invaso dell‟Angitola,
nella stessa area, durante la migrazione post-riproduttiva, si registrano concentrazioni di
diverse centinaia di individui.
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.
Pavoncella (Vanellus vanellus)
Svernante comune e nidificante nelle regioni del nord. La popolazione nidificante
europea, nell‟ultimo decennio, ha fatto registrare una importante diminuzione con valori
superiori, in alcuni casi al 30%. La popolazione svernante sembra stabile o in leggero
aumento ma il suo stato di conservazione è vulnerabile (vulnerable).
Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III, Bonn All II.
Combattente (Philomachus pugnax)
Migratore regolare, estivante e svernante regolare con 100-200 individui in varie
regioni. La popolazione europea nidificante e svernante è in declino, pertanto il suo
stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale è
segnalato solo durante i movimenti migratori.
Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All I, II/2; Berna All. III, Bonn All II.
Frullino (Lymnocryptes minimus)
Migratore regolare e svernante soprattutto nel centro nord Italia e in Sardegna. La
popolazione europea nidificante è in moderato declino, non si conosce il trend della
porzione svernante. Il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul
territorio provinciale viene regolarmente segnalato con numero limitato di individui.
Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All
II.
Beccaccino (Gallinago gallinago)
Limicolo di medie dimensioni dal becco lungo con piumaggio criptico, con parti
superiori bruno-nerastre con striature crema. Il capo è striato, il petto è chiazzato mentre
l‟addome è bianco. Volo veloce, tipicamente a zig-zag. Il peso varia tra 85 e 130 gr.
Specie migratrice e gregaria, frequenta le zone umide con aree adatte alla ricerca del
cibo (lombrichi, larve di insetti, molluschi). Nidifica al suolo tra la vegetazione palustre
e depone mediamente 4 uova una sola volta all‟anno. Il beccaccino è attivo soprattutto
nelle ore crepuscolari quando effettua anche grossi spostamenti alla ricerca di cibo. La
popolazione europea è in declino sulla maggior parte dell‟areale. Il suo stato di
conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale viene
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regolarmente segnalato in tutte le zone umide, lungo i corsi d‟acqua e nei prati umidi
anche a quote superiori ai 1000 metri.
Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.
Lista rossa non valutata, nidificante irregolare.
Beccaccia (Scolopax rusticola)
Limicolo di medie dimensioni con becco lungo e zampe relativamente corte. La
colorazione del piumaggio è fortemente criptica con la parte superiore che varia dal
rossiccio al marrone con screziature nero e crema. La fronte è chiara e la nuca presenta
barrature trasversali scure. In volo si riconosce per il lungo becco rivolto verso il basso e
le ali appuntite. Il peso varia tra 250 e 400 gr.
Specie migratrice. E‟ l‟unico dei limicoli europei ad essere strettamente legato ai boschi
per la riproduzione, di preferenza misti a prevalenza di caducifoglie con sottobosco
misto ma privo di erbe troppo alte. In Italia le rare nidificazioni avviene in zone
montuose o collinari delle regioni del nord. Gli accoppiamenti iniziano già a marzo,
sono deposte generalmente 4 uova in una depressione del suolo, covate per 20-22
giorni. I pulcini possono nutrirsi da soli 3-4 giorni dopo la schiusa.
Negli ultimi decenni, a livello nazionale, si è potuto osservare una tendenza al
decremento dei carnieri di beccacce. La tendenza alla diminuzione delle popolazioni
svernanti nell‟area del Mediterraneo è stata confermata anche da ricercatori specializzati
nel settore (Fadat, 1997) attraverso lo studio dell‟indice cinegetico di abbondanza
(ICA), un indice che rende paragonabili tra loro le diverse annate venatorie
considerando oltre che i capi abbattuti anche le uscite effettuate e il grado di
specializzazione del cacciatore.
Le motivazioni di tale decremento possono essere ricercate sia nel prelievo incontrollato
che si svolge all‟estero, sia nell‟abbandono di tradizionali attività umane (allevamento
allo stato brado di bovini, produzione del carbone) che favorivano lo svernamento della
beccaccia. Migliorare le capacità ricettive per le beccacce di un bosco deve essere uno
degli obiettivi gestionali da perseguire.
Alle nostre latitudini gli interventi di gestione della specie possono essere volti
solamente a favorirne lo svernamento e la sosta durante la migrazione. La specie
durante lo svernamento frequenta due habitat molto diversi: di giorno sosta e si rifugia
nel bosco; di notte frequenta le aree aperte alla ricerca delle sue prede preferite, i
lombrichi. Gli interventi volti a migliorare l‟idoneità per la beccaccia dovranno dunque
essere relativi a due obiettivi prioritari: migliorare le capacità ricettive del bosco e
dall‟altra aumentare le capacità trofiche delle aree aperte.
Nel territorio provinciale la beccaccia è presente soprattutto durante i periodi migratori:
dai primi di settembre con singoli individui fino a metà dicembre, e durante la
migrazione pre-riproduttiva da fine gennaio a fine marzo e raramente aprile. L‟habitat
ideale è rappresentato da boschi misti con ricco sottobosco, si rinviene anche su siti
costieri a macchia mediterranea. Specie molto fedele ai siti di svernamento.
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Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All
II. Lista rossa: in pericolo.
2.9.1.3.2. Fasianidi
La famiglia dei fasianidi comprende le seguenti specie oggetto di pianificazione
faunistico venatoria nella Provincia:
Coturnice (Alectoris graeca)
Starna (Perdix perdix)
Quaglia (Coturnix coturnix)
Fagiano (Phasianus colchicus)
Si tratta del gruppo di specie oggetto di forte pressione venatoria e, conseguentemente
anche di azioni di ripopolamento. Una gestione di tipo “consumistico” ha fatto perdere
di vista la conservazione delle popolazioni selvatiche di queste specie; ripopolamenti,
scarse azioni di miglioramento ambientale e bracconaggio hanno determinato la
riduzione delle densità ed estinzioni locali.
In alcuni casi le ibridazioni con soggetti d‟allevamento ed il rilascio di individui affetti
da patologia hanno dato un contributo importante alla scomparsa delle popolazioni
selvatiche da diverse aree.
COTURNICE (Alectoris graeca orlandoi)
Sistematica, distribuzione e status
In Europa si distinguono sette specie appartenenti al genere Alectoris, sul territorio
italiano sono presenti: coturnice Alectoris graeca; coturnice orientale o ciukar Alectoris
chukar; pernice sarda Alectoris barbara; pernice rossa Alectoris rufa.
La sottospecie nominale della coturnice Alectoris graeca graeca è esclusiva dei Balcani
mentre in Italia sono presenti tre sottospecie, distinguibili per colorazioni e dimensioni.
- Alectoris graeca saxatilis, presente sulle Alpi;
- Alectoris graeca orlandoi, presente sugli Appennini (ssp. da confermare);
- Alectoris graeca whitakeri presente in Sicilia.
Diverse per colorazione e dimensioni, le tre sottospecie occupano zone tra loro isolate,
ad eccezione di una limitata area di contatto, tra Alectoris graeca graeca e Alectoris
graeca saxatilis, all‟estremo delle Alpi orientali.
Presente e nidificante nelle Alpi e nell‟Appennino, in passato la coturnice aveva una
distribuzione più ampia con densità superiori rispetto al presente (Spanò et al., 1985;
Oriolo e Bocca, 1992; Brichetti & Massa, 1998).
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Nell‟Appennino, nel corso degli scorsi decenni la diffusione e la presenza della
coturnice si è rarefatta, divenendo discontinua e piuttosto localizzata, con nuclei ridotti e
spesso tra loro disgiunti, come risulta da diverse informazioni e indagini relative alla
Calabria (Siragusa e Carelli, 1979), al pre-Appennino laziale (Bologna et al., 1983:
Monti Lucretili; Angelici e Luiselli, 2001: Monti Prenestini), all‟Appennino laziale e
abruzzese (Petretti F., 1985), alla catena appenninica (Spanò et al., 1985), all‟intero
Lazio (Petretti F., 1995), al Parco Nazionale d‟Abruzzo (Petretti F., 1999), al Parco
Nazionale del Cilento (De Filippo et al., 1999) ed al Parco Nazionale dei Monti Sibillini
(Renzini et al., 2001).
Anche se la Coturnice è una specie sedentaria, compie erratismi verticali per superare i
rigori invernali, soprattutto nelle Alpi, Appennini e in alcuni casi in Sicilia, molto
variabili in funzione del microclima, del tipo di copertura, delle condizioni
meteorologiche (innevamento), dell‟orografia, ecc. La portata di questi spostamenti è
molto variabile ma comunque sempre contenuta tra qualche centinaio di metri e i 3-5
km.
La coturnice è specie considerata vulnerabile in tutta l‟Europa, minacciata soprattutto
dalla distruzione degli habitat e dalla caccia (Tucker e Heath, 1994), inclusa
nell‟Allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE, nell‟allegato III della Convenzione
di Berna e nella categoria SPEC 2 di BirdLife International (Tucker e Heath, 1994); è
considerata vulnerabile anche in Italia (Petretti, 1998; Calvario et al., 1999).
Morfologia e biometria
Negli adulti le porzioni superiori del corpo presentano colorazioni variabili. Nelle
popolazioni appenniniche la tonalità è grigio neutro più o meno chiaro; il dorso,
decisamente più scuro del groppone, tende al vinato. Una marcata differenza si riscontra
anche nella pigmentazione delle copritrici superiori della coda e nelle timoniere che, nei
popolamenti appenninici sono uniformi. In taluni casi le scapolari presentano tinta
uniforme mentre in altri i margini sono di color castano dalle tonalità variabili mentre la
zona centrale è grigio-azzurro. Sul mento ed alla base della mandibola sono presenti tre
piccole macchie nerastre. Le auricolari, che generalmente si confondono con la
colorazione nera del collare, sono in parte nere ed in parte brune. La colorazione della
gola, piuttosto sfumata, varia dal grigio al grigio-brunastro.
Molto visibile è il collare nero, dai disegni molto variabili, che, partendo dalla fronte e
dalle redini circonda la gola ed è decisamente meno visibile sopra gli occhi. Il collare è
rastremato al centro nelle popolazioni appenniniche. Il collare, partendo dalla fronte ed
estendendosi nelle aree sopra e post oculari, è contornato da un alone chiaro. I fianchi
sono ricoperti da penne che possono presentare una banda nera prossimale molto
ridotta, gli apici, di color castano, mostrano due strie nere più o meno parallele che ne
comprendono una terza più larga di color crema con la base grigio-azzurra.
La colorazione dell‟area addominale, più o meno intensa, è cannella mentre il petto è
grigio-azzurro. Le rachidi delle remiganti primarie sono brune con vistose sfumature,
tranne quelle esterne che, invece, sono uniformi. Una stria subapicale ocra pallido sul
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vessillo esterno è presente sulle rimanenti. Le timoniere assumono una colorazione
rosso–castano, con sfumature e variazioni cromatiche sia in senso prossimo-distale che
periferico-centrale. Mentre le zampe ed i piedi sono rosso-brunastri dai toni più o meno
intensi, il becco ed il circolo perioftalmico sono di un vistoso color rosso corallo mentre
l‟iride è bruno-rossastra. Molto contenuto è il dimorfismo sessuale che si limita al fatto
che il maschio adulto ha dimensioni di poco superiori alla femmina e possiede un corto
ma visibile sperone sul tarso. La lunghezza totale del corpo varia da 32 a 35 cm,
l‟apertura alare da 46 a 53 cm, la lunghezza del becco da 13 a 16 mm, il peso da 450 a
900 g. (Brichetti et al., 1992).
Le parti superiori dei giovani sono caratterizzate da una tonalità piuttosto chiara di
bruno-oliva con la presenza, in ogni penna, di una caratteristica macchia fulvo chiara in
posizione distale. Le porzioni laterali del corpo sono ricoperte da penne ornamentali, in
zona apicale di colore fulvo piuttosto chiaro, da due sottili bande brune con andamento
trasversale. Sono, invece, irregolarmente macchiate e barrate di fulvo chiaro le
remiganti secondarie, quelle terziarie e le timoniere che, centralmente, mostrano una
pigmentazione bruno-oliva piuttosto opaca. Le remiganti primarie hanno vessilli esterni
bruni maculati e irregolarmente striati di fulvo chiaro; quelle esterne, seppur
differenziate per la loro sagoma più appuntita, hanno un colorito simile a quello degli
adulti. La colorazione delle timoniere esterne è cannella rossiccio, con margine fulvo
chiaro e maculature brune. Il colore del becco tende decisamente al nero.
La colorazione del piumino dei pulli varia in dipendenza della posizione geografica. Le
regioni dorsali sono caratterizzate da chiazze e strie bruno-nocciola picchiettate di scuro
con andamento longitudinale che risaltano sul colore di fondo. Nuca e vertice hanno un
colore sfumato tendente al fulvo-cannella chiaro. Il becco ed i piedi hanno color carne
con sfumature rossastre (Brichetti et al., 2004).
Habitat
Su alpi e appennini la Coturnice frequenta i rilievi rocciosi, con preferenza per quelli
aridi e scoscesi, predilige, in inverno, quelli esposti a Sud, per il più rapido scioglimento
della neve che le consente di alimentarsi. Preferisce, inoltre, sostare in vicinanza di
coltivi terrazzati e costruzioni rurali per la maggior disponibilità di cibo.
Le strutture vegetali preferite sono le praterie xeriche con cotico erboso piuttosto basso
ed interrotto da affioramenti rocciosi, pietre e arbusti contorti e nani, non disdegnando,
comunque, arboreti radi, margini dei boschi, castagneti da frutto con alberi spaziati,
purché prossimi a conformazioni rocciose; le formazioni forestali dense vengono
raramente per nascondersi dai predatori.
Necessita di disponibilità idrica vicino ai luoghi di pastura, utilizza anche raccolte
d‟acqua artificiali.
La fascia altimetrica popolata è molto ampia. Si va dai 450 ai 2500 m sulle Alpi, a 1600
- 2300 m sugli Appennini, con minimi anche a 400 m (Reggio Calabria), fino ad
arrivare da poche decine di metri sul livello del mare a 2000 m in Sicilia.
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Riproduzione
Il periodo riproduttivo varia in funzione dell‟altitudine; la deposizione si svolge da
aprile a giugno. Il nido è collocato sul terreno al riparo di un ciuffo di vegetazione, un
piccolo arbusto o sotto una roccia sporgente. La femmina scava una cavità profonda 7-8
cm e larga 15-19 cm, che riveste di penne e vegetazione. Depone da 8 a 14 uova, di
forma ovale, lisce e lucide, con tinta di fondo tra giallo crema e fulvo chiaro
macchiettate di bruno-rossiccio, la dimensione media è di 41.6 x 30.9 mm. La
deposizione avviene ad intervalli di 24-36 ore.
L‟incubazione, curata dalla sola femmina, dura 24-26 giorni con un tasso di schiusa, in
media, del 64%; il maschio si occupa della cova se viene deposta una seconda covata
consecutiva. Nel caso di fallimento della prima covata, per disturbo o predazione, ne
viene deposta un‟altra. Pulli precoci e nidifughi, assistiti dalla sola femmina o da
entrambi i genitori, autosufficienti nella scelta e nell‟assunzione di cibo; nascono
ricoperti da piumino, le remiganti si sviluppano dopo la prima settimana e consentono i
primi voli, a 3-4 settimane sono in grado di volare.
Specie generalmente monogama. Durante la riproduzione vive in coppie, manifestando
un comportamento estremamente territoriale, si riunisce in gruppi nel resto dell‟anno.
Le covate dell‟anno tendono a rimanere unite in brigata per tutto l‟inverno.
Comportamento
La Coturnice è una specie gregaria che tende a formare brigate composte anche da 35 40 individui, che, dalla fine della stagione riproduttiva e, si riuniscono per svernare, per
poi scomporsi, a seconda dell‟andamento stagionale, da febbraio ad aprile.
Passa la notte in roost sul terreno, in luoghi preferibilmente riparati dai rigori del clima
e dalle precipitazioni (in inverno), sotto rocce sporgenti, muretti a secco, costruzioni
rurali abbandonate, anfratti naturali, facilmente riconoscibili per il grande volume di
escrementi accumulati.
Quando viene scoperta si appiattisce sulle rocce cercando di mimetizzarsi, corre
celermente sul terreno o, solo se si sente minacciata da vicino, si alza in volo (la frullata
è generalmente molto scomposta e fragorosa, a rapide battute d‟ala alterna lunghe
planate), precipitandosi in gole o crepacci nel tentativo di sfuggire ai predatori (rapaci o
cacciatori).
Alimentazione
Si ciba essenzialmente di foglie, germogli, semi, frutti, invertebrati (Insetti e
Molluschi), con forti variazioni stagionali.
Dinamica di popolazione
In quasi tutto l‟areale di distribuzione questa specie ha subito, negli ultimi decenni (post
1950), una contrazione piuttosto regolare.
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Negli Appennini i fatti non cambiano e nel 1985 era stimata una popolazione di 40.000130.000 capi su 570.000 ettari, distribuiti molto irregolarmente.
La stima della popolazione alpina è di 6.000-9.000 coppie, quella appenninica è
probabilmente compresa fra 5.000 e 10.000 coppie. La presenza della specie in Calabria
è limitata, a causa della forte pressione venatoria, a poche aree di rifugio. Non si hanno
dati sulla consistenza delle popolazioni e, soprattutto, sugli effetti dei ripopolamenti con
individui non appartenenti alla sottospecie in oggetto.
Oltre alla scomparsa da alcune parti dell‟areale, c‟è da segnalare una diminuzione
consistente della popolazione che si riflette non solo nella diminuzione dei valori di
densità della popolazione riproduttiva ma anche nella diminuzione della dimensione
media delle brigate (gruppi post-riproduttivi).
STARNA (Perdix perdix)
Sistematica, distribuzione e status
Specie politipica a distribuzione euroasiatica; 8 sottospecie, di cui italica Harter, 1917,
propria dell‟Italia, viene generalmente inclusa nella sottospecie nominale. E‟ sedentaria
e nidificante sull‟Appennino settentrionale, più scarsa o localizzata sulle Alpi e
sull‟Appennino centrale. I nuclei del centro sud sono originati da introduzione di
soggetti per fini venatori, tali nuclei non sono stabili. P. p. italica è considerata estinta
ed è stata progressivamente sostituita da sottospecie alloctone introdotte ai fini di
ripopolamento venatorio.
Morfologia
Galliforme di dimensioni medio-piccole, con corpo compatto, capo tondeggiante e
relativamente piccolo, coda e collo corti, ali piuttosto larghe. Timida e fortemente
gregaria, si muove facilmente sul terreno, ma di fronte al pericolo tende più ad
immobilizzarsi che a correre via come le Alectoris.
La starna ha una livrea castano scura con guance, sottogola e timoniere rossicce e petto
grigio-azzurro sul quale è evidente, soprattutto nei maschi, un ferro di cavallo marrone
scuro. Il dimorfismo sessuale è praticamente inesistente. Il peso può variare tra 350 e
450 gr.
Habitat
La vocazionalità del territorio per questa specie è, più che per le altre, frutto delle
complesse interazioni tra diversi fattori abiotici e biotici (Serrani et al., 2005),
comprendendo i sistemi agricoli, forestali, ecc. Dal punto di vista ecologico, la starna
predilige gli ambienti aperti e coltivati, anche intensamente. La superficie coltivata
(preferibilmente a cereali invernali) è molto importante, e dovrebbe occupare più del
40% del totale; il restante territorio può esser occupato da formazioni forestali di ridotta
estensione (circa 5-10%) e da zone incolte. Particolare importanza, per il rifugio e
nidificazione, viene rivestita da margini erbosi estesi o cespugliati. Le aree migliori
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sono comunque quelle costitute da un mosaico di campi eterogenei di piccola e media
estensione, separati da strisce di vegetazione naturale (Byrkan et al.,1988; Meriggi et
al., 1998; Potts, 1980; Potts, 1986).
Le starne, nella scelta dell‟habitat sono fortemente condizionate dalla stagionalità del
clima e, soprattutto, dalle rotazioni agrarie come le raccolte, le arature dei terreni e gli
sfalci. Per tale motivo si distinguono due periodi stagionali di habitat per la starna:
a) periodo estivo (agosto - 15 ottobre);
b) periodo invernale (16 ottobre – 31 marzo).
Il periodo estivo corrisponde ad una fase favorevole per la specie in quanto l‟ambiente
agrario è ricco di coperture vegetali e vario qualitativamente. Non vi sono grossi
turbamenti del panorama agrario ad esclusione della raccolta del mais nella seconda
metà di settembre ed un paio di sfalci all‟erba medica. Temperature e piogge non sono
problematiche alla specie.
Viceversa, il periodo invernale è assai più critico per il fasianide in quanto vengono
ultimate le raccolte rimaste (soia e barbabietola) e rimangono a disposizione della specie
solo colture di cereali autunno-vernini (frumento) e gli eventuali miglioramenti
ambientali. Modeste sono pertanto le possibilità di copertura sia nei confronti dei
predatori sia per i rigori del clima invernale (Bottazzo et al., 2003).
Comportamento
La starna è una specie gregaria che vive in gruppo quasi tutto l‟anno. Nella stagione
invernale forma brigate derivanti dall‟aggregazione di più nidiate. Alla fine di febbraio
le brigate si sciolgono e cominciano a formarsi le coppie. In questo periodo i maschi
sono molto aggressivi e spesso combattono tra di loro; intensa è l‟attività di canto. E‟
una specie monogama altamente territoriale. Le femmine depongono 12-18 uova di
colore bruno-oliva, che covano per 23-26 giorni, occasionalmente il maschio può
sostituirla.
Le nascite avvengono tra maggio ed agosto.
QUAGLIA (Coturnix coturnix)
Descrizione
Tra i galliformi è l‟unico migratore. Di piccole dimensioni con colorazione tipica degli
uccelli terragnoli di ambiente steppico, ovvero di colore castano-giallo con striature di
differenti tonalità su gran parte del corpo. La femmina ha gola bianca e petto tendente al
giallo, il maschio gola bruno-nerastra con bordatura chiara. Raggiunge la lunghezza di
20 cm e il peso di 140 grammi. Il peso è generalmente maggiore nelle femmine.
Biologia e riproduzione
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Nidifica in maggio-giugno (il picco delle cove si verifica tra il 15 giugno ed il 15 luglio)
e depone 10-12 uova che schiudono dopo 17-20 giorni. Il nido è rappresentato da una
concavità nel suolo in praterie o campi di grano. I pulcini sono nidifughi (si allontanano
dal nido) e sono in grado di volare a 12-15 giorni.
L‟alimentazione è composta da semi di graminacee, frumento e segale.
Distribuzione ed habitat
Frequenta ambienti aperti con praterie, arbusti e stoppie prevalentemente in zone di
pianura e collinari, ma si può trovare anche nelle praterie alpine fino a 2000-2200 metri
di altezza.
FAGIANO (Phasianus colchicus)
Descrizione
Galliforme di dimensioni medio – grandi, tra i 53 e gli 89 cm, peso tra i 1000 ed i 1600
grammi. Caratterizzato da una lunga coda appuntita. Presenta una scarsa attitudine al
volo preferendo muoversi a terra, ed uno spiccato dimorfismo sessuale. La femmina è
più piccola e ha una colorazione marrone chiara, il maschio è molto appariscente con
colorazioni che variano dal bianco al verde al blu metallico e particolare sviluppo degli
ornamenti sessuali.
La sua presenza su tutto il territorio nazionale è conseguenza delle introduzioni in
diverse epoche, alcune piccole popolazioni sono in grado di sostenersi senza l‟aiuto dei
ripopolamenti.
Biologia e riproduzione
Il fagiano è una specie poliginica: i maschi sono territoriali ed ognuno può accoppiarsi
con più femmine; le uova sono deposte in aprile e covate dalla femmina per 23-28
giorni. I pulcini sono precoci e nidifughi, possono allontanarsi dal nido e alimentarsi da
soli poche ore dopo la schiusa.
Habitat
Preferisce le zone pianeggianti e collinari, sia su territori destinati a monocoltura sia in
zone con notevole frazionamento. L‟habitat ideale sembra rappresentato da ambiente di
bassa collina coltivato a cereali con poche macchie boschive.
2.9.1.3.3. Columbiformi
COLOMBACCIO (Columba palumbus)
Descrizione
Presente in Italia con la sottospecie nominale, che è anche la più diffusa in Europa. Il
colombaccio è lungo dai 40 ai 42 cm e sensibilmente più grande del piccione, tra i
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columbiformi è quello che ha maggiori dimensioni. La sua apertura alare va dai 75 agli
80 cm e può pesare dai 460 ai 570 grammi. Sessi simili: la testa e la schiena sono
bluastri, la coda e la punta delle ali scure. Il petto è di un colore rosa-grigio un po‟ più
chiaro. Una caratteristica tipica sono le macchie bianche ai lati del collo, che non
formano un anello, nei giovani si manifestano alla prima muta intorno ai quattro mesi di
età. Il collo ha riflessi metallici verdastri. Durante il volo, sulla parte superiore delle ali,
sono molto evidenti delle fasce trasversali bianche che sono il principale segno di
riconoscimento dalle specie simili.
Biologia e riproduzione
Le popolazioni più settentrionali sono migratrici, quelle dell‟Europa centrale e,
soprattutto, dell‟Europa meridionale sono stanziali. Il nido, molto disordinato e di
piccole dimensioni se paragonato alla mole dell‟animale, viene costruito sugli alberi, la
femmina depone due uova a covata per 2 volte l‟anno. La cova dura in media 16 giorni
e i piccoli sono nutriti per circa un mese.
Distribuzione ed habitat
E‟ diffuso in tutto il territorio nazionale con esclusione di alcune aree delle regioni
meridionali. Specie forestale predilige i boschi di conifere, dove si riproduce, alternati a
coltivi, soprattutto cereali e leguminose. Le ghiande rappresentano un alimento molto
apprezzato, infatti durante l‟autunno si sposta nelle formazioni dominate da querce. La
modalità di diffusione a macchia di leopardo della popolazione nidificante, suggerisce
una stretta relazione con la qualità dei boschi e l‟estensione delle monocolture
(Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998), per cui la corretta gestione selvicolturale volta a
favorire la produzione di ghianda e di edera (estensione delle tagliate, rispetto del turno,
ecc.) legata alla diffusione sui terreni agricoli di pratiche meno intensive con un corretta
gestione delle rotazioni favoriscono senza dubbio questa specie.
TORTORA (Streptopelia turtur)
Descrizione
Specie paleartico-etiopica. In Italia è presente la sottospecie nominale diffusa in un
vasto areale che dalle Isole Canarie attraverso l‟Europa, l‟Asia Minore ed il Caspio, si
estende fino alla Siberia occidentale, a Sud delle steppe alberate del Kazakhstan.
Di dimensioni intermedie, il suo peso può variare tra 125 e 180 gr. Il piumaggio è vario:
il capo è grigio, le parti inferiori tendono al rosa fulvo, il dorso è rossiccio marrone, la
coda è scura con marcate punte bianche, il ventre è chiaro e contrasta con il resto del
corpo. Caratteristiche le due macchie a strie bianche e nere ai lati del collo.
Biologia e riproduzione
Specie nidificante estiva e migratrice regolare. È l‟unico Colombide migratore
transahariano strettamente granivoro durante tutto l‟anno. Adulti e giovani dell‟anno
lasciano assieme le aree di nidificazione da agosto a settembre con una coda fino
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all‟ottobre. Il passaggio è su fronte largo e tale stile viene mantenuto anche
nell‟attraversamento del Sahara. Il movimento migratorio primaverile è concentrato in
aprile-maggio, quando arrivano anche gli individui che nidificheranno in Italia.
Habitat
Quello riproduttivo è rappresentato da agrosistemi strutturalmente complessi con siepi,
alberature, boschi; ben nota è la preferenza per aree calde, soleggiate con possibilità di
abbeverata. Le aree preferite sono quelle collinari a vocazione cerealicola con ampie
fasce di vegetazione naturale. La presenza di coltivazioni di girasole ha un notevole
effetto positivo sulla densità delle popolazioni.
Conservazione e Gestione
La specie ha uno status di conservazione sfavorevole in Europa (SPEC 3: in declino).
Le cause del declino generale delle sue popolazioni sono tuttavia da ricercare in fattori
plurimi che coinvolgono la distruzione di habitat favorevoli alla nidificazione, l‟uso di
erbicidi, la pressione venatoria elevatissima, nonché i cambiamenti climatici delle aree
di svernamento africane.
A livello locale la creazione ed il mantenimento di siepi, filari alberati abbinati alla
creazione di fasce di colture a perdere con girasole, grano tenero ed altre graminacee ai
margini delle aree coltivate aumentano la possibilità di fruizione dell‟ambiente per la
vicinanza delle risorse trofiche e dei luoghi di sosta notturna e diurna.
2.9.1.3.4. Passeriformi
Relativamente all‟approccio ambientale, gli interventi a favore dell‟avifauna migratoria
devono essere orientati al ripristino ed al mantenimento degli habitat più idonei alla
riproduzione, alla migrazione ed allo svernamento (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998);
da questo punto di vista le pratiche di miglioramento ambientale utilizzate per favorire
la fauna stanziale conducono, nella maggior parte dei casi, anche ad un apprezzabile
miglioramento della recettività dei territori per i migratori.
È da sottolineare che il problema più rilevante nella gestione dei migratori è il mancato
coordinamento e complementarietà dei sistemi di gestione in tutte le aree in cui è
distribuita spazialmente e temporalmente una certa specie.
Prendendo in considerazione le specie migratrici più importanti ai fini venatori è
possibile elencare una serie di interventi specifici specifici:
ALLODOLA (Alauda arvensis)
E‟ presente in Italia sia come nidificante che come migratore ed ha come habitat
preferenziale le aree rurali di pianura e di bassa collina coltivate e le praterie naturali
(Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). A partire dal mese di settembre ai nidificanti, il cui
numero in ambito provinciale è molto limitato, si sovrappongono gli individui in
migrazione.
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Negli ultimi decenni la consistenza delle popolazioni europee è in diminuzione ed
attualmente il trend continua ad essere negativo.
La conduzione agronomica dei terreni ha quindi un forte impatto sulla qualità
dell‟habitat; le misure volte alla riduzione dell‟intensificazione, sia in termini di stretta
successione delle colture che dell‟impiego di prodotti fitosanitari che abbattono le
popolazioni di Insetti, hanno senz‟altro il pregio di migliorare la qualità dell‟habitat.
In ambito provinciale la gestione dei residui colturali sulle aree cerealicole e delle
praterie naturali può favorire lo svernamento della specie che viene segnalata con
numeri consistenti.
TORDO BOTTACCIO (Turdus philomelos)
Le parti superiori del corpo sono di colorazione uniforme marrone-oliva, l‟addome è
bianco con macchie di forma oblunga, appuntite di colore bruno, le ascelle, osservabili
durante il volo sono giallo-arancio. Il peso può variare tra 70 e 90 gr.
E‟ una specie migratrice parziale. L‟areale di nidificazione è in Europa centrosettentrionale mentre d‟inverno migra nei paesi mediterranei. La distribuzione come
nidificante, sul territorio nazionale, copre tutto l‟arco alpino e la dorsale appenninica. Le
nostre popolazioni sono in gran parte residenti e durante la cattiva stagione compiono
erratismi verso i fondovalle e le pianure. L‟alimentazione è costituita in gran parte da
bacche, frutti e molluschi gasteropodi. Nidifica tra i rami degli alberi, dove depone 3-5
uova.
Presente da metà settembre a metà-fine marzo. L‟habitat più favorevole è rappresentato
da boschi misti intervallati da cespugli e uliveti con tratti di macchia mediterranea.
Come misura di gestione si può proporre l‟incentivazione dell‟impianto ed il
mantenimento di siepi con essenze arbustive che forniscono frutti appetiti (biancospino,
prugnolo) insieme a piante arboree (sulle quali, ad esempio, si può arrampicare l‟edera i
cui frutti risultano molto appetiti), nonché il recupero ed il mantenimento di vigneti ed
oliveti abbandonati. Data l‟alimentazione basata anche sulla componente animale,
risulta essenziale la riduzione degli input chimici dannosi per gli insetti e per gli
invertebrati in genere.
Segnalato durante il periodo riproduttivo nei boschi delle Serre (Serra San Bruno), la
segnalazione merita approfondimento.
TORDO SASSELLO (Turdus iliacus)
La specie frequenta boschi di latifoglie e conifere, campagne alberate, margini dei
boschi e arbusteti, nutrendosi essenzialmente di frutta, bacche e semi (Simonetta e
Dessì-Fulgheri, 1998). Le siepi hanno un ruolo fondamentale nella produzione di risorse
trofiche (il vischio disponibile sulle vecchie piante) e quindi risulta importante il loro
impianto e/o mantenimento. Anche per il sassello è auspicabile la riduzione degli input
chimici nell‟attività agricola.
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La specie è meno abbondante sul nostro territorio e con una consistenza numerica molto
più variabile da un anno all‟altro.
CESENA (Turdus pilaris)
Specie tipicamente nomade ed invasiva, in inverno può improvvisamente comparire
(invasioni) in gran numero laddove siano disponibili adeguate risorse trofiche, sostando
fino all‟esaurimento delle stesse. Frequenta, prevalentemente, boschi aperti delle zone
interne, in genere a dominanza di Roverella , con presenza di Biancospino, Agrifoglio e
Tasso. Si nutre di Invertrebrati, frutti e semi, per cui valgono essenzialmente le
indicazioni fornite per gli altri turdidi.
MERLO (Turdus merula)
Questa specie risulta essere sia nidificante sia migratrice in Italia. La distribuzione sul
territorio provinciale è continua, non è presente su piccole aree del versante ionico.
Nidifica in ambienti con buona copertura boschiva ed arbustiva (boschi, zone
cespugliate, parchi urbani, giardini) e possiede un habitat non riproduttivo
eccezionalmente variabile, includendo boschi densi, diverse tipologie di coltivi, lande,
zone umide, parchi urbani e giardini (Cramp, 1988; Clement & Hathway, 2000).
L‟alimentazione è basata soprattutto sulla componente animale (Cramp, 1988; Sorace,
1992; Fontaneto et al.,1999; Clement & Hathway, 2000) ma in autunno integra con
prodotti di origine vegetale, semi, bacche e frutta. Date le sue caratteristiche ecologiche,
i miglioramenti più opportuni consistono nella creazione e mantenimento di siepi adatte
alla nidificazione ed all‟alimentazione, strutturate nello stesso modo e con le stesse
essenze descritte per il tordo bottaccio.
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2.9.1.4. MAMMALOFAUNA
La mammolofanuna della provincia di Vibo Valentia, come quella dell‟intero territorio
calabro, è piuttosto ricca di specie. Nella Tabella 8 è riportata una check-list delle specie
di mammiferi presenti nel territorio provinciale evidenziando il loro inserimento
nell‟allegato II e IV della Direttiva CEE 43/93.
Tra le specie estinte e sicuramente presenti in regione fino al 1950 va annoverata la
Lontra (Lutra lutra), grande mustelide che può raggiungere i 120 cm di lunghezza, e
che per vivere ha bisogno di acque pulite e non frequentate dall'uomo, con rive coperte
da ampi tratti di boschi ripariali. Notizie incerte, riguardano ad oggi, la presenza sul
territorio calabrese, dell‟Istrice, mentre tra gli artiodattili il capriolo è segnalato con
alcuni individui non appartenenti alla sottospecie italicus presenti in un recinto a
Mongiana.
Tabella 8 – Check-list delle specie di mammiferi della Provincia di Vibo Valentia.
MAMMIFERI
Dir. CEE 92/43/
All. 2
INSETTIVORI
Erinaceidi
1
Riccio europeo (Erinaceus europaeus, Linnaeus, 1758)
Soricidi
2
Toporagno nano (Sorex minutus, Linnaeus, 1766)
3
Toporagno comune (Sorex araneus, Linnaeus, 1758)
4
Toporagno italico od appenninico (Sorex samniticus, Altobello,
1926)
5
Toporagno acquatico di Miller (Neomys anomalus, Cabrera,
1907)
113
All. 4
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6
Mustiolo (Suncus etruscus, Savi, 1822)
7
Crocidura a ventre bianco (Crocidura leucodon, Hermann, 1780)
8
Crocidura minore o Crocidura odorosa (Crocidura suaveolens,
Pallas, 1811)
Talpidi
9
Talpa romana (Talpa romana, Thomas, 1902)
CHIROTTERI
Rinofolidi
10 Rinolofo eurìale (Rhinolophus euryale, Blasius, 1853)
*
11 Rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum, Schreber, *
1774)
12 Rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros, Bechstein, 1800)
*
13 Rinolofo di méhely (Rhinolophus mehelyi, Matschie, 1901)
*
Vespertilionidi
14 Barbastello comune (Barbastella barbastellus, Schreber, 1774)
*
15 Seròtino comune (Eptesicus serotinus, Schreber, 1774)
16 Pipistrello di Savi (Hypsugo savii, Bonaparte, 1837)
17 Vespertilio di bechstein (Myotis bechsteinii, Kuhl, 1817)
*
18 Vespertilio di Blyth (Myotis blythii, Tomes, 1857)
*
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19 Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii, Bonaparte, 1837)
*
20 Vespertilio di Daubenton (Myotis daubentonii, Kuhl, 1817)
21 Vespertilio smarginato (Myotis emarginatus, E. Geoffroy, 1806)
*
22 Vespertilio maggiore, (Myotis myotis, Borkhausen, 1797)
*
23 Vespertilio mustacchino (Myotis mystacinus, Kuhl, 1817)
24 Vespertilio di Natterer (Myotis nattereri, Kuhl, 1817)
25 Nottola gigante (Nyctalus lasiopterus, Schreber, 1780)
26 Nottola comune (Nyctalus noctula, Schreber, 1774)
27 Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii, Kuhl, 1817)
28 Pipistrello di Nathusius (Pipistrellus nathusii, Keyserling et
Blasius, 1839)
29 Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus, Schreber, 1774)
30 Orecchione meridionale o grigio (Plecotus austriacus, Fischer,
1829)
Miniopteridi
31 Miniottero di Schreiber (Miniopterus schreibersii, Kuhl, 1817)
Molossidi
32 Molosso di cestoni (Tadarida kenioti, Rafinesque, 1814)
LAGOMORFI
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Leporidi
33 Lepre comune o europea (Lepus europaeus, Pallas, 1778)
34 Lepre italica (Lepus corsicanus, De Winton, 1898)
RODITORI
Sciuridi
35 Scoiattolo comune (Sciurus vulgaris, Linnaeus, 1758)
Gliridi
36 Quercino (Eliomys quercinus, Linnaeus, 1766)
37 Driomio (Dryomys nitedula, Pallas, 1779)
38 Ghiro (Glis glis, Linnaeus, 1766)
39 Moscardino (Muscardinus avellanarius, Linnaeus, 1758)
Muridi
40 Arvicola rossastra o dei boschi (Clethrionomys glareolus,
Schreber, 1780)
41 Arvicola terrestre (Arvicola terrestris, Linnaeus, 1758)
42 Arvicola di savi (Microtus savii, de Sélys-Longchamps, 1838)
43 Topo selvatico a collo giallo (Apodemus flavicollis, Melchior,
1834)
44 Topo selvatico (Apodemus sylvaticus, Linnaeus, 1758)
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45 Topo domestico (Mus domesticus, Schwarz et Schwarz, 1943)
46 Ratto nero o dei tetti (Rattus rattus, Linnaeus, 1758)
47 Ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus, Berkenhout, 1769)
Istricidi
48 Istrice (Hystrix cristata, Linnaeus, 1758)
CARNIVORI
Canidi
49 Lupo (Canis lupus, Linnaeus, 1758)
50 Volpe (Vulpes vulpes, Linnaeus, 1758)
Mustelidi
51 Tasso (Meles meles, Linnaeus, 1758)
52 Donnola (Mustela nivalis, Linnaeus, 1766)
53 Puzzola (Mustela putorius, Linnaeus, 1758)
54 Faina (Martes foina, Erxleben, 1777)
55 Martora (Martes martes, Linnaeus, 1758)
Felidi
56 Gatto selvatico (Felis silvestris, Schreber, 1777)
ARTIODATTILI
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Suidi
57 Cinghiale (Sus scrofa, Linnaeus, 1758)
Cervidi
58 Daino (Dama dama, Linnaeus, 1758)
59 Capriolo (Capreolus capreolus, Linnaeus, 1758) (in recinto)
Di seguito sono analizzate in dettaglio le principali specie di mammiferi, esaminando in
particolare quelle sottoposte all‟esercizio venatorio.
