Diario di Viaggio nelle oasi egiziane

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Diario di Viaggio nelle oasi egiziane
Diario di Viaggio nelle oasi egiziane
Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
Mi avevano tanto parlato della zona legata alle distese nord orientali
del Sahara, un oceano di dune intriganti e vallate sperdute, mi avevano
descritto anche la bellezza di alcune fertili oasi adagiate in suggestive
conche che riuscivano ad interrompere l’affascinante aridità del
paesaggio attorno a loro.. un mondo di sabbia. Allora perché non
andare?
Un viaggio in Egitto non era nuovo, ma anche rivedere, oltre alle zone
ancora non visitate, altre conosciute ed amate, splendida testimonianza
di un’epoca passata, era sempre troppo invitante.
Senza molti ripensamenti, insieme alla mia carissima amica Simonetta,
una “romana verace e grande viaggiatrice”, mi sono decisa a scegliere
un itinerario che sarebbe certamente stato ricco di suggestioni… la
pace del deserto, il silenzio delle oasi e tutto un mondo di archeologia
legata alla magia e all’immaginario dell’antico Egitto.
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Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
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Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
Quando sono arrivata al Cairo, mi
sono subito ricordata di una bella
descrizione che avevo letto dello
scrittore premio Nobel per la
letteratura, Naghib Mahfur, che
parlava con amore della sua città:
“C’è chi ha girato il mondo e lo
descrive come fosse un vicolo. C’è
chi conosce solo un vicolo e lo
descrive come fosse il mondo. Il mio
“vicolo” è l’Egitto, perché per me
l’Egitto è il mondo. Ho viaggiato
pochissimo nella mia vita forse
perché l’immensa Cairo, dove sono
nato, dove ho una casa affacciata
sulla maestà del Nilo.. è il mio solo
amato mondo!”
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Avevo visitato varie volte il Cairo, ma
ancora una volta avevo trovato il suo spirito
immutato. Il suo disordine, i suoi celebri
monumenti, le moschee, i suoi quartieri
popolari erano rimasti nel mio ricordo e
rivederli, anche se in una sola giornata “di
passaggio”, quasi nello “spazio temporale di
un respiro”, era un modo particolare per
poterli approfondire, gustare con maggior
intensità.
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Siamo saliti ai bastioni turriti della Cittadella di Salah el Din o del Saladino e dalla
terrazza-giardino, quella città chiamata anche “dei mille minareti”, capitale del mondo
islamico, mi è apparsa come un pulviscolo dorato… ogni epoca pareva aver lasciato la sua
impronta nei palazzi e nelle moschee che sembravano una vera e propria fitta foresta di
pietra.
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Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
Poi in quella cittadella, sempre bella ed imponente mi è apparsa la moschea voluta da
Muhammad Alì nel 1830, in memoria di Tusun Pasha, il figlio maggiore morto nel 1813.
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L’edificio ottomano era stato costruito sul sito
del vecchio palazzo reale dei Mamelucchi,
circondato da un ampio piazzale squadrato,
spiccava con le sue suggestive cupole, una
centrale, circondata da quattro più piccole cupole
semicircolari ricoperte di piombo e dipinte con
motivi in rilievo e gli snelli minareti cilindrici, di
foggia turca, con piccoli balconi situati sul lato
occidentale della moschea, che si stagliavano
nell’azzurro del cielo per ben 82 metri di altezza!
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Anche l’interno, pur spoglio e privo di qualsiasi figurazione umana e divina, a causa
dell’espresso divieto della religione musulmana, mi è apparso notevole nel suo spazio
circolare… tutto era luce e splendore per la gloria di Allah.
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Mi sono seduta sul grande tappeto al centro della moschea e mi sono persa ad osservare
l’insieme: molti erano i temi decorativi geometrici e varie le forme di calligrafia con frasi
arabescate che riportavano versetti del corano. Mi hanno detto che le scritture erano
talmente elaborate che solo gli specialisti riuscivano a leggerle! Le vetrate erano
coloratissime e gli immensi lampadari illuminavano ogni angolo di una luce soffusa.
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Nel cortile della moschea che non era stata ancora completata alla sua morte,
abbiamo poi ammirato la semplice tomba di Muhammad Ali Pasha scolpita in
marmo di Carrara solo nel 1857.
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Scesi nella città bassa abbiamo percorso strade
ricche di un considerevole numero di palazzi e
monumenti. Le moschee, le madrase, famose
scuole coraniche e i mausolei scorrevano davanti
ai nostri occhi con il loro stile omogeneo e
originale per il contrasto tra le grandi superfici
nude, austere e la ricchezza di elementi
decorativi come portali, minareti con epigrafi,
cupole.. quelle bellezze architettoniche sorgevano
dall’intreccio dei vicoli dove pedoni, vetture e
carretti si muovevano incessantemente fra la
confusione, il rumore e la polvere.
