La versione dei greci
Transcript
La versione dei greci
30 gen/5 feb 2015 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1087 • anno 22 Leonardo Padura Fuentes La speranza di Cuba internazionale.it Elif Şafak La fatica di essere turchi La versione dei greci PI, SPED IN AP, DL ART DCB VR DE • BE • CH CHF • UK IL MONDO IN CIFRE EURO Il rifiuto dell’austerità. Il negoziato con l’Europa. L’alleanza con la destra. Il governo di Tsipras alla prova 3,00 € Scienza Veleni quotidiani 30 gennaio/5 febbraio 2015 • Numero 1087 • Anno 22 “Il razzismo è la più bassa forma di snobismo” Sommario La settimana hANif kureishi, pAgiNA 30 gen/5 feb 2015 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1087 • anno 22 Leonardo Padura Fuentes La speranza di Cuba internazionale.it Elif Şafak La fatica di essere turchi 3,00 € Scienza Veleni quotidiani iN copertiNA La versione dei greci tempo La versione dei greci Il riiuto dell’austerità. Il negoziato con l’Europa. L’alleanza con la destra. Il governo di Tsipras alla prova Il riiuto dell’austerità. Il negoziato con l’Europa. L’alleanza con la destra. Il governo di Tsipras alla prova. I commenti della stampa europea (p. 12). Foto di Francesco Anselmi (Contrasto). Giovanni De Mauro europA 18 Ucraina Libération scieNzA AfricA e medio orieNte 20 Arabia Saudita The Guardian AsiA e pAcifico cubA 34 La speranza ecoNomiA e lAvoro Ynet non si ferma The Guardian grAphic JourNAlism 70 Stoccolma Leila Marzocchi Arte 72 Mostra portogAllo POP stAti uNiti 46 Detroit divisa e disuguale Tom Dispatch cultura Cinema, libri, musica, video, arte 66 San Francisco di riparazione Vlast di droga Público di Mario Draghi Financial Times 74 di Cuba Le Monde 40 Uno zaino pieno 94 L’ultima mossa viAggi visti dAgli Altri per i musei italiani The New York Times portfolio ritrAtti The Irrawaddy 28 Cercasi manager a come parli The Economist 62 Amin al Hajj O Globo 26 India-Stati Uniti quotidiani New Scientist della memoria Kim Hak Al Monitor 24 Brasile 90 Occhio 56 Gli oggetti 22 Yemen Americhe scieNzA 50 Veleni 84 Toc toc, 87 sono Enoch Hanif Kureishi Pittori al cinema Antonio Muñoz Molina Le opinioni 23 Amira Hass 30 Elif Şafak 32 Bernard Guetta 76 Gofredo Foi 78 Giuliano Milani 80 Pier Andrea Canei 82 Christian Caujolle 88 Tullio De Mauro le rubriche 10 Posta 11 Editoriali 97 L’oroscopo 98 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati le principali fonti di questo numero Le Monde È un importante quotidiano francese. L’articolo a pagina 34 è uscito il 20 gennaio 2015 con il titolo Leonardo Padura: “La in d’un interminable cauchemar” à Cuba. New Scientist È un settimanale britannico di scienze. L’articolo a pagina 50 è uscito il 25 novembre 2014 con il titolo Toxic shockers: key chemicals to look out for. Público Fondato nel 1990, è un quotidiano portoghese progressista. L’articolo a pagina 40 è uscito il 5 ottobre 2014 con il titolo Diário de um correio de droga. Tom Dispatch È un sito d’informazione indipendente creato dal giornalista investigativo Tom Engelhardt. L’articolo a pagina 46 è uscito il 16 novembre 2014 con il titolo Two Detroits, separate and unequal. Ynet È il primo sito israeliano d’informazione. Fa parte del gruppo editoriale del quotidiano Yedioth Aharonot. L’articolo a pagina 62 è uscito il 14 novembre 2014 con il titolo The Rummenigge ile opens: Mossad’s top agent in Lebanon speaks for the irst time. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 3 internazionale.it/sommario Quando si parla di internet bisognerebbe sempre ricordare che nel mondo le persone che usano la rete sono una minoranza: esattamente il 39 per cento, secondo le stime dell’International telecommunication union. In Italia l’ultimo rapporto dell’Istat dice che ventidue milioni di persone non hanno mai usato internet. È il 38,3 per cento della popolazione, che sale addirittura al 74,8 per cento tra gli italiani dai 65 anni in su. In Europa ci sono paesi vicini alla saturazione (Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia, Danimarca), dove cioè quasi tutti usano la rete, mentre l’Italia è al terzultimo posto. Accanto alla Grecia e poco prima della Bulgaria. E sempre parlando di internet bisognerebbe anche ricordare che il web non contiene tutto, e quello che c’è tende a sparire nel tempo. Jill Lepore sul New Yorker spiega che la vita media di una pagina web è di circa cento giorni. Le pagine web spariscono perché vengono cancellate, modiicate, oppure perché le società che le ospitano chiudono, falliscono, sono vendute. Una ricerca condotta negli Stati Uniti nel 2013 ha scoperto che nel giro di sei anni il 50 per cento dei link citati da giudici e avvocati nelle prove e nei documenti presentati in tribunale non funziona più, cioè la pagina web a cui puntano non è più online. L’instabilità e la precarietà del web possono essere un problema nel caso delle prove, ma possono rivelarsi una vera fortuna per le sciocchezze. u Immagini Dopo la vittoria Atene, Grecia 25 gennaio 2015 Alexis Tsipras parla ai sostenitori di Syriza davanti all’università di Atene dopo la vittoria alle elezioni politiche del 25 gennaio. “La Grecia lascia l’austerità”, ha detto Tsipras nel suo discorso, “lascia dietro di sé anni di oppressione. La Grecia va avanti con la speranza verso un’Europa che sta cambiando”. Il nuovo primo ministro ha sottolineato che il suo governo, di cui fa parte anche la destra nazionalista dei Greci indipendenti, “è pronto a collaborare per una vera, nuova soluzione, per far uscire il paese dal circolo vizioso della crisi e riportare la stabilità ad Atene e in Europa”. Foto di Matt Cardy (Getty Images) Immagini Non dimenticare Oświęcim, Polonia 25 gennaio 2015 Durante una visita al memoriale dell’ex campo di concentramento di Ausch witzBirkenau, dove i nazisti uccisero più di un milione tra uomini, donne e bambini. In maggioranza erano ebrei, ma anche polacchi, rom e prigionieri di guerra sovietici. Il 27 gennaio 1945 le truppe russe entrarono nel campo di sterminio e liberarono i sopravvissuti. Durante la giornata della memoria, il 27 gennaio, in tutto il mondo ci sono state commemorazioni per ricordare le vitti me della shoah. Foto di Joel Saget (Afp/ Getty Images) Immagini La prima vescova York, Regno Unito 26 gennaio 2015 La prima vescova della chiesa d’Inghilterra subito dopo la consacrazione. Libby Lane, 48 anni, è stata ordinata vescova di Stockport durante una cerimonia nella cattedrale di York. Dopo decenni di dibattiti sull’ordinazione delle donne, lo scorso novembre la chiesa d’Inghilterra ha adottato la legge che permette alle donne di diventare vescove, come già avviene nelle chiese anglicane di altri paesi. La cerimonia è stata ritardata dall’intervento di un sacerdote contrario al cambiamento delle regole. Assenti i vescovi cattolici, che spesso partecipano alle cerimonie importanti della chiesa anglicana. Foto di Phil Noble (Reuters) [email protected] Il cuore a Kobane u Il reportage a fumetti “Kobane calling” del mitico Zerocalcare è degno del miglior Joe Sacco. Mi ha fatto capire l’assedio della città al conine turcosiriano meglio di un trattato di geopolitica, ma con l’aggiunta di umorismo e autoironia. Spero sia l’inizio di una lunga serie. Diventerà il mio nuovo libro di testo per i ragazzi (e pazienza se insegno religione...). Andrea Zanello u Il fumetto di Zerocalcare è stato una vera goduria: un uomo che conosce la profonda arte della leggerezza. Glenda Je suis Charlie u Sono francese e sono anche italiana. Sono nata in Francia, i miei nonni erano italiani e vivo a Roma ormai da quattro anni. Sono rimasta molto colpita dagli eventi di Parigi. Mi sono emozionata vedendo i francesi scendere in piazza e riiutare di aver paura e di stigmatizzare i musulmani. Per giorni ho pian- to, mi sono svegliata, ho mangiato, lavorato e mi sono addormentata pensando solo a questa strage. Mi sono arrabbiata vedendo la scarsa reazione degli italiani. E ho deciso inalmente, dopo mesi che rimandavo, di fare l’abbonamento a Internazionale. Jessica Tartaglia Contraddizioni u Mi sembra chiaro che la vostra linea editoriale contraddice la vostra pretesa di essere internazionali. Lo scopo principale della rivista è quello di rappresentare una inestra sul mondo, concretizzare il motto di Shakespeare e di testimoniare le cose che vi sono e accadono in cielo e in terra. Con un’unica ideologica eccezione: ignorare sistematicamente l’azione apostolica e politica del papa. Anche se la chiesa cattolica ha ruolo chiave nell’articolazione del mondo, il vostro settarismo è così palese da condurvi in un vicolo chiuso e in contraddizione con quanto predicate: raccontare il mondo, purché non sia quello cattolico o non abbia legami con il cristianesimo. Una ilosoia, quella cristiana, troppo premoderna per capire come funziona il mondo e per meritare un’adeguata attenzione. Incorrendo nell’errore radical chic, decidete di non connotarvi come internazionali, a favore di un settarismo provinciale. Peccato. Enrico Maestri a mangiare: la tua mente rimuove gradualmente il ricordo dei lati frustranti del viaggio perché sarebbe un vero peccato lasciare estinguere il tuo desiderio di avventura. Mentre a cena parli con i tuoi bambini di quella volta al Grand Canyon o sulla torre Eifel, ti ricordi solo di quanto fosse emozionante la vista da lassù. E così vi torna la voglia di viaggiare. E magari anche di fare un altro iglio. u Nell’articolo di Le Monde uscito sul numero 1084, a pagina 48 si legge: “Ng e i suoi colleghi hanno progettato un computer in grado di capire cos’è una chat semplicemente guardando immagini di un video su YouTube”. “Che su YouTube ci siano video dedicati alle immagini delle chat mi pare afascinante, ma forse l’autore stava semplicemente parlando di gatti”, ci scrive Luigi. Ma certo! Il video mostrava un chat, che in francese è un gatto! Bisogna essere davvero distratti per trasformare un comune felino in una conversazione online, ma quando si è alle prese con un articolo di tecnologia, che parla di software, internet, e-commerce e smartphone, può capitare. Il contesto ci ha portato fuori strada. E pensare che il francese evita il più possibile i prestiti da altre lingue. Computer, mouse, password, ile, software e browser, per esempio, si traducono con ordinateur, souris, mot de passe, ichier, logiciel e navigateur. Al posto dell’inglese chat, l’uicio per la lingua francese del Québec ha proposto di usare clavardage, un misto di clavier (tastiera) e bavardage (chiacchiera). Il ministero della cultura e della comunicazione francese, invece, suggerisce dialogue en ligne. Ma nella lingua comune si è imposto l’inglese chat, presente nel vocabolario Larousse insieme al verbo chatter. Claudio Rossi Marcelli è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo [email protected] Giulia Zoli è una giornalista di Internazionale. L’email di questa rubrica è [email protected] u Nel numero 1085, nel fumetto di Joe Sacco “On satire”, l’espressione tweaking the noses è stata erroneamente tradotta con “deformare il naso”, mentre vuol dire “provocare”. Nel numero 1086, il titolo del nuovo album di Samba Touré citato a pagina 79, non è Gambadiko ma Gandadiko. PER CONTATTARE LA REDAZIONE Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU Facebook.com/internazionale Twitter.com/internazionale Flickr.com/internaz In viaggio con papà La natura funziona in modo impeccabile, dicono. Eppure ogni tanto s’inventa delle cose strane, come per esempio il dolore durante il travaglio. Perché le donne devono soffrire tanto per svolgere un’attività che la natura ha tutto l’interesse a incentivare? La Bibbia ci dà la sua versione dei fatti, ma come al solito il testo sembra più concentrato a giu- 10 stiicare il maschilismo arcaico che a dare spiegazioni. La scienza invece suggerisce che è tutta colpa del nostro testone da esseri umani, cresciuto a dismisura. In ogni caso, anche se io non ho mai partorito, mi dicono che i dolori del parto si dimenticano subito, e questo forse è il gofo tentativo della natura di correggere il tiro ed evitare l’estinzione della specie. Mi chiedo quindi se non sia opera sua anche nel tuo caso. I pianti da stanchezza, i bagagli pesanti, le corse a un bagno pubblico, i musei a cui avete rinunciato, il fast food in cui siete stati obbligati Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Chiacchiere feline Errata corrige Dear Daddy Perché ogni volta che facciamo un viaggio con i nostri tre igli piccoli mi dico “questa è l’ultima volta” ma poi ci ricaschiamo puntualmente?–Matteo Le correzioni Editoriali Una nuova era per Atene “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (web, caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caposervizio), Giulia Zoli Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), Valeria Quadri, Marta Russo Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli, Donata Columbro, Francesca Gnetti, Francesco Longo, Stefania Mascetti (caposervizio), Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci, Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Giuseppina Cavallo, Diana Corsini, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Andrea Ferrario, Federico Ferrone, Antonio Frate, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Catherine Cornet, China Files, Sergio Fant, Andrea Ferrario, Antonio Frate, Anita Joshi, Naoko Okada, Andrea Pira, Fabio Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312 [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Signiica che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per ini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected] To Vima, Grecia Quella di Syriza è una vittoria epocale. Per la quello nazionale ma anche quello che domina prima volta nella storia della Grecia moderna in Europa. Per questo ha suscitato grande inteun partito davvero di sinistra vince le elezioni, resse nei mezzi d’informazione europei e monprende il potere e avrà la possibilità di governa- diali. L’afermazione di Tsipras determinerà prore. Per generazioni di militanti di sinistra greci fondi cambiamenti nel sistema politico greco, è la realizzazione di anni di desideri frustrati. Su una questione d’importanza storica co- tanto più se il nuovo governo riuscirà a raggiungere un accordo con i leader eurome quella del debito, la scelta del pei sulla ristrutturazione del debipopolo greco è stata unica in Eu- Per la prima volta ropa e per molti versi straordina- nella storia greca un to. In questo caso il suo prestigio diventerebbe inattaccabile e nesria. Perché questo accadesse, in- partito davvero di sun partito o leader potrebbe fatti, è stato necessario abbattere sinistra avrà la ignorarlo o sottoporlo a nuove rile divisioni tra i partiti e le barrie- possibilità di chieste e condizioni. re ideologiche, e superare le in- governare. Per Inoltre non bisogna dimenticomprensioni tra persone di una diverse generazioni care che Tsipras ha solo quastessa famiglia. di militanti è la rant’anni ed è uno dei più giovani Questo processo è stato deterrealizzazione di primi ministri in Europa. Questo minato dal peso di una crisi ecoanni di desideri potrebbe spingere altri giovani a nomica senza precedenti, che ha impegnarsi in politica. Il nuovo frantumato i partiti tradizionali, ha tolto credibilità ai loro leader e ha creato le premier ha già lanciato un appello ai giovani condizioni per il trionfo di Alexis Tsipras. Le ricercatori greci perché tornino a lavorare nel conseguenze della vittoria di Syriza non posso- loro paese. Ma l’aspetto più importante del risultato no ancora essere valutate con precisione. Ma quello che si può dire con certezza è che l’ele- elettorale è che la spinta al rinnovamento dozione di Tsipras scuote le fondamenta della po- minerà la vita politica della Grecia. Senza dubbio stiamo entrando in una nuova epoca. Resta litica greca. Il suo partito è considerato il fulcro della da vedere se sarà un’epoca di prosperità per il protesta contro il sistema economico, non solo paese e i suoi cittadini. u anf Kobane è inalmente libera Frank Nordhausen, Berliner Zeitung, Germania Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì 28 gennaio 2015 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 156 595 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 041 509 9049 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi Kobane è libera. La vittoria dei curdi potrebbe segnare una svolta nella lotta contro il gruppo Stato islamico. Dopo quattro mesi di assedio costato migliaia di morti, innumerevoli feriti e la completa distruzione della città, i curdi hanno scacciato i jihadisti e gli hanno strappato l’aura di invincibilità che li aveva accompagnati inora. È vero che questo successo non sarebbe stato possibile senza il supporto aereo della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Ma la liberazione di Kobane dimostra che nella lotta contro lo Stato islamico sul terreno è giusto puntare sui curdi, che sono combattenti disciplinati ed eicienti. A Kobane i curdi di Siria non si sono battuti solo per se stessi, hanno anche svolto il lavoro sporco per conto dell’occidente, pagando un altissimo tributo di sangue. È dunque giusto e ragionevole che ora ricevano inalmente gli aiuti che meritano. La ricostruzione di Kobane costerà milioni di euro. Ma i curdi hanno bisogno anche di rifornimenti alimentari, di medicinali e di armi per potersi difendere da nuovi attacchi da parte dello Stato islamico, che tutti si attendono. E, quando si parlerà del futuro della Siria, dovranno sedere anche loro al tavolo delle trattative. Ma prima di tutto deve inire l’embargo che la Turchia ha decretato contro le enclave curde della Siria per motivi puramente ideologici. È ora di obbligare Ankara ad aprire dei corridoi per consentire l’arrivo degli aiuti. È il minimo che possiamo fare per i valorosi combattenti di Kobane. u ma Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 11 In copertina La versione Adéa Guillot, Le Monde, Francia Foto di Francesco Anselmi Il riiuto dell’austerità e il negoziato con l’Europa. L’alleanza con la destra nazionalista e i compromessi inevitabili. Dopo il trionfo del 25 gennaio, per Alexis Tsipras è arrivato il momento di governare l 26 gennaio Alexis Tsipras è diventato il dodicesimo primo ministro greco democraticamente eletto dopo la ine della dittatura dei colonnelli, nel 1974. A quarant’anni appena compiuti, Tsipras è anche il più giovane capo di governo che la Grecia abbia mai avuto e il primo a provenire dalla sinistra radicale. Dichiaratamente ateo in un paese profondamente ortodosso (non è sposato con la sua compagna e i suoi igli non sono battezzati), il giorno dell’insediamento il leader di Syriza ha deciso di rinunciare alla cerimonia religiosa e al giuramento sulla Bibbia, una tradizione rispettata da tutti i primi ministri negli ultimi quarant’anni. Tuttavia si è premurato di fare visita all’arcivescovo Geronimo, primate della chiesa greca, per rassicurarlo sul fatto che “le relazioni tra chiesa e stato sono più salde che mai”. Quando ha promesso di portare a termine la sua missione “nell’interesse generale del popolo greco”, lo ha fatto solo davanti al presidente della repubblica, Karolos Papoulias, in una cerimonia rapida e sobria. Tsipras era aiancato dal suo amico e capo di gabinetto Nikos Pappas, visibilmente commosso, e dal portavoce del partito, Panos Skourletis. Entrambi avranno un ruolo importante nel nuovo esecutivo. Subito dopo l’insediamento, il primo ministro ha visitato un luogo altamente simbolico per la sinistra greca: il muro dei caduti di Kaisariani, una cittadina vicino ad Atene dove duecento partigiani comunisti furono I 12 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 uccisi dai nazisti il 1 maggio del 1944. “Un gesto importante che ricorda le radici di Syriza, un omaggio necessario che celebra la voglia di libertà dei greci”, hanno dichiarato i consiglieri di Tsipras. Un momento di raccoglimento silenzioso, qualche rosa rossa deposta su una tomba tra gli applausi di una cinquantina di persone, e poi Tsipras è ripartito verso palazzo Maximou, la sede del governo greco. Il suo predecessore, Antonis Samaras, ha scelto di non andare ad accoglierlo. Uno strappo al bon ton politico che è stato aspramente criticato. Il passaggio dei poteri uiciale si è quindi svolto tra i segretari generali di governo. Una soluzione rapida Nel frattempo, a meno di ventiquattr’ore dalla vittoria del suo partito alle elezioni del 25 gennaio e dopo aver mancato la maggioranza assoluta per appena due seggi, Tsipras era già riuscito a formare una coalizione con i Greci indipendenti (Anel) del populista Panos Kammenos. Ai 149 seggi di Syriza si aggiungono quindi i 13 ottenuti da Anel, che ha avuto il 4,7 per cento dei voti: con 162 deputati la coalizione può contare su una solida maggioranza in parlamento. “È un’alleanza contro natura che tradisce completamente il mio voto”, ha commentato un giovane militante del partito che era presente alla cerimonia di KaisariaIn queste pagine le foto di militanti di Syriza tra il 25 e il 26 gennaio 2015 e dei greci Contrasto (2) Maria, 31 anni Eleni, 64 anni Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 13 In copertina ni. L’opinione è condivisa da buona parte dei sostenitori di Syriza, irritati dall’idea di dover collaborare con Kammenos, noto per le sue posizioni xenofobe e omofobe e molto vicino alla chiesa ortodossa. L’avvicinamento tra i due leader politici era cominciato nel 2012, dopo il voto del 6 maggio, dal quale non era uscita nessuna maggioranza. In quell’occasione Tsipras aveva detto di essere pronto ad accettare il sostegno dei Greci indipendenti. “L’idea di avere come alleati i Greci indipendenti non mi piace afatto”, ci ha confessato un deputato di Syriza la sera del 25 gennaio. “Ma credo che la priorità di Tsipras sia mettere ine alla politica di rigore. Un obiettivo – probabilmente l’unico – che condividiamo con Kammenos”. Questo pragmatismo si spiega con la volontà di Tsipras di non impegnarsi con un alleato troppo esigente, come sarebbe stato per esempio Stavros Theodorakis, il leader di To potami (il iume), un partito di centrosinistra che ha raccolto il 6 per cento dei consensi e che per Syriza sarebbe stato un alleato senz’altro più naturale. “To potami ha una visione liberale dell’economia e avrebbe fatto pressione su di noi per spingerci a rispettare le misure di austerità che i creditori ancora pretendono dalla Grecia. Questo avrebbe signiicato non rispettare le promesse fatte in campagna elettorale. Dovevamo scegliere tra due mali”, spiega il costituzionalista Yorgos Katrougalos, eurodeputato di Syriza. “Con To potami i negoziati sarebbero andati avanti a lungo, mentre Tsipras voleva formare un governo rapidamente”, sottolinea il politologo Elias Nikolakopoulos. Avere la possibilità di agire liberamente ed evitare spaccature in vista dei diicili negoziati sulla ristrutturazione del debito pubblico greco: è questo l’obiettivo della strana coalizione tra Syriza e Anel. Intanto nel governo sono entrati i collaboratori più stretti di Tsipras, come Nikos Pappas, capo di gabinetto, e Yannis Dragasakis e Yannis Varoufakis, rispettivamente vicepremier e ministro delle inanze. Ma il ministero dello sviluppo e dell’industria è andato a Panagiotis Lafazanis, della Piattaforma di sinistra, una corrente del partito particolarmente turbolenta che Tsipras dovrà cercare di tenere a bada. A questi nomi si aggiungono poi alcune personalità dell’Anel, tra cui il leader Panos Kammenos, a cui è andato, come previsto, il ministero della difesa. u adr 14 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Trattare conviene a tutti Cerstin Gammelin, Süddeutsche Zeitung, Germania Le posizioni della Grecia e dei suoi creditori non sono inconciliabili. Nessuna delle parti in causa vuole l’uscita di Atene dall’euro, perché avrebbe conseguenze devastanti elle prossime settimane gli europei avranno l’opportunità di dimostrare quanto siano tolleranti e illuminati. Tra la Grecia e gli altri paesi dell’eurozona, primo tra tutti la Germania, sono previste trattative diicili. Il nuovo governo greco non vuole più rispettare le condizioni del programma di aiuti e, soprattutto, vuole sbarazzarsi dei supervisori della troika, il gruppo di creditori di Atene formato dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Gli alleati europei, invece, ripetono che la Grecia deve rispettare gli accordi. I due fronti sembrano inconciliabili, ma non c’è motivo di credere che sulla moneta unica incombano scenari terriicanti. Dopo cinque anni di crisi l’eurozona si è abituata a queste prospettive ed è in un certo modo più sicura di sé nella gestione delle trattative. Ma quello che conta di più è che le due parti sono unite da un interesse comune: restare all’interno dell’unione monetaria. Il nuovo governo di Atene sa che un’uscita dall’euro catapulterebbe la Grecia nella condizione di un paese in via di sviluppo, con il rischio di disordini sociali. Il resto dell’eurozona sa che l’uscita di Atene dimostrerebbe al mondo intero che l’ingresso nell’euro non è un processo irreversibile come si è sempre detto. I primi accenni di sgretolamento della moneta manderebbero a picco la iducia nell’euro, facendo fuggire gli investitori. Sarebbe l’inizio della ine dell’unione monetaria. Questo interesse comune è la base su cui dovranno fondarsi le trattative della Grecia con gli altri paesi dell’eurozona e soprattutto con Berlino. Il desiderio di auto- N determinazione dei greci è comprensibile. Da tempo la Grecia non è più un paese normale: i banchieri e i burocrati della troika hanno avuto l’ultima parola su un governo eletto democraticamente. Per cinque anni i cittadini hanno tollerato questa mancanza di autonomia, pensando che prima o poi sarebbero tornati a gestire la loro economia. Ma non è andata così. Ora si sono sbarazzati del vecchio governo e sperano che presto se ne vada anche la troika. Con il voto del 25 gennaio i greci hanno messo ine a una situazione paradossale. Tutti i paesi dell’euro sono d’accordo su un Da sapere Il nuovo parlamento greco u Il 25 gennaio sei milioni e 330mila greci, il 63,9 per cento degli aventi diritto, sono andati alle urne per le elezioni politiche. Il partito più votato è stato Syriza di Alexis Tsipras, con il 36,3 per cento, seguito dai conservatori di Nea demokratia del premier uscente Antonis Samaras. Più staccati i neonazisti di Alba dorata, il nuovo partito di centrosinistra To potami, i comunisti del Kke, i nazionalisti Greci indipendenti (Anel) e i socialisti del Pasok. u La mattina del 26 gennaio Alexis Tsipras ha annunciato un accordo di governo con l’Anel di Panos Kammenos. Poche ore dopo ha giurato da primo ministro nelle mani del presidente della repubblica Karolos Papoulias. Il 27 gennaio è stata resa nota la composizione del governo. Agli alleati dell’Anel vanno due ministeri (quello della difesa e quello per la Macedonia e la Tracia), mentre Syriza prende tutti gli altri dicasteri. Seggi % 149 36,3 Nea demokratia 76 27,8 To potami (Il iume) 17 6,2 Alba dorata 17 6,0 Partito comunista (Kke) 15 5,4 Socialisti (Pasok) 13 4,7 Greci indipendenti (Anel) 13 4,6 Altri 0 9,0 Syriza CoNtrASto (2) Nikoleta, 27 anni, studentessa punto: un’élite economica e politica corrotta ha amministrato la Grecia per quarant’anni insieme ad alcuni oligarchi, mandando il paese in rovina. Perché mai dovrebbe essere proprio uno dei partiti più rappresentativi di quel sistema di corruzione a liberare la Grecia dalla sua miseria? Un gesto di solidarietà Chi vuole davvero accettare la volontà del popolo greco deve ofrire una giusta opportunità al nuovo governo. Naturalmente questo signiica anche che Atene dev’essere pronta a scendere a compromessi. È assolutamente legittimo che i creditori vogliano sapere come viene usato il loro denaro. In fin dei conti, gli aiuti finanziari sono anche un gesto di solidarietà dei cittadini degli altri stati europei. Ed è evidente che senza un impegno sulle riforme strutturali non potrà esserci alcun aiuto. In fondo entrambe le parti vogliono che la Grecia torni a essere un paese normale. Queste considerazioni sollevano la questione della riduzione del debito. Di Yorgos, 58 anni, professore certo un paese con un debito pubblico pari al 170 per cento del pil non è nella condizione di inanziarsi sul mercato. Il debito va ridotto, su questo sono praticamente tutti d’accordo. Il problema è capire come farlo. I tagli non sono serviti, non basterà posticipare ancora le scadenze né ottenere ulteriori moratorie sugli interessi. Il debito resta comunque invariato e compromette la credibilità di Atene. I paesi dell’eurozo- Da sapere Creditori e debitori I debiti della Grecia, in miliardi di euro, e i suoi creditori. Fonte: Frankfurter Allgemeine Zeitung Investitori pubblici e istituzionali Fondo salvastati (Efsf/Esm) 142 Paesi dell’eurozona Fondo monetario internazionale Banca centrale europea Investitori privati 53 35 27 65 na non potranno ancora rimandare il problema. Sarebbe già un segnale importante se i ministri delle inanze dell’euro e il governo di Atene si accordassero su un prolungamento del programma di inanziamento in corso. Il tempo guadagnato in questo modo potrebbe permettere alle due parti di conoscersi meglio e di individuare una base su cui fondare i negoziati futuri. L’unione monetaria è un progetto politico oltre che economico ed è stata voluta da stati democratici e sovrani. Il risultato delle elezioni greche dimostra che i diritti di un paese non possono essere subordinati per sempre a interessi economici esterni. È questo l’insegnamento che i creditori dovrebbero trarre dalla svolta greca. D’altra parte il vincitore delle elezioni è tenuto a proporre agli altri paesi un programma che tenga conto delle loro richieste, ma che abbia l’impronta del popolo greco e imponga inalmente alle élite economiche corrotte del paese di sostenere i costi della crisi. Dopo i fallimenti delle misure precedenti, vale la pena di fare questo tentativo. u fp Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 15 In copertina L’opinione Il riscatto del sud Rui Tavares, Público, Portogallo opo cinque anni di austerità la Grecia si è schierata contro tutte le minacce e i ricatti. Per la prima volta una forza della sinistra radicale è al governo in un paese dell’Unione europea, e per la prima volta uno stato dell’eurozona ha un esecutivo dichiaratamente contrario all’austerità. Il signiicato di questo passaggio cruciale dipenderà dal modo in cui sarà afrontato dal Consiglio europeo, che dovrà accettare il fatto che uno dei suoi membri sarà anche uno dei principali avversari delle sue politiche. Bruxelles deve capire che ad Atene ha avuto fortuna: i greci non hanno scelto il populismo ma un partito progressista e paciico. Oggi gli europei devono mandare un messaggio chiaro a Bruxelles: la Grecia non è sola. Soprattutto gli altri paesi colpiti dalla crisi, a cominciare dal Portogallo, devono essere riconoscenti al coraggio dei greci, che hanno aperto la porta alla trasformazione delle politiche dell’Unione sul debito e sulla disoccupazione. La conferenza europea dei creditori e dei debitori proposta da Alexis Tsipras deve essere sostenuta dalle altre capitali, a cominciare da Madrid e Lisbona, dove quest’anno si voterà per scegliere un nuovo governo. All’inizio della crisi ci chiamavano “maiali” (Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). E i greci sono stati trattati peggio di tutti. Ma la crisi ci ha anche uniti, come dimostra l’attenzione che riserviamo alle rispettive elezioni in cerca di segnali sul nostro futuro. E questa volta i segnali sono positivi. Spetta a noi, agli altri paesi in crisi e a tutta l’Unione, realizzare la svolta annunciata da Atene. u as D 16 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Nuove regole per l’unione monetaria Paul De Grauwe, De Morgen, Belgio L’austerità imposta dal Nordeuropa ha ridotto molti greci in povertà, spingendoli a votare per Syriza. L’euro non può sopravvivere se si tutelano solo gli interessi dei creditori estremisti che propongono una via diversa da quella indicata dai paesi creditori. È incredibile che l’élite politica nordeuropea non abbia pensato alle conseguenze di queste misure troppo severe. In futuro la svolta politica avvenuta in Grecia potrebbe ripetersi in altri paesi. Lontani dai cittadini greci hanno detto no alle misure d’austerità imposte con inaudita durezza dai creditori del Nordeuropa, che hanno lasciato milioni di persone senza un lavoro e nella miseria. La cosa incredibile è che i sostenitori di queste misure si sono trincerati nella loro torre d’avorio. Non sarà poi così diicile, dicevano a Bruxelles e a Berlino, i greci devono solo stringere un po’ la cinghia: un intervento rapido e doloroso è necessario, anzi inevitabile. Ma la realtà era completamente diversa. Le persone non possono essere comandate come un gregge: ridotte in povertà e umiliate, iniscono per reagire. E in democrazia questo signiica votare per partiti I Ascoltando le reazioni dei ministri dell’economia si capisce ancora di più quanto siano lontani dalla vita dei cittadini. Il ministro tedesco dice che bisogna continuare con la politica di risanamento del bilancio, il collega olandese dalla sua torre d’avorio fa sapere che non c’è un’altra soluzione: i greci devono rispettare le regole del gioco dell’unione monetaria. Ma quali regole? Le regole dovrebbero essere totalmente diverse da quelle a cui si riferisce il ministro, non hanno niente a che vedere con le misure imposte alla Grecia e ad altri paesi dell’eurozona. Le regole del gioco di un’unione monetaria che funzioni dovrebbero basarsi sui princìpi di reciprocità e solidarietà. Se un paese ha ac- Da sapere Tre ministri per l’economia u Tra i ministri nominati da Alexis Tsipras nel nuovo governo spiccano tre economisti, scrive Libération. “Due sono esponenti di Syriza. Il primo è Yannis Dragasakis, nominato vicepremier con la responsabilità speciica di coordinare i negoziati con la troika”, il gruppo di creditori formato dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Ex militante del Partito comunista greco, Dragasakis è il ministro con più esperienza politica e l’unico che ha già avuto incarichi di governo: nel 1989 è stato viceministro delle inanze nel governo ad interim di Xenophon Zolotas. L’altro uomo di Syriza è Yorgos Stathakis, docente di economia politica dell’università di Creta, a cui è stato aidato “un superministero dello sviluppo che si occuperà anche del turismo e dei trasporti”. Il terzo economista, il neoministro delle inanze Yannis Varoufakis, non è iscritto a Syriza. Nato nel 1961 ad Atene, Varoufakis ha studiato matematica e statistica economica nel Regno Unito e poi in Australia, a Sydney, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. In seguito si è dedicato all’insegnamento, in particolare all’università di Atene. Varoufakis scriveva anche i discorsi economici per Yorgos Papandreou quando l’esponente del Pasok era leader dell’opposizione. Ma nel 2009, quando Papandreou è diventato primo ministro, Varoufakis si è allontanato dal Pasok e da allora si è progressivamente avvicinato alle idee di Syriza. Nel 2012 si è trasferito negli Stati Uniti per insegnare all’università di Austin. Noto per il suo stile grafiante e spesso dissacrante, osserva il Daily Telegraph, “Varoufakis non è l’estremista di sinistra dipinto da molti, ma un sostenitore del libero mercato e dell’euro che ha assunto posizioni molto critiche sulla gestione della crisi”. L’opinione Matrimonio di convenienza Nikos Meletis, To Ethnos, Grecia a prima riga della nuova pa gina di storia che si è aperta per la Grecia con la vittoria di Syriza non è stata scritta in modo chiaro. È infatti diicile capire come sarà possibile cambiare la politica greca in senso progressista con i Greci indipendenti (Anel) nella coa lizione di governo. Un’alleanza con il partito di Panos Kammenos può portare a diversi cambiamenti, ma non certo a una svolta a sinistra. Il punto è capire perché Tsipras abbia scelto l’Anel come alleato di gover no, rischiando di deludere molti simpatizzanti di Syriza. I due partiti hanno davvero così tanto in comune da poter condividere un programma di governo? Ovviamente no, consi derate le divergenze su temi come l’immigrazione, i matrimoni gay, il rapporto tra lo stato e la chiesa orto dossa, l’ordine pubblico, la difesa, la tutela della minoranza greca in Al bania, la questione della Macedo nia. L’unica ragione dietro a questo strano matrimonio è il comune riiu to delle politiche di austerità. Ma se Syriza, come fa pensare il suo nuovo pragmatismo, è davvero interessata a raggiungere un com promesso con i creditori, non le ba sterà aidarsi allo slogan “Abbasso il memorandum”. E alleandosi con Kammenos non ha certo mandato all’Europa un segnale di disponibili tà al compromesso. Piuttosto, ha lanciato un guanto di sida: l’Anel, infatti, non esclude di andare allo scontro con i creditori del paese. Per questo, quando in parlamento dovrà far approvare alcuni provvedimenti delicati, probabilmente Syriza chie derà l’appoggio dei centristi di To potami o perino dei socialisti del Pasok. u anf COnTrASTO L Gregoris, 24 anni cumulato troppi debiti, è anche perché i creditori hanno sbagliato ad accordargli troppi crediti. Se il debitore non può paga re bisognerà trovare un compromesso tra le due parti, entrambe responsabili della situazione che si è venuta a creare. I greci devono ridurre la spesa per abbattere il de bito pubblico, è vero, ma i debitori (soprat tutto la Germania) avrebbero dovuto au mentare la spesa per ridurre il loro surplus commerciale. Alla Germania, però, non piacevano queste regole del gioco. Berlino le ha igno rate e ha costretto anche gli altri a soppor tare il costo dell’operazione. non sono i greci a non seguire le regole, sono i tede schi che hanno cambiato le carte in tavola per difendere i loro interessi di creditori e sono riusciti a convincere le istituzioni eu ropee a seguire il loro gioco. Oggi è successo alla Grecia, ma domani altri paesi si ribelleranno alle regole che tutelano la ricchezza dei creditori. E sarà un bene. Un’unione monetaria in cui alcu ni paesi dettano legge ad altri non ha fu turo. u ft Paul De Grauwe è un economista belga. Insegna politica economica alla London school of economics and political sciences. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 17 Europa MANU BRABO (AP/ANSA) Un miliziano separatista a Donetsk, il 22 gennaio 2015 L’Ucraina precipita verso la guerra Sébastien Gobert, Libération, Francia Il bombardamento dei separatisti su Mariupol è uno degli episodi più gravi del conlitto. E fa pensare che sia pronta una nuova ofensiva er tutto il giorno mi sono detta che dovevo buttare giù qualcosa su Mariupol, ma non ci sono riuscita. Sono ancora sotto shock”. Oksana Romaniuk, direttrice dell’Istituto per l’informazione di massa di Kiev, non ha mai avuto problemi a scrivere. Ma la pioggia di missili che il 24 gennaio ha colpito i quartieri della periferia orientale della città ucraina sul mar Nero l’ha traumatizzata. Il bilancio è di almeno trenta morti e un centinaio di feriti. “Noi vogliamo la pace. Ma dobbiamo afrontare “P 18 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 la sida lanciata dal nemico”, ha detto il presidente Petro Porošenko in un discorso alla nazione registrato in tutta fretta. Il coinvolgimento diretto delle forze di Mosca nel conlitto sarebbe dimostrato da numerosi rapporti e oggi sembra confermato anche da leader politici in Ucraina e in occidente. Alcune migliaia di soldati dell’esercito regolare russo, novemila secondo Porošenko, sarebbero responsabili dell’avanzata separatista degli ultimi giorni nell’aeroporto di Donetsk e nel villaggio di Krasny Partisan. Secondo la ricostruzione fatta dal blog Conlict Report, chi ha colpito Mariupol era dotato di “un sistema per il lancio dei razzi molto moderno, come il Grad-K, in dotazione all’esercito russo, o il BM-30 Smerch”. Nel frattempo Vladimir Putin continua a dire di volere la pace, e dà la colpa delle ultime violenze agli “ordini criminali che arrivano da Kiev”. Uicialmente l’ultima sida all’Ucraina è stata lanciata da Aleksandr Zacharčenko, il leader della Repubblica popolare di Donetsk. Riiutando l’ipotesi di un nuovo cessate il fuoco, Zacharčenko ha esortato i suoi uomini a riprendere il controllo dell’intera regione. Dopo aver rotto l’accerchiamento di Donetsk e aver ripreso il controllo di quel che resta dell’aeroporto, il capo separatista ha detto di essere in grado di “condurre un’ofensiva su tre fronti”. Zacharčenko e il suo omologo di Luhansk, Igor Plotnitski, non hanno mai nascosto le loro ambizioni territoriali. Eppure la ripresa dei combattimenti, i più violenti da settembre, ha sorpreso gli analisti. Questa nuova fase arriva dopo una “pulizia invernale” tra le ile dei separatisti, servita a isolare i gruppi più indisciplinati. La morte di Aleksandr Bednov, il 25 dicembre, e la scomparsa di Igor Bezler confermano che il comando dei separatisti ha ripreso in mano la situazione ed è pronto per l’ofensiva sul territorio. La logica del conlitto rimane però poco chiara. Anche se Zacharčenko assicura di voler concentrare i suoi sforzi sulla riconquista di Slovjansk, fondamentale per l’approvvigionamento idrico della sua repub- blica, l’esperto militare ucraino Juri Butusov ritiene che i separatisti non abbiano una strategia militare: “Seguono i piani di Mosca. Si tratta di prendere un po’ più di territorio ucraino e far accettare a Kiev una nuova tregua ancora più sfavorevole”. Altri osservatori, invece, ritengono che le ofensive attuali siano solo dei diversivi nel quadro di un progetto più vasto. “Lo scopo principale dell’attacco a Mariupol è prendere il controllo della città per creare un corridoio via terra tra la Russia e la penisola di Crimea”, spiega Constantin Mašovets, analista del Centro di studi militari e politici di Kiev. L’obiettivo inale è creare una grande Novorossija, che si estenderebbe su circa un terzo del territorio ucraino. Una minaccia che viene presa sul serio dal vicegovernatore della regione di Dnipropetrovsk, Sviatoslav Oleinik, che ha messo in allerta la sua amministrazione subito dopo il bombardamento di Mariupol. In ogni caso, secondo Conlict Report, “i recenti sviluppi dimostrano che l’esercito ucraino non è in grado di resistere alle forze russe. Mosca non vuole una rottura totale della linea del fronte e usa invece la cosiddetta ‘tattica del salame’. Lo scopo è prendere l’Ucraina una fetta alla volta”. u adr Da sapere 13 gennaio 2015 Un autobus che percorre la strada tra Mariupol e Donetsk viene colpito da un proiettile di artiglieria. Muoiono 12 persone. 15 gennaio È annullato il vertice previsto ad Astana, in Kazakistan, tra Germania, Francia, Ucraina e Russia. 20 gennaio I separatisti riprendono il controllo completo dell’aeroporto di Donetsk. 22 gennaio A Donetsk 13 persone muoiono nel bombardamento di una fermata d’autobus. 