Integrazione multipla 1 Misura secondo Peano

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Integrazione multipla 1 Misura secondo Peano
Integrazione multipla
1
Misura secondo Peano-Jordan
Dato un sottoinsieme di RN poniamoci il problema di misurare tale insieme, di associare cioè ad
esso un valore numerico allo stesso modo in cui solitamente si fa per semplici figure geometriche
come i poligoni, per i quali si parla di area, o come i poliedri, per i quali si parla di volume. Il modo
tradizionale di procedere consiste nell’attribuire una misura a insiemi elementari per poi estendere
tale nozione a insiemi di struttura via via piú complessa.
Definizione 1.1 - Assegnati due N −ple (ai ), (bi ) con ai ≤ bi (i = 1, · · · , N ) si chiama intervallo
di RN l’insieme
I = {(xi) : ai ≤ xi ≤ bi} = [a1, b1] × · · · × [aN , bN ] ;
(1)
per misura di I si intende la quantità
m(I) =
N
Y
(bi − ai ) .
i=1
Definizione 1.2 - Un insieme P che sia unione di un numero finito {I1, · · · , In} di intervalli, a
due a due privi di punti interni comuni, prende il nome di plurintervallo; la sua misura è data da
m(P ) =
n
X
m(Ik ) .
(2)
k=1
Osservazione 1.1 - La posizione (2) non si presta ad equivoci in quanto si puó dimostrare che, se
P viene in altro modo decomposto in unione di intervalli a due a due privi di punti interni comuni,
il valore (2) non cambia.
Sia ora X un sottoinsieme limitato. Consideriamo l’insieme numerico delle misure dei plurintervalli
contenuti in X; l’estremo superiore mi (X) di tale insieme numerico, ovviamente finito data la
limitatezza di X, prende il nome di misura interna di X. Consideriamo inoltre l’insieme numerico
delle misure dei plurintervalli contenenti X e denotiamone con me (X) l’estremo inferiore; tale
quantità prende il nome di misura esterna di X. Ovviamente risulta
mi (X) ≤ me (X) .
(3)
Se nella (3) vale il segno di uguaglianza l’insieme X dicesi misurabile secondo Peano-Jordan e il
valore numerico in tal modo determinato, che si denota con m(X), prende il nome di misura di X.
Si puó dimostrare che, dati due insiemi misurabili X, Y , allora anche X ∪ Y , X ∩ Y , X − Y sono
misurabili; si ha inoltre
• Proprietà di monotonia:
X ⊆ Y ⇒ m(X) ≤ m(Y ) .
• (proprietà subadditiva)
m(X ∪ Y ) ≤ m(X) + m(Y ) ;
1
• (proprietà additiva) se X ∩ Y = ∅ allora m(X ∪ Y ) = m(X) + m(Y ).
Riportiamo senza dimostrazione la seguente proprietà che caratterizza gli insiemi misurabili.
Teorema 1.1 - Un sottoinsieme limitato di RN è misurabile secondo Peano-Jordan se e soltanto
se la sua frontiera ha misura nulla.
Tale risultato consente di concludere che sono misurabili tutti quegli insiemi di RN la cui frontiera è
una varietà (N −1)−dimensionale rappresentata per esempio dall’insieme degli zeri di una funzione
di classe C 1 cui sia possibile applicare il teorema di Dini.
Nel caso del piano sono ovviamente misurabili i rettangoloidi relativi a funzioni continue o, piú in
generale, i cosiddetti domini normali. Ricordiamo che per dominio normale rispetto all’asse delle
y si intende un insieme del tipo
{(x, y) ∈ R2 : a ≤ x ≤ b ,
α(x) ≤ y ≤ β(x)}
(4)
con α, β funzioni continue in [a, b]. Per dominio normale rispetto all’asse delle x si intende invece
un insieme del tipo
{(x, y) ∈ R2 : c ≤ y ≤ d , γ(y) ≤ x ≤ δ(y)}
(5)
con γ, δ funzioni continue in [c, d].
Si chiama inoltre dominio regolare un insieme che sia l’unione di un numero finito di domini normali
rispetto all’asse delle x o all’asse delle y a due a due privi di punti interni comuni. Ovviamente la
misura di un tale insieme è la somma delle misure dei singoli domini normali.
Se l’insieme X non è limitato si dice che esso è misurabile se tali sono gli insiemi X ∩ Sr dove Sr
è la sfera con centro nell’origine e raggio r; la misura di X si definisce allora nel modo seguente
m(X) = sup m(X ∩ Sr ) .
(6)
r
Ovviamente nulla esclude che sia m(X) = +∞.