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Siamo entrati nella zona del bazar dove oltre ai negozi abbiamo scoperto vecchie case
bellissime, con portali riccamente intarsiati, antiche piccole moschee senza nome che nella
loro elaborata semplicità non erano di certo inferiori a quelle più conosciute…
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Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
...e sempre ciò che mi ha colpito di questa città è stata la folla, veramente troppa, il
caos, il traffico negli svincoli, nelle vie, nelle piazze.. abbiamo vagato libere da itinerari
prestabiliti dato che il tempo a nostra disposizione non era molto e poi il giorno dopo ci
siamo spostati in aeroporto per il volo diretto ad Alessandria d’Egitto.
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Arrivati in quella splendida città
fondata
sul
Mediterraneo
da
Alessandro Magno, ci siamo subito
diretti a visitare la famosa
biblioteca.
A volerla era stato il filosofo greco
Aristotele che l’aveva chiamata
“Bruchium”, un luogo che doveva
contenere tutta la linfa vitale del
sapere, e Tolomeo I, seguendo il
suggerimento del filosofo e anche il
suo sconfinato amore per la
conoscenza, aveva mandato in giro
per il mondo i suoi uomini più eruditi
alla ricerca di tutto ciò che capitava
loro sotto mano e che ritenevano
degno di essere conservato e poi
aveva affidato il progetto a
Demetrius Phaleirus la cui statua,
severa e ieratica troneggiava
nell’atrio della biblioteca!
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Il “Bruchium” rimase per molto tempo la maggiore biblioteca non
solo d’Egitto, perché conteneva il sapere di un’intera civiltà,
dall’astronomia alla letteratura, con una predominanza di cultura
greca ed egizia.
La fine poi di quella struttura unica era ancora avvolta nel mistero..
forse era stata bruciata per errore da Giulio Cesare nel suo
attacco alla flotta di Cleopatra? Forse invece era stata
volutamente incendiata da una folla fanatica di cristiani, sobillati
dal patriarca di Alessandria Teofilo, che volevano cancellare il
“sapere pagano”, e soprattutto quei testi di scienza ed alchimia che
facevano paura per i loro contenuti all’avanguardia.
La biblioteca era poi stata ricostruita a partire dal 1995 con un
progetto sponsorizzato dall’UNESCO e finanziato da donazioni di
denaro e di libri arrivati da tutto il mondo.
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Devo confessare che quando mi sono trovata di fronte a quella splendida ricostruita
biblioteca ho provato una sorta di emozione profonda.. l’edificio moderno era là dove un
tempo sorgeva l’antica biblioteca…
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...tutti gli enigmi del passato erano stati cancellati
e quella architettura rappresentava una sfida,
uno spazio prezioso di rivincita contro l’antica
ignoranza e la superstizione, era bellissima e
simbolica; nella struttura esterna si ispirava al
disco solare splendente che sorgeva, circondato
dal mare. Mi ha molto colpito il muro, tutto in
granito, la pietra preferita dei faraoni, con incisi
i quattromila caratteri che rappresentavano gli
alfabeti del mondo!
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La gigantesca statua di Ramesse II sembrava poi fare la guardia all’ingresso preannunciando
un’atmosfera avveniristica ed in effetti entrati all’interno si rimaneva colpiti dai giochi di luce
spettacolari, dai particolari soffitti in alluminio.. ci hanno specificato che erano “a prova
d’incendio”!
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C’era anche, nel lato nord, l’area di
consultazione con le pareti in vetro
illuminate dalla luce del sole e allora
i colori grigio metallici della
struttura risplendevano, brillavano
di una luminosità riflessa.
E poi ero attorniata da tanti libri,
tutti i volumi del sapere che erano
dislocati su vari piani, ben undici,
per una superficie di 45.000 mq…
quattro piani scavati nel sottosuolo
e sette che si alzavano verso il
cielo, e poi ancora musei, stanze per
i congressi, sale di consultazione
anche con computer all’avanguardia.
Ci hanno spiegato che la disposizione
dei volumi voleva simboleggiare
l’incontro tra il passato e il
presente, tra storia antica e
moderna, quest’ultima in continua
evoluzione.
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Siamo poi uscite frastornate dalla biblioteca
e ci siamo avventurate sul lungomare dove un
vento pazzesco soffiava con forza, tagliava le
creste delle onde e le spingeva a infrangersi
sulla battigia creando altissimi spruzzi.
Eravamo in balia del vento che ci portava i
profumi marini e molte gocce simili a perle di
acqua salata, ma non potevamo non ammirare
alcuni scorci della bella Alessandria con la sua
baia cosparsa di barche ed il mare azzurro.
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Mi è piaciuto anche il castello quattrocentesco di Qa’itbey, ormai diroccato e non
visitabile che si protendeva sul mare, sfidando il vento. Quel castello era stato una
delle fortezze più importanti non solo in Egitto, ma in tutta l’ansa del Mediterraneo.
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La sua costruzione risaliva al 1480 quando il sultano Ashraf aveva voluto dare una forte
impronta al sistema di fortificazione della città in vista degli attacchi ottomani. Il castellofortezza era stato costruito sulle rovine dell’antico faro che rappresentava una delle sette
meraviglie del mondo antico… purtroppo però vari terremoti avevano provocato ingenti danni e
l’edificio, in parte distrutto, non era stato più sfruttato.