24 gennaio Lanciarazzi Grad e Uragan colpiscono la periferia di Mariupol, uccidendo 30 persone. Secondo l’Osce si razzi sono stati lanciati dalle zone controllate dai separatisti. L’opinione Granate e negoziati Andrej Ulganov, Argumenty Nedeli, Russia Il fallimento degli ultimi contatti diplomatici tra Kiev e Mosca nella ricostruzione di un settimanale russo quanto pare il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, ha avuto un ruolo importante nei tentativi di risolvere la crisi ucraina. Negli ultimi dieci giorni di dicembre, quando era diventato chiaro che ci sarebbe stato un nuovo inasprimento del conlitto, è andato a Kiev con una serie di proposte evidentemente concordate con il Cremlino. Nazarbaev ha chiesto al presidente Petro Porošenko di riconoscere di fatto la Crimea come territorio russo. In cambio i territori di Donetsk e di Luhansk sarebbero passati sotto il controllo di Kiev, con il ritiro dei volontari russi e dei miliziani locali. Anche il conine tra la Russia e le regioni ucraine oggi in mano ai separatisti sarebbe inita sotto il controllo delle guardie di frontiera ucraine. Quest’ultima era la condizione più importante. Nazarbaev, a quanto sembra, aveva preso accordi anche con il presidente francese François Hollande in occasione del loro incontro, il 5 dicembre ad Astana. In quell’occasione Hollande rappresentava la posizione dell’intera Unione europea. Dopo il viaggio in Kazakistan, il presidente francese è volato a Mosca e ha riferito a Vladimir Putin le oferte sul piatto, prospettandogli inoltre la cancellazione delle sanzioni. Se il Cremlino non avesse accettato, ha spiegato Hollande a Putin, la Russia sarebbe stata estromessa dal sistema Swift per i trasferimenti internazionali di denaro. E in più sarebbero diminuiti gli acquisti di petrolio e gas. Queste condizioni però non hanno incontrato il favore di Mosca, che ha continuato a sostenere di non essere A parte del conlitto. Da parte sua, nell’ultimo incontro del gruppo di contatto (che si era tenuto a Minsk il 24 dicembre tra i rappresentanti di Osce, Kiev, Mosca e delle repubbliche separatiste) il Cremlino avrebbe chiesto una soluzione federale per l’Ucraina, con la conseguente autonomia per le regioni di Donetsk e Luhansk. La chiusura dei conini con la Russia sarebbe avvenuta solo in un secondo momento. L’ipotesi, però, sarebbe stata riiutata da Kiev. Il problema avrebbe dovuto essere afrontato in un incontro previsto ad Astana il 15 gennaio. È probabile che Mosca fosse disponibile a fare notevoli concessioni, che avrebbero segnato una svolta nel conlitto. Ma a Kiev non tutti hanno spinto per un esito simile. Tra i contrari c’era il premier Arsenij Jatsenjuk, che rischierebbe la carriera politica se il presidente Porošenko dovesse riuscire a presentarsi all’opinione pubblica come l’uomo che ha garantito la pace. Per evitare questa possibilità, il 10 gennaio, mentre si trovava in Germania, Jatsenjuk ha dichiarato che nella seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica aveva invaso sia la Germania sia l’Ucraina, suscitando imbarazzo a Berlino e rabbia a Mosca. Così, grazie alle dichiarazioni del premier ucraino e con il tacito assenso della Germania, la Russia è riuscita a scrollarsi di dosso la responsabilità dell’annullamento dell’incontro del 15 gennaio. È in seguito a queste manovre che c’è stata la recente escalation militare e che sono ricominciate a circolare voci secondo cui i separatisti sarebbero pronti a prendere Mariupol, Slovjansk e Charkiv. Farlo d’inverno è diicile, ma la primavera non è lontana. Nel frattempo le parti in conlitto avranno altre occasioni per arrivare alla pace. Se non ci riusciranno, l’Ucraina diventerà davvero l’ultimo campo di battaglia dello spazio ex sovietico. u af Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 19 Africa e Medio Oriente L’impronta di re Abdullah sull’Arabia Saudita Il sovrano saudita morto il 23 gennaio sarà ricordato come un leader che è riuscito a sopravvivere alle rivolte arabe solo grazie alle ricchezze accumulate con il petrolio l re saudita Abdullah bin Abdulaziz al Saud è morto il 23 gennaio 2015 a no vant’anni. Nella sua vita ha promesso molto ma ha realizzato poco. Quando è salito al trono nel 2005 aveva 81 anni. No nostante avesse già accumulato una consi derevole esperienza di governo aiancando re Fahd, il fratello che nel 1995 era stato col pito da ictus, ha dovuto superare innumere voli ostacoli. E con la ricchezza garantita dal petrolio come suo unico punto a favore, Abdullah non è stato in grado di afrontarli in modo signiicativo. La sua sida principale è stata governa re in mezzo a un gruppo di vecchi e potenti principi, tutti ansiosi di prendere il suo po sto. Sotto Abdullah il regno si è frammen tato in una molteplicità di feudi dove i prin cipi più anziani hanno cercato di esercitare la loro autorità a scapito degli altri. Il regno ereditato da Abdullah era comunque già caratterizzato dalle divisioni ideologiche, dalla disoccupazione, dalla corruzione, dall’insicurezza e dal terrorismo. Le rifor me economiche, l’ingresso nell’Organiz zazione mondiale del commercio e la pri vatizzazione di alcuni settori non sono ba stati a migliorare le prospettive dei giovani disoccupati. Nel frattempo anche la que stione del lavoro delle donne è diventata urgente. Con l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 in tutto il Medio Oriente sono esplose le tensioni etniche e confessionali, portando alla polarizzazione tra sunniti e sciiti. Il sistema educativo saudita è stato criticato per aver alimentato il radicalismo, invece di formare lavoratori competenti. Anche la scelta di mantenere il wahabismo (una corrente rigorista dell’islam sunnita) I 20 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 come religione di stato è stata attaccata da molti sauditi, oltre che dagli Stati Uniti. Nell’impossibilità di realizzare le rifor me in patria, Abdullah ha legato la sua repu tazione alla capacità di inluenzare la politi ca regionale. La sua iniziativa più importan te è stata probabilmente il piano di pace tra israeliani e palestinesi, lanciato nel 2002, che però è fallito. Quando gli Stati Uniti hanno occupato l’Iraq facendo cadere il re gime di Saddam Hussein, Abdullah – come molti altri sovrani del golfo Persico – ha tira to un sospiro di sollievo perché si era sba razzato di un avversario. Ma il sollievo è durato poco. Nessuno si aspettava che la democrazia esemplare prospettata in Iraq avrebbe inito per minacciare gli altri ditta tori della regione. Per Abdullah è diventato sempre più urgente contenere la guerra di carattere religioso e l’espansione di Al Qae da in Iraq. E poi c’è stato l’Iran. Lanciando il suo programma nucleare il regime di Teheran si è presentato come la nuova potenza regio nale. Una potenza in grado non solo di de terminare gli esiti della guerra in Iraq, ma anche di cambiare la società e la politica araba sponsorizzando milizie sciite come Hezbollah, e allo stesso tempo partiti politi ci sunniti come i palestinesi di Hamas in tutto il Medio Oriente. Nell’est dell’Arabia Saudita vive una nutrita minoranza sciita e Abdullah ha cominciato a temere l’emerge re di un potere sciita nel suo paese. Il pericolo iraniano La crescente inluenza dell’Iran doveva es sere controbilanciata. I governi occidentali si sono aidati all’Arabia Saudita, senza ca pire quanto fossero deboli le credenziali di re Abdullah, perino tra i sunniti della regio ne. Pur con le enormi ricchezze garantite dal petrolio, né la saggezza derivata dall’an zianità né il carisma hanno garantito ad Ab dullah una posizione preminente tra i lea der arabi. La guerra tra Israele ed Hezbollah nell’estate del 2006 e l’incapacità dei sau diti di imporre un cessate il fuoco tra le due MOHAMMEd MASHHUr (AFP/GETTy IMAGES) Madawi al Rasheed, The Guardian, Regno Unito parti hanno eroso ulteriormente la credibi lità del re. Mentre la stampa israeliana pub blicava articoli positivi sul sovrano saudita, la sua reputazione è stata messa in discus sione sia in patria sia nel resto del mondo arabo. Quell’estate Abdullah ha litigato con il presidente siriano Bashar al Assad, che aveva criticato i leader arabi deinendoli dei Da sapere Il nuovo re Salman u Nel dare la notizia della morte di re Abdullah, il 23 gennaio 2015, le autorità saudite hanno an che annunciato il suo successore: il fratello Sal man, 79 anni, principe ereditario dal 2012. Se condo Le Monde, la famiglia reale ha fatto una scelta all’insegna della continuità, visto che Sal man ha già fatto da reggente in passato, nei pe riodi in cui re Abdullah era ricoverato per pro blemi di salute. u Il nuovo principe ereditario è Muqrin, mentre il viceprincipe ereditario è Muhammad bin Na yef, il ministro dell’interno. “La nomina di Mu hammad bin Nayef è la vera novità”, scrive The Guardian. “Salman è anziano e circolano voci che sofra di Alzheimer, perciò dovrà contare su Muqrin per governare. A sua volta Muqrin do vrà fare riferimento ad altre igure importanti della famiglia Al Saud. Questo sistema di condi visione del potere non lascia prevedere grandi svolte nella politica saudita. Il principe Muham mad invece è considerato un modernizzatore, perché ha promosso un programma di deradi calizzazione degli aspiranti jihadisti che preve de l’aiuto degli imam e delle famiglie”. Riyadh, 23 gennaio 2015. I funerali di re Abdullah “mezzi uomini”, e ha fatto arrabbiare anche l’Egitto e la Giordania. Dopo quella guerra la distinzione tra i regimi “moderati”, guidati dall’Arabia Saudita, e quelli “radicali”, appoggiati dall’Iran, è diventata ancora più netta. Negli anni successivi Abdullah non è stato in grado di riconciliare le due parti. Oltre alla spaccatura con la Siria sul Libano, Abdullah non è riuscito neanche a migliorare i rapporti con altri partner nel Consiglio di cooperazione del Golfo. Le relazioni sempre peggiori con il Qatar – esacerbate dall’aggressiva tv qatariota Al Jazeera – e alcune dispute territoriali hanno creato una situazione scomoda. Ogni tanto si è fatta sentire anche la vecchia rivalità tra egiziani e sauditi, entrambi desiderosi di presentarsi come mediatori nelle crisi arabe. Abdullah ha cercato in tutti i modi di ricucire i rapporti con gli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre 2001, quando si è scoperto che negli attacchi alle torri gemelle erano coinvolti dei cittadini sauditi. In occasione di un incontro con il presidente George W. Bush nel 2005, Abdullah ha promesso riforme religiose e dell’istruzione, e un aumento della produzione di petrolio per stabilizzare i prezzi. Ha inoltre continuato a permettere agli Stati Uniti di usare le basi saudite per la guerra in Afghanistan e in Iraq. Sia re Abdullah sia gli Stati Uniti sapevano di essere intrappolati in un matrimonio eterno. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, i due governi hanno provato a capire come mantenere in piedi il rapporto senza scontentare i rispettivi alleati. Perciò l’amministrazione statunitense ogni tanto è tornata a ribadire la necessità di democratizzazione dell’Arabia Saudita per accontentare un’opinione pubblica sempre più critica di fronte a interpretazioni radicali dell’islam come quella adottata nel regno e alle violazioni dei diritti umani. Da parte saudita, esigere il trasferimento delle truppe statunitensi presenti nel paese – che si sono spostate in Qatar – è stato un modo per togliere sostanza alle promesse dei jihadisti di “scacciare gli infedeli dalla penisola araba”. Nessuna delle misure adottate, però, ha fatto cessare le critiche o gli attentati. Gli attacchi terroristici in Arabia Saudita non solo sono proseguiti, ma sono diventati più frequenti e intensi. Allo stesso tempo molti statunitensi continuano a chiedersi se l’Arabia Saudita sia da considerare tra i buoni o tra i cattivi. Rovesciare la democrazia Durante gli ultimi anni di regno, Abdullah ha governato un paese con incredibili risorse economiche, ma queste non sono state suicienti a garantirgli l’inluenza regionale che sperava. La politica estera saudita in efetti si è limitata più che altro a reagire a eventi che sfuggivano al suo controllo. Come molti leader autoritari del passato, il re si è presentato come un difensore dei diritti delle donne nel tentativo di guadagnare consensi in patria e all’estero. Ma i suoi progetti di sviluppo, le nuove università e le città industriali hanno portato più contestazioni che soluzioni ai problemi economici. Ad Abdullah bisogna, però, riconoscere di essere stato il primo sovrano saudita che ha cercato di legittimare il suo potere insistendo sull’idea di servire il suo popolo e non semplicemente come emanazione della legge divina. Come altri leader arabi, Abdullah è stato colto di sorpresa dallo scoppio delle rivolte arabe nel 2011 e ha temuto che la forza della protesta paciica potesse raggiungere il suo paese. Nel giro di pochi mesi gli sciiti delle province orientali hanno preso esempio da quello che succedeva all’estero e hanno indetto delle manifestazioni nelle loro città. Ma le proteste sono state subito represse. Sotto Abdullah centinaia di riformatori, at- tivisti e difensori dei diritti umani sauditi sono stati catturati e incarcerati. Il re riformatore non è riuscito ad attuare un solo punto di un possibile programma di riforme politiche. Nel gennaio del 2011 Abdullah ha oferto rifugio al presidente tunisino deposto Zine el Abidine Ben Ali. Insieme ad altri leader del golfo Persico, ha cercato di ribaltare l’ondata democratica in Egitto. Il surplus di bilancio derivante dal petrolio è stato usato per inanziare le forze controrivoluzionarie in tutta la regione e per rovesciare il governo egiziano guidato dai Fratelli musulmani (che Riyadh considera dei nemici). Il timore dell’efetto domino delle rivolte ha spinto Abdullah a cercare di unire i paesi del Golfo, ma le resistenze del Qatar e dell’Oman hanno fatto naufragare questo progetto. Abdullah ha sollecitato gli Stati Uniti ad aumentare il sostegno ai ribelli siriani: il re vedeva il conlitto in Siria come una guerra per procura contro l’Iran, che appoggia il regime di Assad. In seguito, nel momento in cui Washington ha cominciato a negoziare con l’Iran sul programma nucleare, Abdullah si è sentito abbandonato. Dopo aver cercato per anni di ottenere un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’Arabia Saudita ha rinunciato a occuparlo quando se ne è liberato uno nell’ottobre del 2013. Questo gesto rilette la delusione nei confronti delle politiche statunitensi, in particolare per la lenta reazione di Barack Obama alla crisi mediorientale, per il riavvicinamento all’Iran e per lo stallo nel processo di pace tra palestinesi e israeliani. Nel giugno del 2014 Abdullah si è unito alla coalizione internazionale che combatte contro il gruppo Stato islamico per allontanare i sospetti che il suo paese fornisse appoggio agli estremisti islamici in Siria. In una regione dove le popolazioni arabe si sono ribellate ai loro presidenti essere un re avrebbe potuto essere un vantaggio. Ma Abdullah sarà ricordato come un sovrano che è riuscito a sopravvivere all’ondata del cambiamento solo grazie al petrolio, distribuendo denaro e repressione, e contribuendo ad allontanare la prospettiva della democrazia nel mondo arabo. u gim Madawi al Rasheed è una studiosa saudita di antropologia sociale. Insegna al King’s college di Londra. Tra i suoi libri, A history of Saudi Arabia (Cambridge University Press 2010). Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 21 Africa e Medio Oriente Sanaa, 24 gennaio 2015. Manifestazione contro gli houthi provengono. Oggi alcuni temono che gli houthi vogliano restaurare l’imamato zaydita che governò lo Yemen del nord ino alla rivoluzione del 1962. MOHAMMeD HUwAIS (AfP/GeTTY IMAGeS) La tentazione del sud Il rompicapo yemenita Bruce Riedel, Al Monitor, Stati Uniti Dopo le dimissioni del presidente e del governo, a Sanaa si apre un vuoto di potere. Risolvere la crisi nello Yemen sarà una priorità del nuovo re dell’Arabia Saudita on la morte del sovrano saudita Abdullah, il 23 gennaio, la crisi nello Yemen è diventata una priorità per il suo successore Salman. La notizia della morte di re Abdullah è arrivata poco dopo quella della dimissioni del presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi, un grave intoppo per Stati Uniti e Arabia Saudita, una piccola vittoria per l’Iran e un regalo per Al Qaeda. La situazione a Sanaa è ancora confusa, ma è chiaro che i ribelli houthi, originari del nord, hanno avuto la meglio. Gli houthi, che professano lo zaydismo (una variante dell’islam sciita), hanno praticamente deposto il governo filostatunitense di Hadi recitando slogan come: “Morte all’America, morte a Israele, maledetti gli ebrei, vittoria all’islam”. Il leader dei ribelli è Abdel Malek al Houthi, 33 anni, che il 20 gennaio C 22 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 ha tenuto un discorso trionfante in cui prometteva la ine della corruzione e delle violenze. La caduta del governo di Hadi, che negli ultimi due anni ha appoggiato apertamente gli attacchi con i droni contro le postazioni di Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa) nello Yemen, ha fatto emergere la milizia houthi come la prima forza di un paese poverissimo ma molto importante dal punto di vista strategico perché controlla lo stretto Bab al Mandeb, che collega Africa e Asia. Dal 2011 l’Iran fornisce armi, soldi e addestramento agli houthi. Per questo i diplomatici di Teheran hanno accolto con soddisfazione il loro successo. Gli zayditi, però, non sono né pedine dell’Iran né degli stretti alleati: sono una forza indipendente. Agli occhi di alcuni religiosi iraniani lo zaydismo è una forma mascherata di islam sunnita. Gli houthi hanno ricevuto anche aiuto dall’ex presidente sunnita dello Yemen Ali Abdullah Saleh, il predecessore di Hadi, che nel 2012 aveva dovuto abbandonare il potere in seguito alla primavera araba. Non si conoscono ancora i veri obiettivi degli houthi. All’inizio della loro ribellione, nel 2004, chiedevano maggiore autonomia per la provincia di Saada, il territorio da cui Paradossalmente l’afermazione degli houthi avvantaggia Al Qaeda nella penisola araba, perché alimenta le divisioni tra sunniti e sciiti e permette al gruppo terroristico di presentarsi come difensore di questi ultimi. L’Aqpa ha recentemente rivendicato gli attacchi del 7 gennaio a Parigi contro il settimanale Charlie Hebdo. Riyadh ha speso più di quattro miliardi di dollari per sostenere Hadi e il suo governo. Altri miliardi sono arrivati dagli altri stati del Consiglio di cooperazione del Golfo. Al momento tutti gli aiuti sono sospesi. Secondo alcune fonti, i sauditi stanno incoraggiando le tribù sunnite a opporre resistenza agli houthi. La prossima tappa del crollo del paese potrebbe essere la scissione del sud. Gli yemeniti delle regioni meridionali, in gran parte sunniti, non hanno mai accettato del tutto l’unione con il nord (decisa nel 1990). Il movimento per l’indipendenza ha ripreso vigore dopo le rivolte del 2011. Nel 1994 i sauditi appoggiarono la ribellione del sud contro Saleh, fornendo ai combattenti armi e soldi. Oggi Riyadh potrebbe ancora una volta guardare con favore a una scissione. u gim Da sapere Le ultime notizie ARABIA SAUDITA Saada Sanaa YEMEN Al Mukallà Aden Bab al Mandeb Golfo di Aden SOMALIA 22 gennaio 2015 Il presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi e il governo guidato da Khaled Bahah si dimettono per le pressioni degli houthi, che assediano la capitale. 24 gennaio Manifestazioni contro gli houthi in varie parti del paese. 27 gennaio Gli houthi liberano Ahmed Awad bin Mubarak, ex capo di gabinetto di Hadi. Il suo rapimento aveva innescato le violenze che hanno portato alle dimissioni del governo. Egitto lIbIA l’hotel assediato Anniversario nel sangue Al Shorouk, Egitto lIbAno-IsrAElE-sIrIA sale la tensione sul Golan I miliziani dell’organizzazione libanese Hezbollah hanno attac cato un convoglio militare israe liano, il 28 gennaio, nelle Fatto rie di Shebaa, una zona del sud del Libano occupata da Israele, uccidendo due soldati. Israele ha sparato colpi d’artiglieria contro obiettivi in territorio liba nese, uccidendo un soldato spa gnolo della missione Uniil. Se condo il Daily Star Hezbollah si è vendicato dell’attacco israelia no del 18 gennaio, che aveva causato la morte di sei miliziani sciiti e di un generale iraniano. u Il 26 gennaio i curdi delle Uni tà di protezione popolare hanno annunciato di aver cacciato i jihadisti dello Stato islamico da Kobane, nel nord della Siria. Washington ha confermato che i curdi controllano il 90 per cen to della città. rDc Una vittoria per la piazza Il 25 gennaio il parlamento di Kinshasa ha adottato una nuova legge elettorale , scrive Jeune Afrique. L’ultima versione non contiene un articolo duramente contestato dall’opposizione, che legava lo svolgimento delle ele zioni del 2016 a un nuovo censi mento. L’idea di un possibile prolungamento del mandato del presidente Joseph Kabila aveva scatenato violente proteste, con almeno 12 morti. “Il quarto anniversario della rivoluzione inisce nel sangue”, titola Al Shorouk. Il 24 e il 25 gennaio 23 persone sono morte e altre 97 sono rimaste ferite negli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti. Tra le vittime l’attivista di sinistra Shaimaa al Sabbagh, 32 anni, colpita dai proiettili sparati dalle forze di sicurezza contro un corteo paciico nel centro del Cairo. Seguendo la linea del governo, il quotidiano Al Ahram attribuisce la responsabilità delle violenze ai Fratelli musulmani (l’organizzazione messa al bando nel 2013) e si congratula con lo stato per aver “smantellato i piani terroristici dell’organizzazione”. Dopo gli scontri sono state arrestate 516 persone, in gran parte sostenitori dei Fratelli musulmani. Al Sisi aveva promesso un’amnistia per i giornalisti e per gli attivisti in carcere per reati minori ma, a parte liberare Alaa e Gamal Mubarak, i igli dell’ex dittatore, il presidente non ha mantenuto la parola. Anzi, il 27 gennaio la corte di cassazione ha confermato la condanna a tre anni di carcere per gli attivisti del movimento giovanile 6 aprile Ahmed Maher e Mohamed Adel, e il blogger Ahmed Douma. u Il 27 gennaio un gruppo di uomi ni armati che dicevano di appar tenere al gruppo Stato islamico ha preso d’assalto l’hotel Corin thia a Tripoli uccidendo nove persone, tra cui cinque stranieri. Nell’hotel si riunisce il governo (non riconosciuto dalla comuni tà internazionale) di Omar al Hassi, scrive Libya Herald. In brEvE Mali Il 28 gennaio a Tabankort almeno nove persone sono mor te in un attentato contro le po stazioni dei ribelli tuareg. Nigeria L’esercito ha respinto un attacco di Boko haram a Mai duguri il 26 gennaio. Sudafrica Il 19 gennaio un commerciante straniero di So weto ha ucciso un ragazzo accu sato di furto. L’episodio ha sca tenato una serie di violenze con tro gli stranieri delle township. Zambia Edgar Lungu, il candi dato del partito al potere, ha vin to le presidenziali del 20 genna io con il 48, 33 per cento dei voti. Da Deir Istiya Amira Hass Uno strano fenomeno Un mucchio di terra e pietre impedisce l’ingresso a Deir Istiya, un villaggio in Cis giordania. Il blocco è recente. I militari israeliani sostengono che serve a controllare i lan ciatori di pietre del villaggio. Da mesi l’esercito non fa che ammucchiare e poi rimuovere la terra e le pietre. Gli abitanti di Deir Istiya la considerano una punizione collettiva. La barriera, spiegano, non impe disce di nascondersi tra gli al beri e di lanciare pietre contro i mezzi dell’esercito o dei colo ni. Però, ribattono i militari, quando la strada è bloccata nessuno lancia le pietre. Inve ce se la barriera viene rimossa i lanciatori tornano a colpire. Per la sindaca del villaggio, Amal Abu Hijleh, è un feno meno strano. Amal pensa che a tirare le pietre siano i colla boratori dell’esercito, in cerca di una scusa per ripristinare il blocco. Un tempo non soppor tavo le teorie cospirative, ma poi ho imparato ad ascoltare. Gli abitanti del villaggio pen sano che Israele voglia costrin gerli a usare le vecchie stradi ne di campagna, lasciando quella principale ai coloni e agli israeliani. Il blocco, dico no, allontanerà il villaggio dal le terre fertili. Negli ultimi de cenni gli abitanti della zona hanno assistito a un progressi vo sconinamento di Israele nelle aree agricole della Cis giordania. Sulle colline sono stati costruiti sette insedia menti. La terra, che non era registrata a nome di nessuno, è stata considerata proprietà dello stato e assegnata agli ebrei. Presumere che la barrie ra serva a separare il villaggio dai terreni è logico. u as Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 23 Americhe SEBASTIAO MOREIRA (EPA/ANSA) Stato di São Paulo, 15 gennaio 2015 Il Brasile è alle prese con la siccità Tiago Dantas, O Globo, Brasile Alcuni grandi stati del paese stanno attraversando la più grave crisi idrica degli ultimi cent’anni. La carenza d’acqua rischia di ridurre in modo drastico la fornitura di energia n quinto della popolazione brasiliana sta subendo gli effetti della siccità. Uno studio condotto da O Globo, sulla base delle informazioni dei comitati per i bacini idrograici e dei governi statali, rivela che almeno 45,8 milioni di persone vivono in regioni dove il livello delle riserve idriche è inferiore alla norma e la quantità di precipitazioni è al di sotto delle medie storiche. Negli stati del nordest e del sudest la carenza d’acqua ha già provocato una riduzione dell’irrigazione nelle campagne e un’interruzione della navigazione luviale. Se si prolungasse, potrebbe compromettere la produzione di energia idroelettrica e l’attività industriale. Nel 2014 la siccità ha costretto 1.265 comuni di tredici stati sudorientali e nordorientali a decretare lo stato d’emergenza. Oggi più di novecento comuni sono U 24 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 nella stessa condizione. La procedura permette ai gestori pubblici di ricorrere alle risorse federali per garantire le attività di soccorso e i servizi d’emergenza. Ma i comuni alle prese con la siccità potrebbero essere di più del numero uiciale, perché non tutti hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Per esempio nello stato di São Paulo, dove almeno 64 comuni devono afrontare problemi legati alla mancanza d’acqua, solo tre hanno ottenuto il riconoscimento dello stato d’emergenza da parte della Secretaria nacional de proteção e defesa civil. Danni per l’economia Nello stato di Ceará, dove la siccità sta colpendo 5,5 milioni di persone, 176 comuni su 184 hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Gli stati del nordest convivono con gli efetti della crisi dal 2012. Secondo il comitato per i bacini idrograici del rio São Francisco, 19 milioni di persone hanno subìto gli efetti della scarsità d’acqua nelle aree attraversate dal iume negli stati di Pernambuco, Bahia, Sergipe, Alagoas e nel nord di Minas Gerais. Nel sudest del paese la situazione si è aggravata soprattutto a gennaio. L’inizio dell’estate non ha portato le piogge necessarie per riempire i bacini, e ora le grandi città rischiano il razionamento d’acqua. Il governo di Rio de Janeiro nega che ci sia il pericolo di un razionamento, ma il volume morto del bacino di Paraibuna, fonte di approvvigionamento per l’area metropolitana, è stato adoperato per la prima volta dalla creazione della riserva negli anni settanta. E il sistema Paraopeba, che rifornisce la regione metropolitana di Belo Horizonte, potrebbe esaurire le riserve nei prossimi tre mesi. Al conine con lo stato di Espírito Santo il problema riguarda il rio Doce: nel comune di Governador Valadares la portata del iume è dieci volte inferiore ai livelli raggiunti di solito in questo periodo dell’anno. A São Paulo il sistema Cantareira, il più grande dello stato, potrebbe restare senz’acqua a luglio. Per José Galizia Tundisi, coordinatore del gruppo di studio sulle risorse idriche dell’Accademia brasiliana delle scienze, i governi devono riconoscere la gravità della situazione e organizzare campagne di sensibilizzazione per ridurre il consumo d’acqua. La siccità può scatenare una reazione a catena e penalizzare l’economia: “Colpisce la produzione energetica, il settore alimentare e le industrie che impiegano molta acqua”, spiega Tundisi. “Questa situazione ha conseguenze sulla salute delle persone, perché quando l’acqua è poca la sua qualità si altera”, aggiunge. Secondo il meteorologo Luiz Carlos Baldicero Molion, ci vorranno almeno sei anni prima che il sudest del Brasile torni a un regime di piogge superiore alle medie storiche. La sua tesi si basa sull’analisi delle piogge cadute a São Paulo dal 1888. Lo stato ha avuto almeno altri tre cicli di siccità durati otto o nove anni: “Nel sudest ci sono stati periodi di siccità grave all’inizio degli anni trenta, nel 1959 e nel 1976. Considerando che le piogge sono scese sotto la media dal 2012, possiamo presumere che il fenomeno durerà ino al 2020 o al 2021”. u as Messico STATI UNITI Malumori repubblicani Aspettando la corte Il 26 gennaio le autorità messicane hanno annunciato di aver ritrovato il corpo sigurato del giornalista José Moisés Sánchez Cerezo, sequestrato il 2 gennaio nella sua abitazione a Medellín Bravo, nello stato orientale di Veracruz. Sánchez Cerezo lavorava per il settimanale locale La Unión, dove si occupava di corruzione e criminalità organizzata. Il procuratore dello stato ha chiesto la destituzione del sindaco di Medellín Bravo, Omar Cruz Reyes, accusato di essere il mandante morale dell’omicidio. SinEmbargo ricorda che Veracruz è diventato lo stato più pericoloso del paese per i reporter. u STATI UNITI A metà gennaio la corte suprema ha cominciato a esaminare la questione dei matrimoni omosessuali. “I giudici dovrebbero pronunciarsi entro la ine dell’estate”, scrive Time. “Molto probabilmente afermeranno che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono costituzionali, determinando una delle trasformazioni politiche più rapide e radicali della storia degli Stati Uniti”. Solo vent’anni fa le autorità statali potevano incarcerare gli omosessuali, e dal 1996 una legge gli permette di non riconoscere i matrimoni gay contratti in altri stati. Ultimamente, dopo la legalizzazione in molti stati, erano aumentate le pressioni sulla corte suprema per chiedere un intervento deinitivo sulla questione. Il 26 gennaio la presidente argentina Cristina Fernández ha annunciato che presenterà un progetto di legge per smantellare la Secretaría de inteligencia, i servizi segreti nazionali. L’annuncio è arrivato a una settimana dalla morte del procuratore Alberto Nisman, che indagava sull’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita Argentina a Buenos Aires. “La presidente ha spiegato che la riforma dell’intelligence è una questione che la democrazia deve afrontare dal 1983”, scrive Página 12. Secondo l’opposizione, con la riforma il kirchnerismo estenderà il suo controllo sull’intelligence. “Fernández ha approittato della crisi per raforzare il suo potere”, commenta La Nación. Il procuratore di giustizia di Veracruz, 25 gennaio2015 Nuovo fronte petrolifero Il 27 gennaio il dipartimento dell’interno degli Stati Uniti ha reso noti i dettagli di un piano che autorizzerà le aziende petrolifere a perforare nuove porzioni di fondali marini nell’oceano Atlantico. È una buona noPetrolio prodotto e importato dagli Stati Uniti, milioni di barili al giorno 12 Importazioni 10 8 6 4 Produzione statunitense 2 0 1970 1980 1990 2000 2010 tizia per l’industria del gas e del petrolio, che da anni chiede di poter trivellare quelle zone, dove secondo le stime ci sarebbero 3,3 miliardi di barili di petrolio. Secondo gli ambientalisti, la decisione esporrà le coste di Virginia, Georgia, North e South Carolina al rischio di disastri ambientali simili a quello che ha colpito il golfo del Messico nel 2010. Il piano prevede anche l’apertura di nuovi impianti nel golfo del Messico e il divieto di perforazione nei mari di Beaufort e Chukchi, nell’oceano Artico. “Il piano”, scrive il New York Times, “rientra nella discussa strategia di Barack Obama sull’energia. Dall’inizio del suo mandato il presidente cerca di trovare un equilibrio tra difesa dell’ambiente ed eicienza energetica”. ARIANA CUBILLOS (AP/ANSA) STATI UNITI Smantellare i servizi segreti Un altro giornalista ucciso OSCAR MARtINez (ReUteRS/CONtRAStO) Nel Partito repubblicano una minoranza spinge per adottare posizioni più pragmatiche su temi come l’aborto, l’immigrazione e i matrimoni gay. Il 22 gennaio una ventina di deputati ha costretto i vertici repubblicani ad accantonare un disegno di legge reazionario sull’aborto e a sostituirlo con un testo più moderato, scrive il Washington Post. La settimana prima alcuni deputati si erano riiutati di votare una proposta molto intransigente sull’immigrazione. Sono sempre di più i repubblicani convinti che il partito si stia dedicando troppo a questioni ideologiche e poco a costruire un programma credibile in vista delle elezioni del 2016. “Questi fatti”, conclude il quotidiano, “dimostrano anche che i leader fanno fatica a mantenere il controllo del partito”. ARGENTINA IN BREVE Venezuela Il 23 gennaio il governo di Caracas ha negato agli ex presidenti della Colombia e del Cile, Andrés Pastrana e Sebastián Piñera (nella foto), l’autorizzazione a visitare in carcere il leader dell’opposizione Leopoldo López. Stati Uniti Il 27 gennaio un tribunale del texas ha bloccato l’esecuzione della pena di morte nei confronti di Garcia White, condannato per aver ucciso due adolescenti a Houston nel 1989. u L’ex agente della Cia Jefrey A. Sterling è stato condannato per spionaggio. Aveva fornito documenti al New York times. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 25 Asia e Paciico La visita di Obama in India e l’ombra di Pechino Julie Pace, The Irrawaddy, Thailandia Il presidente statunitense e il premier indiano hanno rinnovato un’intesa che servirà a New Delhi per raforzare la sua posizione nella regione. Ma che non piace alla Cina uando il presidente statunitense Barack Obama e il primo mini stro indiano Narendra Modi si sono incontrati a New Delhi, sui colloqui aleggiava l’ombra della Cina, che ha rapporti complicati con i due paesi. Raf forzando i legami con l’India, Obama pun ta ad aumentare l’influenza degli Stati Uniti sui paesi che coninano con la Cina. E la democrazia più grande del mondo è una partner particolarmente attraente per gli Stati Uniti, impegnati a coltivare un solido contrappeso regionale alla Cina comu nista. Apparentemente New Delhi e Pechino sono alleate, e a settembre del 2014 Modi ha accolto calorosamente il presidente ci nese Xi Jinping in visita nella capitale in diana. L’India, però, è preoccupata per le manovre cinesi nella regione – in particola JIM BOURg (REUtERS/CONtRAStO) Q re nell’oceano Indiano e sul conine hima layano – e vede nel miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti uno strumento fondamentale per raforzare la sua posizio ne difensiva. “Dal punto di vista dell’India, si sta gio cando una partita triangolare”, commenta Ashley tellis, esperto di Asia meridionale presso il Carnegie endowment for interna tional peace di Washington. Modi preten de “tutti i beneici derivanti dal presentar si come uno stretto collaboratore degli Stati Uniti”, compreso l’accesso alla tecno logia, alle competenze e alla cooperazione militare americana, aferma tellis. Il viag gio di Obama in India (dal 25 al 27 gennaio) ha suggellato l’impegno di Washington e New Delhi per raforzare una relazione se gnata da tensione e sospetti. Obama è il primo presidente statunitense ad aver visi tato l’India due volte e il primo ad aver pre senziato come ospite d’onore alla parata annuale della festa della Repubblica india na. Il 26 gennaio Obama e Modi sedevano ianco a ianco mentre davanti a loro sila vano i carri armati e i lanciarazzi e nel cielo sfrecciavano gli aerei da combattimento. Obama ha poi incontrato una delegazione di uomini d’afari statunitensi e indiani per Modi e Obama alla festa della repubblica indiana. New Delhi, 26 gennaio 2015 26 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 raforzare la cooperazione economica tra i due paesi. Il suo viaggio non è passato inosservato in Cina. La portavoce del ministero degli esteri, Hua Chunying, ha osservato che le relazioni tra Stati Uniti e India “potrebbero promuovere la iducia reciproca e la coo perazione nella regione”. L’agenzia di stampa governativa Xinhua, tuttavia, ha liquidato la visita di Obama deinendola “più simbolica che pragmatica, tenuto conto delle vecchie fratture tra i due gigan ti, grandi almeno quanto la distanza geo graica che li separa”. gli articoli sui mezzi d’informazione di Pechino sono spesso usati per criticare o sollevare dubbi sulle mosse diplomatiche di altri paesi. Equilibri regionali Durante la sua visita a Pechino, a novem bre del 2014, Obama aveva trovato un con senso inatteso su molti temi, compreso un accordo ambizioso sul taglio delle emissio ni di gas serra che, nelle speranze della Ca sa Bianca, dovrebbe spingere paesi come l’India a prendere impegni simili. Wa shington però teme le mosse di Pechino su questioni come le dispute territoriali nella regione, la pirateria informatica e la mani polazione monetaria. New Delhi, invece, teme soprattutto che Pechino cerchi di guadagnare una maggiore influenza nell’oceano Indiano, storicamente con trollato dall’India. Le navi cisterna che si spostano attraverso quel tratto di mare so no di fondamentale importanza per l’ap provvigionamento petrolifero di New Delhi: qualsiasi rallentamento nel traico potrebbe paralizzare l’economia del paese. L’India, inoltre, è preoccupata per le trup pe cinesi sull’Himalaya che regolarmente sconinano. Per Rahul Bedi, un analista indiano del Jane’s information group, l’ob biettivo di New Delhi nei prossimi vent’an ni è sviluppare una capacità militare che le consenta di tenere testa a Pechino. “E per farlo”, spiega Bedi, “ha bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti”. Obama e Modi hanno deciso di esten dere un patto di difesa decennale che favo rirà una maggiore cooperazione militare e marittima. Non bisogna dimenticare, tut tavia, che durante la guerra fredda l’India fu uno dei principali sostenitori del non al lineamento. Secondo gli esperti, non si potrà spingere troppo oltre nel suo tentati vo di allearsi con gli Stati Uniti per contra stare la Cina. u gim Tokyo, 25 gennaio 2015 Cina filippine pace a rischio a Mindanao YUYA ShINO (REUTERS/CONTRASTO) Un paese squilibrato Caixin, Cina impreparati al peggio “Tokyo sapeva da mesi che il gruppo Stato islamico aveva in ostaggio due giapponesi, ma è apparsa impreparata quando il 20 gennaio i jihadisti hanno issato una scadenza per il pagamento di un riscatto e quattro giorni dopo hanno ucciso uno dei due”. Il Japan Times cita dei funzionari del governo nipponico coinvolti nella crisi che ha tenuto il paese con il iato sospeso nelle ultime settimane. Secondo le fonti del quotidiano, prima di partire per il viaggio di una settimana in Medio Oriente il 17 gennaio, il primo ministro Shinzō Abe aveva convocato i suoi consiglieri sulla sicurezza, ma durante la riunione non si era parlato degli ostaggi. Era prevedibile che il discorso di Abe al Cairo, in cui il premier ha promesso 200 milioni di dollari per aiutare i paesi della coalizione impegnata a combattere lo Stato islamico, avrebbe messo a rischio la vita degli ostaggi. Due giorni dopo, infatti, il gruppo ha risposto ad Abe chiedendo proprio un riscatto di 200 milioni di dollari. Solo allora Tokyo si è mossa per attivare tutti i canali di comunicazione sul campo. Secondo l’Asahi Shimbun, il governo starebbe pensando a una legge che permetta alle forze di autodifesa (un esercito a tutti gli efetti ma con limiti d’azione) di partecipare a operazioni di polizia all’estero, incluso il salvataggio di cittadini giapponesi, a patto di avere il consenso dei paesi interessati. su 220. Shinawatra è bandita dall’attività politica per i prossimi cinque anni e rischia ino a dieci anni carcere. La vicenda mette ine al movimento politico creato nel 2001 dal fratello di Shinawatra, Thaksin, scrive Asia Sentinel. Il fatto che i sostenitori di Shinawatra non abbiano protestato indica la capacità dei militari di sedare l’opposizione. thailandia la ine dei Shinawatra Il 23 gennaio il parlamento tailandese ha votato la messa in stato d’accusa dell’ex prima ministra Yingluck Shinawatra (nella foto). Destituita pochi giorni prima del golpe militare dello scorso maggio, Shinawatra è accusata di abuso e corruzione per il programma di sussidi ai coltivatori di riso promosso dal suo governo. Secondo l’accusa, il programma è costato alle casse pubbliche miliardi di dollari e avrebbe garantito a Shinawatra e al suo partito i voti degli abitanti delle aree rurali. L’assemblea, creata dai militari al potere, ha approvato la messa in stato d’accusa con 190 voti a favore PORNChAI KITTIwONGSAKUL (AFP/GETTY IMAGES) giappone Il governo cinese ha ordinato alle autorità locali un giro di vite contro le organizzazioni illegali che portano all’estero i campioni di sangue delle donne incinte per determinare il sesso del feto. Le misure annunciate dalla Commissione per la salute e la pianiicazione familiare puntano a colpire un’attività che alimenta gli aborti selettivi minando gli sforzi per colmare il divario di genere. Nel 2014, scrive Caixin, ogni 100 femmine sono nati 115 maschi. Nel 2004 il rapporto tra maschi e femmine in Cina ha raggiunto il picco di 121, mentre la media indicata dalle Nazioni Unite è compresa tra 103 e 107. Lo squilibrio è una conseguenza dell’introduzione nel 1979 della legge sul iglio unico, i cui efetti per contenere la crescita della popolazione si sono mescolati alla preferenza per i igli maschi di tradizione contadina. Già nel 2002 il governo aveva vietato ai medici di rivelare il sesso del nascituro. Lo squilibrio sta diventando un problema sociale. Nelle zone rurali ci sono molti “villaggi degli scapoli” e sono sempre più difusi i matrimoni con ragazze vietnamite e cambogiane vittime del traico di esseri umani. ◆ Bangkok, 22 gennaio 2015 Lo scontro a fuoco tra le forze speciali della polizia e i ribelli separatisti, avvenuto il 25 gennaio sull’isola di Mindanao, nel sud dell’arcipelago, rischia di bloccare il percorso di pace intrapreso un anno fa dal governo di Manila e dal Fronte islamico di liberazione moro (Film). Nel raid, avvenuto in un villaggio controllato dal Film, la polizia ha perso quasi cinquanta uomini. Sembra che gli agenti stessero cercando alcuni esponenti dei Combattenti islamici per la libertà di Bangsamoro, una fazione del Film che si oppone al cessate il fuoco irmato nel marzo del 2014. Il congresso ilippino sta vagliando una proposta di legge, parte dell’accordo tra governo e ribelli musulmani, che dovrebbe gettare le basi per la creazione del Bangsamoro, un’entità politica autonoma sull’isola di Mindanao. Dopo gli scontri, però, la discussione in parlamento è stata sospesa, scrive il Philippine Star. in breve Birmania Il 28 gennaio, in seguito alle proteste degli studenti contro la riforma dell’istruzione, il governo ha accettato di aprire un tavolo di dialogo per modiicare la nuova legge. Corea del Nord Nella sua prima visita uiciale all’estero, a maggio Kim Jong-un andrà a Mosca per celebrare i 70 anni dalla ine della seconda guerra mondiale. