La versione dei greci

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La versione dei greci
30 gen/5 feb 2015
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
n. 1087 • anno 22
Leonardo Padura Fuentes
La speranza
di Cuba
internazionale.it
Elif Şafak
La fatica
di essere turchi
La
versione
dei
greci
PI, SPED IN AP, DL
ART
DCB VR
DE
• BE
• CH
CHF • UK
IL MONDO IN CIFRE
EURO
Il rifiuto dell’austerità.
Il negoziato con
l’Europa. L’alleanza
con la destra.
Il governo di Tsipras
alla prova
3,00 €
Scienza
Veleni
quotidiani
30 gennaio/5 febbraio 2015 • Numero 1087 • Anno 22
“Il razzismo è la più bassa forma di snobismo”
Sommario
La settimana
hANif kureishi, pAgiNA
30 gen/5 feb 2015
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
n. 1087 • anno 22
Leonardo Padura Fuentes
La speranza
di Cuba
internazionale.it
Elif Şafak
La fatica
di essere turchi
3,00 €
Scienza
Veleni
quotidiani
iN copertiNA
La versione dei greci
tempo
La
versione
dei
greci
Il riiuto dell’austerità.
Il negoziato con
l’Europa. L’alleanza
con la destra.
Il governo di Tsipras
alla prova
Il riiuto dell’austerità. Il negoziato con l’Europa. L’alleanza
con la destra. Il governo di Tsipras alla prova. I commenti
della stampa europea (p. 12). Foto di Francesco Anselmi (Contrasto).
Giovanni De Mauro
europA
18 Ucraina
Libération
scieNzA
AfricA
e medio orieNte
20 Arabia Saudita
The Guardian
AsiA e pAcifico
cubA
34 La speranza
ecoNomiA
e lAvoro
Ynet
non si ferma
The Guardian
grAphic
JourNAlism
70 Stoccolma
Leila Marzocchi
Arte
72 Mostra
portogAllo
POP
stAti uNiti
46 Detroit divisa
e disuguale
Tom Dispatch
cultura
Cinema, libri,
musica, video, arte
66 San Francisco
di riparazione
Vlast
di droga
Público
di Mario Draghi
Financial Times
74
di Cuba
Le Monde
40 Uno zaino pieno
94 L’ultima mossa
viAggi
visti dAgli Altri
per i musei italiani
The New York Times
portfolio
ritrAtti
The Irrawaddy
28 Cercasi manager
a come parli
The Economist
62 Amin al Hajj
O Globo
26 India-Stati Uniti
quotidiani
New Scientist
della memoria
Kim Hak
Al Monitor
24 Brasile
90 Occhio
56 Gli oggetti
22 Yemen
Americhe
scieNzA
50 Veleni
84 Toc toc,
87
sono Enoch
Hanif Kureishi
Pittori al cinema
Antonio Muñoz
Molina
Le opinioni
23
Amira Hass
30
Elif Şafak
32
Bernard Guetta
76
Gofredo Foi
78
Giuliano Milani
80
Pier Andrea Canei
82
Christian Caujolle
88
Tullio De Mauro
le rubriche
10
Posta
11
Editoriali
97
L’oroscopo
98
L’ultima
Articoli in formato
mp3 per gli abbonati
le principali fonti di questo numero
Le Monde È un importante quotidiano francese. L’articolo a pagina 34 è uscito il 20 gennaio 2015 con il titolo Leonardo Padura: “La in d’un interminable
cauchemar” à Cuba. New Scientist È un settimanale britannico di scienze. L’articolo a pagina 50 è uscito il 25 novembre 2014 con il titolo Toxic shockers: key
chemicals to look out for. Público Fondato nel 1990, è un quotidiano portoghese progressista. L’articolo a pagina 40 è uscito il 5 ottobre 2014 con il titolo Diário
de um correio de droga. Tom Dispatch È un sito d’informazione indipendente creato dal giornalista investigativo Tom Engelhardt. L’articolo a pagina 46 è
uscito il 16 novembre 2014 con il titolo Two Detroits, separate and unequal. Ynet È il primo sito israeliano d’informazione. Fa parte del gruppo
editoriale del quotidiano Yedioth Aharonot. L’articolo a pagina 62 è uscito il 14 novembre 2014 con il titolo The Rummenigge ile opens: Mossad’s
top agent in Lebanon speaks for the irst time. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
3
internazionale.it/sommario
Quando si parla di internet
bisognerebbe sempre ricordare che nel
mondo le persone che usano la rete
sono una minoranza: esattamente il 39
per cento, secondo le stime
dell’International telecommunication
union. In Italia l’ultimo rapporto
dell’Istat dice che ventidue milioni di
persone non hanno mai usato internet.
È il 38,3 per cento della popolazione,
che sale addirittura al 74,8 per cento tra
gli italiani dai 65 anni in su. In Europa
ci sono paesi vicini alla saturazione
(Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia,
Danimarca), dove cioè quasi tutti
usano la rete, mentre l’Italia è al
terzultimo posto. Accanto alla Grecia e
poco prima della Bulgaria. E sempre
parlando di internet bisognerebbe
anche ricordare che il web non
contiene tutto, e quello che c’è tende a
sparire nel tempo. Jill Lepore sul New
Yorker spiega che la vita media di una
pagina web è di circa cento giorni. Le
pagine web spariscono perché vengono
cancellate, modiicate, oppure perché
le società che le ospitano chiudono,
falliscono, sono vendute. Una ricerca
condotta negli Stati Uniti nel 2013 ha
scoperto che nel giro di sei anni il
50 per cento dei link citati da giudici e
avvocati nelle prove e nei documenti
presentati in tribunale non funziona
più, cioè la pagina web a cui puntano
non è più online. L’instabilità e la
precarietà del web possono essere un
problema nel caso delle prove, ma
possono rivelarsi una vera fortuna per
le sciocchezze. u
Immagini
Dopo la vittoria
Atene, Grecia
25 gennaio 2015
Alexis Tsipras parla ai sostenitori di
Syriza davanti all’università di Atene
dopo la vittoria alle elezioni politiche
del 25 gennaio. “La Grecia lascia l’austerità”, ha detto Tsipras nel suo discorso,
“lascia dietro di sé anni di oppressione.
La Grecia va avanti con la speranza verso un’Europa che sta cambiando”. Il
nuovo primo ministro ha sottolineato
che il suo governo, di cui fa parte anche
la destra nazionalista dei Greci indipendenti, “è pronto a collaborare per una
vera, nuova soluzione, per far uscire il
paese dal circolo vizioso della crisi e riportare la stabilità ad Atene e in Europa”. Foto di Matt Cardy (Getty Images)
Immagini
Non dimenticare
Oświęcim, Polonia
25 gennaio 2015
Durante una visita al memoriale dell’ex
campo di concentramento di Ausch­
witz­Birkenau, dove i nazisti uccisero
più di un milione tra uomini, donne e
bambini. In maggioranza erano ebrei,
ma anche polacchi, rom e prigionieri di
guerra sovietici. Il 27 gennaio 1945 le
truppe russe entrarono nel campo di
sterminio e liberarono i sopravvissuti.
Durante la giornata della memoria, il 27
gennaio, in tutto il mondo ci sono state
commemorazioni per ricordare le vitti­
me della shoah. Foto di Joel Saget (Afp/
Getty Images)
Immagini
La prima vescova
York, Regno Unito
26 gennaio 2015
La prima vescova della chiesa d’Inghilterra subito dopo la consacrazione. Libby Lane, 48 anni, è stata ordinata vescova di Stockport durante una cerimonia
nella cattedrale di York. Dopo decenni
di dibattiti sull’ordinazione delle donne, lo scorso novembre la chiesa d’Inghilterra ha adottato la legge che permette alle donne di diventare vescove,
come già avviene nelle chiese anglicane
di altri paesi. La cerimonia è stata ritardata dall’intervento di un sacerdote
contrario al cambiamento delle regole.
Assenti i vescovi cattolici, che spesso
partecipano alle cerimonie importanti
della chiesa anglicana. Foto di Phil Noble
(Reuters)
[email protected]
Il cuore a Kobane
u Il reportage a fumetti “Kobane calling” del mitico Zerocalcare è degno del miglior Joe
Sacco. Mi ha fatto capire l’assedio della città al conine turcosiriano meglio di un trattato di
geopolitica, ma con l’aggiunta
di umorismo e autoironia. Spero sia l’inizio di una lunga serie.
Diventerà il mio nuovo libro di
testo per i ragazzi (e pazienza se
insegno religione...).
Andrea Zanello
u Il fumetto di Zerocalcare è
stato una vera goduria: un uomo che conosce la profonda arte della leggerezza.
Glenda
Je suis Charlie
u Sono francese e sono anche
italiana. Sono nata in Francia, i
miei nonni erano italiani e vivo
a Roma ormai da quattro anni.
Sono rimasta molto colpita dagli eventi di Parigi. Mi sono
emozionata vedendo i francesi
scendere in piazza e riiutare di
aver paura e di stigmatizzare i
musulmani. Per giorni ho pian-
to, mi sono svegliata, ho mangiato, lavorato e mi sono addormentata pensando solo a questa strage. Mi sono arrabbiata
vedendo la scarsa reazione degli italiani. E ho deciso inalmente, dopo mesi che rimandavo, di fare l’abbonamento a Internazionale.
Jessica Tartaglia
Contraddizioni
u Mi sembra chiaro che la vostra linea editoriale contraddice
la vostra pretesa di essere internazionali. Lo scopo principale
della rivista è quello di rappresentare una inestra sul mondo,
concretizzare il motto di Shakespeare e di testimoniare le cose
che vi sono e accadono in cielo
e in terra. Con un’unica ideologica eccezione: ignorare sistematicamente l’azione apostolica e politica del papa. Anche se
la chiesa cattolica ha ruolo chiave nell’articolazione del mondo, il vostro settarismo è così
palese da condurvi in un vicolo
chiuso e in contraddizione con
quanto predicate: raccontare il
mondo, purché non sia quello
cattolico o non abbia legami
con il cristianesimo. Una ilosoia, quella cristiana, troppo premoderna per capire come funziona il mondo e per meritare
un’adeguata attenzione. Incorrendo nell’errore radical chic,
decidete di non connotarvi come internazionali, a favore di
un settarismo provinciale. Peccato.
Enrico Maestri
a mangiare: la tua mente rimuove gradualmente il ricordo dei lati frustranti del viaggio perché sarebbe un vero
peccato lasciare estinguere il
tuo desiderio di avventura.
Mentre a cena parli con i tuoi
bambini di quella volta al
Grand Canyon o sulla torre
Eifel, ti ricordi solo di quanto
fosse emozionante la vista da
lassù. E così vi torna la voglia
di viaggiare. E magari anche
di fare un altro iglio.
u Nell’articolo di Le Monde
uscito sul numero 1084, a pagina 48 si legge: “Ng e i suoi colleghi hanno progettato un computer in grado di capire cos’è
una chat semplicemente guardando immagini di un video su
YouTube”. “Che su YouTube ci
siano video dedicati alle immagini delle chat mi pare afascinante, ma forse l’autore stava
semplicemente parlando di
gatti”, ci scrive Luigi. Ma certo!
Il video mostrava un chat, che
in francese è un gatto! Bisogna
essere davvero distratti per trasformare un comune felino in
una conversazione online, ma
quando si è alle prese con un
articolo di tecnologia, che parla
di software, internet, e-commerce e smartphone, può capitare. Il contesto ci ha portato
fuori strada. E pensare che il
francese evita il più possibile i
prestiti da altre lingue. Computer, mouse, password, ile, software e browser, per esempio, si
traducono con ordinateur, souris, mot de passe, ichier, logiciel
e navigateur. Al posto dell’inglese chat, l’uicio per la lingua
francese del Québec ha proposto di usare clavardage, un misto di clavier (tastiera) e bavardage (chiacchiera). Il ministero
della cultura e della comunicazione francese, invece, suggerisce dialogue en ligne. Ma nella
lingua comune si è imposto
l’inglese chat, presente nel vocabolario Larousse insieme al
verbo chatter.
Claudio Rossi Marcelli
è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo [email protected]
Giulia Zoli è una giornalista
di Internazionale. L’email
di questa rubrica è
[email protected]
u Nel numero 1085, nel fumetto
di Joe Sacco “On satire”,
l’espressione tweaking the noses è
stata erroneamente tradotta con
“deformare il naso”, mentre
vuol dire “provocare”. Nel numero 1086, il titolo del nuovo album di Samba Touré citato a pagina 79, non è Gambadiko ma
Gandadiko.
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In viaggio con papà
La natura funziona in modo
impeccabile, dicono. Eppure
ogni tanto s’inventa delle cose
strane, come per esempio il
dolore durante il travaglio.
Perché le donne devono soffrire tanto per svolgere un’attività che la natura ha tutto l’interesse a incentivare? La Bibbia ci dà la sua versione dei
fatti, ma come al solito il testo
sembra più concentrato a giu-
10
stiicare il maschilismo arcaico che a dare spiegazioni. La
scienza invece suggerisce che
è tutta colpa del nostro testone da esseri umani, cresciuto
a dismisura. In ogni caso, anche se io non ho mai partorito,
mi dicono che i dolori del parto si dimenticano subito, e
questo forse è il gofo tentativo della natura di correggere il
tiro ed evitare l’estinzione della specie. Mi chiedo quindi se
non sia opera sua anche nel
tuo caso. I pianti da stanchezza, i bagagli pesanti, le corse a
un bagno pubblico, i musei a
cui avete rinunciato, il fast
food in cui siete stati obbligati
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Chiacchiere
feline
Errata corrige
Dear Daddy
Perché ogni volta che facciamo un viaggio con i nostri tre igli piccoli mi dico
“questa è l’ultima volta”
ma poi ci ricaschiamo
puntualmente?–Matteo
Le correzioni
Editoriali
Una nuova era per Atene
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
Direttore Giovanni De Mauro
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri),
Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri
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Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,
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To Vima, Grecia
Quella di Syriza è una vittoria epocale. Per la quello nazionale ma anche quello che domina
prima volta nella storia della Grecia moderna in Europa. Per questo ha suscitato grande inteun partito davvero di sinistra vince le elezioni, resse nei mezzi d’informazione europei e monprende il potere e avrà la possibilità di governa- diali.
L’afermazione di Tsipras determinerà prore. Per generazioni di militanti di sinistra greci
fondi cambiamenti nel sistema politico greco,
è la realizzazione di anni di desideri frustrati.
Su una questione d’importanza storica co- tanto più se il nuovo governo riuscirà a raggiungere un accordo con i leader eurome quella del debito, la scelta del
pei sulla ristrutturazione del debipopolo greco è stata unica in Eu- Per la prima volta
ropa e per molti versi straordina- nella storia greca un to. In questo caso il suo prestigio
diventerebbe inattaccabile e nesria. Perché questo accadesse, in- partito davvero di
sun partito o leader potrebbe
fatti, è stato necessario abbattere sinistra avrà la
ignorarlo o sottoporlo a nuove rile divisioni tra i partiti e le barrie- possibilità di
chieste e condizioni.
re ideologiche, e superare le in- governare. Per
Inoltre non bisogna dimenticomprensioni tra persone di una diverse generazioni
care
che Tsipras ha solo quastessa famiglia.
di militanti è la
rant’anni ed è uno dei più giovani
Questo processo è stato deterrealizzazione di
primi ministri in Europa. Questo
minato dal peso di una crisi ecoanni di desideri
potrebbe spingere altri giovani a
nomica senza precedenti, che ha
impegnarsi in politica. Il nuovo
frantumato i partiti tradizionali,
ha tolto credibilità ai loro leader e ha creato le premier ha già lanciato un appello ai giovani
condizioni per il trionfo di Alexis Tsipras. Le ricercatori greci perché tornino a lavorare nel
conseguenze della vittoria di Syriza non posso- loro paese.
Ma l’aspetto più importante del risultato
no ancora essere valutate con precisione. Ma
quello che si può dire con certezza è che l’ele- elettorale è che la spinta al rinnovamento dozione di Tsipras scuote le fondamenta della po- minerà la vita politica della Grecia. Senza dubbio stiamo entrando in una nuova epoca. Resta
litica greca.
Il suo partito è considerato il fulcro della da vedere se sarà un’epoca di prosperità per il
protesta contro il sistema economico, non solo paese e i suoi cittadini. u anf
Kobane è inalmente libera
Frank Nordhausen, Berliner Zeitung, Germania
Registrazione tribunale di Roma
n. 433 del 4 ottobre 1993
Direttore responsabile Giovanni De Mauro
Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì
28 gennaio 2015
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Kobane è libera. La vittoria dei curdi potrebbe
segnare una svolta nella lotta contro il gruppo
Stato islamico. Dopo quattro mesi di assedio
costato migliaia di morti, innumerevoli feriti e
la completa distruzione della città, i curdi hanno scacciato i jihadisti e gli hanno strappato
l’aura di invincibilità che li aveva accompagnati
inora. È vero che questo successo non sarebbe
stato possibile senza il supporto aereo della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Ma la liberazione di Kobane dimostra che
nella lotta contro lo Stato islamico sul terreno è
giusto puntare sui curdi, che sono combattenti
disciplinati ed eicienti.
A Kobane i curdi di Siria non si sono battuti
solo per se stessi, hanno anche svolto il lavoro
sporco per conto dell’occidente, pagando un
altissimo tributo di sangue. È dunque giusto e
ragionevole che ora ricevano inalmente gli aiuti che meritano. La ricostruzione di Kobane costerà milioni di euro. Ma i curdi hanno bisogno
anche di rifornimenti alimentari, di medicinali
e di armi per potersi difendere da nuovi attacchi
da parte dello Stato islamico, che tutti si attendono. E, quando si parlerà del futuro della Siria,
dovranno sedere anche loro al tavolo delle trattative.
Ma prima di tutto deve inire l’embargo che
la Turchia ha decretato contro le enclave curde
della Siria per motivi puramente ideologici. È
ora di obbligare Ankara ad aprire dei corridoi
per consentire l’arrivo degli aiuti. È il minimo
che possiamo fare per i valorosi combattenti di
Kobane. u ma
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
11
In copertina
La versione
Adéa Guillot, Le Monde, Francia
Foto di Francesco Anselmi
Il riiuto dell’austerità e il negoziato con l’Europa.
L’alleanza con la destra nazionalista e i compromessi
inevitabili. Dopo il trionfo del 25 gennaio, per Alexis
Tsipras è arrivato il momento di governare
l 26 gennaio Alexis Tsipras è diventato il dodicesimo primo ministro greco democraticamente
eletto dopo la ine della dittatura
dei colonnelli, nel 1974. A quarant’anni appena compiuti,
Tsipras è anche il più giovane capo di governo che la Grecia abbia mai avuto e il primo a provenire dalla sinistra radicale. Dichiaratamente ateo in un paese profondamente ortodosso (non è sposato con la sua
compagna e i suoi igli non sono battezzati), il giorno dell’insediamento il leader di
Syriza ha deciso di rinunciare alla cerimonia religiosa e al giuramento sulla Bibbia,
una tradizione rispettata da tutti i primi ministri negli ultimi quarant’anni. Tuttavia si
è premurato di fare visita all’arcivescovo
Geronimo, primate della chiesa greca, per
rassicurarlo sul fatto che “le relazioni tra
chiesa e stato sono più salde che mai”.
Quando ha promesso di portare a termine la sua missione “nell’interesse generale del popolo greco”, lo ha fatto solo davanti al presidente della repubblica, Karolos Papoulias, in una cerimonia rapida e
sobria. Tsipras era aiancato dal suo amico
e capo di gabinetto Nikos Pappas, visibilmente commosso, e dal portavoce del partito, Panos Skourletis. Entrambi avranno
un ruolo importante nel nuovo esecutivo.
Subito dopo l’insediamento, il primo ministro ha visitato un luogo altamente simbolico per la sinistra greca: il muro dei caduti
di Kaisariani, una cittadina vicino ad Atene
dove duecento partigiani comunisti furono
I
12
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
uccisi dai nazisti il 1 maggio del 1944. “Un
gesto importante che ricorda le radici di
Syriza, un omaggio necessario che celebra
la voglia di libertà dei greci”, hanno dichiarato i consiglieri di Tsipras. Un momento di
raccoglimento silenzioso, qualche rosa rossa deposta su una tomba tra gli applausi di
una cinquantina di persone, e poi Tsipras è
ripartito verso palazzo Maximou, la sede
del governo greco. Il suo predecessore, Antonis Samaras, ha scelto di non andare ad
accoglierlo. Uno strappo al bon ton politico
che è stato aspramente criticato. Il passaggio dei poteri uiciale si è quindi svolto tra i
segretari generali di governo.
Una soluzione rapida
Nel frattempo, a meno di ventiquattr’ore
dalla vittoria del suo partito alle elezioni
del 25 gennaio e dopo aver mancato la maggioranza assoluta per appena due seggi,
Tsipras era già riuscito a formare una coalizione con i Greci indipendenti (Anel) del
populista Panos Kammenos. Ai 149 seggi
di Syriza si aggiungono quindi i 13 ottenuti
da Anel, che ha avuto il 4,7 per cento dei
voti: con 162 deputati la coalizione può contare su una solida maggioranza in parlamento.
“È un’alleanza contro natura che tradisce completamente il mio voto”, ha commentato un giovane militante del partito
che era presente alla cerimonia di KaisariaIn queste pagine le foto di militanti
di Syriza tra il 25 e il 26 gennaio 2015
e dei greci
Contrasto (2)
Maria, 31 anni
Eleni, 64 anni
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
13
In copertina
ni. L’opinione è condivisa da buona parte
dei sostenitori di Syriza, irritati dall’idea di
dover collaborare con Kammenos, noto per
le sue posizioni xenofobe e omofobe e molto vicino alla chiesa ortodossa. L’avvicinamento tra i due leader politici era cominciato nel 2012, dopo il voto del 6 maggio,
dal quale non era uscita nessuna maggioranza. In quell’occasione Tsipras aveva
detto di essere pronto ad accettare il sostegno dei Greci indipendenti.
“L’idea di avere come alleati i Greci indipendenti non mi piace afatto”, ci ha confessato un deputato di Syriza la sera del 25
gennaio. “Ma credo che la priorità di
Tsipras sia mettere ine alla politica di rigore. Un obiettivo – probabilmente l’unico –
che condividiamo con Kammenos”. Questo pragmatismo si spiega con la volontà di
Tsipras di non impegnarsi con un alleato
troppo esigente, come sarebbe stato per
esempio Stavros Theodorakis, il leader di
To potami (il iume), un partito di centrosinistra che ha raccolto il 6 per cento dei consensi e che per Syriza sarebbe stato un alleato senz’altro più naturale.
“To potami ha una visione liberale
dell’economia e avrebbe fatto pressione su
di noi per spingerci a rispettare le misure di
austerità che i creditori ancora pretendono
dalla Grecia. Questo avrebbe signiicato
non rispettare le promesse fatte in campagna elettorale. Dovevamo scegliere tra due
mali”, spiega il costituzionalista Yorgos
Katrougalos, eurodeputato di Syriza.
“Con To potami i negoziati sarebbero
andati avanti a lungo, mentre Tsipras voleva formare un governo rapidamente”, sottolinea il politologo Elias Nikolakopoulos.
Avere la possibilità di agire liberamente
ed evitare spaccature in vista dei diicili
negoziati sulla ristrutturazione del debito
pubblico greco: è questo l’obiettivo della
strana coalizione tra Syriza e Anel. Intanto
nel governo sono entrati i collaboratori più
stretti di Tsipras, come Nikos Pappas, capo
di gabinetto, e Yannis Dragasakis e Yannis
Varoufakis, rispettivamente vicepremier e
ministro delle inanze. Ma il ministero dello sviluppo e dell’industria è andato a Panagiotis Lafazanis, della Piattaforma di
sinistra, una corrente del partito particolarmente turbolenta che Tsipras dovrà cercare di tenere a bada. A questi nomi si aggiungono poi alcune personalità dell’Anel,
tra cui il leader Panos Kammenos, a cui è
andato, come previsto, il ministero della
difesa. u adr
14
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Trattare
conviene a tutti
Cerstin Gammelin, Süddeutsche Zeitung, Germania
Le posizioni della Grecia e dei
suoi creditori non sono
inconciliabili. Nessuna delle
parti in causa vuole l’uscita di
Atene dall’euro, perché avrebbe
conseguenze devastanti
elle prossime settimane gli europei avranno l’opportunità di
dimostrare quanto siano tolleranti e illuminati. Tra la Grecia
e gli altri paesi dell’eurozona, primo tra
tutti la Germania, sono previste trattative
diicili. Il nuovo governo greco non vuole
più rispettare le condizioni del programma
di aiuti e, soprattutto, vuole sbarazzarsi dei
supervisori della troika, il gruppo di creditori di Atene formato dalla Commissione
europea, dalla Banca centrale europea e
dal Fondo monetario internazionale. Gli
alleati europei, invece, ripetono che la Grecia deve rispettare gli accordi.
I due fronti sembrano inconciliabili,
ma non c’è motivo di credere che sulla moneta unica incombano scenari terriicanti.
Dopo cinque anni di crisi l’eurozona si è
abituata a queste prospettive ed è in un
certo modo più sicura di sé nella gestione
delle trattative. Ma quello che conta di più
è che le due parti sono unite da un interesse comune: restare all’interno dell’unione
monetaria. Il nuovo governo di Atene sa
che un’uscita dall’euro catapulterebbe la
Grecia nella condizione di un paese in via
di sviluppo, con il rischio di disordini sociali. Il resto dell’eurozona sa che l’uscita
di Atene dimostrerebbe al mondo intero
che l’ingresso nell’euro non è un processo
irreversibile come si è sempre detto. I primi accenni di sgretolamento della moneta
manderebbero a picco la iducia nell’euro,
facendo fuggire gli investitori. Sarebbe
l’inizio della ine dell’unione monetaria.
Questo interesse comune è la base su
cui dovranno fondarsi le trattative della
Grecia con gli altri paesi dell’eurozona e soprattutto con Berlino. Il desiderio di auto-
N
determinazione dei greci è comprensibile.
Da tempo la Grecia non è più un paese normale: i banchieri e i burocrati della troika
hanno avuto l’ultima parola su un governo
eletto democraticamente. Per cinque anni i
cittadini hanno tollerato questa mancanza
di autonomia, pensando che prima o poi
sarebbero tornati a gestire la loro economia.
Ma non è andata così. Ora si sono sbarazzati del vecchio governo e sperano che presto
se ne vada anche la troika.
Con il voto del 25 gennaio i greci hanno
messo ine a una situazione paradossale.
Tutti i paesi dell’euro sono d’accordo su un
Da sapere
Il nuovo parlamento greco
u Il 25 gennaio sei milioni e 330mila greci, il
63,9 per cento degli aventi diritto, sono andati alle urne per le elezioni politiche. Il partito più votato è stato Syriza di Alexis
Tsipras, con il 36,3 per cento, seguito dai
conservatori di Nea demokratia del premier
uscente Antonis Samaras. Più staccati i
neonazisti di Alba dorata, il nuovo partito di
centrosinistra To potami, i comunisti del
Kke, i nazionalisti Greci indipendenti (Anel)
e i socialisti del Pasok.
u La mattina del 26 gennaio Alexis Tsipras
ha annunciato un accordo di governo con
l’Anel di Panos Kammenos. Poche ore dopo ha giurato da primo ministro nelle mani
del presidente della repubblica Karolos Papoulias. Il 27 gennaio è stata resa nota la
composizione del governo. Agli alleati
dell’Anel vanno due ministeri (quello della
difesa e quello per la Macedonia e la Tracia),
mentre Syriza prende tutti gli altri dicasteri.
Seggi
%
149
36,3
Nea demokratia
76
27,8
To potami (Il iume)
17
6,2
Alba dorata
17
6,0
Partito comunista (Kke)
15
5,4
Socialisti (Pasok)
13
4,7
Greci indipendenti (Anel)
13
4,6
Altri
0
9,0
Syriza
CoNtrASto (2)
Nikoleta, 27 anni, studentessa
punto: un’élite economica e politica corrotta ha amministrato la Grecia per quarant’anni insieme ad alcuni oligarchi, mandando il paese in rovina. Perché mai dovrebbe essere proprio uno dei partiti più
rappresentativi di quel sistema di corruzione a liberare la Grecia dalla sua miseria?
Un gesto di solidarietà
Chi vuole davvero accettare la volontà del
popolo greco deve ofrire una giusta opportunità al nuovo governo. Naturalmente
questo signiica anche che Atene dev’essere pronta a scendere a compromessi. È assolutamente legittimo che i creditori vogliano sapere come viene usato il loro denaro. In fin dei conti, gli aiuti finanziari
sono anche un gesto di solidarietà dei cittadini degli altri stati europei. Ed è evidente che senza un impegno sulle riforme
strutturali non potrà esserci alcun aiuto. In
fondo entrambe le parti vogliono che la
Grecia torni a essere un paese normale.
Queste considerazioni sollevano la
questione della riduzione del debito. Di
Yorgos, 58 anni, professore
certo un paese con un debito pubblico pari
al 170 per cento del pil non è nella condizione di inanziarsi sul mercato. Il debito
va ridotto, su questo sono praticamente
tutti d’accordo. Il problema è capire come
farlo. I tagli non sono serviti, non basterà
posticipare ancora le scadenze né ottenere
ulteriori moratorie sugli interessi. Il debito
resta comunque invariato e compromette
la credibilità di Atene. I paesi dell’eurozo-
Da sapere
Creditori e debitori
I debiti della Grecia, in miliardi di euro, e i suoi
creditori. Fonte: Frankfurter Allgemeine Zeitung
Investitori pubblici e istituzionali
Fondo salvastati
(Efsf/Esm)
142
Paesi dell’eurozona
Fondo monetario
internazionale
Banca centrale
europea
Investitori privati
53
35
27
65
na non potranno ancora rimandare il problema. Sarebbe già un segnale importante
se i ministri delle inanze dell’euro e il governo di Atene si accordassero su un prolungamento del programma di inanziamento in corso. Il tempo guadagnato in
questo modo potrebbe permettere alle due
parti di conoscersi meglio e di individuare
una base su cui fondare i negoziati futuri.
L’unione monetaria è un progetto politico oltre che economico ed è stata voluta
da stati democratici e sovrani. Il risultato
delle elezioni greche dimostra che i diritti
di un paese non possono essere subordinati per sempre a interessi economici esterni.
È questo l’insegnamento che i creditori dovrebbero trarre dalla svolta greca. D’altra
parte il vincitore delle elezioni è tenuto a
proporre agli altri paesi un programma che
tenga conto delle loro richieste, ma che abbia l’impronta del popolo greco e imponga
inalmente alle élite economiche corrotte
del paese di sostenere i costi della crisi.
Dopo i fallimenti delle misure precedenti,
vale la pena di fare questo tentativo. u fp
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
15
In copertina
L’opinione
Il riscatto
del sud
Rui Tavares, Público,
Portogallo
opo cinque anni di austerità la Grecia si è schierata
contro tutte le minacce e i
ricatti. Per la prima volta una forza
della sinistra radicale è al governo in
un paese dell’Unione europea, e per
la prima volta uno stato dell’eurozona ha un esecutivo dichiaratamente
contrario all’austerità. Il signiicato
di questo passaggio cruciale dipenderà dal modo in cui sarà afrontato
dal Consiglio europeo, che dovrà accettare il fatto che uno dei suoi
membri sarà anche uno dei principali avversari delle sue politiche.
Bruxelles deve capire che ad Atene
ha avuto fortuna: i greci non hanno
scelto il populismo ma un partito
progressista e paciico.
Oggi gli europei devono mandare un messaggio chiaro a Bruxelles:
la Grecia non è sola. Soprattutto gli
altri paesi colpiti dalla crisi, a cominciare dal Portogallo, devono essere
riconoscenti al coraggio dei greci,
che hanno aperto la porta alla trasformazione delle politiche
dell’Unione sul debito e sulla disoccupazione. La conferenza europea
dei creditori e dei debitori proposta
da Alexis Tsipras deve essere sostenuta dalle altre capitali, a cominciare da Madrid e Lisbona, dove
quest’anno si voterà per scegliere un
nuovo governo. All’inizio della crisi
ci chiamavano “maiali” (Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). E i greci sono stati trattati peggio di tutti. Ma la crisi ci ha anche
uniti, come dimostra l’attenzione
che riserviamo alle rispettive elezioni in cerca di segnali sul nostro futuro. E questa volta i segnali sono positivi. Spetta a noi, agli altri paesi in
crisi e a tutta l’Unione, realizzare la
svolta annunciata da Atene. u as
D
16
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Nuove regole
per l’unione monetaria
Paul De Grauwe, De Morgen, Belgio
L’austerità imposta dal
Nordeuropa ha ridotto molti
greci in povertà, spingendoli a
votare per Syriza. L’euro non
può sopravvivere se si tutelano
solo gli interessi dei creditori
estremisti che propongono una via diversa
da quella indicata dai paesi creditori. È incredibile che l’élite politica nordeuropea
non abbia pensato alle conseguenze di
queste misure troppo severe. In futuro la
svolta politica avvenuta in Grecia potrebbe
ripetersi in altri paesi.
Lontani dai cittadini
greci hanno detto no alle misure
d’austerità imposte con inaudita durezza dai creditori del Nordeuropa,
che hanno lasciato milioni di persone senza un lavoro e nella miseria. La cosa
incredibile è che i sostenitori di queste misure si sono trincerati nella loro torre
d’avorio. Non sarà poi così diicile, dicevano a Bruxelles e a Berlino, i greci devono
solo stringere un po’ la cinghia: un intervento rapido e doloroso è necessario, anzi
inevitabile.
Ma la realtà era completamente diversa. Le persone non possono essere comandate come un gregge: ridotte in povertà e
umiliate, iniscono per reagire. E in democrazia questo signiica votare per partiti
I
Ascoltando le reazioni dei ministri
dell’economia si capisce ancora di più
quanto siano lontani dalla vita dei cittadini. Il ministro tedesco dice che bisogna
continuare con la politica di risanamento
del bilancio, il collega olandese dalla sua
torre d’avorio fa sapere che non c’è un’altra
soluzione: i greci devono rispettare le regole del gioco dell’unione monetaria.
Ma quali regole? Le regole dovrebbero
essere totalmente diverse da quelle a cui si
riferisce il ministro, non hanno niente a
che vedere con le misure imposte alla Grecia e ad altri paesi dell’eurozona. Le regole
del gioco di un’unione monetaria che funzioni dovrebbero basarsi sui princìpi di reciprocità e solidarietà. Se un paese ha ac-
Da sapere Tre ministri per l’economia
u Tra i ministri nominati da
Alexis Tsipras nel nuovo governo spiccano tre economisti, scrive Libération. “Due
sono esponenti di Syriza. Il
primo è Yannis Dragasakis,
nominato vicepremier con la
responsabilità speciica di coordinare i negoziati con la
troika”, il gruppo di creditori
formato dalla Commissione
europea, dalla Banca centrale
europea e dal Fondo monetario internazionale. Ex militante del Partito comunista greco, Dragasakis è il ministro
con più esperienza politica e
l’unico che ha già avuto incarichi di governo: nel 1989 è
stato viceministro delle inanze nel governo ad interim di
Xenophon Zolotas. L’altro uomo di Syriza è Yorgos Stathakis, docente di economia
politica dell’università di Creta, a cui è stato aidato “un
superministero dello sviluppo
che si occuperà anche del turismo e dei trasporti”. Il terzo
economista, il neoministro
delle inanze Yannis Varoufakis, non è iscritto a Syriza.
Nato nel 1961 ad Atene,
Varoufakis ha studiato matematica e statistica economica
nel Regno Unito e poi in Australia, a Sydney, scrive la
Frankfurter Allgemeine Zeitung. In seguito si è dedicato
all’insegnamento, in particolare all’università di Atene.
Varoufakis scriveva anche i
discorsi economici per Yorgos
Papandreou quando l’esponente del Pasok era leader
dell’opposizione. Ma nel
2009, quando Papandreou è
diventato primo ministro, Varoufakis si è allontanato dal
Pasok e da allora si è progressivamente avvicinato alle
idee di Syriza. Nel 2012 si è
trasferito negli Stati Uniti per
insegnare all’università di Austin. Noto per il suo stile grafiante e spesso dissacrante,
osserva il Daily Telegraph,
“Varoufakis non è l’estremista di sinistra dipinto da molti, ma un sostenitore del libero mercato e dell’euro che ha
assunto posizioni molto critiche sulla gestione della crisi”.
L’opinione
Matrimonio
di convenienza
Nikos Meletis,
To Ethnos, Grecia
a prima riga della nuova pa­
gina di storia che si è aperta
per la Grecia con la vittoria di
Syriza non è stata scritta in modo
chiaro. È infatti diicile capire come
sarà possibile cambiare la politica
greca in senso progressista con i
Greci indipendenti (Anel) nella coa­
lizione di governo. Un’alleanza con
il partito di Panos Kammenos può
portare a diversi cambiamenti, ma
non certo a una svolta a sinistra. Il
punto è capire perché Tsipras abbia
scelto l’Anel come alleato di gover­
no, rischiando di deludere molti
simpatizzanti di Syriza. I due partiti
hanno davvero così tanto in comune
da poter condividere un programma
di governo? Ovviamente no, consi­
derate le divergenze su temi come
l’immigrazione, i matrimoni gay, il
rapporto tra lo stato e la chiesa orto­
dossa, l’ordine pubblico, la difesa, la
tutela della minoranza greca in Al­
bania, la questione della Macedo­
nia. L’unica ragione dietro a questo
strano matrimonio è il comune riiu­
to delle politiche di austerità.
Ma se Syriza, come fa pensare il
suo nuovo pragmatismo, è davvero
interessata a raggiungere un com­
promesso con i creditori, non le ba­
sterà aidarsi allo slogan “Abbasso il
memorandum”. E alleandosi con
Kammenos non ha certo mandato
all’Europa un segnale di disponibili­
tà al compromesso. Piuttosto, ha
lanciato un guanto di sida: l’Anel,
infatti, non esclude di andare allo
scontro con i creditori del paese. Per
questo, quando in parlamento dovrà
far approvare alcuni provvedimenti
delicati, probabilmente Syriza chie­
derà l’appoggio dei centristi di To
potami o perino dei socialisti del
Pasok. u anf
COnTrASTO
L
Gregoris, 24 anni
cumulato troppi debiti, è anche perché i
creditori hanno sbagliato ad accordargli
troppi crediti. Se il debitore non può paga­
re bisognerà trovare un compromesso tra
le due parti, entrambe responsabili della
situazione che si è venuta a creare. I greci
devono ridurre la spesa per abbattere il de­
bito pubblico, è vero, ma i debitori (soprat­
tutto la Germania) avrebbero dovuto au­
mentare la spesa per ridurre il loro surplus
commerciale.
Alla Germania, però, non piacevano
queste regole del gioco. Berlino le ha igno­
rate e ha costretto anche gli altri a soppor­
tare il costo dell’operazione. non sono i
greci a non seguire le regole, sono i tede­
schi che hanno cambiato le carte in tavola
per difendere i loro interessi di creditori e
sono riusciti a convincere le istituzioni eu­
ropee a seguire il loro gioco.
Oggi è successo alla Grecia, ma domani
altri paesi si ribelleranno alle regole che
tutelano la ricchezza dei creditori. E sarà
un bene. Un’unione monetaria in cui alcu­
ni paesi dettano legge ad altri non ha fu­
turo. u ft
Paul De Grauwe è un economista belga.
Insegna politica economica alla London
school of economics and political sciences.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
17
Europa
MANU BRABO (AP/ANSA)
Un miliziano separatista a Donetsk, il 22 gennaio 2015
L’Ucraina precipita
verso la guerra
Sébastien Gobert, Libération, Francia
Il bombardamento dei
separatisti su Mariupol è uno
degli episodi più gravi del
conlitto. E fa pensare che sia
pronta una nuova ofensiva
er tutto il giorno mi sono
detta che dovevo buttare
giù qualcosa su Mariupol,
ma non ci sono riuscita. Sono ancora sotto shock”. Oksana Romaniuk,
direttrice dell’Istituto per l’informazione di
massa di Kiev, non ha mai avuto problemi a
scrivere. Ma la pioggia di missili che il 24
gennaio ha colpito i quartieri della periferia
orientale della città ucraina sul mar Nero
l’ha traumatizzata. Il bilancio è di almeno
trenta morti e un centinaio di feriti. “Noi
vogliamo la pace. Ma dobbiamo afrontare
“P
18
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
la sida lanciata dal nemico”, ha detto il presidente Petro Porošenko in un discorso alla
nazione registrato in tutta fretta.
Il coinvolgimento diretto delle forze di
Mosca nel conlitto sarebbe dimostrato da
numerosi rapporti e oggi sembra confermato anche da leader politici in Ucraina e in
occidente. Alcune migliaia di soldati
dell’esercito regolare russo, novemila secondo Porošenko, sarebbero responsabili
dell’avanzata separatista degli ultimi giorni
nell’aeroporto di Donetsk e nel villaggio di
Krasny Partisan. Secondo la ricostruzione
fatta dal blog Conlict Report, chi ha colpito
Mariupol era dotato di “un sistema per il
lancio dei razzi molto moderno, come il
Grad-K, in dotazione all’esercito russo, o il
BM-30 Smerch”. Nel frattempo Vladimir
Putin continua a dire di volere la pace, e dà
la colpa delle ultime violenze agli “ordini
criminali che arrivano da Kiev”.
Uicialmente l’ultima sida all’Ucraina
è stata lanciata da Aleksandr Zacharčenko,
il leader della Repubblica popolare di Donetsk. Riiutando l’ipotesi di un nuovo cessate il fuoco, Zacharčenko ha esortato i suoi
uomini a riprendere il controllo dell’intera
regione. Dopo aver rotto l’accerchiamento
di Donetsk e aver ripreso il controllo di quel
che resta dell’aeroporto, il capo separatista
ha detto di essere in grado di “condurre
un’ofensiva su tre fronti”. Zacharčenko e il
suo omologo di Luhansk, Igor Plotnitski,
non hanno mai nascosto le loro ambizioni
territoriali. Eppure la ripresa dei combattimenti, i più violenti da settembre, ha sorpreso gli analisti. Questa nuova fase arriva
dopo una “pulizia invernale” tra le ile dei
separatisti, servita a isolare i gruppi più indisciplinati. La morte di Aleksandr Bednov,
il 25 dicembre, e la scomparsa di Igor Bezler
confermano che il comando dei separatisti
ha ripreso in mano la situazione ed è pronto
per l’ofensiva sul territorio.
La logica del conlitto rimane però poco
chiara. Anche se Zacharčenko assicura di
voler concentrare i suoi sforzi sulla riconquista di Slovjansk, fondamentale per l’approvvigionamento idrico della sua repub-
blica, l’esperto militare ucraino Juri Butusov ritiene che i separatisti non abbiano una
strategia militare: “Seguono i piani di Mosca. Si tratta di prendere un po’ più di territorio ucraino e far accettare a Kiev una nuova tregua ancora più sfavorevole”.
Altri osservatori, invece, ritengono che
le ofensive attuali siano solo dei diversivi
nel quadro di un progetto più vasto. “Lo
scopo principale dell’attacco a Mariupol è
prendere il controllo della città per creare
un corridoio via terra tra la Russia e la penisola di Crimea”, spiega Constantin
Mašovets, analista del Centro di studi militari e politici di Kiev. L’obiettivo inale è creare una grande Novorossija, che si estenderebbe su circa un terzo del territorio ucraino. Una minaccia che viene presa sul serio
dal vicegovernatore della regione di Dnipropetrovsk, Sviatoslav Oleinik, che ha
messo in allerta la sua amministrazione subito dopo il bombardamento di Mariupol.
In ogni caso, secondo Conlict Report, “i
recenti sviluppi dimostrano che l’esercito
ucraino non è in grado di resistere alle forze
russe. Mosca non vuole una rottura totale
della linea del fronte e usa invece la cosiddetta ‘tattica del salame’. Lo scopo è prendere l’Ucraina una fetta alla volta”. u adr
Da sapere
13 gennaio 2015 Un autobus che percorre la
strada tra Mariupol e Donetsk viene colpito da
un proiettile di artiglieria. Muoiono 12 persone.
15 gennaio È annullato il vertice previsto ad
Astana, in Kazakistan, tra Germania, Francia,
Ucraina e Russia.
20 gennaio I separatisti riprendono il controllo
completo dell’aeroporto di Donetsk.
22 gennaio A Donetsk 13 persone muoiono nel
bombardamento di una fermata d’autobus.
24 gennaio Lanciarazzi Grad e Uragan colpiscono la periferia di Mariupol, uccidendo 30
persone. Secondo l’Osce si razzi sono stati lanciati dalle zone controllate dai separatisti.
L’opinione
Granate e negoziati
Andrej Ulganov, Argumenty Nedeli, Russia
Il fallimento degli ultimi
contatti diplomatici tra Kiev
e Mosca nella ricostruzione
di un settimanale russo
quanto pare il presidente del
Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, ha avuto un ruolo importante nei tentativi di risolvere la crisi
ucraina. Negli ultimi dieci giorni di dicembre, quando era diventato chiaro
che ci sarebbe stato un nuovo inasprimento del conlitto, è andato a Kiev
con una serie di proposte evidentemente concordate con il Cremlino. Nazarbaev ha chiesto al presidente Petro
Porošenko di riconoscere di fatto la
Crimea come territorio russo. In cambio i territori di Donetsk e di Luhansk
sarebbero passati sotto il controllo di
Kiev, con il ritiro dei volontari russi e
dei miliziani locali. Anche il conine tra
la Russia e le regioni ucraine oggi in
mano ai separatisti sarebbe inita sotto
il controllo delle guardie di frontiera
ucraine. Quest’ultima era la condizione più importante.