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Essendo ad Alessandria era quasi un dovere andare a visitare lungo
la costa il sacrario di El Alamein, simbolo della resistenza
dell’esercito regio italiano, nel corso della seconda guerra mondiale,
quando i nostri mitici paracadutisti della “Folgore” resistettero per
tredici giorni all’attacco inglese.. alla resa ebbero infine l’onore
delle armi!
Il sacrario era diviso in tre zone: c’era quello italiano che ospitava
le spoglie di circa 5200 caduti e molti Ascari libici, c’era il cimitero
del Commonwealth con le tombe di vari soldati che avevano
combattuto con gli alleati britannici e infine c’era il sacrario
tedesco, un ossario costruito nello stile di una fortezza militare,
che conteneva i resti di 4200 soldati.
Che tristezza vedere tutta quell’atmosfera di morte intorno a noi…
tante vite umane stroncate da guerre inutili legate ai sogni di gloria
di qualche pazzoide fanatico!
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La sera dal balcone del mio hotel sul mare ho cercato di assaporare la bellezza di un tramonto
sul mare.. la luce ramata all’orizzonte aveva screziato di cielo di una bella colorazione arancione
che cercava di farsi strada tra le nuvole di passaggio. La spiaggia era deserta e silenziosa, con
qualche palma che sembrava riposare dopo una giornata di caldo sole.. tra tante immagini di
morte sentivo come non mai il piacere di esistere e restavo attaccata al mio tramonto sul mare
per non rompere l’incanto di quella sensazione.
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Il giorno dopo siamo partiti in pullman alla volta della rigogliosa oasi di Siwa situata in
una depressione profonda 18 metri sotto il livello del mare, un’oasi ricca di acque, di
palme da dattero e abitata da una popolazione berbera.
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Siamo saliti all’antica cittadella molto suggestiva anche se, essendo stata costruita con
materiali salini presi sul luogo, con l’umidità, le piogge, tendeva a sciogliersi… qui c’era il
tempio dedicato al dio Sole o Amon che ospitava il celebre Oracolo.
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Proprio a questo oracolo si era rivolto anche
Alessandro Magno e ne aveva ricevuto un vaticinio
particolarmente favorevole e soprattutto la
consacrazione al fatto di essere figlio della
divinità! Il tempio dell’oracolo e tutte le case
della cittadella erano diventate purtroppo un
ammasso di ruderi in quanto la zona era stata
invasa dalla popolazione dell’oasi con le loro
coltivazioni…
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...inoltre molte pietre erano state portate via
sempre dai berberi e usate per la costruzione
delle loro case, sopra i resti archeologici… quindi
era molto difficile ricostruire la storia del
passato. Comunque ci è stato detto che per i
forti vincoli che univano Alessandro Magno
all’oracolo, molti studiosi avevano ritenuto che il
conquistatore macedone avesse scelto di essere
seppellito proprio nell’oasi e non ad Alessandria,
come altri ritenevano.
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Siamo poi scesi al centro di Siwa, nella
piazza centrale del mercato dominata
dai resti dell’enclave di Shali del XII
secolo, realizzata in mattoni di fango.
Qui sembrava di respirare un’atmosfera
atemporale, scandita dai ritmi di una
comunità agreste lontana mille miglia
dalla frenesia occidentale …era un
mondo chiuso, preservato dal deserto.
Ci hanno raccontato che proprio in quel
luogo si era sviluppato il primo
insediamento berbero dell’oasi.. gli
abitanti lo avevano circondato da alte
mura poste a protezione degli attacchi
dei predoni beduini, molto frequenti in
passato.
Poi nel 1926 un’anomalia meteorologica
aveva provocato tre giorni di intensa
pioggia che aveva sgretolato parte delle
case, delle costruzioni.. e la cittadella di
Shali era stata abbandonata e mai più
ricostruita.
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Ci siamo poi spostate alla Montagna dei Morti, “Gebel el Mawta”, dove scavate nella
roccia si trovavano numerose tombe faraoniche legate al periodo tolemaico della XXVI
dinastia.
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Alcune mi sono apparse ancora ben conservate, altre dei semplici buchi ormai abbandonati e
depredati di ogni ricchezza in quanto la popolazione dell’oasi vi aveva trovato rifugio durante i
bombardamenti della seconda guerra mondiale.
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La tomba più importante era l’ipogeo di Si
Amon Messi ed apparteneva ad un greco
benestante
seguace
della
religione
dell’antico Egitto.. bellissime alcune
raffigurazioni con immagini e colori molto
vivi, della dea Nut che si erano in parte
preservate.
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Più misera ed un po’ abbandonata
all’incuria del tempo nel suo interno, ma
comunque con un elegante portale di
ingresso, era la tomba della moglie
Misuris che stava accanto.
Altre tombe anche anonime o di notabili
di cui non ricordo il nome, presentavano
alcuni rilievi interessanti come quella
detta del “coccodrillo” proprio perché al
suo interno era raffigurato un
coccodrillo, o dipinti con un rosso
pigmento utilizzato spesso nelle famose
ceramiche prodotte a Siwa.