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 27 Visti dagli altri GUIDo BERGMANN (BUNDESREGIERUNG/GETTY IMAGES) Firenze, 22 gennaio 2015. Angela Merkel agli Uizi Cercasi manager per i musei italiani Elisabetta Povoledo e Rachel Donadio, The New York Times, Stati Uniti Il ministero dei beni culturali ha pubblicato sull’Economist un annuncio per trovare i nuovi direttori dei primi venti musei italiani. Gli esempi da imitare sono il Louvre e il Prado ercasi direttori per i primi venti musei italiani, tra cui le Gallerie degli Uizi di Firenze, la Galleria Borghese di Roma e le Gallerie dell’Accademia di Venezia. È richiesta una solida conoscenza della storia dell’arte, un’esperienza da dirigente e l’interesse a rendere più piacevoli le visite ai musei. Parlare italiano in modo luente non è un requi- C 28 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 sito obbligatorio. A gennaio del 2015, con un’inserzione sull’Economist e su altri giornali, l’Italia ha bandito il suo primo concorso internazionale per direttori di museo, un’iniziativa per riorganizzare le principali istituzioni artistiche e archeologiche del paese. Il 15 febbraio è l’ultimo giorno utile per presentare le candidature. In Italia i musei statali sono gestiti direttamente dal ministero dei beni e delle attività culturali e i direttori attualmente hanno poca autonomia. L’obiettivo del progetto è allineare i grandi musei italiani a quelli stranieri come il Louvre e il Prado, ma anche dare a chi li dirige più libertà nel gestire i fondi e la possibilità di raccogliere finanziamenti privati per compensare i drastici tagli dei inanziamenti statali. Un altro obiettivo è fare in modo che i futuri direttori attirino i visitatori migliorando i criteri espositivi, i testi che spiegano le mostre, e l’organizzazione dei musei. Perché i musei italiani sono ricchi di opere d’arte, ma spesso propongono degli allestimenti antiquati. “Si tratta di un grande passo avanti per il nostro sistema”, ha dichiarato il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, nel corso dell’intervista che ha concesso al New York Times nel suo enorme uicio. “L’organizzazione e la gestione dei nostri musei dovrebbe essere più dinamica. Dovrebbero avere più librerie, più ristoranti. Insomma dovrebbero essere più piacevoli e dovrebbero ofrire anche più servizi multimediali”. Il rilancio dei musei è in linea con l’attivismo e il pragmatismo con cui il governo Renzi sta afrontando il diicile compito di far uscire l’Italia da una lunga recessione. Ma quest’atteggiamento ha sollevato il dubbio che i nuovi criteri di assunzione privilegino gli esperti di marketing rispetto a quelli di conservazione museale, e diano troppo potere a una silza di ministri della cultura che entrano e escono di scena piuttosto che a dirigenti autorevoli e di lungo corso. C’è poi chi teme che la riforma non accrescerà l’autonomia dei musei, visto che i loro dipendenti continueranno a far parte della macchina burocratica del ministero dei beni culturali. Cambiare i direttori non avrà alcun effetto “se non cambiano le leggi e la struttura dei musei”, aferma Antonio Natali, attuale direttore degli Uizi. Secondo Natali, se i direttori non potranno controllare gli uici tecnici, amministrativi, legali e del personale, “neanche l’avvento di un nuovo redentore” farà funzionare meglio le gallerie del paese. Cinquanta domande in inglese L’anno scorso, ha detto il ministro Franceschini, i musei italiani hanno avuto oltre 40 milioni di visitatori, con entrate pari a quasi 135 milioni di euro. Rendendo autonomi i musei che vendono più biglietti, il ministero spera di aumentare i guadagni. Ora il ricavato va direttamente nelle casse dello stato e i direttori sono poco incentivati ad attirare più visitatori, a raccogliere inanziamenti privati e ad aprire ristoranti e punti vendita per aumentare i guadagni. L’iniziativa di rilancio dovrebbe portare alla riorganizzazione di migliaia di musei, formando dei poli regionali e introducendo i biglietti gemellati, che incoraggino i turisti a visitare più spazi espositivi. “Un paese con oltre quattromila musei dovrebbe vedere questa operazione come un’incredibile risorsa economica e culturale”, prosegue Franceschini. “E la sida per l’Italia è ofrire turismo di qualità”. Tra i venti musei italiani più importanti ci sono alcuni dei più visitati, come gli Uizi a Firenze, la Pinacoteca di Brera a Milano e il Museo archeologico di Napoli, ma anche siti che, secondo il ministero, rappresentano un potenziale non sfruttato, come i musei archeologici di Taranto e di Reggio Calabria. I nuovi direttori dovrebbero cominciare il loro lavoro entro l’estate e resteranno in carica per quattro anni. Per sperare di essere riconfermati gli attuali direttori – esperti in genere di storia dell’arte, archeologia o architettura, ma con una scarsa formazione professionale in gestione delle istituzioni artistiche – devono presentare la loro candidatura. Antonio Natali ha dichiarato che lo farebbe per “una questione di dignità”. Da quando è stato bandito il concorso, l’8 gennaio 2015, sono arrivate almeno cinquanta candidature. Il portavoce del ministero dei beni culturali ha detto che il formulario per presentare la domanda è stato scaricato dodicimila volte nella versione in italiano e solo cinquanta volte nella versione in inglese. Il ministro Franceschini spera che il concorso attiri candidati internazionali. Gli stipendi dei nuovi direttori saranno compresi tra i 78mila e i 145mila euro all’anno. Compensi alti per l’Italia e competitivi a livello europeo, ma molto bassi se confrontati con quelli dei direttori statunitensi. Il direttore del Metropolitan museum of art di New York guadagna più di un milione di dollari all’anno (cioè più di 900mila euro). Gran parte degli esperti del mondo della cultura apprezzano questo cambio di rotta, ma con delle riserve. Stefano Baia Curioni, direttore della laurea specialistica in economia per l’arte e la cultura all’università Bocconi di Milano, riconosce che la riforma “apre alla possibilità di una nuova era nella gestione dei musei italiani”, ma sottolinea un elemento decisivo: “Per selezionare i candidati in modo indipendente, il ministro dovrà nominare una commissione che sia indipendente”. Ora i direttori sono nominati da funzionari del ministero dei beni culturali e non dal ministro. Il 15 febbraio, chiuso il bando, una commissione composta da cinque persone scelte da Franceschini dovrà scegliere tre candidati per ciascun museo. La decisione inale spetterà al ministro e sarà presa in primavera. Franceschini non teme che il suo progetto accentri il potere e favorisca il clientelismo. “La procedura di selezione è tale che per fare domanda bisogna essere dei candidati di alto livello”. E ha aggiunto che anche i componenti della commissione potranno fare delle segnalazioni. C’è però chi teme che queste novità siano il primo passo verso lo smantellamento di un sistema consolidato di gestione del patrimonio culturale, privilegiando le grandi mostre fatte per attirare masse di visitatori paganti a scapito della qualità e della ricerca. “I musei devono educare, non divertire. Sono la fonte dell’eredità culturale e della memoria collettiva dell’Italia”, commenta Daniel Berger, consulente del ministero dei beni culturali. Molti esperti pensano che il compito principale del ministero dei beni culturali, più che rendere i musei italiani attraenti agli occhi dei visitatori, sia conservare le opere esposte. u ma Riforma elettorale L’Italicum di Renzi Pierre de Gasquet, Les Echos, Francia n Italia il calendario della politica non è mai casuale. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha ottenuto il via libera del senato alla riforma elettorale (l’Italicum) il 27 gennaio, alla vigilia dell’elezione del presidente della repubblica. È il segnale inequivocabile che il “patto del Nazareno” tra Renzi e Silvio Berlusconi ha tenuto. Approvato dal senato con una larga maggioranza, l’Italicum è passato grazie all’appoggio dei 50 senatori di Forza Italia e nonostante l’uscita dall’aula di 24 senatori dell’ala sinistra del Partito democratico (Pd), che non hanno partecipato al voto. Ora tocca al leader di Forza Italia accettare il candidato di Renzi per il Quirinale. L’Italicum deve tornare alla camera dei deputati per il sì deinitivo, ma i giochi ormai sono fatti. La riforma elettorale entrerà in vigore il 1 luglio 2016. Il nuovo sistema elettorale issa una soglia del 3 per cento per l’ingresso di un partito in parlamento e assegna 340 seggi (su un totale di 630) alla camera al partito che ottiene più del 40 per cento dei voti. Renzi ha voluto questo premio per limitare l’inluenza dei piccoli partiti. La riforma elettorale è complementare a quella del senato, che segnerà la ine del bicameralismo perfetto e la trasformazione della camera alta in un’assemblea delle regioni. Di fatto la minoranza del Pd è stata neutralizzata. Resta da vedere se Berlusconi accetterà davvero il candidato di Renzi per il Quirinale. I nomi che circolano di più sono quelli di Giuliano Amato, Piero Fassino e Pier Carlo Padoan, con la senatrice del Pd Anna Finocchiaro come “jolly”. u adr I Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 29 Le opinioni La fatica di essere turchi Elif Şafak Q Le donne turche non conservatrici – che costituiscoualche tempo fa, a Istanbul, stavo parlando di politica con una giornalista tur- no almeno la metà del 48 per cento di elettori che non ca prima di un’intervista. A un certo ha votato per Erdoğan alle ultime elezioni – sono sempunto ha abbassato la voce e, come se mi pre più preoccupate delle intrusioni dell’Akp nella loro stesse conidando un segreto, ha detto: vita privata. In passato le frasi sessiste dei politici ma“A volte è così faticoso essere turchi”. Il schi erano considerate dichiarazioni personali. Oggi motivo principale di tanta fatica è la politica. Il presi- sembrano far parte di una campagna ideologica per redente Recep Tayyip Erdoğan e il suo governo hanno legare le donne nei loro ruoli tradizionali. Dopo aver scelto una strategia che punta più sulla contrapposizio- fatto visita al primo bambino nato nel 2015, il ministro della salute Mehmet Müezzinoğlu ha ne che sul compromesso, più sul dualicommentato: “Le madri non dovrebbero smo che sulla cultura della coesistenza. Oggi chi non ha mettere al centro della loro vita nessun’alAnche le questioni più assurde e banali simpatia per tra carriera che quella di madre”. provocano accesi dibattiti: “Per le donne Erdoğan ha due La reazione è stata immediata. Le turche ridere in pubblico è un segno di alternative: essere donne turche avevano già sentito gli alti scarsa modestia?”, “Le hostess della Tur- scioccamente funzionari del governo esprimere giudizi kish Airlines possono portare il rossetto apolitico o su argomenti come l’aborto, il parto cerosso?”, “Un vero patriota dovrebbe bere ferocemente l’ayran (una bevanda a base di yogurt) politico. E se non sei sareo, la contraccezione e l’abbigliamento femminile. “Sono stufa di sentirmi dipiuttosto che un alcolico come il raki?”. né sciocco né feroce, re come devo vivere”, ha scritto Ayse ArQuesta fatica è particolarmente inpeggio per te man sul quotidiano Hürriyet. Sono state sopportabile per gli intellettuali progresorganizzate manifestazioni di protesta in sisti e per le donne. In Turchia i progressisti non sono numerosi, ma sono un’importante pietra tutto il paese. Quando ho parlato della necessità di un di paragone per giudicare la traiettoria politica del par- movimento femminile che superi le divisioni politiche, tito Giustizia e sviluppo (Akp). Quando andò per la pri- alcune conservatrici velate hanno detto che sarebbe ma volta al governo, nel 2002, i progressisti appoggia- stato diicile collaborare con le femministe, che in pasvano l’Akp perché era favorevole alle riforme e all’Unio- sato avevano ignorato i loro bisogni. Questa reazione ne europea. Si aspettavano che promuovesse le libertà evidenzia uno dei maggiori problemi della Turchia: il civili, un’idea confortante dopo le tre dittature militari, peso del passato sul futuro. La società è malata di vittiuna peggiore dell’altra, che si erano succedute a partire mismo, e il ciclo di rappresaglie crea nuove vittime. Dopo l’orribile attacco alla redazione di Charlie dal 1960. Ma quando il partito islamico ha preso una Hebdo e l’ondata di islamofobia e antioccidentalismo piega autoritaria sono rimasti disorientati. Durante una cena di capodanno a Istanbul ho senti- che ha scatenato, la Turchia avrebbe potuto essere to i miei amici intellettuali lamentarsi: “Oggi chi non ha d’esempio: un paese musulmano moderno, democrasimpatia per l’Akp ha due alternative: diventare scioc- tico e pluralista, con una forte tradizione laica. Invece camente apolitico o ferocemente politico. E se non sei Erdoğan ha puntato il dito contro l’occidente. “In quanné sciocco né feroce, peggio per te”. Alcuni progressisti to musulmani non abbiamo mai appoggiato il terrorihanno smesso di parlare, ma altri si sono schierati smo”, ha detto. “Dietro i massacri ci sono il razzismo, all’opposizione e altri ancora fanno autocritica. “Il no- l’intolleranza e l’islamofobia. Stanno giocando con il stro errore non è stato sostenere il pluralismo e la de- mondo islamico”. Quelli che criticano il governo sono mocrazia. Il fatto è che non ci siamo resi conto che gli accusati di non essere patrioti, o peggio, di essere pediobiettivi dell’Akp sarebbero stati così limitati”, ha scrit- ne nelle mani delle potenze occidentali che cercano di to la sociologa e scrittrice Oya Baydar. “Chi diceva che distruggere la Turchia. Le ultime vittime sono state il partito ingeva di essere democratico ma alla ine Miss Turchia 2006, Merve Büyüksaraç, accusata di avrebbe sostituito il dispotismo militare con quello ci- aver insultato Erdoğan sul suo account Instagram, e la giornalista Sedef Kabaş, fermata dalla polizia per aver vile ha avuto ragione”. Oggi gli oppositori dell’Akp disprezzano i progressi- realizzato un’inchiesta sulla corruzione. Il divario tra la Turchia e l’occidente si allarga. Se noi sti, considerati troppo morbidi e ingenui. “Non sono forse stati loro, come gli intellettuali degli anni cin- turchi non riusciremo a far trionfare gli ideali della liquanta e sessanta in Unione Sovietica, gli ‘utili idioti’ bertà, del pluralismo culturale e della parità di genere, dell’Akp?”, ha scritto la giornalista francese Ariane non sarà una sconitta solo per la democrazia, ma anche per l’immaginazione e la volontà. u bt Bonzon. 30 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 ELif Şafak è una scrittrice turca, nata nel 1971 a Strasburgo. Collabora con il Turkish Daily News e con Zaman. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è La città ai conini del cielo (Rizzoli 2014). Le opinioni Stiamo assistendo alla ine del neoliberismo? Bernard Guetta ono buone notizie che potrebbero preannunciare un cambiamento epocale, e non solo in Europa. Il 19 gennaio, con il suo discorso sullo stato dell’unione, Barack Obama è diventato il primo presidente statunitense a rompere con i dogmi neoliberisti che si sono imposti trentacinque anni fa negli Stati Uniti e poi hanno trionfato in tutto il mondo. Due giorni dopo Mario Draghi ha annunciato che la Banca centrale europea comprerà titoli di stato per più di mille miliardi di euro. Il 25 gennaio, inine, Alexis Tsipras ha portato alla vittoria in Grecia una nuova sinistra. Il suo partito vuole rinegoziare il pagamento del debito greco e farla inita, in Grecia e nel resto d’Europa, con le politiche economiche incentrate unicamente sul risanamento dei conti pubblici, che si sono rivelate crudeli quanto controproducenti. Barack Obama è il leader statunitense più vicino a un socialdemocratico europeo che si possa immaginare. Mario Draghi è un liberale, pragmatico ma pur sempre un liberale. Alexis Tsipras appartiene alla sinistra S Il neoliberismo ha reso possibile una nuova rivoluzione industriale. Ma ora che il processo è compiuto si vedono i disastri prodotti dai dogmi thatcheriani radicale. Anche se le loro posizioni sono diverse, tutti e tre hanno capito che i dogmi liberisti hanno portato a una deregolamentazione il cui risultato più spettacolare è stato la crisi di Wall street. Quei dogmi hanno creato diferenze sociali insostenibili, hanno ridotto il peso delle classi medie e hanno portato l’Europa sull’orlo della delazione. Il neoliberismo non è il frutto di un complotto dei ricchi. Se è diventato un’ideologia dominante, come il keynesismo dalla ine della seconda guerra mondiale all’elezione di Margaret Thatcher nel Regno Unito, è soprattutto perché negli anni settanta le classi medie occidentali erano in rivolta contro il isco. Sommerse dalle tasse, non volevano più inanziare lo stato sociale e gli investimenti che pure avevano determinato la loro ascesa. Questo ha messo le sinistre occidentali in una posizione diicile, da cui non sono ancora uscite. Il se- 32 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 condo motivo del successo dei neoliberisti è che un ciclo industriale era arrivato alla sua conclusione. Le nuove tecnologie stavano soppiantando l’industria pesante e bisognava liberare i nuovi imprenditori dagli obblighi iscali e sociali che le giovani aziende non erano ancora in grado di sostenere. Il neoliberismo ha reso possibile una nuova rivoluzione industriale e lo sviluppo dei paesi emergenti. Ma ora che il processo è compiuto e che la deregolamentazione permette alle multinazionali di sfuggire o quasi al isco si osservano i disastri prodotti dai dogmi thatcheriani come “troppe tasse uccidono le tasse”, “lo stato non è la soluzione ma il problema” o “più i ricchi sono ricchi, meglio è per tutti”. La lotta contro i paradisi fiscali, cominciata nel 2008, procede ancora troppo lentamente ma sta dando i suoi frutti. Le prossime elezioni presidenziali statunitensi si giocheranno sull’idea, appena lanciata da Barack Obama, di una maggiore giustizia iscale e di un aumento delle tasse per i più ricchi. La partita non sarà facile per i repubblicani, e in Europa il trionfo elettorale di Syriza ha appena mostrato che il riiuto dell’austerità può determinare, e anzi determinerà, nuove maggioranze politiche. Sullo slancio della svolta avviata contemporaneamente dalla Banca centrale europea con l’acquisto di titoli e dalla nuova Commissione con il suo piano di rilancio, in Europa si annunciano nuove politiche economiche, che già stanno entrando in vigore. Il risanamento dei conti pubblici continuerà, ma a un ritmo più ragionevole, e sarà accompagnato da politiche di rilancio nazionali ed europee. Meglio tardi che mai, perché è la cosa migliore che poteva succedere agli europei e alla loro economia. Ma non è tutto. Questa inversione di rotta cambierà radicalmente le cose anche a livello politico. I socialdemocratici, ino a ieri isolati in un’Europa a maggioranza liberale e conservatrice, trovano oggi nuovi alleati, in Grecia come nella Bce e nella Commissione. Inoltre questa serie di convergenze cambierà la percezione dell’Europa: i cittadini scopriranno che l’integrazione europea non è in sé un progetto liberista e che le sue politiche e l’interpretazione dei suoi trattati possono cambiare a seconda delle circostanze e dei risultati delle elezioni. È solo l’inizio, ma sono buone notizie. u f Bernard Guetta È un giornalista francese esperto di politica internazionale. Collabora con France Inter e Libération. ECHO Lungo il Malecón, all’Avana, l’11 dicembre 2014 Cuba La speranza di Cuba Leonardo Padura Fuentes, Le Monde, Francia Foto di Giorgio Palmera Il 17 dicembre Raúl Castro e Barack Obama hanno annunciato la ripresa dei rapporti tra l’Avana e Washington. Per molti cubani è stato come svegliarsi da un lungo incubo Cuba A 36 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Ma quello del 13 dicembre non è stato un episodio isolato. Da qualche tempo vari artisti che vivono a Cuba si esibiscono a Miami, che si è autoproclamata “capitale dell’esilio cubano”. Molti attori, musicisti, pittori e qualche scrittore come me hanno partecipato a eventi pubblici e sono initi sui mezzi d’informazione statunitensi senza subire gli attacchi politici che negli anni novanta colpirono alcuni esponenti della cultura cubana per il solo fatto di vivere e lavorare sull’isola. Restare a Cuba era una scelta professionale e di vita che, secondo il settore più radicale dell’esilio, li rendeva collaboratori o propagandisti del regime. Travolti dall’emozione Nel 2014, persuaso da questo nuovo clima di riconciliazione e tolleranza che si cominciava a respirare a Miami, anch’io ho partecipato per la prima volta a due eventi pubblici. Dal 1992 la città è stata per me una meta di passaggio dei frequenti viaggi accademici negli Stati Uniti. Il primo evento era una conferenza intitolata “La libertà come eresia” alla Florida international university, su invito del Cuban research institute. L’altro era un incontro nella cittadina di Coral Gables organizzato dalla libreria Books and Books, dove ho presentato l’edizione spagnola del mio romanzo Herejes e quella inglese di L’uomo che amava i cani. All’università l’aula era piena e la presentazione a Coral Gables è stata spostata all’ultimo momento perché lo spazio non bastava ad accogliere tutti i presenti. Ci siamo trasferiti nel salone della chiesa accanto, e a un certo punto gli organizzatori hanno dovuto chiudere le porte perché dentro non c’era più posto. Incredibile: un incontro con uno scrittore venuto da Cuba ha fatto il tutto esaurito a Miami. A Coral Gables ero in compagnia di due vecchi colleghi giornalisti che da vent’anni abitano in questa città del sud della Florida. Abbiamo parlato con il pubblico di quello che ci ha unito in passato e continua a unirci oggi, al di là della distanza geograica: l’amicizia, EChO metà dei diicili anni novanta Sabadazo è stato il programma d’intrattenimento più famoso della televisione cubana. Era ambientato su un terrazzo dell’Avana dove, per una ragione o per l’altra, il sabato sera un gruppo di persone si ritrovava per partecipare a una festa con tanto di orchestra. Al centro della scena c’era sempre l’animatore cubano più acclamato dell’epoca, Carlos Otero, e gli “ospiti” della terrazza erano attori conosciuti più con il nome dei loro personaggi che con quello di battesimo: Gustavito (Geonel Martín), un bambino un po’ sciocco e molto sincero; Boncó (Conrado Cowley), un nero astuto, che ricordava un personaggio delle vecchie commedie di costume cubane; Antolín el Pichón (Ángel García), un provinciale che si dava arie da uomo al passo con i tempi; Matute (Ulises Toirac), un contadino con un caratteraccio; e poi l’operaio strambo, Feliciano, e la signora sovrappeso e chiacchierona, Margot (entrambi interpretati dal bravissimo Osvaldo Doimeadiós). La popolarità di Sabadazo spinse i vertici della tv cubana a proporre un lungo speciale di capodanno, per intrattenere chi voleva aspettare l’anno nuovo a casa. Come tutti i programmi simili, anche Sabadazo si esaurì dopo essere andato in onda per anni. Ma la tradizione degli speciali di capodanno continuò un po’ più a lungo, ino a quando il gruppo di attori non si sfaldò, come tante altre cose della realtà cubana. I due protagonisti, il nero Boncó e l’animatore Carlos, lasciarono il paese per tentare la fortuna a Miami, negli Stati Uniti, mentre gli altri attori rimasero sull’isola e oggi lavorano ad altri progetti. Anche se la notizia non è circolata sui mezzi d’informazione uiciali, noi cubani residenti sull’isola abbiamo saputo che il 13 dicembre 2014 Sabadazo è risorto dalle sue ceneri. Ma invece che dall’Avana il programma è andato in onda da Miami, di nuovo come tante altre cose della realtà cubana. Diversi personaggi – Carlos, Boncó, Gustavito, Matute, l’autista di autobus Teo Manguera, Antolín el Pichón, la diva nota come La Pía, Margot e Feliciano – hanno animato il Miami-Dade County auditorium, con l’accompagnamento di musicisti che vivono a Cuba e a Miami. Per i cubani che si sono trasferiti in questa città della Florida assistere allo spettacolo è stato un viaggio nella nostalgia e un percorso simbolico di riconciliazione con il loro passato, con il loro paese e con la loro cultura. gli interessi culturali e sportivi in comune, la nostalgia per la vita condivisa sull’isola. Abbiamo discusso di riconciliazione, di vicinanza, di ponti da gettare – o di vecchi ponti da riparare – tra i cubani che vivono in patria e quelli sparsi per il mondo. Ognuno l’ha detto a modo suo, ma su una cosa eravamo tutti e tre d’accordo: quello di cui ha più bisogno Cuba oggi e soprattutto domani è proprio la riconciliazione tra i cubani per superare le incomprensioni, la rabbia e l’odio da troppi anni alimentati sui due lati dello stretto. Mentre gli artisti di Sabadazo si esibivano a Miami, nessuno dei cubani residenti in Florida poteva immaginare cosa sarebbe In centro all’Avana, 12 dicembre 2014 successo quattro giorni dopo, il 17 dicembre. Non lo immaginava neanche la grande maggioranza degli undici milioni di cubani che vivono sull’isola, me compreso. Tutti, quelli dentro e quelli fuori (ci sono cubani anche in Groenlandia), siamo stati travolti dall’emozione. A mezzogiorno, come due prestigiatori che sorprendono il loro pubblico, il presidente cubano Raúl Castro e quello statunitense Barack Obama hanno annunciato al mondo che questi due paesi, così vicini per geograia, storia, cultura e sport ma da più di cinquant’anni politicamente lontanissimi, avevano deciso di ristabilire i rapporti diplomatici. Come primo gesto di apertura Washington e l’Avana si sono accordate per uno scambio di prigionieri, presentato come un gesto politico senza precedenti e una dimostrazione di buona volontà per il futuro. Le prime reazioni della gente, o almeno di chi conosco, sono state molto emotive. Quando mia moglie Lucía ha sentito la notizia è scoppiata a piangere, commossa per l’arrivo di qualcosa che ino a poco tempo fa sembrava impossibile. Mia madre si è portata le mani al petto e, dopo avermi confessato che non sperava di poter ascoltare una notizia del genere da viva, ha ringraziato san Lazzaro, un santo molto venerato a Cuba e festeggiato proprio il 17 dicembre. Moltissimi cubani sono convinti che l’an- nuncio di Castro e Obama sia stato un altro dei miracoli del santo, chiamato Babalú Ayé nelle religioni afrocubane. Mio fratello minore, residente a Miami da quindici anni, è stato uno dei pochi fortunati che sono riusciti a contattare per telefono i parenti a Cuba per condividere il loro stupore. Mi ha chiesto: ora che succederà? In una strada dell’Avana una donna, come se fosse preparata alla notizia, ha appeso al balcone la bandiera cubana accanto a quella statunitense per esprimere un desiderio profondo di riconciliazione. Il fatto è che, nonostante alcuni segnali politici suggerissero dei cambiamenti imminenti, nessuno credeva che sarebbe successo così Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 37 Cuba presto. O così tardi. Dal 17 dicembre in poi sono stato intervistato dai giornalisti di mezzo mondo che volevano sapere cosa pensassi dell’annuncio di Castro e Obama (alcuni l’hanno deinita la notizia dell’anno) e quale fosse stata la reazione dei cubani sull’isola. Di solito tutte le interviste ilavano lisce ino all’immancabile domanda: e ora cosa crede che succederà? Il peso della storia Ne ho parlato con la corrispondente a Cuba del New York Times. Per correttezza devo dire che il quotidiano statunitense, intuendo il cambiamento o forse essendone in qualche modo a conoscenza, è stato quello che nei mesi precedenti all’apertura diplomatica di Obama e Castro ha insistito di più sulla necessità di normalizzare i rapporti tra Stati Uniti e Cuba, schierandosi apertamente a favore della ine dell’embargo contro l’isola. Alla giornalista del New York Times ho dato risposte categoriche ma articolate, replicando con altre domande, nella migliore tradizione della retorica classica: ieri, 16 dicembre, avrebbe immaginato che oggi, 17 dicembre, avremmo discusso di una notizia del genere? Com’è possibile allora cercare di prevedere il futuro? Non sarebbe meglio indagare il passato per trovare le ragioni del presente? Per illustrare meglio la mia ultima domanda le ho fatto un esempio: per ristabilire i rapporti tra Cuba e Stati Uniti è stato necessario che, per la prima volta in duemila anni di storia della chiesa cattolica, un papa rinunciasse alla sua carica. Senza la mediazione di Jorge Mario Bergoglio, subentrato a Joseph Ratzinger dopo le sue dimissioni, diicilmente saremmo arrivati a un accordo così importante. Questo è il peso della storia, che avanza per strade tortuose. Capire il concatenamento delle cause getta luce sul presente e a volte permette d’intravedere gli efetti del presente su un futuro possibile. Con tutti i rischi che comporta un esercizio del genere, soprattutto nel caso di un paese come Cuba, dove la segretezza fa ormai parte della politica di stato e le previsioni sono spesso una perdita di tempo e uno spreco d’intelligenza. Sull’isola, da quando Obama e Castro hanno parlato agli Stati Uniti, a Cuba e al resto del mondo, non è ancora successo niente di fondamentale, ma l’animo dei cubani è molto cambiato. È bastato l’annuncio dell’avvio di un dialogo tra i due paesi per farci sentire come se ci stessimo risvegliando da un lungo incubo. Abbiamo sentito allentarsi la pressione che ci accompagna da più di cinquant’anni e che ha 38 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Abbiamo sentito allentarsi la pressione che ci accompagna da più di cinquant’anni e che ha alimentato la cultura politica dell’assedio alimentato la cultura politica dell’assedio. Insieme a questa nuova sensazione sono nate speranze di ogni genere e i cubani si sono lasciati alle spalle il 2014 per accogliere con gioia il nuovo anno. In mezzo a tante notizie poco incoraggianti – la crescita economica nel 2014 è stata minima e il governo non ha potuto aumentare i già insuicienti stipendi statali – e dopo molti anni di penuria, restrizioni e appelli a fare sacriici, la speranza è una cosa di cui la gente aveva davvero bisogno. L’aumento del numero dei professionisti statunitensi autorizzati a viaggiare a Cuba può avere un efetto beneico immediato sui cittadini dell’isola. Ma sarà anche il primo trauma sociale ed economico provocato da questa nuova situazione. Il fatto che oggi all’Avana le strutture d’accoglienza bastino a malapena a ricevere i turisti mette in dubbio la possibilità di ospitare, in poco tempo, quasi il doppio di visitatori. È un problema che deve afrontare chi lavora in proprio nella ristorazione o nel settore alberghiero, e tutti quelli che girano intorno a questo mondo, perché in molti casi dovranno ofrire più servizi. Oggi all’Avana i ristoranti più esclusivi e ricercati sono gestiti da privati. Il modello dei cosiddetti paladares, dal nome di una catena di ristoranti apparsa in una telenovela brasiliana di grande successo, risale agli anni novanta, quando il governo fece delle concessioni alle piccole attività imprenditoriali. Ma oggi, con l’ampliamento del settore privato introdotto dalle riforme di Raúl Castro, è un modello superato. Mentre vent’anni fa quei ristoranti improvvisati spuntavano sotto i porticati, nei salotti di alcune case dell’Avana e avevano al massimo dodici coperti, oggi gli allestimenti, gli arredamenti e i menù sono molto più rainati e hanno prezzi inaccessibili per un cubano medio: non è possibile pagare 10 pesos convertibili (circa 10 dollari) per una cena, visto che al mese chi è fortunato ne guadagna tra i 20 e i 50. L’oferta è rivolta ai turisti stranieri e la speranza di guadagnare bene è aidata all’arrivo degli statunitensi, che di solito lasciano il 15 per cento di mancia. Rompere gli schemi Da sapere Ultime notizie u Il 17 dicembre 2014 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello cubano Raúl Castro annunciano, in un discorso congiunto, la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due paesi, interrotti da più di cinquant’anni. u Il 30 dicembre le autorità cubane arrestano all’Avana e poi rilasciano una cinquantina di attivisti per i diritti umani e di giornalisti indipendenti. Tra di loro c’è anche l’artista Tania Bruguera. u Il 13 gennaio 2015, come parte degli accordi bilaterali tra l’Avana e Washington, il governo cubano libera 53 prigionieri politici. u Dal 21 al 23 gennaio una delegazione statunitense, guidata dalla sottosegretaria di stato per l’emisfero occidentale Roberta Jacobson, va a Cuba per discutere in termini pratici la normalizzazione dei rapporti bilaterali. Le parti non raggiungono nessun accordo, ma si dicono disponibili a proseguire il dialogo nelle settimane successive. u Il 26 gennaio Fidel Castro pubblica sul quotidiano Granma una lettera rivolta alla Federación estudiantil universitaria in cui dichiara di “non idarsi della politica degli Stati Uniti, ma di essere favorevole a una soluzione paciica dei conlitti”. Bbc Il problema non riguarda solo la capacità di accogliere i turisti, ma anche i servizi insuicienti e le infrastrutture del tutto carenti: le telecomunicazioni, le strade, gli aeroporti, le fognature, la rete idrica, il parco macchine e la raccolta dei riiuti, per elencare solo alcune cose, sono molto arretrati. È vero, però, che l’industria cubana del turismo ha fatto dei progressi importanti. Ha creato un grande molo turistico circondato da alberghi di lusso, capace di accogliere centinaia di yatch nella zona più esclusiva di Varadero, a soli 140 chilometri dalle isole della Florida. Rientra in questa linea anche il porto di Mariel, davanti al golfo del Messico, inanziato dal Brasile. Il porto può accogliere navi di grandi dimensioni e ha una zona industriale che aspetta solo gli investitori. Sulla scia del progetto portuale e commerciale del porto di Mariel, la baia dell’Avana è stata trasformata in un porto turistico dove attraccheranno navi da crociera e traghetti pieni di visitatori statunitensi desiderosi di conoscere di persona il vicino “nemico”. Se i nuovi rapporti bilaterali tra Cuba e Stati Uniti avranno gli efetti attesi, il go- EChO Un taxi all’Avana, il 12 dicembre 2014 verno dell’Avana avrà bisogno d’investire molto per vincere la sida che lo aspetta. Forse l’alleggerimento di alcune restrizioni imposte dall’embargo, che solo il congresso statunitense può abrogare in maniera deinitiva, permetterà a Cuba di accedere ai prestiti internazionali. E gli investitori stranieri si decideranno inalmente a fare afari sull’isola senza paura di rappresaglie statunitensi, multe comprese, com’è successo alla banca francese Bnp Paribas nel luglio del 2014. Questo probabilmente fornirà il capitale necessario per afrontare alcuni problemi urgenti, anche se la grande questione irrisolta del modello cubano, come ha ammesso lo stesso presidente Raúl Castro, è l’eicacia del sistema economico, che si è dimostrato perino incapace di risolvere problemi all’apparenza semplici come la produzione alimentare. Oggi l’isola importa più del 70 per cento di quello che consuma. A livello politico e sociale s’intravedono altre side importanti. La prima, già in corso, è passare da un clima di scontro a uno di dialogo che, senza pretendere di superare le diferenze tra i due sistemi, metta a frutto questo avvicinamento. Bisogna cambiare non solo atteggiamento, ma anche linguaggio. Come sempre, i cubani hanno già fatto una sintesi della situazione in chiave ironica cambiando il messaggio di un manifesto di propaganda dove un combattente cubano gridava allo zio Sam: “Signori imperialisti, non abbiamo nessuna paura di voi”. Nella nuova versione, successiva al 17 dicembre, il cartello dice: “Signori fratelli della patria di Lincoln, non abbiamo nessun rimprovero per voi”. Al prossimo vertice delle Americhe, che si terrà ad aprile a Panamá e a cui per la prima volta parteciperà anche Cuba (inora era stata esclusa su pressione statunitense, nonostante le proteste di molti paesi latinoamericani), assisteremo a un passaggio fondamentale di questo cambiamento di linguaggio e atteggiamento: Raúl Castro e Barack Obama dovranno incontrarsi di persona e dare contorni più precisi al nuovo stato di cose cominciato a dicembre. Non solo per Cuba, ma per tutti i rapporti continentali. Dal punto di vista sociale Cuba dovrà affrontare sfide altrettanto difficili. Sull’isola già esisteva un divario economico tra chi lavora nel settore privato e chi lavora per lo stato, e ora questa distanza potrebbe aumentare. La dilatazione del tessuto economico di una società inora molto compatta creerà delle diferenze che non esistevano durante gli anni di socialismo ortodosso: una percentuale sempre più grande della popolazione smetterà di dipendere dallo stato, un tempo iperprotettivo e onnipotente, e guadagnerà in indipendenza. La strada non sarà facile, ma molti cubani che vivono sull’isola e molti di quelli residenti a Miami guardano con più speranza al futuro a breve e a medio termine, almeno per quanto riguarda la vita quotidiana, i l rapporti familiari e le aspettative personali. Come in una puntata di Sabadazo, potremmo davvero non solo ridere e abbracciarci, ma anche riuscire a fare quello che, in modo simbolico, il 13 dicembre hanno fatto i suoi protagonisti al Miami-Dade County auditorium: rompere gli schemi, superare il risentimento, tendere ponti nel presente per un futuro che può e dev’essere migliore. Noi cubani ce lo meritiamo. u fr L’AUTORE Leonardo Padura Fuentes è uno scrittore e giornalista cubano nato nel 1955. Vive a Cuba. I suoi ultimi libri pubblicati in Italia sono Venti di quaresima (Tropea 2011) e L’uomo che amava i cani (Tropea 2010). Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 39 Uno zaino pieno di droga 4SEE/CONTrASTO Portogallo Ana Dias Cordeiro, Público, Portogallo Foto di Pedro Nunes Con la disoccupazione a livelli record e nessuna prospettiva per il futuro, i ragazzi portoghesi che si fanno reclutare dai narcotraicanti sono sempre più numerosi. La storia di Jonas, partito per il Brasile e inito in carcere a Lisbona a notte scaccia le paure. Come quella volta, in un bar del Bairro Alto di Li sbona. Un algerino con cui aveva già parlato altre volte gli si è avvicinato e tra un bicchiere e l’altro gli ha chiesto se conosce va qualcuno che non aveva paura di volare. Jonas conosceva molta gente, ma non vo leva mandare nessuno allo sbaraglio. Le persone che conosceva le voleva protegge re. E poi in quel periodo si era isolato dal mondo: la disoccupazione gli aveva chiuso tutte le porte. Ora, però si stava aprendo uno spiraglio inaspettato. Su quel volo ci sarebbe andato lui. Jonas aveva sentito i racconti di amici e conoscenti che erano riusciti a passare senza farsi arrestare, e di altri che avevano fatto il viaggio più volte. Alcuni si sentiva no intoccabili e si guadagnavano da vivere andando avanti e indietro. Finché non li beccavano. Ma lui era diverso. Lo avrebbe fatto una volta sola. Novemila euro erano un com penso molto più alto di quanto avesse im L 40 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 maginato. Quando faceva l’aiutante pa sticcere – aveva cominciato a quindici anni per mantenere il padre ex tossicodipen dente – con lo stipendio riusciva a malape na a pagare l’aitto e le spese della casa di Talaíde, nel comune di Oeiras. E poi c’era no l’abbonamento dell’autobus, il cibo e le medicine. Ora, a 22 anni, Jonas poteva i nalmente avere qualche ambizione. Da Bilbao a Natal Ha dato il suo documento all’algerino vici no alle barche di Cais do Sodré. Nei giorni successivi, in una serie di incontri con per sone senza nome e senza volto, ha ricevuto un biglietto aereo, il piano del viaggio, mil le euro per le spese e un telefonino. L’unico contatto che conosceva, il reclutatore del Bairro Alto, è scomparso come era già scomparso due anni prima, dopo aver ar ruolato un amico di Jonas per portare eroi na dalla Turchia. Quella volta le cose erano andate bene. “Da questo momento tutto ilerà liscio”, gli ha detto il venditore di so gni, che aveva con sé “due o tre passaporti e un paio di telefonini”. Jonas avrebbe avu to un unico passaporto. Doveva inventare una storia e farla sua, mostrarsi sicuro, non tentennare e seguire le istruzioni scritte in codice o ricevute da voci che non cono sceva. Dal Brasile avrebbe riportato indietro un chilo di cocaina in piccole dosi divise tra il bagaglio a mano e un portadocumenti. Tutto era in ordine: parola del reclutatore, Flávio, l’algerino del Bairro Alto. “In fondo noi non sappiamo mai per chi lavoriamo”, spiega Flávio. Lui stesso ha spesso trasportato droga, nascosta nelle valigie o sotto i vestiti, in macchina o in ae reo. È stato in Marocco, Spagna, Francia, Belgio, Irlanda, Turchia. “Siamo interme diari. L’importante è avere iducia”. Flávio ha cominciato a vent’anni. Ora ne ha 38 e arruola altre persone, di età di verse: “In genere i reclutatori hanno fatto i corrieri in passato, ma non hanno il corag gio di ricominciare”. In un viale del quartiere Alcântara indi ca un angolo dove per un anno ha fatto la sentinella, allertando gli altri quando avvi stava una macchina della polizia. In poche Il iume Tago a Lisbona, dicembre 2012 ore guadagnava 80 euro. “È incredibile che non mi abbiano mai beccato”, dice. Oggi fa l’intermediario e gestisce diverse spedizioni contemporaneamente, ma non ne vuole parlare. Mentre cammina si guarda attorno con circospezione. Accende uno spinello. Ha il volto e le braccia coperte di cicatrici e l’aria di chi vive nel mondo del narcotraico ma allo stesso tempo vuole uscirne. Ci parla di uno stile di vita diicile da abbandonare. Forse un giorno ci riuscirà, aferma. Di sicuro dovrà lasciare il Portogallo e ricominciare da zero. Per adesso ha ancora un piede in quel mondo, ma non corre più i rischi di un tempo. Jonas, invece, è all’inizio. Ha fatto il suo primo viaggio il 22 novembre del 2013. È partito dalla Gare do Oriente di Lisbona su un treno diretto a Bilbao, in Spagna, da dove ha preso un aereo per Natal, in Brasile. La partenza da Bilbao doveva servire a confondere le idee agli investigatori che indagano sul traico di droga all’aeroporto di Portela, nella capitale portoghese. Lisbona è la principale porta d’ingresso in Europa della droga che arriva dall’Africa e dall’America Latina. E i corrieri aumentano: tra il 2000 e il 2013 il numero di persone arrestate per narcotraffico a Portela dopo un volo intercontinentale è triplicato, passando da 63 a 196. Il primo aumento c’è stato tra il 2000 e il 2002, quando gli arresti sono più che raddoppiati, ma il record è stato raggiunto nel 2006, con 232 persone fermate. Quell’anno a Portela la polizia ha sequestrato 849 chili di cocaina. Negli ultimi dieci anni i portoghesi hanno acquisito un ruolo sempre più importante nel traico di droga internazionale. Nel 2000 tra i corrieri arrestati c’erano solo sette portoghesi, nel 2004 erano già 18 e nel 2010 sono arrivati a 76. Da allora c’è stata una leggera lessione, ma il numero rimane più alto rispetto a dieci anni fa. “Oggi ci sono più reclutatori, ma soprattutto più persone disposte a fare i corrieri”, conferma Rui Sosa, ispettore capo della Unidade nacional de combate ao tráico de estupefacientes. Un tempo i corrieri venivano reclutati tra i tossicodipendenti o tra la gente del giro. Oggi molte perso- ne comuni sono spinte verso l’illegalità dalle diicoltà economiche o dalla tentazione del denaro facile. “Spesso è gente che non sa cosa fare nella vita. Fanno un viaggio e scompaiono. Poi tornano perché vogliono altri soldi. Sono persone sposate con igli. Madri disperate perché sono disoccupate e hanno un iglio malato”, spiega Jonas. “Oppure persone come me, senza prospettive”. Una semplice pedina Solo il tempo di farsi consegnare il carico e tornare a casa. Dopo sarebbe cambiato tutto. Sarebbe stato come gli altri. Avrebbe potuto vivere senza afanni, cambiare la piccola televisione a casa del padre con una più grande, comprare un cellulare “come dio comanda”, una console e tutto quello “che un ragazzo della mia età desidera”. In Brasile, Jonas è stato accolto da alcuni colombiani che gli hanno consegnato la droga in un grande appartamento alla periferia di Manaus. “Era una casa di passaggio, di quelle che si aittano per pochi mesi Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 41 Portogallo e poi si abbandonano”, spiega. “Mi hanno portato a vedere Manaus, siamo usciti la sera come se fossi un turista”. Jonas e i brasiliani erano già diventati amici quando, il decimo giorno, gli hanno preparato lo zaino. Il bagaglio è stato fotografato in varie posizioni, aperto e chiuso, con la droga in evidenza o nascosta. “Credo che le foto fossero per qualcuno che sta qui o in Spagna, per fargli vedere quello che avrei trasportato”. La persona che avrebbe accolto Jonas in Spagna aveva già pagato per l’ordine. “È così che funziona”, spiega. Sulla via del ritorno, Jonas doveva fermarsi di nuovo alcuni giorni a Natal dopo uno scalo a São Paulo. Da lì avrebbe preso il volo TP06 della compagnia portoghese Tap, avrebbe fatto scalo a Lisbona per nove ore prima di consegnare il carico a Bilbao e poi sarebbe tornato a casa in treno. Questo era il piano. Jonas l’ha scoperto passo dopo passo. Ogni giorno riceveva nuove informazioni. Quando è arrivato il momento della partenza ha pensato che avrebbe potuto ingerire la droga per essere certo di non essere scoperto. “È molto più sicuro”, dice. Ma non fa cenno ai pericoli di questo stratagemma, che in alcuni casi può portare alla morte. È successo nel settembre del 2014 a un cittadino mozambicano di 39 anni in arrivo a Lisbona dal Brasile e diretto in Mozambico. Alla ine Jonas non ha ingerito la droga. La destinazione finale era Bilbao e, tra tempo di volo e scali, il viaggio era troppo lungo. E comunque non è stato lui a decidere. Lui era solo una pedina che avrebbe fatto guadagnare un sacco di soldi ai traicanti. Al ritorno, all’aeroporto di Portela, gli agenti della Policia judiciaria gli hanno mostrato la sua valigia già aperta. Jonas aveva chiesto di poterla portare in cabina ma l’avevano costretto a imbarcarla perché l’aereo era pieno. Ha confessato immediatamente. Il tempo per pensare Era la mattina del 3 dicembre. Jonas ha subito pensato al fratello, l’unico che sapeva tutto. “Non andare, sei pazzo. Sei convinto che passerai ma ti beccano di sicuro”, gli aveva detto la sera prima della partenza. Erano andati insieme a comprare le scarpe da Zara. Vestito a nuovo, Jonas si sentiva come un imprenditore in viaggio d’afari. Tutto gli sembrava possibile. Quando era arrivato in Brasile, Jonas aveva ricevuto un cellulare e una scheda. Poi era rimasto per cinque giorni in un al- 42 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 bergo di Natal ad aspettare un messaggio. Il giorno dopo averlo ricevuto, aveva incontrato un colombiano nella sala degli arrivi dell’aeroporto. L’uomo aveva in mano un cartello con il nome di Jonas, come chi aspetta i partecipanti a un congresso o a un viaggio di gruppo. A Bilbao, al ritorno, Jonas avrebbe dovuto incontrare un altro intermediario, anche lui con un cartello con il suo nome. Se la polizia l’avesse seguito ino in Spagna, avrebbe subito scoperto il suo contatto. “Ma nessuno mi ha seguito. Così non sapranno mai chi sono i proprietari della droga. Non lo so nemmeno io”, aferma Jonas. Secondo una fonte della polizia seguirlo sarebbe stato troppo complicato: signiicava mettere un cittadino portoghese in una situazione “giuridicamente molto delicata” in un paese straniero. A Lisbona la polizia ha recuperato soltanto i cellulari senza le schede, che Jonas aveva ingoiato in bagno per non lasciare tracce e non far pensare ai narcotraicanti che li avrebbe denunciati, spingendoli a compiere rappresaglie contro la sua famiglia. “La polizia non ha voluto sapere del computer che avevo con me e non ha con- Da sapere Il Portogallo in cifre u Il Portogallo ha 10,7 milioni di abitanti e un pil pro capite di 20.190 dollari. Il rapporto tra debito pubblico e pil è del 128 per cento (2013). Nel dicembre del 2014 il tasso di disoccupazione era del 13,9 per cento. u Per far fronte a una gravissima crisi inanziaria, nel 2011 il governo guidato dal primo ministro socialista José Sócrates ha negoziato un piano di salvataggio da 78 miliardi di euro con la Banca centrale europea, la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale. Il programma si è concluso nel giugno del 2014. u Le prossime elezioni politiche si svolgeranno tra il 14 settembre e il 14 ottobre 2015. trollato se c’erano documenti o contatti. È strano”, aferma. In carcere dal dicembre del 2013 nell’Estabelecimento prisional de Lisboa, ora Jonas ha tempo per pensare a tutto quello che è successo. Ed è convinto che le autorità si accontentino di arrestare i corrieri senza provare a individuare i traicanti: “Arrestano solo l’anello debole, che siamo noi”. La nostra fonte all’interno della polizia la pensa in un altro modo. “In questo tipo di situazioni, per quanto possibile, cerchiamo di raccogliere il maggior numero di informazioni per arrivare ai grandi traicanti o al reclutatore”. In questi casi, aggiunge la fonte, l’esame del computer avviene solo “quando abbiamo la certezza che contenga informazioni impossibili da raccogliere in altro modo”. Le condanne per droga vanno dai 4 ai 12 anni di carcere, e non ci sono distinzioni tra i ruoli di chi “produce, fabbrica, vende, distribuisce, importa o fa transitare” gli stupefacenti. Ma la verità, secondo Jonas, è che “le prigioni sono piene di corrieri, non di traicanti”. Anche il suo avvocato, João Guimarães Neto, è convinto che ci siano “disparità di trattamento”. Cita un caso emblematico: gli otto portoghesi accusati nel 2007 di far parte di una rete internazionale di traicanti con base in Messico oggi sono a piede libero. Sono accusati di aver trasportato tre tonnellate di cocaina nascosta in casse di polpi in un container arrivato nel porto di Matosinhos. Ma sono in attesa del processo fuori dal carcere. Sono passati più di sette anni, e l’accusa sostiene che la cellula portoghese, creata nel 2006, si sia ormai ramiicata in diverse zone del paese. In prigione Jonas continua a rivivere e a ricostruire i momenti del viaggio. Ogni volta si scontra con un muro di enigmi ancora irrisolti: per esempio l’arresto a Lisbona dopo aver completato con successo il percorso in Brasile. Come il suo avvocato, Jonas è convinto di essere stato denunciato dagli stessi traficanti: secondo lui volevano tenere occupati gli agenti della sicurezza dell’aeroporto in modo che carichi più consistenti transitassero senza problemi. “È così che funziona il sistema dei corrieri”, spiega Guimarães Neto. Poi avanza un’ipotesi: “Un barone della droga che trasporta in media 500 chili all’anno in un paese deve preparare il terreno, dare un contentino alla polizia. E poi ci sono i canali di distribuzione”. Secondo l’avvocato, “la polizia è stata informata”. Le informazioni si ottengono 4SEE/CONTRASTO Una strada del centro di Lisbona, dicembre 2012 solo in due modi: grazie a una soiata o da un agente che opera sotto copertura. “Ma quando si parla di corrieri della droga è molto probabile che le informazioni arrivino da una soiata”. Jonas sa che quattro o cinque portoghesi del suo gruppo di amici sono initi in carcere in Spagna e in Francia. Altri due o tre sono dietro le sbarre in Portogallo, insieme a molti stranieri. “Brasiliani, boliviani, paraguaiani, venezuelani. Tutti beccati con la droga”. I portoghesi “hanno circa la mia età. Anche le ragazze sono tra i 23 e i 24 anni”. Stanno scontando pene per lo stesso reato che ha commesso lui e che rischia di diventare molto comune tra questi ragazzi in cerca di un futuro. “Ci riproveranno tutti. Lo fai ino a quando non ti beccano”. “Negli ultimi tre anni ho osservato un fenomeno preciso”, spiega Guimarães Neto. “I giovani emarginati e senza prospettive sono sempre più numerosi. Hanno la testa piena di avventure. Vivono a casa dei genitori e il Bairro Alto è il loro mondo. È a loro che si rivolgono i reclutatori, sempre pronti a raccontare un progetto fantastico o una storia di successo”. Secondo le statistiche del Serviço de estrangeiros de fronteiras (Sef ), l’agenzia che controlla l’immigrazione e le frontiere, i detenuti stranieri nelle carceri portoghesi sono sempre più giovani. Nel 2012 otto delle 21 persone intercettate dal Sef e arrestate avevano fra i 31 e i 35 anni. Nel 2013 la fascia d’età più rappresentata è stata quella tra i 26 e i 30 anni, con sette arresti. In quattro casi i fermati avevano meno di 25 anni. L’anno scorso l’età dei corrieri arrestati ha continuato a calare: ormai la maggior parte ha tra i 21 e i 25 anni. A settembre una brasiliana di vent’anni è stata fermata con più di un chilo di cocaina. Jonas pensava che a lui sarebbe andata diversamente. Voleva andare a vivere con la sua ragazza, Cátia. Voleva diventare quello che non era, avere quello che non aveva. Vivere un’altra vita. Nessuna clemenza Il 4 dicembre 2013 Jonas si è presentato in tribunale ed è stato messo in custodia cautelare in carcere. A maggio del 2014 è stato condannato a quattro anni e nove mesi di di andare in aeroporto. Lei lo ha abbracciato in lacrime supplicandolo di non partire. Ma a lui sembrava tutto facile. Sarebbe tornato prima di Natale. A febbraio avrebbe compiuto 23 anni e non poteva immaginare che li avrebbe festeggiati in prigione, con la sua ragazza fuori ad aspettarlo. Oggi non le chiede niente. Cátia è la donna di un detenuto, porta cibo e vestiti. Ogni volta che lo vede le sembra più magro. Sentendo i racconti dei compagni di prigione, Jonas ha capito che non avrebbe ottenuto la sospensione della pena chiesta dal suo avvocato. Il Tribunal da Relação de In carcere Jonas continua a pensare allo sguardo dei poliziotti mentre passava con la sua valigia negli aeroporti di Manaus e São Paulo prigione per traico di stupefacenti. La sua ragazza, più giovane di lui, ha promesso che lo aspetterà. Mentre lui le raccontava che doveva partire per la Francia, Cátia sapeva già che si trattava di droga. Aveva visto altri partire per poi inire in prigione. E anche chi riusciva a farla franca alla ine restava intrappolato nella rete del narcotraico. Seduto in una sala dell’Estabelecimento prisional de Lisboa, Jonas parla senza pause per due ore e poi abbassa gli occhi. “Come si fa ad aspettare in questo modo?”. Due giorni fa Cátia è venuta a trovarlo. Il ricordo torna a quella notte di novembre, quando gli hanno detto che era il momento Lisboa l’ha efettivamente respinta a settembre del 2014. A quanto pare per chi si fa trascinare in questo mondo non ci sono seconde opportunità. In cella Jonas continua a pensare alla condanna, alla lettera E dell’ala del carcere dov’è rinchiuso, allo sguardo dei poliziotti mentre passava con la sua valigia a rotelle negli aeroporti di Manaus, São Paulo e Natal. “A Manaus mi hanno guardato e non hanno detto nulla. Anche a Campinas sono passato senza problemi. Lo stesso a Natal. Guardavano e mi lasciavano andare”. Nella sua camera d’albergo a Natal Jonas si è chiesto perché nessuno gli avesse fatto domande mentre, due giorni prima, Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 43 Portogallo 1,4 chili di cocaina divisi tra il trolley e lo zaino passavano ai raggi X degli aeroporti di São Paulo e di Manaus. È una domanda che si fa ancora oggi. La notte scaccia le ombre della paura, ma aumenta anche l’angoscia di chi sa che sta rischiando molto. “Il volo di ritorno era all’una di notte”, racconta Jonas. “Mi sono svegliato alle 23 e ho pensato: ‘Non ci vado, mi fermeranno e mi faranno delle domande’. Ho pensato di andare all’ambasciata e chiedere protezione. Ma alla ine ho rischiato. Avevo concordato un appuntamento con il tassista dell’hotel. Mi ha chiamato, mi sono vestito in fretta e sono partito”. La sentenza del 27 maggio ha stabilito che Jonas ha “agito con dolo” in “modo pienamente volontario” e che è stata “la sua volontà a spingerlo a fare quello che ha fatto”: nessuna giustiicazione o attenuante. I giudici hanno descritto il Portogallo come “una porta d’ingresso della droga nel continente europeo”, spiegando che la igura del corriere “è sempre più difusa nel paese”. Inoltre hanno sottolineato “la necessità urgente per il sistema legale e penale di rispondere a questo fenomeno in modo incisivo”. Il tutto per giustiicare la “severità” della sentenza nei confronti di Jonas. Secondo i giudici, inoltre, “le esigenze di salvaguardia della sicurezza” della comunità “impongono” la decisione di non concedere la sospensione della pena. La difesa ha puntato sul fatto che Jonas è giovane, non ha precedenti penali, è ben inserito nella società e ha lavorato per sostenere un padre malato di cancro e tossicodipendente. Ma la giustizia ha privilegiato “le esigenze della prevenzione”, considerate particolarmente urgenti in un paese che è diventato uno snodo fondamentale nel trasporto della droga. Hanno voluto “dare l’esempio”, spiega João Guimarães Neto, senza valutare chi avevano di fronte. “È un messaggio rivolto all’esterno, agli amici di Jonas, alla sua generazione: ‘Se ci provate, questo è il risultato’”. L’avvocato, che negli ultimi tre anni ha difeso cinque ragazzi imputati per lo stesso reato, ammette che si tratta di un fenomeno sociale in espansione a cui bisogna “mettere un freno. Ma ci sono casi e casi”, precisa. “Alcune persone lo hanno fatto una sola volta e sono recuperabili”. Come Jonas, che era “estraneo al mondo criminale. In galera, invece, continuerà a essere tenuto d’occhio dai traicanti, che non vogliono perdere l’investimento fatto”, spiega. La sospensione della pena avrebbe dato al ragazzo la 44 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 possibilità di reinserirsi nella società e cambiare vita. Per Jonas la prigione è “come una scuola. Tutti i giorni ci sono pugni e coltellate. È dura”, dice. È cresciuto in un quartiere diicile, ma non si era mai trovato in situazioni così pesanti. “Se entri qui sei segnato per il resto della vita. Nessuno ti darà più un lavoro. Non vogliono sapere se è stata una questione di droga o altro. Non sentono ragioni. Se oggi indicassi qualcuno potrei già diventare un reclutatore. Potrei farlo. Ma il mio uomo potrebbe a sua volta inire in galera, e io non me lo perdonerei”. Tre visite a settimana Flávio, l’algerino del Bairro Alto, ha un atteggiamento diverso: racconta che reclutando “corrieri” o “mule” guadagna ino a mille o duemila euro a missione senza mai rischiare in prima persona. Lui stesso fu reclutato quando aveva appena 17 anni e stava per diventare maggiorenne. Perché oggi non dovrebbe cercare nuovi corrieri tra i giovani? Mi racconta del caso recente di una ragazza di Tires di 26 anni reclutata e poi denunciata. “Bisogna capire come pensano, iutare le loro debolezze”, spiega Flávio. “Devi fare un lavoro psicologico: sapere dove puoi colpire e partire da lì per convincere i corrieri che non possono tirarsi indietro”. Con l’esperienza e gli anni Flávio ha fatto carriera: prima corriere, poi reclutatore, intermediario e infine controllore. “Non possiamo avere contatti diretti, dobbiamo evitare di incontrare chi è coinvolto nelle missioni”, spiega. Da sapere Giovani e disoccupati I primi dieci paesi dell’Unione europea per tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), % 0 10 20 30 40 50 60 Spagna Grecia Italia Croazia Portogallo Cipro Slovacchia Irlanda Francia Romania Dati 2014 Fonte: The Economist I collegamenti devono essere quasi inesistenti tra i componenti delle reti, cioè chi organizza gli incontri, chi rinnova i passaporti che hanno accumulato troppi visti, chi recluta e chi controlla i corrieri in aeroporto o dentro l’aereo per scoprire se sono calmi o in preda al panico. Questa igura di raccordo è il controllore. Ma c’è anche chi ci mette la faccia e va a comprare il biglietto o accompagna il corriere in aeroporto. Poi c’è la questione delle rotte. “Le organizzazioni criminali cercano di evitare che i corrieri seguano percorsi prevedibili”, spiega Fernando Silva, direttore del Sef. In sostanza si tratta di non usare i collegamenti diretti tra Portogallo e Brasile. Dalle città brasiliane arrivano a Lisbona 75 voli alla settimana (più sei a Porto), incluse le due nuove tratte inaugurate dalla Tap nel giugno del 2014 per Manaus e Belém. Tra il 2009 e l’agosto del 2014, 79 delle 81 persone intercettate dal Sef e segnalate alla polizia erano partite dal Brasile. Le altre due erano arrivate da Caracas, in Venezuela, nel 2011. Alla ine di settembre del 2014 due corrieri stranieri di 49 e 31 anni, partiti da Caracas, sono stati fermati con 8,3 chili di cocaina. Le statistiche sulla popolazione carceraria non distinguono tra corrieri e grandi traicanti, ma registrano un aumento generalizzato delle persone arrestate per droga. Alla ine del 2009 nelle prigioni portoghesi i condannati per traico di stupefacenti erano 1.814. Alla ine del 2013 il totale era salito a 2.026. In particolare è aumentato il numero delle donne portoghesi. Gli stranieri continuano a rappresentare un terzo del totale dei condannati. Per loro, che non hanno la residenza in Portogallo, non ci sono alternative al carcere, né in attesa della sentenza né dopo la condanna. Ma anche Jonas è in carcere come loro. “Passo le giornate a fumare hashish. Voglio stare calmo e aspettare la libertà. Prima o poi arriverà. Non possono fermare il tempo”. Jonas è convinto di trovarsi nel peggiore carcere d’Europa e, ora che la sentenza è diventata deinitiva, sta cercando di farsi trasferire. La prigione in cui è rinchiuso è la stessa dove da piccolo veniva a visitare il padre, arrestato mentre rubava per comprarsi l’eroina. All’epoca Jonas viveva con gli zii paterni. La madre era partita per la Spagna. In una bizzarra inversione dei ruoli, oggi è il padre a visitare il iglio in carcere. Malato di cancro, non manca mai una delle tre visite settimanali. Vive con il iglio più grande e spera di sopravvivere ino al giorno in cui Jonas tornerà a casa. u as Stati Uniti Detroit divisa e disuguale Laura Gottesdiener, Tom Dispatch, Stati Uniti. Foto di Dave Jordano La città simbolo della crisi dell’economia industriale si sta lentamente riprendendo. Ma i piani di rilancio potrebbero isolare ulteriormente la comunità afroamericana. Costretta a vivere in quartieri poveri e senza servizi A lla fine di ottobre del 2014, qualche giorno dopo la conclusione del processo per il fallimento di Detroit, accompagno Dale Brown, detto il “comandante”, nel suo solito giro di pattuglia per le strade della città. Attraversiamo il maestoso quartiere di Palmer woods a bordo di un suv Hummer decorato da quattro falci di luna intrecciate, il logo della compagnia di sicurezza privata fondata da Brown. Il comandante abbassa il inestrino per chiedere a una donna di mezza età con un cane se va tutto bene (sì) e se ha notato qualcosa di strano (no). Soddisfatto, riparte seguendo le indicazioni di un navigatore che mostra la mappa delle tranquille vie della zona. Palmer woods è diventato quasi impenetrabile nel 2013, quando il comune ha eretto una serie di barriere antitraico intorno al quartiere. Alla nostra destra, spiega Brown, c’è la residenza del vescovo, un castello in stile Tudor di trenta stanze. Fu costruito nel 1925 per una ricchissima famiglia di imprenditori dell’industria automobilistica che in seguito vendettero la loro impresa alla General Motors. “Quasi nessuno conosce questa parte di Detroit”, commenta Brown. In efetti questo quartiere con le sue da torri fa pensare ai sobborghi di periferia a maggioranza bianchi più che al cuore della città. Brown è il fondatore della Threat Management, una compagnia di sicurezza privata che è stata ingaggiata dagli abitanti di Palmer woods per sorvegliare il quartiere 46 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 ventiquattr’ore al giorno. Il comandante conosce le due facce di Detroit meglio di qualsiasi abitante della città. Dopo aver prestato servizio nell’esercito come paracadutista, a metà degli anni novanta si è trasferito in un quartiere di Detroit soprannominato “il corridoio del crack”, nella zona est della città. Lì ha organizzato un servizio di sicurezza gratuito per i vicini e per alcuni ediici della zona. Poteva contare solo su un fucile, un cane e qualche trucchetto psicologico, tipo imbottire le tasche dei giubbotti (“le tasche rappresentano l’ignoto”). Poi ha lavorato per un po’ in un night club, dove ha imposto una ferrea politica di rispetto delle donne. Dopo poche settimane le ragazze in tacchi a spillo facevano la ila fuori dal locale. Oggi gli uomini di Brown, con il loro marcato aspetto paramilitare, sono i più ri- Da sapere Montagne di debiti 18 luglio 2013 La città di Detroit, che ha accumulato 18,5 miliardi di dollari di debito, si dichiara insolvente nei confronti dei creditori. È la più grande bancarotta della storia delle città statunitensi. 7 novembre 2014 Un tribunale fallimentare approva il piano proposto dalle autorità municipali per cancellare sette dei diciotto miliardi di debito. Il piano prevede anche lo stanziamento di 1,7 miliardi di dollari da investire in servizi, e tagli del 4,5 per cento alle pensioni di dodicimila dipendenti pubblici. 10 dicembre 2014 Detroit esce dal regime di amministrazione controllata. conoscibili tra i tanti dipendenti delle compagnie di sicurezza private disseminati nelle zone della città dove vivono le persone che hanno i soldi per ottenere protezione. Ma per quelli che vivono nel resto di questa vastissima città il futuro resta incerto, sia isicamente sia inanziariamente. Un buon inizio Negli anni quaranta il presidente Franklin Delano Roosevelt proclamò Detroit – all’epoca la quarta città più popolosa degli Stati Uniti – il “grande arsenale della democrazia”, capace di sfornare bombardieri per le potenze alleate durante la guerra e di inondare il mercato di automobili in tempo di pace. Poi le grandi aziende automobilistiche cominciarono a chiudere le fabbriche in città per riaprire gli impianti nei sobborghi bianchi. Nello stesso periodo gli imprenditori, i sindacati nazionali e l’Fbi si allearono per soffocare le organizzazioni sindacali fondate dagli operai radicali neri. La crisi dei mutui scoppiata negli anni duemila, alimentata dalla discriminazione razziale alla base dei prestiti ad alto rischio, ha costretto centinaia di migliaia di abitanti a lasciare la città. Il governatore ha commissariato il sistema scolastico pubblico e poi l’intera amministrazione cittadina, e nell’arsenale della democrazia è stato di fatto sospeso il processo democratico. Oggi, dopo settant’anni di crisi a bassa intensità, Detroit è diventata un monito vivente, un’antiutopia postindustriale fatta di palazzi disabitati e fabbriche abbandonate. Ma la realtà è più complessa. All’alba di un nuovo inizio dopo l’odissea della banca- Un quartiere popolare nell’east side di Detroit, nel 2013 rotta, Detroit è due città in una. La prima è quella dei quartieri ricchi come Palmer woods, collegati a un centro compatto che sta rapidamente tornando a svilupparsi. La seconda è composta da una sterminata distesa urbana di 360 chilometri quadrati, abitata soprattutto da vecchi residenti che combattono da decenni per sopravvivere in un ambiente sempre più invivibile. Nella prima Detroit i sistemi di sicurezza privata sono difusi e la vita è relativamente sicura. Nella seconda almeno 27mila famiglie sono rimaste senz’acqua nel 2013: le autorità avevano deciso di tagliare le forniture agli utenti in ritardo con i pagamenti. Dopo il fallimento, molti abitanti temono che queste due Detroit – già così divise e disuguali – si allontaneranno sempre di più. Il 7 novembre del 2014 un giudice federale ha approvato il piano proposto dal municipio per far uscire la città dalla più grande bancarotta della storia statunitense. La procedura di fallimento è solo l’ultima di una serie di misure – tra cui la nomina di un commissario straordinario per vigilare sulle inanze della città – duramente contestate dai cittadini e da alcuni economisti. Le au- torità locali hanno espresso un cauto ottimismo sull’accordo raggiunto, che cancella oltre sette miliardi di dollari di debiti e prevede tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici. Creditori e compagnie di assicurazione hanno accettato di rinunciare a una parte dei soldi che devono avere dal comune. Inoltre, il piano prevede lo stanziamento di 1,7 miliardi di dollari da investire in servizi come la difesa antincendio e la ricostruzione del sistema d’illuminazione stradale. Le autorità sostengono che la ristrutturazione del debito non è la soluzione di tutti i problemi della città, ma è decisamente un buon inizio. Non tutti la pensano allo stesso modo. Secondo Peter Hammer, che insegna diritto alla Wayne state university di Detroit, la bancarotta potrebbe aprire degli scenari inquietanti. Hammer sostiene che Detroit sta diventando il modello per la creazione di “una città di seconda classe”, dove lo stato garantisce solo i servizi basilari alla maggioranza degli abitanti – “un po’ di sicurezza”, “interventi antincendio” – mentre gli altri servizi fondamentali saranno garantiti solo a chi ha i soldi per pagarseli. Il fatto che Detroit sia composta per l’80 per cento da afroamericani rende lo scenario della città di seconda classe ancora più inquietante. Secondo Hammer, il piano approvato somiglia in modo preoccupante al rapporto dalla commissione Kerner del 1968, incaricata dal presidente Lyndon Johnson di indagare sulle cause che avevano portato alle rivolte razziali in molte città degli Stati Uniti. La commissione aveva concluso che il paese si stava avviando verso una doppia società, una nera e l’altra bianca, separate e disuguali. Quasi mezzo secolo dopo, l’idea di un’immensa città a maggioranza nera con un centro piccolo e ricco e alcuni quartieri d’élite circondati da prosperi sobborghi bianchi sembra realizzare le previsioni del 1968. È un venerdì di metà ottobre del 2014: domani due funzionari delle Nazioni Unite cominceranno a indagare sui tagli alle forniture d’acqua e Marian Kramer sta mettendo a punto gli ultimi preparativi. Ci sono ospiti venuti da altre città di cui occuparsi, bambini da andare a prendere a scuola, dettagli da confermare per la riunione con gli avvocati. Kramer, che ha i capelli grigi tagliati cortissimi e una rapida andatura a Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 47 Stati Uniti scatti, è una delle leader della Michigan welfare rights organization, un’associazio ne di persone a basso reddito. Insieme a Maureen Taylor, si batte contro i tagli all’ac qua corrente dagli anni novanta, quando Highland Park, una città nell’area metropo litana di Detroit, cominciò a interrompere le forniture idriche. Il suo gruppo fa parte della People’s water board coalition, una rete di attivisti che nel 2014 ha invitato le Nazioni Unite a visitare Detroit per capire se le riduzioni alle forniture d’acqua costi tuissero una violazione dei diritti umani. Il centro sicuro Alla guida del suo furgone, Kramer mi rac conta la storia delle strade che attraversia mo. Per capire Detroit, mi spiega, bisogna passare accanto ai campanili delle chiese, alle griglierie che un tempo attiravano una lunga ila di clienti, al capannello di persone con le candele accese in mano all’angolo di una strada senza lampioni. “Sono state uc cise delle persone qui”, mormora Kramer osservando la piccola veglia. “L’altra notte hanno sparato a una bambina di tre anni. Hanno sparato anche alla madre e al padre. Non capisco cosa sta succedendo. Ogni mattina ci svegliamo e infuria la guerra”. Con il progressivo fallimento dell’am ministrazione cittadina, la mancanza di servizi ha reso praticamente invivibili alcu ne zone di Detroit. Le ingiustizie continua no ad accumularsi. I Child protective servi ces, i servizi sociali per l’infanzia, minaccia no di prendere in custodia i bambini che vivono in case senza acqua corrente. Le ca se restano abbandonate, con i tetti sfondati, le verande in rovina e i mattoni anneriti dal fuoco. Nei quartieri senza servizi di sicurez za privati aumentano le morti violente e gli abitanti possono contare solo su una forza di polizia decimata, che nel 2013 aveva un tempo di risposta medio alle chiamate di 58 minuti. Secondo Tangela Harris, che nell’autunno del 2014 è rimasta senz’acqua per undici giorni, l’aspetto più doloroso del piano di rilancio è la privatizzazione dei ser vizi idrici, che un tempo erano tra i migliori del mondo. “Eravamo orgogliosi della no stra azienda”, dice. “Era l’unica conquista dei neri in città”. Sono in molti a chiedersi il senso di tutto questo. Qualche tempo fa, durante una riu nione in municipio con i funzionari delle Nazioni Unite, un residente ha chiesto: “Tutto quello che avete visto risponde alla deinizione legale di genocidio?”. Cheryl LaBash, un’ispettrice di cantiere in pensione, raramente si avventura ino al centro. L’ultima volta che lo ha fatto è stato 48 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 per partecipare a una manifestazione di protesta. Siamo sedute nel Campus Mar tius, un parco in mezzo alla città che riserva al verde più o meno lo stesso spazio destina to a un ristorante di lusso e a una pista di ghiaccio. LaBash ha i capelli lunghi ino alle spalle e indossa una maglietta con la scritta “Giù le mani dalla mia pensione”. Ha porta to con sé il casco di sicurezza. Per ricordo, dice. Lo ha indossato in uno degli ultimi in carichi, quando dirigeva un gruppo di ope rai edili che lavoravano sul terreno proprio sotto di noi. Il progetto prevedeva di sposta re il corso di Woodward avenue, una delle arterie principali della città, per liberare lo spazio neces sario a costruire il Campus Mar tius. Secondo LaBash, la trasfor mazione di una grande arteria pubblica in un giardino amministrato da privati è il simbolo dei cambiamenti in cor so in città. Oggi il centro di Detroit è pieno di cantieri ed è punteggiato da parcheggi incredibilmente costosi. Anche se buona parte della città è in stato di abbandono, il centro si sta trasformando rapidamente. Il motore di quasi tutti i cambiamenti è Dan Gilbert, il milionario che ha fondato la Quicken Loans, una delle più grandi azien de degli Stati Uniti nel campo dei prestiti ipotecari. Nel 2010 Gilbert ha trasferito la sede della società da Livonia, nel Michigan, al centro di Detroit, portandosi dietro mi gliaia di dipendenti. Gilbert si occupa per sonalmente di garantire la sicurezza del suo vasto impero. Ha organizzato un sistema privato di vigilanza attivo ventiquattr’ore al giorno e sette giorni alla settimana per sor vegliare i sessanta palazzi di sua proprietà. Ha fatto anche installare centinaia di video camere a circuito chiuso. I suoi uomini la Da sapere Abitanti in fuga La popolazione di Detroit tra il 1950 e il 2010, in milioni, Fonte: United States census bureau 2,0 Totale della popolazione 1,5 1,0 0,5 Bianchi Neri 0 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 vorano giorno e notte nel centro di sorve glianza all’interno del Chase building (di proprietà di Gilbert) per esaminare le ripre se delle videocamere. Hammer una volta ha visitato il centro con i suoi studenti. “Sembra di entrare al Pentagono”, dice. Per gli abitanti del centro, la sicurezza e la sorveglianza sono un fatto positivo, an che se un po’ inquietante. Patrick Klida, un giovane avvocato di periferia che qualche anno fa si è trasferito in centro, racconta che l’estate scorsa ha ricevuto una telefonata dalla squadra di Gilbert. Lo avvisavano che dei ladri stavano cercando di ru bargli la macchina. “Le videoca mere avevano ripreso un uomo che rompeva il inestrino con una pietra”, racconta Klida. Nel giro di pochi minuti gli uomini di Gil bert avevano controllato la targa della mac china scoprendo che era intestata alla ma dre, avevano trovato il numero di telefono, l’avevano svegliata alle cinque del mattino e poi avevano chiamato lui. Per Cheryl LaBash tutta questa vigilan za non è solo un efetto collaterale della ri qualiicazione del centro. È una minaccia alla capacità dei cittadini di esprimere il lo ro dissenso. A febbraio del 2014 alcune guardie private hanno impedito a lei e ad altri manifestanti di distribuire volantini e raccogliere irme per una petizione all’in terno di Campus Martius. Secondo LaBash, il rilancio di questa zona non rientra in uno sforzo per far rinascere Detroit: è un pro cesso che punta a cancellare il passato della città e la grande maggioranza della sua po polazione. Collisioni Anche se separate, le due Detroit sembrano scontrarsi di continuo. La sera prima di Hal loween (che qui viene chiamata notte dell’angelo o del diavolo), l’associazione di quartiere dell’East english village, un’altra delle zone ricche di Detroit, organizza una cena e una ronda per pattugliare le strade: da qualche tempo c’è chi festeggia la notte del diavolo appiccando fuoco alle case ab bandonate. Anche se questo rituale si svol ge soprattutto nei quartieri che non posso no permettersi la sicurezza privata, gli abi tanti dell’East english village non vogliono correre rischi. Si radunano a bere cioccolata calda e mangiare patate dolci avvolte nel bacon davanti alla casa di Bill Barlage, il presidente dell’associazione. Poi, intorno alle nove, arriva Mike Duggan, il sindaco della città. “Joe Biden abita qui?”, chiede Duggan provocando una risata generale. A settembre del 2014 il vicepresidente degli Anthony e A.J. nella loro casa dell’east side, a Detroit Stati Uniti ha visitato la casa di Barlage durante un viaggio a Detroit. “Il sindaco ha voluto mostrare a Biden che a Detroit esistono dei quartieri sicuri”, spiega Barlage. Secondo lui il successo di questa comunità è dovuto alla disponibilità dei residenti a investire nella sicurezza privata, a creare pattuglie di volontari e a tenersi attivi e impegnati. “Controlliamo le case e le proteggiamo”, dice. Andrew Cox abita a pochi isolati di distanza dalla casa di Barlage ma ha un’idea diversa dell’East english village. Si è trasferito qui con la idanzata due anni fa. Come altre migliaia di persone che cercavano di sopravvivere al disastro economico, ha occupato una casa disabitata, l’ha rimessa a posto, ha pagato le bollette e ha anche versato parte del suo reddito mensile in un conto bancario amministrato da un gruppo della comunità per pagare collettivamente le tasse di proprietà e altre spese. Secondo Cox, che ha circa trent’anni e porta un berretto blu, l’East english village non è un quartiere particolarmente accogliente. All’inizio del 2014, qualcuno ha fatto irruzione in casa sua e ha distrutto gran parte della cucina, scardinando le porte e buttando giù mezza parete. Cox sospetta che il gruppo di vigilanza della comunità non abbia protetto la sua casa perché lui e la sua compagna non sono i tipici abitanti del quartiere. Subito dopo l’irruzione ha ricevuto un avviso di sfratto che non contesterà, dal momento che lo stato ha recentemente approvato una legge molto più severa contro le occupazioni abusive. “Non voglio andare in galera solo per avere un tetto sopra la testa”, commenta. “Se ci tengono tanto a questa casa possono prendersela”. Da Barlage, intanto, il sindaco stringe mani e si prepara ad andarsene. “Bene, sembra proprio che questo quartiere sia tranquillo e sicuro”, dice Duggan provocando altre risate mentre lui e i suoi uomini percorrono il vialetto d’ingresso. Il weekend di lavoro di Marian Kramer è quasi terminato. La riunione in municipio con i funzionari delle Nazioni Unite è inita. Decine di persone hanno testimoniato spiegando cosa signiica vivere senz’acqua corrente. Alcune sono andate via, altre sono rimaste per il bufet: pollo, riso e fagioli, in- salata, verdure al vapore e torta farcita. Il comandante Brown e sua moglie, anche lei agente di sicurezza per la Threat Management, non hanno mai perso d’occhio i due funzionari delle Nazioni Unite, accompagnandoli perino in bagno. Finita la cena, le note di My eyes don’t cry di Stevie Wonder riempiono la sala, che si trasforma in una pista da ballo. Tutti i presenti prendono parte alle danze: Maureen Taylor e i funzionari delle Nazioni Unite, persone venute da fuori e abitanti del posto, un’insegnante di una scuola pubblica, un rappresentante del consiglio scolastico e un uomo che recentemente ha parcheggiato la sua sedia a rotelle in mezzo alla strada per impedire ai camion di andare a chiudere altri rubinetti. Una sensazione di gioia e sollievo, mista al gradevole profumo del pollo, fa vibrare la folla. Voltandosi sulla sedia e osservando un gruppo di persone che chiamano i passi e si muovono all’unisono, una donna non può fare a meno di sorridere. “È per questo che non riescono a ucciderci”, dice. È come se, per un attimo, non ci fossero due Detroit, separate e disuguali, ma una sola città caparbiamente decisa a sopravvivere. u gc Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 49 Scienza Veleni quotidiani Emma Davies e Katharine Sanderson, New Scientist, Regno Unito S i dice che non c’è niente di più sano e naturale che mangiare una mela. Ma gli scienzati la pensano diversamente: alcuni test hanno dimostrato che oggi quasi tutto, compresa la frutta fresca, contiene sostanze chimiche. Alcune sono utili, altre no. Torniamo alla mela: da uno studio del ministero dell’agricoltura statunitense è risultato che quasi tutte le mele analizzate contenevano residui di insetticidi, fungicidi e diserbanti. E lo stesso vale per qualsiasi alimento. Non sono solo le cose che mangiamo a esporci agli agenti inquinanti: ne raccogliamo piccole quantità dai cosmetici e dalla carta, dai cuscini e dai tessuti, dall’acqua e dall’aria. Nella maggior parte dei casi le dosi sono troppo basse per essere nocive. Altre volte le sostanze non hanno efetti rilevabili sul corpo umano. Ma ce ne sono alcune di cui non sappiamo se sono innocue o no. Il dibattito tra gli esperti è ancora aperto. Antibatterici Volete l’alito fresco, le ascelle profumate e i piedi senza funghi? Il triclosano garantisce un’azione antibatterica ad ampio raggio e per questo viene aggiunto nei saponi, nei dentifrici e nei cosmetici. Nel 1998, però, è stata pubblicata una ricerca secondo la quale il triclosano può contribuire alla resistenza agli antibiotici, mentre uno stu- 50 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 dio sui ratti del 2007 ha sollevato il dubbio che possa alterare la regolazione ormonale: nell’esperimento del 2007 i ricercatori hanno notato che se si somministrano ai ratti forti dosi di triclosano, la sostanza interferisce con il funzionamento del sistema endocrino, e in particolare con la tiroide. Negli Stati Uniti l’agenzia per la protezione ambientale (Epa) sta studiando da dieci anni i possibili efetti del triclosano sulla salute. Dalle analisi risulta che per le forme di vita acquatiche, in particolare per le alghe, il triclosano può essere dannoso, anche se il rischio è basso. Sembra inoltre che non sia per niente eicace come disinfettante per le mani, tanto che molte aziende hanno smesso di aggiungerlo ai saponi. Nel 2014 il Minnesota è stato il primo stato americano a limitarne legalmente l’uso. In Europa si continua a indagare sulla questione della resistenza agli antibiotici. Il comitato scientiico sulla sicurezza dei consumatori della Commissione europea sostiene che il triclosano non è pericoloso, ma ammette che non se ne conoscono ancora tutti gli efetti. Verdetto: non esistono prove dirette del fatto che il triclosano sia nocivo per gli esseri umani, ma la sostanza è oggetto di studio. Antimacchia Le pentole antiaderenti, gli indumenti impermeabili, i tappeti antimacchia e il ilo interdentale funzionano tutti grazie a delle DAN SAELINGEr (TrUNk/CoNTrASTo) Nei divani, nei deodoranti, nel pane tostato e perino nella frutta: le sostanze chimiche si trovano ormai ovunque. New Scientist spiega quanto sono pericolose e come evitarle sostanze chimiche chiamate perluorurati (pfc), che sono state prodotte per la prima volta a livello industriale negli anni quaranta. I perluorurati sono fantastici repellenti all’acqua e ai grassi, ma alcuni studi hanno dimostrato che ne portiamo tracce nel nostro corpo. Due dei pfc che si trovano più spesso negli esseri umani e nell’ambiente sono il perluorottano sulfonato (pfos) e l’acido perluoroottanoico (pfoa). La loro lunga catena molecolare e il loro forte legame carbonioluoro sono diicili da spezzare, quindi rimangono nell’ambiente per anni. Gli studi sugli animali fanno pensare che i pfc a catena lunga possano alterare i livelli ormonali e provocare il cancro. Gli studi sugli esseri umani suggeriscono che queste sostanze potrebbero, tra l’altro, provocare disturbi alla tiroide e aumentare il livello di colesterolo. Nel 2009 i pfos sono stati aggiunti alla lista delle sostanze chimiche vietate in base alla convenzione di Stoccolma sugli inquinanti, un trattato internazionale per la difesa dell’ambiente. Otto dei maggiori produttori di pfc hanno sottoscritto il programma dell’Epa statunitense, impegnandosi a eliminare il pfoa entro il 2015. I produttori hanno anche deciso di passare a pfc a catena corta, come il perluorobutano sulfonato (pbs), che dovrebbero degradarsi più facilmente. Nel nostro corpo la catena di pbs si spezza in pochi giorni, quindi gli esperti pensavano che la sostanza non si accumulasse. Ma da uno studio condotto in Svezia nel 2012 è emerso che la concentrazione di pbs nel nostro sangue sta aumentando notevolmente: raddoppia ogni sei anni, anche se è ancora relativamente bassa. Ci sono altri misteri da risolvere. Anche se i livelli di pfoa e di pfos nel sangue stanno diminuendo, le concentrazioni di pfoa non sono scese quanto ci si aspettava. Secondo Scott Mabury, professore di chimica dell’università di Toronto, questo potrebbe derivare dal fatto che nel nostro corpo altri luorurati si trasformano in pfoa. Per esempio gli esteri di poliluoro alchile fosfato, usati nelle carte oleate. Queste sostanze sono state trovate nel sangue umano e gli studi sugli animali fanno pensare che possano passare dalle confezioni agli alimenti. A detta di Mabury gli esami del sangue rivelano anche la presenza di composti organici del luoro, la metà dei quali non è stata identiicata. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 51 Scienza Verdetto: è una famiglia di sostanze chimiche molto comuni e persistenti che inluiscono sulla salute umana. Ignifughi Non è diicile fabbricare mobili e tessuti ignifughi. Tuttavia molti dei prodotti chimici usati nei processi industriali per garantire la resistenza al fuoco mettono in serio pericolo la nostra salute. Queste sostanze, i polibromodifenileteri (pbde), esistono in molte forme, dai penta ai decabromodifenileteri. Fino a poco tempo fa erano presenti in vari prodotti, dai dispositivi elettronici ai materassi. Oggi sia nell’Unione europea sia negli Stati Uniti molti pbde sono stati vietati o ritirati dal mercato per il timore che riducano la fertilità e che interferiscano con lo sviluppo nei bambini. Ma dagli anni settanta la concentrazione dei pbde nella popolazione del Nordamerica è preoccupanti”, afferma Birnbaum. Tra questi ritardanti di fiamma c’è il tris (tdcpp), il cui uso nei pigiami per bambini è stato vietato negli anni settanta dopo che si è scoperto che provocava il cancro negli animali. Il tris, però, è ancora usato nei mobili, spesso come sostituto del pentabde. Verdetto: gli ignifughi nocivi e quindi vietati dalla legge sono ancora molto difusi. Su quelli nuovi sono necessari ulteriori studi. Cosmetici Nel 2004 giornalisti e consumatori hanno cominciato a discutere dei conservanti chimici chiamati parabeni dopo che uno studio ne aveva rilevato la presenza in venti campioni di tessuto tumorale del seno e l’aveva collegata all’uso di cosmetici come i deodoranti. Non è diicile fabbricare mobili e tessuti ignifughi. Però molti dei prodotti chimici usati nei processi industriali sono pericolosi raddoppiata ogni cinque anni, e se ne trova una percentuale relativamente alta nella polvere domestica. Come facciano a uscire dai mobili “è ancora un mistero”, spiega Heather Stapleton, un’esperta di ritardanti di iamma della Duke university di Durham, nel North Carolina. Forse penetrano nelle sacche d’aria dei cuscini, dice, e si diffondono nell’ambiente quando qualcuno si siede. Anche la gommapiuma si può sbriciolare generando polvere, aggiunge Stapleton. Linda Birnbaum, direttrice del National institute of environmental sciences, è preoccupata per un’altra sostanza, il tetrabromobisfenolo A (tbbpa), che è stato “largamente ignorato” anche se viene usato in enormi quantità in tutto il mondo. Le ricerche del programma nazionale di tossicologia statunitense hanno dimostrato che il tbbpa provoca il cancro nei roditori. È provato che causa anche danni a livello endocrino, aferma Birnbaum. La studiosa ha infatti scoperto che il tbbpa può inibire un enzima che metabolizza l’estrogeno, facendo aumentare il livello di questo ormone nel corpo. Il tbbpa è spesso usato come sostituto della deca-bde (che è stata vietata anni fa) soprattutto in elettronica, ma di queste nuove sostanze si sa ancora troppo poco. “Le scarse informazioni che abbiamo sono 52 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Questo ha dato il via a un lungo dibattito sulla sicurezza dei parabeni. Ma il collegamento con il cancro al seno non è stato confermato. Agenzie come la Food and drug administration (Fda) statunitense e il comitato scientiico per la sicurezza dei consumatori dell’Unione europea sostengono che, anche se potrebbero interferire con il sistema endocrino, le piccole dosi di parabeni contenute nei cosmetici non sono pericolose. Inoltre la maggior parte dei deodoranti per ascelle non li contiene. Nel 2012 un altro studio sul rapporto tra parabeni e cancro al seno condotto dagli stessi ricercatori ha suscitato il seguente commento dell’organizzazione beneica britannica Breakthrough breast cancer: “Questa ricerca ha gravi carenze e non fornisce prove a sostegno del fatto che le donne dovrebbero evitare i parabeni”. Alan Boobis, direttore della Public health England toxicology unit dell’Imperial college di Londra, concorda: “I parabeni non sono molto pericolosi”. Negli animali esposti a “livelli molto alti” di queste sostanze non sono stati riscontrati efetti negativi. “I risultati sono stati confermati più volte”, aggiunge Boobis. Anche se le autorità sanitarie non li hanno vietati, le case produttrici di cosmetici hanno cominciato a eliminare i parabeni e altre sostanze chimiche dai loro pro- dotti. “È solo per la pressione pubblica”, spiega Boobis. Verdetto: non esistono prove convincenti della pericolosità dei parabeni per la salute umana. Materie plastiche Gli ftalati sono spesso aggiunti alle materie plastiche per aumentarne la flessibilità, ma sono presenti anche in molti altri oggetti, come il rivestimento delle pillole e gli inchiostri da stampa. Di conseguenza un basso livello di queste sostanze è stato trovato in quasi tutti gli individui testati dai Centri statunitensi per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc). Dovremmo preoccuparci? Si ritiene che possano danneggiare il sistema endocrino, ma in basse concentrazioni i loro efetti non sono ancora chiari. A dosi elevate potrebbero abbassare il numero degli spermatozoi e provocare deformazioni nei neonati. Ma questo collegamento è stato riscontrato anche in persone esposte a livelli normali di ftalati. Verdetto: gli efetti che gli ftalati esercitano sulla salute sono ancora incerti, ma data la loro difusione è diicile evitarli. Metalli Anche se è stato eliminato dai gas di scarico delle auto, il piombo entra ancora nel nostro corpo. “Il problema del piombo sta riemergendo”, aferma Alan Boobis. Dagli anni settanta l’esposizione al piombo è molto diminuita, soprattutto nei paesi dell’Unione europea, che l’hanno eliminato dalla benzina e ne hanno regolamentato la presenza nelle tubature e nelle vernici. Ma il piombo rilasciato nel corso degli anni è penetrato nel terreno e quindi possiamo trovarlo nei prodotti agricoli, soprattutto nei cereali e nelle verdure, e nell’acqua. È praticamente impossibile evitarlo. Nel 2010 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha abbassato il livello accettabile di piombo nel sangue. “In realtà non esiste un livello di piombo nel sangue che non sia pericoloso”, spiega Boobis. “Anche a basse concentrazioni sembra associarsi a un minor quoziente intellettivo”. I neonati e i bambini sono i soggetti più a rischio. Anche il mercurio preoccupa. Diversamente dal piombo, si accumula nella catena alimentare e inisce nei grandi predatori marini di cui ci nutriamo. Troppo mercurio può provocare danni allo sviluppo di neonati e bambini. Un recente studio ha dimostrato che nelle acque di supericie il livello GETTy IMAGES (2) di mercurio è triplicato, soprattutto intorno all’Islanda e all’Antartide. Ed è solo un quarto del totale rilasciato dalle industrie: il resto, sostengono gli studiosi, è probabilmente accumulato nei sedimenti oceanici. Il mercurio si trova anche nell’amalgama delle otturazioni dentarie, “ma la quantità che ne esce è così bassa che non ha quasi efetto”, precisa Boobis. Verdetto: colpevoli. L’assorbimento di mercurio può essere ridotto evitando di mangiare i pesci predatori. Pesticidi Molti pesticidi sono stati progettati proprio per avvelenare i sistemi nervosi, ma secondo il tossicologo Rudy Richardson della School of public health dell’università del Michigan, non dovremmo preoccuparci troppo: queste sostanze tossiche non vengono spruzzate indiscriminatamente su quello che mangiamo. “Probabilmente sono i composti chimici più regolamentati del mondo”, osserva Richardson. Eppure non tutti concordano sui rischi: l’atrazina, per esempio, è un diserbante vietato nell’Unione europea, ma molto usato negli Stati Uniti. Tracce di pesticidi sono ormai difuse anche nell’ambiente. I Cdc hanno dimo- strato che nell’urina della maggior parte degli statunitensi c’è una minima concentrazione di organofosfati, e dagli studi del dipartimento dell’agricoltura è risultato che molti tipi di frutta e verdura contengono piccoli residui di pesticidi. Anche se questi residui sono inferiori ai livelli considerati pericolosi, l’uso dei pesticidi è in aumento. Questo preoccupa la studiosa Laura Vandenberg: “I pesticidi sono studiati per essere biologicamente attivi”. Alcuni studi hanno collegato l’esposizione agli organofosfati alle malattie cardiovascolari e, in gravidanza, ai ritardi nello sviluppo e all’autismo dei bambini. Da una rassegna di studi epidemiologici pubblicata sulla rivista The Lancet Neurobiology è emerso che un organofosfato molto comune come il clorpirifos potrebbe danneggiare lo sviluppo del cervello. Secondo Linda Birnbaum, è dimostrato che l’esposizione ai pesticidi aumenta il rischio di diabete e obesità. Nel 2012 l’Unione europea ha preso in esame mille pesticidi e ha deciso di ritirarne dal mercato circa settecento tra i più vecchi. Invece l’Epa ha in programma di accelerare la ricerca di alternative più sicure. Verdetto: i pesticidi possono essere dannosi ma sono molto controllati. Alimenti bruciati Sembra che anche il cafè e il pane tostato che mangiamo a colazione possano farci male. Nel 2002 alcuni ricercatori svedesi hanno scoperto che l’acrilammide, una sostanza chimica che provoca il cancro nei roditori, è presente in quantità sorprendentemente alte in alcuni cibi cucinati. L’acrilammide si forma quando alimenti a base vegetale ricchi di carboidrati vengono fritti o arrostiti ad alte temperature. La sua comparsa è parte di quel processo di imbrunimento che coinvolge gli zuccheri e un amminoacido chiamato asparagina, che rende più attraente e profumato il cibo. Essendo altamente idrosolubile, l’acrilammide è assorbito dall’intestino e distribuito ai tessuti. Gli studi condotti sugli animali fanno pensare che possa provocare il cancro, forse formando una sostanza chiamata glicidammide che è ampiamente distribuita nei tessuti. Secondo il gruppo di esperti dell’Efsa sui contaminanti nella catena alimentare, alimenti come le patate fritte, i cereali per la colazione, i biscotti e il pane contengono tutti acrilammide. Nella sua bozza di rapporto pubblicata nel luglio del 2014, il gruppo aferma che il consumo di acrilammide “può aumentare il rischio di cancro”. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 53 Scienza Gli alimenti più pericolosi sono il cafè e le patate fritte o arrosto. Alcune ricerche sui roditori hanno anche collegato questa sostanza ad alcuni efetti sul sistema nervoso e su quello riproduttivo. Da un recente studio condotto dall’istituto per la salute pubblica norvegese in collaborazione con l’università di Stoccolma è emerso che le donne esposte ad alti livelli di acrilammide durante la gravidanza mettevano al mondo bambini più piccoli. Ma l’Efsa ha afermato chiaramente che “nessuno studio ha dimostrato che l’acrilammide è cancerogeno”. Questo non ha impedito ad alcuni consumatori negli Stati Uniti di fare causa alle aziende alimentari perché non segnalano i rischi collegati al consumo di acrilammide. Il risultato è stato che in California la presenza di questa sostanza deve essere segnalata sulle etichette dei prodotti e che alcune ditte hanno accettato di abbassarne i livelli nei loro alimenti. Purtroppo, se ci piacciono i cibi gustosi e ricchi di amido, è quasi impossibile evitare l’acrilammide. Ma esistono sistemi per limitarne il consumo. Il pane tostato ino a doratura è meno nocivo di quello abbrustolito, mentre un espresso contiene meno acrilammide di un cafè lungo, la cui preparazione richiede il doppio del tempo. Per il momento l’Efsa consiglia di evitare di cuocere troppo i cibi. Verdetto: anche se suscita molte preoccupazioni, non è confermato che l’acrilammide sia cancerogeno. Imballaggi La patina degli scontrini, l’interno delle lattine e i policarbonati contengono un estrogeno sintetico di cui si discute da anni: il bisfenolo A (bpa), un composto che serve a plastiicare e che nei mammiferi potrebbe interferire con il sistema ormonale. Efettuando dei test i Cdc hanno trovato il bpa in più del 90 per cento degli statunitensi. Il programma nazionale di tossicologia statunitense ha espresso preoccupazioni per i suoi effetti sul cervello e sul comportamento dei bambini piccoli. Nel 2012 la Fda ne ha vietato l’uso nei biberon. In Europa un divieto simile è entrato in vigore nel 2011 e la commissione per la valutazione dei rischi dell’agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa), che fa da consulente per gli enti regolatori dell’Unione, ha annunciato che il bpa è un “possibile agente tossico per il sistema riproduttivo umano”. Ma, sebbene gli efetti sugli animali siano stati confermati, è più diicile 54 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 dimostrare come agisce sugli esseri umani, anche perché il nostro corpo lo converte rapidamente in una forma che non mostra alcuna attività simile a quella degli estrogeni. Per ridurre l’esposizione, spiega Laura Vandenberg, dovremmo rinunciare agli alimenti in scatola, evitare gli scontrini in carta termica e non riscaldare il cibo nei contenitori di plastica. Il bpa è solo una delle sostanze chimiche a cui siamo esposti che possono danneggiare il sistema endocrino. Nel 2013 ottantacinque scienziati europei hanno irmato la dichiarazione di Berlaymont sugli interferenti endocrini, in cui chiedevano una regolamentazione più rigida. Il documento mette in evidenza l’aumento dei casi di cancro e di problemi a livello cerebrale, tiroideo e dell’apparato riproduttivo, lasciando intendere che l’aumento di malattie endocrine non può essere spiegato solo con la genetica o gli stili di vita. Verdetto: probabilmente il bpa è solo uno dei molti interferenti endocrini che danneggiano la salute umana. Immersi ino al collo Cercare di capire i rischi legati ad additivi e agenti inquinanti sembra una missione impossibile. La maggior parte delle sostanze chimiche è testata solo sugli animali e ad alte dosi, quindi è diicile stabilire gli efetti sulla salute umana. Inoltre le industrie producono e usano sostanze chimiche in forme così diverse che, se non si cambia il metodo per valutarle, ci sono poche possibilità di quantiicare i rischi, osserva Julian Cribb, un giornalista scientiico australiano. Secondo Cribb non sappia- Da sapere In numeri u Nel 2006 in Nordamerica sono state rilasciate nell’ambiente 5,7 milioni di tonnellate di agenti inquinanti. Di queste, 1,8 milioni sono formate da agenti persistenti, bioaccumulanti e tossici. Si sospetta o si sa che 970mila tonnellate siano cancerogene. Unep u Alcuni test hanno dimostrato che su 77mila campioni di 500 tipi di alimenti 12mila contengono dosi di pesticidi superiori al limite consentito in Europa. Efsa u Ogni giorno nel iume Po scorrono 20 chili di prodotti farmaceutici. Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri u Nel 2004 4,9 milioni di persone sono morte in tutto il mondo per l’esposizione ad alcuni agenti chimici. Oms mo neanche il numero esatto di sostanze chimiche in circolazione sul mercato. L’Unione europea ne ha registrate circa 144mila. I problemi non iniscono qui. Nel 2050 le dimensioni dell’industria chimica saranno triplicate e la fabbricazione dei prodotti si sarà spostata dal Nordamerica e dall’Europa all’Asia e al Sudamerica, dove le norme di sicurezza sono meno rigide. In realtà è stato fatto qualche passo verso la decontaminazione a lungo termine dell’ambiente. Molti paesi non usano più l’amianto o il piombo tetraetile, e la convenzione di Stoccolma elenca 25 sostanze dannose che sono già state vietate o tolte dalla circolazione, tra cui il ddt, la diossina e i pcb. Ma questo elenco equivale a “pochi pixel nella gigantografia della tossicità globale”, avverte Cribb. “Ai ritmi attuali ci vorranno cinquantamila anni per valutare le sostanze che restano”. Per fortuna, gli scienziati hanno cominciato ad accelerare i tempi. Negli Stati Uniti, per esempio, il programma Toxicology in the 21st century (Tox21) mira a rendere i test più rapidi ed economici. Lo scopo del Tox21 è esaminare le conseguenze sulla salute di diecimila sostanze chimiche. I ricercatori useranno il metodo dello screening ad alta velocità, reso possibile dai robot e da computer più potenti, per condurre un gran numero di test chimici. I computer potranno poi cercare ricorrenze in grado di rivelare come le sostanze turbano certi percorsi cellulari e valutarne gli efetti sulla salute. “Così potremo prendere decisioni senza fare troppi test sugli animali”, dice Linda Birnbaum. Questa tecnica ha un altro vantaggio. Potrebbe aiutarci a scoprire se piccole quantità di sostanze chimiche tossiche interagiscono tra loro per farci ammalare, il cosiddetto “efetto cocktail”. Il problema preoccupa gli esperti da anni. I test convenzionali esaminano una sostanza alla volta, ma nel mondo reale siamo esposti a una miscela di sostanze chimiche in dosi che di solito non sono ritenute dannose, come nel caso dei gas di scarico delle auto e dei cosmetici. Ma è dimostrato che, messe insieme, anche piccole quantità di interferenti endocrini possono essere dannose. La Commissione europea sta cercando di individuare quali combinazioni sono più pericolose. Questo potrebbe aprire la strada a un approccio più efficace per affrontare le complessità della sicurezza chimica. u bt Un anno tutto digitale Un unico abbonamento per leggere Internazionale su tablet, computer e smartphone. Economico e puntuale. Un anno, 50 numeri, 65 euro. internazionale.it/abbonati Tutto digitale 65 euro Regalati o regala un abbonamento a Portfolio Gli oggetti della memoria Dando la parola agli oggetti e trasformandoli in simboli Kim Hak racconta l’orrore del regime dei khmer rossi, scrive Christian Caujolle l 17 aprile di quarant’anni fa i khmer rossi entrarono a Phnom Penh. In tre giorni evacuarono la capitale e ci rimasero ino al 1979. Il loro regime del terrore, conside rato uno dei più mostruosi del no vecento, provocò la scomparsa di quasi un terzo della popolazione della Cambogia, lasciando tracce profonde nei sopravvissu ti. Oggi, dopo aver assistito ai processi agli esponenti più importanti del regime di Pol Pot, i cambogiani si preparano a questo tri ste anniversario. Per capire come funzionava il sistema elaborato dai maoisti che, dopo aver studia to alla Sorbona a Parigi, si erano convinti della necessità di afermare il comunismo I 56 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 a tappe forzate (per evitare gli “errori” del le rivoluzioni precedenti) bisogna ricordare che era fondato su divieti assoluti. La francese Laurence Picq, una dei po chi occidentali ad aver vissuto a Phnom Penh in quegli anni (era la moglie di un di rigente khmer) lo racconta bene nel suo li bro Le piège khmer rouge (La trappola dei khmer rossi): “La lingua usata dai khmer rossi si basava sulla seconda grande deci sione, cioè sull’abolizione della proprietà privata. Gli aggettivi possessivi furono sop pressi. Non si poteva dire ‘le mie cose’ per ché nessuno aveva più nulla di personale. Si poteva possedere solo un vestito e un cam bio, una piccola coperta e una zanzariera, che in queste regioni non è certo un lusso. Il tutto poteva entrare in un sacco chiamato ‘fagotto’ (una specie di piccolo zaino). Si lavorava con la zappa di Angkar (il nome del partito, soprannominato ‘ananas’ perché si diceva avesse occhi ovunque). Nei piatti di Angkar si mangiava solamente la zuppa di Angkar alla mensa di Angkar (gli utensili di cucina erano stati sequestrati ed era vietato cucinare per sé). Si beveva l’acqua che Ang kar aveva fatto bollire e che, se poteva, met teva a disposizione. Oltre ai beni materiali, era stato abolito anche il concetto di indivi duo e il pronome ‘io’ era stato sostituito dalla formula generale ‘noiio’”. Il fotografo Kim Hak appartiene alla ge nerazione nata subito dopo il genocidio. è noto per i suoi lavori legati alla memoria e per il suo impegno contro la distruzione dei palazzi più antichi, risalenti all’epoca coloniale o agli anni settanta, spesso sacriicati in nome della speculazione edilizia. Il suo progetto più recente, Alive, è un inventario, molto curato dal punto di vista delle luci, di oggetti che all’epoca del regime di Pol Pot erano stati vietati, erano introvabili o erano stati nascosti. Hak ha intervistato le persone che li hanno disseppelliti o conservati, e attraverso le loro storie dà la parola agli oggetti rendendoli simboli. Una collezione di oggetti della memoria – qualcosa di molto diverso dalle semplici nature morte – che il fotografo vuole regalare alle generazioni future. u adr Forbici e capelli Questa fotograia mi è stata ispirata dalla signora Seung Touch, che ha 79 anni e vive a Battambang. Prima della guerra lavorava come sarta, e queste sono le sue forbici. Sotto il regime dei khmer rossi le donne erano costrette a portare i capelli corti. Non ci si poteva sottrarre alla regola. Seung Touch usò queste forbici per tagliare i capelli a tutte le donne della sua famiglia. Un giorno, mentre aspettavo il nipote (un mio amico) a casa sua, l’ho vista che si tagliava i capelli e le ho chiesto se potevo fotografare le sue ciocche bianche. Krama e ilo spinato Questo krama è di mio padre Kim Hap, che ha 68 anni. Il krama è un capo di abbigliamento tradizionale cambogiano ed è considerato uno dei simboli del paese. Prima di cominciare questo progetto fotograico ho visitato alcune volte il museo Tuol Sleng a Phnom Penh, dedicato al genocidio cambogiano. Negli anni settanta l’ediicio, che all’epoca era una prigione, era recintato con il ilo spinato. Per me il ilo ha assunto il signiicato di coercizione e tristezza. Questa foto riassume l’intero progetto e rappresenta la guerra, il dolore e la soferenza. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 57 Portfolio Fotograia e bustina di plastica L’uomo ritratto in questa foto si chiama Chhoa Thiem, era un amico di mio padre negli anni sessanta. Prima della guerra, durante l’età d’oro della Cambogia, studiavano e uscivano insieme a Phnom Penh. A Chhoa Thiem piaceva scattare foto agli amici durante i picnic o le gite fuori città. Mio padre ha conservato tutte le fotograie in bianco e nero che lui gli aveva regalato per ricordo. Nel 1964 Chhoa Thiem è stato mandato dalla famiglia a studiare in Francia. Da allora mio padre non ha più avuto sue notizie. Ancora oggi non sa se il suo vecchio amico sia ancora vivo. Durante il regime i miei genitori e molti altri si sono sbarazzati di foto e carte d’identità per nascondere il loro passato. Se solo i khmer rossi avessero scoperto chi erano, soprattutto se si trattava di persone istruite, ex funzionari di alto grado, uiciali dell’esercito o anche semplici insegnanti o soldati, sarebbero stati uccisi su due piedi. Chi conservava le foto per ricordare momenti passati e persone care correva un rischio enorme. Mentre lavoravo al progetto ho scoperto quanto fosse forte la determinazione di 58 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 alcuni a conservare gli oggetti a cui erano afezionati. Credevo che i miei nascondessero alcune foto sotto i vestiti, poi ho scoperto che avevano avvolto tutte le loro foto con cura nella plastica e le avevano sepolte nel terreno accanto alla casa in cui vivevano. Sandalo e impronta con spina Questo è di mio padre, Kim Hap. Dopo la guerra ha conservato i sandali per ricordare le tenebre di quel periodo. Chi è sopravvissuto al regime li riconosce subito. Come mi ha detto lui: “Non tutti li avevano. I sandali venivano distribuiti ai soldati khmer rossi e a chi lavorava per loro. La gente comune doveva camminare scalza perino sulle spine”. Cintura d’argento e seta (stile di Prek Changkran) Questo è uno dei cimeli di famiglia che apparteneva a mia madre Mo Rean, di 63 anni. Il mio bisnonno l’ha regalata a mio nonno, che in seguito l’ha donata a mia madre. Ora l’ha ereditata la mia sorella maggiore Kim Sreyroth, nata nel 1972. Questa cintura d’argento, che risale al diciannovesimo secolo, se non prima, viene quindi tramandata da quattro generazioni. Mia madre ha cominciato a indossarla quando aveva quattordici anni. Dopo la ine del regime l’ha portata spesso con questa gonna di seta con motivi tradizionali comprata a Phnom Penh nel 1983. Bollitore e pollo Questo bollitore appartiene alla mia famiglia, che vive a Battambang. Lo possediamo in dal 1970 e lo usiamo ancora tutti i giorni per bollire l’acqua. “Durante il regime di Pol Pot davamo da mangiare ai polli, ma non potevamo toccarli”, mi ha detto mia madre Mor Rean. “A volte ne rubavamo uno di notte e lo cucinavamo per sopravvivere. È un ricordo dolceamaro, ma è per questo che conservo il bollitore e lo uso ancora: custodisce molti ricordi”. Una volta, mio padre si ammalò e lei rubò un pollo, correndo un grosso rischio: lui era debolissimo e lei voleva preparargli un pasto sostanzioso. Però mio padre ebbe così tanta paura di essere ucciso che non osò mangiare il pollo lesso cucinato da mia madre. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 59 Portfolio Taccuini e dente di morto Questi quaderni sono di una donna di nome Gnet Yorn, morta nel 2004 all’età di 93 anni. Durante il regime dei khmer rossi i libri erano vietati. Se qualcuno era sorpreso a leggere da un soldato o una spia, veniva dichiarato istruito e giustiziato subito. Anche la mia famiglia ha rischiato la morte. Mio padre aveva conservato i suoi libri d’inglese e francese. Quando una spia l’ha scoperto, i miei sapevano cosa sarebbe successo. Quella stessa notte fuggirono con le mie sorelle Kim Sreyroth e Kim Tharan e con mio fratello Kim Chanthara , nascondendosi in un altro villaggio, dove riuscirono a mantenere segreto il loro passato. Gnet Yorn corse un rischio enorme conservando tre taccuini in cui aveva trascritto il dharma, l’insieme degli insegnamenti del Buddha. Spesso la notte si nascondeva per leggerli. Ha sempre creduto che in quel periodo lei e la sua famiglia fossero sotto la protezione divina. Ciotola, cucchiaio e riso con spinaci d’acqua sminuzzati Questa ciotola con cucchiaio appartiene alla famiglia di Sot Sineun, che vive nella 60 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 provincia di Battambang. Sineun la usa da prima della guerra e continua a usarla ogni giorno. Il suo ricordo di quegli anni è lo stesso di quello di mia madre e di molti altri. “Durante il regime ci davano pochissimo da mangiare: pochi chicchi di riso al vapore o zuppa di riso annacquata”, mi ha detto mia madre. “Perciò la gente tritava gli spinaci d’acqua e li mescolava a quello che c’era”. Vasetto di terracotta e incenso Questo vasetto era di mia nonna Huot, morta qualche anno fa all’età di 83 anni. Appartiene alla mia famiglia da molte generazioni. Noi usiamo quotidianamente i vasi di terracotta, grandi e piccoli, per conservare riso, sale, olio e la famosa pasta di pesce cambogiana, prahok. In questo mia nonna accendeva i bastoncini d’incenso quando pregava. Ovviamente fondendo la notizia che gli Stati Uniti avrebbero bombardato le città. Ordinarono a tutti di portare con sé solo lo stretto indispensabile, perché sarebbero tornati presto. Molti gli credettero e lasciarono a casa gli oggetti di valore. La popolazione è rimasta chiusa nei campi di lavoro in campagna per l’intero regime, durato tre anni, otto mesi e venti giorni. Diversi sopravvissuti non hanno mai potuto tornare nelle loro case. Il regime di Pol Pot vietava tutte le pratiche religiose e a volte usava le pagode buddiste come teatro dei suoi massacri. Gnet Yorn, morta nel 2004 all’età di 93 anni, riuscì a tenere con sé alcune statuine buddiste. Credeva che fossero state quelle a proteggere la sua famiglia. Malgrado tutto, la fede religiosa è sopravvissuta nel cuore delle persone. u sdf durante il regime dei khmer rossi, non poteva farlo apertamente. Ha continuato a usare il vasetto di terracotta per pregare ino alla ine dei suoi giorni. Prima di lasciarci l’ha dato a me. Oggi faccio come lei, lo uso per accendere i bastoncini d’incenso quando prego. Statuina del Buddha e foglia d’albero della Bodhi Nel 2006, quando ho ristrutturato la mia casa a Phnom Penh, ho trovato questa statuina del Buddha sottoterra. Era appartenuta al precedente proprietario della casa, Keo Sronos. Il 17 aprile 1975, quando occuparono Phnom Penh, le truppe dei khmer rossi allontanarono gli abitanti dalla capitale dif- Da sapere La mostra e il festival u Il progetto Alive di Kim Hak è in mostra al festival Photo Phnom Penh, in Cambogia, dal 31 gennaio al 28 febbraio 2015. Kim Hak è nato a Battambang, in Cambogia, nel 1981. Il programma completo del festival è disponibile all’indirizzo: ppp.institutfrancais-cambodge.com Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 61 Ritratti Amin al Hajj Nome in codice Rummenigge Ronen Bergman, Ynet, Israele Nato in una potente famiglia sciita di Beirut, era disposto a tutto per cacciare i miliziani palestinesi dal suo paese. Così è diventato un agente segreto di Israele e ha favorito l’invasione del Libano nel 1982 A metà degli anni ottanta i servizi segreti israeliani individuarono un nuovo, preoccupante fenomeno in Medio Oriente: gli uomini dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) che l’esercito israeliano aveva cacciato da Beirut costringendoli a rifugiarsi in Tunisia, stavano lentamente tornando in Libano. Era il segno che l’Olp si stava riorganizzando, vaniicando uno dei principali risultati della prima guerra del Libano. I servizi israeliani scoprirono che molti esponenti dell’organizzazione partivano dai campi d’addestramento in Tunisia e Libia, volavano a Cipro e da lì raggiungevano le coste libanesi a bordo di navi e yacht. Il traico marittimo tra il Libano e Cipro era così intenso che impediva agli israeliani di controllare tutte le imbarcazioni in transito. Qualcuno suggerì una soluzione: “Chiamiamo Rummenigge”. Rummenigge era il nome in codice assegnato dai servizi segreti di Tel Aviv ad Amin al Hajj, uno dei più importanti agenti di Israele nella regione. Rummenigge, un musulmano sciita altissimo, astuto e senza 62 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 scrupoli, famoso per i suoi vistosi bai, studiò attentamente il problema e propose una soluzione: prostitute. “Reclutai diverse prostitute d’alto bordo che lavoravano nei night club di Limassol frequentati dagli esponenti dell’Olp”, racconta Al Hajj. “Sotto l’efetto dell’alcol e delle donne spiferavano tutto: chi arrivava, chi partiva e che tragitto facevano”. Rummenigge riceveva informazioni dalle camere d’albergo di tutta Limassol, a cui aggiungeva notizie raccolte dai tassisti di Cipro, dai funzionari della dogana e da altre fonti. Poi passava tutto ai suoi referenti dei servizi israeliani. Le imbarcazioni segnalate da Rummenigge venivano regolarmente fermate dalle navi della marina israeliana con a bordo agenti dell’unità 504 dei servizi segreti, specializzata negli interrogatori. “Il nostro obiettivo era catturare, non uccidere”, spiega un ex agente. “Un interrogatorio era molto più utile di un cadavere”. Quello degli uomini dell’Olp di ritorno in Libano non è stato l’unico problema risolto da Rummenigge. Per trent’anni Amin al Hajj è stato uno dei più importanti agenti Biograia ◆ 1955 Nasce a Beirut, in Libano. ◆ 1978 Comincia a lavorare per l’ex presidente libanese Camille Chamoun e a collaborare con i servizi segreti israeliani. ◆ 1982 Aiuta l’esercito israeliano a preparare l’invasione del Libano. ◆ 1987 Organizza la cattura di cinquanta esponenti dell’Olp. israeliani in Medio Oriente, al centro di una lunga serie di operazioni pericolose, molte ancora coperte da segreto. Ha portato alla cattura di centinaia di terroristi e al ritrovamento di tonnellate di armi, rischiando la vita in più occasioni. Ascoltando i suoi racconti si viene trascinati in un oscuro mondo di intrighi che spesso appaiono incredibili. Ho parlato con diverse figure di spicco dell’ambiente e hanno confermato che Rummenigge ha preso parte a numerose operazioni di primo piano. Alcuni lo ricordano come un insubordinato con la tendenza a comportarsi in modo stravagante ed esibizionista, ma tutti concordano su un fatto: per anni Rummenigge è stato uno strumento fondamentale per Israele, e ha dato un grande contributo alla sicurezza del paese. Caramelle per Imad Ma ora Al Hajj è di nuovo in guerra. Non contro i palestinesi che hanno più volte cercato di farlo fuori né contro i suoi familiari libanesi che fanno parte di Hezbollah o i suoi vecchi amici di Beirut che hanno emanato nove condanne a morte nei suoi confronti, ma contro le stesse persone per cui ha lavorato per tanti anni. “Israele mi ha abbandonato”, spiega con rabbia. “Vivo in Israele con un permesso di soggiorno scaduto, senza diritti, senza assicurazione medica. Tiro avanti grazie all’aiuto dei pochi amici che mi restano. Israele mi ha usato e mi ha buttato via come uno straccio vecchio”. Nato nel 1955 nel quartiere di Dahiyeh, a Beirut, Amin Abbas al Hajj viene da una ELAD GERSHGOREN (YNET) delle famiglie più ricche e inluenti della comunità sciita libanese, la più numerosa del paese. A Dahiyeh molte strade portano il nome dei suoi antenati. Amin è cresciuto in un ambiente molto religioso e legato al nazionalismo libanese, in una casa che ospitava regolarmente i leader del paese, i grandi imprenditori, le più alte cariche religiose e altre persone inluenti. Ha ancora delle foto che ritraggono capi di stato e primi ministri insieme a suo padre, amico intimo del presidente iloccidentale Camille Chamoun (questo avrebbe poi avuto un ruolo fondamentale nella vita di Rummenigge). Sua nonna viveva nella stessa via e da piccolo Amin le faceva visita quasi ogni giorno, per poi andare a giocare in strada con gli amici. Un giorno, mentre giocava, incontrò un bambino che anni dopo avrebbe messo a ferro e fuoco il Medio Oriente. “Un gruppo di bambini un po’ più piccoli di me giocava davanti casa di mia nonna, in via Abbas al Hajj”, ricorda. “Sapevano che mia nonna mi regalava le caramelle e volevano che le dividessi con loro. Quel giorno ho conosciuto Imad”. Imad era Imad Mughniyeh, il futuro comandante dell’ala militare di Hezbollah. Anche la sua famiglia era sciita, ma molto meno ricca di quella di Amin. “Da ragazzi- no Imad era molto dispettoso. Poi mi dissero che era entrato nel campo di addestramento della Forza 17, un’unità di élite palestinese, e ci siamo persi di vista”. Pochi anni dopo il giovane Al Hajj vide il suo paese sprofondare nella guerra civile. Nel 1978 si trovò coinvolto in una battaglia per le strade di Beirut e uccise alcuni palestinesi dell’Olp. Da allora basta la parola “palestinesi” per accendere una iamma d’odio nei suoi occhi. I palestinesi e le forze siriane che li sostenevano misero una taglia sulla sua testa. Chamoun non era più presidente, ma era ancora una igura molto inluente nella politica libanese e riuscì a far nascondere Al Hajj nella parte cristiana della città. Il giovane diventò collaboratore di Chamoun e successivamente capo delle sue guardie del corpo. Fu addestrato dalle guardie di re Hussein di Giordania. Una volta rimase ferito in un attentato contro Chamoun. Fu uno dei tanti episodi in cui Rummenigge rischiò la vita, anche se nella maggior parte dei casi a lasciarci la pelle furono gli attentatori. “Li abbiamo mandati dalle loro madri”, è l’espressione che usa lui, e a quanto pare ha mandato molte persone dalle rispettive madri. Tra la ine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta Al Hajj si avvicinò sempre più a Chamoun e ai legami clandestini tra i cristiani libanesi e Israele. “La famiglia Chamoun aveva grande iducia in Amin e gli aidò una parte dei rapporti con Israele”, racconta una fonte dell’unità 504. “Pensammo che fosse una buona opportunità per avvicinarci a lui”. Il fatto che Al Hajj si trovasse in una posizione così strategica, odiasse i palestinesi e avesse ottime conoscenze in Libano lo rendeva un candidato ideale per i servizi segreti israeliani. Gli uficiali dell’unità 504 cominciarono ad approittare degli incontri a cui lui partecipava come rappresentante di Chamoun per avvicinarlo, finché riuscirono a reclutarlo. “All’inizio gli dicevo semplicemente quello che sapevo. Qualche diceria, storie raccolte in giro e altre informazioni sull’Olp”, racconta. “Ma a ogni incontro volevano sapere di più”. Poco dopo Al Hajj ricevette il nome in codice che lo avrebbe accompagnato per anni. L’assegnazione del nome in codice è un momento cruciale per un agente. L’obiettivo è separare la vera identità della fonte e la persona che riceve le sue informazioni, in modo da proteggere la sicurezza della prima e i suoi rapporti con Israele. Per questo una fonte può avere diversi nomi in codice, a seconda del tipo di prove Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 63 Ritratti che fornisce, di chi le analizza o dell’organizzazione per cui agisce in un particolare contesto. Secondo uno dei primi superiori di Al Hajj, “è il quartier generale dell’unità 504 a scegliere il nome, quasi sempre a caso. Ma io volevo fare qualcosa di diverso. Ero un grande tifoso del Bayern Monaco, e in quel periodo tifare per una squadra tedesca non era normale. Molti amici ce l’avevano con me perché osavo sostenere qualcosa che era legata alla Germania. Così ho deciso di sidarli e rendere omaggio al mio giocatore preferito, Karl-Heinz Rummenigge. Tra l’altro lui e Al Hajj sono nati nello stesso anno”. E così, con il suo insolito nome in codice, Amin al Hajj divenne una spia di Israele. “Con il tempo le mie informazioni non bastavano più, e dovetti organizzare una rete d’informatori in tutto il Libano”, racconta. “Davo un po’ di soldi ad alcuni ragazzi e loro andavano in giro per conto mio. Con gli israeliani avevamo un accordo speciale per le comunicazioni. Loro mi chiamavano nell’uicio di Chamoun da Cipro e mi dicevano che volevano vedermi. Quando ero io a volerli contattare chiamavo il numero di Cipro e dicevo che ero ‘la vecchia volpe’. Poi salivo su uno yacht della famiglia Chamoun e m’incontravo con quelli della 504 su una nave della marina israeliana”. Prima della guerra del 1982 l’unità 504 si occupava principalmente dell’attività dell’Olp in Libano e raccoglieva informazioni sul numero di efettivi e l’ubicazione dei centri di comando del gruppo. Ma con il tempo la rete creata da Rummenigge si allargò. Al Hajj poteva contare su due fonti di alto rango all’interno di Al Fatah (soprannominate Rummenigge3 e Rummenigge4), che gli passavano informazioni in cambio di denaro. Rummenigge giura che i soldi venivano dalle sue tasche e non ha mai chiesto di essere rimborsato. “Eravamo disposti a pagarlo profumatamente”, conferma uno dei suoi referenti dell’unità 504. “Lui però ha sempre riiutato. Una volta ha sbattuto il pugno sul tavolo e ha detto che se avessimo insistito per pagarlo avrebbe troncato tutti i contatti con noi. ‘Sono un patriota libanese’, disse. ‘Lo faccio perché aiutiate il Libano a sbarazzarsi di questi cani maledetti (i palestinesi). Non ho bisogno dei vostri soldi’”. “Ho aiutato Israele perché pensavo che fosse l’unica forza in grado di combattere i palestinesi”, spiega Rummenigge. “Volevo che Israele entrasse in Libano e spazzasse via l’Olp”. A un certo punto la rete costruita da Al Hajj arrivò a contare 15 agenti, e nel giugno del 64 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 “Resterai qui ino a quando lo vorranno queste persone. E gli darai tutto quello che vogliono, altrimenti ti mando in crociera senza la nave” 1982, quando Israele invase il Libano, si rivelò fondamentale. All’epoca Al Hajj usava come copertura un piccolo mercato ortofrutticolo ad Achraieh (un quartiere cristiano di Beirut). Prima dell’invasione il Mossad aveva ampliato i legami con un’altra importante forza del Libano, la Falange cristiana comandata da Bashir Gemayel. A Rummenigge non piacevano afatto. “Allearsi con Gemayel e i suoi è stato un errore madornale. Non avevano nessun ritegno e nessuna morale, e alla ine hanno portato solo guai. Quando gli israeliani hanno invaso il Libano la Falange è entrata a Sidone e ha cominciato a saccheggiare i negozi dei palestinesi e violentare le loro donne. Israele non avrebbe dovuto permetterlo”. Samir non deve parlare Verso la ine del 1982, quando la maggior parte degli esponenti dell’Olp aveva lasciato il Libano per rifugiarsi in Tunisia e l’esercito israeliano si ritirava verso sud, la natura delle operazioni d’intelligence israeliane contro le organizzazioni palestinesi cambiò in modo drastico. Lo stesso accadde alla vita di Rummenigge, che si allontanò da Chamoun e diventò imprenditore. Esportava automobili, bevande, sigarette e sale da Israele, attività che gli permise di accumulare un discreto patrimonio. Qualcuno sosteneva che questo lavoro fosse una copertura per il traico di droga, cosa che Rummenigge smentisce. Comunque i servizi israeliani continuarono a servirsi di lui, nonostante non si comportasse con la discrezione che ci si aspettava da un collaboratore di Israele. “Si vantava continuamente ed era arrogante in modo insopportabile”, ricorda un agente dell’unità 504. “Non perdeva occasione per ricordare a tutti quanto fosse ricco. Guidava macchine sportive e andava in giro con donne bellissime. Avevamo paura di incontrarlo in pubblico perché attirava sempre l’attenzione. Veniva agli incontri con una Mercedes 500 Sel nera, mentre il suo superiore arrivava con una Renault 4 scassata”. Ma Israele aveva ancora bisogno di lui, e così la sua attività commerciale si trasformò in un servizio d’intelligence. Rummenigge ingaggiò marinai che raccoglievano informazioni nei porti a cui Israele non aveva accesso. Alcune delle sue navi venivano usate dall’Olp per trasportare persone e armi, e Al Hajj raccoglieva informazioni sull’organizzazione per poi consegnarle agli israeliani. Uno dei capitani che lavoravano per Rummenigge era Samir Ashari (Rummenigge 13), che si rivelò una fonte di informazioni particolarmente utile. “All’epoca molti palestinesi andavano ad addestrarsi in Libia e in Tunisia”, racconta Al Hajj. “Samir ci riferiva tutti i dettagli, e molte imbarcazioni furono intercettate dalla marina israeliana”. Questa parte della storia inì molto male. L’Olp cominciò a sospettare di Ashari e nell’agosto del 1985 fu catturato a Beirut. “Mi chiamarono dalla nave e capii che Samir era fottuto”, racconta Rummenigge. “Un mio uomo di iducia al porto seguì i rapitori e mi disse che l’avevano portato in una casa nel campo profughi di Ain el Hilweh per interrogarlo. Samir sapeva moltissime cose e conosceva i nostri legami con Israele. Se avesse parlato molti altri avrebbero rischiato la morte. Chiamai la 504 e gli spiegai tutto. Gli diedi le coordinate esatte del luogo dove lo stavano interrogando. Poco dopo un aereo israeliano bombardò la casa uccidendo tutti, incluso il povero Samir. Possa Allah avere pietà di lui. Mi è dispiaciuto molto per lui, era un buon amico. Ma non avevamo scelta”. Le missioni più complesse diventarono la specialità di Rummenigge. L’operazione delle prostitute a Cipro non si limitava alle camere da letto. Rummenigge acquistò una compagnia marittima che operava con due navi sulla rotta Larnaca-Beirut. “Sapevo che gli uomini dell’Olp usavano quelle navi per spostarsi. Appena comprata la compagnia ordinai di imbarcare su una delle navi, la Maria R, il maggior numero di persone per il viaggio successivo”. La notte del 6 febbraio 1987 circa cinquanta esponenti dell’Olp salirono a bordo della Maria R. A cinquanta chilometri al largo di Beirut la nave fu circondata dalla marina israeliana. I passeggeri furono trasferiti nelle strutture sotterranee dell’unità 504 per gli interrogatori. Ma non tutto andò secondo i piani. Il fermo della Maria R fece scattare l’allarme negli uici dell’Olp a Larnaca, e i palestinesi scoprirono che Al Hajj era il proprietario della compagnia. Due killer cercarono di ucciderlo a Limassol, davanti all’hotel dove alloggiava. Rummenig- GILLES PERESS (MAGNUM/CONTRASTO) Beirut, agosto 1982 ge e la moglie scapparono da Larnaca a bordo di una nave da crociera diretta ad Haifa, e da lì furono trasferiti in segreto all’Hilton di Tel Aviv. La copertura delle navi era saltata, ma i palestinesi avevano ancora bisogno di raggiungere il Libano. Israele scoprì che l’Olp aveva avvicinato un agente marittimo cipriota di nome Naoum per cercare di coordinare gli spostamenti clandestini. All’inizio i vertici dello Shin Bet provarono a reclutare Naoum, senza successo. Poi chiesero a Rummenigge di occuparsi della faccenda. Naoum fu invitato da Al Hajj all’hotel Intercontinental di Atene. Con grande sorpresa del cipriota, all’appuntamento si presentarono anche gli agenti dei servizi israeliani. Rummenigge prese la parola e fece a Naoum un’oferta che non poteva riiutare. “Arrivò all’incontro con una ventiquattrore”, ricorda Rummenigge. “Gli chiesi ‘cos’è quella? dov’è la tua valigia?’