Osservazione 1.2 - Puó essere utile riportare il seguente esempio di insieme non misurabile secondo Peano-Jordan. Si consideri il sottoinsieme D del quadrato Q = [0, 1]2 costituito dai punti a
coordinate razionali. Si vede facilmente che
mi (D) = 0 < me (D) = 1 ;
quindi D non è misurabile. La non misurabilità di D è anche conseguenza del teorema 1.1: la
frontiera di D è tutto il quadrato quadrato Q che non ha misura nulla.
2
Integrale secondo Riemann
Avendo a disposizione la nozione di misura si puó introdurre il concetto di integrale per una
funzione definita in un insieme misurabile di RN ; per far ció prenderemo a modello la definizione
di integrale secondo Riemann per funzioni di una sola variabile.
Sia X ⊂ RN un compatto misurabile e sia f una funzione limitata in esso definita. Sia inoltre
D = {X1 , · · · , Xn}
una decomposizione di X; con ciò intendiamo dire che gli insiemi Xk sono sottoinsiemi di X,
compatti e misurabili, a due a due privi di punti interni comuni, la cui unione è X.
Definiamo le seguenti quantità
s(D) =
n
X
k=1
m(Xk ) inf f ,
S(D) =
Xk
n
X
k=1
2
m(Xk ) sup f .
Xk
Si puó dimostrare che, al variare della decomposizione D, le quantità s(D) e S(D) descrivono due
insiemi numerici separati; se tali insiemi sono anche contigui se cioè
sup s(D) = inf S(D) ,
(7)
D
D
allora f dicesi integrabile secondo Riemann. La quantità (7) prende il nome di integrale di f esteso
a X; essa si denota con il simbolo
Z
f(x) dx ,
X
ovvero, se si ha a che fare con una funzione di due o tre variabili, anche con i simboli
ZZ
ZZZ
f(x, y) dx dy ,
f(x, y, z) dx dy dz .
X
X
Come nel caso delle funzioni di una variabile è possibile dimostrare, facendo ricorso al teorema di
Cantor sulla uniforme continuità, che le funzioni continue sono integrabili secondo Riemann. Piú
in generale è integrabile secondo Riemann una funzione limitata che sia continua in tutti i punti
di X − X0 con m(X0 ) = 0.
Esempio 2.1 - La cosiddetta funzione di Dirichlet

 1 se x ∈ D
(x, y) ∈ [0, 1]2 −→

0 se x 6∈ D ,
dove D è l’insieme riportato nell’esempio 1.2, costituisce un classico caso di funzione non integrabile
secondo Riemann.
Per tale tipo di integrale valgono classiche proprietà che ci limitiamo ad elencare senza dimostrazione.
• (Proprietà additiva) Se X1 , X2 sono due compatti misurabili, privi di punti interni comuni,
posto X = X1 ∪ X2 , si ha
Z
Z
Z
f(x)dx =
f(x)dx +
f(x)dx .
(8)
X
X1
X2
• (Proprietà distributiva) Siano f, g due funzioni integrabili e a, b due numeri reali; allora
af + bg è integrabile e si ha
Z
Z
Z
[af(x) + bg(x)]) dx = a
f(x) dx + b
g(x) dx .
X
X
X
• (Proprietà di monotonia)
f ≤ g =⇒
Z
f(x) dx ≤
X
Z
g(x) dx .
X
• (Proprietà di media) Sia X connesso per poligonali e f continua; esiste allora un punto c ∈ X
tale che
Z
f(x) dx = f(c) m(X) .
X
• Se X ha misura finita si ha
Z
dx = m(X) .
X
3
(9)
• Se f è integrabile tale è anche |f| e si ha
Z
Z
f(x) dx ≤
|f(x)| dx .
X
X
Ovviamente per tale nozione di integrale vale una interpretazione simile a quella che viene proposta
per funzioni di una variabile. Infatti se f è una funzione non negativa definita per esempio in
X ⊂ R2 allora l’integrale di f esteso a X rappresenta il volume dell’insieme di R3
{(x, y, x) : (x, y) ∈ X , z ∈ [0, f(x, y)]} .
Esempio 2.2 - Mediante integrali doppi si possono esprimere le coordinate del baricentro di figure
piane. Infatti se A è un sottoinsieme del piano allora le coordinate del suo baricentro sono date da
ZZ
ZZ
x dxdy
y dxdy
A
A
x̄A =
, ȳA =
.