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Dopo quella necropoli ci siamo spostati in un luogo più ameno, i “Bagni di Cleopatra”, una grande
piscina di acqua sorgiva rotonda con un diametro di circa venti metri, nelle cui acque una
leggenda raccontava che la bella faraona d’Egitto era solita andare a bagnarsi. Ci hanno
raccontato che proprio quelle acque avevano un effetto benefico in chi si bagnava.. non abbiamo
avuto il tempo di verificare la diceria!
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Il mattino dopo siamo arrivati ad un’altra necropoli, quella di Bilad al Rum, un luogo
abbandonato, triste e sporco, dove avevo la netta sensazione che anche i morti dovessero
sentirsi molto lontani dalla pace sperata a causa dei vandalismi, dei molti trafugamenti e delle
violazioni…
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Eppure in questo luogo, situato sempre
nell’oasi di Siwa, un’archeologa greca,
Liana Souvaltzi aveva affermato di aver
trovato la tomba di Alessandro Magno..
era vero?
Le autorità egiziane le avevano impedito
scavi approfonditi e verifiche ulteriori,
affermando che la studiosa aveva
tradotto in modo errato delle iscrizioni
tombali che si riferivano invece ad Iside
o addirittura ad un generale dell’antico
esercito egizio, ma non assolutamente al
condottiero macedone.
E così il dubbio è rimasto: dove riposava
allora il corpo mortale di Alessandro? In
questa necropoli abbandonata o nel
tempio dell’Oracolo? O ancora ad
Alessandria d’Egitto?... non si è mai
saputo con certezza la verità e quei
luoghi continuavano a contendersi le sue
spoglie mortali!
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Bilad al Rum, pur nella sua originalità, mi
aveva lasciato negli occhi un’immagine di
morte e sentivo, più che mai, il
desiderio di atmosfere vive e palpitanti
di energia.
Il vento aveva pulito aria e terra
lustrandole come argenti e l’oasi di Siwa
risplendeva… il verde delle palme pareva
fondersi con un cielo grigio-azzurro e la
sabbia del deserto, dove stavamo
avventurandoci, aveva il colore un po’
pallido dell’ocra.
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Ci siamo fermati ad ammirare quel panorama in una zona che aveva ancora il leggiadro
nome di “Valle delle Gazzelle” anche se le gazzelle se ne erano andate da tempo dato
l’avanzare del deserto e la siccità!
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Poi più avanti ci è sembrato di recuperare
il contatto con l’essenza della vita: il lago
di Shyata con le sue vive tonalità di
azzurro e verde ci è apparso quasi come
un miraggio.
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Il panorama era veramente suggestivo, Shyata era un piccolo lago salato in mezzo al
nulla, l’acqua era molto fredda, ma sentivo ugualmente il desiderio di tuffarmi e
avvertire il piacere di piccoli brividi sulla pelle.. mi stavo riempiendo gli occhi della
bellezza di un mondo che sempre più mi appariva come un sogno velato di paradiso!
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Risaliti in jeep dopo un frugale pranzo ci siamo diretti verso “il gran mare di sabbia”
com’era chiamata quella parte di deserto, ed io continuavo ad esserne affascinata.
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Purtroppo un vento pazzesco ha cominciato ad avvolgerci tanto che durante le piccole
soste, per non essere sopraffatti dalla sabbia, ci siamo tutti intabarrati come beduini e
solo in quel travestimento abbiamo avuto la possibilità di scendere dalla jeep ed esplorare
a piedi alcune zone dove c’erano i resti di un piccolo meteorite, una preistorica pietra
nera che era caduta in tempi lontani e chissà da quale parte dell’immenso universo!
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Sempre riparandoci dal vento e dalla
sabbia, ricordo che ci lamentavamo un
poco della sfortuna di non godere
appieno della bellezza del paesaggio,
ma la nostra saggia guida egiziana,
cercava di ammorbidirci con i suoi
proverbi: “cari miei viaggiatori, le
tempeste dell’animo sono di gran lunga
peggiori delle tempeste di sabbia!”.. e
tutto si concludeva con una piacevole
risata.
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Proseguendo in jeep ci siamo poi fermati in una piccola oasi quasi minuscola in quel gran
mare di sabbia.. qui ci è stata indicata una pozza d’acqua calda, la sorgente di acqua
termale sulfurea di Fatmas, già menzionata anche da Erodoto.
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La pozza d’acqua confluiva poi in un lago più grande circondato da un canneto .. e mentre
il vento mi portava il profumo della terra umida che il sole aveva riscaldato, io mi
sentivo presa da quel paesaggio unico intorno a me.. solo un’immensa distesa di sabbia
giallastra tendente al grigio, di cui non vedevo la fine!
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Singolare e sorprendente poi, in questo gran mare di sabbia, imbattersi in resti fossili
in luoghi ora deserti ma un tempo coperti dalle acque del Mar Mediterraneo.
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Il giorno dopo in jeep abbiamo lasciato la verde oasi di Siwa diretti, sempre attraversando
il gran mare di sabbia e poi percorrendo una stretta strada che si incuneava tra due grandi
laghi salati, verso l’altra bella oasi di Bahariya.
