OGM: Organismi Geneticamente Modificati
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OGM: Organismi Geneticamente Modificati
OGM: Organismi Geneticamente Modificati OGM: una nuova tecnologia che ha avuto troppo successo Il termine Organismi Geneticamente Modificati non è un termine usato dalla comunità scientifica in quanto troppo generico. OGM viene correntemente utilizzato dai media per descrivere solo una particolare modifica del patrimonio ereditario e solo quando questa si applica al mondo vegetale. In realtà esistono molti modi di modificare il patrimonio genetico di un organismo e l’uomo usa molti mezzi da tanti anni per piegare batteri, lieviti, piante ed anche virus alle sue esigenze. Gli OGM sono in realtà solo il termine usato dai mezzi di comunicazione di massa per descrivere piante in cui sono stati trasferiti uno o pochi geni per trasformare cellule o tessuti vegetali. Essendo quindi un termine di principale uso giornalistico usato quasi sempre per indurre paure e talvolta vere e proprie fobie nel pubblico, non è strano che siano nate delle altre definizioni mediatiche di OGM quali: Organismi Giornalisticamente Modificati ovvero Ottuse Guerre Mediatiche. In realtà alla pessima imagine pubblica che evocano gli OGM non corrispondono nè documentati problemi ambientali nè problematiche di tipo sanitario anzi, come recita la dichiarazione del commissario Europeo alla Ricerca Philippe Busquin, gli OGM “sono ancora più sicuri” delle piante coltivate in maniera tradizionale da cui derivano. Per cercare di colmare l’enorme distanza che intercorre tra la percezione pubblica degli OGM ed il loro uso quotidiano è necessario affrontare tutte le questioni che questa tecnologia suscita analizzando sinteticamente le questioni che provocano tanto timore nel pubblico dei non addetti ai lavori. Gli OGM sono per prima cosa un prodotto industriale e non un prodotto tipico che si possa incontrare nei mercatini rionali. Sono sostanzialmente 4 le piante geneticamente migliorate che vengono oggi coltivate al mondo e tutte sono prodotte a milioni di tonnallate e vengono normalmente descritte come “commodity”, appunto per chiarire che si tratta di produzioni industriali. Si tratta di soia (il 57% della soia mondiale è da OGM), mais (25%), cotone (13%) e colza (5%). Sono coltivate nei 5 continenti, in particolare nei grandi Paesi agricoli mondiali come USA, Brasile, Argentina, Canada, India, Cina e Sudafrica. Nel 2007 sono stati coltivati nel mondo oltre 112 milioni di ettari con piante ingegnerizzate. Per paragone, tutte le piante coltivate in Italia coprono una superfice di 13 milioni di ettari. Le prime coltivazioni di piante transgeniche risalgono al 1994 e l’aumento di superfici coltivate è mediamente oltre il 10% all’anno. Questo è uno dei grandi problemi della tecnologia degli OGM. Mai nella storia dell’agricoltura mondiale una tecnologia si è sviluppata tanto rapidamente, su superfici così vaste, in così tanti continenti. L’arrivo di una tecnologia innovativa cambia gli equilibri dei mercati e mette fuori gioco aziende sementiere, industrie chimiche ed imprese per la produzione di macchine agricole che non sono funzionali alla nuova tecnologia. Insomma il problema è anche che gli OGM hanno avuto troppo successo ed hanno dato fastidio a troppi attori che controllavano nicchie di mercato. Per una trattazione più esaustiva sulle spericolate operazioni finanziarie che hanno portato a concentrare nella mani della Monsanto, S.Louis una enorme massa di brevetti biotecnologici e alla acquisisizione di molte altre aziende del settore, si rimanda alla lettura del libro di Anna Meldolesi, OGM: storia di un dibattito truccato, Einaudi. In queste scalate la Monsanto ha avuto il più paradossale ed inaspettato aiuto proprio dalle organizzazioni ambientaliste multinazionali, con Greenpeace in testa, che da sempre ne hanno avversato l’ascesa. Entrambe le fazioni in lotta hanno richiesto infatti una “sovraregolamentazione” sulla validazione delle licenze sugli OGM. La richiesta di Greenpeace e soci era quella di aumentare a dismisura le analisi di sicurezza alimentare nell’ottica di: - dimostrare la pericolosità alimentare degli OGM, - ritardarne la diffusione e commercializzazione, - insinuare paure ed ansietà nei cittadini. Ma anche a Monsanto queste scelte si sono rivelate funzionali perché hanno spazzato via dal mercato le decine di