OGM: Organismi Geneticamente Modificati

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OGM: Organismi Geneticamente Modificati
OGM: Organismi Geneticamente Modificati
OGM: una nuova tecnologia che ha avuto troppo successo
Il termine Organismi Geneticamente Modificati non è un termine usato dalla comunità
scientifica in quanto troppo generico. OGM viene correntemente utilizzato dai media per
descrivere solo una particolare modifica del patrimonio ereditario e solo quando questa si
applica al mondo vegetale. In realtà esistono molti modi di modificare il patrimonio
genetico di un organismo e l’uomo usa molti mezzi da tanti anni per piegare batteri, lieviti,
piante ed anche virus alle sue esigenze. Gli OGM sono in realtà solo il termine usato dai
mezzi di comunicazione di massa per descrivere piante in cui sono stati trasferiti uno o
pochi geni per trasformare cellule o tessuti vegetali.
Essendo quindi un termine di principale uso giornalistico usato quasi sempre per indurre
paure e talvolta vere e proprie fobie nel pubblico, non è strano che siano nate delle altre
definizioni mediatiche di OGM quali: Organismi Giornalisticamente Modificati ovvero
Ottuse Guerre Mediatiche.
In realtà alla pessima imagine pubblica che evocano gli OGM non corrispondono nè
documentati problemi ambientali nè problematiche di tipo sanitario anzi, come recita la
dichiarazione del commissario Europeo alla Ricerca Philippe Busquin, gli OGM “sono
ancora più sicuri” delle piante coltivate in maniera tradizionale da cui derivano.
Per cercare di colmare l’enorme distanza che intercorre tra la percezione pubblica degli
OGM ed il loro uso quotidiano è necessario affrontare tutte le questioni che questa
tecnologia suscita analizzando sinteticamente le questioni che provocano tanto timore nel
pubblico dei non addetti ai lavori.
Gli OGM sono per prima cosa un prodotto industriale e non un prodotto tipico che si possa
incontrare nei mercatini rionali. Sono sostanzialmente 4 le piante geneticamente migliorate
che vengono oggi coltivate al mondo e tutte sono prodotte a milioni di tonnallate e
vengono normalmente descritte come “commodity”, appunto per chiarire che si tratta di
produzioni industriali. Si tratta di soia (il 57% della soia mondiale è da OGM), mais (25%),
cotone (13%) e colza (5%). Sono coltivate nei 5 continenti, in particolare nei grandi Paesi
agricoli mondiali come USA, Brasile, Argentina, Canada, India, Cina e Sudafrica. Nel 2007
sono stati coltivati nel mondo oltre 112 milioni di ettari con piante ingegnerizzate. Per
paragone, tutte le piante coltivate in Italia coprono una superfice di 13 milioni di ettari. Le
prime coltivazioni di piante transgeniche risalgono al 1994 e l’aumento di superfici coltivate
è mediamente oltre il 10% all’anno. Questo è uno dei grandi problemi della tecnologia
degli OGM. Mai nella storia dell’agricoltura mondiale una tecnologia si è sviluppata tanto
rapidamente, su superfici così vaste, in così tanti continenti. L’arrivo di una tecnologia
innovativa cambia gli equilibri dei mercati e mette fuori gioco aziende sementiere, industrie
chimiche ed imprese per la produzione di macchine agricole che non sono funzionali alla
nuova tecnologia. Insomma il problema è anche che gli OGM hanno avuto troppo
successo ed hanno dato fastidio a troppi attori che controllavano nicchie di mercato. Per
una trattazione più esaustiva sulle spericolate operazioni finanziarie che hanno portato a
concentrare nella mani della Monsanto, S.Louis una enorme massa di brevetti
biotecnologici e alla acquisisizione di molte altre aziende del settore, si rimanda alla
lettura del libro di Anna Meldolesi, OGM: storia di un dibattito truccato, Einaudi. In queste
scalate la Monsanto ha avuto il più paradossale ed inaspettato aiuto proprio dalle
organizzazioni ambientaliste multinazionali, con Greenpeace in testa, che da sempre ne
hanno avversato l’ascesa. Entrambe le fazioni in lotta hanno richiesto infatti una
“sovraregolamentazione” sulla validazione delle licenze sugli OGM. La richiesta di
Greenpeace e soci era quella di aumentare a dismisura le analisi di sicurezza alimentare
nell’ottica di:
- dimostrare la pericolosità alimentare degli OGM,
- ritardarne la diffusione e commercializzazione,
- insinuare paure ed ansietà nei cittadini.