Nazarbaev, a quanto sembra, aveva
preso accordi anche con il presidente
francese François Hollande in occasione del loro incontro, il 5 dicembre ad
Astana. In quell’occasione Hollande
rappresentava la posizione dell’intera
Unione europea. Dopo il viaggio in Kazakistan, il presidente francese è volato
a Mosca e ha riferito a Vladimir Putin le
oferte sul piatto, prospettandogli inoltre la cancellazione delle sanzioni. Se il
Cremlino non avesse accettato, ha
spiegato Hollande a Putin, la Russia sarebbe stata estromessa dal sistema
Swift per i trasferimenti internazionali
di denaro. E in più sarebbero diminuiti
gli acquisti di petrolio e gas.
Queste condizioni però non hanno
incontrato il favore di Mosca, che ha
continuato a sostenere di non essere
A
parte del conlitto. Da parte sua,
nell’ultimo incontro del gruppo di contatto (che si era tenuto a Minsk il 24 dicembre tra i rappresentanti di Osce,
Kiev, Mosca e delle repubbliche separatiste) il Cremlino avrebbe chiesto una
soluzione federale per l’Ucraina, con la
conseguente autonomia per le regioni
di Donetsk e Luhansk. La chiusura dei
conini con la Russia sarebbe avvenuta
solo in un secondo momento. L’ipotesi,
però, sarebbe stata riiutata da Kiev.
Il problema avrebbe dovuto essere
afrontato in un incontro previsto ad
Astana il 15 gennaio. È probabile che
Mosca fosse disponibile a fare notevoli
concessioni, che avrebbero segnato
una svolta nel conlitto. Ma a Kiev non
tutti hanno spinto per un esito simile.
Tra i contrari c’era il premier Arsenij
Jatsenjuk, che rischierebbe la carriera
politica se il presidente Porošenko dovesse riuscire a presentarsi all’opinione
pubblica come l’uomo che ha garantito
la pace. Per evitare questa possibilità, il
10 gennaio, mentre si trovava in Germania, Jatsenjuk ha dichiarato che nella seconda guerra mondiale l’Unione
Sovietica aveva invaso sia la Germania
sia l’Ucraina, suscitando imbarazzo a
Berlino e rabbia a Mosca.
Così, grazie alle dichiarazioni del
premier ucraino e con il tacito assenso
della Germania, la Russia è riuscita a
scrollarsi di dosso la responsabilità
dell’annullamento dell’incontro del 15
gennaio. È in seguito a queste manovre
che c’è stata la recente escalation militare e che sono ricominciate a circolare
voci secondo cui i separatisti sarebbero
pronti a prendere Mariupol, Slovjansk e
Charkiv. Farlo d’inverno è diicile, ma
la primavera non è lontana. Nel frattempo le parti in conlitto avranno altre
occasioni per arrivare alla pace. Se non
ci riusciranno, l’Ucraina diventerà davvero l’ultimo campo di battaglia dello
spazio ex sovietico. u af
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
19
Africa e Medio Oriente
L’impronta di re Abdullah
sull’Arabia Saudita
Il sovrano saudita morto il 23
gennaio sarà ricordato come un
leader che è riuscito a
sopravvivere alle rivolte arabe
solo grazie alle ricchezze
accumulate con il petrolio
l re saudita Abdullah bin Abdulaziz al
Saud è morto il 23 gennaio 2015 a no­
vant’anni. Nella sua vita ha promesso
molto ma ha realizzato poco. Quando
è salito al trono nel 2005 aveva 81 anni. No­
nostante avesse già accumulato una consi­
derevole esperienza di governo aiancando
re Fahd, il fratello che nel 1995 era stato col­
pito da ictus, ha dovuto superare innumere­
voli ostacoli. E con la ricchezza garantita
dal petrolio come suo unico punto a favore,
Abdullah non è stato in grado di afrontarli
in modo signiicativo.
La sua sida principale è stata governa­
re in mezzo a un gruppo di vecchi e potenti
principi, tutti ansiosi di prendere il suo po­
sto. Sotto Abdullah il regno si è frammen­
tato in una molteplicità di feudi dove i prin­
cipi più anziani hanno cercato di esercitare
la loro autorità a scapito degli altri. Il regno
ereditato da Abdullah era comunque già
caratterizzato dalle divisioni ideologiche,
dalla disoccupazione, dalla corruzione,
dall’insicurezza e dal terrorismo. Le rifor­
me economiche, l’ingresso nell’Organiz­
zazione mondiale del commercio e la pri­
vatizzazione di alcuni settori non sono ba­
stati a migliorare le prospettive dei giovani
disoccupati. Nel frattempo anche la que­
stione del lavoro delle donne è diventata
urgente.
Con l’invasione statunitense dell’Iraq
nel 2003 in tutto il Medio Oriente sono
esplose le tensioni etniche e confessionali,
portando alla polarizzazione tra sunniti e
sciiti. Il sistema educativo saudita è stato
criticato per aver alimentato il radicalismo,
invece di formare lavoratori competenti.
Anche la scelta di mantenere il wahabismo
(una corrente rigorista dell’islam sunnita)
I
20
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
come religione di stato è stata attaccata da
molti sauditi, oltre che dagli Stati Uniti.
Nell’impossibilità di realizzare le rifor­
me in patria, Abdullah ha legato la sua repu­
tazione alla capacità di inluenzare la politi­
ca regionale. La sua iniziativa più importan­
te è stata probabilmente il piano di pace tra
israeliani e palestinesi, lanciato nel 2002,
che però è fallito. Quando gli Stati Uniti
hanno occupato l’Iraq facendo cadere il re­
gime di Saddam Hussein, Abdullah – come
molti altri sovrani del golfo Persico – ha tira­
to un sospiro di sollievo perché si era sba­
razzato di un avversario. Ma il sollievo è
durato poco. Nessuno si aspettava che la
democrazia esemplare prospettata in Iraq
avrebbe inito per minacciare gli altri ditta­
tori della regione. Per Abdullah è diventato
sempre più urgente contenere la guerra di
carattere religioso e l’espansione di Al Qae­
da in Iraq.
E poi c’è stato l’Iran. Lanciando il suo
programma nucleare il regime di Teheran si
è presentato come la nuova potenza regio­
nale. Una potenza in grado non solo di de­
terminare gli esiti della guerra in Iraq, ma
anche di cambiare la società e la politica
araba sponsorizzando milizie sciite come
Hezbollah, e allo stesso tempo partiti politi­
ci sunniti come i palestinesi di Hamas in
tutto il Medio Oriente. Nell’est dell’Arabia
Saudita vive una nutrita minoranza sciita e
Abdullah ha cominciato a temere l’emerge­
re di un potere sciita nel suo paese.
Il pericolo iraniano
La crescente inluenza dell’Iran doveva es­
sere controbilanciata. I governi occidentali
si sono aidati all’Arabia Saudita, senza ca­
pire quanto fossero deboli le credenziali di
re Abdullah, perino tra i sunniti della regio­
ne. Pur con le enormi ricchezze garantite
dal petrolio, né la saggezza derivata dall’an­
zianità né il carisma hanno garantito ad Ab­
dullah una posizione preminente tra i lea­
der arabi.
La guerra tra Israele ed Hezbollah
nell’estate del 2006 e l’incapacità dei sau­
diti di imporre un cessate il fuoco tra le due
MOHAMMEd MASHHUr (AFP/GETTy IMAGES)
Madawi al Rasheed, The Guardian, Regno Unito
parti hanno eroso ulteriormente la credibi­
lità del re. Mentre la stampa israeliana pub­
blicava articoli positivi sul sovrano saudita,
la sua reputazione è stata messa in discus­
sione sia in patria sia nel resto del mondo
arabo. Quell’estate Abdullah ha litigato con
il presidente siriano Bashar al Assad, che
aveva criticato i leader arabi deinendoli dei
Da sapere
Il nuovo re Salman
u Nel dare la notizia della morte di re Abdullah,
il 23 gennaio 2015, le autorità saudite hanno an­
che annunciato il suo successore: il fratello Sal­
man, 79 anni, principe ereditario dal 2012. Se­
condo Le Monde, la famiglia reale ha fatto una
scelta all’insegna della continuità, visto che Sal­
man ha già fatto da reggente in passato, nei pe­
riodi in cui re Abdullah era ricoverato per pro­
blemi di salute.
u Il nuovo principe ereditario è Muqrin, mentre
il viceprincipe ereditario è Muhammad bin Na­
yef, il ministro dell’interno. “La nomina di Mu­
hammad bin Nayef è la vera novità”, scrive The
Guardian. “Salman è anziano e circolano voci
che sofra di Alzheimer, perciò dovrà contare su
Muqrin per governare. A sua volta Muqrin do­
vrà fare riferimento ad altre igure importanti
della famiglia Al Saud. Questo sistema di condi­
visione del potere non lascia prevedere grandi
svolte nella politica saudita. Il principe Muham­
mad invece è considerato un modernizzatore,
perché ha promosso un programma di deradi­
calizzazione degli aspiranti jihadisti che preve­
de l’aiuto degli imam e delle famiglie”.
Riyadh, 23 gennaio 2015. I funerali
di re Abdullah
“mezzi uomini”, e ha fatto arrabbiare anche
l’Egitto e la Giordania. Dopo quella guerra
la distinzione tra i regimi “moderati”, guidati dall’Arabia Saudita, e quelli “radicali”,
appoggiati dall’Iran, è diventata ancora più
netta. Negli anni successivi Abdullah non è
stato in grado di riconciliare le due parti.
Oltre alla spaccatura con la Siria sul Libano,
Abdullah non è riuscito neanche a migliorare i rapporti con altri partner nel Consiglio
di cooperazione del Golfo. Le relazioni
sempre peggiori con il Qatar – esacerbate
dall’aggressiva tv qatariota Al Jazeera – e
alcune dispute territoriali hanno creato una
situazione scomoda. Ogni tanto si è fatta
sentire anche la vecchia rivalità tra egiziani
e sauditi, entrambi desiderosi di presentarsi come mediatori nelle crisi arabe.
Abdullah ha cercato in tutti i modi di ricucire i rapporti con gli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre 2001, quando si è
scoperto che negli attacchi alle torri gemelle erano coinvolti dei cittadini sauditi. In
occasione di un incontro con il presidente
George W. Bush nel 2005, Abdullah ha promesso riforme religiose e dell’istruzione, e
un aumento della produzione di petrolio
per stabilizzare i prezzi. Ha inoltre continuato a permettere agli Stati Uniti di usare
le basi saudite per la guerra in Afghanistan
e in Iraq.
Sia re Abdullah sia gli Stati Uniti sapevano di essere intrappolati in un matrimonio
eterno. Dopo gli attacchi dell’11 settembre
2001, i due governi hanno provato a capire
come mantenere in piedi il rapporto senza
scontentare i rispettivi alleati. Perciò l’amministrazione statunitense ogni tanto è tornata a ribadire la necessità di democratizzazione dell’Arabia Saudita per accontentare un’opinione pubblica sempre più critica
di fronte a interpretazioni radicali dell’islam
come quella adottata nel regno e alle violazioni dei diritti umani.
Da parte saudita, esigere il trasferimento delle truppe statunitensi presenti nel
paese – che si sono spostate in Qatar – è stato un modo per togliere sostanza alle promesse dei jihadisti di “scacciare gli infedeli
dalla penisola araba”. Nessuna delle misure
adottate, però, ha fatto cessare le critiche o
gli attentati. Gli attacchi terroristici in Arabia Saudita non solo sono proseguiti, ma
sono diventati più frequenti e intensi. Allo
stesso tempo molti statunitensi continuano
a chiedersi se l’Arabia Saudita sia da considerare tra i buoni o tra i cattivi.
Rovesciare la democrazia
Durante gli ultimi anni di regno, Abdullah
ha governato un paese con incredibili risorse economiche, ma queste non sono state
suicienti a garantirgli l’inluenza regionale che sperava. La politica estera saudita in
efetti si è limitata più che altro a reagire a
eventi che sfuggivano al suo controllo. Come molti leader autoritari del passato, il re
si è presentato come un difensore dei diritti
delle donne nel tentativo di guadagnare
consensi in patria e all’estero. Ma i suoi progetti di sviluppo, le nuove università e le
città industriali hanno portato più contestazioni che soluzioni ai problemi economici.
Ad Abdullah bisogna, però, riconoscere di
essere stato il primo sovrano saudita che ha
cercato di legittimare il suo potere insistendo sull’idea di servire il suo popolo e non
semplicemente come emanazione della
legge divina.
Come altri leader arabi, Abdullah è stato
colto di sorpresa dallo scoppio delle rivolte
arabe nel 2011 e ha temuto che la forza della
protesta paciica potesse raggiungere il suo
paese. Nel giro di pochi mesi gli sciiti delle
province orientali hanno preso esempio da
quello che succedeva all’estero e hanno indetto delle manifestazioni nelle loro città.
Ma le proteste sono state subito represse.
Sotto Abdullah centinaia di riformatori, at-
tivisti e difensori dei diritti umani sauditi
sono stati catturati e incarcerati. Il re riformatore non è riuscito ad attuare un solo
punto di un possibile programma di riforme
politiche.
Nel gennaio del 2011 Abdullah ha oferto rifugio al presidente tunisino deposto
Zine el Abidine Ben Ali. Insieme ad altri
leader del golfo Persico, ha cercato di ribaltare l’ondata democratica in Egitto. Il surplus di bilancio derivante dal petrolio è stato usato per inanziare le forze controrivoluzionarie in tutta la regione e per rovesciare il governo egiziano guidato dai Fratelli
musulmani (che Riyadh considera dei nemici). Il timore dell’efetto domino delle rivolte ha spinto Abdullah a cercare di unire i
paesi del Golfo, ma le resistenze del Qatar e
dell’Oman hanno fatto naufragare questo
progetto.
Abdullah ha sollecitato gli Stati Uniti ad
aumentare il sostegno ai ribelli siriani: il re
vedeva il conlitto in Siria come una guerra
per procura contro l’Iran, che appoggia il
regime di Assad. In seguito, nel momento
in cui Washington ha cominciato a negoziare con l’Iran sul programma nucleare, Abdullah si è sentito abbandonato. Dopo aver
cercato per anni di ottenere un seggio al
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,
l’Arabia Saudita ha rinunciato a occuparlo
quando se ne è liberato uno nell’ottobre del
2013. Questo gesto rilette la delusione nei
confronti delle politiche statunitensi, in
particolare per la lenta reazione di Barack
Obama alla crisi mediorientale, per il riavvicinamento all’Iran e per lo stallo nel processo di pace tra palestinesi e israeliani. Nel
giugno del 2014 Abdullah si è unito alla coalizione internazionale che combatte contro il gruppo Stato islamico per allontanare
i sospetti che il suo paese fornisse appoggio
agli estremisti islamici in Siria.
In una regione dove le popolazioni arabe
si sono ribellate ai loro presidenti essere un
re avrebbe potuto essere un vantaggio. Ma
Abdullah sarà ricordato come un sovrano
che è riuscito a sopravvivere all’ondata del
cambiamento solo grazie al petrolio, distribuendo denaro e repressione, e contribuendo ad allontanare la prospettiva della democrazia nel mondo arabo. u gim
Madawi al Rasheed è una studiosa
saudita di antropologia sociale. Insegna al
King’s college di Londra. Tra i suoi libri,
A history of Saudi Arabia (Cambridge
University Press 2010).
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
21
Africa e Medio Oriente
Sanaa, 24 gennaio 2015. Manifestazione contro gli houthi
provengono. Oggi alcuni temono che gli
houthi vogliano restaurare l’imamato
zaydita che governò lo Yemen del nord ino
alla rivoluzione del 1962.
MOHAMMeD HUwAIS (AfP/GeTTY IMAGeS)
La tentazione del sud
Il rompicapo
yemenita
Bruce Riedel, Al Monitor, Stati Uniti
Dopo le dimissioni del
presidente e del governo,
a Sanaa si apre un vuoto di
potere. Risolvere la crisi nello
Yemen sarà una priorità del
nuovo re dell’Arabia Saudita
on la morte del sovrano saudita
Abdullah, il 23 gennaio, la crisi
nello Yemen è diventata una
priorità per il suo successore Salman. La notizia della morte di re Abdullah
è arrivata poco dopo quella della dimissioni
del presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi, un grave intoppo per Stati Uniti e
Arabia Saudita, una piccola vittoria per
l’Iran e un regalo per Al Qaeda.
La situazione a Sanaa è ancora confusa,
ma è chiaro che i ribelli houthi, originari del
nord, hanno avuto la meglio. Gli houthi, che
professano lo zaydismo (una variante
dell’islam sciita), hanno praticamente deposto il governo filostatunitense di Hadi
recitando slogan come: “Morte all’America, morte a Israele, maledetti gli ebrei, vittoria all’islam”. Il leader dei ribelli è Abdel
Malek al Houthi, 33 anni, che il 20 gennaio
C
22
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
ha tenuto un discorso trionfante in cui prometteva la ine della corruzione e delle violenze. La caduta del governo di Hadi, che
negli ultimi due anni ha appoggiato apertamente gli attacchi con i droni contro le postazioni di Al Qaeda nella penisola araba
(Aqpa) nello Yemen, ha fatto emergere la
milizia houthi come la prima forza di un
paese poverissimo ma molto importante
dal punto di vista strategico perché controlla lo stretto Bab al Mandeb, che collega Africa e Asia.
Dal 2011 l’Iran fornisce armi, soldi e addestramento agli houthi. Per questo i diplomatici di Teheran hanno accolto con soddisfazione il loro successo. Gli zayditi, però,
non sono né pedine dell’Iran né degli stretti
alleati: sono una forza indipendente. Agli
occhi di alcuni religiosi iraniani lo zaydismo
è una forma mascherata di islam sunnita.
Gli houthi hanno ricevuto anche aiuto
dall’ex presidente sunnita dello Yemen Ali
Abdullah Saleh, il predecessore di Hadi,
che nel 2012 aveva dovuto abbandonare il
potere in seguito alla primavera araba.
Non si conoscono ancora i veri obiettivi
degli houthi. All’inizio della loro ribellione,
nel 2004, chiedevano maggiore autonomia
per la provincia di Saada, il territorio da cui
Paradossalmente l’afermazione degli houthi avvantaggia Al Qaeda nella penisola
araba, perché alimenta le divisioni tra sunniti e sciiti e permette al gruppo terroristico
di presentarsi come difensore di questi ultimi. L’Aqpa ha recentemente rivendicato gli
attacchi del 7 gennaio a Parigi contro il settimanale Charlie Hebdo.
Riyadh ha speso più di quattro miliardi
di dollari per sostenere Hadi e il suo governo. Altri miliardi sono arrivati dagli altri
stati del Consiglio di cooperazione del Golfo. Al momento tutti gli aiuti sono sospesi.
Secondo alcune fonti, i sauditi stanno incoraggiando le tribù sunnite a opporre resistenza agli houthi. La prossima tappa del
crollo del paese potrebbe essere la scissione
del sud. Gli yemeniti delle regioni meridionali, in gran parte sunniti, non hanno mai
accettato del tutto l’unione con il nord (decisa nel 1990). Il movimento per l’indipendenza ha ripreso vigore dopo le rivolte del
2011. Nel 1994 i sauditi appoggiarono la ribellione del sud contro Saleh, fornendo ai
combattenti armi e soldi. Oggi Riyadh potrebbe ancora una volta guardare con favore a una scissione. u gim
Da sapere
Le ultime notizie
ARABIA SAUDITA
Saada
Sanaa
YEMEN
Al Mukallà
Aden
Bab al Mandeb
Golfo di Aden
SOMALIA
22 gennaio
2015 Il presidente yemenita Abd
Rabbo Mansur Hadi e il governo guidato da
Khaled Bahah si dimettono per le pressioni
degli houthi, che assediano la capitale.
24 gennaio Manifestazioni contro gli houthi in
varie parti del paese.
27 gennaio Gli houthi liberano Ahmed Awad
bin Mubarak, ex capo di gabinetto di Hadi. Il
suo rapimento aveva innescato le violenze che
hanno portato alle dimissioni del governo.
Egitto
lIbIA
l’hotel
assediato
Anniversario nel sangue
Al Shorouk, Egitto
lIbAno-IsrAElE-sIrIA
sale la tensione
sul Golan
I miliziani dell’organizzazione
libanese Hezbollah hanno attac­
cato un convoglio militare israe­
liano, il 28 gennaio, nelle Fatto­
rie di Shebaa, una zona del sud
del Libano occupata da Israele,
uccidendo due soldati. Israele
ha sparato colpi d’artiglieria
contro obiettivi in territorio liba­
nese, uccidendo un soldato spa­
gnolo della missione Uniil. Se­
condo il Daily Star Hezbollah si
è vendicato dell’attacco israelia­
no del 18 gennaio, che aveva
causato la morte di sei miliziani
sciiti e di un generale iraniano.
u Il 26 gennaio i curdi delle Uni­
tà di protezione popolare hanno
annunciato di aver cacciato i
jihadisti dello Stato islamico da
Kobane, nel nord della Siria.
Washington ha confermato che
i curdi controllano il 90 per cen­
to della città.
rDc
Una vittoria
per la piazza
Il 25 gennaio il parlamento di
Kinshasa ha adottato una nuova
legge elettorale , scrive Jeune
Afrique. L’ultima versione non
contiene un articolo duramente
contestato dall’opposizione, che
legava lo svolgimento delle ele­
zioni del 2016 a un nuovo censi­
mento. L’idea di un possibile
prolungamento del mandato del
presidente Joseph Kabila aveva
scatenato violente proteste, con
almeno 12 morti.
“Il quarto anniversario della
rivoluzione inisce nel sangue”, titola
Al Shorouk. Il 24 e il 25 gennaio 23
persone sono morte e altre 97 sono
rimaste ferite negli scontri tra le forze
di sicurezza e i manifestanti. Tra le
vittime l’attivista di sinistra Shaimaa al
Sabbagh, 32 anni, colpita dai proiettili
sparati dalle forze di sicurezza contro
un corteo paciico nel centro del Cairo. Seguendo la
linea del governo, il quotidiano Al Ahram attribuisce la
responsabilità delle violenze ai Fratelli musulmani
(l’organizzazione messa al bando nel 2013) e si
congratula con lo stato per aver “smantellato i piani
terroristici dell’organizzazione”. Dopo gli scontri sono
state arrestate 516 persone, in gran parte sostenitori dei
Fratelli musulmani. Al Sisi aveva promesso un’amnistia
per i giornalisti e per gli attivisti in carcere per reati
minori ma, a parte liberare Alaa e Gamal Mubarak, i igli
dell’ex dittatore, il presidente non ha mantenuto la
parola. Anzi, il 27 gennaio la corte di cassazione ha
confermato la condanna a tre anni di carcere per gli
attivisti del movimento giovanile 6 aprile Ahmed Maher
e Mohamed Adel, e il blogger Ahmed Douma. u
Il 27 gennaio un gruppo di uomi­
ni armati che dicevano di appar­
tenere al gruppo Stato islamico
ha preso d’assalto l’hotel Corin­
thia a Tripoli uccidendo nove
persone, tra cui cinque stranieri.
Nell’hotel si riunisce il governo
(non riconosciuto dalla comuni­
tà internazionale) di Omar al
Hassi, scrive Libya Herald.
In brEvE
Mali Il 28 gennaio a Tabankort
almeno nove persone sono mor­
te in un attentato contro le po­
stazioni dei ribelli tuareg.
Nigeria L’esercito ha respinto
un attacco di Boko haram a Mai­
duguri il 26 gennaio.
Sudafrica Il 19 gennaio un
commerciante straniero di So­
weto ha ucciso un ragazzo accu­
sato di furto. L’episodio ha sca­
tenato una serie di violenze con­
tro gli stranieri delle township.
Zambia Edgar Lungu, il candi­
dato del partito al potere, ha vin­
to le presidenziali del 20 genna­
io con il 48, 33 per cento dei voti.
Da Deir Istiya Amira Hass
Uno strano fenomeno
Un mucchio di terra e pietre
impedisce l’ingresso a Deir
Istiya, un villaggio in Cis­
giordania. Il blocco è recente. I
militari israeliani sostengono
che serve a controllare i lan­
ciatori di pietre del villaggio.
Da mesi l’esercito non fa che
ammucchiare e poi rimuovere
la terra e le pietre. Gli abitanti
di Deir Istiya la considerano
una punizione collettiva. La
barriera, spiegano, non impe­
disce di nascondersi tra gli al­
beri e di lanciare pietre contro
i mezzi dell’esercito o dei colo­
ni. Però, ribattono i militari,
quando la strada è bloccata
nessuno lancia le pietre. Inve­
ce se la barriera viene rimossa
i lanciatori tornano a colpire.
Per la sindaca del villaggio,
Amal Abu Hijleh, è un feno­
meno strano. Amal pensa che
a tirare le pietre siano i colla­
boratori dell’esercito, in cerca
di una scusa per ripristinare il
blocco. Un tempo non soppor­
tavo le teorie cospirative, ma
poi ho imparato ad ascoltare.
Gli abitanti del villaggio pen­
sano che Israele voglia costrin­
gerli a usare le vecchie stradi­
ne di campagna, lasciando
quella principale ai coloni e
agli israeliani. Il blocco, dico­
no, allontanerà il villaggio dal­
le terre fertili. Negli ultimi de­
cenni gli abitanti della zona
hanno assistito a un progressi­
vo sconinamento di Israele
nelle aree agricole della Cis­
giordania. Sulle colline sono
stati costruiti sette insedia­
menti. La terra, che non era
registrata a nome di nessuno,
è stata considerata proprietà
dello stato e assegnata agli
ebrei. Presumere che la barrie­
ra serva a separare il villaggio
dai terreni è logico. u as
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23
Americhe
SEBASTIAO MOREIRA (EPA/ANSA)
Stato di São Paulo, 15 gennaio 2015
Il Brasile è alle prese
con la siccità
Tiago Dantas, O Globo, Brasile
Alcuni grandi stati del paese
stanno attraversando la più
grave crisi idrica degli ultimi
cent’anni. La carenza d’acqua
rischia di ridurre in modo
drastico la fornitura di energia
n quinto della popolazione brasiliana sta subendo gli effetti
della siccità. Uno studio condotto da O Globo, sulla base
delle informazioni dei comitati per i bacini
idrograici e dei governi statali, rivela che
almeno 45,8 milioni di persone vivono in
regioni dove il livello delle riserve idriche è
inferiore alla norma e la quantità di precipitazioni è al di sotto delle medie storiche.
Negli stati del nordest e del sudest la carenza d’acqua ha già provocato una riduzione
dell’irrigazione nelle campagne e un’interruzione della navigazione luviale. Se si prolungasse, potrebbe compromettere la produzione di energia idroelettrica e l’attività
industriale. Nel 2014 la siccità ha costretto
1.265 comuni di tredici stati sudorientali e
nordorientali a decretare lo stato d’emergenza. Oggi più di novecento comuni sono
U
24
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
nella stessa condizione. La procedura permette ai gestori pubblici di ricorrere alle risorse federali per garantire le attività di
soccorso e i servizi d’emergenza. Ma i comuni alle prese con la siccità potrebbero
essere di più del numero uiciale, perché
non tutti hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Per esempio nello stato di São Paulo,
dove almeno 64 comuni devono afrontare
problemi legati alla mancanza d’acqua, solo
tre hanno ottenuto il riconoscimento dello
stato d’emergenza da parte della Secretaria
nacional de proteção e defesa civil.
Danni per l’economia
Nello stato di Ceará, dove la siccità sta colpendo 5,5 milioni di persone, 176 comuni su
184 hanno dichiarato lo stato d’emergenza.
Gli stati del nordest convivono con gli efetti della crisi dal 2012. Secondo il comitato
per i bacini idrograici del rio São Francisco,
19 milioni di persone hanno subìto gli efetti della scarsità d’acqua nelle aree attraversate dal iume negli stati di Pernambuco,
Bahia, Sergipe, Alagoas e nel nord di Minas
Gerais. Nel sudest del paese la situazione si
è aggravata soprattutto a gennaio. L’inizio
dell’estate non ha portato le piogge necessarie per riempire i bacini, e ora le grandi
città rischiano il razionamento d’acqua. Il
governo di Rio de Janeiro nega che ci sia il
pericolo di un razionamento, ma il volume
morto del bacino di Paraibuna, fonte di approvvigionamento per l’area metropolitana, è stato adoperato per la prima volta dalla creazione della riserva negli anni settanta. E il sistema Paraopeba, che rifornisce la
regione metropolitana di Belo Horizonte,
potrebbe esaurire le riserve nei prossimi tre
mesi. Al conine con lo stato di Espírito Santo il problema riguarda il rio Doce: nel comune di Governador Valadares la portata
del iume è dieci volte inferiore ai livelli raggiunti di solito in questo periodo dell’anno.
A São Paulo il sistema Cantareira, il più
grande dello stato, potrebbe restare
senz’acqua a luglio.
Per José Galizia Tundisi, coordinatore
del gruppo di studio sulle risorse idriche
dell’Accademia brasiliana delle scienze, i
governi devono riconoscere la gravità della
situazione e organizzare campagne di sensibilizzazione per ridurre il consumo d’acqua. La siccità può scatenare una reazione a
catena e penalizzare l’economia: “Colpisce
la produzione energetica, il settore alimentare e le industrie che impiegano molta acqua”, spiega Tundisi. “Questa situazione ha
conseguenze sulla salute delle persone,
perché quando l’acqua è poca la sua qualità
si altera”, aggiunge.
Secondo il meteorologo Luiz Carlos Baldicero Molion, ci vorranno almeno sei anni
prima che il sudest del Brasile torni a un regime di piogge superiore alle medie storiche. La sua tesi si basa sull’analisi delle
piogge cadute a São Paulo dal 1888. Lo stato
ha avuto almeno altri tre cicli di siccità durati otto o nove anni: “Nel sudest ci sono
stati periodi di siccità grave all’inizio degli
anni trenta, nel 1959 e nel 1976. Considerando che le piogge sono scese sotto la media dal 2012, possiamo presumere che il fenomeno durerà ino al 2020 o al 2021”. u as
Messico
STATI UNITI
Malumori
repubblicani
Aspettando
la corte
Il 26 gennaio le autorità messicane hanno annunciato di
aver ritrovato il corpo sigurato del giornalista José Moisés
Sánchez Cerezo, sequestrato il 2 gennaio nella sua
abitazione a Medellín Bravo, nello stato orientale di
Veracruz. Sánchez Cerezo lavorava per il settimanale
locale La Unión, dove si occupava di corruzione e
criminalità organizzata. Il procuratore dello stato ha
chiesto la destituzione del sindaco di Medellín Bravo,
Omar Cruz Reyes, accusato di essere il mandante morale
dell’omicidio. SinEmbargo ricorda che Veracruz è
diventato lo stato più pericoloso del paese per i reporter. u
STATI UNITI
A metà gennaio la corte suprema ha cominciato a esaminare
la questione dei matrimoni
omosessuali. “I giudici dovrebbero pronunciarsi entro la ine
dell’estate”, scrive Time. “Molto probabilmente afermeranno
che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono costituzionali, determinando una delle
trasformazioni politiche più rapide e radicali della storia degli
Stati Uniti”. Solo vent’anni fa le
autorità statali potevano incarcerare gli omosessuali, e dal
1996 una legge gli permette di
non riconoscere i matrimoni gay
contratti in altri stati. Ultimamente, dopo la legalizzazione in
molti stati, erano aumentate le
pressioni sulla corte suprema
per chiedere un intervento deinitivo sulla questione.
Il 26 gennaio la presidente argentina Cristina Fernández ha
annunciato che presenterà un
progetto di legge per smantellare la Secretaría de inteligencia, i
servizi segreti nazionali. L’annuncio è arrivato a una settimana dalla morte del procuratore
Alberto Nisman, che indagava
sull’attentato del 1994 contro la
sede dell’Asociación mutual
israelita Argentina a Buenos Aires. “La presidente ha spiegato
che la riforma dell’intelligence è
una questione che la democrazia deve afrontare dal 1983”,
scrive Página 12. Secondo l’opposizione, con la riforma il
kirchnerismo estenderà il suo
controllo sull’intelligence. “Fernández ha approittato della crisi per raforzare il suo potere”,
commenta La Nación.
Il procuratore di giustizia di Veracruz, 25 gennaio2015
Nuovo fronte
petrolifero
Il 27 gennaio il dipartimento
dell’interno degli Stati Uniti ha
reso noti i dettagli di un piano
che autorizzerà le aziende petrolifere a perforare nuove porzioni di fondali marini nell’oceano Atlantico. È una buona noPetrolio prodotto e importato dagli
Stati Uniti, milioni di barili al giorno
12
Importazioni
10
8
6
4
Produzione
statunitense
2
0
1970
1980
1990
2000
2010
tizia per l’industria del gas e del
petrolio, che da anni chiede di
poter trivellare quelle zone, dove secondo le stime ci sarebbero 3,3 miliardi di barili di petrolio. Secondo gli ambientalisti,
la decisione esporrà le coste di
Virginia, Georgia, North e
South Carolina al rischio di disastri ambientali simili a quello
che ha colpito il golfo del Messico nel 2010. Il piano prevede
anche l’apertura di nuovi impianti nel golfo del Messico e il
divieto di perforazione nei mari
di Beaufort e Chukchi, nell’oceano Artico. “Il piano”, scrive il
New York Times, “rientra nella discussa strategia di Barack
Obama sull’energia. Dall’inizio
del suo mandato il presidente
cerca di trovare un equilibrio
tra difesa dell’ambiente ed eicienza energetica”.
ARIANA CUBILLOS (AP/ANSA)
STATI UNITI
Smantellare
i servizi segreti
Un altro giornalista ucciso
OSCAR MARtINez (ReUteRS/CONtRAStO)
Nel Partito repubblicano una
minoranza spinge per adottare
posizioni più pragmatiche su
temi come l’aborto, l’immigrazione e i matrimoni gay. Il 22
gennaio una ventina di deputati ha costretto i vertici repubblicani ad accantonare un disegno di legge reazionario
sull’aborto e a sostituirlo con
un testo più moderato, scrive il
Washington Post. La settimana prima alcuni deputati si
erano riiutati di votare una
proposta molto intransigente
sull’immigrazione. Sono sempre di più i repubblicani convinti che il partito si stia dedicando troppo a questioni ideologiche e poco a costruire un
programma credibile in vista
delle elezioni del 2016. “Questi
fatti”, conclude il quotidiano,
“dimostrano anche che i leader
fanno fatica a mantenere il
controllo del partito”.
ARGENTINA
IN BREVE
Venezuela Il 23 gennaio il governo di Caracas ha negato agli
ex presidenti della Colombia e
del Cile, Andrés Pastrana e Sebastián Piñera (nella foto), l’autorizzazione a visitare in carcere
il leader dell’opposizione
Leopoldo López.
Stati Uniti Il 27 gennaio un tribunale del texas ha bloccato
l’esecuzione della pena di morte
nei confronti di Garcia White,
condannato per aver ucciso due
adolescenti a Houston nel 1989.
u L’ex agente della Cia Jefrey
A. Sterling è stato condannato
per spionaggio. Aveva fornito
documenti al New York times.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
25
Asia e Paciico
La visita di Obama in India
e l’ombra di Pechino
Julie Pace, The Irrawaddy, Thailandia
Il presidente statunitense
e il premier indiano hanno
rinnovato un’intesa che servirà
a New Delhi per raforzare
la sua posizione nella regione.
Ma che non piace alla Cina
uando il presidente statunitense
Barack Obama e il primo mini­
stro indiano Narendra Modi si
sono incontrati a New Delhi, sui
colloqui aleggiava l’ombra della Cina, che
ha rapporti complicati con i due paesi. Raf­
forzando i legami con l’India, Obama pun­
ta ad aumentare l’influenza degli Stati
Uniti sui paesi che coninano con la Cina. E
la democrazia più grande del mondo è una
partner particolarmente attraente per gli
Stati Uniti, impegnati a coltivare un solido
contrappeso regionale alla Cina comu­
nista.
Apparentemente New Delhi e Pechino
sono alleate, e a settembre del 2014 Modi
ha accolto calorosamente il presidente ci­
nese Xi Jinping in visita nella capitale in­
diana. L’India, però, è preoccupata per le
manovre cinesi nella regione – in particola­
JIM BOURg (REUtERS/CONtRAStO)
Q
re nell’oceano Indiano e sul conine hima­
layano – e vede nel miglioramento delle
relazioni con gli Stati Uniti uno strumento
fondamentale per raforzare la sua posizio­
ne difensiva.
“Dal punto di vista dell’India, si sta gio­
cando una partita triangolare”, commenta
Ashley tellis, esperto di Asia meridionale
presso il Carnegie endowment for interna­
tional peace di Washington. Modi preten­
de “tutti i beneici derivanti dal presentar­
si come uno stretto collaboratore degli
Stati Uniti”, compreso l’accesso alla tecno­
logia, alle competenze e alla cooperazione
militare americana, aferma tellis. Il viag­
gio di Obama in India (dal 25 al 27 gennaio)
ha suggellato l’impegno di Washington e
New Delhi per raforzare una relazione se­
gnata da tensione e sospetti. Obama è il
primo presidente statunitense ad aver visi­
tato l’India due volte e il primo ad aver pre­
senziato come ospite d’onore alla parata
annuale della festa della Repubblica india­
na. Il 26 gennaio Obama e Modi sedevano
ianco a ianco mentre davanti a loro sila­
vano i carri armati e i lanciarazzi e nel cielo
sfrecciavano gli aerei da combattimento.
Obama ha poi incontrato una delegazione
di uomini d’afari statunitensi e indiani per
Modi e Obama alla festa della repubblica indiana. New Delhi, 26 gennaio 2015
26
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
raforzare la cooperazione economica tra i
due paesi.
Il suo viaggio non è passato inosservato
in Cina. La portavoce del ministero degli
esteri, Hua Chunying, ha osservato che le
relazioni tra Stati Uniti e India “potrebbero
promuovere la iducia reciproca e la coo­
perazione nella regione”. L’agenzia di
stampa governativa Xinhua, tuttavia, ha
liquidato la visita di Obama deinendola
“più simbolica che pragmatica, tenuto
conto delle vecchie fratture tra i due gigan­
ti, grandi almeno quanto la distanza geo­
graica che li separa”. gli articoli sui mezzi
d’informazione di Pechino sono spesso
usati per criticare o sollevare dubbi sulle
mosse diplomatiche di altri paesi.
Equilibri regionali
Durante la sua visita a Pechino, a novem­
bre del 2014, Obama aveva trovato un con­
senso inatteso su molti temi, compreso un
accordo ambizioso sul taglio delle emissio­
ni di gas serra che, nelle speranze della Ca­
sa Bianca, dovrebbe spingere paesi come
l’India a prendere impegni simili. Wa­
shington però teme le mosse di Pechino su
questioni come le dispute territoriali nella
regione, la pirateria informatica e la mani­
polazione monetaria. New Delhi, invece,
teme soprattutto che Pechino cerchi di
guadagnare una maggiore influenza
nell’oceano Indiano, storicamente con­
trollato dall’India. Le navi cisterna che si
spostano attraverso quel tratto di mare so­
no di fondamentale importanza per l’ap­
provvigionamento petrolifero di New
Delhi: qualsiasi rallentamento nel traico
potrebbe paralizzare l’economia del paese.
L’India, inoltre, è preoccupata per le trup­
pe cinesi sull’Himalaya che regolarmente
sconinano. Per Rahul Bedi, un analista
indiano del Jane’s information group, l’ob­
biettivo di New Delhi nei prossimi vent’an­
ni è sviluppare una capacità militare che le
consenta di tenere testa a Pechino. “E per
farlo”, spiega Bedi, “ha bisogno dell’aiuto
degli Stati Uniti”.
Obama e Modi hanno deciso di esten­
dere un patto di difesa decennale che favo­
rirà una maggiore cooperazione militare e
marittima. Non bisogna dimenticare, tut­
tavia, che durante la guerra fredda l’India
fu uno dei principali sostenitori del non al­
lineamento. Secondo gli esperti, non si
potrà spingere troppo oltre nel suo tentati­
vo di allearsi con gli Stati Uniti per contra­
stare la Cina. u gim
Tokyo, 25 gennaio 2015
Cina
filippine
pace a rischio
a Mindanao
YUYA ShINO (REUTERS/CONTRASTO)
Un paese squilibrato
Caixin, Cina
impreparati
al peggio
“Tokyo sapeva da mesi che il
gruppo Stato islamico aveva in
ostaggio due giapponesi, ma è
apparsa impreparata quando il
20 gennaio i jihadisti hanno issato una scadenza per il pagamento di un riscatto e quattro
giorni dopo hanno ucciso uno
dei due”. Il Japan Times cita
dei funzionari del governo nipponico coinvolti nella crisi che
ha tenuto il paese con il iato sospeso nelle ultime settimane.
Secondo le fonti del quotidiano,
prima di partire per il viaggio di
una settimana in Medio Oriente
il 17 gennaio, il primo ministro
Shinzō Abe aveva convocato i
suoi consiglieri sulla sicurezza,
ma durante la riunione non si
era parlato degli ostaggi. Era
prevedibile che il discorso di
Abe al Cairo, in cui il premier ha
promesso 200 milioni di dollari
per aiutare i paesi della coalizione impegnata a combattere lo
Stato islamico, avrebbe messo a
rischio la vita degli ostaggi. Due
giorni dopo, infatti, il gruppo ha
risposto ad Abe chiedendo proprio un riscatto di 200 milioni di
dollari. Solo allora Tokyo si è
mossa per attivare tutti i canali
di comunicazione sul campo.
Secondo l’Asahi Shimbun, il
governo starebbe pensando a
una legge che permetta alle forze di autodifesa (un esercito a
tutti gli efetti ma con limiti
d’azione) di partecipare a operazioni di polizia all’estero, incluso
il salvataggio di cittadini giapponesi, a patto di avere il consenso dei paesi interessati.
su 220. Shinawatra è bandita
dall’attività politica per i prossimi cinque anni e rischia ino a
dieci anni carcere. La vicenda
mette ine al movimento politico creato nel 2001 dal fratello di
Shinawatra, Thaksin, scrive
Asia Sentinel. Il fatto che i sostenitori di Shinawatra non abbiano protestato indica la capacità dei militari di sedare l’opposizione.
thailandia
la ine
dei Shinawatra
Il 23 gennaio il parlamento tailandese ha votato la messa in
stato d’accusa dell’ex prima ministra Yingluck Shinawatra (nella foto). Destituita pochi giorni
prima del golpe militare dello
scorso maggio, Shinawatra è accusata di abuso e corruzione per
il programma di sussidi ai coltivatori di riso promosso dal suo
governo. Secondo l’accusa, il
programma è costato alle casse
pubbliche miliardi di dollari e
avrebbe garantito a Shinawatra
e al suo partito i voti degli abitanti delle aree rurali. L’assemblea, creata dai militari al potere, ha approvato la messa in stato d’accusa con 190 voti a favore
PORNChAI KITTIwONGSAKUL (AFP/GETTY IMAGES)
giappone
Il governo cinese ha ordinato alle
autorità locali un giro di vite contro le
organizzazioni illegali che portano
all’estero i campioni di sangue delle
donne incinte per determinare il
sesso del feto. Le misure annunciate
dalla Commissione per la salute e la
pianiicazione familiare puntano a
colpire un’attività che alimenta gli
aborti selettivi minando gli sforzi per colmare il divario di
genere. Nel 2014, scrive Caixin, ogni 100 femmine sono
nati 115 maschi. Nel 2004 il rapporto tra maschi e femmine
in Cina ha raggiunto il picco di 121, mentre la media
indicata dalle Nazioni Unite è compresa tra 103 e 107. Lo
squilibrio è una conseguenza dell’introduzione nel 1979
della legge sul iglio unico, i cui efetti per contenere la
crescita della popolazione si sono mescolati alla
preferenza per i igli maschi di tradizione contadina. Già
nel 2002 il governo aveva vietato ai medici di rivelare il
sesso del nascituro. Lo squilibrio sta diventando un
problema sociale. Nelle zone rurali ci sono molti “villaggi
degli scapoli” e sono sempre più difusi i matrimoni con
ragazze vietnamite e cambogiane vittime del traico di
esseri umani. ◆
Bangkok, 22 gennaio 2015
Lo scontro a fuoco tra le forze
speciali della polizia e i ribelli
separatisti, avvenuto il 25 gennaio sull’isola di Mindanao, nel
sud dell’arcipelago, rischia di
bloccare il percorso di pace intrapreso un anno fa dal governo
di Manila e dal Fronte islamico
di liberazione moro (Film). Nel
raid, avvenuto in un villaggio
controllato dal Film, la polizia
ha perso quasi cinquanta uomini. Sembra che gli agenti stessero cercando alcuni esponenti
dei Combattenti islamici per la
libertà di Bangsamoro, una fazione del Film che si oppone al
cessate il fuoco irmato nel marzo del 2014. Il congresso ilippino sta vagliando una proposta di
legge, parte dell’accordo tra governo e ribelli musulmani, che
dovrebbe gettare le basi per la
creazione del Bangsamoro,
un’entità politica autonoma
sull’isola di Mindanao. Dopo gli
scontri, però, la discussione in
parlamento è stata sospesa, scrive il Philippine Star.
in breve
Birmania Il 28 gennaio, in seguito alle proteste degli studenti contro la riforma dell’istruzione, il governo ha accettato di
aprire un tavolo di dialogo per
modiicare la nuova legge.