piccole aziende biotecnologiche che non potevano disporre degli enormi fondi da investire nelle validazioni sanitarie dei loro brevetti. Altrettanto dicasi per le proprietà intellettuali delle Università e centri di ricerca che sono stati messi fuori gioco dallo strapotere delle grandi multinazionali del settore. Quesi temi sono trattati anche nel libro di Miller e Conko, Frankestein Food, Greenwood Press. Oggi si stima che servano circa 50 milioni di euro per commercializzare un prodotto da OGM dimostrando così come questi restino dei prodotti prettamente industriali. OGM e sicurezza alimentare Il capitolo sicurezza alimentare è stato da sempre un grande cavallo di battaglia dell’opposizione agli OGM a livello internazionale. Sin dallo sbarco sui media degli OGM nell’estate del 1998 ad opera di Putzai fino ai giorni nostri con le insinuazioni di Ermakova sulla fertilità di ratti nutriti con soia transgenica (http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/nbt0907-981.pdf) il tema del rischio alimentare è sempre stato molto sbandierato. L’industria alimentare Europea e soprattutto le grandi catene della distribuzione del cibo hanno approfittato subito di questa paura inculcata nei consumatori lanciando linee di prodotti OGM-free come se questi contenessero una certificazione di salubrità per il consumo umano. In realtà si è trattato solo di una brillante scelta commerciale confezionata da grafici pubblicitari e non da medici nutrizionisti con cui è stato giustificato l’incremento dei prezzi di linee di prodotti di filiera. La certificazione di essere esenti da OGM ha giustificato questi prodotti come alimenti di una qualche più elevata qualità e quindi meritevoli di essere pagati a prezzi più elevati dai consumatori. In realtà vedremo tra breve che alcuni prodotti OGM-free dovrebbe costare meno e non di più di un prodotto contenente alcuni specifici tipi di derivati di piante ingegnerizzate. Va ricordato come tutte le più prestigiose autorità internazionali abbiano sempre garantito la sicurezza alimentare degli OGM e tra questi vanno citati l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), la Food and Drug Administration degli USA, il programma per gli aiuti alimentari ai Paesi in via di sviluppo delle Nazioni Unite, la FAO, l’Unione Europea e tutte le più presigiose accademie scientifiche internazionali. Una sintesi di questa analisi si trova nel consensus document sottoscritto da 16 Società scientifiche italiane coordinate dalla Società Italiana di Tossicologia e consultabile al sito: http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/consensus-ita.pdf La fiducia nella sicurezza alimentare degli OGM finora commercializzati deriva da due aspetti: l’assenza di una sola persona ospedalizzata fino ad oggi a seguito del consumo di un alimento contenente OGM e la dimostrazione che i controlli di sicurezza funzionano ben a monte del possibile arrivo sul mercato degli alimenti. Fino ad oggi non esiste nessuna prova scientificamente dimostrata di un effetto negativo su esseri umani derivante dal consumo di OGM. Il caso di una presunta reazione allergica derivante dal consumo di alimenti a base di un tipo mais illecitamente commercializzato (il caso Starlink), si è risolto con la condanna dell’azienda che aveva trasgredito al divieto di commercializzare l’alimento già definito sospetto ed autorizzato perciò solo per il consumo animale e con un rapporto del prestigioso Center for Disease Control di Atlanta che escludeva la presenza di alcuna reazione allergica (da IgE) nel siero degli individui che avevano dichiarato una simile patologia. Nel paragrafo successivo viene riportato il caso del mais Bt e dei suoi vantaggi ambientali. Ma il mais Bt è estremamente valido anche dal punto di vista della sicurezza alimentare essendo meno soggetto alla contaminazione da fumonisine. Le fumonisine sono micotossine capaci di indurre tumore all’esofago nell’uomo e malformazioni del sistema nervoso centrale dei feti delle donne in gravidanza (ad esempio spina bifida). Le fumonisine causano le patologie sopra descritte inibendo l’assorbimento di acido folico, la vitamina B9. Esiste una vasta letteratura che mostra come le fumonisine siano 2-6 volte più abbondanti nel mais tradizionale rispetto alle concentrazioni presenti nel mais Bt. La ragione risiede nel fatto che un mais Bt non viene quasi attaccato da alcuni parassiti