(10)
m(A)
m(A)
Le formule (10) si riferiscono al caso di lamine omogenee cioè di densità costante; nel caso in cui
la densità è descritta da una funzione ρ continua su A allora le formule relative al baricentro si
scrivono nel modo seguente
ZZ
ZZ
x ρ(x, y) dxdy
y ρ(x, y) dxdy
A
A
Z
Z
Z
Z
x̄A =
, ȳA =
.
ρ(x, y) dxdy
ρ(x, y) dxdy
A
A
Analoghe considerazioni si possono fare nel caso tridimensionale.
La nozione di integrale secondo Riemann puó estendersi, pur con qualche cautela, al caso di funzioni
non limitate e/o definite in insiemi non compatti. Come nel caso delle funzioni di una variabile la
procedura da seguire comporta in primo luogo che si definisca l’integrale per funzioni non negative.
Poiché non è detto che tale integrale sia finito, se ció accade, si dice che la funzione è sommabile.
Per una generica funzione f si parla di sommabilità quando è sommabile la funzione |f|; in tal
caso l’integrale di f è la differenza degli integrali delle funzioni f + e f − .
3
Formule di riduzione
L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di esibire metodi per il calcolo di integrali di funzioni di piú
variabili. Il primo di questi consiste nel ricondurre il tutto al calcolo di piú integrali, possibilmente
di funzioni dipendenti da una sola variabile o, in ogni caso, da un numero di variabili inferiore a
quello originario.
Per cominciare consideriamo il caso di un integrale, esteso ad un dominio normale, di una funzione
di due variabili che, per semplicità, assumiamo continua.
Teorema 3.1 - Se A è il dominio (4), allora
ZZ
f(x, y)dxdy =
A
Z
b
a
Z
β(x)
f(x, y)dy
!
dx .
(11)
f(x, y)dx dy .
(12)
α(x)
Se l’insieme A è il dominio (5) si ha
ZZ
f(x, y)dxdy =
A
Z
d
c
Z
δ(y)
γ(y)
4
!
Le (11) e (12) note come formule di riduzione; la loro utilità poggia sul fatto che, attraverso tali
formule, il calcolo di un integrale doppio viene ricondotto al calcolo di due integrali semplici cioè di
due integrali di funzioni di una sola variabile. È ovvio inoltre che l’efficacia delle suddette formule
non va confinata ai soli domini normali; essa può essere applicata, tenendo in conto la proprietà
additiva (8), a tutti i domini regolari.
Non riportiamo la dimostrazione delle formule di riduzione (11) e (12); limitiamoci a riscriverle in
alcuni significativi casi particolari.
Se l’insieme di integrazione è l’intervallo [a, b × [c, d] di R2 si ha
!
!
Z
Z
ZZ
Z
Z
b
d
f(x, y)dxdy =
I
d
f(x, y)dy
a
b
dx =
c
f(x, y)dx dy .
c
(13)
a
Nel caso particolare in cui la funzione integranda sia il prodotto di una funzione della sola x e di
una della sola y la formula (13) assume la seguente semplice struttura
! Z
!
ZZ
Z
b
f(x)g(y)dxdy =
I
d
f(x)dx
g(y)dy
a
.
(14)
c
Consideriamo il seguente dominio normale rispetto sia all’asse delle x che all’asse delle y
D = {(x, y) : 0 ≤ x ≤ a,
0 ≤ y ≤ x} = {(x, y) : 0 ≤ y ≤ a,
applicando (11) e (12) si ottiene la seguente formula di Dirichlet
ZZ
Z a Z x
Z a Z
f(x, y)dxdy =
f(x, y)dy dx =
D
0
0
0
a
y ≤ x ≤ a} ;
f(x, y)dx dy .
y
Alle formule di riduzione (11) e (12) relative agli integrali doppi corrispondono analoghe formule per
gli integrali tripli. Limitiamoci a richiamare quella relativa al caso in cui il dominio di integrazione
sia
D = {(x, y, z) : (x, y) ∈ T ⊂ R2 , α(x, y) ≤ z ≤ β(x, y)}
con T compatto misurabile di R2 e α, β funzioni continue in T . Se f è una funzione continua in D
si ha
!
ZZZ
Z β(x,y)
ZZ
f(x, y, z)dxdydz =
f(x, y, z)dz dxdy .
D
T
α(x,y)
Quindi il calcolo dell’integrale triplo è ricondotto, nell’ordine, al calcolo di un integrale semplice e
di un integrale doppio. Se a sua volta T è un dominio normale allora il calcolo dell’integrale triplo
si riduce al calcolo di tre successivi integrali semplici.