Corea del Nord Nella sua prima visita uiciale all’estero, a
maggio Kim Jong-un andrà a
Mosca per celebrare i 70 anni
dalla ine della seconda guerra
mondiale.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
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Visti dagli altri
GUIDo BERGMANN (BUNDESREGIERUNG/GETTY IMAGES)
Firenze, 22 gennaio 2015. Angela Merkel agli Uizi
Cercasi manager
per i musei italiani
Elisabetta Povoledo e Rachel Donadio,
The New York Times, Stati Uniti
Il ministero dei beni culturali ha
pubblicato sull’Economist un
annuncio per trovare i nuovi
direttori dei primi venti musei
italiani. Gli esempi da imitare
sono il Louvre e il Prado
ercasi direttori per i primi venti
musei italiani, tra cui le Gallerie
degli Uizi di Firenze, la Galleria Borghese di Roma e le Gallerie dell’Accademia di Venezia. È richiesta
una solida conoscenza della storia dell’arte,
un’esperienza da dirigente e l’interesse a
rendere più piacevoli le visite ai musei. Parlare italiano in modo luente non è un requi-
C
28
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
sito obbligatorio. A gennaio del 2015, con
un’inserzione sull’Economist e su altri giornali, l’Italia ha bandito il suo primo concorso internazionale per direttori di museo,
un’iniziativa per riorganizzare le principali
istituzioni artistiche e archeologiche del
paese. Il 15 febbraio è l’ultimo giorno utile
per presentare le candidature.
In Italia i musei statali sono gestiti direttamente dal ministero dei beni e delle
attività culturali e i direttori attualmente
hanno poca autonomia. L’obiettivo del
progetto è allineare i grandi musei italiani
a quelli stranieri come il Louvre e il Prado,
ma anche dare a chi li dirige più libertà nel
gestire i fondi e la possibilità di raccogliere
finanziamenti privati per compensare i
drastici tagli dei inanziamenti statali.
Un altro obiettivo è fare in modo che i
futuri direttori attirino i visitatori migliorando i criteri espositivi, i testi che spiegano
le mostre, e l’organizzazione dei musei.
Perché i musei italiani sono ricchi di opere
d’arte, ma spesso propongono degli allestimenti antiquati.
“Si tratta di un grande passo avanti per
il nostro sistema”, ha dichiarato il ministro
dei beni culturali Dario Franceschini, nel
corso dell’intervista che ha concesso al
New York Times nel suo enorme uicio.
“L’organizzazione e la gestione dei nostri
musei dovrebbe essere più dinamica. Dovrebbero avere più librerie, più ristoranti.
Insomma dovrebbero essere più piacevoli
e dovrebbero ofrire anche più servizi multimediali”.
Il rilancio dei musei è in linea con l’attivismo e il pragmatismo con cui il governo
Renzi sta afrontando il diicile compito di
far uscire l’Italia da una lunga recessione.
Ma quest’atteggiamento ha sollevato il dubbio che i nuovi criteri di assunzione privilegino gli esperti di marketing rispetto a quelli di conservazione museale, e diano troppo
potere a una silza di ministri della cultura
che entrano e escono di scena piuttosto che
a dirigenti autorevoli e di lungo corso. C’è
poi chi teme che la riforma non accrescerà
l’autonomia dei musei, visto che i loro dipendenti continueranno a far parte della
macchina burocratica del ministero dei beni culturali.
Cambiare i direttori non avrà alcun effetto “se non cambiano le leggi e la struttura
dei musei”, aferma Antonio Natali, attuale
direttore degli Uizi. Secondo Natali, se i
direttori non potranno controllare gli uici
tecnici, amministrativi, legali e del personale, “neanche l’avvento di un nuovo redentore” farà funzionare meglio le gallerie
del paese.
Cinquanta domande in inglese
L’anno scorso, ha detto il ministro Franceschini, i musei italiani hanno avuto oltre 40
milioni di visitatori, con entrate pari a quasi
135 milioni di euro. Rendendo autonomi i
musei che vendono più biglietti, il ministero spera di aumentare i guadagni. Ora il ricavato va direttamente nelle casse dello
stato e i direttori sono poco incentivati ad
attirare più visitatori, a raccogliere inanziamenti privati e ad aprire ristoranti e punti
vendita per aumentare i guadagni. L’iniziativa di rilancio dovrebbe portare alla riorganizzazione di migliaia di musei, formando
dei poli regionali e introducendo i biglietti
gemellati, che incoraggino i turisti a visitare
più spazi espositivi. “Un paese con oltre
quattromila musei dovrebbe vedere questa
operazione come un’incredibile risorsa
economica e culturale”, prosegue Franceschini. “E la sida per l’Italia è ofrire turismo di qualità”.
Tra i venti musei italiani più importanti
ci sono alcuni dei più visitati, come gli Uizi
a Firenze, la Pinacoteca di Brera a Milano e
il Museo archeologico di Napoli, ma anche
siti che, secondo il ministero, rappresentano un potenziale non sfruttato, come i musei archeologici di Taranto e di Reggio Calabria.
I nuovi direttori dovrebbero cominciare il loro lavoro entro l’estate e resteranno
in carica per quattro anni. Per sperare di
essere riconfermati gli attuali direttori –
esperti in genere di storia dell’arte, archeologia o architettura, ma con una scarsa
formazione professionale in gestione delle
istituzioni artistiche – devono presentare
la loro candidatura. Antonio Natali ha dichiarato che lo farebbe per “una questione
di dignità”. Da quando è stato bandito il
concorso, l’8 gennaio 2015, sono arrivate
almeno cinquanta candidature. Il portavoce del ministero dei beni culturali ha detto
che il formulario per presentare la domanda è stato scaricato dodicimila volte nella
versione in italiano e solo cinquanta volte
nella versione in inglese.
Il ministro Franceschini spera che il concorso attiri candidati internazionali. Gli
stipendi dei nuovi direttori saranno compresi tra i 78mila e i 145mila euro all’anno.
Compensi alti per l’Italia e competitivi a livello europeo, ma molto bassi se confrontati con quelli dei direttori statunitensi. Il direttore del Metropolitan museum of art di
New York guadagna più di un milione di
dollari all’anno (cioè più di 900mila euro).
Gran parte degli esperti del mondo della
cultura apprezzano questo cambio di rotta,
ma con delle riserve. Stefano Baia Curioni,
direttore della laurea specialistica in economia per l’arte e la cultura all’università Bocconi di Milano, riconosce che la riforma
“apre alla possibilità di una nuova era nella
gestione dei musei italiani”, ma sottolinea
un elemento decisivo: “Per selezionare i
candidati in modo indipendente, il ministro
dovrà nominare una commissione che sia
indipendente”.
Ora i direttori sono nominati da funzionari del ministero dei beni culturali e non
dal ministro. Il 15 febbraio, chiuso il bando,
una commissione composta da cinque persone scelte da Franceschini dovrà scegliere
tre candidati per ciascun museo. La decisione inale spetterà al ministro e sarà presa
in primavera. Franceschini non teme che il
suo progetto accentri il potere e favorisca il
clientelismo. “La procedura di selezione è
tale che per fare domanda bisogna essere
dei candidati di alto livello”. E ha aggiunto
che anche i componenti della commissione
potranno fare delle segnalazioni.
C’è però chi teme che queste novità siano il primo passo verso lo smantellamento
di un sistema consolidato di gestione del
patrimonio culturale, privilegiando le grandi mostre fatte per attirare masse di visitatori paganti a scapito della qualità e della
ricerca. “I musei devono educare, non divertire. Sono la fonte dell’eredità culturale
e della memoria collettiva dell’Italia”, commenta Daniel Berger, consulente del ministero dei beni culturali.
Molti esperti pensano che il compito
principale del ministero dei beni culturali,
più che rendere i musei italiani attraenti
agli occhi dei visitatori, sia conservare le
opere esposte. u ma
Riforma elettorale
L’Italicum
di Renzi
Pierre de Gasquet,
Les Echos, Francia
n Italia il calendario della politica non è mai casuale. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha ottenuto il via libera del senato
alla riforma elettorale (l’Italicum) il
27 gennaio, alla vigilia dell’elezione
del presidente della repubblica. È il
segnale inequivocabile che il “patto
del Nazareno” tra Renzi e Silvio
Berlusconi ha tenuto. Approvato dal
senato con una larga maggioranza,
l’Italicum è passato grazie all’appoggio dei 50 senatori di Forza Italia e nonostante l’uscita dall’aula di
24 senatori dell’ala sinistra del Partito democratico (Pd), che non hanno partecipato al voto. Ora tocca al
leader di Forza Italia accettare il
candidato di Renzi per il Quirinale.
L’Italicum deve tornare alla camera
dei deputati per il sì deinitivo, ma i
giochi ormai sono fatti. La riforma
elettorale entrerà in vigore il 1 luglio
2016. Il nuovo sistema elettorale issa una soglia del 3 per cento per l’ingresso di un partito in parlamento e
assegna 340 seggi (su un totale di
630) alla camera al partito che ottiene più del 40 per cento dei voti.
Renzi ha voluto questo premio per
limitare l’inluenza dei piccoli partiti. La riforma elettorale è complementare a quella del senato, che segnerà la ine del bicameralismo perfetto e la trasformazione della camera alta in un’assemblea delle regioni.
Di fatto la minoranza del Pd è
stata neutralizzata. Resta da vedere
se Berlusconi accetterà davvero il
candidato di Renzi per il Quirinale.
I nomi che circolano di più sono
quelli di Giuliano Amato, Piero Fassino e Pier Carlo Padoan, con la senatrice del Pd Anna Finocchiaro come “jolly”. u adr
I
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
29
Le opinioni
La fatica
di essere turchi
Elif Şafak
Q
Le donne turche non conservatrici – che costituiscoualche tempo fa, a Istanbul, stavo parlando di politica con una giornalista tur- no almeno la metà del 48 per cento di elettori che non
ca prima di un’intervista. A un certo ha votato per Erdoğan alle ultime elezioni – sono sempunto ha abbassato la voce e, come se mi pre più preoccupate delle intrusioni dell’Akp nella loro
stesse conidando un segreto, ha detto: vita privata. In passato le frasi sessiste dei politici ma“A volte è così faticoso essere turchi”. Il schi erano considerate dichiarazioni personali. Oggi
motivo principale di tanta fatica è la politica. Il presi- sembrano far parte di una campagna ideologica per redente Recep Tayyip Erdoğan e il suo governo hanno legare le donne nei loro ruoli tradizionali. Dopo aver
scelto una strategia che punta più sulla contrapposizio- fatto visita al primo bambino nato nel 2015, il ministro
della salute Mehmet Müezzinoğlu ha
ne che sul compromesso, più sul dualicommentato: “Le madri non dovrebbero
smo che sulla cultura della coesistenza. Oggi chi non ha
mettere al centro della loro vita nessun’alAnche le questioni più assurde e banali simpatia per
tra carriera che quella di madre”.
provocano accesi dibattiti: “Per le donne Erdoğan ha due
La reazione è stata immediata. Le
turche ridere in pubblico è un segno di alternative: essere
donne turche avevano già sentito gli alti
scarsa modestia?”, “Le hostess della Tur- scioccamente
funzionari del governo esprimere giudizi
kish Airlines possono portare il rossetto apolitico o
su argomenti come l’aborto, il parto cerosso?”, “Un vero patriota dovrebbe bere ferocemente
l’ayran (una bevanda a base di yogurt)
politico. E se non sei sareo, la contraccezione e l’abbigliamento femminile. “Sono stufa di sentirmi dipiuttosto che un alcolico come il raki?”.
né sciocco né feroce,
re come devo vivere”, ha scritto Ayse ArQuesta fatica è particolarmente inpeggio per te
man sul quotidiano Hürriyet. Sono state
sopportabile per gli intellettuali progresorganizzate manifestazioni di protesta in
sisti e per le donne. In Turchia i progressisti non sono numerosi, ma sono un’importante pietra tutto il paese. Quando ho parlato della necessità di un
di paragone per giudicare la traiettoria politica del par- movimento femminile che superi le divisioni politiche,
tito Giustizia e sviluppo (Akp). Quando andò per la pri- alcune conservatrici velate hanno detto che sarebbe
ma volta al governo, nel 2002, i progressisti appoggia- stato diicile collaborare con le femministe, che in pasvano l’Akp perché era favorevole alle riforme e all’Unio- sato avevano ignorato i loro bisogni. Questa reazione
ne europea. Si aspettavano che promuovesse le libertà evidenzia uno dei maggiori problemi della Turchia: il
civili, un’idea confortante dopo le tre dittature militari, peso del passato sul futuro. La società è malata di vittiuna peggiore dell’altra, che si erano succedute a partire mismo, e il ciclo di rappresaglie crea nuove vittime.
Dopo l’orribile attacco alla redazione di Charlie
dal 1960. Ma quando il partito islamico ha preso una
Hebdo e l’ondata di islamofobia e antioccidentalismo
piega autoritaria sono rimasti disorientati.
Durante una cena di capodanno a Istanbul ho senti- che ha scatenato, la Turchia avrebbe potuto essere
to i miei amici intellettuali lamentarsi: “Oggi chi non ha d’esempio: un paese musulmano moderno, democrasimpatia per l’Akp ha due alternative: diventare scioc- tico e pluralista, con una forte tradizione laica. Invece
camente apolitico o ferocemente politico. E se non sei Erdoğan ha puntato il dito contro l’occidente. “In quanné sciocco né feroce, peggio per te”. Alcuni progressisti to musulmani non abbiamo mai appoggiato il terrorihanno smesso di parlare, ma altri si sono schierati smo”, ha detto. “Dietro i massacri ci sono il razzismo,
all’opposizione e altri ancora fanno autocritica. “Il no- l’intolleranza e l’islamofobia. Stanno giocando con il
stro errore non è stato sostenere il pluralismo e la de- mondo islamico”. Quelli che criticano il governo sono
mocrazia. Il fatto è che non ci siamo resi conto che gli accusati di non essere patrioti, o peggio, di essere pediobiettivi dell’Akp sarebbero stati così limitati”, ha scrit- ne nelle mani delle potenze occidentali che cercano di
to la sociologa e scrittrice Oya Baydar. “Chi diceva che distruggere la Turchia. Le ultime vittime sono state
il partito ingeva di essere democratico ma alla ine Miss Turchia 2006, Merve Büyüksaraç, accusata di
avrebbe sostituito il dispotismo militare con quello ci- aver insultato Erdoğan sul suo account Instagram, e la
giornalista Sedef Kabaş, fermata dalla polizia per aver
vile ha avuto ragione”.
Oggi gli oppositori dell’Akp disprezzano i progressi- realizzato un’inchiesta sulla corruzione.
Il divario tra la Turchia e l’occidente si allarga. Se noi
sti, considerati troppo morbidi e ingenui. “Non sono
forse stati loro, come gli intellettuali degli anni cin- turchi non riusciremo a far trionfare gli ideali della liquanta e sessanta in Unione Sovietica, gli ‘utili idioti’ bertà, del pluralismo culturale e della parità di genere,
dell’Akp?”, ha scritto la giornalista francese Ariane non sarà una sconitta solo per la democrazia, ma anche per l’immaginazione e la volontà. u bt
Bonzon.
30
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
ELif Şafak
è una scrittrice turca,
nata nel 1971 a
Strasburgo.
Collabora con il
Turkish Daily News e
con Zaman. Il suo
ultimo libro
pubblicato in Italia è
La città ai conini del
cielo (Rizzoli 2014).
Le opinioni
Stiamo assistendo
alla ine
del neoliberismo?
Bernard Guetta
ono buone notizie che potrebbero preannunciare un cambiamento epocale, e non
solo in Europa.
Il 19 gennaio, con il suo discorso sullo
stato dell’unione, Barack Obama è diventato il primo presidente statunitense a rompere con i dogmi neoliberisti che si sono imposti trentacinque anni fa negli Stati Uniti e poi hanno trionfato in
tutto il mondo. Due giorni dopo Mario Draghi ha annunciato che la Banca centrale europea comprerà titoli
di stato per più di mille miliardi di euro. Il 25 gennaio,
inine, Alexis Tsipras ha portato alla vittoria in Grecia
una nuova sinistra. Il suo partito vuole rinegoziare il
pagamento del debito greco e farla inita, in Grecia e nel
resto d’Europa, con le politiche economiche incentrate
unicamente sul risanamento dei conti pubblici, che si
sono rivelate crudeli quanto controproducenti.
Barack Obama è il leader statunitense più vicino a
un socialdemocratico europeo che si possa immaginare. Mario Draghi è un liberale, pragmatico ma pur sempre un liberale. Alexis Tsipras appartiene alla sinistra
S
Il neoliberismo ha reso possibile
una nuova rivoluzione
industriale. Ma ora che il
processo è compiuto si vedono i
disastri prodotti dai dogmi
thatcheriani
radicale. Anche se le loro posizioni sono diverse, tutti e
tre hanno capito che i dogmi liberisti hanno portato a
una deregolamentazione il cui risultato più spettacolare è stato la crisi di Wall street. Quei dogmi hanno creato diferenze sociali insostenibili, hanno ridotto il peso
delle classi medie e hanno portato l’Europa sull’orlo
della delazione.
Il neoliberismo non è il frutto di un complotto dei
ricchi. Se è diventato un’ideologia dominante, come il
keynesismo dalla ine della seconda guerra mondiale
all’elezione di Margaret Thatcher nel Regno Unito, è
soprattutto perché negli anni settanta le classi medie
occidentali erano in rivolta contro il isco. Sommerse
dalle tasse, non volevano più inanziare lo stato sociale
e gli investimenti che pure avevano determinato la loro
ascesa. Questo ha messo le sinistre occidentali in una
posizione diicile, da cui non sono ancora uscite. Il se-
32
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
condo motivo del successo dei neoliberisti è che un ciclo industriale era arrivato alla sua conclusione. Le
nuove tecnologie stavano soppiantando l’industria pesante e bisognava liberare i nuovi imprenditori dagli
obblighi iscali e sociali che le giovani aziende non erano ancora in grado di sostenere.
Il neoliberismo ha reso possibile una nuova rivoluzione industriale e lo sviluppo dei paesi emergenti. Ma
ora che il processo è compiuto e che la deregolamentazione permette alle multinazionali di sfuggire o quasi al
isco si osservano i disastri prodotti dai dogmi thatcheriani come “troppe tasse uccidono le tasse”, “lo stato
non è la soluzione ma il problema” o “più i ricchi sono
ricchi, meglio è per tutti”.
La lotta contro i paradisi fiscali, cominciata nel
2008, procede ancora troppo lentamente ma sta dando
i suoi frutti. Le prossime elezioni presidenziali statunitensi si giocheranno sull’idea, appena lanciata da Barack Obama, di una maggiore giustizia iscale e di un
aumento delle tasse per i più ricchi. La partita non sarà
facile per i repubblicani, e in Europa il trionfo elettorale
di Syriza ha appena mostrato che il riiuto dell’austerità
può determinare, e anzi determinerà, nuove maggioranze politiche.
Sullo slancio della svolta avviata contemporaneamente dalla Banca centrale europea con l’acquisto di
titoli e dalla nuova Commissione con il suo piano di rilancio, in Europa si annunciano nuove politiche economiche, che già stanno entrando in vigore. Il risanamento dei conti pubblici continuerà, ma a un ritmo più ragionevole, e sarà accompagnato da politiche di rilancio
nazionali ed europee. Meglio tardi che mai, perché è la
cosa migliore che poteva succedere agli europei e alla
loro economia. Ma non è tutto.
Questa inversione di rotta cambierà radicalmente
le cose anche a livello politico. I socialdemocratici, ino a ieri isolati in un’Europa a maggioranza liberale e
conservatrice, trovano oggi nuovi alleati, in Grecia come nella Bce e nella Commissione. Inoltre questa serie
di convergenze cambierà la percezione dell’Europa: i
cittadini scopriranno che l’integrazione europea non è
in sé un progetto liberista e che le sue politiche e l’interpretazione dei suoi trattati possono cambiare a seconda delle circostanze e dei risultati delle elezioni. È
solo l’inizio, ma sono buone notizie. u f
Bernard Guetta
È un giornalista francese esperto di politica internazionale.
Collabora con France Inter e Libération.
ECHO
Lungo il Malecón,
all’Avana, l’11
dicembre 2014
Cuba
La speranza
di Cuba
Leonardo Padura Fuentes, Le Monde, Francia
Foto di Giorgio Palmera
Il 17 dicembre Raúl Castro e Barack Obama
hanno annunciato la ripresa dei rapporti tra
l’Avana e Washington. Per molti cubani è
stato come svegliarsi da un lungo incubo
Cuba
A
36
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Ma quello del 13 dicembre non è stato
un episodio isolato. Da qualche tempo vari
artisti che vivono a Cuba si esibiscono a
Miami, che si è autoproclamata “capitale
dell’esilio cubano”. Molti attori, musicisti,
pittori e qualche scrittore come me hanno
partecipato a eventi pubblici e sono initi
sui mezzi d’informazione statunitensi senza subire gli attacchi politici che negli anni
novanta colpirono alcuni esponenti della
cultura cubana per il solo fatto di vivere e
lavorare sull’isola. Restare a Cuba era una
scelta professionale e di vita che, secondo il
settore più radicale dell’esilio, li rendeva
collaboratori o propagandisti del regime.
Travolti dall’emozione
Nel 2014, persuaso da questo nuovo clima
di riconciliazione e tolleranza che si cominciava a respirare a Miami, anch’io ho partecipato per la prima volta a due eventi pubblici. Dal 1992 la città è stata per me una
meta di passaggio dei frequenti viaggi accademici negli Stati Uniti. Il primo evento
era una conferenza intitolata “La libertà
come eresia” alla Florida international university, su invito del Cuban research institute. L’altro era un incontro nella cittadina
di Coral Gables organizzato dalla libreria
Books and Books, dove ho presentato l’edizione spagnola del mio romanzo Herejes e
quella inglese di L’uomo che amava i cani.
All’università l’aula era piena e la presentazione a Coral Gables è stata spostata
all’ultimo momento perché lo spazio non
bastava ad accogliere tutti i presenti. Ci siamo trasferiti nel salone della chiesa accanto, e a un certo punto gli organizzatori hanno dovuto chiudere le porte perché dentro
non c’era più posto. Incredibile: un incontro con uno scrittore venuto da Cuba ha
fatto il tutto esaurito a Miami. A Coral Gables ero in compagnia di due vecchi colleghi giornalisti che da vent’anni abitano in
questa città del sud della Florida. Abbiamo
parlato con il pubblico di quello che ci ha
unito in passato e continua a unirci oggi, al
di là della distanza geograica: l’amicizia,
EChO
metà dei diicili anni novanta Sabadazo è stato il
programma d’intrattenimento più famoso della televisione cubana.
Era ambientato su un
terrazzo dell’Avana dove, per una ragione
o per l’altra, il sabato sera un gruppo di persone si ritrovava per partecipare a una festa con tanto di orchestra. Al centro della
scena c’era sempre l’animatore cubano più
acclamato dell’epoca, Carlos Otero, e gli
“ospiti” della terrazza erano attori conosciuti più con il nome dei loro personaggi
che con quello di battesimo: Gustavito
(Geonel Martín), un bambino un po’ sciocco e molto sincero; Boncó (Conrado Cowley), un nero astuto, che ricordava un personaggio delle vecchie commedie di costume cubane; Antolín el Pichón (Ángel García), un provinciale che si dava arie da uomo al passo con i tempi; Matute (Ulises
Toirac), un contadino con un caratteraccio; e poi l’operaio strambo, Feliciano, e la
signora sovrappeso e chiacchierona, Margot (entrambi interpretati dal bravissimo
Osvaldo Doimeadiós).
La popolarità di Sabadazo spinse i vertici della tv cubana a proporre un lungo speciale di capodanno, per intrattenere chi
voleva aspettare l’anno nuovo a casa. Come
tutti i programmi simili, anche Sabadazo si
esaurì dopo essere andato in onda per anni.
Ma la tradizione degli speciali di capodanno continuò un po’ più a lungo, ino a quando il gruppo di attori non si sfaldò, come
tante altre cose della realtà cubana. I due
protagonisti, il nero Boncó e l’animatore
Carlos, lasciarono il paese per tentare la
fortuna a Miami, negli Stati Uniti, mentre
gli altri attori rimasero sull’isola e oggi lavorano ad altri progetti.
Anche se la notizia non è circolata sui
mezzi d’informazione uiciali, noi cubani
residenti sull’isola abbiamo saputo che il 13
dicembre 2014 Sabadazo è risorto dalle sue
ceneri. Ma invece che dall’Avana il programma è andato in onda da Miami, di
nuovo come tante altre cose della realtà cubana. Diversi personaggi – Carlos, Boncó,
Gustavito, Matute, l’autista di autobus Teo
Manguera, Antolín el Pichón, la diva nota
come La Pía, Margot e Feliciano – hanno
animato il Miami-Dade County auditorium, con l’accompagnamento di musicisti
che vivono a Cuba e a Miami. Per i cubani
che si sono trasferiti in questa città della
Florida assistere allo spettacolo è stato un
viaggio nella nostalgia e un percorso simbolico di riconciliazione con il loro passato,
con il loro paese e con la loro cultura.
gli interessi culturali e sportivi in comune,
la nostalgia per la vita condivisa sull’isola.
Abbiamo discusso di riconciliazione, di vicinanza, di ponti da gettare – o di vecchi
ponti da riparare – tra i cubani che vivono in
patria e quelli sparsi per il mondo. Ognuno
l’ha detto a modo suo, ma su una cosa eravamo tutti e tre d’accordo: quello di cui ha
più bisogno Cuba oggi e soprattutto domani è proprio la riconciliazione tra i cubani
per superare le incomprensioni, la rabbia e
l’odio da troppi anni alimentati sui due lati
dello stretto.
Mentre gli artisti di Sabadazo si esibivano a Miami, nessuno dei cubani residenti in
Florida poteva immaginare cosa sarebbe
In centro all’Avana, 12 dicembre 2014
successo quattro giorni dopo, il 17 dicembre. Non lo immaginava neanche la grande
maggioranza degli undici milioni di cubani
che vivono sull’isola, me compreso. Tutti,
quelli dentro e quelli fuori (ci sono cubani
anche in Groenlandia), siamo stati travolti
dall’emozione. A mezzogiorno, come due
prestigiatori che sorprendono il loro pubblico, il presidente cubano Raúl Castro e
quello statunitense Barack Obama hanno
annunciato al mondo che questi due paesi,
così vicini per geograia, storia, cultura e
sport ma da più di cinquant’anni politicamente lontanissimi, avevano deciso di ristabilire i rapporti diplomatici. Come primo gesto di apertura Washington e l’Avana
si sono accordate per uno scambio di prigionieri, presentato come un gesto politico
senza precedenti e una dimostrazione di
buona volontà per il futuro.
Le prime reazioni della gente, o almeno
di chi conosco, sono state molto emotive.
Quando mia moglie Lucía ha sentito la notizia è scoppiata a piangere, commossa per
l’arrivo di qualcosa che ino a poco tempo fa
sembrava impossibile. Mia madre si è portata le mani al petto e, dopo avermi confessato che non sperava di poter ascoltare una
notizia del genere da viva, ha ringraziato
san Lazzaro, un santo molto venerato a Cuba e festeggiato proprio il 17 dicembre.
Moltissimi cubani sono convinti che l’an-
nuncio di Castro e Obama sia stato un altro
dei miracoli del santo, chiamato Babalú
Ayé nelle religioni afrocubane. Mio fratello
minore, residente a Miami da quindici anni, è stato uno dei pochi fortunati che sono
riusciti a contattare per telefono i parenti a
Cuba per condividere il loro stupore. Mi ha
chiesto: ora che succederà?
In una strada dell’Avana una donna, come se fosse preparata alla notizia, ha appeso al balcone la bandiera cubana accanto a
quella statunitense per esprimere un desiderio profondo di riconciliazione. Il fatto è
che, nonostante alcuni segnali politici suggerissero dei cambiamenti imminenti, nessuno credeva che sarebbe successo così
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
37
Cuba
presto. O così tardi. Dal 17 dicembre in poi
sono stato intervistato dai giornalisti di
mezzo mondo che volevano sapere cosa
pensassi dell’annuncio di Castro e Obama
(alcuni l’hanno deinita la notizia dell’anno) e quale fosse stata la reazione dei cubani sull’isola. Di solito tutte le interviste ilavano lisce ino all’immancabile domanda:
e ora cosa crede che succederà?
Il peso della storia
Ne ho parlato con la corrispondente a Cuba
del New York Times. Per correttezza devo
dire che il quotidiano statunitense, intuendo il cambiamento o forse essendone in
qualche modo a conoscenza, è stato quello
che nei mesi precedenti all’apertura diplomatica di Obama e Castro ha insistito di più
sulla necessità di normalizzare i rapporti
tra Stati Uniti e Cuba, schierandosi apertamente a favore della ine dell’embargo contro l’isola. Alla giornalista del New York
Times ho dato risposte categoriche ma articolate, replicando con altre domande,
nella migliore tradizione della retorica classica: ieri, 16 dicembre, avrebbe immaginato che oggi, 17 dicembre, avremmo discusso di una notizia del genere? Com’è possibile allora cercare di prevedere il futuro?
Non sarebbe meglio indagare il passato per
trovare le ragioni del presente?
Per illustrare meglio la mia ultima domanda le ho fatto un esempio: per ristabilire i rapporti tra Cuba e Stati Uniti è stato
necessario che, per la prima volta in duemila anni di storia della chiesa cattolica, un
papa rinunciasse alla sua carica. Senza la
mediazione di Jorge Mario Bergoglio, subentrato a Joseph Ratzinger dopo le sue
dimissioni, diicilmente saremmo arrivati
a un accordo così importante. Questo è il
peso della storia, che avanza per strade tortuose. Capire il concatenamento delle cause getta luce sul presente e a volte permette
d’intravedere gli efetti del presente su un
futuro possibile. Con tutti i rischi che comporta un esercizio del genere, soprattutto
nel caso di un paese come Cuba, dove la
segretezza fa ormai parte della politica di
stato e le previsioni sono spesso una perdita
di tempo e uno spreco d’intelligenza.
Sull’isola, da quando Obama e Castro
hanno parlato agli Stati Uniti, a Cuba e al
resto del mondo, non è ancora successo
niente di fondamentale, ma l’animo dei
cubani è molto cambiato. È bastato l’annuncio dell’avvio di un dialogo tra i due
paesi per farci sentire come se ci stessimo
risvegliando da un lungo incubo. Abbiamo
sentito allentarsi la pressione che ci accompagna da più di cinquant’anni e che ha
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Abbiamo sentito
allentarsi la pressione
che ci accompagna da
più di cinquant’anni e
che ha alimentato la
cultura politica
dell’assedio
alimentato la cultura politica dell’assedio.
Insieme a questa nuova sensazione sono
nate speranze di ogni genere e i cubani si
sono lasciati alle spalle il 2014 per accogliere con gioia il nuovo anno. In mezzo a
tante notizie poco incoraggianti – la crescita economica nel 2014 è stata minima e il
governo non ha potuto aumentare i già insuicienti stipendi statali – e dopo molti
anni di penuria, restrizioni e appelli a fare
sacriici, la speranza è una cosa di cui la
gente aveva davvero bisogno.
L’aumento del numero dei professionisti statunitensi autorizzati a viaggiare a Cuba può avere un efetto beneico immediato
sui cittadini dell’isola. Ma sarà anche il primo trauma sociale ed economico provocato da questa nuova situazione. Il fatto che
oggi all’Avana le strutture d’accoglienza
bastino a malapena a ricevere i turisti mette
in dubbio la possibilità di ospitare, in poco
tempo, quasi il doppio di visitatori. È un
problema che deve afrontare chi lavora in
proprio nella ristorazione o nel settore alberghiero, e tutti quelli che girano intorno a
questo mondo, perché in molti casi dovranno ofrire più servizi.
Oggi all’Avana i ristoranti più esclusivi e
ricercati sono gestiti da privati. Il modello
dei cosiddetti paladares, dal nome di una
catena di ristoranti apparsa in una telenovela brasiliana di grande successo, risale
agli anni novanta, quando il governo fece
delle concessioni alle piccole attività imprenditoriali. Ma oggi, con l’ampliamento
del settore privato introdotto dalle riforme
di Raúl Castro, è un modello superato.
Mentre vent’anni fa quei ristoranti improvvisati spuntavano sotto i porticati, nei salotti di alcune case dell’Avana e avevano al
massimo dodici coperti, oggi gli allestimenti, gli arredamenti e i menù sono molto
più rainati e hanno prezzi inaccessibili per
un cubano medio: non è possibile pagare
10 pesos convertibili (circa 10 dollari) per
una cena, visto che al mese chi è fortunato
ne guadagna tra i 20 e i 50. L’oferta è rivolta
ai turisti stranieri e la speranza di guadagnare bene è aidata all’arrivo degli statunitensi, che di solito lasciano il 15 per cento
di mancia.
Rompere gli schemi
Da sapere
Ultime notizie
u Il 17 dicembre 2014 il presidente degli Stati
Uniti Barack Obama e quello cubano Raúl
Castro annunciano, in un discorso congiunto,
la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due
paesi, interrotti da più di cinquant’anni.
u Il 30 dicembre le autorità cubane arrestano
all’Avana e poi rilasciano una cinquantina di
attivisti per i diritti umani e di giornalisti
indipendenti. Tra di loro c’è anche l’artista
Tania Bruguera.
u Il 13 gennaio 2015, come parte degli accordi
bilaterali tra l’Avana e Washington, il governo
cubano libera 53 prigionieri politici.
u Dal 21 al 23 gennaio una delegazione
statunitense, guidata dalla sottosegretaria di
stato per l’emisfero occidentale Roberta
Jacobson, va a Cuba per discutere in termini
pratici la normalizzazione dei rapporti
bilaterali. Le parti non raggiungono nessun
accordo, ma si dicono disponibili a proseguire il
dialogo nelle settimane successive.
u Il 26 gennaio Fidel Castro pubblica sul
quotidiano Granma una lettera rivolta alla
Federación estudiantil universitaria in cui
dichiara di “non idarsi della politica degli Stati
Uniti, ma di essere favorevole a una soluzione
paciica dei conlitti”. Bbc
Il problema non riguarda solo la capacità
di accogliere i turisti, ma anche i servizi insuicienti e le infrastrutture del tutto carenti: le telecomunicazioni, le strade, gli
aeroporti, le fognature, la rete idrica, il parco macchine e la raccolta dei riiuti, per
elencare solo alcune cose, sono molto arretrati. È vero, però, che l’industria cubana
del turismo ha fatto dei progressi importanti. Ha creato un grande molo turistico
circondato da alberghi di lusso, capace di
accogliere centinaia di yatch nella zona più
esclusiva di Varadero, a soli 140 chilometri
dalle isole della Florida. Rientra in questa
linea anche il porto di Mariel, davanti al
golfo del Messico, inanziato dal Brasile. Il
porto può accogliere navi di grandi dimensioni e ha una zona industriale che aspetta
solo gli investitori.
Sulla scia del progetto portuale e commerciale del porto di Mariel, la baia
dell’Avana è stata trasformata in un porto
turistico dove attraccheranno navi da crociera e traghetti pieni di visitatori statunitensi desiderosi di conoscere di persona il
vicino “nemico”.
Se i nuovi rapporti bilaterali tra Cuba e
Stati Uniti avranno gli efetti attesi, il go-
EChO
Un taxi all’Avana, il 12 dicembre 2014
verno dell’Avana avrà bisogno d’investire
molto per vincere la sida che lo aspetta.
Forse l’alleggerimento di alcune restrizioni
imposte dall’embargo, che solo il congresso statunitense può abrogare in maniera
deinitiva, permetterà a Cuba di accedere
ai prestiti internazionali. E gli investitori
stranieri si decideranno inalmente a fare
afari sull’isola senza paura di rappresaglie
statunitensi, multe comprese, com’è successo alla banca francese Bnp Paribas nel
luglio del 2014. Questo probabilmente fornirà il capitale necessario per afrontare
alcuni problemi urgenti, anche se la grande questione irrisolta del modello cubano,
come ha ammesso lo stesso presidente
Raúl Castro, è l’eicacia del sistema economico, che si è dimostrato perino incapace di risolvere problemi all’apparenza
semplici come la produzione alimentare.
Oggi l’isola importa più del 70 per cento di
quello che consuma.
A livello politico e sociale s’intravedono
altre side importanti. La prima, già in corso, è passare da un clima di scontro a uno
di dialogo che, senza pretendere di superare le diferenze tra i due sistemi, metta a
frutto questo avvicinamento. Bisogna
cambiare non solo atteggiamento, ma anche linguaggio. Come sempre, i cubani
hanno già fatto una sintesi della situazione
in chiave ironica cambiando il messaggio
di un manifesto di propaganda dove un
combattente cubano gridava allo zio Sam:
“Signori imperialisti, non abbiamo nessuna paura di voi”. Nella nuova versione,
successiva al 17 dicembre, il cartello dice:
“Signori fratelli della patria di Lincoln, non
abbiamo nessun rimprovero per voi”.
Al prossimo vertice delle Americhe, che
si terrà ad aprile a Panamá e a cui per la prima volta parteciperà anche Cuba (inora
era stata esclusa su pressione statunitense,
nonostante le proteste di molti paesi latinoamericani), assisteremo a un passaggio
fondamentale di questo cambiamento di
linguaggio e atteggiamento: Raúl Castro e
Barack Obama dovranno incontrarsi di
persona e dare contorni più precisi al nuovo stato di cose cominciato a dicembre.
Non solo per Cuba, ma per tutti i rapporti
continentali.
Dal punto di vista sociale Cuba dovrà
affrontare sfide altrettanto difficili.
Sull’isola già esisteva un divario economico tra chi lavora nel settore privato e chi
lavora per lo stato, e ora questa distanza
potrebbe aumentare. La dilatazione del
tessuto economico di una società inora
molto compatta creerà delle diferenze che
non esistevano durante gli anni di socialismo ortodosso: una percentuale sempre
più grande della popolazione smetterà di
dipendere dallo stato, un tempo iperprotettivo e onnipotente, e guadagnerà in indipendenza.
La strada non sarà facile, ma molti cubani che vivono sull’isola e molti di quelli
residenti a Miami guardano con più speranza al futuro a breve e a medio termine,
almeno per quanto riguarda la vita quotidiana, i l rapporti familiari e le aspettative
personali.
Come in una puntata di Sabadazo, potremmo davvero non solo ridere e abbracciarci, ma anche riuscire a fare quello che,
in modo simbolico, il 13 dicembre hanno
fatto i suoi protagonisti al Miami-Dade
County auditorium: rompere gli schemi,
superare il risentimento, tendere ponti nel
presente per un futuro che può e dev’essere migliore.
Noi cubani ce lo meritiamo. u fr
L’AUTORE
Leonardo Padura Fuentes è uno scrittore
e giornalista cubano nato nel 1955. Vive a
Cuba. I suoi ultimi libri pubblicati in Italia
sono Venti di quaresima (Tropea 2011) e
L’uomo che amava i cani (Tropea 2010).
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Uno zaino
pieno
di droga
4SEE/CONTrASTO
Portogallo
Ana Dias Cordeiro, Público, Portogallo
Foto di Pedro Nunes
Con la disoccupazione a livelli record e nessuna
prospettiva per il futuro, i ragazzi portoghesi
che si fanno reclutare dai narcotraicanti sono
sempre più numerosi. La storia di Jonas, partito
per il Brasile e inito in carcere a Lisbona
a notte scaccia le paure.
Come quella volta, in un
bar del Bairro Alto di Li­
sbona. Un algerino con cui
aveva già parlato altre volte
gli si è avvicinato e tra un
bicchiere e l’altro gli ha chiesto se conosce­
va qualcuno che non aveva paura di volare.
Jonas conosceva molta gente, ma non vo­
leva mandare nessuno allo sbaraglio. Le
persone che conosceva le voleva protegge­
re. E poi in quel periodo si era isolato dal
mondo: la disoccupazione gli aveva chiuso
tutte le porte. Ora, però si stava aprendo
uno spiraglio inaspettato. Su quel volo ci
sarebbe andato lui.
Jonas aveva sentito i racconti di amici e
conoscenti che erano riusciti a passare
senza farsi arrestare, e di altri che avevano
fatto il viaggio più volte. Alcuni si sentiva­
no intoccabili e si guadagnavano da vivere
andando avanti e indietro. Finché non li
beccavano.
Ma lui era diverso. Lo avrebbe fatto una
volta sola. Novemila euro erano un com­
penso molto più alto di quanto avesse im­
L
40
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
maginato. Quando faceva l’aiutante pa­
sticcere – aveva cominciato a quindici anni
per mantenere il padre ex tossicodipen­
dente – con lo stipendio riusciva a malape­
na a pagare l’aitto e le spese della casa di
Talaíde, nel comune di Oeiras. E poi c’era­
no l’abbonamento dell’autobus, il cibo e le
medicine. Ora, a 22 anni, Jonas poteva i­
nalmente avere qualche ambizione.
Da Bilbao a Natal
Ha dato il suo documento all’algerino vici­
no alle barche di Cais do Sodré. Nei giorni
successivi, in una serie di incontri con per­
sone senza nome e senza volto, ha ricevuto
un biglietto aereo, il piano del viaggio, mil­
le euro per le spese e un telefonino. L’unico
contatto che conosceva, il reclutatore del
Bairro Alto, è scomparso come era già
scomparso due anni prima, dopo aver ar­
ruolato un amico di Jonas per portare eroi­
na dalla Turchia. Quella volta le cose erano
andate bene. “Da questo momento tutto
ilerà liscio”, gli ha detto il venditore di so­
gni, che aveva con sé “due o tre passaporti
e un paio di telefonini”. Jonas avrebbe avu­
to un unico passaporto. Doveva inventare
una storia e farla sua, mostrarsi sicuro, non
tentennare e seguire le istruzioni scritte in
codice o ricevute da voci che non cono­
sceva.
Dal Brasile avrebbe riportato indietro
un chilo di cocaina in piccole dosi divise tra
il bagaglio a mano e un portadocumenti.
Tutto era in ordine: parola del reclutatore,
Flávio, l’algerino del Bairro Alto.
“In fondo noi non sappiamo mai per chi
lavoriamo”, spiega Flávio. Lui stesso ha
spesso trasportato droga, nascosta nelle
valigie o sotto i vestiti, in macchina o in ae­
reo. È stato in Marocco, Spagna, Francia,
Belgio, Irlanda, Turchia. “Siamo interme­
diari. L’importante è avere iducia”.
Flávio ha cominciato a vent’anni. Ora
ne ha 38 e arruola altre persone, di età di­
verse: “In genere i reclutatori hanno fatto i
corrieri in passato, ma non hanno il corag­
gio di ricominciare”.
In un viale del quartiere Alcântara indi­
ca un angolo dove per un anno ha fatto la
sentinella, allertando gli altri quando avvi­
stava una macchina della polizia. In poche
Il iume Tago a Lisbona, dicembre 2012
ore guadagnava 80 euro. “È incredibile
che non mi abbiano mai beccato”, dice.
Oggi fa l’intermediario e gestisce diverse
spedizioni contemporaneamente, ma non
ne vuole parlare.
Mentre cammina si guarda attorno con
circospezione. Accende uno spinello. Ha il
volto e le braccia coperte di cicatrici e l’aria
di chi vive nel mondo del narcotraico ma
allo stesso tempo vuole uscirne. Ci parla di
uno stile di vita diicile da abbandonare.
Forse un giorno ci riuscirà, aferma. Di sicuro dovrà lasciare il Portogallo e ricominciare da zero. Per adesso ha ancora un piede in quel mondo, ma non corre più i rischi
di un tempo.
Jonas, invece, è all’inizio. Ha fatto il suo
primo viaggio il 22 novembre del 2013. È
partito dalla Gare do Oriente di Lisbona su
un treno diretto a Bilbao, in Spagna, da dove ha preso un aereo per Natal, in Brasile.
La partenza da Bilbao doveva servire a
confondere le idee agli investigatori che
indagano sul traico di droga all’aeroporto
di Portela, nella capitale portoghese. Lisbona è la principale porta d’ingresso in
Europa della droga che arriva dall’Africa e
dall’America Latina. E i corrieri aumentano: tra il 2000 e il 2013 il numero di persone arrestate per narcotraffico a Portela
dopo un volo intercontinentale è triplicato,
passando da 63 a 196. Il primo aumento c’è
stato tra il 2000 e il 2002, quando gli arresti sono più che raddoppiati, ma il record è
stato raggiunto nel 2006, con 232 persone
fermate. Quell’anno a Portela la polizia ha
sequestrato 849 chili di cocaina.
Negli ultimi dieci anni i portoghesi hanno acquisito un ruolo sempre più importante nel traico di droga internazionale.
Nel 2000 tra i corrieri arrestati c’erano solo sette portoghesi, nel 2004 erano già 18 e
nel 2010 sono arrivati a 76. Da allora c’è
stata una leggera lessione, ma il numero
rimane più alto rispetto a dieci anni fa.
“Oggi ci sono più reclutatori, ma soprattutto più persone disposte a fare i corrieri”, conferma Rui Sosa, ispettore capo
della Unidade nacional de combate ao tráico de estupefacientes. Un tempo i corrieri venivano reclutati tra i tossicodipendenti o tra la gente del giro. Oggi molte perso-
ne comuni sono spinte verso l’illegalità
dalle diicoltà economiche o dalla tentazione del denaro facile. “Spesso è gente
che non sa cosa fare nella vita. Fanno un
viaggio e scompaiono. Poi tornano perché
vogliono altri soldi. Sono persone sposate
con igli. Madri disperate perché sono disoccupate e hanno un iglio malato”, spiega Jonas. “Oppure persone come me, senza prospettive”.
Una semplice pedina
Solo il tempo di farsi consegnare il carico e
tornare a casa. Dopo sarebbe cambiato tutto. Sarebbe stato come gli altri. Avrebbe
potuto vivere senza afanni, cambiare la
piccola televisione a casa del padre con
una più grande, comprare un cellulare “come dio comanda”, una console e tutto
quello “che un ragazzo della mia età desidera”.