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Abbiamo attraversato la depressione di
Qattara, una delle più vaste in tutta
l’Africa (18.000 Kmq.), situata nella
parte settentrionale del deserto libicoegiziano.
Recintata da dune scendeva fino a 133
metri sotto il livello del mare! In alcune
zone il panorama arido e selvaggio era
tappezzato da grandi acquitrini e laghi
salati.. che però in altre stagioni si
asciugavano lasciando sul terreno
immense distese di sale.
Abbiamo così avuto la fortuna di vedere
un paesaggio lunare molto suggestivo,
arricchito da laghi, canneti che davano
un tono di freschezza in quella bianca
distesa arida.
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Nella Depressione di Kattara le necropoli abbondavano, tombe tristemente abbandonate
che venivano ormai sfruttate dai beduini solo come riparo dal vento.
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Poi è arrivato il percorso magnifico attraverso il deserto, verso l’oasi di Bahariya, chiamata
anche “l’oasi del nord”… il viaggio era un’incessante riscoperta del fascino del deserto che
ormai ci stava entrando nello spirito. Mi guardavo intorno dal finestrino della jeep ed
avvertivo, come non mai, la vastità di quel nulla.
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A dare un tocco magico in più a questa atmosfera c'è stato l'inaspettato incontro con un
gruppo di beduini che, sui loro cammelli dalle colorate cavalcature, avanzavano lentamente
lungo una pista appena visibile tra le bianche dune.
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Siamo così arrivati nel centro maggiore
dell’oasi, a El Bawiti, un villaggio con
palmeti che circondavano le tipiche case
di fango in un affollamento disordinato
e caotico.
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L’importanza di quest’oasi era data anche dalla recente ed esaltante scoperta della vasta e
ricca necropoli di Ayn al Muftillah, con quattro tombe particolari e nelle fondamenta la bellezza
di 105 mummie, alcune delle quali ricoperte d’oro, per cui il sito era diventato famoso per le
“mummie d’oro”!
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La cosa fantastica era che quei reperti avevano resistito all’erosione
ed ai vandalismi per 2000 anni.. La guida ci ha raccontato il fatto
legato alla loro scoperta: nel 1996, un sorvegliante delle antichità,
preposto al servizio del Tempio di Alessandro Magno, stava
attraversando il deserto sul suo asino, diretto all’oasi di Faretra,
quando inavvertitamente la gamba dell’asino era inciampata in
qualcosa e tutti e due erano ruzzolati in una fossa, una specie di
pozzo abbastanza profondo!
Nel recuperare i malcapitati gli archeologi hanno scoperto la mummia
di una giovane donna vestita con abiti romani del III secolo, in una
tomba scavata nella roccia e poi sono seguite tutte le altre scoperte
sensazionali.. la valle delle mummie luccicanti d’oro, appartenenti a
tutti gli strati sociali, tombe di famiglia inviolate, con piccoli tesori
non saccheggiati o trafugati dagli sciacalli!
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All’interno dell’oasi di Bahariya
abbiamo anche visto i resti di un
tempio dedicato ad Alessandro
Magno, ormai distrutto.. con enormi
blocchi di pietra che potevano dare
una velata idea di come doveva
essere stata la sua grandezza.
Gli egittologi ritenevano che il
condottiero macedone l’avesse fatto
edificare durante il suo passaggio
nell’oasi, sulla via del ritorno dalla
visita al Tempio dell’Oracolo di Siwa.
Se l’esterno era distrutto, l’interno
invece era stato in parte ricostruito
e si poteva in questo modo avere
un’idea dell’imponenza e delle idee
grandiose di Alessandro che voleva
essere considerato, a tutti gli
effetti, un faraone figlio del dio
Amon.
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Percorrendo zone archeologiche, rigogliose oasi e un gran mare di sabbia
Ma l’oasi di Bahariya era anche famosa per la bellezza e la suggestione dei deserti circostanti
per cui non potevamo esimerci da una spedizione verso quelle meraviglie della natura. Ci siamo
dunque diretti verso il “Sahra as-Sauda”, il “Deserto Nero”, uno spettacolo stupefacente,
mozzafiato, prodotto dall’erosione delle montagne di basalto che rivestivano il deserto con uno
strato di polvere e rocce nere, laviche.
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Ci siamo fermate incantate da ciò che ci
circondava… calpestavamo una sabbia che
scricchiolava sotto i nostri piedi, alture
coperte di colori diversi prevalentemente
nero e marrone tanto da dare
l’impressione di piccoli vulcani e intorno
vedevamo solo sabbia nera, una distesa
che pareva lunga e senza fine.
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Un’altra sosta durante il nostro percorso esplorativo è stato alla “Montagna di
Cristallo”, così chiamata per i cristalli di quarzo che la componevano interamente,
tanto da mandare strani riflessi trasparenti e luccichii sotto il sole.
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Dopo la magia un po’ surreale di quei sassolini di quarzo che invitavano alla gioia, ci siamo
diretti verso una zona, a mio avviso, tra le più belle di questo percorso, verso “il Deserto
Bianco”, con le sue strane formazioni rocciose quasi ultraterrene e le vaste bianche pianure
aperte.. mi sentivo emozionata perché stavo vivendo un’esperienza che avevo tanto atteso e
che si prospettava, a dir poco, unica ed esaltante!