C’è un’altra interessante formula di riduzione per gli integrali tripli. Fissato z sia
Dz = {(x, y) : (x, y, z) ∈ D} ;
Dz è la proiezione, sul piano coordinato z = 0, dell’insieme dei punti di D che hanno la stessa
quota z. Supponiamo che Dz sia misurabile per ogni z e che D sia contenuto nello strato di R3
delimitato dai piani di equazioni z = a e z = b. Si ha allora
ZZZ
Z b Z Z
f(x, y, z)dxdydz =
f(x, y, z)dxdy dz .
(15)
D
a
Dz
Nel caso particolare in cui f ≡ 1, ricordando la (9), dalla (15) si ottiene la formula
Z b
m(D) =
m(Dz ) dz .
a
5
(16)
Dalla (16) è possibile dedurre il classico principio di Cavalieri secondo il quale due solidi, le cui
sezioni con i piani paralleli al piano di equazione z = 0 sono di eguale estensione, hanno anche lo
stesso volume.
Esempio 3.1 - Sia A è il solido che si ottiene facendo ruotare attorno all’asse delle x, di un
angolo pari a 2π, il rettangoloide di base [a, b] relativo ad una funzione continua e positiva f;
allora dalla formula (16) si ottiene
Z b
[f(x)]2dx .
m(A) = π
a
Tutte le formule di riduzione sopra descritte sono un caso particolare di un risultato che riguarda
funzioni integrabili definite in sottoinsiemi misurabili di un generico spazio euclideo. Osserviamo
innanzitutto che ogni siffatta funzione puó essere interpretata come una funzione definita su tutto
lo spazio se essa viene prolungata ponendola uguale a zero nel complementare del suo insieme di
definizione. Ció premesso enunciamo il seguente teorema.
Teorema 3.2 - Sia f una funzione integrabile in RN +M . Se per ogni x ∈ RN la funzione
y ∈ RM −→ f(x, y)
è integrabile e se per ogni y ∈ RM la funzione
x ∈ RN −→ f(x, y)
è integrabile allora
Z
Z
f(x, y)dxdy =
RN+M
4
Z
RN
Z
Z
f(x, y)dy dx =
RM
RM
f(x, y)dx dy .
RN
Cambiamenti di variabili
Consideriamo la classica trasformazione a coordinate polari del piano
(ρ, θ) −→ (ρ cos θ, ρ sin θ) .
(17)
La trasformazione (17) è una corrispondenza del piano privato dell’origine in sé; tale corrispondenza
non è ovviamente biunivoca in quanto a coppie del tipo (ρ, θ) e (ρ, θ + 2kπ) con k ∈ Z corrisponde
lo stesso punto. Purtuttavia, poiché lo jacobiano di (17) è uguale a ρ, tale trasformazione è per un
noto risultato localmente invertibile.
Supponiamo che D sia un insieme misurabile del piano tale che la restrizione della trasformazione
(17) ad esso sia biunivoca; allora denotato con T il trasformato di D mediante (17), sussiste la
seguente formula
ZZ
ZZ
f(x, y)dxdy =
f(ρ cos θ, ρ sin θ)ρ dρdθ.
(18)
T
D
L’integrale di f esteso a T si è trasformato in un integrale, esteso al dominio D, in cui compare lo
jacobiano della trasformazione (17).
Questa caratteristica si conserva anche quando si effettua un qualsiasi cambio di variabili. Sia
infatti
(u, v) ∈ D −→ (x(u, v), y(u, v))
(19)
una trasformazione biunivoca con jacobiano non nullo. Allora, se si denota con T il trasformato
di D mediante (19), sussiste la seguente formula
ZZ
ZZ
∂(x, y) dudv .
f(x, y)dxdy =
f(x(u, v), y(u, v)) (20)
∂(u, v) T
D
6
In particolare se nella (20) si prende f ≡ 1 si ha
ZZ ∂(x, y) du dv .
m(T ) =
D ∂(u, v)
Esempio 4.1 - Sia CR il cerchio con centro nell’origine e raggio R; CR è l’immagine mediante la
trasformazione (17) del rettangolo IR = [0, R] × [0, 2π[ del piano (ρ, θ). Applicando quindi prima
la (18) e poi la (14) si ha
ZZ
−(x2 +y 2 )
e
dxdy =
ZZ
CR
−ρ2
e
Z
ρ dρdθ = 2π
IR
Essendo
lim
ZZ
R→+∞
2
2
e−ρ ρ dρ = π(1 − e−R ) .
0
2
e−(x
+y 2 )
dxdy =
ZZ
2
e−(x
+y 2 )
dxdy
R2
CR
si ha
R
ZZ
2
e−(x
+y 2 )
dxdy = π .