del mais quali la piralide. Questo insetto scava delle gallerie nel fusto e nella pannocchia e tali cavità sono ideali per lo sviluppo di funghi tossici. Infatti in un ambiente umido ed oscuro i funghi possono proliferare e rilasciare i prodotti del loro metabolismo secondario quali appunto le fumonisine. Questo dato mostra come alcuni OGM siano più sicuri dei loro progenitori non-ingegnerizzati. Sulla base di questi dati si spiega come nel penultimo paragrafo un alimento etichettato come NO-OGM dovrebbe costare di meno e non di più di uno analogo dove un mangime era a base di mais Bt. Invece in due distinte occasioni (i casi della noce brasiliana e dell’alfa-amilasi di fagiolo) si è dimostrato che prodotti derivanti da OGM non hanno superato la fase sperimentale e quindi non hanno mai raggiunto i consumatori proprio a causa dei controlli accurati che presiedono a questa transizione nel caso dei soli OGM. In entrambi i casi le piante ingegnerizzate in questione sono state bloccate dagli stessi sperimantatori dimostrando come il sistema di controlli si sia dimostrato efficace. In realtà la sicurezza alimentare ha fatto negli ultimi anni dei grandi passi in avanti, mentre si assiste ad un sempre più ossessivo richiamo nostalgico ai bei tempi andati dimenticando gli enormi problemi sanitari connessi con una preparazione artigianale degli alimenti. Per una trattazione documentata e coinvolgente si rimanda al libro di Antonio Pascale, Scienza e Sentimento, Einaudi 2008. OGM ed ambiente Qualunque tipo di agricoltura è dannosa per l’ambiente e gli OGM non fanno di certo eccezione, ma la loro fama mediatica è ben diversa. A più riprese ambientalisti scientificamente impreparati, leaders di movimenti populisti, politici in cerca di facile consenso hanno tacciato genericamente gli OGM di varie colpe. Si è detto che distruggono insetti non dannosi quali la farfalla monarca, minano la biodiversità invadendo coi loro pollini tutte le altre piante sovrastandole, diffondono geni pericolosi sia per i microrganismi del suolo che per gli esseri umani che se ne cibano. La soluzione proposta a questi flagelli, ed a quelli imputati all’agricoltura tradizionale ossia di usare troppa chimica e troppi pesticidi, è stata quella dell’agricoltura biologica. Contrariamente a quanto viene propagandato l’agricoltura biologica non è la panacea di tutti i mali. Intanto va ricordato come il 99,99% di tutti i pesticidi esistenti al mondo sono “biologicamente” prodotti dalle piante ed a questi vanno aggiunte tante altre molecole cancerogene o tossiche che in alcuni casi sono molto più abbondanti su coltivazioni tradizionali o biologiche che non in piante geneticamente migliorate. L’esempio del mais Bt lo si può analizzare al sito: http://www.salmone.org/archives/category/ogm-mais-e-micotossine, ma non vanno dimenticati gli elevati dosaggi consentiti in agricoltura biologica di metalli pesanti come il solfato di rame o molecole tossiche quali il rotenone (http://it.wikipedia.org/wiki/Rotenone ). Ma altri aspetti ambientali hanno occupato la scena pubblica in questi anni. Un esempio che sembra essere sempre di moda è quello della tossicità del mais Bt per le farfalle monarca o per altri tipi di insetti e lombrichi. Una ricostruzione di questa lunghissima diatriba si trova in http://www.salmone.org/archives/category/ogm-luoghi-comuni. La questione è spesso posta in maniera molto poco equilibrata. Come si diceva, tutti i tipi di agricoltura (nessuno escluso) sono dannosi per insetti, invertebrati ed anche per la stessa biodiversità. Se le analisi non vengono condotte secondo una equilibrata valutazione dei costi e dei benefici comparati è impossibile tirare delle conclusioni ragionevoli. Se quindi è vero che ci sono meno lombrichi o meno farfalle in un campo di mais Bt, si dovrebbe anche fornire il dato di quanti vertebrati, invertebrati ed insetti sono presenti in campi coltivati secondo altre pratiche agricole. Per maggiore precisione, la tossina che scoraggia alcuni insetti parassiti dall’infestare i campi di mais Bt deriva da Bacillus turingensis (da qui la sigla Bt). In agricoltura biologica lo stesso batterio contenente esattamente la stessa tossina viene spuzzato come insetticida (biologico) sulle piante. Ora appare originale affermare che la stessa tossina ha effetti drammaticamente differenti nei due casi (anche invocando dosaggi estremamente