Specie oggetto di gestione venatoria
LEPRE COMUNE O LEPRE EUROPEA (Lepus europaeus Pallas, 1778)
Sistematica
Ordine: Lagomorfi
Famiglia: Leporidi
Sottofamiglia: Leporini
Genere: Lepus
Specie: europaeus Pallas;
Cenni storici e diffusione
Diversamente da altre specie selvatiche, in Italia la consistenza della lepre comune,
negli ultimi decenni, è andata via via aumentando per effetto di ripetute introduzioni,
principalmente a scopo venatorio, estendendosi così dal Centro-nord a tutto il Sud, con
la sola eccezione della Sicilia. Si è trattato di “importazioni” di soggetti di provenienza
centro-europea che inevitabilmente hanno comportato un inquinamento del pool genico
autoctono. La lepre europea esibisce un areale di diffusione molto ampio, esteso
all‟intera Europa, al Nord Africa e, verso est, sino al Medio Oriente.
Aspetti Morfologici
La taglia di questo interessante lagomorfo varia da piccola, nella lepre italica (2-4kg
circa), a media, nella lepre europea (3-6kg). L‟accentuato dimorfismo interspecifico si
può considerare un adattamento al regime termico dell‟habitat in cui si diffuse la specie
italica, caratterizzato da temperature mediamente più elevate. L‟animale esibisce
l‟habitus tipicamente dolicomorfo caratteristico dei grandi corridori, il corpo è quindi
slanciato (nella lepre europea, lungo sino a 70cm, coda compresa, sino a 55cm nella
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lepre italica) ed assai flessuoso. Caratteristiche sono le orecchie, nella specie Europea
lunghe anche 8-14cm, ed il muso che, in quanto Leporide, naturalmente è fesso. La
pelliccia, densa e morbida, acquisisce sfumature differenti a seconda della stagione e
della specie: varia dal fulvo al grigio-rossiccio. Il ventre si presenta sempre bianco. Le
principali differenze fra le due specie riguardano le cosce ed il groppone che nella lepre
italica appaiono di colore bruno-ocra-rossiccio invece che bruno-grigiastro, la nuca e la
parte dorsale del collo che sono grigio-nerastre nella specie italica e bruno-rossiccie
nella lepre comune ed, infine, il ventre la cui colorazione bianca nella lepre italica si
distingue nettamente dal resto del mantello mentre nella lepre comune si ravvisa
piuttosto una transizione “sfumata”.
Habitat ed alimentazione
Il bioma d‟origine della lepre è certamente la steppa ma nei nostri ambienti ha trovato
un ottimo surrogato nella prateria mediterranea. Nel tempo, inoltre, ha colonizzato
sempre più frequentemente gli agro-ecosistemi sia per l‟ovvia attrattiva esercitata dalla
possibilità di attingere alle colture erbacee, sia per la più uniforme distribuzione delle
risorse alimentari nel corso dell‟anno, dovuta alla rotazione agraria. In merito però è da
precisare che la lepre europea si rivela più elastica ed adattabile, mentre la specie italica
sembra più fortemente legata agli ecosistemi naturali e meno facilmente si risolve a
frequentare le zone coltivate. La lepre è da inquadrare fra gli erbivori stretti od
obbligati. Erbe, radici ed altra biomassa vegetale (gemme, corteccia) costituiscono in
toto la dieta “tipo” di questo animale.
Riproduzione
La lepre comune raggiunge la maturità sessuale entro l‟anno di età. Il comportamento
riproduttivo di questo mammifero sembra condizionato dal fotoperiodo, più
precisamente dall‟allungamento delle giornate: si tratta quindi di una specie longidiurna.
L‟attività riproduttiva si estrinseca sostanzialmente in tardo inverno-primavera,
soprattutto fra aprile e luglio. Gli accoppiamenti fanno seguito a turbolente dispute fra i
maschi. La specie è poligama, di conseguenza ogni maschio tende ad accoppiarsi con il
maggior numero possibile di femmine e, di converso, ciascuna femmina può essere
montata da diversi maschi. La gestazione dura 4-6 settimane. La numerosità della
cucciolata può dipendere da fattori diversi, soprattutto dall‟ordine di parto (primipara o
pluripare) e dalla disponibilità di risorse alimentari, in ogni caso varia da 1 a 6 leprotti.
Un aspetto rimarchevole della riproduzione delle lepri è il fenomeno della
superfetazione, ovvero la possibilità per la femmina di essere nuovamente fecondata pur
non avendo ancora espletato il parto. Mediamente si osservano 4-5 cucciolate/anno, ma
se ne sono contate sino a 7. Diversamente dai coniglietti, i cuccioli di lepre appena nati
sono già provvisti di pelo, hanno gli occhi aperti e sono capaci di seguire da subito la
madre. Lo svezzamento è assai precoce, per lo più ad un mese dalla nascita, di solito, i
piccoli si allontanano dalla madre. In tal senso la specie evidenzia scarsa socialità.
Dinamica di popolazione
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La penisola italiana ospita fra le altre, la lepre comune o europea e la lepre italica.
L‟attenzione che bisogna porre nell‟implementare un programma di ripopolamento
risiede soprattutto nel fatto che la lepre europea è vettore di varie patologie
potenzialmente perniciose per la cugina italica, in quanto ad essa sconosciute. Non deve
destare invece preoccupazione l‟eventuale sovrapposizione degli areali di diffusione
(simpatria) per via della forte barriera di fertilità esistente fra le due specie, testimoniata
dall‟assenza di esemplari con fenotipi intermedi tra la lepre italica e la lepre europea e
dalla mancanza di introgressione genica di una specie nell‟altra. Le principali cause
minaccia per la specie italica sono da ricondurre principalmente alla riduzione e
frammentazione dell‟areale, che espongono il piccolo lagomorfo nostrano al rischio di
erosione della variabilità genetica. Inoltre, nei casi in cui si verifica simpatria, la
somiglianza della lepre italica a quella europea costituisce un serio svantaggio perché
non sempre è facile o possibile discernere la specie cacciabile (la lepre comune) da
quella protetta.
LEPRE ITALICA (Lepus corsicanus De Winton, 1898)
Sistematica
Ordine: Lagomorfi
Famiglia: Leporidi
Sottofamiglia: Leporini
Genere: Lepus
Specie: corsicanus De Winton.
Cenni storici e diffusione
Come già detto a proposito della lepre europea, la validità tassonomica della lepre
italica come buona specie è stata confermata con più studi a partire dal 1996, studi che
fin dagli inizi hanno riguardato proprio esemplari della Calabria (Mongiana - VV).
Attualmente però il suo status è seriamente compromesso a causa delle trasformazioni
dell‟habitat, dell‟attività venatoria e, come se ciò non bastasse, anche a causa
dell‟immissione sul territorio di migliaia di capi di lepri europee, con possibili fenomeni
di competizione e diffusione di patologie comuni (ad es. l‟E.B.H.S.). La conseguenza di
tutto ciò è che la lepre italica è presente solo in alcune “isole” residuali, anche se manca,
purtroppo, ancora una precisa conoscenza della distribuzione e della consistenza degli
effettivi. Ricerche realizzate direttamente dall‟ex INFS circa 10 anni or sono, hanno
consentito di identificare la specie anche all‟esterno del Parco Nazionale
dell‟Aspromonte (Bianco), in un‟area dove erano stati realizzati ripopolamenti
consistenti con la lepre europea. Va ricordato che la lepre italica, a differenza della lepre
europea, è una specie protetta, ma la difficoltà di riconoscimento da parte dei cacciatori
determina abbattimenti illegali, che minacciano la sopravvivenza della specie all‟esterno
delle aree protette. Per il recupero della specie il Ministero dell‟Ambiente, del Territorio
e del Mare ha predisposto un Piano d‟azione (Trocchi e Riga, 2001).
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Figura 15 - Distribuzione della lepre italica (dati ISPRA, segnalazioni accertate nel
corso degli ultimi 15 anni).
Nel complesso, la Lepre italica è classificata come specie “minacciata”, nella categoria
“Vulnerabile”, sia a livello europeo IUCN Red List (Europa), 2007 (Appendice 1), sia a
livello globale, IUCN Red List, 2008 (criteri 2001).
Morfologia
La lepre italica è simile nell'aspetto generale alla lepre europea, ma ha forme
relativamente più slanciate. La lunghezza della testa e del corpo, della coda, del piede
posteriore e, soprattutto, le orecchie sono proporzionalmente più lunghe (9-10cm),
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mentre il peso medio degli adulti è di circa 800 gr. inferiore. Relativamente al mantello,
coscia e groppone appaiono bruno-ocra-rossicci; la parte dorsale del collo e della nuca,
grigio-nerastre; negli adulti si osserva una colorazione grigia della porzione basale del
pelo centrodorsale (tra le scapole) ed infine, esiste una separazione netta tra la
colorazione bianca del ventre e quella dei fianchi.
Le peculiarità morfologiche rappresentano probabilmente un adattamento della lepre
italica al clima caldo degli ambienti mediterranei, a differenza della lepre europea, che è
meglio adattata agli ambienti con clima continentale.
Habitat ed alimentazione
La distribuzione ecologica della lepre italica conferma l‟adattamento prevalente della
specie agli ambienti a clima mediterraneo, benché essa sia presente dal livello del mare
fino a 2.000 m s.l.m. in Appennino e a 2.400 m s.l.m. sull‟Etna. Gli ambienti preferiti
sono quelli rappresentati da un‟alternanza di radure, anche coltivate, ambienti
cespugliati e boschi di latifoglie; inoltre, può occupare aree di macchia mediterranea
con densa copertura vegetazionale, compresi gli ambienti dunali.
Con riferimento al comportamento alimentare della lepre italica, presenta una dieta
molto diversificata, con una netta preferenza nei confronti delle Graminacee, così come
osservato in altri Lagomorfi, sia in estate che in inverno, mentre il consumo di tali
piante in primavera addirittura si accresce, nonostante la maggiore disponibilità di
alimenti alternativi. La specie dimostra, inoltre, capacità di adattamento alimentare
rispetto a condizioni climatiche estreme (forte aridità nel periodo estivo e innevamento
consistente nel periodo invernale).
Riproduzione
Le conoscenze sulla biologia riproduttiva di questa specie sono scarse, comunque è stata
accertata la possibilità di riproduzione in tutti i mesi dell‟anno, con una concentrazione
dei parti in primavera. A differenza della lepre europea, manca di una diapausa
riproduttiva stagionale (analogamente a quanto verificato nella lepre sarda). La
dimensione massima delle figliate osservate su femmine gravide è risultata di 4 feti, con
una media di 1,6 per parto ed una media di circa 3 parti all‟anno
Dinamica di popolazione
Ancora poche indagini sono state compiute per valutare la densità della specie sul
territorio. I primi risultati di studi in corso, realizzati con la tecnica dello spot light
census, interessano quasi 1.000 km di percorsi campione nell‟Italia centro-meridionale
(Calabria compresa) ed in Sicilia (dati ISPRA).
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Tabella 9 – Indice di densità (n./km2  D.S.) delle lepri in aree protette e di caccia
dell'Italia centrale e meridionale e in Sicilia.
Areale
Aree protette
Territori di caccia
Penisola (Lepus sp.)
11,44  32,77
0,53  1,28
Sicilia lepre italica
10,44  11,98
2,09  0,33
La tabella evidenzia come in Sicilia e nella Penisola vi siano analoghe densità delle lepri
sul territorio, tuttavia, nella seconda area il dato si riferisce alla presenza cumulativa
della lepre europea e della lepre italica. Tale condizione potrebbe riflettere
un‟interferenza sfavorevole della specie introdotta rispetto a quella autoctona, così come
una sostanziale vicarianza tra esse. Rimarchevole è la differenza di densità tra le aree
protette e quelle ove è ammesso l'esercizio venatorio. La tendenza complessiva della
popolazione peninsulare è di decremento.
CINGHIALE (Sus scrofa, Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Artiodattili
Sottordine: Suiformi
Famiglia: Suidi
Genere: Sus
Specie: scrofa Linneo
Sottospecie presenti in Italia: Sus scrofa scrofa
Sus scrofa majori
Sus scrofa meridionalis
Cenni storici e diffusione
Il cinghiale (Sus scrofa) è distribuito su un vastissimo areale in tutto l‟emisfero
settentrionale ed ha dato origine a un gran numero di sottospecie. In Italia, venivano
individuate 3 sottospecie, Sus scrofa scrofa con distribuzione alpina, Sus scrofa majori
che si ritrova nell‟Italia Centrale e Meridionale e Sus scrofa meridionalis presente in
Sardegna, anche se recentemente questa suddivisione è in corso di revisione (Larson et
al., 2005; Scandura et al., 2008).
Attualmente il cinghiale è uniformemente distribuito della Valle D‟Aosta alla Calabria
sia perche l‟uomo ha gradualmente abbandonato campagne e montagne (lasciando
quindi molti territori liberi della presenza antropica), sia a causa delle continue ed
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indiscriminate immissioni della specie a scopo venatorio in tutto il territorio nazionale.
Nella provincia di Reggio Calabria, dopo la lepre, il cinghiale rappresenta la specie di
interesse venatorio più diffusa nelle aree boscate interne.
Habitat e alimentazione
Per una specie dalla alta valenza ecologica come il cinghiale, oltremodo adattabile alle
più disparate situazioni ambientali, è difficile individuare un solo ambiente chiave che
comunque si può sintetizzare con la definizione di “aree forestali collinari-montane di
caducifoglie fruttifere”. Necessarie sono pure le radure, i prati e la ricchezza d‟acqua
per i frequenti bagni di fango.
Vista la sua plasticità, il cinghiale occupa ogni ambiente disponibile, agevolato in
questo da una dieta onnivora, con prevalenza delle componenti vegetali (ghiande,
castagne, radici, tuberi,bulbi e vegetali semi-legnosi).
Riproduzione
Le popolazioni di cinghiale sono caratterizzate da un punto di vista dell‟organizzazione
sociale da una gregarietà alla quale si sottraggono solo i maschi di più di 2 anni che, per
la maggiore parte del loro tempo, vivono solitari. Oltre questi, si possono osservare 3
tipologie di branco: gruppi femminili con poche femmine anziane e prole numerosa e
alcuni giovani verri; branchi di femmine con prole accompagnate da giovani maschi;
piccoli gruppi di giovani maschi isolati o di giovane femmine senza prole. In ogni
situazione ben strutturata, ogni gruppo ha come guida una femmina d‟esperienza ed è in
grado di sfruttare pienamente le risorse del territorio.
Il periodo riproduttivo è molto variabile, in funzione del clima e dell‟abbondanza
alimentare, ma le nascite sono in genere comprese tra gennaio e agosto. La prima
gravidanza può anche avvenire, nelle annate particolarmente favorevoli con elevata
produzione di frutti forestali (ghiande, castagne e faggiole), anche in soggetti di 10 mesi
che entrano in estro quando raggiungono un peso soglia di circa 30 Kg. Anche se vi
possono essere notevoli sfalsamenti nei periodi delle nascite, non sono accertati casi di
due parti/anno.
Dinamica di popolazione
In conseguenza della bassa età in cui le femmine iniziano a partecipare alla riproduzione
e dell‟elevata dimensione delle cucciolate, le popolazioni di cinghiale sono in grado di
produrre tassi di accrescimento annuali molto elevati che possono andare dal 70 fino al
150 %. In media possiamo dire che in condizioni normali una popolazione di cinghiale
si incrementa del doppio in una anno.
La dinamica di popolazione della specie è strettamente correlata all‟andamento delle
fruttificazioni delle fagaceae (querce, castagno, faggio): nelle annate di pasciona,
ovvero di elevata fruttificazione, si hanno le seguenti conseguenze:
estro anticipato delle femmine
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maggiore % di scrofe < 1 anno che si riproducono
dimensione media della cucciolata più elevata
VOLPE (Vulpes vulpes, Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Carnivori
Famiglia: Canidi
Genere: Vulpes
Specie: vulpes L.
Cenni storici e diffusione
La volpe rossa, o volpe comune è la più nota e diffusa rappresentante del gruppo di
specie indicate genericamente col termine di vulpes.
Morfologia
Si distingue per il muso appuntito e la coda lunga e folta. Il mantello è generalmente
rosso-bruno dorsalmente e bianco ventralmente.
Habitat ed alimentazione
La volpe è notoriamente un animale difficile da studiare, sia per le sue preferenze
spaziali che per quelle ambientali ed alimentari (praticamente onnivora). La si può
incontrare di frequente sia sulle coste che nelle zone montuose. Occupa territori le cui
dimensioni possono variare - a secondo dell‟habitat – da 5 a 50km2, i cui confini
vengono scrupolosamente marcati con urina e feci. Spesso scava tane nel terreno o
usufruisce di quelle dei tassi o dei conigli selvatici.
Da un punto di vista alimentare, la volpe comune presenta uno spettro molto ampio, dal
momento che le sue prede vanno dalle larve di maggiolino fino ai giovani di capriolo,
con una spiccata predilezione per i roditori. In tal senso, la sua azione risulta di grande
utilità per l‟agricoltura, anche se non esiste un‟animale più odiato degli agricoltori. Il
cibo in eccesso viene accuratamente nascosto e/o seppellito.
La volpe rossa è essenzialmente un animale solitario che si riunisce in coppia durante il
periodo riproduttivo, tollerando un‟ulteriore femmina detta β sul proprio territorio. Fra i
suoi nemici naturali, annovera principalmente il lupo seguito dall‟aquila e dai grandi
rapaci notturni: per proteggersi fa ricorso essenzialmente ad un atteggiamento di
prudenza massima ed ai propri sensi sviluppati.
Dinamica di popolazione
In tutta la penisola, l‟aumento della sua consistenza numerica appare strettamente legato
al grado di antropizzazione del territorio. Infatti la crescita della popolazione di
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quest‟animale, è da porre in connessione con l‟abbandono delle aree marginali e la
conseguente riduzione di controllo venatorio sulla specie. Inoltre, i rifiuti urbani, i frutti
non raccolti e la presenza di carogne, offrono facili alternative alle prede più usuali.
In ultimo, non è da trascurare il fatto che il frequente ripopolamento con piccola
selvaggina offre alla volpe una grande quantità di prede facilmente catturabile. Come
contropartita dell‟aumento della sua presenza sul nostro territorio, c‟è da osservare
l‟impatto negativo esercitato sugli animali da cortile e sulle piccole specie d‟interesse
venatorio.
Per quanto concerne le specie d‟interesse venatorio presenti nel territorio provinciale,
appare evidente che la presenza di numerose volpi può influire molto negativamente
sulle popolazioni di lagomorfi, soprattutto in considerazione del fatto che i
ripopolamenti effettuati in seno a questi ultimi piccoli mammiferi si dimostrano
qualitativamente inappropriati.
Al momento attuale, non si hanno elementi probanti che consentano una valutazione
certa dell‟impatto predatorio della volpe su specie come lepre, fagiano e coturnice.
Conseguentemente, si possono produrre solo ipotesi prudenziali che riescano ad ispirare
una serie di comportamenti gestionali tendenti a mantenere il necessario equilibrio fra
quantità di prede e predatori.
CAPRIOLO (Capreolus capreolus, Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Artiodattili
Sottordine: Ruminanti
Famiglia: Cervidi
Sottofamiglia: Capreolini
Genere: Capreolus
Specie: capreolus Linneo
Sottospecie presenti in Italia: Capreolus capreolus capreolus
Capreolus capreolus italicus
Cenni storici e diffusione
I caprioli rappresentano un genere assai noto in Europa e sono spesso confusi dai
profani con i piccoli di cervo. Attualmente nel nostro continente, vengono suddivisi in 3
sottospecie, di cui 2 sono segnatamente italiane: Capreolus capreolus capreolus diffuso
in tutto l‟arco alpino, nel Appennino settentrionale, in Abruzzo e in Sila; Capreolus
capreolus italicus presente nelle province di Siena e Grosseto, nel Gargano, nella tenuta
presidenziale di Castel Porziano e sui monti di Orsomarso.
Il capriolo è uno degli ungulati più diffusi e anche più conosciuti. Oltre ai 2 grandi
subareali (alpino e appenninico) piccoli areali disgiunti sono presenti nel centro e
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nell‟Italia Meridionale: uno nel Parco Nazionale dell‟Abruzzo e uno nel massiccio
silano.
Di taglia medio-piccola, il capriolo supera raramente i 30 Kg di peso.
Habitat
Tipico animale di boscaglia, ha il corpo breve, più alto sulla groppa, palchi piccoli e
qualità comportamentali caratteristiche, come la tendenza a vivere isolato. Il suo
optimum ecologico è da individuarsi nei territori di pianura, collina e media montagna
caratterizzati da alternanza di aree boscate, pascoli e coltivi, e ricchi di fasce ecotonali,
purché con scarsa copertura nevosa. Comunque la specie si adatta alle più disparate
situazioni ambientali, delle foreste di conifere alla macchia mediterranea.
Dinamica di popolazione
Fino alla prima metà del XVIII secolo, la specie era numericamente rappresentata
nell‟intera parte continentale dell‟Italia, oltre che in Sicilia. Nei decenni successivi, col
crescere della popolazione umana, una sempre maggior parte del territorio venne
destinata all‟attività agro-silvo-pastorale e conseguentemente sottratta all‟areale della
specie, rallentando così l‟accrescimento della popolazione, anche a causa dell‟attività
venatoria persecutoria a cui il capriolo è stato oggetto. Tale fenomeno estremamente
negativo, raggiunse il suo culmine nell‟immediato dopoguerra. Dalla fine degli anni
„60, si è potuta verificare un‟inversione di tendenza grazie alla quale la specie ha
riconquistato pian piano una cospicua parte del proprio areale storico, fatta eccezione
per i sub-areali dell‟Italia Centro-meridionale dove il capriolo è limitato in piccole
porzioni del suo antico territorio.
In Calabria sono attualmente presenti due sub-areali: quello della Sila occupato da una
popolazione appartenente alla sottospecie nominale originata da reintroduzioni con
soggetti europei, ed un nucleo relitto di capriolo italico entro il Parco Nazionale del
Pollino, presso Orsomarso. Recentemente è stata effettuata una operazione di
reintroduzione con soggetti di capriolo italico nel Parco nazionale dell‟ Aspromonte. In
provincia di Vibo Valentia il capriolo è attualmente assente; è stata segnalata la
presenza di un piccolo nucleo in cattività a Mongiana, certamente appartenente alla
forma nominale.
Per tutto quanto sopra esposto, è chiaro che il capriolo mostra uno stato di
conservazione più che soddisfacente nella parte centro-settentrionale dell‟Italia, mentre
nel meridione il suo stato di conservazione appare pericolosamente precario, soprattutto
quello della sottospecie italicus che è a forte rischio di scomparsa o di inquinamento
genetico da parte della forma nominale.
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DAINO (Dama dama, Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Artiodattili
Famiglia: Cervidi
Genere: Dama
Specie: dama L.
Cenni storici e diffusione
Sull'areale originario del daino esistono tesi molto controverse, ma tutte concordano nel
definirlo indigeno della regione mediterranea. Molti zoologi indicano la sua presenza in
Italia come frutto di introduzioni operate in epoca classica. C‟è da dire però che in molti
giacimenti fossiliferi a mammalofauna il daino è presente sia con forme arcaiche (Dama
clactoniana), sia con il daino attuale (Dama dama). In alcuni giacimenti (Roma,
Vitinia) la presenza del daino fossile è abbondantissima. Fu introdotto sicuramente
dall‟uomo in gran parte d‟Europa dalla Scandinavia meridionale alla Gran Bretagna,
dalla penisola Iberica ai Balcani, così come pure nel nord Italia ai fini venatori e per la
sua bellezza che lo rende un vero ornamento di parchi e giardini (famose le “Valli dei
daini” presenti in molte ville rinascimentali).
In Calabria sono presenti tre piccoli nuclei, a Cosenza ed a cavallo fra le province di
Reggio Calabria e Vibo Valentia (http://www.bighunter.it).
Morfologia
Corpo robusto ed allungato, arti lunghi e relativamente robusti, coda evidente. Mantello
di colore bruno-rossiccio in estate con macchie bianche sui fianchi e sul dorso, con testa
più scura. Il posteriore è caratterizzato dal cosiddetto specchio anale, molto evidente
osservando gli animali in fuga, composto dalla coda e dalla zona perianale vera e
propria, bianchi, orlati e con parte centrale neri. In inverno le macchie sul mantello
spariscono e il colore diventa più scuro. Poiché il daino è stato utilizzato nei secoli
come animale ornamentale, esistono delle varietà di colore nero, bianco e di varie
sfumature del marrone. I maschi possiedono palchi di corna caduche caratterizzate
dall‟essere composte da due cime, inferiore e mediana, con la punta tipicamente
appiattita (pala); il daino perde le corna in aprile-maggio e le riforma completamente
entro agosto-settembre.
Habitat
E' una specie molto adattabile, ma il suo habitat preferenziale è sicuramente il bosco
rado di latifoglie situato in pianura o bassa collina, intervallati da radure e pascoli.
Tuttavia si adatta facilmente a tutte le zone boschive, dalla macchai mediterranea fino
alla montagna, purché non oggetto di forte innevamento.
Riproduzione
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Animale molto sociale, il daino vive in grossi branchi, unisessuali durante l‟anno, misti
durante il periodo degli amori che coincide in genere con l‟autunno. Il daino non forma i
cosiddetti harem, tipici di altre specie di cervidi. La gestazione dura circa otto mesi al
termine della quale viene partorito di solito un piccolo, raramente due.
Alimentazione
Ungulato tipico dei boschi di latifoglie e della macchia mediterranea, da un punto di
vista alimentare, il daino dimostra grande plasticità comportandosi sia da pascolatore
che da brucatore. Si ciba di piante erbacee, radici, germogli, fogliame, ghiande,
castagne, frutti selvatici in genere. D‟inverno può scortecciare gli alberi, così che dove
la densità di questo ungulato è eccessiva si hanno danni al bosco.
Dinamica di popolazione
La specie oggi presenta una distribuzione che è conseguenza delle numerose operazioni
di immissione effettuate nel passato. A dimostrazione di ciò, vi è anche il suo elevato
grado di domesticazione e la presenza di 4 colorazioni di mantello. Il suo carattere
gregario associato alla limitata capacità di dispersione, permette localmente di
raggiungere densità elevate ( più di 30 capi su 100 ha). Il solo predatore del daino adulto
è il lupo, mentre i neonati possono essere occasionalmente vittime della volpe; tuttavia
il principale predatore del daino è costituito dai cani, inselvatichiti o domestici, oltre
naturalmente all‟uomo. Il daino presenta problemi quindi più di gestione che di
conservazione e ciò suggerisce una particolare cautela nella valutazione immissione di
questo ungulato.
Specie di cui agli allegati II e IV della Direttiva habitat
GATTO SELVATICO (Felis sylvestris, Schreber, 1777)
Sistematica, status e distribuzione
Ordine: Carnivori
Famiglia: Felidi
Genere: Felis
Specie: sylvestris Schreber
Cenni storici e diffusione
Solitamente si associa il gatto selvatico (Felis silvestris) alle foreste di latifoglie miste o,
in Sardegna, di macchia mediterranea. In Italia il gatto selvatico vive principalmente
sulle Alpi liguri al confine con la Francia, sulle Alpi Carniche al confine con la
Jugoslavia e lungo la dorsale appenninica centrale fino alla Sicilia. Si distinguono due
sottospecie di gatto selvatico: il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris) e il
gatto selvatico sardo (Felis silvestris libyca) che appartiene al gruppo libyca,
comprendente i gatti selvatici africani e del Medio Oriente. La specie è inserita
dall'IUCN nella categoria di minaccia LC-Least Concern (a rischio minimo).
Morfologia
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Il suo aspetto ricorda quello di un gatto soriano ma ha la testa più grande e il pelo più
scuro. I maschi si differenziano dalle femmine per la taglia, decisamente superiore
(3,500-5,550 kg), anche se vi possono essere delle variazioni a seconda delle stagioni. Il
gatto selvatico sardo risulta invece decisamente più piccolo (1,550 - 3,300 kg).
Alimentazione
Esclusivamente carnivoro, questo affascinante felino è un cacciatore notturno e si ciba
di piccole prede (roditori, uccelli, lagomorfi, piccoli rettili, insetti). Il gatto selvatico
possiede un tipo di organizzazione sociale dove vige una rigida ripartizione dello spazio
tra individui dello stesso sesso (tra maschi e femmine invece è possibile una
sovrapposizione degli spazi). Questo tipo di organizzazione sociale, sostanzialmente
solitaria, non permette a questa specie di raggiungere densità elevate in natura.
Dinamica di popolazione
Le conoscenze finora acquisite sulla distribuzione di questo felide non sono molte. Ciò
è dovuto sia alla natura di questo animale, particolarmente elusivo, sia alle difficoltà
oggettive di identificarlo: il gatto selvatico infatti viene spesso confuso con quello
domestico.
E' difficile definire con esattezza la consistenza e lo stato delle popolazioni di questa
specie. Tra i fattori di minaccia vi sono quelli tristemente comuni a tutte le popolazioni
selvatiche come la modificazione e la frammentazione degli habitat e il bracconaggio,
cui se ne aggiunge, in questo caso, una più specifica e, per così dire peculiare a questa
specie: l'ibridazione con il gatto domestico che incide a tal punto da essere considerata
in alcune regioni d'Europa addirittura il principale fattore di minaccia. Per questo
motivo in Italia si dovrebbe aumentare il controllo delle popolazioni ferali di gatto
domestico, soprattutto in quelle aree dove è stata accertata la presenza del gatto
selvatico.
LUPO (Canis lupus, Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Carnivori
Famiglia: Canidi
Genere: Canis
Specie: lupus
Sottospecie: italicus
Cenni storici e diffusione
Nelle Alpi la brutale azione dell'uomo ha estinto il lupo all'inizio del 1900; oggi si
stimano in Italia circa 800 individui, distribuiti dalla Calabria al Piemonte, mentre sono
stati individuati i primi gruppi in Valle d‟Aosta e Lombardia. La protezione di cui ha
goduto negli ultimi decenni questo superbo animale, fa ben sperare, per la sua ripresa
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demografica. In Calabria, oltre al massiccio della Sila, il lupo è presente anche nell‟area
del Parco Naturale delle Serre (http://www.parcodelleserre.it)
Morfologia
Di taglia media (30 - 40 Kg nei maschi, 20-25 kg nelle femmine), è caratterizzato da arti
lunghi, torace possente, testa con fronte larga e sfuggente, occhi obliqui e orecchie
erette. Dal punto di vista fisiologico il lupo presenta una sola riproduzione all'anno.
Il mantello è policromatico, sfuma dal beige carico della porzione ventrale al beigerossiccio dei fianchi fino al nerastro della larga gualdrappa che corre lungo la groppa e
la coda. Nel mezzo del dorso presenta una fascia di circa dieci e più centimetri di colore
grigio-nero. Il sottopelo è di colore nocciola chiaro. Lateralmente al dorso e i fianchi
sono grigio-fulvi, petto e addome color fulvo-chiaro, parti interne degli arti biancastre.
La testa è grigia, muso grigio-fulvo dorsalmente, grigio-biancastro ventralmente,
guance, mento e gola bianco-sporco. Collo con lunghi e fitti peli irti grigio-fulvi limitati
sul petto da una striscia bruna a mo' di collare. Orecchie alle estremità fulvo-volpine col
margine lievemente più scuro, internamente bianco-grigiastre. Sugli arti anteriori una
sottile striscia scura che forma una macchia nell'articolazione del piede e divide il colore
della faccia interna da quello della faccia esterna. Piedi fulvo-chiari. La coda è bicolore,
con sfumature più intense e scure, dalla base alla punta. Nei maschi il colore fulvo
volpino dell'orecchio si estende all'occipite ed ai lati della nuca; le femmine hanno una
macchia bianca nella regione della gola ben più estesa che nei maschi.
Habitat
Lo si trova con frequenza nelle zone più integre e riparate dei nostri Appennini, nei
boschi di latifoglia e nelle radure più isolate e non disturbate dall'azione o dalla
presenza dell'uomo.
Riproduzione
Differentemente dai cani, i lupi hanno un solo periodo riproduttivo all'anno, l'epoca
dell'estro si concentra nei mesi di gennaio/febbraio e normalmente gli accoppiamenti si
realizzano nelle prime due settimane di marzo. La gravidanza ha una gestazione di circa
57/63 giorni e quindi le nascite si concentrano nelle prime settimane di maggio. Le
cucciolate risultano essere discretamente numerose nelle femmine più mature (7/8
cuccioli), decisamente contenute nelle primipare (2/3 cuccioli di 200 ai 400 g di peso
vivo).
Comportamento
Il lupo è un animale sociale e vive in gruppi familiari; questi sono regolati
numericamente dalla presenza delle prede di grande mole. Dove esistono grandi
ungulati (cervidi in genere), si possono incontrare branchi complessi che arrivano ad
essere composti da più individui adulti (fino a 6 adulti); dove la disponibilità alimentare
è data dalla sola presenza di piccole prede, si trovano, diversamente, piccoli gruppi
familiari. I branchi sono organizzati per struttura gerarchica e con la presenza di un
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maschio e una femmina alfa, che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti e
che sono gli unici a riprodursi. La comunicazione è estremamente evoluta e si realizza
attraverso mimiche del corpo e vocalizzazioni ben precise, che esprimono con grande
chiarezza, gli stati d‟animo dei vari componenti il branco. Raramente i conflitti interni
al gruppo hanno esiti cruenti, nella maggioranza dei casi tutto viene chiarito da una
esplicita gestualità e vocalizzazione adottata dai vari componenti del branco.
Alimentazione
Un lupo mangia mediamente circa 2/3 Kg. di carne al giorno, questo significa che deve
predare almeno ogni tre giorni e che può ingurgitare in un solo pasto fino a 8 Kg. di
carne. L'alimentazione è strettamente carnivora, molto marginali sono le integrazioni
con bacche, frutti, erbe, alimenti che svolgono una funzione digestiva e depurativa, oltre
a fornire microelementi essenziali al corretto bilanciamento della dieta. La vita massima
è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio
sostentamento, ancor oggi esistono tristi incidenze di mortalità, legate alla persecuzione
dell'uomo.
Dinamica di popolazione
Il Canis lupus è uno dei carnivori selvatici con la più estesa distribuzione geografica.
Solo la persecuzione operata dell‟uomo ne ha limitato la presenza relegandolo alle zone
montane densamente forestate. Animale gregario, vive in gruppi di bassa densità ( 1-3,5
individui / 100km2). Attualmente in Italia, si stima la presenza di 800 lupi con un
abbattimento illegale stimato di circa 50 lupi ogni anno. Alla luce di ciò, appare ancora
più impellente la pianificazione di misure di prevenzione e di risarcimento dei danni
arrecati al comparto zootecnico. Ulteriore fattore di minaccia per questa specie presente
sulla lista rossa dell‟IUCN è rappresentato dalla competizione con i cani vaganti, altro
serbatoio di infezioni e motivo di inasprimento del rapporto con l‟uomo (false
attribuzioni di colpa per predazione su animali domestici).
Specie d‟interesse conservazionistico:
Le specie di seguito riportate, rappresentano un argomento di particolare interesse, in
funzione di ulteriori studi ed approfondimenti da sviluppare su:
bioindicatori di inquinanti ambientali;
grado di antropizzazione territoriale;
valutazione dell‟incidenza del bracconaggio;
valutazione delle cause di danni alle colture.