. ‘Non l’ho portata perché non ho intenzione di fermarmi. Torno a Cipro stasera’, rispose lui. ‘Resterai qui ino a quando lo vorranno queste persone’, gli dissi. ‘E gli darai tutto quello che vogliono, altrimenti ti mando in crociera senza la nave’”. Intanto la rete cipriota di Rummenigge continuava a espandersi. Un parente di uno dei suoi informatori possedeva un ristorante ad Atene frequentato dai funzionari dell’Olp, e presto il locale diventò il centro di un’intensa attività per conto dei servizi israeliani. In seguito si scoprì che il iglio di un informatore era coinvolto in una burrascosa relazione omosessuale con uno dei principali inanziatori di Al Fatah. Le conidenze dell’uomo permisero agli israeliani di scoprire gli intricati sistemi di inanzia- mento dell’organizzazione. Su consiglio di Rummenigge, i servizi israeliani decisero di non rivelare all’informatore l’orientamento sessuale del figlio, “perché altrimenti lo avrebbe ucciso all’istante”. Problemi in famiglia Dopo la vicenda della Maria R, Al Hajj diventò meno discreto a proposito dei suoi legami con Israele. Costruì un lussuoso complesso di uici al conine tra Libano e Israele, e da lì cominciò a coordinare le sue attività commerciali. Per non essere troppo lontano dall’uicio, Rummenigge aittò un intero piano in un palazzo a Nahariya, città israeliana a pochi chilometri dal conine, dove si trasferì con la sua famiglia estesa. Ma alcuni suoi parenti che restarono in Libano pagarono il prezzo della sua scelta. Uno dei suoi fratelli fu arrestato dai servizi segreti siriani e morì durante l’interrogatorio. Un altro fratello fu gettato da un tetto al Cairo. Nel frattempo Hezbollah era diventato una forza di primo piano in Libano. Secondo Rummenigge Israele è responsabile dell’ascesa dell’organizzazione. “Gli israeliani decisero di puntare tutto sul rapporto con i cristiani”, spiega. “Quando invasero il Libano gli sciiti li accolsero con mazzi di iori. Ma poi gli israeliani li trattarono come cani, e questo ha posto le basi per la nascita di Hezbollah”. Molti familiari di Al Hajj hanno ricoperto posizioni importanti all’interno di Hezbollah. Alcuni dei suoi parenti scrissero un articolo su un giornale legato all’organizzazione per annunciare l’espulsione di Al Hajj dalla famiglia. Lui sa bene che non potrà mai tornare in Libano, ma alla ine degli anni ottanta è entrato in con- litto con i servizi segreti israeliani. Al centro della questione c’era un ordine di alcuni veicoli destinati all’unità 504, per cui Al Hajj non aveva ricevuto il denaro pattuito. Portò la faccenda in tribunale, ma perse la causa. Da allora le cose sono andate di male in peggio. Rummenigge fu accusato di aver falsiicato il suo passaporto. “Era un passaporto libanese che avevo continuato a rinnovare con l’approvazione della 504”, racconta. “E poi, solo perché erano arrabbiati con me, hanno detto che era illegale”. Rummenigge venne arrestato e incarcerato per diversi giorni, ma fu rilasciato quando alcuni esponenti dei sevizi segreti confermarono di averlo autorizzato. In seguito Al Hajj è inito di nuovo nei guai per l’acquisto di un peschereccio che fu coniscato dalle autorità egiziane. Andò in Egitto per risolvere la questione ma fu arrestato dagli egiziani, che minacciavano di deportarlo in Libano. Al Hajj si rivolse ad alcuni parlamentari israeliani che avevano fatto parte dei servizi segreti, e solo così fu autorizzato a tornare in Israele. Da allora non ha più potuto lasciare il paese. Va avanti con un permesso di soggiorno temporaneo scaduto, senza mezzi di sostentamento e arrabbiato con il mondo intero. Pochi mesi fa ha avuto un colpo apoplettico ed è stato ricoverato in ospedale, dove si trova tuttora. Riceve le cure di cui ha bisogno da medici che sanno del suo passato e hanno ordinato il suo ricovero nonostante non abbia un’assicurazione sanitaria. “Non riesco a capire perché mi trattano in questo modo dopo tutto quello che ho fatto per loro”, dice dal suo letto d’ospedale. “Sono in molti ad avere buone ragioni per lamentarsi di lui”, spiega uno dei suoi vecchi referenti. “Ma se fosse stato un santo non avrebbe potuto aiutarci. Sono proprio le persone come lui che cerchiamo. Averlo abbandonato è una vergogna”. In risposta alle proteste di Al Hajj, l’uicio del primo ministro, responsabile della gestione del Mossad, ha rilasciato il seguente comunicato: “Nel 1995 è stato stabilito che Amin al Hajj ha diritto all’assistenza per i collaboratori delle forze di sicurezza. Ma dato che ha interrotto i contatti con l’amministrazione la procedura riguardante il suo status in Israele non è stata completata. Se Al Hajj si presenterà per risolvere la pratica saremo disposti a riesaminarla”. A diferenza di quanto ha dichiarato l’uicio del primo ministro, però, Rummenigge sostiene di non aver mai interrotto la pratica per il riconoscimento della sua attività di agente, semplicemente perché non è mai stata avviata. u as Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 65 Viaggi San Francisco non si ferma La città californiana è da sempre al centro di eventi che hanno cambiato il mondo: dalla corsa all’oro allo sviluppo delle nuove tecnologie Q uando arrivo all’Hotel Tomo di San Francisco, l’unico albergo J-pop (Japanese pop) in cui sia mai stato negli Stati Uniti, mi accolgono tre schermi che proiettano in streaming le immagini di cartoni animati giapponesi. Il distributore automatico vende mattoncini da assemblare Gigo e buste di fagioli edamame. Stare nella mia stanza è come entrare in un fumetto, con un gigantesco manga che occupa tutta una parete. I corridoi sono del colore delle caramelle Opal Fruits e quando spengo la luce il taccuino sulla scrivania continua a illuminarsi al buio per diversi minuti. “Rinvigoritevi con la positività”, c’è scritto sul sito dell’albergo, e mentre guardo un gruppo di ragazzi che organizza in corridoio una sorta di festa per studenti di informatica, mi sento talmente rinvigorito dalla positività che quasi mi viene da essere un po’ negativo. Siccome siamo a Japantown, il quartiere giapponese di San Francisco, sicuramente i genitori dei ragazzi alloggeranno al vicino Kabuki, che ofre riposanti giardini zen e musica rilassante da massaggi shiatsu. Le due strutture appartengono alla stessa catena alberghiera, che ha la sfacciatagine di chiamarsi Joie de vivre (Gioia di vivere). Tra i due ediici luccicano noodle bar a buon mercato e pacchiani negozi di origami. La comunità giapponese di San Francisco ha quasi 150 anni, e nel 1850, in piena corsa all’oro culminata l’anno precedente, in città c’era già un giornale pubblicato interamente in cinese. Un’ora dopo, uscendo dal Tomo – che come molti alberghi della baia si trova in 66 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 una tranquilla zona residenziale di case basse ad appena dieci minuti di auto dai grattacieli del centro – scopro un sentiero che passa tra un gruppo di case dai colori brillanti circondate di aiuole. Alla ine mi ritrovo sul Fillmore corridor, tra parrucchieri per cani e negozi di yogurt biologico. Tipico di questa città. A San Francisco tutto sembra all’avanguardia, ed è sempre stato così. La città potrebbe essere la casa spirituale della teoria di Marx sulla rivoluzione permanente. Cinquant’anni fa i miei genitori si sono trasferiti a Santa Barbara, lungo la strada tra San Francisco e Los Angeles: da allora ho visto Los Angeles trasformarsi in un posto infernale, mentre San Francisco continua a sfornare modi nuovi e avveniristici di godersi la vita. Somiglia in maniera sospetta al paradiso. Milionari in erba Questo paradiso fu celebrato negli anni cinquanta dalla beat generation. Nel decennio successivo arrivarono gli hippy e un mondo in cui tutto sembrava possibile. Non fecero in tempo ad andarsene che negli anni settanta gli omosessuali del quartiere Castro trasformarono una sottocultura in una comunità autosuiciente. Intanto a Berkeley, dall’altra parte della baia, i ristoranti “dall’orto alla tavola” cominciavano a cambiare la nostra concezione del cibo. Poi negli ultimi anni del secolo scorso la rivoluzione informatica ci ha cambiato la vita, e San Francisco è stata la culla di una nuova dimensione: il ciberspazio. Negli ultimi tempi i custodi di un’altra rivoluzione di San Francisco – la gente di strada e gli artisti, attirati da un’atmosfera che sembra incoraggiare la marginalità e l’immaginazione – stanno combattendo contro gli alieri dell’ultima rivoluzione, i milionari in erba di Google e Facebook. Dopo aver fatto impennare i prezzi degli aitti già stratosferici, i nuovi ricchi passano davanti ai senzatetto sfrecciando sulle CHRISTIAN HEEB (LAIF/CONTRASTO) Pico Iyer, The Guardian, Regno Unito navette aziendali climatizzate che li portano nella Silicon valley (45 minuti a sud). Twitter e Yelp si sono stabilite nel cuore della città, un tempo degradato, e molti temono che l’intera metropoli stia per trasformarsi in un dormitorio per ingegneri e investitori che vivono in pittoresche case vittoriane afacciate sull’oceano e ogni giorno fanno la spola verso i loro futuristici complessi aziendali. Questo scontro tra progressisti irriducibili e giovani ilantropi sostenitori del “don’t be evil” (il motto aziendale di Google per un uso corretto dei dati) si è trasformato in un’opportunità. Lo sguardo più critico sull’idealismo talvolta inquietante di Google lo ha gettato Dave Eggers nel suo romanzo Il cerchio (Mondadori 2014). Eggers è un altro idealista di questa città e si è crea- San Francisco, il grattacielo Transamerica Pyramid to anche lui il suo utopico impero delle comunicazioni. È sempre stato così: quando fu scoperto l’oro, non lontano da dove adesso si trova San Francisco, nel giro di due anni un insediamento di 812 persone diventò una città di quasi 25mila abitanti rinomata per le sale scommesse e i bordelli. Perché la seconda corsa all’oro dovrebbe essere diversa? La prima volta che ho sentito la parola microclima è stata a San Francisco, una città dall’umore talmente volubile che anche in estate si sentono le sirene da nebbia delle navi, mentre le temperature variano anche di 12 gradi da un isolato all’altro. Quando mi alzo la mattina, guardando la itta nebbia estiva che ridà forma ai grattacieli e ai campanili delle chiese, non riesco a capire se mi trovo nella grigia e gelida Europa o nell’as- Informazioni pratiche ◆ Documenti. Chi vola negli Stati Uniti deve avere il passaporto con microchip elettronico o a lettura ottica e l’autorizzazione Esta (Electronic system for travel authorization). Va chiesta online almeno 72 ore prima della partenza. Costa 14 dollari, e si può pagare solo online con una carta di credito (1.usa.gov/1dyNDP5). ◆ Arrivare Il prezzo di un volo dall’Italia per San Francisco (Klm, American Airlines, Air France) parte da 714 euro a/r. ◆ Dormire L’hotel Tomo, nel &1"( quartiere di Japantown, ofre l’attrezzatura per fare yoga e bici per girare la città. Il prezzo di una doppia parte da 185 dollari a notte. ◆ I lettori consigliano Il Green tortoise hostel ofre un posto letto per 29 dollari a notte in camerate comuni o 84 dollari in camere doppie. È aperto ventiquattr’ore al giorno e si trova in centro, nel quartiere di North beach (hostel.greentortoise.com). ◆ Leggere Rebecca Solnit, Ininite City: a San Francisco atlas, University of California 2010, 38 euro. ◆ La prossima settimana Viaggio lungo il golfo di Botnia, in Lapponia, tra la Svezia e la Finlandia. Avete suggerimenti su tarife, posti dove dormire, libri? Scrivete a [email protected]. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 67 Viaggi solata California. In auto vado a vedere le case galleggianti sotto il sole di Sausalito. Il giorno dopo, invece, mi perdo nel deserto e nei cieli azzurri di Tilden park a Berkeley. Quando Mark Twain disse che l’inverno più freddo lo aveva passato in estate a San Francisco dimenticò di precisare che però a Marin county, dall’altra parte del Golden gate, o a est oltre il Bay bridge, a metà di cembre sembra di essere in estate. Ogni quartiere a San Francisco vive in un univer so tutto suo. Passeggiando in uno degli ulti mi angoli bohémien, su Valencia street, vici no al centro, leggo su un murale che il quar tiere sta nascendo e morendo allo stesso tempo. Un chiropratico ofre massaggi gra tuiti e un bar per hipster promette sushi “come lo faceva la mamma”. Una libreria indipendente – ce ne sono tante a San Fran cisco – ogni sabato ofre un’ora di medita zione zen prima dell’apertura. Quindi mi imbatto in un negozio dedicato al mondo dei pirati, gestito dall’impero di Dave Eg gers, che è anche un centro didattico per i bambini che offre corsi di sostegno e di scrittura. Una libreria ogni sabato ofre un’ora di meditazione zen prima dell’apertura Anche le istituzioni a San Francisco sembrano mobili e pronte a trasformarsi come i suoi tassisti tatuati. Era qualche an no che non andavo al Golden gate park (do ve si tenevano i concerti gratuiti dei Grate ful Dead) e al mio ritorno trovo una foresta pluviale di quattro piani e le profondità del la barriera corallina esposte in una scatola di vetro, la nuova California academy of the sciences progettata da Renzo Piano. Oltre l’ampio piazzale di fronte c’è l’elegante De Young museum, progetto di Herzog & de Meuron, che dall’osservatorio al nono pia no permette di ammirare le nuvole che spesso coprono la città. Accanto, davanti al silenzioso Japanese tea garden, dei ragazzi sfrecciano sui Segway (quelle specie di mo nopattini elettrici che da qualche anno cir colano nelle grandi città) verso un vendito re ambulante che serve “cucina indiana gourmet”, mentre dall’altra parte del parco dei bisonti pascolano all’interno di un re cinto. Scendendo al mare, tra i moli 15 e 17, si può visitare l’Exploratorium, un museo in terattivo dedicato alla isica fondato dal i sico Frank Oppenheimer. Nelle vicinanze 68 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 c’è il Presidio, un’ex base militare che oggi ofre dei percorsi escursionistici e dove sor gono anche gli uici della Industrial light & magic, l’azienda specializzata in efetti spe ciali fondata dal regista e produttore cine matograico George Lucas. Non lontano c’è Baker beach dove è nato il festival Burning man. Quando sono a San Francisco cerco di non andare in centro, che con i suoi grandi magazzini e i marciapiedi pieni di gente non è molto diverso da Chicago. Giro inve ce per i quartieri vicini, dove dopo un po’ non capisci più se sei in città o in cam pagna. Guardarsi allo specchio Sì, la “Baghdad sulla baia” (chiamata così perché, come la capitale irachena, ospita culture e comunità diverse) a volte sembra un po’ troppo compiaciuta di sé: i manifesti sugli autobus pubblicizzano “l’Università della migliore città di tutti i tempi” e le tar ghe delle auto proclamano “better in Ber keley”. Del resto è diicile discutere una città in cui sfogli un giornale alternativo e ci trovi la pubblicità della pizza indiana. Il giorno pri ma del mio arrivo l’Erotic ball and expo, un festival erotico nato nel 1979, aveva preso possesso dell’auditorium da 12mila posti. C’era anche un “sitin nudista” per rivendi care il diritto di camminare nudi per strada. Il giorno dopo ci sono state le sculacciate in pubblico – per beneicenza – alla Folsom street fair, con psicanalisti gay e feticisti della pelle. San Francisco ci tiene a non conformar si alle aspettative. E anche se la città passa gran parte del tempo a guardarsi allo spec chio, non si può negare che quello che vede rilesso è qualcosa di magniico, di unico. Siamo abituati ad associare Los Angeles al cinema, ma in realtà è a San Francisco che per la prima volta sono state messe su pelli cola delle immagini in movimento (nel 1878, dall’immigrato inglese Eadweard Muybridge) e dove è avvenuta l’ultima rivo luzione nei ilm d’animazione (grazie alla Pixar di Steve Jobs). Los Angeles ci regala immagini, ma è San Francisco a produrre visioni che cam biano continuamente il mondo. Se la Cali fornia, come credo, è la casa segreta del futuro, la Bay area è la California della Cali fornia. u fas L’AUTORE Pico Iyer è uno scrittore e giornalista britannico. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è L’arte della quiete (Rizzoli 2015). A tavola Il ramen californiano u “Negli Stati Uniti è diicile sepa rare il ramen dallo chef David Chang del ristorante Momofuku”, scrive The Art of Eating. “La sua curiosi tà ha prodotto una piccola rivoluzio ne gastronomica: il bacon afumica to del Tennessee al posto dei iocchi di tonnetto essiccato nella prepara zione del dashi, il tradizionale brodo che è alla base del celebre piatto giapponese. Un cambiamento sim bolico, capace di dimostrare che era possibile preservare l’integrità del ramen anche reinventandolo con in gredienti nuovi”. La creazione di Chang è diventata un classico del Momofuku noodle bar di New York e ha reso popolare il piatto giappo nese in tutti gli Stati Uniti, dove ne gli ultimi anni i locali che servono ramen si sono moltiplicati. Un esempio di questa nuova ondata di ristoranti è il Ramen Shop di Oakland, dall’altra parte della baia di San Francisco, dove i cuochi usa no tutta la loro conoscenza gastro nomica per dar vita a versioni inno vative e imprevedibili dei noodle in brodo giapponesi. Fondato da tre ex dipendenti di Chez Panisse, Ramen shop punta a fare con la cucina giapponese quello che il ristorante di Alice Waters ha fatto con quella francese: reinter pretarla in modo innovativo con un tocco tipicamente californiano e usando esclusivamente ingredienti freschi e locali. “Il brodo alla base del piatto è la cosa più importante: l’obiettivo è raggiungere quel punto in cui i sapori trovano un equilibrio e una profondità perfetti. Per arrivarci servono miglioramenti continui e molto tempo”. Così, nel locale di Oakland può capitare di assaggiare un shōyu ramen, cioè con salsa di so ia, a base di brodo vegetale profu mato di limoni Meyer con funghi e broccoli, o, d’estate, uno shio ramen con galletti, alghe nori di Mendoci no, cipollotti, uova marinate alla so ia, crescione e maiale chāshū. Graphic journalism 70 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Leila Marzocchi è un’autrice di fumetti italiana. Il suo ultimo libro è Niger vol. 4 (Coconino press/Fandango 2012). Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 71 Cultura Arte VASILy MAxIMoV (AfP/GeTTy IMAGeS) La mostra alla galleria Tretjakov di Mosca Mostra di riparazione Valentin Djakonov, Vlast, Russia La galleria Tretjakov rende omaggio a Georgij Kostaki, uno dei principali collezionisti di arte d’avanguardia russa a galleria Tretjakov di Mosca da decenni dedica un’attenzione particolare ai capolavori dell’avanguardia russa. In una mostra che chiuderà l’8 febbraio espone alcuni tesori appartenuti a Georgij Kostaki: duecento opere delle oltre ottocento che il collezionista consegnò alla galleria prima di abbandonare l’Unione Sovietica nel 1977. Non è la prima volta che la galleria prova a rendere omaggio all’“eccentrico greco” che scoprì l’avanguardia russa contemporaneamente ai più noti studiosi mondiali. Una mostra simile era stata organizzata nel L 72 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 1997, ma era già troppo tardi: Kostaki è morto nel 1990. Questa nuova mostra è più importante, non solo per il numero di opere esposte. C’è stata una più stretta collaborazione con gli eredi, che hanno portato a Mosca un ritratto del collezionista e diverse opere di artisti ritenuti minori, ma comunque parte integrante dell’avanguardia. Insomma un grande evento e un’autentica testimonianza del valore della collezione di Kostaki. L’autista dell’ambasciata Georgij Kostaki nacque a Mosca nel 1913. Suo padre era un ricco commerciante di tabacco arrivato dalla Grecia. Molti greci emigrati in Russia non parteciparono alla rivoluzione, ma rimasero comunque nella capitale, dove le loro capacità produttive e negli afari erano evidentemente apprezzate. A 19 anni Kostaki si sposò con Zinaida Pamilovaja, una contabile della fabbrica di tabacco Java. Due anni prima suo fratello Spiridon, un noto corridore motociclista, gli aveva trovato un lavoro come autista all’ambasciata di Grecia. Per tutto il periodo che trascorse in Unione Sovietica Kostaki rimase legato agli ambienti diplomatici (prima greco, poi canadese). Non rivestì mai alte cariche, ma in quel periodo lavorare in un’ambasciata di un paese capitalista ofriva comunque una relativa sicurezza. Nei momenti più diicili – per esempio quando fu costretto ad abbandonare l’ambasciata greca perché Atene aveva interrotto le relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica a causa del patto Molotov-Ribbentropp – gli tornarono utili la sua esperienza come autista e la sua buona conoscenza del mercato nero, che all’epoca era molto difuso. È suiciente dire che Kostaki nel 1930 viaggiava su una vistosa automobile statunitense. Quale tipo di compromessi con il Kgb abbia comportato il suo lavoro non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai. Tuttavia è diicile credere che Kostaki fosse estraneo agli intrighi politici e di spionaggio dell’epoca. Grazie al suo lavoro molto ben retribuito Kostaki cominciò a collezionare oggetti di antiquariato e piccoli dipinti olandesi del seicento (molto più economici delle tele di grandi dimensioni). Proprio in quel momento l’avanguardia subì un duro colpo. La direttiva sulla ristrutturazione delle organizzazioni letterarie e artistiche, emessa dal HeNRI CARTIeR-BReSSON (MAGNUM/CONTRASTO) Georgij Kostaki nel suo appartamento di Mosca, 1972 comitato centrale del Partito comunista nel 1932, chiuse il dibattito sulla nuova arte e sul suo ruolo nella costruzione di una società socialista. I circoli e le associazioni lasciarono il posto alle monolitiche unioni degli artisti, degli architetti e degli scrittori. L’avanguardia inoltre non era una corrente omogenea, ma un insieme sparso di irme polemiche. La direttiva stabiliva le regole del gioco: venivano messe al primo posto le esigenze della propaganda e dell’ideologia, la pittura di genere e quella storica nella tradizione dei pittori realisti e dei loro nemici giurati, gli accademici. Ma lo sguardo di Kostaki era molto lontano da questi ambienti. La Striscia verde Non si sa esattamente quando Kostaki abbia cominciato a collezionare i quadri delle varie correnti dell’avanguardia. Dai suoi racconti sembra che sia stato intorno al 1956. Il noto collezionista Igor Vasilevič Kačurin, esperto di libri e di graica, decifratore della direzione centrale dei servizi segreti, regalò a Kostaki un quadro di Olga Rozanova intitolato Striscia verde (1917) accompagnandolo con le parole: “Glielo regalo, tanto lei colleziona qualsiasi schifezza e di sicuro le piacerà”. Rozanova era sposata con uno dei fondatori del futurismo in poesia, Aleksej Kručënych, e aveva prodotto alcune opere sotto la direzione di Malevič, fondatore del movimento artistico del suprematismo. Poi aveva litigato con lui e ave- va cominciato a dipingere lavori astratti molto semplici. Il titolo del suo quadro è una descrizione asettica: una tela bianca non molto grande attraversata da una striscia verde verticale. Per Kostaki quel dipinto fu una rivelazione. Da quel momento cominciò a collezionare solo opere dell’avanguardia, coltivando allo stesso tempo conoscenze molto interessanti. Strinse amicizia con il fotografo e artista Aleksandr Rodčenko e sua moglie Varvara Stepanova, ma spesso si consultava con l’esperto e collezionista Nikolaj Chardžiev, che Rodčenko non amava molto. Chardžiev consigliò a Kostaki di collezionare solo opere di geni come Malevič, Tatlin, Chagall, tenendosi lontano dai loro epigoni e seguaci. Kostaki per fortuna non lo ascoltò, creando una collezione composta non solo dai fondatori dell’una o dell’altra corrente, ma anche da altri artisti. Nella mostra alla galleria Tretjakov ci sono molti nomi quasi sconosciuti. C’è Kandinskij, ma c’è anche il suo allievo Vasilij Bobrov. A una parete è appeso un quadro di Filonov e poco distante ce n’è uno di un suo studente dal nome gogoliano: Vsevolod Angelovič Sulimo-Samuillo. Kostaki aveva la sensazione che i successi ottenuti dai nomi più grandi sarebbero rimasti incomprensibili senza le interpretazioni delle formule da loro scoperte. Ma pochi erano in grado di capire quello che Kostaki sentiva. Tra questi c’erano alcuni direttori di musei, come il direttore del Vasilij Puškarev e gli studenti degli istituti universitari più progressisti, che andavano in pellegrinaggio al suo appartamento. L’entusiasmo di quegli studenti è rimasto a lungo un’eccezione: l’avanguardia russa è diventata un tema accettabile per la stampa uiciale sia di massa sia accademica solo dopo la mostra MoscaParigi del 1980. Nella seconda metà degli anni settanta, Kostaki cominciò a essere sottoposto a notevoli pressioni. Si tratta di una storia poco chiara: forse il collezionista aveva dato fastidio a qualcuno. Comunque la sua dacia fu bruciata con parte della sua collezione e ci fu un furto nel suo appartamento di Mosca. In pratica gli fecero capire che la sua presenza in Unione Sovietica era sgradita. Kostaki riuscì a ottenere il diritto di uscire dal paese pagando come prezzo quasi metà dei suoi preziosi quadri, le opere migliori. La galleria Tretjakov ne ha 834. Sono molte, ma il Museo di arte contemporanea di Salonicco, al quale Kostaki ha donato il resto della sua collezione, conserva altri 1.275 quadri. Per colpa degli intrighi di qualcuno abbiamo perso un’enorme parte delle opere di una delle più interessanti fabbriche di idee del novecento. È una vergogna, e nessun progetto solenne riuscirà a porvi rimedio. Ma questa mostra è un’occasione unica per esplorare l’avanguardia russa in tutte le sue sfumature. u af Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 73 Cultura Cinema Italieni Dalla Francia I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista israeliana sivan kotler. Marcia indietro 74 Il sindaco di Villiers-surMarne vieta la proiezione di Timbuktu, poi ci ripensa Il 16 gennaio Jacques Alain Bénisti, il vivace sindaco di centrodestra di Villiers-surMarne, ha deciso di togliere dalla programmazione del cinema comunale il ilm Timbuktu di Abderrahmane Sissako, acclamato a Cannes, candidato all’Oscar come miglior ilm straniero e a ben otto César. Bénisti ha spiegato a Le Parisien che dopo gli attentati di Parigi voleva evitare che dei ilm potessero fare “apologia del terrorismo”. Ma Timbuktu racconta l’assalto Timbuktu ideologico dei jihadisti in un villaggio del Mali, il loro divieto di giocare a pallone, di ascoltare musica e via così. Il sindaco evidentemente non l’ha visto ed è stato costretto a fare marcia indietro. È stato mal interpretato, ha spiegato Bénisti sul suo blog. Voleva evitare tensioni, soprattutto in alcuni quartieri “sensibili”, visto che nella città è cresciuta Hayat Boumeddiene, la compagna di Amedy Coulibaly. Quindi ha rinviato la proiezione per accompagnarla con un dibattito. Il sindaco si era distinto nel 2005 per un rapporto in cui proponeva di individuare i futuri delinquenti attraverso una valutazione psichiatrica nelle scuole materne ed elementari. Ma non è così cattivo. Infatti è tra i irmatari di una proposta di legge per classiicare il cavallo tra gli animali domestici. Timbuktu uscirà in Italia il 12 febbraio. Libération Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T Re H E gn D o AI U L n Y L E i to T EL Fr F EG an I G ci A R a R A O PH T C HE an G ad L a OB E T A Re H E N D gn G M o UA U A ni R D IL T t o IA Re H E N gn I o ND U n E L I i to P E N Fr BÉ D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Il nome del iglio Di Francesca Archibugi. Italia 2014, 110’ ●●●●● Questa recensione di Il nome del iglio andrebbe accompagnata da Telefonami tra vent’anni di Lucio Dalla, che segna, raccoglie e conclude l’insieme delle sequenze di un ilm ben fatto. Con una regia precisa anche quando lascia spazio alla spontaneità, Francesca Archibugi torna con un gruppo di attori selezionati in modo accorto e ci presenta una pellicola che va oltre la buona idea alla base dell’originale francese Cena tra amici da cui è tratta, aggiungendo tonalità italiane che illustrano un modo di essere: pieni di sé e disperatamente bisognosi dell’approvazione degli altri. La scelta del nome per un iglio che deve ancora nascere, tira fuori il peggio che lega e separa quattro amici d’infanzia. Nessun elemento è lasciato al caso. L’amore, la delusione e la silenziosa e intima convinzione di essere meglio degli altri. I tanti argomenti presenti sono ben sviluppati e di grande attualità, da una Roma che non è più in grado di riconoscersi ino ai tui nostalgici nella villa in campagna della famiglia Pontecorvo (cognome non casuale). Ideologie, convinzioni e scelte che uniscono e separano. Attraverso questi temi Archibugi riesce a raccontare una storia sulla diferenza tra ciò che crediamo di essere e ciò che realmente siamo. Media turner 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 bIg eyes 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 bIg hero 6 11111 - 11111 11111 - 11111 exoDus 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 gone gIrL 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 Lo hobbIt 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 the IMItatIon gaMe 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 MoMMy 11111 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 - La teorIa DeL tutto 11111 - - 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 unbroken 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 1c111 - 11111 - 11111 - Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 - 11111 I consigli della redazione Still Alice Richard Glatzer e Wash Westmoreland (Stati Uniti, 99’) Hungry hearts Saverio Costanzo (Italia, 109’) In uscita Gemma Bovery Di Anne Fontaine. Con Fabrice Luchini, Gemma Arterton. Francia 2014, 99’ ●●●●● Jean Renoir (nel 1933), Vincente Minnelli (nel 1949) e Claude Chabrol (nel 1991) l’hanno già fatto. Ma con Gemma Bovery, Anne Fontaine non ha voluto realizzare l’ennesima versione di Madame Bovary. E per resuscitare Flaubert ha preferito partire dalla graphic novel di Posy Simmonds, una specie di variazione contemporanea sul mito di Emma Bovary. Nel ilm, la trasp0sizione dal romanzo alla realtà contemporanea avviene grazie al personaggio interpretato da Fabrice Luchini: Martin, un ex editore ossessionato dalla letteratura, che fugge da Parigi nella Normandia delle sue origine per riprendere il mestiere del padre, il panettiere. Gemma Arterton è invece Gemma Bovery, una bella ragazza britannica, arrivata insieme al marito nel grazioso villaggio di Martin per sfuggire alla follia londinese. Un dettaglio. Il marito di Gemma si chiama Charles. Quando Martin scopre il nome dei suoi vicini il suo sangue letterario comincia a bollire. La vita insegue la letteratura e i coniugi Bovery vanno verso lo stesso destino degli eroi descritti da Flaubert. Quello che Martin ancora non sa è che Gemma, con un semplice gesto della mano, scatenerà in lui un uragano erotico e in breve la sua ossessione per lei sarà pari per intensità a quella che nutre per il romanzo. Solo Fabrice Luchini, con uno sguardo che oscilla continuamente tra tenerezza e follia, poteva dare corpo a un simile personaggio. Di fronte a una coppia d’ingle- Gemma Bovery si leggermente caricaturale, Luchini incarna tutta la Francia, profonda e colta, arroccata nella sua misantropia ma in troppo pronta a cedere di fronte alla vertigine della bellezza. Questo ilm si guarda con un certo piacere e fa venir voglia di andarsi a rileggere il romanzo di Flaubert. La ine, che non è il caso di svelare, è forse la parte più riuscita. Franck Nouchi, Le Monde Turner Di Mike Leigh. Con Timothy Spall. Regno Unito/Germania/ Francia 2014, 149’ ●●●●● Il ilm di Mike Leigh sull’ultimo quarto della vita di William Turner (dal 1826 al 1851) è il meraviglioso ritratto di un artista ossessivo, di un uomo famoso che sceglie di vivere in modo anonimo. Turner (un incredibile Timothy Spall) dorme vestito, vaga in solitaria con un album da disegno sotto il braccio tra il Kent (il porto di Margate) e i Paesi Bassi, issa il sole basso sull’orizzonte dall’alto di una scogliera. Quando torna a Londra parte all’assalto della Royal Academy in redingote e cappello a cilindro, o nella sua casa si scaglia sulle tele con la veemenza di un protoespressionista astratto: le colpisce con il suo pennello e con i co- lori fatti di sputo e terra. Timothy Spall ha un mento sfuggente, una bocca piccola che si spinge in su, verso un naso senza forma. È una faccia che scoraggia ogni tipo di esame. Questo Turner vuole guardare e non essere guardato. E non vuole neanche essere troppo ascoltato. Dal tubo intasato che è la sua gola emergono faticosamente per lo più sillabe indistinte (una serie di variazioni tra il ringhio, il grugnito e il ruggito. Una meravigliosa messa in scena – che ricrea il primo, cupo periodo vittoriano, soprattutto nelle radiose vedute di campagna o del mare – fa da sfondo ai quadri dell’artista, con lo splendore del bianco, dell’oro, dell’ocra, dell’arancione e del rosso. Nel cast, oltre a Spall, emergono Martin Savage, Lesley Manville e Marion Bailey. La fotograia è irmata da Dick Pope. David Denby, The New Yorker Unbroken Turner Mike Leigh (Regno Unito/Germania/ Francia, 149’) Unbroken Di Angelina Jolie. Con Jack O’Connell Domhnall Gleeson. Stati Uniti 2014, 137’ ●●●●● Unbroken è una storia che parla di resistenza, e richiede una certa resistenza anche allo spettatore. In un certo senso è inevitabile, vista la natura straziante del racconto e la sua intrinseca mancanza di suspense. Il titolo non è Broken, quindi non lascia molti dubbi su come andrà a inire. Ed è anche un peccato, visto che il ilm è una versione cinematograica lunga e lenta di un romanzo di successo, scritto da Laura Hillenbrand, che celebra una singolare forma di eroismo. Il soggetto del ilm è Louis “Louie” Zamperini, morto nel luglio del 2014, a 97 anni, dopo una vita, almeno in parte, avventurosa e molto diicile. Ed è la parte che racconta il ilm di Angelina Jolie: dopo aver corso i cinquemila metri alle Olimpiadi del 1936, durante la seconda guerra mondiale fu nell’equipaggio di un bombardiere abbattuto sopra il Paciico. Riuscì a sopravvivere per 47 giorni prima di essere salvato da una nave giapponese e inire la guerra in un campo di prigionia tra indicibili torture. Il ilm è stato scritto da Joel ed Ethan Coen, Richard LaGravenese e William Nicholson. Quattro grandi scrittori. Eppure la sceneggiatura guarda il suo protagonista da una certa distanza emotiva, con grande attenzione alla sua forza interiore, ma poca ai suoi sentimenti più profondi. Unbroken per un po’ è interessante (Angelina Jolie dimostra ottime doti come regista), ma poi diventa ripetitivo e alla ine risulta sbilanciato e noioso. Joe Morgenstern, The Wall Street Journal Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 75 Cultura Libri Spagna Dalla Germania L’eredità del cancelliere La biograia non autorizzata di Helmut Kohl inisce in tribunale Pilar Eyre Estrada Mi color favorito es verte Planeta Durante una vacanza sulla Costa brava, la scrittrice s’innamora di un giornalista francese che scompare improvvisamente. Pilar lo cerca seguendo gli indizi ambigui che lui lascia dietro di sé. Pilar Eyre Estrada è nata a barcellona nel 1951. ALbErTo CrISTofArI (A3/CoNTrASTo) Milena Busquets También esto pasará Anagrama Vivace libro di sapore autobiograico. La protagonista piange la morte della madre, ma nel suo ricordo riscopre la voglia di vivere. María Frisa Cómo sobreviví a la madre de Pavlito (con uve) Espasa Calpe frisa racconta con ironia la vita di una quarantenne che potrebbe essere lei, con un marito, dei igli, una madre, una suocera, un lavoro e una passione smodata per lo shopping e il gin tonic. Maria Sepa usalibri.blogspot.com 76 Anche prima di essere pubblicato, Vermächtnis. Die KohlProtokolle (L’eredità. Il protocollo Kohl) di Heribert Schwan e Tilman Jens, ha scatenato un vespaio. Le dichiarazioni di Kohl contenute al suo interno, che non risparmiano nemmeno Angela Merkel, iniammano da mesi lo scenario politico-mediatico tedesco. Il libro si basa su circa 630 ore di interviste realizzate da Schwan tra il 2001 e il 2002 per curare l’autobiograia di Kohl. Nel 2009, a metà della stesura del quarto volume, Schwan è stato rimosso dall’incarico, secondo lui per colpa dell’attuale moglie dell’ex cancelliere. Ad agosto MICHAEL DALDEr (rEUTErS/CoNTrASTo) Belén Gopegui El padre de Blancanieves Debolsillo Una professoressa di ilosoia, sposata e madre di tre igli, protesta con il supermercato perché non le consegna la spesa nei tempi concordati. Di conseguenza il responsabile viene licenziato. Gopegui è nata a Madrid nel 1963. Helmut Kohl nel maggio del 2013 2014, Kohl (che ormai praticamente non parla più) ha ottenuto da un tribunale la restituzione dei nastri. Ma Schwan ha tenuto delle copie e delle trascrizioni e, a ottobre, la richiesta di Kohl di bloccare la pubblicazione del libro è stata respinta. Un nuovo colpo di scena è arrivato quando il tribunale di Colonia ha stabilito che un certo numero di citazioni siano tolte dal libro. Nel frattempo, mentre l’editore aspetta l’esito del ricorso, il libro ha venduto più di duecentomila copie. Der Spiegel Il libro Gofredo Foi Irritante e geniale Michel Houellebecq Sottomissione Bompiani, 252 pagine, 17,50 euro La voce che narra è di un intellettuale parigino, specialista di Huysmans, disperatamente mediocre, cui l’umanità non interessa, anzi lo disgusta. Anima nera e bersaglio dell’autore è un “buono a niente” ma acutissimo e spietato osservatore dei suoi simili e dei loro riti, misogino e primario nelle sue aride pratiche sessuali, un cerebrale che sa però vedere e capire. L’azione Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 è tra pochi anni, dentro una mutazione che porta a compimento una crisi europea. Un abilissimo leader musulmano francese va al potere, grazie a un’alleanza elettorale delicata con la sinistra, e impone le sue riforme – strutturali, profonde, determinate da scelte culturali (la chiave è l’educazione, la scuola), non economiche – verso la nascita dell’“Eurabia”, un impero nuovo a cui inisce volentieri per sottomettersi una popolazione estenuata da conformismi e consumismi. Per il narratore convertirsi all’islam non è solo un modo di mantenere la sua posizione, ma di trovare nuove eccitazioni e ragioni di vita. Sottomettersi è bello, altri pensano e decidono per te (in Italia le conversioni sarebbero più facili e veloci, specialmente tra intellettuali, giornalisti ed educatori). Houellebecq ha scritto una profezia attendibile che è anche un grande romanzo, una comica “educazione sentimentale” dentro la nostra dismissione e il nostro possibile futuro. Irritante e geniale, va letto e discusso. u I consigli della redazione Joe Sacco La grande guerra (Rizzoli Lizard) Il romanzo Karen Joy Fowler Siamo tutti completamente fuori di noi Ponte alle Grazie, 311 pagine, 18 euro ●●●●● Il romanzo di Karen Joy Fowler è così intelligente e gustoso da leggere che merita tutta l’attenzione che gli si può dedicare. La protagonista, Rosemary Cooke, vive in da piccola sotto osservazione, in un lungo esperimento casalingo in cui ha come sorella gemella una scimpanzé adottata. Mentre gli altri bambini sono sballottati tra asilo e babysitter, Rosemary lo è tra esercitazioni di laboratorio e studenti universitari, e soprattutto l’onnipresente Fern, con gli occhi color ambra e il pannolone. Anche se è una bambina, Rosemary sa che le tappe del suo sviluppo sono comparate a quelle della scimpanzé. A cinque anni, la mandano per qualche settimana dalla nonna: quando torna, scopre di aver perso la sua gemella. Improvvisamente, inspiegabilmente, in casa non c’è più Fern, e con lei tutta l’allegra comitiva degli studenti. Nessuno parla più dell’esperimento. Ai bambini hanno detto che Fern è stata mandata in una “fattoria”, e che non era possibile andarla a trovare, perché questo avrebbe disturbato la transizione di Fern che stava imparando a socializzare con gli animali della sua specie. Rosemary deve fare lo stesso. Si ritrova gettata in un asilo dove gli altri bambini iutano GERAINT LEWIS (WRITER PICTURES AGENCy/RoSEBUD2) La bambina e lo scimpanzé Karen Joy Fowler subito che la nuova compagna di classe ha delle abitudini che si possono deinire scimmiesche. La chiamano “la ragazza scimmia”. C’è qualcosa di non completamente umano in Rosemary, e lei lo sa. Il meglio che può fare è sopravvivere a un’infanzia senza amici e dirigersi all’Università della California, a Davis, per mettere mezzo continente tra lei e la propria reputazione. Sembra destinata all’isolamento ino a quando non s’imbatte in Harlow. Tutti stanno lontani da questa ragazza dagli abbondanti capelli neri e dall’energia animalesca, ma Rosemary non resiste al suo fascino. Per Rosemary, la cosa più dura è ricordare. Passo dopo passo, si addentra nel passato attraverso lunghi lashback. Così scopriamo che ha uno strano vuoto di memoria sui dettagli della dipartita di Fern. Barbara Kingsolver, The New York Times Blaine Harden Fuga dal campo 14 (Codice) Zak Ebrahim Il iglio del terrorista Rizzoli, 144 pagine, 16 euro ●●●●● Zak Ebrahim ha lottato per tutta la vita con due sogni opposti. Il primo – la fantasticheria di un bambino – era che il padre assente tornasse un giorno da lui. Il secondo – la dura aspirazione di un ragazzo – era di potersi togliere di dosso tutte le tracce del padre e del suo “odio omicida”. Nel 1990, quando Ebrahim aveva sette anni, il padre