Ma anche a Monsanto queste scelte si sono rivelate funzionali perché hanno spazzato via
dal mercato le decine di piccole aziende biotecnologiche che non potevano disporre degli
enormi fondi da investire nelle validazioni sanitarie dei loro brevetti. Altrettanto dicasi per le
proprietà intellettuali delle Università e centri di ricerca che sono stati messi fuori gioco
dallo strapotere delle grandi multinazionali del settore. Quesi temi sono trattati anche nel
libro di Miller e Conko, Frankestein Food, Greenwood Press.
Oggi si stima che servano circa 50 milioni di euro per commercializzare un prodotto da
OGM dimostrando così come questi restino dei prodotti prettamente industriali.
OGM e sicurezza alimentare
Il capitolo sicurezza alimentare è stato da sempre un grande cavallo di battaglia
dell’opposizione agli OGM a livello internazionale. Sin dallo sbarco sui media degli OGM
nell’estate del 1998 ad opera di Putzai fino ai giorni nostri con le insinuazioni di Ermakova
sulla fertilità di ratti nutriti con soia transgenica (http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/nbt0907-981.pdf) il tema del rischio alimentare è sempre stato
molto sbandierato. L’industria alimentare Europea e soprattutto le grandi catene della
distribuzione del cibo hanno approfittato subito di questa paura inculcata nei consumatori
lanciando linee di prodotti OGM-free come se questi contenessero una certificazione di
salubrità per il consumo umano. In realtà si è trattato solo di una brillante scelta
commerciale confezionata da grafici pubblicitari e non da medici nutrizionisti con cui è
stato giustificato l’incremento dei prezzi di linee di prodotti di filiera. La certificazione di
essere esenti da OGM ha giustificato questi prodotti come alimenti di una qualche più
elevata qualità e quindi meritevoli di essere pagati a prezzi più elevati dai consumatori. In
realtà vedremo tra breve che alcuni prodotti OGM-free dovrebbe costare meno e non di
più di un prodotto contenente alcuni specifici tipi di derivati di piante ingegnerizzate.
Va ricordato come tutte le più prestigiose autorità internazionali abbiano sempre garantito
la sicurezza alimentare degli OGM e tra questi vanno citati l’Organizzazione mondiale
della Sanità, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), la Food and Drug
Administration degli USA, il programma per gli aiuti alimentari ai Paesi in via di sviluppo
delle Nazioni Unite, la FAO, l’Unione Europea e tutte le più presigiose accademie
scientifiche internazionali. Una sintesi di questa analisi si trova nel consensus document
sottoscritto da 16 Società scientifiche italiane coordinate dalla Società Italiana di
Tossicologia
e
consultabile
al
sito:
http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/consensus-ita.pdf
La fiducia nella sicurezza alimentare degli OGM finora commercializzati deriva da due
aspetti: l’assenza di una sola persona ospedalizzata fino ad oggi a seguito del consumo di
un alimento contenente OGM e la dimostrazione che i controlli di sicurezza funzionano
ben a monte del possibile arrivo sul mercato degli alimenti.
Fino ad oggi non esiste nessuna prova scientificamente dimostrata di un effetto negativo
su esseri umani derivante dal consumo di OGM. Il caso di una presunta reazione allergica
derivante dal consumo di alimenti a base di un tipo mais illecitamente commercializzato (il
caso Starlink), si è risolto con la condanna dell’azienda che aveva trasgredito al divieto di
commercializzare l’alimento già definito sospetto ed autorizzato perciò solo per il consumo
animale e con un rapporto del prestigioso Center for Disease Control di Atlanta che
escludeva la presenza di alcuna reazione allergica (da IgE) nel siero degli individui che
avevano dichiarato una simile patologia.
Nel paragrafo successivo viene riportato il caso del mais Bt e dei suoi vantaggi ambientali.
Ma il mais Bt è estremamente valido anche dal punto di vista della sicurezza alimentare
essendo meno soggetto alla contaminazione da fumonisine. Le fumonisine sono
micotossine capaci di indurre tumore all’esofago nell’uomo e malformazioni del sistema
nervoso centrale dei feti delle donne in gravidanza (ad esempio spina bifida). Le
fumonisine causano le patologie sopra descritte inibendo l’assorbimento di acido folico, la
vitamina B9. Esiste una vasta letteratura che mostra come le fumonisine siano 2-6 volte
più abbondanti nel mais tradizionale rispetto alle concentrazioni presenti nel mais Bt. La
ragione risiede nel fatto che un mais Bt non viene quasi attaccato da alcuni parassiti del
mais quali la piralide. Questo insetto scava delle gallerie nel fusto e nella pannocchia e tali
cavità sono ideali per lo sviluppo di funghi tossici. Infatti in un ambiente umido ed oscuro i
funghi possono proliferare e rilasciare i prodotti del loro metabolismo secondario quali
appunto le fumonisine. Questo dato mostra come alcuni OGM siano più sicuri dei loro
progenitori non-ingegnerizzati. Sulla base di questi dati si spiega come nel penultimo
paragrafo un alimento etichettato come NO-OGM dovrebbe costare di meno e non di più
di uno analogo dove un mangime era a base di mais Bt.