TASSO (Meles meles Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Carnivori
Famiglia: Mustelidi
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Sottofamiglia: Melini
Genere: Meles
Specie: meles
Morfologia
Il Tasso (Meles meles), il più grosso dei mustelidi italiani, è un plantigrado lungo non
più di 80 cm, compresa la coda di circa 18 cm, caratterizzato da testa piccola ed
allungata con muso corto ed appuntito, occhi piccoli e padiglioni auricolari arrotondati.
Il pelo è molto folto, specialmente sulla coda, e presenta una tipica colorazione bianconera sul capo. Possiede una robusta dentatura e gli arti sono corti e forti con 5 dita
munite di unghie lunghe adatte a scavare. Le sue movenze sono lente e pigre, la sua
andatura è incerta e pesante. Le femmine si distinguono dai maschi per le dimensioni
ridotte e per la tinta più chiara del pelo. Viene cacciato illegalmente, per il pelo con cui
si fanno pennelli.
Habitat
Vive soprattutto in ambienti collinari e di pianura, non superando il limite degli alberi
nei boschi montani, conducendo generalmente una vita solitaria. Preferisce terreni ricchi
di humus, nei quali può trovare le sue prede.
Riproduzione
Il periodo degli accoppiamenti ha luogo di solito nel mese di ottobre, e dopo una
gestazione di circa tre mesi e mezzo, tra febbraio e marzo nascono da 3 a 5 piccoli che
diventano adulti in un paio di anni. I cuccioli restano con i genitori fino all'autunno
successivo ed in alcuni casi fino all'inverno. Nei neonati il corpo appare coperto di peli
radi e setolosi di colore bianco, misti a peli neri o grigi. Se i cacciatori non li uccidono
anzitempo, possono raggiungere un'età massima di quindici anni.
Comportamento
Il Tasso (Meles meles), forte delle sue robuste unghie, scava ampie tane con gallerie
lunghe anche diversi metri e tutta una serie di cunicoli per fornire aerazione alla camera
centrale. Vive in gruppi anche di una decina di individui organizzati gerarchicamente
che hanno bisogno di territori grandi anche un centinaio di ettari. Trascorre gran parte
della sua vita nella tana, da cui esce solo di notte; alla fine dell'autunno si ritira nella
tana e vi trascorre l'inverno dormendo quasi continuativamente.
Alimentazione
Il cibo che ricerca, durante le uscite notturne dalla tana, è costituito, in quanto onnivoro,
soprattutto di insetti, grosse larve, lombrichi, lumache, uova, frutta, miele, bacche, erba,
bulbi e se riesce a catturarli anche di piccoli mammiferi e uccellini. In estate si aggira
alla ricerca di cibo anche di sera.
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SCOIATTOLO COMUNE (Sciurus vulgaris Linneus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Roditori
Famiglia: Sciuridi
Sottofamiglia: Sciurini
Genere: Sciurus
Specie: vulgaris L.
Sottospecie italiane: Sciurus vulgaris fuscoater Altum, 1876
Sciurus vulgaris italicus Bonaparte, 1838
Sciurus vulgaris meridionalis Lucifero,1907
Sono state descritte una quarantina di sottospecie di dubbia validità. La specie mostra
un‟ampia varibilità nel colore del mantello ed è possibile rinvenire individui di colore
rossiccio più o meno intenso, altri marrone sino a forme melaniche. Reperti fossili
attribuibili a Sciurus vulgaris in Europa, e quindi molto pro-babilmente anche in Italia,
risalgono al Pleistocene medio-superiore.
Occupa quasi tutte le aree boscate dell‟Europa e dell‟Asia settentrionale sino a
raggiungere la Kamciatka, la Corea e l‟isola di Hokkaido (Giappone).In Italia è presente
in tutta la penisola, mentre è assente nelle isole.
Morfologia
Non c'è dimorfismo sessuale tra maschio e femmina. Il peso va da 250 a 340 g. La
colorazione del mantello è molto variabile e va dal marrone rossiccio al marrone scuro;
queste diverse tonalità sembrano essere determinate da vari fattori legati al clima, alla
copertura vegetale, all'alimentazione oltre che da fattori di tipo genetico. La parte
inferiore del corpo è sempre bianca. Le zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori
permettono all'animale di muoversi con molta agilità sul terreno mentre le forti unghie e
i cuscinetti plantari gli consentono di arrampicarsi con sorprendente abilità sugli alberi.
Habitat
Vive soprattutto in boschi di conifere e più di rado in quelli di caducifoglie. Frequenta
anche parchi urbani e giardini.
Riproduzione
Le femmine devono raggiungere una massa corporea minima per essere feconde e
quelle più pesanti danno mediamente alla luce più piccoli. Se il cibo è scarso la
riproduzione viene ritardata. Le femmine diventano sessualmente mature al secondo
anno. Durante l‟accoppiamento i maschi individuano le femmine in calore dall'odore
che queste emettono. Anche se non c'è un corteggiamento vero e proprio, il maschio
insegue la femmina anche per un'ora prima di riuscire ad accoppiarsi. Solitamente più
maschi inseguono una sola femmina, finché il maschio dominante, in genere il più
grosso, riesce a conquistarla. Maschi e femmine si accoppiano più volte e con diversi
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partner. L‟accoppiamento solitamente si verifica in due periodi: in febbraio-marzo ed in
estate tra giugno e luglio. La femmina può avere fino a 2 gravidanze l'anno. Ciascuna
figliata è composta da tre o quattro piccoli di solito, occasionalmente possono essere
partoriti anche sei piccoli. La gestazione dura 38-39 giorni. I piccoli nascono ciechi e
sorsi, il loro corpo si ricopre di peli al 21° giorno di vita e acquisiscono la vista dopo tre
o quattro settimane. Il giovane scoiattolo può mangiare cibi solidi una quarantina di
giorni dopo la nascita; a questo punto può lasciare il nido per procurarsi il cibo da solo,
anche se la madre continuerà ad allattarlo fino allo svezzamento completo, intorno alle
venti settimane.
Alimentazione
Lo scoiattolo si nutre sul terreno o sui rami, mangiando pinoli, faggiole, ghiande,
funghi, germogli, frutti e cortecce, manipolando il cibo con le zampe anteriori.
Dinamica di popolazione
Pur non essendo disponibili dati sulle entità numeriche delle popolazioni, la specie
sembra essere comune nelle Alpi e nell‟Appennino, mentre è in regressione o assente in
molti settori planiziali. Le popolazioni di questa specie vanno incontro a drastiche
riduzioni (sino all‟estinzione) nelle aree in cui è stato introdotto lo Scoiattolo grigio
(Sciurus carolinensis), a causa di una diretta competizione. La frammentazione delle
aree boschive rappresenta un altro fattore di impoverimento numerico ed abbassamento
di variabilità genetica per le popolazioni di questa specie, andate incontro a drastiche
riduzioni a causa del bracconaggio legato a riprovevoli tradizioni culinarie proprie della
nostra regione.
DRIOMIO (Dryomys nitedula Pallas, 1779)
Sistematica, distribuzione e status
Superordine: Gliri
Ordine: Roditori
Famiglia: Gliridi
Sottofamiglia: Leitini
Genere: Dryomys
Specie: nitedula Pallas
Sottospecie italiane: Dryomys nitedula intermedius - Nehring, 1902 (Alpi orientali)
Dryomys nitedula aspromontis - von Lehmann, 1964 (Basilicata e
Calabria)
In Italia il driomio presenta una distribuzione alquanto peculiare, con due popolazioni
distinte e apparentemente separate. La specie è inserita dall‟IUCN Red List, nella
categoria di minaccia NT-Near Threatened (quasi a rischio).
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Il driomio intermedio (Dryomys nitedula intermedius) è presente nel Nord-est Italia, più
precisamente dal Friuli all‟Alto Adige. Assente da tutte le altre regioni dell‟Italia
settentrionale. Non è mai localmente abbondante, anche se questa impressione può
derivare dal comportamento schivo di questo roditore.
Il driomio meridionale (Dryomys nitedula aspromontis), è una razza ben isolata dalle
altre popolazioni continentali. Infatti è stato segnalato solo in alcune stazioni della
Calabria e sul Pollino, anche in territorio lucano. Ciononostante non sembra molto
diverso geneticamente dai driomii alpini e potrebbe essere presente anche in altre aree
appenniniche, sebbene non sia mai stato segnalato sinora, né trovato nelle borre dei
rapaci. É indubbiamente molto raro e sarebbe opportuna una indagine conoscitiva di
tipo faunistico lungo l‟Appennino per definirne con precisione l‟areale. Vive
preferenzialmente nelle faggete montane.
Morfologia
Il colore dorsale del corpo del driomio è bruno-grigiastro, talvolta tendente al fulvo. La
colorazione della testa risulta più chiara, mentre le porzioni ventrali del corpo, dei piedi
e della coda sono color bianco sporco. La coda è grigiastra e ben sviluppata. Sulla faccia
presenta due strisce nere a formare una duplice mascherina che si estende dalle vibrisse
alle orecchie, includente gli occhi. La lunghezza del corpo oscilla tra gli 80 e i 130 mm.
Ha abitudini crepuscolari e notturne e vive prevalentemente in boschi di latifoglie sin
oltre i 1.500 m s.l.m.. È quasi del tutto vegetariano, ma talvolta può nutrirsi di insetti e
altri invertebrati.
Riproduzione
Nelle zone più fredde il driomio ha una cucciolata all‟anno, di solito a giugno, di 3-5
cuccioli, in quelle piu‟ calde si hanno 2-3 cucciolate di 1-4 cuccioli. Gli accoppiamenti
vanno da marzo a dicembre.
Conservazione del driomio
Una strategia conservazionistica a livello globale che potrebbe essere intrapresa
dovrebbe innanzitutto prevedere una inchiesta di base sulla reale distribuzione delle
diverse popolazioni in Italia. Il risultato di scarsa differenza genetica tra la popolazione
alpina e sud-appenninica suggerisce che i due demi non siano separati geograficamente
da troppo tempo. Quindi non è da escludere, come già detto, una sua presenza in altre
regioni appenniniche.
Andrebbe poi analizzata la variabilità morfometrica delle due popolazioni, dato che
potrebbe confortare o meno il risultato genetico. Successivamente, qualora siano
confermati gli areali noti a tutt‟oggi, le norme protettive che già esistono sulla specie
andrebbero ampliate con un maggiore rispetto delle aree forestate dove la specie è
presente. Per ora le popolazioni conosciute, sia alpine che appenniniche, dovrebbero
teoricamente dormire sonni tranquilli, in quanto incluse in vari Parchi Nazionali e/o
Regionali che, oltre a proteggerle specificatamente con più accuratezza, ne
salvaguardano l‟habitat preferenziale.
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ISTRICE (Hystrix cristata Linnaeus, 1758)
Sistematica, distribuzione e status
Ordine: Roditori
Sottordine: Istricomorfi
Famiglia: Istricidi
Genere: Hystrix
Specie: cristata L.
L'istrice è diffuso nell'Africa settentrionale e anche nell'Italia centrale e meridionale,
dove venne probabilmente introdotto in epoca romana. In particolar modo lo troviamo
nella Maremma toscana, nell'Agro romano, in Campania, nelle Puglie, in Calabria e in
Sicilia.
Morfologia
L'istrice crestata è un roditore di mole cospicua (il più grosso in Europa) caratterizzato
dall'avere il corpo e la coda ricoperti da aculei rigidi, erettili e di lunghezza variabile
nonché da robuste setole flessibili. Quest'ultime sono particolarmente lunghe sul capo e
sulle spalle tanto da formare delle vere e proprie creste (da qui l‟attributo specifico);
inoltre portano all'estremità della coda un ciuffo di brevi aculei, attaccati alla pelle a
mezzo di uno stelo sottile.
Habitat
È un animale molto schivo che ama i luoghi solitari boscosi e cespugliosi, dove a zone
collinari si alternano campi coltivati, dense macchie e profonde forre. Come rifugio
questi animali preferiscono occupare, ove possibile, qualche cavità naturale del terreno,
delle rocce o tane abbandonate da altri mammiferi, soprattutto di oritteropo. Se queste
non sono disponibili, si scavano tane proprie quasi sempre nel folto di un bosco e con
più di un accesso, di norma, ben celato ove la vegetazione è più intricata. Se non
disturbati, gli istrici occupano la tana anche per lunghi periodi e spesso, in
corrispondenza degli accessi alla tana, si osservano dei cumuli di terra di scavo, aculei e
avanzi di cibo. Di frequente, tra questi avanzi, si trovano ossa e corna di mammiferi
rosicchiati: questa è una loro necessità, in quanto essendo roditori devono usurare i
propri denti incisivi su un substrato duro.
Comportamento
Per natura tranquillo, quando si sente minacciato drizza la criniera e gli aculei del dorso,
facendo vibrare il sonaglio caudale: in questa fase, a volte, alcuni aculei si possono
staccare, alimentando la credenza popolare che gli istrici sparino gli aculei contro il
nemico. Se questo ancora non si spaventa, l'istrice volge le terga e rincula verso di lui
procurandogli serie ferite, dovute alla pericolosa capacità penetrativa dei suoi aculei,
che possono raggiungere anche i dieci centimetri di profondità.
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Gli istrici sono animali notturni e di norma escono quando è buio; per questo hanno un
udito e un olfatto molto sviluppati e una pessima vista. Di notte appunto, iniziano a
vagare in cerca di cibo, spesso sbuffando ed emettendo brontolii senza un motivo
apparente. L'andatura è plantigrada e può variare dal passo normale, al trotto e al
galoppo, a seconda dello stato d'animo. Nei loro spostamenti in un territorio che
conoscono bene, seguono sempre gli stessi generi lungo i quali, in punti ben precisi, si
possono osservare i loro escrementi. Si conosce assai poco del comportamento sociale
di questi animali, ma tendono a vivere in gruppi poco numerosi: a volte sette od otto
esemplari adulti possono anche occupare la stessa tana.
Alimentazione
Gli istrici si cibano di radici di vario tipo, di cortecce e di frutti caduti al suolo. In
alcune zone dell'Italia centrale si possono osservare di frequente i danni che l'istrice
procura nei campi di granturco quando, in tarda estate, le cariossidi sono ancora dolci e
lattiginose. Nelle stesse zone, l'istrice fa gravi danni quando entra in un vigneto ove
l'uva è matura. Questo animale ne è ghiottissimo e il suo modo tipico di farne
scorpacciate, consiste nel prendere a piena bocca i grappoli più bassi e risucchiarne gli
acini senza staccare il graspo dalla pianta.
Riproduzione
Nelle fasi di corteggiamento prenuziale il maschio e la femmina si leccano
reciprocamente, a lungo e in tutte le parti del corpo, stando stretti l'uno all'altro e
facendo fremere e risuonare la coda. La femmina dichiara la propria disponibilità
all'accoppiamento ribaltando e battendo la coda sul dorso in un atteggiamento
inequivocabile. L'accoppiamento è breve e non supera i cinque o sei secondi. La
gestazione si aggira sui due mesi e si possono avere anche due parti all'anno.
I giovani vengono alla luce ben sviluppati e con gli occhi aperti, nel profondo della tana
su di una semplice lettiera di erbe e di foglie; al momento della nascita presentano
aculei morbidi e flessibili, che si induriscono rapidamente fino a raggiungere la
consistenza definitiva in una decina di giorni. Sono molto precoci, e già una settimana
dopo la nascita fanno le prime uscite dalla tana insieme alla madre. Entrambi i genitori
prestano le massime cure alla prole, restando per molto tempo in loro compagnia
difendendoli con veemenza da eventuali attacchi e leccandoli affettuosamente.
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2.10. ASSETTO SOCIALE
2.10.1. NUMERO DI CACCIATORI RESIDENTI
Nella Provincia di Vibo Valentia negli ultimi sei anni la popolazione di cacciatori
residenti è andata sempre diminuendo tranne un leggero segno di ripresa nell‟annata
venatoria 2008-2009 come si può osservare dalla tabella che segue:
Annata
venatoria
ATC VV1
ATC VV2
2003/2004 1454
1616
2004/2005 1426
1615
2005/2006 1381
1525
2006/2007 1347
1446
2007/2008 1258
1424
2008/2009 1283
1458
La diminuzione del numero dei cacciatori in Italia è iniziata a partire dagli anni 80. La
causa principale di tale fenomeno è da ricercare in complessi fattori tra i quali
certamente rivestono una maggiore importanza quelli socio-culturali dovuti al
progressivo invecchiamento della popolazione venatoria e dal suo mancato
rinnovamento per un progressivo allontanamento della popolazione dai valori culturali
della caccia e più in generale della ruralità. Le analisi sulla popolazione venatoria
condotte dal Servizio Caccia e Pesca permettono di evidenziare che il fenomeno
descritto per la Provincia di Vibo Valentia sia generalizzato in tutto il territorio
Regionale e come esso rifletta sostanzialmente la tendenza a livello nazionale.
2.10.2. ETÀ DEI CACCIATORI
Il cacciatore della Provincia di Vibo Valentia ha un‟età media di anni 54. La classe d‟età
con il numero più alto di cacciatori è quella che va dai 50 ai 58 anni.
2.10.3. PROFILO SOCIALE DEI CACCIATORI
Da un‟indagine a campione condotta tramite intervista diretta con i cacciatori in
possesso di tesserino venatorio per l‟anno 2008/2009 scaturisce che tra i cacciatori della
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Provincia di Vibo Valentia le categorie più rappresentate siano quelle degli operai e dei
pensionati del settore della piccola e media impresa, commercianti, liberi professionisti,
agricoltori, lavoratori autonomi, imprenditori e impiegati che assieme costituiscono
circa l‟ 85% dei cacciatori.
2.10.4. OPZIONI TERRITORIALI DI CACCIA
L‟analisi dei tesserini venatori rilasciati dai comuni nel 2008/2009 mostra come la
maggioranza dei cacciatori residenti eserciti la caccia esclusivamente in ATC e soltanto
una piccolissima porzione esclusivamente in aziende venatorie (fuori regione).
Dei 2741 cacciatori residenti in Provincia di Vibo Valentia che hanno optato per la
caccia in ATC risultano iscritti in 1283 nell'Ambito Territoriale di Caccia denominato
A.T.C. VV 1 mentre gli altri 1458 risultano iscritti nell'Ambito Territoriale di Caccia
denominato A.T.C. VV 2.
Dall‟analisi si nota come le scelte dei cacciatori della Provincia di Vibo Valentia siano
orientate verso gli ATC di residenza anagrafica.
2.10.5. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, SUDDIVISI PER A.T.C.
Le richieste di iscrizione dei cacciatori non residenti pervenute ai due A.T.C. sono
superiori al numero di posti disponibili; di queste la maggior parte proviene dalle
seguenti Regioni: Toscana, Lazio, Liguria e Campania.
Vi è da segnalare che una cospicua parte dei cacciatori richiedenti non residenti sono
emigranti o figli di emigranti che avendo ancora legami familiari e affettivi, ritornano
annualmente per esercitare l'attività venatoria e passare un periodo di vacanze.
Il numero di cacciatori in mobilità controllata per la caccia alla fauna migratoria
ammessi nei due A.T.C. è di 76 unità nell‟ A.T.C. VV1 e di 89 nell‟ A.T.C. VV2
2.10.6. QUADRO CONOSCITIVO DEI
CINGHIALE SUDDIVISI PER A.T.C.
CACCIATORI RESIDENTI, PRATICANTI LA CACCIA AL
La caccia al cinghiale è fortemente praticata in quasi tutto il territorio della Provincia di
Vibo Valentia. La specie infaqtti negli ultimi 15 anni (dal primo PFV)si è diffusa in
gran parte del territorio provinciale.
Nella Provincia di Vibo Valentia non si è mai effettuato prelievo selettivo.
Il numero di praticanti riportato è indicativo, in quanto desunto dal numero di cacciatori
che compongono le squadre autorizzate annualmente dagli A.T.C. per la caccia al
cinghial. Non si conosace il numero di cacciatori realmente partecipanti alle battute.
Il totale delle squadre che esercitano la caccia su cinghiale nel territorio provinciale
nell‟ annata venatoria 2008/2009 e riportato nelle seguenti tabelle.
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Elenco delle squadre di caccia al cinghiale e relativo numero di cacciatori nell‟ATC
VV1:
SQUADRA
LOCALITA‟
N°
CACCIATORI
La Sugheraia
Pizzo
47
Fulmine
Soriano-Sorianello
45
Sandocan
Francavilla
49
Brognaturo
Brognaturo
33
Vallelonga
Vallelonga
22
Capistranese
Capistrano
49
Schiamazzo
Piscopio
45
Felice
Monterosso
36
Cacciatori uniti di Serra San Serra San Bruno
Bruno
37
Filogaso
Filogaso
40
San Nicola
San Nicola
46
Cerasia
Pizzoni
41
Monterosso
Monterosso
34
I Neroni delle Serre
Serra San Bruno
31
I Tre Colli
Filadelfia
39
141
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Li Frischi
Serra San Bruno
47
Matador
Polia
32
Peloso
Polia
50
Castelmonardo
Filadelfia
42
Circolo Caccia e Pesca di Serra Serra San Bruno
San Bruno
TOTALE
33
798
Elenco delle squadre di caccia al cinghiale e relativo numero di cacciatori nell‟ATC
VV2:
142
SQUADRA
LOCALITA‟
N°
CACCIATORI
Mari e Monti
Spilinga
50
Diamantino
Briatico
24
Mongiana
Mongiana
24
Diavoli Neri
Nardodipace
29
Sportiva e Pacifica
Nardodipace
34
Fagiano
Acquaro
27
Cacciatori di Piani
Acquaro
21
Torre Galli II
Drapia
50
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La Quercia
Ioppolo-Nicotera
30
Torre Galli
Zungri
43
Forgia
Arena
22
Selvaggi
Fabrizia
30
Lo Serro
Fabrizia
25
Lamoranese
Gerocarne
28
Le Torri della santa
San
Limbadi
Ultimi
Mileto
35
Il cinghiale
Dinami
22
Boschi e Fiumi
Filandari
27
La scrofa
Cessaniti
25
Armoni
Zambrone
26
La Squadraccia
Zaccanopoli
32
TOTALE
Calogero-Rombiolo- 39
643
Il numero complessivo di cacciatori iscritti alle squadre di caccia al cinghiale è di 1441
unità, pari al 52,6 % dei cacciatori iscritti agli A.T.C. Il numero medio di iscritti/squadra
è di 35 cacciatori. La % della popolazione venatoria che è interessata a questa forma di
gestione nella provincia vibonese è del tutto simile a quella esistente in Regione
Toscana.
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2.9.7. QUADRO CONOSCITIVO
COMUNITARI O ESTERI.
DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, PROVENIENTI DA STATI
Non vi sono richieste di cacciatori non residenti che proviene da Stati esteri e
Comunitari.
2.11. RISULTATI
E CONSISIDERAZIONI SULLE STRATEGIE GESTIONALI PREVISTE DAL
PRECEDENTE PFV
Il Primo Piano faunistico della Provincia di Vibo Valentia, redatto nel 1997, conteneva
analisi e linee di azione condivisibili dal punto di vista tecnico. La proposta più
rilevante era la creazione di istituti faunistici, in particolare alcune Zone di
ripopolamento e cattura, e la realizzazione di interventi di miglioramento ambientale.
A quella data il cinghiale aveva appena iniziata la sua fase di colonizzazione ed
incremento numerico nel territorio provinciale, ed il Piano di azione nazionale sul
capriolo italico ancora non era neppure in fase di progettazione.
La lepre italica infine non era ancora neppure ben definita a livello sistematico.
Buona parte delle proposte contenute nel P.F.V. 1997 non hanno trovato ad oggi
attuazione; la Provincia di Vibo valentia, come tutte le altre province della Regione
Calabria, continua a non avere istituti faunistici dedicati alla conservazione e
produzione delle specie tipiche della piccola fauna appenninica. I fatti nuovi principali
rispetto al 1997, sono rappresentati dalla costituzione del Parco regionale delle Serre e
dell‟entrata in funzione dei due ATC. Oggi finalmente esistono le condizioni per l‟avvio
di una gestione faunistica del territorio che possa definirsi tale. E‟giunto il tempo di
agire.
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3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA
3.1. OBIETTIVI GENERALI DI PIANIFICAZIONE (DR.MATTIOLI)
Il territorio della Provincia di Vibo Valentia è caratterizzato da un elevato grado di
diversità ambientale. Aggregando le diverse categorie di uso del suolo della CORINE
Land Cover (vedi paragrafi seguenti), si nota come il territorio provinciale sia costituito
per un terzo da formazioni boscate, un terzo da seminativi ed il restante terzo da colture
permanenti legnose, quasi esclusivamente oliveti. Molto elevata è anche la diversità dei
boschi, con formazioni che vanno dalla macchia a sclerofille alla faggeta, dai boschi
misti di castagno a quelli di abete bianco, con importanti rappresentanze di tutte le
tipologie. La superficie urbanizzata è di poco superiore al 2 %, anche se la scarsa
risoluzione del sistema CORINE, probabilmente sottostima questa categoria.
Possiamo quindi affermare che il territorio vibonese ha elevate potenzialità faunistiche e
anche una bassa fragilità del proprio sistema agricolo verso potenziali danni da fauna
selvatica. La ripartizione equilibrata tra le diverse tipologie di uso del suolo, unita ad
una morfologia complessa, si traduce in una elevata diversità di ambienti che a sua volta
rende la provincia vocata a diversi gruppi di specie quali gli ungulati (cinghiale e
capriolo), la piccola fauna stanziale (fagiano, lepre, coturnice) e la migratoria (quaglia,
beccacia, turdidi).
A questa situazione di elevata capacità faunistica potenziale fa da riscontro un livello di
organizzazione del sistema di gestione faunistica del territorio ancora embrionale, con
conseguenze negative sulle attuali consistenze faunistiche, e sul livello di conoscenza
delle stesse.
Una netta distinzione deve essere attuata tra fauna migratoria e stanziale.
Come si evince dai pochi dati disponibili relativi ai carnieri dei cacciatori dell‟ATC
VV1, annata 2008-2009, la migratoria costituisce oltre il 90 % dell‟intero stock dei
prelievi, seguito da un 5 % di cinghiale, mentre la piccola fauna stanziale (lepre e
fagiano) non arriva all‟ 1%.
Confrontando la situazione con un ATC toscano, l‟ AR2 , leggermente più grande e con
un numero di cacciatori superiore, la differenza è evidente: la migratoria costituisce il
60% del carniere, la piccola stanziale il 15% e gli ungulati (cinghiale , capriolo e daino)
il restante 25%. In media nei due ATC abbiamo avuto lo stesso numero di capi
abbattuti/cacciatore 4,5 ma evidentemente di diversa qualità e con una
superficie/cacciatore circa quattro volte superiore in VV1 (39 ha/cacciatore vs 25
ha/cacciatore di AR 2).
Esistono quindi grandi margini di miglioramento della gestione faunistica nella
Provincia di Vibo Valentia.
Le linee guida della strategia di pianificazione individuata nel presente PFV possono
essere così sintetizzate:
145
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migliorare lo stato di conservazione delle popolazioni della piccola fauna stanziale,
attraverso la creazione di istituti faunistici, il miglioramento delle tecniche di
ripopolamento, la realizzazione di miglioramenti ambientali, l‟adozione di forme di
razionalizzazione del prelievo a livello di ATC;
pianificare la gestione degli ungulati attraverso la zonizzazione del territorio ai fini della
vocazione per il cinghiale in modo da contenere l‟impatto della specie sulle attività
agricole, e progettare la reintroduzione del capriolo italico;
migliorare la protezione delle popolazioni di acquatici svernanti;
tenere conto delle indicazioni dei piani di azione nazionali per le specie presenti o
potenzialmente presenti sul territorio provinciale (Lepre italica, Capriolo italico);
impostare un sistema di monitoraggio della fauna e dei risultati della gestione in
sinergia con gli ATC VV 1 e VV 2, che costituisca la base per le future
implementazioni del PFV provinciale;
avviare un forte programma di formazione, sia di operatori tecnici degli ATC, sia di
gruppi di operatori volontari da coinvolgere nella gestione e conservazione delle specie
oggetto di gestione faunistico-venatoria.
In relazione a questo ultimo aspetto, viste le richieste sempre più crescenti dei cacciatori
e degli addetti ai lavori, si ritiene di centrale importanza che la Provincia di Vibo
Valentia in collaborazione con gli ATC ed insieme alle associazioni venatorie
Provinciali, produca un grande impegno nell‟organizzazione di corsi di formazione
volti a creare le diverse figure tecniche oggi indispensabili per una moderna gestione
faunistica.
Le linee di azione individuabili sono due:
• Preparazione di figure tecniche che affianchino il personale degli ATC nello
svolgimento delle mansioni istituzionali principali: sopralluoghi per la stima dei danni
alle colture, progetti di miglioramento ambientale, tecniche di prevenzione danni,
monitoraggio della fauna;
• Costituzione e formazione di gruppi di operatori volontari interessati alla gestione e
conservazione delle principali specie appartenenti alla fauna stanziale oggetto di
gestione venatoria (cinghiale, capriolo, lepre, galliformi) e ad alcune specie di
migratoria (acquatici, beccaccia).
Nello specifico sarebbe opportuno prevedere l‟istituzione delle figure seguenti:
Operatore per la reintroduzione e gestione del capriolo
Responsabile di squadra di caccia al cinghiale
Conduttore di cane da traccia
Operatore per il censimento di ungulati, lepre, galliformi
Abilitato al controllo della fauna selvatica (Volpe, corvidi, cinghiale)
Rilevatore biometrico
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3.2. DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE
3.2.1. ANALISI AMBIENTALE DEL TERRITORIO PROVINCIALE PER LA DEFINIZIONE DELLA
SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE
Le metodologie impiegate per la determinazione della Superficie Agro-Silvo-Pastorale
(SASP), oltre a essere soggette a quanto previsto a livello normativo (L.N. 157/92, L.N.
394/91, L.R. 9/96) sono state definite sulla base delle informazioni disponibili presso i
vari EEPP presenti nel territorio provinciale e regionale.
Grazie alla disponibilità di strumentazioni innovative, è stato possibile aggiornare i dati
relativi alla SASP riportati nell'ambito della revisione del precedente Piano FaunisticoVenatorio, ottenendo un più elevato livello di precisione della stima di tali superfici.
In considerazione del fatto che la SASP è in continua evoluzione, in virtù del costante
incremento dell‟urbanizzazione del territorio, è importante che in concomitanza della
scadenza di ogni Piano venga effettuato un aggiornamento del calcolo delle superfici di
SASP disponibili nell‟intero territorio provinciale; sarà inoltre importante anche una
valutazione in tempo reale dell‟impatto delle nuove grandi opere realizzate sul territorio
nei prossimi anni.
Come già anticipato nel precedente paragrafo, lo strumento utilizzato per la valutazione
e la definizione della SASP è costituito da un Sistema Informativo Territoriale (SIT). Le
motivazioni che hanno condotto alla scelta di adottare questa metodologia sono di
seguito illustrate:



questo approccio innovativo consente di raggiungere gradi di precisione più
elevati rispetto alle tecniche tradizionali, di automatizzare quanto più possibile le
operazioni di rilievo planimetrico e di integrazione dei dati cartografici,
permettendo, allo stesso tempo, di definire protocolli operativi rigorosi;
i SIT assolvono efficacemente e in modo rigoroso alle funzioni di classificazione
del territorio e di calcolo delle superfici, eliminando tutte quelle problematiche
dovute a errori umani, quali imprecisioni nella misurazione delle aree o il
considerare più di una volta la superficie di un poligono (ad esempio di una data
parcella);
questi sistemi consentono di velocizzare le procedure di calcolo e di gestire
simultaneamente e in modo integrato dati di origine differente.
Pertanto, grazie alla precisione fornita dal Sistema Informativo Territoriale e all'elevata
affidabilità della cartografia di base, è stato possibile effettuare una valutazione rigorosa
del SASP.
Il protocollo di seguito presentato integra le disposizioni previste ai sensi della
normativa nazionale e regionale vigente con le possibilità di analisi spaziale che i
Sistemi Informativi Territoriali sono in grado di offrire.
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La tecnica adottata è denominata "sovrapposizione topologica" (spatial overlay) che
prevede le seguenti fasi operative:
- scomposizione del territorio in parcelle sulla base di determinate caratteristiche
fisiografiche e morfologiche;
- isolamento di aree che soddisfino precisi requisiti a seguito di successive esclusioni.
Per quanto riguarda le analisi ambientali dell'intero territorio provinciale, sono stati
acquisiti e analizzati i seguenti archivi in formato digitale:




Cartografia di uso del suolo CORINE LAND-COVER III livello che consente,
in presenza di validi rilevamenti delle densità faunistiche, una interpretazione
accurata e dettagliata delle relazioni fauna - ambiente e, in ogni caso, una precisa
definizione delle tipologie di uso del suolo esistenti, della ripartizione del
territorio provinciale in comprensori omogenei in riferimento a diverse
caratteristiche geomorfologiche. La carta dell‟uso del suolo è stata ottenuta
integrando i dati di questa cartografia con quelli disponibili con il DB10K di
seguito illustrato.
Cartografia disponibile presso il portale cartografico del Ministero dell‟ambiente
(www.pcn.mimambiente.it) fruibile attraverso i software GIS più comuni.
Cartografia disponibile su Globe Explorer Map Server (www.globexplorer.com)
fruibile attraverso il protocollo WMS.
Db Prior 10K dell Regione Calabria
Il progetto del Data Base degli strati di riferimento prioritari essenziali alla scala
1:10.000 è stato concepito nell'ambito dei lavori dell'Intesa Stato - Regioni - Enti Locali
per la realizzazione di banche dati di interesse generale.
Il suo scopo è quello di fornire una prima risposta, secondo specifiche comuni, alle
esigenze collegate alla gestione del territorio, dagli interventi in campo ambientale, alla
difesa del suolo, alla protezione civile.
Le specifiche di contenuto sono legate alla necessità prioritaria di una realizzazione in
tempi brevi. Da ciò deriva che l'ottimizzazione dei contenuti deve essere funzione della
speditezza esecutiva, dei costi e della qualità necessaria alla fruibilità.
In base a questa esigenza è stato stabilito che il DBPrior10k fosse costituito da strati
prioritari ed essenziali. Strati Prioritari, cioè non tutti gli strati richiesti anche da una
versione minima, ma solo quelli ritenuti non dilazionabili. Strati Essenziali, in quanto il
loro contenuto informativo è stato ridotto al minimo garantibile in tempi brevi su tutto il
territorio nazionale.
L'insieme degli strati che costituiscono il DBPrior10k è il seguente:
148
Viabilità, mobilità e trasporti (reticolo strade e ferrovie)
Centri urbani e nuclei abitati
Indirizzi
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-
Idrografia (Reticolo idrografico e bacini)
Ambiti e limiti amministrativi
Altimetria
Toponimi delle località significative
La superficie asfaltata delle strade è stata ricavata a partire dallo strato informativo
relativo alla rete stradale, creando, su entrambi i lati di ciascun elemento lineare, una
fascia (buffer) di ampiezza pari alla metà della classe di larghezza della carreggiata
stradale, secondo le tipologie indicate in tabella.
Tipologia d‟Infrastruttura viaria
Larghezza buffer (m)
Ferrovie
5
Strade Provinciali
5
Autostrada A3
11
Strade Comunali
3
Strade Statali
6
È importante sottolineare come le superfici occupate dalla carreggiata delle strade e
dalle reti ferroviarie siano state calcolate soltanto nella porzione extraurbana delle
viarie, dal momento che le porzioni urbane sono già comprese negli ambiti urbani
esclusi a priori dal calcolo della SASP.
Calcolo delle superfici di SASP non disponibile per la gestione programmata della
caccia in conseguenza dei divieti speciali di caccia permotivi di sicurezza.
Propedeuticamente occorre considerare che la sentenza 21 maggio 2002 n. 4972 del
Consiglio di Stato (VI), in merito ai criteri adottabili nel calcolo della percentuale di
SASP da destinare a protezione della fauna selvatica (art.10, comma 3, L. n. 157/92),
stabilisce che non è compatibile l'inclusione nella quota minima (20%), da destinare ad
aree di protezione della fauna selvatica, dei territori sottratti alla caccia per ragioni di
sicurezza. Infatti, la medesima sentenza afferma che, se è vero che, ai sensi della
disposizione citata, in dette percentuali (20-30%) sono compresi i territori ove è
comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni, non è
meno vero che la stessa norma nazionale, al successivo comma 4, definisce come
territorio di protezione quello nel quale opera al contempo il divieto di caccia e una
regolamentazione intesa ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della
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prole: regolamentazione, quest'ultima, senz'altro mancante nei territori sottratti alla
caccia per ragioni del tutto diverse da quelle inerenti la protezione della fauna selvatica.
Ne deriva, quindi, che le fasce di SASP in divieto di caccia a lato delle strade,
autostrade e ferrovie (50 m da entrambi i lati) concorrono a formare la percentuale di
territorio che deve essere posto in divieto di caccia (minimo 20% e massimo 30%), ma
solo oltre la quota minima, ovvero solo dopo aver soddisfatto almeno il 20% con aree di
protezione della fauna selvatica vere e proprie (di fatto idonee ad agevolare la sosta
della fauna, la riproduzione, la cura della prole).
Le superfici sono state ricavate attraverso una serie di interrogazioni successive e
mutuamente esclusive. Il sistema ha restituito valori di superficie in metri, significativi
alla seconda cifra decimale, successivamente trasformati in ettari e arrotondati a due
cifre significative. Inizialmente è stata valutata la superficie totale e successivamente
ripartita per Ambiti Territoriali di Caccia.
3.2.2. USO DEL SUOLO
La maggior parte delle attività produttive sono concentrate lungo la costa, nella zona di
pianura e nella prima collina. La carta di uso del suolo (Tavola 1) evidenzia una
distribuzione degli insediamenti abitativi su tutto il territorio provinciale, con una
prevalente distribuzione dei centri urbani lungo l‟asse immaginario Pizzo-Vibo
Valentia-Mileto-Nicotera.
La fascia centrale del territorio provinciale è investita prevalentemente a coltura
specializzata ad ulivo, che risulta ripetutamente intervallata da consistenti aree occupate
da seminativi intensivi, particolarmente nella zona del Monte Poro. Le due tipologie
sono peraltro le più rappresentate nell‟intera Provincia.