egiziano El Sayyid Nosair uccise Meir Kahane, il rabbino estremista fondatore della Lega di difesa ebraica. Tre anni dopo, mentre era in prigione, aiutò a progettare l’attacco al World Trade Center. Ebrahim ha passato la vita a fare i conti con il padre terrorista e a “lottare con il sentimento devastante di essere in qualche modo complice per via del sangue”. Raccontando la sua storia, spera di “ofrire il ritratto di un giovane che è cresciuto tra i fuochi del fanatismo ma ha abbracciato la nonviolenza”. La vita di Ebrahim è un eloquente appello ai terroristi – e più in generale a chiunque commetta violenza a causa del bigottismo e dell’odio – perché si fermino e considerino l’impatto che hanno sui igli. Il suo racconto parla della soferenza dei bambini che a Gaza, in Israele, in Iraq, in Siria o in Nigeria sono coinvolti nell’intolleranza rabbiosa degli adulti. Ebrahim voleva credere a tutti i costi nell’innocenza del padre. Era un bambino, e non poteva pensarne male. Ma anni dopo, quando era abbastanza grande da leggere i dettagli del raid della polizia a casa sua dopo l’omicidio, Ebrahim ha capito che il padre gli aveva mentito. Il messaggio del libro è che il fanatismo è una scelta. “Anche se sei stato Sonali Deraniyagala Onda (Neri Pozza) addestrato a odiare, puoi scegliere la tolleranza”. L’autore capisce il triste fallimento di suo padre. “Ha preferito il terrorismo alla paternità, e l’odio all’amore”, spiega. “Mio padre ha preferito il terrorismo a me”. Steven Levingston, The Washington Post Liza Marklund I dodici sospetti Marsilio, 400 pagine, 18,50 euro ●●●●● La giornalista Annika Bengtzon sta festeggiando con la sua famiglia quando riceve una telefonata: Michelle Carlsson, una conduttrice tv bella e famosa, è stata assassinata, e lei deve seguire la storia. Come nei gialli classici, tutto si svolge all’interno di un ambiente molto ben deinito, che in questo caso è l’élite del mondo televisivo. Ma l’elemento che rende signiicativi ed eccitanti i romanzi di Liza Marklund non è la trama criminale. I suoi sono moderni romanzi di formazione in cui una donna deve attraversare la giungla di un mondo dominato dai maschi, con il perenne senso di colpa di essere una madre poco presente per via del lavoro. Un suo tema ricorrente è la competizione tra donne che vorrebbero essere solidali ma invece sono costrette dalle circostanze a essere nemiche. Marklund descrive tutto questo con una rara sensualità attenta ai profumi e agli odori di un ambiente che altrimenti rimarrebbe asettico, e con una capacità di ritrarre onestamente tanto la sessualità maschile quanto quella femminile. Alla ine, il vero mistero del libro è questo: perché donne straordinarie si innamorano così spesso di uomini ordinari e noiosi? Bo Tao Michaëlis, Politiken Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 77 Cultura Libri Marsha Mehran Istituto di bellezza Margaret Thatcher Neri Pozza, 222 pagine, 16,50 euro ●●●●● La scrittrice iraniana Marsha Mehran è stata trovata morta nel suo appartamento in Irlanda nell’aprile del 2014. Mehran aveva 36 anni e il manoscritto del suo ultimo romanzo che esisteva in diverse versioni incomplete è stato messo a punto dai suoi editori per la pubblicazione postuma. Anche se le reali cause della sua morte non sono state ancora chiarite, sembra che l’autrice fosse quasi in uno stato di possessione mentre scriveva il romanzo, cosa che non è diicile immaginare considerato l’argomento. All’alba della rivoluzione khomeinista, un gruppo di esuli iraniani a Buenos Aires s’incontra per letture settimanali di poesia persiana. Molti di questi versi hanno una forte componente di misticismo, e grazie al misticismo ogni esule riscopre la bellezza e il signiicato. Come le opere precedenti di Marsha Mehran, anche questo libro è pieno di personaggi vividi e di dettagli riccamente sensuali. Kerryn Goldsworthy, Sydney Morning Herald Jorge Zepeda Patterson I corruttori Mondadori, 354 pagine, 18 euro ●●●●● Il Messico si sveglia ogni giorno con notizie sulla criminalità organizzata. Almeno, quelle che per la loro importanza emergono nelle pagine di cronaca. E che cosa accadrebbe se la notizia del giorno fosse la morte di una delle attrici più famose del paese, assassinata e mutilata? Questo giorno ipotetico e quelli che seguono sono immaginati nel primo romanzo del giornalista Jorge Zepeda Patterson, che ofre un panorama fedele del Messico contemporaneo. Un paese su cui incombe la tragedia a causa di una gigantesca corruzio- ne. La storia si svolge nel dicembre del 2013, e si presta a essere letta in tempo reale, come un giornale. Avvalendosi degli strumenti della narrativa Zepeda Patterson compone un racconto luido che ha i colori di un ilm, ma una nebbia grottesca e minacciosa alle spalle: il nemico non è un killer assoldato, come in molti noir, ma la corruzione e la politica compromessa con la criminalità. Il protagonista è Tomás, che si trova implicato in una situazione tra la vita e la morte, tutto per qualcosa che ha pubblicato sul quotidiano El Mundo e che collega il delitto dell’attrice a un uomo molto potente di nome Augusto Salazar. La tragicommedia della politica messicana diventa un thriller, che ha anche una vena sentimentale, perché Zepeda Patterson ha voluto mostrare l’umanità del suo protagonista, un giornalista che cerca di informare. Ma in Messico informare è pericoloso. Livio Avila, La Vanguardia Non iction Giuliano Milani Un’altra Europa Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra Alegre, 128 pagine, 12 euro La battaglia contro l’austerità è stata la ragione principale per cui Syriza ha vinto le elezioni. L’alleanza con il partito dei Greci indipendenti dimostra che sarà anche il suo obiettivo politico principale, lo stesso verso cui un po’ ovunque sembrano conluire forze politiche diverse tra di loro. In questo libro, due autori che ne hanno già dedicato uno a Syri- 78 za (Tsipras chi?, Alegre 2014) raccontano il movimento spagnolo Podemos, il suo leader Pablo Iglesias, la particolare combinazione di strategie comunicative e democrazia telematica che lo fa somigliare, per certi versi, al Movimento 5 stelle, ma con molta attenzione alle decisioni condivise e una forte impronta antifascista. Nonostante tutto, però, anche in Spagna sembra proprio l’opposizione all’austerità imposta dall’Europa il carburante del successo. Questo non stupisce in un paese in cui Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 il ceto medio è stato così duramente colpito, e dove tuttavia gli abitanti, secondo i dati Ocse dell’ottobre 2014, riportati dal libro, ogni anno lavorano trecento ore in più dei tedeschi e duecento in più dei francesi. Se i cittadini continueranno a veder diminuire la loro ricchezza mentre lavorano sempre di più sarà diicile per loro non appoggiare una formazione che promette un’alternativa alle politiche che li hanno ridotti sul lastrico: in Grecia, in Spagna e altrove. u Ragazzi Un futuro per tutti Cristina Nenna Fatù e la stella dei desideri Valentina edizioni, 28 pagine, 12 euro. Illustrazioni di Lorenzo Terranera Edward Makuka Mkoloso, direttore dell’accademia nazionale della scienza dello Zambia, sognava di portare in orbita il primo astronauta africano. Non ci riuscì, per motivi tecnici e burocratici. Ma in Africa sono ancora in tanti a sperare che questo sogno possa trasformarsi prima o poi in realtà. Tra di loro c’è sicuramente Fatù, una bambina senegalese dagli occhi grandi e dalle belle treccine nere. Fatù è curiosa, guarda sempre il cielo e quando il maestro le dice che la distanza percorsa dalla luce in un anno è di quasi 9.500 miliardi di chilometri, lei sgrana gli occhi felice di apprendere tante cose nuove. Fatù vuole raggiungere quella luce irraggiungibile. Vuole volare così in alto per riuscire a toccare le stelle con un dito. Però lei vive in campagna, dove la vita è dura e la siccità prosciuga i sogni. Ma sarà Adil a ridare slancio alla sua voglia di andare a spasso tra stelle e pianeti. Il libro pur rimanendo in una cornice classica dove l’Africa è rappresentata dal villaggio, dall’acacia e dal pentolone, riesce comunque a evitare gli stereotipi attraverso una storia che ci parla di personaggi con un certo spessore. Il testo è stato patrocinato dall’Unicef e il messaggio inale è chiaro: ogni bambino merita un futuro pieno di bellezza. Igiaba Scego Ricevuti Sergej Esenin Nei pressi di Acquabianca Via del vento, 36 pagine, 4 euro Racconto di un amore sul punto di inire e diario per immagini di un viaggio negli Stati Uniti. John Berger Cataratta Gallucci, 70 pagine, 12,50 euro Monologo interiore sul miracolo del recupero della vista, accompagnato dai disegni di Selçuk Demirel. Dimitri Deliolanes La sida di Atene Fandango, 231 pagine, 16 euro L’evoluzione del partito Syriza e la politica del premier greco Alexis Tsipras contro l’Europa dell’austerità. Jared Diamond Da te solo a tutto il mondo Einaudi, 123 pagine, 13 euro Le side della società contemporanea tra antropologia, geopolitica e analisi culturale, esaminate da uno dei più importanti studiosi delle civiltà. Claude Lanzmann L’ultimo degli ingiusti Skira, 138 pagine, 15 euro Dal suo omonimo documentario del 2013, il regista e scrittore Claude Lanzmann ha tratto un libro nel quale riabilita la igura di Benjamin Murmelstein, rabbino nel “ghetto modello” di Theresienstadt. Alan Bennett Gente Adelphi, 127 pagine, 12 euro Invece di rivolgersi ai servizi sociali, due eccentriche anziane decidono di aittare la loro cadente casa nella campagna britannica a un produttore che vuole trasformarla nel set di un ilm porno. Domenico Quirico Il grande califato Neri Pozza, 234 pagine, 16 euro Un viaggio nei luoghi dove nasce il gruppo Stato islamico, da Istanbul alla Nigeria, per raccontare la costruzione del grande califato. Alexie Sherman Diario assolutamente sincero di un indiano part-time Rizzoli, 242 pagine, 16,50 euro Un ragazzo della tribù degli Spokane, menomato da una malattia avuta alla nascita, decide di abbandonare la riserva, perché è maltrattato dai suoi coetanei. Uwe Johnson La maturità del 1953 Keller, 302 pagine, 16,50 euro Mentre si preparano per l’esame di maturità, alcuni ragazzi di una cittadina della Repubblica Democratica Tedesca cominciano a sentire un profondo desiderio di libertà. Claudia Roth Pierpont Roth scatenato Einaudi, 412 pagine, 22 euro La biograia e la vita letteraria dello scrittore statunitense Philip Roth. Simon Levis Sullam I carneici italiani Feltrinelli, 147 pagine, 15 euro Almeno la metà degli arresti degli ebrei italiani tra il 1943 e il 1945 fu condotta da italiani, anche autonomamente, senza ordini o indicazioni da parte dei tedeschi. Un fatto che si tende a rimuovere. Fumetti Burocrazia magica Luke Pearson Hilda e il gigante di mezzanotte Bao publishing, 48 pagine, 14 euro Un fumetto sull’infanzia e per l’infanzia (ma non solo), che ci parla di un mondo contemporaneo e insieme atemporale, chiaramente ambientato nel Nordeuropa. Là il soprannaturale è perfettamente inserito nel quotidiano. Ma gli adulti, rispetto a un mondo infantile intrinsecamente magico, lo percepiscono con maggiori diicoltà anche quando sono d’animo buono come la madre della piccola Hilda, bambina un po’ folletto dai capelli blu, protagonista del fumetto. È come se fosse un’altra dimensione, parallela alla nostra e con elementi simili. Ci si può camminare sopra, passare attraverso. Alla ine, dopo aver riempito un mucchio di scartoie burocratiche, si potrà percepire il mitico “piccolo popolo” nella sua totalità, con un mondo in minia- tura che si sbroglierà ai nostri piedi. Ma la burocrazia dei minuscoli folletti, volta a sdrammatizzare il soprannaturale attraverso un umorismo un po’ paradossale, non è quella dei ilm animati Disney, belli ma assassini dell’angoscia (poetica e catartica) delle iabe originarie. Qui invece l’angoscia in parte rimane e rimanda all’immaginario di certa cultura ebraica, alla igura del golem. Del resto c’è chi crede realmente all’esistenza di folletti o piccoli diavoli dispettosi, le cui azioni sarebbero mescolate agli eventi legati al caso. La piccola Hilda mescola ogni cosa in maniera semplice, naturale: cerca di mettere in relazione tutti – la madre, l’omino di legno, i giganti guardiani della Terra – sottraendoli alla loro solitudine e legandoli alla minuscola multitudine del “piccolo popolo”, grazie alla fantasia e al senso poetico di un giovane autore da non perdere di vista. Francesco Boille Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 79 Cultura Musica Dagli Stati Uniti Tv On The Radio Milano, 6 febbraio, magazzinigenerali.it Chitarra, basso e due ragazze Tricky Bologna, 6 febbraio, estragon.it; Firenze, 7 febbraio, log.it; Torino, 8 febbraio, hiroshimamonamour.org Sono le Girlpool, diciottenni di Los Angeles Levi Weaver Mantova, 1 febbraio, facebook.com/arcivirgilio Tenacious D Milano, 4 febbraio, alcatrazmilano.com Uk Subs + Tv Smiths, Milano, 5 febbraio, lo-i.milano.it; Bologna, 6 febbraio, covoclub.it Tr/St Bologna, 10 febbraio, locomotivclub.it; Roma, 11 febbraio, circoloartisti.it; Torino, 12 febbraio, astoria-studios.com 18+ Segrate (Mi), 5 febbraio, circolomagnolia.it Fish Milano, 8 febbraio, bluenotemilano.com Jimmy Edgar Milano, 31 gennaio, tunnel-milano.it Levi Weaver 80 Quando Harmony Tividad e Cleo Tucker sono insieme l’efetto è quello di un fulmine, anche quando cantano piano. Il sound delle Girlpool è molto preciso: le due ragazze cantano, una suona la chitarra e l’altra il basso. Tutto qui, senza altri strumenti o percussioni. “La nostra musica è scarna, ridotta al minimo”, dice Tucker. “Se una di noi sbaglia qualcosa se ne accorgono tutti per forza. Siamo fatte così, non cerchiamo di nasconderci. Vogliamo solo essere sempre noi stesse”. Le canzoni parlano di giova- ALICE BAXLEY Dal vivo Girlpool ni donne vulnerabili con un tono grezzo ed esplicito, e afrontano con concretezza la coscienza del fatto che in fondo sbagliamo tutti e cerchiamo almeno di non farlo sempre. La loro prima uscita è stata un ep su cassetta nel 2014. Poi hanno irmato un contratto con la Wichita, eti- chetta britannica che è un punto di riferimento della musica indie. Ora la loro carriera sta decollando: si sono trasferite da Los Angeles a Filadelia, oltre alla ristampa del loro debutto in vinile sta per uscire un nuovo singolo, Chinatown, e i loro concerti arrivano anche in Europa. In pochi mesi le Girlpool sono già molto cresciute, soprattutto nell’uso delle voci, e la produzione è più ariosa. Ma per fortuna continuano a esserci chitarre da quattro soldi come prima. E i testi non cambiano: “Sono agitata per domani e per oggi”. Lars Gotrich, Npr Playlist Pier Andrea Canei Nebulosa dello yodel Benjamin Clementine London Ghaneano di origine, londinese precario con fasi da poeta parigino homeless, saltatore di barriere del métro, pianista sopraino e tenorino lirico-drammatico e autodidatta esistenziale: un talento con qualcosa di sovrannaturale, anima e piedi nudi e talento da regalare. Ma si possono ignorare tutte queste cose ascoltando il torrente di soul che sgorga dal suo At least for now tra cascate di pianoforte in mezzo a sparuti arrangiamenti per orchestra e pulsazioni elettroniche, Chuck Berry e Kate Bush che si rotolano su un materasso d’ebano e avorio. 1 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Panda Bear Boys latin Lo yodel come arma segreta del pop più evoluto. In genere fa troppo “le caprette ti fanno ciao” ma in mano al leader storico degli Animal Collective, che si è appena riafacciato da solista con l’album Panda Bear meets the grim reaper, diventa un contrappunto vocale a quell’elettronica disturbata che ne rispecchia le inquietudini. Capofamiglia, non più ragazzo, anima che vaga tra tormente della maturità e tormenti della mortalità. Un capolavoro fallato di cui (quasi come un potenziale Pet Sounds) sarà interessante seguire l’ainamento. 1 La linea del pane Solstizio d’inverno “Qui la nebbia è contagiosa / qui la nebbia è ogni cosa”. Qui siamo al nord e in un mood da chansonnier padanoparigino-prog, da ballata conclusiva di un album che in dal titolo (Utopia di un’autopsia) tradisce una propensione a imbarcarsi in percorsi tortuosi, in concetti impegnativi. Eppure, al netto di quella issazione con umori decadentisti, emerge nel lavoro di questo trio (che sembra guscio protettivo al meditabondo piglio del cantante-chitarrista Teo Manzo) una pulizia sonora d’altri tempi, che funziona al meglio con canzoni ed emozioni semplici. 1 Pop/rock Scelti da Luca Sofri Dr e quella house. La grande forza di Ghost Culture è la capacità di scrivere canzoni al conine tra la dance e il pop d’avanguardia. Holger Fleischmann, Die Presse The Charlatans Modern nature (Chrysalis) ●●●●● Dopo la morte del batterista Jon Brookes per un tumore al cervello, i Charlatans si sono stabiliti nel Cheshire per registrare “canzoni che potessero renderci felici”, come spiega il leader Tim Burgess. A sostituire Brooks ci sono Pete Salisbury dei Verve, ma anche Stephen Morris dei New Order e Gabriel Gurnsey dei Factory Floor, due musicisti conosciuti per la precisione da metronomi più che per il tocco allegro. Il pezzo d’apertura Talking in tones risulta piuttosto cupo, ma dal secondo brano, So oh, i Charlatans cominciano a mantenere le promesse. Sostenuta da un vivace giro di basso e da un organo Hammond, la canzone suona molto west coast, e questo calore rimane ino al termine dell’album. Let the good times be never ending, forse il pezzo più interessante, ha una crescita graduale in stile Doors e un pizzico di follia alla 5th Dimension. Partendo da una grande tristezza, i Charlatans hanno composto un gioioso elogio funebre e forse l’album migliore della loro carriera. Lanre Bakare, The Guardian Björk Vulnicura (One Little Indian) ●●●●● La cantante avant pop che gridava nelle strade di New York è scomparsa nel 2001 con Vespertine. Dopo Homogenic, capolavoro che bilanciava melodia e sperimentazione, è arrivato Medúlla, ma da quel momento l’autrice si è inilata in una tana da cui non è più uscita. Vulnicura sorprende: possiamo inalmente abbracciare Björk senza intellettualismi e delusioni. Di questo sono reDr Ghost Culture Ghost Culture (Because Music) ●●●●● Le canzoni del musicista e produttore londinese Jason Greenwood, che si fa chiamare Ghost Culture, sono poco luminose, un po’ come la stanza in cui si è fatto ritrarre per la copertina dell’album. Il suo suono techno algido e oscuro, comunque, riesce a risplendere con un cantato e delle melodie fragili che a molti critici ricordano il synth pop anni ottanta dei Depeche Mode. Altre inluenze sono i Kraftwerk e in generale la musica techno D’Angelo and the Vanguard Black messiah (Rca) The Decemberists Album The Decemberists What a terrible world, what a beautiful world (Rough Trade) ●●●●● I Decemberists sono famosi per costruire i loro album intorno a concetti molto elaborati e ispirati a cose tipo l’opera o i racconti popolari giapponesi. All’ultimo, ha spiegato il leader Colin Meloy, “manca completamente un concettoguida, grazie al cielo”. In efetti What a terrible world, what a beautiful world è una delle cose migliori mai fatte dalla band di Portland, che per la prima volta da molto tempo non sembra compiaciuta della sua bravura. Meloy è libero di esplorare quel che gli pare nei testi, e il clima rilassato si rivela perfetto per tutto il gruppo, a cominciare da The singer addresses his audience, che apre il disco con un coro e una spettacolare cacofonia di strumenti. È bello ascoltare un disco tanto in pace con se stesso e con gli alti e bassi della vita. Sì, ci sono le tragedie, ma anche l’amore, la pietà e la speranza. James Reed, Boston Globe Maximilian Hecker Spellbound scenes of my cure (Eat The Beat Music) Björk The Decemberists What a terrible world, what a beautiful world (Rough Trade) sponsabili due eventi della sua vita, uno disastroso e uno proicuo: la ine della relazione con Matthew Barney e la collaborazione con il produttore Arca. La struttura dell’album è quella di un trittico che ne contiene altri più piccoli. Il primo delinea la ine di un amore, il secondo afronta il momento subito dopo la rottura, nel terzo c’è la cura. È il suo Blood on the tracks che però obbedisce a un rigido formalismo. Detto ciò, è ben lontano dall’essere ermetico: Stoner emoziona e commmuove, e ci riporta agli splendori di Jóga e Isobel. Non è certo la colonna sonora giusta per una cena tra amici, ma rimane un’opera rigorosa e impegnativa in cui immergersi solo con delle cuie. Peter Tabakis, Pretty Much Amazing Viet Cong Viet Cong (Jagjaguwar) ●●●●● Dalle ceneri dei Women è nato qualcosa di più grande chiamato Viet Cong, un amalgama krautrock/garage/psych/ noise/post punk che opera in un ecosistema tutto suo. Preceduto da una cassetta demo fatta uscire in sordina l’anno scorso, il disco d’esordio dei Viet Cong sembra il primo lavoro drone-rock davvero originale dai tempi di Cryptograms dei Deerhunter. Con suoni distorti e cuciti insieme, il gruppo fonde i vecchi synth di Brian Eno con chitarre alla Interpol e psichedelie che ricordano i 13th Floor Elevators. Esplorando una dimensione tanto ambiziosa quanto desolata, forse ha provato a comporre l’ultimo album postpunk. Scoprire che ci sono riusciti non è una cattiva notizia. Jeremy D. Larson, Spin Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 81 Cultura Video In rete Echoes of tsunami Primo Levi. Il volto e la voce Venerdì 30 gennaio, ore 21.15 Rai5 Approfondimento sui temi affrontati da Levi nella sua opera: la vita nel lager, la diferenza tra “sommersi” e “salvati”, la “banalità del male”, il dovere della memoria e l’importanza di raccontare attraverso la narrazione. Bill Cunningham New York Sabato 31 gennaio, ore 16.15 Sky Arte Da cinquant’anni il fotografo del New York Times gira in bicicletta immortalando vip e gente comune e ha creat0 uno straordinario archivio sulla storia della moda e della città. Le cattedrali della cultura Sabato 31 gennaio, ore 21.10 Sky Arte “Se gli ediici potessero parlare, cosa direbbero di noi?”. Una serie in cui sei famosi documentaristi hanno il compito di rispondere raccontando un’icona architettonica. In contemporanea su Sky 3d. Vita di un anarchico Mercoledì 4 febbraio, ore 21.30, Rai Storia Combattente, militante, prigioniero, cospiratore, soldato, coninato, bombarolo, esule. Umberto Tommasini, fabbro anarchico, ha attraversato il novecento, diviso tra empatia per il mondo che lo circondava e desiderio di cambiarlo. Trieste la contesa Venerdì 6 febbraio, ore 22.15 Rai5 Attraverso i racconti dei suoi abitanti, Elisabetta Sgarbi compone un ritratto di Trieste, città di conine e teatro di importanti studi storici, religiosi e culturali. 82 Dvd Dentro Le Monde Il caso ha voluto che il dvd di Les gens du Monde, documentario sul quotidiano francese presentato a Cannes, uscisse pochi giorni dopo l’attacco a Charlie Hebdo, a cui è diicile non pensare vedendo le immagini della redazione al lavoro. Il ilm di Yves Jeuland segue le riunioni, le tensioni e le discussioni interne e il lavo- ro dei reporter sul campo (durante mesi segnati dalle presidenziali del 2012 e dallo scandalo Strauss-Kahn) per raccontare come un’istituzione del giornalismo europeo, con quasi settant’anni di storia, tenti di coniugare la qualità dell’oferta con le trasformazioni imposte dalla rete. rezoilms.com echoesoftsunami.com Sono passati dieci anni dallo tsunami che il 26 dicembre 2004 causò oltre duecentomila morti e un milione di sfollati, soprattutto tra Indonesia e Sri Lanka. Nei due paesi era attiva da tempo Action contre la faim, che grazie alla sua presenza sul campo fu una delle prime ad avviare le operazioni di soccorso. Per ricordare la ricorrenza l’ong, fondata in Francia nel 1979, ha realizzato questo reportage documentando la tragedia attraverso registrazioni sonore, che si attivano grazie alla webcam quando l’utente chiude gli occhi per ascoltare. Le registrazioni sono accompagnate dal racconto di quanto è successo in quattro tra le aree più colpite, dove l’ong ha fornito aiuti per l’assistenza e la ricostruzione. Fotograia Christian Caujolle Arākī e i suoi seguaci Il bravo recensore fa bene a ripetersi di non tornare troppo spesso sugli stessi argomenti o sulle stesse pubblicazioni. Ma c’è poco da fare: a volte i fatti hanno la testa dura e s’impongono. Per questo siamo costretti a tornare sulla nuova pubblicazione di Foam, il magazine del Museo della fotograia di Amsterdam. Qualche puntiglioso seccatore potrà obiettare che Foam cavalca l’onda di una moda che sta facendo salire vertiginosamente Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 i prezzi dei libri di foto giapponesi. Ma l’ultima uscita, dedicata ad Arākī e ai suoi seguaci, è davvero notevole. Le variazioni della carta, accompagnate da un gran lavoro tipograico, danno il ritmo di un enorme portfolio su qARADISE, ultimo lavoro, volutamente provocatorio, del maestro giapponese. Di fatto è un portfolio in due versioni con due punti d’ingresso a seconda di come si legge: all’occidentale o alla giapponese, come con un og- getto a testa in giù. È un’opera connotata dalla morte – un omaggio loreale alla moglie morta di cancro – e dalla vanità. Ed è un’occasione per scoprire dei nuovi talenti. Come Mayumi Hosokura, che usa colori sontuosi per dialogare con gli ibridi di Azuma Makoto e le allucinazioni di Motoyuki Daifu. Del resto quando Arākī, che irma un bel testo di introduzione, è il pretesto per qualcosa, l’aspettativa è enorme. u Cultura Arte Giuseppe Penone (656) Musée de Grenoble, ino al 22 febbraio Dieci anni dopo la retrospettiva al Centre Pompidou, Giuseppe Penone ha riunito quarant’anni di produzione e di lavori che tornano ciclicamente ai suoi temi preferiti: pelle, corteccia, albero, natura. Il percorso è avvolto da un unico afresco epidermico lungo cinquanta metri, disegnato a carboncino sulle pareti bianche del museo. Penone è il mago della materia. Il palo scavato lascia aiorare le venature del legno. Il cuoio lavorato diventa corteccia. Migliaia di spine di acacia sulla carta di seta disegnano labbra giganti. Il marmo di Carrara venato di blu sembra morbido come pelle. Gemme di resina emergono come perle dai rami di un albero. Libération Pipilotti Rist, Worry will vanish horizon ALex DeLfANNe (COURTeSy THe ARTIST, HAUSeR & WIRTH AND LUHRING AUGUSTINe, NeW yORk) Le buone maniere Zkm, Karlsuruhe, ino al 5 marzo Una volta, per essere cortesi, era necessario dissimulare, non dire e non chiedere. Una dama modellata o dipinta da un signore, per esempio, non poteva chiedere allo spettatore: “Come mi vedi? Cosa cerchi in me?”. Nell’installazione dell’artista concettuale statunitense Lynn Hershman Leeson, si guarda una donna dal buco della serratura. “Si prega di guardare lontano”, dice a un tratto la donna. Obbedendo all’ordine, vediamo proiettata su uno schermo l’immagine dei nostri occhi ripresi da una telecamera nascosta. Oggi è diventato normale condividere la propria autenticità con chiunque sulle piattaforme dei social network, dissimulare non va più di moda e spiare l’intimità di una giovane sconosciuta non è sconveniente. Die Zeit Bruton Natura post-umana Pipilotti Rist Stay stamina stay, Hauser & Wirth, Bruton, ino al 22 febbraio L’artista svizzera Pipilotti ha concluso la sua residenza britannica alla Hauser & Wirth preparando una doppia mostra, divisa tra la sede di Bruton, nel Sommerset, e la sede londinese della galleria. Tra gli ediici rustici perfettamente restaurati sventola una bandiera di mutande, già esposta alla Hayward gallery nel 2011. I camminatori in cerca di giardini e ristoranti sono gli unici spettatori occasionali. Rist ha riempito due sale con Mercy gardens, i giardini della misericordia, un video girato nella campagna al conine tra il Somerset e il Dorset e nel parco di Bruton disegnato da Piet Oudolf con oltre 26mila specie di piante. Ci si sdraia su pelli di pecora, cullati dal piacevole odore di lanolina e dalla musica di un banjo. L’unica presenza umana è un giovane agricoltore locale. Il video ci porta in dentro al mare, con una telecamera che luttua. Sembra di vedere una lumaca di mare, invece è il pene di un ragazzo con i peli del pube pieni di bol- licine. C’è una straordinaria capacità di alternare ritmo, pace e sorpresa visiva. Le peonie in iore, i papaveri, tutto è vivido. Addirittura l’ortica, così verde, appare invitante. Le mani accarezzano gli steli dei iori, le dita lambiscono le corolle e passano radenti sul ilo spinato. Ci sono bocche, labbra e lingue in una fusione di mondi interni ed esterni, come se ogni cosa dovesse essere leccata, accarezzata e assorbita. Non è robaccia new hippy, ma un tufo nella natura modiicata e post-umana di Rist. The Guardian Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 83 Pop Toc toc, sono Enoch Hanif Kureishi A HANIF KUREISHI è uno scrittore britannico di origine pachistana. Il suo ultimo libro uscito in Italia è L’ultima parola (Bompiani 2013). Questo articolo è uscito sul Guardian con il titolo Knock, knock, it’s Enoch. © 2015 Hanif Kureishi /Agenzia Santachiara. 84 vevo 14 anni nel 1968 ed ero terroriz perso un impero e non si era ancora ripresa dalla guerra, zato da Enoch Powell. Per un ragazzi la nostra presenza avrebbe solo aggravato il quadro: no meticcio come me, questo bigotto senzatetto, disoccupazione, prostituzione e tossicodi ex colonialista con i suoi discorsi ripu pendenza. Presto i bianchi indigeni sarebbero diventa gnanti e granguignoleschi pieni di ti “una minoranza perseguitata” o “stranieri” nel loro fruste, sangue, escrementi, minzioni paese. E sarebbe toccato a noi, presumibilmente, il ruo e negretti era un orco mostruoso e terriicante. Ricordo lo di persecutori. che i miei zii pronunciavano il suo nome sottovoce, per Ma Powell, questo fantasma dell’impero, non fu un paura che li sentissi. razzista qualsiasi. Ebbe un’inluenza non trascurabile: Sono cresciuto vicino al campo d’aviazione di Big spostò a destra la politica inglese e deinì gli obiettivi gin Hill, a sud di Londra, con il fantasma della seconda che discutiamo oggi: i politici attaccano le minoranze guerra mondiale: passavamo davanti ai quando vogliono impressionare l’opinio siti bombardati tutti i giorni. Mia nonna Questo bigotto ex ne pubblica presentandosi come quelli era stata un’addetta alla sorveglianza de colonialista con i inlessibili che non hanno paura di dire la gli incendi e aveva conosciuto il terrore suoi discorsi verità. E l’inluenza di Powell è arrivata delle incursioni aeree notturne della ripugnanti pieni di lontano. Nel 1976 – lo stesso anno di Luftwafe. Con la sua aria nostalgica da fruste, sangue, White riot dei Clash e otto anni dopo i austero profeta, gli occhi sporgenti e i escrementi, principali discorsi di Powell – Eric Clap baffi militareschi, Powell ci ricordava minzioni e negretti ton, uno dei miei idoli, disse al pubblico Hitler, e l’aumento patologico dei suoi era un orco di votare per Powell per impedire che il seguaci cominciò a turbarci quanto le sue mostruoso e paese diventasse “una colonia nera”. dichiarazioni. A scuola il suo nome di Clapton disse che la Gran Bretagna do terriicante battesimo suonava come una parola mi veva “cacciare i negri e i musi gialli”, pri nacciosa: Enoch. All’inizio fu usato come ma di urlare a più riprese lo slogan del insulto, poi sempre più spesso con compiaciuta esul National front: Keep Britain white. tanza: “Ci pensa Enoch, a quelli come te”, e “Enoch Figlio unico di una famiglia del ceto medio di Bir verrà a bussare alla tua porta, amico”. “Toc toc, sono mingham, socialmente inetto e represso, Powell si era Enoch”, ti dicevano passando. Nelle periferie di Londra rifugiato nei libri e nell’erudizione per buona parte del i vicini di casa dichiaravano in tono di sida: “La nostra la sua vita. Il suo periodo più felice fu quello della guer famiglia sta con Enoch”. ra, quando trascorse tre anni in India con i servizi segre Quando Powell avanzò la proposta di istituire un ti. Fu un’esperienza inebriante. Come molti inglesi, ministero per i rimpatri, si diceva che noi igli di immi adorava l’impero e l’India coloniale, dove poteva sfug grati – la “prole”, come ci chiamava lui – saremmo stati gire ai genitori e alle costrizioni del suo paese e passare espulsi. “Una politica di rimpatrio assistito con il paga il suo tempo con altri uomini. La mia famiglia mi ha mento di contributi e sussidi fa parte del programma confermato che molti indiani erano timorosi e servili politico del Partito conservatore”, dichiarava nel 1968. davanti ai militari inglesi. Come la maggior parte dei A volte, mi chiedevo svogliatamente se mi sarebbe pia colonialisti, Powell era un uomo molto più potente e ciuto vivere in India o in Pakistan – dove non ero mai importante in India di quanto fosse in Inghilterra. Non stato – e se lì sarei stato bene accetto. Qualcuno soste c’è da stupirsi, quindi, che si deinisse patriottico e fosse neva che non avrebbero mandato via noi che eravamo convinto che rinunciare all’impero sarebbe stato disa nati qui, solo i nostri genitori. Allora avremmo dovuto stroso. “Sono sempre stato un imperialista e un Tory”, cavarcela da soli: già mi vedevo con un branco di metic diceva. ci indesiderati e senza genitori, in cerca di cibo nei bo Al suo ritorno, nel 1945, Powell entrò in politica. Co schi del circondario. me i grandi che aspirava a emulare, cominciò ad andare Il rimpatrio “contribuirebbe a realizzare con il mini in chiesa e a praticare la caccia alla volpe. Parecchio mo attrito quello che dovrebbe essere un obiettivo co tempo prima dei suoi discorsi sulla razza, Powell era un mune: prevenire, inché siamo in tempo, un enorme obbediente servitore dello stato, noioso e anonimo, e problema razziale nella Gran Bretagna del duemila”, un politico semisconosciuto. Ma in dal periodo del diceva Powell. Era evidente. Se la Gran Bretagna aveva consenso, nel dopoguerra, in realtà fu un proto Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 ale&ale thatcheriano: un individualista antisindacale, fautore del libero mercato e dei tagli alle tasse, con una visione utopistica di un capitalismo senza regole in cui, miracolosamente, tutto ciò che la gente desiderava veniva prodotto dal semplice bisogno di proitto. Presto, come diceva la Thatcher, non ci sarebbe stata alternativa. Ma nel 1968 – quel grande anno di novità, sperimentazione e speranza in cui i giovani pensavano in termini nuovi all’oppressione, ai rapporti interpersonali e all’uguaglianza – ci fu un terribile ritorno. Questo strano personaggio edoardiano ricomparve all’improvviso nella vita pubblica e decise di diventare un demagogo. Richard Crossman, nel suo diario del 1968, scriveva con preoccupazione del fascino che Powell esercitava “sul grande pubblico, ben più del nostro parlamento e della classe dirigente del partito che lui appoggiava”. Fare leva sul peggio delle persone – sul loro odio – è il modo più sicuro per ottenere attenzione, ma può anche essere letale. Powell era ritenuto intelligente, un po’ perché amava parlare come un libro stampato e un po’ perché era costantemente impegnato a tradurre erodoto. Ma non fu abbastanza intelligente da resistere alla tentazione di giocarsi la reputazione per cavalcare il populismo più bieco. Il razzismo è l’oro degli sciocchi o, piuttosto, il crack dei politici, e gli anni settanta furono un periodo pericoloso per la gente di colore, soprattutto nella zona sud di londra, dove il National front era attivo e violento. Powell sacriicò la sua credibilità per una causa ignobile: attaccare i più deboli e indifesi, i lavoratori che avevano lasciato il loro paese per venire in Gran Bretagna. aveva elevato la sua fobia a una posizione politica, imboccando una strada senza ritorno. Si era convinto di avere un messaggio da trasmettere all’umanità, e fu proprio questa sadica e incrollabile certezza – più che il contenuto del messaggio – a rivelare tutta la sua follia. Come molti razzisti, Powell aveva fantasie nostalgiche: prima di tutta quella mescolanza di etnie c’era stata un’epoca di purezza e perfezione, quando la “britannicità” signiicava ancora qualcosa, e ti permetteva di sapere chi eri. Powell si riiutava di permettere alle sue certezze di entrare in contatto con la realtà. aveva voluto conoscere l’India, ma il Regno Unito lo preoccupava appena e, a parte qualche fine settimana a Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 85 Pop Storie vere La legge antiterrorismo per la sicurezza, che è in discussione al parlamento britannico, comprende una norma per le maestre e le bambinaie qualiicate degli asili nido. Il provvedimento, preparato dal ministero dell’interno, dà istruzioni per identiicare i bambini che “rischiano di diventare terroristi” e considera questo parte del dovere di prevenzione. Gli istituti per l’infanzia dovrebbero quindi creare programmi d’addestramento che diano al personale “strumenti adeguati per identiicare i bambini che corrono più rischi”. Per David Davis, deputato conservatore, la legge è “impraticabile”, e per Isabella Sankey, che lavora per l’associazione per i diritti umani Liberty, “seminerebbe diidenza, divisione e alienazione in dalla prima infanzia”. 