diversi) dimenticando il fatto che quando si usa un batterio intero si stanno spruzzando sulle piante circa 5000 differenti proteine oltre a quella di interesse, ognuna delle quali potrebbe in qualche modo risultare nociva per una qualche forma vivente. Ancora più grave è dimenticare che quando non si usano piante del tipo Bt si devono spargere nell’ambiente grandi quantità di pesticidi che non hanno nessuna selettività e che quindi nuociono molto di più a quegli stessi piccoli organismi, oltre che a tutti i mammiferi uomo incluso. Un altro aspetto ambientale che viene spesso trascurato riguarda l’uso delle varietà geneticamente modificate resistenti all’azione di erbicidi. Queste varietà non hanno contribuito a ridurre in maniera significativa l’uso degli erbicidi, come invece hanno fatto le varietà Bt che hanno ridotto l’uso dei pesticidi in maniera consistente. La causa è da cercare nel fatto che questi OGM sono resistenti ad erbicidi particolarmente poco stabili nei terreni. Un pioggia improvvisa può quindi spazzarli via costringendo l’agricoltore ad aggiungere ulteriori dosi di erbicida. Alcuni agricoltori hanno però impiegato le varietà di OGM resistenti ad erbicidi per evitare si dissodare ed arare i terreni attuando la cosidetta “ semina su sodo”. Questa pratica consente di lasciare inalterata la tessitura del suolo evitando in questo modo sia di favorire frane e dilavamenti dei suoli, sia di liberare le grandi quantità di anidride carbonica contenuta nei suoli. Si calcola che la quantità di anidride carbonica risparmiata dalla semina su sodo di piante da OGM equivalga ad aver eliminato dalla circolazione fino a 4,7 milioni di autoveicoli che percorreva ognuno15.000 km l’anno (GM Crops: The Global Economic and Environmental Impact - The First eleven Years 1996-2005 Graham Brookes and Peter Barfoot. PG Economics Ltd., Dorchester, UK 2007). OGM nei tribunali Tra gli aspetti più trascurati degli OGM vi è la loro tutela in sede legale. I casi che vengono spesso citati sono quello di un coltivatore canadese condannato perché il suo campo è stato trovato pieno di colza transgenica che lui non aveva acquistato, ma spesso ci si dimentica di dire che la Corte Canadese non gli ha comminato alcuna sanzione economica pur ritenendolo colpevole. A mio parere invece ci sono tre casi distinti che meriterebbero maggior pubblicità e che sono: le sentenze della Corte Europea di Lussemburgo sulla vicenda della richiesta dell’Alta Autria di divenire una regione OGMfree, della Corte Costituzionale Italiana sulla legge per la coesistenza delle agricolture e quella del WTO per la moratoria di fatto attuata dall’Europa tra il 1998-2003. I relativi documenti si trovano al sito: http://www.salmone.org/archives/category/ogm-aspetti-legali. Nella prima serie di sentenze la corte di Lussemburgo ha negato che sia possibile istituire delle intere regioni OGM-free senza violare il trattato costitutivo dell’Unione Europea. Le regioni OGM-free italiane lo sono quindi non legalmente, ma solo sui tavoli mediatici. La Corte Costituzionale Italiana ha emesso nel marzo 2007 una sentenza che abroga di fatto quasi tutta la legge 5 del 2005, con la quale l’allora Ministro delle Politiche Agricole Alemanno cercava di vietare di fatto la coesistenza tra agricoltura biologica, trasngenica e tradizionale. Infine l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha stabilito che l’Europa è colpevole di aver vietato di fatto la coltivazione degli OGM ed è quindi perciò punibile. Le relative ritorsioni commerciali consentiranno agli Stati ricorrenti di imporre dazi sulle importazioni da alcuni Paesi Europei. L’aspetto centrale di queste sentenze è che tutte muovono dalla considerazione che chi voleva vietare gli OGM non poteva portare a sostegno delle sue tesi alcuna prova scientificamente solida. Le differenti Corti hanno tracciato un solco netto tra le paure emotive del pubblico ed i dati scientifici che negano la presenza di consistenti e documentati danni ambientali e sanitari che possano giustificare moratorie, regioni OGMfree o sedicenti principi di precauzione utilizzati per rimpiazzare l’assenza di concreti dati sperimentali. OGM, multinazionali ed economia Per ricostruire i complessi passaggi societari e le strategie di acquisizioni messe in campo dalle company biotech, non c’è testo migliore di quello pubblicato da Anna Meldolesi per Einaudi nel 2001: OGM storia