Invece in due distinte occasioni (i casi della noce brasiliana e dell’alfa-amilasi di fagiolo) si
è dimostrato che prodotti derivanti da OGM non hanno superato la fase sperimentale e
quindi non hanno mai raggiunto i consumatori proprio a causa dei controlli accurati che
presiedono a questa transizione nel caso dei soli OGM. In entrambi i casi le piante
ingegnerizzate in questione sono state bloccate dagli stessi sperimantatori dimostrando
come il sistema di controlli si sia dimostrato efficace.
In realtà la sicurezza alimentare ha fatto negli ultimi anni dei grandi passi in avanti, mentre
si assiste ad un sempre più ossessivo richiamo nostalgico ai bei tempi andati
dimenticando gli enormi problemi sanitari connessi con una preparazione artigianale degli
alimenti. Per una trattazione documentata e coinvolgente si rimanda al libro di Antonio
Pascale, Scienza e Sentimento, Einaudi 2008.
OGM ed ambiente
Qualunque tipo di agricoltura è dannosa per l’ambiente e gli OGM non fanno di certo
eccezione, ma la loro fama mediatica è ben diversa. A più riprese ambientalisti
scientificamente impreparati, leaders di movimenti populisti, politici in cerca di facile
consenso hanno tacciato genericamente gli OGM di varie colpe. Si è detto che
distruggono insetti non dannosi quali la farfalla monarca, minano la biodiversità invadendo
coi loro pollini tutte le altre piante sovrastandole, diffondono geni pericolosi sia per i
microrganismi del suolo che per gli esseri umani che se ne cibano. La soluzione proposta
a questi flagelli, ed a quelli imputati all’agricoltura tradizionale ossia di usare troppa
chimica e troppi pesticidi, è stata quella dell’agricoltura biologica. Contrariamente a quanto
viene propagandato l’agricoltura biologica non è la panacea di tutti i mali. Intanto va
ricordato come il 99,99% di tutti i pesticidi esistenti al mondo sono “biologicamente”
prodotti dalle piante ed a questi vanno aggiunte tante altre molecole cancerogene o
tossiche che in alcuni casi sono molto più abbondanti su coltivazioni tradizionali o
biologiche che non in piante geneticamente migliorate. L’esempio del mais Bt lo si può
analizzare al sito: http://www.salmone.org/archives/category/ogm-mais-e-micotossine, ma
non vanno dimenticati gli elevati dosaggi consentiti in agricoltura biologica di metalli
pesanti come il solfato di rame o molecole tossiche quali il rotenone
(http://it.wikipedia.org/wiki/Rotenone ).
Ma altri aspetti ambientali hanno occupato la scena pubblica in questi anni. Un esempio
che sembra essere sempre di moda è quello della tossicità del mais Bt per le farfalle
monarca o per altri tipi di insetti e lombrichi. Una ricostruzione di questa lunghissima
diatriba si trova in http://www.salmone.org/archives/category/ogm-luoghi-comuni.
La questione è spesso posta in maniera molto poco equilibrata. Come si diceva, tutti i tipi
di agricoltura (nessuno escluso) sono dannosi per insetti, invertebrati ed anche per la
stessa biodiversità. Se le analisi non vengono condotte secondo una equilibrata
valutazione dei costi e dei benefici comparati è impossibile tirare delle conclusioni
ragionevoli. Se quindi è vero che ci sono meno lombrichi o meno farfalle in un campo di
mais Bt, si dovrebbe anche fornire il dato di quanti vertebrati, invertebrati ed insetti sono
presenti in campi coltivati secondo altre pratiche agricole. Per maggiore precisione, la
tossina che scoraggia alcuni insetti parassiti dall’infestare i campi di mais Bt deriva da
Bacillus turingensis (da qui la sigla Bt). In agricoltura biologica lo stesso batterio
contenente esattamente la stessa tossina viene spuzzato come insetticida (biologico) sulle
piante. Ora appare originale affermare che la stessa tossina ha effetti drammaticamente
differenti nei due casi (anche invocando dosaggi estremamente diversi) dimenticando il
fatto che quando si usa un batterio intero si stanno spruzzando sulle piante circa 5000
differenti proteine oltre a quella di interesse, ognuna delle quali potrebbe in qualche modo
risultare nociva per una qualche forma vivente.