In Brasile, Jonas è stato accolto da alcuni colombiani che gli hanno consegnato la
droga in un grande appartamento alla periferia di Manaus. “Era una casa di passaggio, di quelle che si aittano per pochi mesi
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
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Portogallo
e poi si abbandonano”, spiega. “Mi hanno
portato a vedere Manaus, siamo usciti la
sera come se fossi un turista”.
Jonas e i brasiliani erano già diventati
amici quando, il decimo giorno, gli hanno
preparato lo zaino. Il bagaglio è stato fotografato in varie posizioni, aperto e chiuso,
con la droga in evidenza o nascosta. “Credo che le foto fossero per qualcuno che sta
qui o in Spagna, per fargli vedere quello
che avrei trasportato”. La persona che
avrebbe accolto Jonas in Spagna aveva già
pagato per l’ordine. “È così che funziona”,
spiega.
Sulla via del ritorno, Jonas doveva fermarsi di nuovo alcuni giorni a Natal dopo
uno scalo a São Paulo. Da lì avrebbe preso
il volo TP06 della compagnia portoghese
Tap, avrebbe fatto scalo a Lisbona per nove
ore prima di consegnare il carico a Bilbao e
poi sarebbe tornato a casa in treno.
Questo era il piano. Jonas l’ha scoperto
passo dopo passo. Ogni giorno riceveva
nuove informazioni. Quando è arrivato il
momento della partenza ha pensato che
avrebbe potuto ingerire la droga per essere
certo di non essere scoperto. “È molto più
sicuro”, dice. Ma non fa cenno ai pericoli di
questo stratagemma, che in alcuni casi può
portare alla morte. È successo nel settembre del 2014 a un cittadino mozambicano
di 39 anni in arrivo a Lisbona dal Brasile e
diretto in Mozambico.
Alla ine Jonas non ha ingerito la droga.
La destinazione finale era Bilbao e, tra
tempo di volo e scali, il viaggio era troppo
lungo. E comunque non è stato lui a decidere. Lui era solo una pedina che avrebbe
fatto guadagnare un sacco di soldi ai traicanti.
Al ritorno, all’aeroporto di Portela, gli
agenti della Policia judiciaria gli hanno
mostrato la sua valigia già aperta. Jonas
aveva chiesto di poterla portare in cabina
ma l’avevano costretto a imbarcarla perché
l’aereo era pieno. Ha confessato immediatamente.
Il tempo per pensare
Era la mattina del 3 dicembre. Jonas ha subito pensato al fratello, l’unico che sapeva
tutto. “Non andare, sei pazzo. Sei convinto
che passerai ma ti beccano di sicuro”, gli
aveva detto la sera prima della partenza.
Erano andati insieme a comprare le scarpe
da Zara. Vestito a nuovo, Jonas si sentiva
come un imprenditore in viaggio d’afari.
Tutto gli sembrava possibile.
Quando era arrivato in Brasile, Jonas
aveva ricevuto un cellulare e una scheda.
Poi era rimasto per cinque giorni in un al-
42
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
bergo di Natal ad aspettare un messaggio.
Il giorno dopo averlo ricevuto, aveva incontrato un colombiano nella sala degli
arrivi dell’aeroporto. L’uomo aveva in mano un cartello con il nome di Jonas, come
chi aspetta i partecipanti a un congresso o
a un viaggio di gruppo.
A Bilbao, al ritorno, Jonas avrebbe dovuto incontrare un altro intermediario,
anche lui con un cartello con il suo nome.
Se la polizia l’avesse seguito ino in Spagna,
avrebbe subito scoperto il suo contatto.
“Ma nessuno mi ha seguito. Così non sapranno mai chi sono i proprietari della droga. Non lo so nemmeno io”, aferma Jonas.
Secondo una fonte della polizia seguirlo
sarebbe stato troppo complicato: signiicava mettere un cittadino portoghese in una
situazione “giuridicamente molto delicata” in un paese straniero.
A Lisbona la polizia ha recuperato soltanto i cellulari senza le schede, che Jonas
aveva ingoiato in bagno per non lasciare
tracce e non far pensare ai narcotraicanti
che li avrebbe denunciati, spingendoli a
compiere rappresaglie contro la sua famiglia. “La polizia non ha voluto sapere del
computer che avevo con me e non ha con-
Da sapere
Il Portogallo in cifre
u Il Portogallo ha 10,7 milioni di abitanti e un
pil pro capite di 20.190 dollari. Il rapporto tra
debito pubblico e pil è del 128 per cento (2013).
Nel dicembre del 2014 il tasso di
disoccupazione era del 13,9 per cento.
u Per far fronte a una gravissima crisi
inanziaria, nel 2011 il governo guidato dal
primo ministro socialista José Sócrates ha
negoziato un piano di salvataggio da 78 miliardi
di euro con la Banca centrale europea, la
Commissione europea e il Fondo monetario
internazionale. Il programma si è concluso nel
giugno del 2014.
u Le prossime elezioni politiche si svolgeranno
tra il 14 settembre e il 14 ottobre 2015.
trollato se c’erano documenti o contatti. È
strano”, aferma.
In carcere dal dicembre del 2013
nell’Estabelecimento prisional de Lisboa,
ora Jonas ha tempo per pensare a tutto
quello che è successo. Ed è convinto che le
autorità si accontentino di arrestare i corrieri senza provare a individuare i traicanti: “Arrestano solo l’anello debole, che
siamo noi”.
La nostra fonte all’interno della polizia
la pensa in un altro modo. “In questo tipo
di situazioni, per quanto possibile, cerchiamo di raccogliere il maggior numero di informazioni per arrivare ai grandi traicanti o al reclutatore”. In questi casi, aggiunge
la fonte, l’esame del computer avviene solo
“quando abbiamo la certezza che contenga
informazioni impossibili da raccogliere in
altro modo”.
Le condanne per droga vanno dai 4 ai 12
anni di carcere, e non ci sono distinzioni
tra i ruoli di chi “produce, fabbrica, vende,
distribuisce, importa o fa transitare” gli
stupefacenti. Ma la verità, secondo Jonas,
è che “le prigioni sono piene di corrieri,
non di traicanti”.
Anche il suo avvocato, João Guimarães
Neto, è convinto che ci siano “disparità di
trattamento”. Cita un caso emblematico:
gli otto portoghesi accusati nel 2007 di far
parte di una rete internazionale di traicanti con base in Messico oggi sono a piede
libero. Sono accusati di aver trasportato tre
tonnellate di cocaina nascosta in casse di
polpi in un container arrivato nel porto di
Matosinhos. Ma sono in attesa del processo fuori dal carcere. Sono passati più di sette anni, e l’accusa sostiene che la cellula
portoghese, creata nel 2006, si sia ormai
ramiicata in diverse zone del paese.
In prigione Jonas continua a rivivere e a
ricostruire i momenti del viaggio. Ogni
volta si scontra con un muro di enigmi ancora irrisolti: per esempio l’arresto a Lisbona dopo aver completato con successo il
percorso in Brasile.
Come il suo avvocato, Jonas è convinto
di essere stato denunciato dagli stessi traficanti: secondo lui volevano tenere occupati gli agenti della sicurezza dell’aeroporto in modo che carichi più consistenti transitassero senza problemi. “È così che funziona il sistema dei corrieri”, spiega Guimarães Neto. Poi avanza un’ipotesi: “Un
barone della droga che trasporta in media
500 chili all’anno in un paese deve preparare il terreno, dare un contentino alla polizia. E poi ci sono i canali di distribuzione”.
Secondo l’avvocato, “la polizia è stata informata”. Le informazioni si ottengono
4SEE/CONTRASTO
Una strada del centro di Lisbona, dicembre 2012
solo in due modi: grazie a una soiata o da
un agente che opera sotto copertura. “Ma
quando si parla di corrieri della droga è
molto probabile che le informazioni arrivino da una soiata”.
Jonas sa che quattro o cinque portoghesi del suo gruppo di amici sono initi in carcere in Spagna e in Francia. Altri due o tre
sono dietro le sbarre in Portogallo, insieme
a molti stranieri. “Brasiliani, boliviani, paraguaiani, venezuelani. Tutti beccati con
la droga”. I portoghesi “hanno circa la mia
età. Anche le ragazze sono tra i 23 e i 24 anni”. Stanno scontando pene per lo stesso
reato che ha commesso lui e che rischia di
diventare molto comune tra questi ragazzi
in cerca di un futuro. “Ci riproveranno tutti. Lo fai ino a quando non ti beccano”.
“Negli ultimi tre anni ho osservato un
fenomeno preciso”, spiega Guimarães Neto. “I giovani emarginati e senza prospettive sono sempre più numerosi. Hanno la
testa piena di avventure. Vivono a casa dei
genitori e il Bairro Alto è il loro mondo. È a
loro che si rivolgono i reclutatori, sempre
pronti a raccontare un progetto fantastico
o una storia di successo”.
Secondo le statistiche del Serviço de
estrangeiros de fronteiras (Sef ), l’agenzia
che controlla l’immigrazione e le frontiere,
i detenuti stranieri nelle carceri portoghesi
sono sempre più giovani. Nel 2012 otto delle 21 persone intercettate dal Sef e arrestate avevano fra i 31 e i 35 anni. Nel 2013 la
fascia d’età più rappresentata è stata quella
tra i 26 e i 30 anni, con sette arresti. In quattro casi i fermati avevano meno di 25 anni.
L’anno scorso l’età dei corrieri arrestati ha
continuato a calare: ormai la maggior parte
ha tra i 21 e i 25 anni. A settembre una brasiliana di vent’anni è stata fermata con più di
un chilo di cocaina. Jonas pensava che a lui
sarebbe andata diversamente. Voleva andare a vivere con la sua ragazza, Cátia. Voleva diventare quello che non era, avere
quello che non aveva. Vivere un’altra vita.
Nessuna clemenza
Il 4 dicembre 2013 Jonas si è presentato in
tribunale ed è stato messo in custodia cautelare in carcere. A maggio del 2014 è stato
condannato a quattro anni e nove mesi di
di andare in aeroporto. Lei lo ha abbracciato in lacrime supplicandolo di non partire.
Ma a lui sembrava tutto facile. Sarebbe
tornato prima di Natale. A febbraio avrebbe compiuto 23 anni e non poteva immaginare che li avrebbe festeggiati in prigione,
con la sua ragazza fuori ad aspettarlo. Oggi
non le chiede niente. Cátia è la donna di un
detenuto, porta cibo e vestiti. Ogni volta
che lo vede le sembra più magro.
Sentendo i racconti dei compagni di
prigione, Jonas ha capito che non avrebbe
ottenuto la sospensione della pena chiesta
dal suo avvocato. Il Tribunal da Relação de
In carcere Jonas continua a pensare
allo sguardo dei poliziotti mentre
passava con la sua valigia negli
aeroporti di Manaus e São Paulo
prigione per traico di stupefacenti. La sua
ragazza, più giovane di lui, ha promesso
che lo aspetterà. Mentre lui le raccontava
che doveva partire per la Francia, Cátia sapeva già che si trattava di droga. Aveva visto altri partire per poi inire in prigione. E
anche chi riusciva a farla franca alla ine
restava intrappolato nella rete del narcotraico.
Seduto in una sala dell’Estabelecimento prisional de Lisboa, Jonas parla senza
pause per due ore e poi abbassa gli occhi.
“Come si fa ad aspettare in questo modo?”.
Due giorni fa Cátia è venuta a trovarlo. Il
ricordo torna a quella notte di novembre,
quando gli hanno detto che era il momento
Lisboa l’ha efettivamente respinta a settembre del 2014. A quanto pare per chi si fa
trascinare in questo mondo non ci sono seconde opportunità.
In cella Jonas continua a pensare alla
condanna, alla lettera E dell’ala del carcere
dov’è rinchiuso, allo sguardo dei poliziotti
mentre passava con la sua valigia a rotelle
negli aeroporti di Manaus, São Paulo e Natal. “A Manaus mi hanno guardato e non
hanno detto nulla. Anche a Campinas sono
passato senza problemi. Lo stesso a Natal.
Guardavano e mi lasciavano andare”.
Nella sua camera d’albergo a Natal Jonas si è chiesto perché nessuno gli avesse
fatto domande mentre, due giorni prima,
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
43
Portogallo
1,4 chili di cocaina divisi tra il trolley e lo
zaino passavano ai raggi X degli aeroporti
di São Paulo e di Manaus. È una domanda
che si fa ancora oggi.
La notte scaccia le ombre della paura,
ma aumenta anche l’angoscia di chi sa che
sta rischiando molto. “Il volo di ritorno era
all’una di notte”, racconta Jonas. “Mi sono
svegliato alle 23 e ho pensato: ‘Non ci vado,
mi fermeranno e mi faranno delle domande’. Ho pensato di andare all’ambasciata e
chiedere protezione. Ma alla ine ho rischiato. Avevo concordato un appuntamento con
il tassista dell’hotel. Mi ha chiamato, mi sono vestito in fretta e sono partito”.
La sentenza del 27 maggio ha stabilito
che Jonas ha “agito con dolo” in “modo pienamente volontario” e che è stata “la sua
volontà a spingerlo a fare quello
che ha fatto”: nessuna giustiicazione o attenuante. I giudici hanno descritto il Portogallo come
“una porta d’ingresso della droga
nel continente europeo”, spiegando che la igura del corriere “è sempre
più difusa nel paese”. Inoltre hanno sottolineato “la necessità urgente per il sistema
legale e penale di rispondere a questo fenomeno in modo incisivo”. Il tutto per giustiicare la “severità” della sentenza nei confronti di Jonas.
Secondo i giudici, inoltre, “le esigenze
di salvaguardia della sicurezza” della comunità “impongono” la decisione di non
concedere la sospensione della pena. La
difesa ha puntato sul fatto che Jonas è giovane, non ha precedenti penali, è ben inserito nella società e ha lavorato per sostenere
un padre malato di cancro e tossicodipendente. Ma la giustizia ha privilegiato “le
esigenze della prevenzione”, considerate
particolarmente urgenti in un paese che è
diventato uno snodo fondamentale nel trasporto della droga. Hanno voluto “dare
l’esempio”, spiega João Guimarães Neto,
senza valutare chi avevano di fronte. “È un
messaggio rivolto all’esterno, agli amici di
Jonas, alla sua generazione: ‘Se ci provate,
questo è il risultato’”.
L’avvocato, che negli ultimi tre anni ha
difeso cinque ragazzi imputati per lo stesso
reato, ammette che si tratta di un fenomeno
sociale in espansione a cui bisogna “mettere un freno. Ma ci sono casi e casi”, precisa.
“Alcune persone lo hanno fatto una sola
volta e sono recuperabili”. Come Jonas, che
era “estraneo al mondo criminale. In galera, invece, continuerà a essere tenuto d’occhio dai traicanti, che non vogliono perdere l’investimento fatto”, spiega. La sospensione della pena avrebbe dato al ragazzo la
44
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
possibilità di reinserirsi nella società e cambiare vita.
Per Jonas la prigione è “come una scuola. Tutti i giorni ci sono pugni e coltellate. È
dura”, dice. È cresciuto in un quartiere diicile, ma non si era mai trovato in situazioni
così pesanti. “Se entri qui sei segnato per il
resto della vita. Nessuno ti darà più un lavoro. Non vogliono sapere se è stata una questione di droga o altro. Non sentono ragioni.
Se oggi indicassi qualcuno potrei già diventare un reclutatore. Potrei farlo. Ma il mio
uomo potrebbe a sua volta inire in galera, e
io non me lo perdonerei”.
Tre visite a settimana
Flávio, l’algerino del Bairro Alto, ha un atteggiamento diverso: racconta che reclutando “corrieri” o “mule” guadagna ino a mille o duemila euro a
missione senza mai rischiare in
prima persona. Lui stesso fu reclutato quando aveva appena 17
anni e stava per diventare maggiorenne. Perché oggi non dovrebbe cercare nuovi corrieri tra i giovani?
Mi racconta del caso recente di una ragazza di Tires di 26 anni reclutata e poi denunciata. “Bisogna capire come pensano,
iutare le loro debolezze”, spiega Flávio.
“Devi fare un lavoro psicologico: sapere
dove puoi colpire e partire da lì per convincere i corrieri che non possono tirarsi indietro”.
Con l’esperienza e gli anni Flávio ha fatto carriera: prima corriere, poi reclutatore,
intermediario e infine controllore. “Non
possiamo avere contatti diretti, dobbiamo
evitare di incontrare chi è coinvolto nelle
missioni”, spiega.
Da sapere
Giovani e disoccupati
I primi dieci paesi dell’Unione europea per tasso
di disoccupazione giovanile (15-24 anni), %
0
10
20
30
40
50
60
Spagna
Grecia
Italia
Croazia
Portogallo
Cipro
Slovacchia
Irlanda
Francia
Romania
Dati 2014
Fonte: The Economist
I collegamenti devono essere quasi inesistenti tra i componenti delle reti, cioè chi
organizza gli incontri, chi rinnova i passaporti che hanno accumulato troppi visti, chi
recluta e chi controlla i corrieri in aeroporto
o dentro l’aereo per scoprire se sono calmi o
in preda al panico. Questa igura di raccordo è il controllore. Ma c’è anche chi ci mette
la faccia e va a comprare il biglietto o accompagna il corriere in aeroporto. Poi c’è la
questione delle rotte. “Le organizzazioni
criminali cercano di evitare che i corrieri
seguano percorsi prevedibili”, spiega Fernando Silva, direttore del Sef. In sostanza si
tratta di non usare i collegamenti diretti tra
Portogallo e Brasile. Dalle città brasiliane
arrivano a Lisbona 75 voli alla settimana
(più sei a Porto), incluse le due nuove tratte
inaugurate dalla Tap nel giugno del 2014
per Manaus e Belém.
Tra il 2009 e l’agosto del 2014, 79 delle
81 persone intercettate dal Sef e segnalate
alla polizia erano partite dal Brasile. Le altre
due erano arrivate da Caracas, in Venezuela, nel 2011. Alla ine di settembre del 2014
due corrieri stranieri di 49 e 31 anni, partiti
da Caracas, sono stati fermati con 8,3 chili
di cocaina.
Le statistiche sulla popolazione carceraria non distinguono tra corrieri e grandi
traicanti, ma registrano un aumento generalizzato delle persone arrestate per droga.
Alla ine del 2009 nelle prigioni portoghesi
i condannati per traico di stupefacenti erano 1.814. Alla ine del 2013 il totale era salito
a 2.026. In particolare è aumentato il numero delle donne portoghesi. Gli stranieri continuano a rappresentare un terzo del totale
dei condannati. Per loro, che non hanno la
residenza in Portogallo, non ci sono alternative al carcere, né in attesa della sentenza
né dopo la condanna.
Ma anche Jonas è in carcere come loro.
“Passo le giornate a fumare hashish. Voglio stare calmo e aspettare la libertà. Prima o poi arriverà. Non possono fermare il
tempo”.
Jonas è convinto di trovarsi nel peggiore
carcere d’Europa e, ora che la sentenza è
diventata deinitiva, sta cercando di farsi
trasferire. La prigione in cui è rinchiuso è la
stessa dove da piccolo veniva a visitare il
padre, arrestato mentre rubava per comprarsi l’eroina. All’epoca Jonas viveva con
gli zii paterni. La madre era partita per la
Spagna. In una bizzarra inversione dei ruoli, oggi è il padre a visitare il iglio in carcere.
Malato di cancro, non manca mai una delle
tre visite settimanali. Vive con il iglio più
grande e spera di sopravvivere ino al giorno in cui Jonas tornerà a casa. u as
Stati Uniti
Detroit divisa
e disuguale
Laura Gottesdiener, Tom Dispatch, Stati Uniti. Foto di Dave Jordano
La città simbolo della crisi dell’economia industriale si sta lentamente
riprendendo. Ma i piani di rilancio potrebbero isolare ulteriormente la comunità
afroamericana. Costretta a vivere in quartieri poveri e senza servizi
A
lla fine di ottobre del
2014, qualche giorno dopo la conclusione del
processo per il fallimento
di Detroit, accompagno
Dale Brown, detto il “comandante”, nel suo solito giro di pattuglia
per le strade della città. Attraversiamo il
maestoso quartiere di Palmer woods a bordo di un suv Hummer decorato da quattro
falci di luna intrecciate, il logo della compagnia di sicurezza privata fondata da
Brown.
Il comandante abbassa il inestrino per
chiedere a una donna di mezza età con un
cane se va tutto bene (sì) e se ha notato qualcosa di strano (no). Soddisfatto, riparte seguendo le indicazioni di un navigatore che
mostra la mappa delle tranquille vie della
zona. Palmer woods è diventato quasi impenetrabile nel 2013, quando il comune ha
eretto una serie di barriere antitraico intorno al quartiere. Alla nostra destra, spiega
Brown, c’è la residenza del vescovo, un castello in stile Tudor di trenta stanze. Fu costruito nel 1925 per una ricchissima famiglia
di imprenditori dell’industria automobilistica che in seguito vendettero la loro impresa alla General Motors. “Quasi nessuno
conosce questa parte di Detroit”, commenta Brown. In efetti questo quartiere con le
sue da torri fa pensare ai sobborghi di periferia a maggioranza bianchi più che al cuore
della città.
Brown è il fondatore della Threat Management, una compagnia di sicurezza privata che è stata ingaggiata dagli abitanti di
Palmer woods per sorvegliare il quartiere
46
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
ventiquattr’ore al giorno. Il comandante
conosce le due facce di Detroit meglio di
qualsiasi abitante della città. Dopo aver
prestato servizio nell’esercito come paracadutista, a metà degli anni novanta si è trasferito in un quartiere di Detroit soprannominato “il corridoio del crack”, nella zona
est della città. Lì ha organizzato un servizio
di sicurezza gratuito per i vicini e per alcuni
ediici della zona. Poteva contare solo su un
fucile, un cane e qualche trucchetto psicologico, tipo imbottire le tasche dei giubbotti (“le tasche rappresentano l’ignoto”). Poi
ha lavorato per un po’ in un night club, dove
ha imposto una ferrea politica di rispetto
delle donne. Dopo poche settimane le ragazze in tacchi a spillo facevano la ila fuori
dal locale.
Oggi gli uomini di Brown, con il loro
marcato aspetto paramilitare, sono i più ri-
Da sapere
Montagne di debiti
18 luglio 2013 La città di Detroit, che ha
accumulato 18,5 miliardi di dollari di debito, si
dichiara insolvente nei confronti dei creditori.
È la più grande bancarotta della storia delle
città statunitensi.
7 novembre 2014 Un tribunale fallimentare
approva il piano proposto dalle autorità
municipali per cancellare sette dei diciotto
miliardi di debito. Il piano prevede anche lo
stanziamento di 1,7 miliardi di dollari da
investire in servizi, e tagli del 4,5 per cento alle
pensioni di dodicimila dipendenti pubblici.
10 dicembre 2014 Detroit esce dal regime di
amministrazione controllata.
conoscibili tra i tanti dipendenti delle compagnie di sicurezza private disseminati nelle zone della città dove vivono le persone
che hanno i soldi per ottenere protezione.
Ma per quelli che vivono nel resto di questa
vastissima città il futuro resta incerto, sia
isicamente sia inanziariamente.
Un buon inizio
Negli anni quaranta il presidente Franklin
Delano Roosevelt proclamò Detroit –
all’epoca la quarta città più popolosa degli
Stati Uniti – il “grande arsenale della democrazia”, capace di sfornare bombardieri per
le potenze alleate durante la guerra e di
inondare il mercato di automobili in tempo
di pace. Poi le grandi aziende automobilistiche cominciarono a chiudere le fabbriche in
città per riaprire gli impianti nei sobborghi
bianchi. Nello stesso periodo gli imprenditori, i sindacati nazionali e l’Fbi si allearono
per soffocare le organizzazioni sindacali
fondate dagli operai radicali neri. La crisi
dei mutui scoppiata negli anni duemila, alimentata dalla discriminazione razziale alla
base dei prestiti ad alto rischio, ha costretto
centinaia di migliaia di abitanti a lasciare la
città. Il governatore ha commissariato il sistema scolastico pubblico e poi l’intera amministrazione cittadina, e nell’arsenale
della democrazia è stato di fatto sospeso il
processo democratico. Oggi, dopo settant’anni di crisi a bassa intensità, Detroit è
diventata un monito vivente, un’antiutopia
postindustriale fatta di palazzi disabitati e
fabbriche abbandonate.
Ma la realtà è più complessa. All’alba di
un nuovo inizio dopo l’odissea della banca-
Un quartiere popolare nell’east side di Detroit, nel 2013
rotta, Detroit è due città in una. La prima è
quella dei quartieri ricchi come Palmer
woods, collegati a un centro compatto che
sta rapidamente tornando a svilupparsi. La
seconda è composta da una sterminata distesa urbana di 360 chilometri quadrati,
abitata soprattutto da vecchi residenti che
combattono da decenni per sopravvivere in
un ambiente sempre più invivibile. Nella
prima Detroit i sistemi di sicurezza privata
sono difusi e la vita è relativamente sicura.
Nella seconda almeno 27mila famiglie sono
rimaste senz’acqua nel 2013: le autorità avevano deciso di tagliare le forniture agli
utenti in ritardo con i pagamenti. Dopo il
fallimento, molti abitanti temono che queste due Detroit – già così divise e disuguali
– si allontaneranno sempre di più.
Il 7 novembre del 2014 un giudice federale ha approvato il piano proposto dal municipio per far uscire la città dalla più grande
bancarotta della storia statunitense. La procedura di fallimento è solo l’ultima di una
serie di misure – tra cui la nomina di un
commissario straordinario per vigilare sulle
inanze della città – duramente contestate
dai cittadini e da alcuni economisti. Le au-
torità locali hanno espresso un cauto ottimismo sull’accordo raggiunto, che cancella
oltre sette miliardi di dollari di debiti e prevede tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici. Creditori e compagnie di assicurazione hanno accettato di rinunciare a una parte
dei soldi che devono avere dal comune.
Inoltre, il piano prevede lo stanziamento di
1,7 miliardi di dollari da investire in servizi
come la difesa antincendio e la ricostruzione del sistema d’illuminazione stradale.
Le autorità sostengono che la ristrutturazione del debito non è la soluzione di tutti
i problemi della città, ma è decisamente un
buon inizio. Non tutti la pensano allo stesso
modo. Secondo Peter Hammer, che insegna diritto alla Wayne state university di
Detroit, la bancarotta potrebbe aprire degli
scenari inquietanti. Hammer sostiene che
Detroit sta diventando il modello per la creazione di “una città di seconda classe”, dove lo stato garantisce solo i servizi basilari
alla maggioranza degli abitanti – “un po’ di
sicurezza”, “interventi antincendio” – mentre gli altri servizi fondamentali saranno
garantiti solo a chi ha i soldi per pagarseli.
Il fatto che Detroit sia composta per l’80
per cento da afroamericani rende lo scenario della città di seconda classe ancora più
inquietante. Secondo Hammer, il piano approvato somiglia in modo preoccupante al
rapporto dalla commissione Kerner del
1968, incaricata dal presidente Lyndon
Johnson di indagare sulle cause che avevano portato alle rivolte razziali in molte città
degli Stati Uniti. La commissione aveva
concluso che il paese si stava avviando verso una doppia società, una nera e l’altra
bianca, separate e disuguali. Quasi mezzo
secolo dopo, l’idea di un’immensa città a
maggioranza nera con un centro piccolo e
ricco e alcuni quartieri d’élite circondati da
prosperi sobborghi bianchi sembra realizzare le previsioni del 1968.
È un venerdì di metà ottobre del 2014:
domani due funzionari delle Nazioni Unite
cominceranno a indagare sui tagli alle forniture d’acqua e Marian Kramer sta mettendo a punto gli ultimi preparativi. Ci sono
ospiti venuti da altre città di cui occuparsi,
bambini da andare a prendere a scuola, dettagli da confermare per la riunione con gli
avvocati. Kramer, che ha i capelli grigi tagliati cortissimi e una rapida andatura a
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
47
Stati Uniti
scatti, è una delle leader della Michigan
welfare rights organization, un’associazio­
ne di persone a basso reddito. Insieme a
Maureen Taylor, si batte contro i tagli all’ac­
qua corrente dagli anni novanta, quando
Highland Park, una città nell’area metropo­
litana di Detroit, cominciò a interrompere
le forniture idriche. Il suo gruppo fa parte
della People’s water board coalition, una
rete di attivisti che nel 2014 ha invitato le
Nazioni Unite a visitare Detroit per capire
se le riduzioni alle forniture d’acqua costi­
tuissero una violazione dei diritti umani.
Il centro sicuro
Alla guida del suo furgone, Kramer mi rac­
conta la storia delle strade che attraversia­
mo. Per capire Detroit, mi spiega, bisogna
passare accanto ai campanili delle chiese,
alle griglierie che un tempo attiravano una
lunga ila di clienti, al capannello di persone
con le candele accese in mano all’angolo di
una strada senza lampioni. “Sono state uc­
cise delle persone qui”, mormora Kramer
osservando la piccola veglia. “L’altra notte
hanno sparato a una bambina di tre anni.
Hanno sparato anche alla madre e al padre.
Non capisco cosa sta succedendo. Ogni
mattina ci svegliamo e infuria la guerra”.
Con il progressivo fallimento dell’am­
ministrazione cittadina, la mancanza di
servizi ha reso praticamente invivibili alcu­
ne zone di Detroit. Le ingiustizie continua­
no ad accumularsi. I Child protective servi­
ces, i servizi sociali per l’infanzia, minaccia­
no di prendere in custodia i bambini che
vivono in case senza acqua corrente. Le ca­
se restano abbandonate, con i tetti sfondati,
le verande in rovina e i mattoni anneriti dal
fuoco. Nei quartieri senza servizi di sicurez­
za privati aumentano le morti violente e gli
abitanti possono contare solo su una forza
di polizia decimata, che nel 2013 aveva un
tempo di risposta medio alle chiamate di 58
minuti. Secondo Tangela Harris, che
nell’autunno del 2014 è rimasta senz’acqua
per undici giorni, l’aspetto più doloroso del
piano di rilancio è la privatizzazione dei ser­
vizi idrici, che un tempo erano tra i migliori
del mondo. “Eravamo orgogliosi della no­
stra azienda”, dice. “Era l’unica conquista
dei neri in città”.
Sono in molti a chiedersi il senso di tutto
questo. Qualche tempo fa, durante una riu­
nione in municipio con i funzionari delle
Nazioni Unite, un residente ha chiesto:
“Tutto quello che avete visto risponde alla
deinizione legale di genocidio?”.
Cheryl LaBash, un’ispettrice di cantiere
in pensione, raramente si avventura ino al
centro. L’ultima volta che lo ha fatto è stato
48
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
per partecipare a una manifestazione di
protesta. Siamo sedute nel Campus Mar­
tius, un parco in mezzo alla città che riserva
al verde più o meno lo stesso spazio destina­
to a un ristorante di lusso e a una pista di
ghiaccio. LaBash ha i capelli lunghi ino alle
spalle e indossa una maglietta con la scritta
“Giù le mani dalla mia pensione”. Ha porta­
to con sé il casco di sicurezza. Per ricordo,
dice. Lo ha indossato in uno degli ultimi in­
carichi, quando dirigeva un gruppo di ope­
rai edili che lavoravano sul terreno proprio
sotto di noi. Il progetto prevedeva di sposta­
re il corso di Woodward avenue,
una delle arterie principali della
città, per liberare lo spazio neces­
sario a costruire il Campus Mar­
tius. Secondo LaBash, la trasfor­
mazione di una grande arteria
pubblica in un giardino amministrato da
privati è il simbolo dei cambiamenti in cor­
so in città. Oggi il centro di Detroit è pieno
di cantieri ed è punteggiato da parcheggi
incredibilmente costosi. Anche se buona
parte della città è in stato di abbandono, il
centro si sta trasformando rapidamente. Il
motore di quasi tutti i cambiamenti è Dan
Gilbert, il milionario che ha fondato la
Quicken Loans, una delle più grandi azien­
de degli Stati Uniti nel campo dei prestiti
ipotecari. Nel 2010 Gilbert ha trasferito la
sede della società da Livonia, nel Michigan,
al centro di Detroit, portandosi dietro mi­
gliaia di dipendenti. Gilbert si occupa per­
sonalmente di garantire la sicurezza del suo
vasto impero. Ha organizzato un sistema
privato di vigilanza attivo ventiquattr’ore al
giorno e sette giorni alla settimana per sor­
vegliare i sessanta palazzi di sua proprietà.
Ha fatto anche installare centinaia di video­
camere a circuito chiuso. I suoi uomini la­
Da sapere
Abitanti in fuga
La popolazione di Detroit tra il 1950 e il 2010,
in milioni,
Fonte: United States census bureau
2,0
Totale della popolazione
1,5
1,0
0,5
Bianchi
Neri
0
1950
1960
1970
1980
1990
2000
2010
vorano giorno e notte nel centro di sorve­
glianza all’interno del Chase building (di
proprietà di Gilbert) per esaminare le ripre­
se delle videocamere. Hammer una volta
ha visitato il centro con i suoi studenti.
“Sembra di entrare al Pentagono”, dice.
Per gli abitanti del centro, la sicurezza e
la sorveglianza sono un fatto positivo, an­
che se un po’ inquietante. Patrick Klida, un
giovane avvocato di periferia che qualche
anno fa si è trasferito in centro, racconta che
l’estate scorsa ha ricevuto una telefonata
dalla squadra di Gilbert. Lo avvisavano che
dei ladri stavano cercando di ru­
bargli la macchina. “Le videoca­
mere avevano ripreso un uomo
che rompeva il inestrino con una
pietra”, racconta Klida. Nel giro
di pochi minuti gli uomini di Gil­
bert avevano controllato la targa della mac­
china scoprendo che era intestata alla ma­
dre, avevano trovato il numero di telefono,
l’avevano svegliata alle cinque del mattino
e poi avevano chiamato lui.
Per Cheryl LaBash tutta questa vigilan­
za non è solo un efetto collaterale della ri­
qualiicazione del centro. È una minaccia
alla capacità dei cittadini di esprimere il lo­
ro dissenso. A febbraio del 2014 alcune
guardie private hanno impedito a lei e ad
altri manifestanti di distribuire volantini e
raccogliere irme per una petizione all’in­
terno di Campus Martius. Secondo LaBash,
il rilancio di questa zona non rientra in uno
sforzo per far rinascere Detroit: è un pro­
cesso che punta a cancellare il passato della
città e la grande maggioranza della sua po­
polazione.
Collisioni
Anche se separate, le due Detroit sembrano
scontrarsi di continuo. La sera prima di Hal­
loween (che qui viene chiamata notte
dell’angelo o del diavolo), l’associazione di
quartiere dell’East english village, un’altra
delle zone ricche di Detroit, organizza una
cena e una ronda per pattugliare le strade:
da qualche tempo c’è chi festeggia la notte
del diavolo appiccando fuoco alle case ab­
bandonate. Anche se questo rituale si svol­
ge soprattutto nei quartieri che non posso­
no permettersi la sicurezza privata, gli abi­
tanti dell’East english village non vogliono
correre rischi. Si radunano a bere cioccolata
calda e mangiare patate dolci avvolte nel
bacon davanti alla casa di Bill Barlage, il
presidente dell’associazione. Poi, intorno
alle nove, arriva Mike Duggan, il sindaco
della città. “Joe Biden abita qui?”, chiede
Duggan provocando una risata generale. A
settembre del 2014 il vicepresidente degli
Anthony e A.J. nella loro casa dell’east side, a Detroit
Stati Uniti ha visitato la casa di Barlage durante un viaggio a Detroit. “Il sindaco ha
voluto mostrare a Biden che a Detroit esistono dei quartieri sicuri”, spiega Barlage.
Secondo lui il successo di questa comunità
è dovuto alla disponibilità dei residenti a
investire nella sicurezza privata, a creare
pattuglie di volontari e a tenersi attivi e impegnati. “Controlliamo le case e le proteggiamo”, dice.
Andrew Cox abita a pochi isolati di distanza dalla casa di Barlage ma ha un’idea
diversa dell’East english village. Si è trasferito qui con la idanzata due anni fa. Come
altre migliaia di persone che cercavano di
sopravvivere al disastro economico, ha occupato una casa disabitata, l’ha rimessa a
posto, ha pagato le bollette e ha anche versato parte del suo reddito mensile in un
conto bancario amministrato da un gruppo
della comunità per pagare collettivamente
le tasse di proprietà e altre spese. Secondo
Cox, che ha circa trent’anni e porta un berretto blu, l’East english village non è un
quartiere particolarmente accogliente.
All’inizio del 2014, qualcuno ha fatto irruzione in casa sua e ha distrutto gran parte
della cucina, scardinando le porte e buttando giù mezza parete. Cox sospetta che il
gruppo di vigilanza della comunità non abbia protetto la sua casa perché lui e la sua
compagna non sono i tipici abitanti del
quartiere.
Subito dopo l’irruzione ha ricevuto un
avviso di sfratto che non contesterà, dal
momento che lo stato ha recentemente approvato una legge molto più severa contro
le occupazioni abusive. “Non voglio andare
in galera solo per avere un tetto sopra la testa”, commenta. “Se ci tengono tanto a questa casa possono prendersela”. Da Barlage,
intanto, il sindaco stringe mani e si prepara
ad andarsene. “Bene, sembra proprio che
questo quartiere sia tranquillo e sicuro”, dice Duggan provocando altre risate mentre
lui e i suoi uomini percorrono il vialetto
d’ingresso.
Il weekend di lavoro di Marian Kramer è
quasi terminato. La riunione in municipio
con i funzionari delle Nazioni Unite è inita.
Decine di persone hanno testimoniato spiegando cosa signiica vivere senz’acqua corrente. Alcune sono andate via, altre sono
rimaste per il bufet: pollo, riso e fagioli, in-
salata, verdure al vapore e torta farcita. Il
comandante Brown e sua moglie, anche lei
agente di sicurezza per la Threat Management, non hanno mai perso d’occhio i due
funzionari delle Nazioni Unite, accompagnandoli perino in bagno. Finita la cena, le
note di My eyes don’t cry di Stevie Wonder
riempiono la sala, che si trasforma in una
pista da ballo. Tutti i presenti prendono parte alle danze: Maureen Taylor e i funzionari
delle Nazioni Unite, persone venute da fuori e abitanti del posto, un’insegnante di una
scuola pubblica, un rappresentante del consiglio scolastico e un uomo che recentemente ha parcheggiato la sua sedia a rotelle
in mezzo alla strada per impedire ai camion
di andare a chiudere altri rubinetti.
Una sensazione di gioia e sollievo, mista
al gradevole profumo del pollo, fa vibrare la
folla. Voltandosi sulla sedia e osservando
un gruppo di persone che chiamano i passi
e si muovono all’unisono, una donna non
può fare a meno di sorridere. “È per questo
che non riescono a ucciderci”, dice. È come
se, per un attimo, non ci fossero due Detroit, separate e disuguali, ma una sola città
caparbiamente decisa a sopravvivere. u gc
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
49
Scienza
Veleni
quotidiani
Emma Davies e Katharine Sanderson,
New Scientist, Regno Unito
S
i dice che non c’è niente di più
sano e naturale che mangiare
una mela. Ma gli scienzati la
pensano diversamente: alcuni test hanno dimostrato che
oggi quasi tutto, compresa la
frutta fresca, contiene sostanze chimiche.
Alcune sono utili, altre no. Torniamo alla
mela: da uno studio del ministero dell’agricoltura statunitense è risultato che quasi
tutte le mele analizzate contenevano residui di insetticidi, fungicidi e diserbanti. E
lo stesso vale per qualsiasi alimento. Non
sono solo le cose che mangiamo a esporci
agli agenti inquinanti: ne raccogliamo piccole quantità dai cosmetici e dalla carta,
dai cuscini e dai tessuti, dall’acqua e
dall’aria. Nella maggior parte dei casi le
dosi sono troppo basse per essere nocive.
Altre volte le sostanze non hanno efetti
rilevabili sul corpo umano. Ma ce ne sono
alcune di cui non sappiamo se sono innocue o no. Il dibattito tra gli esperti è ancora
aperto.
Antibatterici
Volete l’alito fresco, le ascelle profumate e
i piedi senza funghi? Il triclosano garantisce un’azione antibatterica ad ampio raggio e per questo viene aggiunto nei saponi,
nei dentifrici e nei cosmetici. Nel 1998, però, è stata pubblicata una ricerca secondo
la quale il triclosano può contribuire alla
resistenza agli antibiotici, mentre uno stu-
50
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
dio sui ratti del 2007 ha sollevato il dubbio
che possa alterare la regolazione ormonale: nell’esperimento del 2007 i ricercatori
hanno notato che se si somministrano ai
ratti forti dosi di triclosano, la sostanza interferisce con il funzionamento del sistema endocrino, e in particolare con la tiroide. Negli Stati Uniti l’agenzia per la protezione ambientale (Epa) sta studiando da
dieci anni i possibili efetti del triclosano
sulla salute. Dalle analisi risulta che per le
forme di vita acquatiche, in particolare per
le alghe, il triclosano può essere dannoso,
anche se il rischio è basso. Sembra inoltre
che non sia per niente eicace come disinfettante per le mani, tanto che molte aziende hanno smesso di aggiungerlo ai saponi.
Nel 2014 il Minnesota è stato il primo stato
americano a limitarne legalmente l’uso.
In Europa si continua a indagare sulla
questione della resistenza agli antibiotici.
Il comitato scientiico sulla sicurezza dei
consumatori della Commissione europea
sostiene che il triclosano non è pericoloso,
ma ammette che non se ne conoscono ancora tutti gli efetti.
Verdetto: non esistono prove dirette del
fatto che il triclosano sia nocivo per gli esseri umani, ma la sostanza è oggetto di studio.
Antimacchia
Le pentole antiaderenti, gli indumenti impermeabili, i tappeti antimacchia e il ilo
interdentale funzionano tutti grazie a delle
DAN SAELINGEr (TrUNk/CoNTrASTo)
Nei divani, nei deodoranti, nel pane tostato e
perino nella frutta: le sostanze chimiche si
trovano ormai ovunque. New Scientist spiega
quanto sono pericolose e come evitarle
sostanze chimiche chiamate perluorurati
(pfc), che sono state prodotte per la prima
volta a livello industriale negli anni quaranta. I perluorurati sono fantastici repellenti all’acqua e ai grassi, ma alcuni studi
hanno dimostrato che ne portiamo tracce
nel nostro corpo.
Due dei pfc che si trovano più spesso negli esseri umani e nell’ambiente sono il perluorottano sulfonato (pfos) e l’acido perluoroottanoico (pfoa). La loro lunga catena
molecolare e il loro forte legame carbonioluoro sono diicili da spezzare, quindi rimangono nell’ambiente per anni. Gli studi
sugli animali fanno pensare che i pfc a catena lunga possano alterare i livelli ormonali
e provocare il cancro. Gli studi sugli esseri
umani suggeriscono che queste sostanze
potrebbero, tra l’altro, provocare disturbi
alla tiroide e aumentare il livello di colesterolo. Nel 2009 i pfos sono stati aggiunti alla
lista delle sostanze chimiche vietate in base
alla convenzione di Stoccolma sugli inquinanti, un trattato internazionale per la difesa dell’ambiente. Otto dei maggiori produttori di pfc hanno sottoscritto il programma
dell’Epa statunitense, impegnandosi a eliminare il pfoa entro il 2015. I produttori
hanno anche deciso di passare a pfc a catena corta, come il perluorobutano sulfonato
(pbs), che dovrebbero degradarsi più facilmente. Nel nostro corpo la catena di pbs si
spezza in pochi giorni, quindi gli esperti
pensavano che la sostanza non si accumulasse. Ma da uno studio condotto in Svezia
nel 2012 è emerso che la concentrazione di
pbs nel nostro sangue sta aumentando notevolmente: raddoppia ogni sei anni, anche
se è ancora relativamente bassa.
Ci sono altri misteri da risolvere. Anche
se i livelli di pfoa e di pfos nel sangue stanno
diminuendo, le concentrazioni di pfoa non
sono scese quanto ci si aspettava. Secondo
Scott Mabury, professore di chimica
dell’università di Toronto, questo potrebbe
derivare dal fatto che nel nostro corpo altri
luorurati si trasformano in pfoa. Per esempio gli esteri di poliluoro alchile fosfato,
usati nelle carte oleate. Queste sostanze
sono state trovate nel sangue umano e gli
studi sugli animali fanno pensare che possano passare dalle confezioni agli alimenti.
A detta di Mabury gli esami del sangue rivelano anche la presenza di composti organici
del luoro, la metà dei quali non è stata identiicata.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
51
Scienza
Verdetto: è una famiglia di sostanze
chimiche molto comuni e persistenti che
inluiscono sulla salute umana.
Ignifughi
Non è diicile fabbricare mobili e tessuti
ignifughi. Tuttavia molti dei prodotti chimici usati nei processi industriali per garantire la resistenza al fuoco mettono in
serio pericolo la nostra salute. Queste sostanze, i polibromodifenileteri (pbde), esistono in molte forme, dai penta ai decabromodifenileteri. Fino a poco tempo fa erano
presenti in vari prodotti, dai dispositivi
elettronici ai materassi. Oggi sia nell’Unione europea sia negli Stati Uniti molti pbde
sono stati vietati o ritirati dal mercato per il
timore che riducano la fertilità e che interferiscano con lo sviluppo nei bambini. Ma
dagli anni settanta la concentrazione dei
pbde nella popolazione del Nordamerica è
preoccupanti”, afferma Birnbaum. Tra
questi ritardanti di fiamma c’è il tris
(tdcpp), il cui uso nei pigiami per bambini
è stato vietato negli anni settanta dopo che
si è scoperto che provocava il cancro negli
animali. Il tris, però, è ancora usato nei
mobili, spesso come sostituto del pentabde.
Verdetto: gli ignifughi nocivi e quindi
vietati dalla legge sono ancora molto difusi. Su quelli nuovi sono necessari ulteriori
studi.