I boschi costituiscono l‟ulteriore tipologia ambientale maggiormente presente su tutto il
territorio provinciale, rappresentati in prevalenza da “Boschi di castagno”, “Boschi di
faggio” e “Boschi di lecci e sughere”.
Una significativa porzione di territorio è occupata da colture classificate come
"temporanee associate a colture permanenti", la cui distribuzione è localizzata
prevalentemente lungo la fascia costiera e collinare.
Consistente infine è anche la presenza di una categoria vegetazionale definita come
“Macchia bassa e garighe”, tipica della provincia vibonese, distribuita in ampie ma
delimitate estensioni facilmente individuabili.
Le categorie di uso del suolo più rappresentate (Tabella 9) sono, in ordine decrescente,
Uliveti (26,74 %), Formazioni boschive (22,54 %), Seminativi intensivi (20,82 %),
Colture temporanee associate a colture permanenti (8,23 %) Macchia bassa e garighe
(6,82 %).
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tabella 9 - Uso reale del suolo nel territorio provinciale
Uso del suolo
Superficie (ha)
%
Oliveti
30.523,37
26,74
Seminativi intensivi
23.769,53
20,82
Colture temporanee associate a colture permanenti
9.388,86
8,23
Bosco di castagno
8.192,28
7,18
Macchia bassa e garighe
7.788,17
6,82
Bosco di faggio
4.963,46
4,35
Sistemi colturali e particellari complessi
4.205,63
3,68
Bosco di pini montani e oro mediterranei
3.417,14
2,99
Frutteti e frutti minori
3.344,57
2,93
Bosco di leccio e sughera
3.073,01
2,69
Macchia alta
2.236,68
1,96
Zone residenziali a tessuto continuo
2.150,04
1,88
Bosco di abete bianco e/o abete rosso
1.933,36
1,69
Seminativi estensivi
1.441,24
1,26
Boschi misti a prev. di castagno
1.318,43
1,15
Aree preval. occupate da colt. agrarie con presenza di spazi
naturali
1.154,88
1,01
151
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
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Boschi misti a prev. di pini montani e/o oro mediterranei
976,60
0,86
Brughiere e cespuglietti
831,71
0,73
Boschi misti a prev. di faggio
699,42
0,61
Bosco di querce caducifoglie
482,56
0,42
Seminativi in aree irrigue
383,76
0,34
Bosco di pini mediterranei
320,82
0,28
Altre colture permanenti
319,82
0,28
Vigneti
180,91
0,16
Bacini d'acqua
178,29
0,16
Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado
170,72
0,15
Boschi misti a prev. di abete bianco e/o abete rosso
170,06
0,15
Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati
92,50
0,08
Corsi d'acqua, canali e idrovie
84,39
0,07
Bosco di latifoglie mesofile
78,63
0,07
Praterie discontinue
61,84
0,05
Boschi misti a prev. di leccio
57,40
0,05
Bosco di specie igrofile
57,16
0,05
Discariche
20,86
0,02
152
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Aree ricreative e sportive
11,75
0,01
Aree portuali
8,94
0,01
Totale complessivo
114.149,90
100,00
TAVOLA 1 – CARTA DELL’USO DEL SUOLO
153
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3.2.3.DETERMINAZIONE E DESTINAZIONE DELLE SUPERFICI AGRO-SILVO-PASTORALI
La legge quadro nazionale (art. 10, comma 1) dispone che l'intera superficie agro-silvopastorale sia soggetta a pianificazione faunistico-venatoria. La SAF può essere destinata
a protezione faunistica nella misura compresa tra un minimo del 20 ed un massimo del
30%, a gestione privata per una quota massima del 15 %, o a gestione programmata
della caccia (ATC) nella rimanente parte.
La definizione e la quantificazione della superficie agro-silvo-pastorale (Tabella 10 e
Tavola 2) assume pertanto importanza fondamentale per determinare le porzioni da
destinare alle diverse finalità.
Tuttavia, ai fini delle fasi successive della programmazione faunistico-venatoria, Sulla
base della carta di uso del suolo utilizzata per l'analisi ambientale e tenendo conto delle
indicazioni del Primo Documento Orientativo sui Criteri di Omogeneità e Congruenza
dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, sono state determinate a livello comunale,
le superfici agro-silvo-pastorali.
I criteri contenuti nel documento citato consentono di giungere ad una corretta
determinazione di detta superficie, escludendo dalla superficie territoriale complessiva
le seguenti categorie di uso del suolo:
le aree urbane, le zone verdi urbane e gli impianti sportivi, le zone estrattive, le
discariche, le zone industriali, le aree portuali, la rete ferroviaria, le strade principali
extraurbane e le zone non foto interpretabili comprese quindi le aree militari.
Le superfici comunali e la S.A.S.P. ricavata per ciascun comune sono riportate in
Tabella 10.
Tabella 10 – Superfici agro-silvo-pastorali (SASP) per comune della provincia
Comune
Superficie comunale
S.a.s.p. (ha)
% S.a.s.p.
ACQUARO
2.501,62
2.392,78
95,65
ARENA
3.399,53
3.297,18
96,99
BRIATICO
2.770,13
2.640,34
95,31
BROGNATURO
2.544,44
2.516,96
98,92
CAPISTRANO
2.092,03
2.065,01
98,71
154
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CESSANITI
1.780,84
1.593,58
89,49
DASA'
640,03
604,25
94,41
DINAMI
4.413,18
4.280,58
97,00
DRAPIA
2.198,07
2.090,19
95,09
FABRIZIA
3.962,48
3.847,33
97,09
FILADELFIA
3.120,23
2.947,70
94,47
FILANDARI
1.832,55
1.762,29
96,17
FILOGASO
2.367,27
2.312,54
97,69
FRANCAVILLA ANGITOLA 2.836,13
2.704,44
95,36
FRANCICA
2.249,15
2.182,75
97,05
GEROCARNE
4.553,47
4.364,31
95,85
IONADI
868,28
782,66
90,14
JOPPOLO
2.141,95
1.997,65
93,26
LIMBADI
2.889,98
2.698,91
93,39
MAIERATO
3.955,69
3.885,46
98,22
MILETO
3.538,08
3.265,61
92,30
MONGIANA
1.815,51
1.771,17
97,56
MONTEROSSO CALABRO
1.819,00
1.761,57
96,84
155
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NARDODIPACE
3.297,54
3.201,51
97,09
NICOTERA
2.797,74
2.527,20
90,33
PARGHELIA
802,14
734,08
91,52
PIZZO
2.272,80
1.984,82
87,33
PIZZONI
2.149,44
2.103,44
97,86
POLIA
3.120,34
3.044,24
97,56
RICADI
2.226,49
1.859,39
83,51
ROMBIOLO
2.216,44
2.079,08
93,80
SAN CALOGERO
2.511,59
2.370,64
94,39
SAN COSTANTINO
CALABRO
672,75
605,69
90,03
SAN GREGORIO D'IPPONA
1.241,98
1.159,03
93,32
SAN NICOLA DA CRISSA
1.921,18
1.886,08
98,17
SANT'ONOFRIO
1.848,55
1.719,85
93,04
SERRA SAN BRUNO
4.025,97
3.845,31
95,51
SIMBARIO
2.195,79
2.139,39
97,43
SORIANELLO
950,11
921,72
97,01
SORIANO CALABRO
1.446,94
1.368,14
94,55
SPADOLA
955,38
919,80
96,28
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SPILINGA
1.727,02
1.673,07
96,88
STEFANACONI
2.305,06
2.180,99
94,62
TROPEA
362,31
216,55
59,77
VALLELONGA
1.747,09
1.709,22
97,83
VAZZANO
2.001,15
1.952,37
97,56
VIBO VALENTIA
4.617,61
3.413,13
73,92
ZACCANOPOLI
532,80
506,95
95,15
ZAMBRONE
1.565,61
1.507,10
96,26
ZUNGRI
2.348,45
2.282,24
97,18
Totale complessivo
114.149,90
107.676,33
94,33
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TAVOLA 2 – CARTA DEL TERRITORIO AGRO-SILVO PASTORALE
3.3.INDIVIDUAZIONE DEI COMPRENSORI OMOGENEI
Gli artt. 10 e 14 della Legge 157/92 prevedono la realizzazione di piani faunistici
articolati per “comprensori omogenei” e per “ambiti territoriali di caccia” (ATC), di
dimensioni sub-provinciali possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.
Nonostante l‟indicazione del legislatore sembri privilegiare criteri ambientali, rispetto a
quelli amministrativi, nella fase di individuazione dei perimetri dei comprensori e degli
ATC, nella prassi di pianificazione di tutte le regioni ha prevalso la scelta di
individuazione di tali unità per accorpamento di comuni, quindi attestandosi sui confini
amministrativi degli stessi. Ciò appare obbligato, anche tenendo conto che la residenza
anagrafica dei cacciatori costituisce la base di partenza, in assenza di richieste diverse,
per l‟assegnazione all‟ ATC di appartenenza.
Sulla base di questa impostazione i comprensori costituiscono l‟unità della
pianificazione faunistico venatoria delle Province, all‟interno dei quali vengono
individuati e progettati i diversi istituti faunistico-venatori, ovvero le diverse
destinazioni del territorio ai fini faunistici. L‟ATC deve intendersi quindi come la
158
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superficie destinata alla gestione programmata della caccia che residua dal
comprensorio, tolti gli istituti di protezione e di gestione privata.
L‟omogeneità dei comprensori deve quindi intendersi come una equa ripartizione tra gli
stessi delle diverse tipologie ambientali, in modo che in ogni ATC in cui è suddiviso il
territorio provinciale, vi siano analoghe potenzialità faunistiche.
Sulla base di questa linea interpretativa, la suddivisione del territorio provinciale nei
comprensori VV1 e VV2 (Tavola 3) appare condivisibile in quanto tende a suddividere
in maniera equilibrata i principali sistemi di paesaggio con i diversi habitat correlati,
esistenti nella Provincia (rilievi costieri, valli interne e aree montane delle serre).
Nella tabella seguente è indicata la SASP totale e per ciascuno dei due comprensoriATC
Denominazione
Caccia
Ambito
territoriale
di Superficie agro-silvo-pastorale
Vibo Valentia 1
51.190,61
Vibo Valentia 2
56.485,71
Totale
107.676,32
159
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TAVOLA 3 – CARTA DEI COMPRENSORI OMOGENEI (ATC)
3.4. DETERMINAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA
3.4.1. DENSITÀ VENATORIA REALE
L‟indice di densità venatoria reale per l‟annata di caccia 2008/2009, ai sensi dell‟art. 13,
comma 11 della LR 9/96, è stato calcolato in funzione della Superficie Agro-SilvoPastorale (SASP), cioè della superficie provinciale soggetta a pianificazione faunistica,
e utilizzando come secondo parametro il numero di cacciatori residenti, esercitanti
l‟attività venatoria.
Dal rapporto tra i due valori si è ottenuta la S.A.S.P disponibile per ogni cacciatore nelle
ultime sei annate venatorie (dal 2003/04 al 2008/09), distinta per ATC, come riportato
nelle Tabelle 11 e 12.
160
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Tabella 11 – Densità venatoria reale per l’ATC VV1 espressa in ettari disponibili della
S.A.S.P. per ciascun cacciatore
Annata venatoria
N°
rilasciati
2003/2004
Tesserini
S.A.S.P. (Ha)
Ettari disponibili
per cacciatore
1454
51.190,61
35,20
2004/2005
1426
51.190,61
35,89
2005/2006
1381
51.190,61
37,06
2006/2007
1347
51.190,61
38,00
2007/2008
1258
51.190,61
40,70
2008/2009
1283
51.190,61
39,89
Tabella 12 – Densità venatoria reale l’ATC VV2 espressa in ettari disponibili della
S.A.S.P. per ciascun cacciatore
Annata venatoria
N°
rilasciati
2003/2004
S.A.S.P. (Ha)
Ettari disponibili
per cacciatore
1616
56.485,71
34,95
2004/2005
1615
56.485,71
34,97
2005/2006
1525
56.485,71
37,03
2006/2007
1446
56.485,71
39,06
2007/2008
1424
56.485,71
39,66
2008/2009
1458
56.485,71
38,74
161
Tesserini
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3.4.2. PROGRAMMAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA
La normativa regionale vigente fissa l‟indice di densità venatoria massima per ogni
ambito territoriale di caccia, al fine della determinazione del numero dei cacciatori
ammissibili, in 1:19 (un cacciatore ogni 19 ettari di superficie agro-silvo-pastorale
effettiva).
La provincia di Vibo Valentia rientra pienamente nei limiti imposti dalla norma.
Entrambi gli ATC, nell‟ultima annata venatoria presentavano un indice prossimo ai 40
ha per cacciatore residente.
162
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3.5. CARTA DELLE IDONEITÀ AMBIENTALI (CAMPOLO, MATTIOLI)
Le carte di idoneità ambientale, o di vocazione faunistica del territorio, costituiscono la
base di riferimento per l‟individuazione delle priorità nella pianificazione faunistica e
per la definizione degli obiettivi specie specifici a cui deve tendere la gestione del
territorio (Documento di indirizzo per la pianificazione faunistico venatoria della
Regione Calabria)
In mancanza della carta delle vocazioni faunistiche della regione, per la costruzione di
tali carte ci si è avvalsi dei modelli di idoneità contenuti nel sito della rete ecologica
nazionale, opportunamente adattati alle condizioni ecologiche locali.
Sono state elaborate le carte di idoneità ambientale per le seguenti specie stanziali:
fagiano, starna, coturnice, lepre europea, lepre italica, cinghiale, capriolo. Le carte
suddividono il territorio in quattro categorie: aree non idonee alla specie, aree
scarsamente idonee (bassa idoneità), aree mediamente idonee ed aree ad elevata
idoneità.
Per le specie cinghiale e capriolo l‟idoneità è stata valutata, oltre che sulla base delle
esigenze ecologiche della specie, anche sulla base della sostenibilità socio-economica
della sua presenza.
Dalle carte di idoneità ambientale sono state derivate delle carte semplificate di
vocazione faunistica, in cui il territorio è suddiviso in due tipologie:
aree vocate alla specie (classi di media ed elevata idoneità);
aree non vocate alla specie (classi di nulla o scarsa idoneità).
Tali carte sono il rierimento per la differenziazione degli interventi da realizzare sul
territorio in funzione degli obiettivi generali della pianificazione.
3.5.1. LEPRE
Lepre italica (Lepus corsicanus)
La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) (Tavola 4a)
è stata realizzata considerando i parametri ambientali, ecologici riportati della Tabella
13
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
163
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
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Tabella 13 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre italica
164
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.1.1
Terre arabili non irrigate
2
2.1.2
Terre irrigate permanenti
1
2.2.1
Vigneti
2
2.2.2
Alberi e arbusti
1
2.2.3
Oliveti
3
2.3.1
Pascoli
3
2.4.1
Seminativi e colture arboree
2
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
3
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
3
2.4.4
Aree agro-forestali
3
3.1.1
Boschi di latifoglie
1
3.1.3
Boschi misti
1
3.2.1
Praterie naturali
3
3.2.2
Brughiere
2
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
1
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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165
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
3
3.3.1
Spiagge e dune
0
3.3.3
Aree con vegetazione sparsa
2
3.3.4
Aree incendiate
1
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Tavola 4a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Lepre
italica
Lepre europea (Lepus europaeus)
La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) (Tavola 4b)
è stata realizzata considerando i parametri ambientali, ecologici riportati della Tabella
14
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
Tabella 14 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre europea
166
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.1.1
Terre arabili non irrigate
3
2.1.2
Terre irrigate permanenti
3
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167
2.2.1
Vigneti
2
2.2.2
Alberi e arbusti
2
2.2.3
Oliveti
1
2.3.1
Pascoli
2
2.4.1
Seminativi e colture arboree
3
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
3
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
3
2.4.4
Aree agro-forestali
2
3.1.1
Boschi di latifoglie
1
3.1.3
Boschi misti
1
3.2.1
Praterie naturali
1
3.2.2
Brughiere
1
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
1
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
1
3.3.1
Spiagge e dune
1
3.3.3
Aree con vegetazione sparsa
1
3.3.4
Aree incendiate
1
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Tavola 1b – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Lepre europea
168
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Tavola 4c – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Lepre
169
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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3.5.2. CINGHIALE
Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Sus scrofa (Cinghiale) (Tavole
5a e 5b) sono stati considerati i seguenti parametri ambientali, ecologici della Tabella
15.
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
Tabella 15 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il cinghiale
170
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.1.1
Terre arabili non irrigate
1
2.1.3
Risaie
1
2.2.1
Vigneti
2
2.2.2
Alberi e arbusti
2
2.2.3
Oliveti
1
2.3.1
Pascoli
1
2.4.1
Seminativi e colture arboree
1
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
2
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
3
2.4.4
Aree agro-forestali
2
3.1.1
Boschi di latifoglie
3
3.1.2
Foreste di conifere
1
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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171
3.1.3
Boschi misti
3
3.2.1
Praterie naturali
2
3.2.2
Brughiere
2
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
3
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
3
3.3.4
Aree incendiate
1
4.1.1
Aree interne palustri
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 5a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il Cinghiale
172
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 5b– Modello semplificato di vocazione del territorio per il Cinghiale
3.5.3. CAPRIOLO
Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Capreolus capreolus
(Capriolo) (Tavole 6a e 6b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della
Tabella 16.
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
Tabella 16 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il capriolo
173
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.2.1
Vigneti
0
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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174
2.2.2
Alberi e arbusti
2
2.2.3
Oliveti
1
2.3.1
Pascoli
1
2.4.1
Seminativi e colture arboree
2
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
1
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
3
2.4.4
Aree agro-forestali
2
3.1.1
Boschi di latifoglie
3
3.1.2
Foreste di conifere
2
3.1.3
Boschi misti
3
3.2.1
Praterie naturali
3
3.2.2
Brughiere
2
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
2
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
3
3.3.4
Aree incendiate
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 6a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il capriolo
175
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 6b – Modello semplificato di vocazione del territorio per il Capriolo
3.5.4. STARNA
Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Perdix perdix (Starna) (Tavole
7a e 7b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 17.
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
176
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tabella 17 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la starna
177
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.1.1
Terre arabili non irrigate
3
2.2.1
Vigneti
2
2.2.2
Alberi e arbusti
2
2.2.3
Oliveti
2
2.3.1
Pascoli
1
2.4.1
Seminativi e colture arboree
3
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
3
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
3
2.4.4
Aree agro-forestali
1
3.2.1
Praterie naturali
2
3.2.2
Brughiere
2
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
0
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
2
3.3.4
Aree incendiate
1
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 7a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Starna
178
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 7b – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Starna
3.5.5. COTURNICE
Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Alectoris graeca (Coturnice)
(Tavole 8a e 8b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella
18.
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
179
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tabella 18 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la coturnice
180
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.2.1
Vigneti
0
2.2.2
Alberi e arbusti
0
2.2.3
Oliveti
0
2.3.1
Pascoli
0
2.4.1
Seminativi e colture arboree
0
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
2
2.4.3
Aree agricole interrotte da vegetazione
naturale
0
2.4.4
Aree agro-forestali
0
3.2.1
Praterie naturali
2
3.2.2
Brughiere
2
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
3
3.3.4
Aree incendiate
0
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 8a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la coturnice
181
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 8b – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Coturnice
3.5.6. FAGIANO COMUNE
Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Phasianus cochicus (Fagiano
comune) (Tavole 9a e 9b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della
Tabella 19.
Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di
Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 =
bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.
182
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Tabella 19 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il fagiano comune
183
Categoria
CORINE Land Cover livello 3
Idoneità
2.1.1
Terre arabili non irrigate
2
2.1.2
Terre irrigate permanenti
2
2.2.1
Vigneti
2
2.2.2
Alberi e arbusti
3
2.2.3
Oliveti
2
2.3.1
Pascoli
1
2.4.1
Seminativi e colture arboree
3
2.4.2
Aree agricole a struttura complessa
3
2.4.3
Aree
agricole
interrotte
vegetazione naturale
3.2.1
Praterie naturali
1
2.4.4
Aree agro-forestali
2
3.2.2
Brughiere
2
3.2.3
Vegetazione a sclerofille
1
3.2.4
Aree di transizione cespugliato-bosco
3
3.3.4
Aree incendiate
3
da
3
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 9a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il Fagiano comune
184
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tavola 9b – Modello semplificato di vocazione del territorio per il Fagiano comune
185
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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3.6. LA FAUNA SELVATICA:
ATTIVITÀ GESTIONALI
DEFINIZIONE
DEGLI OBIETTIVI E PIANIFICAZIONE DELLE
3.6.1. OBIETTIVI
E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE
VENATORIO DELL’AVIFAUNA (MATTIOLI – SCUDERI)
La gestione delle specie di interesse venatorio è un processo che non può essere scisso
dalla gestione del territorio nel suo complesso. Infatti accanto alle azioni dirette
(restocking, reintroduzioni e istituzione di zone di ripopolamento) a sostegno delle
popolazioni stanziali delle principali specie, vanno favorite delle azioni di gestione degli
habitat per ripristinare o aumentare la capacità portante del territorio. Tali azioni
assumono particolare importanza in un territorio, come quello in oggetto, dove l‟attività
venatoria è essenzialmente basata sulla piccola fauna migratrice.
Ad una prima analisi della situazione provinciale, per il momento basata su dati carenti
e meritevole di futuro approfondimento, emerge l‟urgenza di intervento sulle specie
appartenenti alla piccola fauna stanziale.
Il gruppo dei fasianidi, è quello che subisce la maggiore pressione venatoria e che,
anche a livello nazionale, presenta un peggiore livello di conservazione, sia in virtù
delle trasformazioni socio-economiche e quindi ambientali del territorio, sia della sua
intrinseca maggiore vulnerabilità alla attuale pressione e mobilità venatoria.
Una gestione spesso di tipo “consumistico” ha fatto perdere di vista la gestione
conservativa delle popolazioni selvatiche di queste specie, favorendo i ripopolamenti di
scarsa qualità , alle azioni di miglioramento ambientale e di pianificazione del prelievo
con conseguente riduzione delle densità ed estinzioni locali. In alcuni casi le ibridazioni
con soggetti d‟allevamento ed il rilascio di individui affetti da patologia hanno dato un
contributo importante alla scomparsa delle popolazioni selvatiche da diverse aree.
3.6.1.1. COTURNICE E STARNA
Status delle specie e priorità di gestione
Attualmente si ritiene che non esistano popolazioni o nuclei di queste due specie di
galliformi in grado di riprodursi nel territorio provinciale, come appare confermato dalla
loro assenza nelle statistiche di prelievo dell‟ ATC VV1. Anche gli autori del PFV
1998, dopo rilievi di campagna e inchieste basate su questionari, indicavano coturnice e
starna estinte a quella data. Nonostante le due specie siano attualmente estinte e non
risultino cacciabili sulla base del calendario faunistico venatorio regionale, nel presente
Piano si ritiene di includere la coturnice e la starna tra le specie di piccola fauna
stanziale alle quali dedicare interventi e risorse al fine della ricostituzione di popolazioni
vitali.
Linee guida per la ricostituzione e conservazione delle popolazioni di coturnice e starna
186
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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La popolazione appenninica di coturnice appartiene alla sottospecie orlandoi che, in
tutto l‟areale centro-meridionale ha diffusione discontinua con nuclei localizzati e
distanti tra loro. Il territorio provinciale presenta limitate aree con buona vocazione per
questa specie a causa della scarsa estensione delle forme di uso del suolo più favorevoli
per la specie (praterie di altitudine alternate ad aree rocciose e a fasce di transizione tra
bosco e cespugliati). Tuttavia la specie è ancora ricordata come presente dai cacciatori
locali fino agli anni ‟60 e esistono aree in cui è opportuno avviare forme di
reintroduzione di tipo sperimentale in modo da valutare la capacità di ricostituzione di
popolazioni di questa specie.
Anche la starna non trova nel vibonese aree collocabili entro l‟optimum ecologico,
causa le condizioni climatiche di temperatura e precipitazioni. Valgono comunque le
stesse considerazioni avanzate per la coturnice. Gli eventuali progetti di reintroduzione
devono essere subordinati alla possibilità di reperimento di ecotipi in grado di adattarsi
alle condizioni ecologiche della provincia.
Infatti studi condotti su ceppi centroeuropei dimostrano che temperature medie del mese
di luglio superiori a 22 °C determinano mortalità dei pulli superiori all‟80 % (Meriggi A
e Beani L., 1998).
Ciò conferma che le popolazioni di starna peninsulari, pur essendo adattate a condizioni
di temperatura superiori a quelle normali per la specie vivono comunque ai limiti delle
possibilità per la specie.
Necessità di salvaguardia della fauna e relazioni con l‟ambiente antropizzato.
Le cause dell‟estinzione della starna sono state ampiamente dibattute e sicuramente
risiedono nella riduzione della biodiversità degli agro-ecosistemi ed in particolare di
quelli cerealicoli. L‟uso degli erbicidi e degli insetticidi, la meccanizzazione e
l‟intensificazione delle pratiche colturali, la monocoltura, l‟abbandono dell‟agricoltura
nelle aree collinari sono considerati fra gli aspetti più negativi per questa specie
(Casanova et al., 1993; Potts, 1997). In particolare, l‟abbandono delle colture riduce la
base alimentare per gli adulti, l‟uso di pesticidi causa la scomparsa della microfauna
necessaria al nutrimento dei pulcini. Un ulteriore aspetto da considerare è la
competizione con il fagiano (Potts, 1985) e, inoltre, fra le cause di estinzione locale,
l‟incontrollata ed esasperata pressione venatoria (Casanova & Cellini, 1986).
Le misure che si propongono al fine della ricostituzione di popolazioni di starna e
coturnice in grado di automantenersi sono le seguenti:


187
divieto di immissione, anche per finalità agri-turistiche o per gare cinofile, di
soggetti di allevamento che non siano certificati per quanto riguarda la purezza
genetica;
individuazione di uno o più istituti faunistici, quali zone di ripopolamento e
cattura o zone di protezione, ubicati in tutto od in parte entro l‟area vocata per la
specie ed in particolare entro le aree di reperimento di cui al paragrafo 3.7.6 ove
avviare progetti di reintroduzione;
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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

realizzazione di un progetto specifico di reintroduzione
realizzazione entro l‟istituto faunistico di miglioramenti ambientali e di strutture
di ambientamento per i soggetti da immettere;
I miglioramenti ambientali sono determinanti soprattutto per il periodo invernale,
mentre agiscono assai meno d‟estate, quando sono disponibili maggiori risorse trofiche.
Particolarmente interessanti, in tutto il periodo, sono i set-aside sia come aree di
nutrimento che di protezione. Ruolo fondamentale nella gestione della specie possono
avere le tare aziendali che non comportano, tra l‟altro, riduzioni della normale
produzione agraria.
Gli ambienti ecotonali sono molto importanti per la starna.
3.6.1.2. FAGIANO
Status della specie e priorità di gestione
Il fagiano è una specie alloctona, naturalizzata in ampie partio della penisola, la cui
presenza è legata prevalentemente a soggetti di allevamento immessi per fini venatori.
Le popolazioni “naturalizzate” in grado di riprodursi sono presenti in alcune aree del
Nord e centro Italia. Anche nel territorio provinciale la specie ha una presenza sporadica
legata alle operazioni di ripopolamento.
L‟interesse conservazionistico della specie è basso, ma l‟interesse venatorio elevato,
data la grande adattabilità della specie e la facilità di reperimento di soggetti
appartenenti a varie sottospecie utilizzabili per programmi di immissione. Nonostante
quindi i maggiori sforzi della gestione vadano orientati verso le specie autoctone di
maggior pregio o verso azioni di miglioramento ambientale, si mantiene come uno degli
obiettivi del presente PFV quello di migliorare le opportunità di prelievo del fagiano
attraverso le seguenti misure:




188
individuazione di uno o più istituti faunistici, quali zone di ripopolamento e
cattura o zone di protezione, ubicati in tutto od in parte entro l‟area con
vocazione media od elevata per la specie ed in particolare entro le aree di
reperimento di cui al paragrafo 3.7.6, ove avviare progetti di reintroduzione;
miglioramento delle tecniche di immissione del fagiano, attraverso l‟utilizzo di
soggetti di qualità e la realizzazione di strutture di ambientamento, mantenendo
il principio: meglio meno soggetti ma di buona qualità;
realizzazione di un piano di controllo di volpe e corvidi, da realizzare sia in
periodo di esercizio venatorio (volpe), sia al di fuori di tale periodo ai sensi dell‟
art. 19 della L. 157/92
proporre alla Regione Calabria di introdurre un limite massimo di capi da
abbattere nell‟intera stagione venatoria e di ridurre il periodo di caccia alla
specie al 31 dicembre, con l‟esclusione delle aziende faunistico ed agri-turistico
venatorie, delle aree addestramento cani con sparo e delle manifestazioni
cinofile.
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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3.6.1.3. QUAGLIA
Il territorio provinciale è interessato da imponenti flussi di individui in migrazione.
Nelle aree vocate la specie è presente anche durante il periodo estivo, durante il quale si
ha la riproduzione.
Fenomeno grave ed incontrollato su gran parte del territorio provinciale è il
bracconaggio con l‟uso di richiami elettromagnetici sia in periodo primaverile che in
autunno. Il controllo di tale attività è la prima e fondamentale azione da intraprendere.
3.6.1.4. ACQUATICI
Di questo gruppo di specie, fanno parte palmipedi, trampolieri e rallidi. Dai pochi dati
disponibili relativi alle statistiche venatorie dell‟ ATC VV1 (annata 2008), la pressione
venatoria che si registra sul territorio provinciale appare modesta, ad esclusione della
beccaccia. Per le specie cacciabili di maggiore interesse ornitologico e venatorio, si
suggeriscono le indicazioni
Anatidi, trampolieri e rallidi
Si propone di riconsiderare in sede regionale il numero massimo di capi abbattibili da
ogni singolo cacciatore per ogni giornata venatoria riducendolo ad 8 capi complessivi
tra palmipedi, rallidi e trampolieri;
Potenziare il livello di tutela delle specie ampliando l‟area umida più importante, l‟Oasi
del lago dell‟Angitola, includendo la Fiumara Reschia con un piccolo ma significativo
ampliamento di circa 150 ha di superfici, oppure in alternativa creando la Zona di
protezione lungo le rotte di migrazione delle Dune dell‟Angitola in corrispondenza
dell‟omonimo SIC.
Beccaccia (Scolopax rusticola)
Considerata la precarietà dello stato di conservazione a livello europeo e la scarsità di
dati relativi al numero di capi abbattuti nel settore meridionale, si propone di aderire a
progetti esistenti di monitoraggio della specie (es:; ali d‟Italia dei beccaccia d‟Italia)
attraverso la creazione di un gruppo di cacciatori specializzati in questa forma di
caccia.
189
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3.6.2. OBIETTIVI
E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE
VENATORIO DELLA MAMMALOFAUNA (MATTIOLI)
Le specie di mammiferi attualmente oggetto di gestione faunistico venatoria sulla base
del calendario faunistico venatorio regionale sono il cinghiale, la lepre e la volpe.
Oltre a queste specie, nel presente capitolo verranno individuati gli obiettivi gestionali e
di conservazione e le relative strategie attuative a medio-lungo termine di altre specie,
sia appartenenti alla fauna che in futuro potrà essere oggetto di gestione venatoria, sia
alla fauna di particolare interesse conservazionistico, con particolare riferimento alle
specie di cui all‟ allegato 2 della Direttiva 92/43/CEE.
Anche per il gruppo dei mammiferi, ed in misura ancora maggiore rispetto agli uccelli,
si denuncia una pesante carenza di informazioni di base. Pertanto le linee guida che il
PFV intende proporre devono intendersi come un programma di lavoro per almeno il
prossimo decennio. Tali linee si basano tuttavia su un analisi delle potenzialità
faunistiche del territorio vibonese e sulle esperienze maturate in altre regioni, con
particolare riferimento alla Regione Toscana.
3.6.2.1. CINGHIALE
Il cinghiale nel precedente PFV 1998 era segnalato come presente nell‟area delle Serre
ed in alcuni settori del monte Poro, ma con livelli di presenza contenuti.
Pur nell‟assenza di dati specifici aggiornati, nell‟arco degli ultimi 12 anni si ritiene che
la specie abbia colonizzato tutti gli ambienti della Provincia, come dimostrano i dati
relativi al numero ed alla distribuzione dei cacciatori e delle relative squadre di caccia
organizzate (Paragrafo 2.9.6.).
Crescente è anche il conflitto con le attività agricole. Se nel 1988 le richieste di
risarcimento segnalate ammontavano a poche centinaia di euro, oggi si registra uno
stato di insofferenza crescente tra gli operatori del settore agricolo.
Il presente PFV ha tra i suoi obiettivi prioritari quello di individuare le linee guida per la
futura pianificazione faunistico venatoria della specie che, è ampiamente risaputo e
sperimentato, non può essere lasciata ad una sua evoluzione spontanea, sia in base a
considerazioni di tipo ecologico-ambientale che di tipo socio-economico ed anche
venatorio.
Gli obiettivi principali sono così riassumibili:


190
Vietare ogni ulteriore immissione di soggetti di cinghiale, per qualsiasi scopo, su
aree non recintate (esclusi quindi recinti situati in aree addestramento cani o
eventualmente in aziende agri-turistico venatorie);
Individuare sulla base dei modelli di idoneità ambientale una carta della
vocazione del territorio per la specie che tenga conto di fattori socio-economici,
più che ecologici della specie. La vocazione prevede due sole classi: Area vocata
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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






(AV) dove la specie potrà essere gestita secondo criteri del prelievo sostenibile,
individuando opportune densità obiettivo; Area non vocata (ANV) dove la
presenza della specie dovrà essere contenuta a livelli molo più bassi, sia
attraverso forme di caccia più intensive, sia attraverso gli strumenti del controllo
di cui all‟ art. 19 della L. 157/92;
Organizzazione di un sistema di monitoraggio e raccolta dati sulla gestione
venatoria, basato sull‟introduzione di schede giornaliere di caccia e sul
monitoraggio biologico dei prelievi, dal quale ottenere stime sulla consistenza
della specie sulla base dell‟elaborazione di statistiche di abbattimento, indici di
fertilità, indici di sforzo di caccia, indici di contattabilità della specie;
Organizzazione di corsi di formazione per presidenti delle squadre di caccia per
la loro sensibilizzazione ad una moderna gestione della specie e per
l‟impostazione del sistema di monitoraggio;
Proporre alla Regione di eliminare il limite giornaliero di 6 capi
prelevabili/giorno/squadra;
Proporre alla Regione una revisione del periodo di caccia della specie, con la
possibilità di una sua anticipazione a partire dal 2 settembre ed un suo
ampliamento da 3 a 4 mesi;
Redazione di un regolamento provinciale per la gestione della specie nelle aree
vocate e non vocate
Predisposizione di un piano di controllo del cinghiale nelle aree ove l‟esercizio
venatorio è vietato, in particolare nel territorio del Parco delle Serre, d‟intesa con
gli organismi di gestione;
La densità obiettivo di partenza, da aggiornare in futuro sulla base del
monitoraggio, è fissata in 5 capi /100 ha dopo le nascite, nell‟ AV. Nell‟ ANV
non si fissa alcun valore di densità obiettivo; la gestione punta alla riduzione
massima possibile della specie.
3.6.2.2. LEPRE EUROPEA E LEPRE ITALICA.
Sulla base dei dati di presenza raccolti in fase di redazione del PFV 1988, la lepre,
intesa come grande specie, sarebbe presente su gran parte del territorio provinciale,
anche se con densità bassa. I dati di statistiche venatorie dell‟ ATC VV1 , per quanto
possano essere sottostimati, confermano l‟esiguità dei prelievi e lo scarso successo delle
operazioni di immissione.
La gestione della lepre è complicata dalla possibile presenza, in simpatria con la forma
europea, della specie lepre italica (Lepus corsicanus), specie endemica e minacciata nel
centro-sud Italia, dichiarata “Vulnerabile”, sia a livello europeo che globale, ed inserita
nella red list Europa e nella red list dell‟IUCN.
La possibile simpatria delle due specie, unita alla difficoltà (se non impossibilità) di
riconoscimento delle due forme in natura ed in particolare in fase di caccia, rendono
difficile l‟adozione di misure di protezione diretta della forma italica, in particolare in
assenza di conferma della sua presenza nel territorio provinciale.
191
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Facendo riferimento al piano di azione nazionale per la lepre italica elaborato
dall‟ISPRA (Trocchi e Riga, 2001), si suggeriscono per la lepre i seguenti obiettivi di
gestione:







Obiettivo generale: miglioramento dello stato di conservazione, della
consistenza, e conseguentemente dei prelievi, della lepre europea nella Provincia
anche in considerazione dell‟elevato grado di vocazione che il territorio presenta
per questa specie;
Redazione della carta di vocazione per la lepre (intesa come grande specie),
mediante semplificazione dei modelli di idoneità ambientale redatto per le due
specie;
Realizzazione, all‟interno dell‟area vocata, di istituti finalizzati alla
ricostituzione di popolazioni con sufficiente grado di vitalità. Lo strumento
elettivo è quello delle Zone di ripopolamento e cattura (ZRC, vedi paragrafo). Le
ZRC avranno il duplice effetto di consentire la ricostituzione di popolazioni
locali, di aumentare la dispersione nei territori circostanti, di fornire soggetti di
cattura per ulteriori operazioni di reintroduzione e ripopolamento. Non si devono
attendere risultati immediati: è richiesto un periodo di almeno 5 anni per i primi
risultati;
Riduzione delle operazioni di immissione di soggetti di Lepus europaeus, per
svariati motivi: sono quasi inutili a causa della scarsa qualità dei soggetti di
allevamento; sono pericolosi per motivi sanitari e genetici se fatti con soggetti
esteri; sono pericolosi per la conservazione della lepre italica; in termini di
costo-benefici sono un esempio di pessimo utilizzo dei soldi provenienti dalle
tasse dei cacciatori.