Ancora più grave è dimenticare che quando non si usano piante del tipo Bt si devono
spargere nell’ambiente grandi quantità di pesticidi che non hanno nessuna selettività e che
quindi nuociono molto di più a quegli stessi piccoli organismi, oltre che a tutti i mammiferi
uomo incluso.
Un altro aspetto ambientale che viene spesso trascurato riguarda l’uso delle varietà
geneticamente modificate resistenti all’azione di erbicidi. Queste varietà non hanno
contribuito a ridurre in maniera significativa l’uso degli erbicidi, come invece hanno fatto le
varietà Bt che hanno ridotto l’uso dei pesticidi in maniera consistente. La causa è da
cercare nel fatto che questi OGM sono resistenti ad erbicidi particolarmente poco stabili
nei terreni. Un pioggia improvvisa può quindi spazzarli via costringendo l’agricoltore ad
aggiungere ulteriori dosi di erbicida. Alcuni agricoltori hanno però impiegato le varietà di
OGM resistenti ad erbicidi per evitare si dissodare ed arare i terreni attuando la cosidetta “
semina su sodo”. Questa pratica consente di lasciare inalterata la tessitura del suolo
evitando in questo modo sia di favorire frane e dilavamenti dei suoli, sia di liberare le
grandi quantità di anidride carbonica contenuta nei suoli. Si calcola che la quantità di
anidride carbonica risparmiata dalla semina su sodo di piante da OGM equivalga ad aver
eliminato dalla circolazione fino a 4,7 milioni di autoveicoli che percorreva ognuno15.000
km l’anno (GM Crops: The Global Economic and Environmental Impact - The First eleven
Years 1996-2005 Graham Brookes and Peter Barfoot. PG Economics Ltd., Dorchester, UK
2007).
OGM nei tribunali
Tra gli aspetti più trascurati degli OGM vi è la loro tutela in sede legale. I casi che
vengono spesso citati sono quello di un coltivatore canadese condannato perché il suo
campo è stato trovato pieno di colza transgenica che lui non aveva acquistato, ma spesso
ci si dimentica di dire che la Corte Canadese non gli ha comminato alcuna sanzione
economica pur ritenendolo colpevole. A mio parere invece ci sono tre casi distinti che
meriterebbero maggior pubblicità e che sono: le sentenze della Corte Europea di
Lussemburgo sulla vicenda della richiesta dell’Alta Autria di divenire una regione OGMfree, della Corte Costituzionale Italiana sulla legge per la coesistenza delle agricolture e
quella del WTO per la moratoria di fatto attuata dall’Europa tra il 1998-2003. I relativi
documenti si trovano al sito: http://www.salmone.org/archives/category/ogm-aspetti-legali.
Nella prima serie di sentenze la corte di Lussemburgo ha negato che sia possibile istituire
delle intere regioni OGM-free senza violare il trattato costitutivo dell’Unione Europea. Le
regioni OGM-free italiane lo sono quindi non legalmente, ma solo sui tavoli mediatici.
La Corte Costituzionale Italiana ha emesso nel marzo 2007 una sentenza che abroga di
fatto quasi tutta la legge 5 del 2005, con la quale l’allora Ministro delle Politiche Agricole
Alemanno cercava di vietare di fatto la coesistenza tra agricoltura biologica, trasngenica e
tradizionale.
Infine l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha stabilito che l’Europa è
colpevole di aver vietato di fatto la coltivazione degli OGM ed è quindi perciò punibile. Le
relative ritorsioni commerciali consentiranno agli Stati ricorrenti di imporre dazi sulle
importazioni da alcuni Paesi Europei.
L’aspetto centrale di queste sentenze è che tutte muovono dalla considerazione che chi
voleva vietare gli OGM non poteva portare a sostegno delle sue tesi alcuna prova
scientificamente solida. Le differenti Corti hanno tracciato un solco netto tra le paure
emotive del pubblico ed i dati scientifici che negano la presenza di consistenti e
documentati danni ambientali e sanitari che possano giustificare moratorie, regioni OGMfree o sedicenti principi di precauzione utilizzati per rimpiazzare l’assenza di concreti dati
sperimentali.
OGM, multinazionali ed economia
Per ricostruire i complessi passaggi societari e le strategie di acquisizioni messe in campo
dalle company biotech, non c’è testo migliore di quello pubblicato da Anna Meldolesi per
Einaudi nel 2001: OGM storia di un dibattito truccato. Si tratta di una severa e
documentata requisitoria contro i media, gli scienziati pavidi o disinvolti e stuoli di
abientalisti
intenti
a
spargere
assurde
paure.