Cosmetici
Nel 2004 giornalisti e consumatori hanno
cominciato a discutere dei conservanti
chimici chiamati parabeni dopo che uno
studio ne aveva rilevato la presenza in venti campioni di tessuto tumorale del seno e
l’aveva collegata all’uso di cosmetici come
i deodoranti.
Non è diicile fabbricare mobili e
tessuti ignifughi. Però molti dei
prodotti chimici usati nei processi
industriali sono pericolosi
raddoppiata ogni cinque anni, e se ne trova
una percentuale relativamente alta nella
polvere domestica.
Come facciano a uscire dai mobili “è
ancora un mistero”, spiega Heather Stapleton, un’esperta di ritardanti di iamma della Duke university di Durham, nel North
Carolina. Forse penetrano nelle sacche
d’aria dei cuscini, dice, e si diffondono
nell’ambiente quando qualcuno si siede.
Anche la gommapiuma si può sbriciolare
generando polvere, aggiunge Stapleton.
Linda Birnbaum, direttrice del National
institute of environmental sciences, è preoccupata per un’altra sostanza, il tetrabromobisfenolo A (tbbpa), che è stato “largamente ignorato” anche se viene usato in
enormi quantità in tutto il mondo.
Le ricerche del programma nazionale
di tossicologia statunitense hanno dimostrato che il tbbpa provoca il cancro nei roditori. È provato che causa anche danni a
livello endocrino, aferma Birnbaum. La
studiosa ha infatti scoperto che il tbbpa
può inibire un enzima che metabolizza
l’estrogeno, facendo aumentare il livello di
questo ormone nel corpo.
Il tbbpa è spesso usato come sostituto
della deca-bde (che è stata vietata anni fa)
soprattutto in elettronica, ma di queste
nuove sostanze si sa ancora troppo poco.
“Le scarse informazioni che abbiamo sono
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Questo ha dato il via a un lungo dibattito sulla sicurezza dei parabeni. Ma il collegamento con il cancro al seno non è stato
confermato. Agenzie come la Food and
drug administration (Fda) statunitense e il
comitato scientiico per la sicurezza dei
consumatori dell’Unione europea sostengono che, anche se potrebbero interferire
con il sistema endocrino, le piccole dosi di
parabeni contenute nei cosmetici non sono pericolose. Inoltre la maggior parte dei
deodoranti per ascelle non li contiene.
Nel 2012 un altro studio sul rapporto tra
parabeni e cancro al seno condotto dagli
stessi ricercatori ha suscitato il seguente
commento dell’organizzazione beneica
britannica Breakthrough breast cancer:
“Questa ricerca ha gravi carenze e non fornisce prove a sostegno del fatto che le donne dovrebbero evitare i parabeni”. Alan
Boobis, direttore della Public health England toxicology unit dell’Imperial college
di Londra, concorda: “I parabeni non sono
molto pericolosi”. Negli animali esposti a
“livelli molto alti” di queste sostanze non
sono stati riscontrati efetti negativi. “I risultati sono stati confermati più volte”,
aggiunge Boobis.
Anche se le autorità sanitarie non li
hanno vietati, le case produttrici di cosmetici hanno cominciato a eliminare i parabeni e altre sostanze chimiche dai loro pro-
dotti. “È solo per la pressione pubblica”,
spiega Boobis.
Verdetto: non esistono prove convincenti della pericolosità dei parabeni per la
salute umana.
Materie plastiche
Gli ftalati sono spesso aggiunti alle materie
plastiche per aumentarne la flessibilità,
ma sono presenti anche in molti altri oggetti, come il rivestimento delle pillole e gli
inchiostri da stampa. Di conseguenza un
basso livello di queste sostanze è stato trovato in quasi tutti gli individui testati dai
Centri statunitensi per la prevenzione e il
controllo delle malattie (Cdc).
Dovremmo preoccuparci? Si ritiene che
possano danneggiare il sistema endocrino,
ma in basse concentrazioni i loro efetti
non sono ancora chiari. A dosi elevate potrebbero abbassare il numero degli spermatozoi e provocare deformazioni nei neonati. Ma questo collegamento è stato riscontrato anche in persone esposte a livelli normali di ftalati.
Verdetto: gli efetti che gli ftalati esercitano sulla salute sono ancora incerti, ma
data la loro difusione è diicile evitarli.
Metalli
Anche se è stato eliminato dai gas di scarico delle auto, il piombo entra ancora nel
nostro corpo. “Il problema del piombo sta
riemergendo”, aferma Alan Boobis.
Dagli anni settanta l’esposizione al
piombo è molto diminuita, soprattutto nei
paesi dell’Unione europea, che l’hanno eliminato dalla benzina e ne hanno regolamentato la presenza nelle tubature e nelle
vernici. Ma il piombo rilasciato nel corso
degli anni è penetrato nel terreno e quindi
possiamo trovarlo nei prodotti agricoli, soprattutto nei cereali e nelle verdure, e
nell’acqua. È praticamente impossibile
evitarlo.
Nel 2010 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha abbassato il livello accettabile di piombo nel sangue. “In
realtà non esiste un livello di piombo nel
sangue che non sia pericoloso”, spiega Boobis. “Anche a basse concentrazioni sembra
associarsi a un minor quoziente intellettivo”. I neonati e i bambini sono i soggetti più
a rischio.
Anche il mercurio preoccupa. Diversamente dal piombo, si accumula nella catena
alimentare e inisce nei grandi predatori
marini di cui ci nutriamo. Troppo mercurio
può provocare danni allo sviluppo di neonati e bambini. Un recente studio ha dimostrato che nelle acque di supericie il livello
GETTy IMAGES (2)
di mercurio è triplicato, soprattutto intorno
all’Islanda e all’Antartide. Ed è solo un
quarto del totale rilasciato dalle industrie: il
resto, sostengono gli studiosi, è probabilmente accumulato nei sedimenti oceanici.
Il mercurio si trova anche nell’amalgama delle otturazioni dentarie, “ma la quantità che ne esce è così bassa che non ha quasi efetto”, precisa Boobis.
Verdetto: colpevoli. L’assorbimento di
mercurio può essere ridotto evitando di
mangiare i pesci predatori.
Pesticidi
Molti pesticidi sono stati progettati proprio
per avvelenare i sistemi nervosi, ma secondo il tossicologo Rudy Richardson della
School of public health dell’università del
Michigan, non dovremmo preoccuparci
troppo: queste sostanze tossiche non vengono spruzzate indiscriminatamente su
quello che mangiamo. “Probabilmente sono i composti chimici più regolamentati
del mondo”, osserva Richardson. Eppure
non tutti concordano sui rischi: l’atrazina,
per esempio, è un diserbante vietato
nell’Unione europea, ma molto usato negli
Stati Uniti.
Tracce di pesticidi sono ormai difuse
anche nell’ambiente. I Cdc hanno dimo-
strato che nell’urina della maggior parte
degli statunitensi c’è una minima concentrazione di organofosfati, e dagli studi del
dipartimento dell’agricoltura è risultato che
molti tipi di frutta e verdura contengono
piccoli residui di pesticidi. Anche se questi
residui sono inferiori ai livelli considerati
pericolosi, l’uso dei pesticidi è in aumento.
Questo preoccupa la studiosa Laura Vandenberg: “I pesticidi sono studiati per essere biologicamente attivi”.
Alcuni studi hanno collegato l’esposizione agli organofosfati alle malattie cardiovascolari e, in gravidanza, ai ritardi nello
sviluppo e all’autismo dei bambini. Da una
rassegna di studi epidemiologici pubblicata
sulla rivista The Lancet Neurobiology è
emerso che un organofosfato molto comune come il clorpirifos potrebbe danneggiare
lo sviluppo del cervello. Secondo Linda
Birnbaum, è dimostrato che l’esposizione ai
pesticidi aumenta il rischio di diabete e
obesità.
Nel 2012 l’Unione europea ha preso in
esame mille pesticidi e ha deciso di ritirarne
dal mercato circa settecento tra i più vecchi.
Invece l’Epa ha in programma di accelerare
la ricerca di alternative più sicure.
Verdetto: i pesticidi possono essere dannosi ma sono molto controllati.
Alimenti bruciati
Sembra che anche il cafè e il pane tostato
che mangiamo a colazione possano farci
male. Nel 2002 alcuni ricercatori svedesi
hanno scoperto che l’acrilammide, una sostanza chimica che provoca il cancro nei
roditori, è presente in quantità sorprendentemente alte in alcuni cibi cucinati.
L’acrilammide si forma quando alimenti a base vegetale ricchi di carboidrati vengono fritti o arrostiti ad alte temperature.
La sua comparsa è parte di quel processo di
imbrunimento che coinvolge gli zuccheri e
un amminoacido chiamato asparagina,
che rende più attraente e profumato il cibo.
Essendo altamente idrosolubile, l’acrilammide è assorbito dall’intestino e distribuito
ai tessuti. Gli studi condotti sugli animali
fanno pensare che possa provocare il cancro, forse formando una sostanza chiamata glicidammide che è ampiamente distribuita nei tessuti.
Secondo il gruppo di esperti dell’Efsa
sui contaminanti nella catena alimentare,
alimenti come le patate fritte, i cereali per
la colazione, i biscotti e il pane contengono
tutti acrilammide. Nella sua bozza di rapporto pubblicata nel luglio del 2014, il
gruppo aferma che il consumo di acrilammide “può aumentare il rischio di cancro”.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
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Scienza
Gli alimenti più pericolosi sono il cafè e le
patate fritte o arrosto.
Alcune ricerche sui roditori hanno anche collegato questa sostanza ad alcuni
efetti sul sistema nervoso e su quello riproduttivo. Da un recente studio condotto
dall’istituto per la salute pubblica norvegese in collaborazione con l’università di
Stoccolma è emerso che le donne esposte
ad alti livelli di acrilammide durante la gravidanza mettevano al mondo bambini più
piccoli. Ma l’Efsa ha afermato chiaramente che “nessuno studio ha dimostrato che
l’acrilammide è cancerogeno”.
Questo non ha impedito ad alcuni consumatori negli Stati Uniti di fare causa alle
aziende alimentari perché non segnalano i
rischi collegati al consumo di acrilammide.
Il risultato è stato che in California la presenza di questa sostanza deve essere segnalata sulle etichette dei prodotti e che
alcune ditte hanno accettato di abbassarne
i livelli nei loro alimenti.
Purtroppo, se ci piacciono i cibi gustosi
e ricchi di amido, è quasi impossibile evitare l’acrilammide. Ma esistono sistemi per
limitarne il consumo. Il pane tostato ino a
doratura è meno nocivo di quello abbrustolito, mentre un espresso contiene meno
acrilammide di un cafè lungo, la cui preparazione richiede il doppio del tempo. Per
il momento l’Efsa consiglia di evitare di
cuocere troppo i cibi.
Verdetto: anche se suscita molte preoccupazioni, non è confermato che l’acrilammide sia cancerogeno.
Imballaggi
La patina degli scontrini, l’interno delle
lattine e i policarbonati contengono un
estrogeno sintetico di cui si discute da anni: il bisfenolo A (bpa), un composto che
serve a plastiicare e che nei mammiferi
potrebbe interferire con il sistema ormonale.
Efettuando dei test i Cdc hanno trovato il bpa in più del 90 per cento degli statunitensi. Il programma nazionale di tossicologia statunitense ha espresso preoccupazioni per i suoi effetti sul cervello e sul
comportamento dei bambini piccoli. Nel
2012 la Fda ne ha vietato l’uso nei biberon.
In Europa un divieto simile è entrato in
vigore nel 2011 e la commissione per la valutazione dei rischi dell’agenzia europea
delle sostanze chimiche (Echa), che fa da
consulente per gli enti regolatori dell’Unione, ha annunciato che il bpa è un “possibile
agente tossico per il sistema riproduttivo
umano”. Ma, sebbene gli efetti sugli animali siano stati confermati, è più diicile
54
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
dimostrare come agisce sugli esseri umani, anche perché il nostro corpo lo converte
rapidamente in una forma che non mostra
alcuna attività simile a quella degli estrogeni.
Per ridurre l’esposizione, spiega Laura
Vandenberg, dovremmo rinunciare agli
alimenti in scatola, evitare gli scontrini in
carta termica e non riscaldare il cibo nei
contenitori di plastica.
Il bpa è solo una delle sostanze chimiche a cui siamo esposti che possono danneggiare il sistema endocrino. Nel 2013
ottantacinque scienziati europei
hanno irmato la dichiarazione
di Berlaymont sugli interferenti
endocrini, in cui chiedevano una
regolamentazione più rigida. Il
documento mette in evidenza
l’aumento dei casi di cancro e di problemi
a livello cerebrale, tiroideo e dell’apparato
riproduttivo, lasciando intendere che l’aumento di malattie endocrine non può essere spiegato solo con la genetica o gli stili di
vita.
Verdetto: probabilmente il bpa è solo
uno dei molti interferenti endocrini che
danneggiano la salute umana.
Immersi ino al collo
Cercare di capire i rischi legati ad additivi
e agenti inquinanti sembra una missione
impossibile. La maggior parte delle sostanze chimiche è testata solo sugli animali e ad alte dosi, quindi è diicile stabilire
gli efetti sulla salute umana. Inoltre le industrie producono e usano sostanze chimiche in forme così diverse che, se non si
cambia il metodo per valutarle, ci sono poche possibilità di quantiicare i rischi, osserva Julian Cribb, un giornalista scientiico australiano. Secondo Cribb non sappia-
Da sapere
In numeri
u Nel 2006 in Nordamerica sono state
rilasciate nell’ambiente 5,7 milioni di
tonnellate di agenti inquinanti. Di queste, 1,8
milioni sono formate da agenti persistenti,
bioaccumulanti e tossici. Si sospetta o si sa che
970mila tonnellate siano cancerogene. Unep
u Alcuni test hanno dimostrato che su 77mila
campioni di 500 tipi di alimenti 12mila
contengono dosi di pesticidi superiori al limite
consentito in Europa. Efsa
u Ogni giorno nel iume Po scorrono 20 chili
di prodotti farmaceutici. Istituto di ricerche
farmacologiche Mario Negri
u Nel 2004 4,9 milioni di persone sono morte
in tutto il mondo per l’esposizione ad alcuni
agenti chimici. Oms
mo neanche il numero esatto di sostanze
chimiche in circolazione sul mercato.
L’Unione europea ne ha registrate circa
144mila.
I problemi non iniscono qui. Nel 2050
le dimensioni dell’industria chimica saranno triplicate e la fabbricazione dei prodotti si sarà spostata dal Nordamerica e
dall’Europa all’Asia e al Sudamerica, dove
le norme di sicurezza sono meno rigide.
In realtà è stato fatto qualche passo verso la decontaminazione a lungo termine
dell’ambiente. Molti paesi non usano più
l’amianto o il piombo tetraetile, e
la convenzione di Stoccolma
elenca 25 sostanze dannose che
sono già state vietate o tolte dalla
circolazione, tra cui il ddt, la
diossina e i pcb. Ma questo elenco equivale a “pochi pixel nella gigantografia della tossicità globale”, avverte
Cribb. “Ai ritmi attuali ci vorranno cinquantamila anni per valutare le sostanze
che restano”.
Per fortuna, gli scienziati hanno cominciato ad accelerare i tempi. Negli Stati Uniti, per esempio, il programma Toxicology
in the 21st century (Tox21) mira a rendere i
test più rapidi ed economici. Lo scopo del
Tox21 è esaminare le conseguenze sulla
salute di diecimila sostanze chimiche. I ricercatori useranno il metodo dello screening ad alta velocità, reso possibile dai robot e da computer più potenti, per condurre un gran numero di test chimici. I computer potranno poi cercare ricorrenze in grado di rivelare come le sostanze turbano
certi percorsi cellulari e valutarne gli efetti sulla salute. “Così potremo prendere decisioni senza fare troppi test sugli animali”,
dice Linda Birnbaum.
Questa tecnica ha un altro vantaggio.
Potrebbe aiutarci a scoprire se piccole
quantità di sostanze chimiche tossiche interagiscono tra loro per farci ammalare, il
cosiddetto “efetto cocktail”. Il problema
preoccupa gli esperti da anni. I test convenzionali esaminano una sostanza alla
volta, ma nel mondo reale siamo esposti a
una miscela di sostanze chimiche in dosi
che di solito non sono ritenute dannose,
come nel caso dei gas di scarico delle auto
e dei cosmetici.
Ma è dimostrato che, messe insieme,
anche piccole quantità di interferenti endocrini possono essere dannose. La Commissione europea sta cercando di individuare quali combinazioni sono più pericolose. Questo potrebbe aprire la strada a un
approccio più efficace per affrontare le
complessità della sicurezza chimica. u bt
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Portfolio
Gli oggetti
della
memoria
Dando la parola agli oggetti e trasformandoli in
simboli Kim Hak racconta l’orrore del regime dei
khmer rossi, scrive Christian Caujolle
l 17 aprile di quarant’anni fa i
khmer rossi entrarono a Phnom
Penh. In tre giorni evacuarono la
capitale e ci rimasero ino al 1979.
Il loro regime del terrore, conside­
rato uno dei più mostruosi del no­
vecento, provocò la scomparsa di quasi un
terzo della popolazione della Cambogia,
lasciando tracce profonde nei sopravvissu­
ti. Oggi, dopo aver assistito ai processi agli
esponenti più importanti del regime di Pol
Pot, i cambogiani si preparano a questo tri­
ste anniversario.
Per capire come funzionava il sistema
elaborato dai maoisti che, dopo aver studia­
to alla Sorbona a Parigi, si erano convinti
della necessità di afermare il comunismo
I
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
a tappe forzate (per evitare gli “errori” del­
le rivoluzioni precedenti) bisogna ricordare
che era fondato su divieti assoluti.
La francese Laurence Picq, una dei po­
chi occidentali ad aver vissuto a Phnom
Penh in quegli anni (era la moglie di un di­
rigente khmer) lo racconta bene nel suo li­
bro Le piège khmer rouge (La trappola dei
khmer rossi): “La lingua usata dai khmer
rossi si basava sulla seconda grande deci­
sione, cioè sull’abolizione della proprietà
privata. Gli aggettivi possessivi furono sop­
pressi. Non si poteva dire ‘le mie cose’ per­
ché nessuno aveva più nulla di personale. Si
poteva possedere solo un vestito e un cam­
bio, una piccola coperta e una zanzariera,
che in queste regioni non è certo un lusso.
Il tutto poteva entrare in un sacco chiamato
‘fagotto’ (una specie di piccolo zaino). Si
lavorava con la zappa di Angkar (il nome del
partito, soprannominato ‘ananas’ perché si
diceva avesse occhi ovunque). Nei piatti di
Angkar si mangiava solamente la zuppa di
Angkar alla mensa di Angkar (gli utensili di
cucina erano stati sequestrati ed era vietato
cucinare per sé). Si beveva l’acqua che Ang­
kar aveva fatto bollire e che, se poteva, met­
teva a disposizione. Oltre ai beni materiali,
era stato abolito anche il concetto di indivi­
duo e il pronome ‘io’ era stato sostituito
dalla formula generale ‘noi­io’”.
Il fotografo Kim Hak appartiene alla ge­
nerazione nata subito dopo il genocidio. è
noto per i suoi lavori legati alla memoria e
per il suo impegno contro la distruzione dei
palazzi più antichi, risalenti all’epoca coloniale o agli anni settanta, spesso sacriicati
in nome della speculazione edilizia.
Il suo progetto più recente, Alive, è un
inventario, molto curato dal punto di vista
delle luci, di oggetti che all’epoca del regime di Pol Pot erano stati vietati, erano introvabili o erano stati nascosti. Hak ha intervistato le persone che li hanno disseppelliti o conservati, e attraverso le loro storie
dà la parola agli oggetti rendendoli simboli.
Una collezione di oggetti della memoria
– qualcosa di molto diverso dalle semplici
nature morte – che il fotografo vuole regalare alle generazioni future. u adr
Forbici e capelli
Questa fotograia mi è stata ispirata dalla
signora Seung Touch, che ha 79 anni e
vive a Battambang. Prima della guerra
lavorava come sarta, e queste sono le sue
forbici.
Sotto il regime dei khmer rossi le donne erano costrette a portare i capelli corti.
Non ci si poteva sottrarre alla regola.
Seung Touch usò queste forbici per tagliare i capelli a tutte le donne della sua
famiglia.
Un giorno, mentre aspettavo il nipote
(un mio amico) a casa sua, l’ho vista che si
tagliava i capelli e le ho chiesto se potevo
fotografare le sue ciocche
bianche.
Krama e ilo spinato
Questo krama è di mio padre Kim Hap, che
ha 68 anni.
Il krama è un capo di abbigliamento
tradizionale cambogiano ed è considerato
uno dei simboli del paese.
Prima di cominciare questo progetto
fotograico ho visitato alcune volte il museo Tuol Sleng a Phnom Penh, dedicato al
genocidio cambogiano. Negli anni settanta l’ediicio, che all’epoca era una prigione,
era recintato con il ilo spinato. Per me il ilo ha assunto il signiicato di coercizione e
tristezza.
Questa foto riassume l’intero progetto
e rappresenta la guerra, il dolore e la soferenza.
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57
Portfolio
Fotograia e bustina di plastica
L’uomo ritratto in questa foto si chiama
Chhoa Thiem, era un amico di mio padre
negli anni sessanta.
Prima della guerra, durante l’età d’oro
della Cambogia, studiavano e uscivano
insieme a Phnom Penh.
A Chhoa Thiem piaceva scattare foto
agli amici durante i picnic o le gite fuori
città. Mio padre ha conservato tutte le fotograie in bianco e nero che lui gli aveva
regalato per ricordo.
Nel 1964 Chhoa Thiem è stato mandato dalla famiglia a studiare in Francia. Da
allora mio padre non ha più avuto sue notizie. Ancora oggi non sa se il suo vecchio
amico sia ancora vivo.
Durante il regime i miei genitori e molti altri si sono sbarazzati di foto e carte
d’identità per nascondere il loro passato.
Se solo i khmer rossi avessero scoperto
chi erano, soprattutto se si trattava di persone istruite, ex funzionari di alto grado,
uiciali dell’esercito o anche semplici insegnanti o soldati, sarebbero stati uccisi
su due piedi. Chi conservava le foto per ricordare momenti passati e persone care
correva un rischio enorme.
Mentre lavoravo al progetto ho scoperto quanto fosse forte la determinazione di
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alcuni a conservare gli oggetti a cui erano
afezionati. Credevo che i miei nascondessero alcune foto sotto i vestiti, poi ho
scoperto che avevano avvolto tutte le loro
foto con cura nella plastica e le avevano
sepolte nel terreno accanto alla casa in cui
vivevano.
Sandalo e impronta con spina
Questo è di mio padre, Kim Hap. Dopo la
guerra ha conservato i sandali per
ricordare le tenebre di quel periodo. Chi è
sopravvissuto al regime li riconosce
subito. Come mi ha detto lui: “Non tutti li
avevano. I sandali venivano distribuiti ai
soldati khmer rossi e a chi lavorava per
loro. La gente comune doveva camminare
scalza perino sulle spine”.
Cintura d’argento e seta (stile di Prek
Changkran)
Questo è uno dei cimeli di famiglia che
apparteneva a mia madre Mo Rean, di 63
anni. Il mio bisnonno l’ha regalata a mio
nonno, che in seguito l’ha donata a mia
madre. Ora l’ha ereditata la mia sorella
maggiore Kim Sreyroth, nata nel 1972.
Questa cintura d’argento, che risale al
diciannovesimo secolo, se non prima, viene quindi tramandata da quattro generazioni. Mia madre ha cominciato a indossarla quando aveva quattordici anni. Dopo la ine del regime l’ha portata spesso
con questa gonna di seta con motivi tradizionali comprata a Phnom Penh nel 1983.
Bollitore e pollo
Questo bollitore appartiene alla mia
famiglia, che vive a Battambang. Lo
possediamo in dal 1970 e lo usiamo
ancora tutti i giorni per bollire l’acqua.
“Durante il regime di Pol Pot davamo da
mangiare ai polli, ma non potevamo
toccarli”, mi ha detto mia madre Mor
Rean. “A volte ne rubavamo uno di notte e
lo cucinavamo per sopravvivere. È un
ricordo dolceamaro, ma è per questo che
conservo il bollitore e lo uso ancora:
custodisce molti ricordi”.
Una volta, mio padre si ammalò e lei
rubò un pollo, correndo un grosso rischio:
lui era debolissimo e lei voleva preparargli
un pasto sostanzioso. Però mio padre ebbe così tanta paura di essere ucciso che
non osò mangiare il pollo lesso cucinato
da mia madre.
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Portfolio
Taccuini e dente di morto
Questi quaderni sono di una donna di
nome Gnet Yorn, morta nel 2004 all’età di
93 anni.
Durante il regime dei khmer rossi i libri erano vietati. Se qualcuno era sorpreso
a leggere da un soldato o una spia, veniva
dichiarato istruito e giustiziato subito.
Anche la mia famiglia ha rischiato la
morte. Mio padre aveva conservato i suoi
libri d’inglese e francese. Quando una
spia l’ha scoperto, i miei sapevano cosa
sarebbe successo. Quella stessa notte fuggirono con le mie sorelle Kim Sreyroth e
Kim Tharan e con mio fratello Kim Chanthara , nascondendosi in un altro villaggio, dove riuscirono a mantenere segreto
il loro passato.
Gnet Yorn corse un rischio enorme
conservando tre taccuini in cui aveva trascritto il dharma, l’insieme degli insegnamenti del Buddha. Spesso la notte si nascondeva per leggerli. Ha sempre creduto
che in quel periodo lei e la sua famiglia
fossero sotto la protezione divina.
Ciotola, cucchiaio e riso con spinaci
d’acqua sminuzzati
Questa ciotola con cucchiaio appartiene
alla famiglia di Sot Sineun, che vive nella
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provincia di Battambang. Sineun la usa da
prima della guerra e continua a usarla
ogni giorno. Il suo ricordo di quegli anni è
lo stesso di quello di mia madre e di molti
altri. “Durante il regime ci davano
pochissimo da mangiare: pochi chicchi di
riso al vapore o zuppa di riso annacquata”,
mi ha detto mia madre. “Perciò la gente
tritava gli spinaci d’acqua e li mescolava a
quello che c’era”.
Vasetto di terracotta e incenso
Questo vasetto era di mia nonna Huot,
morta qualche anno fa all’età di 83 anni.
Appartiene alla mia famiglia da molte generazioni. Noi usiamo quotidianamente i
vasi di terracotta, grandi e piccoli, per
conservare riso, sale, olio e la famosa pasta di pesce cambogiana, prahok. In questo mia nonna accendeva i bastoncini
d’incenso quando pregava. Ovviamente
fondendo la notizia che gli Stati Uniti
avrebbero bombardato le città. Ordinarono a tutti di portare con sé solo lo stretto
indispensabile, perché sarebbero tornati
presto. Molti gli credettero e lasciarono a
casa gli oggetti di valore. La popolazione è
rimasta chiusa nei campi di lavoro in campagna per l’intero regime, durato tre anni,
otto mesi e venti giorni. Diversi sopravvissuti non hanno mai potuto tornare nelle
loro case. Il regime di Pol Pot vietava tutte
le pratiche religiose e a volte usava le pagode buddiste come teatro dei suoi massacri. Gnet Yorn, morta nel 2004 all’età di
93 anni, riuscì a tenere con sé alcune statuine buddiste. Credeva che fossero state
quelle a proteggere la sua famiglia. Malgrado tutto, la fede religiosa è sopravvissuta nel cuore delle persone. u sdf
durante il regime dei khmer rossi, non poteva farlo apertamente.
Ha continuato a usare il vasetto di terracotta per pregare ino alla ine dei suoi
giorni. Prima di lasciarci l’ha dato a me.
Oggi faccio come lei, lo uso per accendere
i bastoncini d’incenso quando prego.
Statuina del Buddha e foglia d’albero
della Bodhi
Nel 2006, quando ho ristrutturato la mia
casa a Phnom Penh, ho trovato questa
statuina del Buddha sottoterra. Era
appartenuta al precedente proprietario
della casa, Keo Sronos.
Il 17 aprile 1975, quando occuparono
Phnom Penh, le truppe dei khmer rossi allontanarono gli abitanti dalla capitale dif-
Da sapere
La mostra e il festival
u Il progetto Alive di Kim Hak è in mostra al
festival Photo Phnom Penh, in Cambogia,
dal 31 gennaio al 28 febbraio 2015. Kim Hak è
nato a Battambang, in Cambogia, nel 1981.
Il programma completo del festival è
disponibile all’indirizzo:
ppp.institutfrancais-cambodge.com
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Ritratti
Amin al Hajj
Nome in codice
Rummenigge
Ronen Bergman, Ynet, Israele
Nato in una potente famiglia
sciita di Beirut, era disposto a
tutto per cacciare i miliziani
palestinesi dal suo paese. Così è
diventato un agente segreto di
Israele e ha favorito l’invasione
del Libano nel 1982
A
metà degli anni ottanta i
servizi segreti israeliani
individuarono un nuovo,
preoccupante fenomeno
in Medio Oriente: gli uomini dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp)
che l’esercito israeliano aveva cacciato da
Beirut costringendoli a rifugiarsi in Tunisia,
stavano lentamente tornando in Libano.
Era il segno che l’Olp si stava riorganizzando, vaniicando uno dei principali risultati
della prima guerra del Libano.
I servizi israeliani scoprirono che molti
esponenti dell’organizzazione partivano
dai campi d’addestramento in Tunisia e Libia, volavano a Cipro e da lì raggiungevano
le coste libanesi a bordo di navi e yacht. Il
traico marittimo tra il Libano e Cipro era
così intenso che impediva agli israeliani di
controllare tutte le imbarcazioni in transito.
Qualcuno suggerì una soluzione: “Chiamiamo Rummenigge”.
Rummenigge era il nome in codice assegnato dai servizi segreti di Tel Aviv ad
Amin al Hajj, uno dei più importanti agenti
di Israele nella regione. Rummenigge, un
musulmano sciita altissimo, astuto e senza
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scrupoli, famoso per i suoi vistosi bai, studiò attentamente il problema e propose una
soluzione: prostitute. “Reclutai diverse prostitute d’alto bordo che lavoravano nei night
club di Limassol frequentati dagli esponenti dell’Olp”, racconta Al Hajj. “Sotto l’efetto
dell’alcol e delle donne spiferavano tutto:
chi arrivava, chi partiva e che tragitto facevano”.
Rummenigge riceveva informazioni
dalle camere d’albergo di tutta Limassol, a
cui aggiungeva notizie raccolte dai tassisti
di Cipro, dai funzionari della dogana e da
altre fonti. Poi passava tutto ai suoi referenti dei servizi israeliani. Le imbarcazioni segnalate da Rummenigge venivano regolarmente fermate dalle navi della marina israeliana con a bordo agenti dell’unità 504 dei
servizi segreti, specializzata negli interrogatori. “Il nostro obiettivo era catturare,
non uccidere”, spiega un ex agente. “Un interrogatorio era molto più utile di un cadavere”.
Quello degli uomini dell’Olp di ritorno
in Libano non è stato l’unico problema risolto da Rummenigge. Per trent’anni Amin
al Hajj è stato uno dei più importanti agenti
Biograia
◆ 1955 Nasce a Beirut, in Libano.
◆ 1978 Comincia a lavorare per l’ex
presidente libanese Camille Chamoun e a
collaborare con i servizi segreti israeliani.
◆ 1982 Aiuta l’esercito israeliano a
preparare l’invasione del Libano.
◆ 1987 Organizza la cattura di cinquanta
esponenti dell’Olp.
israeliani in Medio Oriente, al centro di una
lunga serie di operazioni pericolose, molte
ancora coperte da segreto. Ha portato alla
cattura di centinaia di terroristi e al ritrovamento di tonnellate di armi, rischiando la
vita in più occasioni.
Ascoltando i suoi racconti si viene trascinati in un oscuro mondo di intrighi che
spesso appaiono incredibili. Ho parlato con
diverse figure di spicco dell’ambiente e
hanno confermato che Rummenigge ha
preso parte a numerose operazioni di primo
piano. Alcuni lo ricordano come un insubordinato con la tendenza a comportarsi in
modo stravagante ed esibizionista, ma tutti
concordano su un fatto: per anni Rummenigge è stato uno strumento fondamentale
per Israele, e ha dato un grande contributo
alla sicurezza del paese.
Caramelle per Imad
Ma ora Al Hajj è di nuovo in guerra. Non
contro i palestinesi che hanno più volte cercato di farlo fuori né contro i suoi familiari
libanesi che fanno parte di Hezbollah o i
suoi vecchi amici di Beirut che hanno emanato nove condanne a morte nei suoi confronti, ma contro le stesse persone per cui
ha lavorato per tanti anni. “Israele mi ha
abbandonato”, spiega con rabbia. “Vivo in
Israele con un permesso di soggiorno scaduto, senza diritti, senza assicurazione medica. Tiro avanti grazie all’aiuto dei pochi
amici che mi restano. Israele mi ha usato e
mi ha buttato via come uno straccio vecchio”.
Nato nel 1955 nel quartiere di Dahiyeh, a
Beirut, Amin Abbas al Hajj viene da una
ELAD GERSHGOREN (YNET)
delle famiglie più ricche e inluenti della
comunità sciita libanese, la più numerosa
del paese. A Dahiyeh molte strade portano
il nome dei suoi antenati.
Amin è cresciuto in un ambiente molto
religioso e legato al nazionalismo libanese,
in una casa che ospitava regolarmente i leader del paese, i grandi imprenditori, le più
alte cariche religiose e altre persone inluenti. Ha ancora delle foto che ritraggono
capi di stato e primi ministri insieme a suo
padre, amico intimo del presidente iloccidentale Camille Chamoun (questo avrebbe
poi avuto un ruolo fondamentale nella vita
di Rummenigge). Sua nonna viveva nella
stessa via e da piccolo Amin le faceva visita
quasi ogni giorno, per poi andare a giocare
in strada con gli amici. Un giorno, mentre
giocava, incontrò un bambino che anni dopo avrebbe messo a ferro e fuoco il Medio
Oriente. “Un gruppo di bambini un po’ più
piccoli di me giocava davanti casa di mia
nonna, in via Abbas al Hajj”, ricorda. “Sapevano che mia nonna mi regalava le caramelle e volevano che le dividessi con loro.
Quel giorno ho conosciuto Imad”.
Imad era Imad Mughniyeh, il futuro comandante dell’ala militare di Hezbollah.
Anche la sua famiglia era sciita, ma molto
meno ricca di quella di Amin. “Da ragazzi-
no Imad era molto dispettoso. Poi mi dissero che era entrato nel campo di addestramento della Forza 17, un’unità di élite palestinese, e ci siamo persi di vista”.
Pochi anni dopo il giovane Al Hajj vide il
suo paese sprofondare nella guerra civile.
Nel 1978 si trovò coinvolto in una battaglia
per le strade di Beirut e uccise alcuni palestinesi dell’Olp. Da allora basta la parola
“palestinesi” per accendere una iamma
d’odio nei suoi occhi. I palestinesi e le forze
siriane che li sostenevano misero una taglia
sulla sua testa. Chamoun non era più presidente, ma era ancora una igura molto inluente nella politica libanese e riuscì a far
nascondere Al Hajj nella parte cristiana
della città.
Il giovane diventò collaboratore di Chamoun e successivamente capo delle sue
guardie del corpo. Fu addestrato dalle guardie di re Hussein di Giordania. Una volta
rimase ferito in un attentato contro Chamoun. Fu uno dei tanti episodi in cui Rummenigge rischiò la vita, anche se nella maggior parte dei casi a lasciarci la pelle furono
gli attentatori. “Li abbiamo mandati dalle
loro madri”, è l’espressione che usa lui, e a
quanto pare ha mandato molte persone dalle rispettive madri.
Tra la ine degli anni settanta e l’inizio
degli anni ottanta Al Hajj si avvicinò sempre più a Chamoun e ai legami clandestini
tra i cristiani libanesi e Israele. “La famiglia
Chamoun aveva grande iducia in Amin e
gli aidò una parte dei rapporti con Israele”,
racconta una fonte dell’unità 504. “Pensammo che fosse una buona opportunità
per avvicinarci a lui”. Il fatto che Al Hajj si
trovasse in una posizione così strategica,
odiasse i palestinesi e avesse ottime conoscenze in Libano lo rendeva un candidato
ideale per i servizi segreti israeliani. Gli uficiali dell’unità 504 cominciarono ad approittare degli incontri a cui lui partecipava
come rappresentante di Chamoun per avvicinarlo, finché riuscirono a reclutarlo.
“All’inizio gli dicevo semplicemente quello
che sapevo. Qualche diceria, storie raccolte
in giro e altre informazioni sull’Olp”, racconta. “Ma a ogni incontro volevano sapere
di più”.
Poco dopo Al Hajj ricevette il nome in
codice che lo avrebbe accompagnato per
anni. L’assegnazione del nome in codice è
un momento cruciale per un agente.
L’obiettivo è separare la vera identità della
fonte e la persona che riceve le sue informazioni, in modo da proteggere la sicurezza della prima e i suoi rapporti con Israele.
Per questo una fonte può avere diversi nomi in codice, a seconda del tipo di prove
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Ritratti
che fornisce, di chi le analizza o dell’organizzazione per cui agisce in un particolare
contesto.
Secondo uno dei primi superiori di Al
Hajj, “è il quartier generale dell’unità 504
a scegliere il nome, quasi sempre a caso.
Ma io volevo fare qualcosa di diverso. Ero
un grande tifoso del Bayern Monaco, e in
quel periodo tifare per una squadra tedesca non era normale. Molti amici ce l’avevano con me perché osavo sostenere qualcosa che era legata alla Germania. Così ho
deciso di sidarli e rendere omaggio al mio
giocatore preferito, Karl-Heinz Rummenigge. Tra l’altro lui e Al Hajj sono nati nello stesso anno”.
E così, con il suo insolito nome in codice, Amin al Hajj divenne una spia di Israele.
“Con il tempo le mie informazioni non bastavano più, e dovetti organizzare una rete
d’informatori in tutto il Libano”, racconta.
“Davo un po’ di soldi ad alcuni ragazzi e loro andavano in giro per conto mio. Con gli
israeliani avevamo un accordo speciale per
le comunicazioni. Loro mi chiamavano
nell’uicio di Chamoun da Cipro e mi dicevano che volevano vedermi. Quando ero io
a volerli contattare chiamavo il numero di
Cipro e dicevo che ero ‘la vecchia volpe’. Poi
salivo su uno yacht della famiglia Chamoun
e m’incontravo con quelli della 504 su una
nave della marina israeliana”.
Prima della guerra del 1982 l’unità 504 si
occupava principalmente dell’attività
dell’Olp in Libano e raccoglieva informazioni sul numero di efettivi e l’ubicazione
dei centri di comando del gruppo. Ma con il
tempo la rete creata da Rummenigge si allargò. Al Hajj poteva contare su due fonti di
alto rango all’interno di Al Fatah (soprannominate Rummenigge3 e Rummenigge4),
che gli passavano informazioni in cambio
di denaro. Rummenigge giura che i soldi
venivano dalle sue tasche e non ha mai
chiesto di essere rimborsato.
“Eravamo disposti a pagarlo profumatamente”, conferma uno dei suoi referenti
dell’unità 504. “Lui però ha sempre riiutato. Una volta ha sbattuto il pugno sul tavolo
e ha detto che se avessimo insistito per pagarlo avrebbe troncato tutti i contatti con
noi. ‘Sono un patriota libanese’, disse. ‘Lo
faccio perché aiutiate il Libano a sbarazzarsi di questi cani maledetti (i palestinesi).
Non ho bisogno dei vostri soldi’”. “Ho aiutato Israele perché pensavo che fosse l’unica forza in grado di combattere i palestinesi”, spiega Rummenigge. “Volevo che Israele entrasse in Libano e spazzasse via l’Olp”.
A un certo punto la rete costruita da Al Hajj
arrivò a contare 15 agenti, e nel giugno del
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“Resterai qui ino a
quando lo vorranno
queste persone. E gli
darai tutto quello che
vogliono, altrimenti ti
mando in crociera
senza la nave”
1982, quando Israele invase il Libano, si rivelò fondamentale.
All’epoca Al Hajj usava come copertura
un piccolo mercato ortofrutticolo ad Achraieh (un quartiere cristiano di Beirut). Prima
dell’invasione il Mossad aveva ampliato i
legami con un’altra importante forza del
Libano, la Falange cristiana comandata da
Bashir Gemayel. A Rummenigge non piacevano afatto. “Allearsi con Gemayel e i
suoi è stato un errore madornale. Non avevano nessun ritegno e nessuna morale, e
alla ine hanno portato solo guai. Quando
gli israeliani hanno invaso il Libano la Falange è entrata a Sidone e ha cominciato a
saccheggiare i negozi dei palestinesi e violentare le loro donne. Israele non avrebbe
dovuto permetterlo”.
Samir non deve parlare
Verso la ine del 1982, quando la maggior
parte degli esponenti dell’Olp aveva lasciato il Libano per rifugiarsi in Tunisia e l’esercito israeliano si ritirava verso sud, la natura
delle operazioni d’intelligence israeliane
contro le organizzazioni palestinesi cambiò
in modo drastico. Lo stesso accadde alla
vita di Rummenigge, che si allontanò da
Chamoun e diventò imprenditore. Esportava automobili, bevande, sigarette e sale da
Israele, attività che gli permise di accumulare un discreto patrimonio.
Qualcuno sosteneva che questo lavoro
fosse una copertura per il traico di droga,
cosa che Rummenigge smentisce. Comunque i servizi israeliani continuarono a servirsi di lui, nonostante non si comportasse
con la discrezione che ci si aspettava da un
collaboratore di Israele. “Si vantava continuamente ed era arrogante in modo insopportabile”, ricorda un agente dell’unità 504.
“Non perdeva occasione per ricordare a
tutti quanto fosse ricco. Guidava macchine
sportive e andava in giro con donne bellissime. Avevamo paura di incontrarlo in pubblico perché attirava sempre l’attenzione.
Veniva agli incontri con una Mercedes 500
Sel nera, mentre il suo superiore arrivava
con una Renault 4 scassata”.
Ma Israele aveva ancora bisogno di lui, e
così la sua attività commerciale si trasformò in un servizio d’intelligence. Rummenigge ingaggiò marinai che raccoglievano
informazioni nei porti a cui Israele non aveva accesso. Alcune delle sue navi venivano
usate dall’Olp per trasportare persone e armi, e Al Hajj raccoglieva informazioni
sull’organizzazione per poi consegnarle agli
israeliani. Uno dei capitani che lavoravano
per Rummenigge era Samir Ashari (Rummenigge 13), che si rivelò una fonte di informazioni particolarmente utile. “All’epoca
molti palestinesi andavano ad addestrarsi
in Libia e in Tunisia”, racconta Al Hajj. “Samir ci riferiva tutti i dettagli, e molte imbarcazioni furono intercettate dalla marina
israeliana”.
Questa parte della storia inì molto male. L’Olp cominciò a sospettare di Ashari e
nell’agosto del 1985 fu catturato a Beirut.
“Mi chiamarono dalla nave e capii che Samir era fottuto”, racconta Rummenigge.
“Un mio uomo di iducia al porto seguì i rapitori e mi disse che l’avevano portato in
una casa nel campo profughi di Ain el Hilweh per interrogarlo. Samir sapeva moltissime cose e conosceva i nostri legami con
Israele. Se avesse parlato molti altri avrebbero rischiato la morte. Chiamai la 504 e gli
spiegai tutto. Gli diedi le coordinate esatte
del luogo dove lo stavano interrogando. Poco dopo un aereo israeliano bombardò la
casa uccidendo tutti, incluso il povero Samir. Possa Allah avere pietà di lui. Mi è dispiaciuto molto per lui, era un buon amico.
Ma non avevamo scelta”.
Le missioni più complesse diventarono
la specialità di Rummenigge. L’operazione
delle prostitute a Cipro non si limitava alle
camere da letto. Rummenigge acquistò una
compagnia marittima che operava con due
navi sulla rotta Larnaca-Beirut. “Sapevo
che gli uomini dell’Olp usavano quelle navi
per spostarsi. Appena comprata la compagnia ordinai di imbarcare su una delle navi,
la Maria R, il maggior numero di persone
per il viaggio successivo”.
La notte del 6 febbraio 1987 circa cinquanta esponenti dell’Olp salirono a bordo
della Maria R. A cinquanta chilometri al largo di Beirut la nave fu circondata dalla marina israeliana. I passeggeri furono trasferiti nelle strutture sotterranee dell’unità 504
per gli interrogatori. Ma non tutto andò secondo i piani. Il fermo della Maria R fece
scattare l’allarme negli uici dell’Olp a Larnaca, e i palestinesi scoprirono che Al Hajj
era il proprietario della compagnia. Due killer cercarono di ucciderlo a Limassol, davanti all’hotel dove alloggiava. Rummenig-
GILLES PERESS (MAGNUM/CONTRASTO)
Beirut, agosto 1982
ge e la moglie scapparono da Larnaca a
bordo di una nave da crociera diretta ad
Haifa, e da lì furono trasferiti in segreto
all’Hilton di Tel Aviv.
La copertura delle navi era saltata, ma i
palestinesi avevano ancora bisogno di raggiungere il Libano. Israele scoprì che l’Olp
aveva avvicinato un agente marittimo cipriota di nome Naoum per cercare di coordinare gli spostamenti clandestini. All’inizio i vertici dello Shin Bet provarono a reclutare Naoum, senza successo. Poi chiesero a
Rummenigge di occuparsi della faccenda.