di un dibattito truccato. Si tratta di una severa e documentata requisitoria contro i media, gli scienziati pavidi o disinvolti e stuoli di abientalisti intenti a spargere assurde paure. Sul sito http://www.salmone.org/archives/347 viene descritta in estrema sintesi la situazione dei fatturati delle principali multinazionali del settore all’inizio del nuovo millennio. Non è difficile capire come l’Europa sia leader indiscussa nel settore degli agrofarmaci e quindi della produzione di pesticidi, mentre le company statunitensi fatturano circa la metà di quelle europee concorrenti. Questa situazione si ribalta per quel che riguarda la vendita di sementi biotech, dove le multinazionali statunitensi fatturano il doppio delle competitrici europee. Per quanto riguarda poi i brevetti, una gran parte sono già nelle mani di Monsanto e molti altri vi finiranno per gli elevati costi di gestione dei brevetti e validazione dei prodotti. Come già detto la sovraregolamentazione ha schiacciato le ambizioni di molte grandi Università e Centri di Ricerca. In Italia, dove si è intanto diffusa una vera fobia contro gli OGM, la società di studi economici Nomisma (http://www.salmone.org/archives/category/ogm-agricoltura-italiana ) elabora nel 2004 un rapporto dove dimostra che la soia geneticamente modificata usata nei mangimi di mucche e maiali, fa parte da anni della produzione italiana di alta qualità esportata in tutto il mondo. Prodotti DOP ed IGP come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele,etc., utilizzano almeno il 36% di soia modificata nei loro mangimi. Questa situazione riguarda in realtà tutta la produzione europea di latte, formaggi carni, inasaccati visto che l’Europa produce solo l’1% della soia che usa nei mangimi e che qusi il 55% della soia esportata al mondo deriva da OGM. All’inizio del 2008 è uscito un secondo rapporto da Nomisma riguardante le disponibilità future di soia e mais. Le analisi di Nomisma 2008 sono in accordo con simili rilevamenti effettuati ad inizio 2007 dall’Unione europea e si possono sintetizzare in pochi punti fermi: - l’Italia produceva nel 2001 il 98% del mais di cui aveva bisogno e nel 2006 solo l’86%, intanto il prezzo del mais è raddoppiato e quello del grano duro triplicato (l’Italia è il primo importatore al mondo di grano duro!); - l’Italia non fa più da anni innovazione e ricerca sul mais e mentre le rese produttive di chi usa mais da OGM salgono, questo non avviene per i coltivatori italiani che anzi devono aumentare i dosaggi di pesticidi spruzzati per evitare che le fumonisine rendano non commerciabile il loro mais; - se non smettiamo di perseguire questo sogno dell’OGM-free oltre a perdere la coltivazione del mais (la soia è già persa) non si faranno in Europa nemmeno più gli allevamenti per produrre le carni di manzo e maiale con danni economici stimabili dell’ordine di varie decine di miliardi di euro. La soia geneticamente modificata per uso nei mangimi zootecnici sta per raggiungere percentuali variabili tra l’80 ed il 90%; Appare evidente chee la diffusione degli OGM nel mondo è ancora cresciuta e che la politica autarchica Europea ed italiana in particolare si è dimostrata perdente. In un rapporto del gennaio del 2007 dell’Unione Europea (http://www.salmone.org/wpcontent/uploads/2007/09/economic_impactgmos_en.pdf ) vengono illustrati vari scenari sugli approvigionamentri di soia e mais con OGM o OGM-free. Una politica di vera chiusura agli OGM porterebbe a degli scenari apocalittici con un aumento della spesa per mangimi ed annullamento delle esportazioni. Sarebbe un tracollo finanziario misurabile in vari miliardi di euro. OGM e Scienza italiana Una tra le maggiori mistificazioni nel dibattito sugli OGM è quella che gli scienziati italiani sarebbero divisi su tale tematica. In realtà non c’è nulla di più lontano dalla realtà. A scagliarsi contro gli OGM sono politici, organizzazioni agricole, organizzazioni legate all’agricoltura biologica, esponenti della ristorazione di lusso, grandi cuochi, catene della grande distribuzione, ma solo pochissimi scienziati italiani, che spesso hanno una posizione cauta più che ostile. Queste posizioni scettiche vengono fortemente strumentalizzate dalla politica come dai media per giustificare quella che è una vera e propria violazione della Costituzione Italiana (articolo 33) ossia il divieto di fatto di condurre esperimenti in pieno