Avvio di un piano di monitoraggio volto a valutare la presenza della lepre italica
nella Provincia, attraverso un campionamento post-mortem di soggetti di lepre
provenienti dal prelievo venatorio, in collaborazione con cacciatori specializzati
in questa forma di caccia, con gli ATC e con l‟ISPRA, e da catture di soggetti in
vita da attuare preferibilmente all‟interno del Parco naturale delle Serre.
Avvio di un piano di monitoraggio standardizzato della presenza della specie
mediante la tecnica dello spot-light census (censimento con il faro), in
collaborazione con i cacciatori specializzati e con gli ATC;
Corso di formazione per i cacciatori che aderiscono ai progetti di monitoraggio.
3.6.2.3. VOLPE
La volpe è da ritenersi una specie emblematica del livello di evoluzione della gestione
faunistica ma anche ambientale di un territorio. Spesso il suo livello di popolazione
risente di errori gestionali quali forme sbagliate di gestione del ciclo dei rifiuti, delle
tecniche di allevamento, di immissione di fauna selvatica effettuata con tecniche
sbagliate e materiale di infima qualità.
Tuttavia poco si conosce del livello di densità della specie. Pur tuttavia si attribuisce
sovente a questa specie il fallimento delle politiche di gestione della piccola fauna
stanziale.
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La volpe è comunque specie cacciabile e gli ATC, come indicato dalla normativa,
possono predisporre piani di prelievo di questa specie al fine di ridurre l‟impatto sulle
specie selvatiche e domestiche. Certamente la volpe è un carnivoro che, in virtù della
sua plasticità ecologica e del suo potenziale di incremento, è anche in grado di
raggiungere livelli di popolazione notevoli e quindi esercitare una pressione di
predazione levata su popolazioni residuali ed a bassa densità delle sue prede (non
obbligate) selvatiche.
Il presente PFV non pone come obiettivo strategico al fine del miglioramento del livello
di gestione della piccola stanziale, un icremento del livello di controllo di questa specie.
Tuttavia, anche per questa specie, si propone di avviare una gestione-monitoraggio
finalizzata alla raccolta di maggiori informazioni su dinamica di popolazione, impatto
della predazione, stato sanitario.
Gli obiettivi di gestione della volpe per la durata del prossimo PFV sono i seguenti:
Sensibilizzazione dei cacciatori sulla necessità di raccolta di statistiche di abbattimento
attendibili e validate;
Piani di monitoraggio e controllo della volpe all‟interno delle ZRC istituite per
l‟incremento della piccola fauna stanziale, in particolare della lepre, anche attraverso la
raccolta di dati di stima contestualemente ai censimenti con faro effettuati per la lepre;
Costituzione di squadre di controllo della volpe, e loro registrazione presso gli ATC;
Corsi di formazione degli operatori specializzati che aderiscono al programma di
monitoraggio-controllo.
3.6.2.4.CERVIDI E BOVIDI
Riguardo a questo gruppo di specie, la provincia di Vibo Valentia è all‟anno zero,
essendo queste praticamente assenti nel territorio.
Le popolazioni di capriolo più vicine sono quella del complesso della Sila, originatasi
da passate operazioni di immissione di soggetti europei e potenzialmente pericolosa per
la conservazione del capriolo italico nel meridione (Focardi et al., 2009), e quella del
Parco Nazionale dell‟Aspromonte, recentemente ricostituita mediante reintroduzione di
soggetti di capriolo italico.
La Provincia di Vibo Valentia, mediana tra le due aree e con un territorio caratterizzato
da un elevato grado di vocazione per la specie e con un‟area protetta di medio-grandi
dimensioni quale il parco regionale delle Serre (9.227 ha), può giocare un ruolo
importante nel miglioramento dello stato di conservazione della specie in Calabria.
Si aggiunga inoltre che i cervidi, a livello italiano ed europeo, sono il gruppo di specie
che sta acquistando la maggiore importanza, insieme al cinghiale, nell‟ambito della
gestione faunistico venatoria. Rinunciare a priori allo sviluppo della presenza dei cervidi
appare quindi una scelta miope.
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Tuttavia, l‟esistenza di altre priorità nella gestione faunistica provinciale, e la
complessità delle azioni da realizzare, suggeriscono un approccio graduale. Qui di
seguito si suggeriscono le dichiarazioni di intenti che la Provincia di Vibo Valentia
intende confermare e che costituiscono il presupposto per le azioni concerte future.
Il capriolo italico è la specie di riferimento per il territorio provinciale, per il suo
intrinseco valore conservazionistico, l‟elevato grado di vocazione del territorio per
questa specie, il basso impatto che la specie ha sulle colture agrarie, in particolare la
coltura dell‟olivo;
Di conseguenza non si intendono sviluppare progetti di introduzione di specie non
autoctone come il daino, specie problematica per le colture sopra mensionate, ed anche
il muflone, specie estremamente vulnerabile alla predazione del lupo che è in
espansione in tutto il settore appenninico.
Le azioni propedeutiche da avviare nei prossimi cinque anni, in attuazione delle
direttive del PAN sul capriolo italico sono le seguenti:
Realizzazione in collaborazione con gli ATC, di una indagine volta ad accertare il
livello di informazione e di interesse tra i cacciatori vibonesi verso la specie capriolo e
verso la forma di gestione della caccia di selezione;
In caso che l‟indagine abbia fornito indicazioni confortanti, realizzazione di un corso di
formazione per coadiutori volontari nel progetto di reintroduzione del capriolo nel Parco
delle Serre;
Candidatura del Parco delle Serre a far parte della rete ecologica nazionale per il
capriolo italico.
Redazione di un progetto di fattibilità per la reintroduzione del capriolo italico nel Parco
delle Serre.
3.6.2.5. LUPO E GATTO SELVATICO
Queste due specie di predatori sono specie di elevato valore conservazionistico ed
incluse negli allegati 2 (lupo) e 4 (gatto selvatico) della direttiva 92/43/CEE.
In quanto predatori la normativa riconosce a queste specie un importante funzione di
regolazione delle specie preda al fine del loro mantenimento entro i livelli ottimali (art.
10 L. 157/92) e la pianificazione faunistico venatoria deve essere orientata al
mantenimento della funzionalità e capacità riproduttiva delle rispettive popolazioni.
Il presente PFV si pone, nell‟arco temporale della sua validità, l‟obiettivo di raccogliere
dati relativi alla conferma o meno della presenza di queste specie sul territorio
provinciale, e dalla eventuale avvenuta riproduzione.
Le azioni da realizzare al fine di raggiungere l‟obiettivo sopra dichiarato sono:
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raccolta di informazioni presso operatori qualificati (forestali, cacciatori, allevatori),
tramite questionari;
fototrappolaggio;
genetica non invasiva
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3.7. GLI ISTITUTI
DI PROTEZIONE E GESTIONE:
PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ GESTIONALI
VOCAZIONE
FAUNISTICA
E
3.7.1. AMBITI TERRITORIALI DI CACCIA
Come già anticipato nel paragrafo relativo ai comprensori omogenei, nel presente PFV
si conferma il numero e la delimitazione dei due Comprensori-ATC VV1 e VV2
individuati dalla regione Calabria.
I due comprensori-ATC ben suddividono il territorio provinciale, sia come ripartizione
delle diverse tipologie ambientali e conseguentemente delle diverse opportunità
faunistico-venatorie, sia come popolazione umana e quindi anche venatoria. Tale
equilibrata ripartizione è confermata dagli analoghi valori di SASP/cacciatore dei due
ATC, pari a 39,9 per VV1 e 38,7 per VV2 nel 2008-2009.
3.7.2. RAGGIUNGIMENTO DEL REQUISITO MINIMO DEL 20 % DI SUPERFICIE DESTINATA A
PROTEZIONE DELLA FAUNA
Sulla base del calcolo della S.A.S.P. di cui al paragrafo 3.2.1., delle aree protette ed in
divieto di caccia esistenti al momento della redazione del presente PFV, e tenendo conto
anche delle informazioni non disponibili in formato cartografico come i fondi chiusi
(dato desunto dal PFV 1997), nella Provincia di Vibo le aree destinate a vario modo alla
protezione della fauna o comunque in divieto di caccia ammontano a 17.181 ha.
Siccome la superficie minima da destinare alla protezione della fauna, pari al 20 % della
S.A.S.P. ammonta a 21.535 ha (vedi tabella successiva), il presente PFV per il periodo
2010-2014 prevede l‟istituzione di zone ed istituti di protezione pari ad ulteriori 4.350
ha circa.
Tali aree saranno realizzate utilizzando gli istituti delle Zone di prote4zione lungo le
rotte di migrazione e le Zone di ripopolamento e cattura.
Nei paragrafi seguenti sono descritte le proposte per ciascuna tipologia di istituto di
protezione.
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TIPOLOGIA
Sup. (ha)
Superficie agro-silvo-pastorale totale
Aree protette:
107.676,33
PARCO NATURALE REGIONALE DELLE SERRE - Oasi
dell'Angitola
PARCO NATURALE REGIONALE DELLE SERRE
Riserva naturale Marchesale
Riserva naturale Cropani - Micone
Altre aree in divieto di caccia:
Foreste Demaniali e aree rimboschite regionali
Fondi chiusi (Dato desunto dal PFV 1997)
Totale aree di protezione (a)
3.595,00
2.000,00
17.181,69
Superficie minima (20 %) per la protezione della fauna
prevista dalla normativa vigente (b)
Superficie destinata a protezione della fauna da istituire
con il PFV 2010-2014 (b-a)
Zone di protezione lungo le rotte di migrazione:
IT330089 Dune dell' Angitola
IT340090 Fiumara di Brattirò
Zone di ripopolamento e cattura (ZRC)
3.7.2. AREE PROTETTE
L.MATTIOLI)
REGIONALI
: PARCO
REGIONALE DELLE
794,36
9.227,55
1.314,89
249,89
21.535,27
4.353,58
590,00
599,96
3.163,62
SERRE (O.
CAMPOLO,
La gestione faunistico-venatoria, nell‟ambito territoriale di competenza del Parco
Regionale delle Serre, è disciplinata dal rispettivo piano territoriale in accordo con gli
indirizzi ed i criteri della pianificazione faunistica provinciale.
Le attività proposte nel presente PFV che interessano in parte od esclusivamente il
Parco regionale sono le seguenti:
Progetto di reintroduzione del capriolo italico nella porzione vibonese del parco e
contestuale eliminazione/traslocazione del nucleo di caprioli europei del recinto di
Mongiana;
Progetto di valutazione della presenza della lepre italica nel Parco;
197
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Monitoraggio del lupo e gatto selvatico nel territorio del Parco;
Predisposizione di un piano di controllo del cinghiale nel Parco;
3.7.3. SITI RETE NATURA 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
I piani di gestione dei Siti Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) definiscono gli
interventi da attuare per la migliore conservazione delle emergenze ambientali,
floristiche e zoologiche. È da sottolineare che nei piani di gestione dei Siti Rete Natura
2000 della Provincia di Vibo Valentia non sono presenti indicazioni sulla gestione della
fauna.
Degli otto SIC esistenti nella porzione terrestre della Provincia, cinque sono in tutto o
per la maggior parte compresi entro il Parco regionale delle Serre o altre aree protette
(Riserva Naturale Marchesale), come indicato al paragrafo 2.4.1. Restano al di fuori del
sistema delle arre protette od in divieto di caccia i siti IT9340090 Fiumara di Brattirò e
il sito IT9330089 Dune dell‟Angitiola.
Nel presente PFV si propone di istituire nei due siti sopra citati due zone di protezione
lungo le rotte di migrazione denominate Dune dell‟Agitola e Fiumara di Brattirò. Le
superfici sono pari a 597,83 ha e 1129,36 ha rispettivamente.
CROPANI-MICONE (Riserva Naturale Biogenetica Statale; istituita con D.M.A.F. 13
luglio 1977. La Riserva Naturale Biogenetica Statale Cropani-Micone ricade nel bacino
del torrente Allaro, tra i 900 m e i 1.200 m di quota, nel Comune di Mongiana.
198
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3.7.4. OASI DI PROTEZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
Le oasi di protezione, di cui l‟art. 6 della L.R. 9/ 1996 rappresentano della aree idonee
od apprestabili al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta delle specie migratrici, oltre che
all‟insediamento e all‟incremento delle popolazioni di specie stanziali. Esse
rappresentano inoltre uno strumento di valorizzazione, di difesa e di eventuale ripristino
degli elementi naturali del paesaggio.
La protezione e gestione di una o più specie di particolare interesse per il loro valore
biologico non può che essere visto nell‟ambito della conservazione della intera
biocenosi e quindi in chiave ecologica. Da un punto di vista strettamente scientifico, le
strutture di protezione possono rappresentare inoltre un valido contributo quali aree
campione in cui studiare la dinamica naturale delle diverse popolazioni in assenza di
prelievo venatorio, al fine di effettuare utili confronti con zone dove è necessario
l‟esercizio della caccia o al cattura a fini di ripopolamento.
Nel territorio provinciale non sono presenti Oasi di protezione propriamente dette,
ovvero istituite ai sensi dell‟ art. 6 della L.R.n. 10 del 14 luglio 2003.
È invece presente un‟oasi di protezione istituita con decreto del Ministero
dell‟Agricoltura e Foreste del 30.9.95 come Riserva Naturale Integrale e denominta
199
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bacino dell‟Angitola, classificata anche come Zona Umida di Interesse Internazionale,
che occupa una superficie di 875 ettari e che viene riconfermata.
Le proposte di gestione relative alla R.N. dell‟Angitola sono le seguenti:
-
progetto di monitoraggio degli acquatici svernanti
realizzazione di strutture per l‟osservazione
piano di controllo del cinghiale
Non si propone l‟istituzione di altre oasi di protezione, ritenendo prioritario realizzare
istituti finalizzati al miglioramento dello stato di conservazione della piccola fauna
stanziale.
3.7.5. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
Le zone di protezione (art. 14 L.R. n. 3/94) si configurano come istituti con precise
finalità di tutela dell‟avifauna migratrice, da collocare lungo le rotte di migrazione
individuate dall‟Istituto Nazionale della Fauna Selvatica. Ai sensi dell‟art. 1 comma 5
Legge n. 157/92 era stata istituita una zona di protezione lungo le rotte di migrazione
denominata Stefanaconi posta in Comune di Stefanaconi di superficie pari a 1.220
ettari (Del. G.R. n. 4715 del 29/11/93). Tale zona con delibera Regionale è stata
eliminata.
Il presente PFV prevede la realizzazione di due zone di protezione lungo le rotte di
migrazione illustrate nelle Figure 16 e 17:
ZPM “Dune dell‟Angitola” 590,00 ha coincidente con l‟omonimo SIC IT9330089
ZPM “Fiumara di Brattirò” di 599,96 ha, istituita su una parte dell‟omonimo SIC
IT9340090
200
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Figura 16 - Ipotesi di Zona di Protezione lungo le rotte di Migrazione: “Fiumara di Brattiro”: Superficie 599,96 ha
201
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Figura 17- Ipotesi di Zona di Protezione lungo le rotte di Migrazione: “Dune dell’
Angitola”: Superficie 590,00 ha
202
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3.7.6. ZONE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)
Le zone di ripopolamento e cattura (ZRC) sono porzioni di territorio destinate alla
riproduzione allo stato naturale di soggetti appartenenti a popolazioni di uccelli e
mammiferi di specie stanziali, nonché al loro irradiamento nelle aree circostanti. La
selvaggina prodotta in questi istituti, può essere catturata, secondo le previsioni di
appositi piani di assestamento e di cattura, e venire destinata alla ricostituzione di nuclei
di riproduttori in tempi e condizioni utili per il loro ambientamento.
Attualmente non esiste, in tutta la Regione Calabria, nessun esempio di realizzazione di
questo tipo di istituto faunistico.
Le ZRC non possono essere certamente la soluzione di ogni cattiva gestione faunistica
della piccola fauna stanziale. Tuttavia, in una situazione di partenza caratterizzata da
livelli molto bassi sia di presenza che di densità di popolazione di specie quali la lepre,il
fagiano, la coturnice come è il caso della Provincia di Vibo Valentia, la realizzaione di
alcune ZRC deve essere intesa come un primo passo utile verso la riqualificazione del
territorio a fini faunistici. Le ricadute positive della loro realizzazione possono essere
così sintetizzate:




ricostituzione di popolazioni vitali in grado di autoriprodursi;
produzione, dopo alcuni anni, di soggetti di elevata qualità da impiegare in
operazioni di restocking;
dispersione nelle aree circostanti di soggetti cacciabili, che costituisce la
migliore tecnica di immissione di soggetti in termini di costi/benefici;
protezione di altre specie attualmente non cacciabili quali la lepre italica e la
coturnice
Nel presente PFV si è proceduto ad individuare 5 aree di reperimento all‟interno delle
quali dovranno essere realizzate, nell‟arco temporale di validità del piano, alcune ZRC
per una superficie complessiva di 2000 ha da destinare a questo tipo di istituto. I confini
delle ZRC non devono necessariamente coincidere con quelli delle aree di reperimento,
ma sono in esse compresi.
La superficie minima che dovranno avere le future ZRC è fissata in 400 ha, quella
massima in 1200 ha.
Le aree di reperimento sono state individuate scegliendo le porzioni di territorio
maggiormente vocate per lepre, starna e fagiano (con riferimento ai modelli di idoneità
ambientale per tali specie), non vocate per il cinghiale e caratterizzate dai seguenti
aspetti:




203
elevato grado di diversità ambientale e colturale;
bassa % di bosco;
aree boscate suddivise in piccole porzioni, in particolare lungo linee di impluvio
o corsi d‟acqua;
prevalenze di colture a cereali, olivo, frutteti;
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La provincia e gli A.T.C., di comune accordo, potranno prevedere specifiche forme di
incentivazioni a favore degli agricoltori i cui fondi risultano compresi all‟interno delle
Z.R.C. che, aderendo e collaborando ai piani di miglioramento ambientale a fini
faunistici, contribuiranno a conseguire significativi incrementi nella produttività
faunistica naturale.
Una volta ricostituite popolazioni in grado di autoriprodursi dovrà essere totalmente
evitata la pratica dei cosiddetti “rinsanguamenti”, vale a dire lo scambio di animali
provenienti da altre Z.R.C. o di soggetti di allevamento; tale pratica, infatti, è priva di
qualsiasi fondamento scientifico e, lungi dal produrre gli ipotetici incrementi
riproduttivi per i quali è invocata, viceversa comporta concreti rischi di carattere
sanitario.
Le misure gestionali principali da attuare nelle ZRC sono le seguenti:




perimetrazione logica ed adeguata;
miglioramenti ambientali;
controllo dei predatori;
approntamento di un servizio di vigilanza efficace per la prevenzione e il
controllo degli illeciti
Le aree di reperimento sono di seguito riportate e illustrate nelle Figure 18-19-20-21-22:
1) Maierato, situata nell‟ ATC VV1 tra il Bacino dell‟ Angitola, Maierato, la costa
ed il fiume Angitola, superficie: 1363,61 ha;
2) Area compresa tra Filandari, Paravati, San Calogero, Presinaci, nell‟ ATC VV2,
superficie: 1243,38 ha;
3) Area compresa tra Nicotera e Camerconi 1178,43 ha;
4) Zona compresa tra Mileto, Francica, San Giovanni, Paravati, ubicata a cavallo tra
i due ATC VV1 e VV2, superficie: 881,23 ha;
5) Area di pianura tra Vibo Valentia, Stefanaconi, S.Gregorio d‟Ippona, situata nell‟
ATC VV1, superficie: 1660,44 ha;
204
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Figura 18- Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Maierato”
205
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Figura 19 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Filandari”
206
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Figura 20- Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Nicotera Camerconi”
207
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Figura 21 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Francica –
San Giovanni”
208
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Figura 22 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Vibo
Valentia”
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Tutte le tecniche di gestione adottate all‟interno di questi istituti sono finalizzate ad
incrementare il più possibile la densità delle popolazioni selvatiche di piccola fauna
stanziale, soprattutto lepre e fagiano.
Le linee di gestione per questo tipo di istituto sono le seguenti:
Ricostituzione di nuclei di riproduttori mediante approvvigionamento di soggetti
prodotti esclusivamente in allevamenti locali;
Organizzazione di forme di sorveglianza anche mediante la collaborazione con gruppi
di cacciatori volontari;
Monitoraggio almeno annuale di lepre, fagiano, eventualmente coturnice;
Programmi di miglioramento ambientale e risarcimento per danni causati dalla fauna;
Controllo di predatori o antagonisti (volpe, gazza, cornacchia) e del cinghiale
3.7.7.CENTRI PUBBLICI E PRIVATI DI RIPRODUZIONE DELLA FAUNA
I centri pubblici di riproduzione di fauna selvatica, di cui agli art. 5 e 9 della L.R. n.
9/1996 sono istituti faunistici destinati alla ricostituzione di popolazioni autoctone,
nonché allo studio e alla sperimentazione di metodi e tecniche di gestione degli
ecosistemi agricoli e forestali con particolare riguardo alla riproduzione allo stato
naturale di uccelli e mammiferi appartenenti alla fauna stanziale.
I capi appartenenti alle suddette popolazioni potranno essere prelevati ed immessi sul
territorio in tempi e condizioni utili al loro ambientamento. Importante è inoltre ed ruolo
che essi svolgono per la salvaguardia e la riproduzione delle specie migratrici. A
prescindere dal tipo di scelta circa la forma e la modalità di produzione, si attribuisce ai
centri pubblici una specifica connotazione di tipo sperimentale.
L‟unica struttura presente su territorio della Provincia di Vibo Valentia, è ubicata nel
Comune di Mongiana.
I centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale rappresentono
istituti finalizzati alla produzione di selvaggina in aree prive di elementi che limitano la
capacità di libero movimento degli animali. Questo tipo di istituto si differenzia dunque
dagli allevamenti veri e propri per la mancanza di “cattività” della fauna allevata. I capi
prodotti in queste condizioni potranno essere utilmente impiegati per il “ripopolamento”
del territorio. Dovranno dunque essere destinati alla produzione di fauna autoctona e in
aree prive di recinzione e provviste della estensione e delle caratteristiche ambientali
idonee per le specie in indirizzo produttivo. La gestione dovrà prevedere l‟effettuazione
di periodiche ricognizioni ( pre – e post – riproduzione) volte ad accettare la consistenza
delle popolazioni, sulla base delle quali redigere il piano annuale di prelievo, da
effettuarsi tramite cattura. Eventuali immissioni potranno essere autorizzate solamente
nei primi anni successivi alla loro costituzione.
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Non esistono attualmente istituti faunistici di questo tipo in provincia di Vibo Valentia.
3.7.8. AZIENDE
L.MATTIOLI)
FAUNISTICO-VENATORIE E AGRITURISTICO VENATORIE (O.
CAMPOLO,
3.7.8.1. AZIENDE FAUNISTICO VENATORIE (AFV)
Attualmente nel territorio provinciale non sono attive aziende faunistico venatorie.
Così come previsto dall'art. 8, della L.R. 9/96, la quota massima del 15% del territorio
agro-silvo-pastorale provinciale, pari a 16.150 ha circa, potrà essere destinata alla
realizzazione di questi istituti. Nel presente PFV si stabilisce che le eventuali AFV
potranno essere autorizzate entro il territorio indicato come vocato per le specie
appartenenti alla piccola fauna stanziale, ovvero lepre, fagiano, starna e coturnice.
Non si prevede la possibilità di realizzare AFV entro l‟area vocata per la gestione del
cinghiale, né AFV che abbiano come indirizzo prioritario la gestione del capriolo o di
altre specie di cervidi e bovidi.
La gestione delle AFV dovrà mirare a favorire l'insediamento sul territorio, la
riproduzione naturale e l'incremento delle popolazioni selvatiche di piccola fauna
stanziale, con particolare riferimento a quella tipica appenninica che in questi ambienti
trovano l‟habitat adatto.
Questi obiettivi dovranno essere perseguiti principalmente attraverso la seguente misure
gestionali:





incrementare la diversificazione ambientale, attraverso sia l'aumento degli incolti
e delle colture a perdere per la selvaggina, sia l'inserimento, nell'ambito delle
ordinarie rotazioni colturali, di piante coltivate particolarmente adatte;
favorire modelli di gestione faunistica compatibili con le situazioni ambientali
locali;
attuare un'agricoltura di tipo non intensivo;
realizzare strutture di ricovero e alimentazione per la selvaggina;
modalità di prelievo programmato sulla base delle consistenze accertate
mediante monitoraggi e censimenti.
Relativamente al ricorso di eventuali iniziative di immissione artificiale finalizzate al
ripopolamento, esse dovrebbero essere indirizzate esclusivamente al miglioramento di
situazioni faunistiche molto degradate; tali attività devono, quindi, essere occasionali e
limitate al periodo di tempo necessario alla ricostituzione di popolazioni stabili che si
autosostengano.
Le indicazioni della Regione Calabria prevedono, comunque, di indirizzare l'attività
prevalentemente per finalità naturalistiche e faunistiche con particolare riferimento alla
tipica fauna appenninica ed a quella acquatica.
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3.7.8.2. AZIENDE AGRITURISTICO VENATORIE (ATV)
Le superfici di questo tipo di istituto a gestione privata si sommano a quelle delle AFV
per quanto riguarda lo sviluppo massimo di superficie che possono raggiungere nel
territorio provinciale.
Le ATV devono preferibilmente essere realizzate nelle aree a minore vocazione
faunistica. Nel presente PFV non si forniscono indicazioni relative alle aree di
reperimento per le ATV,con l‟eccezione delle aree di reperimento delle ZRC di cui al
paragrafo 3.7.6. entro le quali non si prevede la possibilità di istituire ATV.
Al momento non esiste nel territorio provinciale alcuna Azienda agrituristico venatoria.
3.7.9. ZONE ADDESTRAMENTO CANI E GARE CINOFILE (CAMPOLO - VELLONE)
L'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia é consentito oltre che nelle apposite
Zone secondo i rispettivi regolamenti, anche in territorio libero destinato all‟attività
venatoria. Per l‟esigenza di dover effettuare particolari addestramenti ed allenamenti,
l'attività può essere svolta nelle zone Libere prescelte, purché siano rispettate le
normative vigenti in materia. In applicazione dell'art. 2 della L.R. n. 9/96 al rilascio
delle autorizzazioni delle gare cinofile su terreno libero provvede l'Amm.ne Prov.le
competente.
E‟ sempre consentito l‟addestramento e l‟allenamento dei cani nelle apposite zone
autorizzate (ZAC, ecc.) secondo le modalità ed i periodi stabiliti nelle autorizzazioni
rilasciate dalla Regione e/o dalle Province. Nella Tabella 20 sono indicale le Zone
addestramento cani e gare cinofile presenti sul territorio provinciale.
Tabella 20 - Aree addestramento cani.
Comune
Località
Superficie
Stefanaconi
Stefanaconi
HA
1.220
S.Calogero
Gerocarne
Oliva
Marrau
101
10
3.8. IDENTIFICAZIONE
Tipologia
di Proponente
istituto
proposto
Zona add. cani Fed.
Ital.
Caccia
Zona add. cani Impr. Agricolo
Zona add. cani Arcicaccia
DELLE ZONE IN CUI SONO COLLOCABILI GLI APPOSTAMENTI
FISSI
La possibilità di istituire appostamenti fissi caccia è subordinata alla Legge 157/1992,
art. 5 comma 3 che recita:” Le regioni emanano norme per l'autorizzazione degli
appostamenti fissi, che le province rilasciano in numero non superiore a quello rilasciato
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nell'annata venatoria 1989-1990”. Poiché in tale data non vi erano appostamenti fissi di
caccia già istituiti non è possibile procedere alla individuazione di aree a ciò destinate.
3.9. DANNI DA FAUNA SELVATICA, PREVENZIONE, ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CRITERI
PER L’EROGAZIONE DEI RISARCIMENTI (CAMPOLO O., MATTIOLI L.)
3.9.1.PREMESSA
L'art. 1 della legge 11/02/92 N° 157 stabilisce che la fauna selvatica è proprietà
indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed
internazionale. La presenza di fauna selvatica può provocare danni al patrimonio privato
ed in particolare alle produzioni agricole. In applicazione all'alt. 1227 del Codice Civile,
ogni cittadino è tenuto ad adottare tutte le misure possibili a prevenire un danno al
proprio patrimonio, pena l'inammisibilità a qualsiasi forma di risarcimento. Al fine di
ridurre al minimo le spese a carico dei cittadini per far fronte alla prevenzione dei danni
producibili da fauna selvatica alle produzioni agricole ed alle opere approntate su terreni
coltivabili od a pascolo, gli ATC e la Provincia provvedono alla fornitura di mezzi di
prevenzione ovvero alla adozione di piani di controllo numerico di specie invasive, ivi
compresa la fornitura gratuita di idonei mezzi di cattura contestuale al rilascio degli atti
autorizzativi previsti dalla attuale normativa.
3.9.2. CRITERI
PER LA DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEI PROPRIETARI DEI
FONDI RUSTICI PER I DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA
3.9.2.1. PROCEDURE
PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI CAUSATI DA FAUNA SELVATICA:
PRINCIPI GENERALI
La Legge Regionale n. 9/96, all‟art. 6 comma 2 lett. f) prevede che i Piani F.V.
contengano, altresì, i criteri per la determinazione ed il risarcimento in favore dei
proprietari e conduttori dei fondi rustici per i danni causati arrecati dalla fauna selvatica
alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi ricompresi nelle Oasi e nelle
Zone di Protezione, nonché nelle Zone di Ripopolamento e Cattura.
I criteri enunciati nel seguente paragrafo devono quindi intendersi come criteri generali
validi per gli istituti faunistici e per il Territorio a Gestione Programmata degli ATC,
qualora questi non abbiano adottato un proprio regolamento.
Nel caso che gli ATC adottino specifici regolamenti per la determinazione dei
risarcimenti, le presenti direttive saranno valide per le parti non in contrasto con i
suddetti regolamenti.
3.9.2.1.1.Segnalazione dei danni
Coloro che subiscono danni alle colture agricole sono tenuti a segnalarli all‟Organo
competente in forma scritta possibilmente entro 48 ore dall‟accertamento del primo
danno da parte del conduttore dei fondi, affinché possano essere utilmente adottati
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provvedimenti ed accorgimenti atti a limitare i danni stessi, almeno 15 gg. prima nel
caso in cui si approssimi il periodo della raccolta, o, in caso di danni alla semina, prima
che la coltura raggiunga uno stato vegetativo tale da impedire la valutazione del danno e
l‟agente che lo ha causato;
Le domande dovranno essere avanzate usando la modulistica predisposta dall‟Ambito
Territoriale di Caccia competente, consegnate a mano o trasmesse a mezzo posta o fax.
Le domande di indennizzo possono essere inoltrate all‟Ambito Territoriale di Caccia
anche tramite le Associazioni degli Agricoltori, utilizzando la modulistica conforme.
Nelle domande di indennizzo dovranno essere ben specificati:
I dati anagrafici o ragione sociale del richiedente, accompagnati dal codice fiscale o dal
numero di partita IVA;
Dichiarazione di proprietà o di possesso e riferimenti catastali dei terreni interessati dal
danneggiamento;
Entità della superficie oggetto di sopralluogo;
Coltura danneggiata;
Stima del quantitativo di prodotto perduto;
Indicazione sulla specie che ha causato il danno;
Descrizione dell‟attività di prevenzione dei danni, se adottata;
Nel caso in cui siano stati danneggiati vigneti soggetti a disciplinare di produzione
dovrà essere prodotta copia della denuncia delle uve presentata agli organismi
competenti nei termini di legge
Le domande di sopralluogo devono essere presentate, in rapporto alla coltura
danneggiata, nel periodo vegetativo, dalla semina al momento del raccolto previsto
dagli usi e consuetudini locali; in tal senso ogni Ambito Territoriale di Caccia può
determinare, all‟atto della stesura del proprio Regolamento, le date di scadenza per
tipologia di coltura.
Le richieste che perverranno agli Ambiti Territoriali di Caccia fuori termine od
incomplete dovranno essere archiviate dandone comunicazione scritta all‟interessato.
3.9.2.1.2.Accertamento dei danni
L‟organismo preposto alla erogazione degli indennizzi verifica le richieste avanzate
mediante sopralluoghi, da effettuare di norma entro i 15 giorni lavorativi successivi alla
richiesta di indennizzo e comunque entro i limiti previsti dalla legge.
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I sopralluoghi di accertamento sono effettuati, da tecnici incaricati dall‟Ambito
Territoriale di Caccia i cui compiti sono di verificare e stimare il danno causato dalla
fauna, anche mediante campionamenti, rilevamenti GPS (Global Positioning System)
e/o fotografici.
Sull‟apposita modulistica di sopralluogo dovrà essere riportato quanto segue:
superficie e tipologia della coltura oggetto del sopralluogo;
stato vegetazionale, fitosanitario e produttività della coltura;
quantità e/o percentuale di prodotto perduto;
superficie danneggiata;
presunta data del danno;
presunta provenienza degli animali che hanno provocato il danno;
indicazioni circa opere per la prevenzione adottate;
indicazioni circa opere per la prevenzione di eventuali, ulteriori danni.
4.
In caso di richiesta di sopralluoghi per l‟accertamento di danni risultanti
inesistenti, il costo della perizia tecnica sarà a carico del richiedente, che dovrà
corrisponderlo all‟Ambito Territoriale di Caccia.
3.9.2.1.3. Operazioni di stima
La stima del danno deve avvenire in contraddittorio con il richiedente, o suo incaricato,
ed il relativo verbale deve essere firmato per accettazione della stima.
In caso di mancata firma e accordo, il danneggiato può mettere a verbale i motivi della
mancata accettazione
I Tecnici incaricati del sopralluogo provvedono ad informare l‟agricoltore danneggiato
circa i metodi e le procedure di prevenzione dei danni normalmente adottate nei casi
similari, indicando i referenti cui rivolgersi per la loro attuazione e dandone menzione
nel verbale di sopralluogo.
Al sopralluogo possono presenziare componenti del Comitato di Gestione dell‟Ambito
Territoriale di Caccia o suoi delegati in veste di osservatori, i medesimi dovranno
comunque qualificarsi di fronte al proprietario o conduttore del fondo agricolo e non
prendere parte alla determinazione del verbale di accertamento.
Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà procedere ai seguenti adempimenti:
Verifica dei documenti allegati, dei quali è obbligatoria la certificazione catastale e la
cartografia particellare in scala adeguata tale da consentire l‟individuazione territoriale,
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per i vigneti certificati IGT- DOC – DOCG è obbligatoria la certificazione del catasto
vitivinicolo;
Verifica in caso di intestazione non corrispondente fra il certificato catastale ed il
titolare della richiesta, della documentazione attestante il titolo di conduzione;
Accertamento relativo alla rispondenza della qualità di coltura riportata nel certificato
catastale e quella oggetto della richiesta;
Valutazione del danno con metodo analitico procedendo, ove necessario, alle
misurazioni degli appezzamenti danneggiati se facilmente individuabili o, in caso di
danno diffuso, alla delimitazioni di aree di saggio distribuite uniformemente
sull‟appezzamento, conseguente determinazione della media ponderale e definizione
dell‟aliquota percentuale media complessiva.
Redazione del verbale riportando tutte le informazioni richieste e le annotazioni
necessarie alla successiva definizione del danno da rimborsare, curando con particolare
attenzione l‟aspetto delle definizione relativa alle cause o concause che hanno procurato
il danno e, se possibile, la provenienza, nonché indicate le misure di prevenzione
eventualmente adottate o, in caso contrario, le motivazioni per cui non sono state o non
possono essere realizzate;
La redazione del verbale deve essere effettuata anche in caso di accertamento del danno
risultante negativo, riportandone nelle annotazioni le motivazioni;
Il verbale deve essere firmato dal Tecnico incaricato e dal richiedente o suo
rappresentante. Nel caso in cui il richiedente si rifiuti di firmare la perizia, il Tecnico
deve informare il medesimo che eventuali osservazioni dovranno essere fatte con scritto
inoltrato all‟Ambito Territoriale di Caccia entro 10 giorni dalla data del verbale,
permettendo di procedere ad eventuali accertamenti suppletivi o l‟attivazione della
Commissione Arbitrale.
Il Tecnico con la firma del verbale, si assume la responsabilità di quanto accertato in
riferimento alla valutazione del danno.
3.9.2.1.4. Danni non ammessi a risarcimento
L‟indennizzo dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e forestali è
riservato a coloro che abbiano dato preventiva segnalazione del danneggiamento;
Non sono indennizzabili danni relativi a:
Colture che al momento del sopralluogo siano già state raccolte o comunque
manomesse;
Colture dove non sia in alcun modo tecnicamente accertabile la causa del danno;
Colture ottenute in assenza di tutte o parte delle operazioni agronomiche normalmente
adottate per il tipo di coltura interessata;
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Colture evidentemente aggredite da infestanti in modo tale da pregiudicare la normale
produzione;
Impianti di essenze arboree attuati con i contributi previsti dal Reg. CEE 2080/92
“Arboricoltura da legno” ove non sia stata prevista in progetto alcuna opera di
prevenzione, qualora ammessa dalla normativa europea;
Danni provocati da animali domestici e nutrie in quanto non riconosciuti come specie di
fauna selvatica;
Danni causati da eventi metereologici e/o fallanze;
Danni a colture attuate su terreni posti ad una quota incompatibile con le caratteristiche
agronomiche sue proprie. Resta comunque facoltà dell‟A.T.C. individuare limitazioni
per il rimborso di danni a colture attuate in situazioni ambientali ritenute incompatibili
con le loro specifiche caratteristiche agronomiche;
Ogni Ambito Territoriale di Caccia potrà definire un importo minimo (franchigia) al di
sotto del quale i danni accertati non siano indennizzabili; tale importo non potrà
comunque essere superiore a € 150,00.
3.9.2.1.5. Tipologia dei danni risarcibili e modalità di valutazione
Ai fini dell‟ammissione al risarcimento si distingue due tipologie di danni, quelli
direttamente legati ai prodotti agricoli e quelli indiretti legati ad alcuni tipi di
infrastrutture.