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Ed ecco avvistare le prime propaggini del
Deserto Bianco, un incredibile paesaggio
lunare, una sublime rappresentazione della
bellezza che esaltava l’animo e che dava
spazio all’immaginazione.
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Questo deserto si era formato
dopo la scomparsa delle acque
interne,
faceva
parte
della
depressione di Farafra, lunga ben
200 Km e il risultato voluto da
madre natura erano proprio quelle
rocce bianche, di un candore
abbacinante, onirico, surreale che
durante
il
forte
sole,
costringevano chi le guardava a
chiudere gli occhi dopo essere
stato abbagliato.
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I locali chiamavano quella formazione di varie rocce “Le lacrime di Isidora” perché narrava
una leggenda che una fanciulla innamorata, dopo la morte del fidanzato che genitori crudeli
non le avevano fatto sposare, era fuggita qui nel deserto a piangere disperata, e le sue
copiose lacrime si erano, per volontà degli dei, trasformate in massi bianchi!
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A parte la poetica leggenda, qui gli
aggettivi si sprecavano, perché il mio
stato d’animo e quello di tutti era di
assoluto
stupore,
tanto
che,
guardandomi intorno, mi chiedevo se ero
di fronte ad un miraggio o tutto era
pura e bella realtà!
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La natura pareva sbizzarrirsi in giochi
architettonici che incantavano. La
bianca pietra calcarea del suolo,
rendeva il paesaggio unico, tale da
mozzare letteralmente il respiro..
...avvertivo tutta la magia di quel luogo,
il suo fascino continuava a conquistarmi,
così come aveva conquistato i primi
esploratori, ed ero convinta che nessun
grande artista, avrebbe saputo renderlo
più bello.
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Eravamo in pieno deserto, eppure
da lontano tutte le rocce sculture,
il terreno, i rilievi, apparivano
quasi ammantati di bianca neve.
Le strane e svariate forme delle
rocce erano degne dello scultore
più esperto, ecco allora il
gigantesco fungo, una formazione
di polvere di Diatomiti, le micidiali
conchiglie che furono capaci di
mangiare la barriera corallina,
quando qui c’era il mare… e poi le
case dei Puffi, il dinosauro, la
sfinge, la gallina ai piedi di un
albero, il pavone e.. poi via, si
poteva dare spazio alla fantasia e
alle varie interpretazioni!
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Mentre il sole calava, le ombre iniziarono ad avvolgere tutte le formazioni rocciose, dando
loro un senso di magica profondità. Qui, nel silenzio di questo paradiso surreale, dovevamo
trascorrere la notte, al sicuro dai fantasmi del deserto, nelle piccole tende ad igloo.
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L’avventura ci esaltava, eravamo tutte un po’
intimorite, ma cariche di entusiasmo: questa
parte di deserto era stata un’esperienza molto
più intensa di quello che ci eravamo aspettate,
era pura poesia e non riuscivamo ad avvertire
totalmente le difficoltà logistiche, non sentivamo
neppure il freddo pungente che ci circondava in
quella piccola e precaria tenda sulla sabbia…
forse durante la notte io avrei sognato la giovane
Isidora che piangeva tutte le sue calde lacrime
che si trasformavano in sogni!!
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Il mattino dopo, all’alba mi aspettavano immagini e colori ancora più intensi sotto i raggi
del sole, abbiamo guardato incantate quel paesaggio e non ci stancavamo di fotografare
con l’intento di fissare le immagini che tanto ci piacevano, abbiamo persino toccato
quelle rocce come fossero state dei talismani ed abbiamo raccolto per terra qualche
conchiglia, poi come tutte le avventure belle, anche questa doveva avere fine, siamo
risalite sulla jeep dirette ad altri lidi, ad altre meraviglie…
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Una breve sosta è stata fatta nell’oasi di Farafra.. un complesso di case decrepite e
fatiscenti, abbandonate all’incuria del tempo, piccoli ruderi tra i palmeti.
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L’unica nota un po’ interessante in
questo luogo è stata la visita al
museo Badr, una casa con richiami
pseudo egizi, molto stravagante
ed inquietante dove viveva un
artista locale, di nome Badr.
Questo personaggio che dicevano
famoso nella zona aveva esposto
sia all’esterno che all’interno della
casa, una specie di galleria d’arte
in cui erano raffigurare sculture
ed immagini legate alla dura e
difficile vita del suo villaggio.
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Da Farafra ci siamo poi diretti verso un’altra oasi, quella di Dakhla dove ci aspettava una
piacevole sorpresa, il tempio restaurato di Deir el Haggar, databile al tempo di Nerone
e poi anche di Vespasiano e Tito, intorno al 53 a. C.
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Il tempio era dedicato ad Amon Ra e sia nel cortile, all’aperto, lungo i muri, sia all’interno era
possibile ammirare bassorilievi del faraone e degli dei… ovviamente il faraone era l’imperatore
romano ed era abbigliato nel costume degli antichi egizi, per ingraziarsi i sacerdoti locali che
dovevano fornire il grano a Roma!