campo con OGM per tutta la Ricerca Pubblica italiana. Contro un simile divieto, unico tra i Paesi più sviluppati al mondo, la Scienza italiana si è schierata compatta. Esistono ben tre documenti pubblici redatti da 21 Società scientifiche italiane e dalle Accademie delle Scienze e dei Lincei a sostegno alla tecnologia degli OGM (http://www.salmone.org/archives/category/ogm-la-comunita-scientifica-italiana ). Ma oltre a tali documenti i singoli scienziati di più vasta notorietà e prestigio sostengono la validità degli OGM. Tra questi si possono citare: Silvio Garattini, Umberto Veronesi, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia, Rita Levi-Montalcini, Margherita Hack, Edoardo Boncinelli, Tullio Regge, Andrea Ballabbio, Piergiorgio Oddifreddi, Giulio Cossu, Elena Cattaneo e tantissimi altri. Al contrario è difficile trovare un solo scienziato prestigioso che si possa dire contrario agli OGM. I due principali Consensus Document sono stati pubblicati nel 2004 e nel 2006 e riguardano la Salute e gli OGM il primo e la Coesistenza ed i temi ambientali il secondo. In maniera semplice e documentata si evidenzia nel primo documento come gli OGM vengano vagliati da un sistema di controlli sanitari che non ha eguali nella catena alimentare. Nel secondo invece si dimostra come 20-25 metri di distanza tra un campo di mais da OGM ed uno tradizionale siano sufficenti a garantire che i pollini dei due campi non si incrocino a livelli superiori a quelli stabiliti dalla Direttiva 556/2003 dell’Unione Europea, ossia con percentuali di incrocio inferiori allo 0,9%. A più riprese nel 2001, 2002 e poi nel 2007 la comunità scientifica italiana si è ritrovata unita a sostenere la tecnologia degli OGM e la situazione mediatica sta molto cambiando negli ultimi tempi (vedi anche http://www.salmone.org/archives/category/ogm-media ). A settembre del 2008 nasce SAgRi, Salute AGRicoltura Ricerca, una Onlus che riunisce i Presidenti della Società di Genetica Agraria, Luigi Frusciante, della Società di Tossicologia, Giorgio Cantelli Forti, di Futuragra Duilio Campagnolo e che elegge presidente Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina alla Sapienza di Roma e come coordinatore Roberto Defez del CNR di Napoli. Scopo dell’associazione culturale SAgRi è quello di introdurre dati scientifici all’interno del dibattito mediatico sugli OGM. OGM e la fame nel mondo I problemi di insicurezza alimentare non possono essere risolti dagli attuali OGM commercializzati da grandi multinazionali e destinati alle agricolture dei Paesi più sviluppati. Appare strano immaginare come varietà resistenti agli erbicidi come la soia RoudupReady possa avere vantaggi di crescita senza acquistare il relativo erbicida o varietà di mais resistenti all’attacco di parassiti possano crescere senza enormi dosi di fertilizzanti azotati ed irrigazione. Tutte queste condizioni non possono essere trovate nei Paese dell’Africa Sub Sahariana dove più frequenti sono le carestie. Da un altro punto di vista è compito della Ricerca Pubblica dei Paesi sviluppati applicare le più moderne tecnologie alle varietà più coltivate nei luoghi dove si intende intervenire e quindi su varietà di sorgo, miglio, cassava o vigna. Si tratta di piante di principale uso locale, ma su cui si possono innestare le tecnologie dell’agricoltura biotech per renderle ad esempio maggiormente resistenti all’attacco di parassiti che, nel caso ad esempio della leguminosa vigna, arrivano a distruggere fino all’80% del raccolto. Queste politiche sono incoraggiate e sostenute da uno specifico documento dell’ONU che il 9 maggio del 2003 ha scritto “non è in discussione se le moderne biotecnologie manterranno le loro promesse, ma solo come questi vantaggi verranno condivisi”. L’ONU indica il problema della condivisione della proprietà intellettuale e quindi degli eventuali ritorni commerciali derivanti dall’uso delle tecnologie del DNA ricombinante applicate alle piante. Ancora una volta la ricerca pubblica dei Paesi sviluppati deve fungere da palestra per formare le nuove generazioni di scienziati dei Paesi emergenti e le applicazioni sulle varietà locali devono trovare una forma di coinvolgimento dei due tipi di Paesi. Ma non si può dimenticare che già oggi il cotone da OGM viene usato da milioni di piccoli coltivatori in Cina, India, Pakistan, SudAfrica, etc e che questi utilizzi hanno portato molto