Sul
sito
http://www.salmone.org/archives/347 viene descritta in estrema sintesi la situazione dei
fatturati delle principali multinazionali del settore all’inizio del nuovo millennio. Non è
difficile capire come l’Europa sia leader indiscussa nel settore degli agrofarmaci e quindi
della produzione di pesticidi, mentre le company statunitensi fatturano circa la metà di
quelle europee concorrenti. Questa situazione si ribalta per quel che riguarda la vendita di
sementi biotech, dove le multinazionali statunitensi fatturano il doppio delle competitrici
europee. Per quanto riguarda poi i brevetti, una gran parte sono già nelle mani di
Monsanto e molti altri vi finiranno per gli elevati costi di gestione dei brevetti e validazione
dei prodotti. Come già detto la sovraregolamentazione ha schiacciato le ambizioni di molte
grandi Università e Centri di Ricerca.
In Italia, dove si è intanto diffusa una vera fobia contro gli OGM, la società di studi
economici Nomisma (http://www.salmone.org/archives/category/ogm-agricoltura-italiana )
elabora nel 2004 un rapporto dove dimostra che la soia geneticamente modificata usata
nei mangimi di mucche e maiali, fa parte da anni della produzione italiana di alta qualità
esportata in tutto il mondo. Prodotti DOP ed IGP come Parmigiano Reggiano, Grana
Padano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele,etc., utilizzano almeno il 36% di
soia modificata nei loro mangimi.
Questa situazione riguarda in realtà tutta la produzione europea di latte, formaggi carni,
inasaccati visto che l’Europa produce solo l’1% della soia che usa nei mangimi e che qusi
il 55% della soia esportata al mondo deriva da OGM.
All’inizio del 2008 è uscito un secondo rapporto da Nomisma riguardante le disponibilità
future di soia e mais. Le analisi di Nomisma 2008 sono in accordo con simili rilevamenti
effettuati ad inizio 2007 dall’Unione europea e si possono sintetizzare in pochi punti fermi:
- l’Italia produceva nel 2001 il 98% del mais di cui aveva bisogno e nel 2006 solo
l’86%, intanto il prezzo del mais è raddoppiato e quello del grano duro triplicato
(l’Italia è il primo importatore al mondo di grano duro!);
- l’Italia non fa più da anni innovazione e ricerca sul mais e mentre le rese produttive
di chi usa mais da OGM salgono, questo non avviene per i coltivatori italiani che
anzi devono aumentare i dosaggi di pesticidi spruzzati per evitare che le fumonisine
rendano non commerciabile il loro mais;
- se non smettiamo di perseguire questo sogno dell’OGM-free oltre a perdere la
coltivazione del mais (la soia è già persa) non si faranno in Europa nemmeno più gli
allevamenti per produrre le carni di manzo e maiale con danni economici stimabili
dell’ordine di varie decine di miliardi di euro.
La soia geneticamente modificata per uso nei mangimi zootecnici sta per raggiungere
percentuali variabili tra l’80 ed il 90%;
Appare evidente chee la diffusione degli OGM nel mondo è ancora cresciuta e che la
politica autarchica Europea ed italiana in particolare si è dimostrata perdente.
In un rapporto del gennaio del 2007 dell’Unione Europea (http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/economic_impactgmos_en.pdf ) vengono illustrati vari scenari
sugli approvigionamentri di soia e mais con OGM o OGM-free. Una politica di vera
chiusura agli OGM porterebbe a degli scenari apocalittici con un aumento della spesa per
mangimi ed annullamento delle esportazioni. Sarebbe un tracollo finanziario misurabile in
vari miliardi di euro.
OGM e Scienza italiana
Una tra le maggiori mistificazioni nel dibattito sugli OGM è quella che gli scienziati italiani
sarebbero divisi su tale tematica. In realtà non c’è nulla di più lontano dalla realtà. A
scagliarsi contro gli OGM sono politici, organizzazioni agricole, organizzazioni legate
all’agricoltura biologica, esponenti della ristorazione di lusso, grandi cuochi, catene della
grande distribuzione, ma solo pochissimi scienziati italiani, che spesso hanno una
posizione cauta più che ostile. Queste posizioni scettiche vengono fortemente
strumentalizzate dalla politica come dai media per giustificare quella che è una vera e
propria violazione della Costituzione Italiana (articolo 33) ossia il divieto di fatto di condurre
esperimenti in pieno campo con OGM per tutta la Ricerca Pubblica italiana. Contro un
simile divieto, unico tra i Paesi più sviluppati al mondo, la Scienza italiana si è schierata
compatta. Esistono ben tre documenti pubblici redatti da 21 Società scientifiche italiane e
dalle Accademie delle Scienze e dei Lincei a sostegno alla tecnologia degli OGM
(http://www.salmone.org/archives/category/ogm-la-comunita-scientifica-italiana ).