R2
Per la formula di riduzione (14) risulta anche
ZZ
2
e−(x
+y 2 )
dxdy =
Z
R2
+∞
2
e−x dx
2
;
−∞
si ha quindi
Z
+∞
2
e−x dx =
√
π.
−∞
Per quanto riguarda gli integrali estesi a sottoinsiemi di spazi euclidei di dimensione superiore a
due sussiste una formula analoga alla (20).
Sia data la seguente applicazione
u = (ui ) ∈ D ⊂ RN −→ x(u) = (x1 (u1, · · · , uN ), · · · , xN (u1 , · · · , uN )) ∈ RN .
(21)
Supponiamo che tale trasformazione sia di classe C 1 e che il suo jacobiano
J=
∂(x1 , · · · , xN )
∂(u1 , · · · , uN )
sia non nullo; se (21) è una trasformazione biunivoca di D su un dominio T di RN allora si ha
Z
Z
f(x) dx =
f(x(u))|J| du .
(22)
T
D
Limitiamoci qui a riportare alcuni classici cambiamenti di variabili dello spazio a tre dimensioni.
Un primo semplice esempio è costituito dal passaggio a coordinate cilindriche.
p
Sia (x, y, z) un punto di R3 non appartenente all’asse delle z; se ρ = x2 + y2 e θ denota l’angolo formato dal piano coordinato y = 0 e dal piano contenente l’asse delle z e il punto dato,
consideriamo la seguente trasformazione
(ρ, θ, z) −→ (ρ cos θ, ρ sin θ, z) .
(23)
Osservato che il determinante jacobiano della trasformazione (23) è uguale a ρ la (22) in tal caso
diventa
ZZZ
ZZZ
f(x, y, z) dxdydz =
f(ρ cos θ, ρ sin θ, z)ρ dρdθdz
(24)
T
D
7
dove T è il trasformato di D mediante (23).
Il passaggio a coordinate cilindriche si rivela utile quando l’integrale è esteso ad un insieme T che
si ottiene dalla rotazione attorno all’asse delle z di un insieme piano A, contenuto per esempio nel
piano coordinato y = 0, che non intersechi l’asse delle z. L’insieme T risulta essere l’immagine
mediante la trasformazione (23) dell’insieme D dei punti (ρ, θ, z) con (ρ, z) ∈ A e θ ∈ [0, 2π]. In
tale situazione la (24) si scrive nella forma seguente
ZZZ
f(x, y, z)dxdydz =
Z
T
2π
Z Z
f(ρ cos θ, ρ sin θ, z)ρ dρdz dθ.
(25)
A
0
Se f ≡ 1 da (25) e (10) si ha
m(T ) = 2π
Z
ρ dρdz = 2πρ̄A m(A)
(26)
A
dove ρ̄A è la distanza dall’asse delle z del baricentro di A. Abbiamo in tal modo dimostrato un
risultato, noto come primo teorema di Guldino, che afferma che il volume di un solido che si ottiene
facendo ruotare un insieme piano intorno ad un asse ad esso complanare è uguale al prodotto tra
la misura dell’insieme piano e la lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro della figura.
Esempio 4.2 - Consideriamo il caso del solido, detto toro, che si ottiene facendo ruotare un
cerchio di raggio r attorno ad una retta complanare al cerchio e ad esso esterna; in base alla (26)
il volume di tale insieme è π2 r2a dove a è la distanza del centro del cerchio dall’asse di rotazione.
Concludiamo con un cenno alla trasformazione a coordinate polari in R3 .
Sia (x, y, z) un punto diverso dall’origine. Posto
p
ρ = x2 + y 2 + z 2 ,
sia u ∈ [0, π] la colatitudine, cioè l’angolo che la semiretta uscente dall’origine e passante per
il punto (x, y, z) forma con il semiasse positivo delle z, e v ∈ [0, 2π] la longitudine, cioè l’angolo
formato dai semipiani contenenti l’asse delle z e passanti per il punto (1, 0, 0) e per il punto (x, y, z).
Per trasformazione a coordinate polari si intende la seguente applicazione
(ρ, u, v) −→ (ρ sin u cos v, ρ sin u sin v, ρ cos u) .
Lo jacobiano di tale trasformazione è ρ2 sin u.
Se SR è la sfera con centro nell’origine e raggio R, la formula (22) diventa
ZZZ
f(x, y, z)dxdydz =
SR
5
Z
2π
dv
0
Z
π
sin u du
Z
0
R
f(ρ sin u cos v, ρ sin u sin v, ρ cos u)ρ2 dρ .