bernessere a quei coltivatori sia in termini di produttività sia in termini di riduzione dell’uso di pericolosi pesticidi. Infine i recenti forti incrementi dei prodotti alimentari (soia, mais, frumento, riso) incidono anche sulla disponibilità per le parti più svantaggiate della popolazione mondiale. L’avvio di quantitativi sempre più elevati di mais alla produzione di biocarburanti è anche un pericolo perché quelle derrate non verranno più usate per l’alimentazione. Questi movimenti delle cosidette commodities sono stati molto forti nell’ultimo anno ed hanno portato ad una drastica riduzione delle scorte alimentari che per la gran parte dei cereali sono oggi dimezzate rispetto ai quantitativi consigliati dalla FAO. Non si può tacere il fatto che quando gli alimenti scarseggiano sono solo i più ricchi che se li possono permettere e quindi gli aumenti di produzione per ettaro garantiti dalle varietà da OGM risultano in allentamenti delle tensioni speculative sui prezzi delle derrate e quindi in una maggiore facilità di accesso per i Paesi meno ricchi. OGM: i luoghi comuni In un dibattito mediatico come quello sugli OGM valgono le regole dei media, non quelle della scienza. Ossia vale l’affermazione più gridata e spaventosa, molto meno si ricordano dati di normalità o ragionamenti rassicuranti. Ad esempio molti non addetti ai lavori sostengono che da qualche parte si vendano fragole che hanno dentro una lisca di pesce o che i semi da OGM siano sterili. Tutte queste affermazioni non hanno alcun fondamento, ma sono dicerie dure a morire. Una delle più insidiose e malevole falsità diffuse ad arte per avversare la diffusione degli OGM è quella che sostiene che siano così poco produttivi da mandare in fallimento i poveri agricoltori che se sono indiani e coltivano cotone Bt finiscono per suicidarsi bevendo pesticidi. In Italia queste tesi sono state ripetutamente propagandate da Vandana Shiva che ha sostenuto in varie interviste che almeno 100.000 contadini indiani si erano suicidati negli ultimi anni per il tracollo economico derivante dall’uso di semi di OGM. Nell’ottobre del 2008 uno dei più prestigiosi istituti internazionali l’IFRPRI da sempre in prima linea nella lotta all’insicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo, ha prodotto un documentatissimo studio sulla vicenda dei suicidi dei contadini indiani (http://www.salmone.org/wp-content/uploads/2008/10/btcotton.pdf ). I dati dimostrano che in India ci sono ogni anno tra i cento e i centoventimila suicidi. Tra questi, negli ultimi dieci anni, i suicidi dei contadini sono stabilmente tra i quindici e i diciassettemila l’anno. La percentuale relativa di suicidi di contadini varia da un massimo del 16 per cento del totale nel 2002 (anno di introduzione del cotone Bt in India su soli 29 mila ettari) a un minimo del 14 per cento del totale dei suicidi nel 2006, quando gli ettari coltivati a cotone Bt erano arrivati a 3,8 milioni di ettari, con un incremento di circa 100 volte in soli cinque anni. Analizzando le due province dove si coltiva la maggior parte del cotone Bt indiano (Maharashtra e Andhra Pradesh) si vede come in entrambi i casi il numero di suicidi di agricoltori tra il 2005 e il 2006 sia stabile (rispettivamente a 1500 e a 800 suicidi l’anno) malgrado gli ettari coltivati a cotone Bt negli stessi due anni salgano da 504 mila a 1,8 milioni di ettari nel Maharashtra e da 90 mila a 830 mila nell’Andhra Pradesh. L’India decide di coltivare il cotone Bt perchè era il terzo maggior produttore di cotone al mondo dopo Cina e Stati Uniti, ma la Cina era al sesto posto come redditività per ettaro e gli Stati Uniti al quattordicesimo, mentre l’India occupava solo il settantesimo posto nella classifica mondiale. Grandi estensioni coltivate a cotone, ma poco raccolto. Inoltre il 45 per cento di tutti i pesticidi usati in India venivano usati sul cotone. La redditività indiana per il cotone tra il 1990 e il 2003 era stabile attorno ai 300 kg per ettaro; ora che quasi metà del cotone indiano è da OGM la resa è salita a 600 kg per ettaro e contemporaneamente è sceso sensibilmente l’uso di pesticidi. Riassumendo numerosi studi riconosciuti a livello internazionale, si è ridotto del 32 per cento l’uso di pesticidi sul cotone Bt, si sono avuti aumenti di resa per ettaro del 42 per cento e un vantaggio commerciale per l’agricoltore che coltivava cotone Bt del 52 per