TIPOLOGIA DEI DANNI
Colture erbacee
impianti di prati e pascoli;
colture foraggiere – cerealicole – industriali – oleaginose e proteoleaginose;
colture orticole;
pascoli permanenti.
Colture arboree in attualità di coltivazione
frutteti – oliveti – vigneti – castagneti da frutto;
rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto.
MODALITA‟ DI VALUTAZIONE
Danni alle colture cerealicole, foraggiere e pascoli permanenti
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a)
Nel caso di danni procurati nella fase di semina o comunque in tempi tali da
consentire le operazioni di risemina, se questi interessano parti consistenti
dell‟appezzamento, deve essere indicata la superficie da riseminare, facendo presente al
richiedente che qualora non provveda non potrà essere riconosciuto alcun rimborso.
Diversamente, nel caso in cui i danni siano di lieve entità e diffusi sull‟appezzamento, il
danno dovrà essere espresso in percentuale e verificato prima del raccolto. E‟ compito
del richiedente, inoltrare richiesta scritta all‟Ambito Territoriale di Caccia, per un
ulteriore sopralluogo prima del raccolto, pena il non riconoscimento del danno.
Qualora venga riconosciuta una percentuale di danno il richiedente non può procedere
alla risemina. L‟Ambito Territoriale di Caccia potrà svolgere controlli in merito, non
risarcendo le risultanze dell‟avvenuta risemina per i danni già definiti.
b)
In presenza di danni arrecati a prato o prato pascolo, la valutazione dovrà essere
fatta in superficie danneggiata e non a fieno. Se lo stesso danno si presenta su superfici
in erbatura ma non facenti parte di una coltivazione come sopra, non può essere
riconosciuto, ai sensi della Delibera del C.R.T. n. 340 del 26/07/1995, come non sono
riconosciuti danni a scarpate o muri a secco.
c)
Per i danni causati in fase di maturazione del prodotto, il risarcimento sarà pari
alla perdita del prodotto definito in sede di valutazione.
Danni alle colture orticole
Il risarcimento viene determinato secondo i criteri già esposti:
superficie danneggiata;
prezzo del prodotto;
produzione media della zona.
Danni alle colture arboree in attualità di coltivazione
frutteti – oliveti – vigneti - castagneti da frutto;
nel caso di danni tali da rendere preferibile la sostituzione delle piante, il risarcimento è
basato sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa), con una integrazione pari
al valore del prodotto perduto stimata secondo i parametri precedentemente indicati.
rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto;
nel caso di danni tali da rendere necessaria la sostituzione delle piantine
danneggiate (per danni verificatisi entro tre anni dall‟impianto) il risarcimento è basato
sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa).
Nel caso di danni rilevanti in rapporto alla superficie investita e tali da prevedere ingenti
rimborsi, il Tecnico, effettuata la stima, si deve riservare del definitivo accertamento
dopo averne data immediata comunicazione all‟Ambito Territoriale di Caccia.
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Nel caso in cui i danni interessino oltre che le produzioni agricole anche le strutture di
frutteti, oliveti, vigneti ed altro, il Tecnico redigerà verbale descrittivo di quanto viene
accertato senza la definizione percentuale o numerica del danno, informando
immediatamente l‟Ambito Territoriale di Caccia.
3.9.2.2. MODALITÀ DI LIQUIDAZIONE
3.9.2.2.1. Definizione delle quantità dei prodotti agricoli da risarcire
Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà definire la quantità di prodotto da risarcire
in base alle produzioni medie definite dall‟Ambito Territoriale di Caccia, tenuto conto
delle indicazioni qualitative della coltura danneggiata riportata nel verbale.
3.9.2.2.2. Calcolo degli importi di liquidazione
Il calcolo dovrà essere effettuato sulla base del prezzario predisposto dall‟Ambito
Territoriale di Caccia ed approvato dall‟Amministrazione Provinciale per ogni annata
agraria sulla base dei mercuriali della camera di commercio, industria e artigianato.
3.9.2.2.3. Liquidazione degli importi
La liquidazione dei danni risultanti dai conteggi potrà essere effettuata con le seguenti
modalità:
in un'unica soluzione nei primi mesi dell‟anno successivo a quello dell‟accertamento;
immediatamente qualora il danno sia definito in modo forfettario ed il beneficiario abbia
sottoscritto l‟impegno a non richiedere ulteriori integrazioni per l‟annata agraria di
riferimento.
3.9.2.2.4. Detrazione per costi tecnici
Per ogni verbale di accertamento l‟Ambito Territoriale di Caccia potrà stabilire di
effettuare una detrazione dall‟importo da liquidare a titolo di contributo per costi tecnici
non superiore ad € 60,00. In caso di accertamenti, effettuati su richiesta, che abbiano
dato un esito negativo con mancato riscontro di qualsiasi tipo di danno, l‟ATC potrà
provvedere al recupero delle spese sostenute per costi tecnici richiedendo il relativo
rimborso nei modi consentiti dalla legge.
3.9.2.2.5. Riduzione percentuale per mancata prevenzione
Qualora il richiedente non abbia provveduto ad effettuare interventi di prevenzione dei
danni secondo le specifiche tecniche contenute nel successivo paragrafo, l‟Ambito
Territoriale di Caccia potrà, in sede di liquidazione, ridurre l‟importo da corrispondere
fino ad un massimo del 20%, diversificando tale riduzione in rapporto all‟ubicazione del
territorio danneggiato. Tale riduzione non potrà essere comunque applicata se, su
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richiesta preventiva dell‟agricoltore, l‟A.T.C. non avrà provveduto al coinvolgimento
della/e squadra/e di caccia al cinghiale, o di altri cacciatori, che operano nel territorio
interessato al fine di coadiuvare l‟agricoltore nell‟adozione di misure di prevenzione
compreso la messa in opera di strumenti di dissuasione (elettropascoli ect.)
Nel caso in cui il conduttore si sia rifiutato, su esplicita richiesta avanzata dal Tecnico
incaricato del sopralluogo o dalla stessa ATC, di adottare misure di prevenzione al fine
di limitare il protrarsi dei danni, potrà essere applicata una detrazione maggiore
all‟importo da liquidare fino ad un massimo del 40%.
Il ripetersi negli anni di danni diffusi sullo stesso appezzamento di terreno e la mancata
adozione di opportuni metodi di prevenzione può comportare, con provvedimento
motivato approvato dal Comitato di Gestione dell‟ATC, l‟annullamento totale di
qualsiasi rimborso.
3.9.2.3. TECNICHE DI PREVENZIONE DEI DANNI CAUSABILI DALLA FAUNA
Il problema dell‟impatto sulle produzioni agricole da parte della fauna selvatica si sta
rivelando, anche nell‟ambito dell‟intero territorio provinciale vibonese, di sempre
maggiore gravità in quanto talune specie selvatiche, quali ad esempio il cinghiale ed i
corvidi, caratterizzate cioè da una più o meno spiccata plasticità ecologica (e quindi da
un ampio spettro alimentare) evidenziano livelli di consistenza in progressivo aumento.
3.9.2.3.1. Specie selvatiche e danni alle produzioni agricolo-forestali
CINGHIALE
Costituisce la specie selvatica che arreca attualmente la maggiore entità di danni; in
ambito provinciale presenta, di fatto, una distribuzione pressoché uniforme, con la sola
eccezione delle più estese fasce di pianura ad agricoltura intensiva, prive di
appezzamenti boscati.
Specie in grado di percorrere notevoli distanze durante la notte per la ricerca del cibo, è
in grado di danneggiare ampie superfici soprattutto con l‟azione di scavo del terreno sia
per la ricerca del seme che di altre fonti alimentari quali Artropodi, Anellidi,
micromammiferi, radici, tuberi e residui di precedenti colture.
Le colture maggiormente colpite sono quelle cerealicole e foraggere, per quanto
possano venire interessate anche in maniera sensibile anche colture quali la barbabietola
da zucchero e i vigneti.
LEPRE
L‟impatto maggiore si rileva a carico di frutteti e vigneti di recente impianto, attraverso
la rosatura della corteccia, e di colture orticole quali cavolo (in inverno) e melone e
cocomero (in estate); mentre il danno su cereali autunno-vernini può rivelarsi evidente
nella fase di levata.
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ISTRICE
I danneggiamenti diretti sulle produzioni agricole sono limitati occasionalmente ai
cereali e al mais, rispetto alla possibilità del piegamento dei fusti in fase di maturazione.
FAGIANO
Specie prevalentemente granivora, il Fagiano denota comunque uno spettro alimentare
piuttosto ampio, che può portare, in condizioni di elevata densità, alla manifestazione di
danni soprattutto nei confronti delle produzioni cerealicole ed orticole, nonché di vigneti
e colture a campo aperto.
PASSERIFORMI
STURNIDI
Lo Storno successivamente al periodo della nidificazione diviene frugivoro e granivoro,
privilegiando i frutteti in genere, ma soprattutto i vigneti e gli oliveti. L‟entità dei danni
da Storno si rende particolarmente manifesta in virtù del comportamento sociale della
specie. Potendosi costituire infatti gruppi anche di alcune migliaia di individui, è
possibile subire la distruzione completa del raccolto dopo un solo attacco.
PLOCEIDI
I passeri, più precisamente il Passero Domestico e la Passera Mattugia, sono
caratterizzati anch‟essi da comportamento gregario; si rivolgono perlopiù a colture quali
girasole, frumento, sorgo, in fase di maturazione.
FRINGILLIDI
Più frequentemente rappresentati da Fringuello, Verdone e Cardellino, presentano
tipologie di impatto sulle produzioni agricole analoghe a quelle descritte per sturnidi e
ploceidi, ai quali talvolta si uniscono aggravando ulteriormente l‟entità dei danni.
CORVIDI
In prevalenza Cornacchia Grigia e Corvo Comune possono provocare danni alle colture
cerealicole, più che in fase di semina, in fase di germinazione, nonché arrecando danni a
talune colture orticole specializzate in fase di maturazione.
COLUMBIFORMI
Il Colombaccio e la Tortora possono, a seconda della consistenza, provocare danni di
una certa entità a colture quali frumento, soia, girasole, in fase di semina. A questi si
aggiunge il comune Colombo che, seppure legato agli ambienti urbani, gravita
sistematicamente nelle aree agricole con consistenze ben superiori rispetto alle due
specie precedenti.
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3.9.2.3.2. Interventi di prevenzione
A. Recinzioni elettriche
Tipologia di intervento
Strutture di tipo mobile rappresentate da due fili zincati elettrificati disposti a 25 e 50
cm dal suolo, fissati a dei paletti tramite dei supporti di plastica.
Generalmente vengono alimentate a basso voltaggio da pile secche in parcelle di
limitate dimensioni (inferiori a 5 ha) o da accumulatori a 12 volts per superfici
superiori.
Tale struttura viene utilizzata, anche fornendo buon risultato, soprattutto per limitare i
danni apportati dal cinghiale; può essere installata anche per non far avvicinare la lepre
e l‟istrice. In tal caso i due fili devono essere collocati rispettivamente a 7 e 25 cm dal
suolo e collegati ad un accumulatore a 12 volts oppure alla rete elettrica (220 volts).
Si rivela comunque di fondamentale importanza il costante controllo e la manutenzione
della struttura.
B. Protezioni individuali
Tipologia di intervento
Strutture rigide di polipropilene (shelters) con altezza di 40/60 cm, per la lepre, o di rete
(plastificata o zincata) ed altezza 120 cm, per il capriolo. Tali strutture, provviste di palo
tutore e poste a protezione diretta del fusto, impediscono il morso e lo sfregamento,
consentendo nel contempo il normale sviluppo della pianta.
C. Repellenti
Tipologia di intervento
Tale tipo di intervento produce un effetto sgradevole per l‟olfatto e/o per il gusto.
E‟ fondamentale che tali prodotti vengano distribuiti sulle gemme per un numero di
volte variabile rispetto alle qualità del prodotto ed in condizioni di tempo sereno su
piante asciutte.
I tipi di prodotti possono variare rispetto alla specie verso la quale è finalizzato
l‟intervento medesimo (uccelli, lepre, Cervidi, cinghiale, ecc.) e sono di tipo chimico o
naturale.
Nel primo caso, trattandosi generalmente di prodotti di terza e quarta classe di tossicità
(ad es. Lentacol, Morkit), possono venire impiegati anche in ambiti protetti, mentre nel
secondo caso sono generalmente concimi organici (Deer Away).
D. Palloni
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Tipologia di intervento
Tale sistema funziona attraverso la messa in opera di palloncini gonfiati ad elio di circa
40-60 cm di diametro e sospesi attraverso un filo. Possono essere colorati o
caratterizzati da disegni (modello “Predator”) simulanti occhi di rapaci; si considerano
comunque necessari circa 3-4 palloni/ha che devono essere periodicamente spostati
anche alternandoli tra loro.
Sono attivi nei confronti dei passeri, degli storni e dei picchi, non facendoli avvicinare.
F. Nastro riflettente
Tipologia di intervento
Consiste in una striscia di larghezza variabile (5-20 cm), da stendere, torcendola a
spirale 3-7 volte, a 60-80 cm sopra la coltura, in modo da farla brillare alla luce solare.
Deve essere applicata a sostegni distanti 10-25 m, con una distanza tra un nastro ed il
successivo di 5-10 m.
Il vento provoca una leggera ondulazione della striscia ed i raggi riflessi non fanno
avvicinare gli uccelli.
G. Operazioni agronomiche
Tipologia di intervento
Rientrano in questa categoria di interventi diversi tipi di operazioni colturali che
consentono, in funzione delle situazioni locali, di ridurre i danni arrecati dalla fauna
selvatica. Tali operazioni possono essere riassunte nelle seguenti:
uso di varietà di frumenti resistenti all‟allettamento;
scelta di specie foraggere più opportune;
scelta di varietà precoci o tardive;
3.9.2.3.3. Modalità di accesso ai fondi per le attività di prevenzione dei danni da fauna
selvatica
Per quanto attiene le procedure per la presentazione delle domande di contributo, sia nel
caso di fondi agricoli ricadenti in Z.R.C. che all‟interno di A.T.C. si può fare
riferimento a quanto riportato nel 4.8.4 (“Presentazione e istruttoria delle domande”).
Unica ulteriore precisazione riguarda i soggetti beneficiari, rispetto ai quali verrà data
priorità di contributo a quegli interventi ricadenti in terreni già danneggiati negli anni
precedenti.
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3.10. CRITERI
PER LA CORRESPONSIONE DEGLI
PROPRIETARI E CONDUTTORI DEI FONDI RUSTICI
INCENTIVI
IN
FAVORE
DEI
3.10.1.PREMESSA: GLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE
L‟articolo 10 comma 8 della L. n° 157/92 relativo ai contenuti dei Piani faunistico
venatori provinciali indica alla lettera g) che i Piani devono contenere i criteri per la
corresponsione degli incentivi economici a favore dei proprietari e conduttori dei fondi
che si impegnano ad adottare misure per la tutela ed il ripristino degli habitat naturali,
ed all‟incremento della fauna selvatica.
L‟art. 14, comma 11 relativamente alla gestione programmata della caccia indica che
l‟organismo di gestione dell‟ATC nel territorio di propria competenza “provvede al
programma di interventi per il miglioramento degli habitat e provvede all‟attribuzione
di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per realizzare misure tra cui:
ricostituzione di una presenza faunistica ottimale nel territorio
coltivazioni per l‟alimentazione naturale della fauna (colture a perdere)
ripristino di zone umide
differenziazione delle colture
ripristino di siepi, cespugli, alberature
tutela dei nidi e dei nuovi nati
difesa preventiva delle coltivazioni
pasturazione invernale della fauna nei periodi di difficoltà
Le linee guida di seguito riporatte costituiscono i criteri tecnici ai quali la provincia e gli
ATC dovranno attenersi al fine dell‟erogazioen dei contributi economici per le misure di
miglioramnento ambientale realizzate sia nel territorio a gestione programmata (ATC)
che all‟interno degli istituti faunistici realizzati dalla Provincia (ZRC, Oasi di
protezione, Zone di protezione lungo le rotte di migrazione).
3.10.2. DIRETTIVE
TECNICHE
MIGLIORAMENTO AMBIENTALE
PER
LA
REALIZZAZIONE
DEGLI
INTERVENTI
DI
3.10.2.1. INTERVENTI FINALIZZATI AL MIGLIORAMENTO DEGLI HABITAT
3.10.2.1.1. - Colture a perdere – Mis. 1)
In questa categoria di intervento sono comprese sia la semina di appezzamenti,
appositamente realizzata per la fauna selvatica, sia il rilascio della fascia perimetrale più
esterna di un appezzamento di coltura idonea, sempre ai fini dell‟alimentazione e rifugio
della fauna selvatica.
Mis. 1A) Semina di colture
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L‟intervento prevede la realizzazione di piccole superfici di colture agricole da destinare
all‟alimentazione naturale della fauna selvatica.
Nelle Zone di Ripopolamento e cattura è possibile attuare tali interventi sia
nel periodo primaverile che in quello autunnale, mentre nel TCP risulta utile
attuare le pratiche, successivamente indicate come 1A)-1B) e 1C), solo nel
periodo autunno/invernale.
La superficie di ciascun appezzamento (di un determinato tipo di coltura), deve essere
compresa tra un minimo di 1.000 ed un massimo di 10.000 mq.
Gli appezzamenti di uguale coltura non dovranno essere contigui. La superficie
complessiva di appezzamenti contigui di colture diverse (es: cereale autunno vernino,
erba medica, mais o sorgo) non potrà comunque superare i 10.000 mq.
Sono da considerare non contigui gli appezzamenti distanti tra loro almeno mt 200.
Per quanto riguarda le specie vegetali utilizzabili, l‟epoca e le dosi di semina, il tipo di
suolo richiesto e le consociazioni possibili, sarà fatto riferimento alla Tavola n° 8 del
quaderno tecnico n°16 “I miglioramenti ambientali a fini faunistici” edito dall‟INFS
(Allegato n° 1). Altre specie potranno essere aggiunte previo assenso della Provincia.
Quando la semina è attuata con cereali (orzo, grano, avena) la dose deve essere
integrata con sementi di leguminose (ginestrino, lupinella, sulla).
L‟intervento comprende le seguenti operazioni:
-
aratura superficiale alla profondità di 20-30 cm, erpicatura e amminutamento della
superficie compreso eventuale apertura di fosse livellari.
semina delle essenze prescelte, concimazione di fondo ed eventuale rullatura.
per le colture foraggiere può essere richiesto uno sfalcio in periodo non
pregiudizievole per la fauna.
E‟ escluso l‟utilizzo di pesticidi e la concimazione in copertura.
Quando si tratterà di colture a semina autunno/invernale, dovranno permanere in campo
fino alla fine di agosto o fino a tutto gennaio dell‟anno successivo quando si tratti di
colture a semina primaverile.
Costituiranno criterio di precedenza ai fini dell‟istruzione delle domande di
finanziamento per gli interventi di cui alla presente Misura 1 A), i seguenti requisiti:
Interventi realizzati all‟interno di Zone di Protezione (ZRC-ZPM-Oasi-);
Interventi in aree vocate ai galliformi e lagomorfi individuate nel presente PFV;
Interventi che rispettino i minimi ed i massimi delle superfici degli appezzamenti
indicati precedentemente;
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Interventi in appezzamenti situati all‟interno o al margine di aree boscate.
Mis. 1B) Rilascio di fasce di prodotto agricolo
L‟intervento consiste nel rilascio in piedi del prodotto presente nella fascia perimetrale
esterna dell'appezzamento per una larghezza variabile tra 4 e 6 metri.
In tale fascia non dovranno essere impiegati pesticidi né effettuate concimazioni in
copertura.
Il rimborso sarà ammesso soltanto per le colture idonee alla fauna selvatica di cui alla
tabella citata per le colture a perdere e per gli stessi periodi di permanenza in campo.
Il contributo sarà riferito alla superficie effettiva della fascia rilasciata e di importo
analogo/ha a quanto previsto per la Mis. 1A).
Questa misura potrà anche essere adottata, qualora esista adeguata disponibilità
finanziaria, quando, a seguito di richiesta di verifica dei danni, il Tecnico accerti che i
medesimi superano il 60% dell'intera superficie.
Quest'ultima erogazione sarà riferita all'intera superficie dell'appezzamento, che dovrà
avere le dimensioni indicate per la Mis. 1A) e sarà commisurata al valore commerciale
del prodotto.
I criteri di precedenza per l‟accesso ai finanziamenti sono i medesimi della misura 1°.
Mis. 1C)- Mantenimento di prati
L'intervento prevede il mantenimento di prati di essenze foraggere per un periodo max.
di anni 5 dalla semina iniziale.
In detti appezzamenti andrà effettuato obbligatoriamente lo sfalcio nel periodo
compreso tra il 1 e 30 settembre di ogni anno e quanto risultante sarà a disposizione del
proprietario o conduttore del fondo.
Ogni anno dovrà essere presentata relativa domanda e l'eventuale autorizzazione è
subordinata alla disponibilità economica per tali interventi.
L'ATC potrà prevedere contributi differenziati per impianto e manutenzione dei prati.
L'ATC potrà prevedere, inoltre, incentivi per prati umidi.
Mis. 1D) – Posticipazione della aratura
Tale intervento prevede la posticipazione delle operazioni di aratura dei residui colturali
dopo il:
-
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1 aprile per le successive semine primaverili;
1 settembre per quelle autunnali.
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La finalità dell‟intervento è quella di incrementare i luoghi di alimentazione, in
momenti di suo difficile reperimento, e quale rifugio per la prole.
3.10.2.1.2. - Recupero a fini faunistici di terreni incolti - Mis. 2)
L‟intervento è previsto per i terreni che presentino vegetazione erbacea o che siano
moderatamente invasi da vegetazione arbustiva, ma che necessitino comunque di
un‟operazione di ripulitura del terreno con mezzo meccanico dotato di idonea
attrezzatura (decespugliatore, trinciastocchi).
Saranno esclusi dall‟intervento i terreni colonizzati in maniera estesa da cespugli quali
ginestra, pruno, eriche e da specie arboree (querce, castagno).
Qualora l‟operazione di decespugliamento non sia necessaria a causa della sola presenza
di vegetazione erbacea di modesta altezza, l‟intervento sarà assimilato alla Mis. 1A).
Sulla superficie ripulita sarà poi effettuata la semina delle colture (foraggere o da
granella) di cui alla Mis. 1A), preceduta dalle operazioni necessarie (aratura, fresatura,
concimazione di fondo) e per gli stessi periodi di permanenza in campo.
La superficie da sottoporre a contributo sarà quella del terreno ripulito e rimesso a
coltura.
I criteri di precedenza ai fini dell‟istruttoria delle domande saranno i medesimi di cui
all‟intervento Mis.1 A).
3.10.2.1.3. - Impianto di siepi - Mis. 3)
Formazione di siepi a composizione mista arborea ed arbustiva, o soltanto arbustiva, a
fila semplice o doppia.
Le specie arboree ed arbustive saranno preferibilmente specie autoctone, scelte tra
l‟elenco compreso nella Tavola n° 7 del quaderno tecnico n° 16 dell‟INFS (Allegato n°
2).
Il materiale di impianto sarà a radice nuda di due-tre anni di età o in fitocella.
Le distanze tra le piante saranno indicativamente di 1-2 mt per le specie arbustive e 5-10
mt tra le specie arboree. La distanza tra le file per le siepi doppie sarà indicativamente di
2-3 mt.
L‟intervento non sarà comunque ammissibile a distanza inferiore a 200 mt da fabbricati
adibiti ad abitazione ed a luogo di lavoro e all‟interno dell‟area vocata per la gestione
faunistica del cinghiale.
Le siepi realizzate dovranno essere mantenute per un periodo non inferiore ad anni 10.
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Sarà data precedenza alle domande di intervento in aree ad agricoltura intensiva ed i
parametri di valutazione saranno la dimensione degli appezzamenti ed il grado di
monocoltura; qualora venga ritenuto che la vegetazione naturale già esistente sia
sufficientemente sviluppata, l'intervento non sarà ammesso.
Il finanziamento di questa misura è ammesso esclusivamente all‟interno delle aree
indicate come vocate a fagiano, starna, coturnice, lepre italica e lepre europea nel
presente PFV.
3.10.2.1.4. - Impianto o recupero di essenze arboree - Mis. 4)
Mis. 4a) Impianto essenze arboree e arbustive
L‟intervento consiste nella piantagione di essenze arboree autoctone che producono
frutti appetibili per la fauna selvatica e la cui diffusione sia scarsa o insufficiente nelle
aree di intervento. Le specie saranno quelle previste alla tavola n° 7 del quaderno
tecnico INFS n° 16 (Allegato n° 2).
L‟operazione è alternativa alla realizzazione di siepi ed è prioritariamente autorizzata
all‟interno del territorio vocato per la gestione faunistica del cinghiale.
Analogamente a quanto previsto per le siepi, le piantine da mettere a dimora sono a
radice nuda di 2-3 anni o in fitocella.
La distanza tra le piantine non dovrà essere inferiore a 5 mt, e l'intervento dovrà essere
effettuato a piccoli gruppi composti al massimo da 20 piante, di almeno tre specie
diverse. I gruppi dovranno essere distanziati da almeno 500 mt.
Le piantine devono essere obbligatoriamente difese contro il morso e lo sfregamento
degli ungulati e della lepre mediante shelters.
Per un periodo di almeno cinque anni dopo l'impianto si dovrà procedere a sfalciatura
localizzata delle erbe intorno alla piantina ed eventuale lavorazione del terreno.
Costituiscono elementi di priorità per questo tipo di intervento:
-
appezzamenti situati al di sopra dei 400 mt s.l.m.
appezzamenti situati all'interno di aree boscate
appezzamenti situati lungo crinali montani o ad essi limitrofi (entro 300 mt).
Le piante messe a dimora non potranno essere sottoposte a taglio e dovranno essere
obbligatoriamente lasciate a dimora qualora si proceda all‟utilizzazione del circostante
soprassuolo forestale.
Il richiedente si impegna ad eseguire tutte le operazioni colturali che risultino necessarie
al mantenimento in buone condizioni agronomiche dell‟impianto per 5 anni successivi,
ed in tale periodo potranno essere disposti dalla Provincia sopralluoghi di
verifica/collaudo.
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Qualora da tale accertamento risulti che l‟impianto non sia nelle condizioni
agronomiche sopra previste o con fallanze superiori al 50%, il beneficiario del
contributo sarà tenuto alla restituzione del 50% dell‟ammontare indebitamente
percepito.
3.10.2.1.5. -Iinterventi finalizzati alla tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica Mis. 6)
L'intervento consiste nell'adozione di misure di precauzione volte a diminuire la
mortalità di fauna selvatica, in particolare galliformi e lepre ma anche piccoli cervidi
(capriolo), causata dalle operazioni agricole di sfalcio delle colture foraggere e
trebbiatura delle colture cerealicole.
L'intervento consiste in:
adozione della barra di involo che consiste in una struttura metallica dotata di spezzoni
di catena metallica, da porre anteriormente alle strutture falcianti in modo da toccare e
far allontanare gli animali prima che siano raggiunti dalla lama.
esecuzione delle operazioni di sfalcio/trebbiatura in modo centrifugo, cioè partendo dal
centro dell'appezzamento, in modo da consentire alla fauna di allontanarsi.
alzare la barra falciante di almeno 15 cm dal suolo.
rilascio di piccole porzioni di coltura intorno a nidi eventualmente individuati.
L'ammissione al contributo potrà essere subordinata a preventiva verifica da parte di
personale della Provincia, dell'effettiva presenza e riproduzione della fauna selvatica.
L‟intervento sarà prioritariamente ammesso nei seguenti casi:
appezzamenti di dimensioni fino a 3 ha.
appezzamenti situati all'interno o limitrofi ad aree boscate, siepi, cespugliati.
appezzamenti situati all'interno delle aree vocate per i galliformi individuate con
successive direttive dirigenziali.
appezzamenti in cui siano stati segnalati e verificati dagli organi competenti casi
precedenti di mortalità o di distruzione di nidi e covi.
appezzamenti situati all'interno di ZRV.
Potranno essere ammessi a contributo interventi in aree diverse, previo accertamento di
riproduzione di fauna selvatica da parte degli uffici che istruiscono le domande.
Il contributo consiste in un incentivo economico per l'adozione delle misure di
precauzione.
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La barra di involo sarà fornita dall‟ente che eroga il contributo o in caso contrario, sarà
previsto un ulteriore contributo all‟acquisto.
3.10.2.1.6. -Realizzazione di strutture di ambientamento della fauna selvatica
Le strutture di ambientamento consentono un adattamento graduale della fauna selvatica
proveniente da allevamento alle nuove condizioni naturali delle località di immissione,
riducendo l‟effetto della mortalità dovuto sia alla difficoltà sia i soggetti incontrano
nell‟alimentarsi in condizioni naturali, sia alla predazione, facilitata dall‟assenza di
adattamento.
Tali strutture potranno essere previste sia per operazioni di reintroduzione (immissione
di specie scomparse in epoca recente e per le quali esistano condizioni ancora idonee
alla loro presenza; es: starna), sia per operazioni di ripopolamento, cioè di immissione
di individui appartenenti a specie presenti ma con livelli di densità insufficienti, ai fini
del loro incremento numerico.
Le presenti direttive tecniche hanno validità per le strutture di ambientamento finanziate
con i fondi del PFV. Per le strutture che i comitati di gestione degli ATC intenderanno
realizzare con fondi propri, le presenti direttive avranno valore di norme di indirizzo, da
valutare caso per caso dall‟Amministrazione Provinciale con possibilità di deroga ai fini
delle relative autorizzazioni.
Caratteristiche tecniche della struttura
La struttura di ambientamento, secondo le indicazioni tecniche fornite da specialisti del
settore (cfr. A. Meriggi, Piano faunistico venatorio dell‟ATC Parma 6) e dall‟A.R.S.I.A.
Toscana, sarà indicativamente costituita da un recinto di ambientamento di superficie
minima pari a 1-2 ha, costituito da rete metallica alta 2 mt e interrata per 50 cm, sorretta
da pali posti a distanza di circa 5 mt.
Il recinto dovrà essere ubicato in aree adatte alla specie e dovrà racchiudere, al suo
interno, un appezzamento di cespugliato e/o di bosco in modo da consentire un utilizzo
prolungato della struttura ed un maggior successo della fase di ambientamento.
All‟interno del recinto saranno realizzate due voliere di 10x20 mt anch‟esse con rete
metallica di 2 mt di altezza e interrata per 20-30 cm. Le voliere saranno a cielo chiuso
con rete di nylon elastica per evitare che gli animali si feriscano se disturbati.
Nel recinto e nelle due voliere saranno collocati alimentatori automatici con granaglie e
abbeveratoi. Il 50% della superficie del recinto sarà coltivato ad erba medica e cereali.
Zona di rispetto venatorio
La struttura di ambientamento deve essere circondata da una zona di rispetto venatorio
(ZRV) o di divieto di caccia (ZRC) di ampiezza variabile a seconda della specie e
dell‟utilizzo (reintroduzione o ripopolamento).
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Questo elemento è indispensabile sia ai fini di una dispersione graduale dei soggetti
immessi che di un razionale utilizzo venatorio delle aree limitrofe il punto di
immissione che sia compatibile con irrinunciabili criteri di sicurezza. Tali condizioni
saranno tanto più soddisfatte quanto maggiori saranno le dimensioni e quindi il
perimetro dell‟area di rispetto.
La ZRV, oltre a diluire nel tempo la dispersione dei soggetti immessi, garantirà il
mantenimento di una popolazione anche oltre la stagione venatoria con effetti positivi ai
fini della progressiva colonizzazione dei territori circostanti.
La forma della ZRV sarà tale da minimizzare il rapporto perimetro/superficie,
orientativamente sub-circolare o poligonale e la posizione della struttura di
ambientamento dovrà essere centrale. La ZRV sarà istituita dalla Provincia, su proposta
del comitato di gestione dell‟ATC competente.
L‟area di ubicazione dovrà avere caratteristiche di spiccata vocazione per la specie.
Utilizzo della struttura
Nelle voliere saranno immessi fino a 100 soggetti per volta che saranno liberati
all‟interno del recinto dopo un periodo di ambientamento in voliera (indicativamente
almeno 2-3 settimane). Le immissioni all‟interno dell‟intera struttura (recinto e voliere)
non potranno essere effettuate, a norma di legge, oltre il 31 agosto. All‟interno e nei
dintorni della struttura non sarà ammesso il controllo di carnivori tramite trappole.
Eventuali interventi di controllo all‟interno della ZRV saranno eseguiti per conto
dell‟Amministrazione provinciale tramite i sistemi indicati dall‟INFS per le ZRC.
3.11. BANCHE DATI FAUNISTICHE (MATTIOLI L.)
Gli indirizzi approvati dalla Regione Calabria per la redazione dei Piani faunistico
venatori provinciali indicano come obiettivo prioritario la realizzazione di banche dati
informatizzate sui seguenti argomenti:
Carnieri
Censimenti faunistici
Danni
Controllo faunistico
Miglioramenti ambientali
Popolazione venatoria
Infrazioni venatorie
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Relativamente al punto 1. Si ritiene di basilare importanza l‟informatizzazione dei dati
registrati dai cacciatori nel tesserino venatorio, e nelle schede giornaliere di caccia
previste per la gestione del cinghiale.
Per la gestione del cinghiale è di grande importanza (vedi paragrafoxx) la creazione di
banche dati relative al numero di battute effettuate da ciascuna squadra, con indicazione
del numero di partecipanti alla battuta, numero di cinghiali osservati, numero di
cinghiali abbattuti.
Tutti i dati di operazioni di monitoraggio effettuate nelle ZRC, così come in altre aree
(conteggi notturni con faro di lepre, conteggi di galliformi a vista o in battuta) saranno
inseriti in appositi database.
Per il punto3. Appare indispensabile la creazione di una banca dati unica a livello
provinciale georiferita a livello di foglio catastale, sull‟esempio di quella realizzata dalla
Provincia di Arezzo. La banca dati prevede un server unico nella Provincia, in cui gli
ATC possono inserire tutte le pratiche relative agli episodi di danno di cui i proprietari
dei fondi agricoli hanno richiesto il rimborso.
La banca dati sui danni può essere affiancata da una analoga banca dati, con uguale
impostazione, relativa agli interventi di miglioramento ambientale (punto 5).
Ugualmente gli interventi di controllo della fauna selvatica dovranno essere registrati in
apposito database.
Come indicazione generale per la realizzazione delle banche dati faunistiche si
suggerisce di realizzare strumenti in ambiente WEB che consente il grande vantaggio di
poter far lavorare, con apposito accreditamento tramite sistema di username e password
riservate, personale anche situato in aree esterne ai soggetti pubblici (Provincia o ATC),
con grande risparmio di tempo e denaro.
Tale sistema consente inoltre di incentivare il volontariato di singoli cacciatori o gruppi
di cacciatori, ambientalisti, agricoltori.
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3.12. PIANO DI IMMISSIONE FAUNA SELVATICA
3.12.1. OBIETTIVI DELLE IMMISSIONI
La riqualificazione e il potenziamento delle zoocenosi costituiscono un aspetto
importante della programmazione faunistico-venatoria della Provincia e dell‟attività di
gestione degli A.T.C.
I piani di immissione da realizzare nel prossimo futuro dovranno tenere in
considerazione quanto precedentemente detto per le singole specie nel paragrafo
inerente gli obiettivi e la pianificazione delle attività gestionali (3.6.).
Gli interventi di immissione dovranno essere indirizzati prioritariamente all‟interno di
zone di protezione (ZRC, Zone di protezione lungo le rotte di migrazione, aree protette)
del territorio provinciale; l‟ente gestore che effettuerà l‟immissione dovrà adempiere a
tutte le prescrizioni previste dalla normativa nazionale e regionale.
In particolare nei siti Natura 2000, fatto salvo il divieto di introduzione di popolazioni
non autoctone ex art. 12 D.P.R. 357/97, ogni intervento di reintroduzione di fauna
selvatica all‟interno dei siti è sottoposto a specifica valutazione di incidenza.
I piani di immissione devono porsi lo scopo di limitare gradualmente nel tempo la
logica del ripopolamento, in modo che il prelievo venatorio sia basato sulla produzione
spontanea della fauna e sulla dispersione di individui dalle aree in divieto di caccia.
In tale logica si indica come fattore strategico la creazione di ZRC ed altri istituti in
divieto di caccia ove ricostituire popolazioni autosufficienti di specie appartenenti alla
piccola fauna stanziale.
Qualora ciò non dovesse accadere, si ritiene che la stratega del ripopolamento “pronta
caccia” sarebbe destinata fatalmente all‟insuccesso, o per lo meno a produrre effimeri
benefici. Negli anni passati la liberazione di notevoli quantitativi di animali appartenenti
a specie, sottospecie (o perfino ibridi) diverse da quelle autoctone ha determinato
fenomeni di inquinamento genetico delle popolazioni locali.
A parte operazioni di reintroduzione (starna, coturnice, capriolo italico, lepre italica),
per le specie di interesse faunistico-venatorio sarà consentita l‟immissione unicamente
delle seguenti specie: Lepre europea e Fagiano.
La liberazione di esemplari appartenenti a queste specie potrà essere autorizzata a
seguito della presentazione all'Amministrazione Provinciale di apposito progetto redatto
da un operatore tecnico faunistico.
E‟ in ogni caso vietata l‟immissione di soggetti di cinghiale, ad eccezione di soggetti
destinate ad aree recintate per l‟addestramento dei cani, e di capriolo non appartenenti
alla sottospecie italicus.
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3.12.2. CRITERI DELLE OPERAZIONI DI IMMISSIONE
Notevoli sono i problemi legati all‟utilizzo di animali allevati nelle immissioni
faunistiche, quali le condizioni sanitarie, le modificazioni del comportamento e della
fisiologia indotte dall‟allevamento, la caratterizzazione genetica degli animali allevati e
la difficoltà degli animali ad integrarsi nel contesto dell‟ambiente naturale dove sono
immessi.