0
Area di una superficie e integrali superficiali
Sia S una superficie regolare di equazioni parametriche
(u, v) ∈ D −→ (x(u, v), y(u, v), z(u, v)) .
Consideriamo la matrice

xu


 yu


zu
xv
yv
zv
8
(27)



,


(28)
e i suoi tre minori
yu
A = zu
yv ,
zv zu
B = xu
Posto
W (u, v) =
zv ,
xv xu
C = yu
xv .
yv (29)
p
A2 + B 2 + C 2
per definizione l’area della superficie S è la quantità
ZZ
Area(S) =
W (u, v) dudv .
(30)
D
La motivazione di tale posizione poggia sul significato di W . Se infatti si considera il parallelogramma con un vertice nel punto della superficie S corrispondente ai valori (u, v) ∈ D e generato
dai vettori colonna della matrice (28) la sua area è per l’appunto W (u, v). Se si approssima quindi
localmente la superficie con il suo piano tangente la misura delle porzioni di superficie che si proiettano su parallelogramma del tipo di quelli descritti con i lati proporzionali ai vettori colonna di
(28) differiscono per infinitesimi di ordine superiore dalla misura dei parallelogramma.
Esempio 5.1 - Nel caso in cui la superficie S è grafico di una funzione f di classe C 1(A) allora
la formula (30) diventa
ZZ q
Area(S) =
1 + fx2 + fy2 dxdy .
A
Esempio 5.2 - Consideriamo la superficie di rotazione
(u, v) ∈ [a, b] × [0, 2π] −→ (r(u) cos v, r(u) sin v, z(u))
ottenuta facendo ruotare intorno all’asse z la curva γ contenuta nel piano y = 0 di equazioni
parametriche
u ∈ [a, b] −→ (r(u), z(u)) .
Essendo
W (u, v) = r(u)
p
r0(u)2 + z 0 (u)2
da (30), tenendo conto della la formula di (14), si ha
Z b
p
Area(S) = 2π
r(u) r0 (u)2 + z 0 (u)2 du .
a
Tenendo presente la definizione di baricentro di una curva risulta
Area(S) = 2πL(γ)r̄γ
dove r̄γ rappresenta la distanza del baricentro di γ dall’asse di rotazione.
Quindi l’area di una superficie di rotazione è uguale al prodotto delle lunghezze della curva e della
circonferenza descritta dal suo baricentro; tale risultato è noto come secondo teorema di Guldino.
Sia ora f una funzione continua sul sostegno di una superficie S. Una volta introdotta la nozione
di area di una superficie, con il solito procedimento è possibile definire l’integrale superficiale di f
esteso a S; si perviene alla seguente formula
Z
ZZ
f dσ =
f(x(u, v), y(u, v), z(u, v))W (u, v) dudv .
S
D
La definizione di area di una superficie e di integrale superficiale è stata data per superfici siano
rappresentabili mediante le (27). Sarebbe possibile, ma ce ne asteniamo per brevità, superare tale
limitazione.
9
6
Il teorema della divergenza
In tale paragrafo proponiamo alcune formule che consentono di calcolare un integrale doppio esteso
ad un dominio regolare A mediante il calcolo di integrali di forme differenziali estese alla frontiera
del dominio opportunamente orientata. A tale proposito, se la frontiera è costituita da un’unica
curva generalmente regolare semplice e chiusa ∂A, ad essa associamo come orientamento positivo
quello antiorario.
Ciò premesso, sussistono le seguenti regole di integrazione note come formule di Gauss
ZZ
ZZ
Z
Z
∂X
∂Y
Xdy ,
Y dx
(31)
dxdy =
dxdy = −
A ∂x
+∂A
A ∂y
+∂A
dove X, Y sono due funzioni di classe C 1 in un aperto contenente il dominio A.
Limitiamoci a dimostrare la prima delle due formule nel caso particolare in cui A sia il dominio
(5) normale rispetto all’asse delle x.
Applicando la formula di riduzione (12) si ha
!
ZZ
Z d Z δ(y)
Z d
∂X
∂X
[X(δ(y), y) − X(γ(y), y)]dy .
dxdy =
dx dy =
A ∂x
c
γ(y) ∂x
c
Una semplice verifica consente poi di controllare che l’ultimo termine è l’integrale della forma
differenziale Xdy estesa alla curva orientata +∂A.
Se u = (X, Y ) si chiama divergenza di u la funzione
div u =
Dalle formule di Gauss (31) si ha
Z
div u dxdy =
A
∂X
∂Y
+
.