cento. Questo studio ha avuto grande rilevanza nei media tanto da modificare la biografia su Wikipedia dell’attivista Indiana e vice presidente di Slow Food internazionale (http://it.wikipedia.org/wiki/Vandana_Shiva ). L’enciclopedia on line ha accolto integralmente le conclusioni del rapporto dell’IFPRI sostenendo che i “dati sui suicidi in India da cui si evidenzia come, dopo l'introduzione degli OGM, i suicidi tra gli agricoltoi non siano aumentati, ma abbiano piuttosto subito un leggero calo”. Ma anche questo sarà uno dei luoghi comuni sugli OGM duro a morire. OGM: il caso italiano Come si diceva sopra, l’Italia è stato l’unico Paese sviluppato a bloccare la sperimentazione di campo degli OGM alla Ricerca Pubblica. Questa posizione che di può solo descrivere come fondamentalista ha diversi ispiratori che ne hanno sostenuto la validità negli anni. Intanto vi sono le grandi catene della distribuzione del cibo che hanno così attuato una doppia strategia: da un lato combattendo i Discount tacciati di proporre alimenti di bassa qualità e dall’altro lanciando linee di prodotti a marchio descritti come di alta qualità solo per essere OGM-free. La definizione di OGM-free è molto opinabile ed i suoi componenti OGM difficilmente misurabili. Comunque come già descritto sopra un prodotto No-OGM dovrebbe costare meno e non di più di uno in cui sono presenti prodotti da OGM come ad esempio mais Bt. A questi gruppi si sono unite le catene della ristorazione di lusso e dei prodotti di nicchia più costosi che vedevano nell’OGM un modo per intaccare l’immagine esclusiva e prestigiosa della loro produzione. Infine alcune sigle sindacali di categoria che temevano di perdere il controllo sul ciclo delle sementi, degli agrofarmaci, dei trattamenti fitosanitari e delle macchine agricole utilizzate per il loro spargimento. Questa composita coalizione ha teorizzato la conversione dell’intera alimentazione italiana verso un modello a base di prodotti da agricoltura biologica. Non si possono citare qui tutte le difficoltà che una tale opzione troverebbe di ordine economico, ambientale, saniatrio. Ma almeno una motivazione può servire da esempio per capire quanto una tale opzione non risponde ad una scelta codivisibile. Si sa bene che in agricoltura biologica non sono ammessi (quasi) prodotti di sintesi, tra cui anche i fertilizzanti derivati dalla chimica. Ma lo stesso rifiuto dei fertilizzanti di sintesi ha portato l’agricoltura biologica verso un paradosso del tutto inaspettato per gli ignari consumatori. Il disciplinare Europeo dell’agricoltura biologica consente infatti di utilizzare una vasta gamma di farine animali come fertilizzanti tra queste troviamo le farine di carne, di sangue di zoccoli, di epiteli di pelli di corna e così via (http://guide.dada.net/fisica_applicata/interventi/2001/02/30064.shtml ). E’ difficile immaginare che un consumatore vegetariano di prodotti da agricoltura biologica sia informato di quale sia il nutrimento che ha consentito la crescita delle piante di cui si ciba. Sarebbe anzi il caso che, per rispetto verso i consumatori, tali prodotti fossero etichettati e sconsigliati all’uso da parte di vegetariani stretti. OGM del futuro La ricerca scientifica italiana delle agrobiotecnologie sopravvive appena in un cronico stato di assenza di fondi e di poche strumentazioni dedicate. Alcune Regioni del Nord hanno investito in agrobiotech mentre la gran parte dei fondi del settore va verso metodi per contrastare o identificare OGM e solo in piccola parte a progetti di genomica e di biologia molecolare da non condurre in pieno campo, quindi solo progetti monchi. Nonostante il clima non sia certo favorevole vi sono alcuni laboratori che sono delle punte di eccellenza del settore. Piante ingegnerizzate per resistere a climi aridi o per assimilare meglio composti dell’azoto sono in via di allestimento. Già produttive sono alcune varietà di frutti di bosco o di uva senza semi ed a maggiore pezzatura e produttività. Ci sono valide ragioni per investire nella produzione di molecole di interesse medico prodotte in piante anche per la fatto che le piante non hanno patogeni in comune con l’uomo. Tra queste la produzione di immunoglobuline in pianta è uno dei campi più promettenti. Infine la recente pubblicazione da parte di due consorzi italiani del sequenziamento del genoma della vite apre grandi applicazioni ed opportunità nel settore.