Ma oltre a tali documenti i singoli scienziati di più vasta notorietà e prestigio sostengono la
validità degli OGM. Tra questi si possono citare: Silvio Garattini, Umberto Veronesi,
Renato Dulbecco, Carlo Rubbia, Rita Levi-Montalcini, Margherita Hack, Edoardo
Boncinelli, Tullio Regge, Andrea Ballabbio, Piergiorgio Oddifreddi, Giulio Cossu, Elena
Cattaneo e tantissimi altri. Al contrario è difficile trovare un solo scienziato prestigioso che
si possa dire contrario agli OGM.
I due principali Consensus Document sono stati pubblicati nel 2004 e nel 2006 e
riguardano la Salute e gli OGM il primo e la Coesistenza ed i temi ambientali il secondo. In
maniera semplice e documentata si evidenzia nel primo documento come gli OGM
vengano vagliati da un sistema di controlli sanitari che non ha eguali nella catena
alimentare. Nel secondo invece si dimostra come 20-25 metri di distanza tra un campo di
mais da OGM ed uno tradizionale siano sufficenti a garantire che i pollini dei due campi
non si incrocino a livelli superiori a quelli stabiliti dalla Direttiva 556/2003 dell’Unione
Europea, ossia con percentuali di incrocio inferiori allo 0,9%.
A più riprese nel 2001, 2002 e poi nel 2007 la comunità scientifica italiana si è ritrovata
unita a sostenere la tecnologia degli OGM e la situazione mediatica sta molto cambiando
negli ultimi tempi (vedi anche http://www.salmone.org/archives/category/ogm-media ).
A settembre del 2008 nasce SAgRi, Salute AGRicoltura Ricerca, una Onlus che riunisce i
Presidenti della Società di Genetica Agraria, Luigi Frusciante, della Società di
Tossicologia, Giorgio Cantelli Forti, di Futuragra Duilio Campagnolo e che elegge
presidente Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina alla Sapienza di Roma e
come coordinatore Roberto Defez del CNR di Napoli. Scopo dell’associazione culturale
SAgRi è quello di introdurre dati scientifici all’interno del dibattito mediatico sugli OGM.
OGM e la fame nel mondo
I problemi di insicurezza alimentare non possono essere risolti dagli attuali OGM
commercializzati da grandi multinazionali e destinati alle agricolture dei Paesi più
sviluppati. Appare strano immaginare come varietà resistenti agli erbicidi come la soia
RoudupReady possa avere vantaggi di crescita senza acquistare il relativo erbicida o
varietà di mais resistenti all’attacco di parassiti possano crescere senza enormi dosi di
fertilizzanti azotati ed irrigazione. Tutte queste condizioni non possono essere trovate nei
Paese dell’Africa Sub Sahariana dove più frequenti sono le carestie.
Da un altro punto di vista è compito della Ricerca Pubblica dei Paesi sviluppati applicare le
più moderne tecnologie alle varietà più coltivate nei luoghi dove si intende intervenire e
quindi su varietà di sorgo, miglio, cassava o vigna. Si tratta di piante di principale uso
locale, ma su cui si possono innestare le tecnologie dell’agricoltura biotech per renderle ad
esempio maggiormente resistenti all’attacco di parassiti che, nel caso ad esempio della
leguminosa vigna, arrivano a distruggere fino all’80% del raccolto. Queste politiche sono
incoraggiate e sostenute da uno specifico documento dell’ONU che il 9 maggio del 2003
ha scritto “non è in discussione se le moderne biotecnologie manterranno le loro
promesse, ma solo come questi vantaggi verranno condivisi”. L’ONU indica il problema
della condivisione della proprietà intellettuale e quindi degli eventuali ritorni commerciali
derivanti dall’uso delle tecnologie del DNA ricombinante applicate alle piante. Ancora una
volta la ricerca pubblica dei Paesi sviluppati deve fungere da palestra per formare le nuove
generazioni di scienziati dei Paesi emergenti e le applicazioni sulle varietà locali devono
trovare una forma di coinvolgimento dei due tipi di Paesi.
Ma non si può dimenticare che già oggi il cotone da OGM viene usato da milioni di piccoli
coltivatori in Cina, India, Pakistan, SudAfrica, etc e che questi utilizzi hanno portato molto
bernessere a quei coltivatori sia in termini di produttività sia in termini di riduzione dell’uso
di pericolosi pesticidi.