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Questo tempio, abbastanza imponente era stato in seguito trasformato in un monastero…
un luogo cristiano con il compito di proteggere chiunque vi si fosse rifugiato.
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Abbastanza vicino a Dakhla abbiamo anche visitato la necropoli romana di El Muzawaka
con circa 300 tombe.. Le due più belle erano anche ornate da rilievi con colori vivaci,
decorazioni parietali e una conteneva addirittura quattro mummie!
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Ma al di là della necropoli il nostro interesse si è rivolto alla perlustrazione della città
vecchia di Dakhla, el Qsar, dal termine arabo che significa fortezza, l'antica Ibis dei
Greci, poi diventata romana e infine musulmana.
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El Qsar si è presentata con il suo intrico di stradine dissestate, fiancheggiate da case con le
pareti ricoperte di argilla, sorrette da elaborate architravi in legno dal disegno abbastanza
elaborato che chiariva il nome del proprietario.
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Con grande interesse abbiamo percorso
quel complicato labirinto che collegava in
passaggi segreti, i cortili isolati nelle
varie abitazioni, un ambiente avvolto non
solo da una decisa atmosfera medioevale,
ma anche dal buio silenzio di un luogo
abbandonato.
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Tra i vari ruderi in rovina abbiamo visto
anche una moschea del XII secolo e una
madrasa del X secolo dal cui tetto si
poteva godere lo scenario suggestivo delle
bianche dune che circondavano l’oasi in un
dolce abbraccio.
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I nostri percorsi di scoperta della zona così ricca di reperti sono arrivati al villaggio
islamico medioevale di Balat con le sue case di fango in stile sudanese che ricordavano
l’influenza esercitata dal regno dei Mamelucchi e degli Ottomani in Egitto.
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Vicino al villaggio spiccava l’antica necropoli di Balat costituita da cinque mastabe, una
delle quali anche in restauro. Su una delle tombe la guida ci ha detto che era stata
scoperta una iscrizione costituita da geroglifici secondo la quale in quel luogo era
stato sepolto il governatore dell’oasi, il più potente del deserto.
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Molto più ricca ed interessante di Balat è stata invece la necropoli di El Bagawatt, uno
dei più antichi cimiteri cristiani al mondo, con ben 263 tombe di vario genere, spesso
cripte spoglie in mattoni di argilla, quasi tutte a cupola semplice o doppia, alcune
meglio conservate con incredibili disegni alle pareti.
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La guida ci ha spiegato che molte tombe erano
state ispirate dall’architettura sepolcrale
alessandrina .. erano infatti visibili gli
elementi decorativi delle pareti esterne con
l’uso di due ordini di pilastri parietali e di
nicchie incorniciate da colonnette, archi
portanti, arcate cieche.. e poi stupefacenti
erano anche quelle che venivano definite
tombe di famiglia a più arcate che
rispecchiavano alcuni caratteri bizantini.
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Ma il vero spettacolo che mi è apparso
come una vera e propria visione è stato
l’ingesso nelle due cappelle cristiane del V
e VI secolo, a pianta quadrata, chiamate
per i loro affreschi favolosi che si erano
preservati, “Cupola della Pace” e “Cupola
dell’Esodo degli Ebrei”.
Siamo entrate in quel luogo di morte con
grande emozione, tanto che ci è apparso
vivo
e
spettacolare
per la
sua
monumentalità, per la ricchezza degli
apparati architettonici e decorativi, per i
dipinti colorati che ritraevano episodi
biblici, personaggi dell’antico testamento
come Mosè, Gesù, Abramo.. e poi anche
figure cristiane, rappresentazioni e
personificazioni simboliche relative ad
episodi
religiosi,
unici
nell’età
paleocristiana!
Eravamo incantati con lo sguardo che non
di staccavano dalla cupola, dalle pareti, da
quei colori che erano sopravvissuti
all’incuria del tempo.
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Al centro della necropoli si ergeva poi una basilica sepolcrale, attribuita al V secolo, in
mattoni crudi, con la classica forma architettonica copta, chiusa a tre navate, con gallerie e
senza abside… riprendeva quasi totalmente la forma dell’arca di Noè ed era insolitamente
circondata anche da una serie di dodici colonne murate che forse in origine avevano
sorretto un tetto in modo da dare vita ad un nartece.
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Dopo aver esplorato in lungo ed in largo, senza mai stancarci, quel luogo ricco di reperti,
abbiamo ripreso il viaggio.. una breve sosta al tempio di Ibis che abbiamo ammirato solo
dall’esterno perché era chiuso e… poi via verso altri templi che in questa zona pullulavano
come funghi!
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Il giorno dopo, sempre sotto un sole cocente che ci riscaldava le ossa, ci siamo fermati ai
resti del tempio romano di Nadura, trasformato in seguito in un posto di guardia ed infine
quasi completamente distrutto dai Mamelucchi.
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Dopo questi resti archeologici abbiamo ripreso il viaggio attraverso un antico tracciato nel
deserto. Ogni tanto le nostre jeep si fermavano e tra sabbia e sole potevamo godere
bellissimi momenti di relax e di pace.