Naoum fu invitato da Al Hajj all’hotel
Intercontinental di Atene. Con grande sorpresa del cipriota, all’appuntamento si presentarono anche gli agenti dei servizi israeliani. Rummenigge prese la parola e fece a
Naoum un’oferta che non poteva riiutare.
“Arrivò all’incontro con una ventiquattrore”, ricorda Rummenigge. “Gli chiesi ‘cos’è
quella? dov’è la tua valigia?’. ‘Non l’ho portata perché non ho intenzione di fermarmi.
Torno a Cipro stasera’, rispose lui. ‘Resterai
qui ino a quando lo vorranno queste persone’, gli dissi. ‘E gli darai tutto quello che vogliono, altrimenti ti mando in crociera senza la nave’”.
Intanto la rete cipriota di Rummenigge
continuava a espandersi. Un parente di uno
dei suoi informatori possedeva un ristorante ad Atene frequentato dai funzionari
dell’Olp, e presto il locale diventò il centro
di un’intensa attività per conto dei servizi
israeliani. In seguito si scoprì che il iglio di
un informatore era coinvolto in una burrascosa relazione omosessuale con uno dei
principali inanziatori di Al Fatah. Le conidenze dell’uomo permisero agli israeliani
di scoprire gli intricati sistemi di inanzia-
mento dell’organizzazione. Su consiglio di
Rummenigge, i servizi israeliani decisero di
non rivelare all’informatore l’orientamento
sessuale del figlio, “perché altrimenti lo
avrebbe ucciso all’istante”.
Problemi in famiglia
Dopo la vicenda della Maria R, Al Hajj diventò meno discreto a proposito dei suoi
legami con Israele. Costruì un lussuoso
complesso di uici al conine tra Libano e
Israele, e da lì cominciò a coordinare le sue
attività commerciali. Per non essere troppo
lontano dall’uicio, Rummenigge aittò un
intero piano in un palazzo a Nahariya, città
israeliana a pochi chilometri dal conine,
dove si trasferì con la sua famiglia estesa.
Ma alcuni suoi parenti che restarono in Libano pagarono il prezzo della sua scelta.
Uno dei suoi fratelli fu arrestato dai servizi
segreti siriani e morì durante l’interrogatorio. Un altro fratello fu gettato da un tetto al
Cairo.
Nel frattempo Hezbollah era diventato
una forza di primo piano in Libano. Secondo Rummenigge Israele è responsabile
dell’ascesa dell’organizzazione. “Gli israeliani decisero di puntare tutto sul rapporto
con i cristiani”, spiega. “Quando invasero il
Libano gli sciiti li accolsero con mazzi di iori. Ma poi gli israeliani li trattarono come
cani, e questo ha posto le basi per la nascita
di Hezbollah”. Molti familiari di Al Hajj
hanno ricoperto posizioni importanti all’interno di Hezbollah. Alcuni dei suoi parenti
scrissero un articolo su un giornale legato
all’organizzazione per annunciare l’espulsione di Al Hajj dalla famiglia. Lui sa bene
che non potrà mai tornare in Libano, ma
alla ine degli anni ottanta è entrato in con-
litto con i servizi segreti israeliani. Al centro della questione c’era un ordine di alcuni
veicoli destinati all’unità 504, per cui Al
Hajj non aveva ricevuto il denaro pattuito.
Portò la faccenda in tribunale, ma perse la
causa. Da allora le cose sono andate di male in peggio. Rummenigge fu accusato di
aver falsiicato il suo passaporto. “Era un
passaporto libanese che avevo continuato
a rinnovare con l’approvazione della 504”,
racconta. “E poi, solo perché erano arrabbiati con me, hanno detto che era illegale”.
Rummenigge venne arrestato e incarcerato per diversi giorni, ma fu rilasciato quando alcuni esponenti dei sevizi segreti confermarono di averlo autorizzato.
In seguito Al Hajj è inito di nuovo nei
guai per l’acquisto di un peschereccio che fu
coniscato dalle autorità egiziane. Andò in
Egitto per risolvere la questione ma fu arrestato dagli egiziani, che minacciavano di
deportarlo in Libano. Al Hajj si rivolse ad
alcuni parlamentari israeliani che avevano
fatto parte dei servizi segreti, e solo così fu
autorizzato a tornare in Israele.
Da allora non ha più potuto lasciare il
paese. Va avanti con un permesso di soggiorno temporaneo scaduto, senza mezzi di
sostentamento e arrabbiato con il mondo
intero. Pochi mesi fa ha avuto un colpo apoplettico ed è stato ricoverato in ospedale,
dove si trova tuttora. Riceve le cure di cui ha
bisogno da medici che sanno del suo passato e hanno ordinato il suo ricovero nonostante non abbia un’assicurazione sanitaria.
“Non riesco a capire perché mi trattano in
questo modo dopo tutto quello che ho fatto
per loro”, dice dal suo letto d’ospedale.
“Sono in molti ad avere buone ragioni
per lamentarsi di lui”, spiega uno dei suoi
vecchi referenti. “Ma se fosse stato un santo
non avrebbe potuto aiutarci. Sono proprio
le persone come lui che cerchiamo. Averlo
abbandonato è una vergogna”.
In risposta alle proteste di Al Hajj, l’uicio del primo ministro, responsabile della
gestione del Mossad, ha rilasciato il seguente comunicato: “Nel 1995 è stato stabilito
che Amin al Hajj ha diritto all’assistenza per
i collaboratori delle forze di sicurezza. Ma
dato che ha interrotto i contatti con l’amministrazione la procedura riguardante il suo
status in Israele non è stata completata. Se
Al Hajj si presenterà per risolvere la pratica
saremo disposti a riesaminarla”. A diferenza di quanto ha dichiarato l’uicio del primo
ministro, però, Rummenigge sostiene di
non aver mai interrotto la pratica per il riconoscimento della sua attività di agente,
semplicemente perché non è mai stata avviata. u as
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Viaggi
San Francisco
non si ferma
La città californiana è da
sempre al centro di eventi che
hanno cambiato il mondo:
dalla corsa all’oro allo sviluppo
delle nuove tecnologie
Q
uando arrivo all’Hotel Tomo di San Francisco, l’unico albergo J-pop (Japanese
pop) in cui sia mai stato negli Stati Uniti, mi accolgono
tre schermi che proiettano
in streaming le immagini di cartoni animati giapponesi. Il distributore automatico
vende mattoncini da assemblare Gigo e buste di fagioli edamame. Stare nella mia
stanza è come entrare in un fumetto, con un
gigantesco manga che occupa tutta una parete. I corridoi sono del colore delle caramelle Opal Fruits e quando spengo la luce il
taccuino sulla scrivania continua a illuminarsi al buio per diversi minuti. “Rinvigoritevi con la positività”, c’è scritto sul sito
dell’albergo, e mentre guardo un gruppo di
ragazzi che organizza in corridoio una sorta
di festa per studenti di informatica, mi sento talmente rinvigorito dalla positività che
quasi mi viene da essere un po’ negativo.
Siccome siamo a Japantown, il quartiere
giapponese di San Francisco, sicuramente i
genitori dei ragazzi alloggeranno al vicino
Kabuki, che ofre riposanti giardini zen e
musica rilassante da massaggi shiatsu. Le
due strutture appartengono alla stessa catena alberghiera, che ha la sfacciatagine di
chiamarsi Joie de vivre (Gioia di vivere). Tra
i due ediici luccicano noodle bar a buon
mercato e pacchiani negozi di origami. La
comunità giapponese di San Francisco ha
quasi 150 anni, e nel 1850, in piena corsa
all’oro culminata l’anno precedente, in città
c’era già un giornale pubblicato interamente in cinese.
Un’ora dopo, uscendo dal Tomo – che
come molti alberghi della baia si trova in
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
una tranquilla zona residenziale di case
basse ad appena dieci minuti di auto dai
grattacieli del centro – scopro un sentiero
che passa tra un gruppo di case dai colori
brillanti circondate di aiuole. Alla ine mi
ritrovo sul Fillmore corridor, tra parrucchieri per cani e negozi di yogurt biologico.
Tipico di questa città.
A San Francisco tutto sembra all’avanguardia, ed è sempre stato così. La città potrebbe essere la casa spirituale della teoria
di Marx sulla rivoluzione permanente. Cinquant’anni fa i miei genitori si sono trasferiti a Santa Barbara, lungo la strada tra San
Francisco e Los Angeles: da allora ho visto
Los Angeles trasformarsi in un posto infernale, mentre San Francisco continua a sfornare modi nuovi e avveniristici di godersi la
vita. Somiglia in maniera sospetta al paradiso.
Milionari in erba
Questo paradiso fu celebrato negli anni cinquanta dalla beat generation. Nel decennio
successivo arrivarono gli hippy e un mondo
in cui tutto sembrava possibile. Non fecero
in tempo ad andarsene che negli anni settanta gli omosessuali del quartiere Castro
trasformarono una sottocultura in una comunità autosuiciente. Intanto a Berkeley,
dall’altra parte della baia, i ristoranti
“dall’orto alla tavola” cominciavano a cambiare la nostra concezione del cibo. Poi negli ultimi anni del secolo scorso la rivoluzione informatica ci ha cambiato la vita, e San
Francisco è stata la culla di una nuova dimensione: il ciberspazio.
Negli ultimi tempi i custodi di un’altra
rivoluzione di San Francisco – la gente di
strada e gli artisti, attirati da un’atmosfera
che sembra incoraggiare la marginalità e
l’immaginazione – stanno combattendo
contro gli alieri dell’ultima rivoluzione, i
milionari in erba di Google e Facebook.
Dopo aver fatto impennare i prezzi degli
aitti già stratosferici, i nuovi ricchi passano davanti ai senzatetto sfrecciando sulle
CHRISTIAN HEEB (LAIF/CONTRASTO)
Pico Iyer, The Guardian, Regno Unito
navette aziendali climatizzate che li portano nella Silicon valley (45 minuti a sud).
Twitter e Yelp si sono stabilite nel cuore
della città, un tempo degradato, e molti temono che l’intera metropoli stia per trasformarsi in un dormitorio per ingegneri e investitori che vivono in pittoresche case vittoriane afacciate sull’oceano e ogni giorno
fanno la spola verso i loro futuristici complessi aziendali.
Questo scontro tra progressisti irriducibili e giovani ilantropi sostenitori del “don’t
be evil” (il motto aziendale di Google per
un uso corretto dei dati) si è trasformato in
un’opportunità. Lo sguardo più critico
sull’idealismo talvolta inquietante di Google lo ha gettato Dave Eggers nel suo romanzo Il cerchio (Mondadori 2014). Eggers
è un altro idealista di questa città e si è crea-
San Francisco, il grattacielo Transamerica Pyramid
to anche lui il suo utopico impero delle comunicazioni. È sempre stato così: quando
fu scoperto l’oro, non lontano da dove adesso si trova San Francisco, nel giro di due
anni un insediamento di 812 persone diventò una città di quasi 25mila abitanti rinomata per le sale scommesse e i bordelli. Perché
la seconda corsa all’oro dovrebbe essere
diversa?
La prima volta che ho sentito la parola
microclima è stata a San Francisco, una città dall’umore talmente volubile che anche
in estate si sentono le sirene da nebbia delle
navi, mentre le temperature variano anche
di 12 gradi da un isolato all’altro. Quando mi
alzo la mattina, guardando la itta nebbia
estiva che ridà forma ai grattacieli e ai campanili delle chiese, non riesco a capire se mi
trovo nella grigia e gelida Europa o nell’as-
Informazioni pratiche
◆ Documenti. Chi vola
negli Stati Uniti deve avere
il passaporto con microchip
elettronico o a lettura ottica
e l’autorizzazione Esta
(Electronic system for travel
authorization). Va chiesta
online almeno 72 ore prima
della partenza. Costa 14
dollari, e si può pagare solo
online con una carta di credito
(1.usa.gov/1dyNDP5).
◆ Arrivare Il prezzo di un
volo dall’Italia per San
Francisco (Klm, American
Airlines, Air France) parte da
714 euro a/r.
◆ Dormire L’hotel Tomo, nel
&1"(
quartiere di Japantown, ofre
l’attrezzatura per fare yoga e
bici per girare la città. Il
prezzo di una doppia parte
da 185 dollari a notte.
◆ I lettori consigliano Il
Green tortoise hostel ofre un
posto letto per 29 dollari a
notte in camerate comuni o
84 dollari in camere doppie.
È aperto ventiquattr’ore al
giorno e si trova in centro,
nel quartiere di North beach
(hostel.greentortoise.com).
◆ Leggere Rebecca Solnit,
Ininite City: a San Francisco
atlas, University of California
2010, 38 euro.
◆ La prossima settimana
Viaggio lungo il golfo di
Botnia, in Lapponia, tra la
Svezia e la Finlandia. Avete
suggerimenti su tarife, posti
dove dormire, libri? Scrivete a
[email protected].
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
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Viaggi
solata California. In auto vado a vedere le
case galleggianti sotto il sole di Sausalito. Il
giorno dopo, invece, mi perdo nel deserto e
nei cieli azzurri di Tilden park a Berkeley.
Quando Mark Twain disse che l’inverno
più freddo lo aveva passato in estate a San
Francisco dimenticò di precisare che però a
Marin county, dall’altra parte del Golden
gate, o a est oltre il Bay bridge, a metà di­
cembre sembra di essere in estate. Ogni
quartiere a San Francisco vive in un univer­
so tutto suo. Passeggiando in uno degli ulti­
mi angoli bohémien, su Valencia street, vici­
no al centro, leggo su un murale che il quar­
tiere sta nascendo e morendo allo stesso
tempo. Un chiropratico ofre massaggi gra­
tuiti e un bar per hipster promette sushi
“come lo faceva la mamma”. Una libreria
indipendente – ce ne sono tante a San Fran­
cisco – ogni sabato ofre un’ora di medita­
zione zen prima dell’apertura. Quindi mi
imbatto in un negozio dedicato al mondo
dei pirati, gestito dall’impero di Dave Eg­
gers, che è anche un centro didattico per i
bambini che offre corsi di sostegno e di
scrittura.
Una libreria ogni
sabato ofre un’ora
di meditazione zen
prima dell’apertura
Anche le istituzioni a San Francisco
sembrano mobili e pronte a trasformarsi
come i suoi tassisti tatuati. Era qualche an­
no che non andavo al Golden gate park (do­
ve si tenevano i concerti gratuiti dei Grate­
ful Dead) e al mio ritorno trovo una foresta
pluviale di quattro piani e le profondità del­
la barriera corallina esposte in una scatola
di vetro, la nuova California academy of the
sciences progettata da Renzo Piano. Oltre
l’ampio piazzale di fronte c’è l’elegante De
Young museum, progetto di Herzog & de
Meuron, che dall’osservatorio al nono pia­
no permette di ammirare le nuvole che
spesso coprono la città. Accanto, davanti al
silenzioso Japanese tea garden, dei ragazzi
sfrecciano sui Segway (quelle specie di mo­
nopattini elettrici che da qualche anno cir­
colano nelle grandi città) verso un vendito­
re ambulante che serve “cucina indiana
gourmet”, mentre dall’altra parte del parco
dei bisonti pascolano all’interno di un re­
cinto.
Scendendo al mare, tra i moli 15 e 17, si
può visitare l’Exploratorium, un museo in­
terattivo dedicato alla isica fondato dal i­
sico Frank Oppenheimer. Nelle vicinanze
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c’è il Presidio, un’ex base militare che oggi
ofre dei percorsi escursionistici e dove sor­
gono anche gli uici della Industrial light &
magic, l’azienda specializzata in efetti spe­
ciali fondata dal regista e produttore cine­
matograico George Lucas. Non lontano c’è
Baker beach dove è nato il festival Burning
man.
Quando sono a San Francisco cerco di
non andare in centro, che con i suoi grandi
magazzini e i marciapiedi pieni di gente
non è molto diverso da Chicago. Giro inve­
ce per i quartieri vicini, dove dopo un po’
non capisci più se sei in città o in cam­
pagna.
Guardarsi allo specchio
Sì, la “Baghdad sulla baia” (chiamata così
perché, come la capitale irachena, ospita
culture e comunità diverse) a volte sembra
un po’ troppo compiaciuta di sé: i manifesti
sugli autobus pubblicizzano “l’Università
della migliore città di tutti i tempi” e le tar­
ghe delle auto proclamano “better in Ber­
keley”.
Del resto è diicile discutere una città in
cui sfogli un giornale alternativo e ci trovi la
pubblicità della pizza indiana. Il giorno pri­
ma del mio arrivo l’Erotic ball and expo, un
festival erotico nato nel 1979, aveva preso
possesso dell’auditorium da 12mila posti.
C’era anche un “sit­in nudista” per rivendi­
care il diritto di camminare nudi per strada.
Il giorno dopo ci sono state le sculacciate in
pubblico – per beneicenza – alla Folsom
street fair, con psicanalisti gay e feticisti
della pelle.
San Francisco ci tiene a non conformar­
si alle aspettative. E anche se la città passa
gran parte del tempo a guardarsi allo spec­
chio, non si può negare che quello che vede
rilesso è qualcosa di magniico, di unico.
Siamo abituati ad associare Los Angeles al
cinema, ma in realtà è a San Francisco che
per la prima volta sono state messe su pelli­
cola delle immagini in movimento (nel
1878, dall’immigrato inglese Eadweard
Muybridge) e dove è avvenuta l’ultima rivo­
luzione nei ilm d’animazione (grazie alla
Pixar di Steve Jobs).
Los Angeles ci regala immagini, ma è
San Francisco a produrre visioni che cam­
biano continuamente il mondo. Se la Cali­
fornia, come credo, è la casa segreta del
futuro, la Bay area è la California della Cali­
fornia. u fas
L’AUTORE
Pico Iyer è uno scrittore e giornalista
britannico. Il suo ultimo libro pubblicato
in Italia è L’arte della quiete (Rizzoli 2015).
A tavola
Il ramen
californiano
u “Negli Stati Uniti è diicile sepa­
rare il ramen dallo chef David Chang
del ristorante Momofuku”, scrive
The Art of Eating. “La sua curiosi­
tà ha prodotto una piccola rivoluzio­
ne gastronomica: il bacon afumica­
to del Tennessee al posto dei iocchi
di tonnetto essiccato nella prepara­
zione del dashi, il tradizionale brodo
che è alla base del celebre piatto
giapponese. Un cambiamento sim­
bolico, capace di dimostrare che era
possibile preservare l’integrità del
ramen anche reinventandolo con in­
gredienti nuovi”. La creazione di
Chang è diventata un classico del
Momofuku noodle bar di New York
e ha reso popolare il piatto giappo­
nese in tutti gli Stati Uniti, dove ne­
gli ultimi anni i locali che servono
ramen si sono moltiplicati. Un
esempio di questa nuova ondata di
ristoranti è il Ramen Shop di
Oakland, dall’altra parte della baia
di San Francisco, dove i cuochi usa­
no tutta la loro conoscenza gastro­
nomica per dar vita a versioni inno­
vative e imprevedibili dei noodle in
brodo giapponesi.
Fondato da tre ex dipendenti di
Chez Panisse, Ramen shop punta a
fare con la cucina giapponese quello
che il ristorante di Alice Waters ha
fatto con quella francese: reinter­
pretarla in modo innovativo con un
tocco tipicamente californiano e
usando esclusivamente ingredienti
freschi e locali. “Il brodo alla base
del piatto è la cosa più importante:
l’obiettivo è raggiungere quel punto
in cui i sapori trovano un equilibrio e
una profondità perfetti. Per arrivarci
servono miglioramenti continui e
molto tempo”. Così, nel locale di
Oakland può capitare di assaggiare
un shōyu ramen, cioè con salsa di so­
ia, a base di brodo vegetale profu­
mato di limoni Meyer con funghi e
broccoli, o, d’estate, uno shio ramen
con galletti, alghe nori di Mendoci­
no, cipollotti, uova marinate alla so­
ia, crescione e maiale chāshū.
Graphic journalism
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Leila Marzocchi è un’autrice di fumetti italiana. Il suo ultimo libro è Niger vol. 4 (Coconino press/Fandango 2012).
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Cultura
Arte
VASILy MAxIMoV (AfP/GeTTy IMAGeS)
La mostra alla galleria Tretjakov di Mosca
Mostra
di riparazione
Valentin Djakonov, Vlast, Russia
La galleria Tretjakov rende
omaggio a Georgij Kostaki, uno
dei principali collezionisti di
arte d’avanguardia russa
a galleria Tretjakov di Mosca
da decenni dedica un’attenzione particolare ai capolavori dell’avanguardia russa. In
una mostra che chiuderà l’8
febbraio espone alcuni tesori appartenuti a
Georgij Kostaki: duecento opere delle oltre
ottocento che il collezionista consegnò alla
galleria prima di abbandonare l’Unione
Sovietica nel 1977.
Non è la prima volta che la galleria prova
a rendere omaggio all’“eccentrico greco”
che scoprì l’avanguardia russa contemporaneamente ai più noti studiosi mondiali. Una
mostra simile era stata organizzata nel
L
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
1997, ma era già troppo tardi: Kostaki è
morto nel 1990.
Questa nuova mostra è più importante,
non solo per il numero di opere esposte. C’è
stata una più stretta collaborazione con gli
eredi, che hanno portato a Mosca un ritratto
del collezionista e diverse opere di artisti
ritenuti minori, ma comunque parte integrante dell’avanguardia. Insomma un grande evento e un’autentica testimonianza del
valore della collezione di Kostaki.
L’autista dell’ambasciata
Georgij Kostaki nacque a Mosca nel 1913.
Suo padre era un ricco commerciante di tabacco arrivato dalla Grecia. Molti greci
emigrati in Russia non parteciparono alla
rivoluzione, ma rimasero comunque nella
capitale, dove le loro capacità produttive e
negli afari erano evidentemente apprezzate. A 19 anni Kostaki si sposò con Zinaida
Pamilovaja, una contabile della fabbrica di
tabacco Java. Due anni prima suo fratello
Spiridon, un noto corridore motociclista, gli
aveva trovato un lavoro come autista all’ambasciata di Grecia. Per tutto il periodo che
trascorse in Unione Sovietica Kostaki rimase legato agli ambienti diplomatici (prima
greco, poi canadese). Non rivestì mai alte
cariche, ma in quel periodo lavorare in
un’ambasciata di un paese capitalista ofriva comunque una relativa sicurezza. Nei
momenti più diicili – per esempio quando
fu costretto ad abbandonare l’ambasciata
greca perché Atene aveva interrotto le relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica a
causa del patto Molotov-Ribbentropp – gli
tornarono utili la sua esperienza come autista e la sua buona conoscenza del mercato
nero, che all’epoca era molto difuso.
È suiciente dire che Kostaki nel 1930
viaggiava su una vistosa automobile statunitense. Quale tipo di compromessi con il
Kgb abbia comportato il suo lavoro non lo
sappiamo e probabilmente non lo sapremo
mai. Tuttavia è diicile credere che Kostaki
fosse estraneo agli intrighi politici e di spionaggio dell’epoca.
Grazie al suo lavoro molto ben retribuito
Kostaki cominciò a collezionare oggetti di
antiquariato e piccoli dipinti olandesi del
seicento (molto più economici delle tele di
grandi dimensioni). Proprio in quel momento l’avanguardia subì un duro colpo. La
direttiva sulla ristrutturazione delle organizzazioni letterarie e artistiche, emessa dal
HeNRI CARTIeR-BReSSON (MAGNUM/CONTRASTO)
Georgij Kostaki nel suo appartamento di Mosca, 1972
comitato centrale del Partito comunista nel
1932, chiuse il dibattito sulla nuova arte e
sul suo ruolo nella costruzione di una società socialista. I circoli e le associazioni lasciarono il posto alle monolitiche unioni
degli artisti, degli architetti e degli scrittori.
L’avanguardia inoltre non era una corrente
omogenea, ma un insieme sparso di irme
polemiche. La direttiva stabiliva le regole
del gioco: venivano messe al primo posto le
esigenze della propaganda e dell’ideologia,
la pittura di genere e quella storica nella tradizione dei pittori realisti e dei loro nemici
giurati, gli accademici. Ma lo sguardo di Kostaki era molto lontano da questi ambienti.
La Striscia verde
Non si sa esattamente quando Kostaki abbia cominciato a collezionare i quadri delle
varie correnti dell’avanguardia. Dai suoi
racconti sembra che sia stato intorno al
1956. Il noto collezionista Igor Vasilevič
Kačurin, esperto di libri e di graica, decifratore della direzione centrale dei servizi
segreti, regalò a Kostaki un quadro di Olga
Rozanova intitolato Striscia verde (1917) accompagnandolo con le parole: “Glielo regalo, tanto lei colleziona qualsiasi schifezza e
di sicuro le piacerà”. Rozanova era sposata
con uno dei fondatori del futurismo in poesia, Aleksej Kručënych, e aveva prodotto
alcune opere sotto la direzione di Malevič,
fondatore del movimento artistico del suprematismo. Poi aveva litigato con lui e ave-
va cominciato a dipingere lavori astratti
molto semplici. Il titolo del suo quadro è
una descrizione asettica: una tela bianca
non molto grande attraversata da una striscia verde verticale. Per Kostaki quel dipinto fu una rivelazione.
Da quel momento cominciò a collezionare solo opere dell’avanguardia, coltivando allo stesso tempo conoscenze molto interessanti. Strinse amicizia con il fotografo
e artista Aleksandr Rodčenko e sua moglie
Varvara Stepanova, ma spesso si consultava
con l’esperto e collezionista Nikolaj
Chardžiev, che Rodčenko non amava molto. Chardžiev consigliò a Kostaki di collezionare solo opere di geni come Malevič,
Tatlin, Chagall, tenendosi lontano dai loro
epigoni e seguaci. Kostaki per fortuna non
lo ascoltò, creando una collezione composta non solo dai fondatori dell’una o dell’altra corrente, ma anche da altri artisti.
Nella mostra alla galleria Tretjakov ci
sono molti nomi quasi sconosciuti. C’è Kandinskij, ma c’è anche il suo allievo Vasilij
Bobrov. A una parete è appeso un quadro di
Filonov e poco distante ce n’è uno di un suo
studente dal nome gogoliano: Vsevolod
Angelovič Sulimo-Samuillo. Kostaki aveva
la sensazione che i successi ottenuti dai nomi più grandi sarebbero rimasti incomprensibili senza le interpretazioni delle formule
da loro scoperte. Ma pochi erano in grado di
capire quello che Kostaki sentiva. Tra questi c’erano alcuni direttori di musei, come il
direttore del Vasilij Puškarev e gli studenti
degli istituti universitari più progressisti,
che andavano in pellegrinaggio al suo appartamento. L’entusiasmo di quegli studenti è rimasto a lungo un’eccezione:
l’avanguardia russa è diventata un tema accettabile per la stampa uiciale sia di massa
sia accademica solo dopo la mostra MoscaParigi del 1980.
Nella seconda metà degli anni settanta,
Kostaki cominciò a essere sottoposto a notevoli pressioni. Si tratta di una storia poco
chiara: forse il collezionista aveva dato fastidio a qualcuno. Comunque la sua dacia
fu bruciata con parte della sua collezione e
ci fu un furto nel suo appartamento di Mosca. In pratica gli fecero capire che la sua
presenza in Unione Sovietica era sgradita.
Kostaki riuscì a ottenere il diritto di uscire
dal paese pagando come prezzo quasi metà
dei suoi preziosi quadri, le opere migliori.
La galleria Tretjakov ne ha 834. Sono molte,
ma il Museo di arte contemporanea di Salonicco, al quale Kostaki ha donato il resto
della sua collezione, conserva altri 1.275
quadri.
Per colpa degli intrighi di qualcuno abbiamo perso un’enorme parte delle opere
di una delle più interessanti fabbriche di
idee del novecento. È una vergogna, e nessun progetto solenne riuscirà a porvi rimedio. Ma questa mostra è un’occasione unica
per esplorare l’avanguardia russa in tutte le
sue sfumature. u af
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73
Cultura
Cinema
Italieni
Dalla Francia
I ilm italiani visti da
un corrispondente straniero.
Questa settimana la giornalista israeliana sivan kotler.
Marcia indietro
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Il sindaco di Villiers-surMarne vieta la proiezione
di Timbuktu, poi ci ripensa
Il 16 gennaio Jacques Alain
Bénisti, il vivace sindaco di
centrodestra di Villiers-surMarne, ha deciso di togliere
dalla programmazione del cinema comunale il ilm Timbuktu di Abderrahmane Sissako, acclamato a Cannes,
candidato all’Oscar come miglior ilm straniero e a ben otto César. Bénisti ha spiegato a
Le Parisien che dopo gli attentati di Parigi voleva evitare
che dei ilm potessero fare
“apologia del terrorismo”. Ma
Timbuktu racconta l’assalto
Timbuktu
ideologico dei jihadisti in un
villaggio del Mali, il loro divieto di giocare a pallone, di
ascoltare musica e via così. Il
sindaco evidentemente non
l’ha visto ed è stato costretto a
fare marcia indietro. È stato
mal interpretato, ha spiegato
Bénisti sul suo blog. Voleva
evitare tensioni, soprattutto
in alcuni quartieri “sensibili”,
visto che nella città è cresciuta Hayat Boumeddiene, la
compagna di Amedy Coulibaly. Quindi ha rinviato la
proiezione per accompagnarla con un dibattito. Il sindaco
si era distinto nel 2005 per un
rapporto in cui proponeva di
individuare i futuri delinquenti attraverso una valutazione psichiatrica nelle scuole
materne ed elementari. Ma
non è così cattivo. Infatti è tra
i irmatari di una proposta di
legge per classiicare il cavallo tra gli animali domestici.
Timbuktu uscirà in Italia il 12
febbraio. Libération
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
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PO
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Il nome del iglio
Di Francesca Archibugi.
Italia 2014, 110’
●●●●●
Questa recensione di Il nome
del iglio andrebbe accompagnata da Telefonami tra
vent’anni di Lucio Dalla, che
segna, raccoglie e conclude
l’insieme delle sequenze di
un ilm ben fatto. Con una regia precisa anche quando lascia spazio alla spontaneità,
Francesca Archibugi torna
con un gruppo di attori selezionati in modo accorto e ci
presenta una pellicola che va
oltre la buona idea alla base
dell’originale francese Cena
tra amici da cui è tratta, aggiungendo tonalità italiane
che illustrano un modo di essere: pieni di sé e disperatamente bisognosi dell’approvazione degli altri. La scelta
del nome per un iglio che
deve ancora nascere, tira
fuori il peggio che lega e separa quattro amici d’infanzia. Nessun elemento è lasciato al caso. L’amore, la delusione e la silenziosa e intima convinzione di essere
meglio degli altri. I tanti argomenti presenti sono ben
sviluppati e di grande attualità, da una Roma che non è
più in grado di riconoscersi
ino ai tui nostalgici nella
villa in campagna della famiglia Pontecorvo (cognome
non casuale). Ideologie, convinzioni e scelte che uniscono e separano. Attraverso
questi temi Archibugi riesce
a raccontare una storia sulla
diferenza tra ciò che crediamo di essere e ciò che realmente siamo.
Media
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
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I consigli
della
redazione
Still Alice
Richard Glatzer
e Wash Westmoreland
(Stati Uniti, 99’)
Hungry hearts
Saverio Costanzo
(Italia, 109’)
In uscita
Gemma Bovery
Di Anne Fontaine. Con Fabrice
Luchini, Gemma Arterton.
Francia 2014, 99’
●●●●●
Jean Renoir (nel 1933), Vincente Minnelli (nel 1949) e
Claude Chabrol (nel 1991)
l’hanno già fatto. Ma con Gemma Bovery, Anne Fontaine non
ha voluto realizzare l’ennesima versione di Madame Bovary. E per resuscitare Flaubert
ha preferito partire dalla graphic novel di Posy Simmonds,
una specie di variazione contemporanea sul mito di Emma
Bovary. Nel ilm, la trasp0sizione dal romanzo alla realtà
contemporanea avviene grazie al personaggio interpretato
da Fabrice Luchini: Martin, un
ex editore ossessionato dalla
letteratura, che fugge da Parigi nella Normandia delle sue
origine per riprendere il mestiere del padre, il panettiere.
Gemma Arterton è invece
Gemma Bovery, una bella ragazza britannica, arrivata insieme al marito nel grazioso
villaggio di Martin per sfuggire alla follia londinese. Un
dettaglio. Il marito di Gemma
si chiama Charles. Quando
Martin scopre il nome dei suoi
vicini il suo sangue letterario
comincia a bollire. La vita insegue la letteratura e i coniugi
Bovery vanno verso lo stesso
destino degli eroi descritti da
Flaubert. Quello che Martin
ancora non sa è che Gemma,
con un semplice gesto della
mano, scatenerà in lui un uragano erotico e in breve la sua
ossessione per lei sarà pari per
intensità a quella che nutre
per il romanzo. Solo Fabrice
Luchini, con uno sguardo che
oscilla continuamente tra tenerezza e follia, poteva dare
corpo a un simile personaggio.
Di fronte a una coppia d’ingle-
Gemma Bovery
si leggermente caricaturale,
Luchini incarna tutta la Francia, profonda e colta, arroccata nella sua misantropia ma in
troppo pronta a cedere di fronte alla vertigine della bellezza.
Questo ilm si guarda con un
certo piacere e fa venir voglia
di andarsi a rileggere il romanzo di Flaubert. La ine, che
non è il caso di svelare, è forse
la parte più riuscita.
Franck Nouchi, Le Monde
Turner
Di Mike Leigh. Con Timothy
Spall. Regno Unito/Germania/
Francia 2014, 149’
●●●●●
Il ilm di Mike Leigh sull’ultimo quarto della vita di William Turner (dal 1826 al 1851)
è il meraviglioso ritratto di un
artista ossessivo, di un uomo
famoso che sceglie di vivere in
modo anonimo. Turner (un
incredibile Timothy Spall)
dorme vestito, vaga in solitaria con un album da disegno
sotto il braccio tra il Kent (il
porto di Margate) e i Paesi
Bassi, issa il sole basso
sull’orizzonte dall’alto di una
scogliera. Quando torna a
Londra parte all’assalto della
Royal Academy in redingote e
cappello a cilindro, o nella sua
casa si scaglia sulle tele con la
veemenza di un protoespressionista astratto: le colpisce
con il suo pennello e con i co-
lori fatti di sputo e terra. Timothy Spall ha un mento
sfuggente, una bocca piccola
che si spinge in su, verso un
naso senza forma. È una faccia che scoraggia ogni tipo di
esame. Questo Turner vuole
guardare e non essere guardato. E non vuole neanche essere troppo ascoltato. Dal tubo
intasato che è la sua gola
emergono faticosamente per
lo più sillabe indistinte (una
serie di variazioni tra il ringhio, il grugnito e il ruggito.
Una meravigliosa messa in
scena – che ricrea il primo, cupo periodo vittoriano, soprattutto nelle radiose vedute di
campagna o del mare – fa da
sfondo ai quadri dell’artista,
con lo splendore del bianco,
dell’oro, dell’ocra, dell’arancione e del rosso. Nel cast, oltre a Spall, emergono Martin
Savage, Lesley Manville e Marion Bailey. La fotograia è irmata da Dick Pope.
David Denby,
The New Yorker
Unbroken
Turner
Mike Leigh
(Regno Unito/Germania/
Francia, 149’)
Unbroken
Di Angelina Jolie. Con Jack
O’Connell Domhnall Gleeson.
Stati Uniti 2014, 137’
●●●●●
Unbroken è una storia che parla di resistenza, e richiede una
certa resistenza anche allo
spettatore. In un certo senso è
inevitabile, vista la natura
straziante del racconto e la
sua intrinseca mancanza di
suspense. Il titolo non è Broken, quindi non lascia molti
dubbi su come andrà a inire.
Ed è anche un peccato, visto
che il ilm è una versione cinematograica lunga e lenta di
un romanzo di successo, scritto da Laura Hillenbrand, che
celebra una singolare forma di
eroismo. Il soggetto del ilm è
Louis “Louie” Zamperini,
morto nel luglio del 2014, a 97
anni, dopo una vita, almeno in
parte, avventurosa e molto
diicile. Ed è la parte che racconta il ilm di Angelina Jolie:
dopo aver corso i cinquemila
metri alle Olimpiadi del 1936,
durante la seconda guerra
mondiale fu nell’equipaggio
di un bombardiere abbattuto
sopra il Paciico. Riuscì a sopravvivere per 47 giorni prima
di essere salvato da una nave
giapponese e inire la guerra
in un campo di prigionia tra
indicibili torture. Il ilm è stato
scritto da Joel ed Ethan Coen,
Richard LaGravenese e William Nicholson. Quattro grandi scrittori. Eppure la sceneggiatura guarda il suo protagonista da una certa distanza
emotiva, con grande attenzione alla sua forza interiore, ma
poca ai suoi sentimenti più
profondi. Unbroken per un po’
è interessante (Angelina Jolie
dimostra ottime doti come regista), ma poi diventa ripetitivo e alla ine risulta sbilanciato e noioso.
Joe Morgenstern,
The Wall Street Journal
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
75
Cultura
Libri
Spagna
Dalla Germania
L’eredità del cancelliere
La biograia non autorizzata di Helmut Kohl inisce
in tribunale
Pilar Eyre Estrada
Mi color favorito es verte
Planeta
Durante una vacanza sulla Costa brava, la scrittrice s’innamora di un giornalista francese che scompare improvvisamente. Pilar lo cerca seguendo
gli indizi ambigui che lui lascia
dietro di sé. Pilar Eyre Estrada
è nata a barcellona nel 1951.
ALbErTo CrISTofArI (A3/CoNTrASTo)
Milena Busquets
También esto pasará
Anagrama
Vivace libro di sapore autobiograico. La protagonista piange
la morte della madre, ma nel
suo ricordo riscopre la voglia
di vivere.
María Frisa
Cómo sobreviví a la madre
de Pavlito (con uve)
Espasa Calpe
frisa racconta con ironia la vita di una quarantenne che potrebbe essere lei, con un marito, dei igli, una madre, una
suocera, un lavoro e una passione smodata per lo shopping
e il gin tonic.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
76
Anche prima di essere pubblicato, Vermächtnis. Die KohlProtokolle (L’eredità. Il protocollo Kohl) di Heribert
Schwan e Tilman Jens, ha scatenato un vespaio. Le dichiarazioni di Kohl contenute al
suo interno, che non risparmiano nemmeno Angela Merkel, iniammano da mesi lo
scenario politico-mediatico
tedesco. Il libro si basa su circa 630 ore di interviste realizzate da Schwan tra il 2001 e il
2002 per curare l’autobiograia di Kohl. Nel 2009, a metà
della stesura del quarto volume, Schwan è stato rimosso
dall’incarico, secondo lui per
colpa dell’attuale moglie
dell’ex cancelliere. Ad agosto
MICHAEL DALDEr (rEUTErS/CoNTrASTo)
Belén Gopegui
El padre de Blancanieves
Debolsillo
Una professoressa di ilosoia,
sposata e madre di tre igli,
protesta con il supermercato
perché non le consegna la spesa nei tempi concordati. Di
conseguenza il responsabile
viene licenziato. Gopegui è nata a Madrid nel 1963.
Helmut Kohl nel maggio del 2013
2014, Kohl (che ormai praticamente non parla più) ha ottenuto da un tribunale la restituzione dei nastri. Ma Schwan
ha tenuto delle copie e delle
trascrizioni e, a ottobre, la richiesta di Kohl di bloccare la
pubblicazione del libro è stata
respinta. Un nuovo colpo di
scena è arrivato quando il tribunale di Colonia ha stabilito
che un certo numero di citazioni siano tolte dal libro. Nel
frattempo, mentre l’editore
aspetta l’esito del ricorso, il libro ha venduto più di duecentomila copie.
Der Spiegel
Il libro Gofredo Foi
Irritante e geniale
Michel Houellebecq
Sottomissione
Bompiani, 252 pagine,
17,50 euro
La voce che narra è di un intellettuale parigino, specialista di Huysmans, disperatamente mediocre, cui l’umanità non interessa, anzi lo disgusta. Anima nera e bersaglio
dell’autore è un “buono a
niente” ma acutissimo e spietato osservatore dei suoi simili
e dei loro riti, misogino e primario nelle sue aride pratiche
sessuali, un cerebrale che sa
però vedere e capire. L’azione
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
è tra pochi anni, dentro una
mutazione che porta a compimento una crisi europea. Un
abilissimo leader musulmano
francese va al potere, grazie a
un’alleanza elettorale delicata
con la sinistra, e impone le sue
riforme – strutturali, profonde, determinate da scelte culturali (la chiave è l’educazione, la scuola), non economiche – verso la nascita dell’“Eurabia”, un impero nuovo a cui
inisce volentieri per sottomettersi una popolazione
estenuata da conformismi e
consumismi. Per il narratore
convertirsi all’islam non è solo
un modo di mantenere la sua
posizione, ma di trovare nuove eccitazioni e ragioni di vita.
Sottomettersi è bello, altri
pensano e decidono per te (in
Italia le conversioni sarebbero
più facili e veloci, specialmente tra intellettuali, giornalisti
ed educatori). Houellebecq ha
scritto una profezia attendibile che è anche un grande romanzo, una comica “educazione sentimentale” dentro la
nostra dismissione e il nostro
possibile futuro. Irritante e geniale, va letto e discusso. u
I consigli
della
redazione
Joe Sacco
La grande guerra
(Rizzoli Lizard)
Il romanzo
Karen Joy Fowler
Siamo tutti completamente fuori di noi
Ponte alle Grazie, 311 pagine,
18 euro
●●●●●
Il romanzo di Karen Joy
Fowler è così intelligente e
gustoso da leggere che merita
tutta l’attenzione che gli si può
dedicare. La protagonista,
Rosemary Cooke, vive in da
piccola sotto osservazione, in
un lungo esperimento
casalingo in cui ha come
sorella gemella una
scimpanzé adottata. Mentre
gli altri bambini sono
sballottati tra asilo e babysitter, Rosemary lo è tra
esercitazioni di laboratorio e
studenti universitari, e
soprattutto l’onnipresente
Fern, con gli occhi color
ambra e il pannolone. Anche
se è una bambina, Rosemary
sa che le tappe del suo
sviluppo sono comparate a
quelle della scimpanzé. A
cinque anni, la mandano per
qualche settimana dalla
nonna: quando torna, scopre
di aver perso la sua gemella.
Improvvisamente,
inspiegabilmente, in casa non
c’è più Fern, e con lei tutta
l’allegra comitiva degli
studenti. Nessuno parla più
dell’esperimento. Ai bambini
hanno detto che Fern è stata
mandata in una “fattoria”, e
che non era possibile andarla
a trovare, perché questo
avrebbe disturbato la
transizione di Fern che stava
imparando a socializzare con
gli animali della sua specie.
Rosemary deve fare lo stesso.
Si ritrova gettata in un asilo
dove gli altri bambini iutano
GERAINT LEWIS (WRITER PICTURES AGENCy/RoSEBUD2)
La bambina e lo scimpanzé
Karen Joy Fowler
subito che la nuova compagna
di classe ha delle abitudini che
si possono deinire
scimmiesche. La chiamano
“la ragazza scimmia”. C’è
qualcosa di non
completamente umano in
Rosemary, e lei lo sa. Il meglio
che può fare è sopravvivere a
un’infanzia senza amici e
dirigersi all’Università della
California, a Davis, per
mettere mezzo continente tra
lei e la propria reputazione.
Sembra destinata
all’isolamento ino a quando
non s’imbatte in Harlow. Tutti
stanno lontani da questa
ragazza dagli abbondanti
capelli neri e dall’energia
animalesca, ma Rosemary
non resiste al suo fascino. Per
Rosemary, la cosa più dura è
ricordare. Passo dopo passo, si
addentra nel passato
attraverso lunghi lashback.
Così scopriamo che ha uno
strano vuoto di memoria sui
dettagli della dipartita di
Fern.
Barbara Kingsolver,
The New York Times
Blaine Harden
Fuga dal campo
14 (Codice)
Zak Ebrahim
Il iglio del terrorista
Rizzoli, 144 pagine, 16 euro
●●●●●
Zak Ebrahim ha lottato per tutta la vita con due sogni opposti. Il primo – la fantasticheria
di un bambino – era che il padre assente tornasse un giorno
da lui. Il secondo – la dura aspirazione di un ragazzo – era di
potersi togliere di dosso tutte
le tracce del padre e del suo
“odio omicida”. Nel 1990,
quando Ebrahim aveva sette
anni, il padre egiziano El
Sayyid Nosair uccise Meir Kahane, il rabbino estremista
fondatore della Lega di difesa
ebraica. Tre anni dopo, mentre
era in prigione, aiutò a progettare l’attacco al World Trade
Center. Ebrahim ha passato la
vita a fare i conti con il padre
terrorista e a “lottare con il
sentimento devastante di essere in qualche modo complice
per via del sangue”. Raccontando la sua storia, spera di
“ofrire il ritratto di un giovane
che è cresciuto tra i fuochi del
fanatismo ma ha abbracciato
la nonviolenza”. La vita di
Ebrahim è un eloquente appello ai terroristi – e più in generale a chiunque commetta violenza a causa del bigottismo e
dell’odio – perché si fermino e
considerino l’impatto che hanno sui igli. Il suo racconto parla della soferenza dei bambini
che a Gaza, in Israele, in Iraq,
in Siria o in Nigeria sono coinvolti nell’intolleranza rabbiosa
degli adulti. Ebrahim voleva
credere a tutti i costi nell’innocenza del padre. Era un bambino, e non poteva pensarne male. Ma anni dopo, quando era
abbastanza grande da leggere i
dettagli del raid della polizia a
casa sua dopo l’omicidio,
Ebrahim ha capito che il padre
gli aveva mentito. Il messaggio
del libro è che il fanatismo è
una scelta. “Anche se sei stato
Sonali Deraniyagala
Onda
(Neri Pozza)
addestrato a odiare, puoi scegliere la tolleranza”. L’autore
capisce il triste fallimento di
suo padre. “Ha preferito il terrorismo alla paternità, e l’odio
all’amore”, spiega. “Mio padre
ha preferito il terrorismo a
me”.