Si possono pertanto distinguere due tipologie di immissioni a seconda del tipo di
materiale impiegato:


immissioni di soggetti di allevamento;
immissioni di soggetti catturati e traslocati da aree limitrofe;
Le immissioni di soggetti di allevamento hanno scarso successo, soprattutto per la
difficoltà di reperimento di soggetti di buona qualità. Sono in particolare da sconsigliare
per specie di costo elevato come la lepre, per il bilancio costi/benefici particolarmente
sfavorevole. Molto meglio impiegare i pochi fondi disponibili per la gestione del
territorio e degli istituti faunistici.
Le operazioni di immissione più qualificate sono senza dubbio quelle realizzate con
soggetti di cattura in ZRC o centri di produzione allo stato naturale. Attualmente però
nella Provincia non sono state ancora istituite ZRC, pertanto le operazioni di
immissione che dovessero essere effettuate, anche per ricostituire popolazioni iniziali
nelle nuove ZRC, saranno effettuate probabilmente con soggetti di allevamento.
Dovranno essere ricercati soggetti provenienti da allevamenti locali, con rigorosa
certificazione sanitaria.
In caso di operazioni di reintroduzione di coturnice, starna, lepre italica e capriolo
italico, sarà necessario porre particolare attenzione all‟identità genetica dei soggetti
utilizzati.
Le immissioni dovranno essere attuate in modo pianificato, tenendo conto delle
caratteristiche della specie e delle peculiarità del territorio, esclusivamente all‟interno
delle aree indicate come vocate per la specie nelle cartografie semplificate di cui al
presente piano.
3.12.2.1. LEPRE
Nella gestione delle popolazioni di lepre per fini venatori il ripopolamento artificiale
rappresenta uno strumento prezioso allorquando di debbano risolvere situazioni a tal
punto compromesse da non lasciar sperare in un naturale recupero delle popolazioni in
tempi ragionevoli (ripopolamento vero e proprio), oppure nel caso in cui si renda
opportuno il reinsediamento di un nucleo iniziale in una zona ove la specie sia
scomparsa (reintroduzione).
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Naturalmente in entrambi questi casi occorre considerare una serie di accorgimenti di
carattere tecnico affinché l‟operazione abbia un risultato accettabile in termini di
costi/benefici.
In primo luogo le immissioni di lepre devono essere indirizzate a creare popolamenti
consistenti e presenti sul territorio tutto l‟anno; per tale motivo le immissioni dovranno
essere attuate all‟interno di ZRC, aree protette o aree di rispetto.
I soggetti dovranno essere certificati dal punto di vista sanitario e provenienti
esclusivamnente da allevamenti locali di cui si conosca la storia genetica, escludenso in
ogni caso soggetti extra-nazionali.
Non si consigliano strutture di pre-ambientamento.
Deve essere previsto, anche in considerazione del fatto che le immissioni avvengono
entro istituti faunistici, un monitoraggio almeno annuale degli esiti dell‟immissione
dello sviluppo del nuopvo popolamento.
3.12.2.3. FAGIANO
Le immissioni di fagiani allevati in cattività, dovranno essere coerenti con le linee di
gestione, indicate dall‟ex INFS, ispirate a criteri di razionale gestione faunistica, volti
prioritariamente a costituire popolazioni selvatiche capaci di riprodursi allo stato di
natura, vale a dire:
a) realizzare le immissioni prevalentemente all‟interno di Z.R.C di nuova costituzione,
opportunamente individuate in funzione dell‟idoneità ambientale per la specie;
b) affiancare sempre alle immissioni programmi di miglioramento ambientale;
c) avviare ed estendere la pratica dell‟ambientamento dei fagiani da immettere in recinti
a cielo aperto, ampi e specificatamente coltivati, collocati all‟interno di Z.R.C. (vedi
Paragrafo: 3.10.2.1.6;
d) eliminare completamente le immissioni di fagiani durante la stagione venatoria;
e) impiegare per i ripopolamenti preferibilmente fagiani di età compresa tra i 50 ed i
120 giorni;
f) utilizzare nel tempo, quantità decrescenti di fagiani allevati, di pari passo con
l‟aumento del numero dei riproduttori selvatici, mirando al loro totale azzeramento in
corrispondenza della definitiva formazione di popolazioni selvatiche autosufficienti.
3.12.2.4. REINTRODUZIONI
Per quanto concerne operazioni di reintroduzione di coturnice, starna, lepre italica o
capriolo italico, dovranno essere redatti specifici progetti.
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OGNIBEN L. (1979) – Schema introduttivo alla geologia del confine calabro – lucano.
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242
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
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PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
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243
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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ALLEGATI:
ALLEGATO 1
Caratteristiche morfometriche dei principali corsi d‟acqua della Provincia di Vibo
Valentia (per la parte ricadente all‟interno del territorio provinciale
Altitudine
min
Altitudine
max
Altitudine
media
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
145.62
0.0
1240.0
395.5
62.11
45.79
45.0
968.0
440.3
T. Sciarapotamo
36.93
43.51
48.0
1000.0
475.5
F. Metramo dalle
origini sino alla
confluenza col T.
Vacale escluso
109.60
56.28
45.0
1235.0
629.5
F. Metramo dalla
confluenza col T.
Vacale sino a
quella
col
F.
Mesima
24.75
32.68
24.0
661.0
253.4
F. Mesima dalla
confluenza col F.
Marepotamo sino a
quella
col
F.
Metramo escluso
10.39
19.67
26.0
250.0
84.1
F. Mesima dalla
confluenza col F.
Metramo fino alla
sua foce in mare
44.95
39.44
1.0
137.0
39.2
Superficie
Perimetro
(km2)
(km)
Mesima
813.36
T. Vacale
BACINO
244
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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T. Melanda
12.84
25.54
100.0
1104.0
605.7
F.
Marepotamo
dalla confluenza
col T. Morano fino
a quella col F.
Mesima
60.72
49.45
38.0
800.0
289.7
T. Filasa
14.62
20.37
131.0
1075.0
573.1
T. Petriano
53.22
37.95
100.0
1240.0
687.3
T. Morano
19.58
28.14
119.0
1091.0
591.9
Fiumara Rosario
(T. Cornacchia)
22.99
26.21
131.0
1000.0
543.3
T. Cerasia
19.17
24.92
180.0
947.0
622.8
F.
Marepotamo
dalle origini sino
alla confluenza col
T. Morano, escluso
30.36
44.06
114.0
893.0
328.5
F. Mesima dalla
confluenza col Rio
Cridello sino a
quella
col
F.
Marepotamo
54.84
46.18
0.0
319.0
175.7
Fosso Cinnarello
41.98
46.05
0.0
509.0
213.6
T. Mammella
75.85
44.47
18.0
650.0
302.2
Rio Cridello
37.70
31.45
128.0
547.0
348.0
245
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
F. Mesima dalle
origini fino alla
confluenza col Rio
Cridello escluso
BACINO
80.77
56.47
111.0
914.0
323.1
Altitudine
min
Altitudine
max
Altitudine
media
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
Superficie
Perimetro
(km2)
(km)
Angitola
187.95
70.40
1.0
1004.0
388.8
F. Angitola dalla
confluenza con la
Fiumara
Reschia
fino alla sua foce in
mare
54.56
40.98
1.0
609.0
217.0
Fiumara Reschia
57.17
35.68
30.0
1007.0
515.4
F. Angitola dalla
confluenza col T.
Falla fino a quella
con la Fiumara
Reschia esclusa
?28.39
25.33
32.0
941.0
270.3
F. Angitola dalle
origini fino alla
confluenza col T.
Falla escluso
23.60
27.48
90.0
954.0
541.4
T. Falla.
24.36
35.94
90.0
925.0
452.2
246
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Altitudine
min
Altitudine
max
Altitudine
media
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
(m s.l.m.)
82.24
1.0
1340.0
718.6
61.41
37.40
655.0
1340.0
917.2
F. Ancinale da
quota 600 m. a
quota 300 m.
63.57
41.42
347.0
1133.0
706.0
T. Ancinalesca.
17.74
23.42
162.0
1205.0
812.8
F. Ancinale da
quota 300 m. fino
alla confluenza col
T.
Ancinalesca,
escluso.
8.69
14.79
125.0
869.0
393.7
Fosso Turriti.
8.22
23.14
21.0
632.0
326.3
F. Ancinale dalla
confluenza col T.
Ancinalesca sino a
quella col Fosso
Turriti, escluso.
4.56
11.35
22.0
400.0
165.3
F. Ancinale dalla
confluenza
col
Fosso Turriti fino
alla sua foce in
mare.
9.63
22.94
1.0
894.0
283.2
Superficie
Perimetro
(km2)
(km)
Ancinale
173.84
F. Ancinale dalla
origini alla quota
600 m.
BACINO
247
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
ALLEGATO 2
Podicipediformes
Podicipedidae
Procellariformes
248
Procellariidae
Specie nome comune
nome scientifico
/
Status
1
Tuffetto
Tachybaptus ruficollis
M reg, W, B, S
par
2
Svasso
Podiceps cristatus
M reg, W irr, B?
3
Svasso
Podiceps nigricollis
4
Berta
maggiore
Calonectris diomedea
maggiore
piccolo
*
M reg, W irr
M reg
SPEC
Famiglia
Lista rossa
Ordine
Dir
79/409/CEE
All. 1
Conv. di Berna,
All 2
Conv. di Bonn app.
2
Check-list delle specie di uccelli della Provincia di Vibo Valentia e status legale
*
*
N
E
*
V
U
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Pelecaniformes
Ciconiiformes
249
5
Berta
Puffinus puffinus
Hydrobatidae
6
Uccello
delle
tempeste
Hydrobates pelagicus
M irr?
Sulidae
7
Sula
Morus bassanese
M reg, W
Phalacroracida
e
8
Cormorano
Phalacrocorax carbo
M reg, W
9
Marangone
dal
ciuffo
Phalacrocorax aristotelis
A (s.d.)
*
*
10
Marangone
minore
Phalacrocorax pygmeus
A (s.d.)
*
*
*
N
E
11
Tarabuso
Botaurus stellaris
M reg
*
*
*
E
N
Ardeidae
minore
M reg
*
*
V
U
4
*
V
U
2
E
N
LR
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
250
12
Tarabusino
Ixobrychus minutus
M reg
*
*
13
Nitticora
Nycticorax nycticorax
M reg
*
*
14
Sgarza
ciuffetto Ardeola ralloides
M reg
*
*
15
Garzetta
Egretta garzetta
M reg
*
*
16
Airone
bianco
Ardea alba
M reg
*
*
17
Airone
Ardea cinerea
18
Airone
Ardea purpurea
maggiore
cenerino
rosso
M reg, W irr
M reg
*
LR
V
U
*
N
E
LR
*
*
LR
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Ciconidae
Threskiornithid
ae
19
Cicogna
Ciconia nigra
20
Cicogna
Ciconia ciconia
21
M reg
*
*
*
N
E
M reg
*
*
*
LR
Mignattaio
Plegadis falcinellus
M reg
*
*
*
C
R
22
Spatola
Platalea leucorodia
M reg
*
*
*
N
E
M irr
*
*
*
N
E
Phoenicopteriforme
s
Phoenicopterid
ae
23
Fenicottero
Phoenicopterus ruber
Anseriformes
Anatidae
24
Cigno
Cygnus olor
25
Cigno
Cygnus cygnus
251
nera
bianca
reale
selvatico
A (s.d.)
A (s.d.)
*
*
*
*
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
252
26
Oca
Anser fabalis
granaiola
27
Oca
Anser albifrons
28
Oca
Anser anser
29
Volpoca
Tadorna tadorna
M reg, W irr
30
Fischione
Anas penelope
31
32
lombardella
selvatica
A (s.d.)
*
A (s.d.)
*
M irr
*
*
E
N
M reg, W
*
N
E
Canapiglia
Anas strepera
M reg, W
*
C
R
Alzavola
Anas crecca
M reg, W
*
E
N
*
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
253
33
Germano
Anas platyrhynchos
34
reale
M reg, W, B?
*
Codone
Anas acuta
M reg, W
*
N
E
35
Marzaiola
Anas querquedula
M reg
*
V
U
36
Mestolone
Anas clypeata
M reg, W
*
E
N
37
Fistione
Netta rufina
A (s.d.)
*
E
N
3
38
Moriglione
Aythya ferina
M reg, W
*
V
U
4
39
Moretta
Aythya nyroca
*
C
R
1
turco
tabaccata
M reg
*
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Accipitriformes
254
Accipitridae
40
Moretta
Aythya fuligula
41
Smergo
Mergus serrator
minore
42
Falco
Pernis apivorus
pecchiaiolo
43
Nibbio
Milvus migrans
bruno
44
Nibbio
Milvus milvus
reale
45
46
M reg
*
M reg
*
C
R
M reg, B irr
*
*
*
V
U
4
M reg
*
*
*
V
U
3
M reg
*
*
*
E
N
4
Capovaccaio
Neophron percnopterus
M reg
*
*
*
C
R
3
Biancone
Circaetus gallicus
M reg
*
*
*
E
N
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
255
47
Falco
di
Circus aeruginosus
palude
M reg
*
*
*
E
N
48
Albanella
Circus cyaneus
M reg
*
*
*
Ex
3
49
Albanella
Circus macrourus
pallida
M reg
*
*
*
50
Albanella
Circus pygargus
minore
M reg
*
*
*
V
U
4
51
Astore
Accipiter gentilis
S, B
*
*
V
U
52
Sparviere
Accipiter nisus
S, B, M reg, W
*
*
53
Poiana
Buteo buteo
S, B, M reg, W
*
*
reale
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Falconiformes
256
54
Aquila
anatraia
Aquila pomarina
minore
55
Aquila anatraia
Aquila clanga
maggiore
56
Aquila
Aquila chrysaetos
reale
57
Aquila
Hieraaetus pennatus
Pandionidae
58
Falco
Pandion haliaetus
Falconidae
59
60
M irr
*
*
*
M irr
*
*
*
M irr, ?
*
*
*
M reg
*
*
*
M reg
*
*
Grillaio
Falco naumanni
M reg
*
Gheppio
Falco tinnunculus
M reg, S parz, B,
W parz
minore
pescatore
V
U
3
*
Ex
3
*
*
LR
*
*
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
257
61
Falco
Falco vespertinus
cuculo
62
Smeriglio
Falco columbarius
M irr
63
Lodolaio
Falco subbuteo
M reg, B?
64
Falco
della
Falco eleonorae
65
regina
M reg
*
N
E
*
*
*
*
*
*
V
U
M reg, E irr
*
*
*
V
U
2
Lanario
Falco biarmicus
M irr
*
*
*
E
N
3
66
Sacro
Falco cherrug
M reg
*
*
67
Pellegrino
Falco peregrinus
S, B, M reg
*
*
V
U
3
*
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Galliformes
Gruiformes
258
Phasanidae
Rallidae
68
Coturnice
Alectoris graeca
S, B?
69
Starna
Perdix perdix
S, B ripopolata
70
Quaglia
Coturnix coturnix
M reg, B, W reg
71
Fagiano
Phasianus colchicus
72
Porciglione
Rallus aquaticus
M reg, W irr
73
Voltolino
Porzana porzana
M reg
*
*
*
E
N
4
74
Schiribilla
Porzana parva
M reg
*
*
*
C
R
4
comune
V
U
*
2
LR
*
LR
S, B ripopolato
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Charadriformes
259
75
Schiribilla
Porzana pusilla
grigiata
76
Re
di
Crex crex
quaglie
77
Gallinella
Gallinula chloropus
d'acqua
78
Folaga
Fulica atra
M reg, W, S parz,
B
Gruidae
79
Gru
Grus grus
M reg
Haematopodid
ae
80
Beccaccia
di
Haematopus ostralegus
Recurvirostrida
e
81
Cavaliere
d'Italia
Himantopus himantopus
mare
M irr
*
*
M reg
*
*
N
E
*
E
N
1
Ex
3
M reg, W, S, B
*
*
*
E
N
M reg
M reg
*
*
*
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
260
82
Avocetta
Recurvirostra avosetta
M reg
*
*
Burhinidae
83
Occhione
Burhinus oedicnemus
M reg
*
*
*
E
N
3
Glareolidae
84
Pernice
di
Glareola pratincola
M reg
*
*
*
E
N
3
Charadridae
85
Corriere
Charadrius dubius
M reg, B
*
*
LR
86
Corriere
Charadrius hiaticula
M reg
*
*
N
E
87
Fratino
Charadrius alexandrinus
M reg, B?
*
*
LR
88
Piviere
tortolino
Charadrius morinellus
M reg
*
*
C
R
mare
piccolo
grosso
*
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Scolapacidae
261
89
Piviere
Pluvialis apricaria
dorato
90
Pivieressa
Pluvialis squatarola
M reg
*
91
Pavoncella
Vanellus vanellus
M reg, W irr
*
92
Piovanello
Calidris canutus
M reg
*
93
Piovanello
Calidris alba
94
Gambecchio
Calidris minuta
95
Gambecchio
Calidris temminckii
maggiore
tridattilo
nano
M reg
*
*
M reg
*
*
M reg
*
*
M reg
*
*
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
262
96
Piovanello
Calidris ferruginea
97
Piovanello
Calidris alpina
98
Gambecchio
Limicola falcinellus
99
Combattente
Philomachus pugnax
M reg
100
Frullino
Lymnocryptes minimus
M reg, W
*
101
Beccaccino
Gallinago gallinago
M reg, W
*
102
Croccolone
Gallinago media
M reg
pancianera
frullino
M reg
*
*
M reg, W irr
*
*
M irr
*
*
*
*
*
*
*
N
E
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
263
103
Beccaccia
Scolopax rusticola
104
Pittima
Limosa limosa
105
Pittima
Limosa lapponica
minore
106
Chiurlo
Numenius phaeopus
piccolo
107
Chiurlo
Numenius arquata
maggiore
108
Totano
Tringa erythropus
moro
109
Pettegola
Tringa totanus
reale
M reg, W
*
E
N
3
M reg
*
C
R
2
M reg
*
*
M reg
*
M reg
*
M reg
*
M reg
*
N
E
E
N
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Stercoraridae
264
110
Albastrello
Tringa stagnatilis
M reg
111
Pantana
Tringa nebularia
M reg
112
Piro
piro
Tringa ochropus
113
Piro
piro
Tringa glareola
114
Piro
piro
Actitis hypoleucos
115
116
culbianco
*
*
*
*
*
*
*
M reg, B?, W irr
*
*
Voltapietre
Arenaria interpres
M reg
*
*
Labbo
Stercorarius parasiticus
A
boschereccio
piccolo
M reg, W irr
M reg
*
V
U
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Laridae
265
117
Gabbiano
corallino
Larus melanocephalus
M reg, W?
118
Gabbianello
Larus minutus
M reg, W?
119
Gabbiano
Larus ridibundus
120
Gabbiano
Larus genei
121
Gavina
Larus canus
W irr, M irr
122
Zafferano
Larus fuscus
M reg, W
123
Gabbiano
Larus cachinnans
comune
roseo
reale
*
*
*
*
V
U
M reg, W
M reg, W?
M reg, W, E
V
U
*
*
*
E
N
4
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Sternidae
266
124
Gabbiano
Rissa tridactyla
tridattilo
125
Sterna
zampenere
Gelochelidon nilotica
M reg
*
*
*
E
N
126
Sterna
Sterna caspia
M reg
*
*
*
N
E
127
Beccapesci
Sterna sandvicensis
M reg, W
*
*
*
V
U
128
Sterna
Sterna hirundo
M reg
*
*
*
LR
129
Fraticello
Sterna albifrons
M reg
*
*
*
V
U
3
130
Mignattino
piombato
Chlidonias hybridus
M reg
*
*
E
N
3
maggiore
comune
M irr, W irr
3
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Alcidae
Columbiformes
267
Columbidae
131
Mignattino
Chlidonias niger
M reg
132
Mignattino
alibianche
Chlidonias leucopterus
M reg
133
Gazza
Alca torda
A
134
Pulcinella
di
Fratercula arctica
135
Piccione
Columba livia
136
Colombella
Columba oenas
137
Colombaccio
palumbus
marina
mare
selvatico
Columba
*
*
*
C
R
*
*
C
R
3
A
S, B
V
U
M reg, W, B?
C
R
M reg, W, S parz,
B
4
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
138
Tortora
dal
Streptopelia decaocto
collare
139
Tortora
Streptopelia turtur
M reg, B
S, B
*
Cuculiformes
Cuculidae
140
Cuculo
Cuculus canorus
M reg, B
Strigiformes
Tytonidae
141
Barbagianni
Tyto alba
S, B, M reg
LR
Strigidae
142
Assiolo
Otus scops
M reg, B
LR
143
Gufo
Bubo bubo
144
Civetta
Athene noctua
268
reale
S, B
S, B
*
V
U
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
145
Allocco Strix aluco
146
Gufo
Asio otus
147
Gufo
di
Asio flammeus
S, B
comune
palude
M irr
M reg
*
*
Caprimulgiformes
Caprimulgidae
148
Succiacapre
Caprimulgus europaeus
M reg, B
Apodiformes
Apodidae
149
Rondone
Apus apus
M reg, B
150
Rondone
Apus pallidus
151
Rondone
Apus melba
269
pallido
maggiore
LR
N
E
*
LR
M reg, B
*
LR
M reg, B
*
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Coraciformes
Piciformes
270
Alcedidae
152
Martin
Alcedo atthis
pescatore
Meropidae
153
Gruccione
Merops apiaster
Coraciidae
154
Ghiandaia
Coracias garrulus
Upupidae
155
Upupa
Upupa epops
M reg, B
*
Picidae
156
Torcicollo
Jynx torquilla
M reg, W, S parz,
B
*
157
Picchio
Picus viridis
S, B
*
LR
158
Picchio
Dryocopus martius
*
D
D
M reg, B?
*
M reg, B
marina
verde
nero
M reg
S, B
*
*
*
LR
*
*
*
*
E
N
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Passeriformes
271
Alaudidae
159
Picchio
rosso
Picoides major
maggiore
160
Picchio
rosso
Picoides minor
161
Calandra
Melanocorypha calandra
M reg
162
Calandrella
Calandrella brachydactyla
M reg, B
163
Cappellaccia
Galerida cristata
S, B
164
Tottavilla
Lullula arborea
M reg, W, S parz,
B
165
Allodola
Alauda arvensis
M reg, W, S parz,
B
minore
S, B
*
S, B
*
LR
*
*
LR
*
*
D
D
*
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Hirundinidae
Motacillidae
272
166
Topino
Riparia riparia
M reg
*
167
Rondine
montana
Ptyonoprogne rupestris
M reg, B
*
168
Rondine
Hirundo rustica
M reg, B
*
169
Rondine
Hirundo daurica
M reg
*
170
Balestruccio
Delichon urbica
M reg, B
*
171
Calandro
Anthus campestris
M reg, B
172
Prispolone
Anthus trivialis
M reg
rossiccia
*
*
*
C
R
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Cinclidae
273
173
Pispola
Anthus pratensis
174
Pispola
Anthus cervinus
175
M reg, W
*
M irr
*
Spioncello
Anthus spinoletta
M reg, W
*
176
Cutrettola
Motacilla flava
M reg
*
177
Ballerina
Motacilla cinerea
S parz, B
*
178
Ballerina
Motacilla alba
bianca
S parz, B, M reg,
W
*
179
Merlo
Cinclus cinclus
acquaiolo
S, B
*
golarossa
gialla
N
E
V
U
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
274
Troglodytidae
180
Scricciolo
Troglodytes troglodytes
S, B
*
Prunellidae
181
Passera
scopaiola
Prunella modularis
M reg, W
*
Turdidae
182
Pettirosso
Erithacus rubecula
M reg, W, S parz,
B
*
183
Usignolo
Luscinia megarhynchos
M reg, B
*
184
Pettazzurro
Luscinia svecica
M reg, W irr
185
Codirosso
spazzacamino
Phoenicurus ochruros
M reg, W, S parz,
B
*
186
Codirosso
Phoenicurus phoenicurus
M reg, B
*
*
*
N
E
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
275
187
Stiaccino
Saxicola rubetra
M reg
*
188
Saltimpalo
Saxicola torquata
S parz, B, M reg,
W
*
189
Culbianco
Oenanthe oenanthe
M reg, B
*
190
Monachella
Oenanthe hispanica
M reg, B
*
V
U
191
Codirossone
Monticola saxatilis
M reg, B
*
LR
192
Passero
solitario
Monticola solitarius
M reg, S, B
*
193
Merlo
dal
Turdus torquatus
M reg, W irr
*
collare
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Sylviidae
276
194
Merlo
Turdus merula
M reg, W, S, B
195
Cesena
Turdus pilaris
M reg, W
196
Tordo
Turdus philomelos
197
Tordo
Turdus iliacus
198
Tordela
Turdus viscivorus
199
Usignolo
Cettia cetti
200
Beccamoschino
Cisticola juncidis
bottaccio
sassello
di
M reg, W, B?
N
E
M reg, W parz
S, B, M reg, W
fiume
S, B
S parz, B
*
*
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
277
201
Salciaiola
Locustella luscinoides
M irr
202
Forapaglie
castagnolo
Acrocephalus melanopogon
M reg
203
Forapaglie
Acrocephalus schoenobaenus
204
*
*
*
*
V
U
M reg
*
*
C
R
Cannaiola
verdognola
Acrocephalus palustris
M irr
*
*
205
Cannaiola
Acrocephalus scirpaceus
M reg, B
*
*
206
Cannareccione
Acrocephalus arundinaceus
M reg
*
*
207
Canapino
Hippolais icterina
M reg
*
*
maggiore
*
N
E
4
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
278
208
Canapino
Hippolais poliglotta
M reg
209
Magnanina
Sylvia undata
S, B, W
210
Sterpazzola
di
Sardegna
Sylvia conspicillata
211
*
*
*
*
M reg, B
*
*
Sterpazzolina
Sylvia cantillans
M reg, B
*
*
212
Occhiocotto
Sylvia melanocephala
S, B
*
*
213
Bigia
Sylvia hortensis
M reg
*
*
214
Bigiarella
Sylvia curruca
M irr
*
*
grossa
*
E
N
3
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
279
215
Sterpazzola
Sylvia communis
M reg, B
*
*
216
Beccafico
Sylvia borin
M reg
*
*
217
Capinera
Sylvia atricapilla
S, B, M reg, W
*
*
218
Luí
Phylloscopus bonelli
bianco
M reg
*
*
219
Luí
Phylloscopus sibilatrix
verde
M reg
*
*
220
Luí
piccolo
Phylloscopus collybita
M reg, W, S parz,
B
*
*
221
Luí
grosso
Phylloscopus trochilus
M reg
*
*
N
E
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
222
Regolo
Regulus regulus
S parz, B
*
223
Fiorrancino
Regulus ignicapillus
S parz, B
*
224
Pigliamosche
Muscicapa striata
M reg, B
*
*
225
Balia
dal
Ficedula albicollis
*
*
226
Balia
Ficedula hypoleuca
nera
M reg
*
*
Aegithalidae
227
Codibugnolo
Aegithalos caudatus
italiano
S, B
*
Paridae
228
Cincia
Parus palustris
S, B
*
Muscicapidae
280
collare
bigia
M reg, B
*
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Cincia
Parus ater
230
mora
S, B
*
Cinciarella
Parus caeruleus
S, B
*
231
Cinciallegra
Parus major
S, B
*
Sittidae
232
Picchio
Sitta europaea
S, B
*
Certhiidae
233
Rampichino
Certhia familiaris
S, B
*
234
Rampichino
Certhia brachydactyla
S, B
*
235
Pendolino
Remiz pendulinus
S, B
Remizidae
281
229
muratore
alpestre
D
D
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Oriolidae
236
Rigogolo
Oriolus oriolus
Laniidae
237
Averla
Lanius collurio
238
Averla
Lanius minor
cenerina
239
Averla
Lanius senator
capirossa
240
Ghiandaia
Garrulus glandarius
S, B
241
Gazza
Pica pica
S, B
242
Taccola
Corvus monedula
S, B
Corvidae
282
M reg, B
piccola
M reg, B
*
*
M irr
*
*
E
N
*
LR
M reg, B
2
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
283
243
Cornacchia
Corvus corone
244
Corvo
Corvus corax
Sturnidae
245
Storno
Sturnus vulgaris
Passeridae
246
Passera
Passer italiae
247
Passera
Passer montanus
mattugia
248
Passera
Petronia petronia
lagia
249
Fringuello
Fringilla coelebs
S, B
imperiale
S, B
M reg, W, B, S?
d'Italia
S, B
S, B
S, B, M reg, W
M reg, W, S parz,
B
LR
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Fringillidae
284
250
Peppola
Fringilla montifringilla
M irr, W irr
N
E
251
Verzellino
Serinus serinus
S parz, B, M reg,
W
252
Verdone
Carduelis chloris
S parz, B, M reg,
W
*
253
Cardellino
Carduelis carduelis
S parz, B, M reg,
W
*
254
Lucarino
Carduelis spinus
M reg, W, S, B
*
255
Fanello
Carduelis cannabina
S parz, B, M reg,
W
256
Crociere
Loxia curvirostra
S, B
V
U
D
D
4
PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Emberizidae
285
257
Frosone
Coccothraustes coccothraustes
W irr, M reg
*
258
Zigolo
Emberiza cirlus
M reg, W, S parz,
B
*
259
Zigolo
Emberiza cia
S parz, B
*
260
Migliarino
di
Emberiza schoeniclus
M reg, W
*
261
Strillozzo
Miliaria calandra
nero
muciatto
palude
M reg, W, S parz,
B
LR
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Legenda simboli e abbreviazioni
S = sedentaria: presente tutto l'anno
M = migratrice: specie che compie annualmente spostamenti dalle aree di nidificazione ai quartieri di svernamento
B = nidificante: specie che porta a termine il ciclo riproduttivo
W = svernante: specie migratrice che si ferma a svernare
(W) = invernale: specie che capita in inverno senza svernare
A = accidentale: specie di comparsa rara, in genere con individui singoli o in numero molto limitato
(A) = accidentale storico: specie accidentale con segnalazioni ante 1950
E = estivante, specie che si trattiene durante il periodo estivo o per parte di esso, senza riprodursi
nnd = specie per la quale non si hanno nuovi dati rispetto alla check-list della Calabria di Scebba et al. 1992-93
reg = regolare
irr = irregolare
par = parziale, parzialmente
s.d. = no data
? = dato da accertare o dubbioso
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ALLEGATO 3
CHIROTTERI
Un terzo dei mammiferi selvatici terrestri italiani appartiene all'ordine dei chirotteri, i
pipistrelli. Si tratta di uno dei gruppi zoologici più sensibili alle rapide modificazioni
ambientali causate dall'uomo: attualmente il 50% dei mammiferi terrestri italiani inseriti
nella lista IUCN delle specie considerate minacciate d'estinzione o prossime a divenire
tali, è rappresentato da chirotteri.
Negli ecosistemi rivestono l'insostituibile ruolo di principali predatori notturni di insetti.
A causa delle alterazioni ambientali provocate dall'uomo, sono divenuti uno dei gruppi
faunistici più minacciati. Le cause di tale precario stato di conservazione sono
molteplici: abuso dei pesticidi in agricoltura, distruzione/alterazione degli ambienti in
cui i pipistrelli si alimentano e dei siti di rifugio - che essi utilizzano per riposare di
giorno, trascorrere il periodo del letargo e riprodursi - episodi vandalici alimentati dal
persistere di luoghi comuni assolutamente infondati.
I chirotteri sono protetti dalle Convenzioni di Berna e Bonn, in Italia sono operativi
l‟Accordo sulla conservazione delle popolazioni di chirotteri (L. 104/2005) e la
Direttiva 92/43/CEE che classifica i chirotteri fra le “specie d‟interesse comunitario”.
Dal punto di vista legislativo i chirotteri sono protetti in tutta Europa. Al lato pratico
significa che l‟uccisione, la cattura e la detenzione di pipistrelli sono perseguite
penalmente, esattamente come avviene per specie come l‟orso e il lupo.
E' inoltre vietato disturbare gli esemplari e distruggere o alterare i loro siti di rifugio.
Purtroppo tali disposizioni sono quasi sempre "rimaste sulla carta", ignorate in un
contesto generale di scarsa attenzione ai problemi dei chirotteri.
Le norme di significato nazionale riguardanti i chirotteri, attualmente in vigore in Italia,
sono contenute nelle seguenti fonti:
L. 11 febbraio 1992, n. 157: "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio" (Legge quadro in materia di fauna selvatica e attività
venatoria);
"Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in
Europa" (Convenzione di Berna), resa esecutiva in Italia dalla L. 5 agosto 1981, n. 503;
"Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna
selvatica" (Convenzione di Bonn), resa esecutiva in Italia dalla L. 25 gennaio 1983, n.
42;
"Accordo sulla conservazione delle popolazioni di pipistrelli europei" (Bat agreement),
reso esecutivo con L. 27 maggio 2005, n. 104;
Direttiva comunitaria 92/43/CEE del Consiglio del 21/05/92 "relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche"
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(Direttiva Habitat), attuata in via regolamentare col D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357,
integrato e modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120;
Direttiva 2004/35/CE "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e
riparazione del danno ambientale"; attuata col Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
Parte VI.
A causa delle scarse informazione riguardo ai chirotteri nel territorio della Provincia di
Vibo Valentia ,vengono riportate le schede dei chirotteri la cui protezione è disciplinata
dalla Dir. 92/43/CEE All. 2 tratte da Spagnesi e De Marinis (2002).
RINOLOFO EURÌALE (Rhinolophus euryale Blasius, 1853)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)
Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)
Sottospecie italiana: Rhinolophus euryale euryale Blasius,1853
La specie comprenderebbe quattro sottospecie: euryale Blasius, 1853 (dall‟Europa al
Turkmenistan e all‟Iran); barbarus Andersen et Matschie, 1904 (Africa maghrebina);
meridionalis Andersen et Matschie, 1904 (Algeria; forma probabilmente montana);
judaicus Andersen et Matschie, 1904 (dalla Siria e Israele all‟Irak).
Geonemia
Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa
meridionale (isole maggiori comprese, eccezion fatta per le Baleari e Creta; non
segnalato per le Isole Maltesi), Africa maghrebina, da Israele alla Turchia (con Cipro) e
alla Transcaucasia verso N, all‟Iran e al Turkmenistan verso E.
In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Da noi è nota in un
deposito quaternario würmiano della Grotta dell‟Orso presso Gabrovizza (provincia di
Trieste); citata anche per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta, dell‟Isola Palmaria
(provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); un Rhinolophus del
gruppo euryale è citato per il Quaternario della provincia di Foggia.
Biologia
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Predilige aree calde e alberate ai piedi di colline e montagne, soprattutto se situate in
zone calcaree ricche di caverne e prossime all‟acqua. Ci risulta segnalato sino a 1.000 m
di quota. Rifugi estivi prevalentemente in grotta nelle regioni più calde, talora nelle
soffitte in quelle più fredde. Colonie riproduttive di 50-400 femmine, con presenza
occasionale di qualche maschio. Di frequente condivide i rifugi e può formare colonie
miste con altre specie congeneri e con Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatuse,
Myotis capaccinii. Rifugi invernali in grotte e gallerie minerarie, preferibilmente con
temperature intorno ai 10-12 °C. Si attacca alle volte o alle pareti per mezzo dei piedi.
Ha spiccate abitudini gregarie tanto che di solito lo si trova in gruppi in cui gli
esemplari sono a stretto contatto fra loro; le colonie, talora miste, possono essere
formate anche da migliaia di individui. Scarse le notizie sulla riproduzione. Gli
accoppiamenti iniziano verso la fine di luglio, ma possono avere luogo anche durante
l‟inverno; la femmina partorisce per lo più fra luglio e agosto. L‟unico piccolo, del peso
di circa 4 g alla nascita, è di regola atto al volo tra l‟inizio e la metà di agosto, ma talora
già verso la metà di luglio. Alcune osservazioni indicherebbero che in ambedue i sessi
la maturità sessuale viene raggiunta a due anni di età o all‟inizio del terzo e che la
maggior parte delle femmine partorisce a due anni. Mancano notizie sulla longevità.
Lascia il rifugio nel tardo imbrunire; caccia volando basso sul terreno, preferibilmente
in zone collinari con copertura arborea o arbustiva relativamente fitta. La specie
presenta un volo lento, farfalleggiante e molto agile, con possibilità di eseguire anche
quello di tipo stazionario (“spirito santo”). Abitudini alimentari e prede simili a quelle
del Rhinolophus blasii. Di regola sedentario; il più lungo spostamento sinora registrato è
di 134 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).
RINOLOFO MAGGIORE (Rhinolophus ferrumequinum Schreber, 1774)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)
Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)
Sottospecie italiana: Rhinolophus ferrumequinum ferrumequinum (Schreber, 1774)
La specie comprenderebbe cinque sottospecie: ferrumequinum (Schreber, 1774)
(Europa e Africa NO); creticus Iliopoulou-Georgudaki et Ondrias, 1985 (Creta);
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proximus Andersen, 1905 (dall‟Asia SO al Kashmir); tragatus Hodgson, 1835 (India N
e Cina SO); nippon Temminck, 1835 (Cina N e centrale, Corea e Giappone).
Geonemia
Corotipo Centroasiatico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con
estensione verso est fino al Giappone compreso. Dall‟Europa settentrionale e dalla Gran
Bretagna meridionale a quasi tutta la Sottoregione Mediterranea (isole maggiori e
Maltesi comprese; Libia ed Egitto esclusi) e da questa, attraverso le regioni himalayane,
sino alla Cina, alla Corea e al Giappone. In Italia la specie è presente su tutto il
territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Pleistocene
(Würmiano inferiore) della Sicilia. Citata anche per il Quaternario della provincia di
Trieste, dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di
Latina).
Biologia
Predilige zone calde e aperte con alberi e cespugli, in aree calcaree prossime ad acque
ferme o correnti, anche in vicinanza di insediamenti umani; si spinge eccezionalmente
anche oltre i 2.000 m, ma per lo più si mantiene a quote non superiori agli 800 m. Rifugi
estivi in edifici, fessure rocciose, cavi degli alberi e talora in grotte e gallerie minerarie;
svernamento in cavità sotterranee naturali o artificiali con temperature di 7-12 °C,
raramente inferiori; l‟ibernazione ha luogo da settembre-ottobre ad aprile, ma durante
questo periodo il sonno può essere interrotto più volte, anche per procurarsi il cibo.