∂x
∂y
Z
Xdy − Y dx .
(32)
+∂A
Sia
s ∈ [α, β] −→ (x(s), y(s)) ,
una rappresentazione parametrica della frontiera di A con s parametro ascissa curvilinea; supponiamo inoltre che l’orientamento indotto da tale rappresentazione parametrica coincida con
quello fissato come positivo. Allora l’integrale curvilineo a secondo membro in (32) ha la seguente
espressione
Z β
[X(x(s), y(s))y0 (s) − Y (x(s), y(s))x0 (s)]ds .
(33)
α
I due versori (y0 (s), −x0 (s)) e (x0 (s), y0 (s)) sono tra loro perpendicolari. Essendo il secondo tangente
alla curva ∂A il primo individua la direzione normale alla frontiera; si può dimostrare inoltre che
esso è rivolto verso l’esterno di A. Indicato con ne tale versore normale la funzione integranda in
(33) è il prodotto scalare del vettore u e del vettore ne; si ha cioè la seguente formula, nota come
teorema della divergenza
ZZ
Z
div u dxdy =
< u, ne > ds ;
(34)
A
∂A
essa afferma che l’integrale della divergenza di un campo vettoriale esteso ad un dominio regolare
A è uguale al flusso del campo uscente dal dominio.
Le formule di Gauss (31) ci forniscono lo strumento per dimostrare che una forma differenziale
piana chiusa in un insieme A ad unico contorno è esatta. Infatti sia γ una curva generalmente
regolare semplice e chiusa contenuta in A. L’ipotesi che A sia ad unico contorno consente di
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affermare che γ può considerarsi come la frontiera di un insieme D contenuto in A. Si ha allora
per le (31)
ZZ
Z
Xdx + Y dy =
[−Xy + Yx ] dxdy = 0 .
+γ
D
Per un classico criterio di integrabilità si ha allora che ω è esatta.
Proponiamo ora la versione tridimensionale delle formule sopra descritte.
Supponiamo che la frontiera di un aperto A di R3 sia una superficie regolare e denotiamo con
ne = (nx , ny , nz ) il versore normale a ∂A orientato verso l’esterno. Consideriamo inoltre il campo
vettoriale u = (X, Y, Z) con componenti di classe C 1 in un aperto contenente il dominio A; si
chiama divergenza di u la funzione
div u = Xx + Yy + Zz .
Abbiamo in tal modo la possibilità di dare significato alla formula (34) che nel caso tridimensionale
assume la seguente forma
ZZZ
Z
div u dxdy =
< u, ne > dσ .
A
∂A
Da tale formula si ottengono le seguenti identità
ZZZ
∂X
dxdydz
A ∂x
ZZZ
∂Y
dxdydz
A ∂y
ZZZ
∂Z
dxdydz
A ∂z
=
Z
X nxdσ
∂A
=
Z
Y ny dσ
∂A
=
Z
Z nz dσ ,
∂A
analoghe alle (31), che vengono chiamate formule di Gauss.
Sia S una superficie su cui viene fissato un orientamento positivo; sia n = (nx , ny , nz ) il campo
vettoriale sulla superficie costituito dai versori normali a S che rispettino tale orientamento. Allora
per flusso di u = (X, Y, Z) attraverso tale superficie si intende il seguente integrale
Z
< u, n > dσ .
S
Supponiamo che il vettoriale u sia definito in un aperto A di R3 con componenti di classe C 1;
chiamiamo rotore di u il vettore
rot u = (Zy − Yz , Xz − Zx , Yx − Xy ) .
Supponiamo che la superficie S abbia la rappresentazione parametrica (27) e che il suo sostegno
sia contenuto in A. Se l’orientamento positivo di S è, per semplicità, quello indotto dalla rappresentazione parametrica (27) definita in D, facciamo l’ipotesi che la frontiera di D sia una curva
generalmente regolare semplice e chiusa; si scelga per tale curva come orientamento positivo quello
antiorario. Tale orientamento induce un orientamento positivo sulla curva dello spazio in cui essa
si trasforma tramite la (27); tale curva orientata, detta bordo di S, viene denotata con il simbolo
+∂S. Sussiste allora la seguente formula di Stokes
Z
Z
< rot u, n > dσ =
Xdx + Y dy + Zdz .
S
+∂S
11
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Esercizi
1.- Sia E = {(x, y) ∈ R2 : x, y ≥ 0, x2 + y2 ≤ 1}. Calcolare l’integrale doppio
ZZ
2
2
x2ex +y dxdy .