Steven Levingston,
The Washington Post
Liza Marklund
I dodici sospetti
Marsilio, 400 pagine, 18,50 euro
●●●●●
La giornalista Annika
Bengtzon sta festeggiando con
la sua famiglia quando riceve
una telefonata: Michelle Carlsson, una conduttrice tv bella e
famosa, è stata assassinata, e
lei deve seguire la storia. Come nei gialli classici, tutto si
svolge all’interno di un ambiente molto ben deinito, che
in questo caso è l’élite del
mondo televisivo. Ma l’elemento che rende signiicativi
ed eccitanti i romanzi di Liza
Marklund non è la trama criminale. I suoi sono moderni
romanzi di formazione in cui
una donna deve attraversare la
giungla di un mondo dominato
dai maschi, con il perenne senso di colpa di essere una madre
poco presente per via del lavoro. Un suo tema ricorrente è la
competizione tra donne che
vorrebbero essere solidali ma
invece sono costrette dalle circostanze a essere nemiche.
Marklund descrive tutto questo con una rara sensualità attenta ai profumi e agli odori di
un ambiente che altrimenti rimarrebbe asettico, e con una
capacità di ritrarre onestamente tanto la sessualità maschile quanto quella femminile. Alla ine, il vero mistero del
libro è questo: perché donne
straordinarie si innamorano
così spesso di uomini ordinari
e noiosi?
Bo Tao Michaëlis, Politiken
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77
Cultura
Libri
Marsha Mehran
Istituto di bellezza
Margaret Thatcher
Neri Pozza, 222 pagine,
16,50 euro
●●●●●
La scrittrice iraniana Marsha
Mehran è stata trovata morta
nel suo appartamento in Irlanda nell’aprile del 2014. Mehran
aveva 36 anni e il manoscritto
del suo ultimo romanzo che
esisteva in diverse versioni incomplete è stato messo a punto dai suoi editori per la pubblicazione postuma. Anche se le
reali cause della sua morte non
sono state ancora chiarite,
sembra che l’autrice fosse quasi in uno stato di possessione
mentre scriveva il romanzo,
cosa che non è diicile immaginare considerato l’argomento. All’alba della rivoluzione
khomeinista, un gruppo di
esuli iraniani a Buenos Aires
s’incontra per letture settimanali di poesia persiana. Molti
di questi versi hanno una forte
componente di misticismo, e
grazie al misticismo ogni esule
riscopre la bellezza e il signiicato. Come le opere precedenti di Marsha Mehran, anche
questo libro è pieno di personaggi vividi e di dettagli riccamente sensuali.
Kerryn Goldsworthy,
Sydney Morning Herald
Jorge Zepeda Patterson
I corruttori
Mondadori, 354 pagine, 18 euro
●●●●●
Il Messico si sveglia ogni giorno con notizie sulla criminalità
organizzata. Almeno, quelle
che per la loro importanza
emergono nelle pagine di cronaca. E che cosa accadrebbe se
la notizia del giorno fosse la
morte di una delle attrici più
famose del paese, assassinata
e mutilata? Questo giorno ipotetico e quelli che seguono sono immaginati nel primo romanzo del giornalista Jorge
Zepeda Patterson, che ofre un
panorama fedele del Messico
contemporaneo. Un paese su
cui incombe la tragedia a causa di una gigantesca corruzio-
ne. La storia si svolge nel dicembre del 2013, e si presta a
essere letta in tempo reale, come un giornale. Avvalendosi
degli strumenti della narrativa
Zepeda Patterson compone un
racconto luido che ha i colori
di un ilm, ma una nebbia grottesca e minacciosa alle spalle:
il nemico non è un killer assoldato, come in molti noir, ma la
corruzione e la politica compromessa con la criminalità. Il
protagonista è Tomás, che si
trova implicato in una situazione tra la vita e la morte, tutto
per qualcosa che ha pubblicato
sul quotidiano El Mundo e che
collega il delitto dell’attrice a
un uomo molto potente di nome Augusto Salazar. La tragicommedia della politica messicana diventa un thriller, che
ha anche una vena sentimentale, perché Zepeda Patterson
ha voluto mostrare l’umanità
del suo protagonista, un giornalista che cerca di informare.
Ma in Messico informare è pericoloso.
Livio Avila, La Vanguardia
Non iction Giuliano Milani
Un’altra Europa
Matteo Pucciarelli
e Giacomo Russo Spena
Podemos. La sinistra
spagnola oltre la sinistra
Alegre, 128 pagine, 12 euro
La battaglia contro l’austerità
è stata la ragione principale
per cui Syriza ha vinto le elezioni. L’alleanza con il partito
dei Greci indipendenti dimostra che sarà anche il suo
obiettivo politico principale, lo
stesso verso cui un po’ ovunque sembrano conluire forze
politiche diverse tra di loro. In
questo libro, due autori che ne
hanno già dedicato uno a Syri-
78
za (Tsipras chi?, Alegre 2014)
raccontano il movimento spagnolo Podemos, il suo leader
Pablo Iglesias, la particolare
combinazione di strategie comunicative e democrazia telematica che lo fa somigliare,
per certi versi, al Movimento 5
stelle, ma con molta attenzione alle decisioni condivise e
una forte impronta antifascista. Nonostante tutto, però,
anche in Spagna sembra proprio l’opposizione all’austerità
imposta dall’Europa il carburante del successo. Questo
non stupisce in un paese in cui
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
il ceto medio è stato così duramente colpito, e dove tuttavia
gli abitanti, secondo i dati Ocse dell’ottobre 2014, riportati
dal libro, ogni anno lavorano
trecento ore in più dei tedeschi e duecento in più dei
francesi. Se i cittadini continueranno a veder diminuire la
loro ricchezza mentre lavorano sempre di più sarà diicile
per loro non appoggiare una
formazione che promette
un’alternativa alle politiche
che li hanno ridotti sul lastrico: in Grecia, in Spagna e altrove. u
Ragazzi
Un futuro
per tutti
Cristina Nenna
Fatù e la stella dei desideri
Valentina edizioni, 28 pagine,
12 euro. Illustrazioni di Lorenzo
Terranera
Edward Makuka Mkoloso, direttore dell’accademia nazionale della scienza dello Zambia, sognava di portare in orbita il primo astronauta africano. Non ci riuscì, per motivi
tecnici e burocratici. Ma in
Africa sono ancora in tanti a
sperare che questo sogno possa trasformarsi prima o poi in
realtà. Tra di loro c’è sicuramente Fatù, una bambina senegalese dagli occhi grandi e
dalle belle treccine nere. Fatù
è curiosa, guarda sempre il
cielo e quando il maestro le
dice che la distanza percorsa
dalla luce in un anno è di quasi 9.500 miliardi di chilometri,
lei sgrana gli occhi felice di
apprendere tante cose nuove.
Fatù vuole raggiungere quella
luce irraggiungibile. Vuole volare così in alto per riuscire a
toccare le stelle con un dito.
Però lei vive in campagna, dove la vita è dura e la siccità
prosciuga i sogni. Ma sarà
Adil a ridare slancio alla sua
voglia di andare a spasso tra
stelle e pianeti. Il libro pur rimanendo in una cornice classica dove l’Africa è rappresentata dal villaggio, dall’acacia e
dal pentolone, riesce comunque a evitare gli stereotipi attraverso una storia che ci parla
di personaggi con un certo
spessore. Il testo è stato patrocinato dall’Unicef e il messaggio inale è chiaro: ogni bambino merita un futuro pieno di
bellezza.
Igiaba Scego
Ricevuti
Sergej Esenin
Nei pressi di Acquabianca
Via del vento, 36 pagine,
4 euro
Racconto di un amore sul
punto di inire e diario per
immagini di un viaggio negli
Stati Uniti.
John Berger
Cataratta
Gallucci, 70 pagine, 12,50 euro
Monologo interiore sul miracolo del recupero della vista,
accompagnato dai disegni di
Selçuk Demirel.
Dimitri Deliolanes
La sida di Atene
Fandango, 231 pagine,
16 euro
L’evoluzione del partito Syriza
e la politica del premier greco
Alexis Tsipras contro l’Europa
dell’austerità.
Jared Diamond
Da te solo a tutto il mondo
Einaudi, 123 pagine, 13 euro
Le side della società contemporanea tra antropologia, geopolitica e analisi culturale,
esaminate da uno dei più importanti studiosi delle civiltà.
Claude Lanzmann
L’ultimo degli ingiusti
Skira, 138 pagine, 15 euro
Dal suo omonimo documentario del 2013, il regista e scrittore Claude Lanzmann ha
tratto un libro nel quale riabilita la igura di Benjamin Murmelstein, rabbino nel “ghetto
modello” di Theresienstadt.
Alan Bennett
Gente
Adelphi, 127 pagine, 12 euro
Invece di rivolgersi ai servizi
sociali, due eccentriche anziane decidono di aittare la loro
cadente casa nella campagna
britannica a un produttore che
vuole trasformarla nel set di
un ilm porno.
Domenico Quirico
Il grande califato
Neri Pozza, 234 pagine,
16 euro
Un viaggio nei luoghi dove nasce il gruppo Stato islamico,
da Istanbul alla Nigeria, per
raccontare la costruzione del
grande califato.
Alexie Sherman
Diario assolutamente
sincero di un indiano
part-time
Rizzoli, 242 pagine,
16,50 euro
Un ragazzo della tribù degli
Spokane, menomato da una
malattia avuta alla nascita,
decide di abbandonare la riserva, perché è maltrattato dai
suoi coetanei.
Uwe Johnson
La maturità del 1953
Keller, 302 pagine,
16,50 euro
Mentre si preparano per l’esame di maturità, alcuni ragazzi
di una cittadina della Repubblica Democratica Tedesca
cominciano a sentire un profondo desiderio di libertà.
Claudia Roth Pierpont
Roth scatenato
Einaudi, 412 pagine, 22 euro
La biograia e la vita letteraria
dello scrittore statunitense
Philip Roth.
Simon Levis Sullam
I carneici italiani
Feltrinelli, 147 pagine, 15 euro
Almeno la metà degli arresti
degli ebrei italiani tra il 1943 e
il 1945 fu condotta da italiani,
anche autonomamente, senza
ordini o indicazioni da parte
dei tedeschi. Un fatto che si
tende a rimuovere.
Fumetti
Burocrazia magica
Luke Pearson
Hilda e il gigante
di mezzanotte
Bao publishing, 48 pagine,
14 euro
Un fumetto sull’infanzia e per
l’infanzia (ma non solo), che ci
parla di un mondo contemporaneo e insieme atemporale,
chiaramente ambientato nel
Nordeuropa. Là il soprannaturale è perfettamente inserito
nel quotidiano. Ma gli adulti,
rispetto a un mondo infantile
intrinsecamente magico, lo
percepiscono con maggiori
diicoltà anche quando sono
d’animo buono come la madre
della piccola Hilda, bambina
un po’ folletto dai capelli blu,
protagonista del fumetto. È
come se fosse un’altra dimensione, parallela alla nostra e
con elementi simili.
Ci si può camminare sopra,
passare attraverso. Alla ine,
dopo aver riempito un mucchio di scartoie burocratiche,
si potrà percepire il mitico
“piccolo popolo” nella sua totalità, con un mondo in minia-
tura che si sbroglierà ai nostri
piedi. Ma la burocrazia dei minuscoli folletti, volta a sdrammatizzare il soprannaturale attraverso un umorismo un po’
paradossale, non è quella dei
ilm animati Disney, belli ma
assassini dell’angoscia (poetica e catartica) delle iabe originarie. Qui invece l’angoscia in
parte rimane e rimanda all’immaginario di certa cultura
ebraica, alla igura del golem.
Del resto c’è chi crede realmente all’esistenza di folletti o
piccoli diavoli dispettosi, le cui
azioni sarebbero mescolate
agli eventi legati al caso.
La piccola Hilda mescola
ogni cosa in maniera semplice,
naturale: cerca di mettere in
relazione tutti – la madre,
l’omino di legno, i giganti
guardiani della Terra – sottraendoli alla loro solitudine e legandoli alla minuscola multitudine del “piccolo popolo”,
grazie alla fantasia e al senso
poetico di un giovane autore
da non perdere di vista.
Francesco Boille
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
79
Cultura
Musica
Dagli Stati Uniti
Tv On The Radio
Milano, 6 febbraio,
magazzinigenerali.it
Chitarra, basso e due ragazze
Tricky
Bologna, 6 febbraio,
estragon.it; Firenze,
7 febbraio, log.it;
Torino, 8 febbraio,
hiroshimamonamour.org
Sono le Girlpool, diciottenni di Los Angeles
Levi Weaver
Mantova, 1 febbraio,
facebook.com/arcivirgilio
Tenacious D
Milano, 4 febbraio,
alcatrazmilano.com
Uk Subs
+ Tv Smiths, Milano, 5 febbraio,
lo-i.milano.it; Bologna,
6 febbraio, covoclub.it
Tr/St
Bologna, 10 febbraio,
locomotivclub.it; Roma,
11 febbraio, circoloartisti.it;
Torino, 12 febbraio,
astoria-studios.com
18+
Segrate (Mi), 5 febbraio,
circolomagnolia.it
Fish
Milano, 8 febbraio,
bluenotemilano.com
Jimmy Edgar
Milano, 31 gennaio,
tunnel-milano.it
Levi Weaver
80
Quando Harmony Tividad e
Cleo Tucker sono insieme
l’efetto è quello di un fulmine, anche quando cantano
piano. Il sound delle Girlpool
è molto preciso: le due ragazze cantano, una suona la chitarra e l’altra il basso. Tutto
qui, senza altri strumenti o
percussioni. “La nostra musica è scarna, ridotta al minimo”, dice Tucker. “Se una di
noi sbaglia qualcosa se ne accorgono tutti per forza. Siamo fatte così, non cerchiamo
di nasconderci. Vogliamo solo essere sempre noi stesse”.
Le canzoni parlano di giova-
ALICE BAXLEY
Dal vivo
Girlpool
ni donne vulnerabili con un
tono grezzo ed esplicito, e
afrontano con concretezza
la coscienza del fatto che in
fondo sbagliamo tutti e cerchiamo almeno di non farlo
sempre.
La loro prima uscita è
stata un ep su cassetta nel
2014. Poi hanno irmato un
contratto con la Wichita, eti-
chetta britannica che è un
punto di riferimento della
musica indie. Ora la loro
carriera sta decollando: si
sono trasferite da Los Angeles a Filadelia, oltre alla ristampa del loro debutto in
vinile sta per uscire un nuovo singolo, Chinatown, e i
loro concerti arrivano anche in Europa. In pochi mesi
le Girlpool sono già molto
cresciute, soprattutto
nell’uso delle voci, e la produzione è più ariosa. Ma per
fortuna continuano a esserci chitarre da quattro soldi
come prima. E i testi non
cambiano: “Sono agitata
per domani e per oggi”.
Lars Gotrich, Npr
Playlist Pier Andrea Canei
Nebulosa dello yodel
Benjamin Clementine
London
Ghaneano di origine, londinese precario con fasi da
poeta parigino homeless, saltatore di barriere del métro,
pianista sopraino e tenorino
lirico-drammatico e autodidatta esistenziale: un talento
con qualcosa di sovrannaturale, anima e piedi nudi e talento
da regalare. Ma si possono
ignorare tutte queste cose
ascoltando il torrente di soul
che sgorga dal suo At least for
now tra cascate di pianoforte in
mezzo a sparuti arrangiamenti
per orchestra e pulsazioni elettroniche, Chuck Berry e Kate
Bush che si rotolano su un materasso d’ebano e avorio.
1
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Panda Bear
Boys latin
Lo yodel come arma segreta del pop più evoluto. In
genere fa troppo “le caprette ti
fanno ciao” ma in mano al leader storico degli Animal Collective, che si è appena riafacciato da solista con l’album
Panda Bear meets the grim reaper, diventa un contrappunto
vocale a quell’elettronica disturbata che ne rispecchia le
inquietudini. Capofamiglia,
non più ragazzo, anima che vaga tra tormente della maturità
e tormenti della mortalità.
Un capolavoro fallato di cui
(quasi come un potenziale Pet
Sounds) sarà interessante seguire l’ainamento.
1
La linea del pane
Solstizio d’inverno
“Qui la nebbia è contagiosa / qui la nebbia è ogni cosa”. Qui siamo al nord e in un
mood da chansonnier padanoparigino-prog, da ballata conclusiva di un album che in dal
titolo (Utopia di un’autopsia)
tradisce una propensione a imbarcarsi in percorsi tortuosi, in
concetti impegnativi. Eppure,
al netto di quella issazione
con umori decadentisti, emerge nel lavoro di questo trio (che
sembra guscio protettivo al
meditabondo piglio del cantante-chitarrista Teo Manzo)
una pulizia sonora d’altri tempi, che funziona al meglio con
canzoni ed emozioni semplici.
1
Pop/rock
Scelti da
Luca Sofri
Dr
e quella house. La grande forza di Ghost Culture è la capacità di scrivere canzoni al conine tra la dance e il pop
d’avanguardia.
Holger Fleischmann,
Die Presse
The Charlatans
Modern nature
(Chrysalis)
●●●●●
Dopo la morte del batterista
Jon Brookes per un tumore al
cervello, i Charlatans si sono
stabiliti nel Cheshire per registrare “canzoni che potessero
renderci felici”, come spiega il
leader Tim Burgess. A sostituire Brooks ci sono Pete Salisbury dei Verve, ma anche Stephen Morris dei New Order e
Gabriel Gurnsey dei Factory
Floor, due musicisti conosciuti
per la precisione da metronomi più che per il tocco allegro.
Il pezzo d’apertura Talking in
tones risulta piuttosto cupo, ma
dal secondo brano, So oh, i
Charlatans cominciano a mantenere le promesse. Sostenuta
da un vivace giro di basso e da
un organo Hammond, la canzone suona molto west coast, e
questo calore rimane ino al
termine dell’album. Let the good times be never ending, forse il
pezzo più interessante, ha una
crescita graduale in stile Doors
e un pizzico di follia alla 5th Dimension. Partendo da una
grande tristezza, i Charlatans
hanno composto un gioioso
elogio funebre e forse l’album
migliore della loro carriera.
Lanre Bakare,
The Guardian
Björk
Vulnicura
(One Little Indian)
●●●●●
La cantante avant pop che gridava nelle strade di New York
è scomparsa nel 2001 con Vespertine. Dopo Homogenic, capolavoro che bilanciava melodia e sperimentazione, è arrivato Medúlla, ma da quel momento l’autrice si è inilata in
una tana da cui non è più uscita. Vulnicura sorprende: possiamo inalmente abbracciare
Björk senza intellettualismi e
delusioni. Di questo sono reDr
Ghost Culture
Ghost Culture
(Because Music)
●●●●●
Le canzoni del musicista e
produttore londinese Jason
Greenwood, che si fa chiamare Ghost Culture, sono poco
luminose, un po’ come la stanza in cui si è fatto ritrarre per
la copertina dell’album. Il suo
suono techno algido e oscuro,
comunque, riesce a risplendere con un cantato e delle melodie fragili che a molti critici
ricordano il synth pop anni ottanta dei Depeche Mode. Altre inluenze sono i Kraftwerk
e in generale la musica techno
D’Angelo
and the Vanguard
Black messiah
(Rca)
The Decemberists
Album
The Decemberists
What a terrible world, what
a beautiful world
(Rough Trade)
●●●●●
I Decemberists sono famosi
per costruire i loro album intorno a concetti molto elaborati e ispirati a cose tipo l’opera o
i racconti popolari giapponesi.
All’ultimo, ha spiegato il
leader Colin Meloy, “manca
completamente un concettoguida, grazie al cielo”. In efetti
What a terrible world, what a
beautiful world è una delle cose
migliori mai fatte dalla band di
Portland, che per la prima volta da molto tempo non sembra
compiaciuta della sua bravura.
Meloy è libero di esplorare
quel che gli pare nei testi, e il
clima rilassato si rivela perfetto per tutto il gruppo, a cominciare da The singer addresses his
audience, che apre il disco con
un coro e una spettacolare cacofonia di strumenti. È bello
ascoltare un disco tanto in pace con se stesso e con gli alti e
bassi della vita. Sì, ci sono le
tragedie, ma anche l’amore, la
pietà e la speranza.
James Reed, Boston Globe
Maximilian Hecker
Spellbound scenes
of my cure
(Eat The Beat Music)
Björk
The Decemberists
What a terrible world, what
a beautiful world
(Rough Trade)
sponsabili due eventi della
sua vita, uno disastroso e uno
proicuo: la ine della relazione con Matthew Barney e la
collaborazione con il produttore Arca. La struttura dell’album è quella di un trittico che
ne contiene altri più piccoli. Il
primo delinea la ine di un
amore, il secondo afronta il
momento subito dopo la rottura, nel terzo c’è la cura. È il
suo Blood on the tracks che però obbedisce a un rigido formalismo. Detto ciò, è ben lontano dall’essere ermetico: Stoner emoziona e commmuove,
e ci riporta agli splendori di
Jóga e Isobel. Non è certo la colonna sonora giusta per una
cena tra amici, ma rimane
un’opera rigorosa e impegnativa in cui immergersi solo con
delle cuie.
Peter Tabakis,
Pretty Much Amazing
Viet Cong
Viet Cong
(Jagjaguwar)
●●●●●
Dalle ceneri dei Women è nato qualcosa di più grande chiamato Viet Cong, un amalgama krautrock/garage/psych/
noise/post punk che opera in
un ecosistema tutto suo. Preceduto da una cassetta demo
fatta uscire in sordina l’anno
scorso, il disco d’esordio dei
Viet Cong sembra il primo lavoro drone-rock davvero originale dai tempi di Cryptograms dei Deerhunter. Con
suoni distorti e cuciti insieme,
il gruppo fonde i vecchi synth
di Brian Eno con chitarre alla
Interpol e psichedelie che ricordano i 13th Floor Elevators.
Esplorando una dimensione
tanto ambiziosa quanto desolata, forse ha provato a comporre l’ultimo album postpunk. Scoprire che ci sono riusciti non è una cattiva notizia.
Jeremy D. Larson, Spin
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
81
Cultura
Video
In rete
Echoes
of tsunami
Primo Levi. Il volto
e la voce
Venerdì 30 gennaio, ore 21.15
Rai5
Approfondimento sui temi affrontati da Levi nella sua opera: la vita nel lager, la diferenza tra “sommersi” e “salvati”,
la “banalità del male”, il dovere della memoria e l’importanza di raccontare attraverso
la narrazione.
Bill Cunningham New
York
Sabato 31 gennaio, ore 16.15
Sky Arte
Da cinquant’anni il fotografo
del New York Times gira in bicicletta immortalando vip e
gente comune e ha creat0 uno
straordinario archivio sulla
storia della moda e della città.
Le cattedrali della cultura
Sabato 31 gennaio, ore 21.10
Sky Arte
“Se gli ediici potessero parlare, cosa direbbero di noi?”.
Una serie in cui sei famosi documentaristi hanno il compito
di rispondere raccontando
un’icona architettonica. In
contemporanea su Sky 3d.
Vita di un anarchico
Mercoledì 4 febbraio, ore 21.30,
Rai Storia
Combattente, militante, prigioniero, cospiratore, soldato,
coninato, bombarolo, esule.
Umberto Tommasini, fabbro
anarchico, ha attraversato il
novecento, diviso tra empatia
per il mondo che lo circondava
e desiderio di cambiarlo.
Trieste la contesa
Venerdì 6 febbraio, ore 22.15
Rai5
Attraverso i racconti dei suoi
abitanti, Elisabetta Sgarbi
compone un ritratto di Trieste,
città di conine e teatro di importanti studi storici, religiosi
e culturali.
82
Dvd
Dentro Le Monde
Il caso ha voluto che il dvd di
Les gens du Monde, documentario sul quotidiano
francese presentato a Cannes, uscisse pochi giorni dopo l’attacco a Charlie Hebdo, a cui è diicile non pensare vedendo le immagini
della redazione al lavoro.
Il ilm di Yves Jeuland segue
le riunioni, le tensioni e le
discussioni interne e il lavo-
ro dei reporter sul campo
(durante mesi segnati dalle
presidenziali del 2012 e dallo
scandalo Strauss-Kahn) per
raccontare come un’istituzione del giornalismo europeo, con quasi settant’anni
di storia, tenti di coniugare
la qualità dell’oferta con le
trasformazioni imposte dalla rete.
rezoilms.com
echoesoftsunami.com
Sono passati dieci anni dallo
tsunami che il 26 dicembre
2004 causò oltre
duecentomila morti e un
milione di sfollati, soprattutto
tra Indonesia e Sri Lanka. Nei
due paesi era attiva da tempo
Action contre la faim, che
grazie alla sua presenza sul
campo fu una delle prime ad
avviare le operazioni di
soccorso. Per ricordare la
ricorrenza l’ong, fondata in
Francia nel 1979, ha realizzato
questo reportage
documentando la tragedia
attraverso registrazioni
sonore, che si attivano grazie
alla webcam quando l’utente
chiude gli occhi per ascoltare.
Le registrazioni sono
accompagnate dal racconto di
quanto è successo in quattro
tra le aree più colpite, dove
l’ong ha fornito aiuti per
l’assistenza e la ricostruzione.
Fotograia Christian Caujolle
Arākī e i suoi seguaci
Il bravo recensore fa bene a ripetersi di non tornare troppo
spesso sugli stessi argomenti o
sulle stesse pubblicazioni. Ma
c’è poco da fare: a volte i fatti
hanno la testa dura e s’impongono. Per questo siamo costretti a tornare sulla nuova
pubblicazione di Foam, il magazine del Museo della fotograia di Amsterdam. Qualche
puntiglioso seccatore potrà
obiettare che Foam cavalca
l’onda di una moda che sta facendo salire vertiginosamente
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
i prezzi dei libri di foto giapponesi. Ma l’ultima uscita, dedicata ad Arākī e ai suoi seguaci,
è davvero notevole. Le variazioni della carta, accompagnate da un gran lavoro tipograico, danno il ritmo di un enorme portfolio su qARADISE, ultimo lavoro, volutamente provocatorio, del maestro giapponese. Di fatto è un portfolio in
due versioni con due punti
d’ingresso a seconda di come
si legge: all’occidentale o alla
giapponese, come con un og-
getto a testa in giù. È un’opera
connotata dalla morte – un
omaggio loreale alla moglie
morta di cancro – e dalla vanità. Ed è un’occasione per scoprire dei nuovi talenti. Come
Mayumi Hosokura, che usa
colori sontuosi per dialogare
con gli ibridi di Azuma Makoto e le allucinazioni di Motoyuki Daifu. Del resto quando Arākī, che irma un bel testo di introduzione, è il pretesto per qualcosa, l’aspettativa
è enorme. u
Cultura
Arte
Giuseppe Penone (656)
Musée de Grenoble,
ino al 22 febbraio
Dieci anni dopo la retrospettiva al Centre Pompidou, Giuseppe Penone ha riunito quarant’anni di produzione e di lavori che tornano ciclicamente
ai suoi temi preferiti: pelle,
corteccia, albero, natura. Il
percorso è avvolto da un unico
afresco epidermico lungo cinquanta metri, disegnato a carboncino sulle pareti bianche
del museo. Penone è il mago
della materia. Il palo scavato
lascia aiorare le venature del
legno. Il cuoio lavorato diventa
corteccia. Migliaia di spine di
acacia sulla carta di seta disegnano labbra giganti. Il marmo
di Carrara venato di blu sembra morbido come pelle. Gemme di resina emergono come
perle dai rami di un albero.
Libération
Pipilotti Rist, Worry will vanish horizon
ALex DeLfANNe (COURTeSy THe ARTIST, HAUSeR & WIRTH AND LUHRING AUGUSTINe, NeW yORk)
Le buone maniere
Zkm, Karlsuruhe,
ino al 5 marzo
Una volta, per essere cortesi,
era necessario dissimulare,
non dire e non chiedere. Una
dama modellata o dipinta da
un signore, per esempio, non
poteva chiedere allo spettatore: “Come mi vedi? Cosa cerchi in me?”. Nell’installazione
dell’artista concettuale statunitense Lynn Hershman Leeson, si guarda una donna dal
buco della serratura. “Si prega
di guardare lontano”, dice a un
tratto la donna. Obbedendo
all’ordine, vediamo proiettata
su uno schermo l’immagine
dei nostri occhi ripresi da una
telecamera nascosta. Oggi è
diventato normale condividere la propria autenticità con
chiunque sulle piattaforme dei
social network, dissimulare
non va più di moda e spiare
l’intimità di una giovane sconosciuta non è sconveniente.
Die Zeit
Bruton
Natura post-umana
Pipilotti Rist
Stay stamina stay,
Hauser & Wirth, Bruton,
ino al 22 febbraio
L’artista svizzera Pipilotti ha
concluso la sua residenza britannica alla Hauser & Wirth
preparando una doppia mostra, divisa tra la sede di Bruton, nel Sommerset, e la sede
londinese della galleria. Tra gli
ediici rustici perfettamente
restaurati sventola una bandiera di mutande, già esposta
alla Hayward gallery nel 2011.
I camminatori in cerca di giardini e ristoranti sono gli unici
spettatori occasionali. Rist ha
riempito due sale con Mercy
gardens, i giardini della misericordia, un video girato nella
campagna al conine tra il Somerset e il Dorset e nel parco
di Bruton disegnato da Piet
Oudolf con oltre 26mila specie
di piante. Ci si sdraia su pelli di
pecora, cullati dal piacevole
odore di lanolina e dalla musica di un banjo. L’unica presenza umana è un giovane agricoltore locale. Il video ci porta in
dentro al mare, con una telecamera che luttua. Sembra di
vedere una lumaca di mare, invece è il pene di un ragazzo
con i peli del pube pieni di bol-
licine. C’è una straordinaria
capacità di alternare ritmo, pace e sorpresa visiva. Le peonie
in iore, i papaveri, tutto è vivido. Addirittura l’ortica, così
verde, appare invitante. Le
mani accarezzano gli steli dei
iori, le dita lambiscono le corolle e passano radenti sul ilo
spinato. Ci sono bocche, labbra e lingue in una fusione di
mondi interni ed esterni, come
se ogni cosa dovesse essere
leccata, accarezzata e assorbita. Non è robaccia new hippy,
ma un tufo nella natura modiicata e post-umana di Rist.
The Guardian
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
83
Pop
Toc toc, sono Enoch
Hanif Kureishi
A
HANIF KUREISHI
è uno scrittore
britannico di origine
pachistana. Il suo
ultimo libro uscito in
Italia è L’ultima
parola (Bompiani
2013). Questo articolo
è uscito sul Guardian
con il titolo Knock,
knock, it’s Enoch.
© 2015 Hanif
Kureishi /Agenzia
Santachiara.
84
vevo 14 anni nel 1968 ed ero terroriz­ perso un impero e non si era ancora ripresa dalla guerra,
zato da Enoch Powell. Per un ragazzi­ la nostra presenza avrebbe solo aggravato il quadro:
no meticcio come me, questo bigotto senzatetto, disoccupazione, prostituzione e tossicodi­
ex colonialista con i suoi discorsi ripu­ pendenza. Presto i bianchi indigeni sarebbero diventa­
gnanti e granguignoleschi pieni di ti “una minoranza perseguitata” o “stranieri” nel loro
fruste, sangue, escrementi, minzioni paese. E sarebbe toccato a noi, presumibilmente, il ruo­
e negretti era un orco mostruoso e terriicante. Ricordo lo di persecutori.
che i miei zii pronunciavano il suo nome sottovoce, per
Ma Powell, questo fantasma dell’impero, non fu un
paura che li sentissi.
razzista qualsiasi. Ebbe un’inluenza non trascurabile:
Sono cresciuto vicino al campo d’aviazione di Big­ spostò a destra la politica inglese e deinì gli obiettivi
gin Hill, a sud di Londra, con il fantasma della seconda che discutiamo oggi: i politici attaccano le minoranze
guerra mondiale: passavamo davanti ai
quando vogliono impressionare l’opinio­
siti bombardati tutti i giorni. Mia nonna Questo bigotto ex
ne pubblica presentandosi come quelli
era stata un’addetta alla sorveglianza de­ colonialista con i
inlessibili che non hanno paura di dire la
gli incendi e aveva conosciuto il terrore suoi discorsi
verità. E l’inluenza di Powell è arrivata
delle incursioni aeree notturne della ripugnanti pieni di
lontano. Nel 1976 – lo stesso anno di
Luftwafe. Con la sua aria nostalgica da fruste, sangue,
White riot dei Clash e otto anni dopo i
austero profeta, gli occhi sporgenti e i escrementi,
principali discorsi di Powell – Eric Clap­
baffi militareschi, Powell ci ricordava minzioni e negretti
ton, uno dei miei idoli, disse al pubblico
Hitler, e l’aumento patologico dei suoi era un orco
di votare per Powell per impedire che il
seguaci cominciò a turbarci quanto le sue mostruoso e
paese diventasse “una colonia nera”.
dichiarazioni. A scuola il suo nome di
Clapton disse che la Gran Bretagna do­
terriicante
battesimo suonava come una parola mi­
veva “cacciare i negri e i musi gialli”, pri­
nacciosa: Enoch. All’inizio fu usato come
ma di urlare a più riprese lo slogan del
insulto, poi sempre più spesso con compiaciuta esul­ National front: Keep Britain white.
tanza: “Ci pensa Enoch, a quelli come te”, e “Enoch
Figlio unico di una famiglia del ceto medio di Bir­
verrà a bussare alla tua porta, amico”. “Toc toc, sono mingham, socialmente inetto e represso, Powell si era
Enoch”, ti dicevano passando. Nelle periferie di Londra rifugiato nei libri e nell’erudizione per buona parte del­
i vicini di casa dichiaravano in tono di sida: “La nostra la sua vita. Il suo periodo più felice fu quello della guer­
famiglia sta con Enoch”.
ra, quando trascorse tre anni in India con i servizi segre­
Quando Powell avanzò la proposta di istituire un ti. Fu un’esperienza inebriante. Come molti inglesi,
ministero per i rimpatri, si diceva che noi igli di immi­ adorava l’impero e l’India coloniale, dove poteva sfug­
grati – la “prole”, come ci chiamava lui – saremmo stati gire ai genitori e alle costrizioni del suo paese e passare
espulsi. “Una politica di rimpatrio assistito con il paga­ il suo tempo con altri uomini. La mia famiglia mi ha
mento di contributi e sussidi fa parte del programma confermato che molti indiani erano timorosi e servili
politico del Partito conservatore”, dichiarava nel 1968. davanti ai militari inglesi. Come la maggior parte dei
A volte, mi chiedevo svogliatamente se mi sarebbe pia­ colonialisti, Powell era un uomo molto più potente e
ciuto vivere in India o in Pakistan – dove non ero mai importante in India di quanto fosse in Inghilterra. Non
stato – e se lì sarei stato bene accetto. Qualcuno soste­ c’è da stupirsi, quindi, che si deinisse patriottico e fosse
neva che non avrebbero mandato via noi che eravamo convinto che rinunciare all’impero sarebbe stato disa­
nati qui, solo i nostri genitori. Allora avremmo dovuto stroso. “Sono sempre stato un imperialista e un Tory”,
cavarcela da soli: già mi vedevo con un branco di metic­ diceva.
ci indesiderati e senza genitori, in cerca di cibo nei bo­
Al suo ritorno, nel 1945, Powell entrò in politica. Co­
schi del circondario.
me i grandi che aspirava a emulare, cominciò ad andare
Il rimpatrio “contribuirebbe a realizzare con il mini­ in chiesa e a praticare la caccia alla volpe. Parecchio
mo attrito quello che dovrebbe essere un obiettivo co­ tempo prima dei suoi discorsi sulla razza, Powell era un
mune: prevenire, inché siamo in tempo, un enorme obbediente servitore dello stato, noioso e anonimo, e
problema razziale nella Gran Bretagna del duemila”, un politico semisconosciuto. Ma in dal periodo del
diceva Powell. Era evidente. Se la Gran Bretagna aveva consenso, nel dopoguerra, in realtà fu un proto­
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
ale&ale
thatcheriano: un individualista antisindacale, fautore
del libero mercato e dei tagli alle tasse, con una visione
utopistica di un capitalismo senza regole in cui, miracolosamente, tutto ciò che la gente desiderava veniva prodotto dal semplice bisogno di proitto. Presto, come
diceva la Thatcher, non ci sarebbe stata alternativa.
Ma nel 1968 – quel grande anno di novità, sperimentazione e speranza in cui i giovani pensavano in termini
nuovi all’oppressione, ai rapporti interpersonali e
all’uguaglianza – ci fu un terribile ritorno. Questo strano personaggio edoardiano ricomparve all’improvviso
nella vita pubblica e decise di diventare un demagogo.
Richard Crossman, nel suo diario del 1968, scriveva
con preoccupazione del fascino che Powell esercitava
“sul grande pubblico, ben più del nostro parlamento e
della classe dirigente del partito che lui appoggiava”.
Fare leva sul peggio delle persone – sul loro odio – è
il modo più sicuro per ottenere attenzione, ma può anche essere letale. Powell era ritenuto intelligente, un po’
perché amava parlare come un libro stampato e un po’
perché era costantemente impegnato a tradurre erodoto. Ma non fu abbastanza intelligente da resistere alla
tentazione di giocarsi la reputazione per cavalcare il
populismo più bieco. Il razzismo è l’oro degli sciocchi o,
piuttosto, il crack dei politici, e gli anni settanta furono
un periodo pericoloso per la gente di colore, soprattutto
nella zona sud di londra, dove il National front era attivo e violento. Powell sacriicò la sua credibilità per una
causa ignobile: attaccare i più deboli e indifesi, i lavoratori che avevano lasciato il loro paese per venire in Gran
Bretagna. aveva elevato la sua fobia a una posizione
politica, imboccando una strada senza ritorno. Si era
convinto di avere un messaggio da trasmettere all’umanità, e fu proprio questa sadica e incrollabile certezza –
più che il contenuto del messaggio – a rivelare tutta la
sua follia.
Come molti razzisti, Powell aveva fantasie nostalgiche: prima di tutta quella mescolanza di etnie c’era
stata un’epoca di purezza e perfezione, quando la “britannicità” signiicava ancora qualcosa, e ti permetteva
di sapere chi eri. Powell si riiutava di permettere alle
sue certezze di entrare in contatto con la realtà. aveva
voluto conoscere l’India, ma il Regno Unito lo preoccupava appena e, a parte qualche fine settimana a
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
85
Pop
Storie vere
La legge
antiterrorismo per la
sicurezza, che è in
discussione al
parlamento
britannico,
comprende una
norma per le maestre
e le bambinaie
qualiicate degli asili
nido. Il
provvedimento,
preparato dal
ministero
dell’interno, dà
istruzioni per
identiicare i bambini
che “rischiano di
diventare terroristi” e
considera questo
parte del dovere di
prevenzione. Gli
istituti per l’infanzia
dovrebbero quindi
creare programmi
d’addestramento che
diano al personale
“strumenti adeguati
per identiicare i
bambini che corrono
più rischi”. Per David
Davis, deputato
conservatore, la legge
è “impraticabile”, e
per Isabella Sankey,
che lavora per
l’associazione per i
diritti umani Liberty,
“seminerebbe
diidenza, divisione e
alienazione in dalla
prima infanzia”.
86
Wolverhampton, trascorse buona parte della sua vita
a Londra.
Diversamente dalle rozze caricature delle persone
di colore proposte da Powell, E.R. Braithwaite – scrittore originario della Guyana e laureato a Cambridge, che
aveva prestato servizio nella Raf per poi diventare insegnante nell’East end perché non era riuscito mai a trovare lavoro come ingegnere – scriveva della razza nel
periodo che va dalla ine degli anni quaranta alla metà
degli anni sessanta. In particolare tre suoi lavori – To sir
with love, Reluctant neighbours e Choice of straws – raccontano in dettaglio la situazione in quel periodo. Se
essere una persona presuppone un riconoscimento da
parte degli altri, qui vediamo l’aspetto negativo. Da un
romanziere lucido e coraggioso apprendiamo le umiliazioni quotidiane, le ofese e i commenti che le persone di colore erano costrette a subire dopo essere state
invitate a contribuire al funzionamento del servizio sanitario nazionale e del sistema dei trasporti. Per costruire il futuro che voleva, la Gran Bretagna aveva bisogno
dei migliori medici, ingegneri, architetti, artisti e lavoratori in ogni ambito. E li importava per poi insultarli.
A Enoch Powell piaceva lamentarsi delle vili “imputazioni e insinuazioni” che doveva subire. Non vedeva
l’ora di fare la vittima e presentarsi come martire. Dal
canto suo, Braithwaite registrava la sistematica e degradante esclusione dall’accesso al lavoro e agli alloggi,
che tolse agli immigrati qualsiasi illusione sugli inglesi,
con tutte le loro chiacchiere sulla giustizia, la libertà e la
madrepatria. Braithwaite descriveva la rabbia e l’odio
che inevitabilmente nascono dalle continue umiliazioni, come già era avvenuto nel periodo colonialista. Probabilmente Powell intuiva che la tirannia crea resistenza, e che i futuri conlitti sarebbero stati prodotti proprio
dalla tirannia che lui stesso caldeggiava, da qui i suoi
toni apocalittici. Ma era una cosa che umanamente non
era in grado di comprendere, così come non aveva alcuna consapevolezza degli altri.
Anche Powell sembrava un po’ un maestro di scuola: sempre vestito di nero, indossava spesso un lungo
cappotto e ogni tanto anche una lobbia. Prepotente e
riottoso, si divertiva a far infuriare la gente con le sue
studiate provocazioni, sempre lanciate al momento
giusto/sbagliato. Aveva il coraggio di chiamarci “una
polveriera pronta a esplodere” perché anche lui, come
noi, si sentiva fuori posto. Certamente gli piaceva disorientarci e traumatizzarci: ogni volta che apriva bocca,
noi entravamo in crisi. Non sapevamo più dove eravamo o chi eravamo. Ma più Powell insisteva a rappresentarci come corpi estranei, incomprensibili e indesiderati, più ci aiutava a fare chiarezza e a opporre resistenza.
Dalle dichiarazioni provocatorie di Eric Clapton, per
esempio, nacque Rock against racism, un evento creato
da artisti, musicisti e attivisti per combattere il fascismo. Poi c’era la politica dell’identità. Non eravamo
“un niente”: ognuno di noi aveva una storia e, a diferenza di Powell, un futuro.
Lui stava creando il conlitto di cui sosteneva di essere la soluzione. E nel frattempo divideva il suo partito
e se ne allontanava. L’uomo che non poteva concepire
né tollerare l’idea di uguaglianza ben presto si trovò so-
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
stenuto dal National front. Da giovane si era deinito un
nietzschiano, ma Nietzsche avrebbe detestato il vile
appello alla massa o al gregge. Powell si rivolgeva al popolino e una cosa del genere, a uno schizzinoso come
lui, avrebbe dovuto sembrare spregevole. Forse lo avrà
indotto a rilettere sui limiti della nostra intelligenza, e
su quanto non sia in grado di difenderci dalle tentazioni
all’autodistruzione.
Tradì anche i suoi seguaci, perché non gli diede altro
che il brivido fugace della superiorità e dell’odio. Nel
mondo non cambiò niente di fondamentale, e il capitalismo selvaggio e senza scrupoli che Powell promosse
sulla base delle teorie economiche di Hayek creò ricchezza per alcuni ma non mostrò alcun riguardo per le
case e i posti di lavoro dei suoi sostenitori né per le altre
cose a cui lui diceva di tenere: la tradizione, i conini nazionali, il patriottismo o la religione. Nel mondo di
Enoch ognuno pensava per sé e l’egoismo avrebbe giovato a tutti.
Anche se veniva attaccato e condannato dagli studenti ovunque andasse, Powell non si prendeva il disturbo di rilettere sui profondi cambiamenti sociali che
attraversavano il paese mentre i giovani cercavano di
liberarsi dalle logiche del passato. Il Regno Unito non
stava decadendo, stava ricostruendo se stesso, anche
se ancora non sapeva come sarebbe diventato.
Oggi se passeggi tra la folla in un bel pomeriggio domenicale passando di fronte ai musei e alle vetrine abbaglianti dei negozi, Londra – perino agli occhi di chi
come me vive da anni in questa metropoli multirazziale
e dove si parlano tante lingue, meno frenetica di New
York e più determinata di Parigi – sembra qualcosa di
completamente nuovo. E diventa sempre più animata,
operosa, promettente e afascinante nella sua molteplice bellezza, soprattutto per quelli di noi che ricordano
quanto potesse sembrare noiosa e poco movimentata
negli anni settanta, soprattutto la domenica.
Il Regno Unito è sopravvissuto a Powell ed è diventato qualcosa che lui non avrebbe mai immaginato. Da
buon pessimista, non aveva alcuna iducia nella capacità degli individui di collaborare e stringere alleanze.
I conlitti culturali che temeva si sono rivelati il lato
positivo della globalizzazione: le persone non si vogliono bene perché sono uguali e non sempre si uccidono perché sono diverse. Dove comincia, veramente,
la diferenza? Perché dovrebbe cominciare con l’etnia
o il colore?