Infine i recenti forti incrementi dei prodotti alimentari (soia, mais, frumento, riso) incidono
anche sulla disponibilità per le parti più svantaggiate della popolazione mondiale. L’avvio
di quantitativi sempre più elevati di mais alla produzione di biocarburanti è anche un
pericolo perché quelle derrate non verranno più usate per l’alimentazione. Questi
movimenti delle cosidette commodities sono stati molto forti nell’ultimo anno ed hanno
portato ad una drastica riduzione delle scorte alimentari che per la gran parte dei cereali
sono oggi dimezzate rispetto ai quantitativi consigliati dalla FAO. Non si può tacere il fatto
che quando gli alimenti scarseggiano sono solo i più ricchi che se li possono permettere e
quindi gli aumenti di produzione per ettaro garantiti dalle varietà da OGM risultano in
allentamenti delle tensioni speculative sui prezzi delle derrate e quindi in una maggiore
facilità di accesso per i Paesi meno ricchi.
OGM: i luoghi comuni
In un dibattito mediatico come quello sugli OGM valgono le regole dei media, non quelle
della scienza. Ossia vale l’affermazione più gridata e spaventosa, molto meno si ricordano
dati di normalità o ragionamenti rassicuranti. Ad esempio molti non addetti ai lavori
sostengono che da qualche parte si vendano fragole che hanno dentro una lisca di pesce
o che i semi da OGM siano sterili. Tutte queste affermazioni non hanno alcun fondamento,
ma sono dicerie dure a morire. Una delle più insidiose e malevole falsità diffuse ad arte
per avversare la diffusione degli OGM è quella che sostiene che siano così poco produttivi
da mandare in fallimento i poveri agricoltori che se sono indiani e coltivano cotone Bt
finiscono per suicidarsi bevendo pesticidi. In Italia queste tesi sono state ripetutamente
propagandate da Vandana Shiva che ha sostenuto in varie interviste che almeno 100.000
contadini indiani si erano suicidati negli ultimi anni per il tracollo economico derivante
dall’uso di semi di OGM. Nell’ottobre del 2008 uno dei più prestigiosi istituti internazionali
l’IFRPRI da sempre in prima linea nella lotta all’insicurezza alimentare nei Paesi in via di
sviluppo, ha prodotto un documentatissimo studio sulla vicenda dei suicidi dei contadini
indiani (http://www.salmone.org/wp-content/uploads/2008/10/btcotton.pdf ). I dati
dimostrano che in India ci sono ogni anno tra i cento e i centoventimila suicidi. Tra questi,
negli ultimi dieci anni, i suicidi dei contadini sono stabilmente tra i quindici e i
diciassettemila l’anno. La percentuale relativa di suicidi di contadini varia da un massimo
del 16 per cento del totale nel 2002 (anno di introduzione del cotone Bt in India su soli 29
mila ettari) a un minimo del 14 per cento del totale dei suicidi nel 2006, quando gli ettari
coltivati a cotone Bt erano arrivati a 3,8 milioni di ettari, con un incremento di circa 100
volte in soli cinque anni. Analizzando le due province dove si coltiva la maggior parte del
cotone Bt indiano (Maharashtra e Andhra Pradesh) si vede come in entrambi i casi il
numero di suicidi di agricoltori tra il 2005 e il 2006 sia stabile (rispettivamente a 1500 e a
800 suicidi l’anno) malgrado gli ettari coltivati a cotone Bt negli stessi due anni salgano da
504 mila a 1,8 milioni di ettari nel Maharashtra e da 90 mila a 830 mila nell’Andhra
Pradesh.
L’India decide di coltivare il cotone Bt perchè era il terzo maggior produttore di cotone al
mondo dopo Cina e Stati Uniti, ma la Cina era al sesto posto come redditività per ettaro e
gli Stati Uniti al quattordicesimo, mentre l’India occupava solo il settantesimo posto nella
classifica mondiale. Grandi estensioni coltivate a cotone, ma poco raccolto. Inoltre il 45 per
cento di tutti i pesticidi usati in India venivano usati sul cotone. La redditività indiana per il
cotone tra il 1990 e il 2003 era stabile attorno ai 300 kg per ettaro; ora che quasi metà del
cotone indiano è da OGM la resa è salita a 600 kg per ettaro e contemporaneamente è
sceso sensibilmente l’uso di pesticidi. Riassumendo numerosi studi riconosciuti a livello
internazionale, si è ridotto del 32 per cento l’uso di pesticidi sul cotone Bt, si sono avuti
aumenti di resa per ettaro del 42 per cento e un vantaggio commerciale per l’agricoltore
che coltivava cotone Bt del 52 per cento.