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Ci siamo poi spostati a Labaka dove ci siamo trovati di fronte ad un antico tempio faraonico
diventato in seguito un castello fortezza romana. Esso dominava solitario il deserto che si
stendeva attorno a noi.
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Il viaggio è proseguito verso la magica e ricca Luxor, attraverso ambienti e situazioni sempre
diverse. Abbiamo costeggiato le rovine del castello di El Zayan che attestavano la grandezza
romana di un passato imperiale di conquiste e di gloria, e poi un paesaggio lunare di bianca
sabbia con sfumature dorate.
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Infine le prime avvisaglie della periferia
di Luxor ci hanno preparato all'impatto
grandioso del faraonico tempio di Amon
Ra, il re degli dei, con la corte di
Nectanebo e il pilone con la statua di
Ramsete II.
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Quella monumentale struttura, addossata ormai alle case della città, fu riportata alla luce nel
1883, ma la sua costruzione ad opera dell'architetto Amenofi, figlio di Hopu, era legata
essenzialmente a due faraoni: Amon Ofis III che lo iniziò nel XIV secolo a.C. e Ramsete II che
la portò a termine aggiungendo cortili e colonnati ancora più monumentali.
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Ed è proprio quel cortile a colonne di
Amon Ofis III, incredibile, eccessivo,
composto da due file di sette colonne
campaniformi, lungo 52 metri, che
faceva rimanere senza fiato.
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Oltrepassato l’ingresso trionfale siamo entrati nella corte di Ramsete II e ci siamo sentiti tutti
piccoli piccoli...
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...eravamo sopraffatti, ancora una
volta, dalla doppia fila di colonne con
capitelli a papiro chiuso e statue
osiriache che spuntavano come
funghi…
una
grande
foresta
pietrificata di grande suggestione
con Ramsete e la sua sposa che
troneggiavano nonostante fossero
un po’ deturpati dal tempo, sempre
maestosi, tali da incutere una totale
sottomissione!
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A circa tre chilometri dal tempio di Luxor si stendeva la vasta zona monumentale di Karnak che
i greci avevano chiamato Hermonthis.. ebbene, un lungo “dromos” lastricato di pietra, un viale
processionale fiancheggiato da sfingi a testa umana portava da Luxor a Karnak.
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La strada non era stata riportata alla luce nella sua integrità, ma quando siamo arrivati in vista
del dromos di sfingi criocefale che conducevano al primo pilone, nonostante la folla, abbiamo
avuto la sensazione di rivivere il passato.
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Karnak era ancora più monumentale di Luxor, più estesa, più divina… si avvertiva nei cortili il
dominio del dio Amon e in altri quello della dea Mut, moglie di Amon e raffigurata
simbolicamente sotto forma di avvoltoio.
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In quel complesso templare, i faraoni
che si erano avvicendati sul trono,
avevano lasciato il proprio segno, a
volte aggiungendo sale o cortili, altre
volte ampliando il tempio con cappelle
e obelischi.
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Bellissimo mi è apparso il lago sacro del dominio di Amon, usato per le cerimonie, un esteso
lago di forma quadrangolare, circondato non solo dai vari edifici religiosi, ma anche da
magazzini, abitazioni dei sacerdoti.. in quelle acque, ogni mattina, proprio i sacerdoti di Amon
solevano purificarsi prima di dare inizio ai riti sacri quotidiani.
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Mi sono piaciute poi le sfingi a
testa d’ariete, l’animale sacro ad
Amon, che avevano il compito di
proteggere il faraone raffigurato
tra le zampe dell’animale!
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E che dire dei pilastri unici osiriaci che sostenevano il portico del tempio di Ramsete III?
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E gli obelischi con iscrizioni finemente
elaborate?
Ci
trovavamo
ancora
sopraffate dalla foresta di incredibili
colonne le cui dimensioni e i giochi
d’ombra e di luce provocavano in tutti noi
forti emozioni.
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Durante quella visita che mi faceva
rivivere ciò che in passato avevo già
visto… ma mai abbastanza.. ho
pensato
all’incredibile
capacità
dell’uomo di poter realizzare dei
monumenti
così
grandi
ed
imponenti.. ho pensato alle migliaia
di persone che vi avevano lavorato,
guardiani, operai, contadini, oltre ai
sacerdoti che vi avevano vissuto.
Era un complesso che godeva di
ricchezza, del favore del faraone
che qui ammassava i suoi bottini di
guerra, qui ricercava con continue
costruzioni la benevolenza degli dei
per la sua prosperità..
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E con quelle monumentali immagini che si
elevavano dal terreno, di una perfezione
quasi soprannaturale, perse nella notte
dei tempi.. mi sono preparata al mio
ritorno in Italia.
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Quante emozioni, quanti ricordi, quante immagini da elaborare e cercare di ricostruire…
mi sentivo sopraffatta dall’intensità di ciò che avevo vissuto, ero passata dal silenzio del
deserto al caos disordinato di villaggi e città, ma l’arte, la grandezza dell’uomo e della
natura avevano sempre fatto a gara per stupirmi, per incantarmi, per farmi apprezzare
ancora una volta il piacere di viaggiare!