Pende dal soffitto o dalle pareti, ove si attacca con i soli piedi, isolatamente o formando
gruppi di regola piccoli, monospecifici e in cui i singoli individui si mantengono ad una
certa distanza l‟uno dall‟altro; in alcuni casi le colonie sono più grandi, miste (con
Rhinolophus euryale, R. mehelyi, Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatus, ecc.) e
con esemplari a stretto contatto reciproco; particolarmente fitte e numerose sono le
colonie riproduttive, formate da 12-1.000, ma per lo più da 200 esemplari, in prevalenza
di sesso femminile, dato che i maschi preferiscono estivare isolatamente; qui le
femmine possono mantenersi isolate con il loro piccolo o riunirsi in gruppi. Gli
accoppiamenti hanno luogo dalla fine dell‟estate a tutta la primavera successiva. Le
femmine, che raggiungono la maturità sessuale a (2 ?) 3-4 anni, normalmente
partoriscono il loro primo figlio fra i 3 e, nel nord Europa, i 4 anni di età; i maschi
raggiungono la maturità non prima del secondo anno di vita; il parto, solo
occasionalmente gemellare, ha luogo all‟incirca tra giugno e i primi di agosto, dopo una
gestazione la cui durata, in parte condizionata dalle condizioni ambientali, si aggira sui
due mesi e mezzo; avambraccio lungo 24, 32, 41 e 52 mm rispettivamente alla nascita e
a 5, 10 e 20 giorni di età; peso alla nascita 5-6 g. Il piccolo apre gli occhi a circa sette
giorni di vita ed è capace di volare dopo quattro settimane, diventando indipendente
pressappoco all‟età di due mesi. La longevità media si aggira sui 3-4 anni, la massima
nota è di 30 anni e mezzo, la maggiore tra quelle di tutti i pipistrelli europei. Lascia i
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rifugi all‟imbrunire per cacciare con volo farfalleggiante, piuttosto lento e usualmente
basso (0,3-6 m); la localizzazione della preda, oltre che in volo, può avvenire anche da
fermo, scandagliando lo spazio circostante col movimento della testa; aree di
foraggiamento in zone con copertura arborea ed arbustiva sparsa, su pendici collinari,
presso pareti rocciose, nei giardini, ecc.; le prede vengono talora catturate direttamente
sul terreno. Abitudini alimentari e prede simili a quelle del Rhinolophus blasii.
Sedentario; la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 20-30 km;
il più lungo spostamento noto è di 320 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).
RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros (Bechstein, 1800)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)
Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)
Sottospecie italiane: Rhinolophus hipposideros minimus Heuglin, 1861
Rhinolophus hipposideros majori Andersen, 1918 (Corsica)
Ambedue i taxa sono di dubbia validità. La specie comprenderebbe sette sottospecie:
escalerae Andersen, 1918 (Marocco: Mogador); hipposideros (Bechstein, 1800)
(dall‟Europa continentale a N delle Alpi all‟estremità E del Mar Nero); majori
Andersen, 1918 (Corsica); midas Andersen, 1905 (dalla Transcaucasia e Iraq al
Kazakistan e Kashmir); minimus Heuglin, 1861 (dall‟Europa S all‟estremità E del
Mediterraneo; verso Sud fino all‟Etiopia e al Sudan); minutus (Montagu, 1808) (Gran
Bretagna e Irlanda); vespa Laurent, 1937 (Marocco: Korifla).
Geonemia
Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con
estensione verso NO alla Gran Bretagna S e all‟Irlanda, verso S al Sudan, Eritrea ed
Etiopia. Dall‟Irlanda, Francia, Iberia e Marocco al Kashmir e alla Kirghizia attraverso
l‟Europa centrale e meridionale (isole maggiori e Maltesi comprese), l‟Africa
maghrebina, l‟Egitto, l‟Arabia occidentale e settentrionale e il resto dell‟Asia sudoccidentale (anche a Cipro); Sudan, Eritrea, Etiopia. In Italia la specie è presente su
tutto il territorio.
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Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario della
Sicilia (Würmiano inferiore), di Malta (Età del Bronzo, Pleistocene superiore e medio) e
dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia).
Biologia
Predilige zone calde, parzialmente boscate, in aree calcaree, anche in vicinanza di
insediamenti umani. Nella buona stagione è stato osservato fino a 1.800 m e in inverno
fino a 2.000 m. La più alta nursery conosciuta a 1.177 m. Rifugi estivi e colonie
riproduttive prevalentemente negli edifici (soffitte, ecc.) nelle regioni più fredde,
soprattutto in caverne e gallerie minerarie in quelle più calde. Ibernacoli in grotte,
gallerie minerarie e cantine, preferibilmente con temperature di 4-12 °C e un alto tasso
di umidità. Gli animali pendono dal soffitto o dalle pareti, ove si attaccano con i soli
piedi, sempre isolatamente durante l‟ibernazione, anche a contatto reciproco nelle
colonie riproduttive; queste sono formate in prevalenza da femmine (da una decina a un
centinaio di esemplari, fino ad un massimo di 800) e da una minoranza di maschi adulti
(sino al 20%), dato che questi estivano per lo più isolatamente; in dette colonie possono
trovarsi anche altre specie quali Myotis myotis o Myotis emarginatus, le quali però non
si mescolano ai gruppi del Rhinolophus hipposideros. Gli accoppiamenti hanno luogo
soprattutto in autunno, talora anche in inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo
i sessi a 1-2 anni; il primo parto può avvenire a un anno di età. L‟unico figlio nasce,
nella maggior parte dei casi, nella seconda metà di giugno; il piccolo, che alla nascita
pesa poco meno di 2 g ed ha un avambraccio lungo 15-19 mm, apre gli occhi a circa
dieci giorni di vita, è atto al volo a 4 settimane di età e raggiunge la completa
indipendenza a 6-7 settimane. La longevità media è di poco superiore ai due anni, la
massima nota è di 21 anni. Esce al tramonto e caccia con volo abile, abbastanza veloce,
con movimenti alari quasi frullanti, usualmente a bassa quota (fino a circa 5 m); aree di
foraggiamento in boschi aperti, parchi, boscaglie e cespuglieti; le prede vengono
catturate anche direttamente sul terreno o sui rami. Si nutre di vari tipi di Artropodi,
principalmente di Ditteri (tipule, zanzare, moscerini), Lepidotteri (piccole falene, ecc.),
Neurotteri e Tricotteri, raramente di Coleotteri e ragni. Sedentario; la distanza tra il
rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 5-10 km; il più lungo spostamento noto
è di 153 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro.
Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da
parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).
RINOLOFO DI MÉHELY Rhinolophus mehelyi Matschie, 1901
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
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Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)
Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)
Sottospecie italiana: Rhinolophus mehelyi mehelyi Matschie, 1901
La specie comprenderebbe due sottospecie: mehelyi Matschie, 1901 (Europa e Asia O);
tunetae Deleuil et Labbe, 1955 (Africa N).
Geonemia
Corotipo Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa meridionale, Africa
a N del Sahara e Asia sud-occidentale; segnalato per la Corsica meridionale (zona di
Bonifacio) ove la sua presenza potrebbe però essere occasionale per migrazione
temporanea dalla vicina Sardegna. In Italia la specie è nota per la Sardegna, la Puglia, la
Calabria e la Sicilia.
Origine delle popolazioni italiane
Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Citata per il
Pleistocene della Sicilia (probabilmente la sottospecie tipica), nonché per il Quaternario
dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); la
specie è rappresentata in una grotta di Malta dalla sottospecie mehelyi in uno strato del
Pleistocene superiore e dalla sottospecie estinta Rhinolophus mehelyi birzebbugensis
Storch, 1974 in uno strato del Pleistocene medio.
Biologia
Apparentemente simile a quella di Rhinolophus euryale; può spingersi fino a 1.200 m di
quota, ma per lo più non supera i 500 m. Rifugi estivi e invernali in cavità sotterranee
naturali o artificiali, situate in aree calcaree prossime all‟acqua, talora con altri rinolofi,
Myotis blythii, Myotis capaccinii, Myotis myotis e Miniopterus schreibersii. Per quanto
ci è noto la specie non frequenta le costruzioni umane. Fortemente gregaria, forma
grosse colonie la cui consistenza varia da pochi a circa 2.000 individui; colonie
numerose possono trovarsi in ogni stagione. In Sardegna gli animali non ibernanti
stanno di regola a più o meno stretto contatto reciproco, mentre quelli ibernanti
preferiscono distribuirsi su superfici più ampie, rimanendo separati l‟uno dall‟altro; qui
la specie si rifugia in grotte che non superano i 600 m di quota e predilige temperature
di circa 15-24 °C nelle colonie riproduttive, di circa 11-13 °C in quelle invernali. In
Spagna è stata trovata in rifugi a 25-32 °C. Nell‟Azerbaigian, in un gruppo ibernante è
stato osservato, fra novembre e metà marzo, che tutti gli esemplari, eccezion fatta per
alcuni periferici, erano tra loro a contatto; la temperatura era di 12,2-14 °C e l‟umidità
del 97-100%. Occasionalmente può tuttavia usare ibernacoli con temperature di poco
superiori a 0 °C ed è sicuramente capace di spostarsi da una grotta a un‟altra anche in
pieno inverno. La maturità sessuale viene raggiunta a 1-3 anni di età nelle femmine, a 23 nei maschi; le femmine partoriscono un solo figlio capace di involarsi nella seconda
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metà di luglio; la lunghezza dell‟avambraccio alla nascita è di 15-17 mm. La longevità
media è di 2,5-3,6 anni, la massima conosciuta è di 11 nelle femmine e di 12 nei
maschi. Lascia i rifugi al crepuscolo serale. Vola lentamente e con destrezza, alternando
brevi tratti a volo planato; senza sforzo può decollare dal suolo e ciò fa pensare che
possa cacciare anche sul terreno. Poco si sa sull‟alimentazione, verosimilmente simile a
quella del Rhinolophus blasii. La specie è molto probabilmente sedentaria, limitandosi
eventualmente a compiere brevi spostamenti tra quartieri estivi ed invernali.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).
BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Specie monotipica: Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)
Geonemia
Corotipo Europeo - Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con esclusione di
parte dell‟Europa SE e dell‟Africa mediterranea (eccezion fatta per il Marocco) ed
estensione al Caucaso, alle Canarie e forse al Senegal. L‟areale della specie comprende
buona parte dell‟Europa (Corsica, Sardegna e Sicilia comprese; non segnalata per le
Isole Maltesi), a N sin verso il 60° di latitudine (Scandinavia meridionale), ad E,
attraverso la quasi totalità della Penisola Balcanica, all‟incirca fino al 30° meridiano
(Ucraina), con un prolungamento meridionale fino alla Crimea, alla Turchia e al
Caucaso; Marocco, Canarie e, forse, Senegal. In Italia la specie è presente praticamente
in tutto il territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea. Citata per il Quaternario dell‟Isola
Palmaria (provincia di La Spezia); Barbastella cfr. barbastellus è citata per il
Quaternario (Würmiano inferiore) della Sicilia.
Biologia
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Specie relativamente microterma, predilige le zone boscose collinari e di bassa e media
montagna, ma frequenta comunemente anche le aree urbanizzate; rara in pianura; sulle
Alpi è stata trovata sino a un‟altitudine di 2.000 m, di 2.260 sui Pirenei; la più alta
colonia riproduttiva nota è stata trovata in Slovacchia a 1.100 m di quota. Rifugi estivi e
nursery prevalentemente nelle costruzioni (spaccature dei muri, interstizi fra questi e le
persiane, le travi e i rivestimenti, soffitte), talora nei cavi degli alberi e, al Sud, anche
nelle grotte. Rifugi invernali in ambienti sotterranei naturali o artificiali (grotte, gallerie
minerarie e non, cantine), occasionalmente in ambienti non interrati degli edifici e nei
cavi degli alberi. Negli ibernacoli, talora ventilati e relativamente secchi (tasso
igrometrico più basso accertato di 70%), sono state rilevate temperature di 0-8 °C, con
estremi sino a -6 °C. La resistenza al freddo permette al Barbastello di cambiare rifugio
anche in pieno inverno e, in grotta, di frequentare ambienti vicini all‟entrata, ove può
trovarsi circondato da ghiaccioli o addirittura col pelame imbiancato di nevischio; per
breve tempo può resistere a temperature molto basse, anche di -16,5 °C. Nei rifugi lo si
trova incuneato nelle fessure, pendente dalle volte o aggrappato alle pareti e con esse a
contatto. Sverna solitario o in gruppi, anche di mille individui, da ottobre-novembre a
marzo-aprile; le colonie di svernamento, spesso con una forte prevalenza di maschi e
talora miste ad altre specie (ad es. con Pipistrellus pipistrellus), possono raggiungere
negli ibernacoli più vasti alcune migliaia di individui (fino a 7.800 in un tunnel
abbandonato della Slovacchia). Le femmine, sessualmente mature nel secondo anno di
vita, ma talora già nel primo, si accoppiano, a seconda delle località, dalla tarda estate ai
primi di autunno, talvolta d‟inverno; a partire da giugno-agosto occupano le nursery,
ove formano colonie composte anche da 100 individui, ma per lo più da 5-30. I maschi
vivono separatamente, in piccoli gruppi, in primavera e nel periodo estivo precedente
alla stagione degli amori. I parti, che iniziano a metà giugno dopo una gravidanza
approssimativamente di 6 mesi, sono di solito semplici, talora bigemini. Il piccolo
cresce rapidamente e raggiunge la taglia degli adulti a 8-9 settimane di vita o prima. La
massima longevità sinora accertata è di 21 anni e 9 mesi (una precedente citazione di 23
anni è risultata errata). Di norma lascia il rifugio di buon‟ora, se non addirittura di
giorno, anche col cattivo tempo, e caccia preferibilmente lungo percorsi regolari e
circolari con un diametro di 50-100 m, a 4-5 m dal suolo o dal pelo dell‟acqua, più in
alto quando foraggia al di sopra delle chiome degli alberi. Le prede, talora consumate
appendendosi a un appiglio, sono rappresentate in larga maggioranza da piccoli e
delicati Insetti e altri Artropodi catturati per lo più in volo o, talora, come ad esempio
nel caso dei ragni, sui rami degli alberi e altri supporti; la bocca e la dentatura
relativamente piccole ostacolano la cattura e il consumo di prede di una certa taglia. Le
zone di foraggiamento sono rappresentate da corpi d‟acqua, boschi e loro margini,
giardini e viali illuminati. Il volo, agile e con facilità di manovra, è descritto ora come
lento (il che ben si accorda con le caratteristiche morfologiche delle ali), ora come
pesante e frullante, ora come veloce; a momenti è quasi stazionario, quasi a “spirito
santo”. La specie, sebbene sedentaria, è tuttavia capace di compiere spostamenti di una
certa entità; quello più lungo sinora accertato è di 290 km.
Status e conservazione
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Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro.
Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da
parte dell‟uomo (alla quale la specie sembra essere particolarmente sensibile) nei rifugi
situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.
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e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
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VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Specie monotipica: Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)
Geonemia
Corotipi S-Europeo e Centroeuropeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione
alla Gran Bretagna S. Dall‟Europa [a N sino alla Gran Bretagna e alla Svezia
meridionali; a S presente anche in Corsica e in Sicilia; manca in Sardegna, nelle Isole
Maltesi (ove segnalato in depositi quaternari) e a Creta] al Caucaso, alla Turchia (manca
a Cipro) e all‟Iran. In Italia la specie risulta presente nella maggior parte delle regioni
continentali e peninsulari, nonché in Sicilia.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario di
Malta (Pleistocene medio; subspecie robustus Topal, 1963, nota solo allo stato fossile) e
della Sicilia (Würmiano inferiore; sottospecie non identificata). Biologia Predilige i
boschi misti umidi, ma frequenta comunemente anche le pinete e le zone alberate in
genere, come giardini e parchi, spingendosi sino a 1.350 m di quota nella buona
stagione e sino a 1.800 m in inverno. Rifugi estivi e colonie riproduttive nei cavi degli
alberi e nelle bat- e bird-box, meno spesso nelle costruzioni e di rado nelle cavità delle
rocce. D‟inverno si rifugia soprattutto in cavità sotterranee, naturali o artificiali, molto
umide e con temperature di (1) 7-8 (10) °C, occasionalmente anche nei cavi degli alberi;
l‟ibernazione dura all‟incirca da ottobre-novembre a marzo-aprile. Per lo più si trova
attaccato con i piedi all‟appiglio, donde pende liberamente, ma talora si insinua nelle
fessure rocciose; cambia talora rifugio o si sposta da un punto all‟altro dello stesso. A
differenza dei Plecotus, mantiene sempre diritte le lunghe orecchie in stato di riposo.
Per lo più solitario, solo di rado si trova in piccoli gruppi formati al massimo da 10
individui; gli iberna coli possono essere condivisi con Rinolofidi e alcune specie di
Vespertilionidi, quali Myotis nattereri, M. mystacinus, M. myotis, Plecotus e
Barbastella. Gli accoppiamenti iniziano in autunno e si prolungano probabilmente sino
alla primavera; non si sa a quale età viene raggiunta la maturità sessuale, probabilmente
a un anno. Le colonie riproduttive, che si formano di regola tra la fine di aprile e maggio
e si disperdono verso la fine di agosto, sono formate da 7-30 (80) femmine che
cambiano frequentemente sede; i maschi vivono separatamente in primavera e nel
periodo estivo precedente la stagione degli amori. L‟unico piccolo viene partorito tra la
seconda metà di giugno e la fine di luglio, talora più precocemente, anche in maggio,
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dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni; è capace di involarsi
fra l‟inizio e la metà di agosto; lo svezzamento avviene a 6-7 settimane dalla nascita; il
parto gemellare rappresenta un‟eccezione. La longevità massima nota è di 21 anni.
Lascia il rifugio solo a notte fonda e lo riguadagna assai prima dell‟alba, di solito dopo
avervi fatto temporaneamente ritorno alcune volte nel frattempo; il foraggiamento si
svolge di regola nelle radure dei boschi, ai loro margini e lungo le strade che li
attraversano, spesso a poche centinaia di metri dal rifugio. Il volo, farfalleggiante e
all‟occorrenza assai agile, è di regola basso, fra 1 e 5 m di altezza; le prede, che possono
esser catturate anche direttamente sui rami o a terra, constano soprattutto di falene,
Ditteri e Coleotteri, ma anche di altri Artropodi, ragni e opilioni ad esempio. Sedentario;
il più lungo spostamento noto è di 39 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, lo
status della specie non è valutabile per “carenza di informazioni”. Inquinamento a parte,
il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi
situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.
VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii (Tomes, 1857)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Sottospecie italiana: Myotis blythii oxygnathus (Monticelli, 1885)
Geonemia
Corotipo Centroasiatico-Europeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Iberia, Francia
centrale e meridionale (Corsica molto probabilmente esclusa), Svizzera, Italia (Sicilia
compresa, Sardegna molto probabilmente esclusa), Isole Maltesi (?), regioni più
meridionali dell‟Europa centrale, Penisola Balcanica (Creta inclusa); dall‟Ucraina
meridionale, la Turchia (con Cipro), il Caucaso e l‟Iran verso E sino all‟India nordoccidentale, al Nepal, alla Mongolia (sin poco oltre il 50° parallelo) e alla Cina
(Mongolia interna e Shanxi) attraverso i Monti Altai nord-occidentali e l‟Himalaya. In
Italia la specie è nota per l‟intero territorio, con esclusione quasi certa della Sardegna.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario
dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e della Montagnola Senese (provincia di
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Siena); inoltre per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta; un Myotis cfr. blythii è
citato per il Quaternario della provincia di Foggia.
Biologia
Dato che Myotis blythii e Myotis myotis sono stati distinti come specie solo in data
relativamente recente e che ancora oggi non è sempre facile distinguerli in natura, la
conoscenza della loro biologia necessita di ulteriori precisazioni; comunque sembra che
la biologia del M. blythii sia in complesso molto simile a quella del M. myotis,
differendone però sensibilmente per quanto concerne la dieta e, di conseguenza, le aree
di foraggiamento preferite. Frequenta località dal livello del mare ad almeno 1.000 m di
quota in Europa, fino a 2.500 m in Kirghizistan; ibernacoli di solito con temperatura di
4-14 °C; gli accoppiamenti, che possono iniziare in luglio, hanno luogo in prevalenza in
autunno e verosimilmente si prolungano fino alla primavera, sebbene ciò non sia stato
ancora accertato. Le nursery, che possono contare sino a 5.000 femmine in Europa e
sino a 10.000 nel Kirghizistan [250 (3.459) 10.000], sono spesso condivise col Myotis
myotis. Longevità media di 2,3-3,6 anni, massima sinora accertata di 30 anni. Preda
soprattutto Artropodi erbicoli, nutrendosi in netta prevalenza di Ortotteri Tettigonidi
dalla tarda primavera all‟autunno, per lo più di Coleotteri Melolontidi in primavera,
quando i Tettigonidi mancano o sono ancora scarsi; predilige pertanto cacciare nelle
zone più o meno riccamente erbose, sia primarie (steppe, praterie) sia di origine
antropica (prati, pascoli), evitando per esempio le aree aride e denudate, quelle erbose
rasate di fresco o degradate e qualsiasi tipo di bosco e foresta. Occasionalmente capace
di compiere spostamenti di una certa entità; lo spostamento più lungo sinora accertato è
di 600 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).
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VESPERTILIO DI CAPACCINI Myotis capaccinii (Bonaparte, 1837)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Sottospecie italiana: Myotis capaccinii capaccinii (Bonaparte, 1837)
La specie comprenderebbe due sottospecie: capaccinii (Bonaparte, 1837) (dal NO
Africa alla ex Jugoslavia); bureschi (Heinrich, 1936) (dalla Bulgaria al Turkmenistan).
Geonemia
Corotipo Centroasiatico-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con
estensione all‟Estremo Oriente Russo S (Primorye S). Contrade mediterranee
dell‟Europa isole maggiori comprese, dubbio per l‟Arcipelago Maltese (ove è segnalato
in depositi quaternari); Africa maghrebina; Turchia, Cipro, Israele, Iraq, Iran,
Uzbekistan. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo o in aree meridionali
dell‟Asia paleartica. Citata per il Quaternario della Sicilia (Würmiano inferiore) e di
Malta (Pleistocene medio).
Biologia
Predilige sia aree carsiche boscose o cespugliose, sia aree alluvionali aperte, purché, in
ogni caso, prossime a fiumi o specchi d‟acqua, dal livello del mare a 825 m di quota
(grotta in provincia di Rieti, Lazio). Pur non disdegnando di frequentare
occasionalmente gli edifici, è animale tipicamente cavernicolo che ama rifugiarsi
durante tutto l‟anno in cavità sotterranee naturali o artificiali, che possono essere diverse
in stagioni, mesi o addirittura in giorni diversi. Lo si trova di regola aggrappato alle
pareti con tutti e quattro gli arti o rintanato nelle fessure, sia solitario sia in colonie
formate da centinaia o migliaia di individui, non di rado in compagnia o addirittura in
promiscuità con altre specie, quali Rhinolophus euryale, R. ferrumequinum, R. mehelyi,
Myotis blythii, M. daubentonii, M. myotis, ma soprattutto Miniopterus schreibersii.
Durante lo svernamento si dimostra piuttosto euritermo e stenoigro, scegliendo rifugi
con temperature fra i 4 e i 15 °C e umidità relativa del 90-100% o poco inferiore. Scarse
le informazioni sulla riproduzione. Nelle nursery le femmine, possibilmente già mature
a un anno di età, si aggrappano alla volta formando, nell‟ambito di una stessa nursery,
più gruppi ognuno dei quali può raggiungere i 500 individui; una nursery formata da
circa 10.000 femmine adulte è stata di recente scoperta in una grotta dell‟Albania; i
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maschi adulti vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la
stagione degli amori; recentemente è stata accertata la presenza, entro una torretta
decorativa situata sulle rive del lago di Como, di una colonia riproduttiva mista a Myotis
daubentonii, consistente complessivamente di 1.300-1.500 esemplari (2.100-2.400 dopo
la nascita dei piccoli). L‟unico piccolo, che viene partorito di regola in giugno dopo una
gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni, è capace di involarsi dopo circa
un mese ed è svezzato a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta un‟eccezione.
Mancano dati sulla longevità. La caccia, che inizia dopo il tramonto ma prima della
notte fonda, si svolge in aree aperte o ai margini di zone alberate, ma soprattutto
sull‟acqua, anche a vari chilometri di distanza dai rifugi; le prede consistono in Insetti
catturati in volo o sul pelo dell‟acqua. Il volo è rapido, agile, ora rettilineo con frequenti
variazioni direzionali, ora ondulato, ora ad ali tese, ora contrassegnato da frequenti
battiti d‟ala a escursione limitata, talora frullante. Preda Ditteri, Neurotteri e altri Insetti
che vivono vicino o sull‟acqua. La specie è sedentaria ma, almeno in Bulgaria, sembra
compiere spostamenti relativamente ampi tra quartieri estivi e invernali.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro.
Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da
parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).
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VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus (E. Geoffroy, 1806)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Sottospecie italiana: Myotis emarginatus emarginatus (E. Geoffroy, 1806)
La specie comprenderebbe quattro sottospecie: emarginatus E. Geoffroy, 1806 (Europa,
Africa NO, Asia SO); desertorum (Dobson, 1875) [dall‟Arabia (Oman)
all‟Afghanistan]; turcomanicus Bobrinskii, 1925 (Turkmenistan e Afghanistan);
saturatus Kuzyakin, 1934 (Uzbekistan).
Geonemia
Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con
estensione alla Penisola Arabica. Dall‟Europa (a N fino all‟Olanda e alla Polonia
meridionale; Corsica, Sardegna, Sicilia e Creta; non segnalato per le Baleari e le Isole
Maltesi) al Turkmenistan, Uzbekistan e Afghanistan, attraverso la Crimea e il Caucaso;
Arabia Saudita, Oman, Libano, Israele e Africa maghrebina. In Italia la specie è
presente praticamente in tutto il territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Non risultano noti reperti
fossili per l‟Italia. Biologia Specie termofila che si spinge sin verso i 1.800 m di quota,
prediligendo le zone temperato-calde di pianura e collina, sia calcaree e selvagge sia
abitate, con parchi, giardini e corpi d‟acqua. Rifugi estivi al Nord soprattutto negli
edifici, che condivide spesso con altre specie (quali Rhinolophus hipposideros e Myotis
myotis), ma anche nelle bat-box e nei cavi dei muri e degli alberi; al Sud
prevalentemente in cavità sotterranee naturali o artificiali. Sverna in cavità sotterranee
naturali o artificiali con temperature di 5-9 °C, di rado minori, da ottobre a marzo-aprile,
talvolta fino a maggio; qui pende dalle volte o dalle pareti, singolarmente o in piccoli
gruppi, ma talora si incunea nelle fessure; sono conosciuti gruppi in cui la specie era
mescolata con Myotis myotis e M. bechsteinii. La maturità sessuale è raggiunta di regola
a due anni di età in ambo i sessi; le femmine possono accoppiarsi anche entro il primo
anno di vita, ma non è provato che effettivamente partoriscano a un anno di età; gli
accoppiamenti hanno luogo dall‟autunno alla primavera successiva, ma non è stato
ancora accertato se si verificano anche negli ibernacoli. Le colonie riproduttive, che si
formano in aprile, almeno al Sud, o in maggio-giugno e si disperdono ad agostosettembre, sono situate prevalentemente nelle soffitte nelle regioni più fredde, nelle
grotte in quelle più calde; la temperatura ambiente nelle nursery è sempre notevolmente
alta, compresa in genere tra i 25 e i 30 °C, ma con estremi compresi fra i 36 e i 40 °C; le
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colonie riproduttive, la più alta delle quali è stata osservata a 645 m di quota (Austria),
contano ognuna da 20 a 1.000 femmine; detti ambienti sono talora condivisi con i
Rinolofidi; i maschi vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente
alla stagione degli amori. L‟unico piccolo viene messo al mondo da metà giugno
all‟inizio di luglio, dopo una gravidanza di circa 50-60 giorni; può involarsi a un mese
di età, ma lo svezzamento avviene a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta
un‟eccezione. La durata media della vita è di 2,8-3,5 anni, la longevità massima nota di
18 anni. Fuoriesce al crepuscolo, all‟incirca 40-45 minuti dopo il tramonto, utilizzando
corridoi di volo sino alle aree di foraggiamento poste di solito a breve distanza dal
rifugio (circa 500 m); caccia quasi sempre isolatamente, ai margini di boschi e siepi, tra
la vegetazione o sull‟acqua, a 1-5 m di altezza, con volo molto agile e manovrato ove gli
spazi sono limitati, prevalentemente rettilineo e, velocità a parte, simile a quello di
rondini e rondoni nelle zone aperte. Si ciba di vari tipi di Insetti, ivi compresi i bruchi, e
di ragni, dato che, oltre che al volo, è capace di catturare le prede direttamente sui rami
e sul suolo. Fondamentalmente sedentario, compie per lo più spostamenti inferiori ai 40
km; quello più lungo noto è di 106 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi situati in grotte e costruzioni.
VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis (Borkhausen, 1797)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)
Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)
Sottospecie italiane (presumibili):
Myotis myotis myotis (Borkhausen, 1797) (Italia continentale, peninsulare e prob.
Sicilia)
Myotis myotis punicus Felten, 1977 (Sardegna).
I caratteri che permettono di distinguere tra loro in maniera attendibile M. blythii
(Tomes, 1857) e M. myotis sono stati evidenziati solo in data recente; pertanto, in
mancanza di un‟approfondita revisione dei problemi inerenti la loro sistematica e
corologia, è attualmente impossibile definire con sufficiente approssimazione gli areali
delle due specie, stabilire l‟appartenenza all‟una o all‟altra di alcune delle forme sinora
descritte, nonché accertare una loro possibile divisione in sottospecie. I taxa nominali
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attribuibili con certezza o presumibilmente a M. myotis, dei quali è in parentesi indicata
la località classica, sarebbero i seguenti: alpinus Koch, 1863 [Uri (Svizzera)]; latipennis
(Crespon, 1844) [Gard (Francia)]; macrocephalicus Harrison et Lewis, 1961 [2 km E di
Amchite (Libano)]; myotis (Borkhausen, 1797) [Turingia (Germania)]; ? omari
Thomas, 1906 [50 miglia a O di Isfahan (Iran)]; punicus Felten, 1977 [Capo Bon
(Tunisia)]; ? risorius Cheesman, 1921 [Shiraz (Iran)]; spelaeus Bielz, 1886; submurinus
(Brehm, 1827) [Turingia (Germania)]; typus Koch, 1863 [Nassau (Germania)].
Geonemia
Corotipo Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione
all‟Inghilterra meridionale e alle Azzorre (e possibilmente anche all‟area turanica, se
omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis). Europa, a N fino all‟Inghilterra
meridionale e quasi al 55° parallelo in corrispondenza della Polonia nord-orientale e
della Bielorussia; a E sino all‟Ucraina (zona di Odessa), alla Turchia e ad Israele, ma
probabilmente (se omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis) sino all‟Iran e al
Turkmenistan; Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia, Isole Maltesi, Creta, Azzorre, Africa
maghrebina e Libia. In Italia la specie è nota per l‟intero territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario
dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia).
Biologia
Specie termofila, predilige le località temperate e calde di pianura e di collina, ove
frequenta gli ambienti più vari, ivi compresi quelli fortemente antropizzati, che anzi
sono i preferiti nelle località relativamente più fredde del Nord o più elevate; lo stesso
vale per l‟affine M. blythii, col quale vive in simpatria e spesso anche in sintopia nella
vasta zona di sovrapposizione dei loro areali, ma dal quale si differenzia nettamente per
quanto attiene alla nicchia trofica (aree di foraggiamento e preferenda alimentari).
Frequenta di regola località comprese fra il livello del mare e i 600 m di quota, ma può
spingersi sin verso i 2.000 m e, forse solo occasionalmente, sino ai 2.200 m (resti ossei
recenti in una grotta pirenaica). Nella buona stagione si rifugia, anche per la
riproduzione, nei fabbricati, ove può sopportare temperature elevate (sino a 45 °C), in
ambienti sotterranei naturali o artificiali (cantine, grotte, miniere, ecc.) e, più di rado,
nei cavi degli alberi e nelle batbox; si trova di regola appeso alle volte o alle pareti, sia
isolato sia in colonie che possono raggiungere varie migliaia di individui, talora miste a
esemplari di alcuni Rhinolophus, di altri Myotis, ecc., ma specialmente di Miniopterus
schreibersii; spesso si insinua in fessure naturali o in interstizi presenti nei fabbricati,
ma solo raramente in spacchi molto stretti. Sverna di regola in ambienti sotterranei
naturali o artificiali con temperature di 2-12 °C e alto tasso igrometrico (85-100%), ma
è stato trovato anche a -4 °C e con umidità relativa del 50% o addirittura inferiore.
Pende quasi sempre liberamente dal soffitto o dalle pareti, per lo più in gruppi che
contano sino a un centinaio di esemplari, e solo raramente si rifugia in strette fessure.
Gli ibernacoli di grandi dimensioni possono albergare colonie molto popolose, la
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maggiore delle quali, presente in un vecchio bunker della Polonia, conta fino a 5.000
individui; i luoghi di svernamento, che verrebbero raggiunti prima dalle femmine che
dai maschi, sono occupati da settembre-ottobre a marzo-aprile ed è abbastanza frequente
che vengano cambiati, anche in pieno inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo
i sessi a 1-2 anni di età; le femmine, che in piccola percentuale possono riprodursi già
nel loro primo anno di vita, si accoppiano da agosto alla primavera successiva, anche
negli ibernacoli, ma prevalentemente in autunno; i maschi posseggono harem dei quali
possono far parte sino a cinque femmine. Le nursery, che vengono occupate a partire da
marzo e abbandonate in luglio-agosto, sono state osservate sino a poco oltre i 1.000 m
di altitudine, possono ospitare sino a 2.000 femmine e occasionalmente qualche
maschio; questi, di regola, vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo
precedente la stagione degli amori. I parti, di rado gemellari e frequenti soprattutto nelle
prime ore del mattino, si susseguono da maggio a luglio, dopo una gravidanza della
durata approssimativa di 50-70 giorni. Le puerpere escono a caccia già durante la notte
seguente al parto; i neonati vengono riuniti in gruppi e rimangono affidati ad alcune
femmine che ritardano la loro uscita. Il piccolo appena nato pesa 6 g ed ha un
avambraccio lungo 15-17 mm; quest‟ultimo ha una crescita giornaliera di 0,9-1,5 mm e
misura 49 mm nel giovane di un mese di età; gli occhi si aprono a 4-7 giorni dalla
nascita, la dentatura è definitiva a 30-35 giorni, la copertura pelosa è completa dopo
circa 22 giorni, i primi voli avvengono a 23-27 giorni e lo svezzamento ha luogo a circa
5 settimane dalla nascita. La mortalità infantile, almeno al Nord, può superare il 40%
nella stagione fredda. La durata media della vita, a seconda degli Autori, è di 2,4-2,7 o
di 4-5 anni, la longevità massima sinora accertata di 22. Le uscite di caccia iniziano in
genere poco dopo il tramonto, ma non di rado a notte inoltrata, e hanno di regola una
durata di 4-5 ore; il volo è piuttosto lento, con ampi colpi d‟ala remeggianti, e si svolge
per lo più tra il livello del suolo, sul quale l‟animale si posa di frequente per cacciare, e i
10 m di altezza. Preda soprattutto Artropodi terragnoli, in netta prevalenza Coleotteri
Carabidi, in zone ove il suolo è facilmente raggiungibile, preferendo cacciare in
corrispondenza di prati rasati di fresco, pascoli degradati, frutteti con ampie radure e
boschi misti o pinete privi o poveri di sottobosco, evitando per esempio le aree coperte
da ricca vegetazione erbacea e i boschi con fitto sottobosco; in certe aree geografiche
caccia anche in ambienti semidesertici. Può compiere spostamenti, anche di oltre 200
km, tra i quartieri estivi e quelli invernali; lo spostamento più lungo sinora accertato è di
390 km.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio
termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di
disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).
MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii (Kuhl, 1817)
Sistematica
Ordine: Chirotteri (Chiroptera)
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PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO
Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica
e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013
Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)
Famiglia monotipica: Miniotteridi (Miniopteridae)
Sottospecie italiana: Miniopterus schreibersii schreibersii (Kuhl, 1817)
La specie comprenderebbe quindici sottospecie, ma l‟attribuzione sottospecifica di
alcune popolazioni è ancora incerta.
Geonemia
Elemento Subcosmopolita (Sudeuropeo-Mediterraneo-Etiopico-Orientale-Australiano).
Dall‟Europa meridionale e dalla porzione meridionale di quella centrale sino al
Giappone, alla maggior parte della Cina e della Regione Orientale, attraverso il Caucaso
e l‟Asia sud-occidentale; Nuova Guinea, Isole Salomone (Isola Bougainville compresa),
Australia e Arcipelago delle Bismarck; isole maggiori del Mediterraneo e Isole Maltesi;
Africa mediterranea e subsahariana, Madagascar e Comore. In Italia la specie è nota per
l‟intero territorio.
Origine delle popolazioni italiane
Specie di probabile origine tropicale (africana, asiatica o australiana). Citata per il
Pleistocene della Sicilia, nonché per il Quaternario di Malta (Pleistocene superiore e
medio) e per il Quaternario della provincia di Trieste e dell‟Isola Palmaria (provincia de
La Spezia).
Biologia
I dati disponibili sono solo per la regione Paleartica.
Status e conservazione
Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la
specie è a più basso rischio”, ossia il suo stato di conservazione non è scevro da rischi.
Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da
parte dell‟uomo nei rifugi situati in grotte e secondariamente in costruzioni.
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