Questo studio ha avuto grande rilevanza nei media tanto da modificare la biografia su
Wikipedia dell’attivista Indiana e vice presidente di Slow Food internazionale
(http://it.wikipedia.org/wiki/Vandana_Shiva ). L’enciclopedia on line ha accolto
integralmente le conclusioni del rapporto dell’IFPRI sostenendo che i “dati sui suicidi in
India da cui si evidenzia come, dopo l'introduzione degli OGM, i suicidi tra gli agricoltoi non
siano aumentati, ma abbiano piuttosto subito un leggero calo”.
Ma anche questo sarà uno dei luoghi comuni sugli OGM duro a morire.
OGM: il caso italiano
Come si diceva sopra, l’Italia è stato l’unico Paese sviluppato a bloccare la
sperimentazione di campo degli OGM alla Ricerca Pubblica. Questa posizione che di può
solo descrivere come fondamentalista ha diversi ispiratori che ne hanno sostenuto la
validità negli anni.
Intanto vi sono le grandi catene della distribuzione del cibo che hanno così attuato una
doppia strategia: da un lato combattendo i Discount tacciati di proporre alimenti di bassa
qualità e dall’altro lanciando linee di prodotti a marchio descritti come di alta qualità solo
per essere OGM-free. La definizione di OGM-free è molto opinabile ed i suoi componenti
OGM difficilmente misurabili. Comunque come già descritto sopra un prodotto No-OGM
dovrebbe costare meno e non di più di uno in cui sono presenti prodotti da OGM come ad
esempio mais Bt.
A questi gruppi si sono unite le catene della ristorazione di lusso e dei prodotti di nicchia
più costosi che vedevano nell’OGM un modo per intaccare l’immagine esclusiva e
prestigiosa della loro produzione.
Infine alcune sigle sindacali di categoria che temevano di perdere il controllo sul ciclo delle
sementi, degli agrofarmaci, dei trattamenti fitosanitari e delle macchine agricole utilizzate
per il loro spargimento.
Questa composita coalizione ha teorizzato la conversione dell’intera alimentazione italiana
verso un modello a base di prodotti da agricoltura biologica. Non si possono citare qui tutte
le difficoltà che una tale opzione troverebbe di ordine economico, ambientale, saniatrio.
Ma almeno una motivazione può servire da esempio per capire quanto una tale opzione
non risponde ad una scelta codivisibile. Si sa bene che in agricoltura biologica non sono
ammessi (quasi) prodotti di sintesi, tra cui anche i fertilizzanti derivati dalla chimica.
Ma lo stesso rifiuto dei fertilizzanti di sintesi ha portato l’agricoltura biologica verso un
paradosso del tutto inaspettato per gli ignari consumatori. Il disciplinare Europeo
dell’agricoltura biologica consente infatti di utilizzare una vasta gamma di farine animali
come fertilizzanti tra queste troviamo le farine di carne, di sangue di zoccoli, di epiteli di
pelli
di
corna
e
così
via
(http://guide.dada.net/fisica_applicata/interventi/2001/02/30064.shtml ).
E’ difficile
immaginare che un consumatore vegetariano di prodotti da agricoltura biologica sia
informato di quale sia il nutrimento che ha consentito la crescita delle piante di cui si ciba.
Sarebbe anzi il caso che, per rispetto verso i consumatori, tali prodotti fossero etichettati e
sconsigliati all’uso da parte di vegetariani stretti.
OGM del futuro
La ricerca scientifica italiana delle agrobiotecnologie sopravvive appena in un cronico stato
di assenza di fondi e di poche strumentazioni dedicate. Alcune Regioni del Nord hanno
investito in agrobiotech mentre la gran parte dei fondi del settore va verso metodi per
contrastare o identificare OGM e solo in piccola parte a progetti di genomica e di biologia
molecolare da non condurre in pieno campo, quindi solo progetti monchi.
Nonostante il clima non sia certo favorevole vi sono alcuni laboratori che sono delle punte
di eccellenza del settore. Piante ingegnerizzate per resistere a climi aridi o per assimilare
meglio composti dell’azoto sono in via di allestimento. Già produttive sono alcune varietà
di frutti di bosco o di uva senza semi ed a maggiore pezzatura e produttività. Ci sono
valide ragioni per investire nella produzione di molecole di interesse medico prodotte in
piante anche per la fatto che le piante non hanno patogeni in comune con l’uomo. Tra
queste la produzione di immunoglobuline in pianta è uno dei campi più promettenti. Infine
la recente pubblicazione da parte di due consorzi italiani del sequenziamento del genoma
della vite apre grandi applicazioni ed opportunità nel settore.