86 Wolverhampton, trascorse buona parte della sua vita a Londra. Diversamente dalle rozze caricature delle persone di colore proposte da Powell, E.R. Braithwaite – scrittore originario della Guyana e laureato a Cambridge, che aveva prestato servizio nella Raf per poi diventare insegnante nell’East end perché non era riuscito mai a trovare lavoro come ingegnere – scriveva della razza nel periodo che va dalla ine degli anni quaranta alla metà degli anni sessanta. In particolare tre suoi lavori – To sir with love, Reluctant neighbours e Choice of straws – raccontano in dettaglio la situazione in quel periodo. Se essere una persona presuppone un riconoscimento da parte degli altri, qui vediamo l’aspetto negativo. Da un romanziere lucido e coraggioso apprendiamo le umiliazioni quotidiane, le ofese e i commenti che le persone di colore erano costrette a subire dopo essere state invitate a contribuire al funzionamento del servizio sanitario nazionale e del sistema dei trasporti. Per costruire il futuro che voleva, la Gran Bretagna aveva bisogno dei migliori medici, ingegneri, architetti, artisti e lavoratori in ogni ambito. E li importava per poi insultarli. A Enoch Powell piaceva lamentarsi delle vili “imputazioni e insinuazioni” che doveva subire. Non vedeva l’ora di fare la vittima e presentarsi come martire. Dal canto suo, Braithwaite registrava la sistematica e degradante esclusione dall’accesso al lavoro e agli alloggi, che tolse agli immigrati qualsiasi illusione sugli inglesi, con tutte le loro chiacchiere sulla giustizia, la libertà e la madrepatria. Braithwaite descriveva la rabbia e l’odio che inevitabilmente nascono dalle continue umiliazioni, come già era avvenuto nel periodo colonialista. Probabilmente Powell intuiva che la tirannia crea resistenza, e che i futuri conlitti sarebbero stati prodotti proprio dalla tirannia che lui stesso caldeggiava, da qui i suoi toni apocalittici. Ma era una cosa che umanamente non era in grado di comprendere, così come non aveva alcuna consapevolezza degli altri. Anche Powell sembrava un po’ un maestro di scuola: sempre vestito di nero, indossava spesso un lungo cappotto e ogni tanto anche una lobbia. Prepotente e riottoso, si divertiva a far infuriare la gente con le sue studiate provocazioni, sempre lanciate al momento giusto/sbagliato. Aveva il coraggio di chiamarci “una polveriera pronta a esplodere” perché anche lui, come noi, si sentiva fuori posto. Certamente gli piaceva disorientarci e traumatizzarci: ogni volta che apriva bocca, noi entravamo in crisi. Non sapevamo più dove eravamo o chi eravamo. Ma più Powell insisteva a rappresentarci come corpi estranei, incomprensibili e indesiderati, più ci aiutava a fare chiarezza e a opporre resistenza. Dalle dichiarazioni provocatorie di Eric Clapton, per esempio, nacque Rock against racism, un evento creato da artisti, musicisti e attivisti per combattere il fascismo. Poi c’era la politica dell’identità. Non eravamo “un niente”: ognuno di noi aveva una storia e, a diferenza di Powell, un futuro. Lui stava creando il conlitto di cui sosteneva di essere la soluzione. E nel frattempo divideva il suo partito e se ne allontanava. L’uomo che non poteva concepire né tollerare l’idea di uguaglianza ben presto si trovò so- Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 stenuto dal National front. Da giovane si era deinito un nietzschiano, ma Nietzsche avrebbe detestato il vile appello alla massa o al gregge. Powell si rivolgeva al popolino e una cosa del genere, a uno schizzinoso come lui, avrebbe dovuto sembrare spregevole. Forse lo avrà indotto a rilettere sui limiti della nostra intelligenza, e su quanto non sia in grado di difenderci dalle tentazioni all’autodistruzione. Tradì anche i suoi seguaci, perché non gli diede altro che il brivido fugace della superiorità e dell’odio. Nel mondo non cambiò niente di fondamentale, e il capitalismo selvaggio e senza scrupoli che Powell promosse sulla base delle teorie economiche di Hayek creò ricchezza per alcuni ma non mostrò alcun riguardo per le case e i posti di lavoro dei suoi sostenitori né per le altre cose a cui lui diceva di tenere: la tradizione, i conini nazionali, il patriottismo o la religione. Nel mondo di Enoch ognuno pensava per sé e l’egoismo avrebbe giovato a tutti. Anche se veniva attaccato e condannato dagli studenti ovunque andasse, Powell non si prendeva il disturbo di rilettere sui profondi cambiamenti sociali che attraversavano il paese mentre i giovani cercavano di liberarsi dalle logiche del passato. Il Regno Unito non stava decadendo, stava ricostruendo se stesso, anche se ancora non sapeva come sarebbe diventato. Oggi se passeggi tra la folla in un bel pomeriggio domenicale passando di fronte ai musei e alle vetrine abbaglianti dei negozi, Londra – perino agli occhi di chi come me vive da anni in questa metropoli multirazziale e dove si parlano tante lingue, meno frenetica di New York e più determinata di Parigi – sembra qualcosa di completamente nuovo. E diventa sempre più animata, operosa, promettente e afascinante nella sua molteplice bellezza, soprattutto per quelli di noi che ricordano quanto potesse sembrare noiosa e poco movimentata negli anni settanta, soprattutto la domenica. Il Regno Unito è sopravvissuto a Powell ed è diventato qualcosa che lui non avrebbe mai immaginato. Da buon pessimista, non aveva alcuna iducia nella capacità degli individui di collaborare e stringere alleanze. I conlitti culturali che temeva si sono rivelati il lato positivo della globalizzazione: le persone non si vogliono bene perché sono uguali e non sempre si uccidono perché sono diverse. Dove comincia, veramente, la diferenza? Perché dovrebbe cominciare con l’etnia o il colore? Il razzismo è la più bassa forma di snobismo. Il suo linguaggio cambia: non è da molto tempo che la parola “immigrato” è diventata un insulto, un sinonimo di paki o negro. Noi restiamo ancora un impedimento all’unità, e altri uomini pieni di risentimento come Powell, con i loro presagi e il loro bisogno di umiliare, torneranno a dividere e a creare diferenze. L’esperimento neoliberista cominciato negli anni ottanta usa il razzismo come uno spettacolo crudele, un numero di intrattenimento che va in scena mentre i ricchi continuano ad accumulare ricchezza. Ma noi siamo tutti migranti venuti da qualche altro posto. E se ci ricordiamo questo, potremmo anche andare da qualche parte, insieme. u dic Pittori al cinema Antonio Muñoz Molina uardando i ilm che parlano di pittori ci si rende conto di quanto sia diicile mostrare i processi creativi al cinema, compresi quelli legati alle immagini. Ci si rende anche conto che il mondo di oggi non sa cosa farsene del lavoro dell’artista, soprattutto del mestiere sempre meno apprezzato del pittore o della pittrice. Il cinema è movimento e un pittore passa molto tempo a non fare niente, assorto a guardare o a rilettere. L’invenzione di un’opera avviene per lo più a grandi profondità, dove è impossibile proiettare luce diretta. La vita reale di un artista generalmente non ofre grandi spunti per un romanzo o un intreccio cinematograico, a meno che non si ricorra allo stereotipo del genio mezzo rozzo e mezzo visionario, tormentato, fuori di senno, sull’orlo della pazzia o completamente pazzo che si ubriaca, si droga, si suicida. C’è anche il genio che è manager e promotore della sua stessa genialità, come Salvador Dalí e poi Andy Warhol, allo stesso tempo astuto e stravagante, che di tanto in tanto smette di contare i soldi e si lancia in qualche acrobazia da circo per raforzare il suo personaggio e quello che potremmo deinire il suo marchio. E così si arriva, con una sottomissione ormai completa dell’arte alle celebrità della moda e al commercio di lusso, all’artista talmente impegnato a fornire oggetti a multimiliardari della maia russa e simili da non avere più il tempo, la voglia o il bisogno di coltivare nessuna stravaganza. Si presenta come il manager di se stesso, come un amministratore di fondi di investimento a massima redditività, anche se chiaramente speculativi: Damien Hirst, Jef Koons. Ho visto sul New York Times un reportage su Jef Koons nella sua casa dell’Upper east side e ho notato, esaminando con attenzione le foto, che solo un dettaglio distingueva la sua dalle case dei megaricchi che abbondano in quel quartiere: Koons non colleziona piccoli cani goniabili di alluminio, sculture in porcellana di Michael Jackson e del suo scimpanzé Bubbles o scaffali pieni di scatole di medicinali e barattoli, ma quadri di antichi maestri con cornici barocche dorate, scene di Watteau, paesaggi impressionisti. Sono andato a vedere Turner perché mi piacciono molto i ilm di Mike Leigh e i dipinti di Turner. E mi sono reso conto che, in un mondo in cui c’è sempre meno spazio per la pittura e per i pittori, un ilm sulla vita di uno di loro dev’essere più inverosimile che mai, molto più di quando Vincente Minnelli ha cercato di far somigliare Kirk Douglas a Vincent van Gogh e Anthony Quinn a Paul Gauguin, o di quando hanno mascherato Anthony Hopkins con una inta calvizie sormontata da un basco per farlo assomigliare a Picasso. G ANGELO MONNE Negli anni cinquanta, negli anni ottanta, la pittura destava ancora delle aspettative, risvegliava entusiasmo e rispetto. Adesso un pittore, un pittore immaginato in un ilm, immerso nella solidità documentaria di una sontuosa ambientazione storica, si rivela un soggetto che ha i modi brutali e il portamento rozzo di un antropoide che si esprime con grugniti rochi, e lo riconosciamo come William Turner soprattutto perché quando guarda la campagna, il mare o il tramonto vede in anticipo dei quadri evidentemente di Turner. Il suo talento è un dono inspiegato e immeritato, come quello del Mozart pensieroso e mezzo idiota del ilm di Miloš Forman. Ogni tanto questo Turner tira fuori un quaderno e fa uno schizzo veloce, come se scattasse una foto con il cellulare. Ogni tanto, per consentirci di ammirare la sua rozza autenticità, corregge il dipinto ancora fresco con le dita o ci sputa sopra grugnendo. In un pranzo formale mastica a bocca aperta e il cibo gli cade dalla bocca, macchiandogli il gilet. Una cameriera gli passa accanto e lui la palpa volgarmente senza rivolgerle la parola o guardarla in faccia. È assalito da un’urgenza sessuale come un orango in calore e si avvicina alla cameriera da dietro, sempre grugnendo, con gorgoglii di lussuria zoologica. Poi, concluso l’accoppiamento, si allontana a testa bassa e con le braccia penzoloni. È vero che Turner non aveva un aspetto rainato. I ritratti dei suoi contemporanei e le sue testimonianze scritte suggeriscono che fosse un uomo grosso, robusto, dai tratti decisi, con il naso aquilino. Suo padre era stato barbiere e sua madre veniva da una famiglia di macellai. Crebbe nelle strade popolari di Londra, tra i mercati e sui moli in riva al Tamigi, e sembra che avesse un forte accento cockney. Ma frequentò in da bambino la Royal academy, e nei suoi viaggi in Francia, in Olanda e in Italia studiò da vicino i grandi maestri che contribuirono a forgiare il suo stile, molto più radicato nella Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 87 Pop ALLISON MCVETY è una poetessa britannica nata nel 1964. Questa poesia è uscita sul numero speciale di Oxford Poetry pubblicato per i cent’anni della rivista. Traduzione di Francesca Spinelli. tradizione di quanto oggi ci piaccia pensare. Siamo afetti da quella che lo storico A.J.P. Taylor ha deinito “condiscendenza verso il passato”: per ammirare un artista di un’altra epoca gli attribuiamo l’anacronismo di aver anticipato il nostro tempo, come quei profeti biblici che sono venerati non per il coraggio dei loro ammonimenti contro gli abusi dei potenti ma per il presunto vaticinio della nascita di Cristo, diversi secoli dopo. Monet e Rothko non sarebbero esistiti senza Turner. Ma quelli con cui si misurava davvero Turner erano Tiziano, Rembrandt e i paesaggisti olandesi, Veronese, Watteau e i suoi contemporanei. E, anche se è vero che non era bravo con le parole, non era certo un ignorante benedetto dall’istinto, un barbaro geniale da leggende romantiche e da ilm in technicolor. Il punto di partenza della sua ispirazione spesso furono la mitologia e la letteratura classica. Lesse Virgilio, Shakespeare, Milton, Byron, studiò nel dettaglio i marmi appena rubati al Partenone e portati a Londra. Cominciò perino a scrivere un poema epico dal titolo straordinario: The fallacies of hope. Il vero segreto di Turner non sono altro che la vocazione e il mestiere, la perseveranza dell’apprendimento, la disciplina e la dedizione, e il pieno ed esclusivo godimento di un lavoro a cui si dedicò tutta la vita. Fu un uomo schivo e con l’età diventò più burbero, ma le testimonianze dicono che gli piaceva cenare e parlare con gli amici e che era bravissimo con i bambini. Un compagno di viaggio in diligenza, che inizialmente non sapeva chi fosse, lo descrisse come un uomo minuto e gioviale che si afacciava continuamente dal inestrino per guardare il paesaggio e disegnava sul suo quaderno nonostante i sobbalzi del tragitto. Lasciò più di cinquecento quadri e migliaia di disegni e acquarelli. In un mondo dominato dagli speculatori e dagli impostori, niente è più strano e più inverosimile della dedizione assidua e solitaria al lavoro che caratterizza la vita di un pittore. u fr Poesia La moglie mancina 1913 Soia, duchessa di Hohenberg, moglie dell’arciduca Ferdinando che così ero chiamata poiché la mia mano destra [non era degna della sua che le nostre nozze furono come genziana per [le labbra degli Asburgo che nondimeno egli rinunciò a tutto fuorché al presente [per amor mio che siamo ospiti, a dispetto del protocollo, [della corona inglese che siamo venuti a Windsor nel nostro quattordicesimo [anniversario, avorio, mi dicono che i faggi e le querce piegano le loro chiome per noi che i coriandoli sono una pioggia d’oro e di bronzo che le risate qui non hanno bordi ailati che la sala da ballo non china lo sguardo [al nostro passaggio che quando gli uomini vanno a caccia i cieli [si anneriscono d’ali che 1.700 fagiani sono stati uccisi ieri, mille oggi che le cucine reali non accettano più cacciagione che gli uccelli pendono come frac nei cortili del castello Allison McVety Scuole Tullio De Mauro Test in fermento Da settimane la commissione istruzione del senato degli Stati Uniti, altri ambienti politici e giornali sono impegnati in vivaci discussioni sui test di proitto nelle scuole. Non è in dubbio la bontà intrinseca dei test: le prove di misurazione e valutazione oggettiva di conoscenze e competenze sono una pratica ben radicata nella tradizione scolastica nordamericana. In discussione è il ricorso a test uguali dappertutto per misurare progressi o peggioramenti degli istituti scolastici, e procedere poi 88 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 a premiare quelli che hanno migliori punteggi punendo i più scarsi. Quest’uso è una novità degli anni duemila, dovuta alla legge No child left behind. Proposta dall’amministrazione repubblicana di George W. Bush nel 2001 e approvata con il pieno accordo dei democratici, la legge avrebbe dovuto scadere nel 2007. In realtà ha continuato a funzionare. Nessuno vuole disconoscere il suo obiettivo di fondo: l’inclusione, il riuscire a portare la totalità di alunne e alunni a completare l’istruzione secondaria superiore. Ma lo strumento dei test standard si è rivelato ineicace e dannoso. Da un lato le scuole fanno carte false per non far iscrivere proprio i disabili o disagiati. E d’altro lato imperversa il teaching for testing: lasciata da parte ogni altra materia, si insegna e si studia solo perché siano meglio afrontati i test di lingua e matematica. Il governo federale e diversi senatori e deputati stanno preparando leggi per limitare o abbandonare quest’uso dei test. u Scienza CHIArA dAttOLA puter prima di tutto ha confrontato le regi strazioni con un testo che conosceva e poi ha cercato di indovinare quello che i volon tari dicevano in un nuovo video. Se il primo video era della stessa persona del secondo il computer era discretamente accurato: intorno al 75 per cento per tutti i lettori e oltre il 97 per cento per uno di loro. Se inve ce i due video erano di persone diverse, l’accuratezza della lettura del secondo vi deo crollava a una media del 33 per cento e in alcuni casi al 15 per cento (a quanto pare bai e barba confondono molto), proprio come succede ad assistenti virtuali non ad destrati. Gola e guance Occhio a come parli The Economist, Regno Unito Per rendere più eicaci i programmi di riconoscimento vocale, i ricercatori hanno cominciato a puntare anche sulla lettura delle labbra. E di altre parti del corpo e ci risultasse che funziona male, non avremmo altra scelta se non quella di esclu derlo”, dice Frank Poole, l’astronauta di 2001: Odissea nello spazio, a proposito di Hal, il computer assassino che ha preso il comando dell’astronave. Hal ca pisce che gli astronauti hanno intenzione di spegnerlo perché riesce a leggere le loro labbra attraverso un vetro, una strategia che diversi ricercatori e aziende vorrebbero adottare. L’obiettivo, però, non è tanto mi gliorare la prestazione dei robot alla guida dei veicoli spaziali quanto perfezionare gli assistenti vocali come Siri della Apple e Cortana della Microsoft. Nonostante i progressi costanti, i soft ware di riconoscimento vocale dovranno sempre vedersela con i rumori circostanti. In un uicio silenzioso è probabile che l’as “S 90 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 sistente virtuale a cui si chiede di comporre un numero telefonico senta i numeri giu sti. Nel traico di una strada o nella confu sione di una festa, invece, è diicile che funzioni. Se solo il cellulare sapesse legge re le labbra. Ahmad Hassanat, un ricercatore dell’università giordana di Mu’tah che si occupa d’intelligenza artiiciale, sta cer cando di insegnarlo a un programma. In passato gli scienziati si sono concentrati sulla forma e sul movimento delle labbra mentre producono i fonemi (singoli suoni come “b”, “ng” o “th”). Il problema è che in inglese ci sono appena una decina di im magini visive dei suoni – chiamate “vise mi” – per una cinquantina di fonemi. Il la biale di “pan” e “banned”, per esempio, è molto simile ed è quindi diicile ricostruire le parole a partire dai soli visemi. Così negli ultimi anni Hassanat ha provato a indivi duare il segno visivo caratteristico di intere parole, osservando, oltre alle labbra, la lin gua e i denti. In un articolo pubblicato alla ine del 2014, Hassanat spiega di aver addestrato il suo programma ilmando dieci donne e se dici uomini di etnie diverse mentre legge vano brani di un testo. In alcuni casi il com Alcuni ricercatori propongono di non con centrarsi solo sulla bocca. Nel 2013 Yasuhi ro Oikawa, un ingegnere dell’università giapponese di Waseda, ha ripreso una gola con una videocamera ad alta velocità, in grado di ilmare diecimila fotogrammi al secondo, per misurare le minuscole e velo cissime vibrazioni della pelle causate dall’atto del parlare. In teoria le esatte fre quenze presenti nelle vibrazioni si possono usare per ricostruire la parola pronunciata. Finora, però, il team del dottor Oikawa è riuscito a mappare le vibrazioni visive solo di una parola giapponese. I risultati migliori si ottengono a distan ze ancora più ravvicinate. L’idea della start up israeliana VocalZoom è di puntare un laser a bassa potenza sulla guancia per mi surare le vibrazioni da cui dedurre le fre quenze del parlato. Il programma combina i risultati con l’audio normale di un micro fono, eliminando rumori di fondo o altre voci e lasciando solo le frequenze dei movi menti della guancia. All’inizio di gennaio l’azienda ha pre sentato la sua tecnologia al Ces, una grande iera di elettronica notoriamente assordan te, e ha fatto colpo sui giornalisti. Ma non è ancora pronta per il mercato di massa. Per ora, infatti, il prototipo è più grande degli smartphone in cui andrebbe inserito, e convincere i produttori ad aggiungere com ponenti ai loro apparecchi sempre più sot tili ed eleganti non sarà facile. L’azienda potrebbe avere più possibilità nel settore automobilistico, che ormai si aida molto al controllo vocale. Sembra che VocalZoom sia in trattativa con un’importante casa au tomobilistica. Con un po’ di fortuna e di pazienza, potrebbe perino puntare ai vei coli spaziali. u sdf l’evoluzione del pollice ogm più sicuri SAlute morbillo statunitense Dichiarato “eliminato” nel 2000 negli Stati uniti, il morbil lo è progressivamente tornato nel paese. nel 2014 sono stati segnalati 644 casi in 27 stati. nel 2015 i casi sono 68 (al 23 genna io), quasi tutti collegati al parco Disneyland di Anaheim, in cali fornia, da dove sembra partita l’ultima epidemia. l’aumento dei casi sarebbe legato al calo delle vaccinazioni. 800 2014 fonte: cDc 400 2011 2013 2008 2009 0 Gen un nuova tecnica potrebbe rendere gli organismi geneticamente modiicati più sicuri. Per produrre farmaci, molecole o carburanti si usano spesso i batteri transgenici. ma c’è sempre il rischio che possano difondersi nell’ambiente. Per evitarlo sono stati creati complessi sistemi di isolamento isico. ora due équipe di ricercatori hanno ideato un nuovo metodo per evitare la difusione involontaria dei batteri modiicati: una barriera biologica. In una prima ricerca è stata modiicata una cellula batterica, manipolando il codice genetico e il sistema che lo traduce nelle sequenze di aminoacidi che formano le proteine. In questo modo i ricercatori sono riusciti a inserire in una proteina essenziale un aminoacido che esiste solo in laboratorio. Se l’aminoacido sintetico non è disponibile, come avviene in natura, il batterio non può vivere. nell’altro studio è stato adottato un metodo simile per far sì che alcuni enzimi essenziali del batterio possano funzionare solo in presenza degli aminoacidi sintetici. I due studi suggeriscono un nuovo approccio agli ogm, che li potrebbe rendere più resistenti alle mutazioni e allo scambio di geni con altri organismi, e più facilmente isolabili. ma le applicazioni in agricoltura sono ancora lontane. u Dic Ambiente tre minuti alla ine Il cambiamento climatico fuori controllo, l’ammodernamento delle armi atomiche e l’esisten za di enormi arsenali nucleari minacciano seriamente l’uma nità. Per questo il Bulletin of the Atomic Scientists ha spo stato le lancette del suo Dooms day clock (il simbolico orologio dell’apocalisse creato dagli scienziati nel 1947) di due minu ti, portandolo a tre minuti dalla mezzanotte e dalla ine del mondo. Per invertire la tenden za si dovrebbero limitare le emissioni di gas serra, ridurre la spesa per l’aggiornamento delle armi atomiche, riattivare il pro cesso di disarmo e afrontare il problema delle scorie nucleari. Inine, si dovrebbero tenere sot to controllo le nuove tecnologie. in breve Astronomia i primi studi sui dati di rosetta Nuovi casi di morbillo, Stati Uniti 200 Nature, Regno Unito n. thomAS et Al la capacità di maneggiare gli oggetti è comparsa tra gli omini di molto prima di quanto si pen sasse. lo testimonia indiretta mente il pollice dell’Australopithecus africanus, vissuto in Afri ca meridionale fra i tre e i due milioni di anni fa. confrontan do la struttura interna delle ossa del pollice dello scimpanzé, di diverse specie di ominidi e dell’uomo moderno, si è visto che l’A. africanus aveva già evo luto le caratteristiche tipiche del pollice opponibile che permet tono di impugnare con forza e precisione (tra il pollice e le altre dita) gli oggetti. Sono caratteri stiche che si sono evolute lenta mente con il passaggio alla posi zione eretta. Probabilmente l’uso di utensili cominciò già con gli ominidi africani, scrive Science, anche se i primi uten sili conosciuti risalgono a 2,6 milioni di anni fa. 600 BulletIn of the AtomIc ScIentIStS genetica pAleoAntropologiA la cometa 67P/churyumovGerasimenko ha al suo interno una struttura porosa, mentre la supericie è caratterizzata da dune e altri rilievi. l’involucro di gas che l’avvolge mostra cambiamenti giorna lieri e forse stagionali, a causa degli efetti dei raggi solari. Sono que sti i primi risultati, pubblicati su Science, dell’analisi dei dati raccolti dalla sonda Rosetta dell’esa. le comete sono studiate a fondo per ché si sono formate nelle prime fasi di vita del Sistema solare e pos sono quindi fornire informazioni su quel periodo. u Neuroscienze È stato indivi duato nei topi il circuito nervoso che segnala la sete. Quando un sottogruppo di cellule della rete è attivato, il topo comincia subi to a bere acqua, anche se è già ben idratato. Attivando l’altro sottogruppo, il topo riiuta l’ac qua anche se è disidratato, scri ve nature. Si pensa che questa rete di cellule nervose sia pre sente in tutti i mammiferi. Salute nel 2015 in europa la mortalità per tumore al polmo ne tra le donne potrebbe supera re quella per cancro al seno, scrive l’équipe di carlo la Vec chia sugli Annals of oncology. nel complesso, però, la mortali tà per cancro dovrebbe diminui re del 7,5 per cento tra gli uomini e del 6 per cento tra le donne. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 91 Il diario della Terra Bansi Ethical living Autonomia Tonga ridotta -47,7 °C Seymchan, Siberia Stati Stati Uniti Uniti 3,2 M 4,3 M Francia Stati Uniti Libano Malawi Mozambico AMOS GUMULIRA (AFP/GEttY) Sudafrica Makhanga, Malawi Alluvioni Il bilancio delle alluvioni che hanno colpito l’Africa sudorientale nelle scorse settimane continua ad aggravarsi: 68 morti e 134mila sfollati in Madagascar, e 117 morti e 157mila sfollati in Mozambico. In Malawi, dove le vittime sono 176, le persone colpite dalle alluvioni sarebbero oltre 600mila, tra cui 200mila rimaste senza casa. Tempeste La tempesta Juno sullo stato di New York è stata meno forte di quanto annunciato, con circa 25 centimetri di neve in poche ore contro i 60 previsti. Più colpiti sono stati il Connecticut e il Massachusetts: alla periferia di Boston sono caduti 91 cen- 92 47,7°C Paynes Find, Australia Fiji 6,1 M timetri di neve. Per precauzione più di duemila voli sono stati cancellati. u Due profughi siriani sono morti di freddo nel sudest del Libano, colpito da una tempesta di neve. Un’ondata di freddo ha colpito buona parte del Medio Oriente. raddoppierà. La Niña è un fenomeno climatico dell’oceano Paciico caratterizzato dall’abbassamento della temperatura dell’acqua. I suoi effetti sono più estremi quando la supericie fredda del mare contrasta con il riscaldamento della terraferma. Valanghe Sei sciatori francesi sono morti travolti da una valanga sul massiccio del Queyras, in Francia. Biodiversità I cambiamenti climatici e la deforestazione potrebbero ridurre l’habitat di circa metà dei mammiferi del Borneo. Migliori politiche di conservazione delle aree montane potrebbero però contenere questa perdita di habitat. Anche modesti aumenti delle aree protette migliorerebbero sensibilmente le prospettive di conservazione, scrive Current Biology. Clima Gli eventi estremi legati alla Niña potrebbero diventare più frequenti, scrive Nature Climate Change. Si prevede che la frequenza di eventi come le siccità nel sudovest degli Stati Uniti o le alluvioni in Estremo Oriente Parco nazionale Kruger, Sudafrica SIPHIWE SIBEkO (REUtERS/CONtRAStO) Terremoti Un sisma di magnitudo 6,1 sulla scala Richter è stato registrato al largo dell’isola di Ndoi, nelle Fiji. Altre scosse sono state segnalate negli Stati Uniti (Oklahoma e California). Madagascar Rinoceronti Nel 2014 in Sudafrica sono stati uccisi illegalmente 1.215 rinoceronti. Il 21 per cento in più del 2013. La crescita del bracconaggio è dovuta all’espansione del mercato nero dei corni di rinoceronte, richiesti soprattutto da Cina e Vietnam. Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Quando usano l’auto elettrica fuori città, gli automobilisti britannici dovrebbero fare bene i loro conti, scrive l’Independent. Il giornalista Jamie Merrill ha sperimentato con una Golf elettrica l’Electric highway, la nuova rete di stazioni di carica sull’autostrada Filippine 5,8 a MLondra. La M6 da Glasgow rete dell’azienda Ecotricity è composta da un centinaio di colonnine e sarà completata nei prossimi mesi. Rispetto alla tecnologia precedente, i nuovi punti di ricarica permettono di “fare il pieno” in appena mezz’ora. Arrivato circa a metà strada, Merrill si è accorto che la batteria dell’auto era quasi scarica. Le alternative erano due: fare una deviazione sulla M58 o tentare la sorte proseguendo verso la cittadina di Wigan. L’indicatore dell’auto suggeriva che la carica era sufficiente per raggiungere Wigan, ma il sole era tramontato, pioveva e la temperatura si stava abbassando. Il freddo riduce la durata della batteria, che è usata anche dai fari e dal tergicristallo: se in estate la Golf elettrica percorre 190 chilometri con una batteria, in inverno la distanza si dimezza. Merrill ha deciso di procedere sulla M6, spegnendo il riscaldamento e viaggiando a 77 chilometri orari per risparmiare energia. Quando è riuscito ad arrivare alla stazione di ricarica, la colonna non funzionava. Ha concluso quindi il viaggio verso Londra in treno, mentre l’auto è stata caricata sul carro attrezzi. “Bisogna però ricordare”, dice il fondatore di Ecotricity, “che siamo solo all’inizio di una rivoluzione”. Il pianeta visto dallo spazio 04.11.2014 Il golfo di Taranto, Italia Fiume Crati Fiume Sarmento Golfo di Taranto Taranto Anello di Nardò earThobServaTory/NaSa (2) Gallipoli Nord u Il golfo di Taranto si trova alla base dello stivale e forma il vuoto tra il tacco e la punta. è largo circa 140 chilometri per 140 chilometri di lunghezza. Sul golfo si afaccia la città di Taranto, un importante porto commerciale e militare con acciaierie, impianti siderurgici, rainerie di petrolio, stabilimenti chimici, cantieri navali e aziende alimentari. Le volute celesti che lambiscono le coste potrebbero essere dovute ai sedimenti trasportati dai iumi o all’erosione delle spiagge, oppure potrebbero dipendere dalle sostanze inqui- nanti riversate dalle città. La voluta compatta al largo di Taranto presenta una circolazione in senso orario, e quindi potrebbe venire dal Sarmento, uno dei principali iumi che sfociano nel golfo. Una parte di sedimenti, però, è quasi certamente prodotta dai delussi urbani, perché le volute più consistenti si trovano nei pressi delle due città maggiori, Taranto e Gallipoli. Il Crati, che è il iume più importante della zona, contribuisce in misura minore. Dallo spazio si riconosce facilmente l’anello di Nardò (nel- Questa foto del golfo di Taranto è stata scattata dagli astronauti della spedizione 42 a bordo della Stazione spaziale internazionale. u la foto piccola scattata nel 2008 dal satellite Terra). Si tratta di una pista di prova per le auto, che ha una circonferenza di 12,5 chilometri, a una cinquantina di chilometri da Taranto. –L. Vanderbloemen (Nasa) Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 93 Economia e lavoro MArtIN LEISSL (BLooMBErG/GEtty IMAGES) Mario Draghi nella sede della Bce a Francoforte, Germania, il 22 gennaio 2015 L’ultima mossa di Mario Draghi Martin Wolf, Financial Times, Regno Unito La Banca centrale europea ha lanciato un piano per l’acquisto di titoli che ha l’obiettivo di salvare l’euro. Nonostante i limiti, è una decisione che non era più possibile rimandare overo Mario Draghi. Il presidente della Banca centrale europea (Bce) sta cercando di portare acqua al mulino dell’eurozona, ma purtroppo le teste che lo gestiscono sono tante: c’è chi desidera un lusso costante e chi invece ritiene che tutta quell’acqua sia dannosa. La Bce, però, doveva fare qualcosa per scongiurare la delazione, un fenomeno che sarebbe molto pericoloso. Così il 22 gennaio ha lanciato il cosiddetto quantitative easing, o alleggerimento quantitativo, decidendo di comprare titoli per 60 miliardi di euro al mese, da marzo 2015 ino a settembre 2016. E, dettaglio non da poco, l’istituto di Francoforte ha precisato che gli acquisti continueranno inché non ci sarà un “aggiustamento costante” verso un tasso d’inlazione “inferiore, ma di poco, al 2 per cento”. La distribuzione degli acquisti P 94 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 dovrà essere proporzionata alla quota di capitale della Bce detenuta da ogni paese. Inoltre, facendo una concessione alla Germania, Draghi ha anche accettato che l’80 per cento degli acquisti rientri nel bilancio delle banche centrali nazionali. Questo piano, molto più coraggioso del previsto, potrebbe innescare la ripresa dell’eurozona, che in questo momento sta traendo vantaggio dal calo del prezzo del petrolio, da alcune riforme strutturali, dal consolidamento del settore bancario e da una notevole riduzione degli interessi sui titoli di stato. Inoltre, potrebbe migliorare la iducia nell’eurozona in modo esponenziale, o almeno è lecito sperarlo. Debolezza cronica Le critiche al piano di Draghi arrivano da due parti. Da un lato c’è chi ammette che l’eurozona è afetta da una debolezza cronica della domanda, e quindi ritiene necessari solo strumenti di politica economica ordinari. Queste persone credono che le misure monetarie non servano. Anzi, fanno in modo che i governi trascurino l’adozione di politiche a sostegno della domanda. Dall’altro lato c’è chi è convinto che l’alleggerimento quantitativo sia quasi un’in- venzione del demonio. Sorvoliamo sull’opinione che considera l’alleggerimento quantitativo il primo passo verso l’iperinlazione, perché i dati dimostrano chiaramente il contrario. Le argomentazioni più serie sono quelle secondo cui una delazione lieve non è dannosa, la politica monetaria non può risolvere le debolezze strutturali e l’alleggerimento quantitativo spingerà i governi a non fare le riforme previste. Alla prima obiezione si può rispondere sostenendo che la delazione aggraverebbe i problemi degli stati più indebitati. Inoltre, a diferenza del Giappone, l’eurozona non potrebbe ricorrere alla politica di bilancio se avesse bisogno di contenere l’impatto della delazione. Inine, se la Bce fallisse nel suo tentativo, la sua credibilità sarebbe gravemente danneggiata. La risposta alla seconda obiezione è: certo, l’alleggerimento monetario non risolverà le diicoltà strutturali, ma la crisi dell’eurozona non dipende dal fatto che i problemi dell’offerta si sono aggravati all’improvviso. La sua economia si è inceppata a causa del crollo della domanda. Bisogna anche considerare che le riforme relative all’oferta non produrranno necessariamente un aumento della domanda, come ha dimostrato la Germania nell’ultimo decennio. In efetti, le riforme del mercato del lavoro potrebbero perfino ridurre la domanda nel breve periodo, a causa dei tagli ai salari e del timore dei lavoratori di essere licenziati. Per questo un energico sostegno alla domanda è una necessaria integrazione delle riforme relative all’oferta, soprattutto perché l’eurozona non può certo sperare di registrare un surplus commerciale consistente come quello tedesco. La risposta all’ultima obiezione è che è esagerato pensare che i governi faranno le riforme solo se costretti con la forza. A questo si può anche aggiungere un valido argomento: gli stati che s’impegnano a realizzare riforme dolorose ma senza il sostegno di politiche incentrate sulla domanda perderanno consensi e saranno bocciati dagli elettori. Così l’eurozona potrebbe trovarsi presto di fronte a governi populisti di sinistra o di destra, andando incontro a una catastrofe molto più grave. Nessuno può dire se il piano di Draghi funzionerà. L’opposizione tedesca potrebbe metterne a dura prova la credibilità. Ma almeno la Bce ha agito. Non è la soluzione deinitiva, però permetterà all’eurozona di continuare a funzionare. u fp Russia Sviluppo deludente Mosca, 23 gennaio 2015 SERGEI KARpUKhIN (REUtERS/CONtRAStO) I cittadini dei paesi nati dopo il dissolvimento della Jugoslavia “sono delusi dallo sviluppo economico di questi anni”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Eppure, rispetto agli anni novanta “il pil pro capite è cresciuto stabilmente. In Slovenia, per esempio, ha raggiunto i 21.800 euro, il 15 per cento in meno rispetto alla media dell’Unione europea, ma è il livello più alto mai toccato dal paese”. Anche la Croazia ha registrato progressi notevoli, mentre gli altri stati sono più poveri ma hanno tassi di crescita senza precedenti. Lo sviluppo, osserva il quotidiano, è ostacolato dall’eccesso di debiti, dalla debolezza delle istituzioni, dalla corruzione. Questi fattori per ora impediscono a paesi come la Serbia o la Macedonia di entrare nell’Unione europea. “E intanto la Russia e la Cina potrebbero approittarne per farsi strada nei Balcani”. CINA Debito declassato L’agenzia di rating Standard & poor’s ha declassato il debito pubblico della Russia portandolo al livello BB+. “Questo ulteriore colpo alla credibilità del paese”, spiega Die Tageszeitung, “è legato ai danni economici prodotti dal crollo del prezzo del petrolio e dalle sanzioni occidentali per la crisi ucraina”. Dopo la decisione di Standard & poor’s sarà più diicile per il Cremlino inanziarsi. Un piano contro l’ebola Secondo l’ong britannica Oxfam serve un grande piano d’investimenti – sul modello del piano Marshall lanciato in Europa dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale – per far ripartire le economie dei paesi africani colpiti dall’epidemia di ebola. In Sierra Leone, in Guinea e in Liberia il virus ha ucciso più di 8.500 persone. Oxfam, scrive la Bbc, sostiene che “bisogna aiutare economicamente le famiglie colpite dal virus, investire in attività produttive e raforzare servizi come la sanità e l’istruzione”. Secondo uno studio di Oxfam condotto in tre province della Liberia, l’epidemia ha ridotto il reddito del 73 per cento delle famiglie. Nel 2015 la iliale cinese della GlaxoSmithKline (Gsk) licenzierà circa mille persone, scrive il settimanale Caixin. La decisione potrebbe essere legata al calo di vendite registrato dopo il coinvolgimento del gruppo farmaceutico in uno scandalo di corruzione. “Nel giugno del 2013 le autorità cinesi hanno aperto un’inchiesta sulla Gsk accusando l’azienda di pagare tangenti a ospedali e a operatori sanitari per far crescere i prezzi e le vendite dei suoi prodotti. Nel 2014 la Gsk è stata multata per tre miliardi di yuan (422 milioni di euro) e cinque dirigenti sono stati condannati”. Lo scandalo ha penalizzato gli afari della multinazionale: nei primi nove mesi del 2013 le vendite in Cina sono calate del 61 per cento”. Romania Il paese delle case vuote IN BREVE Brand Eins, Germania AFRICA La Glaxo licenzia Certeze è un piccolo comune della transilvania, nel nord della Romania, pieno di belle case, che però restano per gran parte dell’anno vuote e silenziose. “In Romania”, scrive Brand Eins, “ci sono molti posti come Certeze. Villaggi vuoti in un paese che negli ultimi dieci anni ha visto emigrare all’estero più di due milioni di abitanti, il dieci per cento della popolazione”. A Certeze risiedono 5.763 persone, ma almeno 2.300 lavorano fuori dalla Romania. Molti villaggi si rianimano solo un paio di volte all’anno – d’estate o durante le festività natalizie – quando gli emigrati tornano a casa per le vacanze. A Certeze ci sono “case particolarmente sontuose, una dimostrazione del fatto che il successo e l’0rgoglio degli emigrati si trasformano spesso in cemento. Negli anni passati quasi tutte le case del villaggio sono state ristrutturate. Le proprietà sono protette da alti cancelli di ferro e da muri rivestiti di granito nero. Alcune ville sono così grandi che potrebbero essere usate come alberghi”. ◆ Stati Uniti Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è sceso al 5,6 per cento, un livello vicino a quello registrato prima della crisi. Ma più signiicativo è il calo della forza lavoro: nel 2009 il 66 per cento degli statunitensi lavorava o era in cerca di un lavoro, oggi la quota è scesa al 62,7 per cento. Questo vuol dire, spiega Bloomberg Businessweek, che molte persone rimaste disoccupate a causa della crisi hanno rinunciato a cercare lavoro: in molti casi perché sono scoraggiate, ma spesso perché si sono rimesse a studiare o hanno gravi problemi isici. Disoccupati statunitensi che non cercano lavoro, motivi, % 8 Studio 6 4 Famiglia Salute 2 Altri 0 2006 2008 2010 2012 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 2014 95 fONtE: BLOOMBERG BUSINESSwEEK BALCANI Annunci 96 Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 L’oroscopo Rob Brezsny Nel 1899 il re dello Swaziland morì durante una danza. Il suo unico iglio, Sobhuza, fu incoronato suo successore anche se aveva solo quattro mesi. Ci volle molto tempo prima che il nuovo re imparasse a comportarsi da sovrano. Ma alla ine mostrò un’ottima predisposizione per quel compito e governò ino alla morte, a 83 anni. Sento che hai qualcosa in comune con Sobhuza, Acquario. Potresti disporre di nuovi poteri prima di essere veramente pronto a esercitarli. Ma sono sicuro che alla ine ti dimostrerai all’altezza della situazione. ARIETE Hai un gruppo che ti aiuta a fare magie quando non riesci a farle da solo? C’è un manipolo di cospiratori che ti stimola a essere coraggioso e lungimirante? Se non ce l’hai, cerca di metterlo insieme alla svelta. Se invece hai già una squadra di persone che ti motivano, discuti con loro le nuove avventure in cui imbarcarvi. Immagina i rischi intelligenti e le emozioni istruttive che potreste provare insieme. Secondo la mia lettura dei presagi astrali, hai bisogno della scintilla che una banda grintosa può far scoccare. TORO Sembra che il cosmo ti stia autorizzando a essere sfacciatamente ambizioso. Non so per quanto tempo durerà, perciò ti consiglio di sfruttarlo inché c’è. Quale impresa non ti sei mai sentito abbastanza preparato ad afrontare? Quale persona, associazione o progetto hai sempre considerato fuori della tua portata? Quale argomento hai temuto andasse oltre la tua comprensione? Rivedi le tue supposizioni. Almeno una di quelle “cose impossibili” potrebbe essere più possibile del solito. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI GEMELLI Tra i miei amici dell’università la più brillante era la scrittrice dei Gemelli Clare Cavanagh, che in seguito avrebbe preso un dottorato ad Harvard e sarebbe diventata una delle più famose traduttrici di poesia polacca. È così brava che il poeta polacco Czesław Miłosz, premio Nobel per la letteratura, l’ha scelta come biografa uiciale. Intervistare Miłosz è stato diicile, ha raccontato Clare. Era molto esigente. Insisteva perché trovasse “domande che nessuno gli aveva mai fatto”. E lei, naturalmente, le ha trovate. Formulare domande intelligenti è una specialità dei Gemelli. La prossima settimana ti invito a usare più che puoi questo tuo talento. CANCRO “Da qualche parte qualcuno sta viaggiando furiosamente verso di te”, scrive il poeta John Ashbery, “a una velocità incredibile, viaggia giorno e notte, attraverso le bufere di neve e il caldo del deserto, attraverso torrenti, per strette gole. Ma saprà dove trovarti, saprà riconoscerti quando ti vede e darti la cosa che ha per te?”. Non devi prendere tutto alla lettera, Cancerino. Ma penso che i versi di Ashbery siano metaforicamente veri. In realtà la vita sta facendo gli straordinari per portarti doni e aiuto. Cerca di collaborare. Sforzati di essere più ricettivo. LEONE Nel 1768 la Royal society britannica incaricò il capitano James Cook di fare un lungo viaggio a ovest di Tahiti per studiare il pianeta Venere durante una delle rare volte in cui transitava davanti al Sole. Ma poi l’esploratore scoprì che la vera missione era un’altra. Dopo aver osservato il passaggio del pianeta, Cook aprì la busta sigillata che gli avevano consegnato alla partenza. Conteneva un secondo e più importante incarico: perlustrare le terre a ovest di Tahiti. Cook fu il primo europeo a visitare la costa orientale dell’Australia. Prevedo una successione di eventi simile anche per te, Leone. Il compito che hai svolto inora era solo un preludio. Presto riceverai gli “ordini sigillati” che ti indicheranno qual è la prossima tappa del tuo viaggio. do qualcosa di metaforicamente simile al durione nel tuo prossimo futuro. Un consiglio: non prendertela troppo a male. SAGITTARIO VERGINE Secondo l’azienda di sicurezza informatica Symantec, il rischio di essere danneggiati da un virus attraverso i siti pornograici è piuttosto basso. È molto più alto quando visitiamo i siti religiosi, perché spesso questi sono stati costruiti da programmatori inesperti, quindi sono più vulnerabili. Nelle prossime settimane un principio simile potrebbe valere anche nella tua vita. Sospetto che tu possa essere più facilmente danneggiata da persone gentili ed educate che da gente rozza e volgare. Non ti sto consigliando di evitare i tipi dalla faccia rassicurante, ma sta attenta che con la loro ingenuità non ti creino problemi. E, nel frattempo, controlla cosa combinano i tipi rozzi e volgari. La prossima settimana le tue parole saranno una forma d’arte. Avranno una funzione risanatrice e catalizzatrice. L’intensità con cui ti esprimerai forse intimidirà qualcuno, emozionerà qualcun altro e produrrà cambiamenti nella tua vita sociale. Voglio darti qualche suggerimento per ottenere risultati migliori. Primo, ascolta con la stessa passione con cui parli. Secondo, cerca di comunicare, non solo di dire quello che pensi. Terzo, riletti sulle rivelazioni sorprendenti che emergeranno da quello che dici. CAPRICORNO La vita ha un grande e diicile incarico per te. Mi auguro che sarai all’altezza della situazione, perché temo che tu non abbia molta scelta. Il tuo compito è accettare di provare più gioia e piacere. La ricerca del diletto e del godimento dev’essere in cima alle tue priorità. Un blando divertimento non sarà suiciente. Ti è vietato accontentarti di un tiepido entusiasmo. È tuo sacrosanto dovere straripare di dolce appagamento e stimolanti benedizioni. Trova il modo di farlo succedere. Supponiamo che tu voglia comprare un anello d’oro a 18 carati. Per ottenere quella quantità d’oro, i minatori hanno dovuto scavare sei tonnellate di roccia e immergerla nel cianuro, una sostanza chimica velenosa. Inoltre, il processo comporta la produzione di riiuti tossici. Vale la pena darsi tanto da fare per un anello? Mentre ci pensi, permettimi un’altra domanda: e se ti dicessi che nei prossimi cinque mesi potresti fare quello che serve per ottenere la versione metaforica di un anello d’oro? E che, se anche fossi costretto a iltrare l’equivalente di sei tonnellate di materiale grezzo, non saresti costretto a usare nessun veleno e non dovresti lasciare riiuti? Lo faresti? SCORPIONE PESCI Forse non hai mai assaggiato un frutto che cresce nel sudest asiatico e si chiama durione. Alcuni lo considerano “il re dei frutti” e dicono che è dolce e succoso. Secondo il naturalista Alfred Russel Wallace, il suo sapore somigliava a quello di “una ricca crema profumata di mandorle”. Ma altre persone lo trovano sgradevole e paragonano il suo odore a quello delle cipolle marce. Secondo lo chef televisivo Anthony Bourdain, il suo sapore “indescrivibile” si può solo “amare o odiare”. Preve- Nella versione della Walt Disney del 1951 di Alice nel paese delle meraviglie, la protagonista dice a se stessa: “Mi do sempre ottimi consigli, ma non li seguo quasi mai”. Spero che tu non faccia come lei, Pesci. È un ottimo periodo per seguire i tuoi buoni consigli. Anzi, ho il sospetto che farlo sarà fondamentale per prendere decisioni intelligenti e risolvere problemi diicili. È uno di quei momenti cruciali in cui devi assolutamente razzolare come predichi e fare quello che dici. BILANCIA Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 97 internazionale.it/oroscopo ACQUARIO COMPITI PER TUTTI Qual è la cosa più importante che non hai mai fatto? lASSErPE, urtikAn, FrAnCiA El roto, El PAíS, SPAgnA L’ultima bErtrAmS, PAESi bASSi CHAPPAttE, lE tEmPS, SvizzErA la grecia lascerà l’euro? “Comunque è da tempo che l’euro ha lasciato la grecia”. “Alla ine chi ha vinto la guerra?”. “la guerra”. grEgory dilEm, libErté, AlgEriA Auschwitz, la memoria collettiva. la grecia e la banca centrale europea: “non funziona più”. morte di re Abdallah: omaggio unanime in Arabia Saudita. blogger: “Ha lasciato il segno”. “la curvatura dello schermo inganna il cervello così vi sembra di non pagarlo troppo”. Le regole Mangiarsi le unghie 1 Farlo durante un colloquio di lavoro o un rapporto sessuale non fa bene alla tua immagine. 2 Se le mangi per fame, la soluzione è un pacchetto di crackers. 3 Avere le unghie rosicchiate non è bello, metterci sopra lo smalto è criminale. 4 E se proprio non resisti, non ingoiarle: usale come arma da sputare contro i tuoi nemici. 5 Pensi che sia solo un vizio innocente? Sapere che sei afetto da un disturbo compulsivo chiamato onicofagia ti farà cambiare idea. [email protected] 98 internazionale 1087 | 30 gennaio 2015 Abbonati al tuo giornale preferito Regalati o regala Internazionale. In un unico abbonamento avrai la rivista di carta e la versione digitale da leggere su tablet, computer e smartphone internazionale.it/abbonati Carta digitale Regalati o regala un abbonamento a