Il razzismo è la più bassa forma di snobismo. Il suo
linguaggio cambia: non è da molto tempo che la parola
“immigrato” è diventata un insulto, un sinonimo di
paki o negro. Noi restiamo ancora un impedimento
all’unità, e altri uomini pieni di risentimento come Powell, con i loro presagi e il loro bisogno di umiliare,
torneranno a dividere e a creare diferenze. L’esperimento neoliberista cominciato negli anni ottanta usa
il razzismo come uno spettacolo crudele, un numero
di intrattenimento che va in scena mentre i ricchi continuano ad accumulare ricchezza. Ma noi siamo tutti
migranti venuti da qualche altro posto. E se ci ricordiamo questo, potremmo anche andare da qualche parte,
insieme. u dic
Pittori
al cinema
Antonio Muñoz Molina
uardando i ilm che parlano di pittori
ci si rende conto di quanto sia diicile
mostrare i processi creativi al cinema,
compresi quelli legati alle immagini.
Ci si rende anche conto che il mondo
di oggi non sa cosa farsene del lavoro
dell’artista, soprattutto del mestiere sempre meno apprezzato del pittore o della pittrice.
Il cinema è movimento e un pittore passa molto
tempo a non fare niente, assorto a guardare o a rilettere. L’invenzione di un’opera avviene per lo più a grandi
profondità, dove è impossibile proiettare luce diretta.
La vita reale di un artista generalmente non ofre grandi spunti per un romanzo o un intreccio cinematograico, a meno che non si ricorra allo stereotipo del genio
mezzo rozzo e mezzo visionario, tormentato, fuori di
senno, sull’orlo della pazzia o completamente pazzo
che si ubriaca, si droga, si suicida. C’è anche il genio che
è manager e promotore della sua stessa genialità, come
Salvador Dalí e poi Andy Warhol, allo stesso tempo
astuto e stravagante, che di tanto in tanto smette di contare i soldi e si lancia in qualche acrobazia da circo per
raforzare il suo personaggio e quello che potremmo
deinire il suo marchio.
E così si arriva, con una sottomissione ormai completa dell’arte alle celebrità della moda e al commercio
di lusso, all’artista talmente impegnato a fornire oggetti a multimiliardari della maia russa e simili da non
avere più il tempo, la voglia o il bisogno di coltivare nessuna stravaganza. Si presenta come il manager di se
stesso, come un amministratore di fondi di investimento a massima redditività, anche se chiaramente speculativi: Damien Hirst, Jef Koons.
Ho visto sul New York Times un reportage su Jef
Koons nella sua casa dell’Upper east side e ho notato,
esaminando con attenzione le foto, che solo un dettaglio distingueva la sua dalle case dei megaricchi che
abbondano in quel quartiere: Koons non colleziona piccoli cani goniabili di alluminio, sculture in porcellana
di Michael Jackson e del suo scimpanzé Bubbles o scaffali pieni di scatole di medicinali e barattoli, ma quadri
di antichi maestri con cornici barocche dorate, scene di
Watteau, paesaggi impressionisti.
Sono andato a vedere Turner perché mi piacciono
molto i ilm di Mike Leigh e i dipinti di Turner. E mi sono reso conto che, in un mondo in cui c’è sempre meno
spazio per la pittura e per i pittori, un ilm sulla vita di
uno di loro dev’essere più inverosimile che mai, molto
più di quando Vincente Minnelli ha cercato di far somigliare Kirk Douglas a Vincent van Gogh e Anthony
Quinn a Paul Gauguin, o di quando hanno mascherato
Anthony Hopkins con una inta calvizie sormontata da
un basco per farlo assomigliare a Picasso.
G
ANGELO MONNE
Negli anni cinquanta, negli anni ottanta, la pittura
destava ancora delle aspettative, risvegliava entusiasmo e rispetto. Adesso un pittore, un pittore immaginato in un ilm, immerso nella solidità documentaria di
una sontuosa ambientazione storica, si rivela un soggetto che ha i modi brutali e il portamento rozzo di un
antropoide che si esprime con grugniti rochi, e lo riconosciamo come William Turner soprattutto perché
quando guarda la campagna, il mare o il tramonto vede
in anticipo dei quadri evidentemente di Turner. Il suo
talento è un dono inspiegato e immeritato, come quello
del Mozart pensieroso e mezzo idiota del ilm di Miloš
Forman. Ogni tanto questo Turner tira fuori un quaderno e fa uno schizzo veloce, come se scattasse una foto
con il cellulare. Ogni tanto, per consentirci di ammirare
la sua rozza autenticità, corregge il dipinto ancora fresco con le dita o ci sputa sopra grugnendo. In un pranzo
formale mastica a bocca aperta e il cibo gli cade dalla
bocca, macchiandogli il gilet. Una cameriera gli passa
accanto e lui la palpa volgarmente senza rivolgerle la
parola o guardarla in faccia. È assalito da un’urgenza
sessuale come un orango in calore e si avvicina alla cameriera da dietro, sempre grugnendo, con gorgoglii di
lussuria zoologica. Poi, concluso l’accoppiamento, si
allontana a testa bassa e con le braccia penzoloni.
È vero che Turner non aveva un aspetto rainato. I
ritratti dei suoi contemporanei e le sue testimonianze
scritte suggeriscono che fosse un uomo grosso, robusto, dai tratti decisi, con il naso aquilino. Suo padre era
stato barbiere e sua madre veniva da una famiglia di
macellai. Crebbe nelle strade popolari di Londra, tra i
mercati e sui moli in riva al Tamigi, e sembra che avesse
un forte accento cockney. Ma frequentò in da bambino
la Royal academy, e nei suoi viaggi in Francia, in Olanda e in Italia studiò da vicino i grandi maestri che contribuirono a forgiare il suo stile, molto più radicato nella
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
87
Pop
ALLISON MCVETY
è una poetessa
britannica nata nel
1964. Questa poesia
è uscita sul numero
speciale di Oxford
Poetry pubblicato per
i cent’anni della
rivista. Traduzione di
Francesca Spinelli.
tradizione di quanto oggi ci piaccia pensare.
Siamo afetti da quella che lo storico A.J.P. Taylor ha
deinito “condiscendenza verso il passato”: per ammirare un artista di un’altra epoca gli attribuiamo l’anacronismo di aver anticipato il nostro tempo, come quei
profeti biblici che sono venerati non per il coraggio dei
loro ammonimenti contro gli abusi dei potenti ma per il
presunto vaticinio della nascita di Cristo, diversi secoli
dopo. Monet e Rothko non sarebbero esistiti senza Turner. Ma quelli con cui si misurava davvero Turner erano
Tiziano, Rembrandt e i paesaggisti olandesi, Veronese,
Watteau e i suoi contemporanei. E, anche se è vero che
non era bravo con le parole, non era certo un ignorante
benedetto dall’istinto, un barbaro geniale da leggende
romantiche e da ilm in technicolor. Il punto di partenza
della sua ispirazione spesso furono la mitologia e la letteratura classica. Lesse Virgilio, Shakespeare, Milton,
Byron, studiò nel dettaglio i marmi appena rubati al
Partenone e portati a Londra. Cominciò perino a scrivere un poema epico dal titolo straordinario: The fallacies of hope.
Il vero segreto di Turner non sono altro che la vocazione e il mestiere, la perseveranza dell’apprendimento, la disciplina e la dedizione, e il pieno ed esclusivo
godimento di un lavoro a cui si dedicò tutta la vita. Fu
un uomo schivo e con l’età diventò più burbero, ma le
testimonianze dicono che gli piaceva cenare e parlare
con gli amici e che era bravissimo con i bambini. Un
compagno di viaggio in diligenza, che inizialmente non
sapeva chi fosse, lo descrisse come un uomo minuto e
gioviale che si afacciava continuamente dal inestrino
per guardare il paesaggio e disegnava sul suo quaderno
nonostante i sobbalzi del tragitto. Lasciò più di cinquecento quadri e migliaia di disegni e acquarelli. In un
mondo dominato dagli speculatori e dagli impostori,
niente è più strano e più inverosimile della dedizione
assidua e solitaria al lavoro che caratterizza la vita di un
pittore. u fr
Poesia
La moglie mancina
1913 Soia, duchessa di Hohenberg, moglie dell’arciduca
Ferdinando
che così ero chiamata poiché la mia mano destra
[non era degna della sua
che le nostre nozze furono come genziana per
[le labbra degli Asburgo
che nondimeno egli rinunciò a tutto fuorché al presente
[per amor mio
che siamo ospiti, a dispetto del protocollo,
[della corona inglese
che siamo venuti a Windsor nel nostro quattordicesimo
[anniversario, avorio, mi dicono
che i faggi e le querce piegano le loro chiome per noi
che i coriandoli sono una pioggia d’oro e di bronzo
che le risate qui non hanno bordi ailati
che la sala da ballo non china lo sguardo
[al nostro passaggio
che quando gli uomini vanno a caccia i cieli
[si anneriscono d’ali
che 1.700 fagiani sono stati uccisi ieri, mille oggi
che le cucine reali non accettano più cacciagione
che gli uccelli pendono come frac nei cortili del castello
Allison McVety
Scuole Tullio De Mauro
Test in fermento
Da settimane la commissione
istruzione del senato degli Stati
Uniti, altri ambienti politici e giornali sono impegnati in vivaci discussioni sui test di proitto nelle
scuole. Non è in dubbio la bontà
intrinseca dei test: le prove di misurazione e valutazione oggettiva
di conoscenze e competenze sono
una pratica ben radicata nella tradizione scolastica nordamericana.
In discussione è il ricorso a test
uguali dappertutto per misurare
progressi o peggioramenti degli
istituti scolastici, e procedere poi
88
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
a premiare quelli che hanno migliori punteggi punendo i più scarsi. Quest’uso è una novità degli
anni duemila, dovuta alla legge
No child left behind.
Proposta dall’amministrazione
repubblicana di George W. Bush
nel 2001 e approvata con il pieno
accordo dei democratici, la legge
avrebbe dovuto scadere nel 2007.
In realtà ha continuato a funzionare. Nessuno vuole disconoscere
il suo obiettivo di fondo: l’inclusione, il riuscire a portare la totalità di alunne e alunni a completare
l’istruzione secondaria superiore.
Ma lo strumento dei test standard
si è rivelato ineicace e dannoso.
Da un lato le scuole fanno carte
false per non far iscrivere proprio i
disabili o disagiati. E d’altro lato
imperversa il teaching for testing:
lasciata da parte ogni altra materia, si insegna e si studia solo perché siano meglio afrontati i test di
lingua e matematica. Il governo
federale e diversi senatori e deputati stanno preparando leggi per
limitare o abbandonare quest’uso
dei test. u
Scienza
CHIArA dAttOLA
puter prima di tutto ha confrontato le regi­
strazioni con un testo che conosceva e poi
ha cercato di indovinare quello che i volon­
tari dicevano in un nuovo video. Se il primo
video era della stessa persona del secondo
il computer era discretamente accurato:
intorno al 75 per cento per tutti i lettori e
oltre il 97 per cento per uno di loro. Se inve­
ce i due video erano di persone diverse,
l’accuratezza della lettura del secondo vi­
deo crollava a una media del 33 per cento e
in alcuni casi al 15 per cento (a quanto pare
bai e barba confondono molto), proprio
come succede ad assistenti virtuali non ad­
destrati.
Gola e guance
Occhio a come parli
The Economist, Regno Unito
Per rendere più eicaci
i programmi di riconoscimento
vocale, i ricercatori hanno
cominciato a puntare anche
sulla lettura delle labbra. E di
altre parti del corpo
e ci risultasse che funziona
male, non avremmo altra
scelta se non quella di esclu­
derlo”, dice Frank Poole,
l’astronauta di 2001: Odissea nello spazio, a
proposito di Hal, il computer assassino che
ha preso il comando dell’astronave. Hal ca­
pisce che gli astronauti hanno intenzione
di spegnerlo perché riesce a leggere le loro
labbra attraverso un vetro, una strategia
che diversi ricercatori e aziende vorrebbero
adottare. L’obiettivo, però, non è tanto mi­
gliorare la prestazione dei robot alla guida
dei veicoli spaziali quanto perfezionare gli
assistenti vocali come Siri della Apple e
Cortana della Microsoft.
Nonostante i progressi costanti, i soft­
ware di riconoscimento vocale dovranno
sempre vedersela con i rumori circostanti.
In un uicio silenzioso è probabile che l’as­
“S
90
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
sistente virtuale a cui si chiede di comporre
un numero telefonico senta i numeri giu­
sti. Nel traico di una strada o nella confu­
sione di una festa, invece, è diicile che
funzioni. Se solo il cellulare sapesse legge­
re le labbra.
Ahmad Hassanat, un ricercatore
dell’università giordana di Mu’tah che si
occupa d’intelligenza artiiciale, sta cer­
cando di insegnarlo a un programma. In
passato gli scienziati si sono concentrati
sulla forma e sul movimento delle labbra
mentre producono i fonemi (singoli suoni
come “b”, “ng” o “th”). Il problema è che in
inglese ci sono appena una decina di im­
magini visive dei suoni – chiamate “vise­
mi” – per una cinquantina di fonemi. Il la­
biale di “pan” e “banned”, per esempio, è
molto simile ed è quindi diicile ricostruire
le parole a partire dai soli visemi. Così negli
ultimi anni Hassanat ha provato a indivi­
duare il segno visivo caratteristico di intere
parole, osservando, oltre alle labbra, la lin­
gua e i denti.
In un articolo pubblicato alla ine del
2014, Hassanat spiega di aver addestrato il
suo programma ilmando dieci donne e se­
dici uomini di etnie diverse mentre legge­
vano brani di un testo. In alcuni casi il com­
Alcuni ricercatori propongono di non con­
centrarsi solo sulla bocca. Nel 2013 Yasuhi­
ro Oikawa, un ingegnere dell’università
giapponese di Waseda, ha ripreso una gola
con una videocamera ad alta velocità, in
grado di ilmare diecimila fotogrammi al
secondo, per misurare le minuscole e velo­
cissime vibrazioni della pelle causate
dall’atto del parlare. In teoria le esatte fre­
quenze presenti nelle vibrazioni si possono
usare per ricostruire la parola pronunciata.
Finora, però, il team del dottor Oikawa è
riuscito a mappare le vibrazioni visive solo
di una parola giapponese.
I risultati migliori si ottengono a distan­
ze ancora più ravvicinate. L’idea della start­
up israeliana VocalZoom è di puntare un
laser a bassa potenza sulla guancia per mi­
surare le vibrazioni da cui dedurre le fre­
quenze del parlato. Il programma combina
i risultati con l’audio normale di un micro­
fono, eliminando rumori di fondo o altre
voci e lasciando solo le frequenze dei movi­
menti della guancia.
All’inizio di gennaio l’azienda ha pre­
sentato la sua tecnologia al Ces, una grande
iera di elettronica notoriamente assordan­
te, e ha fatto colpo sui giornalisti. Ma non è
ancora pronta per il mercato di massa. Per
ora, infatti, il prototipo è più grande degli
smartphone in cui andrebbe inserito, e
convincere i produttori ad aggiungere com­
ponenti ai loro apparecchi sempre più sot­
tili ed eleganti non sarà facile. L’azienda
potrebbe avere più possibilità nel settore
automobilistico, che ormai si aida molto
al controllo vocale. Sembra che VocalZoom
sia in trattativa con un’importante casa au­
tomobilistica. Con un po’ di fortuna e di
pazienza, potrebbe perino puntare ai vei­
coli spaziali. u sdf
l’evoluzione
del pollice
ogm più sicuri
SAlute
morbillo
statunitense
Dichiarato “eliminato” nel
2000 negli Stati uniti, il morbil­
lo è progressivamente tornato
nel paese. nel 2014 sono stati
segnalati 644 casi in 27 stati. nel
2015 i casi sono 68 (al 23 genna­
io), quasi tutti collegati al parco
Disneyland di Anaheim, in cali­
fornia, da dove sembra partita
l’ultima epidemia. l’aumento
dei casi sarebbe legato al calo
delle vaccinazioni.
800
2014
fonte: cDc
400
2011
2013
2008
2009
0
Gen
un nuova tecnica potrebbe rendere
gli organismi geneticamente
modiicati più sicuri. Per produrre
farmaci, molecole o carburanti si
usano spesso i batteri transgenici. ma
c’è sempre il rischio che possano
difondersi nell’ambiente. Per
evitarlo sono stati creati complessi
sistemi di isolamento isico. ora due
équipe di ricercatori hanno ideato un nuovo metodo per
evitare la difusione involontaria dei batteri modiicati:
una barriera biologica. In una prima ricerca è stata
modiicata una cellula batterica, manipolando il codice
genetico e il sistema che lo traduce nelle sequenze di
aminoacidi che formano le proteine. In questo modo i
ricercatori sono riusciti a inserire in una proteina
essenziale un aminoacido che esiste solo in laboratorio. Se
l’aminoacido sintetico non è disponibile, come avviene in
natura, il batterio non può vivere. nell’altro studio è stato
adottato un metodo simile per far sì che alcuni enzimi
essenziali del batterio possano funzionare solo in presenza
degli aminoacidi sintetici. I due studi suggeriscono un
nuovo approccio agli ogm, che li potrebbe rendere più
resistenti alle mutazioni e allo scambio di geni con altri
organismi, e più facilmente isolabili. ma le applicazioni in
agricoltura sono ancora lontane. u
Dic
Ambiente
tre minuti
alla ine
Il cambiamento climatico fuori
controllo, l’ammodernamento
delle armi atomiche e l’esisten­
za di enormi arsenali nucleari
minacciano seriamente l’uma­
nità. Per questo il Bulletin of
the Atomic Scientists ha spo­
stato le lancette del suo Dooms­
day clock (il simbolico orologio
dell’apocalisse creato dagli
scienziati nel 1947) di due minu­
ti, portandolo a tre minuti dalla
mezzanotte e dalla ine del
mondo. Per invertire la tenden­
za si dovrebbero limitare le
emissioni di gas serra, ridurre la
spesa per l’aggiornamento delle
armi atomiche, riattivare il pro­
cesso di disarmo e afrontare il
problema delle scorie nucleari.
Inine, si dovrebbero tenere sot­
to controllo le nuove tecnologie.
in breve
Astronomia
i primi studi sui dati di rosetta
Nuovi casi di morbillo, Stati Uniti
200
Nature, Regno Unito
n. thomAS et Al
la capacità di maneggiare gli
oggetti è comparsa tra gli omini­
di molto prima di quanto si pen­
sasse. lo testimonia indiretta­
mente il pollice dell’Australopithecus africanus, vissuto in Afri­
ca meridionale fra i tre e i due
milioni di anni fa. confrontan­
do la struttura interna delle ossa
del pollice dello scimpanzé, di
diverse specie di ominidi e
dell’uomo moderno, si è visto
che l’A. africanus aveva già evo­
luto le caratteristiche tipiche del
pollice opponibile che permet­
tono di impugnare con forza e
precisione (tra il pollice e le altre
dita) gli oggetti. Sono caratteri­
stiche che si sono evolute lenta­
mente con il passaggio alla posi­
zione eretta. Probabilmente
l’uso di utensili cominciò già
con gli ominidi africani, scrive
Science, anche se i primi uten­
sili conosciuti risalgono a 2,6
milioni di anni fa.
600
BulletIn of the AtomIc ScIentIStS
genetica
pAleoAntropologiA
la cometa 67P/churyumov­Gerasimenko ha al suo interno una
struttura porosa, mentre la supericie è caratterizzata da dune e altri
rilievi. l’involucro di gas che l’avvolge mostra cambiamenti giorna­
lieri e forse stagionali, a causa degli efetti dei raggi solari. Sono que­
sti i primi risultati, pubblicati su Science, dell’analisi dei dati raccolti
dalla sonda Rosetta dell’esa. le comete sono studiate a fondo per­
ché si sono formate nelle prime fasi di vita del Sistema solare e pos­
sono quindi fornire informazioni su quel periodo. u
Neuroscienze È stato indivi­
duato nei topi il circuito nervoso
che segnala la sete. Quando un
sottogruppo di cellule della rete
è attivato, il topo comincia subi­
to a bere acqua, anche se è già
ben idratato. Attivando l’altro
sottogruppo, il topo riiuta l’ac­
qua anche se è disidratato, scri­
ve nature. Si pensa che questa
rete di cellule nervose sia pre­
sente in tutti i mammiferi.
Salute nel 2015 in europa la
mortalità per tumore al polmo­
ne tra le donne potrebbe supera­
re quella per cancro al seno,
scrive l’équipe di carlo la Vec­
chia sugli Annals of oncology.
nel complesso, però, la mortali­
tà per cancro dovrebbe diminui­
re del 7,5 per cento tra gli uomini
e del 6 per cento tra le donne.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
91
Il diario della Terra
Bansi
Ethical living
Autonomia
Tonga
ridotta
-47,7 °C
Seymchan,
Siberia
Stati Stati
Uniti Uniti
3,2 M 4,3 M
Francia
Stati Uniti
Libano
Malawi
Mozambico
AMOS GUMULIRA (AFP/GEttY)
Sudafrica
Makhanga, Malawi
Alluvioni Il bilancio delle
alluvioni che hanno colpito
l’Africa sudorientale nelle
scorse settimane continua ad
aggravarsi: 68 morti e 134mila
sfollati in Madagascar, e 117
morti e 157mila sfollati in Mozambico. In Malawi, dove le
vittime sono 176, le persone
colpite dalle alluvioni sarebbero oltre 600mila, tra cui
200mila rimaste senza casa.
Tempeste La tempesta Juno sullo stato di New York è
stata meno forte di quanto annunciato, con circa 25 centimetri di neve in poche ore
contro i 60 previsti. Più colpiti
sono stati il Connecticut e il
Massachusetts: alla periferia
di Boston sono caduti 91 cen-
92
47,7°C
Paynes Find,
Australia
Fiji
6,1 M
timetri di neve. Per precauzione più di duemila voli sono
stati cancellati. u Due profughi siriani sono morti di freddo nel sudest del Libano, colpito da una tempesta di neve.
Un’ondata di freddo ha colpito buona parte del Medio
Oriente.
raddoppierà. La Niña è un
fenomeno climatico dell’oceano Paciico caratterizzato
dall’abbassamento della temperatura dell’acqua. I suoi effetti sono più estremi quando
la supericie fredda del mare
contrasta con il riscaldamento della terraferma.
Valanghe Sei sciatori francesi sono morti travolti da una
valanga sul massiccio del
Queyras, in Francia.
Biodiversità I cambiamenti
climatici e la deforestazione
potrebbero ridurre l’habitat
di circa metà dei mammiferi
del Borneo. Migliori politiche
di conservazione delle aree
montane potrebbero però
contenere questa perdita di
habitat. Anche modesti aumenti delle aree protette migliorerebbero sensibilmente
le prospettive di conservazione, scrive Current Biology.
Clima Gli eventi estremi
legati alla Niña potrebbero
diventare più frequenti, scrive Nature Climate Change.
Si prevede che la frequenza
di eventi come le siccità nel
sudovest degli Stati Uniti o le
alluvioni in Estremo Oriente
Parco nazionale Kruger, Sudafrica
SIPHIWE SIBEkO (REUtERS/CONtRAStO)
Terremoti Un sisma di
magnitudo 6,1 sulla scala
Richter è stato registrato al
largo dell’isola di Ndoi, nelle
Fiji. Altre scosse sono state
segnalate negli Stati Uniti
(Oklahoma e California).
Madagascar
Rinoceronti Nel 2014 in Sudafrica sono stati uccisi illegalmente 1.215 rinoceronti. Il 21 per cento in più del 2013. La crescita
del bracconaggio è dovuta all’espansione del mercato nero dei
corni di rinoceronte, richiesti soprattutto da Cina e Vietnam.
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
Quando usano l’auto elettrica
fuori città, gli automobilisti
britannici dovrebbero fare bene i loro conti, scrive l’Independent. Il giornalista Jamie
Merrill ha sperimentato con
una Golf elettrica l’Electric
highway, la nuova rete di stazioni di carica
sull’autostrada
Filippine
5,8 a
MLondra. La
M6 da Glasgow
rete dell’azienda Ecotricity è
composta da un centinaio di
colonnine e sarà completata
nei prossimi mesi. Rispetto alla tecnologia precedente, i
nuovi punti di ricarica permettono di “fare il pieno” in appena mezz’ora.
Arrivato circa a metà strada, Merrill si è accorto che la
batteria dell’auto era quasi scarica. Le alternative erano due:
fare una deviazione sulla M58
o tentare la sorte proseguendo
verso la cittadina di Wigan.
L’indicatore dell’auto suggeriva che la carica era sufficiente
per raggiungere Wigan, ma il
sole era tramontato, pioveva e
la temperatura si stava abbassando. Il freddo riduce la durata della batteria, che è usata
anche dai fari e dal tergicristallo: se in estate la Golf elettrica
percorre 190 chilometri con
una batteria, in inverno la distanza si dimezza. Merrill ha
deciso di procedere sulla M6,
spegnendo il riscaldamento e
viaggiando a 77 chilometri
orari per risparmiare energia.
Quando è riuscito ad arrivare
alla stazione di ricarica, la colonna non funzionava. Ha concluso quindi il viaggio verso
Londra in treno, mentre l’auto
è stata caricata sul carro attrezzi. “Bisogna però ricordare”,
dice il fondatore di Ecotricity,
“che siamo solo all’inizio di
una rivoluzione”.
Il pianeta visto dallo spazio 04.11.2014
Il golfo di Taranto, Italia
Fiume Crati
Fiume Sarmento
Golfo di Taranto
Taranto
Anello di Nardò
earThobServaTory/NaSa (2)
Gallipoli
Nord
u Il golfo di Taranto si trova alla base dello stivale e forma il
vuoto tra il tacco e la punta. è
largo circa 140 chilometri per
140 chilometri di lunghezza.
Sul golfo si afaccia la città
di Taranto, un importante porto
commerciale e militare con acciaierie, impianti siderurgici,
rainerie di petrolio, stabilimenti chimici, cantieri navali e
aziende alimentari.
Le volute celesti che lambiscono le coste potrebbero essere dovute ai sedimenti trasportati dai iumi o all’erosione delle spiagge, oppure potrebbero
dipendere dalle sostanze inqui-
nanti riversate dalle città. La
voluta compatta al largo di Taranto presenta una circolazione
in senso orario, e quindi potrebbe venire dal Sarmento, uno dei
principali iumi che sfociano
nel golfo.
Una parte di sedimenti, però, è quasi certamente prodotta
dai delussi urbani, perché le
volute più consistenti si trovano
nei pressi delle due città maggiori, Taranto e Gallipoli. Il
Crati, che è il iume più importante della zona, contribuisce
in misura minore.
Dallo spazio si riconosce facilmente l’anello di Nardò (nel-
Questa foto del golfo di Taranto è stata scattata dagli
astronauti della spedizione
42 a bordo della Stazione
spaziale internazionale.
u
la foto piccola scattata nel 2008
dal satellite Terra). Si tratta di
una pista di prova per le auto,
che ha una circonferenza di 12,5
chilometri, a una cinquantina
di chilometri da Taranto.
–L. Vanderbloemen (Nasa)
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
93
Economia e lavoro
MArtIN LEISSL (BLooMBErG/GEtty IMAGES)
Mario Draghi nella sede della Bce a Francoforte, Germania, il 22 gennaio 2015
L’ultima mossa
di Mario Draghi
Martin Wolf, Financial Times, Regno Unito
La Banca centrale europea ha
lanciato un piano per l’acquisto
di titoli che ha l’obiettivo di
salvare l’euro. Nonostante i
limiti, è una decisione che non
era più possibile rimandare
overo Mario Draghi. Il presidente
della Banca centrale europea
(Bce) sta cercando di portare acqua al mulino dell’eurozona, ma
purtroppo le teste che lo gestiscono sono
tante: c’è chi desidera un lusso costante e
chi invece ritiene che tutta quell’acqua sia
dannosa. La Bce, però, doveva fare qualcosa per scongiurare la delazione, un fenomeno che sarebbe molto pericoloso. Così il
22 gennaio ha lanciato il cosiddetto quantitative easing, o alleggerimento quantitativo,
decidendo di comprare titoli per 60 miliardi di euro al mese, da marzo 2015 ino a settembre 2016. E, dettaglio non da poco,
l’istituto di Francoforte ha precisato che gli
acquisti continueranno inché non ci sarà
un “aggiustamento costante” verso un tasso d’inlazione “inferiore, ma di poco, al 2
per cento”. La distribuzione degli acquisti
P
94
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
dovrà essere proporzionata alla quota di
capitale della Bce detenuta da ogni paese.
Inoltre, facendo una concessione alla Germania, Draghi ha anche accettato che l’80
per cento degli acquisti rientri nel bilancio
delle banche centrali nazionali.
Questo piano, molto più coraggioso del
previsto, potrebbe innescare la ripresa
dell’eurozona, che in questo momento sta
traendo vantaggio dal calo del prezzo del
petrolio, da alcune riforme strutturali, dal
consolidamento del settore bancario e da
una notevole riduzione degli interessi sui
titoli di stato. Inoltre, potrebbe migliorare la
iducia nell’eurozona in modo esponenziale, o almeno è lecito sperarlo.
Debolezza cronica
Le critiche al piano di Draghi arrivano da
due parti. Da un lato c’è chi ammette che
l’eurozona è afetta da una debolezza cronica della domanda, e quindi ritiene necessari solo strumenti di politica economica ordinari. Queste persone credono che le misure
monetarie non servano. Anzi, fanno in modo che i governi trascurino l’adozione di
politiche a sostegno della domanda.
Dall’altro lato c’è chi è convinto che l’alleggerimento quantitativo sia quasi un’in-
venzione del demonio. Sorvoliamo sull’opinione che considera l’alleggerimento quantitativo il primo passo verso l’iperinlazione,
perché i dati dimostrano chiaramente il
contrario. Le argomentazioni più serie sono
quelle secondo cui una delazione lieve non
è dannosa, la politica monetaria non può
risolvere le debolezze strutturali e l’alleggerimento quantitativo spingerà i governi a
non fare le riforme previste.
Alla prima obiezione si può rispondere
sostenendo che la delazione aggraverebbe
i problemi degli stati più indebitati. Inoltre,
a diferenza del Giappone, l’eurozona non
potrebbe ricorrere alla politica di bilancio
se avesse bisogno di contenere l’impatto
della delazione. Inine, se la Bce fallisse nel
suo tentativo, la sua credibilità sarebbe gravemente danneggiata.
La risposta alla seconda obiezione è:
certo, l’alleggerimento monetario non risolverà le diicoltà strutturali, ma la crisi
dell’eurozona non dipende dal fatto che i
problemi dell’offerta si sono aggravati
all’improvviso. La sua economia si è inceppata a causa del crollo della domanda. Bisogna anche considerare che le riforme relative all’oferta non produrranno necessariamente un aumento della domanda, come
ha dimostrato la Germania nell’ultimo decennio. In efetti, le riforme del mercato del
lavoro potrebbero perfino ridurre la domanda nel breve periodo, a causa dei tagli
ai salari e del timore dei lavoratori di essere
licenziati. Per questo un energico sostegno
alla domanda è una necessaria integrazione delle riforme relative all’oferta, soprattutto perché l’eurozona non può certo sperare di registrare un surplus commerciale
consistente come quello tedesco.
La risposta all’ultima obiezione è che è
esagerato pensare che i governi faranno le
riforme solo se costretti con la forza. A questo si può anche aggiungere un valido argomento: gli stati che s’impegnano a realizzare riforme dolorose ma senza il sostegno di
politiche incentrate sulla domanda perderanno consensi e saranno bocciati dagli
elettori. Così l’eurozona potrebbe trovarsi
presto di fronte a governi populisti di sinistra o di destra, andando incontro a una catastrofe molto più grave.
Nessuno può dire se il piano di Draghi
funzionerà. L’opposizione tedesca potrebbe metterne a dura prova la credibilità. Ma
almeno la Bce ha agito. Non è la soluzione
deinitiva, però permetterà all’eurozona di
continuare a funzionare. u fp
Russia
Sviluppo
deludente
Mosca, 23 gennaio 2015
SERGEI KARpUKhIN (REUtERS/CONtRAStO)
I cittadini dei paesi nati dopo il
dissolvimento della Jugoslavia
“sono delusi dallo sviluppo economico di questi anni”, scrive la
Frankfurter Allgemeine Zeitung. Eppure, rispetto agli anni
novanta “il pil pro capite è cresciuto stabilmente. In Slovenia,
per esempio, ha raggiunto i
21.800 euro, il 15 per cento in
meno rispetto alla media
dell’Unione europea, ma è il livello più alto mai toccato dal
paese”. Anche la Croazia ha registrato progressi notevoli, mentre gli altri stati sono più poveri
ma hanno tassi di crescita senza
precedenti. Lo sviluppo, osserva
il quotidiano, è ostacolato
dall’eccesso di debiti, dalla debolezza delle istituzioni, dalla
corruzione. Questi fattori per
ora impediscono a paesi come la
Serbia o la Macedonia di entrare
nell’Unione europea. “E intanto
la Russia e la Cina potrebbero
approittarne per farsi strada nei
Balcani”.
CINA
Debito declassato
L’agenzia di rating Standard & poor’s ha declassato il debito pubblico della Russia portandolo al livello BB+. “Questo ulteriore colpo alla credibilità del paese”, spiega Die Tageszeitung, “è legato ai
danni economici prodotti dal crollo del prezzo del petrolio e dalle
sanzioni occidentali per la crisi ucraina”. Dopo la decisione di Standard & poor’s sarà più diicile per il Cremlino inanziarsi.
Un piano
contro l’ebola
Secondo l’ong britannica Oxfam
serve un grande piano d’investimenti – sul modello del piano
Marshall lanciato in Europa dagli Stati Uniti dopo la seconda
guerra mondiale – per far ripartire le economie dei paesi africani colpiti dall’epidemia di ebola.
In Sierra Leone, in Guinea e in
Liberia il virus ha ucciso più di
8.500 persone. Oxfam, scrive la
Bbc, sostiene che “bisogna aiutare economicamente le famiglie colpite dal virus, investire in
attività produttive e raforzare
servizi come la sanità e l’istruzione”. Secondo uno studio di
Oxfam condotto in tre province
della Liberia, l’epidemia ha ridotto il reddito del 73 per cento
delle famiglie.
Nel 2015 la iliale cinese della
GlaxoSmithKline (Gsk) licenzierà circa mille persone, scrive il
settimanale Caixin. La decisione potrebbe essere legata al calo
di vendite registrato dopo il
coinvolgimento del gruppo farmaceutico in uno scandalo di
corruzione. “Nel giugno del
2013 le autorità cinesi hanno
aperto un’inchiesta sulla Gsk accusando l’azienda di pagare tangenti a ospedali e a operatori sanitari per far crescere i prezzi e
le vendite dei suoi prodotti. Nel
2014 la Gsk è stata multata per
tre miliardi di yuan (422 milioni
di euro) e cinque dirigenti sono
stati condannati”. Lo scandalo
ha penalizzato gli afari della
multinazionale: nei primi nove
mesi del 2013 le vendite in Cina
sono calate del 61 per cento”.
Romania
Il paese delle case vuote
IN BREVE
Brand Eins, Germania
AFRICA
La Glaxo
licenzia
Certeze è un piccolo comune della
transilvania, nel nord della Romania,
pieno di belle case, che però restano
per gran parte dell’anno vuote e
silenziose. “In Romania”, scrive
Brand Eins, “ci sono molti posti
come Certeze. Villaggi vuoti in un
paese che negli ultimi dieci anni ha
visto emigrare all’estero più di due
milioni di abitanti, il dieci per cento della popolazione”. A
Certeze risiedono 5.763 persone, ma almeno 2.300
lavorano fuori dalla Romania. Molti villaggi si rianimano
solo un paio di volte all’anno – d’estate o durante le
festività natalizie – quando gli emigrati tornano a casa per
le vacanze. A Certeze ci sono “case particolarmente
sontuose, una dimostrazione del fatto che il successo e
l’0rgoglio degli emigrati si trasformano spesso in cemento.
Negli anni passati quasi tutte le case del villaggio sono
state ristrutturate. Le proprietà sono protette da alti
cancelli di ferro e da muri rivestiti di granito nero. Alcune
ville sono così grandi che potrebbero essere usate come
alberghi”. ◆
Stati Uniti Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è sceso
al 5,6 per cento, un livello vicino
a quello registrato prima della
crisi. Ma più signiicativo è il calo della forza lavoro: nel 2009 il
66 per cento degli statunitensi
lavorava o era in cerca di un lavoro, oggi la quota è scesa al
62,7 per cento. Questo vuol dire,
spiega Bloomberg Businessweek, che molte persone rimaste disoccupate a causa della
crisi hanno rinunciato a cercare
lavoro: in molti casi perché sono
scoraggiate, ma spesso perché si
sono rimesse a studiare o hanno
gravi problemi isici.
Disoccupati statunitensi che non
cercano lavoro, motivi, %
8
Studio
6
4
Famiglia
Salute
2
Altri
0
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2008
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
2014
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fONtE: BLOOMBERG BUSINESSwEEK
BALCANI
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Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
L’oroscopo
Rob Brezsny
Nel 1899 il re dello Swaziland morì durante una danza.
Il suo unico iglio, Sobhuza, fu incoronato suo successore anche se aveva solo quattro mesi. Ci volle molto tempo prima che il nuovo re imparasse a comportarsi da sovrano. Ma
alla ine mostrò un’ottima predisposizione per quel compito e governò ino alla morte, a 83 anni. Sento che hai qualcosa in comune con Sobhuza, Acquario. Potresti disporre di nuovi poteri prima
di essere veramente pronto a esercitarli. Ma sono sicuro che alla
ine ti dimostrerai all’altezza della situazione.
ARIETE
Hai un gruppo che ti aiuta a
fare magie quando non riesci a farle da solo? C’è un manipolo
di cospiratori che ti stimola a essere coraggioso e lungimirante? Se
non ce l’hai, cerca di metterlo insieme alla svelta. Se invece hai già
una squadra di persone che ti motivano, discuti con loro le nuove
avventure in cui imbarcarvi. Immagina i rischi intelligenti e le
emozioni istruttive che potreste
provare insieme. Secondo la mia
lettura dei presagi astrali, hai bisogno della scintilla che una banda
grintosa può far scoccare.
TORO
Sembra che il cosmo ti stia
autorizzando a essere sfacciatamente ambizioso. Non so per
quanto tempo durerà, perciò ti
consiglio di sfruttarlo inché c’è.
Quale impresa non ti sei mai sentito abbastanza preparato ad afrontare? Quale persona, associazione
o progetto hai sempre considerato
fuori della tua portata? Quale argomento hai temuto andasse oltre
la tua comprensione? Rivedi le tue
supposizioni. Almeno una di quelle “cose impossibili” potrebbe essere più possibile del solito.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
GEMELLI
Tra i miei amici dell’università la più brillante era la
scrittrice dei Gemelli Clare Cavanagh, che in seguito avrebbe preso
un dottorato ad Harvard e sarebbe
diventata una delle più famose traduttrici di poesia polacca. È così
brava che il poeta polacco Czesław
Miłosz, premio Nobel per la letteratura, l’ha scelta come biografa
uiciale. Intervistare Miłosz è stato diicile, ha raccontato Clare.
Era molto esigente. Insisteva perché trovasse “domande che nessuno gli aveva mai fatto”. E lei, naturalmente, le ha trovate. Formulare domande intelligenti è una
specialità dei Gemelli. La prossima settimana ti invito a usare più
che puoi questo tuo talento.
CANCRO
“Da qualche parte qualcuno sta viaggiando furiosamente verso di te”, scrive il poeta
John Ashbery, “a una velocità incredibile, viaggia giorno e notte,
attraverso le bufere di neve e il
caldo del deserto, attraverso torrenti, per strette gole. Ma saprà
dove trovarti, saprà riconoscerti
quando ti vede e darti la cosa che
ha per te?”. Non devi prendere
tutto alla lettera, Cancerino. Ma
penso che i versi di Ashbery siano
metaforicamente veri. In realtà la
vita sta facendo gli straordinari
per portarti doni e aiuto. Cerca di
collaborare. Sforzati di essere più
ricettivo.
LEONE
Nel 1768 la Royal society
britannica incaricò il capitano James Cook di fare un lungo
viaggio a ovest di Tahiti per studiare il pianeta Venere durante
una delle rare volte in cui transitava davanti al Sole. Ma poi l’esploratore scoprì che la vera missione
era un’altra. Dopo aver osservato
il passaggio del pianeta, Cook aprì
la busta sigillata che gli avevano
consegnato alla partenza. Conteneva un secondo e più importante
incarico: perlustrare le terre a
ovest di Tahiti. Cook fu il primo
europeo a visitare la costa orientale dell’Australia. Prevedo una successione di eventi simile anche
per te, Leone. Il compito che hai
svolto inora era solo un preludio.
Presto riceverai gli “ordini sigillati” che ti indicheranno qual è la
prossima tappa del tuo viaggio.
do qualcosa di metaforicamente
simile al durione nel tuo prossimo
futuro. Un consiglio: non prendertela troppo a male.
SAGITTARIO
VERGINE
Secondo l’azienda di sicurezza informatica Symantec, il rischio di essere danneggiati
da un virus attraverso i siti pornograici è piuttosto basso. È molto
più alto quando visitiamo i siti religiosi, perché spesso questi sono
stati costruiti da programmatori
inesperti, quindi sono più vulnerabili. Nelle prossime settimane un
principio simile potrebbe valere
anche nella tua vita. Sospetto che
tu possa essere più facilmente danneggiata da persone gentili ed
educate che da gente rozza e volgare. Non ti sto consigliando di
evitare i tipi dalla faccia rassicurante, ma sta attenta che con la loro ingenuità non ti creino problemi. E, nel frattempo, controlla cosa
combinano i tipi rozzi e volgari.
La prossima settimana le
tue parole saranno una forma d’arte. Avranno una funzione
risanatrice e catalizzatrice. L’intensità con cui ti esprimerai forse
intimidirà qualcuno, emozionerà
qualcun altro e produrrà cambiamenti nella tua vita sociale. Voglio
darti qualche suggerimento per ottenere risultati migliori. Primo,
ascolta con la stessa passione con
cui parli. Secondo, cerca di comunicare, non solo di dire quello che
pensi. Terzo, riletti sulle rivelazioni sorprendenti che emergeranno
da quello che dici.
CAPRICORNO
La vita ha un grande e diicile incarico per te. Mi auguro che sarai all’altezza della situazione, perché temo che tu non
abbia molta scelta. Il tuo compito è
accettare di provare più gioia e piacere. La ricerca del diletto e del godimento dev’essere in cima alle
tue priorità. Un blando divertimento non sarà suiciente. Ti è
vietato accontentarti di un tiepido
entusiasmo. È tuo sacrosanto dovere straripare di dolce appagamento e stimolanti benedizioni.
Trova il modo di farlo succedere.
Supponiamo che tu voglia
comprare un anello d’oro a
18 carati. Per ottenere quella quantità d’oro, i minatori hanno dovuto
scavare sei tonnellate di roccia e
immergerla nel cianuro, una sostanza chimica velenosa. Inoltre, il
processo comporta la produzione
di riiuti tossici. Vale la pena darsi
tanto da fare per un anello? Mentre
ci pensi, permettimi un’altra domanda: e se ti dicessi che nei prossimi cinque mesi potresti fare
quello che serve per ottenere la
versione metaforica di un anello
d’oro? E che, se anche fossi costretto a iltrare l’equivalente di sei
tonnellate di materiale grezzo, non
saresti costretto a usare nessun veleno e non dovresti lasciare riiuti?
Lo faresti?
SCORPIONE
PESCI
Forse non hai mai assaggiato un frutto che cresce nel
sudest asiatico e si chiama durione. Alcuni lo considerano “il re dei
frutti” e dicono che è dolce e succoso. Secondo il naturalista Alfred
Russel Wallace, il suo sapore somigliava a quello di “una ricca crema
profumata di mandorle”. Ma altre
persone lo trovano sgradevole e
paragonano il suo odore a quello
delle cipolle marce. Secondo lo
chef televisivo Anthony Bourdain,
il suo sapore “indescrivibile” si
può solo “amare o odiare”. Preve-
Nella versione della Walt
Disney del 1951 di Alice nel
paese delle meraviglie, la protagonista dice a se stessa: “Mi do sempre
ottimi consigli, ma non li seguo
quasi mai”. Spero che tu non faccia
come lei, Pesci. È un ottimo periodo per seguire i tuoi buoni consigli.
Anzi, ho il sospetto che farlo sarà
fondamentale per prendere decisioni intelligenti e risolvere problemi diicili. È uno di quei momenti
cruciali in cui devi assolutamente
razzolare come predichi e fare
quello che dici.
BILANCIA
Internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
97
internazionale.it/oroscopo
ACQUARIO
COMPITI PER TUTTI
Qual è la cosa più importante
che non hai mai fatto?
lASSErPE, urtikAn, FrAnCiA
El roto, El PAíS, SPAgnA
L’ultima
bErtrAmS, PAESi bASSi
CHAPPAttE, lE tEmPS, SvizzErA
la grecia lascerà l’euro?
“Comunque è da tempo che l’euro ha lasciato la grecia”.
“Alla ine chi ha vinto la guerra?”.
“la guerra”.
grEgory
dilEm, libErté, AlgEriA
Auschwitz, la memoria collettiva.
la grecia e la banca centrale europea:
“non funziona più”.
morte di re Abdallah: omaggio unanime in Arabia
Saudita. blogger: “Ha lasciato il segno”.
“la curvatura dello schermo inganna il cervello
così vi sembra di non pagarlo troppo”.
Le regole Mangiarsi le unghie
1 Farlo durante un colloquio di lavoro o un rapporto sessuale non fa bene alla tua immagine. 2 Se le mangi
per fame, la soluzione è un pacchetto di crackers. 3 Avere le unghie rosicchiate non è bello, metterci sopra lo
smalto è criminale. 4 E se proprio non resisti, non ingoiarle: usale come arma da sputare contro i tuoi
nemici. 5 Pensi che sia solo un vizio innocente? Sapere che sei afetto da un disturbo compulsivo chiamato
onicofagia ti farà cambiare idea. [email protected]
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internazionale 1087 | 30 gennaio 2015
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