E
2.- Posto D = {(x, y) : 1 ≤ x ≤ 2,
√
0 ≤ y ≤ x}, calcolare l’integrale doppio
ZZ
dxdy
.
(x
+ y)2
D
3.- Sia T il rettangoloide di base [0, 1] relativo alla funzione x2; calcolare il seguente integrale
doppio
ZZ
x3exy dxdy .
T
4.- Determinare le coordinate del baricentro dell’insieme
{(x, y) ∈ R2 : x ∈ [0, 1] ,
−x2 ≤ y ≤ x2 } .
5.- Sia Q = [0, 1] × [0, 1] e sia f una funzione positiva di classe C 0(Q). Dimostrare che esiste un
unico valore a ∈]0, 1[ tale che
Z a
Z 1
ZZ
1
dx
f(x, y) dy =
f(x, y) dxdy .
2
Q
0
0
6.- Calcolare il seguente integrale doppio
ZZ
sin(x − y) dxdy
T
π
, y ≤ x}.
2
: 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ f(x)}, con f ∈ C 1(0, 1), tale che f(1) = 1.
ZZ
1
yf 0 (x)dxdy = .
6
Ω
dove T è il triangolo {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤
7.- Sia Ω = {(x, y) ∈ R2
Verificare che
8.- Sia E = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ y ≤
√
π, 0 < x ≤ y2 }. Calcolare il seguente integrale doppio
ZZ
sin y2
√ dxdy .
x
E
9.- Sia D il settore circolare che, in coordinate polari, si individua mediante le limitazioni
0 ≤ ρ ≤ 1,
Calcolare l’integrale doppio
ZZ
D
0≤θ≤
π
.
4
x
dxdy .
1 + x2 + y 2
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10.- Posto D = {(x, y) ∈ R2 : x ≥ 0, y ≥ x, x2 + y2 ≤ 1} calcolare il seguente integrale doppio
ZZ √
2
2
e x +y dxdy .
D
11.- Sia C la parte di corona circolare, delimitata dalle circonferenze con centro nell’origine e raggi
1/2 ed 1 contenuta nel primo quadrante. Indicare la distanza dall’origine del baricentro di C
12.- Sia C il cerchio con centro nell’origine e raggio 1; indicare il valore del seguente integrale
doppio
ZZ
cos(x2 + y2 ) dxdy .
C
13.- Sia C la parte di corona circolare delimitata dalle circonferenze con centro nell’origine e raggi
1 e 2, contenuta nel primo quadrante. Calcolare il seguente integrale doppio
ZZ
(y + x2 )dxdy .
C
14.- Sia C il semicerchio, contenuto nel semipiano delle y positive, con centro nel punto (2, 0) e
raggio 2. Calcolare il seguente integrale doppio
ZZ
(y + 2x − 4) dxdy .
C
15.- Calcolare il seguente integrale doppio
ZZ
y log x dxdy
T
dove T = {(x, y) ∈ R2 : 1 ≤ x2 + y2 ≤ 4, 0 ≤ y ≤ x}.
16.- Sia
t ∈ [a, b] → (x(t), y(t)) ∈ R2
la rappresentazione parametrica di una curva generalmente regolare, semplice e chiusa, frontiera
di un insieme D del piano; supponiamo inoltre che il verso di percorrenza indotto da tale rappresentazione parametrica coincida con il verso positivo di ∂D. Facendo uso di una delle formule di
Gauss-Green, scrivere sotto forma di integrale doppio esteso a D il seguente integrale
Z
b
x2(t)y0 (t)dt .
a
17.- Sia f una funzione con derivate prime continue in un dominio normale T e nulla sulla frontiera
di T ; dimostrare che
ZZ
∂f
dxdy = 0 .
T ∂x
18.- Posto
f =
xy2
+ y2
x2
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calcolare l’integrale doppio di f esteso al dominio
D = {(x, y) : x, y ≥ 0,
1 ≤ x2 + y2 ≤ 4} .
Si determini una funzione F tale che Fx = f e si calcoli l’integrale facendo uso della formula di
Gauss-Green.
19.- Sia T un insieme del piano a frontiera regolare e di misura pari a 1/2. Facendo uso delle
formule di Gauss-Green verificare che il seguente integrale
Z
x2dy
+∂T
fornisce l’ascissa del baricentro di T .
20.- Sia Q il quadrato di vertici (0, 0), (1, 0), (1, 1), (0, 1) e sia f una funzione di classe C 2 (R2);
dimostrare che
ZZ
∂2f
dxdy = f(1, 1) + f(0, 0) − f(1, 0) − f(0, 1) .
Q ∂x∂y
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